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Cooperazione e tessuto sociale Atti del convegno Cooperazione e Tessuto Sociale A cura di P. Scarnera Assessorato alla cooperazione Assessorato alla solidarietà sociale

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Cooperazione e tessuto sociale

A t t i d e l c o n v e g n o

C o o p e r a z i o n e e

T e s s u t o S o c i a l e

A c u r a d i P . S c a r n e r a

Assessorato alla cooperazione

Assessorato alla solidarietà sociale

C O O P E R A Z I O N E E T E S S U T O S O C I A L E

E t i c a , P o l i t i c a , S o l i d a r i e t à E c o n o m i a , C r e a t i v i t à ,

I n n o v a z i o n e

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Cooperazione e tessuto sociale

7 Apri le 2000sala convegni fiera di S. Giorgio

Gravina in P.

Cooperazione e tessuto sociale

S o m m a r i o

PREFAZIONE___________________________________________________________3di C. Stefanelli

INTRODUZIONE________________________________________________________6di P. Scarnera

ETICA, POLITICA, SOLIDARIETA’, ECONOMIA, CREATIVITÀ E INNOVAZIONE NELLO SVILUPPO SOSTENIBILE______________________9di I. Spano

LA PUGLIA COME CONFINE TRA LA GLOBALIZZAZIONE E LA DISPERAZIONE DEL MONDO________________________________________24di Don C. Lodeserto

“LA SOLIDARIETA’ COME PRINCIPIO RIQUALIFICATORE DEL TESSUTO SOCIALE”__________________________________________________32di N. Occhiofino

LA COOPERAZIONE IN PUGLIA: BILANCI E PROSPETTIVE__________38di N. Marmo

RETI DELLA COOPERAZIONE LOCALE E TRANSNAZIONALE________46di P. Tanese

COOPERAZIONE E DIRITTO AL LAVORO____________________________59di A. Casareale

ESPERIENZE DI APPRENDIMENTO COOPERATIVO__________________69di L. Pallucca

COOPERAZIONE E RELAZIONI SOCIALI_____________________________74di P. Scarnera

RINGRAZIAMENTI___________________________________________________109di R. Barbi

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Cooperazione e tessuto sociale

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Cooperazione e tessuto sociale

P r e f a z i o n e

D i C o r r a d o S t e f a n e l l i

La presente pubblicazione, relativa al l ’ incontro dibattito su COOPERAZIONE e TESSUTO SOCIALE tenutosi a Gravina in Puglia i l giorno 07 APRILE 2000 nell ’ambito del la 706° manifestazione fierist ica “San Giorgio”, vuole marcare i l segno del cambiamento socio economico e culturale che negli ultimi anni sta interessando la ns. Comunità e i l ruolo att ivo che nel la stessa stanno assumendo le Associazioni e le Cooperative di Gravina in Puglia.

Questa fase storica, che vede i l prol iferare delle Cooperative Social i e delle Associazioni ONLUS, sintomatico della maggiore richiesta di servizi al la persona oltre che concreta possibi l i tà di occupazione per molt issimi giovani, ha visto nascere molte attenzioni e svi luppato un r icco dibattito sul cosiddetto “Terzo Settore” per cui la Cooperativa Sociale Questa Città a r. l . , costituitasi nel 1979 ed avente lo scopo di perseguire l ’ interesse generale della comunità al la promozione umana e al l ’ integrazione sociale dei cittadini principalmente attraverso la gestione di servizi socio sanitari ed educativi, ha dovuto chiedersi se fosse valida l ’ identificazione della propria “Mission”, elaborata più o meno consapevolmente dagli stessi soci e da altr i , con l ’att ività prevalentemente svolta dai suoi soci lavoratori al l ’ interno del settore della Riabil itazione Psichiatrica. Tale att ività è prevalente ed assorbe la maggior parte delle energie dei soci lavoratori, ma l ’ identificazione di tale att ività lavorativa con la “Mission” del la Società offende la professional ità degli stessi lavoratori e non rende giustizia al patr imonio polit ico, sociale e culturale che la Coop. “Questa Città” ha sviluppato nel corso degli anni, sia pure tra mil le difficoltà. Assessore alla Cooperazione e Solidarietà Sociale della Provincia di Bari.

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Prefazione

Inoltre, l ’essere dotata di una certa stabil ità economica e l ’essere presente nel settore da più di venti anni, attr ibuisce al la Coop. Sociale “Questa Città” un ruolo peculiare al l ’ interno della versione “locale” del dibatt ito sul “Terzo Settore” che, a l ivell i nazionali ed internazionali , sta interessando ambienti Polit ic i , Ist ituzionali ed Accademici, oltre che i vari “addetti” del settore.

I l contributo che la Cooperativa “Questa Città” ri t iene di poter dare in questo cl ima di fervente cambiamento è quel lo della promozione e messa in rete dei servizi socio assistenzial i e socio sanitari già svolt i dalle singole cooperative ed associazioni.

La definizione di questo ruolo non è stata cosa semplice, né faci le ci appare far superare le diffidenze che si innescano quando una cooperativa di grosse dimensioni s i propone di svolgere certe funzioni, con iniziative che possono essere fraintese con i l desiderio di sconfinare in settori altrui , minacciandone l’ autonomia. Ancora più difficile ci appare far superare i l pregiudizio di alcuni Amministratori locali che temono che tale iniziativa possa risolversi nel la costituzione di una nuova forza pol it ica.

La nostra ambizione è, invece, altra: ristabil ire la comunicazione e creare una rete di rapporti con tutti gl i interlocutori che possa offrire a loro e a noi stessi, con sufficiente credibil ità, una valida alternativa al crescente disagio che colpisce ogni fascia di età e condizione economica .

L’ invito che rivolgo a quanti leggeranno questa pubblicazione è di r iflettere sui vari argomenti che sono stati trattati dagl i eccellentissimi relatori, che r ingrazio per i l contributo offerto e per la loro partecipazione.

L’augurio che faccio ai c ittadini è che Gravina sappia cogliere i l momento favorevole e consentire un maggior coinvolgimento nel le scelte di polit ica sociale di tutte quelle realtà che operano sul proprio terr itorio e che svolgono con grande professionalità e merito l ’ impegno assunto.

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Cooperazione e tessuto sociale

I n t r o d u z i o n e

D i P a s q u a l e S c a r n e r a

La Fiera di Gravina fu riprist inata con un editto emanato nel febbraio 1294 da Carlo I I D’Angiò dopo essere stata soppressa per lungo periodo 1 , presumibilmente durante i l periodo Normanno-Svevo e secondo i dettami della legislazione di Capua 2 che vietava, fra le altre cose, lo svolgersi di qualsiasi fiera o mercato. Questa datazione fa della Fiera di Gravina, probabilmente, la più antica tra le fiere ital iane.

Alle origini la “Fiera di San Giorgio” si colorava, oltre che di s ignificati strettamente economici , anche di valenze cultural i notevol i perché, causa le difficoltà di spostamento dell ’epoca, i forestieri, affluit i da ogni parte del Regno per acquistare e scambiare merci non reperibi l i nei luoghi d’origine, permanevano nella città per qualche giorno, dando origine anche a scambi culturali . La presenza di comunità di diversa etnìa, come quella Ebraica e Saracena 3 , davano all ’evento una coloritura cosmopolita che, probabilmente, affascinava i nostr i avi come affascina noi contemporanei.

Non si poteva, al l ’epoca, separare l ’ interesse economico da altre valenze polit iche, social i e culturali , e ciò rendeva la r icorrenza un evento caleidoscopico che vedeva l’al lestimento di giostre, teatrini , baracche per ospitare i forestieri, eccetera.

Socio fondatore della Cooperativa Sociale “Questa Città”.1 D. Nardone, “Notizie Storiche della Città di Gravina”, IV edizione, 1990.2 F. Raguso, “Gravina. Municipium, Universitas hominum et bonorum, Comune”, in “Note di aggiornamento” al testo predetto.3 D. Nardone, Op. Cit.

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introduzione

Nella attuale fase storica ritroviamo la connessione dei temi economici con quell i polit ic i , culturali , et ic i, social i e giuridici sotto un’altra forma, ovvero come consapevolezza dell ’ intreccio delle valenze economiche con tutt i i temi citati al l ’ interno di una strutturazione che col lega eventi ed interessi locali al panorama nazionale e mondiale: la global izzazione dell ’economia ha dato nuove e diverse valenze ai problemi economici ed al le relative soluzioni.

Così , se nelle trattative relative al la compravendita delle merci al l ’ interno di una fiera quest’ intreccio non sempre è visibi le, e non potrebbe essere diversamente, in momenti di riflessione e programmazione inerente a temi economici, qual i quell i organizzati durante l ’evento fieristico ogni anno, esso salta, o dovrebbe saltare, in primo piano e rendere la Fiera uno spazio ed un tempo in cui s i scambiano, oltre al denaro ed alle merci, anche idee, ipotesi, progetti , anal is i , soluzioni che r iguardano ogni genere di problematiche.

All ’ interno di questa prospettiva, quindi, la r iflessione che ci proponiamo di svi luppare concerne soprattutto i col legamenti e le relazioni che legano i l mondo della Cooperazione, del Terzo Settore, della Pol it ica e della Ricerca al contesto storico attuale, al la globalizzazione.

Certo, benchè la fiera di Gravina abbia nobil i ed antiche origini , r imane una fiera di interesse locale, e ciò può sembrare in contrasto con lo stesso concetto di “globalizzazione” che, al contrario, tocca interessi di dimensioni planetarie ma, come speriamo di spiegare con i vari contributi che abbiamo ospitato, la globalizzazione si cura con la “ localizzazione”, con un modello di social ità basato sull ’ individuazione e la realizzazione delle singole persone e comunità, piuttosto che sulla loro massificazione, come richiede la logica global izzante.

Lontani dall ’ idea di fornire analisi , idee, proposte e soluzioni completamente valide, offriamo i l nostro contributo, in quanto uomini che non eludono le responsabil i tà di vivere nella propria epoca.

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Cooperazione e tessuto sociale

E t i c a , P o l i t i c a , S o l i d a r i e t à , E c o n o m i a ,

C r e a t i v i t à E I n n o v a z i o n e n e l l o s v i l u p p o s o s t e n i b i l e

d i I v a n o S p a n o

La realtà attuale del nostro pianeta se da una parte è caratterizzata dalla mondializzazione del l ’economia e dal suo trasformarsi in un “vil laggio globale”, dall ’altra è segnata da una cris i crescente, prolungata, generalizzata.

Tale cris i , più che costituire una interruzione del processo di crescita che ha avuto i l suo decollo al l ’ indomani della seconda guerra mondiale, sembra esserne la conseguenza, i l r isultato di insieme degli effetti controproduttivi e perversi di un progresso che ha posto la crescita economica come fine in sé e come possibi l ità i l l imitata, tenendo in poco conto la razional ità macrosociale, i l lungo periodo e senza riguardo ai costi social i e ambientali esternal izzati .

L’umanità è, quindi , interessata da uno svi luppo che, al di là della sua luccicante fascinazione e delle sue allettanti promesse, si r ivela carico di paradossi (T. Perna, 1998).

I l pr imo paradosso riguarda i l processo del la comunicazione. Nell ’era della interconnessione planetaria, della trasmissione dei dati in un tempo reale, i luoghi della social izzazione diminuiscono o perdono di senso, cresce correlativamente l ’ isolamento e la solitudine di un individuo sempre più spaesato, deprivato dalla sua identità, marginale, borderl ine.

Docente di Sociologia presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova.

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etica, politica, solidarietà, economia, creatività e innovazione nello sviluppo sostenibile

La microcriminalità diffusa occupa le strade e convive con la grande criminali tà. La upper class s i costruisce carceri dorati del imitando parti di c ittà esclusive e protette da vigi lantes.

Un altro paradosso riguarda la stretta correlazione tra crescita della produttività del lavoro e aumento della povertà dei lavoratori e di una elevata quota del la popolazione mondiale.

Ogni boom sembra ormai coincidere con una estensione della disoccupazione.

La “distruzione creatrice”, come la definisce Schumpeter, è al suo culmine comportando per la società un doppio carico: degl i investimenti e dell ’assistenza ai disoccupati .

Certo è che la disoccupazione, cioè l ’ impossibi l ità di produrre a meno di lavorare per conto di un terzo, è la sanzione più spettacolarmente assurda di un sistema sociale fondato sul la eteroregolazione generalizzata (A. Gorz, 1977).

È una “crescita perversa”, come la definisce Ignacy Sachs (1998), dove l’ ipertrofia del settore di produzione dei beni non essenzial i ( la produzione per la produzione) frena fortemente lo svi luppo degli altri settori del l ’economia (infrastrutture, beni intermedi, beni di consumo essenzial i) e, dunque, mina i l potenziale di svi luppo.

Un ulteriore paradosso r iguarda i l fatto che le città, i luoghi in cui si concentrava tradizionalmente la produzione, vedono una loro progressiva marginal izzazione rispetto a quanto indotto dalle recenti trasformazioni nella composizione del l ’economia mondiale caratterizzata da un ruolo sempre maggiore di servizi e finanza.

Appaiono nuove funzioni e una loro diversa concentrazione terr itoriale frutto della combinazione di dispersione globale delle att ività economiche e di integrazione globale, in condizione di crescente concentrazione del la proprietà e del controllo, che ha contribuito a definire i l ruolo strategico di alcune grandi città definite da Saskia Sassen (1991) “città globali”.

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Cooperazione e tessuto sociale

Le città globali concentrano processi innovativi, servizi special izzati e finanza, offrendo potenzial ità di profitto che superano largamente quelle dei settori produttivi più tradizionali . Questi ult imi sono, però, essenzial i per i l funzionamento del l ’economia urbana e i l soddisfacimento dei bisogni quotidiani dei residenti, ma la loro sopravvivenza è messa a repentaglio in una situazione dove finanza e servizi special izzati possono real izzare superprofitti ineguagl iabil i .

La globalizzazione economica determina, quindi, una nuova geografia del la centralità e del la marginalità (periferia) che non mantiene più come criterio dominante quello della produzione.

Ma i l paradosso che rappresenta forse la principale contraddizione risiede nel fatto che, a fronte dello svi luppo degli strumenti del la misurazione, del computo e del controllo, è sfuggito al controllo della società i l meccanismo che essa stessa ha creato, cioè i l processo di accumulazione del capitale su scala mondiale.

Questo processo era già stato preconizzato da Karl Polanyi (1994) e visto come un meccanismo che può portare al suicidio della collett ività e mettere in serio pericolo la stessa sopravvivenza dell ’uomo sulla terra in assenza di strumenti capaci di regolarlo e controllarlo.

Corollario di questo paradosso è i l fatto che, al la fine del secolo, le società svi luppate si scontrano di nuovo con un problema che, sotto la spinta della concorrenza intr inseca al sistema, esse davano già per r isolto. I l problema è vecchio quanto i l capital ismo stesso: come possiamo realmente sfruttare la funzione allocativa e innovativa intr inseca all ’autoregolazione del mercato, senza dovere per questo pagare disparità e costi social i che sono inconcil iabil i con i requisit i d’ integrazione di una società l iberale e democratica?

Nelle economie miste dell ’Occidente lo stato, disponendo di una quota notevole del prodotto sociale, s i era guadagnato i l margine d’azione r ichiesto per mettere in

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etica, politica, solidarietà, economia, creatività e innovazione nello sviluppo sostenibile

atto, attraverso prestazioni di trasferimento e di sovvenzione, una efficace polit ica infrastrutturale, sociale e occupazionale.

Ora, revocare i l compromesso dello stato sociale significa far r iaccendere le tendenze di crisi che esso aveva neutralizzato. Si producono costi social i che mettono a repentaglio la capacità integrativa di una società l iberale. Gli indicatori rivelano in modo inequivocabile l ’aumento della povertà e della sicurezza sociale dovute al le crescenti disparità di reddito, mentre si osservano tendenze inconfondibil i al la disgregazione della società. Si al larga i l divario tra le condizioni di vita degli occupati, dei sottoccupati, dei disoccupati. Impoverit i e separati dal resto della società, questi ult imi non r iescono più a modificare da soli la loro situazione sociale.

Questo venir meno della sol idarietà sociale finisce necessariamente per distruggere questa cultura poli tica l iberale dalla cui autocomprensione universal ist ica le società democraticamente costituite continuano a dipendere.

Nel quadro di una economia globalizzata, gl i stati–nazione possono migliorare la competitività internazionale delle loro “posizioni” solo attraverso un autoridimensionamento del loro potere. Ciò giustificherebbe quelle polit iche di “smantellamento” che compromettono la coesione sociale e mettono a repentaglio la stabil i tà democratica della società. A questo dilemma si giunge con una descrizione più che plausibi le della situazione–descrizione che qui non vogliamo giustificare o argomentare in dettagl io ma soltanto r iassumere a partire da due tesi central i :

1. I problemi economici del le società del benessere si spiegano a partire dalla trasformazione strutturale del sistema economico mondiale indicata dal termine “globalizzazione”;

2. Questa trasformazione l imita a tal punto la capacità di azione degli attori statalnazional i che essi non

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Cooperazione e tessuto sociale

possono più, con le opzioni di cui ancora dispongono, “ammortizzare” a sufficienza le conseguenze socialmente e polit icamente indesiderabil i di un mercato transnazionalizzato.

Allo stato–nazione si restringe i l margine di scelta. Due opzioni vengono meno: i l protezionismo e i l r itorno a una pol it ica economica orientata a st imolare la domanda.

Anche se si potessero ancora control lare i movimenti di capitale, i costi di un isolamento protezionist ico dell ’economia indigena raggiungerebbero in breve ordini di grandezza inaccettabil i . E oggi i programmi statali per l ’occupazione fal l iscono non solo per le r istrette possibi l ità di indebitamento dei bi lanci pubbl ici , ma anche perché sono privi di efficacia al l ’ interno del quadro nazionale.

In una economia global izzata, i l “Keynesismo in un solo paese” non funziona più.

Ha più prospettive una polit ica di lungimirante, intel l igente e prudente adattamento del le condizioni interne alla concorrenza globale. Per esempio, polit iche industrial i di previsione che promuovano “ricerca e svi luppo” faci l itando le innovazioni future , una qualificazione della forza–lavoro che passi attraverso la formazione e l ’ istruzione permanente, una sensata “flessibi l ità” del mercato del lavoro. Tutti provvedimenti che assicurano vantaggi di posizione nel medio periodo, ma che tuttavia non modificano i meccanismi del la concorrenza internazionale di posizione.

Comunque la si consideri, la globalizzazione economica distrugge quella costellazione storica che aveva provvisoriamente reso possibi le i l compromesso dello stato sociale. Anche se questo compromesso non rappresenta la soluzione ideale del problema che è interno al capital ismo, esso aveva però mantenuto entro l imiti accettabi l i i costi social i che ne derivano.

Oggi proprio questa riuscita combinazione viene minacciata nella misura in cui l ’economia global izzata si sottrae al l ’ intervento dello stato regolatore.

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Le funzioni finora assolte dal lo stato sociale potrebbero ancora essere realizzate nelle stesse proporzioni solo se potessero trasferirsi dal lo stato nazionale a unità polit iche che si mettessero per così dire al passo con una economia transnazionalizzata.

Creando unità polit iche più grandi si giunge però ad alleanze difensive rispetto al resto del mondo, ma non si modifica per nul la i l modo della “concorrenza di posizione” in quanto tale. In altre parole, non si garantisce i l passaggio automatico da una logica di adattamento al s istema economico trans–nazionale al tentativo di condizionare pol it icamente le condizioni–quadro. D’altro canto, intese pol it iche di questo t ipo rappresentano pur sempre una condizione necessaria affinché la polit ica possa prendersi una “rivincita” r ispetto al le forze dell ’economia global izzata.

Ma a fronte del la diatriba tra sostenitori e detrattori del processo di globalizzazione in atto è possibi le intravedere una terza via. È questa una via non ancora ben tracciata ma che ha come presupposto e obiett ivo quello di una ri fondazione epistemologica della stessa economia.

La necessità di cambiamenti strutturali è l ’obiett ivo strategico indicato anche dagl i studiosi del System Dynamic Group del Massachusetts Institute of Technology che hanno elaborato un modello di previsione denominato Word 3, sotto la guida di Dennis e Donella Meadows.

Nella loro opera “Oltre i l imit i dello svi luppo” (1993), venti anni dopo l’al larme lanciato dagli esperti del club di Roma, gl i stessi scienziati indicano le condizioni per la transizione verso un sistema sostenibi le.

Deprecando la strategia che cerca di celare, non riconoscere o confondere i segnali negativi dell ’attuale model lo di svi luppo costruendo, magari, ciminiere più alte per non rendere visibi le l ’ inquinamento o esportandolo in posti lontani e scaricandolo sul le generazioni future, considerando come passo necessario ma non risolutivo e definit ivo quello di al leviare la pressione sui l imit i di carico dell ’ambiente, indicano come soluzione la necessità di fare

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un passo indietro, riconoscendo che i l sistema socioeconomico umano, così come è organizzato oggi, non è gestibi le, è andato oltre i propri l imiti e procede verso i l col lasso: da qui, quindi la necessità di cambiare la struttura.

Ma nel l inguaggio dei sistemi “cambiare la struttura” ha un significato preciso che non rimanda a immaginabil i catastrofi polit iche e di governo.

In termini sistemici “cambiare struttura” significa trasformare le relazioni di informazione tra le parti del sistema: i l contenuto e la tempestività dei dati con cui gl i attori del s istema devono operare, nonché gli obiett ivi, i costi , le retroazioni e gl i incentivi che motivano o vincolano i l comportamento.

Da un punto di vista teorico, cioè della teoria dei sistemi, s i fa ri ferimento al la precisa dist inzione tra sistemi eteronomi e sistemi autonomi.

I l sistema eteronomo interagisce con l ’ambiente secondo lo schema imput–trasformazione–output. Gl i imputs risultano , quindi, responsabil i della definizione del s istema e del le sue operazioni . La loro funzione è, quindi, istruttiva.

I s istemi autonomi sono anche detti autopoietici. I l sistema autopoietico è un sistema vivente che si autoproduce.

Caratterist iche peculiari di questi sistemi sono l’organizzazione e la struttura.

L’organizzazione autopoietica (o auto–organizzazione) è specificabile solo in termini di relazione tra processi generati dalle interazioni tra componenti.

Maturana e Varela (1985) così si esprimono: “l’organizzazione autopoietica significa semplicemente processi intrecciati nella specifica forma di una rete di produzione di componenti che, realizzando la rete che l i produce, la costruiscono come unità.”

Da questo punto di vista non è più possibi le parlare di un adattamento dei sistemi viventi al l ’ambiente ma di una interazione tra dinamiche interne dell ’ambiente e del sistema vivente, viste come indipendenti .

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Quando una unità, un sistema, entra in interazione non distruttiva con un altro sistema (ambiente) si determina, o meglio, c’è compatibi l ità tra la struttura dell ’ambiente e quella dell ’unità. Finché esiste questa possibi l ità, ambiente e unità si comporteranno come sorgenti reciproche di pertubazioni e innescheranno reciproci cambiamenti di stato (compensazioni): processo, questo, che Maturana e Varela chiamano accoppiamento strutturale.

Ecco, al lora, che sistema e ambiente si modificano vicendevolmente come risultato di un accoppiamento strutturale, in cui i s ingol i cambiamenti sembrano essere aspetti di uno stesso fenomeno. È ciò che Ervin Laszlo (1986) chiama co-evoluzione, l ’evoluzione, insieme, di organismo e ambiente.

È proprio tenendo conto di questo concetto di co-evoluzione, di interazione genesica tra sistemi come l’economico e l ’ambiente che è scaturita la nozione di svi luppo sostenibile portata al la coscienza collett iva nel 1987 dal Rapporto Bruntland della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo.

Come afferma Jean-Francois Noel (1997) nel l ’opera curata da Serge Latouche “L’economia svelata”,

“per assicurare il mantenimento dei sistemi economici e della biosfera a lungo termine, lo sviluppo sostenibile non è una condizione statica ma un processo di cambiamento all’interno del quale lo sfruttamento delle risorse, la scelta degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnico nonché le modificazioni istituzionali vengono determinati in funzione dei bisogni sia presenti che futuri. Il carattere multidimensionale del concetto di sviluppo sostenibile impedisce che le spese di protezione e ripristino ambientale vengano ridotte alla dimensione PIL convenzionale… Lo sviluppo sostenibile appare, quindi, come uno sviluppo in cui i sistemi economici e la biosfera si evolvono insieme in modo tale che la produzione dei primi garantisca la riproduzione della seconda.”

Ecco che l’ idea di una “economia ambientale” non può essere concepita, come afferma Denis Clerc (1997), come la proiezione di una ortodossia economica ipostatizzante, universal izzante, che ignora ciò che non r ientra nei suoi

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concetti misurabi l i e che svalorizza le società in cui lo scambio e l ’att ività sociale hanno final ità diverse dalla crescita della produzione.

È, quindi, più probabile che proprio attraverso la teoria eterodossa dell ’economia ecologica si potrà, paradossalmente, dare un nuovo fondamento epistemologico al la stessa teoria economica ortodossa.

Indubbiamente, questo passaggio comporta l ’estensione di alcuni concetti centrali e fondanti lo stesso modello dell ’economia attuale.

È proprio i l concetto più “hard” dell ’economia, quel lo di capitale, che vede rompersi la sua rigidità per l ’ inclusione di nuovi s ignificati . È, analogamente, quello che è avvenuto per i l concetto di “forza lavoro” che dalla sua fenomenologia, di memoria marxiana, come “braccia che lavorano sotto lo stesso tetto”, si è esteso fino ad assumere i l s ignificato di “r isorsa”, non l imitandosi al la r isorsa professionale di cui l ’ individuo è portatore ma alla r isorsa organizzativa che egli rappresenta e rende possibi le.

L’ ipotesi di una ri fondazione epistemologica dell ’economia estende i l concetto di capitale produttivo fino a includere nuove determinazioni s ignificanti qual i quelle di capitale naturale e di capitale sociale.

Ora, i l concetto di “capitale naturale”, inteso sia come insieme dei s istemi naturali ma anche come prodotti della terra, raccolt i , come terr itorio e come patrimonio art ist ico-culturale (si veda E. Tiezzi, 1996), appartiene a un t ipo logico diverso da quel lo del “capitale produttivo”. Per comprenderlo è necessario r ifarsi al la logica dei sistemi complessi in evoluzione.

L’approccio al “capitale naturale” non può che essere evolutivo e non conservativo. Se ha ragione Matthias Ruth (Integrating Economics, Ecology and Thermodynamics, 1993) per cui le economie sono sistemi aperti contenuti in un eco–sistema ( la biosfera) con i l quale scambiano materia ed energia, avremo che:

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“sia i sistemi economici che gli ecosistemi si trovano in un stato stazionario, lontano dall’equilibrio, e soltanto modelli dinamici evolutivi, basati su quantità e funzioni irreversibili e non conservative, potranno permettere di capire la complessità delle interazioni tra “capitale naturale” e “capitale prodotto dall’uomo”, tra biosfera e sistema produttivo, tra la natura (di cui siamo parte integrante) e l’attività economica (E. Tiezzi, Fermare il tempo, cit.)”.

Ecco che, se accettiamo i l punto di vista che vuole i l “capitale naturale” e quello “prodotto dall ’uomo” siano complementari poiché la produttività dell ’uno dipende dalla disponibi l ità del l ’altro, i l concetto di sostenibil ità appare come l’ insieme di relazioni tra le attività umane e la loro dinamica e la biosfera con le sue dinamiche evolutive (H. D. Daly, Lo stato stazionario, 1981). È in questo senso che si può affermare senza cadere in alcun “riduzionismo ecologico” che:

“L’economia non può non accettare i vincoli biofisici assoluti che il sistema termodinamico chiuso su cui viviamo comporta (E. Tiezzi, Fermare il tempo, cit.)”.

L’alternativa, che si sta del ineando, porta anche alla evidenza di un altro concetto di capitale che si affianca a quello fisico costituito da beni e strumenti tangibi l i (material i o monetari), al capitale umano come capacità e abil ità della persona, al capitale naturale come insieme di sistemi naturali e di produzioni umane.

Si vuole fare qui ri ferimento al concetto di “capitale sociale” che:

“è costituito da relazioni sociali che hanno una certa persistenza nel tempo e che gli individui in parte possiedono ascrittivamente (per es. relazioni parentali o di ceto), ed in parte costruiscono attivamente nel corso della loro vita (per esempio: relazioni d’amicizia o conoscenze maturate nelle varie cerchie sociali in cui l’individuo è transitato). Il capitale sociale non è riducibile all’insieme delle proprietà individuali possedute da un determinato agente: non è allocato né in beni strumentali, né nell’individuo, ma inerisce alla struttura delle relazioni tra persone. Queste relazioni possono essere concepite come forme di capitale perché, similmente agli altri tipi di capitale, sono produttive di valori materiali e

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simbolici: la loro particolare storia e la loro continuità forniscono, infatti, un contributo specifico al perseguimento dei fini individuali. Esse si presentano, al contempo, come vincoli e come risorse (A. Mutti, 1998) per l’individuo e la società”.

Si tratta, dunque, di un capitale sociale che, a differenza del capitale privato, ha una natura di bene pubblico. Le persone che sostengono att ivamente e rafforzano queste strutture di reciprocità producono infatt i benefici non solo per sé, ma anche per tutt i gl i individui che fanno parte di queste strutture.

Di fronte al fatto che la produzione del necessario, c ioè di quanto gli individui hanno bisogno per vivere nel contesto socio-culturale di appartenenza, richiede, in tendenza, una quantità di lavoro decrescente e minima, la garanzia del reddito, indipendentemente dalla occupazione di un posto stabile, rappresenta i l dir itto inalienabi le del cittadino come contropartita per i l suo contributo di lavoro per produrre una quota di ciò che socialmente è considerato necessario. I l reddito garantito non potrà più basarsi sul valore del lavoro. La sua funzione sarà quella essenziale di distr ibuire, tra tutt i i membri della società, la r icchezza prodotta dall ’ insieme del le forze produttive della società stessa.

Sul piano individuale i l “diri tto al lavoro” non potrà più essere confuso con i l dir itto a un lavoro salariato, ma costituirà da una parte una r isorsa per l ’accesso stabile a quanto è socialmente necessario e, dal l ’altra, i l diri tto di accesso a mezzi per produrre e creare beni non programmabil i socialmente, ma espressione di un bisogno individuale o di una realtà microsociale, locale, al di là del mercato.

È, quest’ult imo, i l campo delle attività autonome in contrapposizione a quel le eteronome definite, queste ultime, comunque entro i l imiti di quanto col lettivamente stabi l ito come produzione socialmente necessaria. È i l campo del la produzione di valori d’uso svincolati dalla logica economica del capitale e dalla sua definizione di valore.

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È proprio i l processo di creazione di spazi di autonomia locale che caratterizza i processi di pianificazione di quello che Ignacy Sachs (1988) chiama “altro gruppo” o “eco–sviluppo”.

Per Sachs questo svi luppo deve essere endogeno, deve potere contare sulle proprie forze, prendere come punto di partenza la logica dei bisogni non indotti dal la produzione ma essenzial i per la realizzazione del soggetto e, quindi, autopoietici , deve dedicarsi a promuovere la simbiosi tra le società umane e la natura e restare aperto al cambiamento isti tuzionale.

È proprio la dialett ica tra att ività eteronome e att ività autonome, la “sinergia posit iva” tra di esse, che rappresenta per Ivan I l l ich (Nemesi Medica,1977) i l superamento della possibi l ità di dominio dell ’uomo sul la natura, dell ’uomo sull ’uomo.

È certo che questa “sinergia posit iva” fra i due modi è possibi le unicamente a determinate condizioni.

Oltrepassate certe soglie cr it iche, la produzione eteronoma genera una completa riorganizzazione dell ’ambiente fisico, ist ituzionale e simbolico, tale da paralizzare le capacità autonome.

Inizia al lora quel circolo vizioso che I l l ich chiama controproduttività: l ’ impoverimento dei legami che legano l’uomo al mondo e agl i altri diventa un potente generatore di domanda di sostituti commercial i che permettono la sopravvivenza in un mondo sempre più al ienante e rafforzano nel medesimo tempo le condizioni che l i rendono necessari. I l r isultato paradossale è che più cresce la produzione eteronoma, più essa diventa un ostacolo al la realizzazione di questi obiett ivi che si r it iene debba perseguire: la medicina distrugge la salute, la scuola instupidisce, i l trasporto immobil izza e le comunicazioni rendono sordomuti ( J . P. Dupuy, 1986).

Assieme al lavoro salariato è i l ruolo centrale dell ’<<economico>> a essere posto in questione, l ’ importanza di questa sfera in cui tutto viene fatto in vista

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Cooperazione e tessuto sociale

di uno scambio eguale con un’altra cosa e nulla vale in sé, non costituendo un fine in sé.

È proprio riducendo tutto a categorie economiche e universal izzandole che i l capital ismo si è manifestato come antiumanesimo.

L’industrial ismo ha ist ituito i l lavoro come att ività puramente funzionale, separata dalla vita, estraniata dal la sua dimensione culturale, disinserita dal tessuto dei rapporti umani.

I l lavoro ha smesso di essere un modo di abitare i l presente, di rapportarsi agli altri e al mondo e i l tempo di lavoro di essere in sintonia con i tempi della vita e del la natura. I l denaro è diventato lo scopo principale motivante l ’att ività produttiva e lavorativa.

I l piacere di fare e di essere, di donare e r icevere senza contropartita erano tensioni di una dimensione culturale che integrava i lavori al la vita e l i rendeva un modo di vivere dotato di senso, in cui ogni rapporto con l ’altro costituiva un mutuo arricchimento e una estensione (culturale, fisica, sociale) della propria esistenza.

I l superamento del modello economico capital ista pone in nuova luce, accanto al rapporto attività eteronome–attività autonome, i l rapporto tra costi di produzione e costi social i .

Lo sviluppo del capital ismo e della grande produzione di mercato hanno reso necessario un insieme di infrastrutture, di reti e di servizi pubblic i di sostegno del buon funzionamento del l ’apparato produttivo. Si tratta dei “ costi di organizzazione” dello svi luppo capital ist ico, assunti dal la collett ività e tradotti in “costi social i”.

Lo sviluppo dei costi social i ha seguito lo svi luppo della crescita capital istica con aumenti più rapidi che non quel l i della produzione nel suo insieme. Tale incremento è difficile attr ibuir lo al le responsabil i tà dei poli t ici e al malgoverno. L’ inflazione dei costi social i è sì legata ai costi material i e infrastrutturali ( i costi di organizzazione) del lo svi luppo capital ist ico, ma trova la sua precipua ragione nel fatto che

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etica, politica, solidarietà, economia, creatività e innovazione nello sviluppo sostenibile

la stabil ità pol it ica e la cura dei disturbi causati da tale svi luppo richiedono interventi social i sempre più costosi e segnati dalla legge dei rendimenti decrescenti.

L’assunzione pubblica dei costi social i ha una funzione raramente esplic itata: essa è produttrice di ordine, di legitt imità e di stabil i tà polit ica.

L’efficacia del le reti e di servizi col lett ivi non può, al lora, essere misurata in relazione al costo di c iò che producono, poiché ciò che producono è, spesso, meno importante di ciò che impediscono si verifichi.

Dalla assunzione pubbl ica dei costi social i dipende l’accettabi l ità degli effetti social i del lo svi luppo capital istico e la stabi l ità poli tica dei sistema. La funzione precipua è, ancora una volta, quella del controllo sociale piuttosto che quella r ivolta al la soddisfazione di autonomi bisogni collett ivi.

Di contro, la rottura del modello economico capital ist ico non considera più i costi social i (così come i costi ambientali ) come esterni al la produzione ma come parte integrante della stessa, come interni al calcolo dei rendimenti dello stesso processo produttivo.

Si può dire che a fronte di una social izzazione delle decisioni di produzioni s i verifica una gestione sociale della produzione stessa che include come fattore essenziale l ’ambiente e le risorse naturali .

È i l concetto di “economia dei servizi”, annunciato da Albert Tèvoèdjrè (La povertà e r icchezza dei popoli , 1985), considerata non più come la r isultante ma la fonte stessa dello svi luppo.

Reinventare l ’economia, andare al di là dei s istemi del capitale, vuol dire rendere l ’economia consustanziale al sociale e al la natura.

Ecco che i l cri terio sociale del successo di questo model lo economico r idisegnato non si al imenta più del successo commerciale e finanziario ma del la possibi l ità per i l soggetto di estendere la propria esperienza, di essere attore sociale e produttore di cultura nonché promotore

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Cooperazione e tessuto sociale

pedagogico di una esistenza in cui si diano, a un tempo, divenire individuale e trasformazioni social i .

Ritorna, quindi , i l concetto annunciato di sostenibil ità piuttosto che come elemento tecnico, come visione stessa della realtà, insieme di relazioni tra att ività umane e la loro dinamica e la biosfera e la sua evoluzione.

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La Puglia come confine tra la Globalizzazione e la disperazione del mondo

L a P u g l i a c o m e c o n fi n e t r a l a G l o b a l i z z a z i o n e e l a d i s p e r a z i o n e d e l m o n d o

D i D o n C e s a r e L o d e s e r t o

Non è faci le coniugare insieme globalizzazione e tragedia umana, perché significa mettere sullo stesso piano la presenza e la sofferenza. Di fatto, la Puglia è oggi la sintesi storica di un evento migratorio che sta cambiando realmente la geografia polit ica sia del Mediterraneo che dell ’Europa.

I l t imore è quello che di tutt i questi avvenimenti noi assumiamo più l ’atteggiamento dello spettatore, e molto meno quello del promotore. Preferendo, quindi, r imanere al margine della storia, temendo le responsabil ità o cadendo nell ’errore del protagonismo.

La regione Pugl ia è oggi la “frontiera dell ’Europa”, cioè la terra attraverso la quale scorre un incredibi le flusso migratorio, che negl i anni ’80 nessuno aveva previsto, diretto verso l ’Europa. È i l sud del mondo, schiacciato dalla povertà e dal la miseria, che preme verso i l nord evoluto e ricco. I l confronto è tra r icchezza e povertà, tra chi possiede e chi non possiede.

Guardiamo l’uomo, r iuscendo a coniugare accoglienza e legalità.

Non burocratizziamo l’ immigrazione.Le fasce deboli .È’ dal ’91 che i percorsi del l ’ immigrazione hanno iniziato

ad incrociarsi con i l terr itorio del Salento, nel sud del la Puglia. La nazione albanese è divenuta, nel corso degl i anni, un corridoio l ibero, senza regole, attraverso i l quale i poveri

Responsabile del Centro di Accoglienza “Regina Pacis” di S. Foca di Melendugno (Le).

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Cooperazione e tessuto sociale

del sud del mondo hanno iniziato ad entrare nel nord, più ricco di benessere e di opportunità.

Storie di popoli , storie di culture, ma soprattutto storie di uomini , donne e bambini che hanno lasciato tutto, divenendo ancor più poveri , affidandosi incautamente e per necessità a criminali senza scrupoli , e credendo nell ’ospital ità non solo dell ’ Ital ia, ma anche dell ’Europa tutta.

I l fenomeno che nel ’91 riguardava solo gl i albanesi, dal ’96 in poi ha assunto una dimensione completamente diversa, fino a divenire globale in questi ult imi tempi. Dal medio al l ’estremo oriente, dai Balcani al l ’est dell ’Europa. Oggi, ed i l fatto non stupisca, attraverso l ’Albania, giungono anche dall ’America Latina.

Annotiamo, quindi, che la mobil ità umana è nuova povertà, e noi s iamo testimoni. L’uomo è in cammino verso mete ignote, ma separate, tutto ciò è i l segno di una povertà emergente, che semina, lungo i l suo cammino, vitt ime di ogni t ipo. Pensiamo ai tanti bambini morti nel corso degli sbarchi, intere famiglie scomparse durante le traversate. Di quanti non si saprà mai più nulla. Quanto denaro investito in mani cr iminali nel la speranza di un futuro migliore. Quante speranze rese vane! La povertà diventa tragedia, ma anche l’accoglienza diventa sofferenza ed impotenza, nel momento in cui non si r iesce a far di più per tutta questa gente.

I l fenomeno migratorio ha sollecitato l ’accogl ienza ed att ivato, nel cuore di molt i , scelte coraggiose di sol idarietà e collaborazione verso questo popolo di poveri in cammino. La nascita dei Centri di accogl ienza, ed in particolare del Centro Regina Pacis, ha segnato i l passo del l ’ immigrazione, offrendo, dal nulla, i l senso tangibile della condivisione più autentica e rispettosa.

Bisogna ammettere che la Puglia non era preparata a tale ondata di immigrati , e lo ha dimostrato in tutte le sue fasi più delicate, che vanno dai due esodi albanesi, al flusso

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La Puglia come confine tra la Globalizzazione e la disperazione del mondo

dei Curdi, fino al conflitto nel Kossovo. L’ impreparazione, però, non ha posto mai ostacoli al la buona volontà, perché non si rimane spettatori inermi dinanzi al l ’ incalzare del la miseria umana. In poco tempo i Centri di accogl ienza si sono trasformati nella trincea della carità, partendo dalla logica vincente del servizio, della condivisione, e, soprattutto, del sacrificio. Sono state scritte pagine drammatiche dalla sofferenza di molt i immigrati, altrettante pagine meravigliose sono state scritte da cuori generosi e braccia instancabil i .

L’accoglienza è cresciuta, perché ha compreso che non poteva essere una momentanea emergenza, ma avrebbe segnato i l passo dei tempi futuri. Infatti , dopo tre anni di att ività, oltre venticinquemila accolt i , quarantotto diverse nazionalità e, le analis i sono estremamente chiare, ancora un futuro di ulteriore impegno.

Dinanzi al l ’umana sofferenza bisogna offrire del le certezze, bisogna aprire i l cuore al la speranza, far recuperare l ’entusiasmo ed i l sorriso perduto. Possono essere queste le motivazioni che inducono a fare delle scelte a servizio di quanto offrono e, nel caso specifico, delle donne oggetto di sfruttamento.

È un tema sul quale bisogna crescere, perché quando si parla di donne non sempre si incontra la saggezza di comprendere la realtà del problema, annotando, invece, considerazioni e atteggiamenti che non meritano considerazione.

La dignità della donna r iparte dal rispetto che r iceve da coloro che sono accanto. Senza questa scelta è impossibi le impostare programmi di recupero. L’ impegno al cambiamento è prima di tutto la scelta di chi vuol rendere un servizio, altr imenti s i r ischia di creare una esposizione di donne oggetto di attenzioni, considerazione ed aiuti interessati.

I l volontario non è preparato ad un servizio di questo t ipo, perché la donna ha una struttura psicologica di difficile lettura, ha dei bisogni da considerare con estrema

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Cooperazione e tessuto sociale

delicatezza. Non basta creare un luogo dove offrire ospital ità, social izzazione ed altro. Sono necessari dei programmi a lunga scadenza, che parl ino di recupero fisico e psicologico, att ività lavorativa, contatti con la famiglia d’origine, social izzazione all ’esterno.

I l tutto deve essere affrontato da personale preparato, equil ibrato, pronto a dare r isposte e offrire servizi che non coinvolgano emotivamente. Uno dei r ischi è la compassione, primo e pericoloso passo verso legami affettivi non equil ibrati e già fal l i t i al l ’or igine.

La voglia di parlare, di comunicare, di condividere, di social izzare, se non trova dall ’altra parte persone equil ibrate, preparate e motivate r ischia di essere unicamente un’arma pericolosa che genera fort i conflittualità.

I l servizio al le fasce debol i della società esige professional ità e non ammette più la casualità, che è anche ricca di buona volontà, ma non basta e, con l ’andar del tempo, diventa un pericolo.

I l centro di accoglienza “Regina Pacis” ha fatto la scelta di servire le donne avviate al la prostituzione. All ’ interno della struttura di San Foca viene messa in atto una prima fase di recupero, al la quale segue l ’ integrazione in strutture gestite sempre dal Centro e col locate nel nord d’Ital ia. Una struttura ai confini tra la Lombardia e l ’Emil ia Romagna è già operativa.

I frutt i s i vedono, ma si coglie anche la fatica di un servizio non faci le, per i l quale i l Dipartimento della pari opportunità della Presidenza del Consigl io è intervenuto finanziando i l progetto “Ali nuove”, con la col laborazione del Comune di Melendugno e l ’Arcidiocesi di Lecce.

I Centri di accoglienza del Salento stanno offrendo chiari messaggi di comprensione del fenomeno migratorio, soprattutto nei suoi aspetti più delicati come i minori sol i e le donne oggetto di sfruttamento. Sono scelte coraggiose che fanno emergere i l volto più bel lo di un volontario che

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La Puglia come confine tra la Globalizzazione e la disperazione del mondo

non crea etichette o decorazioni, ma solo voglia di dare i l meglio di sè, spinto anche dalla fede e dalla carità.

L’esperienza acquisita ha dato anche un’identità più chiara al ruolo del Centro di accogl ienza, che non può essere lasciato al la casual ità o al la creatività del momento. I l servizio deve nascere, prima di tutto, dalla passione per l ’uomo, cioè dal la conoscenza di coloro che sono accolt i . La conoscenza genera i l r ispetto e sviluppa anche le att ività. Non si tratta solo di seguire gl i insegnamenti evangelic i, e sarebbe già gran cosa, che dicono di vestire gl i ignudi, dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati. Bisogna fare di più ed i l di più è proprio nella capacità di entrare nel cuore dell ’ immigrato, comprendendone le necessità, i bisogni primari , le mete e le speranze. Certamente r imane l’amaro confronto con l’ impotenza di chi vorrebbe per tutti la giusta soluzione. La funzione del Centro è sempre quella offrire un supporto ed un aiuto, diverso per ciascuno, che possa sostenere nel proseguimento del cammino.

Non possiamo commettere l ’errore di puntare i l dito sul l ’ immigrato, di giudicarlo per la sua clandestinità, se prima non ci s iamo posti l ’ interrogativo se realmente abbiamo fatto tutto per loro, nei diversi l ivell i , che vanno da quello legislativo a quello dell ’accogl ienza.

Bisogna porsi degli interrogativi, le cui soluzioni devono mirare a migl iorare i servizi nei Centri di accoglienza, sia per coloro che devono r icevere un decreto di espulsione, come per coloro che, per diversi motivi, possono r imanere regolarmente nel terr itorio nazionale. L’ immigrato non può essere condannato solo perché è diverso, solo perché ha trovato spazio nel la clandestinità, ma va accolto ed aiutato, al di fuori di ogni giudizio sommario, ed inserito, nei termini di legge, in un it inerario di legal ità.

Coniugare insieme accoglienza e legalità vuole dire rendere un servizio che sia realmente r ispettoso del l ’uomo e miri al la promozione dell ’ immigrato. Certamente la legge prevede per alcuni immigrati l ’espulsione con

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Cooperazione e tessuto sociale

accompagnamento al la frontiera, che rimane pur sempre una scelta difficile e di non faci le comprensione.

I l Centro di accoglienza ha la funzione di mediare le diverse problematiche, per far comprendere al l ’ immigrato la sua posizione e far accettare, nel migliore dei modi, le previste decisioni. La stessa legislazione, nonostante i numerosi passi avanti fatt i negli ult imi tempi, necessita ancora di soluzioni diverse e più chiare, soprattutto in materia di asi lo polit ico, di seconda accoglienza, di integrazione e di sostegno alle fasce più deboli , come i minori non accompagnati e coloro, soprattutto le donne, oggetto di squall idi sfruttamenti . La materia della concessione dei permessi di ingresso in Ital ia ha bisogno di interventi ancora più chiari.

Oltre la legge c’è l ’uomo, e l’esperienza dimostra che non ci sarà mai una legge che saprà essere realmente al servizio dell ’uomo, cogliendone le reali necessità. Accade, invece, che la legge diventi un peso che schiaccia l ’uomo, impoverendolo della sua dignità e trascurandone soprattutto i bisogni. I l Centro di accogl ienza ha la difficile funzione di mettere in sintonia la legge e l ’uomo, senza impoverire l ’uno e l ’altro, anche se le decisioni bisogna pur sempre prenderle.

Nel dinamismo dell ’accogl ienza sono importanti alcune figure, come quella del mediatore culturale, i l quale conoscendo l ingua e cultura dell ’ immigrato deve dare la giusta incisività nella comprensione e lettura delle necessità. A tutto si aggiunge i l cl ima della vita del Centro, che deve fondarsi sulla social izzazione, offrendo i diversi supporti indispensabil i .

Una particolare attenzione bisogna dare al le fasce deboli dell ’ immigrazione c landestina, che oggi sono i minori non accompagnati e le donne oggetto di sfruttamento finalizzato al la prostituzione. I l Centro Regina Pacis ha fatto la scelta delle donne, dal momento che un altro Centro porta innanzi i l servizio ai minori .

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La Puglia come confine tra la Globalizzazione e la disperazione del mondo

I l servizio è estremamente delicato, perché non si tratta solo di accogliere, ma di offrire determinati servizi che diano sicurezza, mirino al recupero del la persona sotto l ’aspetto fisico e psicologico, r i lancino verso un futuro completamente diverso. Non bisogna trascurare i legami con la famiglia di provenienza, i l più delle volte in stato di grave disagio economico. L’attuale legislazione offre del le buone opportunità, che bisogna valorizzare nel migliore dei modi e per i l bene delle numerose ragazze, che sono in grosso aumento, coinvolte in tal i forme di sfruttamento.

Chi sceglie, perché deve essere una scelta e non un’imposizione, di spendere la propria vita nel mondo degli ult imi, che è anche i l mondo dell ’ immigrazione, deve scrollarsi di dosso l ’arte del mestierante, oltre ad ogni personale interesse. Non si può dare ciò che non si ha dentro, altr imenti la carità diventa teatral i tà e finzione.

I l servizio agl i immigrati esige una personale dimensione interiore, una profonda ricchezza di valori, un attaccamento al l ’uomo diverso in tutto e per tutto. Abbattere la diversità significa generare fiducia, sol idarietà, comprensione. Forse i l primo e più importante volontariato è l ’amicizia, cioè i l costruire con l’altro un rapporto tale da annullare tutto ciò che divide. Eppure tutto questo è molto difficile, perché colui che serve si colloca sempre dal la parte di chi ha, di chi possiede, ed i l povero r imane l’alternativa.

La dimensione interiore, che può essere di tutt i , anche dei non credenti, rende poveri con i poveri e ricchi con ricchi, perché le motivazioni che spingono a compiere un determinato gesto sono quelle che scaturiscono da un cuore l ibero ed appassionato per l ’uomo.

Andiamo alla scoperta del mondo dell ’ immigrazione, perché è un popolo senza nome e senza terra che ormai appartiene alla nostra storia, al la vicenda meravigliosa di una terra, quella del Salento, che ne ha saputo trarre un gran beneficio.

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Cooperazione e tessuto sociale

“ l a S o l i d a r i e t à c o m e p r i n c i p i o r i q u a l i fi c a t o r e

d e l t e s s u t o s o c i a l e ”

D i N i c o l a O c c h i o fi n o

Nell ’attuale fase storica una grande parte dell ’umanità vive in condizioni infraumane.

Molte popolazioni indebitate fino all ’assurdo, r itenute marginali , sono condannate dal selvaggio l iberismo alla subalternità, al lo sterminio per fame.

Esse abitano soprattutto i Sud del mondo, dove da lungo – ma lungo tempo – l ’ ingiustizia ha posto i l suo domicil io, lo sfruttamento è sempre stato di casa, le oppressioni manifeste e sotterranee hanno imperversato senza alcuna interruzione.

I beni del la terra sono ingiustamente distribuit i .Tale, vergognosa realtà è sotto gl i occhi di tutt i .Si tratta della tragica conseguenza di un sistema

economico violento che ignora, danneggia, esclude, dissangua con le invereconde leggi del mercato.

È tempo per tutti di scendere in campo.Non si può avallare con complici s i lenzi, indiretta

connivenza, offensiva indifferenza la morte di tante persone, la distruzione di interi popoli .

L’ impegno delle amanti e degli amanti la giustizia, delle forze del cambiamento non può che essere dalla parte degl i sfruttati.

La chiamata al la responsabil ità, al l ’azione, ha una dimensione planetaria.

Urge cambiare rotta perché si è in ritardo nel fermare i massacri e i l tempo stringe.

Assessore alla Cooperazione e Solidarietà Sociale della Provincia di Bari.

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“la Solidarietà come principio riqualificatore del tessuto sociale”

Bisogna r ifondare i paradigmi interpretativi , basandoli su una nuova cultura della vita.

Centrale e nevralgica in tale direzione è la solidarietà.Essa, a ben riflettere, è finalizzata a costruire un

processo di emancipazione dalla miseria, dai bisogni, dalle sofferenze, dalle soli tudini.

È finalizzata a l iberare gli oppressi, le vittime del sopruso, che continuano quotidianamente a pagare sul la loro pelle i l dominio, a volte la fol l ia dei potenti .

Eppure la nostra anagrafe è cambiata radicalmente: siamo tutti inquil ini del mondo, divenuto “vil laggio globale”.

Nell ’alfabeto del la solidarietà ogni popolo non può vivere in sol itudine, è legato inscindibilmente agli altr i .

Per questo non ci possono e non ci devono essere popoli egemoni e popol i subalterni.

Non c’è più spazio per arroccamenti, chiusure, barriere, integralismi; c’è spazio, invece, per l ’avvicinamento dei l inguaggi, le aperture coincidenti, le nuove frontiere da raggiungere insieme.

Così i l cammino diventa comune dischiudendo l’analogo destino.

Nell ’oggi diventa un cogente imperativo per tanti i l progettare le prime luci di un futuro diverso. Ad accenderle deve provvedere la luminosa solidarietà.

In tale direzione la persona si configura come opzione fondativa dell ’ impegno nella storia che postula i t inerari di giustizia, di svi luppo e di pace.

Strategico, al riguardo, è i l precetto dell ’eguaglianza, tornato ad essere più di prima, matrice di ogni valore.

Non r ispettarlo significa seminare rifiuto, disgregazione, disperazione, infel icità.

Nell ’ incarnarlo si può battere l ’ indifferenza, aprirsi agl i altri , cercare i loro volti , l iberare tanti, chiusi in una devastante spirale, inverare le loro speranze, attese, dir itt i , scoprire la valenza dell ’or iginali tà, della dist inzione, aprire a un nuovo mondo.

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Cooperazione e tessuto sociale

La pari dignità tra le persone costituisce l ’archetipo della convivenza e genera la solidarietà che consacra i l r iconoscimento dell ’ irripetibi le grandezza di ogni persona, la sua identità unica, esclusiva.

Solo su questo vitale principio nascono i l dialogo incessante, i l r ispetto della molteplicità, la composizione nelle diversità.

I l frammento si trasforma così in fermento, la differenza in incontro.

Per curare l ’anemia sociale che a volte fa soffrire i l tessuto civi le bisogna sradicare l ’ indifferenza, i l pr ivatismo, la logica dell ’esclusione, sostituire l ’egoismo con l’accoglienza, sconfiggendo la mentalità mercanti l ist ica.

I l cammino di ogni persona è legato a quello dell ’altra. Nessun essere vivente è estraneo al l ’altro.

I l termine “straniero” deve essere definit ivamente bandito dal vocabolario dell ’umanità.

Ogni essere ha dir itto al la vita. La sua dignità non è mai cancel labile, né si identifica con i l colore della pelle, né con i l credo rel igioso, né si racchiude nei confini di un dato luogo.

Per i l bene del l ’umanità, nevralgiche sono le vie dell ’ incontro, del la cooperazione, del la fecondità delle differenze, del la r icchezza delle diverse culture.

È tempo di impegnarsi con lucidità, passione e tenacia per realizzare una comunità mult irazziale e mult ietnica.

Per r iqual ificare i l tessuto sociale attraverso la solidarietà s’ impone una solerte attenzione ai tempi che cambiano.

Particolare, in verità, è l ’attuale stagione che apre a un inedito cammino.

Continua a saltare l ’ involucro consunto di ideologie e tradizioni.

Noi, viandanti in r icerca, s iamo costrett i a percorrere strade inesplorate.

Sembra alle nostre spalle i l passato , e i l futuro è tutto da costruire.

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“la Solidarietà come principio riqualificatore del tessuto sociale”

Dobbiamo impegnarci in uno sforzo di scavo. Siamo come non mai in campo aperto, nuove sono le sfide che abbiamo di fronte.

Le trasformazioni suscitano ineludibil i interrogativi, sol lecitano potenzial ità di r innovamento, chiedono radicali cambiamenti.

Sulla l inea della solidarietà non sono certamente la strategia del la privatizzazione, la falsa onnipotenza del capitale, la dolce ma non l iberante sirena del mercato, la sfrenata corsa verso i l successo personale, la r icercata immagine: non sono questi i mattoni per costruire un futuro dal volto umano.

Questo materiale accentua la mercificazione nei rapporti umani, rende sempre più lancinanti le al ienazioni , al larga i l fossato tra i l Nord sazio in alcune sue parti , con aree di miseria al proprio interno ma infel ice, e un Sud, con ampie aree del l ’Est, sempre più povero e disperato.

L’ha ricordato ancora una volta ieri a Roma i l Segretario Generale dell ’ONU.

Nella vasta ed incerta sagomatura della stagione presente, nei primi segni del nuovo secolo emerge come non mai, al di là di pur molte, tremende tragedie, i l bisogno dell ’ intr inseca unità e del la strutturale solidarietà del genere umano.

Non può essere la devastante globalizzazione a generarlo.

Si tratta di costruire un it inerario comune dell ’umanità tessendo gli elementi più profondi che legano i popol i .

Tutte le energie creative, nel l ’attuale fase di trapasso, devono essere finalizzate a costruire una nuova, progressiva tavola dei valori .

Oggi i l problema di uno sviluppo al largato a tutta l ’umanità e capace di garantire l ’equil ibrio ecologico del pianeta, è entrato nella nostra vita quotidiana.

Questo dice, in modo particolare a noi pugliesi , la dolorosa vicenda degli immigrati albanesi , delle popolazioni della ex Iugoslavia.

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Cooperazione e tessuto sociale

È i l tremendo messaggio che scaturisce dalle immagini dei bambini irakeni, curdi, palestinesi, di tutt i i bisognosi dei diritt i elementari, uguali di fronte al r ischio di non poter sopravvivere.

Le contraddizioni, le sofferenze del Sud e dell ’Est del mondo entreranno sempre più prepotentemente nella nostra vita, nelle nostre case, nel le nostre città, nei nostri luoghi di lavoro.

Mil ioni di immigrati con i loro bisogni, le loro aspirazioni, le loro culture porteranno sempre più da noi , nel cuore del la civi l tà tecnologica, i laceranti di lemmi della odierna condizione umana, ci faranno toccare con mano l’ impossibi l ità di scindere, di separare i l destino comune del genere umano.

Questa è una delle prioritarie sfide che ha di fronte l ’Occidente.

Risponderle in modo positivo significa aprire al futuro.Dal fecondo rapporto tra culture diverse possono nascere

sintesi più elevate, nuove sogl ie di civi l tà, contagiosa l iberazione.

A ben r iflettere è una del le prioritarie esigenze dell ’attuale fase storica.

Per costruire nuovi orizzonti è urgente, nel l ’età dell ’elettronica appl icata, dischiudere la stagione di un nuovo umanesimo, aprendosi agli or izzonti della mondiali tà.

La realizzazione di un così ampio disegno chiede di abbandonare le lusinghe gratificanti del passato, uscire dai recinti di sicurezza.

Urge bandire la predilezione per la ripetit ività, l ’atrofia per i l r ischio, i l calo della fantasia.

Per camminare nella storia occorrono tensioni ideali , grandi passioni , progetti di radicale cambiamento.

In presenza di un calo di evidenze etiche si tratta di un viaggio difficile, lungo, faticoso, di un impegno duro, scomodo ma rinnovatore e necessario.

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“la Solidarietà come principio riqualificatore del tessuto sociale”

Tutto questo richiede anche un profondo cambiamento del modo di essere del le ist ituzioni , chiamate ad aprire una nuova stagione: quella della sapienza isti tuzionale.

Un antico scrittore una volta affermò “un Paese è civi le quando pone al centro i bambini e gl i anziani”.

Oggi, accanto ai bambini e gl i anziani, bisogna mettere tutt i coloro che soffrono.

Nella nostra società, soprattutto nel Sud, si amplia l ’area dell ’emarginazione, nuove povertà si aggiungono alle vecchie.

Nel Sud la prima voce della solidarietà è generare lavoro.

I l creare lavoro deve divenire una ossessione in primo luogo per tutta la classe dir igente.

Senza i l lavoro, soprattutto dei giovani, non c’è futuro neppure per i l Paese e la democrazia corre gravi pericoli .

Occorre una grande mobil itazione. Di fronte ai drammi odierni, al le lancinanti lacerazioni, mi viene in mente una frase di uno scrittore cubano, José Marti ’ : “i l vero rivoluzionario è colui che sente sulla propria guancia lo schiaffo dato sulla guancia dell ’altro”.

È la definizione più bella della sol idarietà. Oggi sappiamo che non si tratta di schiaffi ma di ben altro. Viene richiesto pertanto un costante, collett ivo impegno per attuare la giustizia.

La strada è difficile ma non impossibi le.Ci aiuta ancora Teilhard Chardin, grande scienziato e

grande uomo di fede: Egli così disse: “I l futuro è più bello di tutt i i passati”.

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Cooperazione e tessuto sociale

L a C o o p e r a z i o n e i n P u g l i a : B i l a n c i e P r o s p e t t i v e

D i N i n o M a r m o

Nella nostra attuale fase storica gli andamenti economici sono caratterizzati dalla logica della global izzazione,: tale logica implica dimensioni aziendali , capital i e capacità imprenditorial i ‘alte e complesse’; in essa, quindi, acquistano sempre più spazio le ‘multinazionali ’ , le uniche in grado di accedere ad un mercato di dimensioni planetarie, inerente al la stessa globalizzazione.

La globalizzazione ha come conseguenza non solo i l fatto che i ‘prodotti ’ e la produzione siano concentrati nel le mani di pochi, ma anche che tal i prodotti abbiano caratterist iche qual itative ‘medie’ ( lo stesso prodotto deve soddisfare gusti, esigenze e possibi l ità del maggior numero possibi le di consumatori) .

Inoltre, per i l fatto stesso di operare su dimensioni planetarie e con interessi di vastissima portata, tale logica si caratterizza in maniera peculiare: non è la richiesta dei consumatori ad orientare i l mercato, ma le caratterist iche dei prodotti . Valga come esempio la questione dei prodotti modificati geneticamente: essi non hanno ‘semi’ e quindi i l produttore è in realtà un prestatore di opera che deve acquistare le piantine e conferire la produzione alla stessa azienda fornitrice delle stesse.

All ’ interno di tale logica, tutto è orientato a conseguire i l massimo del profitto.

Da un altro versante si assiste al la necessità di ‘controllare’ la qual ità della produzione, sia che si tratt i di beni s ia che si tratti di servizi ; al la nascita di una nuova

Assessore alla Cooperazione e Formazione Professionale della Regione Puglia.

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La Cooperazione in Puglia: Bilanci e Prospettive

dignità e consapevolezza dei consumatori e dei cittadini , che si manifesta nell ’attenzione alla ‘qualità della vità e dell ’ambiente, nella r ichiesta di ‘certificazioni di qualità’, di agricoltura biologica, di prodotti artigianal i , di servizi ‘a misura d’uomo’.

Queste richieste possono essere soddisfatte da dimensioni aziendal i piccole, legate al terr itorio e da questo ‘r iconosciute’, quindi anche da cooperative.

Da ciò consegue l’ interesse manifestato dalla Regione Puglia per questo settore.

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Cooperazione e tessuto sociale

Per quanto att iene la cooperazione sociale, in Puglia i l quadro è i l seguente:

ISCRITTE ALL’ALBO REGIONALE DELLE COOPERATIVE SOCIALI al 31 dicembre 1999:

Anno Provincia Sezione A Sezione B Sezione C

1997

Bari 17 2 =Brindisi 1 1 =Foggia 6 11 =Lecce 5 3 =Taranto 1 2 =

30 19 =

1998

Bari 16 6 =Brindisi 8 1 =Foggia 12 12 =Lecce 12 5 1Taranto 8 4 =

56 28 1

1999

Bari 17 10 2Brindisi 5 = =Foggia 9 14 =Lecce 6 3 =Taranto 4 3 =

41 30 2

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La Cooperazione in Puglia: Bilanci e Prospettive

In questo contesto è stato necessario predisporre una strategia per accompagnare la crescita della cooperazione, individuando nel monitoraggio un primo strumento indispensabile.

I l progetto sul monitoraggio del fenomeno cooperativo, nella sua distr ibuzione qual itativa e quantitativa, ha permesso di ri levare una situazione ‘a macchia di leopardo’ per quanto att iene la localizzazione del le cooperative, ed una uniformità a r iguardo della tipologia delle cooperative: spazi incredibil i esistono ancora soprattutto se si guarda l’aspetto delle att ività sinora mai proposte, a dispetto del diversificarsi delle esigenze reali poste dal quotidiano del la società regionale e nonostante i l continuo molt ipl icarsi delle costituzioni di cooperative.

I l progetto evidentemente non può essere considerato concluso: si tratta di un processo di accompagnamento al la programmazione regionale, postula quindi un continuo e costante aggiornamento, al quale stiamo infatt i procedendo; abbiamo però inteso farne anche uno strumento che possa servire soprattutto da guida al le scelte future degli operatori, suggerendo proposte concrete e innovative.

Essenziale è stato anche stringere rapporti di partenariato, con soggetti diversi e a l ivell i diversi.

Sul piano locale e a l ivello tecnico si è avviata la partecipazione della Regione come partner att ivo nei Comitati di Accompagnamento e Pi lotaggio dei progetti nel terr itorio pugliese (per esempio: Tecnopolis: PSICHE-NET, KCCTS – Centro permanente di servizi per i l 3° settore).

In particolare nel maggio 1996 è stato approvato dal Ministero del Lavoro i l progetto HORIZON, presentato da Tecnopolis con partners internazional i: Francia, Gran Bretagna, Olanda e Germania. I l progetto prevedeva l’ inserimento del disabi le – e in particolare, con i l progetto PSICHE-NET, dei disagiati mentali – nel mondo del sociale e in quello del lavoro.

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Cooperazione e tessuto sociale

Al fine di dare attuazione a questi progetti e quindi di concretizzare gli obiett ivi da perseguire, si è ri tenuto indispensabile la presenza degli Enti Local i e del le organizzazioni di categorie degli industr ial i e della P.M.I. , essendo necessario un impegno forte e determinante della P.A. per l ’ inclusione sociale del disabi le, considerato finora solo come ‘malato’.

I l lavoro svolto in questi anni ha dato origine al FORUM del 3° settore e ad una struttura permanente che costituisce un supporto reale al le cooperative social i sul la formulazione del nuovo dettato normativo sulla cooperazione sociale, quale è i l La.P.I .S..

Su un diverso l ivello è stato avviato i l partenariato con i l Dipartimento Affari Social i , tramite l ’ ISFOL, per i l progetto: “PROMOZIONE E ADESIONE ALL’OSSERVATORIO NAZIONALE PER L’INCLUSIONE SOCIALE” coordinato dall ’ ISFOL, d’intesa con i Ministeri e i l Coordinamento delle Regioni .

Le att ività sono in corso.I primi r isultati consistono in: avvio della mappatura dei bisogni prioritari delle

fasce svantaggiate (che sono state ordinate secondo l’ordine: immigrati, detenuti, tossicodipendenti, portatori di handicap)

attivazione degli Osservatori Regionali per l ’ Inclusione Sociale

progettazione di percorsi integrati di inclusione sociale, radicati nei terr itori.

Nel contempo si è proceduto al la concertazione con i rappresentanti del mondo sociale e produttivo per avviare i l r iordino normativo del settore: è stata già predisposta la bozza per la nuova legge regionale sul la cooperazione sociale.

Sotto i l profilo programmatorio e finanziario, particolare ri l ievo ha avuto l ’avvio del “Tavolo 6 - Integrazione tra i servizi lavoro, formazione, istruzione, servizi al la persona”.

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La Cooperazione in Puglia: Bilanci e Prospettive

Non è un caso, quindi , che la logica di sostenere la cooperazione sottenda tutto i l POR regionale, attualmente in fase di definizione, nonostante sia chiaramente espressa in poche occasioni:

l’asse 1 – Risorse naturalil’asse 2 – Risorse culturali (v. pag. 95, punto 14; pag.

111, punto 5)l’asse 4 – Sistemi locali di sviluppo (v. pag. 97, punto

25; pag. 115, misura 31)l’asse 5 – Città, enti locali e qualità della vita (v.

pag. 86, obiett ivo: 1 coop. Soc./10.000 abit.)l’asse 6 – Reti e nodi di servizi (v. pag. 89, punto 43;

pag. 104, punto 45).

Si prevede quindi, nel POR, la promozione della creazione di nuove imprese cooperative in considerazione anche della centrali tà del la Puglia, snodo di traffici e relazioni fra Europa, Mediterraneo e Balcani, nei seguenti settori:

nella r iorganizzazione del ‘welfare state’ , nei settori dell ’ambiente, del turismo, della cultura,

dei trasporti , dei servizi, dell ’art igianato, attività manifatturiere, trasformazione;

nella trasformazione di imprese industrial i in cr is i; fra professionist i .

Sulla base delle analis i fatte e della poli tica messa in atto dalla Regione Puglia in questo settore, le cooperative che vogliono procedere incisivamente nel l ’attuazione della loro funzione sociale dovranno mettere in campo una serie di iniziative:

Ridefinire profondamente la missione cooperativa: rimane l ’esigenza di una funzione sociale, ma sono inefficaci le modalità;

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Cooperazione e tessuto sociale

Svi luppare capacità manageriale e imprenditoriale, come fattore di svi luppo; occorre dunque predisporre una offerta di formazione per soci e amministratori;

Individuare soluzioni nuove al problema dei controll i interni;

Elevare la competit ività del le cooperative nelle ordinarie condizioni di mercato (costi, innovazione, qual ità, marketing);

Diffondere fra le cooperative l ’or ientamento ai mercati esteri e i processi di internazionalizzazione, puntando sulla rete fra cooperative già ‘esperte’ e quelle che appena vi s i affacciano;

Puntare a dimensioni di impresa congrue r ispetto ai diversi settori e mercati;

Affrontare in modo innovativo la dimensione ambientale e sociale dell ’azione imprenditoriale, valorizzando le iniziative volte a sostenere le comunità locali;

Valorizzare i l metodo cooperativo, rafforzando in particolare i processi di integrazioni settorial i e intersettorial i ;

Rafforzamento patrimoniale, come strumento per lo svi luppo della cooperativa e impegno di maggior partecipazione e corresponsabil ità dei soci .

Per accompagnare la crescita del ‘sistema cooperativo’, comunque, sembra ormai indispensabile i l r iordino della legislazione nazionale, con la redazione di un ‘Testo Unico’, ed europea.

Si r it iene inoltre necessario organizzare servizi: orientati ad assecondarne lo svi luppo, oltre che alla

gestione ordinaria; organizzati intorno alle opportunità offerte dal le

tecnologie informatiche e telematiche;

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La Cooperazione in Puglia: Bilanci e Prospettive

rivolt i a diffondere i l r icorso al le cert ificazioni di qual ità e ambiental i quali fattori competit ivi del le imprese;

finalizzati a promuovere l ’uso dei nuovi incentivi e dei Fondi Comunitari , privi legiando la logica della programmazione di medio e lungo termine;

inserit i in una rete che assicuri l ’offerta dei servizi su tutto i l terri torio.

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Cooperazione e tessuto sociale

R e t i d e l l a c o o p e r a z i o n e l o c a l e e t r a n s n a z i o n a l e

D i P a o l o T a n e s e

ELPENDÙ scrl è un Consorzio tra Cooperative Sociali costituito ai sensi del l ’art.8 del la Legge 381/91 (Discipl ina delle Cooperative Social i) .

Lo scopo del Consorzio può essere ricercato nella stessa denominazione sociale. ELPENDÙ , infatti , è la versione ital ianizzata dei termini inglesi Help (aiutare ) e Do (fare); Help and do, di qui ELPENDÙ .

Aiutare : chi, per quali obiett ivi?L’art.3 dello Statuto Sociale recita: “Scopo del Consorzio

è quello di essere strumento uti le a perseguire l ’ interesse generale della Comunità al la promozione umana e al la integrazione dei cittadini”

Fare : che cosa?essere strumento capace di coniugare professionalità,

progettuali tà, imprenditorial i tà e social ità, ponendo sul “mercato” un particolare soggetto del “Privato Sociale”: l’impresa sociale.

Obiett ivo di ELPENDÙ è quello di mettere a disposizione della realtà regionale una “rete” di imprese capace di dare un contributo al soddisfacimento delle esigenze provenienti dalla Società Pugliese. La messa in rete di qualificate e consolidate esperienze maturate in anni di lavoro dalle Cooperative associate, consente e garantisce l ’offerta di avanzate risposte al la sempre più pressante e variegata

Presidente del Consorzio tra Cooperative Sociali “Elpendù” di Bari.

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Reti della cooperazione locale e transnazionale

domanda di servizi e bisogni social i provenienti da una Società in costante evoluzione. Nato nel 1994 , i l Consorzio ELPENDÙ raccoglie cooperative social i dislocate su tutto i l terr itorio pugliese e operanti in una pluralità di settori, dalla gestione di servizi socio-sanitari ed educativi, al l ’animazione socio-culturale, al l ’ inserimento lavorativo di soggetti deboli . Complessivamente le imprese aderenti ad ELPENDÙ danno lavoro a circa 500 persone.

Le attività di ELPENDÙ

la progettazione e realizzazione di progetti pilota ed innovativi nel campo dell ’assistenza e dell ’ inserimento sociale e lavorativo di fasce debol i;

l ’assunzione da Pubbliche Amministrazioni e Privati di commesse relative a: gestione di servizi socio-sanitari ed educativi, esecuzione e realizzazione di lavori final izzati al l ’ inserimento lavorativo di persone socialmente svantaggiate;

l ’organizzazione e gestione di corsi di formazione professionale, di qual ificazione, r iqual ificazione e di aggiornamento;

la creazione di Agenzie ed Osservatori per lo studio, i l monitoraggio e la promozione della Cooperazione sociale nei diversi campi di intervento e per la fornitura di servizi reali , ivi compresa la progettazione di interventi attraverso l ’uti l izzazione di incentivi regionali , nazionali e comunitari ;

la promozione , organizzazione e real izzazione di convegni, studi e r icerche uti l i al raggiungimento delle finalità di promozione umana e integrazione sociale;

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Cooperazione e tessuto sociale

la pubblicazione di strumenti informativi, nonché di testi scientifici su problematiche rientranti nelle finalità isti tuzionali e su ricerche social i .

Inoltre ELPENDÙ ha promosso e partecipato al l ’attuazione di una serie di progetti finanziati dall ’Unione Europea e dallo Stato ital iano. Dalla bioarchitettura al la telemedicina, dalla comunicazione sociale al l ’animazione ludico-r icreativa, diversi r isultano gli ambiti nei quali s i svi luppano le iniziative progettuali del consorzio. Tutte le varie esperienze sono comunque guidate dalla stessa filosofia operativa e sono animate dal le stesse finalità di fondo. Si punta a favorire l ’ integrazione delle fasce deboli della società attraverso l ’att ivazione di percorsi formativi innovativi, l ’ individuazione di nuovi bacini occupazional i , i l miglioramento dei servizi e del le strutture oggi esistenti nel campo del l ’assistenza socio-sanitaria. I l tutto adoperando una metodologia di lavoro fondata essenzialmente su due elementi: i l coinvolgimento diretto nelle iniziative delle cooperative aderenti , chiamate a contribuire al la realizzazione del le azioni progettuali impegnando proprie risorse (professional i e non), e la collaborazione con enti ed isti tuzioni di l ivel lo regionale, nazionale ed internazionale, in un’ottica di sinergia con realtà diverse e di autentica “contaminazione” interdiscipl inare.

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Reti della cooperazione locale e transnazionale

Tra i partner di ELPENDÙ figurano:

IN ITALIA:CO.IN Cooperative Integrate (ROMA); Consorzio GESCO

(NAPOLI); Consorzio Per l ’ Impresa Sociale (TRIESTE); Dioguardi SpA; Laboratorio di Quartiere (Bari) ; Ecoforma scrl (BARI); Impresa a Rete scrl (PORDENONE); CORUM SpA (MODENA); Ospedale Generale Regionale "F. Miulli" (ACQUAVIVA DELLE FONTI); Telesys SpA (BARI); Cooperativa “Kismet” (BARI); Cooperativa Sociale “Itaca” (CONVERSANO); Cooperativa Sociale “La Città del Sole” (CATANIA); Cooperativa Sociale “GEA” (SALERNO); Istituto Autonomo Case Popolari di Bari; Comune di Bari; Camera di Commercio di Lecce; SMILE Puglia (BARI); Agenzia Regionale per l’Impiego (BARI); ENEA; COSERCO (Genova); CADIAI (Bologna); Noncello Service (Pordenone); Gea (Tramonti – SA); BASERCOOP (Matera).

IN EUROPA:DIE RAUPE V.O.E. (BELGIO); IBIS Österreich GmbH

(AUSTRIA); ZIP e V. (GERMANIA); PROMI Asociación para la Promoción del Minusvál ido (SPAGNA); GIRPEH I le-de-France (FRANCIA); LADAPT (FRANCIA); CYCLORAMA South Dubl in County Council ( IRLANDA); COMPAGNIE FORAINE Association Laure et Compagnie (FRANCIA); INSTITUT PAOLI-CALMETTES – Centre Régional de Lutte contre le Cancer (FRANCIA); AGW Bildungswerk e V. (GERMANIA); CONCELLO DE PONTEDEUME – FOREMDES (SPAGNA); U.F.C.M. Société Européenne de Formation (FRANCIA).

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Cooperazione e tessuto sociale

Informazioni anagrafiche

Uffici:70124 - BARI – Via Capruzzi n. 252 – Tel .: ++39(0)80. 556 30 36 ++39(0)80. 552 00 46Fax: ++ 39(0)80. 542 16 89E-mail: [email protected]: http://www.elpendu.com

Organi Sociali:

Consiglio di Amministrazione:Tanese Paolo PresidenteColamussi Fi lomena Vice PresidenteAnnicchiarico Annarita Consigl iereBasile Demetrio Consigl iereMori Andrea ConsigliereSignori le Antonio ConsigliereSimone Carlo Consigl iere

Collegio SindacaleGermano Prof. Avv. Tommaso PresidenteCisaria Rag. Luigi Sindaco EffettivoProtopapa Annamaria Sindaco effettivo

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Reti della cooperazione locale e transnazionale

I s o c i d i E L P E N D U 'Denominazione Sede Attività

"La Speranza" coop. soc. r. l.

Corso Umberto, 89

71018 Vico del Gargano (FG)

Inserimento lavorativo Soggetti svantaggiati

Alba srlVia Gen. A. Falcone, 23

72023 Mesagne (BR)

Gestione servizi socio-sanitari.Assistenza Minori Svantaggiati

C.A.P.S.Via Beethoven

1,70123 BARI

(BA)

Gestione servizi socio-sanitariLotta alla tossicodipendenza

C.S.I.S.E.Via Amendola,

7970126 BARI

(BA)

Gestione servizi socio-sanitariGestione Strutture per minoriGestione strutture per utenti psichiatrici

COOP. SOCIALE "XENIA" - ONLUS

Via Montegrappa

7771100 FOGGIA

(FG)

Gestione servizi socio-sanitariGestione strutture per l’integrazione di extracomunitari

COOP. SOCIALE "NEMESI" - ONLUS

Corso Umberto, 87

71018 Vico del Gargano (FG)

Gestione servizi socio-sanitariGestione strutture per utenti psichiatriciServizi domiciliari per anziani

COSSUVia Foscarini,

2373100 LECCE

(LE)

Gestione servizi socio-sanitariServizi domiciliari per anziani

CRESCIAMO INSIEME

Via Pietro Nenni, 25

72023 Mesagne (BR)

Gestione asili e scuole materne

CULTURA E SOLIDARIETA' PER LO SVILUPPO

Via L. Rossi, 8571017

Torremaggiore (FG)

Inserimento lavorativo di soggetti socialmente svantaggiati

EUREKA scrl Via G. Chiarelli, 16

Inserimento lavorativo di soggetti

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Cooperazione e tessuto sociale

74015 Martina Franca (TA)

socialmente svantaggiati

EUROPAPiazza

Salandra, 1371036 Lucera

(FG)

Inserimento lavorativo di soggetti socialmente svantaggiati

IL GIRASOLE scrl

Piazza dei Martiri, 6

74016 Massafra (TA)

Inserimento lavorativo di soggetti socialmente svantaggiati

L'OBIETTIVO scrl

Via Papalia, 1670126 BARI

(BA)

Inserimento lavorativo di soggetti socialmente svantaggiati

PER L'IMPRESA SOCIALE - s. c. r. l.

Via del Lazzaretto Vecchio, 17

34123 TRIESTE (TS)

Consorzio di cooperative sociali del Friuli

PROGETTO CITTA' scrl

Viale Einaudi, 2/bis

70125 BARI (BA)

Gestione Servizi socio-educativiAnimazione del territorioAttività per minoriStudi e ricerche

R. LUXEMBURGVia Cimarosa,

173100 LECCE

(LE)

Gestione servizi socio-sanitariServizi per anzianiGestione asili

SPORT ACTIONVia Piccinni,

22270122 BARI

(BA)

Servizi di riabilitazione

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Cooperazione e tessuto sociale

LA RETE ELPENDU’

C E E HConfederazione Europea per l ’ integrazione socia le e lavorat iva di

DROMConsorzio Nazionale dellaCooperazione Sociale

Partner nazionali

Partner transnazionaELPENDU’

COOPERATIVESocie

Legacoop

Comitati scientifici di progetto

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Reti della cooperazione locale e transnazionale

I PROGETTI

“Progetto di intervento rivolto alle cooperatrici impegnate nelle imprese sociali”:

Finanziato nell ’ambito della L. 125/91 - “Azioni posit ive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”

Realizzato in collaborazione con l’Agenzia Regionale per l ’ Impiego, i l progetto (di durata annuale) puntava a migliorare la preparazione e la professionalità delle cooperatrici pugliesi attraverso la partecipazione di un gruppo di esse a corsi di aggiornamento nei seguenti ambit i discipl inari: gestione delle r isorse umane, gestione delle risorse finanziarie, organizzazione del lavoro, marketing. L’ intervento si è art icolato in 4 fasi : realizzazione di un’indagine conoscit iva e valutativa dei bisogni, progettazione e programmazione didatt ica, formazione teorico - pratica, valutazione dei r isultati .

Progetto “HAND”:Finanziato nell ’ambito dell ’ Iniziativa Comunitaria

OCCUPAZIONE, Settore YouthstartI l progetto, avviato nel settembre 1996 e conclusosi i l 31

dicembre 1998, è stato attuato da una A.T. I . , Associazione Temporanea di Impresa con ELPENDÙ come capofila. Obiett ivo dell ’azione progettuale, condotta in sette diverse regioni (Friul i-Venezia Giul ia, Emil ia-Romagna, Liguria, Campania, Basil icata, Sici l ia e Puglia) era lo svi luppo e la sperimentazione di un model lo integrativo transnazionale per la formazione, la qualificazione e l ’occupazione di giovani in condizione di disagio sociale nel settore dell ’edil iz ia e in particolare della bioarchitettura e del restauro eco-compatibi le. L’att ività si è art icolata nella realizzazione di una banca dati contenente informazioni e

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Cooperazione e tessuto sociale

dati sulle tecniche di costruzione t ipiche delle varie regioni e sulle tematiche inerenti la bioarchitettura e nell ’organizzazione di corsi di formazione ,per “biomuratori”, destinati a giovani in difficoltà.

Progetto “FUTURE KEEPING”:Finanziato nell ’ambito dell ’ Iniziativa Comunitaria ADAPTIl progetto ha avuto inizio nel settembre 1996 ed ha

sviluppato le sue azioni in 32 mesi, concludendosi i l 31 maggio 1999. Attuatore una A.T. I . , Associazione Temporanea di Impresa con capofila i l Consorzio ELPENDÙ (con le consociate L’Obiett ivo, CSISE, CAPS, Rosa Luxemburg, Spazi Nuovi). Scopo del progetto era di offrire un contributo tangibi le al r innovamento e al lo svi luppo delle strutture e dei servizi socio-assistenzial i in Pugl ia. Partendo da un’anal isi della domanda sociale esistente nella regione è stata predisposta una mappa regionale dei bisogni social i ; sul la scorta delle indicazioni fornite da questa r icerca si è giunti al l ’ individuazione di quelle che sono le figure e competenze professional i più adeguate al la realtà del momento e sono state progettate e successivamente sperimentate iniziative formative uti l i al loro sviluppo.

Progetto “HOME, La Casa Dell’uomo Per Un Nuovo Benessere”:

Finanziato sulla base dell ’art. 10 FESR, AZIONI INNOVATIVE REGIONALI E LOCALI, n. 101

Il progetto, durato 26 mesi (apri le 1997-giugno 1999), è stato realizzato da una Associazione Temporanea di Impresa, costituita tra gl i altr i dal Consorzio ELPENDÙ (con la consociata Cooperativa Progetto Città) e dal lo IACP di Bari. I l progetto puntava all ’ individuazione di nuovi bacini

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Reti della cooperazione locale e transnazionale

occupazionali attraverso delle azioni finalizzate al recupero abitativo ecocompatibi le, realizzato con la partecipazione dei cittadini. In quest’ott ica Home ha visto la creazione di un centro integrato di servizi, gestito dai soci dell ’A.T.I . , attraverso i l quale si è provveduto al la r i levazione dei bisogni socio-abitativi di un gruppo di abitazioni di edi l iz ia popolare di Bari e al la verifica, di concerto con gl i abitanti, dei possibi l i miglioramenti da apportare negl i standard abitativi degli al loggi e nelle condizioni general i dell ’ intorno urbano e ambientale dei lott i costruit i . Successivamente, la stessa area, è stata oggetto di un intervento manutentivo pilota.

Progetto “ARTIFICIO, Creatività Come Impresa”:Finanziato nell ’ambito dell ’ Iniziativa Comunitaria

OCCUPAZIONE I I fase, Settore YOUTHSTARTIl progetto, promosso e coordinato da ELPENDÙ , ha una

durata di 30 mesi (a partire dalla primavera del ‘98) e la sua attuazione vede coinvolte le cooperative Progetto Città, Kismet e Itaca . Art ificio propone un percorso formativo rivolto a minori socialmente svantaggiati (area penale esterna, quartieri a r ischio) e finalizzato al l ’acquisizione di competenze tecnico-professionali nel campo dello spettacolo e dell ’ intervento d’animazione. L’obiett ivo è quello di assicurare ai giovani coinvolt i nuovi ed interessanti sbocchi occupazionali nei seguenti settori : autoimprenditorial ità nella proposizione e realizzazione di progetti special i sul terr itorio, servizi per le att ività dello spettacolo e manifestazioni culturali , r icerca e valorizzazione del patr imonio legato al le feste di tradizione, progetti di intervento per i l r iut i l izzo di contenitori culturali e spazi scolastici, corsi di avviamento al le tecniche creative.

Progetto “BEN-ESSERE”:Finanziato nell ’ambito dell ’ Iniziativa Comunitaria ADAPT

I I fase

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Cooperazione e tessuto sociale

I l progetto è attuato da una A.T. I . formata dall 'Ente Ecclesiastico Ospedale Generale Regionale "F. Miulli" di Acquaviva del le Fonti (BA) , dalla società informatica Telesys di Bari e dal Consorzio ELPENDÙ (attraverso le cooperative CSISE , CAPS , Rosa Luxemburg, COSSU e Progetto Città ).

Ben-Essere propone una nuova strategia nel settore dell ’assistenza sanitaria pugliese, final izzata sostanzialmente al decentramento sul territorio di alcuni servizi ospedal ieri . Un decentramento «virtuale» realizzato attraverso gli strumenti del la telematica. In sei centri pugliesi sono stati att ivati dei Nuclei Operativi Territorial i (N.O.T.) , connessi tra loro e con l’Ospedale «Miul l i» via computer. Al l ’ interno dei N.O.T., equipés di medici, psicologi, infermieri ed assistenti social i offrivano al l ’utenza privata una serie di servizi legati al dir itto al la salute: dal teleconsulto a distanza all ’assistenza terapeutica e psicologica, a corsi di educazione sanitaria.

Progetto “CRADLE TO CRADLE”:Finanziato nell ’ambito dell ’ Iniziativa Comunitaria

OCCUPAZIONE I I fase, Settore YOUTHSTART.I l progetto, avviato nel 1998 e destinato a concludersi

nel settembre 2000, è attuato da una A.T.I . composta, oltre che dal Consorzio ELPENDÙ (con la consociata Cooperativa L’Obiettivo) , dall ' impresa Dioguardi SpA (soggetto proponente) , da Ecoforma scrl (società che si occupa della salvaguardia ambientale) , Noncello Formazione scrl di Pordenone e CORUM SpA .

Punto di partenza del progetto è l 'analis i del depauperamento socio-economico ed ambientale in cui versano le zone urbane periferiche e/o svantaggiate, del conseguente impoverimento del s istema produttivo-occupazionale e del la crescita di fenomeni devianti.

Attraverso la formazione e l ’ inserimento lavorativo nel campo del r ic iclaggio e dello smalt imento dei rifiuti del le demolizioni, i l progetto si propone di favorire l ' integrazione

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Reti della cooperazione locale e transnazionale

sociale e lavorativa di un gruppo di giovani socialmente svantaggiati.

Progetto “IMAGES”:Finanziato nell ’ambito dell ’ Iniziativa Comunitaria

OCCUPAZIONE I I fase, Settore HORIZONIl progetto, che si concluderà i l 30 settembre 2000, è

realizzato da una A.T.I . costituita dal CO.IN Cooperative Integrate di Roma, dal Consorzio Per l’Impresa Sociale di Trieste, dal Consorzio GESCO di Napol i e dal Consorzio ELPENDÙ (impegnato con le cooperative L’Obiettivo , Eureka e I l Girasole ).

Nei 30 mesi di attuazione, Images si propone di studiare ed elaborare forme nuove di sensibi l izzazione dell ’opinione pubblica mirate al r iconoscimento del pieno diri tto al la vita e al lavoro del disabile e del ruolo dell ’ impresa sociale. In particolare, l ’azione di Images punta a favorire lo svi luppo dell ' inserimento lavorativo delle persone socialmente svantaggiate attraverso, in primo luogo, la real izzazione di una campagna promozionale sui mass-media locali e nazionali , imperniata su tecniche (pubblic ità di impatto) e contenuti radicalmente nuovi.

Progetto “STARe”: I l progetto, promosso dal l ’Enea, si propone di realizzare

una Mappa nazionale dei s it i e delle strutture turistiche accessibi l i ai portatori di handicap. ELPENDÙ , attraverso le proprie associate, sta realizzando i l censimento delle strutture turist iche accessibi l i (alberghi, vi l laggi, campeggi, ristoranti, stazioni , s it i di interesse art ist ico, ecc.) della Puglia, di parte della Basil icata e del Molise.

Progetto “PROMOCOOP”:I l progetto prevede l’apertura di sportel l i informativi e di

supporto al la promozione di iniziative imprenditorial i , in particolar modo in forma cooperativa.56

Cooperazione e tessuto sociale

Prevede, inoltre, la sollecitazione e lo svi luppo di percorsi enogastronomici , culturali , turist ici a basso costo.

ELPENDÙ gestisce lo sportello pugliese, aperto a Bari presso i propri uffici.

ELPENDÙ aderisce a:

DROM Consorzio Nazionale della Cooperazione Sociale

LegaCoop

C.E.E.H. Confédération Européenne pour l’Emploi des Handicapés

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Cooperazione e diritto al lavoro

C o o p e r a z i o n e e d i r i t t o a l l a v o r o

D i A n n a C a s a r e a l e

L’incontro odierno e la stessa presenza di esponenti qual ificanti del c.d. terzo settore –associazionismo, volontariato, cooperazione sociale-, offre l ’occasione di un confronto qualificante che consente al le parti di focalizzare la reciproca dimensione connotativa, concordando su alcune premesse/considerazioni di fondo.

Prima fra tutte quel la del cambiamento epocale in corso nella fenomenologia stessa del c.d. “Welfare state” ed in quello che è i l suo naturale presupposto economico e morale, i l lavoro.

L’epoca convenzionalmente definita come post-industriale, è caratterizzata dalla priorità del sapere r ispetto al produrre, da esigenze di flessibi l ità e capacità di r isposta che trovano la loro collocazione spazio-temporale in entità non strutturate in maniera tradizionale.

È diffuso i l convincimento di una cris i che attraversa i l settore privato ed i l pubblico ma non i l c.d. terzo settore, che si dimostra capace di svi luppare occupazione e creare beni e servizi scarsi o che comunque lo Stato non è in grado di garantire per entità, qualità e costi.

I l Patto Sociale per lo Sviluppo e l ’Occupazione, in modo più ampio di quanto non fosse avvenuto con i l Protocollo del 23.07.1993 e con i l Patto del lavoro del settembre 1996, si propone di tracciare per i l futuro prossimo gli indir izzi pol it ici nelle materie attinenti al le polit iche dello svi luppo e della occupazione.

Lungi dal proporre in questa sede un’analis i dettagl iata dei moltepl ici aspetti trattati , in una prospettiva più ampia,

Avvocato in Gravina (Ba).

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Cooperazione e tessuto sociale

nel suddetto Patto è evidente la preoccupazione di giungere, tramite stabil i procedure di consultazione con le parti social i , ad una r idefinizione dei meccanismi del welfare, secondo l inee di indir izzo che molto risentono degl i st imol i comunitari.

Part icolarmente qualificante è l ’obiett ivo di “produzione di nuova r icchezza”, da realizzare soprattutto attraverso un’azione di profonda ri forma nei campi del l ’ istruzione e della formazione.

In tale dimensione si muove l’approvazione della legge 20.01.1999 n.9, sul l ’elevazione dell ’obbl igo scolastico, la legge 04.08.1999 n. 547 sulla tutela del lavoro minori le, la Carta lavoro 2000.

In questo mutato contesto si colloca un’idea di lavoro che deve essere compiutamente spinta oltre i confini del la categoria del lavoro subordinato per r icomprendere a pieno t itolo, insieme al lavoro autonomo, i l lavoro volontario ed in genere le attività che si scrivono nel settore no-profit, le forme di lavoro socialmente uti le o di pubbl ica uti l ità e le stesse att ività di istruzione, formazione e riqualificazione professionale.

In una nuova fase produttiva e sociale, l ’ impresa “no-profit” solo con i l decreto legislativo 04.12.1997 n. 460 ha raggiunto una sua prima definizione sul piano giuridico e formale (le cooperative social i con la legge N. 381/91).Ciò è avvenuto non senza l imit i e difett i , primo fra tutt i quel lo di avere disatteso l ’aspirazione di un organica r iforma del settore.

Sul piano squisitamente lavorist ico la legge in esame, al l ’art. 6 lett. E), contiene una singola previsione nella parte in cui considera in ogni caso distr ibuzione indiretta di uti l i e di avanzi di gestione: “… la corresponsione ai lavoratori dipendenti di st ipendi o salari superiori del 20% rispetto a quell i previst i dai contratti di lavoro per le medesime qual ifiche”.

Al di là di ogni commento sulla congruità della percentuale di scostamento, la norma pone tutta una serie

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Cooperazione e diritto al lavoro

di interrogativi , anche e soprattutto in riferimento diretto al la mancanza di una regolamentazione uniforme delle att ività di collaborazione nell ’ambito delle cooperative e delle altre organizzazioni no-profit. Tale criterio è r iferito solo al lavoro subordinato o r icomprende anche altre forme di compenso correlate ad attività coordinate e continuative cui sono soli t i fare r icorso gli enti del terzo settore, magari affidate ad esperti “non patentati” o comunque privi di albi? Non è forse tale norma in contrasto con i l principio della derogabil i tà in melius del CCNL? (a proposito di CCNL quale quello da applicarsi al le ONLUS che non siano cooperative social i? E sul la base di quale criterio?)

È emerso in tale cl ima la necessità di predisporre un inquadramento legislativo della figura del socio lavoratore di cooperativa di lavoro.

Nell ’ambito delle cooperative social i i l CCNL r innovato nel 1997 ha permesso alla cooperazione sociale di compiere un ulteriore passo verso la piena legitt imazione come soggetto autonomo e caratteristico delle polit iche social i del nostro Paese.

Regolando in modo specifico i rapporti di lavoro dipendente e creando un ri ferimento per i soci lavoratori, i l contratto ha consolidato gli elementi dist intivi che caratterizzano la cooperazione sociale r ispetto a quella ordinaria e r ispetto agli altr i soggetti del terzo settore.

La messa a punto del testo contrattuale avvenuta prima della L.n. 381/91 è quindi particolarmente complessa, e sembra essere riuscita nell ’ intento di perseguire due obiett ivi:

a. riconoscimento dell ’unitarietà e della specificità della cooperazione sociale;

b. individuazione di forme di rapporti specifiche per i soggetti svantaggiati.

La cooperazione sociale è un fenomeno art icolato caratterizzato, oggi, anche legislativamente da una bipartizione abbastanza netta tra cooperative che gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi e cooperative

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Cooperazione e tessuto sociale

che svolgono attività produttive di varia natura finalizzate al l ’ inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati.

Si è operata la scelta di r iconoscere l ’unitarietà del la cooperazione sociale e quindi di riconoscere l ’appl icazione del contratto a tutte le cooperative di inserimento lavorativo l ’applicazione del settore merceologico entro cui operano, anche se l ’art. 1 r imette al le parti ,“previa verifica aziendale”, la facoltà di applicare i l CCNL di r iferimento del settore di att ività svolta.

L’elemento di maggiore novità del contratto è rappresentato dalla previsione contenuta nell ’art. 1 per la quale , per i soggetti svantaggiati, “l’att ività lavorativa svolta rappresenta uno strumento atto ad integrare un programma riabi l itativo e formativo più ampio ed a verificare i l grado di svi luppo delle capacità lavorative degl i stessi”. Tale norma introduce per la prima volta un nuovo isti tuto: i l contratto di inserimento lavorativo, che a differenza del contratto ordinario che si sostanzia nello scambio di retribuzione e lavoro, ”ha come final ità la posit iva integrazione (dei lavoratori svantaggiati) nella vita sociale lavorativa.

Tale peculiare connotazione del contratto di lavoro quale strumento di promozione umana e di integrazione sociale è la stessa che caratterizza la regolamentazione del rapporto dei portatori di handicap introdotta con la legge 12.03.1999, che all ’art. 12 fa espresso ri ferimento al le cooperative social i quali soggetti direttamente coinvolt i dalla legge per la real izzazione della final ità di piena e reale integrazione sociale.

Per quanto più in generale att iene alla figura del socio lavoratore nelle cooperative di produzione e lavoro, i l problema che ha maggiormente impegnato la giurisprudenza in questi anni è quello dell ’ inquadramento giuridico del socio di una società cooperativa di lavoro.

Sicuramente non ha mai costituito oggetto di contestazione la figura del lavoratore dipendente nell ’ambito di cooperative che siano o non siano le stesse di

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Cooperazione e diritto al lavoro

lavoro, quando la prestazione sia diversa dall ’oggetto sociale. Quel lo su cui si discute da tempo è se i l rapporto di lavoro di un lavoratore socio di cooperativa di lavoro sia di natura associativa ovvero sia di natura subordinata.

La valutazione delle soluzioni adottabi l i non può prescindere dalla ricostruzione del problema del socio lavoratore nella sua oggettiva complessità.

Esiste piena convergenza in dottrina e in giurisprudenza della dist inzione dei concetti di scambio mutualist ico e di scopo mutualist ico. Lo scambio mutualist ico costituisce i l fine cui tende la cooperativa, che si estr inseca nel la possibi l i tà di offrire beni e servizi al socio al le migliori condizioni possibi l i (gestione del servizio) oppure ai non soci consumatori o lavoratori la migliore prestazione (mutualità esterna).

Lo scopo mutualist ico si realizza attraverso un rapporto contrattuale di scambio ulteriore r ispetto al contratto sociale.

A fronte delle divisioni riscontrabil i nella giurisprudenza di merito, la posizione della CC sulla difficile questione dell ’ inquadramento giuridico della prestazione lavorativa resa dal socio della società cooperativa è stata caratterizzata negli anni recenti dalla costante affermazione di due regole:1) le “prestazioni lavorative rese dal socio di una

cooperativa, svolte conformemente al le previsioni del patto sociale e al le finalità isti tuzionali della società non sono riconducibi l i al lo schema del rapporto di lavoro subordinato o autonomo, integrando adempimento del contratto di società per l ’esercizio in comune dell ’ impresa societaria e non essendo r iconducibile a due distinti centri di interesse”. La perentorietà di questa regola condivisa anche dalla Corte Costituzionale (sent. 12.12.1996 n. 30 e sent. 20.07.1995 n. 334) è stata stemperata dal legislatore che ha esteso parti della discipl ina del rapporto di lavoro subordinato al socio di cooperativa. A t itolo esemplificativo –che non vuole

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Cooperazione e tessuto sociale

essere esaustivo– basti pensare al l ’art. 2, r . d. 1955/1923 in materia di orario di lavoro; art. 2 L. n. 1204/1971 in materia di tutela della maternità; art. 8 L. n. 236/1993 che ha disposto l ’equiparazione ai lavoratori dipendenti dei soci lavoratori in relazione alle procedure di intervento straordinario di integrazione salariale e di modalità, estendendo quindi ai soci di cooperative di lavoro la discipl ina degli artt. 1, 4 e 24 dettata dal la L. 23.0731991 n. 223; art. 2 d.lgs. n. 626/1994 in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro; art. 24 L. n. 196/97, in materia di Fondo di garanzia sui crediti retr ibutivi –norma introdotta successivamente al la decisione della Corte Costituzionale 12.02.1996 n. 30 che aveva r itenuto infondata la questione di legitt imità costituzionale del l ’art. 2 co. I della L. n. 297/82 nel quale non si prevedeva per dett i soci l ’ intervento del Fondo predetto– che ha esteso anche ai soci di cooperative le norme di cui agl i artt. 1 e 2 del d. lgs. 27.01.1992 n. 80, in ordine al l ’ intervento del Fondo di garanzia presso l ’ INPS per i l pagamento dei crediti di lavoro non soddisfatt i a causa dell ’ insolvenza del datore di lavoro; la estensione ai soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro dei principi di non discriminazione diretta e indiretta, di cui al la L. 10.04.1991 n. 125; attraverso circolari e sentenze si è ri tenuto applicabile anche alle cooperative i l rapporto di lavoro part–t ime e la normativa in materia di repressione del la condotta antisindacale, oltre al la risalente applicabi l ità anche a questi lavoratori del trattamento previdenziale assicurativo.Questa tendenza espansiva del legislatore ha portato la S.C. nel ’98 a sostenere che “la controversia fra i l socio e la cooperativa di produzione e lavoro, att iene a prestazioni lavorative comprese tra quelle che i l patto sociale pone a carico dei soci per i l conseguimento dei fini isti tuzionali , r ientra nella competenza del giudice del lavoro, in quanto i l rapporto da cui trae origine, pur da qual ificare come associativo invece che da lavoro

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Cooperazione e diritto al lavoro

subordinato, è comunque equiparabi le ai vari rapporti previst i dal l ’art. 409 c.p.c. in considerazione del la progressiva estensione operata dal legislatore di ist ituti e discipl ine propri dei lavoratori subordinati”. (cfr. Cass. Sez. un. 30.10.1998 n. 10906). Viene così negato i l divario tra tutela sostanziale e tutela procedurale del socio lavoratore, negando ogni fondamento al la distinzione ontologica fra i l rapporto di lavoro in cooperativa e i l rapporto di lavoro subordinato.Dalla sentenza che qui si annota possono estrapolarsi alcune l inee–guida: a) va riconosciuta la presenza tra socio lavoratore e cooperativa di produzione e lavoro, di un vincolo associativo; b) la progressiva estensione di isti tuti e discipl ine proprie del lavoro subordinato porta a privi legiare gli elementi della col laborazione–coordinazione delle prestazioni lavorative (art. 409, n. 3, c.p.c.), ovvero, a seconda dei casi, l ’elemento della subordinazione (art.409, n. 1 c.p.c.). La verità è che non sussiste alcuna insanabile contraddizione o incompatibi l i tà tra la qualità di socio di cooperativa e la prestazione di lavoro subordinato, ancorchè quest’ultima sia coincidente con le finalità social i .

2) La seconda regola consolidata dal la Cassazione è nel senso che all ’att ività associativa del socio può cumularsi per effetto del l ’esercizio dell ’autonomia negoziale, la sussistenza (accanto o in collegamento con i l rapporto societario) di un dist into rapporto di lavoro con i l medesimo soggetto che formi oggetto di una specifica pattuizione da individuarsi dal giudice di merito investito del la questione (cfr. Cass. 01.08.1998 n. 7559).

Concludendo può affermarsi che l ’att ività del socio del la cooperativa è equiparabile quale adempimento del contratto sociale, a meno che quest’ult imo non sia simulato, ovvero emerga la volontà delle parti di r icondurla al diverso schema del rapporto di scambio.

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Cooperazione e tessuto sociale

In tale ult imo caso è necessario dimostrare la simulazione del rapporto associativo e, a tal fine occorre accertare: 1) se l corrispettivo del l ’attività lavorativa escluda o no un apprezzabile rischio; 2) se colui che la espl ica sia assoggettato al potere discipl inare e gerarchico della persona o del l ’organizzazione che assume le scelte di fondo nel l ’organizzazione delle persone e dei beni; 3) se i l prestatore di lavoro abbia un reale potere di controllo sulla gestione economica dell ’ impresa (cfr. Cass. 03.03.1998 n. 2315).

Al di là delle configurazioni giuridiche, le diverse interpretazioni giurisprudenzial i sono spesso i l frutto della necessità di far fronte al le situazioni di conclamata ed evidente sottoprotezione economica dei soci del le cooperative di produzione e lavoro, che non godono di adeguati strumenti di tutela dei l ivell i retributivi.

La realtà del la cooperazione è varia e complessa, non può essere schematizzata nel solo rapporto associativo o di lavoro subordinato, né è pensabile attuare un’apertura indifferenziata al la qualifica di tutto i l lavoro in cooperativa come lavoro subordinato, essendo connaturato al la logica della cooperazione la naturale sussistenza del rischio d’impresa. Ne consegue la necessità di pervenire ad una organica legislazione speciale che, a seconda delle esigenze e delle dimensioni del l ’attività, consenta l ’adozione del la forma di lavoro più idonea, previa concentrazione con le diverse associazioni di categoria.

Ed è proprio questa la strada che sta percorrendo i l nostro legislatore.

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Esperienze di apprendimento cooperativo

E s p e r i e n z e d i a p p r e n d i m e n t o

c o o p e r a t i v o

D i L u c i a P a l l u c c a

La nostra scuola già da alcuni anni ha sperimentato forme diverse di apprendimento cooperativo, partendo inizialmente da piccoli gruppi ed estendendo, successivamente, le esperienze a un numero più elevato di scolaresche.

In un primo tempo si trattava di iniziative (per es. i l Consigl io del venerdì4) intraprese da singoli insegnanti per faci l itare la social izzazione e l ’ integrazione degli alunni, specie dei più difficil i , di quell i portatori del le più svariate forme di svantaggio o di handicap.

Sin dal le prime classi della scuola elementare, infatt i , si registravano sia un proli ferare di comportamenti arroganti , basati sulla prevaricazione e sulla discriminazione, sia un continuo molt ipl icarsi di atteggiamenti aggressivi e diffidenti o sottomessi e passivi.

In particolare, alcuni minori, oltre a subire le conseguenze di una emarginazione che la scuola non sempre, o non adeguatamente, r iesce a mitigare, vivevano esperienze di quotidiana violenza.

Tale situazione, vista come fenomeno sociale, se non controllata e orientata nel giusto verso r ischiava e r ischia di al imentare la cosiddetta “cultura mafiosa”: si offre al più forte i l pr ivi legio di dettare le sue regole che gl i altr i supinamente accettano e r ispettano a discapito della coscienza democratica, che viene pericolosamente logorata, e delle intel l igenze e capacità, stupidamente avvil i te.

Insegnante Elementare.4A. Canevaro (a cura di) “Handicap e scuola…”. NIS

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Cooperazione e tessuto sociale

Tutto ciò produce inevitabi lmente delle conseguenze deleterie sul lo svi luppo etico e socio-culturale dei minori che, con molta faci l ità, più o meno inconsciamente, imitano o, peggio ancora, interiorizzano i comportamenti negativi di coloro che l i circondano

Da qui la necessità di pianificare gli interventi educativi, in modo da consentire i l superamento di questi chiari segni di incultura e di schiudere la via al la convivenza democratica.

Soprattutto nell ’ambito del progetto “Educare al la legalità” , le esperienze di apprendimento cooperativo hanno acquisito una fisionomia più delineata e coerente, anche per i l fatto di essere condivise da tutt i gl i insegnanti operanti nei moduli aderenti al progetto stesso.

I l progetto “Educare al la legalità” mira, infatt i , soprattutto a svi luppare due capacità:

riconoscere nell ’altro una risorsa per la propria crescita umana

avere consapevolezza dei propri comportamentiAppare evidente come tal i capacità siano di

fondamentale importanza in qualsiasi forma di cooperazione , in quanto consentono i l superamento di atteggiamenti sia servil i che aggressivi, e, di contro, portano a migliorare i rapporti interpersonali e ad incrementare condotte collaborative e di condivisione.

In che modo ci muoviamo allora per far raggiungere ai nostri alunni queste capacità?

Due sono i fronti battuti dagli insegnanti di quarta e di quinta coinvolti nel progetto:

l ’apprendimento cooperativo la didatt ica modulare

Preferiamo parlare di apprendimento cooperativo e non solo di cooperativa, proprio per sottol ineare che l’aspetto economico, a cui i l termine cooperativa rimanda, esula dai nostri obiett ivi. I nostri alunni non esplicano un’att ività speculativa o imprenditoriale, ma sperimentano varie forme di cooperazione, tra cui anche la costituzione e la

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Esperienze di apprendimento cooperativo

partecipazione ad un’associazione cooperativa, per i l raggiungimento di obiett ivi formativi.

Tali obiett ivi riguardano l’aspetto cognit ivo, perché attraverso la collaborazione si impara megl io e di più, ma anche l’aspetto emotivo-sociale, in quanto la cooperazione presuppone necessariamente un cl ima sereno, st imolante, amichevole.

Diverse possono essere le forme di collaborazione fra gl i alunni. Si possono citare, ad esempio, l ’ insegnamento reciproco in cui, pur stando in coppia, un alunno assume la figura di tutor rispetto al l ’altro, e la collaborazione tra pari, in cui tutti devono aiutarsi per svolgere i l proprio lavoro.

A queste strategie noi preferiamo i l cosiddetto “apprendimento cooperativo”. Qui cooperativo sta proprio per co-operare, operare con .

L’elemento qualificante di questa modalità è rappresentato dall ’ interdipendenza posit iva tra i membri del gruppo: si crea, cioè, tra questi una relazione necessaria per conseguire un risultato che, a sua volta, non potrà essere attr ibuito a ciascun singolo, ma al gruppo nel suo complesso.

Un esempio pratico che spiega tale meccanismo è rappresentato dalla realizzazione, da parte di due classi, del “Girafiore”. Si tratta di un enorme l ibro, nel le cui pagine dei giganteschi fiori ruotano su un perno, mostrando nei due petal i bucati disegni e filastrocche sui nonni. Per la realizzazione di tale lavoro ciascun alunno ha svolto i l suo ruolo, complementare a quello dei suoi compagni. I l conseguimento del primo premio al concorso cui hanno patrtecipato è stato una conquista e un premio per tutt i indist intamente.

In quest’ott ica si muovono tutte le altre forme di apprendimento cooperativo da noi sperimentate.

È i l caso del lavoro svolto in bibl ioteca per la creazione di fiabe, la realizzazione di cartel loni e manifesti, la partecipazione a concorsi e manifestazioni.

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Cooperazione e tessuto sociale

A chi non ha mai fatto esperienze del genere, forse può sembrare difficile o addirittura impossibi le che la creazione di una fiaba, per esempio, possa essere i l frutto di un lavoro collett ivo di venti alunni. Diverse sono, invece, le strategie per raggiungere risultati più che entusiasmanti . Un’esperienza esplicativa in tal senso è stata l ’att ività “ Una fiaba sull ’ul ivo”.

Ciascun alunno aveva i l compito di r icercare determinate notizie sull ’ul ivo per una documentazione scientifica sulla pianta. Ognuno, naturalmente, ha adottato le forme a lui più congeniali o più faci lmente attivabil i : interviste, consultazioni di l ibr i ed enciclopedie, ricerche su internet. Tutt i i dati raccolt i sono poi stati sistemati in una tabella “antagonisti e aiutanti del l ’ul ivo”.

Da tale catalogazione si sono tratte, in seguito, le notizie necessarie per intessere in forma col lettiva e orale la struttura della narrazione. Sola al la fine si è passati al la trascrizione dei vari momenti della fiaba, arricchendoli con immagini e filastrocche.

Appare evidente come anche in questo caso i l r isultato finale sia i l frutto della cooperazione di tutt i .

Anche la produzione di materiale per i l giornalino scolastico e la real izzazione di ipertesti e ipermedia dimostrano come l ’apprendimento cooperativo trovi spazio nelle situazione e nelle att ività più disparate.

Nella costituzione e nel la gestione della “ Associazione cooperativa Inlega” un ruolo fondamentale è stato svolto dalla didatt ica modulare. In questo caso l ’apprendimento cooperativo ha coinvolto circa 150 alunni che, divisi in gruppi eterogenei, hanno collaborato e ruotato nei laboratori di rafia, argil la, gestione democratica, agricoltura e gioco-sport.

Nella fase iniziale tutti hanno partecipato, r ispettando turni prestabil it i , al le diverse attività laboratorial i . Solo in un secondo tempo gli insegnanti hanno “ascoltato”gli alunni e, attenti ai loro bisogni, man mano che le atti tudini e le preferenze cominciavano ad emergere, hanno permesso la

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Esperienze di apprendimento cooperativo

formazione di gruppi più flessibi l i , cercando di r ispettare le incl inazioni di ognuno.

Non bisogna dimenticare, infatt i , che cooperazione non significa l ivel lamento, ma autoaffermazione e svi luppo dell ’ individualità nel pieno r ispetto reciproco.

Nella costituzione e nel l ’organizzazione dei gruppi e dei laboratori è stata di importanza fondamentale la cooperazione tra gl i insegnanti che non solo hanno messo in gioco le loro competenze, ma le hanno rese disponibil i nei confronti degl i altr i e sono stati disposti ad “aprire” le loro classi non solo agl i altri alunni ma anche alle nuove esperienze.

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Cooperazione e tessuto sociale

C o o p e r a z i o n e e r e l a z i o n i s o c i a l i

D i P a s q u a l e S c a r n e r a

1.1. Interazione umana fondata sullo scambio e cooperazione

I l fenomeno cooperativo è stato soventemente esplorato tramite i l gioco del “Di lemma del Prigioniero”. I l t i tolo di questo gioco deriva da una situazione drammatica 5 in cui due sospetti vengono fermati dai poliziott i e separati; i l procuratore è certo della loro colpevolezza ma non ha abbastanza prove per incriminarl i , perciò dichiara loro, separatamente, che:

1. saranno loro addebitate colpe mai commesse, ma di minor conto di quella per cui sono stati fermati, nel caso si rifiutino di confessare;

2. che saranno entrambi condannati ad una pena inferiore a quella prevista, nel caso confessino entrambi; e che

3. la delazione di uno solo di essi sarà premiata con la l ibertà, mentre l ’altro, l ’accusato, sarà condannato al massimo della pena.

In r icerche sperimental i6 , model l i teorico-cl inici e di intervento psicosocial i 7 , vengono usati giochi derivati della Psicologo.5 Luce R. D. & Raiffa H., “Games and decision”, New York, 1957; Cit. in Gergen & Gergen, “Psicologia Sociale”, Il Mulino, 1990 (ed. It.), pagg. 377-78.6 Rapoport A. & Chammah A. M., “Prisoners dilemma : a study of conflict and cooperation”, Ann Marbor MI : University of Michigam press, 1965 ; citato in Gergen K. J. & Gergen M. M. , “Psicologia sociale”, Il Mulino, 1990 (ed. Italiana), pag. 378-79. 7 Watslavick P. e altri, “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, 1971, pag. 223-225; Carli R., “Psicologia Clinica”, UTET, 1987, pag. 242-245; Carli R. e Paniccia R. M., “Psicosociologia delle organizzazione e delle istituzioni”,

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Cooperazione e relazioni sociali

situazione prima descritta, a somma non nulla , in cui due giocatori, o squadre, s i fronteggiano avendo di fronte tre possibi l i tà:

1. scegliendo ambedue la prima, realizzano entrambi un piccolo guadagno;

2. scegliendo ambedue la seconda, realizzano entrambi una perdita;

3. scegliendo l’uno la prima e l ’altro la seconda, l ’uno realizza una perdita e l ’altro una notevole vincita, e viceversa.

L’obiett ivo del gioco consiste nel realizzare i l massimo dei punti possibi le, perdendone i l minimo. I giocatori, inoltre, non possono comunicare e quindi concordare una comune strategia.

La situazione può essere rappresentata con la seguente matrice:

B 1 B 2

A1 5, 5 -5, 8

A2 8, -5

-3, -3

Tale gioco si differenzia dai giochi a somma nulla , la cui logica è fondata esclusivamente sul la sconfitta dell ’avversario, per essere caratterizzato dal la implementazione di due possibi l i or ientamenti, ambedue passibi l i di essere uti l izzati per raggiungere l ’obiett ivo del gioco: l ’uno, che si può definire cooperativo e che implica un piccolo guadagno per entrambi i giocatori (scelta A1-B1) a condizione di rischiare una grossa perdita (scelta A1-B2 o B1-A2), e l ’altro, che si può definire competit ivo , che implica la possibi l ità di grossi guadagni (scelta B1-A2 o A1-B2) a condizione di rischiare del le perdite (scelta A2-B2).

Il Mulino, 1981, pag. 229-231.

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Cooperazione e tessuto sociale

Le numerose r icerche sperimental i ed esperienze di intervento cl inico e psicosociale che si sono servite di tale model lo, hanno r i levato che l ’or ientamento più diffuso è quello più i l logico, quello competit ivo. L’ i l logicità di tale atteggiamento consiste, escludendo la soluzione A2-B2 (perdita per entrambi) perché insensata, nel scegl iere una opzione (B1-A2 e/o A1-B2) che prospetta grossi guadagni ma non l i ottiene , r isolvendosi necessariamente, perché applicata da ambedue i giocatori, nella scelta insensata A2-B2.

Tale fenomeno non può essere spiegato tramite costrutt i relativi, ad esempio, al la pulsione appropriativa, avidità, istinto predatorio, mancanza di fiducia, ecc., perché tal i concetti , pur potendo spiegare l ’ impulso ad agire in una certa direzione, non possono spiegare la seguente scelta i l logica. Esso deve quindi essere compreso diversamente, ad esempio attraverso la mancanza di una adeguata rappresentazione, che può essere definita completa, dell ’altro giocatore come diverso e distinto da sé ma in grado di esprimere motivazioni e comportamenti identici e/o di segno inverso ai propri.

1.2. Interazioni umane ed aggressività

Tuttavia l ’atteggiamento competit ivo che si desume dalla situazione creata dal di lemma del prigioniero può essere considerato come sostanzialmente connotato in termini di aggressività nei confronti del giocatore avversario.

L’aggressività, a sua volta, può essere considerata: 1) una pulsione innata 8 ; in questo caso essa va

considerata una causa di certi comportamenti ; oppure, 2) un fenomeno originato dalla relazione esistente tra un

bisogno od un desiderio, l ’ impossibi l ità di realizzarlo, l ’arbitrarietà con cui si caratterizza tale impossibi l ità, e

8 Cfr. Freud S., “Al di là del principio del piacere”, Newton Compton, 1992.

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Cooperazione e relazioni sociali

la capacità di tol lerare la frustrazione derivante da tale situazione9 ; in questo caso essa costituisce un risultato di una dinamica, un effetto .

Considerare l ’aggressività in una o l ’altra maniera apre differenti prospettive sul fenomeno osservabile con l’ausi l io del “dilemma del Prigioniero”: secondo la prima delle prospettive bisognerebbe concludere che la maggior parte dei soggetti osservati è naturalmente competit iva, perciò aggressiva; mentre secondo l ’altra si dovrebbe concludere che i soggetti sono coinvolt i in una dinamica abbastanza complessa caratterizzata piuttosto in termini cultural i , modificabi l i dall ’esperienza.

La possibi l ità di avere o no delle esperienze, e quindi di modificarle, ha una relazione diretta con la capacità di tol lerare la frustrazione, essendo questa la condizione indispensabile al la nascita dei pensieri ed al la corrispondente att ivazione del l ’apparato che l i produce 10 , della mente: quando i l neonato ha bisogno del seno e questo non appare immediatamente a soddisfare i l suo bisogno, concepisce questa assenza come un “seno catt ivo”. Di fronte a tale assenza, i l neonato ha due possibi l ità:

1. se la capacità di tol lerare la frustrazione correlata a tale mancanza è buona, riesce a concepire l ’assenza come un “non-seno” , ed in questo caso nasce un pensiero;

2. in caso contrario aggredisce nella fantasia questo “seno catt ivo”, l ’assenza del seno, finché non arriva i l “seno buono” , la presenza del seno (e del latte, del soddisfacimento), a soddisfare i l suo bisogno. Ma i l seno presente, che soddisfa i l bisogno, corrisponde a quel lo che i l bambino aggredisce nella fantasia nella condizione di assenza, perciò egli è costretto a scinderlo onde poterlo difendere dai suoi stessi attacchi aggressivi, derivanti dalla frustrazione provata in

9 Cfr. l’interpretazione del fenomeno data da Miller, Mowrer e Sears e sviluppata da Berkowitz, in K. J. Gergen e M. M. Gergen, Op. Cit., pag. 304-306. 10 W. R. Bion, “Apprendere dall’esperienza”, Armando, 1990.

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condizione di bisogno e di assenza del seno. Ma i sentimenti aggressivi, r ivolt i al “seno catt ivo” (assente), e quell i di gratificazione, r ivolt i al “seno buono” (presente), provengono dal la stessa persona, perciò i l bambino scinde anche sé stesso, nel perseguire i l tentativo di salvaguardare i l “seno buono” dalla sua stessa aggressività. Al l ’ interno di questa dinamica, le quattro componenti scisse, nella mente del bambino, svi luppano due relazioni, di cui una completamente “buona” e l ’altra completamente “catt iva”. Queste due relazioni, costituite da oggetti “parzial i” scissi, mantengono un confine che si potrebbe definire impermeabile , una condizione che impedisce la percezione intera e simultanea delle componenti, proprie e del seno, ed una adeguata riflessione critica su di sé e sul seno: l ’elaborazione dell ’esperienza diviene impossibi le e, quindi, la crescita psicologica si arresta.

Queste due posizioni possono r iguardare qualsiasi età ed esperienza ed interessare settori dist inti della mente di ogni individuo, anche “normale”. I l “passaggio” dalla posizione paranoide a quella depressiva costituisce i l model lo sano della crescita nel le relazioni oggettuali e social i e permane per tutta la vita11 .

Al la luce di queste dinamiche, quindi, bisogna considerare l ’atteggiamento cooperativo più colto , ma anche più evoluto psicologicamente , più maturo di quello competit ivo .

1.3. Il “Dilemma del Prigioniero” come metafora delle interazioni umane fondate sullo scambio

La “Logica del Mercato”, basata sulla competizione e da molti considerata un principio regolatore dell ’economia,

11 W. R. Bion, Op. Cit. ; D. W. Winnicott, “Dalla pediatria alla psicoanalisi”, Marinelli, 1992 ; H. Segal, “Melanie Klein”, Boringhieri, 1989.

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contiene una implicazione paradossale che la rende somigliante al le dinamiche insensate osservabi l i con l ’ausil io del gioco del “Di lemma del Prigioniero”: produrre sempre più merci a prezzi sempre più competit ivi conduce, inevitabi lmente, ad una polarizzazione della produzione che vede una minoranza di produttori eccezionalmente competit ivi fronteggiati da una maggioranza di “battuti”, gl i sconfitti che, privati dalla stessa sconfitta della possibi l i tà di essere presenti sul mercato, vi s i affacciano nella speranza di una r ivincita (è questo i l caso delle persone che perdono, per ragioni varie, i l lavoro) e/o, in moltissimi casi , della sola sopravvivenza (è questo i l caso dei disoccupati e dei diseredati di tutt i i “Sud” del mondo, condannati in contumacia dalla propria appartenenza ad un’area geografica che non può reggere, per ragioni storiche e/o struttural i , l ’aggressione del le economie fort i , consolidate da l ’accumularsi di secoli di esperienze, tecnologie, capital i e potere polit ico capaci di dar loro i l pr ivi legio di vincere senza, ormai, neppure battersi).

I l r isultato di questa polarizzazione si evidenzia nella global izzazione del l ’economia e della finanza, ormai in mano ad un numero sempre più r istretto di mult inazional i , che produce una quantità enorme di merci che, ironicamente, non possono essere acquistate dalla maggioranza del la popolazione del pianeta, concentrata nelle aree deboli del pianeta.

I l confinamento della maggioranza del la popolazione “debole” in aree ben delimitate, anche se eccezionalmente estese e popolate, sembra ancora in grado di contenere i l r isultato paradossale degli scambi fondati sul la logica competit iva, ma la possibi l ità che questi confini possano incrinarsi, “ importando” gl i effetti perversi di tale logica nelle aree presidiate dalla popolazione “forte”, lascia intravedere i l fantasma di un col lasso socio-polit ico-economico di portata catastrofica. I l prezzo che la popolazione “forte” del pianeta paga per i l suo relativo benessere è quindi rappresentato dal costante rischio di

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cris i polit iche o croll i finanziari , ma è anche costantemente pagato in termini di ri tmi di vita sempre più stressanti, mercificazione del le relazioni interpersonali , sovraffollamento del le città, intasamento del traffico, inquinamento dell ’ar ia, dell ’acqua, del cibo e del s i lenzio, effetto serra per tutto i l pianeta.

La perdita risultante da tale modello competitivo interessa tutta la popolazione del pianeta, e l ’esempio forse più crudo di tale risultato può essere rappresentato dalla situazione creatasi in America Latina, dove le nazioni sono costrette a distruggere la foresta Amazzonica, produttrice di un quinto dell ’ossigeno presente nel l ’aria del pianeta, onde pagare i l debito contratto con i paesi industr ial izzati che, ironicamente, sono i maggiori consumatori di quell ’ossigeno, che ora rischia di non poter più essere riprodotto, essendo le foreste sempre meno estese.

Ma la popolazione “debole”, quella di ogni “Sud” della Terra, perde molto di più: perde identità, cultura, tradizioni, mit i , leggende, speranze.

La tendenza difensiva che si esprime nel tentativo di chiudere le frontiere al l ’emigrazione, di attuare polit iche sempre più xenofobe, sembra, al la luce di queste considerazioni, un maldestro tentativo di negare l ’ i rrazionalità e la fol l ia di un progetto polit ico e della logica ad esso sottostante.

Una r isposta a questa polarizzazione del l ’economia sembra essere rappresentata dalla possibi l i tà di inventare nuovi prodotti , nuovi bisogni e quindi, di conseguenza, nuove nicchie di mercato. Ma la competit ività in questi nuovi settori non può prescindere da sempre più complesse indagini di mercato, r icerche tecnologiche sofisticate e genial ità inventiva sempre più rara e difficile da trovare; grossi investimenti di capital i che r imangono quindi riservati a chi detiene i mezzi necessari per avviare e mantenere tal i processi produttivi innovativi.

La logica competit iva esclude, di conseguenza, una creatività ed una innovazione “l ibera”, legata al la fantasia

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ed ai bisogni individuali della persona e, quindi, non subordinata al la uti l ità economica che può avere in ri ferimento al le caratteristiche dei prodotti già esistenti sul mercato, sempre da “battere” e “superare” .

Questi grossi investimenti legati al la innovazione competit iva, inoltre, devono essere recuperati e produrre uti l i , perciò diventa necessario sostenere i nuovi prodotti con grandi campagne pubblicitarie che inducano i consumatori ad acquistarl i e portino a battere la concorrenza: la logica competit iva, pur presentandosi come espressione di “l iberi” imprenditori in un “l ibero” mercato, conduce al l ’annullamento del le stesse l ibertà di cui s i r i t iene depositaria: al la scomparsa della concorrenza, che viene esclusa dal mercato, ed al l ivel lamento dei gusti e delle preferenze dei consumatori, che vengono sacrificati dalla persuasione pubbl icitaria al successo dei prodotti ed al la produttività degli investimenti .

I tempi di tal i processi innovativi sembrano, inoltre, velocissimi, e la straordinaria rapidità con cui si è svi luppata la nicchia di mercato dei prodotti informatici e con cui s i succedono le innovazioni in questo settore eccezionalmente sofisticato ed ad alt issima tecnologia, come pure negli altr i , denotano i l mercato globale come un’area, che ormai coinvolge tutto i l pianeta, r iservata a poche mult inazional i .

È come, per i piccoli produttori, partecipare al gioco del “Dilemma del Prigioniero” senza avere la possibi l ità di schiacciare i pulsanti o senza conoscere le regole del gioco .

Ma alla luce di questa considerazione non si può considerare i l modello derivato dal gioco del “Di lemma del Prigioniero” come sufficientemente rappresentativo dei processi che si osservano nella realtà perché i l gioco consente a tutt i i partecipanti di schiacciare i pulsanti e di conoscere le regole. Un’altra ragione per cui tale operazione non può essere fatta è che esso non prevede la possibi l i tà di comunicare che, nelle interazioni effettive, è possibi le.

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L’economia fondata sul la logica competitiva è, però, fondata quasi esclusivamente sul “Segreto Aziendale”, sul l ’assenza di comunicazione tra le imprese, principio che la logica del mercato ha in comune con l ’arte del la guerra:

“. . . l ’ imperscrutabi le v ince, l ’ovvio perde. (Du Mu); . . . Mant ienit i celato a l l ’ interno, ed i l nemico non t i conoscerà; rendit i v is ib i le a l l ’esterno, ed i l nemico penetrerà attraverso i tuoi punt i debol i . (Zhang Yu); . . . Nascondi la tua forma, s i i d isc ip l inato a l tuo interno, ed attendi che si apra una breccia o un cedimento. (Mei Yaochen); . . . Se nascondi la tua forma, cancel l i le tue tracce e t i mantieni fermamente preparato, sarai invulnerabi le. (Zhang Yu); . . . Valutando gl i avversari e i l loro schieramento, puoi prevedere di chi sarà la v it tor ia. Se i l nemico è imperscrutabi le e senza forma, non t i pronunziare. (Du You); . . . Per una di fesa invulnerabi le, mantieni celata la tua forma. Poi , quando i l nemico t i attaccherà, diverrà vulnerabi le. (Cao Cao); . . . F inché non avrai scoperto nel nemico una forma vulnerabi le, nascondi la tua e mantienit i invincib i le; così sarai al s icuro. Quando i l nemico presenta una forma vulnerabi le, muovi ed attacca. (Du Mu)”.

(Sun Tzu: “L’arte del la Guerra” -a cura di T . C leary- , Ubaldini , 1990, pagg. 84-86)

Ma va aggiunto che in tale testo la guerra è considerata, in via preliminare, una eventualità infausta, da evitare:

“ . . . Le operazioni mil i tar i sono crucia l i per la nazione. Cost itu iscono i l campo del la v ita e del la morte, la strada al la distruzione o a l la sopravvivenza: è imperat ivo esaminar le con cura. (Sun Tzu); . . . Le operazioni mi l i tar i sono infauste. Vengono considerate crucial i solo in quanto quest ione di v i ta o di morte, e s i dà la poss ib i l i tà che qualcuno le intraprenda con leggerezza. (L i Quan)” . ( Iv i , pag. 40)

A differenza dalle considerazioni che i filosofi del la antica Cina facevano per la guerra, la “Logica Competit iva”, che alla guerra tanto assomigl ia, viene dai più considerata sana o normale.

Queste differenze e queste somiglianze tra processi interatt ivi osservabi l i nella realtà e nel gioco del “Dilemma del Prigioniero”, tra “Arte del la Guerra” e “Logica

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Competitiva”, vanno comunque esaminate più in profondità, perché potrebbero condurre ad una comprensione più esaustiva del problema.

2.1. Le interazioni umane secondo l’ottica sistemica

Un “Sistema” è definito da “Un insieme di oggetti e di relazione tra gl i oggetti ed i loro attr ibuti”; esso si organizza , o si auto-organizza, quando si tratta di un Sistema Organico, costruendo relazioni tra gl i oggetti e gl i attr ibuti degli oggetti che ne fanno parte, costituendo anche Sotto-sistemi, in senso orizzontale e verticale. Perciò un Sistema Umano è formato da “due o più individui impegnati a definire la natura del la propria relazione”. Un Sistema Organico è un sistema aperto , c ioè scambia energia, material i ed informazioni con l’ambiente, e gode di proprietà peculiari:

1. è qualcosa di diverso e superiore dalla somma delle sue parti;

2. le relazioni tra le parti sono tal i che ogni cambiamento in una qualsiasi di esse porta ad un cambiamento in tutte le altre e nel l ’ intero sistema;

3. mantiene la stabil i tà mediante retroazione negativa, ovvero mantenendo l ’ identità del le relazioni tra gl i oggetti e gl i attr ibuti degli oggetti , e promuove i l cambiamento mediante retroazione positiva, ovvero cambiando le medesime relazioni;

4. diversamente che per i s istemi chiusi, in cui i r isultati dipendono dalle condizioni inizial i , nei s istemi aperti medesimi r isultati possono provenire da origini diverse, come pure diversi r isultati possono provenire da medesime origini , perché sono i parametri regolatori in auge nel s istema ad orientare i suoi r isultati 12 .

12 P. Watslawck et altri, “Pragmatica della Comunicazione Umana”, New York, 1967 ; ed. It. : Astrolabio, 1971, pag. 147-155.

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2.2. Gli Assiomi della Comunicazione

La dinamica che porta al la costituzione di un Sistema è, per certi versi, obbligatoria negli esseri umani, perché:

1) non si può non comunicare;2) la comunicazione trasmette sempre messaggi formati da

un aspetto relativo al contenuto che si vuol trasmettere ed uno relativo al la relazione che viene prospettata tra i partecipanti al l ’atto comunicativo. Questo secondo aspetto della comunicazione è meta-comunicativo, perciò collegato al la consapevolezza di sé e degli altri ;

3) i l l inguaggio umano è composto da una sintassi numerica, logica ed assai complessa ma poco adeguata a definire la natura del la relazione in corso, e da una sintassi analogica (immagini , gesti, tono della voce, espressioni del volto, ecc.) che dispone di una semantica adeguata a definire la natura della relazione, ma non può farlo in maniera non-ambigua;

4) l’aspetto della relazione non può non connotarsi che in maniera simmetrica, cioè regolata dalla identità di ruolo, funzione, status, posizione, o complementare, cioè regolata dalla differenza di ruolo, funzione, status, posizione13 .

Stando agl i assiomi del la comunicazione, quindi, per gl i esseri umani è obbl igatorio impostare sistemi, ma ciò non significa che la comunicazione debba r isolversi necessariamente col costituirl i .

2.3. Cooperazione, competizione, condizione umana

Un giorno Tokusan andò da Ryutan per chiedere insegnamenti e s i trattenne fin quando venne la notte, Ryutan disse: “Si sta facendo tardi , farest i megl io ad andare.” Al la fine Tokusan salutò, so l levò la tenda del la porta ed uscì . Accorgendosi che era buio tornò indietro e d isse: “È buio fuori”. Al lora Ryutan accese una 13 Ivi, pag.41-63.

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candela e gl ie la porse. Quando Tokusan stava per prender la, Ryutan la spense con un soffio. Tokusan fu improvvisamente i l luminato e si inchinò.(Zenkey Shibayama, “Mumonkan”, Ubaldin i , 1977, caso 28°, pag. 202.

Quando Hseuh Feng viveva in una capanna, c i furono due monaci che andarono a rendergl i omaggio. Vedendol i arr ivare, apr ì la porta del la capanna con la mano, uscì e disse: “Cos’è?”. Uno dei monaci d isse anch’egl i : “Cos’è?”. Feng abbassò la testa e tornò nel la capanna. . . . (Thomas e J . K. C leary -a cura di - , “La Raccolta del la Roccia Blu”; Ubaldini , 1979, caso 51°, pag. 92.)

K. O. Apel s’è occupato della necessità di fondare un’etica valida intersoggettivamente sulla base dei problemi che potrebbero creare al l ’umanità la potenza delle armi nucleari e le conseguenze ambientali causate dallo svi luppo economico e tecnologico, analizzando le possibi l ità offerte dai Sistemi Fi losofici di “ Integrazione”, di applicazione Orientale, e di “Complementarietà”, di applicazione Occidentale.

I l Sistema di “ Integrazione”, basato sulla opposizione simmetrica delle varie tesi ed antitesi prodotte dal pensiero nella realtà , supera le contraddizioni con la sintesi delle opposizioni da parte di una éli te ( i filosofi, i dir igenti di partito, i capi di governo, del l ’esercito, del le catene di montaggio, ecc.), che assume la guida , tramite elezioni, nomine od altro, delle varie situazioni e garantisce la razionalità del le scelte integrando scientificità ed eticità; regola le interazioni decidendo quali siano le disposizioni più adeguate al le varie situazioni(comando), ma non può conci l iare le proprie decisioni con quel le dei singoli .

I l Sistema di “Complementarietà” mantiene l’ambito delle scelte al l ’ interno delle l ibertà della sfera privata, tentando di fondare la validità intersoggettiva delle norme etiche mediante la descrizione avalutativa, scientifica, del le conseguenze che certe azioni hanno, mediante regole del t ipo “se .. . , al lora .. .”, ma questa operazione , condotta da “tecnici” nei confronti dei “profani” in maniera

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complementare , non può fondare , in questi ultimi, i l senso di responsabil i tà necessario per assumere quelle decisioni che sono state, impl icitamente, prospettate 1 4

Paradossalmente, la risoluzione strategica del Sistema di Integrazione, simmetrico, s i propone come una costruzione complementare tra dir igenza e subordinati ; la soluzione esistenziale del Sistema di Complementarietà si propone come una costruzione che oppone simmetricamente individui con pari dir itt i r iguardo alle decisioni da assumere: i l punto di arr ivo dell ’uno viene a coincidere col punto di partenza dell ’altro; i due sistemi possono quindi essere considerati l ’espressione di due o, forse , del medesimo circolo vizioso.

I due orientamenti s istemici possono essere osservati anche in situazioni non strutturate formalmente in maniera simmetrica o complementare. Ad esempio, rispettivamente, quando un proprietario di un garage “ordina”, senza averne l’autorità ed i l potere, ad un automobil ista distratto che ha parcheggiato la sua auto sull ’entrata di spostarsi ; oppure quando i componenti di un gruppo “lasciano” al loro leader la responsabil ità di assumere qualche decisione che l i r iguarda individualmente. Tali s ituazioni , formalizzate o non, quando le premesse aporetiche non sono consapevoli , possono sfociare nel le “escalation” simmetriche e nel le “r igidità” complementari 1 5 , schemi relazionali patologici ed improduttivi.

Da un punto di vista logico costituire un sistema, simmetrico o complementare è, quindi , impossibi le; K. O. Apel, d’altra parte, non r isolve le aporie evidenziate, ed i l suo progetto fal l isce.

La regola “da solo” risolve le aporie in ambedue i sistemi, dal momento che un sistema può essere costituito a partire da “due” persone. Inoltre , come momento r isolutivo di un’aporia sistemica e dello stesso sistema, costituisce la condizione necessaria al riconoscimento dell ’altro come diverso ed indipendente da sé, come agente di per sé e per 14 K. O. Apel, “Comunità e Comunicazione”, Verlag 1973, ed. It. Rosemberg & Sellier, 1977, pag. 205-22015 Cfr., P. Watzlavick et altri, Op. Cit., pagg. 99-110.

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sé . Ma essa, pur fornendo una soluzione “sistemica”, non può real izzare i proposit i dei singoli individui che implichino la compartecipazione di altr i , diviene perciò necessario “costruire” le condizioni necessarie a che un sistema, simmetrico o complementare, di “Integrazione” o di “Complementarietà”, funzioni: che esista, da parte degli interagenti, una sostanziale condivisione e/o identificazione nell ’organizzazione gerarchica del s istema, nel la versione simmetrica, o una condivisione dei valori e/o delle finalità soggiacenti le decisioni da prendersi, nella versione complementare. Risultati che si possono raggiungere con la discussione, la negoziazione, i l controllo cr it ico, ecc 1 6 . Fondamentalmente, con una forma di comunicazione che tenga conto delle aporie e che, su questa base, r icerchi ed ottenga i l consenso.

Sembra quindi che la condizione umana situata al di là delle aporie evidenziate da Apel oscil l i tra un eroismo soli tario ed una social i tà basata sulla ricerca del consenso, originata dal riconoscimento dell’altro come diverso ed identico a sé e caratterizzata dal superamento della dicotomia simmetrico -complementare ed identico-diverso , in cui i vari pol i dicotomici s i escludono a vicenda.

3.1. Aporie e sistemi organizzativi

Le aporie interessano tutt i i sistemi simmetrici e complementari, compresi i l s istema “Gruppo”, “Massa”, “Organizzazione”, ecc. . Difatt i , anche considerando tal i sistemi come “unità diverse e superiori dal la somma delle sue parti”, non si può spiegare i l loro funzionamento d’insieme a prescindere dalle interazioni svi luppate tra le singole parti , quindi da situazioni potenzialmente aporetiche. Bisogna quindi postulare l ’esistenza di un parametro regolatorio, operante nella mente degl i individui che partecipano ad una interazione, che consenta a 16 Cfr. H. Albert, “Per un Razionalismo Critico”, 1968, ed. it., Il Mulino, 1973.

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quest’ult ima di svi lupparsi in modo soddisfacente, malgrado le aporie. Ma tale postulato, essendo parametro individuale regolatore di situazioni interatt ive, non può fornire garanzie circa le intenzioni, i progetti e le strategie che si vorrebbero ottenere dai gruppi, perciò l ’Organizzazione, con le sue regole e sistemi di controllo, può essere considerata un tentativo di porre rimedio al funzionamento aleatorio degli stessi .

L’organizzazione è presente anche nei Gruppi, anzi s i può dire che l’esistenza di tale parametro, quel lo organizzativo, consente di differenziare

1) la Classe , - costituita da un numero variabile di persone accomunate dal possesso di talune qualità, come i l sesso, l ’età, i l colore dei capell i , ecc.- ,

2) l ’Aggregato , - costituito da un certo numero di individui presenti casualmente in un dato momento ed in un dato luogo -,

3) i l Gruppo - costituito da un certo numero di soggetti accomunati da un’attività svolta per i l raggiungimento di un comune obiettivo, fosse pure organizzare una festa, partecipare ad una visita guidata, ecc.- .

Considerata secondo questa peculiarità, L’Organizzazione - azienda, stato, chiesa, squadra di calcio, ecc.- si caratterizza quindi per un grado maggiore di formal izzazione sia delle regole discipl inanti i l funzionamento finalizzato al raggiungimento degli obiett ivi propri dell ’Organizzazione, sia delle modalità discipl inanti i l cambiamento del le stesse regole.

Questo maggiore grado di formalizzazione fonda una radicale differenza del l ’Organizzazione r ispetto al Gruppo: nel primo caso i l parametro regolatorio delle interazioni che consente i l funzionamento collett ivo finalizzato al raggiungimento di uno scopo è poco negoziabile dai singoli individui, i quali possono avvertirlo come esterno e diverso dalle proprie motivazioni; nel secondo esso è modificabile secondo regole, anch’esse modificabil i , che non possono escludere le motivazioni individuali . Parametri regolatori

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individuali , gruppali ed organizzativi possono anche essere in conflitto tra di loro, ed in tal i casi i l “codice deontologico” proprio del le singole professioni assume la funzione di “arbitro” al l ’ interno dei conflitt i , ma tale codice, comunque, non può tenere in considerazione le esigenze, le sensibi l ità ed i bisogni espressi dalle diverse e differenti individualità dei vari attori interagenti in un processo produttivo.

La definizione di un “buon cl ima” organizzativo r ichiede un impegno maggiore.

Tale plurali tà di parametri regolatori del le interazioni possono rendere i l comportamento degli individui al l ’ interno delle Organizzazioni s imile, per cert i aspetti , ad una recita che scinda o dist ingua gl i aspetti individual i e personali del proprio comportamento da quell i r i feribi l i al le esigenze dell ’Organizzazione, modalità interatt iva molto difficilmente sostenibile a lungo termine. Gli individui che non decidono di abbandonare l ’Organizzazione devono allora l ivel lare i propri parametri regolatori od identificarsi con gli obiett ivi dell ’Organizzazione, non sempre senza conseguenze negative:

“L’ Ideale del l ’Organizzazione capta <<l’ ideale del l ’ io>> e le mete del l ’Organizzazione divengono quel le del l ’<<io ideale>>. Mentre i success i del l ’Organizzazione confermano l ’<<io ideale>>, gl i insuccessi lo frustrano profondamente. . . . : i l crol lo del l ’<<io ideale>> svuota la persona e ne dissolve le energie.” (F . Novara: “ I l lavoro profess ionale Organizzato”; in T. Vecchiato -a cura di- : “Aziende, Leggende e Strategie”, Fondazione E. Zancan, 1997, pag. 83) .

Lo stesso può accadere al l ’ interno della relazione individuo-gruppo, benchè questo genere di relazione consenta maggiori possibi l i tà negozial i e trasformative che includano anche le istanze e le preferenze individual i .

3.2. I Modelli Organizzativi

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Le Organizzazioni possono essere r icondotte a due principali model l i17:

1) i l modello “Meccanico” , caratterizzato da un’enfasi particolare posta sulla suddivisione dei compiti e dei ruoli , da una gerarchia, costituita in materia di autorità, controllo e comunicazione, parallela ad una gerarchizzazione della competenza, che diventa via via più raffinata ed estesa; in esso la comunicazione avviene quasi esclusivamente dall ’alto verso i l basso (comando). Questo modello r isponde megl io a quelle situazioni in cui non c’è identità tra gl i interessi svi luppati dalla proprietà delle organizzazioni e quell i dei s ingoli produttori (Aziende Private), ma rischia di non poter conci l iare gl i interessi della proprietà dell ’organizzazione con la direzione presa dagl i or ientamenti produttivi, espressione delle singole volontà dei lavoratori coinvolt i . Esso può rappresentare una realizzazione stesa e complessa dell ’orientamento simmetrico dei s istemi umani.

2) i l modello “Organico” , fondato sul contributo che ciascuno può dare al raggiungimento degl i obiett ivi. In esso viene valorizzato i l valore del la competenza special ist ica e dell ’esperienza; i compiti ed i ruol i sono definit i in modo vago e possono essere ridefinit i , la comunicazione circola in tutt i i sensi ed assume la connotazione di “consultazione”, piuttosto che di “comando”. Esso r isponde meglio a quelle situazioni in cui c’è identità tra gl i interessi della proprietà dell ’organizzazione e quell i dei s ingoli produttori (Enti Pubblic i), ma rischia di non poter fornire una r isposta al l ’esigenza di dare responsabil ità e direzione all ’ insieme del processo produttivo. Esso può rappresentare una realizzazione estesa e complessa dell ’or ientamento complementare dei s istemi umani.

17 M. Ferrante, S. Zan, “Il Fenomeno Organizzativo”, NIS, 1994, pag. 68-69.

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Un aspetto ironico di tale sistematizzazione, è che i l Modello Meccanico sia stato a lungo uti l izzato in oriente, in sistemi polit ic i or ientati in senso marxista (U.R.S.S. e Cina, in particolare), pur prestandosi ad offrire maggiore efficacia nei settori produttivi in cui non ci sia coincidenza tra interessi della proprietà del l ’organizzazione e quell i dei singoli produttori, mentre i l Modello Organico è ampiamente uti l izzato in occidente (praticamente tutt i i paesi industr ial izzati capital ist i), a dispetto del fatto che offra maggiore efficacia nei contesti produttivi in cui c’è coincidenza tra interessi della proprietà ed interessi dei singoli produttori 1 8 .

In questo nostro contesto attuale di aziende o circuiti produttivi , in cui sono presenti le problematiche ascrivibi l i ai due modell i prima menzionati, i l Modello Cooperativo , in quanto formalmente l ibero dalla scissione tra interessi del la proprietà della struttura e quell i dei singoli lavoratori , tra progetti svi luppati dal le dir igenze ed orientamento concreto dei processi produttivi , nonché in grado di dare responsabil i tà e direzione condivisa, tramite processi decisionali costruiti “tra pari”, ai processi produttivi basati sul la differenziazione delle competenze, si propone come model lo organizzativo in grado di superare i l imit i dei Modell i Meccanici ed Organici .

L’Utopia Poli tica Democratica che si propone di mettere insieme responsabil ità e condivisione della direzione da dare al la quantità ed al la qualità dei processi produttivi e delle relazioni umane ad esse connesse, non può quindi fare a meno di passare da questo model lo.

Ma non è sufficiente isti tuire una Cooperativa per rendere operante i l Modello Cooperativo in quanto le aziende basate su tale model lo sono soggette a tutt i i disfunzionamenti che r iguardano i Gruppi e le Organizzazioni. Tali disfunzioni in molt issimi casi non sono risolvibi l i mediante semplici aggiustamenti meccanici od organici derivabil i da analisi organizzative che identifichino

18 Cfr. K. O. Apel, Op. Cit.

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i l problema in termini di assett i burocratici, qualificazione del personale, aggiustamenti della pianta organica, ecc.; inoltre, le aporie identificate da Apel possono interessare anche le Cooperative, perciò anche i l funzionamento organizzativo di tal i aziende può presentare una certa aleatorietà od impredicibi l ità delle interazioni che, sul piano logico , possono essere comprese come aporie simmetriche o complementari. In tal i casi una negoziazione degli obiett ivi, dei valori, degli ideali , oppure una r idefinizione dei ruoli e delle funzioni può essere sufficiente a riportare i l funzionamento organizzativo a l ivell i ott imali ; tal i interventi possono essere, inoltre, anche facilmente impostati e condotti a termine, date le caratteristiche prima menzionate del modello.

Ma tutt i i gruppi organizzati , quindi anche quell i afferenti al modello cooperativo, non sono regolati solo da parametri regolatori individuali del le interazioni gruppali e da regole e sistemi di controllo idonei a rendere efficace i l funzionamento organizzativo; i l comportamento umano non è determinato solo da principi logici e strutture meccaniche.

3.3. Linguaggio ed interazioni umane

I l determinismo sottostante i l comportamento umano è di diversa natura rispetto, ad esempio, a quello sottostante una rovinosa caduta di due calciatori che, r incorrendo i l pallone da due diverse direzioni senza osservare null ’altro al di fuori dello stesso pallone, si siano scontrati, perdendo l’equil ibrio. Un evento del genere potrebbe essere descritto come un effetto dovuto al l ’ inerzia dei due corpi in moto i l cui movimento si sia improvvisamente fermato, come funzione del le masse in movimento e delle rispettive velocità relative al suolo ed all ’una con l’altra, delle rispettive posizioni dei baricentri e delle distribuzioni spazial i delle masse al momento dell ’ impatto, del la resistenza opposta dai due sistemi scheletro-muscolari, eccetera.

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Diversamente, le interazioni umane sono regolate dal l inguaggio e questa regolazione, a sua volta, avviene secondo presupposti che appartengono alla stessa struttura l inguist ica; primo fra tutt i , l ’ identità intersoggettiva del codice:

“Un simbolo ha lo stesso s ignificato per due indiv idui se colui che par la può prevedere la reazione del l ’al tro a l lo stesso modo come quest’u lt imo può a sua volta prevedere l ’ant ic ipazione del pr imo: l ’ identi tà dei s ignificat i non si cost i tu isce attraverso reazioni ugual i , constatate dal l ’osservatore, ma attraverso l ’attesa di una reazione in cui g l i stess i d ia logant i concordano, c ioè nel l ’ intersoggettiv ità del le aspettat ive di comportamento.” ( J . Habermas, “Agire Comunicat ivo e Logica del le Scienze Socia l i” , I l Mul ino, 1970, pagg. 115-116.)

Tuttavia la rispondenza dei comportamenti effettivi dell ’ interlocutore al le attese impl icite espresse attraverso i l l inguaggio è inficiata, oltre che dalle aporie individuate da Apel, anche dal fatto che non è possibi le trasmettere la propria percezione soggettiva di un evento, di un concetto , di una sensazione o di altro se non attraverso la traduzione di tale percezione in atto l inguistico; a sua volta l ’ interlocutore deve necessariamente tradurre l ’atto l inguist ico recepito in una percezione soggettiva, perciò diviene impossibi le essere del tutto cert i che i l messaggio inviato sia stato recepito dall ’ interlocutore nel modo in cui è stato percepito dall’ inviante .

Si può essere più o meno consapevoli di tale indeterminatezza, ma si può comunque verificare, attraverso le reazioni dell ’ interlocutore, i l grado di approssimazione della percezione di questi al la propria. Questo genere di verifica, così come gli att i di traduzione dei percett i in l inguaggio, non ha bisogno del la consapevolezza della indeterminazione della comunicazione per essere effettuata.

Questo, però, non significa che, nel l ’ott ica di r icerca di una soluzione al genere di problemi qui affrontati, s i possa fare a meno della consapevolezza dei propri processi

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mentali in quanto essi sono logicamente anteriori al la loro espressione l inguist ica e/o comportamentale e possono quindi essere, come le aporie di Apel, al la base di molt issimi t ipi di disordine.

Tuttavia è vano sperare di aumentare la prevedibi l ità delle interazioni umane tramite una totale consapevolezza dei propri processi mental i .

3.4. Mente, Coscienza, Emozione

“Lo schermo televis ivo non fornisce una rappresentazione o r iproduzione degl i event i che accadono nel l ’ intero procedimento televis ivo; e c iò non solo perché gl i spettator i non sarebbero interessat i ad un tale resoconto, ma anche perché la descriz ione di ogni u lteriore parte del processo complessivo r ichiederebbe ul ter ior i c ircui t i , e la descrizione degl i event i in quest i c ircui t i r ichiederebbe a sua volta un’ul ter iore aggiunta di c ircui t i , e così v ia. Ogni ul teriore passo verso un aumento di coscienza porterà i l s istema più lontano dal la coscienza totale. Aggiungere la descrizione degl i event i in una certa parte del la macchina farà in realtà diminuire la percentuale di tutt i g l i event i descr it t i .

Dobbiamo perciò accontentarci di una coscienza molto l imitata. . . . (G. Bateson, “Verso un’Ecologia del la Mente”, Adelphi, 1992, pag. 446.)

Questo concetto di inconscio, visto come una necessità operativa del la mente , non coincide, se non parzialmente, con i l concetto di inconscio relativo ai vari processi mentali: nella teoria psicoanalit ica i l termine “inconscio” può significare:

1) un processo mentale non-cosciente , in maniera analoga alla formulazione di Bateson;

2) una rappresentazione, parte di personalità o pulsione rimossa perché inaccettata dal soggetto;

3) una modal ità di funzionamento del la mente caratterizzato da una logica diversa da quella propria dei processi mentali coscienti.

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Nella prima formulazione, che un processo mentale sia cosciente o no, non cambia né le rappresentazioni mentali coscienti, né i comportamenti conseguenti a quelle rappresentazioni: anzi , l ’essere cosciente dei processi mentali relativi al l ’azione, ad esempio di scrivere, sarebbe una bella complicazione, riguardo alle cose da tenere a mente per poter scrivere esprimendo dei contenuti. Sarebbe come chiedere ad un mil lepiedi con quale piede inizi a camminare: una storiel la Zen racconta che un mil lepiedi , nel tentativo di r ispondere a questa domanda, non r iuscì più a muoversi.

Nella seconda accezione , che una rappresentazione, una parte di personalità, una pulsione o un’emozione sia cosciente o no, può provocare enormi cambiamenti nell ’ intera personal ità dell ’ individuo perché “ essere inconsci” di certe rappresentazioni o contenuti, non significa sottrarsi al la loro azione: i l “rimosso” influisce sugli atti di vita quotidiana, condizionandone l ’andamento fino a produrre gravissime sindromi psicopatologiche 1 9 .

Nella terza accezione, l ’ inconscio è trattato come un sistema mentale caratterizzato da una logica diversa da quella ordinaria, governata dai principi di generalizzazione e di s immetria:

“ i l s istema inconscio tratta una cosa indiv iduale (persona, oggetto ,concetto) come se fosse un membro o elemento di un insieme o una classe che cont iene altr i membri; tratta questa c lasse come sottoclasse di una c lasse più generale e questa c lasse più generale come sottoclasse o sottoins ieme di una c lasse ancora più generale e cos ì v ia. . . . Nel la scelta d i c lasse e di c lassi sempre più ampie i l s istema inconscio preferisce quel le funzioni proposizional i che in un aspetto esprimono una general ità crescente ed in a ltr i conservano alcune caratterist iche part icolari del la cosa indiv iduale da cui sono part ite.(pr incip io d i general izzazione) . . . I l s istema inconscio tratta la relaz ione inversa di qualsias i re lazione come se fosse ident ica a l la relaz ione. In a ltre parole, tratta le relazioni as immetr iche come 19 Si veda S. Freud, “L’interpretazione dei Sogni”, 1899 ; Ed. It., Boringhieri, 1990 ; O. Fenichel, “Trattato di Psicoanalisi”, Astrolabio, 1951, ecc.

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se fossero simmetriche (pr incip io d i s immetria).” ( I . Matte Blanco, “L’ Inconscio come Ins iemi Infinit i” , Einaudi , 1981; pagg. 43-44.)

Questo significa che qualsiasi cosa venga esperita nella realtà viene significata per sé stessa dalla coscienza ma anche, dal Sistema Inconscio, per qualcos’altro. Ma costituisce anche formidabil i deviazioni dalla logica: per esempio, possiamo considerare la proposizione asimmetrica <<Gino è padre di Carla>> che, secondo la logica ordinaria, è costituita da due elementi che appartengono a due classi diverse messi in relazione da una funzione od una proprietà che caratterizza asimmetricamente, in modo univoco, la relazione tra di essi ; ma secondo i l s istema inconscio, Gino e Carla appartengono al la classe più generale degli individui appartenenti al la famiglia. Questo è vero anche secondo la logica ordinaria, ma mentre questa conserva le differenze tra gl i elementi delle classi (Gino è maschio, oltre ad essere padre; Carla è femmina, oltre ad essere figlia di Gino ), per il sistema inconscio gli elementi delle classi hanno identiche proprietà tra di essi e con la classe, perciò Gino e Carla, in quanto appartenenti al la classe “famiglia”, sono padre e figl ia (ma anche madre, sorella, nonno, ecc.) l ’uno del l ’altra, simmetricamente (Gino è padre di Carla, Carla è padre di Gino).

A questa modalità di funzionamento, primit iva e profonda, le emozioni sono caratterizzate da:

“. . . a) una general izzazione che parte dal le caratter ist iche concrete del l ’oggetto che suscita emozione ed arr iva ad un punto in cui quest’oggetto è v isto come in possesso di tutte le caratterist iche o propr ietà del la qual i tà ad esso attr ibui ta e che ogni oggetto invest ito d i questa qual ità potrebbe contenere od esprimere in un numero maggiore o minore; b) le caratter ist iche attr ibui te a l l ’oggetto sono supposte essere al loro massimo grado o grandezza; c) come conseguenza di a) e b) l ’oggetto v iene a rappresentare tutt i gl i oggett i s imi l i . . . . Quando e in quanto st iamo vedendo le cose in modo emozionale, ident ifichiamo l ’ individuo con la c lasse cui appartiene e, perciò, g l i attr ibuiamo tutte le potenzia l i tà comprese nel la funzione proposiz ionale o

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enunciato aperto che definisce la c lasse. . . . l ’emozione, in quanto emozione, non conosce indiv idui ma solo c lass i o funzioni proposizional i e perciò, confrontata con un indiv iduo, tende ad ident ificarlo con la c lasse cui appart iene (o con la funzione proposizionale ad esso appl icata) . ( I . Matte Blanco, Op. Ci t. , pagg. 269-270)

La qual cosa equivale a dire che i l funzionamento emozionale coincide col funzionamento del s istema inconscio ( Ivi , pag. 303) .

Un’att ività del Sistema Inconscio non integrata in una adeguata att ività mentale conscia, asimmetrica , può sfociare in veri e propri disturbi perché i due Principi di funzionamento del Sistema Inconscio sono , per definizione, confusivi . Dall ’altro versante, un’att ività mentale priva dell ’apporto emozionale proveniente dal Sistema Inconscio non sarebbe possibi le perché verrebbero meno le motivazioni al la stessa att ività

Le interazioni umane sono caratterizzate, quindi, da una quota, variabile da caso a caso, di processi e contenuti, in gran parte emotivi, che fanno parte della relazione ma che non possono essere esplic itati come tali dagli interlocutori. Questi processi e contenuti orientano i comportamenti e, quindi, gl i svi luppi dell ’ interazione, ma non possono essere discussi, negoziati, controllat i o discipl inati tramite regolamenti, a causa della propria natura inconscia. Quindi la definizione consapevole di parametri regolatori del gruppo, definit i informalmente tramite accordi mutevoli o formalmente tramite regolamenti scritti , non possono regolare l ’att ività inconscia dei Gruppi e delle Organizzazioni, ma questo non significa che essa non sia regolata in nessun modo.

4.1. Organizzazioni ed Istituzioni

La significazione emotiva che i l s istema inconscio dà agli elementi esperit i nella realtà si esprime tramite coinemi : “ . . . i s ignificati del simbol ismo onirico, presenti . . . in ogni

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manifestazione dell ’uomo, nel l inguaggio come in ogni altro prodotto del pensiero o dell ’azione, rappresentano un codice naturale, pre-segnico, inscritto filogeneticamente nell ’ inconscio del l ’uomo, le cui componenti elementari sono i coinemi: tal i coinemi sono le poche cose di cui parla l ’ inconscio, i l corpo erotico, le relazioni di parentela, la nascita e la morte.”20 .

Questa modalità di funzionamento del Sistema Inconscio fa sì che, parallelamente e/o internamente alle interazioni e significazioni coscienti, se ne verifichino altre, di natura inconscia, che possono influire sulle interazioni tra individui. Al l ’ interno dei fenomeni organizzativi e di gruppo, tale influenza si sedimenta nei fenomeni isti tuzionali:

“Per Ist i tuzione s i intende la configurazione fantasmatica con la quale v iene vissuto ed agito uno specifico rapporto socia le, e la modal i tà col lusiva con cui s i strutturano le relaz ioni , in base al le s imbol izzazioni affett ive reciproche dei d ifferent i partecipant i al rapporto stesso. La dinamica ist i tuz ionale interagisce con i l processo organizzat ivo, che rappresenta, di contro, la modal ità formale, ostensib i le del la relaz ione socia le, e che può essere descri tto tramite g l i obiett iv i , le strategie, le regole del g ioco che definiscono ruol i e funzioni , i s istemi normativ i , le modal ità d i comunicazione e di decis ione.”(R. Carl i , “Psicologia Cl in ica”, UTET, 1987, pag. 285)

La definizione dell ’ Ist ituzione data da Carl i è megl io specificata altrove:

“Intendo per col lus ione quel l ’ ins ieme del le s imbol izzazioni affett ive ( inconscie) , reciproche e/o complementar i che or ientano l ’agito ist i tuz ionale, non mediato dal pensiero, entro specifiche strutture organizzat ive mediate da un contesto dato. . . . la col lusione, in primo luogo, <<organizza>> la d inamica affett iva presente entro le strutture: entro le persone che in essa operano ed entro le relaz ioni che s i configurano tra ta l i persone in base ai ruol i e a l le funzioni. . . . In s intes i , s i può affermare che la

20 Il riferimento è alla teoria coinemica di F. Fornari, citato in R. Carli, “Psicologia Clinica”, UTET, 1987.

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dinamica col lusiva <<serve>> per fondare la stabi l i tà , la r ipet i t iv ità del le relaz ioni entro le organizzazioni , per regolarne i modi e le prat iche; <<serve>> per fondare affett ivamente i ruol i e le percezioni d i ruolo, quindi per r i tual izzare i conflitt i e garant irne i l contro l lo emozionale.”(R. Carl i , “Burnout, Col lusione e Contesto Socia le”; in G. Trombini , -a cura di - “Come Logora Curare”, Zanichel l i , 1994, pagg. 44-45.)

Si può dire, quindi, che l ’ ist ituzione, così come definita da Carl i , rappresenti la controparte inconscia, emotiva, dei parametri organizzativi finalizzati al la regolazione di interazioni che, altr imenti , sarebbero caotiche.

Tuttavia non si può concludere che ad un accordo ottenuto consensualmente e coscientemente ed idoneo a regolare i rapporti tra gl i individui che compongono i l gruppo o che interagiscono nell ’organizzazione ne debba corrispondere automaticamente uno inconscio, idoneo a regolare i rapporti emotivi tra gl i stessi : secondo i principi di funzionamento del s istema inconscio una stessa relazione è significata come identica al suo opposto ed identificata a l ivell i diversi di generalizzazione (Gino è padre di Carla ma anche Carla è padre di Gino; come appartenenti al la “classe dei membri della famiglia”, essi sono, inoltre, padre, madre, figl ia, figlio, nonno, ecc, l ’una dell ’altro; come appartenenti al la “classe del genere umano” essi sono identici a Giuseppe, Antonio, Lucia e Simona; ecc.) . Perciò una stessa interazione l inguist ica può essere significata emotivamente in maniera diversa da individuo ad individuo.

Perciò, affinché vi s ia anche una reciprocità emozionale corrispondente agli accordi definit i consensualmente e volt i a regolare l ’att ività organizzata, è necessario che le significazioni emotive date dagli individui al le interazioni siano “sistematizzate” in maniera simmetrica o complementare, ma questo non significa che si possa “costruire” un sistema che regoli le interazioni emotive: le sistematizzazioni sottostanti i Sistemi di Integrazione e di Complementarietà e relative aporie connesse individuate da Apel, non hanno ragione di esistere nel s istema inconscio in

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quanto in tale sistema ogni relazione viene significata come identica al suo inverso e perché ogni membro di una classe possiede le proprietà di tutta la classe a cui appartiene perdendo, nel contempo, le proprietà individuali che lo differenziano da tutt i gl i altr i individui; ma questo non significa che non ci s ia relazione tra le aporie di Apel ed i vissuti emotivi : i l Sistema Inconscio si manifesta nel l inguaggio ed in ogni interazione, perciò la valenza emotiva di una relazione, per un individuo coinvolto in una situazione aporetica, può rimanere “senza oggetto”, causando frustrazione e delusione. Inoltre ogni individuo, per i l Sistema Inconscio, può appartenere ad un numero infinito di classi , perciò non è possibi le delimitare, preventivamente, i l ruolo o le funzioni emotive che un individuo andrà ad espletare in una determinata interazione: pensare di progettare una att ività od una Organizzazione inconscia costituisce una contraddizione in termini. I l parametro regolatorio inconscio del le relazioni social i , i l parametro ist ituzionale, è un parametro inconscio che si autodefinisce inconsciamente .

Carl i , e R. M. Paniccia 2 1 , c lassificano le ist ituzioni in:

a) Isti tuzione duale, che r iproduce fantasmaticamente la relazione e le dinamiche che interessano la madre ed i l bambino. Essa è caratterizzata dalla autosimbolizzazione a “bambino”, operata da componenti interne all ’organizzazione, corrispondente al la simbolizzazione dell ’ ist ituzione a “seno che nutre”; possono, quindi, verificarsi scissioni al l ’ interno del le stesse rappresentazioni, vissute come gratificanti o frustranti (cfr. paragrafo 1.2). I vissuti emotivi inconsci di dipendenza sono totali ed i relativi agìti sono coerenti con tal i vissuti: totale deresponsabil izzazione e dipendenza dei “bambini” nei confronti della ist ituzione “seno che nutre” e conseguente attr ibuzione, ad essa, di una abnorme ed onnipotente

21 R. Carli e R. M. Paniccia, “Psicosociologia delle organizzazioni e delle Istituzioni”, Il Mulino, 1981.

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capacità di soddisfare qualsiasi bisogno ed in qualsiasi momento.

All ’ interno del le Organizzazioni regolate da tale parametro ist ituzionale, le frustrazioni derivanti dalle normali ed inevitabil i di lazioni e l imitazioni presenti in qualsiasi organizzazione, producono vissuti emotivi e relative simbolizzazioni che identificano l’ ist ituzione come “seno catt ivo”; essa viene quindi scissa dalla simbolizzazione a “seno buono” ed inevitabilmente vissuta come persecutoria per via delle proiezioni cariche di aggressività di cui è divenuta oggetto a causa delle frustrazioni non tol lerate: le comunicazioni possono così essere inficiate e fagocitate da tal i vissuti, trasformando i tentativi di regolazione organizzativa e le varie relazioni lavorative, soprattutto fra settori interdipendenti , in vissuti sotterranei connotati da attacchi sadici e distrutt ivi nei confronti del settore da cui s i dipende per ragioni organizzative. I l “seno cattivo” equivale, per i l Sistema Inconscio, ad un “seno che t iene i l latte per sé”, perciò una fantasia t ipica, soventemente r iscontrabile al l ’ interno delle cooperative in momenti di di lazioni dei pagamenti dovute a varie ragioni contigenti ma, in definit iva, sempre dall ’assenza di denaro, è quella relativa ad una isti tuzione vissuta come seno/madre cattiva. Una frase t ipica, in questi contesti è: “i soldi ci sono, ma non ci pagano”.

b) Ist ituzione tr iadica , che r iproduce fantasmaticamente la relazione e le dinamiche che riguardano i l bambino e la coppia genitoriale; una relazione “a tre” che ne include due: una tra i due genitori, l ’altra tra i l bambino e la coppia. La prima esclude la partecipazione del bambino per i l fatto che le funzioni esercitate dai genitori, tra le quali quelle sessuali e r iproduttive, non possono essere esercitate dal bambino perché immaturo od inadeguato a farlo. I l bambino è quindi escluso da funzioni che i genitori svolgono tra di loro e con altri adulti per motivi validi, fondati su elementi di realtà e di consapevolezza che possono, però, essere

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negati dal bambino i l quale può scindere la coppia genitoriale in una imago “buona”, che intrattiene e divide relazioni con lui, ed un’altra “catt iva”, che lo esclude. In ambito organizzativo i vissuti emotivi r iconducibil i a tale simbolizzazione emotiva possono essere “parallel i” a strutturazioni organizzative che prevedano settori normalmente preposti a svolgere certe funzioni e, corrispondentemente, altri settori esclusi dai processi decisionali o produttivi inerenti quel le funzioni . A questo assetto polit ico-organizzativo può corrispondere un vissuto emozionale che, sulla base della negazione dei motivi, delle regole o del le procedure sottostanti lo stesso assetto, può identificare i l settore organizzativo preposto ad assumere certe decisioni ed a svolgere alcune funzioni come una coppia genitoriale. Tale identificazione e correlato vissuto emotivo, comporta, di necessità, una auto-simbol izzazione inconscia a “bambino” del l ’ individuo o settore escluso da quei ruol i e quel le funzioni . Si creano così vissuti persecutori sia da parte del “bambino” verso la “coppia genitoriale” che esclude da certi processi produttivi o decisionali , che da parte della “coppia genitoriale”, che si vede pressata dalle r ichieste, dalle proteste ingiustificate e dalle intrusioni del “bambino”. I cambiamenti prospettati e le decisioni prese dalle gerarchie o da settori preposti a farlo, nell ’ambito del l ’ ist ituzione tr iadica, vengono vissuti , dai “bambini”, come “arbitr i i” , posizioni di comodo prese da chi “fa i fatt i propri” o “bada solo a sé”, nonostante la l iceità e la razionalità degl i att i in questione; a questa significazione emotiva operata dal la parte “bambina” corrispondono spesso vissuti di estrema soli tudine, stanchezza e forte incertezza e rabbia da parte di chi s i identifica e/o viene identificato come “coppia genitoriale”, che vede attaccata dai “bambini” la propria produttività, generatività e legitt imità di posizione organizzativa.

Le autosimbolizzazioni a “bambino” comportano, automaticamente, la reiezione delle parti e funzioni “adulte” che l’organizzazione esige per adempiere ai propri scopi

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produttivi , perciò i comportamenti conseguenti a tale reiezione sono caratterizzati da mancata assunzione di responsabil i tà inerenti al proprio ruolo, omissione di att i e decisioni concomitanti, eccetera. Gli individui od i settori simbolizzati a “coppia genitoriale”, in genere individui o settori con funzioni dirigenzial i e/o di leadership, vengono tenuti ai margini e vissuti come persecutori i dai “bambini” quando esprimono r ichieste e posizioni che possono essere ri ferite ai ruoli ed al le funzioni reiette ma normali ed ovvie per la vita organizzativa. Molte volte tal i dinamiche si risolvono in agìti sotterranei, segreti, che escludono i soggetti organizzativi s imbolizzati come “adulti” dalle relazioni, dalle comunicazioni e relative conclusioni e decisioni prese dai “bambini”, o viceversa.

c) Isti tuzione tetradica, che riproduce fantasmaticamente la relazione e le dinamiche tra i fratell i e la coppia genitoriale; una relazione “a quattro” che ne include tre: tra fratell i , fra fratel l i (o gruppi di fratel l i) e fra questi e la coppia genitoriale. Le relazioni sono quindi connotate in base alle caratterist iche che contraddistinguono i singoli “fratell i”, dai loro legami di “appartenenza” a gruppi caratterizzati omogeneamente sul la base di tal i qualità caratteristiche, e dal le interazioni tra queste qual ità, i sentimenti di appartenenza a gruppi in possesso di tal i caratterist iche, e la “coppia genitoriale”, che in questo genere di ist ituzione sembra avere un ruolo più marginale, essere un oggetto di “conquista”, da cui essere ammirati o preferit i . I conflitti assumono, quindi , una coloritura “ideologica” e conservano una certa pertinenza con problematiche che interessano l’organizzazione; le relazioni fra i gruppi o gl i individui contrapposti sono connotati in termini di rivali tà, piuttosto che di scissione, quindi possono presentare l ivell i di funzionamento piuttosto elevati ; tuttavia possono anche presentarsi come contrapposizioni inconcil iabil i , dando origine a disfunzionamenti abbastanza problematici per

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l ’organizzazione, quando, per ragioni organizzative, i gruppi dei “fratel l i” rivali devono interagire tra di loro.

Nel momento in cui i vissuti emotivi sottostanti le rappresentazioni delle isti tuzioni sono esperit i , vengono agit i , conformemente al le proprietà del le emozioni, al loro massimo grado, in modo tale che ogni polo della relazione sia vissuto come “infinitamente” catt ivo o buono. Di conseguenza può r isultare estremamente arduo, soprattutto negli agìt i r i feribi l i al l ’ ist ituzione duale o tr iadica, discutere o negoziare sui problemi r iguardanti l ’organizzazione. Ciò accade perché la autosimbolizzazione inconscia a “neonato” e/o “bambino” esclude la verifica autonoma delle proprie fantasie e, quindi , l ’assunzione di responsabil i tà r iguardo ai processi organizzativi che causano frustrazione; d’altra parte, una autosimbolizzazione ad essa complementare, a “genitore-seno che nutre” e/o “coppia genitoriale” e relativi agìt i col lusivi non fa che perpetuare i l disfunzionamento e peggiorare le relazioni tra i componenti della organizzazione.

Queste situazioni possono connotare le azioni finalizzate a r isolvere problemi organizzativi con coloriture pessimistiche, depressive o francamente aggressive, potendo sfociare in “acting-out”, quando l ’emozione sottostante i l comportamento disfunzionale, pur pressando i l soggetto che la vive, non può essere r iconosciuta come appartenente ad un organizzazione mentale primit iva per mancanza di contesti terapeutici o formazione adeguata. In questi casi ai disfunzionamenti organizzativi s i aggiungono i fal l imenti dei responsabil i , dei dirigenti e degli altri lavoratori , messi in scacco da emozioni , legami ed affetti incompatibi l i con possibi l i soluzioni , assunzioni di ruolo ed espletamenti di funzioni; essi devono quindi difendere la propria immagine e dignità, rendendo ancora più diffici le la soluzione del le problematiche organizzative.

Una possibi le spiegazione di tal i dinamiche ist ituzional i patologiche può derivare dal fatto che in ambiti gruppal i ed

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organizzativi , oltre ad i parametri regolatori e le caratterist iche individual i , sono presenti , inevitabilmente, parametri regolatori e qualità appartenenti al Gruppo e/o al l ’Organizzazione. Questi ult imi parametri si definiscono nella mente degli individui attraverso le singole interazioni, che veicolano sia istanze individuali che gruppal i ed organizzative, insieme alla necessità di regolarle. Ogni interazione così definita introduce inevitabilmente, nel piano di realtà normalmente identificato da un individuo, altri piani appartenenti agli altr i individui, al gruppo ed alla organizzazione; ciò comporta una crescita del materiale che l’ individuo deve elaborare onde potersi regolare, perciò la correlata possibi l ità di autosimbolizzazioni emotive della relazione tra Sé e l ’att ività produttiva organizzata assimilata, dal Sistema Inconscio, a quel la esistente tra i l neonato e la madre, tra i l bambino e la coppia genitoriale, tra i fratel l i e la coppia genitoriale.

Si può, inoltre, ipotizzare che tal i simbolizzazioni siano una funzione della maturità emotiva degli individui interessati e/o della propria capacità di elaborazione asimmetrica dei dati di realtà; elementi che, in ogni caso, non possono che avere un valore relativo, essendo la maturità emotiva e la capacità di elaborazione asimmetrica dei dati di realtà sempre r iferit i a specifiche situazioni e competenze: ogni individuo è, sempre, relativamente maturo e competente, perciò i l metodo psicosociologico proposto da Carl i e Carl i e Paniccia 2 2 non può prescindere dai contesti in cui s i presentano i disfunzionamenti né può concludersi in maniera definit iva: attraverso tale genere di intervento psicosociale non si acquisiscono nozioni ma un metodo, della sospensione dell ’agìto col lusivo, che porta al riconoscimento di inadeguatezza delle proprie simbolizzazioni emotive ed al la conseguente estrazione di asimmetria dall ’ inconscio simmetrico , cosa che comporta sia una maturazione emotiva che una crescita del la autonomia

22 Opp. Citt.

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individuale e della capacità di elaborazione asimmetrica dei dati di realtà, del la capacità di pensiero. Essendo i l parametro ist ituzionale, l ’agìto collusivo, una interazione sociale svolta da almeno due persone, la sospensione dell ’agìto col lusivo non può che realizzarsi “da sol i”.

Le “aporie sistemiche” e i l “ fal l imento della collusione” si r isolvono a partire dal la medesima regola, “da solo”. Perciò si può dire che , in ambito Gruppale ed Organizzativo, i l massimo del la integrazione, del funzionamento d’insieme, si ott iene con i l massimo della differenziazione degli individui che ne fanno parte: gl i individui lavorano e stanno bene “insieme” quando sono in grado di lavorare e stare bene “da soli”.

5.Epilogo

Tuttavia, gl i interventi psicosocial i volt i a porre r imedio a disfunzioni organizzative sono, specialmente per le Piccole e Medie Imprese, diffici l i da effettuare e parecchi costosi; inoltre sono raramente reperibi l i le équipes in grado di svi lupparl i . Per questi motivi, probabilmente r isulta più praticabi le la prevenzione di tal i disfunzionamenti , da attuarsi in ambito formativo.

Nello specifico delle Aziende Cooperative, occorre, tuttavia, tener conto della sostanziale differenza fra questo t ipo di azienda ed altre, di diverso statuto giuridico-formale: soprattutto nelle Cooperative piccole e medie, aporie sistemiche ed agìt i col lusivi possono facilmente travestirsi da progetti pseudo-pol it ici e portare, a volte, a rapidi e repentini mutamenti dell ’assetto polit ico-ist ituzionale seguiti da altrettanto rapidi fal l imenti degl i stessi.

In presenza di malafede ed in ragione della relativa faci l ità con cui s i possono produrre repentini mutamenti pseudo-poli tici nei vert ic i organizzativi , le Cooperative possono diventare anche terreno di conquista di avventurieri senza scrupoli , che nulla hanno a che fare con la “Mission”,

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gli obiett ivi, gl i ideal i , la logica ed i principi che connotano le cooperative, come formula organizzativa e pol it ica, e le loro specifiche finalità produttive.

È quindi necessaria, in questo t ipo di aziende che offrono maggiori possibi l ità di real izzazione e di individuazione pol it ica delle persone che ne fanno parte, oltre che minore dipendenza ed alienazione r ispetto ad altre forme organizzative, una formazione che miri ad ottenere una maggiore maturità polit ica ed emotiva, un superiore senso del col lettivo, fondato sul reciproco r iconoscimento delle caratterist iche e delle istanze degl i individui che lo costituiscono.

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R i n g r a z i a m e n t i

D i R e m o B a r b i

Ringrazio tanto la Coop. “Questa Città” per questa riflessione. Dovevo cavarmela subito con un intervento di saluto, mi vedo invece in un certo senso costretto a seguire i l dibatt ito, anche se lo faccio con interesse, su tematiche che hanno spaziato molto, nei primi interventi: abbiamo avuto un orizzonte un po’ planetario del la solidarietà e del concetto di sol idarietà, anche all ’ interno del la global izzazione economica del nostro pianeta. Questi interventi mettevano in evidenza, però, la possibi l ità che i l “locale” e quindi i l terr itorio, possa contribuire al superamento di un model lo che, ovviamente, crea diseguagl ianze e crea la povertà. Così come la dimensione più etica, se volete, ma certamente più sensibi le a quel la che è la dimensione umana della centrali tà dell ’uomo e dei suoi bisogni che metteva in luce don Cesare Lodeserto, ma anche, in un certo senso con una passione diversa, anche l’assessore Occhiofino.

Poi siamo andati anche un po’ più sul concreto, sul pratico e sul la necessità di dare gambe a una serie di progettuali tà, che pure ci sono e che io ho appreso con attenzione; ho seguito anche i progetti che dal le scuole vengono avanti su questo tema. Devo dire, per stare anch’ io nei tempi molto stretti di un saluto e di una breve considerazione, che proprio dalle scuole, credo, ci dobbiamo aspettare di più. Quando nel tema del convegno, forse se ne è parlato poco, ma quando si parla di creatività e di innovazione, credo che si parla del lavoro, del lavoro del futuro: i l lavoro del futuro non è più i l lavoro al quale siamo stati abituati e siamo abituati ancora ad oggi a pensare. Pensiamo al manufatturiero, pensiamo a tutto i l lavoro, Sindaco della Città di Gravina.

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Ringraziamenti

anche quello degl i uffici, se volete, lavoro che cambia anche con molta rapidità; lavoro che ha bisogno di un’organizzazione diversa, che ha bisogno di creatività, appunto, di conoscenze, di formazione.

Abbiamo dei r itardi che sono notevol i e che impediscono di fatto che i l settore dei servizi al le persone, che è un settore in forte espansione perché i l grado di benessere raggiunto dalla nostra società consente oggi di pensare di più anche ai servizi al la persona e di pensare in un’ott ica diversa: non più gl i interventi del solo Pubbl ico che, appunto, pianifica i l suo intervento e interviene, magari anche male, con un’organizzazione al lavoro spesso non adeguata, non flessibi le, che non guarda al l ’efficacia dell ’ intervento ma, più che altro, al l ’ intervento “basta che si fa”, quindi con un ruolo del Pubblico che diventa sempre più un ruolo di sussidiarietà e che lascia invece lo spazio di gestione di questo t ipo di interventi al le cooperative, appunto, al le cooperative social i , eccetera.

Quello che io r itengo è che la Scuola abbia un ruolo fondamentale per costruire i l futuro, ma non sempre nella Scuola la creatività viene valorizzata. Anche l i ’ dobbiamo abituarci a cambiare: queste nuove esperienze che vengono fatte e ci insegnano che si può, a partire dalla Scuola, cominciare a tradurre una serie di concetti che, magari , possono essere concetti che si pensa si real izzeranno con la maturità. Quindi al la Scuola come un processo di introduzione del le innovazioni: ormai abbiamo visto che in tutte le scuole ci sono i computer, c’è Internet; quindi la Scuola r iesce a realizzare con i ragazzi esperienze, a t irar fuori la creatività che è in loro. Andando oltre, dirò che ho avuto incontri anche con le scuole superiori, in particolare con l’ IPSIA, con l’ ITC, e anche l i ’ ho un po’ sfidato i ragazzi, una sfida in senso buono.

Proprio quei ragazzi che mi avevano invitato e avevano invitato anche gl i insegnanti per parlare del disagio giovanile, dell ’alcoolismo, delle deviazioni, ecc., mi hanno chiesto perché non provare, magari con l ’ausil io delle

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Cooperazione e tessuto sociale

cooperative come “Questa Città” o “I l Sipario”, che hanno dato tantissima disponibil ità per questo, a costruire al l ’ interno della Scuola un’impresa, un’impresa sociale, virtuale, con l’ausil io di esperti esterni , per cominciare a costruire questi laboratori nelle scuole, che possano poi trovare un radicamento anche sul terr itorio.

A questo proposito noi st iamo realizzando un progetto nazionale, finanziato da un Centro di Ascolto, che andrà a formare operatori di strada e credo che possa essere uti le formare dei giovani che hanno quest’ impegno all ’ interno della Scuola; credo, inoltre, che l ’efficacia del risultato sia molto più forte se è un giovane a contattare un altro giovane. Certo, non bisogna improvvisare su queste cose: ogni operatore va formato ed i l Pubblico può intervenire con interventi e sistemi formativi, senz’altro di sostegno a questi progetti .

Nell ’ambito del l ’Europa, del le iniziative europee, ho ricevuto ieri una delegazione, e stamattina c’era un seminario: s iamo impegnati, come Amministrazione Comunale, in un progetto che si chiama “Parabus”, che è un progetto finanziato dalla Comunità Europea, nel quale abbiamo cercato di coinvolgere le realtà locali che operano nel sociale, con le quali noi s iamo partner nella Leadership del progetto, che è di un comune spagnolo.

Questo progetto era partito dallo specifico della mobil i tà e del trasporto dei portatori di handicap, ma si sta model lando sulla base di una serie di esperienze. Questo è i l terzo seminario che facciamo; ne abbiamo fatto uno in Svezia e ce ne sarà uno conclusivo in Spagna. Sulla base dell ’esperienza di questi paesi s i sta modellando e sta venendo fuori la necessità di mettere in relazione, in rete, questo mondo sociale e la formazione.

È un progetto che alla fine porterà al la costituzione di 30 imprese in questo settore e queste esperienze diventeranno poi anche crescita culturale, crescita formativa, modell i da esportare, da adattare al le singole realtà, proprio perché costruit i insieme. Credo che queste esperienze siano i l

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Ringraziamenti

metodo per cercare di cambiare quel la che altr imenti può realmente diventare la visione drammatica del mondo evidenziata da I . Spano.; io cerco di pensare un po’ più posit ivo, nel senso che vedo i l bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto, non perché quanto diceva Spano non abbia fondamento, ma ritengo che si debba modificare la realtà, far capire quei concetti di centralità espressi nel corso del convegno, del lavoro creativo, del la necessità di soddisfare bisogni real i e non indotti molto spesso dalla pubblic ità o da quant’altro, per costruire una società in cui ci siano valori che diventano i l fine dell ’esistenza, della vita di un uomo.

Per cui l ’augurio che faccio, r ingraziando tutt i gl i intervenuti, in particolare anche “Questa Città “, è che ciascuno, nel ruolo che ha e con molta umiltà, cercando di ascoltare e di capire che cosa accade, possa contribuire a dare una “raddrizzata” a una società che diversamente diventa la società dei consumi, la società del capital ismo più materiale, che alla fine però non dà niente se non appunto, nel migl iore dei casi, una casa di proprietà che, al la fine, non rappresenta null ’altro che un “mucchio di mattoni” perché, come si usa dalle nostre parti , s i sacrifica tutto della propria esistenza per essa.

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Si ringraziano: Armida Squeo, Pasquina Colonna Rosa Cilifrese per la preziosa collaborazione

Edizioni Campo dei Miracoli

Finito di stampare i l22 Dicembre 2001

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