PREFAZIONE - All’Insegna del Giglio

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8 PREFAZIONE La XIII Summer School in Archaeology dell’Università di Siena dal titolo, Aerial Archaeology Research School realizzata nel maggio 2001 fu caratterizzata da un particolare entusiasmo. La legge che dal 1939 regolava le attività di ripresa aerofotografica sul territorio italiano impedendo di fatto lo sviluppo della pratica della ricognizione aerea a fini archeologici era appena stata abrogata. Finalmente insieme a giovani archeologi italiani potevamo decollare, legalmente, ed esplorare e documentare la penisola. Sulla base dell’esperienza maturata da generazioni di archeologi aerei centro e nord europei abbiamo provato l’emozione di aprire improvvisamente una porta sigillata più di sessant’anni prima. Nei decenni successivi al 1939 lo studio delle evidenze aeree in Italia ha raggiunto alti livelli qualitativi attraverso il lavoro di specialisti in Università e Istituti tra i quali non possiamo non ricordare l’Aerofototeca Nazionale, l’Istituto Geografico Militare e il CNR di Lecce. Le tematiche e le applicazioni di questa lunga esperienza di studi sono state recentemente illustrate a Roma nella prima- vera 2003 in una meravigliosa mostra e nella relativa pubblicazione dal titolo Lo sguardo di Icaro entrambe curate dal Professore Marcello Guaitoli. Una caratteristica peculiare degli studi aerofotografici italiani consiste nel- l’uso pressoché esclusivo di fotografie verticali, il più delle volte acquisite a fini non archeologici. In più di cinquant’anni di intensa attività di ricerca gli archivi di fotografie aeree verticali hanno acquisto un valore inestimabile. Attualmente costituiscono una risorsa imprescindibile per l’interpretazione e la documenta- zione dell’archeologia italiana conservando senza soluzione di continuità tracce di testimonianze dalla preistoria fino alle radicali trasformazioni del territorio degli ultimi decenni. Praticamente assente nell’esperienza italiana è la ricognizione aerea condotta direttamente da archeologi utilizzando aeroplani da turismo al fine di documentare emergenze tramite la fotografia aerea obliqua. Questa metodologia ha permesso agli archeologi di molti paesi europei di individuare e di fotografare, in contesti territoriali idonei e al momento giusto dell’anno, innumerevoli siti spesso visi- bili solo dall’alto. Superata la legislazione del 1939 anche gli archeologi italiani dispongono dell’opportunità di utilizzare questa metodologia di ricerca di cui è ben nota l’efficacia. Nella Parte I del volume In volo nel passato, Chris Musson espone i concetti di base, le metodologie e le applicazioni della ricognizione aerea esplorativa. In molti paesi questa tecnica di indagine ha contribuito in modo decisivo alla cono- scenza del passato, aiutando a mettere in comunicazione il dato archeologico e la storia con il grande pubblico e costituendo inoltre un elemento di sensibilizza- zione per la conservazione delle evidenze e dei paesaggi archeologici sempre più minacciati dalle attività edilizie, industriali e agricole. Le conclusioni del ‘dialogo’ tra l’archeologo aereo e il paesaggio sottostante sono conservate nelle stampe, nelle diapositive e nelle immagini digitali acquisite e archiviate dall’archeologo. Comunque un archivio di centinaia o di migliaia di immagini ha poco valore se le informazioni in esso contenute non sono estrapolate attraverso il processo di interpretazione e di restituzione cartografica e ancora se la documentazione non viene organizzata in modo da renderle accessibili le informazioni a tutti i potenziali interessati. A questi argomenti è dedicata la Parte II del volume, Documentare il pas- sato, redatta da Rog Palmer. Fino a pochi anni fa’ la restituzione cartografica da fotografie aeree oblique comportava grossi problemi di accuratezza metrica. Lo sviluppo negli ultimi due decenni di software dedicati consente ora di svolgere queste operazioni con semplicità, efficienza e a costi ridotti tramite l’impiego di

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PREFAZIONE

La XIII Summer School in Archaeology dell’Università di Siena dal titolo, Aerial Archaeology Research School realizzata nel maggio 2001 fu caratterizzata da un particolare entusiasmo. La legge che dal 1939 regolava le attività di ripresa aerofotografica sul territorio italiano impedendo di fatto lo sviluppo della pratica della ricognizione aerea a fini archeologici era appena stata abrogata. Finalmente insieme a giovani archeologi italiani potevamo decollare, legalmente, ed esplorare e documentare la penisola. Sulla base dell’esperienza maturata da generazioni di archeologi aerei centro e nord europei abbiamo provato l’emozione di aprire improvvisamente una porta sigillata più di sessant’anni prima.

Nei decenni successivi al 1939 lo studio delle evidenze aeree in Italia ha raggiunto alti livelli qualitativi attraverso il lavoro di specialisti in Università e Istituti tra i quali non possiamo non ricordare l’Aerofototeca Nazionale, l’Istituto Geografico Militare e il CNR di Lecce. Le tematiche e le applicazioni di questa lunga esperienza di studi sono state recentemente illustrate a Roma nella prima-vera 2003 in una meravigliosa mostra e nella relativa pubblicazione dal titolo Lo sguardo di Icaro entrambe curate dal Professore Marcello Guaitoli.

Una caratteristica peculiare degli studi aerofotografici italiani consiste nel-l’uso pressoché esclusivo di fotografie verticali, il più delle volte acquisite a fini non archeologici. In più di cinquant’anni di intensa attività di ricerca gli archivi di fotografie aeree verticali hanno acquisto un valore inestimabile. Attualmente costituiscono una risorsa imprescindibile per l’interpretazione e la documenta-zione dell’archeologia italiana conservando senza soluzione di continuità tracce di testimonianze dalla preistoria fino alle radicali trasformazioni del territorio degli ultimi decenni.

Praticamente assente nell’esperienza italiana è la ricognizione aerea condotta direttamente da archeologi utilizzando aeroplani da turismo al fine di documentare emergenze tramite la fotografia aerea obliqua. Questa metodologia ha permesso agli archeologi di molti paesi europei di individuare e di fotografare, in contesti territoriali idonei e al momento giusto dell’anno, innumerevoli siti spesso visi-bili solo dall’alto. Superata la legislazione del 1939 anche gli archeologi italiani dispongono dell’opportunità di utilizzare questa metodologia di ricerca di cui è ben nota l’efficacia.

Nella Parte I del volume In volo nel passato, Chris Musson espone i concetti di base, le metodologie e le applicazioni della ricognizione aerea esplorativa. In molti paesi questa tecnica di indagine ha contribuito in modo decisivo alla cono-scenza del passato, aiutando a mettere in comunicazione il dato archeologico e la storia con il grande pubblico e costituendo inoltre un elemento di sensibilizza-zione per la conservazione delle evidenze e dei paesaggi archeologici sempre più minacciati dalle attività edilizie, industriali e agricole.

Le conclusioni del ‘dialogo’ tra l’archeologo aereo e il paesaggio sottostante sono conservate nelle stampe, nelle diapositive e nelle immagini digitali acquisite e archiviate dall’archeologo. Comunque un archivio di centinaia o di migliaia di immagini ha poco valore se le informazioni in esso contenute non sono estrapolate attraverso il processo di interpretazione e di restituzione cartografica e ancora se la documentazione non viene organizzata in modo da renderle accessibili le informazioni a tutti i potenziali interessati.

A questi argomenti è dedicata la Parte II del volume, Documentare il pas-sato, redatta da Rog Palmer. Fino a pochi anni fa’ la restituzione cartografica da fotografie aeree oblique comportava grossi problemi di accuratezza metrica. Lo sviluppo negli ultimi due decenni di software dedicati consente ora di svolgere queste operazioni con semplicità, efficienza e a costi ridotti tramite l’impiego di

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comuni scanner da tavolo e personal computer. Attualmente le informazioni aeree acquisite sia nell’ambito di progetti ormai terminati sia in corso costituiscono una fonte perfettamente integrabile nel record archeologico. La seconda parte del volume si sofferma infine sull’utilità di far dialogare la fotografia aerea con altre fonti. A tale proposito Palmer insiste su come la simbiosi tra evidenza aerea e altri dati telerilevati, ricognizioni di superficie, scavi archeologici e fonti documentarie aumenta notevolmente le capacità dell’archeologo nella lettura delle dinamiche insediative e produttive di un territorio.

La Parte III del volume intitolata, Fotografare i segni del passato, di Chris Musson e Stefano Campana, raccoglie esempi italiani allo scopo di illustrare usi e metodi della ricognizione aerea e della fotografia obliqua. La raccolta di fotografie proposta in questa sezione rappresenta solo una piccola anticipazione. Gli autori credono infatti questo libro sarà presto rimpiazzato o ripubblicato in un’edizione aggiornata nella quale presentare i nuovi risultati conseguiti dagli archeologi italiani nell’esplorazione e nella restituzione cartografica delle evidenze del passato. Riteniamo che col tempo questa metodologia aprirà in Italia, come è avvenuto in altre parti d’Europa, nuove prospettive, arricchendo i metodi da tempo affermati per l’esplorazione e interpretazione archeologica dei paesaggi.

Nella Parte IV del volume, In volo nel futuro, Stefano Campana presenta la Scuola e il Workshop tenutisi a Siena nella primavera del 2001. Gli atti del convegno, durato tre giorni, al quale hanno partecipato più di 30 specialisti sono stati selezionati al fine di presentare, in forma aggiornata, solo gli interventi rivolti a discutere le nuove metodologie di telerilevamento che saranno protagoniste degli anni a venire.

Il volume si conclude con appendice tecnica e la bibliografia di riferimento per coloro che volessero approfondire gli argomenti trattati.

Robert BewleyEnglish Heritage, Regno Unito

aprile 2005

Dr. Robert Bewley e studenti della Scuola di Siena, maggio 2001

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RINGRAZIAMENTI

La realizzazione del presente volume non sarebbe stata possibile senza il continuo aiuto di amici, colleghi e sponsor, troppo numerosi per essere nominati in questa sede. Ci sentiamo anzitutto in debito con i piloti delle scuole di Siena e Foggia: Otto Braasch, Klaus Leidorf, Mick Webb, Luigi Fruggiero, Massimiliano di Peco e Lui-gi Catalano (gli ultimi tre soci dell’Aero Club di Foggia). Un ringraziamento particolare è rivolto all’infaticabile Presidente Pietro Banci e ai piloti dell’Aero Club di Fi-renze per la disponibilità e l’appassionata partecipazione al Progetto di Ricognizione Aerea della Regione Toscana promosso e coordinato dall’Area di Archeologia Me-dievale dell’Università di Siena a Grosseto (Laboratorio Archeologia dei Paesaggi e Telerilevamento – LAP&T).

Le scuole di archeologia aerea di Siena (2001) e di Foggia (2003) non sarebbero state possibili senza l’aiuto dell’ENAC (Ente Nazionale Aviazione Civile) e dell’associazione internazionale Aerial Archaeology Research Group (AARG) con i suoi membri che hanno partecipato come docenti: Cinzia Bacilieri, Bob Bewley, Michael Doneus, Martin Gojda, Damian Grady, Darja Grosman, Pete Horne, Francesca Radliffe, Cathy Stoertz e Helen Winton.

I finanziamenti per le scuole e per le ricognizioni svolte in varie parti d’Italia sono stati elargiti dall’Unione Europea, dalla fondazione Monte dei Paschi di Siena, dalla British Academy, dall’Association for Cultural Exchange e da AARG. Generosi contributi finanziari sono stati offerti dalla regione Puglia e da numerosi altri enti locali e regionali raccolti attraverso l’operato del Professor Giuliano Volpe e dell’Università di Foggia. La scuola di Siena e il workshop specialistico sono stati realizzati nell’ambito del programma Cultura 2000 della Commissione Europea promosso da English Heritage, dalle Università di Siena e Vienna e dal Museo di Brande-burgo. La pubblicazione del presente volume è stata resa possibile dal contributo del CNR (International School in Archeology), dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena (Progetto Archeologia dei Paesaggi Medievali), dall’As-sociation for Cultural Exchange (UK) e da AARG.

Un ringraziamento particolare è rivolto ai molti professionisti per il continuo supporto e i preziosi sugge-rimenti, in modo particolare a Paul Athur, il defunto Phi-lip Barker, Mauro Campana , Giuseppe Ceraudo, Toby Driver, Cristina Felici, Riccardo Francovich, Francesco Bonci (Hotel Le Logge – Rosia), l’amico Signor Rossi (BP – Aeroporto di Ampugnano), Roberto Goffredo, Francesco Pericci, Valentino Romano, Piero Spagna, Giuliano Volpe e Rowan Whimster.

Un ruolo fondamentale per la struttura e l’articola-zione dei contenuti del volume è stato svolto dall’amico e collega Bob Bewley. Le illustrazioni sono state fornite da docenti e studenti delle scuole di Siena e Foggia, dalle Università di Cambridge e di Siena (Università di Siena a Grosseto), English Heritage, Royal Commission in Galles, Clwyd-Powys Archaeological Trust, Klaus Leidorf, dagli autori e altri ancora. Le fotografie aeree del territorio italiano degli anni Ottanta provengono dagli archivi di Otto Braasch e dell’amico, oggi defun-to, Derrick Riley. Per l’elenco completo degli autori delle figure del volume si rimanda all’Appendice C. Le scansioni sono state realizzate sia dagli autori sia da specialisti. Tra questi ultimi ricordiamo il lavoro finanziato da AARG di Andrew Jackson (ACTPix – Rha-yader, Galles) al quale sono da attribuire le scansioni della Parte 3 e l’elaborazione per la stampa di tutte le immagini del volume.

I lavori di restituzione grafica delle fotografie aeree descritti nella Parte II sono ispirati alle intuizioni di John Hampton dell’unità di fotografia aerea della Royal Commission on the Historical Monuments of England (oggi parte di English Heritage). In tempi recenti gli strumenti informatici per la rettifica delle fotografie aeree e la restituzione grafica sono stati sviluppati dal ricercatore Dr. Irwin Scollar. Il risultato del lavoro di Scollar presso le Università di Bonn e Cologna consiste nel software AirPhoto ampiamente illustrato nel pre-sente volume. Il programma AERIAL è stato scritto da John Haigh dell’Università di Bradford ed è utilizzato da svariati enti governativi nel Regno Unito.

L’arduo compito della traduzione del testo origi-nale inglese è stato svolto con grande perseveranza da Cinzia Bacilieri e Stefano Campana. Il presente volume giunge alla fase di pubblicazione attraverso la scrupo-losa attenzione ai dettagli e alla qualità che da decenni contraddistingue l’attività delle edizioni dell’Insegna del Giglio di Firenze.

Naturalmente la responsabilità di errori e di omissioni sono solo da attribuire agli autori. È nostra speranza che le imprecisioni non siano proporzionali alla quantità di tempo sottratta ad amici e famiglie per la realizzazione del volume.

In fine, diciamo qui addio per sempre a BB e ML senza i quali questo libro non avrebbe mai visto la nascita.

Chris Musson, Rog Palmer, Stefano CampanaAberystwyth, Cambridge, Siena, aprile 2005

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ComplessoTermine generico per un insieme di tracce o unità to-pografiche in relazione reciproca spesso di dimensioni considerevoli. L’evidenza è interpretabile come sito arti-colato, in genere con diverse funzioni e di lunga durata. Il termine non è associabile a priori ad alcuna funzione specifica o fase cronologica.

Coordinate geografiche e pianeLatitudine e longitudine si riferiscono a coordinate geo-grafiche mentre il sistema dei meridiani e dei paralleli al reticolato geografico. Le coordinate geografiche sono coordinate sferiche poiché designano la localizzazione dei punti sull’ellissoide di rotazione. I meridiani e i paralleli non sono linee rette ed equidistanti né formano un reticolo di questo tipo su alcuna delle proiezioni cartografiche di largo uso. Da qui la necessità di introdurre un sistema completamente diverso, le coordinate piane (o cartogra-fiche o metriche), al fine di poter usufruire nelle carte di un reticolato ortogonale ed equidistante. Le coordinate piane, indicate Est e Nord, sono in sostanza coordinate cartesiane dove l’ascissa è costituita dall’equatore e l’or-dinata dal meridiano centrale del fuso a cui appartiene la zona rappresentata sulla carta. Il sistema di coordinate piane oggi maggiormente usato nel mondo è il reticolato chilometrico, che si riferisce alla proiezione universale trasversa di Mercatore (UTM) mentre il sistema di coor-dinate italiano è Gauss-Boaga.

Creazione di documentazioneRedazione di un testo o di una scheda alfanumerica da associare alle informazione restituite graficamente o per descrivere una o più evidenze, siti, complessi o paesaggi archeologici.

Cropmark (tracce da vegetazione)Variazioni della crescita, del colore, dell’altezza (o di altri parametri) delle colture che denuncia la presenza nel sottosuolo di elementi archeologici o alterazioni natura-li. Sottotipi sono le tracce di germinazione, i grassmark, i parchmark (tracce da aridità) e i weedmark (tracce da erbaccia).

Earthwork (tracce da microrilievo)Una o più insiemi di tracce da microrilievo dovute alla presenza di terrapieni, cumuli, dossi, fossati, buche, ma-cie, cave, ecc (sia ben preservate sia erose) di evidente o possibile natura antropica.

GLOSSARIO

I termini utilizzati in questo volume si basano su più di 80 anni di ricognizione aerea e fotografia obliqua in molti paesi europei. In Italia fino a pochi anni fa il lavoro era focalizzato quasi esclusivamente su inter-pretazione e restituzione cartografica delle evidenze archeologiche individuate sulle prese verticali. Le due tradizioni di studi hanno sviluppato una termi-nologia che presenta alcune differenze sebbene molti vocaboli siano stati condivisi. Per la presentazione di metodi ed esperienze della ricognizione e documen-tazione aerea relativamente nuovi in Italia abbiamo deciso di utilizzare termini abitualmente adottati dalla comunità internazionale. Ci riferiamo a esem-pio a parole come earthwork, soilmark, cropmark e pattern, che sintetizzano concetti fondamentali per la discussione degli argomenti presentati.

AERIAL, AirPhotoNomi di programmi informatici per la trasformazione di fotografie aeree o di informazioni derivate da fotografie aree (ad esempio interpretazioni su lucido) in proiezioni ortogonali e carte usando punti di controllo a terra tratti dalla cartografia, da altre fotografie rettificate o acquisiti tramite strumenti topografici sul terreno. I programmi inizialmente scritti per la trasformazione delle fotografie aeree oblique possono essere utilizzati anche per le foto-grafie verticali.

AnomaliaOgni segno osservato direttamente dall’alto o su una fo-tografia che suggerisce la presenza di attività antropiche o elementi topografici e di altra natura che potrebbero avere (o non avere) una influenza archeologica. I segni interpretabili con maggiore chiarezza come archeologici sono detti tracce.

Archeologo aereoArcheologo specializzato in uno o più processi dell’archeo-logia aerea che si svolgono sia in aria sia in laboratorio.

Archeologia aereaInsieme di processi conoscitivi e interpretativi riassumibili per grandi linee in: ricognizione aerea, fotografia aerea, foto interpretazione, restituzione grafica o cartografica, documentazione descrittiva e interpretazione delle infor-mazioni per la ricostruzione di siti e paesaggi. L’archeolo-gia aerea è uno dei metodi per lo studio del passato, non una disciplina a sé stante.

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Evidenza (elemento)Ogni segno di origine archeologica, geologica o naturale osservata in aereo o sulla fotografia aerea. In Gran Breta-gna il termine equivalente, feature, viene utilizzato dagli archeologi per indicare qualsiasi emergenza archeologica da un grande recinto a una buca di palo, alla corte di una villa romana.

Fotografie aeree obliqueFotografie scattate con un angolo prospettico, di solito da velivoli leggeri o da elicotteri utilizzando macchine fotografiche portatili. Le fotografie aeree oblique do-cumentano esclusivamente le parti di paesaggio che il fotografo decide acquisire e quindi non forniscono una copertura integrale del territorio.

Fotografie aeree verticali (zenitali)Fotografie aeree scattate mantenendo l’asse della macchi-na fotografica ortogonale (o quasi, tolleranza ±5 gradi) al terreno. Sono acquisite di solito mediante macchine fotografiche fissate a un aereo appositamente destinato a queste operazioni. La fotografia verticale, in genere acquisita secondo modalità che consentono la visione tridimensionale del territorio, consente la documentazione completa dell’area di interesse.

FotogrammetriaDisciplina che si occupa dello studio metrico delle su-perfici e consente mediante appositi strumenti (analogici o digitali) di creare cartografia tecnica e archeologica estremamente dettagliata utilizzando fotografie aeree verticali.

Fotointerpretazione aereaProcesso di lettura e analisi di fotografie aeree rivolto a comprendere e registrare le informazioni in esse contenute relative ad attività archeologiche, antropiche (pregresse ma non antiche) e naturali. In genere il processo è stretta-mente associato alla restituzione grafica delle informazioni e alla redazione di documentazione descrittiva.

GrassmarkTipo di cropmark visibile in corrispondenza di suoli er-bacei (pascoli o altre erbacce), spesso, in seguito a lunghi periodi di siccità.

Hillfort (insediamento fortificato d’altura)Termine generico per indicare un’area insediativa provvi-sta di opere difensive (fossato o cinta) situata su un alto morfologico. In Italia come in Gran Bretagna il periodo in cui questo tipo di evidenza è maggiormente attesta è l’età del ferro. Si noti che non rientrano in questa definizione le strutture castrensi di età medievale.

ObiettivoQualsiasi località, paesaggio urbano e rurale, monumento, sito o altra evidenza (archeologica, topografica o naturale) fotografata o che si intende fotografare nel corso della ricognizione aerea.

Paesaggi archeologiciL’insieme delle evidenze documentate e interpretate come elementi superstiti di un contesto territoriale. L’interesse prevalente è costituito dallo studio dei rapporti intersite, dall’analisi delle emergenze riconducibili allo sfruttamento del territorio nel passato e dalle trasformazioni ambientali succedutesi nel tempo fino al paesaggio attuale.

PatternLa ripetizione a piccolo periodo di alcuni elementi di un sito o di un paesaggio e le rispettive relazioni che ne de-terminano i caratteri peculiari. Può essere tradotto con il termine trama o in senso lato modelli sebbene in italiano entrambe le parole non hanno lo stesso impatto comu-nicativo. Un determinato pattern consiste nella sintesi di forme, dimensioni, direzioni e colori che determinano presenza o assenza, continuità o discontinuità di insedia-menti, attività, sistemi sociali, ecc. Il riconoscimento di modelli o pattern recognition è una dei principali obiettivi degli archeologi che esplorano, registrano e interpretano le evidenze del passato.

Punto di controllo a terra (ground control point GCP)Elemento chiaramente identificabile sia nella fotografia aerea sia sulla cartografia o direttamente sul terreno. La presenza di un numero adeguato (rispetto all’algoritmo prescelto) di punti di controllo a terra nella fotografia è indispensabile per permettere di stabilire le relazioni necessarie tra fotografia e cartografia per eseguire corret-tamente la trasformazione.

Recinto o recinzioneIndica un’area delimitata da un fossato, un terrapieno, una palizzata o un muro. Il termine non è associabile a priori ad alcuna funzione specifica o fase cronologica.

Remote SensingDisciplina che studia l’acquisizione di dati riguardanti il territorio e l’ambiente (oggetti o fenomeni) attraverso misure radiometriche registrate a distanza da sensori in-stallati su piattaforme terrestri (geofisica), aeree (fotografia verticale e obliqua, scanner multi e iperspettrali) o spaziali (immagini multispettrali), nonché l’insieme dei metodi per la successiva elaborazione e interpretazione.

Restituzione cartograficaSi veda fotogrammetria.

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Restituzione graficaDisegno delle tracce archeologiche individuate sulle fo-tografie. La riproduzione può avvenire a mano su lucido trasparente o tramite la grafica vettoriale in ambiente GIS in seguito alla trasformazione delle fotografia tra-mite tecniche informatiche. La principale differenza tra restituzione grafica e cartografica consiste nella precisione metrica della prima rispetto all’accuratezza centimetrica, fino a subcentimentrica, della seconda.

Ricognizione aerea (talvolta indicata con il sinonimo ricognizione esplorativa)Esplorazione sistematica del territorio tramite piccoli aerei da turismo o elicotteri eseguita in prima persona dall’archeo-logo. In seguito all’individuazione di evidenze di interesse archeologico si procede alla documentazione realizzata, sempre dall’archeologo, mediante fotografie oblique (più raramente verticali). Le principali differenze con la fotogra-fia verticale sono l’acquisizione selettiva di piccole parti del territorio e l’uso di attrezzatura fotografica elementare.

Ring-ditchTraccia tipo cropmark e soilmark, singola o multipla, in genere di forma circolare, riconducibile alla presenza di un fossato o più fossati circolari concentrici. Questo tipo di evidenza risulta associata a funzioni molto diverse, rituale, funeraria, insediativa, industriale o militare ed è riscontrabile lungo un ampio intervallo cronologico.

ShadowmarkOgni evidenza antropica e ogni conformazione topografia visibile tramite gli effetti provocati da luci e ombre. In ambito nazionale sono generalmente definite tracce da microrilievo.

SitoOgni traccia di attività umane di qualunque epoca o fun-zione. Il sito è l’unità elementare di documentazione dei resti archeologici, con una funzione simile a quella che ha lo strato nello scavo stratigrafico. Può indicare una unica pietra, un castello o un sistema agricolo. Il termine non è assolutamente generico e onnicomprensivo, svincolato da qualsiasi periodo o funzione precisa.

SoilmarkVariazione di colore riscontrabile sul suolo nudo dovuta alla diversa composizione del terreno che influisce sulla tessitura e sulle capacità di trattenere e rilasciare l’umi-dità o sulla riflessione della luce. Le differenze di colore possono indicare la presenza di elementi archeologici o di altre anomalie presenti nel sottosuolo.

TracciaOgni segno anomalo visibile soprattutto dall’alto o su una fotografia aerea riconducibile ad attività antropiche o a caratteristiche topografiche e paleoambientali che possono aver influenzato l’attività umana.

Trasformazione (o rettifica)Operazione geometrica che consiste nel passaggio da una fotografia (proiezione centrale) a una planimetria (proie-zione ortogonale). Il processo viene eseguito tramite il riconoscimento di punti di controllo a terra.

WeedmarkTipo di cropmark dovuto alla crescita di erbe spontanee sia in fondi arati sia nei terreni destinati a pascolo.

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PARTE I: IN VOLO NEL PASSATO

Chris Musson

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PERCHÉ QUESTO LIBRO?

Nel gennaio 1991, durante la quarta International School in Archaeology organizzata dall’Università di Siena e dal CNR, due archeologi britannici os-servavano stupiti due colleghi italiani che tentavano di estrapolare informazioni, attraverso le ultime tecniche informatiche, da una fotografia aerea. Dopo quasi due ore di intensa discussione, numerose ipo-tesi erano state avanzate e altrettanti algoritmi erano stati analizzati. Agli occhi dei due inglesi però ben poco era stato concluso. La ragione? Le informaz ioni ricercate non erano presenti nella fotografia. L’immagine consentiva di osservare il suolo nudo ripreso in un giorno di foschia e caratterizzato da poche e labili variazioni di tonalità laddove era già nota la presenza di una villa romana. Se il sito non fosse stato noto a priori nessun elemento presente nella fotografia poteva essere interpretato in chiave archeologica. Gli ospiti inglesi potevano dare un solo consiglio ai colleghi italiani: sbarazzarsi di quella fotografia e scattarne di nuove, focalizzando l’attenzione verso i momenti più idonei per la do-cumentazione di informazioni archeologiche. La nuova documentazione fotografica avrebbe dovuto tenere conto delle giuste condizioni di umidità per l’individuazione di tracce tipo soilmark, della mi-gliore incidenza della luce per allungare le ombre e riconoscere elementi microtopografici o del ciclo di maturazione delle colture agricole per rilevare variazioni di crescita e di colorazione delle piante.La reazione del pubblico all’intervento sull’ar-cheologia aerea in Inghilterra alla IV International School in Archaeology fu piuttosto modesta (MUS-SON, WHIMSTER 1992). Uno dei relatori inglesi al termine della presentazione domandò al pubblico se avessero mai volato su un aereo da turismo a fini archeologici. Una sola mano venne alzata. La discussione finì per essere piuttosto vivace ma nel complesso piuttosto deprimente dal punto di vista

dei relatori inglesi. Fu sostenuto infatti che il genere di prospezione estensiva ampiamente diffusa in Gran Bretagna semplicemente non avrebbe funzionato in Italia, poiché suoli e conformazioni geologiche non si prestano. Bisognava inoltre considerare che metà della nazione è ricoperta da aree boschive. Al ter-mine della discussione la ricognizione come tecnica di indagine venne quindi considerata non idonea e non necessaria nel territorio italiano, in quanto si riteneva che non avrebbe avuto nessuna precisa funzionalità. Al di là di queste considerazioni una questione determinate era costituita dalla legislazio-ne vigente che in sostanza sin dalla seconda guerra mondiale non consentiva lo svolgimento di attività di riprese aerofotografiche. La legge del 1939 in materia di riprese aeree (Appendice A; PICCARRETA, CERAUDO 2000, pp. 198-203) rendeva estremamente difficile ottenere i permessi necessari per realizzare ricognizioni, scattare e sviluppare le fotografie ae-ree, organizzarne l’uso e la pubblicazione, tanto da scoraggiarne la sperimentazione.I ricercatori inglesi tornarono nel Regno Unito portando con sé la sorpresa e la delusione per una nazione tanto ricca di beni culturali nella quale i van-taggi del metodo esplorativo della ricognizione aerea non erano ancora riconosciuti. Questa situazione rimase immutata per tutti gli anni Novanta, mentre i ricercatori britannici e altri membri dell’associazione internazionale Aerial Archaeology Research Group (AARG) rivolgevano la loro attenzione agli stati della ex Unione Sovietica. In seguito alla caduta del Muro in alcuni paesi dell’est europeo si assiste infatti alla progressiva ‘apertura dei cieli’ e al conseguente svi-luppo di progetti di ricognizione aerea che controlli militari e burocratici avevano reso impossibile per più di sessanta anni.Fortunatamente a Siena rimase un fervido sostenitore di questa metodologia di indagine per la ricerca e la salvaguardia dei beni culturali italiani. Fu così che, nel 1999, Riccardo Francovich, professore di Archeologia Medievale all’Università di Siena, invitò nuovamente gli archeologi britannici a partecipare a una delle fa-mose “Scuole Estive” (DRIVER, MUSSON 2001). Questa volta la reazione fu molto meno negativa benché la legge che impediva di fotografare il territorio italiano

1. ARCHEOLOGIA AEREA: STORIA E APPROCCI DIVERSI

1.1 Città romana di Silchester, InghilterraCropmark osservati originalmente a livello del suolo nel XVII secolo.

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dall’alto fosse ancora in vigore. Un cambiamento legislativo era però imminente. Una figura chiave per la riforma fu l’architetto Piero Spagna, dirigente dell’Ufficio Cartografico della Regione Toscana e segretario della Commissione di modifica della legge in materia di riprese aerofotografiche. È in questo preciso momento che Riccardo Francovich propose di realizzare una Scuola archeologica di ricognizione e fotografia aerea a Siena (per la descrizione della Scuola si veda Appendice D del presente volume).La nuova normativa (riportata in Appendice A) ha eliminato gli impedimenti legali e burocratici per la realizzazione di progetti di ricognizione aerea e per l’acquisizione in volo della relativa docu-mentazione fotografica da parte degli archeologi italiani. Un freno è però attualmente costituito dal diverso sviluppo che ha segnato l’archeologia aerea in Italia rispetto all’Inghilterra e ad altri paesi europei. In Gran Bretagna, dove si è sempre goduto di ampia libertà di volo, il secondo dopo guerra ha rappresentato un momento di grande sviluppo della ricognizione aerea. L’obiettivo prevalente è stato la ricerca di siti, attraverso fotografie oblique scat-tate direttamente da archeologi o da aviatori che avevano acquisito le competenze necessarie. Negli ultimi due decenni alle attività aree si è aggiunto il tentativo (soprattutto in Inghilterra, in maniera minore e con strategie diverse in Scozia e nel Galles) di restituire su base cartografica tutte le informazio-ni archeologiche ricavate sia da fotografie oblique sia dalle numerose coperture fotografiche verticali realizzate negli ultimi sessanta anni a fini strategici militari e cartografici.In Italia le restrizioni dovute alla legge del 1939 hanno orientato l’attenzione degli archeologi verso lo studio del materiale conservato negli archivi di fotografie verticali, tanto ricchi in Italia quanto in Gran Bretagna. Sebbene non siano mancati sporadici tentativi di ricognizioni aeree e l’acquisizione non ufficiale di qualche fotografia aerea scattata per particolari insediamenti, la storia degli studi degli ultimi cinquanta anni è fortemente caratterizzata dall’analisi di fotografie verticali scattate non a fini archeologici e utilizzate per ricerche sulla viabilità antica e sulla centuriazione, per la creazione di map-pe topografiche di specifici siti o di territori limitati a fini di tutela. Questo genere di studi, riconducibili alla topografia antica, all’aerotopografia o all’aero-fotogrammetria finalizzata, costituisce l’oggetto principale della produzione manualistica italiana sull’argomento, a tale proposito basti pensare ai lavori di Fabio Piccarreta (1987), Giovanna Alvisi (1989), Fabio Piccarreta e Giuseppe Ceraudo (2000) e recentemente ancora al gran numero di studiosi che ha partecipato alla realizzazione del magnifico volume dell’Aerofototeca, Lo sguardo di Icaro, a

cura di Marcello Guaitoli (2003, citato in seguito come Sguardo).Lo sviluppo degli studi di aerofotografia archeolo-gica in Italia, in particolare degli anni successivi al secondo conflitto mondiale, è ampiamente descritto nel primo numero della rivista «Archeologia Aerea» (CERAUDO 2004). In questa occasione ricordiamo che la legge del 1939 ha favorito lo sviluppo della disciplina nelle direzioni indicate, inibendo però la pratica delle ricognizioni aeree per le quali si riscon-tra attualmente in Italia una quasi totale mancanza di esperienza, premessa indispensabile per svolgere con successo i ‘voli nel passato’ finalmente possibili anche in Italia. Per le medesime ragioni non è mai stata stampata una guida in italiano sui principi ma-tematico-geometrici e sull’uso di desktop computer e software dedicati alla restituzione su base carto-grafica di informazioni archeologiche derivate da fotografie oblique, al contrario di quanto avvenuto per le fotografie verticali.In base a queste constatazioni riteniamo che il presente volume assuma per la comunità scientifica italiana un ruolo necessario e significativo. Sono soprattutto queste le ragioni che hanno indotto alla stesura di questo libro il cui obiettivo non è scrivere un manuale esaustivo ma semplicemente portare all’attenzione dei colleghi italiani i principi e le tecniche che supportano la ricognizione aerea e la restituzione grafica in Gran Bretagna e in altri paesi europei. Nella maggior parte dei casi sono state utilizzate immagini del territorio italiano, provando ad adattare modelli analitici anglosassoni alla situazione italiana. La prima parte del volume è dedicata all’esposizione dei principi teorici e pra-tici della prospezione aerea. Una seconda sezione è rivolta all’interpretazione e alla restituzione grafica delle informazioni desunte da fotografie sia ver-ticali sia oblique. Nella terza parte le tecniche di ricerca vengono presentate attraverso i risultati dei rilevamenti aerei realizzati negli anni Ottanta e nel periodo compreso tra 2000 e 2004 principalmente in Toscana, nel Centro e nel Sud Est d’Italia. La quarta parte illustra contenuti e risultati del corso intensivo svoltosi a Siena e del workshop, immediatamente successivo alla Scuola, incentrato su immagini da satellite, acquisizioni laserscanner e altre tecniche di Telerilevamento disponibili per indagini archeo-logiche e paleoambientali. In appendice al volume abbiamo ritenuto utile inserire alcune note tecniche e una breve bibliografia ragionata.

DAGLI INIZI ALLA GRANDE GUERRA

Nella storia della aerofotointerpretazione l’Italia e gli italiani rivestirono un ruolo di primo piano. Alvisi (1989, p. 13), nella sua breve storia della ae-

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rofotografia archeologica, cita il filosofo e politico settecentesco C.L. De Montesquieu il quale nei sui viaggi in Italia cercava sempre un campanile o un punto elevato del paesaggio per ottenere una prima impressione visiva della città per poi ritornarvi, al termine del suo soggiorno e fissare nella propria mente le forme del centro urbano (MONTESQUIEU 1971, p. 172). Sempre Alvisi evidenzia inoltre il desiderio comune a tutte le società storiche di vedere – e rappresentare – il mondo dall’alto, dalla tavola mesopotamica del 1500 a.C. sino ad arrivare ai pit-tori medievali che rappresentavano città e campagne con una prospettiva a volo d’uccello. In tempi più recenti i topografi britannici dei secoli XVII e XVIII, forse ispirati proprio da artisti italiani, preferivano spesso utilizzare prospettive aeree, piuttosto che mappe, per illustrare le città contemporanee.Bisogna ritornare indietro di secoli per trovare uno dei principi fondamentali dell’archeologia aerea. Gli elementi sepolti nel terreno possono, nel giusto pe-riodo dell’anno e nelle giuste condizioni climatiche, essere osservati come tracce dovute a differenze di colore e/o di crescita della vegetazione sovrastante. Queste tracce, a lungo conosciute in Italia come “sentieri del diavolo” e successivamente definite in Gran Bretagna “cropmark”, vennero annotate nei taccuini degli scrittori inglesi del XVII e XVIII secolo. Le tracce visibili come linee gialle in campi di cereali ancora in fase di maturazione vennero in-terpretate, correttamente, come tracce di viabilità di città romane sepolte (si veda per esempio Fig.. 1.1). In Italia osservazioni analoghe sono rintracciabili nel XVIII secolo quando a Metaponto vennero notate una serie di tracce dovute a differenze nella crescita del grano. Un centinaio di anni più tardi, gli stessi segni potevano essere ancora osservati periodica-mente e l’evidenza fu confermata in seguito a scavi archeologici (ALVISI 1989, pp. 26, 39).In tempi più recenti l’archeologo britannico Leonard Woolley racconta un aneddoto per noi interessante (WOOLLEY 1937; DEUEL 1971, pp. 35-6). Mentre scavava agli inizi del XX secolo nel Sudan, dopo settimane di laborioso ma non altrettanto fruttuoso lavoro, una sera, insieme al capo spedizione, si recò su una delle vicine colline per ammirare il territorio. In un preciso istante per un breve attimo la luce radente e la visione sopraelevata gli permisero di scorgere chiari segni circolari al suolo mai notati in precedenza. Woolley corse immediatamente giù dalla collina, ma con l’avvicinarsi al terreno i segni sembravano svanire sotto i suoi occhi. Il suo colle-ga, invece, situato sul punto di vista elevato, fu in grado di guidare Woolley in corrispondenza delle varie tracce. Successivamente al di sotto di ogni anomalia fu individuata una sepoltura, invisibile a livello del suolo ma rilevabile a distanza per la di-

1.2 Voli in pallone aerostaticoSopra. Il giovane diplomatico italiano, Vincenzo Lunardi, in fase di decollo dal campo dell’Honourable Artillery Company nei pressi di Londra, con un pallone aerostatico, il 15 settembre 1784. Lunardi portò con sè il proprio gatto. Nel momento in cui il gatto cominciò a sentir freddo, Lunardi atterrò. Dopo aver ceduto il felino a un amico il diplomatico proseguì l’ascensione. Sotto. Pallone frenato in uso dalla sezione aerostatica del Genio Militare impiegato nell’occasione per fotografare gli scavi di Giacomo Boni nella Basilica del Foro Romano (inizi del 1900). La prima fotografia aerea finalizzata all’archeologia scattata in Gran Bretagna risale al 1906 quando Stonehenge venne fotografata da un pallone del militare.

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versa riflessione della luce causata dalla variazione delle caratteristiche del numero delle pietre poste al di sopra di ogni tomba. Da allora è diventato un luogo comune per l’archeologia aerea che elementi chiaramente visibili dall’alto possano risultare com-pletamente invisibili a livello del suolo.All’inizio della storia delle riprese aerofotografiche a fini archeologici mongolfiere, palloni aerostatici e talvolta aquiloni ebbero un ruolo significativo. Il primo volo su pallone con pilota a bordo risale al novembre del 1783 nei dintorni di Parigi. Poco meno di tre mesi dopo anche in Italia si registra la prima ascensione mentre in Inghilterra si deve attendere l’anno successivo con il pilota Vincenzo Lunardi, giovane toscano in servizio presso l’ambasciata napo-letana a Londra (Fig. 1.2). In occasione dell’assedio

di Mauberge nel 1794 gli aerostati cominciarono a essere impiegati per scopi militari. Nello stesso anno l’armata francese costituisce un corpo militare di specialisti, gli “aerostiers”. Stranamente, il corpo viene destituito cinque anni dopo, ciononostante da quel momento in poi si stabilisce una relazione sistematica tra obiettivi militari e palloni, dirigibili e successivamente aeroplani. Una situazione ancora attuale basti pensare ai principali responsabili della progettazione e gestione delle piattaforme satellitari per l’osservazione della terra.Come è noto la fotografia si sviluppa nella seconda metà del XIX secolo. Le macchine fotografiche del tempo erano naturalmente pesantissime e non facil-mente maneggiabili, con lunghissimi tempi di espo-sizione. Ciononostante nel 1858 venne scattata la prima fotografia aerea da un pallone frenato ad aria calda sopra Parigi dal famoso scrittore, disegnatore e fotografo Gaspar Felix Tournachon, meglio noto con lo pseudonimo di “Nadar”. Due anni più tardi, sopra il cielo di Boston dall’altro lato dell’Atlantico, fotografie aeree vennero realizzate da J.W. Black e S.A. King.Palloni di vario tipo sono usati per osservazioni militari e segnalazioni durante la seconda parte del XIX secolo, per esempio nel 1859 nella battaglia di Solferino determinante per il processo di unifi-cazione della penisola italiana. Negli stessi anni in Inghilterra si assiste a un significativo progresso gra-zie al Maggiore H. Elsdale «… che combinò insieme palloni comandati a distanza e macchine fotografiche automatiche programmate per eseguire serie di scatti continui; i palloni una volta esaurito il gas ritornava-no al suolo. Non molto tempo dopo questi tentativi, venne proposto di usare simili equipaggiamenti per fotografare le rovine intorno ad Agra (India), allo scopo di utilizzare foto per la creazione di una mappa delle città antiche. Benché il piano fu ufficialmente approvato e l’equipaggiamento spedito in India, il progetto non fu mai realizzato a causa di problemi burocratici e nessuna fotografia venne scattata» (tradotto da DOWNEY 1980, pp. 3-4).Il primo tentativo di uso della fotografia a scopi archeologici con esito positivo avvenne pochi anni prima, nel 1879, quando il tedesco Franz Stolze si servì di riprese aeree per la documentazione degli scavi di Persepoli (STOLZE 1882). Venti anni dopo una fotocamera montata su un pallone frenato venne usata dalla Brigata Specialisti del Genio Mi-litare per documentare gli scavi di Giacomo Boni del 1899-1906 nel Foro Romano (Fig.. 1.2). Un decennio più tardi, nel 1910, gli scavi di Pompei vennero fotografati dall’alto. Nello stesso periodo fotografie aeree vengono utilizzate per compiere studi topografici lungo il Tevere nei pressi di Roma e nei dintorni di Venezia (con palloni aerostatici

1.3 O.G.S. CrawfordCrawford fu il primo archeologo ufficiale dell’Ordnance Survey in Inghilterra (equivalente dell’IGM italiano). Nella seconda metà degli anni Venti sviluppa e applica principi metodologici tuttoggi fondamentali per la ricognizione aerea e per la fotointerpretazione archeologica (uso di luci e ombre, cropmark, soilmark, ecc). L’esperienza di Crawford andò oltre spingendosi fino alla verifica di alcune evidenze aeree sia tramite sopralluoghi sul terreno sia, in collaborazione con altri ricercatori tramite lo scavo.

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nel primo caso, mentre nel 1913 a Venezia con un dirigibile). Questi lavori pionieristici, insieme ad altri non riportati in questa sede sono ampiamente illustrati in Sguardo (in particolare nelle pagine 29-30 e 565-72).All’inizio del XX secolo si apre un nuovo capitolo della storia del volo e della fotografia aerea. Nel 1903 i fratelli Wright realizzarono il primo volo su un vero e proprio aeroplano. Sei anni più tardi Wilbur Wright pilota un aereo nel primo film sul-l’aviazione girato nelle campagne intorno a Roma. Pochi anni dopo è da attribuire a un ufficiale italiano l’intuizione del potenziale che la combinazione ae-roplano-macchina fotografica può offrire in tempi di guerra: «[Come] in molti altri casi ci troviamo di fronte all’iniziativa personale di un individuo. L’Italia era in guerra con la Turchia per il controllo della Libia quando, nell’ottobre 1911, il capitano Carlo Piazza viene coinvolto nel riconoscimento delle posizioni militari turche. In questa occasione scopre i vantaggi connaturati alla fotografia aerea e richiede una macchina fotografica “Bebe Zeiss” da utilizzare per riprese aree. La sua richiesta viene respinta così ne ottiene una in prestito dal corpo ingegneri e la installa sotto il suo aeroplano in modo da poter produrre una sola fotografia per ogni volo» (da DOWNEY 1980, pp. 5-7).

LA PRIMA GUERRA MONDIALE E IL DOPOGUERRA

La grande guerra diede forte impulso allo sviluppo dell’aeronautica, delle macchine fotografiche, delle pellicole e al loro impiego a fini strategici. Al termine del conflitto i fotografi delle milizie britanniche, per esempio, avevano raccolto più di mezzo milione di fotografie, benché sfortunatamente la maggioranza di queste vennero distrutte con il cessare delle osti-lità. Oltre alla maggiore disponibilità di materiale fotografico d’archivio la guerra introdusse un gran numero di piloti e osservatori delle potenzialità ar-cheologiche della fotografia aerea. Tra i personaggi più significativi che raccolsero questa esperienza vi è l’inglese O.G.S. Crawford (Fig. 1.3) che nel 1920 diventa l’archeologo ufficiale dell’Ordnance Survey, l’ente statale responsabile per la realizzazione della cartografia. In soli tre anni Crawford riesce a dimostrare sulla base di evidenze provenienti da fotografie aeree militari l’articolazione dell’antica organizzazione agraria nei pressi di Winchester (CRAWFORD 1924). Le fotografie in questo caso erano tutte verticali, sebbene alcune foto oblique vennero scattate e pubblicate quando nel 1924 Crawford e il suo finanziatore Alexander Keiller organizzarono una serie di voli a fini prettamente archeologici. Le grandi potenzialità del metodo esplorativo della fotografia aerea vengono definite in questa decade

1.4 Il Maggiore G.W.G. AllenIl Maggiore Allen, pioniere della ricognizione aerea in Gran Bretagna, acquista negli anni Trenta un aeroplano, costruisce la propria macchina fotografica e conduce sistematiche ricognizioni esplorative. Il suo lavoro aereo è contraddistinto dalla ripetizione delle ricognizioni finalizzata a verificare evidenze avvistate negli anni precedenti o in differenti periodi dell’anno. Allen ha inoltre il grande merito di riportare su base cartografica e interpretare le evidenze osservate come si può vedere nella figura sottostante relativa a un particolare di una carta da lui pubblicata (adattato da ALLEN 1938).

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contestualmente ai principi fondamentali del metodo (ombre e luci, soilmark e cropmark) codificati da Crawford, in una occasione in collaborazione con Keiller, in tre pubblicazioni fondamentali tra il 1928 e il 1929 (CRAWFORD 1928, 1929; CRAWFORD, KEILLER 1928). John Bradford, trenta anni dopo, dichiara e dimostra, che le medesime tecniche e metodologie sono perfettamente applicabili allo studio archeolo-gico dei paesaggi mediterranei.Negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale in Inghilterra si assiste a un ulteriore passo in avanti, da attribuire all’iniziativa individuale di un uomo d’affari di Oxford il Maggiore G.W.G. Allen (Figg. 1.4, 1.5; ALLEN 1984). Allen acquista un aeroplano e dal 1932 al 1939 conduce indipendentemente un programma regolare di fotografie oblique (solo

occasionalmente verticali) mirato allo studio dei terrazzamenti ghiaiosi dell’alta della valle del Tamigi. Al momento della morte di Allen, avvenuta per un incidente in moto nel 1940, erano state scattate più di 2000 lastre, documentando moltissimi monu-menti noti e scoprendo più di 150 nuove evidenze dal Neolitico al Medioevo. Una caratteristica fon-damentale del lavoro di Allen è rappresentata dalla ripetizione delle ricognizioni aeree sullo stesso sito al fine di documentare i cambiamenti delle evidenze in base alle diverse condizioni meteorologiche e allo sviluppo della vegetazione. I siti fotografati veniva-no riportati su carte con l’obiettivo di ricostruire la topografia antica del territorio in esame (si veda Fig. 1.4). Gran parte dei contesti individuati ven-nero controllati direttamente da Allen sul terreno, raffinando alcune delle osservazioni di Crawford su cropmark e soilmark. Entrambi verificarono tra-mite scavi la presenza sotto il suolo degli elementi osservati dall’alto.Prima di Crawford altri archeologi, eruditi e appas-sionati, avevano dimostrato interesse per il potenzia-le archeologico della fotografia aerea. In particolare è noto che il francese Léon Rey esaminò fotografie

1.5 Fyfield Down, Wiltshire, InghilterraFotografato dal Maggior Allen il 3 giugno 1934. In questo caso il fotografo sfrutta la luce radente per enfatizzare la struttura rettangolare dei Campi Celtici, parcellizzazioni agrarie ascrivibili alla fase pre-romana. A questi si sovrappongono tracce di fondi di forma lunga e stretta (ridge and furrow) del tredicesimo secolo o successiva.

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aeree di antichi insediamenti in Macedonia fin dal 1916. Lo stesso fece l’archeologo tedesco Carl Schuchard nel corso del suo studio sul sistema di fortificazione dell’Impero Romano in Romania. Il primo archeologo a commissionare fotografie aeree specificamente per fini archeologici fu probabilmente Theodor Weigand. Durante la grande guerra Wei-gand persuase l’alto comando tedesco a lasciargli costituire un’unità speciale per la salvaguardia di monumenti storici nel vicino Oriente e nel 1920 pubblicò il lavoro eseguito dall’unità che comprende le fotografie aeree di rovine tardo romane e bizantine del deserto del Sinai e Negar (WEIGAND 1920). Nello stesso periodo il Sergente Colonnello G.A. Beazeley, appartenente al corpo delle milizie britanniche Royal Engineers, durante i voli in Mesopotamia si rende conto della sorprendente quantità di tracce archeo-logiche visibili dall’alto e decide di documentare tramite fotografie aeree l’area dell’antica città di Sa-marra (IX secolo) nel deserto a nordovest di Baghdad (BEAZELEY 1920). Talvolta durante le ricognizioni aeree Beazeley atterrava con lo scopo di analizzare le tracce viste precedentemente dall’aria; egli è infatti il primo osservatore aereo tra i molti che seguiranno, a sottolineare che le conformazioni viste dall’alto risultano spesso invisibili se osservate a livello del suolo. Beazeley inoltre riconosce l’importanza delle

paleo-strutture topografiche quali canali e sistemi di irrigazione, distinguendole dalle evidenze di tipo insediativo come fortificazioni e città. In questo senso, come più tardi Poidebard e Baradez, Beazeley rappresenta il precursore della figura contemporanea dell’archeologo del paesaggi.Sempre in Medio Oriente operò uno dei grandi pionieri dell’aerofotointerpretazione, Antoine Poidebard (Fig. 1.6). Prete francese per molti anni missionario e poi aviatore e soldato in Armenia, nel 1924 venne trasferito in Libano, allora sotto il dominio francese, come professore all’Università Gesuita di Beirut. Un anno dopo compie studi sulle potenzialità economiche dei territori della Siria del nord, usando contemporaneamente rilevamenti terrestri e aerei (era diventato pilota dopo il suo primo volo in Persia nel 1918). In questa prima

1.6 Padre Antoine Poidebard in SiriaDue fotografie scattate dal gruppo di aviatori e fotografi di Poidebard, con lo scopo di mostrare come una strada romana, chiaramente visibile dall’alto (a sinistra), diviene progressivamente sempre meno visibile con l’avvicinarsi al terreno (a destra). Al livello del suolo le tracce erano totalmente impercettibili. Uno degli aeroplani è stato fatto atterrare sulla strada per fornire un elemento di paragone per definire le dimensioni dell’evidenza.

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fase di lavoro sui paesaggi della Siria constatò l’importanza del clima e del terreno. Effettuò studi approfonditi sull’argomento nel 1926 e iniziò a investigare i resti romani e bizantini che aveva av-vistato durante i primi voli. Consapevole che le sole ricognizioni sul terreno non avrebbero soddisfatto le sue necessità, Poidebard intraprese una intensa attività con i piloti dell’aviazione francese, usando sia fotografie verticali che oblique per l’identifica-zione, la restituzione grafica e l’interpretazione di strade, fortificazioni, accampamenti, torri e siste-mi di irrigazione nella fascia entro cui si spostò il confine orientale dell’impero romano. In 550 ore di volo, prima nell’alta Mesopotamia e poi nella Siria occidentale (POIDEBARD 1934, 1945), sviluppò metodologie di osservazione, interpretazione e foto-documentazione che, basate su anomalie della crescita della vegetazione e in condizioni di luce radente, combaciavano con quanto osservato da Crawford nell’Inghilterra meridionale (Poidebard naturalmente aveva sviluppato tecniche particolari per terreni aridi e condizioni atmosferiche di tem-peste sabbiose delle steppe Siriane). La descrizione della prima fase del suo lavoro sconvolse nel 1924 gli accademici francesi ma diversamente da quanto avvenuto oltre Manica, l’esperienza di Poidebard non ebbe seguito in Francia per la ricognizione aerea del territorio nazionale. Ritornato in Liba-

no, nel 1934-36, Poidebard fu pioniere di un’altra metodologia di indagine aerea, questa volta inda-gando i resti sommersi del porto fenicio-romano di Tiro e successivamente di Sidone (POIDEBARD 1939, 1951a, 1951b). Nel biennio 1935-37 il lavoro di Poidebard in Siria venne ripetuto nel nordest della Persia in corrispondenza di insediamenti più antichi da Erich Schmidt, archeologo di origine tedesca che dispone di importanti finanziamenti dall’Uni-versità di Chicago. La sua opera di individuazione di insediamenti, sistemi di viabilità, fortificazioni e centinaia di altri siti ebbe un successo analogo a quello di Poidebard. Come per il gesuita francese i risultati erano da attribuire alla combinazione di ricognizione aeree e verifiche sul terreno (SCHMIDT 1940 e web address).In Italia negli anni tra le due guerre si assiste a varie esperienze. Fin dai primi anni Venti vengono sviluppati progetti dall’Istituto Geografico Militare e da altri Enti per la restituzione fotogrammetrica. Si può affermare che l’Italia è sostanzialmente da sempre all’avanguardia per lo sviluppo di questa metodologia. Al contrario non si assiste alla promo-zione di progetti di ricognizioni aeree e di fotografia obliqua, come abbiamo invece visto avvenire in Inghilterra e in Medio Oriente. Sul finire degli anni Trenta, un’importante iniziativa viene intrapresa da Giuseppe Lugli (Fig. 1.7) che già nel 1919 ha fatto uso di un dirigibile per osservare dall’alto una villa sui colli Albani. Lugli nel 1938 conduce ricerche sul potenziale informativo delle fotografie aeree verticali con particolare riferimento all’Italia centro meridionale. In questa occasione matura la convin-zione che la fotografia aerea avrebbe contribuito in modo significativo all’archeologia italiana (LUGLI 1939, 1940).Sfortunatamente il programma di voli e di acquisi-zioni fotografiche di Lugli non ebbe seguito a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Oltre al conflitto un problema decisivo è legato all’intro-duzione della legge del luglio del 1939 che come abbiamo osservato in precedenza pone significative limitazioni per l’acquisizione di documentazione aerofotografica del territorio italiano. La legge san-cisce infatti che cittadini, aziende o corpi governa-tivi devono ottenere i permessi necessari ed essere disponibili a ispezioni e approvazione ufficiale nella pianificazione, acquisizione e uso delle fotografie scattate da piattaforma aerea (Appendice A; PICCAR-RETA, CERAUDO 2000 pp. 198-203). Per la comunità scientifica archeologica significa l’interruzione di ogni iniziativa in questa direzione. La finestra che Lugli poco prima aveva provato a spalancare era stata nuovamente chiusa. Come già sappiamo que-sta situazione è rimasta invariata per i successivi sessanta anni.

1.7 Giuseppe Lugli nel Foro RomanoIl programma coordinato di ricognizione aerea, avviato da Lugli nel 1939, fu sfortunatamente interrotto dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

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LA SECONDA GUERRA MONDIALE

La seconda guerra mondiale, ancor più della prima, comportò importanti sviluppi per le tecnologie aeronautiche e fotografiche. Molti piloti, osserva-tori, fotografi e ufficiali vengono indirizzati verso l’aerofotointerpretazione a fini strategico-militari e contemporaneamente introdusse molti operatori alla scoperta delle potenzialità della fotografia aerea a fini archeologici. I protagonisti dell’aerofotoin-terpretazione archeologica del dopo guerra sono molto numerosi. Milioni di fotografie, principal-mente verticali e solo sporadicamente oblique, furono scattate in tutte le zone di guerra. Sebbene molte vennero distrutte con il cessare delle ostilità, una mole significativa è tuttora rintracciabile negli archivi europei, russi e americani. Questi archivi costituiscono un’inesauribile fonte di informazioni archeologiche (e non solo) ma in genere risultano scarsamente sfruttati sia in passato sia oggigiorno. Molte delle collezioni d’archivio sono prive di un catalogo e in progressiva degenerazione per la scarsa attenzione, la mancanza di fondi e l’applica-zione di appropriate tecniche conservative (BEWLEY, RACZKOWSKI 2002).Con l’inizio delle ostilità l’archeologia aerea cessa completamente. Nel Regno Unito, ad esempio, molti piloti segnalano l’avvistamento di monumenti e di tracce archeologiche sul terreno che in alcuni casi saranno in seguito documentati (per esempio RILEY 1942, 1944, 1945). Poidebard, in forza all’alto co-mando francese, continua le sue ricerche in Siria e in Algeria. Jean Baradez, ex ufficiale dell’aviazione francese ed esperto foto interprete, intraprese il pro-getto ideato da Poidebard proprio prima dell’inizio della guerra. Attraverso l’analisi di 120 fotografie verticali scattate ad alta quota e successivi voli a bassa quota, Baradez individua e interpreta le tracce prece-dentemente nascoste della linea del confine romano nel Sahara articolato in murature e fossati, fortifica-zioni e accampamenti, strade, sistemi di irrigazione e tracce di centuriazione (BARADEZ 1949). Sia prima che dopo la guerra attività di ricerca analoghe sono condotte, in genere da studiosi francesi e inglesi, nelle aree adiacenti del Nord Africa.

IL DOPOGUERRA IN ITALIA

Molte fotografie a scopo strategico furono scattate dall’aeronautica inglese (Royal Air Force, RAF) durante la seconda guerra mondiale nell’Italia centro-meridionale. Lo studio di parte di questa do-cumentazione rappresenta un momento importante nella storia delle scoperte e dell’interpretazione del vasto territorio agricolo del Tavoliere delle

Puglie. In seguito all’esperienza maturata come ufficiali dell’esercito e dell’intelligence addetti alla aerofotointerpretazione, John Bradford e Peter Wil-liams-Hunt, in poche settimane di frenetica attività, dopo l’armistizio dell’8 maggio 1945, riescono a identificare centinaia di siti archeologici preceden-temente sconosciuti. Le evidenze sono visibili come tracce nella crescita del grano della secca ma fertile pianura foggiana. Dopo aver identificato queste e altre tracce durante il loro operato ufficiale, i siti più importanti furono documentati tramite foto-grafie oblique scattate nel corso di voli mirati dagli stessi Bradford e Williams-Hunt. Successivamente riuscirono perfino a persuadere le autorità militari (RAF) a effettuare voli di addestramento nel corso dei quali acquisirono fotografie verticali delle aree più ricche di tracce archeologiche. A causa delle peculiarità geomorfologiche, in particolare per la presenza su gran parte del Tavoliere di un livello calcareo relativamente sottile (“la crosta”) al di sopra dei più morbidi depositi argillosi, il Tavoliere presenta le condizioni ideali per la manifestazione di tracce tipo cropmark. In periodo brevissimo, Bradford e William-Hunt identificano e restituiscono su base cartografica più di 200 villaggi trincerati, il maggiore dei quali con un diametro di 800×500 m. Molte delle evidenze individuate presentano fossati circolari o semi circolari al loro interno (Fig. 1.8). Gli scavi condotti a partire dagli anni 1949-50 hanno confermato la corrispondenza tracce-inse-diamenti, stabilendo l’orizzonte cronologico dei

1.8 Villaggio trincerato nel TavolierePasso di Corvo, uno dei numerosi insediamenti fotografati e restituiti sulla cartografia nel lavoro pionieristico di John Bradford e Peter Williams-Hunt nei mesi di maggio e giugno 1945. Dopo aver analizzato fotografie verticali dalla RAF i due ufficiali dell’esercito inglese scattarono fotografie oblique di alcuni dei siti più importanti. Le evidenze da entrambi i tipi di fotografia furono poi restituite su base cartografica.

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recinti al Neolitico. Le tracce hanno rivelato l’esi-stenza di complessi sistemi di paesaggio costituiti da villaggi neolitici ai quali si sovrappongono le tracce della centuriazione e degli insediamenti produttivi di età romana nonché molte delle forme insediative medievali. Quasi tutte le evidenze non mostrano tracce micromorfologiche (BRADFORD 1949, 1950, 1957; JONES, 1987; BRADFORD, WILLIAMS-HUNT 1946; Sguardo, pp. 103-27).Bradford, alcuni anni più tardi, applica l’esperienza effettuata nel Tavoliere per identificare centinaia di tombe etrusche in Toscana (BRADFORD 1947, 1957) e per restituire su base cartografica tracce della centu-riazione romana, vari insediamenti a pianta rettango-lare di cronologie differenti in Italia, Francia, Grecia e lungo la costa Adriatica. Le scoperte nel Tavoliere rimangono, indubbiamente, l’indiscusso capolavoro di Bradford, studioso energico e perspicace, che sarà impossibilitato a proseguire il suo lavoro a causa di una lunga malattia successiva alla pubblicazione nel 1957 del suo Ancient Landscapes: Studies in Field Archaeology. Le ricerche di Bradford segnano solo l’inizio delle attività di ricerca nel Tavoliere alle quali ne seguiranno molte altre condotte sul terreno tra-mite scavi e ricognizioni fino a oggi. Parallelamente continuano sia in Italia sia in Inghilterra le analisi e il monitoraggio delle fotografie aeree della pianura pugliese. Le ricerche di Brown (BROWN 2004) mo-strano che sul finire degli anni Novanta il numero degli insediamenti neolitici censiti nel Tavoliere e nelle aree limitrofe ammonta ad almeno 566, inclusi numerosi siti individuati per la prima volta da Derri-ck Riley e Otto Braasch nel corso degli anni Ottanta (RILEY 1989, 1992). A questi sono da aggiungere un numero, ancora imprecisato, di nuovi siti scoperti tra il 2000 e il 2004 dallo stesso Braasch e dagli studenti della Scuola di archeologia aerea condotta a Foggia nel 2003 (MUSSON 2004).Nonostante i successi conseguiti dalla ricognizio-ne aerea in Europa e alla dimostrazione di John Bradford dell’efficacia anche nell’area Mediterranea delle medesime tecniche sviluppate in Inghilterra, il progetto anteguerra di Lugli di prospezioni aerofoto-grafiche non venne mai realizzato. Probabilmente un ruolo importante nel mancato sviluppo di progetti di ricognizione aerea deve essere riconosciuto alla legge del 1939. Tale regolamentazione avrebbe sco-raggiato il più determinato degli archeologi, e senza dubbio anche i Dipartimenti universitari o gli Istituti di ricerca, dall’intraprendere ogni attività. Questo non impedì però a John Ward-Perkins, direttore della British School a Roma e fermo sostenitore delle scoperte di strade romane tramite evidenze aeree, di spronare i colleghi italiani a prendere il volo. Negli stessi anni Crawford lamentava, in veste di editore della rivista periodica inglese «Antiquity», la mancan-

1.9 Nereo Alfieri e la scoperta di SpinaAll’inizio degli anni Cinquanta Nereo Alfieri e Vitale Valvassori, tramite ricognizioni e fotografie aeree, oblique e verticali, scoprirono l’insediamento greco-etrusco di Spina, nel Delta del Po presso Ferrara. Sfortunatamente i progetti di Alfieri per successive ricognizioni aeree estensive e per la restituzione grafica dell’aerea del Delta non furono mai portate a termine. Sopra. Nereo Alfieri (a destra) con il suo pilota (Ugo Cassigoli) dopo un volo di ricognizione. Sotto. Cropmark presso Spina da una fotografia obliqua del 1989.

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1.10 La città antica di Arpi, FoggiaEsempio paradigmatico di cartografia finalizzata realizzato dal Laboratorio di Topografia Antica dell’Università di Lecce. In rosso le fortificazioni e la viabilità interna, in arancio le tracce dei grandi assi stradali. Restituzione fotogrammetrica di Fabio Piccarreta e Giuseppe Ceraudo.

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za di un’adeguata attività aerea nel territorio italiano e invitava i colleghi italiani a trovare espedienti per superare la normativa e volare.Malgrado gli inviti eccellenti, il lavoro aereo degli archeologi italiani continuò a essere concentrato sull’analisi di fotografie verticali già esistenti (o sporadicamente commissionate). A tale proposito si pensi ad esempio agli studi di Ferdinando Castagnoli sui resti della centuriazione e dell’urbanistica a pianta ortogonale in tutta l’Italia (CASTAGNOLI 1956, 1958, 1961, 1969; PICCARRETA, CERAUDO 2000, pp. 81-84; CERAUDO 2004). Un’eccezione notevole è costituita dalla riscoperta negli anni Cinquanta da parte di Nereo Alfieri e Vitale Valvassori della città greco-etrusca di Spina, lungo il delta del Po vicino a Ferrara (Fig. 1.9); ALFIERI, VALVASSORI 1957; Sguardo, pp. 239-44). Oltre all’analisi di preesistenti fotografie verticali le ricerche su Spina compresero missioni fotografiche (verticali, oblique e all’infrarosso) in collaborazione con le forze aeronautiche italiane. Fotografie verticali, per la maggior parte già esisten-ti, furono la fonte per svariate ricerche negli anni del dopoguerra sul sistema di centuriazione e sulla viabilità romana. Fotografie prese a bassa quota da aziende private vennero utilizzate insieme alle foto-grafie verticali da P. Tozzi, M. Harari e A. de Guio delle Università di Pavia e Padova nelle loro ricerche sugli insediamenti e sulla topografia della valle del Po e di altre zone del Nord Italia; TOZZI, HARARI 1984, 1990. Si ricordano inoltre anche le ricerche di R. Compatangelo in Campania e nel Salento (COMPA-TANGELO, 1986). Progetti di cartografia nell’ambito generale della Topografia antica, indirizzati alla conoscenza e alla tutela di importanti beni culturali, hanno raggiunto negli ultimi tre decenni alti livelli tecnologici attraverso la restituzione fotogramme-trica analogica e digitale, realizzata da un ristretto numero di dipartimenti e istituti, fra cui segnaliamo le Università di Lecce, Roma “La Sapienza”, Bari, Potenza e l’Università della Tuscia a Viterbo. Esempi significativi di restituzione aerofotogrammetrica fi-nalizzata sono presenti nel lavoro di Fabio Piccarreta e Giuseppe Ceraudo dell’Università di Lecce (si veda Figg. 1.10, 10.56). Vari aspetti della fotografia aerea,

1.11 Giulio Schmiedt e l’IGMIl primo volume dello straordinario Atlante aerofotografico delle sedi umane in Italia, dell’Istituto Geografico Militare a cura del Generale Giulio Schmiedt. Cinque volumi furono pianificati ma sfortunatamente solo tre sono stati attualmente pubblicati. Ciononostante l’Atlante presenta molti esempi di aerotopografia antica. I volumi pubblicati costituiscono una fonte fondamentale per studenti e ricercatori per la comprensione dei paesaggi italiani.

1.12 Dinu Adamesteanu e l’AerofototecaNel 1958 Dinu Adamesteanu divenne direttore della neonata fototeca, oggi Aerofototeca Nazionale. Probabilmente non avrebbe mai potuto immaginare il successo della mostra “Lo sguardo di Icaro” realizzata presso l’Aerofototeca nel 2003. Non trova riscontri in Europa lo straordinario catalogo della mostra (a cura di Marcello Guaitoli) che racchiude insieme numerosi casi di studio di siti e territori in Italia e altrove, restituiti e analizzati utilizzando prevalentemente fotografie verticali. Sulla copertina del volume una veduta di Dura Europos in Siria.

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della topografia antica e della fotogrammetria sono parte dell’insegnamento di queste Università come pure a Siena, Pisa, Bologna e Napoli 2.A conclusione di questo breve quadro riassuntivo del dopoguerra riteniamo che due uomini meritano un riconoscimento speciale. Il primo è Giulio Schmie-dt, a lungo responsabile della sezione archeologica dell’Istituto Geografico Militare (IGM). A partire dagli anni tra le due guerre l’IGM ottiene l’incarico per la realizzazione di una copertura aerofotografica totale del territorio nazionale. Questa attività con-tinuò nel dopoguerra, pianificata con prospezioni regolari a intervalli di cinque anni. La prima coper-tura completa del territorio nazionale fu portata a termine negli 1954-55 (il cosiddetto “volo base” o “GAI”), con successive acquisizioni più sporadiche e irregolari. Negli uffici di Firenze l’IGM conta una vasta collezione di fotografie aeree verticali con una forbice cronologica che si estende dall’inizio del secolo scorso sino ai giorni nostri. L’Istituto, come pure lo stesso Schmiedt, ha prodotto un imponente mole di pubblicazioni metodologiche e di sintesi dagli anni Cinquanta a oggi. Tra queste spiccano i primi tre dei cinque volumi previsti del maestoso Atlante aerofotografico delle sedi umane in Italia (Fig. 1.11; SCHMIEDT 1964, 1970, 1974).Il secondo personaggio di spicco è Dinu Adame-steanu, studioso di origine rumena, che utilizza sia fotografie della guerra che coperture appositamente pianificate per i suoi studi sulla Sicilia e Basilicata negli anni Cinquanta (ADAMESTEANU 1957). Adame-steanu svolge un ruolo fondamentale nella campagna per la conservazione e lo studio di grandi quantità di aerofotografie verticali prevalentemente scattate fino allora a scopo cartografico. Alla fine del 1958

si assiste alla formazione dell’Aerofototeca Nazio-nale di cui Adamesteanu diventa il primo direttore. Molto presto l’Archivio, con sede a Roma, diventa una fonte importantissima per ogni ricerca storico-archeologica o ambientale in Italia. L’Aerofototeca ha svolto un ruolo significativo in molte direzioni, dalla pubblicazione alla promozione di numerosi studi e ricerche sulle proprie collezioni (incluso lo splendido Sguardo di Icaro, frequentemente citato in questo volume; si veda Fig. 1.12), a ricognizioni aeree archeologiche mirate, a corsi di fotointerpre-tazione per studenti universitari e per dipendenti della Soprintendenza Archeologica.Utili indicazioni sulle organizzazioni che possiedo-no una collezione fruibile di fotografie aeree o che conducono attività di ricerca basate sull’analisi della fotografia aerea sono rintracciabili in PICCARRETA, CERAUDO 2000, pp. 189-98; ALVISI 1989, pp. 144-49; Sguardo, pp. 23-26, 37-42; CERAUDO 2004.

SVILUPPI DEL DOPOGUERRA NEL REGNO UNITO

La Gran Bretagna è la prima nazione nel dopoguerra ad applicare i metodi della prospezione aerea e negli ultimi cinquant’anni ha sviluppato alti livelli di effi-cienza e tecnologia. Sebbene, attualmente, numerosi paesi europei facciano ampio uso della fotografia aerea archeologica, gli standard metodologici e la diffusione capillare nell’archeologia pubblica (meno estesa negli studi accademici) risultano maggiormen-te sviluppati nel Regno Unito. Mentre la restituzione fotogrammetrica e gli studi topografici costituiscono il motore dello sviluppo dell’aerofotointerpretazione del dopoguerra in Italia, nel Regno Unito hanno la

1.13 Quattro pionieri della ricognizione aereaDa sinistra, Dr Derrick Riley, Dr Otto Braasch, Professor J.K.S. St Joseph e Jim Pickering. La fotografia è la testimonianza di un incontro casuale avvenuto a Cambridge nel 1993 durante uno scalo mentre stavano effettuando ricognizioni aeree nell’Europa centrale. Tutti hanno dato importanti contributi all’archeologia aerea in varie parti del continente europeo. Riley e Braasch, in particolare, hanno svolto ricerche in Italia in due occasioni, nel 1987 e nel 1989. Braasch è stato il senior pilot-tutor alle scuole di ricognizione aerea e fotografia obliqua di Siena nel 2001 e di Foggia nel 2003.

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precedenza i progetti indirizzati all’esplorazione aerea del territorio.Il professor J.K.S. St Joseph (Fig. 1.13) comincia la sua esperienze di prospezione aerea insieme con O.G.S. Crawford negli anni immediatamente prece-denti il secondo conflitto mondiale. Durante le osti-lità, volò come osservatore in alcune missioni della RAF. Nel dopoguerra, attraverso i contatti stabiliti in tempo di guerra, riuscì a persuadere l’aeronau-tica inglese a prenderlo a bordo dei propri voli nel corso di esercitazioni militari. Questa opportunità gli permise di volare come passeggero e fotografo documentando, quando possibile, significative testimonianze archeologiche e paesaggistiche. Nel 1948 viene incaricato dall’Università di Cambridge di svolgere un lavoro di ricognizione aerea, ruolo che assumerà carattere formale nel 1949 con la fondazione del Cambridge University Committee for Aerial Photography (CUCAP), un centro specializ-zato per la produzione di materiale aerofotografico per tutti i Dipartimenti dell’Università. Negli anni a seguire St Joseph fotografa elementi topografici,

formazioni geologiche e geomorfologiche, tracce di siti archeologici (aveva egli stesso competenze di geologia). Nel 1965 l’Università di Cambridge acquista un proprio aeroplano e inizia una serie di voli, su commissione o in funzione di particolari interessi di ricerca, quali ad esempio le sopravvivenze visibili (o talvolta ipogee) dei fortilizi eretti nel corso delle campagne militari romane in varie parti della Gran Bretagna. Nei primi anni Ottanta l’Università di Cambridge riduce drasticamente l’acquisizione di fotografie oblique in favore delle prese verticali commissionate da un mercato più ampio. In quegli anni il numero di fotografie oblique della collezione di Cambridge ammonta a circa 300.000 (non tutte a scopo archeologico) che coprono gran parte della Gran Bretagna e alcune zone dell’Irlanda, della Francia, dell’Olanda, della Danimarca. Le scoperte effettuate negli anni di maggiore attività archeolo-gica del CUCAP hanno rivoluzionato l’entità dei dati e la comprensione delle dinamiche dell’invasione romana della Gran Bretagna. Lo stesso fenomeno è riscontrabile pressoché per ogni periodo cronologico dal Neolitico fino ai rapidi cambiamenti dei paesaggi agricoli e industriali del XX secolo (sull’argomento si veda ad esempio BERESFORD, ST JOSEPH 1979; FRERE, ST JOSEPH 1983; HUDSON 1984). Dal 2000 il CUCAP è stato assorbito dal Dipartimento di Geografia dell’Università entrando a far parte della Unit for Landscape Modelling (ULM).Negli anni del dopoguerra la fotografia aerea benefi-cia dell’attività di piccoli ma energici gruppi di avia-tori privati fra i quali emergono Arnold Baker, Jim Pickering e dagli anni Settanta fino alla sua morte, avvenuta nel 1993, Derrick Riley (Fig. 1.13). Questi ricercatori utilizzano aeroplani di proprietà di Aero Club e risorse economiche personali per esplorare le campagne e mettere a disposizione dei ricercatori i risultati per integrare le conoscenze archeologiche (alcuni esempi dei lavori di Riley sono riportati in Figg. 9.4 e 9.6). Alcuni anni più tardi, quando altri fondi, sebbene limitati, vennero erogati da enti pub-blici, ai ricercatori privati si aggiungono nuove figure professionali provenienti da Musei, Uffici pubblici locali e Dipartimenti universitari. Nonostante gli stanziamenti pubblici siano progressivamente dimi-nuiti negli ultimi anni, l’attività di ricognizione aerea prosegue anche grazie all’affermazione di gruppi, non ufficiali, di “aviatori regionali” che costituiscono tuttora una realtà ben consolidata in Gran Bretagna. Questi piloti svolgono attività di ricognizione aerea in quelle parti del paese non adeguatamente indagate dalle organizzazioni nazionali.Attualmente il ruolo più importante nell’archeologia aerea in gran Bretagna è ricoperto da Enti governati-vi, le “Royal Commission”, che, nel caso dell’Inghil-terra, ora fanno parte di una più ampia organizzazio-

1.14 Il Programma Nazionale di restituzione aerofotografica inglese (NMPE)Rappresentazione delle aree indagate dal programma di English Heritage fino alla metà del 2004. Il progetto è volto alla restituzione grafica (ora su supporto digitale) in scala 1:10.000 di tutte le evidenze archeologiche significative rivelate da fotografie aeree verticali e oblique d’Inghilterra. Avviato alla fine degli anni Ottanta il progetto entro la fine di 2004 era arrivato a coprire il 32% della nazione.

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ne denominata “English Heritage”. La commissione inglese fu la prima organizzazione governativa al mondo a iniziare prospezioni aeree, istituendo una unità di fotografia aerea fin dal 1965 e avviando le esplorazioni aeree solo due anni dopo. Attività analoghe sono state promosse dalla Commissione scozzese nel 1976 e dalla Commissione gallese nel 1986. In tutti e tre i casi le organizzazioni svolgono le rispettive attività utilizzando aeroplani noleggiati sia per la ricognizione aerea sia per altre funzioni nel campo della documentazione e conservazione archeologica. Oltre ai propri programmi di ricerca le tre commissioni sponsorizzano almeno in parte l’attività degli aviatori regionali menzionati prece-dentemente. Tutte le fotografie prodotte a livello na-zionale e regionale sono fruibili dal pubblico presso gli archivi regionali e nazionali. Complessivamente le Royal Commission posseggono una importante collezione di fotografie sia verticali sia oblique di varia provenienza comprese le coperture verticali prodotte della RAF da metà degli anni Quaranta e dall’Ordnance Survey da metà degli anni Sessanta (l’equivalente italiano dell’IGM).L’attenzione verso la ricerca topografica e la re-stituzione cartografica che ancora oggi domina l’archeologia aerea in Italia, trova una risposta in Inghilterra nell’operato di John Hampton, il primo responsabile dell’unità di fotografia aerea della Royal Commission inglese. Hampton insisteva che più fotografie possibili dovevano essere convertite in cartografie archeologiche a varie scale. Solo in questo modo le informazioni dedotte dalla fotogra-fia avrebbero potuto esser lette, come accade per le altre tipologie di informazioni prodotte dagli archeologi e quindi contribuire in modo sistematico alla ricerca. Queste convinzioni condussero Hamp-ton, sul finire degli anni Ottanta, ad avviare ricerche pionieristiche che diedero vita nel 1992 al National Mapping Programme for England (NMPE), il cui scopo è di creare mappe e documentazione scritta per tutti gli elementi del paesaggio in disuso che po-tevano essere osservati tramite le fotografie oblique e verticali sull’intero territorio nazionale (Fig. 1.14; BEWLEY 2001). Un progetto ambizioso e a lungo termine se si considera che le previsioni ritengo-no che solo la copertura dell’Inghilterra non sarà completata prima del 2015. I progetti del NMPE hanno dimostrato di contribuire in modo significa-tivo all’aumento quantitativo e qualitativo dei siti archeologici, con particolare riferimento alle fasi medievali, post-medievali e moderne. Nell’ambito dell’NMPE spesso le ‘nuove’ evidenze rappresenta-no il 60-70% della documentazione al termine dello studio di un territorio. Le commissioni scozzesi e gallesi seguono invece linee differenti; i rispettivi progetti di restituzione grafica sono fortemente

orientati a costituire un supporto alle ricognizioni di superficie o a documentare e trascrivere dati relativi a singoli insediamenti individuati nel corso di ricognizioni aeree.Il Regno Unito al momento non dispone però di organismi specificamente rivolti alla aerofoto-grammetria archeologica, nonostante prodotti di questa natura (usando equipaggiamenti digitali più che analogici) siano realizzati con il supporto di English Heritage. Le situazioni in cui si appli-cano le tecniche fotogrammetriche sono limitate a contesti caratterizzati da particolari esigenze di conservazione o ai casi in cui la restituzione delle foto è parte integrante dell’indagine analitica sul terreno. In tutti gli altri casi si ritiene più utile seguire tecniche speditive per la trascrizione com-puterizzata delle informazioni archeologiche, sia da fotografie verticali che oblique, utilizzando come base di riferimento la cartografia a scala 1:10.000. Se questa scelta comporta da un lato una certa perdita di accuratezza (trascurabile a questa scala di dettaglio) dall’altro consente di restituire pae-saggi piuttosto che singoli siti. L’intero palinsesto informativo, costituito dalle evidenze restituite e georeferenziate, oltre alla relativa documentazione descrittiva, confluisce nel sistema GIS del NMPE indispensabile per veicolare informazioni a gran parte dei settori della ricerca archeologica.Questa strategia affonda le radici nell’esperienza de-gli anni Settanta quando a causa dello sviluppo edi-lizio e industriale, della rete viaria e di un’aggressiva politica di rimboschimento, una mole significativa di informazioni archeologiche andarono perdute per sempre. In questi anni si è affermata in Gran Bretagna la consapevolezza pubblica e politica della necessità di salvaguardare i beni archeologici. Questa esigenza fece crescere rapidamente il numero degli archeologi impiegati negli uffici regionali, provin-ciali e nelle amministrazioni locali con l’obiettivo di censire e documentare il patrimonio archeologico. La conoscenza delle risorse archeologiche ne avreb-be permesso la tutela. In questo periodo nascono a livello provinciale e/o regionale organizzazioni quali i “Sites and Monuments Record” (SMR) che promuovono la realizzazione di carte archeologiche con descrizioni di tutti i siti e i ritrovamenti identi-ficati tramite varie fonti (fra cui la fotografia aerea). La redazione di questa documentazione negli anni Settanta e Ottanta e il successivo trasferimento nei sistemi informativi territoriali negli anni Novanta dimostrò inequivocabilmente l’importanza di una documentazione di base, continua ed estesa a tutti gli elementi del paesaggio, piuttosto che informa-zioni molto dettagliate e accurate relative a pochi contesti isolati.Tra i risultati di questo approccio e del lavoro sistema-

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tico di restituzione grafica troviamo l’uso pressoché costante da parte degli archeologici delle informazioni aeree per valutare l’impatto archeologico dei progetti di sviluppo che di volta in volta vengono proposti alle amministrazioni. La documentazione aerofotografica ha assunto particolare rilievo per determinare la fat-tibilità di opere riguardanti vaste aree del territorio, come ad esempio la creazione di poli industriali, la costruzione di quartieri residenziali, reti viarie, meta-nodotti, oleodotti, ecc. Fotografie aeree già esistenti o finalizzate alla valutazione di grandi opere, la relativa interpretazione e restituzione grafica a varie scale co-stituiscono attualmente uno strumento indispensabile del processo conservativo. Le informazioni da esse derivate forniscono spesso un quadro ben più ampio rispetto al dettaglio prodotto dal singolo scavo di salvataggio, eseguito in genere nelle fasi avanzate del progetto quando ormai non è più possibile evitarne la distruzione (Fig. 2.20).

LA FOTOGRAFIA AEREA NEL SECONDO DOPOGUERRA IN EUROPA

In Francia, nell’immediato dopoguerra, si assiste a un marcato incremento delle attività di ricogni-zione aerea e, specialmente dagli anni Settanta, all’aumento di aviatori privati, tra cui ricordiamo in particolare Roger Agache. Come in Gran Bretagna piloti appassionati di archeologia interagiscono con ricercatori di musei locali o regionali, di Università e di altri Istituti. Poco chiaro è come l’archeologia aerea sia riuscita a inserirsi sistematicamente nel

mondo Accademico o negli organi statali dediti alla conservazione dei beni culturali. In Germania ai voli effettuati negli anni Cinquanta e Sessanta da Irwin Scollar subentrano piloti dotati di un proprio velivolo come Otto Braasch (Fig. 1.13) e Klaus Leidorf. Le ricognizioni aeree di questi piloti-fotografi hanno raggiunto livelli quantita-tivi e qualitativi tuttora insuperati in ogni altra parte d’Europa. Purtroppo la particolare natura frammentaria del sistema governativo tedesco ha impedito, tranne in particolari casi, l’integrazione dei risultati conseguiti sia con l’attività accademica sia con gli organi di tutela.Austria, Belgio, Olanda, Svizzera e Svezia hanno beneficiato delle informazioni derivate da prospe-zioni aeree e dall’analisi delle fotografie verticali, nonostante in questi paesi il numero di specialisti del settore sia molto limitato. A tale proposito deve far riflettere come Olanda e Svezia non siano in grado di rimpiazzare i membri dello staff andati in pensione. Diversa è la situazione attestata in Spagna, Portogallo, Grecia, Turchia e fino a pochi anni fa anche in Italia. In queste nazioni l’opportunità di svolgere ricognizioni aeree è pressoché nulla a causa di restrizioni militari, burocratiche o legali, incomprensibili in un’epoca in cui sono liberamente accessibili immagini da satellite con risoluzioni inferiori al metro.Nei paesi dell’ex blocco sovietico vi sono state diffe-renti risposte al collasso del comunismo all’inizio degli anni Novanta. In alcuni casi come per la repubblica Ceca, la Slovacchia e la Slovenia, i rispettivi paesi han-no rapidamente eliminato ogni restrizione burocratica

1.15 Dettaglio delle immagini da satelliteA sinistra un particolare dell’immagine multispettrale QuickBird-2 (Pienza – SI). A destra la medesima scena ripresa con il sensore pancromatico. In entrambe le immagini è possibile osservare una traccia lineare con andamento ONO-ESE riferibile al passaggio di un diverticolo della via Cassia. Nell’immagine di destra si noti l’estremo grado di dettaglio che consente di distinguere la linea tratteggiata della mezzeria.

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e militare. Ciò ha permesso agli archeologi di avviare con entusiasmo esperienze di ricognizione aerea e valutare funzionalità e fattibilità dell’archeologia aerea nel suo proprio paese o regione. Ci riferiamo, in particolare, alle relazioni tra condizioni climatico-pedologiche e visibilità delle tracce o tra il sistema di governo e le opportunità di finanziamento. In altre nazioni, come Ungheria e Polonia, sono sorte colla-borazioni tra archeologi locali ed esperti di altri paesi con l’obiettivo di dimostrare la validità del metodo nei rispettivi paesi (Fig. 2.16). Nonostante i risultati significativi ottenuti da questi studi la maggior parte degli archeologi e dei politici di questi paesi non hanno espresso il desiderio né messo a disposizione risorse per aggiungere questa “nuova” metodologia a quanto già in uso durante il periodo sovietico. Bulgaria, Romania e Ucraina a oggi hanno assistito a esperienze ridotte da parte di archeologi provenienti dai paesi occidentali. Un ultimo gruppo di nazioni è costituito da paesi come la Lituania, Danimarca, Svizzera, Croazia e magari presto la Finlandia che, sebbene con budget, capacità ed esperienza ancora limitata, stanno iniziando le ricerche in questi anni.

SVILUPPI TECNOLOGICI

In anni recenti l’elaborazione digitale delle immagini ha avuto un incremento significativo come ausilio alla lettura di immagini pancromatiche e a colori, includendo naturalmente anche le fotografie aeree. Utilizzata con prudenza e consapevolezza, il tratta-mento digitale delle immagini può risultare piuttosto efficace, in particolare per enfatizzare gli elementi principali del paesaggio come letti di fiumi abban-donati o vecchie linee di costa. Risultati significativi sono stati raggiunti, ad esempio, da Marcello Cosci dell’Università di Siena nello studio degli insediamenti fortificati d’altura della Toscana (Capitolo 12).Anche le tecniche digitali di georeferenziazione hanno conosciuto un rapido sviluppo attraverso la commercializzazione a basso costo di software appositamente realizzati, come Aerial e AirPhoto, che consentono una rapida restituzione grafica del-le informazioni contenute su fotografie oblique e verticali (Capitoli 7 e 8). Dobbiamo inoltre prestare attenzione, a un futuro non lontano, agli sviluppi nel campo delle immagini da satellite ad alta riso-luzione (Fig. 1.15), al telerilevamento iperspettrale da aereo e a esperienze interdisciplinari, sperando nella realizzazione di un numero sempre maggiore di studi aerei e prospezioni geofisiche come avve-nuto a Carnuntum in Austria, a West Heslerton in Inghilterra e negli ultimi anni a Siena (DONEUS et alii 2001; POWLESLAND et alii 1997; CAMPANA, Capitolo 11 del presente volume).

ARCHEOLOGIA AEREA: EMARGINAZIONE E INTEGRAZIONE

L’apprezzamento e il riconoscimento verso l’archeolo-gia aerea, con particolare riferimento alla ricognizione aerea, è evidentemente più affermato nel Regno Unito che in Italia (per considerazioni sulla situazione odier-na in Italia si veda PICCARRETA, CERAUDO 2000 pp. 7-8). Gli studi di aerofotointerpretazione in Gran Bretagna hanno sofferto relativamente poco della “malattia della metodologia”, espressione con cui indichiamo quando la metodologia prende il sopravvento sul risultato archeologico. Oggigiorno sia il rilevamento aereo sia i relativi prodotti sono ben integrati rispetto ai processi di conservazione dei beni culturali e di conoscenza delle società di archeologi professionisti (l’equivalente Inglese delle nostre cooperative). La prospezione aerea e la restituzione grafica di insedia-

1.16 Dalle fotografie all’archeologiaCathy Stoertz insieme con le “scatole rosse”, i contenitori delle 35.000 immagini utilizzate per la redazione della cartografia archeologica e della sua ricerca sull’altipiano gessoso del Wolds nello Yorkshire, Inghilterra settentrionale (si veda Figg. 9.8, 9.9 e STOERTZ 1997).

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menti antichi o di alcuni elementi del paesaggio sono divenuti uno strumento comune del lavoro archeolo-gico, sia in combinazione con rilevamento sul campo o altri metodi di indagine sia in modo indipendente. Il mondo accademico britannico (tranne rare eccezioni eccellenti) appare ancora stranamente riluttante ad accettare le informazioni date da prospezioni aeree, ad ammetterne i risultati e gli stimoli che possono derivarne. Indubbiamente non mancano motivi precisi che hanno determinato questa situazione e alcuni di questi probabilmente possono trovare analogie con quanto avvenuto in Italia.Ad esempio vi è una elevata quantità di informazioni relative a centinaia di nuovi siti che devono essere ancora accettati poiché non hanno ancora trovato confronti con situazioni indagate stratigraficamente. Fatta eccezione per limitate aree di interesse uno studio sistematico non può cominciare fino a quando le migliaia di fotografie non siano state interpretate, restituite, analizzate e i relativi dati integrati con ricerche morfologiche o topografiche (Fig. 1.16, 9.8 e in genere Capitolo 9). Risulta quindi più allettante per gli specialisti del settore limitarsi a esibire un numero limitato di scoperte sorprendenti piutto-sto che gestire un massiccio quantitativo di dati, o illustrare fotografie aeree di siti già ben conosciuti che presentare nuovi interrogativi riguardo quelle recentemente scoperte.Un secondo problema è rappresentato dall’abitudi-ne degli archeologi a lavorare su documentazione proveniente da scavi, rilevamenti sul territorio o prospezioni di superficie. Questa situazione genera la tendenza a voler utilizzare la fotografia aerea per rispondere alle stesse domande che sono abituati porre alle suddette tipologie di documentazione archeologica. Sebbene questo atteggiamento, sia le-gittimo e in alcuni casi valido, pensiamo ad esempio agli studi sulla viabilità romana, sulle fortificazioni in Inghilterra o sulla centuriazione, in Italia non è possibile generalizzarlo. È determinante compren-dere che le informazioni prodotte dal rilevamento aereo offrono, o meglio stimolano, gli archeologi verso nuovi approcci all’analisi dei paesaggi anti-chi. Purtroppo il rilevamento aereo, come tutte le metodologie di indagine, è affetto da limiti e quindi non trova applicazioni in tutti i contesti territoriali di un paese o in microscala di uno specifico monu-mento. A tale proposito il più delle volte emergono risultati significativi non nel sito di primo interesse ma piuttosto nelle aree o nei siti adiacenti che però in genere vengono scarsamente considerati rispetto all’attenzione dedicata al monumento.A nostro parere è indispensabile fornire alla discipli-na lo spazio necessario accettando, il confronto con i nuovi interrogativi che ne possono seguire. Sulla base delle esperienze condotte in tutta Europa siamo

certi che questo atteggiamento offrirà prospettive di ricerca del tutto nuove, specialmente riguardo a temi quali l’articolazione delle reti insediative e lo sfruttamento delle risorse nelle aree rurali.Ad un altro livello molti archeologi dell’Europa continentale, inclusi gli italiani, ritengono che le evidenze identificate tramite la fotografia aerea (tracce quali cropmark, soilmark o earthwork non documentate precedentemente) possono essere considerate siti archeologici solo successivamente alla verifica sul terreno tramite ricognizione di su-perficie o meglio scavo stratigrafico. Gli archeologi inglesi, forse per via della loro lunga familiarità con evidenze aree supportate da numerose conferme al suolo, sembrano molto più propensi ad accettare che un fossato circolare o un recinto visibile solo come cropmark sia un “sito”, esattamente come viene considerato “sito” la medesima struttura rinvenuta al suolo che, priva di elementi datanti, fornisce poche informazioni sulla sua funzione originale o sulla sua cronologia.Finora abbiamo discusso di alcuni problemi episte-mologici. In aggiunta ve ne sono, o ve ne sono stati, altri di natura più pratica. Abbiamo più volte ripetuto che per decenni in Italia un impedimento concreto alla pratica delle prospezioni aeree era costituito dalla legislazione vigente ora finalmente decaduta. Un altro problema di natura pratica è relativo alla presunta necessità di ingenti risorse economiche per la realizzazione di ricognizioni aeree. In realtà queste sono molto meno costose dello scavo archeo-logico e paragonabili alle esigenze economiche delle ricognizioni di superficie. È verosimile ritenere che questa convinzione sia connessa con il timore che riservare parte dei finanziamenti per indagini aeree potrebbe ridurre la disponibilità per le metodologie ‘tradizionali’.Nella lunga e travagliata discussione sulle possibilità di applicare in Italia queste metodologie di indagine non sono mancante incomprensioni e mezze verità. Pensiamo al dibattito connesso alle caratteristiche di visibilità del territorio italiano. Il confronto risale, più di cinquanta anni fa, a un editoriale di Crawford in cui riporta una serie di osservazioni sollevate da archeologi italiani che ritengono inapplicabili le me-todologie che hanno avuto grande successo al nord delle Alpi a causa delle caratteristiche geologiche della penisola. La ricognizione aerea sarebbe idonea solo a una piccola porzione del territorio poiché oltre alla geologia le campagne italiane sono ampiamente sfruttate da coltivazioni e in particolare da piante che obliterano la visibilità delle tracce. Questa ultima osservazione corrisponde in parte a verità sebbene altrove nelle giuste condizioni sono proprio le colture e il ciclo agricolo che rivelano cropmark e soilmark. Nel suo editoriale Crawford aggiunge ulteriori obie-

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zioni, in particolare la preoccupazione che nel caso in cui questa metodologia avesse dato risposte positive avrebbe aumentato il numero di siti archeologici con conseguenti problemi di conservazione. Si riteneva che i cropmark rivelano molto poco riguardo alla cro-nologia o alla funzione di alcuni tipi di insediamento e che il lavoro di ricerca sul terreno e il rilevamento di superficie sono molto più efficaci.Queste obiezioni sono accettabili ma è altrettanto vero che le medesime critiche possono essere rivolte a ogni altro metodo investigativo. Nessuna meto-dologia presa singolarmente può rispondere a tutte le nostre domande sul passato. Lo scavo si occupa di una minuscola parte del territorio e documenta solamente una piccola porzione di ciò che vi era in origine. Il rilievo delle evidenze in superficie, comprese le indagini geofisiche, possono verificare la reale esistenza, la forma e le dimensioni dei mo-numenti rimasti ma, senza costosi e irreversibili scavi o rassomiglianze strette con insediamenti meglio conosciuti, la cronologia e la funzione delle anoma-lie rimangono ipotesi. Le ricognizioni di superficie documentano l’esistenza e talvolta l’estensione degli insediamenti ma poco ci è dato sapere delle dimen-sioni o dell’entità del deposito. Fonti letterarie e documentarie riportano informazioni che spesso non trovano corrispondenza con le evidenze riscontrate sul terreno.Al di là di queste obiezioni vi sono considerazioni indubbiamente favorevoli. Ad esempio è diffusa la consapevolezza che in corrispondenza di aree a rischio la documentazione dall’alto eseguita a intervalli regolari è specialmente per territorio di grandi dimensioni l’unica metodologia realistica per la catalogazione e il monitoraggio delle testi-monianze del passato. È vero inoltre che in Italia, come in altri paesi, alcune delle testimonianze an-tiche dell’organizzazione dei paesaggi, pensiamo ai sistemi di irrigazione e di centuriazione, possono soltanto, o comunque meglio, essere documentati dall’alto. In aggiunta si pensi che alcune tipologie di sito sopravvivono quasi esclusivamente come tracce visibili solo dall’alto, per esempio monumenti rituali e cerimoniali del periodo Neolitico o del periodo del Bronzo nel Regno Unito o gli insediamenti neolitici del Tavoliere in Italia.Ciò che riteniamo necessario è insistere sulla qualità della ricerca storico-archeologica da considerare il fine ultimo a quale ogni metodologia disponibile deve fornire il proprio contributo. È indispensa-bile, oltre a riconoscere le tecniche che hanno e continuano a dare importanti contributi alla ricerca archeologica, sperimentare continuamente nuovi

metodi, evitando di perdersi in speculazioni senza fondamento riguardo a supposti processi cognitivi, concetti o motivazioni psicologiche connesse all’ope-rato di individui o di società antiche. È nell’opinione dei presenti autori che gli elementi della speculazione archeologica sono costituiti principalmente dalla testimonianza fisica superstite di quanto avvenuto (o esistente) nel passato. Per l’identificazione di questo tipo di evidenze la ricognizione aerea svolge un ruolo indiscutibile e significativo che soprattutto in territori particolarmente favorevoli consente di rendere conto pienamente del suo potenziale. Le conoscenze acquisite consentono di superare alme-no sul piano analitico le aree inaccessibili o prive di visibilità aerea, costituendo la base per lo sviluppo di modelli predittivi.

IN VOLO NEL FUTURO

L’archeologia aerea, così come l’archeologia nel suo complesso, è un settore in rapida espansione, non solo per la valorizzazione del passato più remoto ma anche per lo studio del periodo industriale e per le rapide trasformazioni del paesaggio negli ultimi de-cenni. Questa metodologia trova applicazioni nella ricerca di nuove emergenze, nella documentazione, nella restituzione grafica, nell’interpretazione, nella presentazione e nella conservazione dei siti archeo-logi. L’archeologia aerea prenderà quota in Italia, sia in senso letterale sia metaforico, solo quando gli ar-cheologi italiani cominceranno a volare e capiranno come applicarla nei diversi contesti della penisola. Affinché ciò accada saranno necessari cambiamenti culturali e sostegni finanziari. I progressi potrebbero essere inizialmente lenti e non geograficamente uni-formi, sia in Italia sia nel resto d’Europa. La storia dell’archeologia aerea del Regno Unito costituisce un ottimo esempio degli straordinari risultati che si possono ottenere attraverso lo sforzo e l’entusiasmo di pochi individui. Le tecniche coinvolte non sono particolarmente complesse e una prima esperienza può venire dalla lettura delle pubblicazioni esistenti o tramite l’adesione al gruppo di ricerca aerea in-ternazionale Aerial Archaeology Research Group. Considerate le prospettive che questa metodologia può offrire all’archeologia italiana vale sicuramente il rischio di incorrere in occasionali delusioni lungo il cammino. È giunta l’ora di mettere queste idee in pratica, anche se, sicuramente, il percorso sarà irto di difficoltà e di delusioni. Siamo però certi che le sorprese non mancheranno e nel lungo periodo le soddisfazioni ripagheranno ampiamente gli sforzi e le difficoltà iniziali.