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PREFAZIONE ALLA SETTIMA EDIZIONE Raccogliere l’eredità di Luisa Galantino nel continuare l’opera di aggiornamen- to del Manuale di Diritto del lavoro pubblico – al quale si era dedicata con grande passione per offrire uno strumento di formazione e di studio rivolto a un’area “emergente” del diritto del lavoro – costituisce per me, Suo allievo, cimento tanto impegnativo quanto gratificante e rappresenta, al contempo, il modo, credo miglio- re, per onorare la memoria della compianta Maestra, guida autorevole e costante esempio di grande disponibilità umana e generosità d’animo. L’intento, nel procedere alla revisione del testo, è stato quello di mantenere inal- terata l’impostazione originaria che, prediligendo canoni metodologico-espositivi improntati alla massima immediatezza, ha decretato, sin dalla prima edizione, il successo del manuale sia in ambito didattico, sia, più in generale, tra gli operatori del diritto. La nuova edizione tiene conto delle novità legislative più recenti intervenute in materia, che hanno inciso significativamente sulla disciplina dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. In particolare, nell’ambito della complessa riforma della pubblica amministrazione avviata dalla legge delega n. 124 del 2015, il legislatore è intervenuto nuovamente, con i d.lgs. n. 74 del 2017 e 75 del 2017, sul processo di privatizzazione del pubblico impiego, ridefinendo il rapporto tra legge e autonomia collettiva, le procedure di misurazione e valutazione della per- formance e numerosi istituti quali, tra gli altri, il reclutamento del personale e l’ana- lisi dei fabbisogni, la stabilizzazione dei precari, le progressioni di carriera, le tipolo- gie contrattuali flessibili, l’accertamento dello stato di malattia, la responsabilità di- sciplinare e la tutela per il licenziamento illegittimo. Sul piano degli accordi collettivi, si è dato conto dell’avvio della nuova stagione di contrattazione, con l’accordo quadro di ridefinizione dei comparti e delle aree del 13 luglio 2016, l’accordo tra Governo e sindacati sulle relazioni sindacali e la contratta- zione collettiva del 30 novembre 2016 e l’avvio delle procedure per i rinnovi contrat- tuali, dai quali è attesa la necessaria armonizzazione con le norme di legge interve- nute nel lungo periodo di sospensione dell’attività negoziale. Infine, uno sguardo attento è stato rivolto alle più rilevanti pronunce della giu- risprudenza, anche costituzionale, che sono recentemente intervenute in materia. MASSIMO LANOTTE

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Prefazione XIII

PREFAZIONE ALLA SETTIMA EDIZIONE Raccogliere l’eredità di Luisa Galantino nel continuare l’opera di aggiornamen-

to del Manuale di Diritto del lavoro pubblico – al quale si era dedicata con grande passione per offrire uno strumento di formazione e di studio rivolto a un’area “emergente” del diritto del lavoro – costituisce per me, Suo allievo, cimento tanto impegnativo quanto gratificante e rappresenta, al contempo, il modo, credo miglio-re, per onorare la memoria della compianta Maestra, guida autorevole e costante esempio di grande disponibilità umana e generosità d’animo.

L’intento, nel procedere alla revisione del testo, è stato quello di mantenere inal-terata l’impostazione originaria che, prediligendo canoni metodologico-espositivi improntati alla massima immediatezza, ha decretato, sin dalla prima edizione, il successo del manuale sia in ambito didattico, sia, più in generale, tra gli operatori del diritto.

La nuova edizione tiene conto delle novità legislative più recenti intervenute in materia, che hanno inciso significativamente sulla disciplina dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. In particolare, nell’ambito della complessa riforma della pubblica amministrazione avviata dalla legge delega n. 124 del 2015, il legislatore è intervenuto nuovamente, con i d.lgs. n. 74 del 2017 e 75 del 2017, sul processo di privatizzazione del pubblico impiego, ridefinendo il rapporto tra legge e autonomia collettiva, le procedure di misurazione e valutazione della per-formance e numerosi istituti quali, tra gli altri, il reclutamento del personale e l’ana-lisi dei fabbisogni, la stabilizzazione dei precari, le progressioni di carriera, le tipolo-gie contrattuali flessibili, l’accertamento dello stato di malattia, la responsabilità di-sciplinare e la tutela per il licenziamento illegittimo.

Sul piano degli accordi collettivi, si è dato conto dell’avvio della nuova stagione di contrattazione, con l’accordo quadro di ridefinizione dei comparti e delle aree del 13 luglio 2016, l’accordo tra Governo e sindacati sulle relazioni sindacali e la contratta-zione collettiva del 30 novembre 2016 e l’avvio delle procedure per i rinnovi contrat-tuali, dai quali è attesa la necessaria armonizzazione con le norme di legge interve-nute nel lungo periodo di sospensione dell’attività negoziale.

Infine, uno sguardo attento è stato rivolto alle più rilevanti pronunce della giu-risprudenza, anche costituzionale, che sono recentemente intervenute in materia.

MASSIMO LANOTTE

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Diritto del lavoro pubblico XIV

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L’evoluzione normativa del rapporto di lavoro pubblico 1

SEZIONE I

LE FONTI E I DIRITTI SINDACALI

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L’evoluzione normativa del rapporto di lavoro pubblico 3

CAPITOLO PRIMO

L’EVOLUZIONE NORMATIVA DEL RAPPORTO DI LAVORO PUBBLICO

SOMMARIO: 1. Il rapporto organico e il rapporto di servizio. Il d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3. – 2. Segue: la legge 29 marzo 1983, n. 93. – 3. La prima privatizzazione: la legge delega n. 421 del 1992 e il d.lgs. n. 29 del 1993. – 4. La seconda privatizzazione: la legge delega n. 59 del 1997 e il d.lgs. n. 80 del 1998. Il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e i successivi interventi correttivi. – 5. La “riforma Brunetta”: la legge delega 4 marzo 2009, n. 15 e la ridefinizione del rapporto tra legge e contrattazione collettiva. – 6. Segue: il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. – 7. Gli interventi successivi alla “riforma Brunetta”. – 8. La “riforma Madia”: la legge delega 7 agosto 2015, n. 124. – 9. Segue: i dd.llgs. nn. 74 e 75 del 2017. – 10. I principi generali ispiratori della contrat-tualizzazione del pubblico impiego. Specialità del rapporto e progressiva differenziazione dal modello privatistico. – 11. L’ambito di applicazione oggettivo del testo unico sul pubblico im-piego. – 12. L’ambito di applicazione soggettivo del testo unico sul pubblico impiego. Le esclusioni. – 13. Le fonti di regolamentazione del rapporto di lavoro pubblico.

1. IL RAPPORTO ORGANICO E IL RAPPORTO DI SERVIZIO. IL D.P.R. 10 GENNAIO 1957, N. 3

Il rapporto di lavoro pubblico è definibile come rapporto intercorrente fra il lavoratore – che esegue dietro corrispettivo la propria prestazione di lavoro – e lo stato o altro ente pubblico non economico.

La posizione dei pubblici dipendenti – secondo la dottrina ormai tradizionale – appare caratterizzata da un duplice profilo: il rapporto organico o di ufficio ed il rapporto di servizio.

Sotto il primo profilo, i pubblici dipendenti si configurano come veri e pro-pri organi dell’amministrazione o comunque dell’ente pubblico, esprimendone all’esterno la volontà e realizzandone i fini istituzionali.

Il cosiddetto rapporto organico o di ufficio è dunque espressivo di interessi pubblici, che peraltro vengono formalmente riconosciuti anche dalla nostra Car-ta costituzionale, la quale contiene norme finalizzate a rendere l’azione ammini-strativa conforme a parametri di imparzialità, di efficienza, di efficacia. Si tratta degli artt. 54, 97 e 98.

La prima norma, infatti, afferma che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giu-ramento nei casi stabiliti dalla legge”.

L’art. 97 Cost. così recita: “i pubblici uffici sono organizzati secondo le di-

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sposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzia-lità dell’amministrazione (comma 1°). Nell’ordinamento degli uffici sono deter-minate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei fun-zionari (comma 2°). Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorsi, salvo i casi stabiliti dalla legge” (comma 3°).

L’art. 98, comma 1°, Cost. sancisce che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione”, mentre l’art. 98, comma 2° stabilisce che la legge può fis-sare limiti al diritto di iscrizione a partiti politici per alcune categorie di dipendenti.

Sotto un diverso aspetto, non si può negare che i pubblici dipendenti siano legati al soggetto pubblico da un rapporto di lavoro comportante diritti ed ob-blighi analoghi a quelli che scaturiscono dal rapporto di lavoro privato: cosid-detto rapporto di servizio.

L’ambivalenza della figura del pubblico dipendente – che riveste contempo-raneamente la qualifica di funzionario e di lavoratore subordinato – ha fatto sì che storicamente si siano delineate discipline giuridiche del pubblico impiego intese a privilegiare di volta in volta l’uno o l’altro aspetto del rapporto.

In un primo tempo, il legislatore ha sicuramente dato prevalenza al rapporto organico e dunque agli interessi pubblici ad esso sottesi. Di conseguenza, la di-sciplina del rapporto mostra le seguenti caratteristiche:

– il rapporto si costituisce per atto unilaterale di nomina della pubblica am-ministrazione e non già per contratto;

– il rapporto è interamente disciplinato da leggi o da regolamenti ed è gestito in tutte le sue vicende da atti amministrativi;

– sussiste la competenza giurisdizionale esclusiva del giudice amministrativo per le relative controversie.

Un evidente derivato di tale concezione è costituito dal d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3 o Testo unico delle disposizioni concernenti lo Statuto degli impiegati civili dello Stato. Quest’ultimo prevede una disciplina legislativa integrale del rapporto dalla fase della sua costituzione a quella della sua estinzione ed è pre-valentemente incentrato sulla valorizzazione del rapporto organico del dipen-dente statale. A tale regolamentazione legislativa si ispirano successivamente al-tre leggi riguardanti specifiche categorie di dipendenti pubblici.

2. SEGUE: LA LEGGE 29 MARZO 1983, N. 93

Verso la fine degli anni sessanta il verificarsi di una serie di fenomeni – quali la dilatazione delle funzioni svolte dalla pubblica amministrazione, l’esigenza di migliorarne l’efficienza, la necessità di governo della spesa per il personale e di perequazione dei trattamenti economici, la più agguerrita presenza delle orga-nizzazioni sindacali confederali nel settore pubblico – favoriscono una progres-sivo, ma inarrestabile, avvicinamento della disciplina giuridica del lavoro pub-blico a quella del lavoro privato.

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Significativi al riguardo sono, in primo luogo, i provvedimenti diretti ad isti-tuzionalizzare la contrattazione collettiva in diversi settori del pubblico impiego: gli ospedalieri (legge 12 febbraio 1968, n. 132 e d.p.r. 27 marzo 1969, n. 130); gli statali ed i parastatali (legge 22 luglio 1975, n. 70); i dipendenti degli enti ter-ritoriali (legge 27 febbraio 1978, n. 43); i dipendenti del servizio sanitario nazio-nale (legge 23 dicembre 1978, n. 833).

In secondo luogo, occorre menzionare la legge 11 luglio 1980, n. 312 che modifica il sistema di progressione della carriera basata esclusivamente sull’an-zianità del pubblico dipendente allo scopo di incentivare la produttività del la-voro pubblico. A tal fine, la legge da un lato istituisce le cosiddette qualifiche funzionali correlate al contenuto qualitativo della prestazione ed articolate in diversi livelli professionali. Dall’altro, introduce metodologie di valutazione del lavoro secondo standard di esecuzione differenziati, fissati in sede di relazione annuale al parlamento sullo stato della pubblica amministrazione.

I diversi progetti di riforma globale della regolamentazione legislativa del pubblico impiego trovano comunque sbocco nella legge 29 marzo 1983, n. 93, denominata legge-quadro sul pubblico impiego.

Essa prevede una disciplina organica della materia con riferimento sia agli impiegati statali che ai dipendenti degli altri enti pubblici, con esclusione di li-mitate categorie di lavoratori:

– i dipendenti con funzioni collegate a quelle giurisdizionali o legislative o di governo, quali i militari, il personale di polizia, i diplomatici, i magistrati, i di-pendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dal-l’art. 1 del d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691 (funzio-ne creditizia, valutaria e di risparmio);

– i dirigenti generali dello stato e degli enti parastatali (art. 26, commi 2° e 3°); – i docenti e ricercatori universitari.

La regolamentazione in esame affida alla competenza legislativa una serie di materie:

– l’organizzazione in senso lato degli uffici pubblici, secondo quanto del re-sto richiede l’espresso disposto dell’art. 97 Cost.;

– i procedimenti di costituzione, modificazione di stato giuridico ed estinzio-ne del rapporto di pubblico impiego;

– la scelta dei criteri per la determinazione delle qualifiche funzionali e dei profili professionali in ciascuna di esse compresi;

– la determinazione dei criteri per la formazione e l’addestramento profes-sionale;

– i ruoli organici, la loro consistenza e la dotazione complessiva delle qualifi-che;

– le garanzie del personale in ordine all’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali;

– la durata massima dell’orario di lavoro giornaliero;

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– l’esercizio dei diritti dei cittadini nei confronti dei pubblici dipendenti ed il loro diritto di accesso e di partecipazione agli atti della pubblica amministrazione.

Come si vede, si tratta per lo più di materie che attengono ai principi di orga-nizzazione degli uffici pubblici al fine di assicurarne il buon andamento e l’im-parzialità – e dunque sono coperte da riserva di legge ai sensi dell’art. 97 Cost. – ovvero riguardano aspetti fondamentali del rapporto di pubblico impiego.

Gli altri profili di quest’ultimo e dell’organizzazione di lavoro vengono rego-lamentati da una diversa fonte, la contrattazione collettiva, che – già introdotta da precedenti interventi legislativi con riferimento a specifici settori del pubbli-co impiego – dalla legge n. 93 del 1983 viene istituzionalizzata sotto i profili del-l’oggetto, dei soggetti, della procedura, dei livelli, del procedimento e dell’effi-cacia.

Vale la pena sottolineare che la contrattazione collettiva non è immediata-mente vincolante, ma deve essere recepita in appositi atti pubblici unilaterali (decreti del Presidente della Repubblica per i dipendenti statali).

La legge-quadro introduce un ulteriore profilo di armonizzazione fra la di-sciplina dell’impiego pubblico e quella dell’impiego privato: l’estensione ai di-pendenti dello stato e degli enti pubblici di numerose norme dello Statuto dei lavoratori con riferimento al titolo I (artt. 1, 3, 8, 9, 10, 11) ed al titolo II (artt. 14, 15, 16, comma 1° e 17).

Del titolo III vengono estesi i principi di cui agli artt. 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26 e 27 – cioè delle norme relative ai cosiddetti diritti sindacali (art. 23, comma 2°) – con disposizioni legislative da emanarsi in base ad accordi sindacali, dopo avere introdotto una norma simile all’art. 19 dello Statuto per quanto riguarda la costituzione di organismi rappresentativi dei lavoratori (art. 25).

La legge n. 93 del 1983 non modifica invece il regime di tutela giurisdizionale tipico del pubblico impiego, limitandosi a statuire che “in sede di revisione del-l’ordinamento della giurisdizione amministrativa si provvederà all’emanazione di norme che si ispirino, per la tutela giurisdizionale del pubblico impiego, ai princi-pi contenuti nelle leggi 20 maggio 1970, n. 300 e 11 agosto 1973, n. 533” (art. 28).

3. LA PRIMA PRIVATIZZAZIONE: LA LEGGE DELEGA N. 421 DEL 1992 E IL D.LGS. N. 29 DEL 1993

Non si può certo affermare che la legge-quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983 abbia realizzato quegli obiettivi di efficienza della pubblica ammini-strazione, di razionalizzazione dell’attività contrattuale e di controllo della spesa per il personale, che essa si era proposta come prioritari.

Le ragioni dell’insuccesso legislativo sono molteplici ed addebitabili in gran parte alla stessa parte pubblica. Infatti, quest’ultima da un lato in sede di con-trattazione collettiva si è dimostrata favorevole ad introdurre miglioramenti economici non ricollegabili né ai limiti di spesa prefissati, né a parametri di pro-

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duttività e dunque consentiti solo col ricorso alla registrazione con riserva da parte della Corte dei conti.

Dall’altro, ha posto in atto interventi legislativi intesi a sottrarre progressiva-mente alla legge-quadro numerosi enti pubblici dapprima in essa rientranti.

Infine, è spesso intervenuta con provvedimenti legislativi in materie riservate alla contrattazione, creando difficoltà di raccordo fra l’una e l’altra fonte di di-sciplina.

Il raggiungimento delle finalità di efficienza e di produttività della pubblica amministrazione e di razionalizzazione del costo del lavoro appare sempre più perseguibile con un ulteriore processo di attrazione del rapporto di pubblico impiego nell’alveo della disciplina giuslavoristica, sia pure nel rispetto della ri-serva di legge stabilita dall’art. 97 Cost. per quanto riguarda l’organizzazione dei pubblici uffici e l’accesso ad essi tramite concorso.

I diversi progetti di riforma in tal senso presentati dalle forze sindacali e poli-tiche trovano il momento conclusivo nella legge 23 ottobre 1992, n. 421 – di de-lega al governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale – che avvia il complesso percorso di privatizzazione del pubblico impiego.

Nel dare attuazione ai criteri direttivi contenuti nell’art. 2 della legge delega, il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 stabilisce che “i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordi-nato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente de-creto” (art. 2, comma 1°).

La contrattazione collettiva è riconosciuta come fonte direttamente vincolan-te del rapporto di lavoro pubblico nelle materie non soggette a riserva di legge ovvero al potere organizzativo unilaterale della pubblica amministrazione.

Si parla dunque apertis verbis di “privatizzazione” o “contrattualizzazione” del pubblico impiego, il quale viene ancorato al modello giuslavoristico privati-stico, sia pure con alcune importanti diversificazioni da quest’ultimo.

Va peraltro rilevato che il processo di privatizzazione delineato dal d.lgs. 29 del 1993 si presenta, sotto alcuni profili, ancora incompleto, tanto da favorire una lettura riduttiva della riforma soprattutto ad opera di quella parte della giuri-sprudenza amministrativa che sin dall’origine aveva sin anche dubitato della le-gittimità costituzionale del progetto legislativo (Cons. Stato, ad. gen., 31 agosto 1992, n. 146).

In particolare, si consideri che – in base a quanto richiesto dall’art. 2, lett. c), della legge delega n. 421 del 1992 – rimanevano nell’alveo pubblicistico, sogget-te alla giurisdizione amministrativa:

1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento di procedure amministrative;

2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; 3) i princìpi fondamentali di organizzazione degli uffici;

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4) i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; 5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza complessiva; 6) la garanzia della libertà di insegnamento e l’autonomia professionale nello

svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca; 7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l’impiego pubbli-

co ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici.

Inoltre, venivano sottratti alla privatizzazione i rapporti di lavoro dei dirigen-ti generali.

4. LA SECONDA PRIVATIZZAZIONE: LA LEGGE DELEGA N. 59 DEL 1997 E IL D.LGS. N. 80 DEL 1998. IL D.LGS. 30 MARZO 2001, N. 165 E I SUCCESSIVI IN-TERVENTI CORRETTIVI

A distanza di qualche anno – nel corso dei quali si sono avute significative pronunce della Corte costituzionale (n. 313 del 1996 e n. 309 del 1997) a soste-gno del complessivo impianto della riforma – il legislatore è intervenuto nuova-mente al fine di eliminare ogni incertezza sull’applicabilità della disciplina priva-tistica all’impiego pubblico, con l’emanazione della legge delega n. 59 del 1997 e del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, modificativo del d.lgs. n. 29 del 1993.

Si tratta della cosiddetta seconda privatizzazione, la quale distingue in modo più nitido fra “organizzazione amministrativa” – coperta da riserva di legge ai sensi dell’art. 97, comma 1°, Cost. affinché siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione – e “rapporto di lavoro pubblico”, che fa ca-po ad un potere organizzativo della p.a. del tutto simile a quello esercitato dal privato datore di lavoro.

In particolare, nell’ambito dell’organizzazione amministrativa viene definita una nuova linea di confine tra la c.d. macro-organizzazione, che continua ad es-sere soggetta alla legge e alle fonti pubblicistiche, e la c.d. micro-organizzazione, ricondotta anch’essa all’area privatistica.

Si prevede, quindi, da un lato, che le amministrazioni pubbliche definiscono secondo principi generali fissati dalla legge, mediante propri atti organizzativi, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di mag-giore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determi-nalo le dotazioni organiche.

Dall’altro, si stabilisce che vengono assunte con le capacità e poteri del priva-to datore di lavoro non solo le determinazioni relative alla gestione dei rapporti di lavoro, ma anche quelle riguardanti l’organizzazione degli uffici, spesso tra loro strettamente correlate.

Altre significative aree di intervento riguardano:

– la dirigenza pubblica, con la privatizzazione del rapporto di lavoro dei diri-genti generali (la cui legittimità costituzionale è stata confermata da Corte cost. 30 gennaio 2002, n. 11), l’istituzione del ruolo unico e la valorizzazione del

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principio di separazione tra compiti e responsabilità di direzione politica e compiti e responsabilità di direzione delle amministrazioni, con conseguenti ri-flessi sulla disciplina degli incarichi e delle responsabilità dirigenziali;

– la revisione delle procedure di contrattazione collettiva nazionale e integra-tiva; il potenziamento dell’ARAN e i meccanismi di accertamento della rappre-sentatività sindacale;

– l’estensione al pubblico impiego delle tipologie contrattuali flessibili del settore privato, sino a quel momento limitate al contratto a termine e al contrat-to part-time;

– l’adozione di codici di comportamento dei dipendenti pubblici da raccor-dare con la disciplina contrattuale delle sanzioni disciplinari;

– la devoluzione al giudice ordinario di tutte le controversie relative ai rap-porti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorché con-cernenti in via incidentale atti amministrativi presupposti, ai fini della loro di-sapplicazione.

Il d.lgs. n. 29 del 1993 – con le sue successive modifiche – rimane la normati-va di riferimento in materia sino all’entrata in vigore del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, emanato sulla base della delega contenuta nell’art. 1, comma 8° della legge 24 novembre 2000, n. 340 e intitolato “Norme generali sull’ordinamento del la-voro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”.

Col d.lgs. n. 165 del 2001 l’intera materia viene riordinata ed accorpata in una sorta di “Testo unico”, di carattere per gran parte compilativo, che abroga numerose disposizioni, tra le quali il d.lgs. n. 29 del 1993.

L’assetto regolatorio che ne scaturisce, peraltro, lungi dall’acquisire una sua definitività, continua ad essere al centro di interventi legislativi, ispirati a logiche non sempre in linea di continuità tra di loro.

Già l’anno successivo alla nascita del Testo Unico viene emanata la legge 15 luglio 2002, n. 145, che apporta significative modifiche alle norme sulla dirigen-za pubblica in controtendenza rispetto al progetto iniziale, tanto da essere quali-ficata, da una parte della dottrina, come una vera “controriforma”.

In particolare, si incide sul delicato rapporto tra politica e amministrazione, prevedendo il conferimento degli incarichi dirigenziali mediante provvedimento unilaterale dell’amministrazione (pur nell’esercizio di poteri privatistici), l’elimi-nazione della durata minima degli stessi, l’abolizione del ruolo unico e del prin-cipio di rotazione degli incarichi, la ridefinizione delle fattispecie di responsabi-lità dirigenziale. Il termine minimo di durata degli incarichi viene poi reintro-dotto dal d.l. n. 115 del 2005, convertito nella legge n. 168 del 2005.

Successivamente, il legislatore interviene ripetutamente in materia di pubbli-co impiego, pur senza sistematicità, con modifiche improntate al contenimento della spesa pubblica. Così, vengono posti limiti alla contrattazione integrativa per garantire il rispetto dei vincoli di bilancio delle singole amministrazioni, nel-le leggi di stabilità annuali si prevede il blocco del turn over impedendo nuove assunzioni con l’effetto di favorire, tra l’altro, l’abuso dei contratti a termine e di

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collaborazione autonoma; da qui la necessità di porre rimedio a tale situazione, introducendo, da un lato, nuovi e più stringenti limiti all’utilizzazione delle for-me di lavoro flessibile; dall’altro iniziando a prevedere forme di stabilizzazione dei lavoratori precari.

5. LA “RIFORMA BRUNETTA”: LA LEGGE DELEGA 4 MARZO 2009, N. 15 E LA RI-DEFINIZIONE DEL RAPPORTO TRA LEGGE E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Un’ulteriore più ampia riforma viene avviata dalla legge delega 4 marzo 2009, n. 15, finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, mediante i seguenti interventi:

a) riformare la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici in modo funzionale agli obiettivi prefissati dal legislatore (art. 2);

b) modificare la disciplina della contrattazione collettiva al fine di conseguire una migliore organizzazione del lavoro e assicurare il rispetto della ripartizione tra le materie sottoposte alla legge – nonché, sulla base di questa, ad atti orga-nizzativi e all’autonoma determinazione dei dirigenti – e quelle sottoposte alla contrattazione collettiva (art. 3);

c) modificare ed integrare la disciplina del sistema di valutazione delle strut-ture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (art. 4);

d) introdurre nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni strumenti di valorizzazione del merito e metodi di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa (art. 5);

e) modificare la disciplina della dirigenza pubblica, al fine di conseguire la migliore organizzazione del lavoro e di assicurare il progressivo miglioramento della qualità delle prestazioni erogate al pubblico (art. 6);

f) modificare la disciplina delle sanzioni disciplinari e della responsabilità dei dipendenti pubblici, al fine di potenziare il livello di efficienza degli uffici con-trastando i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo (art. 7).

Va peraltro rilevato che la legge n. 15 del 2009, oltre a tale parte “program-matica”, rimessa all’attuazione dei decreti delegati, contiene anche un intervento immediatamente precettivo sulla ridefinizione dei rapporti tra legge e contratta-zione collettiva.

L’art. 1, infatti, riformula l’art. 2, comma 2° del d.lgs. n. 165 del 2001, ribal-tando il rapporto tra le due fonti: in precedenza le disposizioni di legge pote-vano essere derogate dalla contrattazione collettiva, salvo che la legge stessa non le qualificasse come inderogabili; al contrario, dopo la riforma del 2009 le disposizioni di legge devono ritenersi inderogabili da parte della contrattazio-ne collettiva, salvo i casi in cui ne sia espressamente prevista la derogabilità.

Dunque, si passa da un sistema in cui si presumeva in linea generale la de-rogabilità della disciplina legale – e si riteneva che l’inderogabilità dovesse es-

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sere espressa di volta in volta – ad un sistema in cui l’inderogabilità della disci-plina legale viene presunta, mentre la derogabilità viene espressa di volta in vol-ta ed in caso di violazione dei precetti di legge si richiamano le clausole degli artt. 1339 e 1419, comma 2°, c.c. sulla sostituzione automatica e sulla nullità parziale, secondo i consolidati canoni vigenti in tema di rapporti fra le fonti.

L’instaurazione di un nuovo rapporto fra legge e contrattazione collettiva co-stituisce l’indispensabile premessa per un intervento legislativo inteso a rimodu-lare la disciplina del lavoro pubblico, se non a tutto campo, quanto meno sotto una serie di importanti profili, al fine di conseguire gli obiettivi che si sono pri-ma menzionati.

In altre parole, ristabilita la classica gerarchia fra legge e autonomia contrat-tuale, la riforma propone una “rilegificazione” o ricentralizzazione normativa del rapporto di lavoro pubblico con riferimento ad una serie di profili, che pri-ma venivano affidati quasi integralmente alla contrattazione collettiva ed ora so-no parzialmente o completamente “decontrattualizzati”.

6. SEGUE: IL D.LGS. 27 OTTOBRE 2009, N. 150

Il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 dà attuazione alla legge delega, introducendo da un lato nuovi istituti (titoli I-III), dall’altro modifiche sostanziali al testo uni-co del 2001 in materia di dirigenza, mobilità, contrattazione collettiva nazionale e integrativa, responsabilità dei dipendenti, sanzioni disciplinari (titolo IV).

L’obiettivo, esplicitato nell’art. 1, comma 2°, del decreto, è quello di assicu-rare “una migliore organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati ri-spettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualita-tivi ed economici delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la selettività e la concorsualità nelle progressioni di car-riera, il riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dell’au-tonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l’incremento dell’effi-cienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa produttività e all’assentei-smo, nonché la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità”.

Numerose sono le novità previste dalla riforma:

a) si introduce un sistema di premialità del merito, sulla base di una valuta-zione della performance sia delle strutture amministrative che dei singoli dipen-denti, valutazione che deve essere informata ad un principio di trasparenza in modo da rispondere ad un controllo interno ed esterno (titoli I, II e III).

Da ciò consegue una serie di importanti effetti. L’attribuzione degli incentivi economici – contrariamente alla prassi della distribuzione a pioggia dei benefici – deve essere selettiva, con un legame forte fra contrattazione decentrata, valu-tazione e premialità. Anche le progressioni di carriera all’interno della stessa

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area (cosiddette progressioni orizzontali o economiche) devono avvenire secon-do criteri di selettività, mentre le progressioni fra aree diverse devono avvenire per concorso pubblico con aliquote riservate al personale interno per una quota non superiore al 50%. Si prevede poi una graduatoria di performance delle sin-gole amministrazioni statali in base alla quale la contrattazione collettiva nazio-nale ripartirà le risorse premiando le migliori strutture;

b) alla premialità si contrappone l’utilizzo più incisivo delle sanzioni discipli-nari, che sono tipizzate in caso di licenziamento, vengono irrogate con un pro-cedimento semplificato e con elementi innovativi per il raccordo fra processo penale e procedimento disciplinare, sono comminate dallo stesso dirigente per le sanzioni comportanti la sospensione fino a dieci giorni;

c) le ricordate novità incidono anche sulla contrattazione collettiva nazionale e integrativa, che subisce interventi legislativi diretti alla semplificazione, alla trasparenza dei flussi di spesa, alla finalizzazione ai risultati, a controlli coi vin-coli di bilancio. La rilegificazione di alcune materie relative al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti non comporta, peraltro, che quest’ultimo venga riporta-to al diritto amministrativo. Infatti, rimangono fermi da un lato la sfera di com-petenza della contrattazione collettiva con riferimento ai “diritti ed obbligazioni direttamente pertinenti al rapporto di lavoro” nonché “alle materie relative alle relazioni sindacali”, dall’altro i poteri privatistici di micro-organizzazione – che si svolge nei limiti degli atti di macrorganizzazione – facenti capo al dirigente;

d) al dirigente vengono affidate espressamente, fatto salvo l’esame congiunto con i sindacati ove previsto dai contratti collettivi, in “via esclusiva” le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro. Della figura del dirigente, cui com-pete la realizzazione della combinazione fra risorse organizzative ed umane, vie-ne enfatizzato il ruolo sotto molteplici profili. Aumentano le sue responsabilità, gli vengono ribaditi o attribuiti nuovi poteri, come la proposizione dei profili professionali, la valutazione del personale assegnato ai fini dei trattamenti acces-sori e della progressione professionale sia orizzontale che verticale o l’esercizio del potere disciplinare per le sanzioni più lievi. Vengono altresì modificati i per-corsi di accesso e di carriera dirigenziale con l’introduzione di un regime di con-ferimento e revoca degli incarichi più trasparente.

Se non muta la natura giuridica privatistica del rapporto di lavoro pubblico, si acuiscono sicuramente i tratti di specialità, dovuti alla necessità del raggiun-gimento delle finalità istituzionali della pubblica amministrazione.

L’intento legislativo appare chiaramente indirizzato ad ovviare ad alcuni aspetti negativi ai quali ha condotto la precedente regolamentazione: una con-trattazione collettiva spesso invasiva dei poteri spettanti alla legge o ai regola-menti di organizzazione (come quella delle progressioni di carriera non solo orizzontali, ma anche fra aree diverse) spesso col tacito consenso dei dirigenti; un mancato controllo della contrattazione integrativa sotto i profili del costo del lavoro e dell’utilizzo migliore delle risorse umane; una partecipazione sindacale esercitata ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 165 del 2001 idonea a condizionare di

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fatto, a livello decentrato, i poteri dirigenziali di micro-organizzazione; un’inca-pacità della dirigenza di valutare i dipendenti, perché priva di strumenti ad hoc.

La necessità di mutare la prassi esistente, cambia di conseguenza anche l’at-teggiamento nei confronti delle fonti di regolamentazione del lavoro pubblico, come già si è posto in evidenza. Nel d.lgs. n. 29 del 1993 il legislatore prendeva atto delle pregresse esperienze di legislazione episodica e spesso clientelare che avevano portato alla cosiddetta giungla retributiva del pubblico impiego e per-tanto sceglieva di affidare la tenuta della privatizzazione alla contrattazione col-lettiva, ritenuta addirittura capace di disapplicare la fonte superiore.

Il legislatore della riforma del 2009 mostra invece chiari segnali di “sfiducia” nell’operato pregresso della contrattazione collettiva e del soggetto pubblico che la gestisce. Infatti, l’esperienza degli ultimi quindici anni ha mostrato che le dinamiche salariali non hanno rispettato i vincoli di programmazione, soprat-tutto per l’effetto di trascinamento che gli incrementi generalizzati ottenuti dal-la contrattazione integrativa – spesso a causa della “debolezza” della dirigenza – hanno esercitato sul rinnovo della contrattazione nazionale. Pertanto, nel di-segno del d.lgs. n. 150 del 2009 appare evidente la richiesta di un più incisivo controllo della contrattazione integrativa sia sotto il profilo del costo del lavoro – come già anticipato dalle leggi nn. 133 e 203 del 2008 – che dell’effettivo per-seguimento degli obiettivi di valorizzazione del merito, di trasparenza, di effi-cienza, di produttività.

Va poi evidenziato che il nuovo sistema di valutazione delle strutture e del personale scelto come strumento di gestione delle organizzazioni è rivolto non solo ad introdurre degli incentivi, ma anche a migliorare l’organizzazione ammi-nistrativa e ad orientare gli utenti nelle scelte dei servizi.

Infatti, poiché nell’impiego pubblico non operano i cosiddetti meccanismi di mercato, la riforma del 2009 coinvolge gli utenti nel processo di valutazione del-la performance della pubblica amministrazione. Quest’ultima deve predisporre annualmente il Piano della performance – che indica gli obiettivi strategici da conseguire – e la Relazione sulla performance, che evidenzia a consuntivo i risul-tati organizzativi e individuali raggiunti rispetto agli obiettivi programmati. Tali documenti devono essere resi accessibili a tutti i cittadini – anche per il tramite della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche – in-sieme ad altri dati, come, ad esempio, i premi erogati, le retribuzioni e i curricula dei dirigenti, gli incarichi conferiti a soggetti privati.

La “trasparenza” – finalizzata a favorire forme diffuse di controllo del rispet-to del principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione – è ad-dirittura considerata “livello essenziale delle prestazioni erogate dalle ammini-strazioni pubbliche” ai sensi dell’art. 117, comma 2°, lett. m), Cost. (art. 11, comma 1°, d.lgs. n. 150 del 2009). Vengono previste apposite giornate della tra-sparenza, nelle quali ogni amministrazione presenta il Piano e la Relazione sulla performance alle associazioni di consumatori e utenti.

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7. GLI INTERVENTI SUCCESSIVI ALLA “RIFORMA BRUNETTA”

Successivamente alla “riforma Brunetta”, la continua opera riformatrice del legislatore si è espressa in molteplici interventi, susseguitesi con cadenza alquan-to ravvicinata, tra cui:

– la legge n. 183 del 2010 che, tra le altre, contiene disposizioni in tema di adempimenti formali, mobilità del personale, trattamento di dati personali, con-ferimento di incarichi dirigenziali, aspettativa, pari opportunità benessere e lotta alle discriminazioni, età pensionabile dei medici del SSN;

– la legge n. 190 del 2012 che, nell’ambito delle misure anticorruzione, in-troduce nuove regole in tema di incompatibilità a attribuzione di incarichi, di redazione dei codici di comportamento, di responsabilità disciplinare e ammini-strativo contabile;

– il d.l. n. 101 del 2013, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, che si pone obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, prevedendo misure in tema di riduzione della spesa per incarichi di studio e consulenza con pesanti conseguenze in caso di inadempimento; di riassorbimento delle ecce-denze di personale con mobilità collettiva e confronto sindacale; di reclutamen-to dei dirigenti e delle figure professionali comuni a tutte le amministrazioni pubbliche per il tramite di concorsi pubblici unici; di età pensionabile, esclu-dendo la possibilità per i dipendenti pubblici di usufruire dell’incentivo alla permanenza fino a 70 anni; di limitazione al ricorso al lavoro flessibile, che viene consentito solo per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali; di obbli-go di stipulazione di contratti a termine con i vincitori e gli idonei delle gradua-torie vigenti a tempo indeterminato; di stabilizzazione del personale precario as-sunto con contratto a tempo determinato che abbia maturato, negli ultimi cin-que anni, almeno tre anni di servizio; di trasparenza e anticorruzione;

– il d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, che detta ulteriori norme finalizzate alla semplificazione e alla trasparenza am-ministrativa. In particolare, vengono semplificate le procedure ed aumentate le percentuali per il turn-over del personale cessato dal servizio; sono riformate sia la mobilità “esterna” del personale tra amministrazioni diverse – in alcuni casi ora consentita anche di ufficio – che la disciplina del collocamento in disponibi-lità in caso di eccedenza; vengono dettate nuove norme in materia di incarichi dirigenziali nello Stato e negli enti locali, e infine vengono ridotti del 50%, a de-correre dal 1° settembre 2014, i contingenti complessivi dei distacchi, aspettati-ve e permessi sindacali nella pubblica amministrazione.

8. LA “RIFORMA MADIA”: LA LEGGE DELEGA 7 AGOSTO 2015, N. 124

Con l’emanazione della legge delega n. 124 del 2015 viene avviata una com-plessiva riforma della pubblica amministrazione, riguardante molteplici ambiti che coinvolgono cittadini, imprese e lavoratori pubblici.

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Gli interventi di riorganizzazione delegati al Governo spaziano dalle modifi-che e integrazioni del codice dell’amministrazione digitale (art. 1) al riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi (art. 2); dalla semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi (artt. 4 e 5) alla revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza (art. 7); dalla riorganizzazione dell’amministrazione del-lo Stato (art. 8) al riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio (art. 10); dalla semplificazione delle attività degli enti pubblici di ri-cerca (art. 13) al riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche (art. 18), dei servizi pubblici locali di interesse gene-rale (art. 19) e della procedura dei giudizi innanzi alla Corte dei Conti (art. 20).

Non mancano, poi, norme immediatamente applicative che modificano la di-sciplina del silenzio-assenso (art. 3) e dell’autotutela amministrativa (art. 6).

In tale contesto di generale riorganizzazione della pubblica amministrazione si inseriscono anche le deleghe che più direttamente riguardano il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici.

L’art. 11 è dedicato alla dirigenza e alla valutazione dei rendimenti dei pub-blici uffici e prevede tra i principi direttivi:

– l’articolazione della dirigenza pubblica nei ruoli dei dirigenti dello Stato, dei dirigenti delle Regioni e dei dirigenti degli enti locali;

– la revisione delle procedure di accesso mediante concorso e corso-concorso e del sistema di formazione della Scuola nazionale dell’amministrazione;

– la semplificazione e l’ampliamento delle ipotesi di mobilità tra le ammini-strazioni pubbliche e il settore privato;

– la revisione della disciplina di conferimento, durata, rinnovo e revoca degli incarichi dirigenziali;

– il riordino delle disposizioni legislative in materia di responsabilità dirigen-ziale e amministrativo-contabile;

– l’omogeneizzazione del trattamento economico fondamentale e accessorio nell’ambito di ciascun ruolo unico;

– la graduale riduzione del numero dei dirigenti.

L’art. 17 contiene un’ampia delega per il “riordino della disciplina del lavoro al-le dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, coinvolgendo numerosi istituti che attengono non solo alla gestione del rapporto ma anche alla c.d. micro-organizzazione degli uffici. In particolare, vengono previsti interventi in materia di:

– accesso all’impiego, con nuove regole per le procedure concorsuali volte a: privilegiare nuovamente la forma centralizzata o aggregata delle prove, in fun-zione di economicità e uniformità di giudizio; valorizzare l’esperienza professio-nale acquisita dai lavoratori precari; introdurre un limite percentuale o assoluto per gli idonei non vincitori, con riduzione della durata delle relative graduatorie; eliminare il voto minimo di laurea quale requisito di ammissione al concorso e valorizzare la conoscenza della lingua inglese e il titolo di dottore di ricerca;

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sempre in tema di reclutamento, si prevede, da un lato, il progressivo supera-mento della dotazione organica come limite alle assunzioni, dall’altro un conte-nimento differenziato di queste ultime in base degli effettivi fabbisogni;

– contrattazione collettiva integrativa, ridefinendo le materie escluse anche al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito e la parità di trattamento tra categorie omogenee, nonché di accelerare le pro-cedure negoziali;

– assenze per malattia, con attribuzione all’INPS della competenza in materia di controlli;

– lavoro flessibile, con la limitazione a tassative fattispecie caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esigenze organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il precariato;

– lavoro dei disabili, favorendone l’integrazione nell’ambiente di lavoro; – valutazione dei dipendenti pubblici, semplificando e razionalizzando i si-

stemi di valutazione; – responsabilità disciplinare, intervenendo sui tempi del procedimento; – dirigenza, rafforzando il principio di separazione tra indirizzo politico-

amministrativo e gestione.

L’ampiezza delle deleghe evidenzia l’intento di intervenire in modo pervasivo sull’assetto regolatorio del Testo unico e sul modello di misurazione della per-formance introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2009.

Il percorso di attuazione non è stato peraltro privo di ostacoli. La Corte Co-stituzionale, infatti, con la sentenza 25 novembre 2016, n. 251 ha dichiarato par-zialmente incostituzionale la legge delega n. 124 del 2015 nella parte in cui ha previsto, per l’emanazione di cinque decreti attuativi – quelli in materia di diri-genza sanitaria, licenziamento disciplinare, società partecipate, dirigenza pub-blica e servizi pubblici – solo l’acquisizione del parere e non l’intesa con le Re-gioni.

Secondo la Corte, in tali materie il contenuto delle deleghe coinvolge sia competenze statali, sia competenze regionali, le quali si pongono tra loro in un rapporto di concorrenza, senza prevalere le une sulle altre, rivelandosi inscindi-bili e strutturalmente connesse. Ne consegue che solo l’intesa in sede di Confe-renza Stato-Regioni, contraddistinta da una procedura che consente lo svolgi-mento di genuine trattative, permette un reale coinvolgimento delle autonomie regionali e soddisfa il principio di leale collaborazione; principio che, invece, non sarebbe garantito dall’acquisizione di un mero parere in sede di Conferenza unificata.

Alla data di emanazione della sentenza, tre decreti attuativi – relativi a dirigen-za sanitaria (d.lgs. n. 171 del 2016), licenziamento disciplinare (d.lgs. n. 116 del 2016) e società partecipate (d.lgs. n. 175 del 2016) – erano già stati emanati. Gli altri due, su dirigenza pubblica e sevizi pubblici locali, già approvati in via defini-tiva dal Consiglio dei Ministri il giorno prima della pronuncia della Corte, sono

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stati opportunamente ritirati. L’imminente scadenza della delega ha poi contribui-to alla loro mancata riproposizione, sicché, in tali materie, la delega è rimasta inat-tuata.

Per quanto riguarda, invece, i tre decreti già in vigore, si è posto il problema della loro sorte a seguito della sentenza della Corte costituzionale, in quanto emanati sulla base di deleghe illegittime.

Una prima risposta è contenuta nella stessa pronuncia della Consulta, ove si afferma che l’accertata incostituzionalità è circoscritta alle disposizioni della leg-ge delega e non si estende alle relative disposizioni attuative.

Sul tema è poi intervenuto il Consiglio di Stato (parere 17 gennaio 2017 n. 83), il quale, ribadendo la piena validità ed efficacia dei decreti attuativi sino ad una eventuale censura di incostituzionalità che li riguardi direttamente, ha tutta-via evidenziato la necessità, proprio al fine di scongiurare tale rischio, di adotta-re tempestivamente idonee misure, individuate nel raggiungimento dell’intesa Stato-regioni o nell’emanazione di decreti correttivi; soluzione quest’ultima adot-tata dal legislatore con l’emanazione dei decreti legislativi n. 100 del 2017 (socie-tà partecipate), n. 118 del 2017 (licenziamento disciplinare) e n. 126 del 2017 (dirigenza sanitaria).

Va infine rilevato che la legge n. 124 del 2015 interviene in tema di lavoro pubblico non solo mediante lo strumento della delega, ma anche con alcune di-sposizioni immediatamente applicabili che riguardano la a promozione e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (art. 14), i rapporti fra il procedimento disciplinare e il procedimento penale per il personale delle Forze armate (art. 15) e la natura e durata degli incarichi direttivi dell’avvocatura dello Stato (art. 12).

9. SEGUE: I DD.LLGS. NN. 74 E 75 DEL 2017

Le deleghe relative al riordino del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni hanno trovato attuazione con l’emanazione del d.lgs. 25 maggio 2017 n. 74 – modificativo del d.lgs. n. 150 del 2009 in materia di valutazione della performance – e del d.lgs. 25 maggio 2017 n. 75, modificativo del T.U. sul pubblico impiego (d.lgs. n. 165 del 2001).

Le principali aree di intervento riguardano:

– il rapporto tra legge e contrattazione collettiva che, sbilanciato a favore della fonte legale dopo le modifiche introdotte dalla “riforma Brunetta” – tanto che da più parti si è parlato di de-contrattualizzazione o di ri-legificazione del rap-porto di lavoro – torna ad acquisire maggiore equilibrio, prevedendosi che la contrattazione collettiva nazionale, nelle materie ad essa affidate, possa derogare a disposizioni di legge;

– procedure di reclutamento e stabilizzazione del personale: si tende a superare le rigidità imposte dalle dotazioni organiche privilegiando un modello più fles-sibile incentrato sull’elaborazione di piani triennali di fabbisogno del personale,

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pur nel rispetto dei limiti di spesa; nelle procedure concorsuali viene reso obbli-gatorio l’accertamento della conoscenza della lingua inglese e delle conoscenze informatiche e viene valorizzato il titolo di dottore di ricerca, che può essere ri-chiesto per specifici profili o livelli di inquadramento e, comunque, ove perti-nente, deve essere valutato tra i titoli rilevanti; viene introdotto un piano specia-le per il superamento del precariato;

– lavoro flessibile: nonostante la legge delega avesse richiesto di individuare limitate e tassative fattispecie di lavoro flessibile utilizzabili dalle pubbliche am-ministrazioni, in sede attuativa, oltre al richiamo specifico dei contratti a termi-ne, dei contratti di formazione e lavoro e della somministrazione di lavoro a tempo determinato, viene mantenuto il generale rinvio alle altre “forme contrat-tuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa”, pur “nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche”, riproponendo, in tal modo, la necessità di un coordinamento sistematico tra le fonti;

– valutazione della performance: viene rivisto il modello introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2009 – di cui si è riscontrato un basso livello di attuazione non solo per le politiche di austerity avviate pressoché in concomitanza con il varo della riforma, ma anche per obiettive criticità di sistema – mediante la semplificazione dei processi di valutazione, l’attribuzione di una nuova centralità alla contratta-zione collettiva, l’eliminazione di alcune rigidità quali l’obbligo di distribuzione forzata dei dipendenti in tre fasce di merito, la valorizzazione della performance organizzativa rispetto a quella individuale, l’attribuzione di un peso maggiore al giudizio degli utenti;

– procedimento disciplinare: vengono modificate forme e termini del proce-dimento, con l’intento di renderlo più celere e semplificato; la competenza, in precedenza suddivisa in modo scarsamente funzionale, a seconda della gravità della sanzione, tra responsabile della struttura e ufficio per i procedimenti disci-plinari, torna ad essere assegnata unitariamente a quest’ultimo, salvo che per i rimproveri verbali; la violazione dei termini non comporta più la decadenza dal-l’azione disciplinare, né nullità degli atti o invalidità della sanzione, salvo che ri-sulti irrimediabilmente leso il diritto di difesa; viene sancita la nullità di eventua-li disposizioni regolamentari e contrattuali che introducano ulteriori requisiti formali e procedurali; si aggiungono nuove causali cui consegue il licenziamento per giusta causa;

– accertamento dello stato di malattia: viene affidata all’INPS la competenza ad effettuare le visite fiscali di controllo e si prevede l’armonizzazione delle fasce di reperibilità tra settore pubblico e settore privato;

– regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: viene risolta la dibattuta questione relativa al regime di tutela applicabile nel settore pubblico, sorta a se-guito delle modifiche apportate all’art. 18 Stat. lav. dalla “legge Fornero” (legge n. 92 del 2012), nonché dalla disciplina introdotta con il contratto a tutele cre-scenti (d.lgs. n. 23 del 2015), ribadendosi l’operatività della tutela reale con di-ritto alla reintegrazione.

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10. I PRINCIPI GENERALI ISPIRATORI DELLA CONTRATTUALIZZAZIONE DEL PUB-BLICO IMPIEGO. SPECIALITÀ DEL RAPPORTO E PROGRESSIVA DIFFERENZIA-ZIONE DAL MODELLO PRIVATISTICO

Nel quadro della riforma di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 e successive modifi-che, i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche appaio-no caratterizzati dai seguenti principi:

– i rapporti sono disciplinati dal capo I, titolo II del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni eventualmente contenute nello stesso d.lgs. n. 165 del 2001, che co-stituiscono disposizioni a carattere imperativo (art. 2, comma 2°). Inoltre, si prevede l’applicabilità espressa dello Statuto dei lavoratori a prescindere dal numero dei dipendenti (art. 51, comma 2°);

– per tutte le materie che regolano l’organizzazione degli uffici e i rapporti individuali di lavoro le amministrazioni operano con la capacità e i poteri di un datore di lavoro privato, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove previsti nei contratti (art. 5, comma 2°). Di conseguenza, è prevista la separazione fra le funzioni di indirizzo e controllo e le funzioni di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa. Le prime fanno capo agli organi di rappresentanza politica, mentre le seconde fanno capo ad una nuova figura di dirigente responsabile del risultato dell’attività svolta dagli uffici cui è preposto (art. 4 e capo II del d.lgs. n. 165 del 2001);

– i rapporti di lavoro sono regolati contrattualmente, cioè per il tramite di contratti collettivi e individuali di lavoro (art. 2, comma 3°, d.lgs. n. 165 del 2001), salvo le materie ancora soggette a riserva legale. Ne consegue che i rap-porti di lavoro non si costituiscono più per atto unilaterale di nomina della pub-blica amministrazione, ma per il tramite di contratti individuali di lavoro. Le di-sposizioni contrattuali che violano disposizioni di legge imperative sono nulle e vengono sostituite di diritto ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2°, c.c. (art. 2, comma 3°-bis);

– le amministrazioni pubbliche devono garantire parità di trattamento con-trattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi con-tratti collettivi (art. 2, comma 3° ed art. 45, comma 2°, d.lgs. n. 165 del 2001);

– i contratti collettivi di lavoro costituiscono una fonte diretta di disciplina del rapporto, cioè sono immediatamente efficaci nei confronti dei destinatari (art. 2, comma 3° e titolo III del decreto);

– sono devolute al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro le con-troversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (art. 63, comma 1°).

Fermi tali principi, va rilevato che pur nell’ambito di un sistema “privatizza-to”, il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni con-tinua ad essere regolamentato, per molti istituti, in modo differenziato rispetto al settore privato.

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Tale specialità, insopprimibile in ragione delle peculiarità del datore di lavo-ro pubblico e dell’attività della pubblica amministrazione – espressa dal conte-nuto stesso del d.lgs. n. 165 del 2001 che è costituito da norme volte proprio a introdurre discipline differenziate rispetto al privato con riferimento a moltepli-ci istituti, quali, ad esempio, la rappresentatività sindacale, le mansioni, l’utilizzo dei contratti flessibili, la dirigenza, la mobilità del personale, il procedimento disciplinare – si è via via accentuata a seguito della volontà legislativa di esclude-re il settore pubblico dalle più significative riforme che dall’inizio di questo se-colo hanno interessato il settore privato.

Così, il d.lgs. n. 276 del 2003 (c.d. legge Biagi) in tema di occupazione e mer-cato del lavoro ha previsto espressamente che le disposizioni in esso contenute non trovassero applicazione per le p.a. e per il loro personale (art. 1, comma 2° del decreto), fatta eccezione per le norme sulla somministrazione a tempo de-terminato (art. 86, comma 9° del decreto) e per il lavoro accessorio (art. 70, comma 3° del decreto); ne è derivata, da un lato, l’inutilizzabilità, nel settore pubblico, delle nuove tipologie contrattuali introdotte dalla riforma, quali la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, il contratto di lavoro inter-mittente e il contratto di inserimento (poi abrogato, anche per il settore privato dalla “legge Fornero”); dall’altro sono sorti molteplici dubbi interpretativi in merito all’applicabilità delle modifiche apportate alle forme contrattuali flessibi-li già esistenti, in special modo al part-time, trattandosi di norme per un verso escluse dall’art. 1, comma 2°, ma per altro verso comunque confluite in testi le-gislativi già esistenti applicabili anche al pubblico impiego.

Analoga questione si è posta a seguito della c.d. riforma Fornero (legge n. 92 del 2012), anch’essa intervenuta sulla disciplina delle tipologie contrattuali, nonché in materia di licenziamenti e di ammortizzatori sociali.

L’art. 1, comma 7°, della legge in questione ha previsto che “le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costitui-scono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2°, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dal-l’art. 2, comma 2° del medesimo decreto legislativo”.

L’art. 1, comma 8°, ha poi stabilito che “il Ministro per la pubblica ammini-strazione e per la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggior-mente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, indivi-dua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle ammini-strazioni pubbliche”.

Una simile impostazione legislativa – che esclude l’immediata applicabilità della riforma al pubblico impiego, imponendo un percorso di armonizzazione – ha creato non facili problemi interpretativi. Infatti, in alcune ipotesi la legge ha preso espressamente in considerazione il lavoro pubblico, al fine di estendere ad esso la nuova disciplina – come è avvenuto all’art. 1, comma 32°, per il lavoro accessorio (poi modificato dal jobs act e infine abrogato dalla legge n. 49 del

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2017) – ovvero al fine di escluderne l’applicabilità come è avvenuto per l’art. 2 in tema di ASpI (poi sostituita dalla NASpI).

In altri casi, invece – come per il part-time, il licenziamento, le dimissioni in bianco, il sostegno alla “genitorialità”, il diritto al lavoro dei disabili – la legge è intervenuta direttamente in senso modificativo su norme che già trovano appli-cazione immediata anche nell’ambito del pubblico impiego.

Di conseguenza si è posta la questione – non dissimile a quella già emersa a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 276 del 2003, pur se in tale provvedimento l’esclusione delle pubbliche amministrazioni è formulata in modo più netto ri-spetto alla “riforma Fornero” – se prevalga, in senso esclusivo, la volontà espres-sa nell’art. 1, commi 7° e 8°, della legge n. 92 del 2012 oppure, in senso inclusi-vo, il generale rinvio al codice civile e alle leggi sui rapporti di lavoro subordina-to nell’impresa effettuato dall’art. 2, comma 2° del d.lgs. n. 165 del 2001, da leggersi non in senso statico (esclusivamente alla formulazione delle norme esi-stenti al momento del rinvio) ma in senso dinamico (comprensivo delle succes-sive modifiche alle stesse).

La problematica ha interessato, in particolar modo, il tema dei licenziamenti: sul piano sostanziale le modifiche all’art. 18 Stat. lav., che hanno significativa-mente ridotto l’area della reintegrazione, hanno dato vita a orientamenti giuri-sprudenziali di merito non univoci e alla presa di posizione della Suprema Corte (sentenza n. 11868 del 2016) favorevole – con motivazioni invero non del tutto convincenti – all’inapplicabilità delle modifiche al pubblico impiego, con conse-guente operatività dell’art. 18 Stat. lav. nella sua originaria formulazione; sul piano procedurale si è affermato, invece, l’orientamento giurisprudenziale volto ad estendere lo speciale “rito Fornero” di impugnazione del licenziamento.

Tali problematiche possono dirsi superate solo recentemente, in ragione del-le ultime riforme che hanno interessato sia il settore privato (jobs act), sia il set-tore pubblico (c.d. riforma Madia) (v. sez. II, cap. 11, parr. 8 e 9).

11. L’AMBITO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO DEL TESTO UNICO SUL PUBBLICO IMPIEGO

In una prospettiva certamente più avanzata di quella della legge quadro del 1983, si pone il d.lgs. n. 165 del 2001, che distingue con chiarezza il rapporto or-ganico o di ufficio – o sfera della macrorganizzazione – dal rapporto di servizio, o sfera della microrganizzazione.

Per quanto riguarda il primo, rimane ferma la competenza del legislatore, in sintonia del resto con quanto prevede espressamente l’art. 97 Cost.

Infatti, l’art. 2, comma 1°, lett. c) della legge n. 421 del 1992 prevede una ri-serva di legge – espressamente confermata dall’art. 40, comma 1°, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato da ultimo dal d.lgs. n. 75 del 2017 – per le se-guenti materie:

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1. le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento di procedure amministrative;

2. gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; 3. i principi fondamentali di organizzazione degli uffici; 4. i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; 5. i ruoli e le dotazioni organiche, nonché la loro consistenza complessiva; 6. la garanzia della libertà d’insegnamento e l’autonomia professionale nello

svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca; 7. la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l’impiego pub-

blico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici.

Si tratta di materie, come già si è detto, estranee al rapporto di lavoro ed at-tinenti invece ai profili dell’attività pubblicistica di cosiddetta di macrorganizza-zione della pubblica amministrazione e dei diritti fondamentali riconosciuti dal-l’art. 33 Cost.

Con riferimento all’organizzazione degli uffici, l’art. 2, comma 1°, del d.lgs. n. 165 del 2001 propone un modello ispirato ai seguenti principi:

a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi al fine di perseguire obiet-tivi di efficienza, efficacia, economicità;

b) ampia flessibilità; c) collegamento delle attività; d) garanzia della imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa anche

per il tramite di apposite strutture per l’informazione ai cittadini – ufficio rela-zioni con il pubblico – e l’istituzione di un unico ufficio responsabile per cia-scun procedimento (v. anche artt. 10 e 11);

e) armonizzazione degli orari di apertura con le esigenze dell’utenza e con quelli delle amministrazioni pubbliche dell’Unione europea.

Il legislatore dispone poi che le funzioni di indirizzo politico-amministrativo vengano esercitate dagli organi di governo, che devono individuare obiettivi e programmi e controllarne i risultati (art. 4, comma 1°; art. 14). L’organizzazione degli uffici è definita dall’amministrazione previa informazione sindacale, ove prevista nei contratti collettivi nazionali, in conformità al piano triennale dei fabbisogni di personale. Quest’ultimo è adottato annualmente dall’organo di vertice, al fine di ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche disponibili e per-seguire obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini (art. 6, come modificato dal d.lgs. n. 75 del 2017).

Nel progetto del legislatore compete invece ai dirigenti “l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’ammini-strazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, stru-mentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività ammi-nistrativa, della gestione e dei relativi risultati” (art. 4, comma 2°).

Vi è dunque una netta distinzione fra attività di indirizzo politico-ammini-

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L’evoluzione normativa del rapporto di lavoro pubblico 23

strativo – affidata agli organi di governo – e attività di gestione, o di microrga-nizzazione, affidata ai dirigenti, che assumono la figura di “datore di lavoro” nei confronti dei dipendenti.

Si precisa poi che nell’ambito di quanto previsto dalla legge o dagli atti orga-nizzativi dell’amministrazione, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro non sono materia di con-trattazione, ma devono essere assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione, fatta salva l’eventuale sola “informazione” ai sindacati, ove prevista dai contratti collettivi nazionali (art. 5, comma 2° nel testo modificato).

12. L’AMBITO DI APPLICAZIONE SOGGETTIVO DEL TESTO UNICO SUL PUBBLI-CO IMPIEGO. LE ESCLUSIONI

I principi di privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego trovano applicazione, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001, nei confronti di:

– Amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e scuole di ogni ordine e grado;

– Regioni, Province, Comuni, Comunità montane e loro consorzi ed associa-zioni;

– Istituzioni universitarie; – Camere di commercio; – Enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali; – Amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale; – Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni

(Aran) e le agenzie di cui al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, cioè le agenzie fiscali e, più in generale, tutte quelle strutture che, secondo le previsioni del citato decre-to, svolgono attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, esercita-te da ministeri ed enti pubblici (a titolo esemplificativo, si veda l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici);

– CONI, sino alla revisione organica della disciplina di settore.

Peraltro, uno specifico approfondimento merita l’applicazione delle norme del Testo Unico alle amministrazioni locali.

Come è noto, lo Stato ha potestà esclusiva in materia di giurisdizione, di or-dinamento civile e penale e determina i livelli essenziali delle prestazioni con-cernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, comma 2°, lett. l) e m), Cost.). Le Regioni godono di potestà normativa esclusiva o concorrente con quella statale (art. 117, comma 3°, Cost.), mentre gli enti locali hanno autonomia amministrativa ai sensi dell’art. 118 Cost.

In tale contesto, alcune disposizioni del d.lgs. n. 165 del 2001 e successive modifiche si applicano direttamente, mentre altre costituiscono per le Regioni e gli enti locali “principi fondamentali”, ai quali essi si attengono, tenuto conto

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Diritto del lavoro pubblico 24

della peculiarità dei rispettivi ordinamenti (art. 1, comma 3°, d.lgs. n. 165 del 2001).

Anche il d.lgs. n. 150 del 2009 contiene disposizioni che si applicano diret-tamente ovvero costituiscono principi, ai quali Regioni ed enti locali devono adeguarsi (art. 16; art. 31; art. 74, commi 1° e 2°).

Va poi osservato che il d.lgs. 28 settembre 2000, n. 267 o testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL) disciplina questi ultimi, limitan-done la potestà statutaria (art. 6, d.lgs. n. 267 del 2000).

Altra fonte importante in tema di funzionamento degli enti locali sono i rego-lamenti (art. 7, d.lgs. n. 267 del 2000), i quali, nel rispetto dei principi fissati dal-la legge e dallo statuto, disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, il funzionamento degli organi e degli uffici – ivi compresa la materia del personale – e l’esercizio delle funzioni proprie dell’ente.

Per espresso disposto di legge, la nuova normativa non trova applicazione nei confronti di alcune categorie di dipendenti pubblici (art. 3, d.lgs. n. 165 del 2001):

– magistrati ordinari, amministrativi e contabili; – avvocati e procuratori dello Stato; – personale militare e di polizia; – personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia; – dipendenti degli enti che svolgono le loro attività nelle materie contemplate

dall’art. 1 del d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691 (fun-zione creditizia, valutaria e di risparmio) e delle leggi 4 giugno 1985, n. 281 e 10 ottobre 1990, n. 287 (borsa e mercato);

– personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario;

– personale della carriera dirigenziale penitenziaria; – dipendenti della Camera dei deputati, del Senato, della Corte costituziona-

le, soggetti a disciplina interna; – professori e ricercatori universitari: il loro rapporto di lavoro rimane sog-

getto alla normativa per essi vigente in attesa della specifica disciplina che lo re-goli in modo organico (art. 3, comma 2°, d.lgs. n. 165 del 2001), anche se i di-pendenti in questione trovano nel testo del d.lgs. n. 165 del 2001 alcune dispo-sizioni che li riguardano direttamente (v. ad es. l’art. 24, comma 6°, in tema di incentivazione dell’impegno didattico dei docenti universitari, e l’art. 53, com-ma 7°, in tema di incompatibilità).

13. LE FONTI DI REGOLAMENTAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO PUBBLICO

Le fonti regolanti il rapporto di lavoro pubblico sono le seguenti:

1. il d.lgs. n. 165 del 2001, nella sua edizione aggiornata, e le altre norme speciali, fra le quali in particolare il d.lgs. 27 agosto 2009, n. 150;

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2. il codice civile e le leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nelle ipotesi non regolate dal d.lgs. n. 165 del 2001 o dalle norme speciali o dalla contrattazione collettiva;

3. la contrattazione collettiva di comparto ed eventualmente di secondo livello; 4. il contratto individuale di lavoro.

Per quanto attiene ai rapporti fra legge e contrattazione collettiva, occorre rimarcare quanto afferma l’art. 2, comma 2°, del d.lgs. n. 165 del 2001, come da ultimo modificato dal d.lgs. n. 75 del 2017: “eventuali disposizioni di legge, re-golamento o statuto che introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministra-zioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate nelle materie affi-date alla contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 40, comma 1°, e nel rispetto dei principi stabiliti nel presente decreto, da successivi contratti o accordi collet-tivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili” (si rimanda in argomento al par. 1 del cap. II). Inoltre, si stabilisce espressamente che nel caso di nullità di disposizioni contrattuali per violazione di norme impe-rative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli artt. 1339 e 1419, comma 2°, c.c. (art. 2, comma 3°-bis).

Sempre il d.lgs. n. 165 all’art. 2, comma 3° prevede che “le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti, cessano di avere efficacia a fare data dall’entrata in vi-gore del relativo rinnovo contrattuale”. Tale disposizione ha lo scopo di control-lare la spesa pubblica ed evitare la diffusione di trattamenti economici ad perso-nam.

I contratti individuali di lavoro vengono richiamati quale fonte regolativa del rapporto sia dall’art. 2, comma 3° che dall’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, ma la libertà di determinazione del contenuto contrattuale è assai limitata.

Infatti, il legislatore stabilisce che tali contratti:

a) “devono conformarsi ai principi di cui all’art. 45, comma 2” (art. 2, com-ma 3°), cioè garantire “parità di trattamento contrattuale e comunque tratta-menti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi”;

b) non possono stabilire il trattamento economico fondamentale ed accesso-rio – che viene invece definito dalla contrattazione collettiva (art. 45, comma 1°) – se non per gli incarichi di funzioni dirigenziali.

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La contrattazione collettiva e i diritti sindacali 27

CAPITOLO SECONDO

LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E I DIRITTI SINDACALI

SOMMARIO: 1. La legge e la contrattazione collettiva. – 2. I soggetti della contrattazione collettiva: l’ARAN. – 3. Segue: le organizzazioni sindacali dei lavoratori e il problema della rappresenta-tività sindacale. – 4. L’oggetto della contrattazione collettiva: il trattamento economico fon-damentale e accessorio. – 5. La procedura di formazione del contratto collettivo e il controllo di spesa. Il contratto collettivo nazionale di comparto e per il personale dirigenziale. – 6. Se-gue: il contratto integrativo. – 7. L’efficacia e l’interpretazione del contratto collettivo. – 8. I diritti sindacali, le rappresentanze sindacali aziendali e le rappresentanze sindacali unitarie. – 9. I distacchi, i permessi e le aspettative sindacali. – 10. Il comportamento antisindacale delle pubbliche amministrazioni.

1. LA LEGGE E LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

La “riforma Madia”, nel perseguire l’obiettivo di riequilibrare il rapporto tra le fonti, provvede a ridefinire l’ambito di competenza della contrattazione col-lettiva nei confronti della legge, modificando norme del d.lgs. n. 165 del 2001.

L’autonomia negoziale è vista come fonte che “disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto” (art. 40, comma 1°, d.lgs. n. 165 del 2001).

Rimangono esclusi dalla contrattazione collettiva sia i provvedimenti ammini-strativi di macro-organizzazione che gli atti privatistici di ordinaria gestione degli uffici e, in particolare:

– le materie attinenti alla organizzazione degli uffici; – le materie oggetto di partecipazione sindacale; – le materie afferenti alle prerogative dirigenziali; – la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali; – le materie di cui all’art. 2, comma 1°, lett. c) della legge 23 ottobre 1992, n.

421, e cioè: 1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nel-l’espletamento di procedure amministrative; 2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; 3) i principi fondamentali di organiz-zazione degli uffici; i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di av-viamento al lavoro; 4) i ruoli e le dotazioni organiche, nonché la loro consistenza complessiva; 5) la garanzia della libertà d’insegnamento e l’autonomia profes-sionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca; 6) la di-

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sciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l’impiego pubblico ed al-tre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici.

Inoltre, sono previste limitazioni all’autonomia collettiva, consentita negli “esclusivi limiti posti dalla legge” nelle materie (art. 40, comma 1°):

– delle sanzioni disciplinari; – della valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del tratta-

mento accessorio; – della mobilità.

Peraltro, la legge limita l’autonomia contrattuale anche con riferimento ad al-tri importanti profili, quali:

– la determinazione dei comparti negoziali della contrattazione collettiva na-zionale: in base all’art. 40, comma 2°, del d.lgs. n. 165 del 2001, i comparti – si-no al quadriennio 2006-2009 liberamente definibili in sede negoziale mediante Accordi quadro – non devono essere più di quattro, salva la costituzione di ap-posite sezioni contrattuali per specifiche professionalità, e sono determinati me-diante accordi stipulati fra l’ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative, sulla base di indirizzi provenienti collegialmente dai comitati di settore. Non possono essere superiori a quattro anche le aree separate della dirigenza, una delle quali deve essere necessariamente riservata alla dirigenza del ruolo sanita-rio del Servizio sanitario nazionale;

In attuazione del precetto legale, l’accordo quadro nazionale sottoscritto da ARAN e sindacati 13 luglio 2016 ha definito i nuovi quattro comparti per i rinnovi contrattuali del triennio 2016-2018: Funzioni centrali (nel quale confluiscono i comparti Ministeri, Agenzie fiscali, Enti pubblici non economici ed altri enti), Funzioni Locali (che sostituisce il vecchio comparto Regioni-autonomie locali), Istruzione e ricerca (nel quale vengono accorpati i comparti Scuola, Accademie e conservatori, Università, Enti pubblici di ricerca ed altri enti); Sanità (che non mu-ta sostanzialmente la sua fisionomia, ricomprendendo gli enti ed aziende del setto-re sanitario). Per quanto riguarda i dirigenti, anch’essi vengono suddivisi in quattro aree: Area delle Funzioni centrali (comprendente i dirigenti delle amministrazioni che confluiscono nel comparto Funzione centrali, cui si aggiungono i professionisti e i medici degli enti pubblici non economici); Area delle Funzioni locali (nel quale trovano collocazione i dirigenti degli enti del comparto Funzioni locali; i dirigenti amministrativi, tecnici e professionali degli enti ed aziende del comparto Sanità; i segretari comunali e provinciali), Area dell’Istruzione e della ricerca (comprenden-te i dirigenti del comparto Istruzione e ricerca), Area della Sanità (all’interno del quale sono collocati i dirigenti degli enti ed aziende del comparto Sanità, ad ecce-zione dei dirigenti amministrativi, tecnici e professionali).

– la fissazione del trattamento economico fondamentale: il legislatore prevede comunque una tutela retributiva per i dipendenti pubblici in caso di mancato rinnovo del contratto collettivo, decorsi sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge finanziaria che dispone in materia di rinnovi contrattuali (art. 47-bis);

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– la fissazione del trattamento accessorio: in primo luogo, si prevede che que-st’ultimo debba essere erogato secondo criteri “premiali” o meritocratici, colle-gati alla performance individuale, alla performance amministrativa e all’effettivo svolgimento di attività disagiate o pericolose o dannose (art. 45, comma 3°). Si impone poi alla contrattazione collettiva di prevedere apposite clausole che im-pediscano incrementi della consistenza complessiva delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori nei casi in cui i dati sulle assenze dal servizio evidenzino significativi scostamenti con i dati medi annuali di riferimento (art. 40, comma 4°-bis). D’altra parte, si prevede che qualora non si raggiunga l’ac-cordo per la stipulazione del contratto integrativo, l’amministrazione possa provvedere in via provvisoria sulle materie oggetto del mancato accordo fino al-la successiva sottoscrizione (art. 40, comma 3°-ter);

– la struttura contrattuale, i rapporti tra i livelli di contrattazione, la durata dei contratti collettivi, nazionali e integrativi: il legislatore richiede coerenza col set-tore privato e, per quanto riguarda la durata, coincidenza fra la vigenza della di-sciplina giuridica e quella della disciplina economica (art. 40, comma 3°).

– la contrattazione integrativa: le pubbliche amministrazioni possono attiva-re autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, purché nel rispetto dei vincoli di bilancio e per prestazioni effettivamente rese. Inoltre, tale con-trattazione deve assicurare adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance, e svolgersi sulle materie, coi vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali (art. 40, comma 3°-bis).

Rimangono invece materie affidate all’autonomia contrattuale:

– la fissazione della composizione dell’organismo di rappresentanza unitaria del personale e delle specifiche modalità di elezione dello stesso (art. 42, comma 4°, d.lgs. n. 165 del 2001);

– la fissazione dei limiti massimi delle aspettative e dei permessi sindacali (art. 50, comma 1°, d.lgs. n. 165 del 2001);

– la disciplina dei contratti collettivi integrativi conclusi a livello di singola amministrazione, ovvero, a livello territoriale, per più amministrazioni, i quali, salvo quanto stabilito dalla legge, devono svolgersi sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedu-re negoziali e nei termini che questi ultimi prevedono (art. 40, comma 3°-bis e art. 43, comma 5°, d.lgs. n. 165 del 2001);

– la determinazione di nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini dell’organizzazione del lavoro nelle amministrazioni pubbliche (art. 44, d.lgs. n. 165 del 2001).

Gli istituti della partecipazione, e, più in generale, i rapporti sindacali, sono disciplinati dai contratti collettivi nazionali (v. anche l’art. 40, comma 3°, d.lgs. n. 165 del 2001). L’accordo del 3 maggio 2012 prevede che con provvedimento legislativo venga attuato il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nei

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processi di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni (ad esempio quelli di spending review) e vengano individuate ipotesi di esame congiunto tra ammi-nistrazioni e sindacati.

2. I SOGGETTI DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA: L’ARAN

Il d.lgs. n. 165 del 2001 prevede quali soggetti della contrattazione collettiva da un lato l’ARAN, dall’altro le organizzazioni sindacali dei lavoratori dotate di rappresentatività.

L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) – organismo profondamente modificato nella struttura e nelle compe-tenze dalla riforma del 2009 – è dotato di personalità giuridica di diritto pubbli-co e di autonomia organizzativa e contabile e rappresenta in sede di contratta-zione collettiva nazionale le pubbliche amministrazioni (art. 46, d.lgs. n. 165 del 2001 nel testo modificato).

Come si vede, la ratio legislativa è improntata alla scelta di un agente contrat-tuale unico e di carattere tecnico per la parte pubblica, il quale sia in grado di condurre in modo omogeneo per tutti i comparti le trattative e di operare con una logica di carattere economico e non già politico. In altre parole, l’Agenzia ha lo scopo di assicurare che la disciplina contrattuale e le retribuzioni dei di-pendenti garantiscano il maggior rendimento dei servizi pubblici per la colletti-vità col minore onere per essi.

L’ARAN è composto dai seguenti organi (art. 46, comma 5°):

a) il Presidente: è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, scelto fra esperti in ma-terie di economia del lavoro, diritto del lavoro, politiche del personale e strate-gia aziendale, anche estranei alla pubblica amministrazione. Dura in carica quat-tro anni e può essere riconfermato una sola volta. La sua carica è incompatibile con qualsiasi altra attività professionale a carattere continuativo e, se dipendente pubblico, viene collocato in aspettativa o fuori ruolo (art. 46, comma 6°);

b) il Collegio di indirizzo e controllo: è costituito dal presidente e da quattro componenti scelti tra esperti di riconosciuta competenza in materia di relazioni sindacali e di gestione del personale, anche estranei alla pubblica amministra-zione, designati per la metà con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e per l’altra metà dall’ANCI, dall’UPI e dalla Conferenza delle regioni e province autonome. Il Collegio dura in carica quattro anni e i suoi componenti possono essere rinnovati una sola volta (art. 46, comma 7°).

Sia il Presidente che i membri del Collegio devono essere persone che non rivestono incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o abbiano rico-perto nei cinque anni precedenti alla nomina cariche in organizzazioni sindacali. L’incompatibilità è estesa a qualsiasi rapporto di carattere professionale o di consulenza con organizzazioni sindacali o politiche (art. 46, comma 7°-bis).