Prefazione alla prima edizione - anaciroma.it

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Prefazione alla prima edizione L’ANACI romana, è lieta ed orgogliosa di poter presentare una guida per i corsi rivolti agli aspiranti amministratori di condominio, aggiornata alla legge 220/2012, meglio conosciuta come la legge sulla “Riforma del condominio”. La “Scuola di Roma” con lo sforzo e la dedizione di tutto il corpo docente ha potuto realizzare questa prima guida che attraversa tutte le tematiche del mondo condominiale: quelle giuridiche, quelle tecniche, quelle contabili e quelle amministrative. L’amministratore di condominio, infatti, è diventato un autentico professionista, dovendosi occupare di una molteplicità di questioni per soddisfare le esigenze e le necessità della proprietà. Il Centro Studi romano ha cercato di analizzare questa evoluzione dell’istituto condominiale, con l’obiettivo di fornire nozioni certe agli allievi dei corsi. Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato, sacrificando il loro tempo all’attività professionale per realizzare questa raccolta dei moduli delle lezioni. Il poco tempo disponibile ci farà perdonare per eventuali refusi, che un lettore attento potrebbe rilevare, ma con la promessa che la seconda edizione - ne sono sicuro - sarà perfetta ed armonica con lo spirito e la professionalità raggiunta da tutti i docenti, che con così tanta passione si alternano alla “cattedra” di Via Salandra. Un sentito grazie a tutti e buon lavoro a tutti i nostri allievi. Roma, Marzo 2013 Il Direttore del Centro Studi ANACI Roma Dott. Fabio Gerosa

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Prefazione alla prima edizione

L’ANACI romana, è lieta ed orgogliosa di poter presentare una guida per i corsi rivolti

agli aspiranti amministratori di condominio, aggiornata alla legge 220/2012, meglio conosciuta come la legge sulla “Riforma del condominio”.

La “Scuola di Roma” con lo sforzo e la dedizione di tutto il corpo docente ha potuto realizzare questa prima guida che attraversa tutte le tematiche del mondo condominiale: quelle giuridiche, quelle tecniche, quelle contabili e quelle amministrative.

L’amministratore di condominio, infatti, è diventato un autentico professionista, dovendosi occupare di una molteplicità di questioni per soddisfare le esigenze e le necessità della proprietà.

Il Centro Studi romano ha cercato di analizzare questa evoluzione dell’istituto condominiale, con l’obiettivo di fornire nozioni certe agli allievi dei corsi.

Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato, sacrificando il loro tempo all’attività professionale per realizzare questa raccolta dei moduli delle lezioni.

Il poco tempo disponibile ci farà perdonare per eventuali refusi, che un lettore attento potrebbe rilevare, ma con la promessa che la seconda edizione - ne sono sicuro - sarà perfetta ed armonica con lo spirito e la professionalità raggiunta da tutti i docenti, che con così tanta passione si alternano alla “cattedra” di Via Salandra.

Un sentito grazie a tutti e buon lavoro a tutti i nostri allievi.

Roma, Marzo 2013

Il Direttore del Centro Studi ANACI Roma

Dott. Fabio Gerosa

INDICE MODULO N. 1- Il condominio in generale . . . . . . pag. 5

(Carlo Patti) MODULO N. 2- L’amministratore . . . . . . . pag. 26

(Simone Zanchetta) MODULO N. 2bis- Il passaggio di consegne . . . . . . pag. 31

(Fabio Gerosa)

MODULO N. 3- L’assemblea di condominio . . . . . . pag. 40 (Ferdinando della Corte)

MODULO N. 4- Il regolamento e le tabelle millesimali . . . . pag. 50

(Marco Saraz) MODULO N. 5- Le controversie . . . . . . . pag. 69

(Paola Carloni)

MODULO N. 5bis- A.D.R. (Alternative Dispute resolution): La conciliazione . . . . . . . pag. 79 (Rosssana De Angelis)

MODULO N. 6- Le innovazioni . . . . . . . pag. 87 (Valerio Troiani e Laura Villirilli)

MODULO N. 7- I contratti (appalto e assicurazione) . . . . pag. 95 (Benedetta Coricelli e Alfonso Del Sorbo

MODULO N. 8- La privacy . . . . . . . . pag. 106 (Sarah Pacetti)

MODULO N. 9- Gli impianti condominiali . . . . . . pag. 119

(Piero Barchi)

MODULO N. 10- Contabilità e rendiconto condominiali . . . . pag. 143 (Carlo Parodi)

MODULO N. 11- La gestione dei dipendenti . . . . . . pag. 158 (Antonio Pazonzi)

MODULO N. 12- Le piscine . . . . . . . . pag. 175 (Laura Gonnellini)

MODULO N. 13- Il perimento dell’edificio . . . . . . pag. 179 (Laura Gonnellini)

MODULO N. 14- Cenni di diritto penale e processuale . . . . pag. 182 (Floria Carucci)

ALLEGATO 1- La retribuzione dell’Amministratore . . . . pag. 190

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MODULO  N.  1      

Il  condominio  in  generale  (Carlo  Patti)  

   1.1  -­  Comunione  e  condominio:  Collocazione  sistematica.  Il   condominio   negli   edifici   è   un   istituto   relativamente  moderno,   disciplinato   dalla  

legge  solo  a  seguito  del  fenomeno  di  progressiva  aggregazione  delle  persone  in  edifici  di  certe  dimensioni,  di  regola  nei  centri  urbani.  L’istituto  della   comunione  o   comproprietà   fra  più   soggetti   è   invece   conosciuto   fin  

dai   tempi  antichi;  era  conosciuto   il   fenomeno  della  comunione  che  si  verifica  quando  due  o  più  soggetti  sono  contemporaneamente  proprietari  del  medesimo  bene.  Nel  nostro  Codice  Civile,  risalente  al  1942,  la  parte  relativa  alla  disciplina  del  diritto  

di  proprietà  contiene  norme  che  regolano  per  la  gran  parte  la  proprietà  individuale.  Un  gruppo  di  norme,  contenute  negli  articoli  da  1100  a  1116  c.c.,  disciplina  quella  

particolare  forma  di  proprietà  che  è  la  comunione.  Un   altro   gruppo   di   norme,   contenute   nei   successivi   articoli   da   1117   a   1139,   e  

oggetto   di   riforma   nell'anno   2012,   regola   invece   quella   particolare   forma   di  comunione,  che  è  il  condominio.  Il   concetto   di   comunione   è   molto   vicino   al   fenomeno   del   condominio   dal   quale,  

però,  si  discosta  per  alcune  importanti  differenze  che  è  opportuno  evidenziare.  La  comunione  si  ha  quando  due  o  più  soggetti  sono  proprietari  del  medesimo  bene,  

inteso   nella   sua   interezza,   ciascuno   per   una   quota   ideale   del   tutto;   il   condominio,  invece,  prevede  in  aggiunta  la  contemporanea  esistenza  di  beni  di  proprietà  esclusiva  (piena  ed  assoluta)  con  beni  o  parti  comuni  dell’edificio,  rispetto  ai  quali  ogni  singolo  condomino  è  comproprietario  di  una  quota  ideale.  La  coesistenza  di  questi  due  insiemi  è  inscindibile  per  quanto  appresso  si  dirà  sul  vincolo  che  li  lega.  Il   condominio   negli   edifici   può   definirsi   nel   codice   civile   come   una   particolare   e  

speciale  forma  di  comunione.  E’  importante  evidenziare  che  nell’ultimo  articolo  di  quelli  applicabili  al  condominio  

(1139)   è   previsto   che   “per   quanto   non   è   espressamente   previsto   da   questo   capo   si  osservano  le  norme  sulla  comunione  in  generale.“  Tale  norma,  oltre  a   rendere  applicabili   al   condominio  alcune  delle   regole  previste  

per   la   comunione,   dimostra   lo   stretto   collegamento   che   esiste   tra   le   due   fattispecie,  grazie   al   quale   si   ritiene   che   il   condominio   costituisca   una   ipotesi   particolare   di  comunione.  Per  completare  il  quadro  normativo  applicabile  al  condominio  occorre  ricordare  le  

norme  previste  negli  articoli  dal  61  al  72  delle  “disposizioni  per  l’attuazione  del  codice  civile”.   Si   tratta   di   regole   specifiche   aventi   lo   stesso   valore   di   quelle   contenute   nel  codice  civile,  le  quali,  peraltro,  si  occupano  di  regolare  importanti  aspetti  della  gestione  dell’immobile.  Nel  tradizionale  concetto  di  condominio  si  verifica  una  divisione  della  proprietà  per  

“piani  orizzontali”  l’uno  all’altro  sovrapposti:  nell’edificio,  infatti,  le  porzioni  di  piano  in  proprietà   esclusiva   sono   sovrapposte   sui   diversi   piani   ed   insistono   sul   medesimo  suolo.  Altra  differenza  tra  la  comunione  ed  il  condominio  è  che  in  quest’ultimo  le  quote  di  

comproprietà   sull’insieme   dei   beni   comuni   devono   rispecchiare   determinati   criteri  

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proporzionali   legati  alle  possibilità  di  godimento  delle  parti  comuni  a  vantaggio  delle  unità  immobiliari  di  proprietà  esclusiva.  Appare  opportuno  evidenziare   che   il   condominio   è   caratterizzato  da  un  elemento  

oggettivo,   o   materiale,   ed   un   elemento   soggettivo,   o   personale.   Il   primo   elemento  riguarda   la   consistenza   fisica   del   condominio,   mentre   il   secondo   si   riferisce   alle  persone   titolari   dei   diritti   sulle   parti   comuni   dell’edificio.   Le   norme   di   legge   sul  condominio  riguardano  di  volta  in  volta  questi  due  aspetti.  Va  aggiunto  che,  a  completamento  della  disciplina  posta  dalla   legge,   il  condominio  

trova  un’altra  fonte  di  norme  nel  Regolamento,  che  costituisce  la  sua  legge  “interna”  e  che  verrà  trattato  in  apposito  capitolo  di  queste  dispense.    1.2-­   L’elemento   oggettivo   -­   Beni   e   impianti   comuni   e   le   proprietà  esclusive:  l’art.  1117  c.c.    Nel   condominio,   come  detto,   coesistono  due   insiemi  distinti   di   beni:   da  una  parte  

quelli   comuni,   e,   dall’altra   parte,   quelli   in   proprietà   esclusiva   (appartamenti,   negozi,  locali,  posti  auto,  ecc.).  Proprio  il  primo  insieme  di  beni  costituisce  l’oggetto  del  condominio  ed  è  composto  

dai  beni  indicati  dall’art.  1117  c.c.    che  modificato  nel  2012  testualmente,  recita1:  “Sono  oggetto  di  proprietà  comune  dei  proprietari  dei  piani  o  porzioni  di  piani  di  

un  edificio,  se  il  contrario  non  risulta  dal  titolo:  1.   Il  suolo  su  cui  sorge  l’edificio,  le  fondazioni,  i  muri  maestri,  i  tetti,  i  lastrici  

solari,  le  scale,  i  portoni  di  ingresso,  i  vestiboli,  gli  anditi,  i  portici,  i  cortili  e  in  genere  tutte  le  parti  dell’edificio  necessarie  all’uso  comune;  2.   I   locali   per   la   portineria   e   per   l’alloggio  del   portiere,   per   la   lavanderia,  

per  il  riscaldamento  centrale,  per  gli  stenditoi  e  per  altri  simili  servizi  in  comune;  3.   Le   opere,   le   installazioni,   i   manufatti   di   qualunque   genere   che   servono  

all’uso   e   al   godimento   comune,   come   gli   ascensori,   i   pozzi,   le   cisterne,   e,   inoltre   le  fognature   e   i   canali   di   scarico,   gli   impianti   per   l’acqua,   per   il   gas,   per   l’energia  elettrica,  per   il  riscaldamento  e  simili,   fino  al  punto  di  diramazione  degli   impianti  ai  locali  di  proprietà  esclusiva  dei  singoli  condomini”.     “Sono  oggetto  di  proprietà  comune  dei  proprietari  delle  singole  unità  immobiliari  

dell'edificio,  anche  se  aventi  diritto  a  godimento  periodico  e  se  non  risulta  il  contrario  dal  titolo:  1.   le   parti   dell'edificio   necessarie   all'uso   comune,   come   il   suolo   su   cui   sorge  

l'edificio,   le   fondazioni,   i  muri  maestri,   i   pilastri   e   le   travi  portanti,   i   tetti   e   i   lastrici  solari,  le  scale,  i  portoni  di  ingresso,  i  vestiboli,  gli  anditi,  i  portici,  i  cortili  e  le  facciate;  2.   le  aree  destinate  a  parcheggio  nonché   i   locali  per   i   servizi   in   comune,   come   la  

portineria,   incluso   l'alloggio   del   portiere,   la   lavanderia,   gli   stenditoi   e   i   sottotetti  

1 La vecchia formulazione dell'art.1117 cod.civ. 1942 era:“Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo: 1. Il suolo su cui sorge lʼedificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dellʼedificio necessarie allʼuso comune; 2. I locali per la portineria e per lʼalloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune; 3.Le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono allʼuso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, e, inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per lʼacqua, per il gas, per lʼenergia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”.

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destinati,  per  le  caratteristiche  strutturali  e  funzionali,  all'uso  comune;  3.   le   opere,   le   installazioni,   i   manufatti   di   qualunque   genere   destinati   all'uso  

comune,  come  gli  ascensori,   i  pozzi,   le  cisterne,  gli   impianti   idrici  e   fognari,   i   sistemi  centralizzati  di  distribuzione  e  di  trasmissione  per  il  gas,  per  l'energia  elettrica,  per  il  riscaldamento   ed   il   condizionamento   dell'aria,   per   la   ricezione   radiotelevisiva   e   per  l'accesso   di   qualunque   altro   genere   di   flusso   informativo,   anche   via   satellite   o   via  cavo,   e   i   relativi   collegamenti   fino   al   punto   di   diramazione   ai   locali   di   proprietà  individuale  dei  singoli  condòmini,  ovvero,  in  caso  di  impianti  unitari,   fino  al  punto  di  utenza,  salvo  quanto  disposto  dalle  normative  di  settore  in  materia  di  reti  pubbliche.”    

Va   precisato   che   l'espressione   iniziale   “anche   se   aventi   diritto   a   godimento  periodico”   si   riferisce   all'ipotesi   minore   della   c.d.   Multiproprietà.   Nell'accezione  tradizionale  essa  può  sinteticamente  definirsi  una  proprietà  di  parti  private  e  comuni,  soggetta   ad   una   forma   regolamentata   di   godimento   turnario-­‐periodico   in   favore   dei  singoli  comproprietari.  La  previsione  della  multiproprietà  nel  codice  civile  costituisce  un  aspetto  completamente  nuovo  portato  dalla  riforma  del  2012.    La   giurisprudenza   ha   chiarito   che   l’elencazione   dei   beni   comuni   fatta   dalla   legge  

non   è   tassativa   ma   “meramente   esemplificativa”,   con   la   conseguenza   che   può   ben  esistere   un   bene   e/o   un   impianto   che,   pur   non   indicato   in   tale   elenco,   sia   da  considerarsi  comune  (vale  a  dire,  condominiale).  È  da   ritenersi   che   tale  principio,   espresso  per   la  vecchia  disciplina,   sia  applicabile  

anche  alla  nuova  formulazione  dell'art.1117  cod.civ.  come  sopra  riportata.  Per  di  più,  nello  stesso  art.1117  si  prevede  che  un  “titolo  contrario”  possa  disporre  

in   maniera   diversa:   possa,   cioè   qualificare   come   esclusivo   un   bene   che,   altrimenti,  dovrebbe  essere  considerato  appartenente  a  tutti  i  condomini.  La   giurisprudenza   ha   ampiamente   affrontato   le   problematiche   derivanti   dalla  

lettura   dell’art.   1117   c.c.   al   fine   di   individuarne   l’esatto   significato   e   funzionamento,  giungendo  a  fissare  i  seguenti  principi:  

a)   presunzione   di   comunione:   un   bene   che   risulta   compreso   nell’elenco  dell’art.   1117   c.c.   si   “presume”   comune.   Come  detto   la   presunzione   di   comunione  può  estendersi  anche  ad  altri  beni  non  espressamente  indicati  nell'art.1117  c.c.,  ma  destinati  in  modo  oggettivo  a  servizio  strumentale  e  funzionale  del  condominio  o  di  una  parte  di  esso.  b)   condominio  parziale   il  bene,  pur  essendo  compreso   in  tale  elenco,  può  

non   essere   condominiale   se   la   sua   “destinazione   strutturale   e   oggettiva”   (cioè,  l’utilità   fornita   indipendentemente   dal   comportamento   dei   condomini)   è   a   favore  solo  di  una  parte  del  fabbricato.     In   tale   ultima   ipotesi,   i   proprietari   della   parte   del   fabbricato   sono   i   soli  

proprietari  del  bene  la  cui  utilità  è  a  loro  destinata.     Per   fare   un   esempio,   la   scala   compresa   in   una   delle   due   ali   del   fabbricato  

appartiene   soltanto   ai   proprietari   delle   porzioni   di   piano   che   utilizzano   la   scala  come  accesso.  c)   verifica   della   destinazione   funzionale   se   un   bene   non   è   compreso  

nell’elenco   dell’art.   1117   c.c.,   la   sua   proprietà   va   individuata   attraverso   la  “destinazione   strutturale   e   oggettiva”,   con   la   conseguenza   che   il   bene   sarà  condominiale  se  fornisce  utilità  a  tutto  il  fabbricato  (e  viceversa).  d)   “titolo   contrario”   un   titolo   contrario   (cioè   un   contratto   stipulato   con  

l’accordo  unanime  di  tutti  i  partecipanti  al  condominio)  può  disporre  diversamente  rispetto   all’art.   1117   c.c.   stabilendo,   per   esempio,   che   un   bene   a   destinazione  condominiale   appartenga   solo   ad   alcuni   condomini   (come   nel   caso   del   lastrico  

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solare  esclusivo).     Il   suddetto   titolo   contrario   può   essere   individuato   nel   “primo   atto   di  

trasferimento   di   un’unità   immobiliare   dall’originario   unico   proprietario   a   un   altro  soggetto”  (Cass.  30  agosto  2004,  n.  17397),  oppure  negli  “atti  di  acquisto  dei  singoli  appartamenti   o   delle   altre   unità   immobiliari”   ed   anche   nel   “regolamento   di  condominio  accettato  dai  singoli  condomini.”  (Cass.  16  febbraio  2005,  n.  3102).     In  ogni  caso,  il  titolo  contrario  deve  essere  approvato  da  tutti  i  condomini.  

 1.2.1  -­  I  singoli  beni  ed  impianti  condominiali  Riguardo   all’elenco   di   beni   e   di   impianti   contenuto   nel   nuovo   art.   1117   c.c.   è  

necessario  svolgere  qualche  ulteriore  precisazione.  Infatti,  sulle  tipologie  indicate  nella  norma  originaria  del  1942  la  giurisprudenza  ha  

svolto   un   ampio   lavoro   di   approfondimento,   conseguendo   importanti   risultati   di  chiarezza  dei  quali  è  necessario  dar  conto  in  quanto  è  solo  con  riferimento  ai  beni  ed  agli  impianti  comuni  che  l’assemblea  o  l’amministratore  possono  decidere  o  compiere  i  necessari  atti  di  gestione.  Tali  importanti  approfondimenti  sono  stati  poi  recepiti  dalla  nuova  disciplina.  Premettendo  che,  in  tale  materia,  stante  la  notevole  eterogeneità  dei  casi,  non  è  mai  

possibile  esaurire  tutte  le  possibili  fattispecie,  qui  di  seguito  saranno  illustrate  alcune  delle  ipotesi  più  importanti.    1.2.2  -­  Beni  necessari  all’uso  comune  (art.  1117  n.1  c.c.)  Il  suolo  -­  Indicato  nell’art.  1117  c.c.  come  bene  comune,  non  è  il  semplice  “livello  di  

campagna”  bensì,  più  esattamente,   il  piano  dove  poggiano   le   fondamenta  dell’edificio  posto,   il   più   delle   volte,   al   di   sotto   della   superficie   visibile   del   terreno.   Sul   punto,   la  Suprema  Corte  ha  precisato  che  “suolo  su  cui  sorge  l’edificio”  deve  intendersi  la  porzione  di   terreno   su   cui   viene   ad   insistere   l’intero   fabbricato   e,   immediatamente,   la   parte  inferiore   di   esso,   conseguendone   che   i   condomini   sono   comproprietari   non   della  superficie  al  livello  di  campagna,  che,  a  causa  dello  sbancamento  e  della  costruzione  del  fabbricato,   più   non   esiste,   ma   della   superficie   del   terreno   sulla   quale   posano   le  fondamenta”  (Cass.  24  agosto  1998,  n.  8346).    Il   sottosuolo   -­‐   Elemento   assai   importante   in   quanto   nello   stesso   vengono   spesso  

installati   numerosi   impianti   (condominiali   e/o   privati)   è   individuato   in   base   all’art.  840  c.c.  In  applicazione  di  tale  norma  “lo  spazio  sottostante  al  suolo  su  cui  sorge  un  edificio  in  

condominio,   in  mancanza  di   titolo   che   ne   attribuisca   la   proprietà   esclusiva   ad   uno   dei  condomini,   deve   considerarsi   di   proprietà   comune,   indipendentemente   dalla   sua  destinazione”  (Cass.  19  marzo  1996,  n.  2295).    Le  fondazioni  -­  Con  tale  termine  ci  si  riferisce  alla  parte  della  struttura  dell’immobile  

che  ha  il  compito  di  sorreggere  l’edificio.  Si  tratta,  solitamente,  di  pilastri  o  plinti  di  cemento  armato  posti  nel  terreno  i  quali,  

peraltro,   sono   da   considerarsi   condominiali   a   prescindere   dalla   loro   posizione  (potrebbero,   infatti,   trovarsi   anche   all’interno   di   locali   esclusivi,   evidentemente  sotterranei,  non  perdendo,  per  tale  circostanza,  la  natura  condominiale).  Per   la   loro   esatta   individuazione   in   loco   è   spesso   necessario   l’intervento   di   un  

tecnico  che  sappia  individuare  esattamente  lo  specifico  manufatto.      

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I  muri  maestri,   i   pilastri   e   le   travi   portanti,   le   facciate   -­   In   tal   caso,   l’art.   1117   c.c.  intende  riferirsi  esattamente  ai   “muri  portanti”,  cioè  alle  pareti  che,  allo  stesso  modo  delle   fondazioni,   svolgono   il   compito  di   sorreggere   lo   stabile.  Anche   in  questo  caso  è  ininfluente  la  posizione  del  bene  che  rimane  condominiale  anche  se  posto  all’interno  di  proprietà  privata.  Negli  edifici  moderni  (realizzati  con  struttura  in  cemento  armato)  non  vi  sono  muri  

portanti  e   la   loro   funzione  è  svolta  dai  c.d.   “ritti  e  architravi”,   i  quali,  di  conseguenza,  sono  da  considerarsi  comuni.  In  quest’ultimo  caso,  i  muri  perimetrali  dell’edificio  (c.d.  facciate  o  pannelli  esterni)  

sono   equiparati   ai  muri   portanti   (e,   quindi,   qualificati   come   condominiali)   in   quanto  forniscono  un’utilità  a  tutto  il  fabbricato.  In  questi  termini  si  sono  già  in  passato  pronunciati   i  Giudici,  precisando  che  “nella  

nozione   di   muri   maestri   di   cui   all’art.   1117   c.c.   rientrano   i   pannelli   esterni   di  riempimento   fra   pilastri   in   cemento   armato,   i   quali,   ancorché   la   funzione   portante   sia  assolta  principalmente  da  pilastri  ed  architravi,  sono  anch’essi  eretti  a  difesa  degli  agenti  atmosferici  e  fanno  parte  della  struttura  e  della  linea  architettonica  dell’edificio”  (Cass.  9  febbraio  1982,  n.  776)  Oggi   il  nuovo  art.1117  contempla  espressamente  al  n.1)   tutte  queste  parti  comuni  

recependo   le   pronunce   dei   giudici   in   considerazione   delle   tecniche   costruttive  acquisite  in  epoche  successive  al  1942.  

La   struttura   di   copertura   del   fabbricato   -­   La   struttura   posta   alla   sommità  

dell’edificio  ed  avente   la   funzione  di   copertura  è   condominiale,   sia  essa   composta  da  un   tetto   (composto   da   elementi   inclinati   o   arcuati)   sia   da   un   lastrico   (piano  orizzontale,  accessibile  o  meno).  E’   importante   precisare   che   la   copertura   appartiene   a   tutti   i   condomini   a  

prescindere   dalla   posizione   delle   proprietà   esclusive.   E’   comune,   quindi,   anche   ai  proprietari  delle  porzioni  di  piano  non  ad  esso  sottostanti.  La  questione  riveste  importanza  quando  si  tratta  di  eseguire  il  restauro  di  una  sola  

falda  del  tetto  che  copre  solo  una  parte  delle  unità  immobiliari  sottostanti.    Le   scale   -­   Sono   comuni   in   quanto   permettono   l’accesso   ai   locali   comuni   ed   alle  

porzioni  di  piano  in  proprietà  esclusiva.  Sono  condominiali  anche  tutti  gli  elementi  che  le  compongono  (gradini,  ringhiere,  parapetti,  struttura  portante,  piani  di  collegamento,  pianerottoli)  nonché  qualsiasi  accessorio  sia  posto  a  loro  servizio  o  abbellimento.  Non   è   corretto   suddividere   la   proprietà   delle   scale   per   piani,   ma   esse   sono   in  

comproprietà  tra  tutti  i  condomini  per  tutta  la  loro  estensione.    I  portoni  d’ingresso,  i  vestiboli,  gli  anditi,  i  portici  -­  Sia  il  portone,  sia  gli  ambienti  che  

servono   da   accesso   al   fabbricato   e   da   collegamento   con   le   scale   sono   considerati  comuni.  Le  caratteristiche  costruttive  di   tali  opere  sono,  ancora  una  volta,   irrilevanti:  ciò   che   conta   ai   fini   della   loro   condominialità   è   sempre   e   solo   la   funzione   svolta   a  favore  di  tutto  il  fabbricato.    I  cortili  -­  Non  sono  costituiti  solo  dall’area  scoperta  posta  all’interno  del  fabbricato,  

ma   anche   dalla   colonna   d’aria   ad   essa   sovrastante   e   suscettibile   di   utilizzazione  separata.   In  considerazione  di  ciò,   la   funzione  del  cortile  è  duplice  e  consiste,  da  una  parte,  nell’utilizzo  della  superficie,  e,  d’altra  parte,  nel  fornire  aria  e  luce  ai  vani  che  su  di  esso  si  affacciano.    

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Il  Supremo  Collegio,   infatti,  ha  affermato  che  “nell’individuazione  delle  cose  comuni  contemplate  dall’art.  1117  c.c.,  per  cortile  deve  intendersi  lo  spazio  scoperto,  e  quindi  la  superficie   calpestabile,   con   la   sovrastante   colonna   d’aria,   la   cui   primaria   funzione   è  quella  di  assicurare  aria  e  luce  alle  unità  immobiliari  che  su  di  essa  si  affacciano”  (Cass.  26  gennaio  1998,  n.  714).    1.2.3–   I   parcheggi   e   i   locali   destinati   ai   servizi   comuni   del   condominio  

(art.1117  n.2  c.c.)  I  locali  per  i  servizi  -­  Sono  ricompresi  nell’insieme  dei  beni  comuni  i  locali  destinati  

ai  servizi  comuni  dei  quali  viene  riportata  un’elencazione  avente,  anche  in  questo  caso,  carattere   esemplificativo   (1);   “i   locali   per   la  portineria   e   l’alloggio  del   portiere,   per   la  lavanderia,   per   il   riscaldamento   centrale,   per   gli   stenditoi   e   per   altri   simili   servizi   in  comune”.  

“le   aree   destinate   a   parcheggio   nonché   i   locali   per   i   servizi   in   comune,   come   la  portineria,   incluso   l'alloggio   del   portiere,   la   lavanderia,   gli   stenditoi   e   i   sottotetti  destinati,  per  le  caratteristiche  strutturali  e  funzionali,  all'uso  comune;  La  norma  opera  una  distinzione  tra  la  proprietà  dei  locali  e  quella  degli  impianti  in  

essi  contenuti.  Può,  quindi,  accadere  che  il  locale  e  l’impianto  appartengano  a  soggetti  diversi,  come  si  verifica,  per  esempio,  quando,  nel  concreto,  un  impianto  condominiale  è  situato  in  un  locale  di  proprietà  esclusiva.  Le   aree   destinate   a   parcheggio   e   i   sottotetti.   Tra   le   novità   della   riforma   vanno  

annoverate   le   aree   comuni   destinate   a   parcheggio,   con   precisazione   forse   non  necessaria  ma   certamente   opportuna.   I   sottotetti     hanno   spesso   costituito  motivo   di  controversia  circa  la  loro  proprietà,  talvolta  ritenuta  esclusiva  a  favore  dei  proprietari  dell'ultimo   piano,   altre   volte   ritenuta   comune,   specialmente   ove   fossero   considerati  locali   tecnici  e  dunque  destinati  all'uso  collettivo.  Le  oscillazioni  della  giurisprudenza  vengono  oggi   sintetizzate  nella   attribuzione  dei   sottotetti   fra   le  parti   comuni,   solo   in  considerazione  delle  caratteristiche  funzionali  e  strutturali  per  l'utilizzo  comune.        1.2.4  -­  Beni  e  impianti  che  servono  all’uso  comune  (art.1117  n.3  c.c.)  I  servizi  comuni  –  La  elencazione  originaria,  risalente  al  1942,  è  stata    arricchita  di  

nuove  previsioni   in   linea  con     le  moderne  acquisizioni   tecnologiche  quali  gli   impianti  per   la   ricezione   radiotelevisiva   e   per   l'accesso   di   qualunque   altro   genere   di   flusso  informativo,   anche   via   satellite   o   via   cavo   (1).   Viene   indicata   una   presunzione   di  comproprietà   per     “le   opere,   le   installazioni,   i   manufatti   di   qualunque   genere   che  servono   all’uso   e   al   godimento   comune,   come   gli   ascensori,   i   pozzi,   le   cisterne,   gli  acquedotti  e  inoltre  le  fognature,  e  i  canali  di  scarico,  gli  impianti  per  l’acqua,  per  il  gas,  per   l’energia   elettrica,   per   il   riscaldamento   e   simili,   fino   al   punto   di   diramazione   degli  impianti  ai  locali  di  proprietà  esclusiva  dei  singoli  condomini”.  le   opere,   le   installazioni,   i   manufatti   di   qualunque   genere   destinati   all'uso   comune,  

come  gli  ascensori,  i  pozzi,  le  cisterne,  gli  impianti  idrici  e  fognari,  i  sistemi  centralizzati  di  distribuzione  e  di  trasmissione  per  il  gas,  per  l'energia  elettrica,  per  il  riscaldamento  ed  il  condizionamento  dell'aria,  per  la  ricezione  radiotelevisiva  e  per  l'accesso  di  qualunque  altro  genere  di  flusso  informativo,  anche  via  satellite  o  via  cavo,  e  i  relativi  collegamenti  fino   al   punto   di   diramazione   ai   locali   di   proprietà   individuale   dei   singoli   condòmini,  ovvero,   in   caso  di   impianti   unitari,   fino  al   punto  di   utenza,   salvo  quanto  disposto  dalle  normative  di  settore  in  materia  di  reti  pubbliche.”  

E’   importante   sottolineare   come   l’impianto   è   comune   a   prescindere   dalla   sua  posizione  all’interno  del   fabbricato  e  che  è  da  considerarsi   tale   fino  al  punto   in  cui  si  dirama  verso  la  proprietà  esclusiva.  

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Tale  particolare  regola  si  giustifica  con  il  fatto  che,  dopo  la  diramazione,  l’impianto  fornisce   utilità   solo   ad   una   parte   dell’edificio,   ed   in   particolare   ai   locali   di   proprietà  esclusiva   del   singolo   condòmino.   Il   concetto   è   ribadito   dalla   Cassazione,   secondo   la  quale   “devono   ritenersi   condominiali   anche   gli   impianti   allocati   in   spazi   di   proprietà  individuale,   purché   destinati   al   servizio   dell’intero   edificio”   (Cass.   23   giugno   1960,   n.  913).  I  principi  su  esposti  valgono  per  qualsiasi  tipo  di  impianto,  compreso  quello  idrico,  

quello   fognario,   l’impianto   per   il   riscaldamento   e   di   ascensore   e   per   i   nuovi   tipi   di  impianto  previsti  nella  nuova  formulazione.    1.2.5-­  Il  rapporto  tra  proprietà  comuni  e  proprietà  esclusive.  La  destinazione  

funzionale  e  strumentale.  L’indivisibilità  Come  visto,  nel  condominio  coesistono  due  insiemi  di  beni:  comune  ed  esclusivo.  Tali   insiemi,   tuttavia,  non  sono   indipendenti   tra   loro  ma  sono   legati  da  un  vincolo  

specifico   che   determina   ben   precise   conseguenze   giuridiche   e,   quindi,   anche  l’applicazione  di  regole  particolari.  Si  afferma,  infatti,  che  l’insieme  delle  cose  ed  impianti  comuni  compresi  nell’edificio  

è   strumentale   al   godimento   delle   proprietà   esclusive,   con   destinazione   stabile   e  necessaria  dei  primi  al  servizio  delle  seconde.  In  altri  termini,  i  beni  comuni  hanno  una  stabile  “destinazione  funzionale”  a  favore  

dei   beni   esclusivi,   la   quale,   peraltro,   è   riconosciuta   dalla   legge   negli   articoli   1118   e  1119  c.c.  nei  quali  viene  stabilita   l’impossibilità  di  sottrarsi  al  pagamento  delle  spese  per  la  conservazione  e  anche  la  indivisibilità  dei  beni  comuni.  Ad  esempio,   le  scale,  come  l’ascensore,  servono  al  godimento  e  alla   fruizione  degli  

appartamenti  posti  ai  piani  superiori,  il  cortile  è  destinato  a  dare  aria  e  luce  a  tutti  gli  appartamenti,   l’impianto   centralizzato  di   riscaldamento   serve  a   rendere  gradevole   la  permanenza  in  casa  nei  mesi  freddi,  e  via  dicendo.  Sotto   una   prospettiva   diversa,   si   può   affermare,   perciò,   che   la   quota   di  

comproprietà   spettante   a   ciascun   condomino   sulle   parti   comuni   costituisce   un  accessorio  inseparabile  della  proprietà  esclusiva  sulla  porzione  di  piano,  al  cui  valore  millesimale  è  commisurata.  Per  la  medesima  ragione  le  parti  comuni,  essendo  legate  da  un  nesso  di  necessaria  

strumentalità  al  godimento  delle  parti  di  proprietà  esclusiva,  non  sono  divisibili,  fatte  salve  le  eccezioni  previste  dalla  legge.  Con  la  divisione  delle  parti  comuni,  si  andrebbe  infatti  a  vanificare  l’essenza  stessa  del  condominio  che  è  proprio  basato  sulla  relazione  di  accessorietà  fra  parti  comuni  ed  esclusive.  È  per  tale  ragione  che  si  ritiene  comunemente  che  la  vendita  dell’unità  immobiliare  

non  possa  essere  separata  dalla  contemporanea  cessione  dei  diritti  sulle  parti  comuni.    Naturalmente   questa   necessaria   e   stabile   coesistenza   tra   proprietà   esclusive   (in  

proprietà   individuale)  e  parti   comuni   (comproprietà)  non   impedisce  ai   condomini  di  godere  e  di  disporre  delle  rispettive  proprietà  in  modo  pieno  ed  esclusivo.  Nel  far  ciò,  i  partecipanti   al   condominio   incontrano   essenzialmente   due   limiti   che   sono  rappresentati   rispettivamente  dall’obbligo  di  non   invadere   le   sfere  private  degli   altri  partecipanti,   e   dal   divieto   di   eseguire   nel   piano   o   porzione   di   piano   di   proprietà  esclusiva  opere  che  rechino  danno  alle  parti  comuni  dell’edificio  (artt.  1122  e  1122-­‐bis  c.c.).    Il  condominio,  così  come  delineato  dalla   legge,  è   formato  dunque  da  una  struttura  

complessa   nella   quale   coesistono   beni   soggetti   ad   un   regime   giuridico   differenziato  (cioè,   a   regole   parzialmente   diverse)   e   in   cui   l’interesse   collettivo   tende   a   prevalere  sugli   interessi   individuali   dei   singoli.   Le   regole   tipiche   della   proprietà   individuale  

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(insistente  sulle  porzioni  di  piano  di  cui   i   singoli  sono  titolari)  convivono,   infatti,   con  quelle  proprie  della  comunione  (che  ha  ad  oggetto   i  beni  e  gli   impianti  di  cui   l’intera  collettività  condominiale  usufruisce),  dando  vita  a  reciproche  interferenze.    1.2.6  -­  Costituzione  e  scioglimento  del  condominio  Il  condominio  si  costituisce  (cioè,  viene  ad  esistenza  per  la  legge)  in  molteplici  modi.  Il  caso  più  ricorrente  è  quello  in  cui  l’originario  ed  unico  proprietario  (solitamente,  

il   costruttore)   trasferisce   la   proprietà   delle   singole   unità   immobiliari   (porzioni   di  piano)   che   compongono   l’immobile   a   soggetti   terzi   che,   in   tal   modo,   divengono  condomini  a  tutti  gli  effetti  di  legge.  La  nascita  del  condominio  è  un  effetto  automatico  di   legge  e  non  è  necessario  che  

venga  “certificata”  da  uno  specifico  atto  (nè  privato,  nè  pubblico/amministrativo).  E’   importante   sottolineare   che,   verificatasi   automaticamente   la   costituzione   del  

condominio,  si  applicano  (allo  stesso  modo,  automaticamente)  tutte  le  regole  previste  dagli  artt.  1117/1139  c.c.    Nella  pratica,  i  modi  più  frequenti  sono  tre:  

1. un   singolo   soggetto,   unico   proprietario   dell’edificio   composto   da   più  unità  immobiliari,  vende  la  prima  porzione  di  piano;  2. più   soggetti   acquistano   un   terreno,   vi   edificano   un   immobile   e  

assegnano  a  ciascuno,  in  proprietà  esclusiva,  una  porzione  di  piano;  3. più   soggetti   ereditano   pro   indiviso   un   edificio   composto   da   più   unità  

immobiliari  e,  successivamente,  procedono  ad  una  divisione  (per  atto  notarile)  attribuendo  le  singole  unità  immobiliari  a  ciascuno  degli  eredi.    

Così  come  nasce,  il  condominio  può  sciogliersi.    L’ipotesi   è   prevista   dall’art.   61   delle   disposizioni   di   attuazione   del   codice   civile  

secondo  cui  “qualora  un  edificio  o  un  gruppo  di  edifici  appartenenti  per  piani  o  porzioni  di  piano  a  proprietari  diversi  si  possa  dividere   in  parti  che  abbiano  le  caratteristiche  di  edifici   autonomi,   il   condominio   può   essere   sciolto   e   i   comproprietari   di   ciascuna   parte  possono  costituirsi  in  condominio  separato”.    Lo   scioglimento,   dunque,   potrà   essere   realizzato   solo   se   l’edificio   o   il   gruppo   di  

edifici   possano   dividersi   in   parti   aventi   caratteristiche   di   edifici   autonomi.   Si   tratta,  quindi,   di   una   caratteristica   strutturale   ed   architettonica   dell’edificio   indipendente  dalla  volontà  dei  condomini.  Per   far   ciò  occorre  una  decisione  dell’assemblea   condominiale  da  adottarsi   con   la  

maggioranza  degli  intervenuti  in  assemblea  rappresentanti  almeno  500  millesimi.  Lo   scioglimento   del   condominio   può   anche   essere   chiesto   al   Giudice,   a   patto,  

tuttavia,  che  i  condomini  richiedenti  costituiscano  almeno  un  terzo  dei  comproprietari  della  parte  dell’edificio  della  quale  si  chiede  la  separazione.    1.2.7  -­  Il  condominio  parziale,  il  condominio  minimo  ed  il  supercondominio  A  corollario  di  quanto  sopra,  va  precisato  che  nel  condominio,  è  possibile  che  alcuni  

beni  e/o  impianti  comuni  appartengano  in  comproprietà  solo  ad  alcuni  dei  condomini.  Ciò  può  avvenire  in  due  distinte  ipotesi:  a)   il   bene   o   l’impianto   è   destinato   (oggettivamente   e   strutturalmente)   a  

servizio  ed  utilità  di  una  parte  dell’edificio;  b)   un  titolo  contrario  attribuisce  la  proprietà  di  un  bene  o  di  un  impianto  

ad  un  gruppo  dei  condomini.  Tale  eventualità  è  ormai  riconosciuta  pacificamente  dalla  giurisprudenza  secondo  la  

quale  “deve  ritenersi  legittimamente  configurabile  la  fattispecie  del  condominio  parziale  

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ex   lege   tutte   le   volte   in   cui   un   bene   risulti,   per   obbiettive   caratteristiche   strutturali   e  funzionali,  destinato  al  servizio  e/o  al  godimento  in  modo  esclusivo  di  una  parte  soltanto  dell’edificio  in  condominio,  parte  oggetto  di  un  autonomo  diritto  di  proprietà,  venendo  in  tal  caso  meno  il  presupposto  per  il  riconoscimento  di  una  contitolarità  necessaria  di  tutti  i  condomini  su  quel  bene”  (Cass.  25  settembre  2006,  n.  20873).  Nel   caso   di   bene   in   condominio   parziale,   le   decisioni   sulla   gestione   e   sulla  

conservazione  spettano  solo  ai   condòmini   che  partecipano  alla   comunione  parziale  e  non  agli  altri.  Il   “condominio   minimo”,   invece,   si   verifica   quando   la   collettività   condominiale   è  

composta  da  due  soli  partecipanti.    Su   tale  particolare   figura,  vi  è   stata  a   lungo   incertezza  se  applicare   le  norme  sulla  

comunione   ordinaria   (artt.   1110/1116   c.c.)   o   la   disciplina   sul   condominio   (artt.  1117/1139   c.c.),   le   quali   ultime   comportano   rilevanti   conseguenze   specialmente   in  ordine  alle  maggioranze  minime  per  le  deliberazioni  dell’assemblea.  Il  dilemma  è  stato  di  recente  risolto  dalla  Suprema  Corte  la  quale  ha  precisato  che  

“la   disciplina   dettata   dal   codice   civile   per   il   condominio   di   edifici   trova   applicazione  anche   in   caso   di   condominio   minimo,   cioè   di   condominio   composto   da   due   soli  partecipanti...   con   riguardo   alle   disposizioni   che   regolamentano   la   sua   organizzazione  interna,   non   rappresentando   un   ostacolo   l’impossibilità   di   applicare,   in   tema   di  funzionamento  dell’assemblea,  il  principio  maggioritario,  atteso  che  nessuna  norma  vieta  che   le   decisioni   vengano   assunte   con   un   criterio   diverso,   nella   specie   all’unanimità”  (Cass.,  sezioni  unite,  31  gennaio  2006,  n.  2046).  Ulteriore   ipotesi  è  quella  del  c.d.  condominio  complesso  o  supercondominio,   (vd.più  

avanti)   che   si   verifica   quando   un   insieme   di   edifici,   di   solito   costituiti   in   condomini  autonomi,   hanno   in   comune   beni,   servizi,   locali   o   spazi   aperti,   tutti   funzionali  all’utilizzazione   e   al   godimento,   da   parte   dei   singoli   partecipanti,   delle   parti   di   loro  esclusiva  proprietà.    Il  supercondominio  consente  la  razionalizzazione  dell’uso  e  della  gestione  collettiva  

degli  spazi  e  dei  servizi  destinati  a  soddisfare  esigenze  comuni  di  coloro  che  abitano  in  edifici  distinti.  Il  fenomeno  è  in  forte  espansione,  specialmente  nell’odierna  realtà  edilizia,  che  vede  

spesso   nascere,   nelle   zone   di   espansione   urbana   alle   periferie   delle   grandi   città,  complessi   residenziali   in   cui   trovano  posto,   oltre   alle  usuali   strutture  abitative,   anche  giardini,  parchi  giochi,  piscine,  impianti  ed  attrezzature  sportive.  Dal  punto  di  vista  del  diritto,  la  fattispecie  è  stata  riconosciuta  dalla  giurisprudenza  

che   ne   ha   stabilito   i   connotati   e   le   regole   di   gestione,   affermando   che   “la   nozione   di  condominio   in   senso   proprio   è   configurabile   non   solo   nell’ipotesi   di   fabbricati   che   si  estendono  in  senso  verticale  ma  anche  nel  caso  di  costruzioni  adiacenti  orizzontalmente  (come   in   particolare   le   cosiddette   case   a   schiera);   per   i   complessi   immobiliari,   che  comprendono  più  edifici,  seppure  autonomi,  è  rimessa  all’autonomia  privata  la  scelta  se  dare  luogo  alla  formazione  di  un  unico  condominio,  oppure  di  distinti  condomini  per  ogni  fabbricato,   cui   si   affianca   in   tal   caso   la   figura   di   elaborazione   giurisprudenziale   del  supercondominio,  al  quale  sono  applicabili   le  norme  relative  al  condominio  in  relazione  alle  parti  comuni,  di  cui  all’art.  1117  c.c.,  come  ad.  es.  le  portinerie,  le  reti  viarie  interne,  gli   impianti   dei   servizi   idraulici   o   energetici   dei   complessi   residenziali,  mentre   restano  soggette  alla  disciplina  della  comunione  ordinaria   le  altre  eventuali   strutture,  che  sono  invece  dotate  di  una  propria  autonomia,  come  per  es.   le  attrezzature  sportive,  gli   spazi  d’intrattenimento,  i  locali  di  centri  commerciali  inclusi  nel  comprensorio  comune”  (Cass.  18  aprile  2005,  n.  8066).    

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 1.3  -­  L’elemento  “soggettivo”  Accanto   alla   parte   materiale   ed   oggettiva   della   realtà   condominiale   si   colloca   un  

altro  aspetto  di  non  minore  importanza,  che  è  quello  soggettivo,  ossia  quello  relativo  al  condòmino,  titolare  di  diritti  esclusivi  o  comuni,  e  di  molteplici  obblighi.    1.3.1-­   Diritti   e   doveri   dei   condomini   ed   utilizzazione   delle   parti   e   servizi  

comuni  L’art.   1102   c.c.   che,   come   visto,   sebbene   dettato   in   materia   di   comunione   trova  

applicazione   anche   in   ambito   condominiale   (art.   1139   c.c.),   dispone   che   “ciascun  partecipante  può  servirsi  della  cosa  comune  purché  non  ne  alteri   la  destinazione  e  non  impedisca  agli  altri  partecipanti  di  farne  parimenti  uso  secondo  il  loro  diritto”.  Il   singolo   condomino,   quindi,   ha   diritto   di   utilizzare   qualsiasi   bene   o   impianto  

comune  ma,  nel  far  ciò,  è  tenuto  a  rispettare  i  limiti  previsti  dalla  suddetta  norma.  Infatti,  da  una  parte  non  può  usare  il  bene  per  fini  diversi  da  quelli  corrispondenti  

alla   sua  natura  ed  alla   sua  qualità   (per  esempio,  non  è   consentito   il  parcheggio   sulle  zone  verdi),  e,  dall’altra  parte,  deve  consentire  un  uso  quanto  meno  paritario  agli  altri  compartecipanti   (per   esempio,   costituisce   un   abuso   illegittimo   occupare   gli   spazi  destinati   a   parcheggio   in   maniera   prevaricante,   impedendone   l’utilizzo   agli   altri  condomini).  L’art.1102   c.c.,   secondo   la   consolidata   interpretazione   giurisprudenziale,   consente  

al  condòmino  di  usare  la  cosa  comune  in  modo  da  ritrarne  ogni  possibile  e  lecita  utilità,  ed   anche   un’utilità   peculiare   o   più   intensa   rispetto   a   quella   della   generalità   dei  condòmini.    Ciò   deve   pur   sempre   avvenire   nel   rispetto   del   triplice   limite   posto   dalla   legge:   il  

divieto  di  alterare  il  decoro  estetico  dell’edificio,  il  divieto  di  pregiudicare  la  statica    e  la   sicurezza   dell’edificio   e   il   divieto   di   impedire   agli   altri   condòmini   di   usare   la   cosa  comune   secondo   il   proprio   diritto,   nonché   il   divieto   di   alterare   la   destinazione   della  cosa  comune.  Laddove   il   condòmino   travalichi  questi   limiti   imposti  dalla   legge,   la  modifica  deve  

ritenersi  illegittima  se  non  autorizzata  dall’assemblea.  La  riforma  del  2012  ha  specificato  i  limiti  di  utilizzo  della  cosa  comune  da  parte  del  

condòmino.  Infatti,  mentre   la  disposizione  di   cui   sopra   riguarda   l’utilizzo  delle   cose  comuni,   il  

nuovo  art.1122  c.c.,  impedisce  poi  al  singolo  condòmino  di  eseguire  nella  propria  unità  immobiliare   esclusiva   ovvero   in   parti   comuni   di   uso   esclusivo   opere   che   possano  recare   danno   alle   parti   comuni   e   pregiudicare   la   stabilità,   la   sicurezza   o   il   decoro  architettonico  dell'edificio.  L'art.1122-­‐bis   cod.civ.   a   sua   volta   disciplina   l'installazione   di   impianti   non  

centralizzati  di  ricezione  radiotelevisiva  e  di  produzione  di  energia  da  fonti  rinnovabili  da  parte  del  singolo  sotto  il  controllo  dell'assemblea.  In  caso  poi  che  il  condòmino  esegua  attività  che  “incidono  negativamente    e  in  modo  

sostanziale   sulle   destinazioni   d'uso   delle   parti   comuni”,   l'art.1117-­‐quater   prevede   un  meccanismo  progressivo  per  far  cessare  la  violazione,  a  partire  da  una  diffida  da  parte  dell'amministratore  ovvero  anche  da  un  singolo  condòmino,  e   fino  all'esperimento  di  una  tutela  giudiziaria.    1.3.2  -­  Il  condomino  apparente  e  l'identificazione  del  proprietario  effettivo  La   c.d.   teoria   del   “condomino   apparente”   afferisce   alla   problematica   della  

individuazione  dei   soggetti   legittimati  alla  partecipazione  delle   riunioni  condominiali  

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e,   di   conseguenza,   obbligati   alla   corresponsione  degli   oneri  necessari   per   la   gestione  del   condominio.   Essa   presuppone   che   taluno   si   comporti,   in   maniera   costante   ed  inequivoca,   quale   condomino,   così   da   indurre   gli   organi   condominiali   a   ritenere   in  buona   fede   che   tale   condotta   sia   conforme   alla   situazione   di   diritto.   Si   può,  sinteticamente,  affermare,  che  ad  una  giurisprudenza  favorevole  all’apparenza  se  ne  è  sostituita  una,  più  recente,  di  segno  nettamente  opposto.  Riguardo   alle   spese   è   stato   però   puntualizzato   (Cass.   n.   6187/94)   che   è  

passivamente   legittimato,   rispetto   all’azione   giudiziale   per   il   recupero   della   quota   di  competenza,   il   vero   proprietario   della   porzione   immobiliare   e   non   anche   chi   possa  apparire  tale  (come  uno  dei  coniugi  che  curi  personalmente  ed  attivamente  la  gestione  della  proprietà  dell’altro  coniuge)  difettando,  nei  rapporti  fra  il  condominio  ed  i  singoli  partecipanti   ad   esso   le   condizioni   per   l’operatività   del   principio   dell’apparenza   del  diritto,  strumentale  essenzialmente  ad  esigenze  di  tutela  dei  terzi  in  buona  fede.  Le   Sezioni   Unite   della   Suprema   Corte   di   Cassazione   con   la   sentenza   dell’8   aprile  

2002,   n.   5035,   hanno   sostanzialmente   sgombrato   il   campo   dalle   polemiche   negando  ogni   valore   alla   teoria   dell’apparenza   e   sancendo   la   prevalenza   dei   princìpi   di  pubblicità   ed   effettività.   La   conseguenza,   nient’affatto   trascurabile,   di   un   simile  orientamento   è   che   l’amministratore   del   condominio   dovrebbe   effettuare  costantemente  ricerche  presso  gli  organi  preposti  al  fine  di  garantire  l’aggiornamento  dell’anagrafe  condominiale.  L’amministratore  deve  dunque   farsi   carico  dell’attività  necessaria  per  accertare   la  

titolarità  del  diritto  di  proprietà  del  cespite  o  degli  altri  diritti  presso  la  Conservatoria  dei  Registri  Immobiliari  a  nulla  rilevando  la  mala  fede  del  soggetto  che  si  comporta  da  condomino  ma  che  disconosce  tale  qualità  solo  nel  momento  in  cui  viene  chiamato  al  pagamento  degli  oneri  condominiali.  In  forza  del  nuovo  art.1130  n.6  cod.civ.  l'amministratore  è  espressamente  obbligato  

a  curare  e  ad  aggiornare   il   registro  “di  anagrafe  condominiale”  contenente   tutti   i  dati  dei  condòmini  proprietari  e  dei   titolari  di  diritti   reali   (ad  es.  usufruttuari)  e  di  diritti  personali   di   godimento   (ad   es.   conduttori).   Questi   dati   devono   essere   forniti   dai  condòmini,   ma   in   caso   di   loro   inerzia   o   di   carenza   dei   dati   necessari   forniti  l'amministratore   può   anche   ricavarli   dai   pubblici   registri,   addebitando   al   singolo  condòmino      1.3.3  -­  Il  supercondominio  Il  “supercondominio”  è  un  tipo  particolare  di  comproprietà  e  si  verifica  allorquando  

esista  una  pluralità  di  edifici-­‐condomìni  i  quali,  facendo  parte  di  complessi  residenziali  aggregati   di   più   o  meno  vaste  dimensioni,   hanno   anche   spazi   e   servizi   comuni   come  viali   di   accesso   e   di   transito,   impianti   di   illuminazione,   di   scarico   fognario,   piscine   o  servizi  sportivi,  spazi  verdi  attrezzati,  portierato  e  vigilanza  e,   in  generale  quant’altro  sia  destinato  come  accessorio  al  funzionamento  del  gruppo  di  edifici.  La   comunione  dei   beni   in   supercondominio   si   realizza   invece   fra   tutti   coloro   che,  

essendo  proprietari  di  una  unità   immobiliare  all’interno  degli  edifici   facenti  parte  del  complesso,  hanno  anche  la  compartecipazione  all’utilizzo  e  al  godimento  dei  beni  e  dei  servizi  comuni  al  complesso  di  edifici.  Deve  inoltre  essere  ben  distinta  la  comproprietà  delle  parti  comuni  del  condominio  

quale  singolo  edificio  da  quella  delle  parti  del  supercondominio.    E’   ben   possibile   che   si   realizzi   una   fattispecie   di   supercondominio   anche   quando  

due  autonomi  edifici  in  condominio,  abbiano  in  comune  un  solo  bene,  come  il  viale  di  accesso  o  la  centrale  termica.    

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Norme   applicabili   –   In   passato   la   giurisprudenza   si   è   posta   il   problema   di   quale  fosse   la   normativa   applicabile   al   supercondominio   rimanendo   sostanzialmente  concorde   nel   ritenere   che   al   supercondominio   dovessero   applicarsi   le   norme   sul  condominio   e   non   quelle   sulla   comunione   in   generale.   Si   è   ritenuto   infatti   che   al  supercondominio   possano   essere   estese   tali   norme   trattandosi   di   una   fattispecie  analoga  a  quella  del  condominio.  Oggi   però   la   legge   stabilisce   espressamente   che   le   norme   sul   condominio   si  

applichino   anche   al   supercondominio.   L'art.1117-­‐bis   stabilisce   infatti   che   le  disposizioni  sul  condominio  si  applicano,  in  quanto  compatibili,  “in  tutti  i  casi  in  cui  più  unità   immobiliari   o   più   edifici   ovvero   più   condominii   di   unità   immobiliari   o   di   edifici  abbiano  parti  comuni  ai  sensi  dell'articolo  1117”.    Regolamento   -­   E’   possibile   inoltre   che   il   supercondominio   abbia   un   regolamento  

delle  parti  comuni  supercondominiali.  Tale  regolamento  può  essere  fornito  all’origine  dal  costruttore  del  complesso  a  coloro  che  acquistano  un’unità  immobiliare  in  uno  dei  condomìni   che   ne   fanno   parte   (regolamento   contrattuale)   ovvero   può   essere  deliberato  dai  partecipanti  alla  comunione  in  un  momento  successivo.  Nel   regolamento   del   supercondominio   potranno   essere   contenute   tutte   le   norme  

per   il   funzionamento   di   questa   comunione,   dall’assemblea   dei   partecipanti  all’amministrazione,  dalla  ripartizione  delle  spese  all’amministrazione  e  via  dicendo.  Ove   il   Regolamento   della   comunione   supercondominiale   non   esista   ovvero,   pur  

esistendo,  non  detti  certe  norme  per  il  suo  funzionamento,  si  applicano,  come  stabilito,  le  norme  sul  condominio  (artt.1117-­‐1139  c.c.).    L’assemblea   -­   Non   si   deve   incorrere   nell’equivoco   di   considerare   che   il  

supercondominio  è  una  comunione  “fra  edifici”  o  “fra  condomìni”  e  che  l’assemblea  sia  formata  dagli  amministratori  dei  condomìni  che  fanno  parte  del  supercondominio.  La  Corte   di   Cassazione   ha   più   volte   stabilito   che   è   radicalmente   nulla   la   clausola   di  regolamento   del   supercondominio   che   stabilisce   che   l’assemblea   sia   formata   dagli  amministratori   delle   singole   palazzine:   ciò   perché   le   norme   che   riguardano   la  composizione  ed  il  funzionamento  dell’assemblea  non  sono  derogabili  (Cass.6-­‐12-­‐2001  n.15476).  Se  l’assemblea  è  formata  da  tutti  i  partecipanti  alla  comunione  supercondominiale  è  

necessario   pertanto   che   tutti   ricevano   una   regolare   convocazione   contenente  l’elencazione  delle  materie  da  discutere.    Tuttavia   la   riforma   della   disciplina   del   condomino,   come   visto,   contempla   oggi  

espressamente  anche  il  supercondominio.  In  considerazione  di  ciò  il  nuovo  art.67  delle  disposizioni  di  attuazione  del  codice  civile  stabilisce  ai  commi  3,  4  e  5  che,  nel  caso  di  supercondominio   formato  da  più  di  sessanta  partecipanti,   ciascun  condominio  debba  nominare,   con   delibera   a   maggioranza   qualificata,   un   proprio   rappresentante  all'assemblea   del   supercondominio   per   la   gestione   ordinaria   delle   parti  supercondominiali   e   per   la   nomina   dell'amministratore:   in   quella   sede   il  rappresentante,   che   a   tutti   gli   effetti   è   un   mandatario,   dichiara   la   volontà   del  condominio   che   lo   ha   delegato   ed   esprime   il   voto   per   i   propri   rappresentati,   con  l'obbligo   di   riferire   tempestivamente   l'esito   della   delibera   all'amministratore   del  proprio   condominio.   Da   notare   che   l'amministratore   in   nessun   caso   può   essere  delegato  a  partecipare  all'assemblea.    Riparto   delle   spese   -­   La   comproprietà   dei   beni   comuni   comporta   che   le   spese   di  

manutenzione   ordinaria   e   straordinaria,   deliberate   ed   approvate   dall’assemblea,  

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debbano   essere   ripartite   in   qualche   modo   tra   tutti   i   comproprietari.   Se   esiste   un  Regolamento  contrattuale  del  supercondominio  è  probabile  che  in  esso  venga  indicato  un  criterio  di  ripartizione  delle  spese.    Talvolta   i   Regolamenti   supercondominiali   indicano   una   ripartizione   di   spese   per  

gruppi   di   condòmini:   viene   attribuita   ad   esempio   una   percentuale   ai   residenti   della  Palazzina  A,  un’altra  ai  residenti  della  palazzina  B  e  via  dicendo.  La  ripartizione  interna  della   spesa   attribuita   a   ciascun   gruppo   può   essere   poi   commisurata   ai   millesimi   di  appartenenza  all’edificio  (Tab.A),  oppure  distinta   in  parti  uguali   fra   i  partecipanti  del  gruppo.  Altre   volte   il   Regolamento   stabilisce   che   le   spese   del   supercondominio   si  

ripartiscono  in  parti  uguali  fra  tutti  i  partecipanti.  Se   il   Regolamento   non   esiste,   ovvero   non   disciplina   la   ripartizione   delle   spese,   si  

devono  applicare,  come  visto,  le  norme  sul  condominio.  La  conseguenza  è  che  le  spese,  in   mancanza   di   un   diverso   criterio,   si   ripartiscono   in   parti   uguali,   come   dettato  dall’art.1101  comma  1  c.c.    L’amministrazione  del  supercondominio  -­  Da  quanto  detto  fin  qui  appare  chiaro  che  

il   supercondominio   comporta   obblighi   e   oneri   di   gestione   non   indifferenti   e   tanto  maggiori  quanto  più  è  esteso  e  complesso   il   supercondominio.  Sarà  allora  opportuno  provvedere   alla   nomina   di   un   amministratore   che   andrà   scelto   dall’assemblea   dei  partecipanti   al   supercondominio   con   i   criteri   dettati   dal   Regolamento  supercondominiale,  oppure,  in  mancanza,  dalle  norme  in  materia  di  condominio,  come  innovate  dalla  riforma.  L’amministratore  del  supercondominio  curerà  la  gestione  delle  parti   supercondominiali   e,   in   generale   avrà   poteri   ed   obblighi   conformati   su   quelli  dell’amministratore   di   condominio,   fatta   sempre   salva   ogni   diversa   previsione   del  Regolamento  supercondominiale.    1.4  -­  Posti  auto  e  parcheggi  Consideriamo   l’argomento   dei   parcheggi   e   dei   posti   auto   da   un   punto   di   vista  

strettamente   condominiale,   trattando  alcuni   casi   che   si   verificano  nella  pratica   e   che  sono  stati  considerati  dalla  giurisprudenza.    1.4.1  -­  Parcheggio  abusivo  della  vettura  nel  cortile  condominiale  E’   un’ipotesi   tutt’altro   che   rara   quella   del   condòmino   che   parcheggia   la   propria  

vettura   nel   cortile   condominiale   (non   adibito   a   parcheggio)   per   lunghi   periodi.   La  Corte   di   Cassazione,   con   sentenza   24-­‐2-­‐2004   n.3640   ha   affermato   che   tale   condotta  costituisce  un  abuso  poiché  manifesta  l’intenzione  del  condòmino  di  occupare  in  modo  stabile   una   parte   dello   spazio   comune   in   via   esclusiva.   Tale   condotta   è   contraria  all’art.1120  c.c.  che  vieta  al  condòmino  di  alterare   la  destinazione  d’uso  del  bene  e  di  impedirne  l’uso  agli  altri  condòmini.  Nel  caso  in  esame  la  sosta  continua  in  uno  spazio  limitato  è  stata  ritenuta  illegittima  in  quanto  abusiva.      1.4.2  -­  Chiusura  del  posto  auto  in  box  Ci  si  è  chiesti  se  sia  possibile,  per   il  condòmino  titolare  esclusivo  di  un  posto  auto  

nell’area  condominiale  riservata  a  parcheggio,  recintare  lo  spazio  ovvero  trasformarlo  in  box.  La  Corte  di  Cassazione  (Sent.5933/91)  ammette  tale  recinzione,  ove  ciò  non  sia  vietato  dal  Regolamento  condominiale  e  sempre  che  tale  modifica  non  entri  in  conflitto  con  i  limiti  posti  dall’art.1102  cod.civ.  Quando  però  tale  modifica  comprometta  o  alteri  le  facoltà  di  utilizzazione  da  parte  

degli  altri  e  in  particolare  violi  la  percorrenza,  l’aerazione,  l’illuminazione,  la  facilità  di  

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manovra,  essa  non  è  consentita.    1.4.3  -­  Delimitazione  del  posto  auto  nel  cortile  comune  La  destinazione  di  una  parte  del  cortile  comune  a  posti  auto  (delimitati  a  mezzo  di  

strisce  bianche)  e  l’assegnazione  in  uso  esclusivo  a  ciascun  condòmino  di  un  posto  auto  significa   solo   consentire   un   uso   più   intenso,   specifico   ed   esclusivo   della   cosa   e   non  comporta  invece  assegnazione  in  proprietà  della  porzione  di  spazio  comune,  neanche  se  essa  viene  delimitata  da  strisce  di  confine  (Cass.22-­‐11-­‐2000  n.15108).    1.4.4  -­  Regolamentazione  turnaria  e  delibere  in  merito  L’uso   promiscuo   del   bene   comune   consiste   nella   possibilità   di   utilizzo   anche  

contemporaneo   del   bene   da   parte   di   tutti   i   condòmini   secondo   la   loro   quota   di  godimento.  Laddove  per  le  oggettive  dimensioni  del  bene  ciò  non  sia  possibile,  occorre  stabilire  un  uso  turnario  del  bene  mediante   l’elaborazione  di  un  regolamento  interno  da   predisporsi   ad   hoc,   che   stabilisca   in  modo   chiaro   le  modalità   di   utilizzazione   del  bene  in  capo  a  ciascuno.  Il  problema  che  in  merito  all’uso  turnario  è  stato  dibattuto  in  giurisprudenza  è  che  

esso  possa  ledere  il  diritto  che  i  condòmini  hanno  al  pari  uso  del  bene  comune:  ”Il  pari  uso   della   cosa   comune   non   postula   necessariamente   il   contemporaneo   uso   da   parte   di  tutti  i  partecipanti  alla  comunione  che  resta  affidata  alla  concreta  regolamentazione  per  ragioni   di   coesistenza.   La   nozione   di   pari   uso   del   bene   comune,   pertanto,   non   è   da  intendersi  nel  senso  di  uso  necessariamente  identico  o  contemporaneo,  fruito  cioè  da  tutti  i  condomini  nell’unità  di  tempo  e  di  spazio,  perché  se  si  richiedesse  il  concorso  simultaneo  di   tali   circostanze   si   avrebbe   la   conseguenza   dell’impossibilità   per   ogni   condòmino   di  usare  la  cosa  comune  tutte  le  volte  che  questa  fosse  insufficiente  a  tale  fine.  La  disciplina  turnaria   dei   posti   auto,   quindi,   lungi   dal   comportare   l’esclusione   di   un   condòmino  dall’uso   del   bene   comune,   è   adottata   per   disciplinare   l’uso   di   tale   bene   in   modo   da  assicurarne  ai  condòmini  il  massimo  godimento  possibile  nell’uniformità  di  trattamento  e  secondo  le  circostanze  […]”  (Cass.  16-­‐6-­‐2005  n.12873).  In  sostanza  il  godimento  turnario,  lungi  dall’essere  lesivo  del  diritto  dei  condòmini  

al   pari   uso   del   bene,   regola   invece   l’utilizzo   dello   stesso   in   modo   da   trarne  ordinatamente   il   massimo   utile   possibile   nei   casi   in   cui   l’utilizzo   contemporaneo   è  oggettivamente  irrealizzabile.    1.4.5  -­  Utilizzo  dei  posti  auto  in  funzione  dei  millesimi  di  proprietà  Il   caso   è   tutt’altro   che   raro.   I   condomini   ritengono   di   avere   maggiore   diritto  

all’utilizzo  dei   posti   auto   condominiali   in   funzione  della  maggiore   quota  millesimale.  Vale  a  dire  che  chi  ha  più  millesimi  ha  diritto  di  avere  il  posto  più  grande  o  quello  più  comodo  per  parcheggiare.  La  giurisprudenza  è  orientata  nel  senso  di  ritenere  il  diritto  di  utilizzo  dei  posti  auto  

in  comunione  pro  indiviso  in  senso  paritario  anziché  in  senso  millesimale.  Si  segnala  a  tal  proposito  che  la  Corte  di  Cassazione  con  sentenza  7-­‐12-­‐2006  n.  26226  ha  statuito:  “La  quota  di  proprietà,  quale  misura  del  diritto  di  ogni  condòmino,  rileva  relativamente  ai   pesi   e   ai   vantaggi   della   comunione  ma   non   in   ordine   al   godimento   che   si   presume  uguale  per  tutti,  come  ribadisce  l’articolo  1102  cod.civ.  con  il  porre  il  limite  del  pari  uso  per   cui   nel   caso   di   garage   in   comunione   pro   indiviso,   non   potendosi   considerare  equivalenti   i   posti   macchina   sotto   il   profilo   della   comodità   di   uso,   il   criterio   di  utilizzazione   va   stabilito,   salvo   accordo   fra   i   condòmini,   nel   rispetto   dell’articolo   1102  citato,   il   quale   impedisce   che   alcuni   condòmini   facciano   un   uso,   sotto   il   profilo  qualitativo,   diverso   rispetto   agli   altri:   da   qui   l’illegittimità   della   delibera   condominiale  

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impugnata,   nel   fissare   a   tempo   indeterminato   la   situazione   di   vantaggio   degli  uni   e   di  svantaggio  degli  altri”.      1.4.6  -­  Posto  auto  per  disabile  Il  problema  è  quello  della  tracciabilità  di  uno  spazio  riservato  ai  disabili  nel  tratto  di  

terreno  comune  antistante  il  condominio.  La   materia   è   regolata   dall’art.24   L.5-­‐2-­‐92   n.104   e   dall’art.8.2.3   del   D.M.   Lavori  

Pubblici   del   14-­‐6-­‐1989  n.236   che   sanciscono   il   diritto   del   portatore   di   handicap   alla  fruizione   di   parcheggio   riservato   posizionato   nell’immediata   adiacenza   dell’ingresso  all’edificio.  Tali   disposizioni,   poiché   dirette   alla   salvaguardia   di   esigenze   fondamentali   della  

persona   affetta   da   disabilità   poiché   attuano   il   principio   di   solidarietà   sociale   di   cui  all’art.2   della   Costituzione,   devono   ritenersi   prevalenti   sulla   disciplina   privatistica   in  tema  di  utilizzo  degli  spazi  comuni  condominiali  di  cui  agli  artt.1102  e  1120  c.c.    1.5  -­  Usucapione  Definizione  -­  L’usucapione  è  un  modo  di  acquisto  del  diritto  di  proprietà  o  di  altro  

diritto  reale   limitato  sulla  cosa.  Essa  si  compie  con  il  decorso  di  un  periodo  di   tempo  durante  il  quale  il  soggetto  esercita  indisturbato  il  “possesso”  sulla  cosa.  Il  possesso  è  il  potere  di  fatto  sulla  cosa,  corrispondente  nel  suo  contenuto  al  diritto  

di  proprietà,  o  di  altro  diritto  reale  limitato  come  la  servitù,  ecc.  Mentre  il  possesso  è  una  situazione  di   fatto,   la  proprietà  è  una  situazione  di  diritto.   Spesso   infatti   il   titolo  giuridico  è  dissociato  dal  fatto  del  possesso.  L’usucapione   è   un  mezzo   con   il   quale   l’ordinamento   giuridico,   trascorso   un   certo  

numero   di   anni,   attribuisce   al   possessore   il   diritto   corrispondente   alla   signoria  esercitata  sulla  cosa.  Il  diritto  che  per  tanto  tempo  non  è  stato  fatto  valere  nei  confronti  del  possessore  

viene  cancellato  o  subisce  una  compressione.  Il   decorso   del   tempo   infatti   acquista   un   peso   tale   da   prevalere   sulle   ragioni   del  

proprietario  rimasto  inerte.    1.5.1  -­  Requisiti  per  l’usucapione  Per  l’usucapione  occorrono  alcuni  requisiti,  quali:  1)   Il  possesso,  come  l’abbiamo  sopra  definito.  2)   Il  decorso  del  tempo,  stabilito  dalla  legge:  normalmente  il  periodo  è  di  

venti  anni,  ma  in  alcuni  casi  particolari  il  periodo  è  più  breve.  3)   L’assenza  di   interruzioni  nel  possesso:  affinché  si  compia   l’usucapione  

è   fondamentale   che   il   possesso   si   svolga   per   il   tempo   previsto   in   modo  assolutamente  pacifico  e  senza  interruzioni,  che  possono  derivare  sostanzialmente  da   atti   di   esercizio   del   diritto   da   parte   del   titolare   (ad   esempio   la   domanda  giudiziale   di   restituzione),   o   il   riconoscimento   del   diritto   fatto   dallo   stesso  possessore,  o  la  privazione  del  possesso  per  oltre  un  anno  (per  fatto  naturale  o  per  fatto  altrui).    1.5.2  -­  L’usucapione  nel  condominio  Normalmente   i   beni   comuni   sono   fruiti   dai   condomini   secondo   l’ormai   noto  

rapporto   di   “peculiare   utilità   strumentale”   delle   parti   comuni   in   favore   delle   unità  immobiliari  esclusive.  Il   godimento   delle   parti   comuni   in   capo   a   ciascun   condòmino   deve   svolgersi  

secondo  la  propria  quota  di  comproprietà.  

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Tale   godimento   comprende   anche   le   ipotesi   in   cui   il   godimento   del   bene   sia  particolare  o  più  intenso  rispetto  a  quello  degli  altri  condòmini  La   Suprema   Corte   ha   precisato   che   l’utilizzazione   da   parte   del   condomino,  

rispettando  i  limiti  visti,  può  avere  luogo  anche  in  modo  particolare  e  diverso  da  quello  praticato  dagli  altri  compartecipanti  e  in  ogni  caso  l’uso  più  intenso  o  diverso  da  parte  di  uno  dei  partecipanti  alla  comunione  rispetto  agli  altri  non  vale  di  per  sé  a  mutare  il  titolo   del   possesso   e   quindi   ad   attrarre   la   cosa   comune   o   parte   di   essa   nella  disponibilità  del  singolo  comunista.  Comunque   l’uso   della   cosa   comune   da   parte   del   singolo   condomino   non   può  

estendersi   all’occupazione   permanente   e   non   autorizzata   di   una   parte   del   bene  comune,   che   potrebbe   determinare   l’usucapione   della   parte   occupata.   Tuttavia   non  sono   rari   i   casi   in   cui   un   condòmino   arriva   ad   utilizzare   il   bene   comune   in   modo  talmente   esclusivo   da   privare   completamente   gli   altri   condòmini   del   godimento  secondo  la  loro  quota.    Non  è  sufficiente  che  gli  altri  comproprietari  si   siano   limitati  ad  astenersi  dall’uso  

della  cosa  (cosiddetta  tolleranza),  e  non  è  sufficiente  che  gli  atti  di  gestione  compiuti  dal   condomino  siano  quelli  normalmente   consentiti   al   comproprietario  ovvero  quelli  che  consistano  in  modificazioni  per  ottenere  il  miglior  godimento  del  bene.  Per  potersi  parlare  di  usucapione  in  tali  casi  occorre  infatti  che  il  condòmino  abbia  

compiuto  atti  di  gestione  incompatibili  con  la  possibilità  di  godimento  altrui,  in  modo  tale   da   evidenziare,   al   di   fuori   di   ogni   possibile   altrui   tolleranza,   una   inequivoca  volontà   di   possedere   il   bene   in   via   esclusiva,   impedendo   agli   altri   ogni   atto   di  godimento  o  di  gestione.  Ad  esempio:   il  condòmino  si  appropria  di  un   locale  comune  apponendovi  un  lucchetto  di  cui  detiene  solo  lui  la  chiave.    1.6  -­  Consorzi  residenziali  Definizione  -­  In  materia  condominiale  la  figura  del  Consorzio  è  un  tipo  minore  che  si  

riferisce   a   quei   casi   in   cui   un   gruppo   di   proprietari   di   unità   immobiliari   in   un  complesso   edilizio,   sceglie   di   gestire   una   serie   di   servizi   collettivi   nella   forma  consortile  anziché  in  quella  condominiale  disciplinata  dalle  norme  del  codice  civile.  Si  tratta  di  una  realtà  ancora  nuova,  non  molto  trattata  dalla  giurisprudenza  se  non  per  pochi  punti  salienti.  Il   consorzio   è   previsto   dal   codice   civile   nella   parte   che   disciplina   le   società  

(artt.2602  e  ss.  c.c.)  ed  è  una   forma  di  organizzazione  temporanea   fra   imprese  per   la  disciplina  o  lo  svolgimento  di  determinate  fasi  dell’attività  di  impresa.  Tale   figura   è   stata   poi   trasfusa   e   presa   in   prestito   nella   realtà   condominiale   con  

riferimento   a   quelle   ipotesi   sopra   dette   di   proprietà   di   servizi   collettivi   fra   i  partecipanti  a  complessi  edilizi  di  grandi  dimensioni.  In  sostanza  la  gestione  di  servizi  e  beni  collettivi  in  comune  viene  disciplinata  nella  

forma   del   consorzio   privilegiando   un   elemento   “associativo   di   gestione”   fra  proprietari,  piuttosto  che  l’elemento  della  “comunione  di  godimento”.  Va  però  sottolineato  che  mentre  nel  consorzio  vero  e  proprio  è  importante  l’attività  

di   impresa   finalizzata   al   profitto   economico,   il   consorzio   è   finalizzato   unicamente   al  godimento  di  beni  in  comune.    Struttura   del   consorzio   -­   I   consorziati   sono   vincolati   da   un   Regolamento   (c.d.  

regolamento   consortile   o   statuto   consortile)   che   viene   richiamato   nei   singoli   atti   di  acquisto   delle   rispettive   unità   immobiliari   e   che   ciascun   consorziato   si   impegna   a  rispettare.  L’assemblea   è   anche   in   tale   caso   l’organo   sovrano   che   adotta   le   decisioni  

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nell’interesse   generale   ed   elegge   l’organo   di   amministrazione,   che   nel   Consorzio  assume   il   nome   di   Consiglio   di   amministrazione.   Il   Consiglio   di   amministrazione   è  formato  da  più   consiglieri   (è  un  organo   collegiale)   ed   è  presieduto  da  un  Presidente  che   normalmente   ha   poteri   di   direzione   e   di   rappresentanza   del   Consorzio   anche   in  giudizio.    Disciplina  applicabile   -­  Da  quanto  precede  potrebbe   sembrare   che   il   consorzio   sia  

una  complicazione  nella  portata  giuridica  del  godimento  di  beni  o  servizi  in  comune  in  un  complesso  residenziale.  Dobbiamo  però  pensare,  che  l’autonomia  negoziale  dei  comproprietari  sia  libera  di  

decidere   il   godimento   di   un   bene   nella   forma   ritenuta   più   consona.   Tanto   più   che   il  consorzio   di   tipo   residenziale   è   ancora   una   figura   del   tutto   nuova   e   in   fase   di  formazione   sulla   base   delle   esigenze   di   gestione   che   si   manifestano   nel   momento  attuale.  Così   posta   la   questione,   la   normativa   applicabile   al   consorzio   di   tipo   residenziale  

non   potrà   certamente   essere   quella   societaria   dei   consorzi   di   imprese   (finalizzata  come  detto   all’attività   di   impresa   ed   al   profitto   economico   che   ne   deriva),  ma  dovrà  necessariamente   essere   quella   dettata   in   materia   di   godimento   comune   di   un   bene,  come  appunto  disposta  dalle  norme  in  tema  di  condominio.  In  un  primo  momento  la  giurisprudenza  (Cass.  18-­‐7-­‐84  n.4199)  aveva  ritenuto  che  

il   consorzio   fosse   una   forma   mista   tra   un   elemento   associativo   ed   un   elemento   di  godimento  di  beni  comuni.  In  un  secondo  momento  la  Corte  di  Cassazione  si  è  orientata  verso  una  più  marcata  

applicazione  delle  norme  sulla  comunione.  Ad  oggi  la  giurisprudenza  ha  corretto  il  proprio  indirizzo  ed  è  nettamente  orientata  

nel  ritenere  che  alla  fattispecie  del  consorzio  residenziale,  fermo  restando  che  si  tratta  di  una  figura  del  tutto  atipica  e  non  appartenente  alle   forme  societarie  dell’attività  di  impresa,   si   applicano   le   norme   dettate   in   tema   di   condominio   e   non   quelle   sulla  comunione.  In   seguito   alla   recente   riforma   del   condominio,   in   forza   del   nuovo   art.1117-­‐bis  

cod.civ.  in  vigore  dal  giugno  2013  la  nuova  disciplina  deve  ritenersi  applicabile  anche  ai  consorzi,  in  quanto  compatibile.    1.7    Cooperative  edilizie  Definizione   -­   Le   società   cooperative   sono   un   particolare   tipo   di   società  

caratterizzate   dal   cosiddetto   “scopo   mutualistico”,   ossia   si   propongono   la   finalità  particolare  di  svolgere   la   loro  attività  non  per   il   lucro  e   il  profitto   in  sé  (come  invece  avviene   per   le   società   commerciali),   ma   per   soddisfare   essenzialmente   i   bisogni   dei  soci   mediante   la   collaborazione   fra   i   soci   stessi   per   il   raggiungimento   dello   scopo  sociale.  Le  cooperative  edilizie   sono  un   tipo  particolare  di   cooperative,   regolate  da  norme  

speciali,   che   hanno   lo   scopo   precipuo   di   provvedere   alle   esigenze   abitative   dei   soci  mediante  la  realizzazione  di  beni  immobili  ed  edifici  costituiti  da  unità  immobiliari  che,  in   un   momento   successivo   alla   loro   realizzazione   vengono   assegnati   ai   soci   in  proprietà.  I   partecipanti   alla   cooperativa   edilizia   si   riuniscono   in   tale   forma   essenzialmente  

perché  interessati  all’acquisto  di  una  casa.    Vicende   ulteriori   e   passaggio   alla   forma   condominiale   -­   Successivamente   alla  

realizzazione  dell’immobile  la  cooperativa  stessa  procede  all’assegnazione  individuale  

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degli  alloggi  prenotati  dai  soci  ed  al  frazionamento  del  mutuo  indiviso  eventualmente  stipulato  per  le  realizzazione  dell’immobile.  Una  volta  completati  tali  adempimenti  la  cooperativa  ha  esaurito  il  proprio  oggetto  

sociale  ed  è  costituito  il  condominio  vero  e  proprio,  formato  dai  cessionari  degli  alloggi  e  della  quota  parte  di  beni  ed  aree  comuni.  Le  obbligazioni  già  gravanti  sulla  cooperativa  si  trasferiscono  sui  soci-­‐condòmini.  Da   notare   che   per   la   costituzione   del   condominio   derivante   da   cooperativa   non  

occorrono   particolari   formalità:   il   condominio   esiste   per   il   solo   fatto   della  assegnazione  delle  unità   immobiliari  e  non  necessita  di  atti   formali.  Tuttavia  occorre  fare   attenzione   alla   presenza   di   un   Regolamento   condominiale   e   che   esso   sia   stato  debitamente   trascritto   presso   i   registri   immobiliari.   Talvolta   i   condomìni   di   alloggi  edificati   in   cooperativa   continuano   ad   utilizzare   il   Regolamento   fornito   dalla  cooperativa  stessa  e  le  tabelle  di  ripartizione  delle  spese  ad  esso  allegate.  E’   assai   importante   verificare   quindi   che   il   Regolamento   del   condominio   abbia   i  

caratteri  “contrattuali”  ossia  che  esso  sia  approvato  da  tutti  i  condomini  in  assemblea  totalitaria  oppure  sia  stato  richiamato  e  approvato  nei  singoli  atti  di  acquisto.        Occorre   inoltre   verificare   che   esistano   le   necessarie   tabelle   millesimali,   e   che   le  

stesse  siano  tuttora  rispondenti  alle  esigenze  dei  condòmini  in  relazione  alla  vita  della  nuova  collettività  condominiale.    1.8  -­  Le  distanze  nel  condominio  Definizione  -­  Il  concetto  di  distanze  legali  nel  codice  civile  è  legato  alla  regolazione  

dei   rapporti   fra   proprietà   vicine   o   contigue   allo   scopo   di   garantire   la   pacifica  convivenza  ed  il  rispetto  di  esigenze  di  igiene  e  salubrità  oggi  comunemente  sentite.  Se   la  proprietà  privata  è   il   “diritto  di  godere  e  disporre  delle  cose   in  modo  pieno  ed  

esclusivo”   esso   deve   però   esercitarsi   “entro   i   limiti   e   con   l’osservanza   degli   obblighi  stabiliti  dall’ordinamento  giuridico”.  A  questo   importantissimo  concetto  enunciato  dal  Codice   del   1942   si   è   poi   aggiunto   il   dettato   della   Costituzione   repubblicana   che,  sancisce  la  “funzione  sociale”  della  proprietà.  Ecco  allora  che  l’esercizio  delle  facoltà  proprietarie  viene  a  subire  delle  limitazioni  

necessarie  e  funzionali  al  raggiungimento  di  tale  obiettivo.    Così   vengono  poste   dal   codice   civile,   tra   le   altre,   norme   sulle   distanze  minime  da  

osservare   fra   le   costruzioni   (art.873   c.c.),   sulle   distanze  minime  da   rispettare  per   gli  alberi,  i  canali  e  i  fossi,  i  pozzi,  le  cisterne,  le  fosse  e  i  tubi,  per  le  fabbriche  e  i  depositi  nocivi  e  pericolosi  (artt.873-­‐899  c.c.).  Altro  gruppo  di  norme  relative  alle  distanze  legali  è  formato  dagli  artt.900-­‐907  che  

regolano  il  diritto  del  proprietario  di  godere  di  aria  e  luce,  nel  rispetto  dell’esigenza  di  discrezione  nei  confronti  del  vicino.  Questi  limiti  legali,  in  tema  di  distanze  minime,  possono  essere  derogati  o  modificati  

solo   su   accordo   tra   vicini   ovvero   per   usucapione   o   per   destinazione   del   padre   di  famiglia.    Utilizzo  delle  parti  comuni  e  distanze  legali  -­  L’art.1102  c.c.  consente  al  condòmino  di  

usare   la   cosa   comune   in   modo   da   ritrarne   un’utilità   anche   peculiare   o   più   intensa  rispetto   a   quella   della   generalità   dei   condòmini,  ma   ciò   pur   sempre   nel   rispetto   dei  limiti  posti  dal  rispetto  del  decoro,  della  statica,  e  del  pari  diritto  degli  altri  di  usare  la  cosa   comune   nei   limiti   della   propria   quota,   nonché   dal   divieto   di   alterare   la  destinazione  della  cosa  comune.  A   questa   norma   si   aggiungono   anche   le   limitazioni   derivanti   dai   nuovi   art.1122   e  

1122-­‐bis   cod.civ.:   il   primo   vieta   al   condòmino   di   eseguire,   nelle   parti   esclusive   o   in  

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quelle  comuni  di  utilizzo  esclusivo,  di  eseguire  opere  dannose  per  l'edificio.  Il  secondo  regola   l'installazione   di   impianti   non   centralizzati   di   ricezione   radiotelevisiva   e   di  produzione  di   energia  da   fonti   rinnovabili,   imponendo   il  minor  pregiudizio  alle  parti  comuni   e   attribuendo   all'assemblea   poteri   di   controllo   e   direzione   sulle   attività   del  singolo  per  l'esecuzione  di  tali  installazioni.        A   prescindere   da   questi   limiti,   il   Regolamento   condominiale,   in   deroga   a   tali  

disposizioni,   può   anche   vietare   di   modificare   la   cosa   comune   da   parte   del   singolo  condòmino,  ovvero  stabilire  ulteriori  e  più  specifici  limiti.  Le   eventuali   limitazioni   poste   dal   Regolamento   all’uso   dell’unità   immobiliare  

esclusiva  possono  anch’esse  riflettersi  sulle  facoltà  connesse  all’uso  delle  cose  comuni:  si   pensi   ad   esempio   al   locale   adibito   a   ristorante   con   conseguente   installazione   di  impianti  di  ventilazione  e  di   canne   fumarie.   Il  divieto   regolamentare  di   fare  un  certo  uso  dei  locali  commerciali  si  riflette  anche  sul  diritto  di  utilizzare  le  cose  comuni.  Il   condòmino   può   apportare   a   proprie   spese   alla   cosa   comune   le   modificazioni  

necessarie   al   miglior   godimento   della   stessa,   ma   tali   modificazioni   sono   soggette   ai  limiti  di  cui  sopra.  A  tutela  delle  parti  comuni  in  caso  di  violazioni  degli  artt.1102,  1122  e  1122-­‐bis  c.c.  

è   possibile   esperire   la   tutela   prevista   dall'art.1117-­‐quater   del   codice   civile,   ovvero,  gradatamente,   una   diffida,   una   delibera   assembleare   e,   ove   occorra,   una   tutela  giudiziaria   in   via   petitoria   (cioè   di   restituzione   del   bene   allo   stato   preesistente)   e    possessoria   (di   tutela  del   possesso   in   capo   agli   altri   condòmini).   In   ogni   caso   è   fatto  salvo  il  risarcimento  del  danno  eventualmente  derivante  da  un  indebito  uso  della  cosa  comune.    Contrasto   fra   le  norme   sull’utilizzo  della  parti   comuni  e  quelle   in   tema  di  distanze   -­  

Talvolta  le  norme  sulle  distanze  e  quelle  sull’utilizzo  dei  beni  condominiali  confliggono.    Il   condòmino   può,   ad   esempio,   utilizzare   legittimamente   il   muro   comune   per  

apporvi   dei   tubi   nel   rispetto   dell’art.1102   c.c.,  ma   può   trovarsi   a   ledere   il   diritto   del  vicino   al   rispetto   delle   distanze  minime;   nella   fattispecie   quelle   imposte   dall’art.889  c.c.:   il   tubo   in   questione   quindi   potrà   legittimamente   essere   installato   sul   muro  comune,  nel  rispetto  della  distanza  minima  di  un  metro  (art.889  comma  2  cod.civ.),  ma  se  lo  spazio  disponibile  non  è  sufficiente  si  porrà  il  problema  se  sia  consentito  o  meno  collocare  il  tubo:  l’art.1102  c.c.  lo  consentirebbe,  l’art.889  c.c.  no.  Il  problema  da  risolvere  è  quale  delle  norme  deve  prevalere:  in  sostanza,  vince  chi  

vuole   utilizzare   il   bene   comune   (nel   rispetto   dei   limiti   consentiti),   oppure   chi   vuole  imporre  il  rispetto  delle  distanze  minime  di  legge?    Soluzione   del   contrasto   -­   Per   risolvere   il   contrasto   occorre   fare   riferimento   alle  

pronunce  della  giurisprudenza  che  in  sostanza,  e  salvo  quanto  appresso  si  dirà  per  le  finestre  (o  vedute)  è  allineata  sul  concetto  seguente.  Ove,   in   materia   condominiale,     non   sia   possibile   conciliare   l’applicazione   delle  

norme  in  materia  di  utilizzo  consentito  del  bene  comune  con  il  rispetto  delle  distanze  legali   minime,   prevale   l’applicazione   delle   norme   dettate   per   il   condominio.   Queste  norme   sono   infatti   disciplina   speciale   che,   in   caso   di   contrasto,   prevalgono  nell’applicazione  rispetto  a  quelle  generali  dettate  dal  codice  civile  in  tema  di  distanze  (Cass.II  9-­11-­2001  n.13852).  In  altri   termini  per  poter  stabilire  se  entrambi   i  gruppi  di  norme  siano  applicabili,  

ovvero  se  le  norme  in  materia  di  condominio  prevalgano  su  quelle  in  tema  di  distanze  occorre   avere   riguardo   alla   situazione   concreta,   ed   in   particolare   alla   concreta  struttura   dell’edificio,   per   verificare   se   essa   consenta   una   applicazione   armonica   di  

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entrambi   i   gruppi   di   norme   ovvero   se   imponga   la   preferenza   della   disciplina  condominiale  per  incompatibilità  con  quella  dettata  in  tema  di  distanze  legali.    1.9  -­  Le  servitù  La  servitù  consiste   in  un  peso   imposto  ad  un   fondo  (ossia  un  bene   immobile)  per  

l’utilità  di  un  altro  fondo  appartenente  a  diverso  proprietario.  Tralasciando   le   molteplici   distinzioni   normalmente   trattate   in   dottrina,   vanno  

evidenziati  alcuni  elementi  fondamentali:  a)   Appartenenza   dei   fondi   a   proprietari   diversi.     Se   due   fondi  

appartengono  al  medesimo  proprietario  non  può  esistere  la  servitù.  b)   Realità  e  predialità  delle  servitù.  Esse  devono  avere  ad  oggetto  un  peso  

imposto  su  un  fondo  per  l’utilità  di  un  altro  fondo,  indipendentemente  da  chi  siano  di  volta  in  volta  i  proprietari  dei  due  fondi.  Se  il  peso  viene  imposto  alla  persona  del  proprietario  non  saremo  di  fronte  ad  una  servitù,  bensì  ad  un’obbligazione.  c)   Contiguità   dei   fondi   servente   e   dominante.   I   due   fondi   devono   essere  

contigui,  ma  non  necessariamente  confinanti,  al  fine  dell’esistenza  della  servitù.    

1.9.1  -­  Art.1102  c.c.  e  servitù  nel  condominio  Con   riferimento   alla   realtà   condominiale,   per   inquadrare   la  materia   delle   servitù  

bisogna   partire   in   primo   luogo   dal   concetto   che     nel   condominio   i   beni   immobili   di  proprietà   esclusiva   costituiscono   beni   giuridicamente   distinti   da   quelli   di   proprietà  comune.  In   sostanza   il   condominio   è   una   particolare   forma   di   comunione   dove   in   capo   ai  

partecipanti  si  assommano  la  proprietà  dell’unità  immobiliare  individuale  e  quella  pro  quota  delle  parti  comuni  destinate  ad  uso  servizio  e  godimento  delle  prime.  In  secondo  luogo  occorre  tenere  ben  presente  che,  se  i  beni  comuni  possono  essere  

utilizzati   dal   singolo   condòmino   in  modo   da   ritrarne   le   utilità   anche   peculiari   o   più  intense  che  siano  consentite  nel  rispetto  però  dei  limiti  imposti  dall’art.1102  c.c.  e  dai  nuovi   artt.1122  e  1122-­‐bis   cod.civ.,   è   anche  vero   che,   laddove  alla  proprietà   comune  venga  imposto  un  peso  che  va  al  di  là  delle  utilità  consentite  dal  Codice  Civile  in  favore  dell’unità  immobiliare  esclusiva,  sussiste  la  creazione  di  una  servitù.  In   sostanza,   per   potersi   configurare   in   ambito   condominiale   una   servitù   sui   beni  

comuni   in   favore   di   un   bene   esclusivo   appartenente   ad   un   singolo   condòmino,   è  necessario   che   l’utilità   ricavata   dal   bene   comune   sia   diversa   da   quella   normalmente  derivante   dalla   destinazione   del   fondo   comune   e   fruita   da   tutti   i   comproprietari   ex  art.1102  c.c.  Occorre   allora   tenere   ben   presente   questo   principio   generale,   come   punto   di  

confine   del   diritto   del   condòmino:   se   egli   utilizza   il   bene   comune   entro   i   limiti  dell’art.1102    e  degli  artt.  1122  e  1122-­‐bis  c.c.  non  crea  un  rapporto  di  servitù.    Se   invece   impone   sulla   cosa   comune   un   peso   particolare   a   vantaggio   della   cosa  

propria   che   gli   consenta   di   godere   del   bene   comune   in   modo   difforme   dalla   sua  destinazione  modificandone  la  destinazione,  ovvero  impedendo  agli  altri  condòmini  di  farne   parimenti   uso   secondo   la   loro   quota   ovvero   ancora   attraendo   la   cosa   comune  nella  propria  sfera  di  disponibilità  esclusiva,  allora  dà  origine  ad  una  servitù.      1.9.2  -­  Costituzione  delle  servitù  I  modi  di  costituzione  delle  servitù,  ossia  i  modi  in  cui  può  nascere  una  servitù,  sono  

quelli  contemplati  dalla  disciplina  ordinaria  del  codice  civile.    Il  contratto  -­  E’questo  il  caso  della  servitù  costituita  in  un  momento  successivo  alla  

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nascita   di   un   condominio.   La   costituzione   di   una   servitù   per   contratto   richiede   il  consenso   unanime   di   tutti   i   condòmini   (1000  mm)   riuniti   in   assemblea,   con   atto   da  compiersi  nelle  forme  richieste  dalla  legge.  Un   caso   particolare   –   Il   nuovo   art.1120   cod.civ.   prevede   al   comma   2   n.2)   la  

possibilità   di   creare   in   favore   di   terzi   un   diritto   reale   (sostanzialmente,   una   servitù)  “per   la   produzione   di   energia   mediante   l'utilizzo   di   impianti   di   cogenerazione,   fonti  eoliche,  solari  o  comunque  rinnovabili”.  La  deliberazione  dell'assemblea,  adottata  con  la  maggioranza   dell'art.1136   secondo   comma   (maggioranza   degli   intervenuti   e   almeno  metà  del  valore  millesimale  dell'edificio),  avrebbe  dunque  ad  oggetto  l'autorizzazione  a  realizzare  le  opere  e  gli  interventi    necessari  che  costituiscono  innovazioni.      Costituzione   per   regolamento   condominiale   -­   E’   possibile   che   le   servitù   vengano  

imposte   già   in   forma   originaria   dal   Regolamento   condominiale   contrattuale.   Il  regolamento   condominiale  può   infatti   contenere  disposizioni   che   limitano   l’uso  delle  unità  immobiliari  con  l’imposizione  di  pesi  a  carico  di  alcune  unità  a  favore  di  altre.  In  tali  casi  si  hanno  appunto  delle  servitù.    Destinazione  del  padre  di  famiglia  (artt.1061-­1062  c.c.).  Si  ha  questa  ipotesi  nel  caso  

di  un  fondo,  originariamente  appartenente  ad  un  unico  proprietario  e  successivamente  suddiviso   fra   proprietari   diversi.   Le   opere   visibili   e   permanenti   che   esistono  rispettivamente  a  favore  e  a  carico  dei  fondi  separati  costituiscono  la  servitù.    Tale  servitù,  non  esistente  prima  della  divisione  dei  due  condomìni,  si  dice  appunto  

costituita  per  destinazione  del  padre  di  famiglia.    Usucapione.   È   un   modo   di   acquisto   delle   sole   servitù   “apparenti”,   ossia   quelle  

servitù  che  presentano  opere  visibili  e  permanenti  per  il  loro  esercizio.    Rimandandosi  alla   trattazione  specifica  dell’usucapione  nel   condominio,  possiamo  

qui   dire   che   l’usucapione   del   diritto   di   servitù   si   compie   con   il   decorso   del   termine  ventennale  nel  quale  si  sia  esercitata  la  situazione  di  fatto  corrispondente  al  diritto  di  servitù  in  modo  pacifico  e  ininterrotto.    

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MODULO  N.  2      

L’amministratore  (Simone  Zanchetta)  

 Con  l’introduzione  del  nuovo  testo  di  riforma,  il  cui  ingresso  è  previsto  per  giugno  

2013,  non  poteva  certo  mancare  l’implementazione  delle  funzioni  dell’amministratore  del  condomino  che,  insieme  all’assemblea,  è  la  figura  cardine  interno  al  quale  ruota  il  condominio.  Da   una   prima   lettura   del   nuovo   testo   di   riforma   gli   art.   1129   e   1130   sono   stati  

notevolmente   modificati,   tanto   che   non   parlerei   di   modifica   ma   di   stesura   ex   novo.  Addirittura,  come  per  molti  articoli,  anche  per  l’art.  1130  il  testo  di  riforma  ha  previsto  un   Bis,   dove   all’amministratore   sono   imposti   criteri   ben   precisi   per   la   stesura   del  rendiconto  condominiale  e  la  definitiva  introduzione    della  figura  dei  Consiglieri.    2.1-­  Art.  1129:  NOMINA,  REVOCA  ED  OBBLIGHI  DELL’AMMINISTRATORE  L’art.  1129  è  sicuramente  tra  gli  articoli  della  nuova  disciplina  del  condominio    il  più  

grande   in   termine   di   dimensione,   probabilmente   perché   il   Legislatore   ha   voluto  soffermarsi  sulla  figura  cuore    del  Condominio.  Nel  primo  comma  è  stato  chiaramente  specificato  quando  un  condominio  necessiti  

di   un   amministratore   ed   esattamente:   “quando   i   condomini   sono  più   di   otto”,   con   la  precisazione  che,  qualora  l’assemblea  non  vi  provveda,  il  condominio  o  più  condomini  hanno   il   diritto/potere   di   richiedere   tale   nomina   all’autorità   giudiziaria.   Stessa  iniziativa   è   concessa   anche   all’amministratore   dimissionario   che   non   voglia   essere  riconfermato.  Il   legislatore,   una   volta   identificata   la   casistica   in   cui   sia   necessario  

l’amministratore,  ha  regolamentato  quali  debbano  essere  le  informazione  che  devono  essere   fornite   al   condominio   una   volta   che   si   accetti   la   propria   nomina,   così   come  quando   ci   sarà   un   suo   futuro   rinnovo.   In   particolare   deve   comunicare   i   propri   dati  anagrafici  e  professionali,   il   codice   fiscale  o  nel   caso  si   tratti  di   società  anche   la   sede  legale   e   la   denominazione,   il   locale   ove   di   trovano   i   registri:   dell’anagrafe  condominiale;   dei   verbali   delle   assemblee,   di   nomina   o   revoca;   di   contabilità.   La  comunicazione  poi  del  compenso  deve  essere  specificata  analiticamente  tanto  all’atto  della  nomina,  quanto  al  momento  del  futuro  rinnovo  a  pena  della  nullità  della  nomina  stessa.    Con   la   nuova   normativa,   oltre   ad   essere   finalmente   riconosciuta   ex   lege,   la  

possibilità   che   ci   sia   un   amministratore   sotto   forma   di   società,   sono   stati   anche  ampliati   notevolmente   i   registri   che   obbligatoriamente   debbono   essere   tenuti   e  compilati   e   trasmessi   al   collega   in   caso   di   subentro   del   nuovo   amministratore.   Tali  registri  devono  essere  messi  a  disposizione  di  ogni  condominio  che  ne  faccia  richiesta  nei  giorni  e  nelle  ore  che  preventivamente  siano  stati  comunicati  dall’amministratore  all’atto  della  nomina  o  della  sua  riconferma.  All’atto  della  nomina  è   stato  poi   introdotto   (3°  e  4°   comma)   l’aspetto  assicurativo  

che   impone  all’amministratore  di  garantire   la   copertura,   sia  per   la  normale  gestione,  che  per  la  gestione  dei  lavori  straordinari.    Nel  3°  comma  viene  inoltre  anche  sancita  la  possibilità  che  l’assemblea  subordini  la  

nomina  dell’amministratore  alla  presentazione  ai  condomini  di  una  polizza  individuale  di   assicurazione   per   la   responsabilità   civile   per   gli   atti   compiuti   nell’esercizio   del  

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mandato.  A  mio  parere  però  se  da  una  sommaria  lettura  del  terzo  comma  sembrerebbe  che  ci  

sia   una   sorta   di   facoltà   di   richiedere   la   sopradetta   polizza,   l’obbligatorietà   viene  imposta  nel  4°  comma  dove  si  parla  di  dovere  per   l’amministratore,   in  caso  di   lavori  straordinari,   di   adeguamento   dei   massimali   della   polizza   se   nel   periodo   del   suo  incarico  l’assemblea  deliberi  lavori  straordinari.    Tale  obbligatorietà  viene  ancora  più  enfatizzata  nella  seconda  parte  del  4°  comma  

dove  viene  specificato  che,  nel  caso  in  cui  l’amministratore  sia  coperto  da  una  polizza  di   assicurazione   per   la   responsabilità   professionale   generale,   tornando   a   parlare   di  ipotesi,   tale   polizza   debba   essere   integrata   da   dichiarazione   dell’impresa   di  assicurazione  che  garantisca  le  condizioni  di  copertura  per  tutta  la  durata  dei  lavori  e  per  l’intero  importo.  Ai   fini   dell’informazione   all’esterno   del   condominio,   il   Legislatore   impone   nel   5°  

comma   l’obbligo   di   affissione   nel   luogo   di   accesso   al   condominio   o   di   maggior   uso  comune   con     specifica   accessibilità   ai   terzi,   dell’indicazione   delle   generalità,   del  domicilio   e   dei   recapiti,   non   solo   telefonici,   dell’amministratore.   Qualora   però   ci   sia  una   mancanza,   non   ben   definita   se   temporanea   e   definitiva   dal   legislatore  dell’amministratore,  tutte  le  generalità  sopradette  dovranno  essere  della  persona,  non  è     specificato   debba   essere   un   condomino,   che   svolge   funzioni   analoghe  all’amministratore.  Continuando   con   la   lettura   dell’art.   1129,   una   volta   finita   la   parte   informativa  

sull’amministratore,   il   Legislatore   ha   proseguito   con   la   definizione   specifica  dell’attività   della   gestione   economica   del   condominio   e   nel   7°   comma   ha   finalmente  risolto  il  buco  normativo  che  per  anni  ha  avvolto  il  condomino.  Nasce  definitivamente  l’obbligo   di   un   conto   corrente   condominiale   sul   quale   l’amministratore   deve   far  transitare   tanto   le   somme   che   riceve   a   qualunque   titolo   dai   condomini   o   terzi   (rate  condominiali,   fitti,   rendite,   risarcimenti   assicurativi   etc),   quanto   quelle   erogate   per  conto   del   condominio   (spese   che   deve   sostenere   per   la   vita   condominiale).  Chiaramente   sempre   nello   spirito   di   ampia   chiarezza   ed   informazione   che  contraddistingue  la  riforma  ciascun  condomino,  per  il  tramite  dell’amministratore,  può  chiedere  di  prendere  visione  ed  estrarre  copia,  a  proprie  spese,  della  rendicontazione  periodica.  Il   Legislatore,   sempre   al   fine   di   sanare   i   difetti   normativi   precedenti,   ha   sancito  

definitivamente  nell’8°  comma  “l’obbligatorietà  di  consegnare  tutta  la  documentazione  afferente   il  condominio  ed   i  singoli  condomini   in  suo  possesso”ed   inoltre  di  eseguire,  dopo  la  sua  revoca  o  nomina  di  altro,  solo  le  attività  urgenti  al  fine  di  evitare  pregiudizi  agli   interessi   comuni   senza   aver  diritto   ad  ulteriori   compensi.   Pertanto   tutto   ciò   che  farà,  lo  dovrà  fare    sull’onda  della  somma  urgenza  e  senza  aver  nulla  a  pretendere  dai  condomini.  I   condomini   sono   gravati   dall’obbligo   di   pagare   le   rate   di   condominio,   così   come  

disposto  nel  10°  comma  dell’art.  1129,  nel  quale,  a  meno  che  l’assemblea  non  dispensi  l’amministratore   espressamente,   viene   sancito   l’obbligo   di   agire   per   la   riscossione  forzosa   delle   somme   dovute   entro   sei   mesi   dalla   chiusura     dell’esercizio   nel   quale  credito  esigibile  è  compreso.  L’aspetto   delle   morosità   sembra   aver   colpito  molto   il   legislatore,   in   quanto   nelle  

disposizioni  di  attuazione,  e  più  precisamente  nell’art.  63,  è  stato  previsto  che  per     la  riscossione  dei   contributi   in  base   allo   stato  di   ripartizione   approvato  dall’assemblea,  l’amministratore,  senza  bisogno  di  autorizzazione  di  questa,  possa  ottenere  un  decreto  di   ingiunzione   immediatamente   esecutivo,   non   stante   opposizione,   ed   è   tenuto   a  comunicare  ai  creditori  non  ancora  soddisfatti  che  lo  interpellino  i  dati  dei  condomini  

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morosi.    I   creditori   inoltre   non   possono   agire   nei   confronti   degli   obbligati   in   regola   con   i  

pagamenti,  se  non  dopo  l’esclusione  degli  altri  condomini.  Cosi  facendo  il  legislatore  ha  voluto   una   volta   per   tutte   sancire   il   principio   della   parziarietà   dei   debiti   nel  condominio.  Tornando   all’art.   1129   finalmente,   anche   se   in   modo   un   po’   confusionario,   il  

Legislatore  ha  rivisto  anche   la  durata  del  mandato  dell’amministratore  sancendo  che  l’incarico  ha  durata  di  un  anno  e  si   intende  rinnovato  per  ugual  durata.  Con  maggior  chiarezza   ha   però   disposto   anche   le   possibilità   di   revoca,   ampliando   di   molto   le  infrazioni   che   la   possono   causare.   Addirittura   in   molti   casi   la   violazione   di   alcuni  comportamenti  può  dar  diritto  anche  ad  un  solo  condomino  di  chiedere  una  assemblea  per  la  revoca.  Entrando   nello   specifico   tra   le   gravi   irregolarità   per   cui   l’amministratore   possa  

incorrere  alla  revoca  troviamo:    1) l’omessa   convocazione   dell’assemblea   per   l’approvazione   del   rendiconto  

condominiale,  il  ripetuto  rifiuto  di  convocare  l’assemblea  per  la  revoca  e  per  la  nomina  del  nuovo  amministratore.  

2) La  mancata  esecuzione  di  provvedimenti  giudiziari  ed  amministrativi,  nonché  di  deliberazioni  dell’assemblea.  

3) La   mancata   apertura   ed   utilizzazione   del   conto   corrente   bancario   del  condominio.  

4) La  gestione   secondo  modalità   che  possono  generare  possibilità  di   confusione  tra  il  patrimonio  del  condominio  e  il  patrimonio  personale  dell’amministratore  o  di  altri  o  condominii.  

5) L’aver   acconsentito,   per   un   credito   insoddisfatto,   alla   cancellazione   delle  formalità  eseguite  nei  registri  immobiliari  a  tutela  dei  diritti  del  condominio.  

6) Qualora   sia   stata  promossa  azione  giudiziaria  per   la   riscossione  delle   somme  dovute   al   condominio,   l’aver   omesso   di   curare   diligentemente   l’azione   e   la  conseguente  esecuzione  coattiva.  

7) L’inosservanza  degli  obblighi  di  cui  all’art.  1130  numeri  6);  7);  8);  (tenuta  dei  registri).  

8) L’omessa,   incompleta   o   inesatta   comunicazione   dei   dati   di   cui   al   secondo  comma  dell’art.  1129.  

Al   fine   di   concludere   l’analisi   di   quanto   previsto   nell’art.   1129   in   merito     alla  nomina,  revoca  ed  obblighi  dell’amministratore  è  bene  dire  che  il  Legislatore  ha  preso  molto  sul  serio  il  caso  di  revoca,  tanto  da  limitare  addirittura  il  potere  assembleare  ed  escludendo   la   possibilità   per   un   amministratore   revocato   giudizialmente   di   essere  rinominato.    Attribuzioni  dell’amministratore:  Il   Legislatore   al   fine   di   meglio   definire   le   attribuzioni,   oltre   quanto   previsto   nel  

precedente  articolo,  ha  anche  specificamente  previsto  nell’art.  1130  che  debba:    1) eseguire   le   deliberazioni   dell’assemblea   e   convocarla   annualmente   per  

l’approvazione   del   rendiconto   condominiale   che,   come   specificato   nel   10°  comma   del   presente   articolo,   deve   essere   indetta   entro   180   giorni   dalla  chiusura  dell’esercizio.  

2) Disciplinare   l’uso   delle   cose   comuni   e   la   fruizione   dei   servizi   nell’interesse  comune,   in   modo   che   ne   sia   assicurato   il   miglior   godimento   a   ciascuno   dei  condomini.  

3) Riscuotere   i   contributi   ed   erogare   le   spese   occorrenti   per   la   manutenzione  

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ordinaria  delle   parti   comuni  dell’edificio   e   per   l’esercizio  dei   servizi   comuni.  Aggiungerei  chiaramente  visto  quanto  detto  in  precedenza  utilizzando  il  conto  corrente  del  condominio.  

4) Compiere  gli  atti  conservativi  relativi  alle  parti  comuni  dell’edificio.  5) Curare  come  già  visto  i  vari  registri.   In  particolare  è  specificato  che  l’anagrafe  

condominiale  deve  contenere   le  generalità  dei  singoli  proprietari  e  dei  diritti  reali   e   diritti   personali   di   godimento,   comprensivi   del   codice   fiscale   e   della  residenza   o   domicilio,   i   dati   catastali   di   ciascuna   unità   immobiliare,   nonché  ogni   dato   relativo   alle   condizioni   di   sicurezza.   La   comunicazione   di   tali   dati  deve  avvenire  da  parte  del  condomino  entro  60  giorni  da  ogni  variazione  e  per  iscritto.  Qualora  le  informazioni  siano  incomplete  od  omesse,  l’amministratore  deve  richiederle  con  raccomandata  e  trascorsi  30  giorni  senza  una  risposta  o  con  una  risposta  parziale  può  acquisire  le  informazioni  addebitando  i  costi  ai  responsabili.      

Nel   registro   dei   verbali   delle   assemblee   devono   essere   annotate   le   eventuali  mancate  costituzioni  delle  assemblee,  le  deliberazioni,  nonché  le  brevi  annotazione  che  i   condomini   richiedono   siano   inserite   e   deve   esserci   allegato   il   regolamento   del  condominio.  Nel   registro   di   nomina   e   revoca   dell’amministratore   devono   essere   annotate   in  

ordine   cronologico   le   date   di   nomina   e   revoca   e   gli   eventuali   estremi   del   decreto   in  caso  di  provvedimento  giudiziale.  Nel  registro  della  contabilità  sono  annotati  in  ordine  cronologico,  entro  30  giorni  da  

quello  dell’effettuazione,   i  singoli  movimenti   in  entrata  ed  in  uscita.  Tale  registro  può  tenersi  anche  con  modalità  computerizzate.  

6) Tra    compiti  dell’amministratore  il  legislatore  ha  poi  previsto:  la  conservazione  di   tutta   la   documentazione   inerente   la   propria   gestione   riferibile   sia   al  rapporto  con  i  condomini,  sia  allo  stato  tecnico  –  amministrativo  dell’edificio  e  al  condominio.  

7) Inoltre   l’amministratore   deve   fornire   al   condomino   che   ne   faccia   richiesta,  attestazione  relativa  allo  stato  dei  pagamenti  degli  oneri  condominiali  e  delle  eventuali  liti  in  corso.    

Un   aspetto   non   specificatamente   inserito   nell’art.   1130   tra   le   attribuzioni  dell’amministratore,   ma   che   non   può   non   essere   non   menzionato,   è   il   compito  dell’amministratore   di   far   rispettare   il   regolamento   di   condominio.   Tale   funzione   ha  però  avuto  una  maggior  forza  coercitiva  da  parte  del  Legislatore  che  nell’art.  70  delle  disposizioni   di   attuazione   ha   previsto   che   per   le   infrazioni   al   regolamento   di  condominio  possa  essere  stabilito  a  titolo  di  sanzione,  il  pagamento  di  una  somma  fino  ad  euro  200  e,  in  caso  di  recidiva,  fino  ad  euro  800  e  che  tale  pagamento  debba  essere  devoluto  al  fondo  di  cui  l’amministratore  dispone  per  le  spese  ordinarie.    2.2-­  ARTICOLO  1131  Nel   nuovo   testo   di   riforma   poco   e   nulla   è   cambiato   in  materia   di   rappresentanza  

rispetto   alla   precedente   normativa.   È   infatti   previsto   che   nei   limiti   di   quanto   visto  nell’art.  1130  o  dei  maggiori  poteri  conferitigli  dal  regolamento,  l’amministratore  ha  la  rappresentanza   dei   partecipanti   al   condominio   e   può   agire   in   giudizio   sia   contro   i  condomini,  sia  contro  i  terzi.    L’amministratore   può   quindi   essere   chiamato   in   giudizio   per   qualunque   azione  

concernente   le   parti   comuni   dell’edificio   e   sempre   a   lui   debbono   essere   notificati   i  

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provvedimenti  dell’Autorità  Giudiziaria  che  si  riferiscono  allo  stesso  oggetto.  Nell’ipotesi  in  cui  però  la  citazione  o  il  provvedimento  abbia  contenuto  che  esorbita  

dalle  sue  attribuzioni,  l’amministratore  senza  indugio  deve  darne  notizia  all’assemblea  dei   condomini   e   qualora   non   lo   faccia   può   come   visto   essere   revocato   e   tenuto   al  risarcimento  del  danno.    2.3-­   CARATTERISTICHE   E   COMPETENZA   PER   LA   NOMINA   DI  

AMMINISTRATORE.  Il   Legislatore   sempre,   al   fine   di   limitare   i   buchi   della   precedente   normativa   ed   al  

fine   di   riconoscere   un  minimo   di   professionalità   che   deve   avere   chi   esercita   questa  professione,  ha  introdotto  l’art.  71  bis  delle  disposizione  di  attuazione  del  Codice  civile,    nel   quale   ha   precisato   che   possono   svolgere   l’incarico   di   amministratore   di  condominio  coloro:  

1) Che  hanno  il  godimento  dei  diritti  civili;  2) Che  non  sono  stati  condannati  per  delitti  contro   la  pubblica  amministrazione,  

l’amministrazione  della  giustizia,  la  fede  pubblica,  il  patrimonio  e  per  ogni  altro  delitto  non  colposo  per  il  quale  la  legge  commina  la  pena  della  reclusione  non  inferiore,  nel  minino,  a  due  anni  e,  nel  massimo,  a  cinque  anni;  

3) Che  non  sono  stati  sottoposti  a  misure  di  prevenzione  divenute  definitive,  salvo  che  non  sia  intervenuta  la  riabilitazione;  

4) Che  non  siano  interdetti  o  inabilitati;  5) Il  cui  nome  non  risulta  annotato  nell’elenco  dei  protesti  cambiari;  6) Che  hanno  conseguito  il  diploma  di  scuola  secondaria  di  secondo  grado;  7) Che   hanno   frequentato   un   corso   di   formazione   iniziale   e   svolgono   attività   di  

formazione  periodica  in  materia  di  amministrazione  condominiale.    

Relativamente  ai  punti  6  e  7  c’è  una  deroga  per  coloro  che  fanno  gli  amministratori  nei  propri  condomini,  i  cosiddetti  amministratori  interni.  Come   già   visto   in   precedenza,   la   nuova   normativa   introduce   ufficialmente   la  

possibilità   che   l’amministratore   di   condominio   possa   essere   svolto   anche   in   forma  societaria.   In   tal   caso   i   requisiti   sopradetti   però   devono   averli   i   soci   illimitatamente  responsabili,   nonché   gli   amministratori   ed   i   dipendenti   incaricati   di   svolgere   le  funzioni  di  amministrazione  dei  condomini  a  favore  dei  quali  la  società  presta  i  servizi.  Chiaramente  nel  momento  in  cui  un  amministratore  cessa  di  avere  i  requisiti  sopra  

descritti    cessa  dal  proprio  incarico.  L’unica   eccezione   che   sembra   ammessa   è   quanto   disposto   nei   commi   6   e   7   per  

coloro  che  abbiano  esercitato  la  funzione  di  amministratore  da  almeno  un  anno,  negli  ultimi  tre,  rispetto  all’anno  dell’entrata  in  vigore  della  nuova  normativa.  

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MODULO  N.  2BIS      

IL  PASSAGGIO  DELLE  CONSEGNE  L’assunzione  dei  pieni  poteri    

dell’amministratore  di  condominio  (Fabio  Gerosa)  

   Introdurre   una   Lezione   sul   tema   del   passaggio   delle   consegne   in   un   consesso   di  

aspiranti   amministratori   non   è   cosa   semplice.   L’amministratore   è   un   profondo  individualista,   difficilmente   punta   il   naso   verso   il   giardino   del   vicino,   e   raramente  realizza   una   cooperazione   per   approfittare   delle   bontà   appese   all’orto   del  professionista  confinante.      Inoltre   nessuna   norma   del   codice   civile   in   materia   condominiale   fornisce  

indicazione   sui   metodi   di   amministrazione,   né   individua   quali   documenti   curare,  richiamando  per  tale  profilo  il  regolamento  del  condominio,  previsto    all’art.  1138  c.c..  Nel  silenzio  legislativo  riteniamo  legittimo  il  Regolamento  di  Condominio  che  descrive  quali   caratteristiche   o   requisiti   debba   avere   l’amministratore   pro   tempore.   Dubbi  suscita   invece   la   previsione   che   limiti   la   scelta   tra   i   partecipanti   al   condominio,  pensando   che   potrebbe   verificarsi   il   caso   che   nessuno   voglia   farsi   carico   delle  responsabilità   annesse   all’incarico,   idem   nel   caso   della   rotazione   del   mandato.  Eccezione   riguarda   la   retribuzione   dell’amministratore   giudiziario,   per   la   quale    debbono  farsi  carico  tutti  i  partecipanti  del  condominio  (Cass.  n.  1513  del  12/2/88).  Sempre  nel   regolamento  condominiale  potrebbero   rinvenirsi  norme  sul  passaggio  

delle  consegne  e  la  tempistica  necessaria  al  trasferimento  della  documentazione.      Una  volta  nominato,  dall’assemblea  o  dal  Tribunale,  l’amministratore  si  trova  legato  

al   Condominio   da   un   rapporto   di   mandato,   e   la   legge   si   limita   a   descrivere   le  attribuzioni   minime   del   gestore,   che   l’assemblea,   peraltro,   ha   piena   facoltà   di  modificare  e  ampliare.  Il  mandatario,  infatti,  nella  pratica  organizza  la  propria  attività  nella  maniera  che  reputa  più  funzionale  al  compito  che  deve  svolgere,  ordinando  libri  e  scritture  secondo  criteri  del  tutto  soggettivi.    Inoltre,   qualunque   sia   la   causa   che   determina   il   termine   dell’incarico,  

l’amministratore   condominiale   deve   al   più   presto   riconsegnare   tutte   le   “carte”,   delle  quali   ha   la   detenzione   “precaria”,   ai   suoi   mandanti.   La   giurisprudenza   ci   sottolinea,  infatti,     che   l’amministratore   del   condominio   configura   un   ufficio   di   diritto   privato  assimilabile  al  mandato,  sicchè,  a  norma  dell’art.  1713  c.c.,  alla  scadenza  del  mandato  egli  è  tenuto  a  restituire  tutto  ciò  che  ha  ricevuto  nell’esercizio  del  mandato  medesimo,  e   soddisfare,   con   la   consegna   del   riepilogo   aggiornato   delle   spese   e   degli   incassi,   la  richiesta  del  conto  della  gestione.  L’amministratore   infatti,  secondo  la  Suprema  Corte  di  Cassazione,  29  novembre  2001,  n.  15159,  è  un  mero  custode  della  documentazione  relativa  alla  gestione  condominiale.  Destinatario  della  consegna  è  il  condominio,  normalmente  rappresentato  dal  nuovo  

amministratore  subentrante,  con  un  “passaggio”  che  si  concretizza  in  un  fondamentale  snodo,   che   cristallizza   l’assunzione   della   gestione   condominiale   e   le   relative  incombenze  e  responsabilità.  

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Solamente  con  la  sottoscrizione  del  verbale  di  consegne  il  vecchio  amministratore  è  libero  dalle  incombenze,  che  fino  a  quel  momento  è  tenuto  a  svolgere,  ed  il  momento  del   passaggio   delle   consegne   riveste   particolare   rilievo   per   la   complessità   delle  variegate  questioni  da  affrontare.  Attraverso  un  riepilogo  degli  incassi  e  delle  spese  inerenti  il  condominio,  con  un  c.d.  

"libro  cassa"  analitico,  su  cui  vengono  annotate  in  ordine  cronologico  tutte  le  scritture  contabili,   si   “rende   il   conto”   della   gestione   al   nuovo   amministratore,   con   i   relativi  giustificativi  intervenuti  sino  al  momento  conclusivo  del  mandato.  La   base   di   partenza   sarà   il   saldo,   positivo   o   negativo,   dell’ultimo   rendiconto  

approvato  dal  consesso.  Ed  aggiungendo  le  successive  operazioni  algebriche,  quindi,  e  tralasciando  crediti  e  debiti  ininfluenti  sul  risultato  finale  di  cassa  -­‐  a  parte  gli  eventuali  accantonamenti   -­‐   si   potrà   rispondere   compiutamente   all’obiettivo   di   un   regolare  passaggio  delle  consegne.    Personalmente  riteniamo  pienamente  corretta  questa  costruzione  contabile,  purché  

le  informazioni  siano  date  con  chiarezza  dall’amministratore  uscente,  ed  in  un  contesto  di   rendicontazione   che,   al   di   là   della   tecnica   utilizzata   nella   sua   stesura,   evidenzi   la  gestione   del   numerario   ed   illustri   il   sistema   adottato   nella   resa   del   conto.   La  giurisprudenza  -­‐  del  resto  -­‐    consente  a  ciascun  amministratore  di  utilizzare  il  criterio  che  preferisce,  e  non  può  che  prendersi  atto  di  questa  prassi  molto  diffusa.    Nella   Sentenza   della   Suprema   Corte,   n.8877,   del   28   aprile   2005,   ad   esempio,   si  

ribadiscono   alcuni   princìpi   secondo   i   quali   “l’amministratore   di   condominio,   nella  tenuta   della   contabilità   e   nella   redazione   del   bilancio,   non   è   obbligato   al   rispetto  rigoroso  delle  regole  formali  vigenti  per  le  imprese,  essendo  sufficiente  che  egli  si  attenga  a  principi  di  ordine  e  correttezza  e  che,  nel  redigere   il  bilancio,  appronti  un  documento  chiaro  ed   intelligibile,   con  corretta  appostazione  delle  voci  dell’attivo  e  del  passivo,   che  siano  corrispondenti  e  congrue  rispetto  alla  documentazione  relativa  alle  entrate  ed  alle  uscite”.          Indicazioni   che   calzano   perfettamente   anche   in   un   contesto   di   trasferimento  

contabile  da  un  amministratore  all’altro.  Anche   se   non   va   trascurata   la   circostanza   che   l’unica   Sentenza   della   Cassazione  

(Sez.   II^,   16/8/2000,   n.10815)   che   ha   statuito   e   previsto   l’adozione   del   criterio   di  competenza  per  la  tenuta  della  contabilità  condominiale,  si  è  pronunciata  sulla  base  di  una  CTU  che,  proprio  in  un  passaggio  delle  consegne,  determinava  valori  differenti  di  saldo  contabile,    adottando  il  criterio  di  cassa  o  il  criterio  di  competenza  (418.000  lire  contro  2.700.000).      Rammentando    sempre  che  l’amministratore  uscente,  il  quale  reclami  nei  confronti  

del  condominio  un  credito  da  anticipazioni,  deve  dimostrare  che  il  rendiconto  sia  stato  approvato   dall’assemblea,   come   vedremo   meglio   nel   seguito   dell’esposizione.   La  sottoscrizione   da   parte   del   nuovo   amministratore   di   riconoscimento   delle  anticipazioni   in   calce   al   verbale   di   passaggio   delle   consegne   ha   valore   come   mera  ricevuta   della   documentazione   e   non   certo   come   riconoscimento   di   debito   in   base  all’art.1988  c.c.  (Tribunale  di  Roma,  13  Giugno  2005,  n.  13413).    La  giurisprudenza  risulta  peraltro  chiara  sul  punto,  e  ci  insegna  che:  “Il  nuovo  amministratore  di  un  condominio,  se  non  autorizzato  dai  partecipanti  alla  

comunione,   non   ha   il   potere   di   approvare   incassi   e   spese   condominiali   risultanti   da  prospetti  sintetici  consegnatigli  dal  precedente  amministratore  e  pertanto  l'accettazione  di  tali  documenti  non  costituisce  prova  idonea  del  debito  nei  confronti  di  quest'ultimo  da  

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parte   dei   condomini   per   l'importo   corrispondente   al   disavanzo   tra   le   rispettive   poste  contabili,   spettando   invece   all'assemblea   dei   condomini   approvare   il   conto   consuntivo,  onde  confrontarlo  con   il  preventivo  ovvero  valutare   l'opportunità  delle  spese  affrontate  d'iniziativa  dell'amministratore”  (Cass.,  4  Giugno  1999,  n.  5449).  In  una  situazione  normale,  quindi,  i  due  amministratori  sottoscriveranno  un  verbale  

del  passaggio  di  consegne,  nel  quale  illustreranno  quanto  viene  trasferito  dal  primo  al  successivo,   senza   l’utilizzo   di   formule   che   possano   impegnare   il   condominio,   in  particolare   per   il   saldo   contabile   ed   i   rapporti   di   dare/avere   tra   amministratore  cessato  e  proprietà.      Una   delle   fasi   più   delicate   nella   vita   condominiale   si   presenta   allorchè   un  

amministratore   cessa   dal   suo   incarico   e   non   è   ancora   subentrato   il   nuovo;   in   tale  periodo  l’amministratore  uscente  continua  ad  agire  in  virtù  della  prorogatio  imperii,  in  quanto   l’incarico   dell’amministratore   cessato   è   prorogato   al   fine   di   scongiurare   una  paralisi  nella  gestione  condominiale.    Se   siamo   tutti   d’accordo   che   l’amministratore   nominato   dall’assemblea   è   subito  

legittimato   ad   agire   per   la   restituzione   dei   documenti,   e   senza   essere   per   ciò  autorizzato   dall’assemblea   (vd.   Cass.   1/10/2008   n.   24391),   troviamo   la   strada   per  rispondere   correttamente  a  differenti  quesiti,   secondo  un’esigenza,   ripetiamo,  basata  sul   presupposto   di   assicurare   al   condominio   la   continuità   della   gestione,   in   virtù  dell’evidente   ed   innegabile   esistenza  del   buon  diritto  del   Condominio   a   riottenere   la  documentazione  condominiale  dall’amministratore  al  termine  del  suo  incarico.      Come   noto,   la   via   più   praticata   allo   scopo   di   ottenere   la   pronta   riconsegna   della  

documentazione   condominiale   dall’amministratore   uscente   riottoso,   è   il   ricorso   alla  procedura   d’urgenza   prevista   dall’art.   700   c.p.c.   ;   ed   avverso   l’amministratore   che  trattiene  la  documentazione,  adducendo  di  trovarsi  in  una  posizione  di  credito  verso  il  condominio,  va  risposto  che  va  escluso  in  modo  categorico  il  diritto  di  ritenzione  (cfr.  Cass.   3   Dicembre   1999,   n.   13504),   sia   perché   le   obbligazioni   si   basano   su   differenti  titoli,   sia   perché   la   documentazione   che   viene   trattenuta   non   ha   un   valore  commerciale,   quindi   è   inutile   per   soddisfare   il   dedotto   credito.   Il   cessato  amministratore  deve  quindi  sempre  restituire  ogni  cosa  pertinente  al  condominio  (vd.  Cass.  28  Ottobre  1999,  n.  11472).    Pertanto   per   quel   che   concerne   le   carte   indispensabili   a   consentire   la   gestione  

condominiale,  in  caso  di  rifiuto  da  parte  dell’ex-­‐amministratore  di  procedere  alla  loro  restituzione,   il   condominio   ben   può   fare   valere   il   suo   diritto   di   proprietà   e  l’amministratore   far   ricorso,   come   si   è   visto,   al   procedimento   d’urgenza.   A   titolo  esemplificativo   l’incompleta   documentazione   contabile   dell’esercizio   precedente,  approvata  dall’assemblea,  non  è  di  per  sé  sufficiente  nel  giustificare  l’emanazione  di  un  provvedimento   d’urgenza,   atteso   che   il   periculum   in  mora,   si   sostanzia   ed   evidenza  quando  non  siano  stati  consegnati  documenti  realmente  indispensabili  per  la  gestione,  la  cui  omissione  impedisce  concretamente  l’amministrazione  del  condominio.    Qualora   al   contrario   accada   che   vi   siano   difficoltà   nelle   consegne,   ed   il   decaduto  

amministratore   si   voglia   legittimamente   spogliare   delle   responsabilità,   ed   evitare   di  vedersi  costretto  a  dover  trattenere   la  documentazione  in   forza  della  prorogatio,  può  formulare  un’offerta  reale,  ovvero  offrire  al  nuovo  amministratore  del  condominio,  od  ad  uno  o  più  proprietari  (cfr.  Cass.  11  Giugno  1968,  n.  1853),   la  consegna  effettiva  di  

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quanto  dovuto  attraverso   l’ufficiale  giudiziario,  e  se  necessario  disporre  del  deposito,  tenendo  conto  che  le  spese  sono  a  carico  del  creditore,  ovvero  del  condominio,  ex  art.  1215  c.c..  Da  quanto   abbiamo  visto,   pertanto,   di   qualsiasi   documento   si   tratti,   la   riconsegna  

deve  essere  sempre  effettuata.  Ed   inoltre,   in  ossequio  alla  normativa  sulla  privacy     il  decaduto   amministratore   è   tenuto   a   cancellare   dal   proprio   software   il   condominio  ceduto,   poiché   l’amministratore   mandatario   non   più   in   carica   va   paragonato   a  qualsiasi   altro   terzo   che   detiene   dati   “altrui”.   Ai   fini   pratici   consigliamo   di   indicare  detta  cancellazione  sul  verbale  di  passaggio  delle  consegne,  eventualmente  “salvando”  tutti   i   dati   fino   alla   data   delle   consegne   e   consegnare   il   relativo   pen   drive   al   nuovo  amministratore  per  ogni  evenienza  o  verifica  congiunta.    Questione  di  ben  altra  portata  riguarda  invece  il  caso  dell’amministratore  decaduto  

che  ritenga  non  valida  la  delibera  di  nomina  del  suo  successore,  ritenendo  di  essere  in  prorogatio,  pertanto  in  obbligo  di  continuare  nella  gestione  condominiale.    La   Cassazione   ha   affrontato   il   problema,   stabilendo   che   in   tema   condominiale,  

l’istituto   della   prorogatio   imperii   trova   asilo   nella   presunzione   di   conformità   alla  volontà  della  proprietà  ed  all’  interesse  alla  continuità  dell’amministrazione  (sul  punto  Cass.   n.   1405   del   23/1/07),   e   nel   caso   di   illegittimità   della   delibera   di   nomina,  pertanto,  l’amministratore  può  ,  anzi  deve,  continuare  nella  gestione  ordinaria  sino  alla  nomina   del   nuovo   amministratore.   Al   contrario,   la   prorogatio   non   opera   quando  risulti,   attraverso   una   delibera   assembleare,   la   volontà   contraria   dei   condomini,   alla  conservazione  dei  poteri  di  gestione  da  parte  dell'amministratore  cessato  dall’incarico  (vd.  Cass.  5/2/1993  n,  1445).  Del  resto,  per  dipanare  eventuali  incertezze  che  dovessero  emergere,  sottolineiamo  

che   l’eventuale   delibera   assembleare   che   venisse   impugnata   a   seguito   ed   in  conseguenza   della   nomina   di   un   nuovo   amministratore,   può   essere   sospesa   qualora  ricorra   un   pregiudizio   irreparabile   ed   imminente   (cfr.   Tribunale   di   Modena,  10/2/2009),  e  che  se  emergesse  un  pregiudizio  di  natura  patrimoniale,  quest’ultimo  si  potrebbe   sempre   reintegrare.   Ne   consegue   che   l’amministratore,   aldilà   delle   rare  ipotesi  emerse,  è  obbligato  a  dar  seguito  al  passaggio  delle  consegne,  se  non  interviene  l’Autorità  giudiziaria  a  sospendere  la  nomina  del  nuovo  gestore  condominiale.    Singolare   poi   il   caso   di   un   amministratore   che,   benché   decaduto   dall’incarico,  

continuò   ad   amministrare   per   ben   sette   anni   un   condominio   a   Catania,     dando   la  precedenza  ad  altre  spese  condominiali,  ritardando  sistematicamente  i  versamenti  dei  contributi  previdenziali  della  portiera,  e  dovette  rispondere  delle  multe    (Cass.,  sez.  II,  25  Marzo  1993,  n.3588).  La  sentenza  su  citata  ci  ricorda  che  l’amministratore  ha  il  dovere  di  fornire  le  prove,  

attraverso  gli    opportuni   documenti   giustificativi,   di   tutti   gli   elementi   che   consentano   di  

individuare  ed  eventualmente  vagliare  la  modalità  di  esecuzione  dell’incarico,  al  fine  di  poter   stabilire     se   il   suo   operato   si   sia   adeguato,   o   meno,   a   criteri   di   buona  amministrazione  (cfr.  Cass.  23  aprile  1998,  n.  4203).  Cosa   succede,   poi,   nel   periodo   intercorrente   tra   la   nomina   del   nuovo  

amministratore   e   l’effettiva   partenza   della   nuova   gestione?   Con   la   nomina  assembleare,   l’amministratore   assume   le   sue   funzioni,   o   le   assume   al   termine   del    trasferimento  della  documentazione?  Accade  molto   spesso,   infatti,   che   tra   data   della   nomina   in   assemblea   ed   effettivo  

passaggio  delle  consegne  l’inizio  dell’effettiva  gestione  non  sia  immediato,  in  particolar  modo  nei  grandi  condomini.  Emerge  allora  il  problema  di  stabilire  chi,  a  tutti  gli  effetti,  

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sia  il  responsabile  del  Condominio  nei  confronti  dei  condomini  e  nei  confronti  dei  terzi.      Premesso   che   la   responsabilità   dell’amministratore   è   senza   alcun   dubbio  

riconducibile   all’ambito  del  mandato,   egli   è   chiamato  ad  operare   con   la  diligenza  del  buon   padre   di   famiglia,   ossia   con   diligenza   ed   accortezza   come   si   richiede   ad   un  professionista,   con   il   preminente   obiettivo   di   tutelare   gli   interessi   del   complesso  condominiale.   Pertanto   nella   circostanza   che   il   nuovo   amministratore,   non   sia   in  pratica   ancora   in   grado   di   poter   iniziare   la   gestione     del   condominio,   di   nessuna  responsabilità   contrattuale   può   rispondere,   se   non   quella   di   agire   velocemente   nei  confronti   del   precedente   amministratore   al   fine   di   ottenere   la   riconsegna   della  documentazione,  come  abbiamo  visto  sopra,  e  nel   frattempo  sarà  responsabile  per   la  gestione  il  precedente  amministratore,  sino  al  subentro  (vd.  Cass.  n.  5608  del  9/6/94;  Cass.  27/3/2003  n.  4531;  Cass.  n.  5083  del  25/5/94;  Cass.  n.  3296  del  10/4/96).    E  nel  caso,  che  si  presenta  di  frequente,  di  contemporanea  e  parallela  permanenza  

del   nuovo   amministratore   che   ha   ricevuto   parzialmente   la   documentazione,   e   del  precedente   amministratore,   in   caso   di   manifestazione   di   un   qualsiasi   danno   per   la  proprietà,   bisognerà   verificare   in   concreto   chi   dei   due   amministratori   aveva   la  possibilità   di   mettere   in   opera   strumenti   atti   a   prevenire   il   danno,   ossia   chi   aveva  fisicamente   la   disponibilità   della   provvista;   naturalmente   nei   confronti   dei   terzi  risponderà  l’amministratore  in  carica  da  verbale  di  assemblea,  si  pensi  ad  esempio,  ai  rapporti  con  la  banca  o  con  la  posta.      L’esigenza   di   dare   continuità   alla   gestione,   attraverso   l’amministratore,   vede   un  

parallelo,   sempre   a   salvaguardia   dello   scorrere   della     gestione   condominiale,   con   il  superamento  del  datato  orientamento  della  Curia  (cfr.  Sentenza  del  7  Ottobre  1964,  n.  2527),   ove   il   recupero   coattivo   in   base   al   preventivo   era   possibile   fino   ad   esercizio  concluso,  al  contrario  del  più  recente  indirizzo  (vd.  Cass.  ,  sez.  II,  29  Settembre  2008,  n.  24299)   che   consente   all’amministratore  di   chiedere   il   decreto   ingiuntivo   anche   sulla  base  di  un  bilancio  preventivo,  sino  a  quando  questo  non  sia  sostituito  dal  consuntivo  regolarmente  approvato,  sempre  sul  presupposto  evidente  di  fluidificare  la  gestione.  Altra   tematica   interessante   concerne   il   periodo   di   conservazione   della  

documentazione.   Bisogna   conservare   i   documenti   secondo   i   termini   di   prescrizione,  ma  tener  conto,  poiché   il  condominio  è  sostituto  d’imposta,  anche  delle  regole   fiscali.  Infatti   l’art.   21   della   L.   449/97,   definisce   il   condominio   quale   soggetto   sostituto  d’imposta,   e   l’amministrazione   finanziaria   può   sottoporre   ad   accertamento   il  condominio,  con   la  verifica  della  documentazione   in  possesso  dell’amministratore     in  carica   al  momento  dell’accertamento   che  dovrà  pertanto  essere   in  grado  di   esibire   e  rispondere  su  quanto  gli  può  essere  richiesto.    Anche   in   guisa   di   ciò,   in   maniera   prudente   consigliamo   di   conservare   tutti   i  

documenti   per   almeno   dieci   anni.   Stesso   termine   per   far   valere   le   eventuali  anticipazioni  di  cassa  (vd.  Cass.  del  4/10/2005,  n.  19348).    Si  vedano  in  proposito  gli  articoli  1129  e  1130  c.c.,novellati  con  la  L.220/2012.  Inoltre,  per  particolare  documentazione,  ad  esempio  il  pagamento  dei  contributi  del  

portiere  va  ricordato  che  «entro  dieci  anni  dal  diritto  alla  pensione,  il  dipendente  può  ottenere,  nel  caso  in  cui  i  contributi  non  siano  stati  pagati,  la  costituzione  della  rendita  vitalizia».  Oltre  a  documenti  che  non  hanno  “scadenza”,  si  pensi  ad  esempio  al  registro  dei  verbali  di  assemblea,  ad  esempio.    

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Sorge  pedissequamente   la   questione,   sollevata   anche   in   altri   convegni   organizzati  dall’ANACI,   che   l’amministratore   operi   oltre   che   come   mandatario,   anche   come  depositario.  Riteniamo   che   vada   escluso   un   compenso   specifico   per   tale   incarico   (cfr.   Cass.,  

3/12/2008   n.   28734),   il   quale   compenso   extra   va   sempre   approvato   dall’assemblea  condominiale,   anche   se   l’amministratore   ha   l’esigenza   di   organizzare   un   apposito  locale.   L’art   .1129   c.c.,   esclude   peraltro   ogni   qualsivoglia   compenso,   per   l’attività   di  passaggio  delle  consegne.  Il  compenso  dell’amministratore,  infatti,  deve  intendersi  sempre  omnicomprensivo  

(cfr.  Cass.  24/3/2009  n.  7057),  se  non  pattuito  diversamente  con  l’assemblea.    Altra  questione  interessante    si  pone  allorchè  il  nuovo  amministratore  sia  nominato  

dall’assemblea  e  non  sia  presente  fisicamente  al  momento  della  delibera  del  consesso  condominiale.  Facendo  riferimento  alle  norme  sul  mandato  (artt.  1710ss.  c.c.)   l’accettazione  pare  

necessaria,   trovandosi   di   fronte   ad   un   atto   recettizio,   ossia   un   atto   la   cui   efficacia   è  condizionata   alla   conoscenza   della   nomina   da   parte   del   destinatario.   In   proposito   è  utile   leggere   l’art.   1724   del   cod.   civ.   sulla   revoca   tacita   “La   nomina   di   un   nuovo  mandatario   per   lo   stesso   affare   o   il   compimento   di   questo   da   parte   del   mandante  importano   la   revoca   del   mandato,   e   producono   effetto   dal   giorno   in   cui   sono   stati  comunicati   al   mandatario”,   pertanto   con   la   nomina   di   un   nuovo   amministratore   si  produce  la  revoca  automatica  del  precedente  (cfr.  Cass.  9/6/1994  n.  5608).        Nondimeno  l’accettazione  può  anche  essere  tacita  e  per  facta  concludentia;  il  nuovo  

amministratore,   infatti,   può   esprimere   la   volontà   di   accettare   l’incarico   anche  semplicemente   iniziando   l’amministrazione  condominiale,  o  con   la  semplice  richiesta  di   effettuare   le   consegne   al   vecchio   amministratore.   Nel   caso   in   cui   la   delibera   di  nomina  ponga  un  termine  per  l’accettazione,  trascorso  infruttuosamente  il  termine,  la  proposta   di   incarico   va   intesa   come   non   accettata.   L’art.   1129   c.c.,   se   ne   occupa   al  comma  secondo,  prevedendo  espressamente  “l’accettazione  della  nomina”.    Infine,   la  nomina  può  anche  discendere  dal  comportamento  dei  condomini,   i  quali  

abbiano   inteso  un  amministratore   tale  a   tutti  gli  effetti,   rivolgendosi  a   lui   in  maniera  abituale  e  senza  contestarne  i  poteri  di  gestione  e  la  rappresentanza  (vd.  Cass.  n.3296  del  10  Aprile  1996).    Ulteriore   problema   che   si   pone   è   quello   delle   anticipazioni   di   cassa   da   parte   del  

precedente   amministratore,     ed   in   questo   caso   il   momento   del   passaggio   delle  consegne  è  particolarmente  delicato  per  la  complessità  delle  questioni  da  gestire.    Sul  punto     si  è   recentemente   interessata   la  Corte  di  Cassazione  con   la  Sentenza  n.  

10153,  depositata  il  18  Maggio  2011.  L’analisi   della   Sentenza   risulta   di   estremo   interesse   per   la   categoria   degli  

amministratori.    In  primo  grado  si  parte  con  un  Decreto  Ingiuntivo  pari  ad  Euro  117.560,20,  opposto  

dal   condominio   con   Domanda   Riconvenzionale   di   Euro   30.987,41,   con   la   condanna  dell’ex-­‐amministratore   a   riconsegnare   l’anticipo   ricevuto,   pari   alla   somma   richiesta  nella  Domanda  Riconvenzionale.  La   Corte   d’Appello   di   Roma,   condannava   invece   il   condominio   a   versare   all’ex-­‐

amministratore  la  somma  di  Euro  85.970,60  considerando  che  il  CTU  del  primo  grado  

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non  aveva  considerato  il  riconoscimento  da  parte  di    un  “comitato”  dei  condòmini  che  all’unanimità,  dopo  aver  verificato  tutti  i  giustificativi  di  spesa  degli  anni  1989,  1990  e    1991,   ammetteva     il   credito   dell’ex-­‐amministratore,   anche   con   l’avallo   di   un  consulente.    Ma  con  il    terzo  grado  di  giudizio  si  ribalta  di  nuovo  la  posizione  di  credito/debito  

tra  ex-­‐amministratore  e  condominio.  Osserva   la   Curia   che,   nonostante   il   condominio   abbia   approvato   il   disavanzo   del  

triennio  1989-­‐1992,  l’amministratore  non  ha  mai  prodotto  nessun  riscontro  contabile  che   evidenzi   un   passaggio   di   denaro   dal   suo   patrimonio   a   quello   dei   creditori   del  condominio.  E   nei   motivi   della   decisione   si   legge:   “l’approvazione   del   rendiconto   recante   un  

disavanzo   tra   le   somme   spese   e   quelle   incamerate   dal   condominio   per   effetto   dei  versamenti  eseguiti  dai  condomini  o  per  altra  causa,  non  implica  che,  per  via  deduttiva,  possa   ritenersi   riconosciuto   il   fatto   che   la   differenza   sia   stata   versata  dall’amministratore   utilizzando   denaro   proprio,   ovvero   che   questi   sia   comunque  creditore  del  condominio  per   l’importo  corrispondente.  E  ciò  per  ragioni  di  carattere  sia   logico,   ove   si   consideri   che   l’amministratore   ben   può   aver   utilizzato   provviste  aliene   di   cui   aveva   soltanto   la   disponibilità   (ad   esempio,   fondi   derivanti   da   altra  gestione)”.  Rispettando  la  Suprema  Corte  di  Cassazione,  viene  però  da  chiedersi:  dove  traggono  

origine  le    “somme  aliene”?  Meglio  quindi  mai  anticipare  e  cercare  un  buon  accordo  transattivo,  ricordando  che  

l’eventuale   anticipazione   dell’amministratore     non   si   prescrive   in   cinque   anni  ma   in  dieci  (cfr.  Cass.  Sez.  II,  4  ottobre  2005,  n.  19348).  Lo   stesso   principio   si   ritrova   nella   disciplina   delle   società   (cfr.   Cass.   ,   sez.   I,   20  

Ottobre   2007,   n.   21130)   ove,   attraverso   “l’approvazione   del   bilancio   l’assemblea   si  limita  ad  esprimere  il  proprio  parere  sulla  corretta  rappresentazione  delle  operazioni  di   gestione,   come   stabilito   dall’art.   2243   c.c.   e   segg.,   sì   che   è   arbitrario   dedurne   la  volontà  di  riconoscere  un  debito”.  Sul   punto   relativo   a   questa   novella   posizione   della   Curia,   ove   a   fronte   di   un  

“disavanzo”  non  discende  necessariamente  un’anticipazione  dell’amministratore,  non  ci  sentiamo  di  aderire.  Al  contrario  concordiamo  con  altre  posizioni  della  Cassazione,  laddove   il   credito   va   provato   dall’amministratore   (Cass.   9/6/2010   n.   13878),   o   che  l’assemblea   possa   valutare   l’opportunità   delle   spese   sostenute   dall’amministratore  (Cass.  4/6/1999  n.  5449).  In  concreto,  se  si  esamina  una  ricostruzione  contabile  ricavata  da  una  CTU,  come  ad  

esempio   quella   appresso   riportata,   non   si   può   -­‐   secondo   noi   -­‐   assolutamente   non  ricavare  un  disavanzo,  e  pertanto  un  credito  dell’amministratore  verso  il  condominio  a  seguito  di  passaggio  delle  consegne:    

Descrizione   Importo   Note  Saldo  di  cassa  iniziale   +  1.597,96   Approvato  

dall’assemblea  Rapporto  dare/avere  di  tutte  le  

gestioni  +        544,62   Differenza  entrate/uscite  

Parcelle  amministratore   -­‐    1.119,19   Debiti  vs.  amministratore  Saldo  c/c  postale   -­‐    3.505,63   Giacenza  alle  consegne  Anticipo  trattenuto   +    2.003,53   Somma  di  acconto  saldo  

Saldo  finale   -­          478,71      

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Ma   ancora   più   di   recente,   la   Cassazione   è   ritornata   sul   punto   del   credito  dell’amministratore   con   la   Sentenza   depositata   il   27   Giugno   2011   n.   14197,   ove   si  deduce  che  tutte  le  spese  devono  passare  attraverso  il  vaglio  assembleare,  per  quel  che  concerne   la   loro   previsione   (Bilancio   preventivo)   o   ratifica   (Bilancio   Consuntivo   e  crediti   dell’amministratore).   In   pratica   si   imbriglia   l’art.   1720   c.c.   “Il  mandante   deve  rimborsare  al  mandatario  le  anticipazioni,  con  gli  interessi  legali  dal  giorno  in  cui  sono  state  fatte,  e  deve  pagargli  il  compenso  che  gli  spetta.  Il  mandante  deve  inoltre  risarcire  i  danni  che  il  mandatario  ha  subìti  a  causa  dell’incarico”  .    L’unica   via   d’uscita   è   che   l’amministratore   convochi   un’assemblea   e   la   proprietà  

approvi  pure  il  passaggio  delle  consegne!      

VADEMECUM  PER  IL  PASSAGGIO  DELLE  CONSEGNE    a. CARTE  SEMPRE  A  DISPOSIZIONE  I  condomini  hanno  diritto  di  prendere  visione  della  documentazione  condominiale  

anche  durante   la  gestione,  non  può  rifiutarsi,   l’amministratore;  ma  il   legittimo  diritto  non   deve   trasformarsi   in   inutile   abuso   solo   per   dare   fastidio   a   quest’ultimo,   che  potrebbe  richiedere  un  rimborso  per  l’attività  svolta  a  favore  del  singolo  condomino;    b. CRITERIO  DI  COMPETENZA  NEL  BILANCIO  Trasparenza  e  correttezza  nella  lista  delle  spese  ma  anche  sulle  somme  in  stand-­by,  

quelle   che   debbono   ancora   essere   corrisposte   ai   fornitori   ma   di   competenza  dell’esercizio  annuo  di  gestione,  in  particolare  per  la  gestione  del  riscaldamento;      c. RIMBORSO  SOLAMENTE  CON  IL  Sì  DELL’ASSEMBLEA  Il   nuovo   amministratore   non   è   legittimato   a   riconoscere   le   anticipazioni   da   parte  

del  precedente  gestore  del  condominio,  compito  specifico  dell’assemblea;    d. OGNUNO  RISPONDE  DEL  SUO  Come  si  acquisisce  un  nuovo  condominio,  si  consiglia  di  scindere  la  propria  gestione  

da   quella   dell’amministratore   precedente,   predisponendo   un’assemblea   con   la  discussione  del  consuntivo  di  gestione  infra-­‐annuale  del  passato  amministratore;    e. SI  DA’  TUTTO  MA  SI  TIENE  COPIA  Terminato   il   mandato,   deve   essere   consegnata   tutta   la   documentazione  

condominiale  ma  va  –  per  prudenza  –   tenuta  copia   fotostatica  almeno  dei  documenti  contabili,  dei  verbali  di  assemblea  e  della  documentazione  piu’  importante;    f. COMPENSO  OMNIA  O  DELIBERA  La   richiesta   di   un   compenso   aggiuntivo   per   l’attività   di   passaggio   delle   consegne  

non   è   giustificabile   se   non   è   stato   stabilito   in   sede   di   nomina   con   i   condòmini   in  assemblea  e  specificato  sul  verbale  del  consesso;        g. FINE  MANDATO  E  NON  DATA  DELLE  CONSEGNE  La  gestione  e   le  responsabilità   terminano  con   la   fine  del  mandato  e   la  contestuale  

nomina  di  un  nuovo  amministratore,  da  quel  momento  l’amministratore  subentrante  è  l’unico  teoricamente  legittimato  a  ricevere  gli  incassi  ed  impiegare  la  provvista  per  far  fronte  ai  pagamenti;    

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 h. CHIAREZZA  PER  IL  VERBALE  DI  NOMINA  DEL  NUOVO  AMMINISTRATORE  Per   evitare   possibili   contese,   specificare   sul   verbale   di   nomina   sia   il   termine   per  

completare   le   consegne   che   la   data   di   inizio   del   nuovo   mandato   (argomentazione  illustrata   nella   relazione   dell’incontro   ANACI   “Procedure   a   confronto”,   Civitavecchia,  11.12.2004);      i. PRIVACY    Consigliamo   di   inserire   in   calce   al   verbale   di   consegne   questo   inciso:  

"L’amministratore   uscente   dimissionario,   ai   fini   della   privacy   e   del   relativo  trattamento  dei  dati,  non  manterrà  i  dati  informatici  riguardanti  il  condominio”;    l.     SOLLECITO  PER  OTTENERE  LE  CONSEGNE  Se  ci  sono  problemi  ad  effettuare  le  consegne.  “  Oggetto:  richiesta  documentazione  condominio  …  Nella   mia   qualità   di   amministratore   subentrante   del   condominio   di   ….formulo   la  

presente   richiesta   in   forza   di   delibera   assembleare   in   data…..   per   richiederLe  nuovamente  tutta  la  documentazione  inerente  il  condominio  di  …  La  mancata  consegna  della  predetta  documentazione  mi  impedisce  lo  svolgimento  di  

qualsiasi  attività  ed  è  fonte  di  grave  pregiudizio  per  il  condominio  medesimo.  In   assenza   di   pronto   riscontro   e,   comunque,   decorsi   10   giorni   dal   ricevimento   della  presente,   darò   incarico   al   mio   legale   di   fiducia   di   procedere   coattivamente   nei   suoi  confronti.  Con  ogni  più  ampia  riserva  di  risarcimento  di  tutti   i  danni  subiti  dal  condominio  da  me  amministrato  a  causa  del  suo  ingiustificato  e  reiterato  inadempimento.  Distinti  saluti  ”.      

Fabio  Gerosa.      

         

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MODULO    N.3      

L’assemblea  di  condominio       (Ferdinando  Della  Corte)      3.1  -­    Le  attribuzioni  Alla   naturale   domanda   “che   cos’è”     l’assemblea   di   condominio,   possiamo   innanzi  

tutto  rispondere  che  è  l’organo  decisionale,  primario  ed  essenziale,  del  condominio.    E’  il  fulcro  intorno  al  quale  ruota  l’intera  vita  nella  comproprietà.  I   condòmini   riuniti,   vedremo  poi   con   quali  modalità,   discutono   e   decidono   sul   da  

farsi   in   relazione  ai  beni   comuni  dell’ente  di  gestione:  questa  è   l’assemblea.    Tutte   le  decisioni  vengono  prese  e  debbono  essere  prese  in  assemblea.  Nella   vita   condominiale   le   deliberazioni   prese   al   di   fuori   dell’assemblea   dei  

condomini  sono  giuridicamente  inesistenti,  prive  di  qualsiasi  efficacia  sia  nei  confronti  dei  condòmini  che  dei  terzi    estranei  al  condominio.  La  classica  raccolta  di  firme  di  qualche  volenteroso  (a  volte  troppo)  condomino  può  

valere  tutt’al  più  come  istanza  da  portare  in  discussione  in  assemblea,  giammai  come  autonoma  deliberazione  vincolante  per  il  condominio.  Le  principali  attribuzioni  dell’assemblea  dei  condòmini  sono  stabilite  dall’art.  1135  

del  Codice  Civile,  che  prevede  i  quattro  punti  seguenti  :    a)  “conferma  dell’amministratore  ed    eventuale  sua  retribuzione  ”      In   realtà,   oltre   alla   “conferma”,   l’assemblea   provvede   alla   nomina   e   alla   revoca  

dell’amministratore,   come  disciplinato  dall’art.   1129   “quando   i   condomini   sono  più  di  quattro,   l’assemblea  nomina  un  amministratore“  e  dal   comma  4    dell’art.   1136   c.c.“   le  deliberazioni  che  concernono  la  nomina  e  la  revoca  dell’amministratore  …”  L’inciso   “eventuale   sua   retribuzione”   pone   in   rilievo   come   l’attività  

dell’amministratore  -­‐  che  si  presume  onerosa  -­‐  potrebbe  essere  gratuita  e  che  l’entità  del   compenso   deve   essere   determinato   dai   condomini.   La   determinazione   del  compenso  non  è  una  misura  stabilita  da  leggi,  albi  o  associazioni  di  categoria,  è  invece  frutto  della  libera  contrattazione  delle  parti.  In  pratica,  allorché   l’assemblea  dei  condomini  nomina  Tizio  quale  amministratore,  

automaticamente  ed  implicitamente  accetta  anche  la  richiesta  del  compenso  formulata  dal  candidato  amministratore  al  momento  della  sua  proposta.    b)   “approvazione   del   preventivo   delle   spese   occorrenti   durante   l’anno   e   relativa  

ripartizione  fra  i  condomini  ”  Decidere   se   e  quali   spese   il   condominio  dovrà   sostenere  è   compito  della   riunione  

assembleare.   L’amministratore   presenterà   ai   condòmini   riuniti   in   assemblea   il  preventivo   delle   spese   che   presumibilmente   dovranno   essere   sostenute   nel   corso  dell’anno,  ma  i  condòmini  non  sono  in  alcun  modo  vincolati  ad  approvare  in  tutto  o  in  parte   il   preventivo   di   spese   predisposto   dall’amministratore.   L’assemblea   è   sovrana  nel  decidere.  I  condòmini  sono  tenuti  sia  al  pagamento  pro  quota,  delle  spese  già  sostenute,  sia,  

ovviamente  sempre  pro  quota,  in  forza  dell’art.  1719  c.c.  (titolato:  mezzi  necessari  per  l’esecuzione   del   mandato     ”   ….   a   somministrare   al   mandatario   i   mezzi   necessari   per  l’esecuzione   del   mandato   e   per   l’adempimento   delle   obbligazioni   che   a   tal   fine   ha  

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contratto  in  proprio  nome”.  Quindi   la   legge   prevede   espressamente   l’obbligo   del   condominio   (mandante)   di  

fornire   all’amministratore   (mandatario)   i   mezzi   (il   denaro)     necessari   per  l’espletamento  del   suo   incarico  professionale   e   tale  obbligo   è   confermato   e   collegato  all’altra   specifica   disposizione   posta   al   punto   3)   dell’art.1130   c.c.   che   impone  all’amministratore   di   “riscuotere   i   contributi   ed   erogare   le   spese   occorrenti   per   la  manutenzione   ordinaria   delle   parti   comuni   dell’edificio   e   per   l’esercizio   dei   servizi  comuni  ”.  Ne   consegue   che,   con   l’approvazione   del   preventivo,   i   condomini   debbono   anche  

deliberare   la   ripartizione   tra   loro   delle   spese   previste,   con   l’avvertenza   però   che   i  condomini   non   possono   con   deliberazione   presa   a   maggioranza   mutare   i   criteri   di  ripartizione  stabiliti  dalle  norme,  bensì  è  possibile  soltanto  controllare  che  nel  piano  di  riparto  predisposto  dall’amministratore  siano  applicate  le  regole  vigenti.    c)  “approvazione  del  rendiconto  annuale  dell’amministratore  ed   impiego  del  residuo  

attivo  della  gestione”.  Per  l’approvazione  del  resoconto  finale  e  l’utilizzo  dell’eventuale  residuo  attivo  vale  

quanto   scritto   al   punto   precedente   relativo   all’approvazione   del   preventivo   e   della  ripartizione   delle   spese.   Nel   caso,   invero   raro,   che   all’esito   della   gestione   vi   sia   un  residuo  attivo,  sarà  l’assemblea  a  decidere  come  disporne.        d)”opere   di   manutenzione   straordinaria   e   alle   innovazioni,   costituendo  

obbligatoriamente  un  fondo  speciale  di  importo  pari  all’ammontare  dei  lavori  “.  Quindi   all’amministratore   è   negato   esplicitamente   il   potere   di   ordinare   opere   di  

manutenzione   straordinaria   non   urgenti,   perché   ogni   decisione   in   materia   spetta  all’assemblea.   Se   le  opere   sono  di  notevole  entità,   occorrerà  decidere  peraltro   con   la  maggioranza   speciale   di   cui   al     comma   2   dell’art.   1136   c.c.   La   novità   rilevante   è  l’obbligatorietà   della   costituzione   preventiva   del   fondo.   Senza   avere   raccolto   in   via  preventiva  i  fondi  non  si  può  dare  avvio  alle  opere  di  manutenzione  straordinaria.    3.2  -­  La  convocazione  Chi  convoca  L’assemblea  è  convocata  dall’amministratore  in  carica.    Soltanto  in  tre  casi  abbiamo  

una  convocazione  non  effettuata  dall’amministratore:  1) da  ciascun  condomino,  quando  manca  l’amministratore  (la  prima  volta  oppure  

è  deceduto  o  è  impossibilitato);  2) da  almeno  due  condomini   le  cui  proprietà  rappresentino  almeno  un  sesto  del  

valore  millesimale  dell’edificio,  in  caso  d’inerzia  accertata  (art.  66  disp.  att.  c.c.)  dell’amministratore  in  carica  ;  

3) dal  curatore  speciale,  come  stabilito  dall’art.  65  disp.  att.  c.c.  Perché   l’assemblea  possa  validamente  deliberare  debbono  essere   convocati   tutti   i          

condomini.    Come  si  convoca  Nessuna  norma  impone  obbligatoriamente  una  forma  (ad  esempio  la  convocazione  

scritta)  per  convocare  validamente  un’assemblea  di  condominio.  Tuttavia,   poiché   la   convocazione   deve   avere   necessariamente   certi   requisiti   che  

vedremo  qui  di  seguito,  e  poiché,  in  caso  di  contestazioni  future,  dovrà  essere  fornita  la  prova   della   sussistenza   dei   requisiti   in   questione,   è   oltremodo   opportuno   e  

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consigliabile  che  le  convocazioni  avvengano  sempre  per  iscritto.  Una  convocazione  orale,  seppure  teoricamente  legittima,  è  quindi  da  evitare  in  ogni  

caso.  Il   sistema   largamente   più   diffuso   è   la   convocazione   attraverso   la   consegna   di   un  

foglio   scritto   (letto   avviso   o   biglietto   di   convocazione)   che   deve   necessariamente  contenere   i   seguenti   elementi   essenziali,   senza   i   quali   la   convocazione   è   inutile   e  giuridicamente  invalida  :  1) la  data  (  giorno,  mese  e  anno  )  e  l’orario  ;  2) la  indicazione  prima  e/o  seconda  convocazione;  3) il  luogo  ;  4) l’ordine  del  giorno.  Inoltre,   seppure   non   sottolineato   dalla   giurisprudenza,   è   sempre   opportuno   che  

l’avviso   rechi   l’indicazione   di   chi   abbia   convocato   l’assemblea,   quasi   sempre  l’amministratore,   così  da  porre   i   condomini   in   condizione  di   avere  piena   conoscenza  della  regolarità  della  convocazione.  Per   ovvie   ragioni   di   praticità   ed   economia,   nello   stesso   avviso   vanno   indicati   il  

luogo,  la  data  e  l’ora  dell’assemblea  di  prima  e  di  seconda  convocazione,  rammentando  che   l’art.   1136   c.c.   impone   che   l’assemblea   di   seconda   convocazione   non   può   essere  tenuta  nello  stesso  giorno  della  prima,  né  oltre  dieci  giorni  dalla  prima.  Secondo   quanto   disposto   dall’ultimo   comma   dell’art.   66   delle   disposizioni   per  

l’attuazione   del   codice   civile,   l’avviso   di   convocazione   “deve   essere   comunicato   ai  condomini  almeno  5  giorni  prima  della  data  fissata  dell’adunanza”.  In  altre  parole   l’assemblea  deve  essere   convocata   lasciando  almeno  5  giorni   tra   il  

momento   del   ricevimento   della   comunicazione   e   quello   della   data   di   prima  convocazione  dell’assemblea  stessa.  I  giorni  iniziano  a  decorrere  da  quello  seguente  il  ricevimento  dell’avviso  da  parte  del  condomino.  Perché  l’assemblea  sia  valida,  quindi,  l’avviso  di  convocazione  deve  essere  ricevuto  

dal  condomino  con  il  rispetto  dei  tempi  sopra  indicati.  E’  legittimo  qualsiasi  sistema  per  la  consegna  dell’avviso  di  convocazione.  Se   il   regolamento   di   condominio   prevede   come   obbligatorio   un   determinato  

sistema  di  convocazione  (ad  esempio  spedizione  con  lettera  raccomandata  con  avviso  di  ricevimento,  oppure  convocazione  con  avviso  da  consegnare  15  giorni  prima  della  data   fissata   dell’assemblea)   l’amministratore   è   tenuto   ad   eseguire   la   convocazione  dell’assemblea  nel  rispetto  della  norma  del  regolamento.  Viceversa,   nel   silenzio   del   regolamento,   l’amministratore   potrà   eseguire   la  

convocazione   dei   condòmini   con   le   modalità   da   lui   ritenute   opportune,   sempre   nel  rispetto   dei   termini   e   dei   requisiti   già   indicati,  ma   tenendo   inoltre   ben   presente   che  costituisce   onere   dell’amministratore   provare   di   avere   convocato   i   condòmini  regolarmente.     La   prova   che   il   condòmino   assente   sia   stato   convocato   con   corretta  tempestività  è  sempre  dell’amministratore.    Chi  viene  convocato  Come   già   evidenziato,   perché   l’assemblea   possa   validamente   deliberare   debbono  

essere  convocati  tutti  i  condomini.  L’art.   1136   c.c.,   comma   6,   prevede   espressamente   che   l’assemblea   non   possa  

deliberare  se  non  risulta  che  sia  stata  convocata  la  globalità  dei  condomini.  Anche   il  condomino  che  ha  promosso  una  causa  contro   il  condominio  deve  essere  

convocato  all’assemblea  nella  quale  si  discuterà  se  e  come  difendersi  dalla  sua  azione.  Sono  condomini  i  proprietari,  non  i  conduttori  (detti  anche  inquilini).  Nel   caso   di   comproprietari,   debbono   essere   convocati   singolarmente   tutti   i  

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comproprietari,  tuttavia  se  i  comproprietari  sono  marito  e  moglie  o  fratelli  conviventi,  la  convocazione  consegnata  ad  uno  si  presume  conosciuta  anche  dall’altro.  Deve   essere   peraltro   sottolineato   che   a   fronte   del   diritto   alla   partecipazione   (da  

intendersi  =  presenza)  di  tutti   i  comproprietari,   il  voto  è  e  rimane  uno  solo,  per  cui  il  diritto   di   parlare   e   soprattutto   di   votare   spetta   ad   uno   solo   dei   comproprietari,   che  designeranno  tra  di  loro  il  rappresentante  ovvero,  in  caso  di  disaccordo  tra  loro,  sarà  designato  dal  presidente  dell’assemblea  mediante  sorteggio  (art.  67  comma  2  disp.  att.  c.c.).  L’usufruttuario   (   l’usufrutto  è   il  diritto  di  godere  della   cosa  altrui   senza  esserne   il  

proprietario,  con  l’obbligo  di  rispettare  la  destinazione  economica  del  bene  ),  in  forza  del  disposto  dell’art.  67   comma  3  disp.   att.   c.c.,   ha  diritto  di  partecipazione  e  di   voto  “negli  affari  che  attengono  all’ordinaria  amministrazione”.    Il  conduttore  non  deve  essere  convocato  dall’amministratore.  E,   nel   caso   in   cui   il   conduttore   abbia   il   diritto   di   partecipare   e   votare,   in   forza  

dell’art.   10   della   legge   27   luglio   1978   n.   392,   cosiddetta   legge   “equo   canone”   il  conduttore   può   avere   diritto   di   voto   nelle   deliberazioni   relative   alle   spese   e   alle  modalità  di  gestione  del  servizio  di  riscaldamento,  ma  la  sua  convocazione  è  onere  del  proprietario  dell’appartamento  e  non  dell’amministratore.    3.3  –  La  costituzione                      Le  assemblee  di  condominio  si  distinguono  in  due  tipi:    assemblea  di  prima  e  

di  seconda  convocazione.  La   differenza,   peraltro   ben   rilevante   sul   piano   pratico,   consiste   unicamente   nella  

diversità   delle   maggioranze   necessarie   per   calcolare   la   validità   della   costituzione   e  delle  delibere;  mentre  tra  prima  e  seconda  convocazione  non  vi  è  alcuna  differenza  per  quello  che  concerne  il  contenuto  delle  delibere,  perché  non  vi  è  alcun  argomento  che  non  possa  essere  trattato  indifferentemente  in  ciascuna  delle  due  assemblee.  Il   codice   non  menziona   un’assemblea   in   terza   convocazione,   per   cui,   se   anche   la  

seconda  va  deserta,  è  necessario  riconvocarla.  Spesso  le  assemblee  vengono  anche  definite  “ordinarie”  e  “straordinarie”.  In  realtà  è  una  differenza  nominale  più  dannosa  che  utile,  perché  spesso  è  fonte  di  

confusione  tra   i  condomini,   i  quali  sono  portati  a  credere,  erroneamente,  che  spese  o  manutenzioni   straordinarie   possano   essere   discusse   e   votate   soltanto   in   apposite  assemblee   straordinarie.  Ma   ciò   non   è   assolutamente   vero.  Qualsiasi   argomento   può  essere   validamente   discusso   sia   in   sede   di   assemblea   ordinaria,   che   in   sede   di  assemblea  straordinaria.  Pertanto,  facendo  nostro  il  suggerimento  dei  padri  latini  che  sconsigliavano   di   moltiplicare   inutilmente   le   categorie   e   le   classificazioni,   siamo  dell’avviso   che   eliminare   la   dicitura   “ordinaria“   e   “straordinaria“   non   soltanto   non  arrechi  alcun  danno,  ma  anzi  semplifichi  i  rapporti.    Assemblea  in  prima  convocazione  L’art.   1136   c.c.   comma   1   prescrive   testualmente   :   “l’assemblea   è   regolarmente  

costituita   con   l’intervento   di   tanti   condomini   che   rappresentino   i   due   terzi   del   valore  dell’intero  edificio  e  la  maggioranza  dei  partecipanti  al  condominio”.  Una  regola  chiara,  che  indica  con  esattezza  il  quorum  (numero)  dei  condomini  che  

debbono  essere  presenti  al  momento  dell’apertura  della  riunione,  affinché  l’assemblea  stessa  sia  valida.  L’art.   1136   fa  parte  del   novero  delle  norme  dichiarate   inderogabili   dal   legislatore  

(ultimo   comma   dell’art.   1138   c.c.),   quindi   neppure   un   regolamento   avente   norme   di  carattere   contrattuale   o   l’accordo   pattizio   dei   condomini   potrebbe   validamente  

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modificare  il  quorum  fissato  dalla  legge.  Con   l’occasione   si   evidenzia   che   per   “presenti”   si   intende   sia   chi   interviene   di  

persona  sia  chi  partecipa  per  delega.   Il  delegante  è  presente  a  tutti  gli  effetti  di   legge  attraverso  il  suo  delegato.  Se  Tizio,  condomino,  è  portatore  di  quattro  deleghe,  saranno    conteggiati  cinque  condomini  presenti.  Se  i  condomini  sono  più  di  venti  il  delegato  non  può  rappresentare  più  di  u  quinto  dei  condomini  e  del  valore  proporzionale.  Dal  18  giugno  2013,  data  di  entrata   in  vigore  della   legge  n.220/12,   la  delega  deve  

essere  rilasciata  in  forma  scritta.  L’amministratore  può  validamente   essere  delegato  da  uno  o  più   condomini,   salvo  

l’eventuale   divieto   posto   da   un   regolamento   avente   norme   di   carattere   contrattuale,  evidenziando  però   che   la   giurisprudenza  prevalente   ritiene  non   legittima   la  delega  a  favore  dell’amministratore  di   condominio  per  argomenti  per   i  quali  potrebbe  esserci  un   conflitto   di   interessi,   quali   la   nomina   del   medesimo   amministratore   o  l’approvazione  di  bilanci,  consuntivi  o  preventivi,  redatti  dallo  stesso.  Il   primo   comma   dell’art.   1136   c.c.   evidenzia   subito   il   principio   essenziale   che  

informa  ogni  passo  della  vita  condominiale:  il  principio  della  doppia  maggioranza.  E’   il   criterio   cardine   posto   dal   legislatore   alla   base   del   funzionamento  

dell’assemblea  condominiale:  il  calcolo  delle  maggioranze  risulta  sempre  (le    eccezioni  sono   rarissime   e   appunto   sono   eccezioni     dalla   combinazione   di   due   elementi,   che  debbono   sussistere   congiuntamente,   ovvero     l’elemento   personale   (vale   a   dire   i  soggetti)  e  l’elemento  del  valore  (quote  di  partecipazione  al  godimento  dei  beni  e  delle  cose  comuni  espresse  in  millesimi).  L’esigenza  che  il   legislatore  ha  inteso  salvaguardare  è  quella  di  non  dare  eccessiva  

prevalenza  né  al  fattore  economico,  si  pensi  al  caso  di  un  unico  soggetto  proprietario  di  numerosi   appartamenti   e   quindi   portatore   di   molti   millesimi,   né   all’elemento  personale,  si  pensi  al  caso  di  proprietari  soltanto  di  boxes  o  cantine  che  se  numerosi  potrebbero  imporre  la  loro  volontà  all’interno  dell’assemblea.  L’assemblea  è  costituita  validamente  se  il  numero  legale  sussiste  al  momento  della  

costituzione   (apertura)   dell’assemblea,   essendo   irrilevanti,   ai   fini   della   costituzione  stessa,  successive  defezioni  nel  corso  dello  svolgimento.    Assemblea  in  seconda  convocazione  Il   codice   civile   all’art.   1136,   3°   comma,   stabilisce,   modificando   la   legislazione  

precedente,  un  quorum  minimo  per  la  validità  della  costituzione  dell’assemblea  anche  in  seconda  convocazione.  Il  quorum  costitutivo  è  formato  da  un  terzo  del  valore  dell’edificio  e  da  un  terzo  dei  

partecipanti  al  condominio.  In   seconda   convocazione   è   valida   la   delibera   assunta   con   il   voto   favorevole   della  

maggioranza  degli  intervenuti  con  un  numero  di  voti  che  rappresenti  almeno  un  terzo  del  valore  dell’edificio.      3.4  -­  Lo  svolgimento  e  le  deliberazioni  La  nomina  del  presidente  e  del  segretario.  La  presenza  dell’amministratore    Uno  dei  primi  compiti  dell’assemblea  è  provvedere  alla  nomina  del  presidente  e  del  

segretario.  Nessuna  norma  del  codice  impone  in  modo  esplicito  tale  nomina,  ma  è  una  prassi   consolidata   e   utile,   la   cui   validità   si   può   desumere   indirettamente   dall’art.   67  disp.  att.  c.c.  Il   presidente   è   validamente   eletto   dalla   maggioranza   semplice   dei   presenti   in  

assemblea,   limitando   il   computo   al   dato  numerico  delle  persone   senza   conteggio  dei  millesimi  (cfr.  Alberto  Celeste,  L’assemblea,  2003,  Giuffrè  Editore,  pag.  200.  

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I   compiti   del   presidente   sono   quelli   di   dirigere   l’assemblea,   controllando   innanzi  tutto  la  regolarità  della  convocazione  e  quindi  della  costituzione.  E’   altresì   compito   del   presidente   accertare   che   i   presenti   siano   legittimati   a  

presenziare   in   assemblea,   disciplinare   gli   interventi   ed   eventualmente   limitarne   i  tempi  al  fine  di  un  più  ordinato  svolgimento.    Il   segretario  viene  scelto  dal  presidente  o  eletto  dai   condomini,   e  ha   il   compito  di  

redigere   il   verbale   sotto   la   direzione   del   presidente.   Il   suo   è   un   incarico  meramente  esecutivo.  La  presenza  dell’amministratore  in  assemblea  non  è  obbligatoria,  nessuna  norma  lo  

impone.  E’  quasi  sempre  utile  e  opportuna.    Lo  svolgimento  e  le  modalità  di  votazione    Lo   scopo   dell’assemblea   è   quello   di   consentire   ai   condòmini   di   esaminare   e   di  

decidere  in  modo  collegiale  in  ordine  agli  affari  del  condominio.  Anche   per   questo   aspetto   della   vita   condominiale   il   legislatore   non   ha   ritenuto  

opportuno  disciplinare  in  modo  minuzioso  le  modalità  di  svolgimento  delle  assemblee  di  condominio,  ma  nel  corso  degli  anni  la  giurisprudenza  e  la  dottrina  hanno  elaborato  un   insieme  di   regole   che  hanno   colmato  alcune  delle   lacune  normative   e   soprattutto  hanno  dato  (o,  per  meglio  dire,  hanno  cercato  di  dare)  coerenza  al  sistema.  Gli  argomenti  di  discussione  assembleare  vanno  esaminati   seguendo   l’elencazione  

prevista  dall’ordine  del  giorno,  ma  nulla  vieta  che  in  assemblea  i  condomini  decidano  per  motivi  di  opportunità  di  discutere  prima  un  punto  e  poi  un  altro,  modificando  così  la   scaletta   dell’ordine   del   giorno;   è   sicuramente   illegittima   la   deliberazione   su   di   un  argomento  che  non  sia  all’ordine  del  giorno.  Sulla  base  di  quanto  sopra  precisato  sarebbe  consigliabile  non   inserire  nell’ordine  

del  giorno  la  rituale  voce  finale    “varie  ed  eventuali”:    infatti,  poiché  è  invalida  qualsiasi  deliberazione   presa   su   un   argomento   non   esplicitamente   all’ordine   del   giorno,   i  condomini   non   possono   assumere   alcuna   decisione   valida   sotto   la   voce   “varie   ed  eventuali”.  Se   invece   tale   punto   viene   inserito   all’ordine   del   giorno   al   solo   fine   di   consentire  

eventuali  comunicazioni   tra   i  condomini,  ovvero  tra   i  condomini  e   l’amministrazione,  tali  comunicazioni  possono  essere  validamente  rese  anche  senza  la  presenza  della  voce  “  varie  ed  eventuali  ”.    Il  presidente,  che  ricordiamo  dirige  l’assemblea,  pone  all’esame  dei  condomini  i  vari  

punti,  uno  per  volta,  seguendo  come  detto  l’ordine  del  giorno.  Esaminato   e   discusso   ciascun   punto,   dato   atto   con   la   trascrizione   nel   verbale   di  

assemblea  del   resoconto  dei  vari   interventi  e  delle  posizioni  espresse  dai  condomini,    la  discussione  si  chiude  con  la  votazione.  La  votazione  deve  (dovrebbe)  essere  di  approvazione  o  di  rigetto  della  proposta.    O  

sì  o  no.  I  voti  sono  sempre  positivi  o  negativi.  L’astenuto  è  comunque  da  considerare  come  

voto  negativo,  perché  non  è  di  approvazione  della  delibera.  La  trascrizione  nel  verbale  di  assemblea  dell’esito  della  votazione  deve  essere  fatta  

con  molta   accuratezza,   essendo   le   errate   trascrizioni   uno  dei  motivi   più   frequenti   di  successive  cause  di  impugnazione  delle  delibere.  Anche  se  può  apparire  banale  o  superfluo,  deve  essere  sottolineato  che  nel  verbale  

di   assemblea   deve   essere   scritto   esplicitamente   se   la   proposta   viene   approvata   o  respinta.  Chiunque  legga  il  verbale,  anche  anni  dopo,  anche  se  un  estraneo,  deve  essere  messo  in  condizioni  di  capire  senza  incertezze  ed  equivoci.  Nel  caso  in  cui  la  proposta  venga  approvata,  deve  essere  esplicitamente  indicato  nel  

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verbale  se  sia  stata  approvata  a  maggioranza  o  all’unanimità.    Nell’ipotesi  di  approvazione  a  maggioranza  debbono  essere  specificamente  indicati  

il   numero   di   voti   a   favore   e   quelli   contrari.   Poiché   la   giurisprudenza   è   costante   e  pacifica  nel  ribadire  ad  ogni  occasione  che  deve  sempre  essere  possibile  controllare  a  posteriori   l’esattezza   dell’esito   della   votazione,   allorché   una   deliberazione   sia   stata  assunta  a  maggioranza,  se  inizialmente  sono  stati  riportati  nel  verbale  i  nominativi  di  tutti   gli   intervenuti,   è   sufficiente   indicare   i   nominativi   almeno   di   coloro   che   hanno  votato  negativo,  così  da  consentire  la  verifica  dei  conteggi  della  votazione.  L’intero   sistema   è   costruito   in   modo   tale   da   precludere   il   voto   segreto;   basti  

considerare   che   il   principio   della   doppia   maggioranza   rende   necessario   sempre   il  conteggio  dei  millesimi.  Di  conseguenza  il  voto  deve  essere  :  a)  palese  ;  b)  per  appello  nominale  ;  c)  espresso  soltanto  da  chi  è  presente  (di  persona  o  per  delega),  non  valgono  quindi  

voti  telefonici  o  per  corrispondenza  ;  d)   distinto   per   ciascun   argomento   all’ordine   del   giorno.   Non   è   valido   un   voto  

generico  per  tutti  i  punti  all’ordine  del  giorno.    Il  conteggio  dei  voti  Primo  punto  basilare.  Una  proposta  viene  approvata  quando  riceve  i  voti  favorevoli  

della   maggioranza,   vale   a   dire   quando   i   voti   favorevoli   sono   più   numerosi   dei   voti  contrari.  E  precisamente  una  proposta  viene  approvata  (deliberazione)  quando  risulta  avere  

votato   a   favore   la   maggioranza   dei   soggetti   (l’elemento   personale),   la   quale  maggioranza  rappresenti  anche  la  maggioranza  dei  millesimi  (l’elemento  del  valore).  Ciascuna  deliberazione  cioè  deve  soddisfare  il  principio  della  doppia  maggioranza.  Una   proposta   di   delibera   che   raccolga   la   maggioranza   di   soltanto   uno   dei   due  

elementi  non  è  approvata.  Ma   avere   raggiunto   la   doppia   maggioranza   (maggioranza   dei   voti   favorevoli   che  

rappresenti  anche  la  maggioranza  dei  millesimi)  è  necessario,  ma  non  sufficiente.  La   delibera   è   approvata   validamente   quando   la   doppia   maggioranza   favorevole  

raggiunga  il  quorum  minimo  stabilito  dalla  legge  per  quel  tipo  di  delibera.  Riassuntivamente,  possiamo  dire  che  una  delibera  è  approvata  validamente  quando  

concorrono  tre  condizioni,  che  debbono  essere  tutte  e  tre  presenti  :  a)   abbia   votato   a   favore   la  maggioranza  dei   condomini  presenti,   di   persona  o  per  

delega  ;  b)  la  maggioranza  dei  condomini  presenti  che  ha  votato  a  favore  sia  portatore  anche  

della  maggioranza  dei  millesimi;  c)   la   maggioranza   dei   presenti   e   la   maggioranza   dei   millesimi   raggiungano   il  

quorum  minimo  previsto  dalla  legge.  Sul  punto  sono  utili  due  precisazioni.  Maggioranza  vuol  dire  semplicemente    “essere  

di  più”,  non  vuol  dire,  come  invece  molti  dicono,  la  metà  più  uno,  che  può  apparire  una  semplice   imprecisione,   ma   può   creare   (come   in   effetti   in   alcuni   casi   è   avvenuto)  contrasti   in   sede   di   deliberazione.   Il   sistema   di   calcolare   la   metà   più   uno   infatti  funziona  per  i  numeri  pari  :  ad  esempio  su  otto  condomini  la  maggioranza  è  di  cinque  (la  metà,  quattro,  più  uno).  Ma  non  funziona  con  i  numeri  dispari.  La  maggioranza  su  cinque   condomini   è   di   tre,   non   di   tre   virgola   cinque;   su   undici   condomini   è   di   sei  condomini,  non  di  sei  virgola  cinque.  Seconda   avvertenza,   il   fatto   che   a   volte   i   voti   favorevoli   raggiungano   il   quorum  

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minimo   previsto   dalla   legge   (ad   esempio,   nel   caso   in   cui   in   seconda   convocazione  votino  a  favore  dell’approvazione  del  rendiconto  la  maggioranza  dei  partecipanti,  il  cui  valore   millesimale   è   pari   ad   un   terzo   del   valore   dell’edificio,   così   soddisfacendo   il  requisito   del   quorum   chiesto   dall’art.   1136   c.c.)   non   implica   che   la   delibera   sia  approvata  se  i  millesimi  portati  dai  contrari  siano  maggiori.  Occorre   sempre   rammentare   che,   affinché   una   delibera   sia   approvata,   il   primo   e  

fondamentale   requisito,   tanto   banale   e   scontato   da   non   essere   giustamente  menzionato  dalla  legge,  è  che  i  voti  favorevoli  siano  di  più  di  quelli  contrari.    Le  maggioranze  semplici  e  quelle  qualificate  o  speciali    L’art.   1136   c.c.,   probabilmente   una   delle   norme   più   rilevanti   in   materia  

condominiale,  stabilisce,  a  seconda  delle  materie  in  discussione  in  assemblea,  le  varie  maggioranze  necessarie  per  la  validità  delle  relative  deliberazioni.  Ovviamente   la  norma   in   esame  è  ben   lungi  dall’esaurire   tutte   le   fattispecie   che   la  

vita   reale   ci   propone   quotidianamente,   pertanto   spesso   l’amministratore   dovrà   fare  riferimento  a  prassi  consolidate  o  agli  indirizzi  dettati  dalla  giurisprudenza.  Laddove   il   codice   non   specifica   alcunché,   significa   che   non   sono   previste  

maggioranze  particolari,   sicché  sono  necessarie  e  sufficienti   le  maggioranze  semplici,  intese  come  corrispondenti  alla  maggioranza  minima  prevista  dalla  legge,  vale  a  dire  :  a)   in  prima  convocazione  “sono  valide   le  deliberazioni  approvate  con  un  numero  di  

voti   che   rappresenti   la   maggioranza   degli   intervenuti   e   almeno   la   metà   del   valore  dell’edificio”.  b)   in   seconda   convocazione   “la   deliberazione   è   valida   se   approvata   dalla  

maggioranza  degli   intervenuti   con  un  numero  di   voti   che   rappresenti   almeno  un   terzo  del  valore  dell’edificio”.  L’art.  1136  c.c.  comma  4  individua  un  gruppo  di  materie  per  le  quali  le  deliberazioni  

in   seconda  convocazione  debbono  essere  assunte  con  un  quorum  minimo  più  alto  di  quello   semplice   ed   esattamente   è   richiesta   quella   stessa   maggioranza   che   in   prima  convocazione  deve  sempre  sussistere:  la  maggioranza  degli  intervenuti  pari  ad  almeno  la  metà  del  valore  dell’edificio.  In   altre   parole,   quel   quorum   minimo   che   in   prima   convocazione   costituisce   la  

maggioranza   necessaria   per   tutte   le   delibere   semplici,   diviene   il   quorum   speciale   in  seconda  convocazione.    Gli  argomenti  per  i  quali  è  prevista  la  predetta  maggioranza  qualificata  in  seconda  

convocazione  sono  :    a) la  nomina  e  la  revoca  dell’amministratore  ,  b) le   liti   attive   e   passive   relative   a   materie   che   esorbitano   dalle   attribuzioni    

dell’amministratore  medesimo  ;  c) la  ricostruzione  dell’edificio  o  riparazioni  straordinarie  di  notevole  entità  d) l’approvazione  del  regolamento  condominiale;  L’art.   1136   c.c.   comma   5   individua   un   altro   gruppo   di   argomenti   per   il   quale   è  

necessaria  una  maggioranza  qualificata,  ed  esattamente  le  deliberazioni  che  hanno  per  oggetto  le  “  innovazioni  ”  disciplinate  dall’art.  1120  c.c.  comma  1.  In  questo  caso  il  codice  chiede  che  le  deliberazioni  siano  “sempre  approvate  con  un  

numero  di  voti  che  rappresenti  la  maggioranza  degli  intervenuti  ed  almeno  i  due  terzi  del  valore  dell’edificio”.    Efficacia  delle  deliberazioni  Le  deliberazioni,  anche  quelle  assunte  a  maggioranza,  vincolano   tutti   i   condomini,  

assenti,   contrari   e   astenuti   compresi.     Vige   il   principio   che   le   decisioni   assunte   dalla  

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maggioranza   sono   vincolanti   anche   per   la  minoranza   dissenziente.     Le   deliberazioni  sono  immediatamente  esecutive.  L’impugnazione  dinanzi   al  Tribunale  di  una  delibera  non  ne   sospende   l’efficacia  e  

l’esecutività.    Anche   le  deliberazioni   in  astratto   invalide  sono  valide  ed  efficaci   fino  a  quando,  all’esito  di  un  giudizio  di  impugnazione,  il  Tribunale  non  le  abbia  cancellate.    Invalidità  delle  deliberazioni  L’art.   1137   c.c.   prevede   che   ciascun   condomino   dissenziente,   assente   e   astenuto  

possa  impugnare  le  deliberazioni  che  ritiene  siano  state  assunte  “contrarie  alla  legge  o  al  regolamento  di  condominio”.    Impugnazione  vuol  dire  ricorso  all’autorità  giudiziaria,  cioè  proporre  una  causa  contro  il  condominio.  Qualsiasi   attività   diversa   dal   ricorso   all’autorità   giudiziaria   non   costituisce  

impugnazione   di   delibera,   quindi,   al   fine   dell’impugnativa,   sono   del   tutto   irrilevanti  lettere   raccomandate,   fax,   telegrammi,   posta   elettronica,   telefonate,   o   qualsiasi   altra  forma  di  comunicazione.  In   buona   sostanza   l’impugnazione   è   la   presentazione   da   parte   di   un   condomino  

(tramite  la  rappresentanza  di  un  avvocato)  della  delibera  ritenuta  viziata  all’esame  del  magistrato,   il   quale   dovrà   accertare   la   sussistenza   o   meno   del   vizio   lamentato   e  provvedere  di  conseguenza.  L’art.   1137   c.c.   nella   sua   scarna   linearità   si   è   completamente   disinteressato   della  

qualificazione  dell’invalidità  della  delibera  da  impugnarsi,  cioè  non  si  è  minimamente  curato   della   distinzione   che   dottrina   e   giurisprudenza   da   sempre   hanno   operato   nel  diritto   privato   tra   “vizi   di   nullità   ”   e   “vizi   di   annullabilità”,   o   più   semplicemente   tra  “nullità”    e    “annullabilità”  dell’atto  viziato.  Dalla  semplice   lettura  dell’art.  1137  c.c.  risulterebbe  chiaro  che  il   legislatore  abbia  

inteso   stabilire   un   unico   regime,   tanto   semplificato   fino   ad   essere   draconiano   e  rigoroso,   per   porre   riparo   ad   una   delibera   illegittima:   il   condomino   dissenziente,  l’astenuto  e  l’assente  hanno  trenta  giorni  di  tempo  per  porre  al  vaglio  del  tribunale  la  delibera   che   presume   viziata.   Al   trascorrere   dei   trenta   giorni   -­‐   termine   veramente  troppo  esiguo   -­‐   senza   che  nessun   condomino   abbia   agito   in   sede   giudiziaria,   i   giochi  sono  fatti.  La  delibera  diviene  valida  ed  efficace  per  inerzia  degli  interessati,  vale  a  dire  dei  condomini  che  erano  contrari  alla  delibera  illegittima.  Ma   il   sistema   di   impugnazione   previsto   dall’art.   1137   c.c.   è   parso   da   subito  

effettivamente  troppo  scarno  e  semplice  a  tutti  o  quasi  gli  operatori  del  diritto,  siano  essi   studiosi   o   magistrati,   i   quali   hanno   correttamente   evidenziato   che   escludere  sempre   la   distinzione   tra   “nullità”     e   “annullabilità”   della   delibera,   oltre   ad   essere   in  contrasto   stridente   con   l’intero   sistema   del   diritto   civile,   possa   portare   nella   pratica  quotidiana  a  risultati  di  grave  ingiustizia.  Di  conseguenza   la  distinzione   tra  vizi   “di  nullità”  e  vizi   “di  annullabilità”  è   tornata  

prepotentemente   (tramite   le   sentenze   e   gli   studi   più   autorevoli)   nel   diritto  condominiale  e  con  tale  distinzione  dobbiamo  fare  i  conti,  che  non  sono  né  semplici  né  soprattutto  definitivi.  Come   è   facile   intuire,   la   “nullità”   è   un   difetto   più   grave,   più   radicale.     L’  

“annullabilità”  indica  un  vizio  meno  rilevante.  Ciò  che  è  estremamente  interessante  sono  le  differenze  tra  i  due  tipi  di  vizi,  sia  nelle  

conseguenze  di  carattere  sostanziale  che  processuale.  Infatti   giurisprudenza   e   dottrina   sono   concordi   nel   sostenere   che   il   regime  

dell’impugnazione   previsto   dall’art.   1137   c.c.   sia   applicabile   solo   per   le   delibere  “annullabili”.  Soltanto   queste   ultime   quindi   sono   impugnabili   unicamente   dai   condomini  

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dissenzienti  o  assenti  nel  breve  termine  di  trenta  giorni,  decorrente  per  il  dissenziente  dal   giorno   dell’assemblea   e   per   l’assente   dal   giorno   in   cui   ne   ha   avuto   piena  conoscenza.  Viceversa   le   delibere   “nulle”   (il   che   vuol   dire   che   non   sono   mai   sorte)   possono  

essere   impugnate   senza   limiti   di   tempo,   sono   quindi   imprescrittibili,   da   chiunque   vi  abbia   interesse.   Tale   diritto   spetta   a   ciascun   condomino,   anche   a   coloro   che   hanno  votato  a  favore,  anche  al  presidente    che  l’ha  dichiarata  valida.  Il  problema  fondamentale  è  che  non  esiste  un  elenco  certo  che  individui  quali  siano  

i  vizi  di  nullità  e  quelli  di  annullabilità.  E’  il  magistrato  incaricato  di  esaminare  il  caso  concreto  a  decidere  se  il  difetto  della  

delibera   impugnata   consista   in   motivo   di   nullità   o   di   annullabilità   e   ogni   singolo  magistrato  ha  la  piena  e  legittima  libertà  di  decidere  in  base  al  proprio  convincimento,  senza  essere  obbligatoriamente  vincolato  da  precedenti  in  materia.  Con   funzione   meramente   indicativa,   e   nella   consapevolezza   che   chiarisce   molto  

meno  di  quanto  prometta,  possiamo  riportare  la  distinzione  tra  nullità  e  annullabilità  delle  delibere,  tratta  dalla  nota  sentenza  della  Suprema,    la  quale  ribadisce  quanto  già  detto   in   numerose   altre   occasioni   :   “sono   assolutamente   nulle   le   deliberazioni  dell’assemblea  prive  dei  requisiti  essenziali  o  affette  da  vizi  relativi  alla  regolarità  della  costituzione   dell’assemblea   o   della   formazione   della   volontà   della   prescritta  maggioranza,  ovvero  prese  con  riguardo  ad  oggetto   impossibile  o   illecito  o  esorbitante  dai   limiti   dell’attribuzione  dell’assemblea,   o   concernenti   innovazioni   lesive  dei  diritti   di  ciascun  condomino  sulle  cose  comuni  o  su  quelle  di  proprietà  esclusiva  di  ognuno  di  essi,  mentre   sono   invece   semplicemente  annullabili   le   deliberazioni  affette  da   vizi   formali,   e  cioè  prese  in  violazione  di  prescrizioni  legali,  convenzionali  o  regolamentari  attinenti  al  procedimento  di  convocazione  o  di  informazione  dell’assemblea,  nonché  quelle  affette  da  eccesso  di  potere  e  quelle  viziate  da  incompetenza,  che  eccedono  cioè  il  campo  riservato  all’amministratore”  (Cass.  21  febbraio  1995,  n.  1890).        

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MODULO  N.  4      

Il  Regolamento  di  condominio  (Marco  Saraz)  

   4.1-­  Caratteri  Generali  In  base  all’art.  1138,  comma  1,  del  codice  civile  quando  in  un  edificio  il  numero  dei  

condomini   è   superiore   a   dieci,   deve   essere   formato   un   regolamento   le   cui   norme  debbono   disporre   circa   l’uso   delle   cose   comuni   e   la   ripartizione   delle   spese,   nonché  disciplinare   i   profili   della   tutela   del   decoro   architettonico   dell’edificio   e  dell’amministrazione.  Tali   previsioni   di   contenuto   del   regolamento   possono   essere   interpretate   come  

“contenuto  minimo”,  e  non  quindi  da  escludere  anche  l’emanazione  di    ulteriori  regole  intestine  conformemente  alle  peculiari  esigenze  dei  partecipanti.    Và   preliminarmente   precisato   che   il   Codice   Civile   disciplinando     la   materia   del  

Regolamento   condominiale   si   riferisce   esclusivamente   a   quello   avente   origine  assembleare   approvato   con   le   maggioranze   previste   dall’art.   1136,   II   co.   c.c.   (sia   in  prima   che   in   seconda   convocazione),   ed   allegato   nel   registro   dei   verbali   delle  assemblee  tenuto  dall’amministratore  (il  registro  di  cui  al  n.7  dell’art.  1130  c.c.).  Accanto   a   questo   (definito   anche   “ad   origine   interna”)   la   giurisprudenza   ha  

riconosciuto   piena   efficacia   giuridica   a   quello   “ad   origine   esterna”,   cioè   predisposto  dall’originario  unico  proprietario,  che  si  caratterizza  come  un  vero  e  proprio  contratto.  Il   Regolamento   condominiale   (di   qualunque   origine   esso   sia),   può   essere   definito  

“la  legge  interna  che  organizza  ed  articola  la  vita”  di  tutti  i  diversi  soggetti  giuridici  che  anche   a   diverso   titolo   (proprietari,   affittuari,   amministratore)   operano   nell’ambito  dell’edificio  condominiale.  Tenuto   a   mente   che,   come   di   seguito   si   approfondirà,   le   norme   inserite   nel  

regolamento   non   hanno   la   completa   facoltà   di   autodeterminazione   (avendo   il  legislatore   espressamente   previsto,   nello   stesso   art.   1138   c.c.,   che   alcune   norme  debbano   essere   ritenute   imperativamente   inderogabili),   si   suole   definire   il  regolamento  condominiale  come  “una  fonte  regolatrice  di  natura  secondaria”.  In  altre  parole,   il   regolamento  è  per   il   condominio  quello  che   lo   statuto  è  per  una  

società;  non  quindi  la  inutile  ripetizione  delle  norme  già  previste  dal  legislatore,  bensì  l  personalizzazione   di   queste   (per   quanto   sia   possibile   derogarle)   adattandole   alle  effettive   esigenze   di   regolamentazione   che   la   comunità   condominiale   riterrà  opportune.    4.2-­  Riferimenti  normativi      Prima  di  analizzare  i  vari  aspetti  del  regolamento  è  opportuno  richiamare  le  norme  

di   legge  applicabili  alla  fattispecie,   le  quali  sono  fondamentali  per  la  comprensione  di  ogni  suo  aspetto;  tali  norme  sono:    Art.  1138  -­‐  Regolamento  di  condominio    Quando  in  un  edificio  il  numero  dei  condomini  è  superiore  a  dieci,  deve  essere  formato  

un  regolamento,  il  quale  contenga  le  norme  circa  l’uso  delle  cose  comuni  e  la  ripartizione  delle  spese,  secondo  i  diritti  e  gli  obblighi  spettanti  a  ciascun  condomino,  nonché  le  norme  per  la  tutela  del  decoro  dell’edificio  e  quelle  relative  all’amministrazione.  

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Ciascun   condomino   può   prendere   l’iniziativa   per   la   formazione   del   regolamento   di  condominio  o  per  la  revisione  di  quello  esistente.  Il  regolamento  deve  essere  approvato  dall’assemblea  con  la  maggioranza  stabilita  dal  

secondo  comma  dell’art.  1136  ed  allegato  al  registro  indicato  dal  n.7)  dell’art.  1130.  Esso  può  essere  impugnato  a  norma  dell’art.  1107.  Le  norme  del  regolamento  non  possono   in  alcun  modo  menomare   i  diritti  di  ciascun  

condomino,   quali   risultano   dagli   atti   di   acquisto   e   dalle   convenzioni,   e   in   nessun   caso  possono   derogare   alle   disposizioni   degli   artt.   1118   secondo   comma,   1119,   1120,   1129,  1131,  1132,  1136  e  1137.  Le   norme   del   regolamento   non   possono   vietare   di   possedere   o   detenere   animali  

domestici.    Art.  68  disp.  att.  c.c.  Ove   non   precisato   dal   titolo   ai   sensi   dell’articolo   1118,   per   gli   effetti   indicati   dagli  

articoli   1123,   1124,   1126   e1136   del   codice,   il   valore   proporzionale   di   ciascuna   unità  immobiliare   è   espresso   in   millesimi   in   apposita   tabella   allegata   al   regolamento   di  condominio.  Nell'accertamento   dei   valori   di   cui   al   primo   comma   non   si   tiene   conto   del   canone  locatizio,  dei  miglioramenti  e  dello  stato  di  manutenzione  di  ciascuna  unità  immobiliare.      Art.  69  disp.  att.  c.c.  I  valori  proporzionali  delle  singole  unità  immobiliari  espressi  nella  tabella  millesimale  

di  cui  all'articolo  68  possono  essere  rettificati  o  modificati  all'unanimità.  Tali   valori   possono   essere   rettificati   o   modificati   anche   nell'interesse   di   un   solo  

condomino,  con  la  maggioranza  prevista  dall'articolo  1136,  secondo  comma,  del  codice,  nei  seguenti  casi:  1)  quando  risulta  che  sono  conseguenza  di  un  errore;  2)   quando,   per   le   mutate   condizioni   di   una   parte   dell'edificio,   in   conseguenza   di  

sopraelevazione,   di   incremento   di   superfici   o   di   incremento   o   diminuzione   delle   unità  immobiliari,  è  alterato  per  più  di  un  quinto  il  valore  proporzionale  dell'unità  immobiliare  anche  di  un  solo  condomino.  In  tal  caso  il  relativo  costo  è  sostenuto  da  chi  ha  dato  luogo  alla  variazione.  Ai   soli   fini   della   revisione   dei   valori   proporzionali   espressi   nella   tabella  millesimale  

allegata  al  regolamento  di  condominio  ai  sensi  dell'articolo  68,  può  essere  convenuto  in  giudizio   unicamente   il   condominio   in   persona   dell'amministratore.   Questi   è   tenuto   a  darne   senza   indugio   notizia   all'assemblea   dei   condomini.   L'amministratore   che   non  adempie  a  quest'obbligo  può  essere  revocato  ed  è  tenuto  al  risarcimento  degli  eventuali  danni  Le  norme  di   cui   al   presente   articolo   si   applicano  per   la   rettifica   o   la   revisione  delle  

tabelle   per   la   ripartizione   delle   spese   redatte   in   applicazione   dei   criteri   legali   o  convenzionali    Art.  70  disp.  att.  c.c.  Per   le   infrazioni   al   regolamento   di   condominio   può   essere   stabilito,   a   titolo   di  

sanzione,  il  pagamento  di  una  somma  fino  ad  euro  200  e,  in  caso  di  recidiva,  fino  ad  euro  800.  La  somma  è  devoluta  al  fondo  di  cui  l’amministratore  dispone  per  le  spese  ordinarie.        Art.  72  disp.  att.  c.c.  I   regolamenti   di   condominio   non   possono   derogare   alle   disposizioni   dei   precedenti  

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artt.  63,  66,  67  e  69.      4.3-­  Il  regolamento  di  condominio  obbligatorio  e  quello  facoltativo  Come  visto,  l’art.  1138  c.c.  prevede  che,  quando  il  numero  di  condomini  presenti  in  

un   edificio   sia   superiore   a   dieci   (cioè,   da   undici   in   poi),   divenga   obbligatoria   la  redazione   del   regolamento,   da   approvarsi   a   cura   dell’assemblea   con   la  maggioranza  qualificata  prevista    dall’art.  1136  comma  2    c.c.  Per   calcolare   correttamente   il   numero   dei   condomini   occorre   precisare   che   detto  

numero   và   calcolato   facendo   valere   per   uno   i   comproprietari   dello   stesso   “piano   o  porzione  di  piano”;  di  conseguenza  se,  per  esempio,  un  appartamento  appartiene  a  più  persone,  tale  complesso  di  comproprietari  vale  come  un  solo  condomino.  Analogamente,   se   una   stessa  persona   è   titolare  di   due   o  più  proprietà   distinte   ed  

esclusive,  questa  andrà  considerata  come  unica  ai  fini  del  calcolo  in  indagine.    Nel  caso  in  cui,   l’edificio  sia  costituito  da  meno  di  undici  condomini,   l’adozione  del  

regolamento  è  facoltativa.  Tale   regolamento   facoltativo,   tuttavia,   una   volta   approvato   dall’assemblea  

condominiale  ha  il  medesimo  valore,  e  vincolatività,  del  regolamento  obbligatorio.  Un’ulteriore   precisazione   è   necessaria   in   riferimento   al   significato   dei   termini  

“obbligatorio”  o  “facoltativo”.  Se  teniamo  presente  che  quando  si  parla  di  condominio  ci  si  riferisce  sempre  ad  una  

situazione   di   “proprietà   privata”   (seppur   con   più   d’un   titolare),   ben   comprendiamo  come  l’obbligatorietà    e  la  facoltatività  del  regolamento  assumono  un  aspetto  del  tutto  particolare.  Una  volta  ritenuto  che,    a    ben  vedere,  il  legislatore  non  ha  previsto  alcuna  sanzione  

nell’ipotesi   in   cui   un   condominio   che   si   trovasse   nella   condizione   di   dover  obbligatoriamente  adottare  un  regolamento  ne  fosse  privo,  l’aspetto  assume  rilevanza  allorquando   “anche   un   solo   condomino”   pretendesse   l’adozione   del   regolamento   e  l’assemblea   condominiale   -­‐o   perché   in   prevalenza   contraria   ovvero   in   quanto  impossibilitata   dal   mancato   raggiungimento   del   necessario   quorum   deliberativo-­‐  negasse  tale  richiesta.  In  tale   ipotesi,  allorchè   il  condominio  si   trovasse   in  regime  di  “obbligatorietà  della  

formazione  del  regolamento”  avrà  tutti   i  diritti  di  rivolgere  domanda  avanti   l’Autorità  Giudiziaria  (Tribunale  Civile)  affinchè  il  Giudice  imponga  la  sua  formazione  .  Nell’ipotesi  diversa  (condominio  formato  da  meno  di  undici  condomini  e  quindi  in  

regime   facoltativo   di   formazione   del   regolamento),   il   medesimo   condomino   si  vedrebbe  respinta   la  richiesta  giudiziale  una  volta  ritenuta   la  mancanza  di  obbligo   in  capo  ai  condomini  della  sua  adozione  .        4.4-­  Norme  contrattuali  e  regolamentatrici.  Sia   la   Dottrina   che   la   Giurisprudenza   erano   solite   distinguere   e   definire   i  

regolamenti   condominiali   in   due   diverse   figure   giuridiche:   contrattuale   ed  assembleare.  Laddove   per   contrattuale   si   doveva   intendere   il   regolamento   condominiale    

predisposto  dall’originario  costruttore  e  venditore  (unico  proprietario)  dell’immobile  preliminarmente   o   coevamente   allegato   ai   singoli   atti   di   acquisto,   od   in   essi  espressamente   richiamato,   le   cui   norme   ben   potevano   determinare   il   sorgere   o   di  oneri   reali   qualora   impongano   obblighi   ai   condomini   in   relazione   alle   cose   comuni  ovvero   di   diritti   reciproci   di   servitù   allorquando   limitino   le   reciproche   facoltà   di  godimento.  

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Diversamente,   per   assembleare   andava   inteso   il   regolamento   proposto   ed  approvato   dai   condomini   con   la   maggioranza   prevista   dall'art.   1136,   II   co,   c.c.,   ed  avente   l'esclusiva  potestà  di   regolamentare   la   vita   condominiale,  ma  difettando  della  possibilità  di  poter  porre  limiti  di  diritti  reali,  propri  unicamente,  come  detto,  di  quello  contrattuale.  Da   tale   distinzione   ne   discendeva   che   in   sede   assembleare   i   condomini   avevano  

l'unica  facoltà  di  approvare  norme  regolamentatrici  residuando  ad  esclusiva  facoltà  del  regolamento   esterno   la   possibilità   di   inserire   norme   contrattuali.,   nonché  ulteriormente  una  serie  di  conseguenti  applicazioni  (revoca  o  modifica  delle  norme).  Rivisitata   la  materia,   la   S.C.   di   Cassazione   e   la   dottrina   più   attuale   hanno   dettato    

principi  diversi  dei  quali  si  trarrà  qui  di  seguito  spunto.  Precisato   innanzitutto   che   debbono   intendersi   disposizioni   di   natura  

“Regolamentare”  tutte  quelle  clausole  del  Regolamento  che  riguardino  l’uso  delle  cose  comuni  e,  in  generale,  l’organizzazione  ed  il  funzionamento  dei  servizi  comuni,  magari  limitandone   l’utilizzazione   per   i   singoli   (tutti)   nell’interesse   collettivo   come   ad  esempio  fissandone  una  turnazione.  Diversamente   debbono   qualificarsi   norme   di   natura   “Contrattuale”   tutte   quelle  

clausole  del  Regolamento  che  limitano  i  diritti  dei  condomini  sulle  proprietà  esclusive,  o  comuni  e  quelle  che  attribuiscano  ad  alcuni  di  loro  maggiori  diritti  rispetto  ad  altri,  e  precisamente   quelle   relative   alla   ripartizione   delle   spese   condominiali,   quelle  limitative   dei   diritti   di   proprietà   esclusiva   e     quelle   limitative   dei   diritti   di   proprietà  comune;  Ciò  premesso,  come  già  innanzi  accennato,   il  regolamento  condominiale  può  avere  

origine   interna   (approvazione   assembleare)   od   esterna   (predisposto   dall'originario  costruttore-­‐venditore).  Sia   nell'ambito   del   regolamento   esterno   che   di   quello   interno   potranno   coesistere  

sia  norme  regolamentatrici  che  norme  contrattuali.  Tale  principio,  se  nulla  modifica  nell'ambito  del  regolamento  esterno,  diversamente  

si  pone  riguardo  quello  ad  origine  interna.  Difatti   l'attenzione   andrà   posta   non   più   genericamente   riguardo   l'origine   del  

regolamento,  bensì  circa  le  singole  e  specifiche  norme  ivi  contenute.  Pertanto  allorchè  venga  posto   in  approvazione  assembleare  un  regolamento  al  cui  

interno  coesistano  sia  norme  regolamentatrici  che  contrattuali,  ai  fini  della  loro  valida  approvazione   queste   andranno   distinte:   per   le   prime   sarà   sufficiente   il   quorum  assembleare  previsto  dall'art.  1136  II  co.  c.c.,  mentre  per  le  norme  c.d.  contrattuali  sarà  necessaria   esclusivamente   l'unanimità   dei   partecipanti   al   condominio   (pena   la  mancata  approvazione).  Da   ciò   ne   consegue   che   andranno   poste   al   vaglio   assembleare,   una   per   una,   le  

singole  norme  contenute  nel   regolamento,   e  quindi  valutato   caso  per   caso   il  quorum  specificatamente   raggiunto   per   poterne   dichiarare   la   loro   regolare   approvazione   o  meno.  E  non  quindi   il   regolamento  genericamente,   che,   in   tal   caso,  non  potrebbe   fornire  

tale   indicazione   necessaria   e   non   darebbe   la   facoltà   ai   partecipanti   di   poter  eventualmente  diversificare  la  loro  effettiva  volontà  circa  ognuna  delle  norme.    4.5-­  Modificabilità  delle  norme  del  regolamento    Da  quanto   innanzi  detto,  sarà  agile  giungere  a  ben  comprendere   l'iter  con   il  quale  

sarà   possibile  modificare   le   norme   del   Regolamento,   sia   esso   di   origine   interna   che  esterna.  Mentre   le   clausole   contrattuali   potranno   essere   modificate   solo   con   il   consenso  

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scritto  di  tutti  i  partecipanti  al  condominio  (unanimità),  quelle  regolamentari  potranno  essere   variate   dall'assemblea   con   la   maggioranza   di   cui   all'art.   1136   c.c.   2°   comma  (500   mil.)   ,   anche   se   formalmente   inserite   in   un   regolamento   ad   origine   esterna   o  contrattuale,  in  quanto  la  natura  di  una  norma,  ribadiamo,  dipende  esclusivamente  dal  suo  contenuto  piuttosto  che  dalla  sua  collocazione.  Altrettanto,   và   chiarito   che   anche   allorchè   norme   regolamentatrici   siano   state,   in  

origine,   approvate   con   l'unanimità   dei   partecipanti   al   condominio,   queste   saranno  sempre   modificabili   a   maggioranza   non   acquistando   per   l'assenso   di   tutti   carattere  contrattuale.  Quanto   al   "consenso   scritto"   necessario   per   le   clausole   contrattuali   (sia   in   sede   di  

approvazione  che  di  revoca  o  modifica)  questo  potrà  essere  ottenuto  anche  al  di  fuori  del  consesso  assembleare,  nell'ipotesi  uno  o  più  condomini  non  fossero  effettivamente  presenti  all'adunanza  .  Una   volta   considerata   la   necessità   della   forma   scritta   quanto   alle   clausole  

contrattuali  del    regolamento,  queste  poi  non  potranno  mai  essere  modificate  per  “fatti  concludenti  (c.d.“facta  concludentia”)  (Cass.  Sezioni  Unite  n.  943  del  30.12.1999).  In   ultimo   va   aggiunto   che   le   norme   del   regolamento   potranno   altresì   essere  

revocate  o  modificate  allorquando,  queste  fossero  divenute  illegittime  per  mutamento  delle   disposizioni   di   legge,   ovvero   se   trattasi   di   regolamenti   anteriori   al   28.10.1941  (l’art.  155  dd.aa.  c.c)  nel  momento  in  cui  vi  fossero  clausole  incompatibili  con  l’attuale  codice  civile.  In   tali   casi   non   occorre   alcuna   particolare   maggioranza   per   l’abrogazione   delle  

norme   contrarie   alla   legge,   mentre   per   la   sostituzione   di   esse   con   nuove   norme  conformi   alla   legge   occorrerà   sempre   la   maggioranza   di   cui   all’art.   1136   2°   co   c.c.,  trattandosi  in  sostanza  di  approvare,  in  tutto  o  in  parte,  un  nuovo  regolamento.    4.6-­  I  limiti  della  potestà    regolamentare  L'ultimo   comma   dell'art.   1138   c.c.   stabilisce   un   triplice   ordine   di   limite   al   potere  

dispositivo  delle  norme  del  regolamento  di  condominio.  Il  primo,"generico",  che  tali  norme  non  possono  "in  alcun  modo"  menomare  i  diritti  

di  ciascun  condomino,  quali  risultano  dagli  atti  di  acquisto  e  dalle  convenzioni  (se  non  con  l'unanimità  dei  consensi).  Il  secondo,  specifico,  relativamente  alle  disposizioni  in  ordine:    

- ai   diritti   dei   partecipanti   sulle   cose   comuni   (1118   2°co   c.c.),   il  condomino  non  può,  rinunziare  al  suo  diritto  sulle  parti  comuni;  

- all’indivisibilità  delle  parti   comuni   (1119   c.c.),  a  meno   che   la   divisione  possa  farsi  senza  rendere  più   incomodo  l’uso  della  cosa  a  ciascun  condomino  e  con  il  consenso  di  tutti  partecipanti;  

- alle  innovazione  (1120  c.c.),  riguarda  l’inderogabilità  delle  maggioranze  necessarie   per   la   loro   approvazione,   le   prescritte   agevolazioni   di   quorum  assembleari  riguardo  particolari  opere  innovative,  il  divieto  di  eseguire  le  stesse  in   determinate   ipotesi,   nonché   l’obbligo   di   peculiari   indicazioni   cui  l’amministratore  è  tenuto  in  sede  di  convocazione  in  tali  ipotesi;  

- alla   nomina   ed   alla   revoca   dell’amministratore   (1129   c.c.);   nessun  regolamento  può  modificare  quanto  disposto  dalla  Legge  in  ordine  alla  nomina  ed  alla  revoca  dell’amministratore;  

- alla  rappresentanza  nelle  liti  (1131  c.c.);  non  possono  essere  derogati  o  sottratti   i   poteri   di   rappresentanza   sostanziale   e   processuale   dell’Amm.re.   Di  contro  è  lecita  la  clausola  che  attribuisca  al  medesimo  maggiori  poteri.  

- al  dissenso  dei  condomini  rispetto  alle  liti  (1132  c.c.)  

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- alla  costituzione  dell’assemblea  e  la  validità  delle  delibere  (1136  c.c.);  - all’impugnazione   delle   delibere   (1137   c.c.)   si   riferisce   alla  

obbligatorietà   delle   delibere   assembleari   nei   confronti   di   tutti   i   condomini   ed  alle  modalità  d’impugnazione,  in  senso  assoluto  ed  anche  estesa  agli  artt.  63,  66,  67,   e   69   dd.   aa.   C.c.   quali:   la   possibilità   di   richiedere   decreto   ingiuntivo   per  riscuotere   i   contributi,   alla   solidarietà   del   condomino   subentrante   nel  pagamento   degli   oneri   relativi   all’anno   in   corso   e   a   quello   precedente,  all’eventuale  sospensione  dei   servizi  per  morosità  (63),  alla  convocazione  delle  assemblee  straordinarie  (66)  all’intervento  in  assemblea  mediante  deleghe  (67),  ai  casi  tassativi  di  revisione  dei  valori  delle  tabelle  millesimali  (69).  

In  tali  ipotesi  normative,    non  è  ammessa  "in  nessun  caso"  alcuna  deroga  trattandosi  di  materie  che  eccedono  la  mera  gestione  condominiale.  Nell'ipotesi   un   regolamento   condominiale,   sia   esso   di   origine   esterna   che  

assembleare,   contenesse   al   suo   interno   norme   disciplinanti   in   forma   diversa   i  contenuti  dei  suddetti  articoli  assolutamente   inderogabili,   tali  norme  sarebbero  nulle  ed  impugnabili  avanti  il  Tribunale  senza  limite  di  tempo.  Frequente  esempio  di  violazione  di  tale  inderogabilità  assoluta  era  riscontrabile  nei  

regolamenti   predisposti   dall'originario   costruttore-­‐venditore,   al   cui   interno   erano  spesso   inserite   clausole   a   mezzo   delle   quali   veniva   riservata   la   nomina  dell'amministratore  esclusivamente  al  medesimo  per  un  certo  arco  di  tempo.  Il  terzo  limite,  previsto  al  5°  comma  dell'art.  1138  c.c.,  esclude  categoricamente  che  

il   regolamento   (assembleare   o   contrattuale   che   sia)   possa   vietare   "di   possedere   o  detenere  animali  domestici";  neppure  con  il  consenso  unanime  dei  partecipanti.  Allorchè   regolamenti,   approvati   anteriormente   all'entrata   in   vigore   di   tale   norma  

(18.6.2013)   prevedessero   tale   divieto   la   categorica   previsione   di   cui   al   5°   comma  dell'art.  1138  c.c.  comporterà   la  sopravvenuta  automatica   inefficacia  di   tale  norma  di  divieto.    E  ciò  quantunque,  in  tal  senso,  non  sia  stata  prevista  una  norma  analoga  all'art.  155,  

comma  2,  delle  disp.  transitorie  cod.  civ.  .    4.7-­  L’opponibilità  del  Regolamento  E’   evidente   che   gli   obblighi   contrattuali   scaturenti   dal   regolamento   assolvono   le  

loro  funzioni  unicamente  se  vincolano  non  soltanto  i  soggetti  stipulanti,  ma  pure  tutti  i  loro  aventi  causa,  successivi  titolari  di  diritti  sugli  immobili  gravati  da  tali  obblighi.    Poiché   l’art.   1372   c.c.   prevede   che   gli   atti   negoziali   di   regola   “producono   effetti  

soltanto   fra   le  parti”,   si  pone   il  problema  dell’opponibilità  di   tali  vincoli  nei  confronti  dei  successivi  “aventi  causa”.  Se  nessun  dubbio  sorge  riguardo  gli  eredi  dell’originario  condomino,  che  in  quanto  

tali   subentrano   automaticamente   nella   sua   stessa   posizione   giuridica,   ovvero   nei  confronti   del   conduttore   anch’esso   tenuto   al   rispetto   delle   norme,   notevoli   difficoltà  potrebbero  emergere  circa  i  successivi  acquirenti  dell’unità  immobiliare  gravata  da  un  regolamento  contenente  obblighi  e  limitazioni  di  natura  contrattuale.  In   tale   ipotesi,   il   regolamento   sarà   opponibile   ai   terzi   acquirenti   purchè   il  

regolamento  sia  stato  trascritto  nei  pubblici  registri  immobiliari  della  conservatoria,  o  comunque  espressamente  accettato  da  chi  subentra  nella  proprietà  dell’immobile.  Quindi   a   seguito   della   trascrizione   del   regolamento   di   condominio   contenente  

norme   contrattuali   (inserito   o   allegato   nel   contratto   di   compravendita)   si   attua   la  funzione  di  rendere  conoscibile  ai  terzi  acquirenti  e  di  renderlo  opponibile.  Contrariamente,   l’omessa   trascrizione   determina   l’inopponibilità   ai   successivi  

acquirenti  delle  clausole  limitative  dei  diritti  esclusivi  di  proprietà.,  i  quali,  per  l’effetto,  

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in  tal  caso  non  sono  tenuti  al  rispetto  di  dette  eventuali  norme,  differentemente  dagli  altri  condomini.    4.8-­  Sanzioni  Il  codice  (art.  70  disp.  Att.)  prevede  la  possibilità  di  irrogare  sanzioni  nei  confronti  

dei  condomini  irrispettosi  delle  disposizioni  regolamentari.  È   prevista   la   comminazione   di   una   “multa”   per   le   infrazioni   al   regolamento  

consistente  nel  “pagamento  di  una  somma  fino  ad  euro  200  e,  in  caso  di  recidiva,  fino  ad  euro  800”  da  devolversi  al  fondo  per  le  spese  ordinarie.  Tale   sanzione,   correlata   esclusivamente   ad   un’infrazione   al   regolamento   di  

condominio,   viene   applicata   dall’amministratore   e   non   necessita   di   alcuna  autorizzazione  (preventiva  o  successiva)  dell’assemblea.  A   sua   volta   il   condomino   sanzionato   in   sua   difesa   avrà   la   facoltà   di   ricorrere  

all’assemblea  mediante  il  reclamo  previsto  dall’art.  1133  c.c.  Sebbene   l’art.   70   dd.aa.   c.c.   non   sia   prevista   come   norma   inderogabile,   la  

Giurisprudenza   ha   più   volte   dichiarato     illegittimo   aumentare   la   misura   di   tale  sanzione,   pertanto   l’importo   previsto   all’art.70   disp   att.   andrà   inteso   come   limite  invalicabile,  e  sarà  nulla  una  eventuale  previsione  regolamentare  che  dovesse  stabilire  una  misura  maggiore.  Altrettanto  andrà  tenuto  a  mente  che  la  suddetta  sanzione  potrà  essere  comminata  

solo  ed  esclusivamente  riguardo  alle  infrazioni  di  espresse  disposizioni  regolamentari,  e   non   quindi   in   inottemperanza   a   previsioni   contenute   in   mere   deliberazioni  assembleari.  Sempre   la   Suprema  Corte  di  Cassazione  ha,   più   volte   ribadito   che   le   sanzioni  non  

possono  essere  comminate  nei  confronti  del  conduttore.    4.9-­  Aspetti  pratici    Una   volta   chiariti   e   tenuti   a   mente   gli   aspetti   normativi   del   regolamento  

condominiale,   sarà  utile   sottolineare  alcune  regole-­‐guida  che   l’amministratore  dovrà,  nella  pratica,  seguire.  

1. L’Amministratore   che   assume   l’amministrazione   di   un   condominio,   dovrà  immediatamente   informarsi   se   vi   è   un   Regolamento,   e   nell’ipotesi   positiva  leggerlo  attentamente  e  rispettarlo  (si  pensi  ad  eventuali  disposizioni  circa   le  convocazioni  assembleari  o  le  ripartizioni  delle  spese).  

2. Se   il   condominio   sia   del   tutto   sprovvisto   di   regolamento   ed   il   numero   dei  condomini  è  superiore  a  dieci,  gli  spetterà  il  compito  di  proporre  all’assemblea  –per  l’approvazione-­‐  un  regolamento,  avendo  cura    (se  esistono  patti  relativi  al  condominio  nei  rispettivi  atti  di  acquisto)  di  non  predisporre  norme  contrarie  a  quei  patti,  che  potranno  essere  derogati  solo  all’unanimità  .  

3. Il   procedimento   di   adozione   è   quello   di   una   normale   deliberazione  dell’assemblea  condominiale  .    

Sull’inserimento   dell’argomento   nell’ordine   del   giorno   contenuto   nell’avviso   di  convocazione,  vale   la  pena  di  precisare  che,  al   fine  di  una  più  completa   informazione  dei  condomini,  è  opportuno  che  il  testo  del  regolamento  possa  essere  preliminarmente  consultato  senza  limitazioni  da  questi  ultimi.  Ciò  può  avvenire  o  mediante   la  sua  allegazione  all’avviso  di  convocazione,  oppure  

attraverso   l’indicazione,   contenuta   nel   testo   dell’avviso   stesso,   della   disponibilità   del  documento  presso  lo  studio  dell’amministratore.  

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Tale  precauzione  si  rende  necessaria  in  quanto  il  testo  del  regolamento,  per  la  sua  complessità  ed  ampiezza,  non  consente  una  piena  analisi  nella  sola  sede  della  riunione  dell’assemblea  condominiale.  

4. Le   norme   contrattuali   (approvate   all’unanimità)   prevalgono   sulle   norme   del  codice  civile  e  delle  disposizioni  di  attuazioni,    ma  non  prevalgono  sulle  norme  espressamente  dichiarate  inderogabili  dagli  art.  1138  c.c.  e  72  disp.att..  

5. Le  norme  regolamentatrici,  se  approvate  a  maggioranza  dall’assemblea,  invece,  devono  essere  sempre  conforme  a  tutte  le  norme  di  legge.      

   Per  chi  ne  volesse  sapere  di  più…    

Il  Codice  stabilendo  che  il  R.  è  obbligatorio  allorché  i  partecipanti  al  cond.  sono  superiori  a  10,  non  esclude  la  facoltà  di  poter  approvare  o  accettare  un  R.  anche  se  i  condomini  siano  di  numero  inferiore  ad  11.  

  Il   R.   invece   non   può   essere   formato   qualora   i   condomini   siano  

solo  due,  mancando  la  possibilità  di  una  maggioranza  qualificata  (in  tal  caso   per   la   regolamentazione   dei   rapporti   si   applicano   le   disposizioni  relative  alla  comunione  artt.  da  1100  a  1116  c.c.  .  

  Ai   divieti   di   utilizzo   delle   proprietà   esclusive   non   si   applicano  

criteri  di  analogia,  pertanto  è  lecito  destinare  a  ristorante  un  locale  insito  in  un  cond.  il  cui  R.  vieta  “attività  recanti  disturbo  o  pregiudizio”.  

  E’   legittima   la   clausola   (contrattuale)   che   escludesse   uno   o   più  

condomini   da   un   certo   tipo   di   spesa,   ovvero   le   attribuisse   ad   un   solo  condomino;  

  E’   illegittima   la   clausola   che   impone   e   limita   la   vendita   della  

singola  proprietà  esclusivamente  agli  altri  condomini      

E’   legittima   la   clausola   del   Regolamento   che   stabilisca   che   le  funzioni  di  amministratore  siano  esercitate  fra  un  professionista  scelto  in  una  determinata  categoria  specializzata.  

  E’   legittima   la   clausola   del   Regolamento   che   stabilisca   di  

sottrarre   alcuni   determinati   poteri   riservandoli   all’assemblea,   in  considerazione  della  derogabilità  dell’Art.  1130  c.c.  

  Il   regolamento   di   condominio   predisposto   dall'originario   (ed  

unico)   proprietario   dell'edificio   è   vincolante   per   gli   acquirenti   delle  singole   unità   immobiliari   (purché   richiamato   ed   approvato   nei   singoli  atti   di   acquisto)   nella   sola   ipotesi   che   il   relativo   acquisto   si   collochi   in  epoca   successiva   alla   predisposizione   del   regolamento   stesso,   e   non   nel  periodo   antecedente   tale   predisposizione,   ancorché   nell'atto   di   acquisto  sia  previsto  l'obbligo  di  rispettare  il  regolamento  “da  redigersi  in  futuro”,  mancando,   in   tal   caso,   uno   schema   negoziale   definitivo,   suscettibile   di  essere   compreso   per   comune   volontà   delle   parti   nell'oggetto   del  contratto.

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    LE  TABELLE  MILLESIMALI    

4.10-­  Nozioni  Generali  Nel  condominio  coesistono  due  ben  distinti  insiemi  di  beni:  da  una  parte  le  porzioni  

di  piano  appartenenti  in  proprietà  esclusiva  ai  singoli  condomini,  e  dall’altra,  l’insieme  dei  beni  e  degli  impianti  comuni  dei  quali  tali  condomini  sono  comproprietari  secondo  una  quota  indivisa.  Al   fine  di  coadiuvare   la  gestione  del   fabbricato,   il   legislatore  ha  previsto  "apposita  

tabella"   millesimale   che   ha   la   funzione   essenziale   di   "rappresentare   il   rapporto   di  valore   proporzionale   di   ciascuna   unità   immobiliare"   consistente   nella   quantificazione  della   relazione   che   intercorre   tra   ciascuna   singola   proprietà   e   la   somma   di   tutte   le  ulteriori  unità  immobiliari  sia  esclusive  che  condominiali.  In  particolare  l’art.  68  delle  disp.  att.  c.c.  dispone  quanto  segue:  “Ove   non   precisato   dal   titolo   ai   sensi   dell’articolo   1118,   per   gli   effetti   indicati   dagli  

artt.   1123,   1124,   1126   e   1136   del   codice,   il   valore   proporzionale   di   ciascuna   unità  immobiliare   è   espresso   in   millesimi   in   apposita   tabella   allegata   al   regolamento   di  condominio.  Nell’accertamento   dei   valori   di   cui   al   primo   comma   non   si   tiene   conto   del   canone  

locatizio,  dei  miglioramenti  e  dello  stato  di  manutenzione  di  ciascuna  unità  immobiliare.  Che,   sostanzialmente,   afferma   il  principio  che  nel   condominio,   è  necessario  che   in  

una   tabella   (allegata   al   regolamento)   sia   precisato   il   valore   in  millesimi   di   ciascuna  unità   immobiliare,   ragguagliato   a   quello   dell'intero   edificio,   e   che   dette   tabelle   sono  finalizzate   a   coadiuvare   la   gestione   del   fabbricato   sia   al   fine   della   ripartizione   delle  spese,  sia  affinchè  il  procedimento  assembleare  possa  più  agevolmente  svolgersi.  Tale  disposizione  si  collega  con  il  disposto  dell’art.  1118  co.  1  c.c.  secondo  il  quale  “il  

diritto   di   ciascun   condomino   sulle   parti   comuni,   salvo   che   il   titolo   non   disponga  altrimenti,  è  proporzionale  al  valore  dell’unità  immobiliare  che  gli  appartiene”.  A   tal   proposito,   però,   sarà   utile   precisare   che   tale   principio   non   concede,   al  

condomino   titolare   di   più  millesimi     il   diritto   di   utilizzare   più   intensamente   il   bene  comune   a   scapito   di   coloro   che   ne   hanno   meno;   difatti   la   facoltà   di   esercizio,  contrariamente,  rimarrà  (salvo  regolamento)  identico  fra  tutti  partecipanti.  In  buona  sostanza,  tale  principio  non  dà  diritto  a  chi  possiede  un  maggior  numero  

di  millesimi  di  poter  parcheggiare  nel  garage  comune  un     “suv”,   ed  a  chi  ne  possiede  meno  una  piccola  utilitaria,  ma  esclusivamente  di  essere  titolare  di  maggiore  capacità  decisionale   in   sede   assembleare   e,   lato   dolente,   il   dovere   di   partecipare   in   misura  maggiore  alle  spese  conseguenti.    Nella  suddetta  norma,  sono  altresì  previsti  alcuni  criteri  di  redazione  delle   tabelle  

millesimali,  e  precisamente:  –   i  valori  devono  essere  espressi  in  millesimi;  –   nell’accertamento  di  tali  valori  non  si  deve  tener  conto  del  canone  locatizio,  dei  

miglioramenti  e  dello  stato  di  manutenzione  delle  unità  immobiliari.    Ulteriori   regole   (in   particolare   per   la   revisione   delle   tabelle)   sono   poi   previste:  

dall'art.  69  disp.  att.  c.c.:  “I   valori   proporzionali   delle   singole   unità   immobiliari   espressi   nella   tabella  

millesimale  di    cui    all'articolo    68    possono  essere  rettificati  o  modificati  all'unanimità.  Tali   valori   possono   essere   rettificati   o   modificati,     anche     nell'interesse     di     un     solo  

condomino,  con  la  maggioranza  prevista    dall'articolo    1136,    secondo  comma,  del  codice,  nei  seguenti  casi:    

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1) quando  risulta  che  sono  conseguenza  di  un  errore;  2) quando,   per   le   mutate   condizioni   di   una     parte     dell'edificio,   in  

conseguenza  di   sopraelevazione,  di   incremento  di     superfici     o     di   incremento  o  diminuzione  delle  unita'  immobiliari,    e'    alterato    per  piu'  di  un  quinto  il    valore    proporzionale     dell'unita'     immobiliare   anche   di   un     solo     condomino.   In     tal    caso    il    relativo    costo    e'  sostenuto  da  chi  ha  dato  luogo  alla  variazione.  

Ai  soli  fini  della    revisione    dei    valori    proporzionali    espressi  nella  tabella  millesimale  allegata  al  regolamento    di    condominio    ai  sensi  dell'articolo  68,  puo'  essere  convenuto  in  giudizio    unicamente  il  condominio  in  persona    dell'amministratore.    Questi    e'    tenuto    a  darne      senza      indugio      notizia      all'assemblea      dei        condomini.  L'amministratore  che  non   adempie   a   quest'obbligo   puo'   essere   revocato   ed   e'   tenuto   al   risarcimento   degli  eventuali  danni.    Le  norme  di   cui  al  presente  articolo   si  applicano  per   la     rettifica  o   la   revisione  delle  

tabelle   per   la   ripartizione   delle   spese     redatte   in   applicazione   dei   criteri   legali   o  convenzionali».    4.11-­  Mancanza  delle  tabelle  millesimali  Se,  come  di  seguito  si  approfondirà,  l'adozione  delle  tabelle  millesimali  da  parte  del  

condominio   potrà   validamente   avvenire   o   in   quanto   allegate   al   regolamento   di  condominio   predisposto   dall'originario   unico   proprietario,   ovvero   una   volta  validamente   approvate   in   sede   assembleare,   tuttavia   le   tabelle   millesimali,   pur  ponendosi   come   "centro"   della   vita   del   condominio,   costituendone   uno   strumento  irrinunciabile  per  una  corretta  gestione,  non  sono   formalmente   indispensabili  né  per  l’esistenza  del  condominio,  né  per  il  funzionamento  dell’assemblea.  In   altre   parole,   le   tabelle   "agevolano   ma   non   condizionano   la   gestione   del  

condominio"  (A.  Celeste  e  Cass.  23.6.1998),  che  è  ugualmente  possibile  e  valida  anche  in  loro  assenza  come  affermato  dallo  stesso  Dr.  Triola  che  lapidariamente    precisa  “la  preesistenza  delle  tabelle  millesimali  non  è  necessaria  per  la  gestione  del  condominio”.  Tale   principio   è   presente   costantemente   anche   nella   giurisprudenza   del   Supremo  

Collegio,  per  il  quale:    “In   tema   di   condominio   negli   edifici,   le   tabelle   millesimali   possono   esistere   (o   non  

esistere),  non  potendosi  escludere  che   i  condomini,   in  mancanza  di  un  regolamento  con  annesse  tabelle,  possano,  ai   fini  della  ripartizione  delle  spese  (di   tutte  o  alcune  di  esse),  accordarsi   liberamente   tra   loro   stabilendone   i   criteri,   purché   sia   rispettata   la  quota  di  spesa   posta   a   carico   di   ciascun   condomino   e   la   quota   di   proprietà   esclusiva   di   questi,  essendo   il   criterio   di   ripartizione   previsto   dalla   legge   (art.   1123)preesistente   ed  indipendente   dalla   formazione   delle   tabelle.   Del   resto,   la   (pre)esistenza   di   tabelle  millesimali  non  è  necessaria  per  il  funzionamento  e  la  gestione  del  condominio,  non  solo  ai   fini  della  ripartizione  delle  spese  ma  neppure  per   la  costituzione  delle  assemblee  e   la  validita'  delle  deliberazioni,  tanto  piu'  se  si  considera  che  la  necessita'  del  regolamento  di  condominio  e  delle  annesse  tabelle  millesimali  e'  obbligatoria    per  i  condomini  con  piu'  di  dieci  partecipanti  (fra  le  ultime    Cass.  Sez.  II,  10/02/2009  n  3245)    Pertanto,   nel   caso   che   il   condominio   non   si   sia   dotato   di   tabelle,   sarà   necessario  

individuare   ed   applicare   un   criterio   (preferibilmente   provvisorio   e   salvo   conguaglio  successivo  all’adozione  delle   tabelle)  delle  quote  di   valore   con   le  quali  procedere   sia  alle  deliberazioni  sia  alle  ripartizioni  delle  spese.    4.12-­  La  redazione  delle  tabelle  Se  consideriamo  che   le   tabelle  millesimali  sono   la  rappresentazione  aritmetica  di  

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un  rapporto  di  valore,  ben  comprendiamo  come  la  loro  redazione,  pur  non  incidendo  su  detto  valore,  consista,  in  realtà,  nell’individuazione  di  tale  valore.  Dal  punto  di  vista  pratico,  il  valore  di  un  immobile    viene  individuato  per  mezzo  di  

una  vera  e  propria  perizia,  affidata  ad  un  tecnico  specializzato  (perito  estimatore).    La  perizia,  sia  pur   in  assenza  di  un  dato  normativo  vincolante   in  ordine  al  criterio  

da   adottare,   dovrà   essere   effettuata   tenendo   conto   non   solo   della   misura   della  superficie   o   del   volume   delle   porzioni   di   piano,   ma   anche   della   destinazione   degli  ambienti,  dell'orientamento  e  della  luminosità.    Contrariamente,   come  espressamente  previsto  dall'art.  68  2°  comma  disp.  att.   c.c.,  

non  si  dovrà  tener  conto  né  del  canone  locatizio,  né  dei  miglioramenti  o  dello  stato  di  manutenzione.    In   ogni   caso,   il   risultato   delle   operazioni   dovrà   consistere   in   un   importo   di  

valutazione  che  sia  corrispondente  al  valore  dell’immobile.  Nella  prassi  si  è  soliti  utilizzare  le  istruzioni  previste  nelle  circolari  del  Ministero  dei  

Lavori  Pubblici    n.  12480  del  1966  e  n.  2945  del  1993  recanti  “Norme  per  i  collaudi  dei  fabbricati  costruiti  da  cooperative  edilizie  fruenti  di  contributo  statale  per  la  ripartizione  delle   spese   fra   i   singoli   soci”,     nelle   quali   sono   riportate   una   serie   di   criteri   di  valutazione   che   prevedono   l’applicazione   di   un   coefficiente   (di   apprezzamento   o   di  deprezzamento)  relativamente  ai  seguenti  aspetti  dell’immobile:  –   destinazione:   si   applica   a   ciascun   vano   della   porzione   tenendo   in  

considerazione   le   dimensioni   planimetriche   degli   ambienti   al   fine   di   valutare   la  valorizzazione,   o   meno,   dell’utilizzabilità   della   superficie   in   base   alla   relativa  ubicazione;  –   altezza  del  piano:  valuta  l’altezza  rispetto  all’esterno  del  fabbricato;  –   orientamento:   si   utilizza   con   riferimento   ai   punti   cardinali   calcolati   per  

quadranti;  –   prospetto:   riguarda   la   veduta   verso   l’esterno,   differenziando   le   unità   che   si  

affacciano  su  giardini,  su  strade,  su  piazze,  su  vie  di  grande  traffico  e  molto  rumorose,  su  strade  strette  e  calcolando  anche  la  distanza  dalla  facciata  dello  stabile  prospiciente;  –   luminosità:   si   calcola   secondo   i   valori   interni,   considerando   il   rapporto   tra   la  

superficie   illuminante   (finestre,   finestrini,   luci,   balconi)   e   la   superficie   illuminata   (i  vani);  –   funzionalità  globale:  tiene  presente  la  distribuzione  della  superficie  utile.  Il   perito,   inoltre,   oltre   a   redigere   le   tabelle   vere   e   proprie,   stilerà   una   relazione  

illustrativa,   nella   quale,   oltre   a   riportare   una   descrizione   sommaria   dell’immobile  (consistenza  e  ubicazione),  dovrà  esporre  i  criteri  adottati  nelle  operazioni  estimative,  i   coefficienti   fissati   per   le   differenti   caratteristiche,   nonché   il   procedimento   adottato  per  la  compilazione;    4.13-­  Le  diverse  tipologie  Le  tabelle  millesimali  possono  essere  suddivise  in  due  categorie:  

• principali:  pressoché   indispensabili  ad  ogni  condominio  a  prescindere  dalla  sua  composizione;  

• secondarie:   che,   solitamente,   si   rendono   necessarie   nei   complessi  immobiliari  più  articolati,  e  dotati  di  impianti  particolari.  

Fra  le  prime  possono  essere  annoverate:  • tabella  “A”,  detta  anche  “di  proprietà”:  è  relativa  al  valore  condominiale  

delle  diverse  unità   immobiliari  costituenti   il  condominio  e  riporta   la  quota  di   comproprietà   sui   beni   e   impianti   comuni.   Essa   è   necessaria   sia   per   il  funzionamento  dell’assemblea  (valutazione  dei  quorum  per  la  costituzione  e  

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per  la  deliberazione  -­‐  cfr.  art.  1136  c.c.),  sia  per  procedere  alla  ripartizione  delle   spese   (necessarie   per   il   godimento   delle   parti   comuni,   per   la  prestazione  dei  servizi  e  per  l’effettuazione  delle  innovazioni).  E’  importante  sottolineare  come  la  tabella  “A”  abbia  incidenza,  diretta  o  indiretta,  anche  su  tutte  le  altre  tabelle;  

• tabella   “B”:   è   relativa   alla   ripartizione  delle   spese  di  manutenzione  e  ricostruzione  delle  scale,  da  redigersi   secondo   i  parametri  previsti  dall’art.  1124  c.c.;  

• tabella   “C”:   riguardante   la   ripartizione   delle   spese   di   esercizio   e   di  manutenzione   dell’impianto   di   ascensore   ed   anch’essa   commisurata   al  disposto  dell’art.  1124  c.c.;  

• tabella   “D”:   relativa   alla   ripartizione   delle   spese   di   esercizio   e  manutenzione  dell’impianto  di  riscaldamento  centrale.  

 Fra  le  secondarie  sono  ricomprese:  

• tabella   “E”:   relativa   alla   ripartizione  delle   spese  per   la  manutenzione  ordinaria   e     straordinaria   delle   colonne   verticali   di   scarico   acque   chiare   e  acque  scure;  

• tabella  “F”:  per  la  ripartizione  delle  spese  dell’eventuale  portierato;  • tabella  “G”:  riguardante  la  ripartizione  delle  spese  di  manutenzione  ed  

illuminazione  di  eventuali  aree  scoperte  (giardini,  cortili,  ecc.);  • tabella   “H”:   relativa   alla   ripartizione   delle   spese   di   manutenzione   di  

impianti  di  sollevamento  acque.    In  ogni  caso  è  sempre  possibile  che  vengano  redatte  altre  e  diverse  tabelle  al  fine  di  

regolare   casi   particolari,   come   quelle   previste   nell'ipotesi   di   "condominio   parziale"  riguardo   la   ripartizione   delle   spese   necessarie   a   bene   comune   riguardo   il   quale   soli  alcuni  condomini  ne  traggano  utilità  ai  sensi  dell'art.  1123  c.c.  E’  logico  considerazione  che  maggiormente  il  condominio  abbia  previsto  in  apposite  

tabelle  le  possibili  eventualità,  e  minori  saranno  le  difficoltà  di  interpretazione  al  fine  di  giungere  ad  individuare  “chi  ed  in  che  misura”  debba  partecipare  alle  deliberazioni  ed   alla   conseguenti   spese   nelle   rispettive   questioni   poste   al   vaglio   assembleare;  debellando   così,   o   almeno   riducendo   drasticamente,   difficoltà   all’amministratore   e  conseguenti  dispute  giudiziarie  fra  i  condomini.    4.14-­  L’approvazione  e  la  rettifica  o  modifica  dei  valori  millesimali  Qualora   l’originario   unico   proprietario   dell’edificio   non   abbia   provveduto   a    

predisporre   ed   allegare   al   regolamento   le   tabelle   millesimali,   spetterà   all’assemblea  dei   condomini   approvarle;   nell’ipotesi   di   perdurante   inerzia   assembleare,   ogni  condomino  potrebbe  rivolgersi  all’Autorità  Giudiziaria  per  la  loro  formazione.  Sul   primo   aspetto,   vi   è   stato   nel   corso   degli   anni   notevole   dubbio   se   l’assemblea  

fosse   competente   ad   approvare   le   tabelle   millesimali   con   votazione   maggioritaria   o  diversamente   avesse   necessariamente   bisogno   dell’unanimità   dei   presenti   in  assemblea,   ovvero,   ancor   di   più,   solamente   con   l’unanimità   di   tutti   i   partecipanti   al  condominio.  I   dubbi   in   tal   senso   sorgono   a   causa   del   silenzio   del   legislatore   del   1942   e  

perdurano  anche  alla  luce  della  avvenuta  riforma  in  materia  del  2012  che  in  tal  senso  non  ha  provveduto,  perlomeno  espressamente,  a  colmarne  la  lacuna.  Infatti,  nel  mentre  a  mezzo  l’art.  69  dd.aa.  ha  preso  in  esame  e  precisato  i  quorum  

deliberativi  necessari  per  “rettificare  o  modificare”  i  valori  delle  tabelle  millesimali,  ha  

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omesso   di   prevedere   espressamente   se   l’originaria   approvazione   di   questi   debba  avvenire  con   l’unanimità  dei   consensi  di   tutti  partecipanti,  ovvero  sia   sufficiente  una  deliberazione   assembleare   di   approvazione   che   riscuota   il   quorum   positivo   previsto  dal  2°  comma  dell’art.  1136  c.c.  (500  millesimi).  Secondo   la  meno   recente,  ma   all'epoca   prevalente,   interpretazione  della   Suprema  

Corte,   le   tabelle   millesimali   dovevano   essere   approvate   con   l'unanimità   dei  partecipanti  al  condominio,  solendo  affermare,  infatti  che  le  tabelle  millesimali  avendo  "natura  contrattuale  e  negoziale"    e  quindi  "suscettibili  di  incidere  sui  diritti  dei  singoli  condomini”  erano  bisognose  del  consenso  di  tutti   i  soggetti   interessati  (unanimità  dei  partecipanti  al  condominio),  peraltro  in  forma  scritta.  Via   via,   la   stessa   Suprema   Corte   ha   posto   in   discussione   il   valore   negoziale   delle  

tabelle   millesimali,   riconoscendogli   esclusivamente   un   mero   “strumento   di   gestione  della   vita   condominiale”,   e   pertanto   validamente   approvabili   con   la  maggioranza   dei  presenti  in  assemblea  prevista  dall’art.  1136,  2°  co.  c.c.  .  In  altre  parole,  veniva  specificato,  che  i  condomini  con  l’approvazione  delle  tabelle  

millesimali  non  pongono  una  fonte  diretta  dell’obbligo  contributivo  del  condomino,  già  previsto   ed   insito   nella   legge,  ma   solamente   il  mero   parametro   di   quantificazione   di  tale  obbligo.    Tale   conflitto   interpretativo   si   concluse   e   trovò   risposta   e   soluzione   grazie  

all’intervento   delle   Sezioni   Unite   della   Suprema   Corte   di   Cassazione   che   con   la  sentenza   n.   18477   del   9.8.2010   provvide   a     dettare   definitiva     chiarezza       alla    disciplina  giuridica  applicabile  in  materia  di  approvazione  delle  tabelle  millesimali.  Tale  importantissima  pronuncia,  dopo  aver  effettuato  e  posto  al  vaglio  l'evoluzione  

interpretativa  che  negli  anni  la  stessa  Corte  aveva  sentenziato  circa  la  natura  giuridica  delle   tabelle  millesimali,   è   giunta   a   conclusioni   chiare   e   nette,   tali   da  dipanare  per   il  futuro  ogni  dubbio.  Le  Sezioni  unite,  con  la  richiamata  recente  sentenza,  hanno  integralmente  accolto  e    

riconfermato   le  più  attuali  pronunce  che   individuavano  nelle   tabelle  millesimali  meri  “termini   aritmetici   di   un   già   preesistente   rapporto   di   valore   tra   i   diritti   dei   vari  condomini”,  con  ciò  destituendole  di  alcuna  possibilità  di  incidere  sulla  consistenza  dei  diritti  reali  di  ciascun  condomino.  Sulla  scorta  di  tale  principio,  agilmente  le  S.U.  giunsero  a  consacrare  il  principio  che  

per   l'originaria   approvazione,   le   tabelle   millesimali   non   fossero   bisognose  dell'unanimità   dei   consensi   dei   partecipanti   al   condominio,   bensì   sufficientemente  approvabili  con  quelle  maggioranze  previste  dall'Art.  1136  2°  comma  c.c.  Chiarito   ciò,   l’indagine   interpretativa   rende   però   necessario   verificare   se   tali  

imperative  conclusioni  cui  giunsero  le  Sezioni  Unite  nel  2010,  possano  essere  messe  in  discussione   e   rettificate,   alla   luce   dell’intervento   di   riforma   legislativa   del   2012   in  siffatta  materia.  Orbene,  l’attuale  testo  dell’articolo  69  dd.aa.,  come  già  precisato,  non  prevede  alcun  

riferimento  al  quorum  necessario  per  procedere  all’iniziale  approvazione  assembleare  delle  tabelle  millesimali,  occupandosi  esclusivamente  della  “rettifica  o  della  modifica”.  Né,  diversamente  dall’autorevolissimo  parere  di  alcuni  Autori,   appare  ragionevole  

ritenere  che  per  analogia  dalle  disposizioni  previste   in  tema  di  rettifica  o  modifica,  si  possa   giungere   ad   affermare   che   la   originaria   adozione   assembleare   delle   tabelle  millesimali  di  cui  all’art.  68  dd.aa.  necessiti  dell’unanimità  dei  consensi.  Ciò  in  quanto  dall’approfondito  esame  del  testo  vigente  dell’art.  69  dd.aa.  si  mostra  

comprendere   che   il   legislatore   abbia   voluto   distinguere   due   ben   diverse   tipologie   di  fattispecie   riguardo   le   quali   intervenga   la   necessità   o   la   volontà   assembleare   di  

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rettificare  i  valori  millesimali:  1. Allorchè   questi   rispettino   esattamente   i   criteri   posti   a   sostegno  

dell’accertamento   dei   valori   millesimali   delle   rispettive   unità   immobiliari  (art.69   dd.aa.   1°   comma),   e   pertanto   in   ossequio   dei   criteri   di   cui   agli   artt.  1118  e  1123  c.c..  2. Allorchè,   diversamente,   i   valori   millesimali   siano   conseguenza   di  

errore,   ovvero   successivamente   al   loro   accertamento   siano   intervenuti  mutamenti   (anche   di   una   sola   unità   immobiliare)   superiori   ad   1/5   al  precedente  valore  assegnato  (art.69  dd.aa.  2°  comma).    

Ebbene  nel  primo  caso  -­‐al  pari  dell’ipotesi  di  quelle  norme  regolamentari  di  natura  contrattuale   a   mezzo   delle   quali   si   intenda   derogare   dai   generali   principi   normativi-­‐  allorchè  si  intenda  modificare  la  preesistente  tabella  dei  valori  millesimali  redatta  sulla  scorta  dalle  effettive  risultanze  degli  accertamenti  di  cui  all’art.  68  dd.aa.,  e  quindi  per  l’effetto  configurandosi,   la  nuova,  quale  effettivo  “criterio  convenzionale”,  per   la  sua  positiva   approvazione   necessiterà   esclusivamente   del   consenso   unanime   dei  partecipanti.  Nel   secondo   caso   -­‐al   pari   dell’ipotesi   di   quelle   norme   regolamentari   di   natura  

regolamentatrice  a  mezzo  delle  quali  non  si  contravvenga  ai  generali  principi  normativi,  ma  li  rispetti-­‐,  diversamente,  ravvedendosi   l’ipotesi   in  cui   il  consesso  assembleare  sia  chiamato  a  rettificare  una  preesistente  tabella  dei  valori  millesimali,  riguardo  la  quale  a   causa   di   errore   originario   ovvero   in   quanto   successivamente   alla   sua   adozione   i  relativi  valori  si  siano  modificati  per  effetto  di  opere  che  ne  comportino  alterazione  per  almeno  1/5,  sarà  sufficiente  per   la   loro  approvazione  il  quorum  previsto  dal  secondo  comma  dell’art.  1136  c.c.    A   rinforzare   ancor   di   più   tale   convinzione   fornisce   ausilio   la   riconfermata  

disposizione   di   cui   all’art.   68   dd.aa.   che,   sebbene   l’eliminazione   della   doverosità  rispetto   al   previgente   teste,   prevede   analogamente   che   la   “apposita   tabella”  millesimale   venga   “allegata     al   regolamento   di   condominio”,   e   per   l’effetto   non  inficiando   una   delle   principali   motivazioni   poste   a   fondamento   della   pronuncia  18477/2010   delle   Sezioni   Unite,   in   virtù   della   quale   a   suffragio   di   legittimare   la  originaria   facoltà   di   approvazione   delle   tabelle   millesimali   (conformi   all’effettivo  accertamento  dei  valori)  con  il  quorum  maggioritario  precisò  che  allorchè  per  espressa  previsione  dell’art.  1138  c.c.  il  regolamento  possa  essere  approvato  con  la  maggioranza  di  cui  al  secondo  comma  dell’art.  1136  c.c.  (principio  identicamente  riconfermato  anche  dalla   novella   riformatrice),   e   nel   contempo   l’art.   68   dd.aa.   prevedeva   (e   tuttora  prevede)  che   la   tabella  debba  essere  allegata  al  medesimo  regolamento,  divenendone  quindi   parte   integrante,   non   si   ravvedono   i   motivi   possano   indurre   a   ritenere   che  questa  sia  necessariamente  e  diversamente  bisognosa  dell’unanimità  rispetto  al   testo  regolamentare.    4.15-­  IN  CONCLUSIONE  Al   fine  di   riassumere   le   precedenti   argomentazioni,   ritengo  utile   stilare  un   chiaro  

prospetto  delle  ipotesi  che  via  via  potranno  presentarsi:  1. Il   condominio   è   privo   di   tabella   millesimale   e   bisogna  

provvedere  alla   sua  originaria  approvazione  assembleare,  2  ipotesi:  a. I   criteri   millesimali   esprimono   esattamente   i   valori  

proporzionali   accertati;   è   sufficiente   l’approvazione   con  la   maggioranza   di   cui   al   2°   comma   dell’art.   1136   c.c.  

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(500  mill.);  b. I   criteri   millesimali   non   esprimono   gli   effettivi   valori  

proporzionali   ma   se   ne   discostano:   è   necessaria  l’approvazione   con   l’unanimità   dei   consensi   dei  comproprietari.  

 1. Il   condominio   è   già   dotato   di   una   tabella   millesimale,  

redatta  sulla  scorta  dei  criteri  di  cui  al  capo  1.A,  ma:  a. si  accorge  che  i  valori  espressi  in  millesimi  sono  stati  frutto  

di   uno   o   più   errori:   è   sufficiente   rettificarle   con   la  maggioranza  di  cui  al  2°  comma  dell’art.  1136  c.c.  (500  mill.);  

b. Nel   tempo   sono   mutate   le   condizioni   di   una,   o   più,   unità  immobiliari   in   misura   superiore   ad   1/5:   è   sufficiente  modificarle   con   la   maggioranza   di   cui   al   2°   comma  dell’art.  1136  c.c.  (500  mill.).  

c. Il   condominio   intende  derogare   a   tali   principi   e   quindi   far  approvare   una   tabella   millesimale   “convenzionale”:   è  necessario  modificarle  con  l’unanimità  dei  consensi  dei  comproprietari.  

   4.16-­  Domanda  di  revisione  giudiziale  delle  tabelle  millesimali  Secondo   la   originaria   Giurisprudenza   prevalente,   allorchè   un   condomino  

dissenziente  avesse  avuto  la  volontà  di  proporre  domanda  giudiziale  volta  ad  accertare  l'invalidità   delle   tabelle   millesimali,   tale   azione   giudiziaria   prevedeva   che   questa  venisse  proposta  nei  confronti  di  tutti  i  partecipanti  al  condominio,  senza  che  potesse  essere  legittimato  passivo  a  ciò  il  solo  amministratore.  Principio  che  trovava  la  sua  giustificazione  nella  convinzione  della  natura  negoziale  

e  contrattuale  delle  tabelle.  Tale  convinzione,  fu  poi  mutata  in  virtù  della  più  volte  richiamata  sentenza  n.  18477  

del  6.7.2010  delle  Sezioni  Unite  della  Suprema  Corte  di  Cassazione,  chiarendo  che,-­‐  una  volta   sancita   la   natura   "non   negoziale"   delle   tabelle  millesimali-­‐   per   validamente   dar  corso  a  tale  procedura  fosse  sufficiente  la  notifica  della  giudiziario  introduttivo    al  solo  amministratore.  L’identico  principio  è  stato  integralmente  recepito  nell’attuale  codice  che,  all’art.  69  

dd.aa.  ha  previsto  che   in   ipotesi  di  revisione  giudiziaria  delle   tabelle  millesimali   “può  essere  convenuto  in  giudizio  unicamente  il  condominio  in  persona  dell’amministratore”.    

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MODULO  N.  4BIS      

Animali  in  condominio  (Laura  Gonnellini)  

 Molte   persone   hanno   l'abitudine   di   convivere   con   un   animale   domestico   nella  

propria   casa.   La   presenza   di   questi   animali,   di   solito,   non   comporta   nessun  inconveniente  ma  quando,  invece,  i  proprietari  degli  animali  non  si  preoccupano  o  non  riescono  a  impedire  che  essi  infastidiscano  in  vario  modo  i  vicini,  esplode  spesso  una  reazione   di   questi   ultimi,   provocando   litigi   e   incomprensioni   che   spesso   diventano  insanabili  e  irrimediabili.    Un   regolamento   condominiale   ordinario,   cioè  NON  contrattuale,   non  può   stabilire  

limiti   ai   diritti   ed   ai   poteri   dei   condomini   sulla   loro   proprietà   esclusiva.   Stessa   cosa  vale  per  le  semplici  delibere  condominiali.  Come  è   stabilito,   infatti,   dalla  Corte  di  Cassazione,   sez.   II   civile,   con   la   sentenza  n.  

12028   del   04/12/1993   “in   tema   di   condominio   di   edifici  il   divieto   di   tenere   negli  appartamenti   i   comuni   animali   domestici   non   può   essere   contenuto   negli   ordinari  regolamenti  condominiali,  approvati  dalla  maggioranza  dei  partecipanti,  non  potendo  detti   regolamenti   limitare   importare   limitazioni   delle   facoltà   comprese   nel   diritto   di  proprietà  dei   condomini   sulle  porzioni  di   fabbricato   appartenenti   ad   essi   in  maniera  esclusiva”.  La   detenzione   di   animali   in   un   condominio,   dunque,   può   essere   vietata   solo   se   il  

proprietario  dell’immobile  si  è  contrattualmente  obbligato  a  non  detenere  animali  nel  proprio   appartamento   e   l’assemblea   condominiale   non   può   impedirne   il   possesso,  neanche  se  con  delibera  adottata  a  maggioranza.  Qualunque  delibera  condominiale  che  imponga  delle  regole  a  discapito  dell'animale  

(es.:   vietato   dare   cibo   ai   randagi;   vietato   l'uso   dell'ascensore;   divieto   d'uso   delle  scale...),   può   essere   annullata   presentando   ricorso   dinanzi   la   competente   autorità  giudiziaria.    Qualora   una   norma   contenuta   in   un   regolamento   condominiale   NON  

CONTRATTUALE   vieti   la   detenzione   di   animali   con   l'accusa   che   possano   turbare   la  quiete  o   l'igiene  della  collettività,   il  semplice  possesso  di  cani  o  di  altri  animali  non  e  sufficiente   a   far   incorrere   in   questo   divieto:   è   invece   necessario   che   si   accerti  effettivamente   il   pregiudizio   causato   alla   collettività   degli   altri   condomini   sotto   il  profilo   della   quiete   o   dell'igiene.   Insomma,   i   condomini,   contrari   alla   presenza   di   un  animale   domestico,   dovranno   seriamente   documentare   -­‐   tramite   personale   tecnico  privato  o  pubblico  (ASL)  -­‐  la  gravità  delle  situazioni  da  loro  denunciate,  come  eccesso  di   rumore,   cattivo   odore,   pelo,   etc.   Così   ha   stabilito   una   importante   sentenza   della  Procura  di  Campobasso  del  12  maggio  1990.  I   casi   in   cui   il   Giudice   o   l’Autorità   Sanitaria   possono   quindi   imporre  

l’allontanamento  degli  animali  sono  davvero  rari  e  possono  verificarsi  solo  quando  vi  siano   comprovati   motivi   di   ordine   igienico   –   sanitario   o   a   causa   di   un   eccessiva  concentrazione  di  animali  in  uno  spazio  abitativo.  Di  norma  è,  quindi,  difficile  trovare  un  giudice  che  faccia  allontanare  un  animale  da  

un  appartamento:  chi  dovesse  accusare  di  quanto  esposto  sopra,  dovrebbe  dimostrare  con  prove  rigorose  che,  per.  es.,  l'animale  o  gli  animali  recano  disturbo  alle  occupazioni  o   al   riposo   delle   persone   (art.   659   Codice   Penale),   o   che   si   verifichino   immissioni  superiori  alla  normale  tollerabilità.  (art.  844  Codice  Civile).    

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 L’abbaiare  non  può  essere  considerato  un  disturbo  alla  quiete,  ex  art.  659  c.p.,  fino  a  

quando  le  lamentele  non  vengono  fatte  da  un  gruppo  indeterminato  di  persone.  Una  sentenza  della  Corte  di  Cassazione  n.  1349  del  06/03/2000  ha  stabilito  che  ”  se  

gli  ululati  non  disturbano  una  pluralità  di  persone,  ma  ad  averne  fastidio  è  il  vicino  di  casa,   è   inutile   querelare   il   padrone   per   disturbo   alla   quiete   pubblica   in   quanto   il  disturbo  non  coinvolge  che  un  solo  nucleo  familiare”.  Se   invece,   l’abbaiare   del   cane   arreca   disturbo   ad   un   numero   indeterminato   di  

persone,   il  giudice,  dopo  aver  accertato  tali  disturbi,  può  ordinare  con  provvedimenti  d'urgenza  di  tenere  gli  animali  lontani  dagli  appartamenti  in  cui  si  trovano.  (Tribunale  di   Napoli   ord.   25   ottobre   1990).   Successivamente   lo   stesso   Tribunale   di  Napoli,    con  ordinanza   in   data   8  marzo   1994,   ha   stabilito   che   il   giudice   può,   con   provvedimenti  d'urgenza  ex  art.  700  c.c.,  ordinare  l'allontanamento  di  animali  che  provocano  molestia  in   condominio,   affidandone   l'esecuzione   ad   organi   pubblici,   e   di   vietare   in   modo  assoluto  che  l'animale  ritorni  in  quell'edificio.    Dunque  è  da  sottolineare  che  non  è  la  detenzione  di  un  animale,  in  sé,  a  provocare  

disagi,  lo  è  solo  nella  misura  in  cui  tale  animale  produce  rumore,  cattivi  odori,  molestie,  danni   o   lesioni.   Ma   se   un   animale   è   ben   custodito   non   vi   è   norma   regolamentare   o  delibera  assembleare  che  ne  possa  impedire  la  detenzione  in  appartamento.  L’allontanamento   degli   animali   domestici,   potenzialmente   innocui,   non   sarà  

necessario,  tuttavia  sarà  sufficiente  che  i  loro  proprietari  li  custodiscano  e  li  sorveglino  in  modo  che   la   loro  detenzione  non  turbi   la  quiete  e   l'igiene  degli  altri  condomini.  Se  queste   norme   non   vengono   rispettate   e   le   molestie   arrecate   raggiungano   livelli  intollerabili   e,   quindi,   tali   da   cagionare   insofferenze,   problemi   d'igiene   e   pregiudizio  alla   salute   delle   persone   vicine   e   degli   animali   stessi   con   esalazioni   maleodoranti;  qualora   l'animale  venga   tenuto  dal   suo  proprietario   in  un   luogo   chiuso  o   in  giardino  senza   provvedere   a   una   quotidiana   ed   adeguata   pulizia   dei   rifiuti   prodotti   dagli  animali,   si   configura   il   reato  previsto  dall'art.   674   cod.  pen.   (molestia  o  disturbo  alle  persone).   A   tal   proposito   la   Legge   Regionale   n°   34   (art.   19   comma   3   del   21   ottobre  1997)  vieta  a  chiunque  di  tenere  nelle  proprie  abitazioni  animali  in  tali  condizioni.    

 RIFORMA  DEL  CONDOMINIO.  Nella  riforma  del  condominio,  ora  divenuta   legge,  sono  contenute  nuove  regole  per   i  

condomini,   in  materia  di  detenzioni  di  animali  nelle  proprie  unità   immobiliari.  E,   tra   le  novità  introdotte  vi  è  la  norma  esplicita,  in  base  alla  quale  i  regolamenti  di  condominio  non  potranno  precludere  negli  stabili  il  possesso  o  la  presenza  di  cani  o  gatti  o  altri  animali  domestici.    Addio,  ora  alle  barriere  che  venivano  dettate  nei  regolamenti  di  condominio.    Adesso  la  legge  esplicitamente  vieta  qualsiasi  tipo  di  divieto.    La   norma   mette   in   chiaro   come,   all’articolo   1138   del   Codice   civile,   dal   titolo  

“regolamenti   di   condominio”,   in   nessun   modo   possa   essere   bandita   la  presenza   degli  animali  domestici.    Viene,  a  questo  proposito,  inserito  un  comma  nuovo  all’articolo  sopra  citato,  ovvero  “Le  norme  del  regolamento  non  possono  porre  limiti  alle  destinazioni  d’uso  delle   unità   di   proprietà   esclusiva   né   vietare   di   possedere   o   detenere   animali   da  compagnia”.  Occorre  precisare   che   la  nuova  disciplina  dei   regolamenti   condominiali   fa  una  distinzione  tra  animali  domestici  ed  esotici  e  fissa  un  discrimine  decisivo.  La  norma  è  infatti   estesa  a   tutti   gli   animali   d'affezione   e  quindi   riguarda   cani,   gatti,  ma  anche,  ad  esempio,   conigli  nani,  ma,   se  da  un   lato  evita  che   i   regolamenti   condominiali   vietino   la  

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detenzione  di  cani,  gatti,  criceti,  dall'altra  fa  in  modo  che  vietino  la  detenzione  di  animali  esotici  come  serpenti  e  felini  selvatici.      

SENTENZE  RIGUARDO  ANIMALI  DOMESTICI  IN  CONDOMINIO    Di   seguito   riportiamo   alcune   delle   sentenze   che   si   sono   avvicendate   nel   tempo  

sull’argomento:      Corte  di  Cassazione,  sezione  II  sentenza  n.  899  del  24  marzo  1972.  “E’   inesistente   il   divieto   giuridico   di   tenere   cani   in   condominio.   Il   regolamento  

condominiale   che   contenga  una   norma   contraria   è   limitativo   del   diritto   di   proprietà   e  quindi  giuridicamente  nullo.  L’Assemblea  condominiale  non  può  pertanto  deliberarlo”.    Pretura  Civile  di  Campobasso  Sentenza  12  maggio  1990.  “Qualora  una  norma  contenuta  in  un  regolamento  condominiale  vieti  la  detenzione  di  

animali  che  possano  turbare  la  quiete  o  l’igiene  della  collettività,   il  semplice  possesso  di  cani  o  altri  animali  non  è  sufficiente  a  far  incorrere  i  condomini  in  questo  divieto,  essendo  necessario   che   si   accerti   effettivamente   il   pregiudizio   causato   alla   collettività   dei  condomini  sotto  il  profilo  della  quiete  o  dell’igiene”.    Tribunale  Civile  di  Piacenza  Sez.  II,  sentenza  del  10  aprile  1990,  n.  231.  “La   detenzione   di   animali   in   un   condominio,   essendo   la   suddetta   facoltà   una  

esplicazione  del  diritto  dominicale,  può  essere  vietata  solo  se  il  proprietario  dell’immobile  si  sia  contrattualmente  obbligato  a  non  detenere  animali  nel  proprio  appartamento,  non  potendo  un  regolamento  condominiale  di  tipo  non  contrattuale,  quand’anche  approvato  a   maggioranza,   stabilire   i   limiti     (   oneri   reali   e   servitù)   ai   diritti   ed   ai   poteri   dei  condomini   sulla   loro   proprietà   esclusiva   salvo   (…..)     pertanto,   in   mancanza   di   un  regolamento   contrattuale   che   vieti   al   singolo   condomino   di   detenere   animali  nell’immobile   di   sua   esclusiva   proprietà,   la  legittimità  di   tale   detenzione   deve   essere  accertata   alla   luce   dei   criteri   che   presiedono   la   valutazione   della   tollerabilità   delle  immissioni.”    Cassazione  Civile,  Sez.  II,  sentenza  del  4  dicembre  1993  n.  12028.    “In   tema  di   condominio  di   edifici   il  divieto  di  detenere  negli  appartamenti   i   comuni  

animali   domestici   non   può   essere   contenuto   negli   ordinari   regolamenti   condominiali,  approvati  dalla  maggioranza  dei  partecipanti,  non  potendo  detti  regolamenti  importare  limitazioni  alle   facoltà  comprese  nel  diritto  di  proprietà  dei  condomini  sulle  porzioni  di  fabbricato   appartenenti   ad   essi   individualmente   in   esclusiva,   sicché   in   difetto   di   un  approvazione   unanime   le   disposizione   anzidette   sono   inefficaci   anche   con   riguardo   a  quei   condomini   che   abbiano   concorso   con   voto   favorevole   alla   relativa   approvazione,  giacché   le  manifestazioni   di   voto   in   esame,   non   essendo   confluite   in   un   atto   collettivo  valido   ed   efficace,   costituiscono   atti   unilaterali  atipici  per   se   inidonei   ai   sensi   dell’   art.  1987   c.c.   a   vincolare   i   loro   autori,   nella   mancanza   di   una   specifica   disposizione  legislativa  che  ne  preveda  l’obbligatorietà.”    Cassazione  Penale  Sez.  I,  sentenza  del  9  dicembre  1999  n.  1109.    “E’   necessario,   per   la   configurabilità   della   contravvenzione   di   cui   all’art.   659,   I  

comma,   del   Codice   Penale   (   disturbo   alla   quiete   pubblica.)   che   i   lamenti   ed   i   rumori  abbiano   attitudine   a   propagarsi   ed   a   costituire   quindi   un   disturbo   per   una   potenziale  

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pluralità  di  persone,  ancorché  non  tutte  siano  state  poi  disturbate  [...]  è  necessario  che  i  rumori   siano  obiettivamente  idonei   ad   incidere   negativamente   sulla   tranquillità   di   un  numero  indeterminato  di  persone”.    Corte  di  Cassazione,  sentenza  n.  1349  del  6  marzo  2000.  “Se   gli   ululati   non   disturbano   una   pluralità   di   persone,  ma   ad   averne   fastidio   è   il  

vicino  di  casa,  è  inutile  querelare  il  padrone  per  disturbo  alla  quiete  pubblica  in  quanto  il  disturbo  non  coinvolge  che  un  solo  nucleo  familiare”.    Corte  di  Cassazione,  sentenza  n.  7856  del  28  marzo  2008.  “I  cani  che  vivono  in  un  condominio  non  possono  abbaiare  giorno  e  notte  disturbando  

i  vicini  di  casa.  I  padroni,  infatti,  "senza  coartare  la  natura  dell'animale"  devono  cercare  di  limitare  le  occasioni  che  in  qualche  modo  preoccupano  l'amico  a  quattro  zampe.  Da  un  punto  di  vista  pratico,  tuttavia,  non  si  può  fare  molto:  infatti  i  padroni  dell'animale  non  devono  risarcire  i  vicini  per  il  disturbo”.      Cassazione  civile,  sez.  II,  sentenza  del  15.02.2011  n.  3705.  “Nel   condominio   il   possesso   di   animali   domestici   può   essere   vietato   solo   se   lo  

deliberano   tutti   i   condomini.   Il   divieto   di   tenere   negli   appartamenti   i   comuni   animali  domestici  non  può  essere  contenuto  negli  ordinari   regolamenti  condominiali,  approvati  dalla  maggioranza  dei  partecipanti,  non  potendo  detti  regolamenti  importare  limitazioni  delle  facoltà  comprese  nel  diritto  di  proprietà  dei  condomini  sulle  porzioni  del  fabbricato  appartenenti  ad  essi  individualmente  in  esclusiva”.      Tribunale  di  Lecco,  ordinanza  n.  270/12  del  9  febbraio  2012.  “Le   clausole   dei   comuni   regolamenti   condominiali   (di   formazione   interna)   non  

possono  imporre  divieti,  che  limitino  il  diritto  di  proprietà  dei  condomini,  cioè  la  facoltà  dei   proprietari   di   godere   e   disporre   dei   loro   appartamenti   in  modo   pieno   ed   esclusivo,  invece   i   regolamenti   condominiali,   cosiddetti   di   origine   esterna,   aventi   natura  contrattuale,  possono  imporre  limiti  o  oneri  reali  o  vere  e  proprie  servita  e,  quindi,  anche  il  divieto  assoluto  di  detenere  determinati  animali  nelle  proprietà  esclusive.    Ne  consegue  che  la  clausola  d'un  comune  regolamento  condominiale,  che  vieta  di  tenere  cani  o  altri  animali  nei  singoli  appartamenti  non  ha  valore  assoluto,  non  può  limitare  la  facoltà   dei   condomini   di   tenere   tali   animali,   a   meno   che   questi   arrechino   in   concreto  disturbo  o  molestia,  ovvero  si  verifichi  una  immissio   in  alienum,  che  superi   i   limiti  della  normale   tollerabilità   (art.   844   c.c.).   Invece,   nel   caso   di   regolamenti   contrattuali   non   si  richiede   il   disturbo   effettivo,   la   molestia,   l'immissione   intollerabile,   poiché   il   divieto   di  tenere  animali  ha  valore  assoluto,  anche  quando  non  si  verifichi  e  non  venga  in  concreto  provato  un  disturbo  effettivo  ai  condomini,  perché  tale  divieto,  siccome  inserito  in  un  atto  avente   natura   contrattuale,   diventa   una   limitazione   reale,   una   servitù,   con   la   quale   il  condomino   accetta   espressamente   una   limitazione   della   sua   proprietà   nei   confronti   di  determinate  altre  persone”.      

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MODULO  N.  5    

Le  controversie  (Paola  Carloni)  

 Le  controversie  in  materia  condominiale  hanno  ad  oggetto:  

- le  azioni  a  tutela  della  cosa  comune;  - le   azioni   di   impugnativa   di   delibere   condominiali,   e   le  

correlative  istanze  cautelari  di  sospensione  della  esecutività  della  delibera,  proponibili  prima  o  in  corso  di  causa  (  art.  1137  c.c.  comma  2,  comma  4);  - le  azioni  per  la  riscossione  di  crediti  condominiali;  - tutte   le   altre   azioni   derivanti   dalla   violazione   o   dalla   errata  

applicazione  delle  disposizioni  contenute  nel  libro  III,  titolo  VII,  capo  II  del  codice   civile   e   di   quelle   di   cui   agli   artt.   da   61   a   72   delle   disposizioni   per  l’attuazione  del  codice  civile  (art.  71-­‐quater  disp.  att.  c.c.).  

 5.1-­  Le  azioni  a  tutela  della  cosa  comune.  Ciascun   comproprietario,   in   quanto   titolare   di   un   diritto   che,   sia   pure   nei   limiti  

segnati   dalla   concorrenza   dei   diritti   degli   altri   partecipanti,   investe   l'intera   cosa  comune,   e'   legittimato   ad   agire   o   resistere   in   giudizio,   anche   senza   il   consenso   degli  altri,  per  la  tutela  della  cosa  comune,  nei  confronti  dei  terzi  o  di  un  singolo  condomino.    Tra  le  azioni  a  difesa  della  proprietà  evidenziamo:  

- l’azione   di   rivendicazione   (art.   948   c.c.),   a   difesa   dei   diritti  dei  condomini  sulle  parti  comuni  dell’edificio,  allorchè  un  condomino  o  un  terzo  affermi  di  essere  proprietario  esclusivo  di  un  bene  che   la   legge  (art.  1117  c.c.)  assume  essere  di  proprietà  comune.  Essa  ha  una  duplice  finalità:  innanzitutto   l’accertamento   della   titolarità   del   diritto   di   proprietà;   in  secondo   luogo   tende   a   recuperare   il   bene   posseduto   (o   detenuto)   da   un  altro  soggetto.    

Esempi:  accertamento  della  proprietà  di  locali  soffitte  di  cui  un  condomino  si  è  appropriato  

mettendoli  in  comunicazione  con  la  propria  abitazione    accertamento  della  proprietà  condominiale  di  area  cortilizia  e   rivendicazione  del  

diritto  di  comproprietà  nei  confronti  degli  occupanti  senza  titolo    

- le   azioni   possessorie   (reintegrazione,   art.   1168   c.c.   e  manutenzione,  art.  1170  c.c.),   finalizzate  al  recupero  o  al  mantenimento  del  godimento  del  bene  comune,  sottratto  illecitamente  o  molestato.      

La   prima   (reintegra)   ha   come   scopo   la   reintegrazione   nel   possesso   di   chi   ne   sia  stato  spogliato  in  maniera  violenta  o  clandestina,  e  si  può  proporre  entro  un  anno  dalla  sofferta  lesione.  La  seconda  (manutenzione)  si  può  proporre  quando  il  possessore  venga  molestato  

nel   suo   possesso:   o   mediante   una   contraria   pretesa,   ovvero   mediante   atti   diretti   a  rendere  più  disagevole  e  scomodo  il  possesso.  Per  esperire  l'azione  di  manutenzione  è  necessario   che   il   possesso   duri   ininterrottamente   da   più   di   un   anno   e   sia   stato  acquisito  senza  violenza  o  clandestinità.    

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 Esempi:  azione  di  reintegrazione:  ipotesi  di  un  condomino  che,  senza  il  consenso  degli  altri  

ed  in  loro  pregiudizio,  abbia  alterato  o  violato  lo  stato  di  fatto,  o  la  destinazione  della  cosa  comune    (art.  1117-­‐quater  c.c.),  impedendo  o  restringendo  il  godimento  spettante  agli   altri   condomini;   questi   ultimi   sono   legittimati  all'esperimento   dell'azione   di  reintegrazione  per  conseguire  la  riduzione  della  cosa  al  pristino  stato;  azione   di   manutenzione:     ipotesi   in   cui   il   condomino   crea   aperture   o   varchi   nel  

muro  perimetrale  di  un  edificio  condominiale,  onde  porre  in  comunicazione  un  locale  di   sua   proprietà   esclusiva,   situato   nello   stesso   fabbricato,   con   un   altro   vano,   facente  parte  di  un  edificio  adiacente,  di  sua  proprietà  ma  estraneo  al  condominio.  La   giurisprudenza   ammette   l’azione   di   manutenzione   anche   per   le   immissioni  

moleste  (rumori,  esalazioni),  che  superino  la  normale  tollerabilità  ex  art.  844  c.c.      

- le   azioni   di   nunciazione   (nuova   opera,   art.   1171   c.c.   e  danno  temuto,  art.  1172  c.c.),  che  hanno  finalità  tipicamente  cautelari,  in  quanto  tendono  a  prevenire  un  danno  o  un  pregiudizio  che  può  derivare  da  una  nuova  opera  o  dalla  cosa  altrui.    

La  denuncia  di  nuova  opera  è  l'azione  concessa  a  chi  abbia  ragione  di  temere  che  da  una  nuova  opera/attività  da  altri   intrapresa  stia  per  derivare  un  danno  alla   cosa  che  forma   oggetto   del   proprio   diritto   o   del   possesso,   per   ottenere   dal   giudice   un  provvedimento   che   sospenda   l'esecuzione   dell'opera;   invece,   la   denuncia   di   danno  temuto  è  l'azione  diretta  contro  il  pericolo  di  un  danno  grave  e  prossimo,  derivante  da  un  edificio,  albero  o  altre  cose  già  esistenti  (danno  minacciato  dallo  stato  attuale  della  cosa  altrui),  conseguente  all’inosservanza  di  un  obbligo  a  rimuovere  una  situazione  di  pericolo.    Esempi:  ipotesi   di   una   costruzione   effettuata   sul   lastrico   solare   che,   per   l’eccessivo  

sovraccarico,   provochi   pericolo   di   danno   alla   statica   dell’immobile,   che   l’azione  cautelare  tende  ad  evitare  invocando  il  blocco  dei  relativi  lavori  (nuova  opera)  ipotesi   di   pericolo   di   danno   proveniente   da   un  muro   condominiale   a   discapito   di  

una  proprietà  esclusiva  per  omessa  manutenzione  della  cosa  comune,  che  attenti  alla  integrità  dell’appartamento  che  il  denunciante  vuole  tutelare  (danno  temuto)      

- le  azioni  cautelari  di  urgenza,  art.  700  c.p.c.    che  sono  rivolte  ad   ottenere   un   provvedimento   d'urgenza   atipico,   che   salvaguardi,   nel  tempo   occorrente   a   giungere   ad   una   decisione   di   merito,   il   diritto   del  ricorrente  che  è  minacciato  da  un  danno  grave  e  irreparabile.    

Presupposti  per  ottenere  tale  provvedimento  sono  a)  il  “periculum  in  mora”,  inteso  come  fondato  motivo  di  temere  che  durante  il  tempo  occorrente  per  far  valere  il  diritto  in  via  ordinaria,  questo  sia  minacciato  da  un  pregiudizio  imminente  e  irreparabile;  b)  il  “fumus  boni  juris”,  e  cioè  la  approssimativa  verosimiglianza  circa  l'esistenza  del  diritto;  c)   la   inesistenza  di   provvedimenti   cautelari   tipici   applicabili   alla   vicenda  oggetto   del  ricorso  (residualità  dei  provvedimenti  d'urgenza).      

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Esempi:  ricorso   ex   art.   700   c.p.c.   per   ordinare   al   precedente   amministratore     la   consegna  

della   documentazione   condominiale   necessaria   per   l’espletamento   dell’incarico  gestionale.  La  mancata  consegna  al  nuovo  amministratore  della  documentazione  è  atto  contrario   alla   legge   che   determina   un   pregiudizio   irreparabile   e   che   legittima   la  pronuncia  di  in  ordine  giudiziale  in  via  d’urgenza  all’ex  amministratore  Ricorso  d’urgenza  per  la  conservazione  dell’integrità  delle  cose  comuni    Ricorso   d’urgenza   per   ottenere   il   passaggio   nel   fondo   attiguo   per   porre   in   essere  

attività  di  manutenzione  conservativa  nell’edificio    5.2-­  Le  impugnative  L’art.  1137,  primo  comma,  c.c.  stabilisce  che  "le  deliberazioni  prese  dall'assemblea  

a  norma  degli  articoli  precedenti  sono  obbligatorie  per  tutti  i  condomini".  E’  una  norma  importante   in   quanto   vincola   tutti   condomini,   compresi   assenti   e   dissenzienti,   al  rispetto  di  quanto  deciso  dalla  maggioranza.    Attesa  la  particolare  incisività  del  deliberato  assembleare,  che  cosa  accade  se  prima  

o   durante   lo   svolgimento   dell’assemblea   non   vengono   rispettate   le   regole   previste  dalla   legge   o   dal   regolamento   di   condominio?   In   poche   parole,   come   si   possono  contestare  le  irregolarità  di  una  delibera?    Ogni  deliberazione  assembleare  deve   infatti  avere  determinati  requisiti  affinché  la  

si  possa  considerare  valida.  Ad  esempio:    - l’avviso   di   convocazione,   che   deve   contenere   la   data  

dell’adunanza,   l’orario,   il   luogo  e   l’indicazione  dell’ordine  del  giorno,  deve  essere  comunicato  almeno  5  giorni  prima  della  data  fissata  per  l'adunanza  in   prima   convocazione     (art.   66   disp.   att.   c.c.),   salvo   diverso   termine  indicato  nel  regolamento  di  condominio;  il   verbale   deve   essere   compilato   facendo   in   modo   che   tutto   lo  

svolgimento   dell’assise   sia   comprensibile   e   sia   possibile   verificare   la  correttezza  dei  quorum  costitutivi  e  deliberativi;  - ogni   deliberazione   relativa   ai   singolo   punto   all’ordine   del  

giorno,   per   essere   valida,   deve   riportare   un   numero   di   voti   uguale   o  superiore  a  quello  previsto  dalla  legge;  - devono   essere   rispettati   i   criteri   di   ripartizione   previsti   dalla  

legge  o  dal  regolamento.      Per   contestare   le   irregolarità   (vizi)   di   una   delibera,   si   deve   fare   ricorso  

all'azione   di   impugnativa   ex   art.   1137     comma   2   c.c,,   che   recita:   “contro   le  deliberazioni   contrarie   alla   legge   o   al   regolamento   di   condominio,   ogni   condomino  assente,   dissenziente   o   astenuto   può   adire   l’autorità   giudiziaria,   chiedendone  l'annullamento  nel  termine  perentorio  di  30  giorni".  La   norma   in   commento   si   riferisce   alle   sole   ipotesi   di   annullabilità,   e   le   Sezioni  

Unite  della  Suprema  Corte  di  Cassazione  nel  2005  con  la  sentenza  n.  4806  hanno  enucleato  in  via  esemplificativa  le  seguenti  ipotesi  di  annullabilità  (impugnativa)  delle  delibere  condominiali:  vizi   formali  attinenti  alla   regolare  costituzione  dell'assemblea,  vizi   attinenti   al   procedimento   di   convocazione   o   di   informazione   dell'assemblea,  delibere   genericamente   affette   da   irregolarità'   nel   procedimento   di   convocazione,  delibere   che   violano   norme   che   richiedono   qualificate   maggioranze   in   relazione  all'oggetto,  delibere  adottate  con  maggioranza  inferiore  a  quella  prescritta  dalla  legge  o  dal  regolamento  condominiale.    

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A  titolo  esemplificativo,  ma  non  certo  esaustivo,  possiamo  indicare  come  cause  di  annullabilità:  

- la  mancata  convocazione  di  un  condomino  all’assemblea;  con  la  precisazione   che   il   condomino   che,   non   avvisato,   si   presenta   ugualmente  all’assemblea,  sana  la  mancata  convocazione  e,  quindi,  non  può  impugnarla  per  annullabilità.    A   tale   proposito   è   importante   ricordare   che   l’amministratore   ha   il  

dovere  di  informare  dell’assemblea  tutti  i  condomini,  ossia  tutti  coloro  che  alla  data  dell’adunanza  hanno  diritto  di  partecipare  e  di   esprimere   il   loro  parere   sulle   questioni   indicate   nell’ordine   del   giorno   (e   cioè   i   proprietari  delle  unità  immobiliari,  l'usufruttuario  e  nudo  proprietario  ai  sensi  e  per  gli  effetti  dell'art.  67,  comma  6  e  comma  7,  disp.  att.  c.c.).    Nel   caso  di  unità   immobiliari  possedute   in   regime  di   comunione,  ossia  

laddove   non   sussista   una   proprietà   esclusiva   in   capo   ad   unico   soggetto,  l’amministratore  dovrà  effettuare  la  notifica  a  tutti  i  comproprietari.  - l’incompletezza  dell’ordine  del  giorno:  la  delibera  condominiale  

che  contenga  decisioni  su  questioni  non  menzionate  all’ordine  del  giorno  è  annullabile   in   quanto   affetta   da   vizi   attinenti   prescrizioni   relative  all’informazione  dell’assemblea;  - la  mancanza  di  quorum  costitutivo  o  deliberativo;  - la  partecipazione  all’assemblea  di  un  condomino  munito  di  un  

numero   di   deleghe   superiore   a   quello   consentito   dall'art.   67,   comma   2,  disp.  att.  c.c.  o  dal  regolamento  condominiale;  - la  fissazione  di  criteri  di  riparto  delle  spese  diversi  e  derogatori  

rispetto  a  quelli  legali;  - la   violazione   del   diritto   di   ciascun   condomino   di   esaminare   la  

documentazione   attinente   ad   argomenti   posti   all’ordine   del   giorno  dell’assemblea  condominiale:  il  rifiuto  dell’amministratore  di  consentire  al  condomino  di  visionare  o  estrarre  copia  ad  esempio  della  documentazione  contabile  comporta  invalidità  della  delibera  riguardante  l’approvazione  del  bilancio,   poiché   la   lesione   del   diritto   all’informazione   incide   sul  procedimento   di   formazione   delle   maggioranze   assembleari   (Cass.  19.05.2008,  n.  12650;  Cass.  24.01.2004,  n.  1544);  - è  annullabile   entro  30  gg.   la  delibera   il   cui   verbale  dà  atto  del  

risultato  della  senza  l’indicazione  analitica  dei  condomini  che  hanno  votato  a   favore,   a   meno   che   contenga   l’elenco   di   tutti   i   condomini   presenti  personalmente   o   per   delega   con   i   relativi   millesimi   e   nel   contempo  contenga  l’indicazione  dei  nominativi  dei  condomini  che  si  sono  astenuti  e  che   hanno   votato   contro   con   le   quote   millesimali   degli   uni   e   degli   altri:  infatti,   la  specificazione  di  tali  dati  consente  di  stabilire  con  sicurezza,  per  differenza,  (quanti  e)  quali  condomini  hanno  espresso  voto  favorevole  e  il  valore  da  essi  rappresentato  nonché  di  verificare  che  la  deliberazione  abbia  in   effetti   superato   il   quorum   richiesto   dall'articolo   1136  del   Codice   civile  (Cass.   10.08.2009,   n.   18192).   Si   segnalano   le   pronunce   di   merito   che  confermano  tale  indirizzo:  Tribunale  di  Monza,  Sezione  1,  Sentenza  4  aprile  2011,   n.   954;   Corte   d'Appello   Firenze,   Sezione   1   Civile,   Sentenza   15  settembre  2010,   n.   1290;  Tribunale  di  Genova,   Sezione  3  Civile,   Sentenza  23  giugno  2010,  n.  2557.  

 

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Legittimati   all'azione   di   annullamento   sono   i   dissenzienti,   gli   astenuti,   e   gli  assenti  (art.  1137  comma  2  c.c.).  Il  termine  perentorioper  proporre  l'azione  di  impugnazione  è  di  30  giorni,  che  

decorrono  dalla   data  della   deliberazione  per   i   dissenzienti   e   astenuti,   e   dalla   data  di  comunicazione  della  deliberazione  per  gli  assenti.  Il   termine   dei   30   gg.   si   ritiene   rispettato   se   l’atto   di   impugnativa   giunge   al  

condominio   mediante   notifica   da   parte   dell’ufficiale   giudiziario   entro   il   30°   giorno  dalla   delibera   per   i   dissenzienti,   ovvero   entro   il   30°   giorno   dalla   comunicazione   del  verbale  per  gli  assenti.  L'azione   di   annullamento   della   delibera   si   propone   con   atto   di   citazione:   con   la  

sentenza    della  Cassazione  Civile  n.  8491  del  14/04/2011  a  sezioni  Sezioni  Unite    si  è  infatti   statuito   che   “L’art.   1137   c.c.   non   disciplina   la   forma   delle   impugnazioni   delle  deliberazioni   condominiali,   che   vanno  pertanto   proposte   con   citazione,   in   applicazione  della  regola  dettata  dall’art.  163  c.p.c.”.  L’impugnazione   non   implica   l’automatica   sospensione   della   delibera:   su   di   essa  

dispone   il   giudice,   valutata   la   ricorrenza   dei   requisiti   del   fumus   boni   iuris   e   del  periculum  in  mora  (art.  1137  comma  3  c.c.).  Il   comma   4   dell'art.   1137   c.c.   prevede   che   la   sospensione   dell’esecuzione   della  

delibera  possa  essere  chiesta  anche  prima  dell’instaurazione  della  causa  di  merito.  Precisa   la   norma   che   in   tale   ultimo   caso   non   viene   interrotto   il   termine   (di   30  

giorni)  per   la  proposizione  dell’impugnazione  della  deliberazione  dinanzi   all’autorità  giudiziaria.  Ciò  significa  che  proposta  l’istanza  cautelare  di  sospensione  della  delibera  prima  (e  

autonomamente)  della  causa  di  merito,  il  termine  di  decadenza  dei  30  giorni  continua  a  decorrere  senza  interruzione.  La  sospensione  della  delibera  impugnata  è  disciplinata  dalle  norme  previste  di  cui  

al  libro  IV,  titolo  I,  capo  III,  sezione  I  del  codice  di  procedura  civile.  Non   si   applica   però   l’art.   669–octies   c.p.c.    che   prevede   che   con   l’ordinanza   di  

accoglimento,   ove   la   domanda   sia   stata   proposta   prima   dell’inizio   della   causa   di  merito,  deve  essere  fissato  un  termine  perentorio  non  superiore  a  sessanta  giorni  per  l’inizio  del  giudizio  di  merito.    5.3  -­  Dissenso  alle  liti  Qualora   l'assemblea   dei   condomini   abbia   deliberato   di   promuovere   una   lite   o   di  

resistere   a   una   domanda,   il   condomino   dissenziente,   con   atto   notificato  all'amministratore,  può  separare  la  propria  responsabilità   in  ordine  alle  conseguenze  della  lite  per  il  caso  di  soccombenza.    L'atto   deve   essere   notificato   entro   trenta   giorni   da   quello   in   cui   il   condomino   ha  

avuto  notizia  della  deliberazione.  Il  condomino  dissenziente  ha  diritto  di  rivalsa  per  ciò  che  abbia  dovuto  pagare  alla  

parte  vittoriosa.  Se  l'esito  della  lite  è  stato  favorevole  al  condominio,  il  condomino  dissenziente  che  ne  abbia  tratto  vantaggio  è  tenuto  a  concorrere  nelle  spese  del  giudizio  che  non  sia  stato  possibile  ripetere  dalla  parte  soccombente.    I  presupposti  del  dissenso  Affinché   un   condòmino   possa   far   valere   il   proprio   diritto   al   dissenso   alla   lite   è  

necessario   che   la  materia   sia   di   competenza   dell'Assemblea   e   quindi   che   ci   sia   stata  una  specifica  delibera  di  promuovere  una  lite  o  di  resistere  ad  una  domanda.    

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Spese  non  esentate  L’  “estraniazione"  dalla  lite  non  esclude  le  spese  propedeutiche  o  non  inerenti,  cioè  

spese   che   non   possono   essere   propriamente   considerate   oneri   difensivi   per   lo  svolgimento  delle  difese  in  giudizio,  ma  propedeutiche  ad  esso.    Riportiamo  alcune  sentenze  sul  tema:  Trib.  civ.  Bologna,  sez.  III,  12  ottobre  2007,  

n.   2618:   "  In   tema   di   dissenso   alle   liti,   l'operatività   dell'art.   1132   c.c.   non   va   oltre  l'esonero  del  condomino  dissenziente  dall'onere  di  partecipare  alla  rifusione  delle  spese  di   giudizio   in   favore   della   controparte,   nell'ipotesi   di   esito   della   lite   sfavorevole   per   il  condominio;   la   norma   lascia,   tuttavia,   immutato   l'onere   di   partecipare   alle   spese  affrontate  dal  condominio  per  la  propria  difesa".  Cass.   civ.,   sez.   II,   2   marzo   1998,   n.   2259   :   "il   condomino   dissenziente   non  

parteciperà   solo   a   quelle   spese   che   il   condominio   in   caso   di   esito   sfavorevole   della   lite  dovrà  versare  alla  controparte,  mentre  è  obbligato  in  solido  al  pagamento  delle  spese  che  il   condominio   si   trova   ad   affrontare   per   proprio   conto   (avvocato   di   parte   e   varie  consulenze  tecniche,  e  tutto  quanto  serva  per  arrivare  a  giudizio).  Mentre  nel  caso  che  il  condominio   vinca   la   vertenza,   se   il   condomino   dissenziente   ne   trae   un   vantaggio   è  obbligato  al  pagamento  delle  spese  che  non  si  sono  potute  ripetere  (tutte  quelle  spese  che  non  è  possibile  richiedere  alla  parte  avversa  o  che  il  giudice  non  ha  liquidato"..      Modalità  del  dissenso  La   “estraniazione”   del   condomino   riguardo   alla   deliberata   proposizione   della   lite,  

per   produrre   i   suoi   effetti,   deve   essere   esplicitata   in   apposito   atto,   il   quale   non   è  implicito  e  neppure  equipollente  al  voto  contrario  alla  delibera  espresso  il  assemblea.    Non   costruisce   invece  elemento  di   validità  della  dichiarazione  di   esternazione  del  

condominio  che  essa  sia  motivata,  né,  tantomeno,  che  il  dissenso  alla  lite  sia  fondato.  La  separazione  di  responsabilità  può  essere  proposta  soltanto  da  chi   in  assemblea  

ha  espresso  voto  contrario  o  da  chi  era  assente,  mentre  non  può  essere  proposta  da  chi  era  presente  in  assemblea  ed  ha  votato  a  favore  della  lite  giudiziale.    Termini  per  l'estraneazione.  La  volontà  di  estraniazione  deve  essere  manifestata  entro  30  giorni  che  decorrono,  

a  pena  di  decadenza:    • per  il  Condòmino  dissenziente  presente  all'assemblea,  dalla  data  in  cui  

si  è  tenuta  l'assemblea  stessa;  • per   il   Condòmino   assente,   dalla   data   di   ricezione   del   verbale  

dell'assemblea  da  parte  dell'amministratore.    

Notifica  dell'estraneazione.  Nel   termine   dei   30   giorni   come   sopra   indicati,   l'interessato   dovrà   provvedere   a  

"notificare"  adeguatamente  il  dissenso  all'amministratore.  Non  vi  è  concordanza  circa  la  forma  del  dissenso,  ritenendosi  da  alcuni  sufficiente  la  

comunicazione  scritta  effettuata  a  mezzo  lettera  raccomandata,  mentre  altri  ritengono  indispensabile  la  notifica  a  mezzo  ufficiale  giudiziario.  La  forma  più  sicura  è  quella  della  notifica  a  mezzo  di  Ufficiale  Giudiziario  ex  art.137  

c.p.c.  al  fine  di  evitare  spiacevoli  sorprese  in  sede  di  ripartizione  dei  costi.    5.4  -­  Il  recupero  dei  crediti  Recita  il  primo  comma  dell’art.  63  disp.  att.  c.c.:"  Per  la  riscossione  dei  contributi   in  

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base  allo  stato  di  ripartizione  approvato  dall'assemblea,  l'amministratore,  senza  bisogno  di   autorizzazione   di   questa,   può   ottenere   decreto   di   ingiunzione   immediatamente  esecutivo,  nonostante  opposizione".  La  norma  citata  completa  e  rende  attuale  il  disposto  dell’art.  1130,  primo  comma  n.  

3,   c.c.   che   impone   all’amministratore   di   "riscuotere   i   contributi   […]   per  la  manutenzione  ordinaria   delle   parti   comuni   dell'edificio   e   per   l'esercizio   dei   servizi  comuni".    Inoltre,   ai   sensi   dell'art.   1129   c.c.   comma   9     l'amministratore,   salvo   che   sia  

dispensato   dall'assemblea,   è   tenuto   ad   agire   per   la   riscossione   forzosa   delle   somme  dovute   dagli   obbligati   entro   6   mesi   dalla   chiusura   dell'esercizio   nel   quale   il   credito  esigibile  è  compreso.  Deve  dunque  ritenersi  che:  

• è  posto   in   capo   all’Amministratore   l’obbligo  di   agire  nei   confronti   dei  soggetti  morosi,  entro  il  termine  di  6  mesi  suddetto;  

• l’Amministratore   non   ha   bisogno   di   autorizzazione   assembleare   per  agire   giudizialmente,   mentre   ha   bisogno   della   espressa   dispensa   da   parte  dell’assemblea   in   ogni   caso   in   cui   si   ritenesse   opportuno   e   conveniente   agli  interessi   del   Condominio   rinviare   l’azione   giudiziaria   ad   un   momento  successivo.  

• sarà   onere   dell’Amministratore,   ogni   qualvolta   lo   riterrà   opportuno,  richiedere   all’assemblea   espressa   “dispensa”   con   riferimento   al   singolo  specifico  caso  di  morosità.    

Il   decreto   ingiuntivo   immediatamente   esecutivo   è  uno   strumento  particolarmente  incisivo,   previsto   per   offrire   una   tutela   specifica,   in   considerazione   del   fatto   che   il  pagamento   ritardato   delle   quote   condominiali  incide   sulla   regolare   conservazione  della  parti  comuni,  nonché  sull’  erogazione  dei  servizi  comuni.  L’usufruttuario   e   il   nudo   proprietario,   ai   sensi   dell'art.   67,   ultimo   comma,  

disp.   att.   c.c.   rispondono   solidalmente   per   il   pagamento   dei   contributi   dovuti  all'amministrazione  condominiale.  È   importante   sottolineare,   ad  ulteriore  dimostrazione  della   particolare   attenzione  

data   dal   legislatore   al   recupero   del   credito   condominiale,   che   si   tratta   di   una   norma  imperativa.   In   sostanza,   il   regolamento   di   condominio   (sia   esso   assembleare   o  contrattuale)  non  potrà  derogare  a  quanto  previsto  dall’art.  63,  primo  comma,  disp.  att.  c.c.  (si  veda  art.  72  disp.  att.  c.c.).    Per   iniziare   il   procedimento   monitorio   è   necessario   che   l’assemblea   abbia  

approvato  il  bilancio  (preventivo  o  consuntivo)  e  il  relativo  piano  di  ripartizione.  Tale  documentazione   consente   di   riconoscere   in   capo   al   condominio   un   credito   certo   (in  quanto   approvato   dall’assemblea),   liquido   (perché   determinato   nel   suo   ammontare)  ed  esigibile  (poiché  lo  stato  di  morosità  fa  maturare  le  quote  dovute).  Prima   di   iniziare   un’azione   giudiziale   è   opportuno   farla   precedere   dalla  messa   in  

mora  ex.  art.  1219  c.c.    La  legge  non  richiede  espressamente  che  l’ingiunzione  di  pagamento  ex  art.  63  disp.  

att.   c.c.   sia   preceduta   da   un’intimazione   stragiudiziale   di   pagamento.   Tuttavia   ciò   è  consigliabile,   in   quanto   è   possibile   che   il   condomino   provveda   a   pagare   il   debito  condominiale   in  seguito  alla   lettera  del   legale  che  gli   intima   il  pagamento  degli  oneri  insoluti   (con   ciò   riducendosi   enormemente   i   costi   di   recupero,   limitati   nel   caso   alla  lettera  di  intervento  del  legale  del  condominio).      

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Contro  chi  dovrà  essere  rivolta  la  domanda  di  pagamento?    Legittimato  passivo  è  il  proprietario  dell’appartamento  che  risulterà  in  ritardo  con  i  

pagamenti.,   ovvero   il   nudo   proprietario   e   l'usufruttuario,   in   caso   di   scissione   tra  proprietà   e   godimento   della   unità   immobiliare:   questi   ultimi,   ai   sensi   dell'art.   67,  ultimo  comma,  disp.  att.  c.c.  rispondono  solidalmente  per   il  pagamento  dei  contributi  dovuti  all'amministrazione  condominiale  Non   si   potrà   agire   contro   chi   appare   il   condomino   (c.d.   condomino   apparente)-­‐  

Cassazione,   sez.   II,   12   gennaio   2011,   n.   574:   “In   caso   di   azione   giudiziale  dell'amministratore  del  condominio  per  il  recupero  della  quota  di  spese  di  competenza  di  una   unità   immobiliare   di   proprietà   esclusiva,   è   passivamente   legittimato   il   vero  proprietario   di   detta   unità   e   non   anche   chi   possa   apparire   tale,   poiché   difettano,   nei  rapporti   fra   condominio,   che   è   un   ente   di   gestione,   ed   i   singoli   partecipanti   ad   esso,   le  condizioni   per   l'operatività'   del   principio   dell'apparenza   del   diritto,   strumentale  essenzialmente  ad  esigenze  di  tutela  dell'affidamento  del  terzo  in  buona  fede,  ed  essendo,  d'altra   parte,   il   collegamento   della   legittimazione   passiva   alla   effettiva   titolarità   della  proprietà   funzionale   al   rafforzamento   e   al   soddisfacimento   del   credito   della   gestione  condominiale”.  Già   le   Sezioni   Unite   avevano   affermato   che   "in   caso   di   azione   giudiziale  

dell'amministratore  del  condominio  per  il  recupero  della  quota  di  spese  di  competenza  di  una   unità   immobiliare   di   proprietà   esclusiva,   è   passivamente   legittimato   il   vero  proprietario   di   detta   unità   e   non   anche   chi   possa   apparire   tale"   (così   Cass.   SS.UU.   n.  5035/02).    Il   Supremo   Collegio,   è   utile   sottolinearlo,   ha   tenuto   ben   distinte   le   ipotesi   di  

recupero  crediti  giudiziale  da  quello  stragiudiziale.  In  sostanza  in  quest’ultimo  caso  si  è   detto,   viste   le   esigenze   di   celerità,   praticità   e   funzionalità,   addotte   a   giustificazione  dell’applicazione   dell’istituto   dell’apparenza   del   diritto,   valgono   per   l’ipotesi   non  contenziosa   del   rapporto,   quando,   cioè,   l’apparente   condomino   non   solleva   alcuna  contestazione   provvedendo   al   pagamento   degli   oneri   condominiali   (Cass.   SS.UU.   n.  5035/02).    Se   il   tentativo   stragiudiziale   non   dovesse   sortire   effetto,   per   iniziare   l’azione  

giudiziale   l’amministratore   deve,   comunque,   accertarsi   dell’effettiva   proprietà  dell’immobile.    Richiamiamo  a  tale  proposito  le  prescrizioni  contenute  nell'art.  1130,  comma  6,  c.c.:  

"l'amministratore   deve   curare   la   tenuta   del   registro   di   anagrafe   condominiale,  contenente   le   generalità   dei   singoli   proprietari     e   dei   titolari   di   diritti   reali   e   di   diritti  personali  di  godimento,  comprensive  del  codice  fiscale  e  della  residenza  o  domicilio,  i  dati  catastali  di  ciascuna  unità  immobiliare".  Attraverso   la   regolare   tenuta   di   tale   registro   l'amministratore   dovrebbe   essere  

sempre  in  grado  di  conoscere  la  titolarità  dell'unità  immobiliare.  In  mancanza,  in  caso  di   incompletezza   di   informazioni,   ovvero   qualora   i   condomini   non   provvedono   a  comunicare   variazioni,   l'amministratore   potrà   richiedere   le   suddette   informazioni   a  mezzo  di   lettera   raccomandata   e,   in   caso  di   omessa   risposta,   l'amministratore  dovrà  acquisirle   attraverso   visure   immobiliari,   addebitando   il   costo   ai   condomini  responsabili   della  mancata   comunicazione/variazione   (art.   1130   comma   6,   disp.   att.  c.c.).  In   caso   di   vendita   dell’appartamento,   l’art.   63,   quarto   comma,   disp.   att.,   c.c.  

prevede   che   "Chi   subentra   nei   diritti   di   un   condominio   e   obbligato,   solidalmente   con  questo,   al   pagamento   dei   contributi   relativi   all'anno   in   corso   e   a   quello   precedente".  Pertanto,  qualora  il  venditore  abbia  degli  arretrati,  e  non  venga  pattuito  diversamente  con  l'acquirente,  l'amministratore  del  condominio  potrà  chiedere  l'adempimento  tanto  

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all'   uno   quanto   all'altro   (c.d.   responsabilità   solidale).   In   particolare,   nei   confronti  dell'acquirente,  a  mente  dell'articolo  citato,  potrà  pretendere  le  somme  imputabili  sia  all'anno   relativo   alla   vendita   sia   a   quello   precedente.   Questo   principio,   oramai  consolidato  nella  giurisprudenza  della  Cassazione,  è  stato  recentemente  ribadito  dagli  stessi  Giudici  di  legittimità,  secondo  i  quali  "lo  status  di  condomino  spetta  all’acquirente  e   […]consegue   che   se   il   condomino   alienante   non   è   legittimato   a   partecipare   alle  assemblee   e   ad   impugnare   le   delibere   condominiali,   nei   suoi   confronti   non   può   essere  chiesto   ed   emesso   il   decreto   ingiuntivo   per   la   riscossione   dei   contributi,   atteso   che  soltanto   nei   confronti   di   colui   che   rivesta   la   qualità   di   condomino   può   trovare  applicazione  l'art.  63  comma  1"  (così  Cass.  n.  23345  del  2008).  Per  richiedere  il  decreto  ingiuntivo  occorrono  i  seguenti  documenti:  

1. copia   conforme   del   verbale   di   assemblea   di   approvazione   autenticata  per  conformità  all’originale  dell’amministratore;  2. copia  dello  stato  di  ripartizione  delle  spese;  3. lettera  di  sollecito  di  pagamento  (consigliabile);  

 Nel   caso   che   il   condomino   contro   il   quale   si   richiede   il   decreto   ingiuntivo   sia  

risultato   assente   all’assemblea   di   approvazione   del   riparto   delle   spese,   occorre  aggiungere  agli  indicati  documenti:  

1. lettera   raccomandata   di   convocazione,   con   la   dimostrazione  dell’avvenuto  recapito  entro  i  termini  di  legge;  2. invio  e  ricezione  del  verbale  assembleare.  

 5.5  -­  Le  immissioni  La   materia   delle   immissioni   è   disciplinata   dall'art.   844   c.c.,   che   stabilisce   che   "il  

proprietario  di  un  fondo  non  può  impedire  le  immissioni  di  fumo  o  di  calore,  le  esalazioni,  i   rumori,   gli   scuotimenti   e   simili   propagazioni   derivanti   dal   fondo   del   vicino   se   non  superano   la   normale   tollerabilità,   avuto   riguardo   anche   alle   condizioni   dei   luoghi. Nell'applicare  questa  norma   l'Autorità  Giudiziaria  deve   contemperare   le   esigenze  della  produzione   con   le   ragioni   della   proprietà.   Può   tener   conto   della   priorità   di   un  determinato  uso”.  Chi  valuta  cosa  è  tollerabile  e  cosa  non  è  tollerabile  è  l'autorità  giudiziaria.  In   merito   ai   limiti   di   tollerabilità   è   stato   infatti   specificato   “   che   non   avendo   il  

limite   di   tollerabilità   delle   immissioni   rumorose   carattere   assoluto,   ma   essendo   esso  relativo  alla  situazione  ambientale,  variabile  da  luogo  a  luogo,  secondo  le  caratteristiche  della   zona   e   le   abitudini   degli   abitanti,   spetta   al   giudice   del   merito   sia   accertare   in  concreto  il  superamento  della  normale  tollerabilità  e  l'individuazione  degli  accorgimenti  idonei  a  ricondurre  le  immissioni  nell'ambito  della  normale  tollerabilità”(ex  multis  Cass.  n.  3438/10).  Il   criterio   della   "normale   tollerabilità",   indicato   dall'art.   844   c.c.   per   verificare   la  

liceità   delle   immissioni,   è   dunque   un   criterio   relativo,   poiché   esso   non   trova   il   suo  punto  di  riferimento  in  dati  aritmetici  fissati  dal   legislatore,  ma  ha  riguardo  a  tutte  le  caratteristiche  del  caso  concreto.  In   particolare   il   limite   di   tollerabilità   delle   immissioni   rumorose   è   relativo   alla  

situazione  ambientale,  variabile  da  luogo  a  luogo,  secondo  le  caratteristiche  della  zona  e  le  abitudini  degli  abitanti;  di  conseguenza  la  valutazione  ex  art.  844  cod.  civ.,  diretta  a  stabilire   se   i   rumori   restino   compresi   o   meno   nei   limiti   della   norma,   deve   essere  riferita,  da  un  lato,  alla  sensibilità  dell'uomo  medio  e,  dall'altro,  alla  situazione  locale.  Tale   norma   si   applica   anche   nei   rapporti   tra   i   singoli   condomini   di   uno   stesso  

edificio,   sia   quando   l’immissione   molesta   o   dannosa   proviene   dal   condominio,   sia  

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quando   uno   di   essi   nel   godimento   della   cosa   propria   o   anche   comune,   dà   luogo   ad  immissioni  intollerabili  nella  proprietà  altrui.  Qualora   un   condomino,   quindi,   nel   godimento   della   propria   unità   immobiliare   o  

delle  parti   comuni,  dia   luogo  a   immissioni  moleste  o  dannose  nella  proprietà  di   altri  condomini,  il  conflitto  deve  essere  risolto  secondo  i  criteri  dettati  dall'art.  844  cod.  civ.  Il   condomino   danneggiato   dalle   immissioni   intollerabili   è,   quindi,   legittimato  

chiedere   al   giudice,   con   azione   di  manutenzione   ex   art.   1170   c.c.,   di   inibire   al   vicino  colpevole  delle  immissioni  illecite  la  prosecuzione  della  sua  attività  e  di  ordinare  a  suo  carico  il  risarcimento  del  danno.  Allorché   si   verta   in   tema   di   violazione   della   clausola   di   un   regolamento  

condominiale   che,   imponendo   limitazioni   al   godimento   degli   appartamenti   di  proprietà   esclusiva,   vieti   in   essi   l'esercizio   di   certe   attività,   e   si   invochi,   a   sostegno  dell'obbligazione   di   non   fare,   non   l'art.   844   cod.   civ.   sulle   immissioni,  ma   il   rispetto  della  più  rigorosa  previsione  regolamentare,  non  occorre  accertare,  al  fine  di  ritenere  l'attività  stessa  illegittima,  se  questa  costituisca  o  meno  immissione  vietata  ex  art.  :  ciò  in  quanto  le  norme  regolamentari  di  natura  contrattuale  possono  imporre  limitazioni  al  godimento  della  proprietà  esclusiva  anche  maggiori  di  quelle  stabilite  dall'art.  844  c.c.,  a   tutela  della   tranquillità  degli  altri  partecipi   (Cass.,   sent.  n.  1064  del  18  gennaio  2011).  In   ogni   caso   spesso,   prima   o   contemporaneamente   all'azione   ordinaria   innanzi   al  

giudice,   a   presidio   del   diritto   alla   salute   e   della   salubrità   ambientale,   viene   chiesto  anche  un  provvedimento  d'urgenza  per  far  cessare  immediatamente  i  rumori.  Il  livello  di  tutela  è  anche  quello  penale.    Ai   sensi  del  primo  comma  dell’art.  659  c.p.   rubricato    Disturbo  delle  occupazioni  o  

del   riposo  delle   persone:  Chiunque,  mediante   schiamazzi   o   rumori,   ovvero  abusando  di  strumenti  sonori  o  di  segnalazioni  acustiche,  ovvero  suscitando  o  non  impedendo  strepiti  di  animali,  disturba  le  occupazioni  o  il  riposo  delle  persone,  ovvero  gli  spettacoli,  i  ritrovi  o   i   trattenimenti  pubblici,  è  punito  con  l'arresto  fino  a  tre  mesi  o  con  l'ammenda  fino  a  euro  309.  La  giurisprudenza,   in  più  occasioni,  ha  specificato  che  “  ai   fini  della  configurabilità  

del  reato  di  cui  all'art.  659  cod.  pen.,  e’  necessario  che  le  emissioni  sonore  rumorose  siano  tali  da  superare  i  limiti  della  normale  tollerabilità,  anche  in  relazione  alla  loro  intensità,  in  modo  da  recare  pregiudizio  alla  tranquillità  pubblica,  ovvero  alla  quiete  ed  al  riposo  di  un   numero   indeterminato   di   persone,   anche   se   non   e’   necessario   che   siano   state   tutte  disturbate  in  concreto,  atteso  che  la  valutazione  circa  l'entità  del  fenomeno  rumoroso  va  fatta   in   relazione   alla   sensibilità  media   del   gruppo   sociale   in   cui   il   fenomeno   stesso   si  verifica,  non  assumendo  rilievo  assorbente  le  lamentele  di  una  o  più  persone  (Cass.  Sez.  3,  Sentenza  n.  3678  del  01/12/2005-­31/01/2006).  

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MODULO N. 5BIS

Metodi A.D.R (ALTERNATIVE DISPUTE RESOLUTION):

LA CONCILIAZIONE (Rossana De Angelis)

IL CONFLITTO Per inquadrare correttamente l’istituto della conciliazione è necessario innanzitutto

definire e comprendere cosa è il conflitto. Se prendessimo il dizionario della lingua italiana Zingarelli, alla voce CONFLITTO

troveremmo scritto: “Contrasto, scontro, urto, aspro e prolungato di idee e opinioni”. In termini assoluti, pensarla in maniera diversa è un bene; lo scambio di opinioni aiuta a

migliorare, in modo costruttivo, qualunque rapporto sociale. Si pensi alla famiglia, al lavoro, alla società, alla politica.

Che si pensi in modo diverso è naturale e giusto. Che ne sarebbe di una famiglia dove non si discute mai? Prima o poi l’insoddisfazione

porterebbe all’esplosione del nucleo familiare. E nella società? Se non vi fosse contraddittorio non vi sarebbe libertà. Vi sarebbe

dittatura. Con tutte le conseguenze del caso. Il diverso modo di pensare è inoltre una conseguenza della propria cultura, della propria

esperienza del proprio background. Ogni soggetto ha un diverso modo di recepire il problema, di elaborarlo di percepirlo e, quindi, di affrontarlo.

Pensate per esempio alla seguente notizia: Questa mattina è aumentato di

un punto il Tasso Ufficiale di Sconto. Questo, che di per se stessa è solo una notizia, in realtà crea al neo mutuato (magari rimasto pure disoccupato) un grosso problema. La stessa notizia al contadino di Poggibonsi non lo scalfisce affatto. Al contrario una grossa grandinata a fine agosto è per il contadino toscano un disastro per la raccolta della sua uva mentre al disoccupato non interessa per nulla. Questa si chiama diversa percezione del problema.

Ma oltre alla percezione del problema esistono, e sono scientificamente individuate, le

distorsioni cognitive. Sono vere e proprie distorsioni della realtà che l’essere umano compie inconsciamente. Si pensi agli STEREOTIPI (tutti gli amministratori di condominio rubano – chi guida

con il cappello guida male), alla RAPPRESENTATIVITÀ (se presento un documento ben confezionato e lo stesso scritto a mano si tende a prescegliere inconsciamente il primo), ecc.

Che si pensi quindi in modo diverso è corretto e positivo. Non è dunque vero che il conflitto nasce dal diverso modo di pensare.

Il conflitto nasce da come si pensa di risolvere il diverso modo di pensare. Ciò che divide non è il problema ma il diverso modo di risolverlo. MODI DI RISOLUZIONE DEL CONFLITTO Vi sono tre metodi per risolvere i conflitti. FORZA: Ai tempi dei Babilonesi, nel codice di Hammurabi (1792 a.c.), il primo codice

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giuridico che sia mai stato rinvenuto la regola base della soluzione dei conflitti era “Occhio per occhio”.

Ghandi, che di pace se ne intendeva, amava concludere il “motto” Occhio per occhio aggiungendo: “ e rimasero entrambi ciechi”.

E’ infatti scientificamente provato che la vendetta produce desiderio di vendetta portando il contrasto in quella che tecnicamente di definisce “escalation del conflitto”. Fino ad arrivare alla distruzione di una delle parti. O di entrambe.

Uno degli utilizzi più comuni del metodo della forza applicata in modo pacifico è lo sciopero.

*** DIRITTO: Il Giudizio ha natura pubblicistica, vi si ricorre in maniera formale, la difesa

tecnica è obbligatoria con l’ausilio di terze persone abilitate(gli avvocati) che rappresentano ad un Magistrato (imposto ed estraneo anch’esso al conflitto ed alle parti), il problema. Il Giudice emette la Sentenza che è titolo esecutivo per le parti in causa.

Tutto perfetto… se funzionasse! La realtà italiana è drammatica. Cause pendenti presso i Tribunali italiani (anno 2007): 4o.070.770 Tempi medi per l’emissione di una Sentenza tra primo grado e appello a Roma : fra i 10

e i 12 anni (1° in Europa- USA 316 giorni Francia 331 giorni) Costi di un giudizio: 29,9% (secondi in Europa dopo la Svezia – USA 9,4%-Francia e

Spagna 17%) Risultati che si commentano da soli. Risultati drammatici per un Paese che si definisce

“civile”. Anche da un punto di vista di politica economica, riflettete: quante imprese straniere investirebbero in un paese rischiando di non avere mai Giustizia?

Non può infatti definirsi Giustizia quella che arriva dopo 10-12 anni. ***

SODDISFAZIONE DEI BISOGNI: Le parti, con l’aiuto di un terzo estraneo al conflitto (conciliatore) autonomamente trovano la soluzione del problema comune ottenendo reciproca soddisfazione. Il conciliatore quindi non impone decisioni dall’alto ma aiuta le parti a creare il consenso.

Esempi sui metodi di risoluzione dei conflitti: Un operaio che lavora in fabbrica si compra da solo il casco e le scarpe

antinfortunistiche. Tutti i giorni li mette in un armadietto della fabbrica dove lavora assicurando la chiusura dell’armadietto tramite una chiave fornita dalla stessa ditta. Una mattina l’operaio trova l’armadietto vuoto a causa di un furto. L’operaio si rivolge alla ditta per ottenere il rimborso o la fornitura a spese dell’azienda degli oggetti da lui acquistati. La ditta si rifiuta poiché nello spogliatoio c’è scritto chiaramente che tutti gli oggetti sono depositati sotto la propria responsabilità e che la ditta è esonerata da ogni responsabilità per danni o furti. Come si può risolvere il problema nelle tre soluzioni elencate?

1. I lavoratori organizzano uno sciopero (metodo della FORZA):l’operaio perde la paga nei giorni di sciopero, l’impresa ferma il suo ciclo produttivo;

2. L’avvocato della rappresentanza sindacale vuole intentare una causa adducendo che il contratto è nullo (metodo del DIRITTO): tempo lunghissimo e inasprimento dei rapporti;

3. Si convoca un tavolo delle parti per addivenire ad un accordo per entrambi soddisfacenti (metodo della SODDISFAZIONE DEL BISOGNO)

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Ma come si sceglie il migliore dei metodi per la soluzione del conflitto? In base a parametri scientifici e più precisamente:

• Costi (e non solo economici ma anche di sofferenza); • Risultati e soddisfazione; • Relazioni (come ne esce la relazione tra le parti?); • Ripetitività della soluzione.

CENNI STORICI SULLA CONCILIAZIONE Nelle prime agorà della storia, laddove tra due persone nasceva un conflitto, queste si

rivolgevano al capo tribù, che cercava di creare il consenso delle parti. E laddove una si rifiutava di conciliare veniva espulsa dal gruppo… con tutte le gravissime conseguenze del caso…

Il concetto di armonia poi è insito nelle mentalità e tradizioni orientali. Ogni conflitto deve essere risolto con la conciliazione. La tutela giurisdizionale è vista come l’estrema possibilità, ma di regola la soluzione delle controversie è perseguita tramite la mediazione e la presenza di conciliatori è estremamente attiva e diffusa su tutti il territorio in maniera capillare.

Per altri e ben diversi motivi la conciliazione ha preso piede già da decenni anche in America (soprattutto nei paesi sud americani). Infatti, almeno inizialmente, negli Stati Uniti prima e in sud America poi, si è giunti alla conciliazione per porre rimedio ai limiti della giurisdizione statuale. La struttura del processo di stampo anglosassone infatti, soprattutto per quanto riguarda la fase probatoria del trial, è estremamente impegnativa da un punto di vista economico e quindi si è cercato di realizzare un sistema di soluzione alternative delle controversie (csd. ADR).

E in Italia? Uno dei più grandi ed importanti studiosi del mondo dei metodi conciliatori è il Prof. Roger Fischer – Harward che nel ---- scrisse un manuale intitolato “Getting to yes”. Il manuale, di facilissima lettura è stato tradotto in 15 lingue ed è stato un best seller in America. I diritti di questo manuale, in Italia, furono acquistati dalla Mondadori. Fu un flop. Qualche anno dopo la casa editrice Corbaccio ne riacquistò i diritti e lo pubblicò con il titolo L’arte del negoziato.

INQUADRAMENTO PSICOLOGICO E GIURIDICO DELL’ ISTITUTO NELL’AMBITO CONDOMINIALE Ma tutto questo quadro storico come si inquadra nel contesto che ci interessa, quindi

quello condominiale? Due sono gli obiettivi della conciliazione: risoluzione del problema e mantenimento di

buoni rapporti. Qual è il luogo migliore dove il rispetto di questi due obiettivi è così fondamentale? I vicini di casa non si scelgono. Quando compriamo la casa non sappiamo a priori con

quali persone ci andremo giornalmente a confrontare. Ma una cosa è certa. Con loro dovremo confrontarci ogni giorno. Ogni giorno li incontreremo al portone, in ascensore, in garage, ecc. Con loro dovremo convivere.

La necessaria e stabile coesistenza tra proprietà e parti comuni indivise, non impedisce ai condomini di godere e disporre delle rispettive proprietà solitarie in modo pieno ed esclusivo.

Ma è proprio questo equilibrio di “cosa si può e cosa non si può fare” in un condominio che scatena le liti fra i condomini, puntualmente presenti in quasi ogni assemblea condominiale, intasando i Tribunali di ogni città.

Si tratta di una mole enorme di provvedimenti che invadono ogni anno la già lenta

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macchina della giustizia italiana, generando un costo enorme per la società, senza considerare che per recuperare, a volte, cifre irrisorie si sostengono spese che tra onorari, oneri e lungaggini della procedura lievitano in maniera esorbitante.

E quindi, il settore condominale, dato l'alto "tasso" di litigiosità, ben si presta all'utilizzo della procedura conciliativa che ricerca soluzioni facilitative, al fine di preservare i rapporti sociali al di là della decisione della singola controversia.

Secondo uno dei rapporti CENSIS/ANACI gli episodi di litigiosità che si sviluppano nell’ambito delle assemblee condominiali derivano soprattutto dalle controversie tra singoli condomini; le liti derivanti da controversie legate alla gestione del condominio appaiono, invece, meno frequenti.

Dalle opinioni espresse dagli amministratori riguardo ai motivi della litigiosità sembra emergere che il fenomeno è legato soprattutto a questioni di “intolleranza” della presenza fisica del vicino di casa più che a divergenze di opinioni sulla gestione della proprietà condominiali. Alla testa della classifica dei motivi di litigiosità più frequenti si trova l’utilizzo delle parti comuni dello stabile, seguiti dai fastidi derivanti da rumori molesti.

In questa ottica lo strumento della conciliazione riveste sicuramente un ruolo fondamentale, perché arriva al cuore del problema, sviscerando quelle che sono le vere motivazioni che hanno portato al litigio.

E di motivi per “arrivare al litigio” nel condominio ce ne sono a bizzeffe. La conciliazione condominiale consente di risolvere qualsiasi tipo di lite, dall'impresa

che non esegue correttamente i lavori di condominio alla lite con l'impiantista, fino ai rapporti di vicinato.

Quali saranno i rapporti futuri di due condomini che si sono citati in giudizio? E quali saranno i loro rapporti dopo che un Giudice avrà a loro imposto come comportarsi. Il minimo che accadrà è che si toglieranno il saluto. Ma poi cercheranno la vendetta in quell’escalation conflittuale cui ho già accennato fino ad arrivare potenzialmente… alla degenerazione del conflitto!

Ecco quindi quanto è importante in questo quadro l’inserimento di uno strumento alternativo delle controversie che vada a mirare ai due obiettivi principali di cui parlavamo prima: risoluzione dei problemi e mantenimento dei buoni rapporti futuri.

Ma qual è il quadro giuridico della conciliazione in Italia? Nel Codice di Procedura Civile del 1865, vi era un titolo preliminare “Della

conciliazione e del compromesso”, il cui art. 1 recitava “i conciliatori, quando ne siano richiesti, devono adoperarsi per comporre le controversie”.

Nell’edizione del 1986 del “Digesto Italiano”Scamozzi scriveva la voce “Conciliatore – conciliazione giudiziaria”, un trattato dedicato agli aspetti storici, culturali e comparativi dell’istituto. Emergevano apprezzamenti per vantaggi economici e etici offerti dalla conciliazione.

Se invece sfogliassimo il codice di procedura civile vigente, quello del 1942 troveremmp un accenno alla conciliazione solo all’art. 320, divenuto un passaggio interno di una procedura decisionale, è affidato ad un Giudice.

Sembrava quindi che ci si fosse “dimenticati” di strumenti come la conciliazione. Ma nel 1993 cominciò la “rinascita” della conciliazione. Inizialmente con la riforma

delle Camere di Commercio che dal 1998 sono incaricate di organizzare servizi di arbitrato e conciliazione in materia di consumi e di sub-fornitura. Poi, nel 2003, con la riforma del diritto societario e i successivi decreti di attuazione , ecco nascere il secondo “pilastro” della conciliazione, che ha definito, tra l’altro, le caratteristiche degli organismi di conciliazione e individuato gli standard formativi dei conciliatori.

Il 4 marzo 2010 il Ministero della Giustizia ha emanato il D. Lgs.vo n. 28 in attuazione dell’art. 60 della L. 69/2009 (Legge che riforma la disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione, con obiettivi di deflazione dei processi e diffusione della cultura del

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ricorso a soluzioni alternative). Il 18 ottobre 2010 è stato pubblicato anche il Regolamento di Attuazione del decreto.

Queste le principali novità: 1. Ogni parte può depositare una domanda di mediazione presso un organismo

accreditato dal Ministero della Giustizia per la conciliazione di una controversia civile e commerciale relativa a diritti disponibili, anche a causa pendente.

2. Della mancata partecipazione alla mediazione senza giustificato motivo della controparte, il giudice potrà tenere conto.

3. Anche il Giudice può, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a rivolgersi ad un organismo di mediazione.

4. All’atto del conferimento dell’incarico l’avvocato è tenuto ad informare per iscritto l’assistito della possibilità di avvalersi della procedura di mediazione.

5. Introduzione di incentivi fiscali come l’esenzione dall’imposta di bollo e da ogni tassa o diritto di qualsiasi spese e natura per tutti gli atti, documenti e provvediementi. Esenzione dall’imposta di registro del verbale di accordo per un valore di giudizio fino a 50.000 euro ed un credito d’imposta per le parti che corrispondono il compenso per la mediazione fino ad un massimo di € 500,00.

6. Nel caso in cui il provvedimento che chiude il processo (iniziato dopo il mancato accordo di conciliazione) corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto dal mediatore, tutte le spese di giudizio nonché un ulteriore somma a titolo di contributo unificato sarà posta dal Giudice a carico della parte che ha deciso di non accordarsi in fase di mediazione.

Infine con la L. 220/2012 (cd. Riforma del condominio) la conciliazione è stata definitivamente riconosciuta come strumento di risoluzione dei conflitti condominiali e regolamentata.

In base al Codice Civile, sono considerate controversie in materia condominiale quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle Disposizioni contenute nel libro Terzo, titolo VII, capo II del Codice e degli art. da 61 a 72 delle Disp. Att. C.C.

Potrà procedere al procedimento di conciliazione l’amministratore, previa delibera assembleare assunta con le maggioranze previste dall’art. 1136 2° c.

La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea di condominio con la medesima maggioranza.

LA CONCILIAZIONE: VANTAGGI, DEFINIZIONE, FIGURA DEL CONCILIATORE

• Le parti sono direttamente coinvolte nel trovare l’accordo; • Il mediatore è un professionale dotato di formazione specifica e

competenza tecnica; • Il mediatore, in quanto terzo neutrale, ha una visione esterna oggettiva del

conflitto (sta al balcone) • La procedura è rapida e meno costosa del giudizio (max 4 mesi); • La procedura tutela la conservazione dei rapporti fra le parti;

• La procedura è aperta a soluzioni creative che rispecchiano i reali interessi delle parti;

• La procedura è aperta a soluzioni “creative” che rispecchiano i reali interessi delle parti;

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• La procedura, a differenza della transazione, non vuole arrivare a concessioni reciproche (che lascerebbero comunque scontente le parti) ma al Miglior Accordo Negoziato (MAN)

• Le informazioni assunte nel corso della procedura sono riservate e non utilizzabili nell’ambito di altre procedure formali o informali.

Quindi: La mediazione è la ricerca di un accordo basato sugli interessi e/o bisogni, favorita

dall’intervento di un terzo estraneo alla disputa. In quanto tale essa prescinde da qualunque elemento di giudizio e di decisioni provenienti da un terzo, facendo affidamento solo sulla volontà delle parti, le quali sono indotte a collaborare per cercare il miglior accordo risolutivo per entrambi vantaggioso.

Ma quali sono i bisogni di una persona? Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di

"Hierarchy of Needs" (gerarchia dei bisogni o necessità) e la divulgò nel libro Motivation and Personality del 1954.

Questa scala di bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari (necessari alla sopravvivenza dell'individuo) ai più complessi (di carattere sociale). L'individuo si realizza passando per i vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo. Questa scala è internazionalmente conosciuta come "La piramide di Maslow". I livelli di bisogno concepiti sono:

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E chi è e come deve essere un bravo conciliatore? • Neutrale, indipendente e imparziale • Preparato; • Realista • Ottimista • Umile • Paziente • Tecnicamente competenze • Possedere acutezza percettiva

LA PROCEDURA Sono partita dalla definizione del conflitto per spiegare da dove nasce. Quali sono i modi

per risolverlo, come si scelgono, quali sono le normative che coinvolgono il mondo condominiale. Ho parlato della conciliazione, della sua storia, delle sue finalità. Ho parlato dei vantaggi della procedura e delle qualità del conciliatore.

A questo punto non mi rimane che dire come funziona una conciliazione. Ogni parte può presentare domanda di mediazione ad un organismo riconosciuto e

preposto ubicato nella circoscrizione del Tribunale nel quale il condominio è situato. L’organismo, ricevuta l’istanza, apre un fascicolo e lo assegna ad un conciliatore.

Contatta altresì l’altra parte, la informa dell’apertura del procedimento e fissa l’incontro di conciliazione.

Il conciliatore, avendo preliminarmente studiato il fascicolo, nel giorno fissato, incontra le parti ed utilizza le tecniche di comunicazione acquisite, al fine di far risolvere, alle parti stesse, il proprio conflitto. Le sessioni d’incontro possono essere così sintetizzate:

I SESSIONE Congiunta iniziale Discorso introduttivo del mediatore;

Posizione di A Parafrasi di A Posizione di B Parafrasi di B Domande di chiarimento

II SESSIONE Privata con ogni parte Domande aperte (6W) Formulazione di proposte alternative

III SESSIONE Congiunta finale Riformulazione del conflitto; Opzioni Accordo/non accordo

Nella prima sessione il conciliatore incontra entrambe le parti, si presenta, presenta la

procedura ed ascolta – attivamente – le posizioni di entrambi, riassumendo e parafrasando i concetti espressi.

Nella seconda fase il conciliatore entra nel vivo della procedura incontrando separatamente le parti. Da esse cerca di trarre il maggior numero di informazioni possibili ponendo loro domande aperte atte a far parlare e ad esplicare emozioni, ricordi, sensazioni, proposte che, naturalmente, non sarebbero mai emerse da sole.

Nella terza sessione il conciliatore ricongiunge le parti e riformula conflitto e opzioni risolutive rilevando se le stesse possano essere condivise da entrambi i soggetti o meno.

Ove non si raggiungesse l’accordo, come sopra detto,il conciliatore può formulare la sua proposta finale di accordo e dovrà comunque farla se richiesto da entrambe le parti, proposta

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che potrà o non potrà da loro essere accettata. Qualora non venisse accettata, la proposta finale sarà prodotta in un eventuale successivo giudizio ed il Giudice ne potrà tenere conto in sede di liquidazione delle spese processuali.

Il verbale di accordo invece, una volta omologato a cura di una delle parti (l’omologa avviene con Decreto del Presidente del Tribunale ove ha sede l’organismo di conciliazione), trasforma il “contratto” in provvedimento esecutivo e ne determina la tassabilità (con esenzione fino ad un valore di 50.000 euro).

GLI SVANTAGGI DELLA CONCILIAZIONE Finora ho parlato dei vantaggi della conciliazione. E’ giusto che vi accenni anche ai suoi

limiti. Ebbene la conciliazione non può andare a buon fine se:

• Le parti ritengono che il conciliatore non sia preparato a sufficienza; • La questione reale fra le parti è una questione di morale o di principi; • La questione da conciliare è di puro diritto; • Le parti cercano una condanna per esperire ulteriori azioni; • Una delle parti vuole solo cercare di arrecare il maggior danno possibile

all’altra. • C’è forte disparità fra le parti

Inoltre, paradossalmente, i motivi che spingono alla ricerca di procedure alternative di risoluzioni delle controversie (lungaggini giudiziarie) sono al tempo stesso il maggior ostacolo al loro possibile affermarsi (se so che la mia posizione è debole, ma so anche che la causa si trascinerà per molti anni, per quale motivo dovrei collaborare con una soluzione rapida e non contenziosa?).

Infine la proposta finale del conciliatore fa venire di fatto meno alla natura “facilitativa” della mediazione (cioè finalizzata a facilitare le parti stesse alla ricerca di un accordo) trasformandola in una mediazione “valutativa” (e trasformando quindi di fatto il mediatore in un Giudice). Ciò potrebbe portare le parti a non aprirsi completamente al conciliatore impedendo quindi a priori la conciliazione stessa.  

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MODULO  N.  6    

 

Le  innovazioni  (Valerio  Troiani  e  Laura  Villirilli)  

   6.1  -­  Introduzione  Il   tema   in  questione,  pur   essendo  nella   sua  essenza  ben   identificato  dai   contenuti  

codicistici,  è  da  sempre  oggetto  di  diatribe  concettuali,  strumentali  a  diversi   interessi  economici  facenti  capo  alle"contrapposte"  parti  delle  compagine  condominiale,  tali  da  renderlo   argomento   di   numerose   sentenze   di   cassazione     e   dotti   approfondimenti  giuridici  che  in  questo  capitolo  si  proverà  a  riassumere.    Le   attività   "innovative"   oggetto   di   valutazione   assembleare   sono   esplicitamente  

richiamate  dagli  art    1117    ter  1120  e  1121  cc.    Art.  1120  del  codice  civile:  I   condomini,   con   la   maggioranza   indicata   dal   quinto   comma   dell'articolo   1136,  

possono  disporre  tutte  le  innovazioni  dirette  al  miglioramento  o  all'uso  più  comodo  o  al  maggior  rendimento  delle  cose  comuni.  I  condomini,  con  la  maggioranza  indicata  dal  secondo  comma  dell'articolo  1136,  possono  disporre  le  innovazioni  che,  nel  rispetto  della  normativa  di  settore,  hanno  ad  oggetto:  

1)  le  opere  e  gli   interventi  volti  a  migliorare  la  sicurezza  e  la  salubrita'  degli  edifici  e  degli  impianti;  2)   le  opere   e  gli   interventi  previsti   per   eliminare   le  barriere  architettoniche,  

per   il   contenimento   del   consumo   energetico   degli   edifici   e   per   realizzare  parcheggi  destinati  a  servizio  delle  unità  immobiliari  o  dell'edificio,  nonchè  per  la  produzione   di   energia   mediante   l'utilizzo   di   impianti   di   cogenerazione,   fonti  eoliche,   solari   o   comunque   rinnovabili   da   parte   del   condominio   o   di   terzi   che  conseguano  a  titolo  oneroso  un  diritto  reale  o  personale  di  godimento  del  lastrico  solare  o  di  altra  idonea  superficie  comune;  3)  l'installazione  di  impianti  centralizzati  per  la  ricezione  radiotelevisiva  e  per  

l'accesso  a  qualunque  altro  genere  di  flusso  informativo,  anche  da  satellite  o  via  cavo,   e   i   relativi   collegamenti   fino   alla   diramazione   per   le   singole   tenze,   ad  esclusione  degli   impianti   che  non  comportano  modifiche   in  grado  di  alterare   la  destinazione   della   cosa   comune   e   di   impedire   agli   altri   condomini   di   farne   uso  secondo  il  loro  diritto.  

L'amministratore  è  tenuto  a  convocare  l'assemblea  entro  trenta  giorni  dalla  richiesta  anche   di   un   solo   condomino   interessato   all'adozione   delle   deliberazioni   di   cui   al  precedente   comma.   La   richiesta   deve   contenere   l'indicazione   del   contenuto   specifico   e  delle   modalita'   di   esecuzione   degli   interventi   proposti.   In   mancanza,   l'amministratore  deve  invitare  senza  indugio  il  condomino  proponente  a  fornire  le  necessarie  integrazioni.  Sono   vietate   le   innovazioni   che   possono   recare   pregiudizio   alla   stabilità   o   alla  

sicurezza   del   fabbricato,   che   ne   alterino   il   decoro   architettonico   o   che   rendano   talune  parti  comuni  dell’edificio  inservibili  all’uso  o  al  godimento  anche  di  un  solo  condomino    Art.  1121  -­‐  Innovazioni  gravose  o  voluttuarie  Qualora  l’innovazione  importi  una  spesa  molto  gravosa  o  abbia  carattere  voluttuario  

rispetto   alle   particolari   condizioni   e   all’importanza   dell’edificio,   e   consista   in   opere,  

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impianti  o  manufatti  suscettibili  di  utilizzazione  separata,  i  condomini  che  non  intendono  trarne  vantaggio  sono  esonerati  da  qualsiasi  contributo  nella  spesa.  Se  l’utilizzazione  separata,  non  è  possibile,  l’innovazione  non  è  consentita,  salvo  che  la  

maggioranza   dei   condomini   che   l’ha   deliberata   o   accettata   intenda   sopportarne  integralmente  la  spesa.  Nel  caso  previsto  dal  primo  comma  i  condomini  e  i  loro  eredi  o  aventi  causa  possono  

tuttavia,   in   qualunque   tempo,   partecipare   ai   vantaggi   dell’innovazione,   contribuendo  nelle  spese  di  esecuzione  e  di  manutenzione  dell’opera.    Al   fine  di   rendere  più  agevole   la   comprensione  dei   confini  dei   riportati   articoli,   si  

ritiene   opportuno   richiamare   le   più   complete   definizioni   tecnico-­‐guridiche   del  concetto  di  innovazione  in  condominio.    6.2  -­  Nozione  Varie   seppur   coerenti   sono   le   definizione   ricondotte   al   termine   "innovazione"  

nell'ambito   condominiale;   dalla   lettura   del     Corana,   Branca     e   Salis,   di   cui   Terzago  riporta  ampi   interventi,   si  può  riassumere   il   concetto   fondante  delle   innovazioni   in   "  quelle  modifiche   apportate   alla   cosa   comune   che   comportino   alterazione   nella     entità  sostanziale   della   cosa   o   mutamento   delle   destinazione   di   essa"   .   Ulteriore   spunti   di  riflessione  per   la  definitiva  delimitazione  del  concetto  di   innovazione  possono  essere  tratti    dai  contenuti  giurisprudenziali  di  una  lunga  serie  di  interventi  della    cassazione  dai   quali   si   può   desumere   che   “innovazioni   sono   considerate   le   opere   dalle   quali,  derivando    alterazioni  nella   entità   sostanziale  o  mutamento  di  destinazione  della   cosa,    comportino  dei  costi  a  carico  di  tutti  i  condomini  e  che,  pur  volte  all'uso  più  comodo  o  al  maggior  rendimento  delle  cose  stesse,  si   traducano  in  una  limitazione  all'uso  degli  altri  partecipanti”.    Il   Terzago   quindi   spiega   come   in   Condominio,   la   distinzione   tra   modifica   e  

innovazione  si  ricollega  all'entità  e  alla  qualità  della  incidenza  della  nuova    opera  sulla  consistenza  e  sulla  destinazione  delle  cosa  comune  nel  senso  che,  per   innovazione   in  senso   tecnico  giuridico  deve   intendersi  non  un  qualsiasi  mutamento  o  modificazione  delle   cosa   comune   bensì   quella   modificazione   materiale   che   ponendo   costi   a   carico  della  collettività  ne  alteri  la  destinazione  o  la  entità  sostanziale  originale.    Si  desume  quindi  come  sia  differente  il  concetto  di  delibera  assembleare  volta  alla  

manutenzione   da   quello   di   delibera   volta   alla   innovazione:   la   prima   è   finalizzata  all'assunzione  di  decisioni  su  questioni  considerate  necessarie,  caratteristica    che  per    propria  natura,   fatti   salvi   casi   tecnicamente   isolati,  manca   alle   decisioni   adottabili   in  materia    di  innovazioni.    Degno   di   rilievo   e   necessario   per   la   completezza   del   quadro   identificativo   di   una  

innovazione   materiale   è   il   richiamato   concetto   di   coinvolgimento   economico   della  intera   compagine   condominiale,   in   quanto   ove   ciò   non   accada   a   causa  dell'accollo   di  spesa   da   parte   di   un   solo   condomino,     si   rientra   nel   ben   più   semplice   concetto   di  miglior  uso  delle  parti  comuni  (art.  1102  cc)      6.3  -­  Le  modificazioni  del  singolo  condomino  Art.  1102  -­‐  Uso  della  cosa  comune  Ciascun   partecipante   può   servirsi   della   cosa   comune,   purché   non   ne   alteri   la  

destinazione  e  non  impedisca  agli  altri  partecipanti  di  farne  parimenti  uso  secondo  il  loro  diritto.  A  tal  fine  può  apportare  a  proprie  spese  le  modificazioni  necessarie  per  il  migliore  godimento  della  cosa.  

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Il  partecipante  non  può  estendere  il  suo  diritto  sulla  cosa  comune  in  danno  degli  altri  partecipanti,  se  non  compie  atti  idonei  a  mutare  il  titolo  del  suo  possesso.  È  proprio  il  dettato  normativo  dei  due  articoli  in  questione  (art.  1120  comma  primo  

e   1102)   a   distinguere   le   fattispecie   e   quindi   definire   il   concetto   di   innovazione,  evidenziando   come   le   modificazioni   che,   senza   l'addebito   di   costi   ad   altri   che   non  all'interessato,    non  alterano  la  destinazione  di  un  bene  e  non  impediscano  il  pari  uso  rientrano   nel   concetto   di   miglior   uso   della   cosa   comune,sono     libere   da   preventive  autorizzazioni   assembleari   (fatti   salvi   eventuali   limiti   posti   da   regolamenti  condominiali  contrattualmente  accettati).              Il   caso   pratico   più   emblematico,   pur   nella   sua   deflagrante   consistenza,     è   quello  

riguardante  l'installazione  di  un  ascensore  nella  tromba  delle  scale,  riguardo  il  quale  la  Suprema  Corte  ha  affermato  che  “la  norma  di  cui  all’art.  1120  c.c.,  nel  prescrivere  che  le  innovazioni   della   cosa   comune   siano   approvate   dai   condomini   con   determinate  maggioranze,   tende  a  disciplinare   l’approvazione  di  quelle   innovazioni  che  comportano  oneri  di  spesa  per  tutti  i  condomini;  ma,  ove  non  debba  procedersi  a  tale  ripartizione  per  essere   stata   la   spesa   relativa   alle   innovazioni   di   cui   si   tratta   assunta   interamente   a  proprio   carico   da   un   condomino,   trova   applicazione   la   norma   generale   di   cui   all’art.  1102   c.c.,   che   contempla   anche   le   innovazioni,   ed   in   forza   della   quale   ciascun  partecipante   può   servirsi   della   cosa   comune,   a   condizione   che   non   ne   alteri   la  destinazione   e   non   impedisca   agli   altri   condomini   di   farne   uguale   uso   secondo   il   loro  diritto,   e,   pertanto,   può   apportare   a   proprie   spese   le   modificazioni   necessarie   per   il  miglior   godimento   della   cosa   comune.”   (Cass.   10   aprile   1999,   n.   3508,   27.12.2004   n.  24006)  Sempre  con  riferimento  alle  modificazioni  realizzate  autonomamente  da  un  singolo  

condomino  sulle  parti  comuni,  è  necessario  precisare  che  la  giurisprudenza  ha  ritenuto  applicabili  per  analogia  anche  i  limiti  previsti  dall’art.  1120  c.c.,  in  quanto  le  due  norme  (1102   e   1120)   sono   ispirate   alla   medesima   finalità   (c.d.   ratio).   In   altri   termini,   il  singolo  condomino  che  apporta  modificazioni  ai  beni  e/o  impianti  comuni  dovrà,  oltre  che   rispettarne   la  destinazione  e  non   limitarne   l’uso,  non  pregiudicare   la   stabilità,   la  sicurezza  e/o  il  decoro  del  fabbricato  (Cass.  22  agosto  2003,  n.  12343).  Oltre  ai  su  richiamati   limiti  posti  dai  contenuti  del  disposto  degli  art.  1102  e  1120  

cc,  anche  l’art  .  1117quater  viene  posto  a  salvaguardia  del  legittimo  interesse  comune  verso   attività   che   in   qualche  modo   possano   pregiudicare   la   destinazione   d'uso   delle  parti  comuni:  a  tal  fine  la  richiamata  norma  prescrive  che  ove  si  ravvisino  attività  che  possano   in   qualche   modo   incidere   negativamente   e   in   modo   sostanziale   sulla  destinazione  d'uso    delle  parti  comuni,  l'amministratore  o  anche  il  singolo  condomino  possono   diffidare   l'esecutore   e   possono   richiedere   la   convocazione   di   un'assemblea  chiamata   a   deliberare   sulle   azioni,   comprese   quelle   giudiziarie,   necessarie  all'ottenimento  della   cessazione  di  dette   attività.   In   tal   caso   il   quorum  deliberativo   è  quello  prescritto  dal  secondo  comma  dell'art.  1136  (maggioranza  degli  intervenuti  che  rappresentino  almeno  500  mm)      6.4   -­  Le   innovazioni   lecite,   separate,   vietate;   il   richiamo  codicistico  

alle  leggi  speciali;        “I   condomini,   con   la   maggioranza   indicata   dal   quinto   comma   dell'articolo   1136,  

possono  disporre  tutte  le  innovazioni  dirette  al  miglioramento  o  all'uso  più  comodo  o  al  maggior  rendimento  delle  cose  comuni.”  Art.  1120  comma  primo.    Rientrano   nell’alveo   delle   innovazioni   consentite   (lecite),validamente   deliberate  

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dalla  maggioranza  degli  intervenuti  in  assembla  che  rappresenti  almeno  i    due  terzi  del  valore   dell’edificio,   con   coinvolgimento   alla   contribuzione   alle   spese   anche   della  minoranza   dissenziente,   tutte   le   innovazioni   dalla   cui   esplicazione   derivino  modificazioni   sostanziali   delle   parti   comuni   o   delle   loro   destinazione   d’uso   quali:   la  realizzazione   di   un   gruppo   elettrogeno   per   l’alimentazione   delle   utenze   comuni;   la  realizzazione     di   una   copertura   in   muratura     al   viale   di   accesso   condominiale;   la  destinazione  di  una  parte  di  parco  condominiale    a  area  giochi  per  bambini;  la  chiusura  con  cancellate  del  piano  piloty  di  un  fabbricato.      In   ossequio   al   preciso   disposto   dell’art.   1121,   alcune   delibere   aventi   ad   oggetto  

interventi   innovativi,   possono   essere   regolate   di   contenuti   di   tale   norma;   caratteri  imprescindibili  delle  innovazioni  separate  debbono  essere:  la  gravosità  della  spesa,  la  sua  voluttuarietà,  la  suscettibilità  ad  utilizzazione  separata.          Con  tale  norma,  il  legislatore,  pur  riconoscendo  il  giusto  diritto  alla  realizzazione  di  

opere  volte  al  miglior  godimento  delle  parti  comuni  da  parte  dei  condomini  interessati,  ha   voluto   salvaguardare   l’interesse   delle   minoranze   dissenzienti   in   specifici   casi   di  delibere  aventi  ad  oggetto   interventi   la   cui  natura  voluttuaria   (  e   cioè  priva  di  utilità  necessaria)   e   gravosa   (in   riferimento   oggettivo   alle   condizioni   e   all’importanza  dell’edificio),  facendo  tuttavia  salvo  il  diritto  di  questi  ultimi  ad  un  successivo  subentro  nella   comproprietà   del   bene   previa   contribuzione   alle   spese   di   esecuzione   e   di  manutenzione   dell’opera.     Potrebbero   rientrare   in   tali   fattispecie   le   delibere   relative  alla  realizzazione  di  una  piscina,  di  un  centro  sportivo  o  di  un  impianto  ascensore.      Sono     invece   da   considerarsi   vietate   e,   quindi,   in   alcun   modo   effettuabili   dal  

condominio  ovvero      legittimamente    deliberate  dall’assemblea  le  innovazioni  che  :    • possano    recare  pregiudizio  alla  stabilità,  • possano  recare  pregiudizio  alla  sicurezza  del  fabbricato,  • possano  alterare    il  decoro  architettonico  del  fabbricato,  • possano   rendere   inservibili   all’uso   o   al   godimento   anche   di   un   solo  

condomino,  alcune  parti  comuni  dell’edificio.    Qualche   precisazione   è   necessaria   per   ben   comprendere   la   portata   dei   suddetti  

divieti.  Con  “stabilità”  la  norma  si  riferisce  al  “pericolo  di  crollo”  dell’edificio,  che  si  verifica  

ogni   qual   volta   vengano   eseguite   modificazioni   della   struttura   del   fabbricato  incompatibili  con  la  sua  funzione  statica.  Con   riferimento   a   tale   ipotesi,   per   indicare   qualche   caso   concreto   di   innovazione  

vietata,   può   farsi   l’esempio   della   demolizione   di   parte   delle   fondazioni   (che  costituiscono,   ai   sensi   dell’art.   1117   c.c.,   parti   comuni)   con   compromissione   della  stabilità  dell’edificio  (App.  Torino,  12  maggio  1971).  Con  “sicurezza”,   invece,  si   intende  la  salvaguardia  dell’immobile  contro  i  terzi  (per  

es.,   i   ladri)   o   nei   confronti   di   eventi   materiali   (quali,   intemperie,   alluvioni,   incendi,  ecc.).  La  tutela  del    “decoro  architettonico”,discende  dalla  sua  inclusione  nei  beni  comuni,  

suscettibile  di  specifica  valutazione  economica  in  quanto  concorsuale  nella  formazione  del   valore   economico   delle   parti   comuni   e   private   degli   immobili.   Del   decoro   non   si  rinviene  una  definizione  nel  codice  civile,  ma,  secondo  la  giurisprudenza  prevalente,  si  ritiene  sia  dato  dall’insieme  delle  linee  e  delle  strutture  ornamentali  che  costituiscono  la   nota   estetica   dominante   dell’edificio,   ed   imprimono   ad   esso   una   determinata  

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fisionomia.  Un’ottima  definizione   di   “decoro”   è   stata   data   da   Cass.   13   luglio   1965,   n.   1472   in  

base  alla  quale  “il  decoro  architettonico  di  un  edificio…  risulta  dall’insieme  delle  linee  e  dei  motivi  architettonici  e  ornamentali   che  costituiscono   le  note  uniformi  dominanti  ed  imprimono  alle  varie  parti  dell’edificio  stesso  nel  suo  insieme,  dal  punto  di  vista  estetico,  una  determinata  fisionomia,  unitaria  e  armonica,  e  dal  punto  di  vista  architettonico  una  certa  dignità  più  o  meno  pregiata  e  più  o  meno  apprezzabile”.  Il  decoro  può  riscontrarsi  in  ogni  edificio  (anche  di  tipo  economico/popolare)  e  non  

solo  in  quelli  di  particolare  pregio:  oggettivamente  ogni  edificio  può  rispondere  ad  un  disegno   idoneo   a   dargli   una   sua   particolare   fisionomia   suscettibile   quindi   a  danneggiamenti  derivanti  da  opere  che  la  modifichino.    L’innovazione,   per   essere   vietata   a   causa   di   lesione   del   decoro,   deve   comportare  

modifiche   rilevanti   dell’aspetto   del   fabbricato,   con   incidenza   negativa   sulla   sua  fisionomia  complessiva.  Il   decoro,   tuttavia,   è   una   qualità   dell’immobile   sottoposta,   nel   tempo,   a  

deterioramento   (spesso   dovuto   ad   attività   poste   in   essere   dai   singoli   condomini   e  tollerate   dalla   collettività)   e,   quindi,   per   stabilire   se   vi   sia   una   concreta   lesione,   è  necessario   effettuare   uno   specifico   accertamento   che   tenga   conto   delle   condizioni   in  cui   l’edificio   si   trovava   prima   della   esecuzione   delle   opere.   Tali   condizioni,   infatti,  possono  ben  essere  “peggiorate”  rispetto  a  quelle  iniziali.  In  sede  di  tale  accertamento,  l’immobile  va  considerato  in  sé,  senza  che  abbia  rilievo  

l’ambiente   urbanistico   circostante   in   cui   esso   è   collocato   (Cass.   28   giugno   1975,   n.  2552).  Perché  si  abbia  una  lesione  del  decoro,  inoltre,  è  necessario  che  si  verifichi  anche  un  

pregiudizio   economicamente   valutabile   (cioè,   un   danno   e/o   un   deprezzamento  dell’immobile)   il   quale,   tuttavia,   seppur   assai   frequente   in   caso   di   alterazione  dell’armonia   estetica   del   fabbricato,   non   può   essere   implicito   o   presupposto,   bensì  concreto.  In   conseguenza   di   ciò,   “il   giudice   di  merito   per   stabilire   se   in   concreto   vi   sia   stata  

lesione  di  tale  decoro,  oltre  ad  accertare  se  esso  risulti  leso  o  turbato,  deve  anche  valutare  se   tale   lesione   o   turbativa   determini   o  meno   un   deprezzamento   dell’ìntero   fabbricato”  (Cass.  15  maggio  1987,  n.  4474).    È  assai  dubbio  se  alcuni  dei  suddetti  divieti  possano  essere  derogati  attraverso  una  

deliberazione  all’unanimità  di  tutti  i  partecipanti  al  condominio.  Qualche  sentenza  sembra  ritenere   la  cosa  possibile   (sempre  a  patto  di   raccogliere  

tutti  i  consensi)  (vedi  Cass.  14  dicembre  1988,  n.  6814).  Secondo,  una  diversa  opinione  (Branca)   il  divieto  sarebbe  comunque   inderogabile  

nel   caso   di   innovazione   pericolosa   per   la   stabilità   e/o   la   sicurezza   del   fabbricato,   in  quanto  la  delibera  stesa  sarebbe  viziata  di  nullità  vista  l'illecita  dell'oggetto.        Un   autorevole   studioso   (Salis),   infine,   ritiene   possibile   (sempre   all’unanimità)   la  

sola   innovazione   che   renda   talune   parti   dell’edificio   inservibile   all’uso   e/o   al  godimento  di  uno  o  più  condomini.  In  tale  caso,  il  consenso  unanime  deve  risultare  da  atto  scritto,  il  quale  ultimo  può  anche  consistere  nel  verbale  assembleare,  debitamente  sottoscritto  da  parte  di  tutti  i  partecipanti  al  condominio  (i  quali,  quindi,  occorre  siano  tutti  presenti).    Esiste   poi   una   precisa   famiglia   di   interventi   espressamente   richiamati   al   comma  

due   dell’art.   1120   legittimamente   deliberabili   in   condominio,   che   pur   avendo  

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inequivocabilmente  i  caratteri  delineati  per  le  innovazioni,  per  la  loro  natura  e  finalità,  sono  oggetto  di  quorum  “agevolati”  per  la  relativa  decisione  assembleare:          I   condomini,   con   la   maggioranza   indicata   dal   secondo   comma   dell'articolo   1136,  

possono   disporre   le   innovazioni   che,   nel   rispetto   della   normativa   di   settore,   hanno   ad  oggetto:  

1. le  opere  e  gli  interventi  volti  a  migliorare  la  sicurezza  e  la  salubrià  degli  edifici  e  degli  impianti;  2.  le  opere  e  gli  interventi  previsti  per  eliminare  le  barriere  architettoniche,  

per   il   contenimento   del   consumo   energetico   degli   edifici   e   per   realizzare  parcheggi  destinati  a  servizio  delle  unità   immobiliari  o  dell'edificio,  nonché  per  la  produzione  di   energia  mediante   l'utilizzo  di   impianti  di   cogenerazione,   fonti  eoliche,   solari   o   comunque   rinnovabili   da   parte   del   condominio   o   di   terzi   che  conseguano   a   titolo   oneroso   un   diritto   reale   o   personale   di   godimento   del  lastrico  solare  o  di  altra  idonea  superficie  comune;  3.  l'installazione  di  impianti  centralizzati  per  la  ricezione  radiotelevisiva  e  

per  l'accesso  a  qualunque  altro  genere  di  flusso  informativo,  anche  da  satellite  o  via  cavo,  e   i   relativi  collegamenti   fino  alla  diramazione  per   le   singole   tenze,  ad  esclusione  degli   impianti  che  non  comportano  modifiche   in  grado  di  alterare   la  destinazione  della   cosa   comune  e  di   impedire  agli   altri   condomini  di   farne  uso  secondo  il  loro  diritto.  

       Frutto  della  legislazione  speciale  di  seguito  richiamata,  di  volta  in  volta  promulgata  

per   la   regolamentazione  di   specifici   ambiti,   tali   interventi,   pur   avendo   come  detto   le  caratteristiche   distintive   delle   delibere   innovative,   hanno   la   qualità   delle   “necessita”  derivante   dalla   utilità   sociale   discendente   dalle   finalità   di   sicurezza,   risparmio  energetico,   abbattimento   barriere   architettoniche,   diritto   all’informazione,  adeguamento   della   capacità   complessiva   di   parcamento.     Come   detto,   pur   se   con  cambiamenti   sostanziali   rispetto   ai   testi   originari,   il   seconda   comma   dell’art.   1120  richiama  in  se  norme  riportare  nelle  seguenti  leggi:    

• legge   9   gennaio   1991,   n.   10:   art.   26   comma   2   e     comma       5   ”per   le  innovazioni   relative   all’adozione   di   sistemi   di   termoregolazione   e   di  contabilizzazione   del   calore   e   per   il   conseguente   riparto   degli   oneri   di  riscaldamento,   in   base   al   consumo   effettivamente   registrato,   l’assemblea   di  condominio   decide   con   la  maggioranza   prevista   dal   secondo   comma   dall'art.  1136;    

• legge  5  agosto  1978,  n.  457  (norme  per  l’edilizia  residenziale),  prevede  che   gli   interventi   di   recupero   relativi   ad  un  unico   immobile   composto  da  più  unità   immobiliari   possono   essere   disposti   dalla   maggioranza   dei   condomini  che  comunque  rappresenti  almeno  la  metà  del  valore  dell’edificio  (art.  30.2);  

• legge  9  gennaio  1989,  n.  13  (disposizioni  per  favorire  il  superamento  e  l’eliminazione  delle  barriere  architettoniche)   “Le  deliberazioni   che  hanno  per  oggetto   le   innovazioni   da   attuare   negli   edifici   privati   dirette   ad   eliminare   le  barriere   architettoniche,     nonché   la   realizzazione   di   percorsi   attrezzati   e   la  installazione  di  dispositivi  di  segnalazione  atti  a  favorire  la  mobilità  dei  ciechi  all’interno  degli  edifici  privati,  sono  approvate  dall’assemblea  del  condominio,  in  prima  o   in  seconda  convocazione,  con   le  maggioranze  previste  dall’articolo  1136,  comma  2”;  

• legge   24   marzo   1989,   n.   122   (parcheggi):   “i   proprietari   di   immobili  possono   realizzare   nel   sottosuolo   degli   stessi   ovvero   nei   locali   siti   al   piano  

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terreno  dei   fabbricati   parcheggi  da  destinare   a  pertinenza  delle   singole  unità  immobiliari,  anche  in  deroga  agli  strumenti  urbanistici  ed  ai  regolamenti  edilizi  vigenti.  Tali  parcheggi  possono  essere  realizzati,  ad  uso  esclusivo  dei  residenti,  anche  nel  sottosuolo  di  aree  pertinenziali  esterne  al  fabbricato,  purché  non  in  contrasto  con   i  piani  urbani  del   traffico,   tenuto  conto  dell’uso  della  superficie  sovrastante   e   compatibilmente   con   la   tutela   dei   corpi   idrici.   Le   deliberazioni  sono   approvate   dall’   assemblea   del   condominio,   in   prima   o   in   seconda  convocazione,  con  la  maggioranza  prevista  dall’art.  1136,    comma  2  c.c.      Resta  fermo  quanto  disposto  dagli  articoli  1120,  comma  2  e  1121,  comma  3  c.c.;  

• legge   20  marzo   2001,   n.   66   -­   trasmissioni   radiotelevisive   analogiche   e  digitali):  “al  fine  di  favorire  lo  sviluppo  e  la  diffusione  delle  nuove  tecnologie  di  radiodiffusione   da   satellite,   le   opere   di   installazione   di   nuovi   impianti   sono  innovazioni   necessarie   ai   sensi   dell’art.   1120   c.c.   Per   l’approvazione   delle  relative  deliberazioni  si  applica  l’art.  1136  c.c.  comma  2”  

• legge   8   giugno   2009   n.   69   -­   art.   1.7   (banda   larga):     “le   innovazioni  condominiali   relative   ai   lavori   di   ammodernamento  necessari   al   passaggio   di  cavi   in   fibra   ottica   sono   approvate   dalla   maggioranza   di   un   terzo   dei  partecipanti   al   condominio   rappresentanti   almeno   un   terzo   del   valore  millesimale  

         6.  5  -­  Le  modificazione  delle  destinazioni  d'uso  -­  art.  1117  ter    Argomento  attinente    alla   trattazione  di  questa  materia,  vista   la  definizione  ormai  

più   volte   richiamata   dell'innovazione,   è   quello   relativo   alla   modificazione   delle  destinazioni  d'uso  delle  parti  comuni,  per  il  quale  viene  così  previsto:    

1. Per   soddisfare   esigenze   di   interesse   condominiale,   l'assemblea,   con   un  numero  di  voti  che  rappresenti  i  quattro  quinti  dei  partecipanti  al  condominio  e  i  quattro  quinti  del  valore  dell'edificio,  può  modificare   la  destinazione  d'uso  delle  parti  comuni.  2. La   convocazione   dell'assemblea   deve   essere   affissa   per   non   meno   di  

trenta  giorni  consecutivi  nei  locali  di  maggior  uso  comune  o  negli  spazi  a  tal  fine  destinati  e  deve  effettuarsi  mediante   lettera  raccomandata  o  equipollenti  mezzi  telematici,   in   modo   da   pervenire   almeno   venti   giorni   prima   della   data   di  convocazione.  3. La  convocazione  dell'assemblea,  a  pena  di  nullità,  deve   indicare   le  parti  

comuni  oggetto  della  modificazione  e  la  nuova  destinazione  d'uso.  4. La  deliberazione  deve  contenere  la  dichiarazione  espressa  che  sono  stati  

effettuati  gli  adempimenti  di  cui  ai  precedenti  commi  5.  Sono  vietate  le  modificazioni  delle  destinazioni  d'uso  che  possono  recare  

pregiudizio   alla   stabilità   o   alla   sicurezza   del   fabbricato   o   che   ne   alterano   il  decoro  architettonico.  

 6.6-­  Quorum  assembleari  e  formalità  per  la  legittima  convocazione  di  assemblea  Come   visto   nello   svolgimento   di   questa   trattazione,   diverse   sole   le   fattispecie  

specificatamente  regolamentate    nella  quali  ci  si  può  imbattere  nello  svolgimento  delle  attività   amministrativa,   ritenendosi   quindi   proficuo   riassumerle   brevemente;   in  ragione  del  bene  su  cui   incidono  (destinazione  d’uso  o  bene  materiale),  oggetto  delle  delibera  e  promotore  della  stessa,  si  hanno  le  seguenti  indicazioni:      Innovazioni   lecite   e   separate:   convocazione   di   assemblea   con   le   forme   previste  

dall’art.  66  disp  att  cc,  deliberazione  con  i  quorum  previsti  dall’art.  1136  quinto  comma  

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cc.   (maggioranza   degli   intervenuti   che   rappresentino   almeno   i   due   terzi   del   valore  dell’edificio);    Innovazioni  di  cui  al  secondo  comma  art.  1120  cc   :    convocazione  di  assemblea  

con   le   forme   previste   dall’art.   66   disp   att   cc,   deliberazione   con   i   quorum   previsti  dall’art.   1136   secondo   comma   cc.   (maggioranza   degli   intervenuti   che   rappresentino  almeno  metà  del  valore  dell’edificio);    Innovazioni   relative   alla   modifica   delle   destinazioni   d’uso:     convocazione   di  

assemblea   con   le   forme   previste   dall’art.   1117   ter     cc,   deliberazione   con   i   quorum  previsti   dall’art.   1117   ter   secondo   comma   cc.   (maggioranza   di   quattro   quinti   dei  condomini  che  rappresentino  almeno  quatto  quinti  del  valore  dell’edificio)      

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MODULO  N.  7      

I  contratti  (appalto  e  assicurazione)  (Benedetta  Coricelli  e  Alfonso  Del  Sorbo)  

   7.1  -­  Il  contratto  di  appalto  Il   contratto   di   appalto   riveste   un’importanza   assolutamente   primaria,   rispetto   ad  

altri,   per   la   vita   del   condominio   sia   in   ragione   delle   somme   che   –   soprattutto   negli  appalti   di   opera   –   il   condominio   è   tenuto   talvolta   a   spendere   con   importanti  conseguenze   sul   bilancio   sia,   ed   è   quanto   tenteremo   di   individuare,   per   i   numerosi  riflessi  giuridici  che  il  contratto  stesso  implica.  Senza   pretesa   alcuna   di   esaustività,   poiché   il   contratto   “ideale”   di   appalto   non  

esiste,   si  vuole   tuttavia   fornire  una  sorta  di   codice  comportamentale  per   le  due  parti  contrattuali   che,   se   rispettato   in   linea   di   massima,   può   in   via   generale   esentare   le  medesime  da  una   serie  di   sgradevoli   quanto   consuete  vicende   legate   alla   esecuzione  del  contratto.  Esaminando   infatti   le   figure,   spesso   e   pressoché   inevitabilmente   in  

contrapposizione,   dell’appaltatore   e   del   committente,   con   i   rispettivi   obblighi   e   le  rispettive   responsabilità,   emerge   la   evidente   necessità   di   contemperare   le   rispettive  esigenze  anche  in  previsione  di  situazioni  che  potranno  verificarsi  successivamente  al  momento  della  sottoscrizione.  A  differenza  di   altri   contratti   che   il   condominio  può   trovarsi   a   stipulare,   come   ad  

esempio   la   locazione   o   la   compravendita   di   un   bene   per   uso   comune,   il   contratto   di  appalto   presenta   proprio   nella   sua   fase   esecutiva,   e   per   ovvie   ragioni,   i   maggiori  (potenziali)   pericoli   per   entrambi   i   contraenti,   ovvero   condominio   ed   impresa  esecutrice.  In   realtà   nello   scenario   dell’appalto   si   muovono,   oltre   ai   sopra   citati   contraenti,  

anche  una  pluralità  di   figure,  che  potremmo  però  definire  satellitari  rispetto  alle  due  principali   parti   contrattuali,   quali   i   subappaltatori   e   gli   ausiliari   dell’appaltatore  (entrambi  menzionati   dalla   disciplina   relativa   nel   codice   civile)   nonché   la   figura   del  direttore  dei   lavori,  o  ancora  del  responsabile  della  sicurezza,   tenuto  alla  conoscenza  delle   varie   disposizioni   contenute   nei   Decreti   legislativi   494/96   e   528/99,   poi  parzialmente  modificati  dal  DPR  222/03.  Tenendo   presente   la   disciplina   del   codice   civile,   cui   va   fatto   costante   riferimento  

unitamente   alle   leggi   urbanistiche   e   di   sicurezza,     va   ora   preso   in   esame   l’   appalto  privato,   ovvero   l’appalto   di   cui   all’art.   1655   e   ss.   c.c.,   in   cui   la   committenza   riveste  natura  privata.  E’   appalto   privato   anche   quello   in   cui   la   committenza   sia   privata   e   la   impresa  

appaltatrice   sia   di   natura   pubblica.   Si   tratta   di   una   fattispecie   solo   raramente  ipotizzabile  in  rapporto  alla  vita  di  un  condominio.  L’appalto  in  cui  l’appaltatore  ha  natura  pubblica  soggiace  peraltro  a  regole  peculiari  

che  lo  spazio  delle  presenti  dispense  non  permette  di  approfondire.  Va   inoltre   chiarito   che   la   disciplina   codicistica,   che   ha   permesso   una   chiara  

enucleazione  del  contratto  di  appalto  rispetto  a   figure   “miste”  ed  alla   locatio  operis   è  conformata  sull’appalto  d’opera.  

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L’appalto   di   servizi   è   viceversa   disciplinato   -­‐   qualora   detti   servizi   consistano   in  prestazioni   periodiche   e   continuative   -­‐   dalle   norme   in   materia   di   somministrazione  (art.   1559  e   ss.   c.c.)   in  quanto   compatibili   e   sempre   fatto   salvo   il   recesso   con  effetto  immediato  dalla  comunicazione,  permesso  al  committente.  Ovviamente,   sotto   tale   tipologia   contrattuale   non   potrà   celarsi   l’appalto   c.d.   di  

manodopera  edile,  assolutamente  vietato  dalla  legge  1369/60.  La  menzionata  legge  speciale  ha  permesso  di  ovviare  ad  un  triste  fenomeno  sociale  

di   sfruttamento   della  manovalanza,   restituendo   quanto   più   possibile   dignità   e   tutela  alle  attività  connesse  alle  imprese  edili.    7.2  -­  Cenni  sul  contratto:  chi  sono  committente  e  appaltatore  Tornando  quindi  ai  soggetti  contrattuali  nell’appalto,  va  sottolineato  che  l’art.  1655  

c.c.,  che  definisce  il  contratto  medesimo,  si  riferisce  non  già  ad  un  qualsiasi  prestatore  di  opera  o  servizio  con  il  termine  “appaltatore”,  ma  solo  a  colui  che  con  organizzazione  di   mezzi   propri   e   gestione   a   proprio   rischio   sia   in   grado   di   svolgere   quanto  commissionatogli.  Ciò   porta   automaticamente   ad   escludere   dal   novero   degli   appaltatori   tutti   quei  

piccoli   imprenditori   (in   linea  di  massima  coincidenti   con   la   figura  di   cui  all’art.  2083  c.c.,   ovvero   i   prestatori   di   opera)   che   nella   esecuzione  dell’opera   non   siano  dotati   di  organizzazione  di  mezzi  autonoma.  Con  notevoli  conseguenze  sul  piano  della  eventuale  azione  per  vizi  del  committente.  Mentre  infatti  il  contratto  di  appalto  comporta  ex  art.  1667  c.c.  una  azione  giudiziale  

per   vizi   avente   prescrizione   biennale,     nel   contratto   d’opera   tale   prescrizione   è  meramente  annuale.  A  fronte  di  un  lasso  di  tempo  di  due  anni  per  agire  contro  l’impresa  edile  in  caso  di  

scoperta   di   vizi   dell’opera,   cioè,   avverso   il   piccolo   imprenditore   si   potrà   agire   al  massimo  entro  un  anno.  La   figura   del   piccolo   imprenditore   è   pertanto   maggiormente   tutelata  

dall’ordinamento  nella  misura   in  cui  si  presume  economicamente  più  debole  rispetto  all’appaltatore.  Le   dimensioni   dell’opera   non   influiscono   invece   sulla   natura   del   contratto:   una  

opera  di  modesta  entità  può  comunque  implicare   la  applicazione  degli  art.  1655  e  ss.  c.c.  se  eseguita  da  un  appaltatore.  Appare  difficilmente  ipotizzabile   l’inverso:  non  si  vede  come  possa  essere  affidata,  

da  parte  di  un  condominio,  una  opera  di  importanti  dimensioni  (e  relativi  costi,  rischi,  ecc.)   ad  un  piccolo   imprenditore,   che   certo  non  dispone  di  mezzi   sufficienti,   a   livello  organizzativo,  per  soddisfare  le  esigenze  del  condominio  committente.  Infine,   l’appaltatore   potrebbe   inizialmente   non   essere   determinato;   accade   negli  

appalti   in   cui   il   committente   ha   stabilito   pedissequamente   testo   contrattuale   e  capitolato,  ovvero  il  documento  che  ne  fa  parte  integrante  ed  inscindibile  e  contiene  la  elencazione   delle   opere   da   eseguire.   L’appaltatore   dovrà   rispondere   a   determinati  requisiti  e  verrà  eletto  all’esito  di  una  gara:  in  tal  senso  può  parlarsi  di  un  appalto  come  fattispecie  a  formazione  progressiva.  Quando   parliamo   di   committenza,   per   quanto   qui   interessa,   ci   riferiamo   invece,  

giova  ribadirlo,  al  condominio.  La   forma   del   contratto   è   assolutamente   libera;   è   fatto   salvo   il   caso   in   cui  

l’appaltatore   vende   il   terreno   su   cui   l’opera   andrà   edificata,   di   tal   che,   trovandoci   in  presenza   di   un     trasferimento   immobiliare,   sarà   necessaria   la   forma   scritta   e   la  successiva  trascrizione  a  pena  di  nullità,  cui  anche   l’appalto  andrà  assoggettato  come  contratto  accessorio.  

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Per   il   resto,   nessuna  disposizione   in   tema  di   appalto   pretende   la   forma   scritta;   si  ricorda   che   per  mere   ragioni   probatorie   le   sole   variazioni   non   necessarie   apportate  dall’appaltatore  comportano  tuttavia   la  autorizzazione  scritta  del  committente  ex  art.  1659  c.c..  Per  ragioni  pratiche,  tuttavia,  la  forma  scritta  è  assolutamente  consigliabile.  Ciò,  ove  possibile,  anche  negli  appalti  di  servizi  e  sempre  e  comunque  negli  appalti  

di   opera   anche   di   modesta   entità   economica,   nell’ottica   sia   di   una   massima   tutela,  quanto   ad   eventuali   corresponsabilità,   dell’amministratore   di   condominio   sia   –  cautelativamente  –  per  facilitare  la  dimostrazione  delle  ragioni  del  condominio  in  caso  di  controversia.  Elencare   specificamente  gli  orari,  o   i   giorni,  o  gli   specifici   ambiti  ove   il   servizio  di  

pulizia   condominiale   deve   essere   svolto,   ad   esempio,   può   evitare   al   condominio  sgradevoli  sorprese  anche  sul  fronte  di  indebite  pretese  economiche.  Ancora,   in  via  generale,   tutte   le  norme   in  materia  di  appalto  sono  derogabili  dalle  

parti  quanto  a  diritti  disponibili;  è  ovvio  che  il  disposto  dell’art.  1676  c.c.  relativo  agli  ausiliari  dell’appaltatore  è  escluso  da  tale  area  di  derogabilità.  Appaltatore   e   committente   non   potranno   pertanto   pretendere   di   accordarsi   in  

deroga  a  tale  fondamentale  norma,  che  a  tutela  di  soggetti  presunti  più  deboli  sul  piano  economico,   nel   caso   di   inadempimento   del   datore   di   lavoro-­‐appaltatore   nel  versamento  delle  spettanze,  permette  loro  una  azione  diretta  verso  il  committente  per  la  somma  eventualmente  ancora  dovuta  all’appaltatore  stesso  al  tempo  della  pretesa.  Oggetto   del   contratto   è   una   opera   ovvero   un   servizio,   salva   in   tal   caso   la  

applicazione   delle   norme   in   materia   di   somministrazione   in   quanto   compatibili.   Il  prezzo,   infine,  viene  convenzionalmente  determinato  globalmente  o  a  singole  partite,  ovvero  ex  art.  1657  c.c.   secondo  usi   e   tariffe.   Il  difetto  di   accordo  può  comportare   la  determinazione   giudiziale,   con   notevole   compressione   della   libertà   economica   delle  parti.  Ovviamente  oggetto  e  prezzo  possono  non  essere  determinati  inizialmente,  purchè  

siano  determinabili  sulla  base  di  concreti  elementi.  Ad   evitare   tuttavia   l’insorgere   di   questioni   interpretative   che   prestano   spesso   il  

fianco   ad   una   revisione   di   quanto   originariamente   pattuito   ma   non   formalizzato,   è  consigliabile  determinare  con  esattezza  il  prezzo  delle  opere  commissionate  ab  origine.  Come   accennato,   l’intero   novero   di   disposizioni   in   tema   di   appalto   è   derogabile  

dalle  parti,  fatti  salvi  i  diritti  non  disponibili.  Poiché   ciò   comporta   la   derogabilità   dell’art.   1664   c.c.   relativo   alla   revisione   del  

prezzo   in   corso   d’opera,   si   concorda   pienamente   con   l’orientamento   di   alcuni  esponenti   del   Centro   Studi   della   A.N.A.C.I.   nella   misura   in   cui   suggeriscono   di  ”blindare”   originariamente   il   contratto   eliminando   la   facoltà   di   revisione,   ed  impedendo  nel  corso  dell’opera  pericolose  revisioni  di  prezzo.  Abbiamo   evidenziato   quale   caratteristica   del   contratto   di   appalto   una   sorta   di  

correlazione   tra   reciproci   obblighi   e   conseguenti   responsabilità   delle   due   figure  appena  esaminate,  ovvero  committente  ed  impresa  appaltatrice.  Ovviamente   incombe   in   primo   luogo   su   entrambi   i   contraenti,   come   per   ogni  

obbligazione,  il  generale  principio  di  buona  fede  contrattuale  ex  artt.  1175  e  1375  c.c..  Non   vi   è   necessità   di   illustrare   le   numerose   sfumature   in   cui   tali   principi   vanno  

ravvisati:  a  mero   titolo  esemplificativo  un   linguaggio  chiaro  nella  redazione  del   testo  contrattuale,   regolari   meccanismi   di   pagamento   negli   eventuali   acconti   di   prezzo,  piena   reperibilità   dei   soggetti   responsabili   del   cantiere   ecc.,   rappresentano   alcuni  momenti  di  espressione  della  buona  fede  contrattuale.  Altra   regola   di   carattere   generale,   cui   deve   attenersi   però   il   solo   appaltatore   è   la  

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esecuzione   a   regola   d’arte,   cioè   un   quid   pluris   rispetto   alla   generica   diligenza   nella  esecuzione  delle  obbligazioni  ex  art.  1176  c.c.  in  quanto  estesa  non  solo  alla  materiale  esecuzione  dell’opera  ma  anche  alla  verifica  della  progettazione  pur  in  presenza  di  un  direttore  dei  lavori,  e  della  bontà  dei  materiali.  La   disposizione   è   severa,   per   quanto   generica;   il   grado   di   perizia   richiesto  

all’appaltatore   è   proporzionale   all’incarico   assunto   né   la   eventuale   presenza   di   un  direttore  lavori  lo  esenta  completamente  da  responsabilità  che  gli  sono  specificamente  attinenti,   con   ciò   scoraggiando   la   assunzione   di   commissioni   da   parte   di   appaltatori  non  dotati  di  sufficienti  mezzi,  a  tutela  di  ovvie  ragioni  di  mercato.  Talvolta   le   amministrazioni   condominiali,   magari   a   causa   di   inesperienza   ovvero  

dinanzi  ad  una  assemblea  particolarmente   “tumultuosa”,   esitano  ad  esternare   le   loro  remore  nella  scelta  di  una  o  di  un’altra  impresa  appaltatrice.  Si   ritiene   tuttavia   che   detta   scelta   non   debba   mai   essere   totalmente   rimessa   a  

raffronti   di   “prezzi”   di   mercato,   ma   tenga   comunque   conto   del   “curriculum”   delle  singole  imprese  da  valutare;  in  tal  modo  la  probabilità  di  eventuali  disguidi,  dovuti  al  non   sufficiente   grado   di   perizia   in   capo   alla   impresa   stessa,   se   non   evitata  integralmente  può  essere  comunque  notevolmente  ridotta.  Quello  che  ora  interessa  tentare  di  individuare,  senza  alcuna  pretesa  di  esaustività,  

si   ribadisce,   in   quanto   la   enorme   casistica   in   materia   ci   permette   di   delineare   al  massimo  orientamenti  giurisprudenziali,  ma  non  certo  risposte  nette,  sono  obblighi  e  responsabilità  specifici  rispettivamente  del  committente  e  dell’appaltatore.    7.2.1  -­  Committente  Ne  vanno  distinti  obblighi  e  facoltà/diritti.  Se   si   eccettua   quello   di   “consegnare”   secondo   la   tempistica   prevista  

contrattualmente  il  cantiere  nella  disponibilità  dell’appaltatore,  poiché  come  in  tutte  le  obbligazioni   sinallagmatiche   è   necessario   mettere   in   grado   il   proprio   debitore   di  adempiere,  nonché  il  rispetto  di  tutte  le  obbligazioni  in  capo  al  creditore  ex  art.  1173  e  ss.  c.c.,  .vediamo  che  il  codice  non  prevede  obbligazioni  specifiche  del  committente.  Obbligo   principale   e   praticamente   esclusivo   del   committente   è   pertanto   il  

pagamento   del   prezzo   ex   artt.   1665   e   1666   c.c.   ogni   qualvolta   l’opera   sia   stata  verificata  ed  accettata.  Ciò  sia  per  il  prezzo  determinato  globalmente  sia  per  il  prezzo  determinato  a  singole  partite.  Obbligo,   si   diceva,   che   deriva   dalla   esigibilità   del   credito   dell’appaltatore  

subordinatamente   alla   accettazione   (espressa   o   per   fatti   concludenti)   dell’opera  medesima.  Consueto  il  c.d.  collaudo  dell’opera,  ove  vi  siano  caratteristiche  tecniche  tali  da  non  

permettere  una  valutazione  meramente  visiva  dell’opera  stessa,  e  che  vale  da  negozio  giuridico  bilaterale  di  accertamento  secondo  alcuni  autori,  mentre  altri  lo  considerano  mera  dichiarazione  di  scienza.  Parimenti,  si  ritiene  che  la  verifica  finale  non  possa  essere  affidata  dal  committente  

al   direttore   dei   lavori   in   quanto   essendo   responsabile   per   l’esecuzione   dell’opera   è  controinteressato.  L’accettazione  dell’opera  implica  il  trasferimento  del  rischio  per  perimento  del  bene  

ex  art.  1673  c.c.  nonché  la  perdita  della  azione  per  vizi  ex  art.  1667  c.c.  fatti  salvi  quelli  occulti  o  sottaciuti.  Infine  implica  la  consegna  dell’opera.  Le  ulteriori  disposizioni  codicistiche  prevedono  in  realtà  mere  facoltà  ovvero  diritti  

e  non  già  obblighi  del  committente:  così  il  potere  di  verifica  e  controllo  sancito  dall’art.  1662   c.c.,   che   riveste   fondamentale   importanza  nella  misura   in   cui   permette   a   spese  della  committenza  di  esaminare    l’opera  nel  corso  della  sua  esecuzione,  e  disporre  una  

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sorta   di   diffida   ad   adempiere   –   in   deroga   alla   generale   normativa   in   materia   –   non  quando  l’opera  sia  conclusa  ma  appunto  in  corso  di  esecuzione,  è  una  mera  facoltà.  Trascorso   inutilmente   il   termine   per   l’appaltatore,   il   contratto   è   risolto   e   si   può  

agire  per  risarcimento  danni.  Né   tale   facoltà   esime   il   committente   dalla   ulteriore   -­‐   prudenziale   -­‐   verifica   di   cui  

all’art.  1665  c.c..  Così  il  diritto  di  recesso  unilaterale  ex  art.  1671  c.c.,  ammesso  nella  misura  in  cui  il  

committente  paghi  l’opera  per  la  parte  in  cui  è  stata  eseguita  ed  il  mancato  guadagno  per  l’appaltatore.  Il   debito   verso   l’appaltatore   è   peraltro   di   valore,   e   va   quindi   soggetto   a  

rivalutazione.  In   tal  modo,   l’ordinamento  giuridico   ritiene  di   avere  bilanciato   i  due   contrapposti  

interessi;  è  ovvio  tuttavia  che  la  prova  del  mancato  guadagno  per  l’appaltatore,  al  fine  di  non  snaturare  la  norma  volta  anche  alla  tutela  del  committente,  deve  essere  fornita  con  particolare  rigore.  Ma,  si  ribadisce,  quanto  a  specifici  obblighi  del  committente,  il  codice  prevede  tra  le  

norme  dedicate  all’appalto  il  solo  pagamento  del  prezzo  alla  consegna  dell’opera.  Vale   tuttavia   la   pena   di   chiarire   che   accanto   a   tale   esclusivo   obbligo   previsto  

normativamente   la   giurisprudenza   di   merito   e   legittimità   hanno   individuato   la  responsabilità   per   danni   a   terzi   del   committente   allorquando   si   dimostri   che   il   fatto  lesivo  sia  stato  commesso  dall’appaltatore  in  esecuzione  di  un  ordine  impartitogli  dal  direttore  dei   lavori  o  da  altro  rappresentante  tanto  che  l’appaltatore  finisca  per  agire  quale   appunto  nudus  minister  privo  della   autonomia   che  normalmente  gli   compete  o  allorquando  vi  siano  gli  estremi  della  culpa  in  eligendo,  se  il  compimento  dell’opera  o  del   servizio   sono   stati   affidati   ad   una   impresa   appaltatrice   priva   delle   capacità   e   dei  mezzi   tecnici   indispensabili   per   eseguire   l’opera   oggetto   del   contratto   senza  determinare  situazioni  di  pericolo  per  i  terzi.    7.2.2  -­  Appaltatore  Diverso   è   il   discorso   delle   responsabilità   dell’appaltatore.   Esse   sono   piuttosto  

numerose  e  derivano:  1)   dalla  mancata  autorizzazione  alle  modifiche  ex  art.  1659  c.c.:  in  tal  caso  

non   potrà   pretendere   alcun   prezzo   neppure   per   indebito   arricchimento  dell’appaltatore;  2)   dalla   eventuale   non   conformità   della   esecuzione   in   corso   d’opera   al  

progetto  ex  art.  1662  c.c.:  in  tal  caso  si  espone  alla  risoluzione  del  contratto  ed  alla  azione  per  risarcimento  danni;  3)   dalla  mancata  denuncia  ex  art.  1663  c.c.,  anche  quando  i  materiali  siano  

stati   forniti   dal   committente   a  mente  dell’art.   1658   c.c.   :   in   tal   caso   si   espone  alla  responsabilità  per  vizi  ex  art.  1667  c.c.;  4)   dall’avere  sottaciuto  in  mala  fede  vizi/difformità  dell’opera:  in  tal  caso  

si  espone  alla  azione  giudiziaria  del  committente  ex  art.  1667  c.c.;  5)   dalla  rovina  in  tutto  in  parte  o  dal  pericolo  di  rovina  di  opere  destinate  

a   durare:   in   tal   caso   si   espone   alla   azione   giudiziaria   del   committente   ex   art.  1669  c.c..  

 Le   responsabilità   dell’appaltatore   sono   in   pratica   direttamente   correlate   alla  

mancata  esecuzione,  in  tutto  o  in  parte,  dell’opera  seconda  la  citata  regola  d’arte.  Se   si   tiene  altresì   conto  della  possibilità  di   recedere  del   committente  ex  art.  1671  

c.c.  nonché  del  rischio  del  perimento/deterioramento  dell’opera  non  ancora  accettata  

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ex   art.   1673   c.c.,   ne   emerge   un   quadro   di   obblighi,   scadenze   e   responsabilità  estremamente   complesso   e   rigido,   per   cui   si   comprende   perché   l’ordinamento  pretenda  la  rispondenza  dell’appaltatore  ad  una  serie  di  requisiti  specifici  di  carattere  organizzativo  che  il  piccolo  artigiano  certo  non  può  possedere.  Proprio  per  questa  ragione,   come  accennato   in  premessa,   l’ordinamento  distingue  

le  azioni  per  vizi  da  proporsi  contro  il  piccolo  artigiano  ovvero  contro  l’appaltatore  sul  piano  delle  prescrizioni.  E’  ovvio  poi  che  le  garanzie  richieste  dal  combinato  disposto  degli  artt.  1667  e  1668  

c.c.   all’appaltatore,   lungi   dal   rivestire   il   carattere   di   norme-­‐capestro,   gli   permettono,  nel   pieno   rispetto   della   libertà   contrattuale   e   proporzionalmente   alla   perizia  inizialmente   dichiarata   per   l’incarico   assunto,   di   ovviare   alle   difformità   più   o   meno  rilevanti  riscontrate  dal  committente.  Questi   può   infatti   scegliere   tra   la   eliminazione   del   vizio   a   cura   e   spese  

dell’appaltatore   e   la   azione  di   riduzione  del   prezzo   in   proporzione   alla   opera   svolta;  sempre   però   fatto   salvo   il   diritto   al   risarcimento   del   danno   in   caso   di   colpa  dell’appaltatore.  Da  parte  sua  l’appaltatore  viene  posto  in  condizione,  appunto,  di  “rimediare”  ad  un  

operato   eventualmente   non   rispondente   alla   regola   d’arte,   conformandosi   alle  indicazioni   del   committente   e   senza   che   ciò   in   alcun   modo   costituisca   un  riconoscimento  della  ulteriore  colpa  di  cui  all’art.  1668  c.c..    7.2.3  -­  Aree  di  responsabilità  non  esattamente  individuate  In  realtà   le  norme  di  cui  agli  artt.  1667/1668  e  1669  c.c.  non  implicano  mai,  salvo  

nei   casi  eclatanti,  una  diretta  ed  esclusiva  responsabilità  dell’appaltatore,  nonostante  la   presunzione   di   responsabilità   del   medesimo.   Ciò   in   quanto   è     applicabile   alla  fattispecie  dell’appalto  l’art.  1227  c.c.,  sul  concorso  di  colpa  delle  parti.  Non   solo:   può   prevedersi   eventualmente   un   direttore   dei   lavori   cui   siano   state  

specificamente  rimesse  nel  contratto  le  responsabilità  derivanti  da  errori  di  progetto  o  direttive   nella   esecuzione.   In   questo   specifico   caso   (Cass.   1044/99)   la   responsabilità  dell’appaltatore  è  addirittura  esclusa.  Viceversa,   non   viene   esclusa   la   responsabilità   dell’appaltatore   quando   anche   in  

presenza   di   un   direttore   dei   lavori   (e   quindi   di   “ingerenza”   del   committente)  l’appaltatore   accortosi   di   un   vizio   nella   esecuzione   non   lo   abbia   prontamente  denunciato  (Cass.  8075/99)  manifestando  il  proprio  dissenso.  Va   infine  ricordata   la  responsabilità,  pacificamente   incombente  sul  condominio  ex  

art.   2051   c.c.,   per   danni   a   terzi   nella   esecuzione   di   un   appalto   ove   la   materiale  disponibilità  del  bene  non  sia  stata  completamente  conferita  all’appaltatore.  Infine,   un   mero   cenno   alla   responsabilità   personale   dell’amministratore,   quale  

rappresentante  del  condominio  e  soggetto  che  sottoscrive  materialmente  il  contratto,  in   materia   di   appalto.   Accanto   alle   ovvie   responsabilità   di   natura   prettamente  civilistica   derivanti   dalla   attivazione   nei   termini   imposti   dalla   legge   contro  l’appaltatore   (decadenze,   prescrizioni,   ecc.)   può   talvolta  profilarsi   una   responsabilità  di  natura  penale.  Tale   rilievo   è   particolarmente   grave   se   si   considera   che   non   soltanto  

l’amministratore   regolarmente   eletto   a   mente   dell’art.   1129   c.c.   risponde   per   fatti  penalmente   rilevanti   quali   quelli   profilati   dagli   artt.   677   e   650   c.p.,   ma   anche   il   c.d.  amministratore  di  fatto.  Mentre   l’art.   650   c.p.c.   è   norma   in   bianco   applicabile   solo   ove   non   vi   siano  

disposizioni  ad  hoc,   interessa  qui   il  disposto  dell’art.  677  c.p.,   le  cui  sanzioni  possono  giungere  fino  all’arresto  quando  il  pericolo  sia  inerente  la  pubblica  incolumità.  

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E’  naturale  che  l’amministratore  deve  essere  stato  posto  in  grado  di  svolgere  l’opera  atta   a   rimuovere   il   pericolo   di   crollo   dell’immobile   o   parte   di   esso,   di   tal   che   la  mancanza  di  volontà  cosciente  e  libera  escludono  la  imputabilità.  Né  gli  artt.  650  e  677  c.p.  possono  applicarsi  in  concorso.  Per  costante,  anche  se  non  più  recente,  orientamento  di  Cassazione,  la  imputabilità  

dell’amministratore   va   esclusa   qualora   egli   dimostri   di   non   essere   stato   posto   nelle  condizioni  di  adempiere  l’ordine  dell’Autorità  che  abbia  raggiunto  il  condominio.  In   realtà,   mentre   dal   punto   di   vista   civilistico   le   responsabilità   personali  

dell’amministratore   possono   essere   fortemente   limitate   da   meccanismi   “contrattati”  con  il  proprio  condominio,  fino  a  giungere  ad  accordi  di  manleva  ovvero  alla  stipula  di  polizze  assicurative  ad  hoc,    non  è  possibile  individuare  modalità  comportamentali  tali  da   esentare   il   medesimo   amministratore   dal   rischio   di     coinvolgimenti   in   vicende  penali;   solo   sul   piano   della   difesa   legale,   ovvero   in   un   momento   successivo,  l’amministratore   potrà   essere   tenuto   indenne   dalle   spese   sostenute   appellandosi   ad  eventuali  accordi.  La   Cassazione   esclude   invece   recisamente   la   possibilità   di   stabilire   a   livello   di  

delibera  assembleare  lo  stanziamento  di  un  “fondo”  per  eventuali  spese  legali  di  difesa  penale   dell’amministratore;   si   pretende   appunto   la   sottoscrizione   di   un   accordo   tra  l’amministratore   e   i   vari   condomini   aderenti   alla   decisione,   senza   però   che   detta  decisione  possa  essere  assunta  in  sede  assembleare.  Proprio   in   ragione   della   potenziale   pericolosità   che   un   appalto   comporta   per   un  

edificio,  soprattutto  se  coinvolge  aspetti  statici  del  medesimo,  la  scelta  di  una  impresa  appaltatrice  che  risponda  appieno  al  grado  di  perizia  richiesto  dall’opera  da  svolgersi  diventa   allora   di   rilevanza   estrema,   ed   è   compito   del   diligente   amministratore   di  condominio  illustrare  in  sede  di  assemblea  le  specifiche  e  numerose  problematiche  cui  il   condominio   può   esporsi   nel   sottoscrivere   un   contratto   di   appalto   senza   le   dovute  cautele,  prima  tra  esse  la  verifica  delle  polizze  assicurative  delle  imprese  coinvolte.  In   conclusione,   si   vuole   poi   sottolineare   l'importanza   di   un   aspetto   talvolta  

trascurato   del   contratto   di   appalto   :   il   committente   deve   mettere   l'impresa   edile   in  condizione  di  potere  eseguire  il  lavoro  commissionato.  Inutile  contestare  vizi  di  sorta  alle  opere  di  una  impresa  edile  che  non  è  stata  posta  

in  condizione  di  lavorare  bene.  E'   viceversa   opportuno   che   l'amministratore   -­‐   prima   di   procedere   alla  

sottoscrizione   del   contratto   -­‐   prenda   accurata   visione,   unitamente   al   legale  rappresentante   pro   tempore   della   impresa   stessa,   non   soltanto   delle   aree   in   cui  strettamente  si  svolgerà  la  attività,  ma  anche  degli  spazi  preposti  a  deposito  materiali  ecc.,   ottenendo   dalla   impresa   stessa   la   sottoscrizione   di   una   clausola   per   cui   detti  luoghi  non  implicheranno  difficoltà  esecutive.  In   proposito,   è   frequente   che   determinate   lavorazioni,   per   la   particolare  

conformazione   dell'edificio   condominiale   e   la   inesistenza   di   aree   comuni   adeguate,  comportino   la  necessità  di  un  passaggio  ovvero  di  un  deposito  materiali  presso  aree  private.  Raramente,  tuttavia,   il  condomino  coinvolto,  porrà  a  disposizione  spontaneamente  

e  senza  rimostranze,  ad  esempio,  il  giardino  privato  per  la  installazione  del  ponteggio  ovvero  per  il  deposito  del  materiale  edile.  Se   detto   spazio   privato   risulterà   realmente   l'unico   possibile   da   utilizzare   ed   il  

condomino  oppone  un  reciso  rifiuto  il  Condominio  potrebbe  essere  costretto  ad  agire  ex  art.700  c.p.c.,  in  via  d'urgenza,  per  vedersi  riconosciuto  in  via  giudiziale  il  diritto  ex  art.843  c.c.  al  passaggio  della  impresa  o  alla  installazione  del  ponteggio.  Tuttavia   la   soluzione   giudiziale   non   appare   auspicabile   :   nei   mesi   necessari   ad  

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ottenere   il   provvedimento   giudiziale   il   cantiere   è   fermo,   e   lo   scotto   dei   prolungati  tempi  di  lavorazione  e  relativi  costi  ricade  sul  Condominio.  Migliore   appare   l'opera   di   "mediazione"   dell'amministratore,   che   illustri   alla  

assemblea  condominiale   la  necessità  di  corrispondere  al  condomino  che  presta  l'area  privata  la  adeguata  indennità  prevista  dalla  Legge.      7.3  -­  Il  contratto  di  assicurazione  La   polizza  Globale   Fabbricati   (che   in   seguito   indicheremo  per   brevità   G.F.),   nasce  

dall’esigenza  di  assicurare  contro  alcuni  rischi,  i  fabbricati  (in  generale)  e  quindi  nello  specifico,  i  condomini.  Questo  contratto  assicurativo,  garantisce   il  condominio,  contro  alcune  categorie  di  

danni,  siano  essi  subiti  dal  fabbricato,  che  provocati  a  terzi.  I   contratti   infatti   sono   suddivisi   in  due  o  più   sezioni:   l’una   che  prevede   i   danni   al  

fabbricato  assicurato;  l’altra  che  prevede  i  danni  che  il  fabbricato  provoca  a  terzi.  In   tale   ottica,   è   facile   intuire   che,   le   tipologie   di   sinistro,   sebbene   possano   essere  

identiche,  sono  trattate  in  maniera  differente.  Per   meglio   esprimere   tale   concetto,   supponiamo   di   affrontare   un   sinistro   da  

infiltrazione   d’acqua   che   provoca   danni   al   condominio   assicurato,   e   danni   ad   un  condominio   limitrofo.   Quelli   al   condominio   assicurato,   sono   danni   subiti  dall’assicurato,  mentre   i  danni  prodotti  al  condominio   limitrofo,  saranno  danni  subiti  da  terzi  e  quindi  da  Responsabilità  Civile.  Quindi,  in  base  a  questo  concetto,  avremo  due  tipologie  di  sinistri:  –   Danni  diretti  (o  in  garanzia  diretta)  –   Danni  da  R.C.  (o  in  garanzia  indiretta)  Garanzia  diretta,  in  quanto  l’immobile  che  è  assicurato,  risulta  colpito  direttamente  

dal  sinistro;  Garanzia   indiretta,   in   quanto   l’immobile   che   è   stato   danneggiato,   non   è   quello  

assicurato.    7.3.1  -­  Cosa  si  assicura  con  la  polizza  G.F.  ?  Il  contratto  assicurativo  G.F.,  assicura  il  fabbricato  nella  sua  interezza,  compresi  gli  

impianti   fissi   (idrico,   igienico,   termico,   elettrico,   ecc.),   compresi   fissi   ed   infissi   per  destinazione  (porte,  finestre,  citofoni,  ascensori,  ecc.),  in  alcuni  casi  i  giardini,  gli  alberi  di  alto  fusto,  le  recinzioni,  i  viali,  le  piscine,  ecc.  La  definizione  di  fabbricato  (e  quindi  dell’ente  assicurato)  è  riportata  sul  contratto  

assicurativo  e,  all’atto  della  stipula  del  contratto,  bisogna  prestare  attenzione  a  ciò  che  si  assicura  ovvero  che  non  è  compreso  tra  le  cose  assicurate.  E’   evidente   quindi   che,   quando   si   fa   riferimento   al   fabbricato   nella   sua   interezza,  

non  si  fa  alcuna  distinzione  tra  le  parti  comuni  e  le  porzioni  attinenti  alle  singole  unità  immobiliari.   C’è   quindi   differenza   tra   il   concetto   di   proprietà   comune   e   proprietà  privata,  e  quanto  invece  previsto  dalla  polizza  G.F.;  essa  infatti  nel  prestare  la  garanzia,  non   distingue   ciò   che   è   comune   e   ciò   che   è   privato,   all’interno   di   un   condominio.  Naturalmente   questa   distinzione   entrerà   in   gioco   al   momento   in   cui,   bisognerà  stabilire  chi  ha  diritto  al  risarcimento  dell’uno  o  dell’altro  danno.    7.3.2  -­  Come  assicurare  un  condominio  con  polizza  G.F.  ?  Sebbene   possa   sembrare   un’operazione   semplice   e   ovvia,   prima   di   assicurare   un  

condominio,  è  bene  tener  conto  di  alcuni  fattori  importanti,  il  primo  dei  quali  è,  qual  è  

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il  valore  da  assicurare.  La   polizza   G.F.   è   una   polizza   che   tiene   conto   del   valore   che   viene   assegnato   al  

fabbricato  assicurato.  Se  un  fabbricato  non  è  assicurato  in  maniera  adeguata,  e  quindi  con  un  “capitale  assicurato”   inferiore  al   suo  valore  reale,   in  caso  di  danno,   l’importo  indennizzabile   subirà   una   riduzione   proporzionale   in   relazione   al   rapporto   tra   il  capitale  assicurato  e  il  valore  del  fabbricato  (insufficienza  assicurativa).  Il   valore  da   assicurare   è   determinato  dal   costo  di   integrale   ricostruzione   a   nuovo  

dell’immobile.  Il  calcolo  è  piuttosto  semplice:  si  calcola  il  volume  vuoto  per  pieno  dello  stabile  e  si  applica  un  costo  unitario   (per   fabbricati  medi   in  Roma  tale  costo  è  pari  a  circa  300,00  euro/mc.).  Il  risultato  di  tale  prodotto,  darà  il  valore  da  assicurare.    7.3.3  -­  Quali  sono  i  rischi  assicurati  con  la  polizza  G.F.  ?  I   rischi   assicurati   sono   riportati   nel   contratto   e   comunque   genericamente   sono   i  

seguenti:  –   Incendio  –   Scoppio  –   Esplosione  –   Fulmine  –   Acqua  Condotta  –   Guasti  cagionati  dai  ladri  a  fissi  ed  infissi  

– Ecc.    

Per   meglio   comprendere   gli   aspetti   relativi   ad   alcune   garanzie   prestate,   bisogna  fare  una  premessa.  La  polizza  G.F.  nasce  fondamentalmente  in  funzione  della  copertura  “Incendio”,  allorquando  gli  enti  eroganti  mutui  o  finanziamenti  in  genere,  richiedevano  una  garanzia  assicurativa  che   li   cautelasse   in  caso  di  distruzione  di  un   fabbricato.  Le  ulteriori  garanzie,  furono  man  mano  introdotte  a  beneficio  dell’assicurato.  Oggi,   nella   stragrande   maggioranza   dei   casi,   la   polizza   G.F.   viene   interessata   per  

altre  tipologie  di  danni,  e  non  per  l’incendio,  piuttosto  raro.  Parliamo  in  particolar  modo  della  garanzia  “Acqua  Condotta”.  E’   una   garanzia   che   viene   pressoché   sempre   interessata   nei   sinistri   subiti   dai  

condomìni,  per  piccoli,  medi  o  grandi  danni.  Questa  garanzia  risolve   le  problematiche   frequenti  e  comuni,  di  quei  danni  dovuti  

alle   rotture   di   condutture,   che   danneggiano   i   piani   sottostanti,   o   l’immobile   stesso  interessato  alla  rottura  della  tubazione.  Nell’analisi  di  questo  tipo  di  garanzia,  bisogna  prestare  attenzione  al  fatto  che  essa  

non   riguarda   la   riparazione  del   tubo   rotto   e   tutte   le   opere  murarie   finalizzate   a   tale  riparazione  e,  tranne  in  casi  particolari,  non  è  operante  se  non  si  sia  verificata  “rottura  accidentale”  della  conduttura.    Risultano  di  solito  esclusi  dalla  garanzia:  –   Occlusioni  –   Trabocchi  –   Rotture  dovute  a  vetustà  della  conduttura  –   Rotture  dovute  al  gelo  –   Rotture  provocate  da  terzi  intenti  ad  opere  di  manutenzione  

– Ecc.    

Le   opere   per   riparare   la   tubazione   che   ha   dato   origine   allo   spargimento   d’acqua,  dette  anche  “Ricerca  e  riparazione  guasto”,  sono  previste  solo  con  garanzie  aggiuntive.    7.3.4  -­  Come  viene  liquidato  un  danno  con  polizza  G.F.  ?  

104

Partendo  dalla  garanzia  Acqua  Condotta,  e   riallacciandoci  al   concetto  di   “Garanzia  diretta”  e  “Garanzia   indiretta”,  analizziamo  come  viene   liquidato  un  danno  su  polizza  G.F.  Abbiamo  detto  che,  se  il  danno  è  subito  dallo  stesso  immobile  assicurato,  siamo  in  

regime  di  garanzia  diretta.  Quindi  ad  esempio  se  si  rompe  il  tubo  dal  sig.  Rossi  al  terzo  piano  di  uno  stabile,  e  danneggia  le  pareti  dell’appartamento  del  sig.  Bianchi,  al  piano  inferiore,   siamo   in   Garanzia   diretta.   Infatti,   lo   spargimento   d’acqua   ha   interessato   la  muratura   e   quindi   una   parte   del   fabbricato   assicurato.   La   garanzia   che   opererà   sarà  quella  da  Acqua  Condotta,  con  le  sue  limitazioni  e/o  franchigie.  Se   la   stessa   rottura   interessa   anche   i   mobili   del   sig.   Bianchi   (e   quindi   enti   non  

assicurati),   la   garanzia   che   interverrà   sarà   quella   da   R.C.   che   è   in   altro   settore   della  polizza,  con  le  sue  limitazioni  e/o  franchigie.  Nella  liquidazione  del  danno  si  terrà  poi  conto  della  cosiddetta  “Preesistenza”,  vale  

a  dire  del  confronto  tra  il  capitale  assicurato  e  il  valore  di  ricostruzione  dell’immobile,  calcolato   secondo   i   criteri   di   cui   al   precedente   paragrafo   7.3.2.   Se   tale   rapporto   è  superiore   o   uguale   al   100%,   il   danno   verrà   liquidato   interamente,   se   il   rapporto   è  inferiore  al  100%,  il  danno  verrà  liquidato  nella  percentuale  così  ottenuta.    Es.1:  Capitale  Assicurato  €  1.000.000,00  Costo  ricostruzione  fabbricato  mc.  3.000  x  300  €/mc.  =  €  900.000,00  Il   Capitale   Assicurato   è   superiore   al   valore   del   fabbricato   quindi   il   danno   sarà  

indennizzabile  senza  riduzioni  proporzionali.    Es.2:  Capitale  Assicurato  €  1.000.000,00  Costo  ricostruzione  fabbricato  mc.  4.000  x  300  €/mc.  =  €  1.200.000,00  Il   Capitale   Assicurato   è   inferiore   al   valore   del   fabbricato   quindi   il   danno   sarà  

indennizzabile  con  l’applicazione  della  regola  proporzionale.    Quindi  se  il  danno  accertato  è  €  1.000,00,  si  avrà:  €  1.000,00  (Danno)    x     €  1.000.000,00  (Cap.  Ass.to)      =      €  833,33  €  1.200.000,00  (Val.  Fabbr.)    L’importo   indennizzabile   (€   833,33)   sarà   quindi   inferiore   al   danno   subito   (€  

1.000,00).    

7.3.5  -­  E  nel  caso  di  coassicuratrici  Accade  talvolta  che,  per  lo  stesso  condominio,  sono  prestate  due  o  più  polizze  G.F.  In  questo  caso,  la  liquidazione  del  danno  non  sarà  raddoppiata,  triplicata  e  così  via,  

ma  il  danno  quantificato  dal  perito,  sarà  ripartito  in  quota  tra  le  due  o  più  Compagnie  che  prestano  i  contratti  assicurativi.    7.3.6  -­  In  caso  di  disaccordo?  Non   sempre   ciò   che   il   perito   in   fase   di   accertamento   del   danno   valuta,   viene  

accettato   dall’amministratore   o   dal   condomino   danneggiato.   In   caso   di   disaccordo,   il  contratto   assicurativo   prevede   la   “Clausola   Compromissoria”.   Vale   a   dire   che,   se  emerge   disaccordo,   il   condominio   dovrà   nominare   un   perito   di   parte   che,   si  confronterà  con  il  perito  della  Compagnia  e,  qualora  il  disaccordo  dovesse  persistere,  i  due   periti   provvederanno   a   nominare   un   Terzo   Perito   Arbitro,   che   deciderà   sulla  

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controversia.  Il   Terzo   Perito   Arbitro   sarà   nominato   congiuntamente   dai   periti   delle   parti   o   dal  

Tribunale.  Tutto   ciò   per   i   danni   inerenti   la   Garanzia   diretta.   Per   i   danni   da   R.C.,   si   dovrà  

procedere  con  un  classico  contenzioso  giudiziario.    7.3.7  –  Franchigie  e  scoperti  Alcune  garanzie,  vengono  prestate  con  franchigia  e/o  scoperto.  La  franchigia  è  un  importo  fisso  di  danno  che  l’assicurato  decide  di  tenere  a  proprio  

carico,   così   come   lo   scoperto  è  una  percentuale   (del  danno  o  del   capitale  assicurato)  che  rimarrà  a  carico  dell’assicurato.  In  particolare,  la  franchigia  andrà  detratta  dall’importo  indennizzabile  a  termine  di  

polizza,   e   dovrà   essere   quindi   recuperata   da   parte   del   danneggiato,   facendone  eventuale  richiesta  al  responsabile  del  sinistro.  Come   già   riferito   è   un   importo   fisso   che   potrà   variare   a   seconda   della   garanzia  

prestata  e  del  tipo  di  contratto.  Lo  scoperto  sarà  detratto  in  forma  percentuale  rispetto  al  danno  subìto  (10%  -­‐  20%  

-­‐   25%   a   seconda   delle   disposizioni   contrattuali),   o   in   forma   percentuale,   rispetto   al  capitale  assicurato.  Talvolta  lo  scoperto  è  previsto  con  franchigia  minima.  Un   esempio   di   scoperto   percentuale   con   franchigia   minima:   “garanzia   acqua  

condotta  prestata  con  scoperto  del  10%  del  danno,  col  minimo  di  euro  500,00”.  In  caso  di  danno  accertato  pari  a  euro  3.000,00,  risultando  lo  scoperto  percentuale  

pari   al   10%  di   euro   3.000,00   (pari   quindi   a   euro   300,00)   si   applicherà   la   franchigia  minima  di  euro  500,00.  In  caso  di  danno  pari  a  euro  6.000,00  lo  scoperto  sarà  pari  al  10%  di  euro  6.000,00  

superiore   quindi   alla   franchigia   minima   di   euro   500,00   e   si   applicherà   dunque   lo  scoperto  di  euro  600,00.    7.3.8  -­  La  prescrizione  Infine  un  breve  cenno  sulla  prescrizione.  Un  danno   si   ritiene  prescritto,   e   quindi   si   perde   il   diritto   al   risarcimento,   qualora  

per  oltre  due  anni,  la  pratica  rimane  ferma  e  l’amministratore  non  si  fa  parte  diligente  ad   inviare   una   lettera   raccomandata   A.R.   alla   Compagnia,   che   abbia   valore   di  comunicazione  che  interrompe  i  termini  della  prescrizione.  Ciò  sempre  per  quanto  attiene  la  Garanzia  diretta.  Per  i  danni  da  R.C.,  la  prescrizione  decade  dopo  cinque  anni  dall’evento.    

****  ***  ****  Un   piccolo   monito   agli   amministratori   condominiali   in   formazione:   è   preferibile  

stipulare   contratti   assicurativi   annuali   (come   per   ogni   fornitura   di   servizi,   d'altro  canto),  salvo  espresse  indicazioni  da  parte  della  assemblea  di  condominio.  Ciò,   oltre   a   rispondere   con   rigore   ai   limiti   temporali   del   mandato   professionale  

amministrativo  (aspetto  fondamentale,  ad  avviso  di  chi  scrive),  anche  per    permettere,  alla   naturale   scadenza   del   contratto,   di   ridiscutere   unitamente   alla   assemblea  condominiale  preventivi  di  varie  compagnie  assicurative  valutandone  la  convenienza.  

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MODULO  N.  8  

 La  privacy  (Sarah  Pacetti)  

 Privacy  Parola  inglese,  con  significati  mutevoli  che  nella  nostra  lingua  può  essere  resa  con  "  

riservatezza  ".  Con  tale  parola  indichiamo  il  nostro  diritto  di  controllare  l'uso  e  la  circolazione  dei  

nostri  dati  personali.    Dato  "  Dato  "  può  essere  inteso  come  sinonimo  di  "  informazione  "  e  comprende  qualsiasi  

elemento   di   scrittura,   di   suono,   di   immagine   che   abbia   un   contenuto   informativo  (Alberto  Zucchetti.  "  Privacy.  Problemi  e  casi  pratici  "  Giuffrè  Editore,  pag.  117).    I  dati  personali  La  definizione  di"  dato  personale  "  è  molto  ampia.  E'   "   dato   personale   "   qualsiasi   informazione   che   riguardi   persone,   società,   enti,  

associazioni  identificati  o   che  possano  essere   identificati   anche   attraverso   altre   informazioni   (ad   esempio  

attraverso  un  numero  o  un  codice  identificativo).  Sono   dati   personali   :   nome,   cognome,   denominazione,   indirizzo   o   sede,   codice  

fiscale,  ma  anche  una  foto,  la  registrazione  della  voce  di  una  persona,  la  sua  impronta  vocale  o  digitale.  Difatti  la  persona  può  essere   identificata   anche   attraverso   altre   informazioni,   ad   esempio   associando   la  

registrazione  della  voce  della  persona  alla  sua  immagine,  oppure  alle  circostanze  in  cui  la  registrazione  è  stata  effettuata  :  luogo,  ora,  situazione  (Garante  per  la  protezione  dei  dati  personali.  "  Glossario  minimo  della  protezione  dei  dati  ",  pag.  3).  In  altre  parole  è  "  dato  personale  "  una  qualunque  informazione  attraverso  la  quale  

una  persona  è  identificata  o  identificabile,  anche  indirettamente.  Giova  evidenziare  che  tra  i  dati  personali  rientrano  senz'altro  anche  le  immagini  e  i  

suoni,   trattandosi   di   elementi   tramite   i   quali   è   possibile   identificare   una   persona.  Questo  è  un  aspetto  molto  importante  per  gli  amministratori  di  immobili  perché,  come  vedremo  meglio   in   prosieguo,   nel   predisporre   un   sistema   di   videosorveglianza   deve  essere  rispettato  il  codice  sulla  privacy.  In   proposito   il   Garante   della   privacy   infatti   ha   tenuto   a   chiarire   in   modo   molto  

rigoroso  che  la  normativa  sulla  privacy  :  "  è  senz'altro  applicabile  anche  ai  trattamenti  di  suoni  ed  immagini  effettuati  attraverso  sistemi  di  videosorveglianza,  a  prescindere  dalla,   circostanza  che   tali   informazioni   siano  eventualmente   registrate   in  un  archivio  elettronico,  o  comunicate  a  terzi,  dopo  il  loro  temporaneo  monitoraggio  in  un  circuito  di   controllo   ".   (Pareri   del   Garante   del   17/12/1997,   28/5/1998,  23/3/1999,21/10/1999,29/11/2000).          

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 I  dati  sensibili  Tra   i   dati   personali   sono   ricompresi   e   meritano   particolare   attenzione   i   "   dati  

sensibili   ",   così   definiti   dalla   lettera   d),   comma   1   dell'art.   4   del   decreto   legislativo  196/2003.    Sono   dati   sensibili   i   dati   idonei   a   rivelare   :   "   l'origine   razziale   ed   etnica,   le  

convinzioni   religiose,   filosofiche   o   di   altro   genere,   le   opinioni   politiche,   l'adesione   a  partiti,  sindacati,  associazioni  ad  organizzazioni  a  carattere  religioso,  filosofico,  politico  o  sindacale,  nonché  i  dati  personali  idonei  a  rivelare  lo  stato  di  salute  e  la  vita  sessuale.  I   dati   sensibili   sono   informazioni   personali   particolarmente   delicate   e  

potenzialmente   in   grado   di   procurare   un   danno   agli   interessati   in   caso   di   loro  trattamento.  Quindi   sono   i   dati   ai   quali   occorre   prestare   la  maggior   attenzione   in   caso   di   loro  

trattamento.  E'  opportuno  anche  aggiungere  che,  mentre   i  dati  personali  non  sono  esattamente  

individuati  dalla  legge,  la  quale  si  limita  a  dare  una  spiegazione  generica,  i  dati  sensibili  sono  esclusivamente  e  tassativamente  quelli  sopra  indicati.    I  dati  giudiziari  Sono   i   dati   personali   idonei   a   rivelare   provvedimenti   giudiziari   soggetti   ad  

iscrizione   nel   casellario   giudiziale   (provvedimenti   penali   di   condanna   definitivi,  liberazione   condizionale,   divieto   od   obbligo   di   soggiorno,   le   misure   alternative   alla  detenzione),   di   anagrafe   delle   sanzioni   amministrative   dipendenti   da   reato   e   dei  relativi  carichi  pendenti,  o  la,  qualità  di  imputato  o  di  indagato  ai  sensi  degli  articoli  60  e  61  del  codice  di  procedura  penale.    Trattamento  E'  qualunque  operazione  o  complesso  di  operazioni,  effettuati  anche  senza  1'ausilio  

di   strumenti   elettronici,   concernenti   la   raccolta,   la   registrazione,   l'organizzazione,   la  conservazione,  la  consultazione,  l'elaborazione,  la  modifica,  la  selezione,  l'estrazione,  il  confronto,  l'utilizzo,  l'interconnessione,  il  blocco,  la  comunicazione,  la  diffusione,  la  cancellazione  e  la  distribuzione  di  dati,  anche  se  

non  registrati  in  una  banca  dati.    Consenso  Il   trattamento   di   dati   personali   da   parte   di   privati   o   di   enti   pubblici   economici   è  

ammesso  solo  con  il  consenso  espresso  dell'interessato.  a-­‐  Il  consenso  può  riguardare  l'intero  trattamento  ovvero  una  o  più  operazioni  dello  

stesso.  b-­‐   II   consenso   è   validamente   prestato   solo   se   è   espresso   liberamente   e  

specificatamente   in   riferimento   ad   un   trattamento   chiaramente   individuato,   se   è  documentato   per   iscritto,   e   se   sono   state   rese   dall'interessato   le   informazioni   di   cui  all'art.  13  (Codice  della  Privacy).  c-­‐   II   consenso   è  manifestato   in   forma   scritta   quando   il   trattamento   riguarda   dati  

sensibili.    Autorizzazione  E'   il   provvedimento   con   il   quale   il   Garante   autorizza   Pente,   l'azienda,   il   libero  

professionista  a  trattare  determinati  dati  sensibili  o  giudiziari.    

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   Diffusione  E'   il   dare   conoscenza   dei   dati   personali   a   soggetti   indeterminati,   in   qualunque  

forma,  anche  mediante  la  loro  messa  a  disposizione  o  consultazione.    Comunicazione  Comunicazione  vuol  dire  mettere  uno  o  più  soggetti  determinati  (e  che  ovviamente  

non   siano   l'interessato)   a   conoscenza   di   dati   personali   in   qualunque   forma,   anche  attraverso  la  loro  messa  a  disposizione  o  consultazione.    Misure  minime  di  sicurezza  E'   il   complesso   delle   misure   tecniche,   informatiche,   organizzative,   logistiche   e  

procedurali   di   sicurezza   che   configurano   il   livello  minimo   di   protezione   richiesto   in  relazione  ai  rischi  previsti  all'art.  31  (Cod.  Privacy),  che  si  riporta.  qui  di  seguito  :  Art.  31  -­‐  I  dati  personali  oggetto  di  trattamento  sono  custoditi  e  controllati  anche  in  

relazione  alle  conoscenze  acquisite  in  base  al  progresso  tecnico,  alla  natura  dei  dati  e  alle  specifiche  caratteristiche  del  trattamento,  in  modo  da  ridurre  al  minimo,  mediante  l'adozione  di  idonee  e  preventive  misure  di  sicure!Ra,  i  rischi  di  distrazione  o  perdita,  anche   accidentale,   dei   dati   stessi,   di   accesso   non   autorizzato   o   di   trattamento   non  consentito  o  non  conforme  alle  finalità  della  raccolta.    8.1-­  L'amministratore  di  immobili  quale  libero  professionista  Regole  generali  per  il  trattamento  dei  dati  Volenti  o  nolenti,  consapevoli  oppure  no,  tutti  noi,  nessuno  escluso,  è  direttamente  

coinvolto  dalla  normativa  per  la  tutela  della  privacy.  Siamo  coinvolti  sia  come  cittadini  destinatari  della  tutela,  sia  come  soggetti  tenuti  al  

rispetto  delle  disposizioni  di  legge  nell'esercizio  di  qualsiasi  nostra  attività.  E'   un   dato   di   fatto   oggettivo,   una   realtà   incontrovertibile,   con   la   quale   dobbiamo  

rapportarci   sempre   Come   accennato   poco   sopra,   in   questa   sede   ci   interessa   porre  l'accento   su   quale   sia   il   riflesso   che   l'introduzione   del   Codice   della   Privacy   ha   sulla  figura   dell'amministratore   di   immobili   inteso   quale   libero   professionista,   titolare   di  uno   studio   professionale   e   quindi   su   quali   siano   le   "   misure   di   sicurezza   "   che  l'amministratore  di  immobili  deve  adottare  come  qualsiasi  altro  professionista.  Una   prima   considerazione   apparentemente   banale   è   che   l'amministratore,   come  

qualsiasi  altro  professionista,  nello  svolgimento  della  sua  attività  inevitabilmente  viene  in  contatto  e  tratta    informazioni,  classificabili  quali  "  dati  ".  Quasi   sempre   l'amministratore   avrà   a   che   fare   con   dati   comuni   e   dati   personali,  

tuttavia   in   astratto   non   si   può   escludere   che   in   casi   particolari   ed   eccezionali  l'amministratore  debba  maneggiare  dati  sensibili  e  dati  giudiziari.  Orbene,   nel   settore   privato,   nel   quale   rientra   l'attività   di   amministratori   di  

immobili,   la   regola   generale   è   il   trattamento   dei   dati   previa   informativa   e   previo  consenso  dell'interessato   (A.   Ciccia   e   S.   Fumagalli,   Privacy   -­‐  Guida   agli   adempimenti,  Indicitalia  Ipsoa.,  pag.  15).  Questa  regola  generale  deve  essere  sempre  tenuta  presente.  L'informativa,  orale  o  scritta  deve  essere  idonea  a  far  conoscere  all'interessato  della  

identità  del  titolare  del  trattamento  e  della  sua  organizzazione,  delle  caratteristiche  del  trattamento  e  dei  diritti  attribuiti  dal  Codice  della  Privacy  (cfr.  A.  Ciccia  e  S.  Fumagalli,  opera  citata).  A  riguardo  occorre  avere  sempre  ben  presente  che:  

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a)   per   il   trattamento   di   dati   diversi   da   quelli   sensibili   occorre   ottenere   un  preventivo   consenso   espresso,   documentato   per   iscritto,   seppure   esistono   delle  eccezioni,  tassativamente  previste  dal  Codice,  per  le  quali  non  è  necessario  il  consenso  dell'interessato.  b)  per  trattare  i  dati  sensibili  ci  vuole  il  consenso  espresso  dell'interessato  e  in  più  

ci  vuole  anche  l'autorizzazione  del  Garante.  Appare   evidente,   come  detto   sopra,   che   gli   amministratori   di   immobili,   salvo   casi  

rari,  non  avranno  occasione  di  trattare  dati  sensibili  nell'esercizio  della  loro  attività.  Peraltro,   laddove  dovesse   capitare,   è   chiaro   che  anche  gli   amministratori   saranno  

tenuti,   come  qualsiasi  altro  soggetto  privato,  a  chiedere   la  specifica  autorizzazione  al  Garante.  Viceversa,   nell'esercizio   della.   sua   attività   professionale,   vi   sarà   sempre   il  

trattamento  da  parte  dell'Amministratore  di  immobili  di  dati  personali.    E'  logico  e  inevitabile  :  basti  pensare  a  quante  volte  ogni  giorno  l'amministratore  di  

immobili  deve  trattare  informazioni  quali  nome,  cognome,  denominazione,  indirizzo  o  sede,  codice   fiscale  sia  dei  condomini  che  degli  eventuali  conduttori,  sia  dei   fornitori.  Tutti  questi  dati,  come  abbiamo  visto,  sono  a  tutti  gli  effetti  dati  personali,  tutelati  dal  Codice  della  Privacy.  Pertanto   sono   le   corrette   modalità   per   il   trattamento   di   questi   dati   che   toccano  

molto  da  vicino  l'amministratore  e  che  cercheremo  di  esaminare  più  nel  dettaglio.    Il  trattamento  dei  dati  personali  Art.  23  (Consenso)  del  Codice:  1)  Il  trattamento  dei  dati  personali  da  parte  di  privati  o  di  enti  pubblici  economici  è  

ammesso  solo  con  il  consenso  espresso  dell'interessato.  2)   Il   consenso   può   riguardare   l'intero   trattamento   ovvero   una   o   più   operazioni  

dello  stesso.  3)   Il   consenso   è   validamente   prestato   solo   se   è   espresso   liberamente   e  

specificamente   in   riferimento   ad   un   trattamento   chiaramente   individuato,   se   è  documentato  per   iscritto,   e   se   sono   state   rese   all'interessato   le   informazioni   dell'art.  13.  4)   Il   consenso   è  manifestato   in   forma   scritta   quando   il   trattamento   riguarda   dati  

sensibili.  La  prima  considerazione  da  farsi  è  che  la  norma  in  oggetto  esclude  la  possibilità  del  

consenso   presunto   (cfr,   conforme:   Privacy,   Guida   agli   Adempimenti,   A.   Ciccia   -­‐   S.  Fumagalli,  op.  cit.).  Altro  elemento  certo  è   che  per   i  dati   sensibili   e   giudiziari   il   consenso  deve  essere  

scritto,  per  gli  altri  dati  deve  essere  sempre  espresso.  Il  problema  è  il  significato  delle  parole  "  se  è  documentato  per  iscritto  ".  Che  cosa  vuol  dire  che   il  consenso  è  validamente  prestato  "  se  è  documentato  per  

iscritto  "?  Che   differenza   c'è   tra   la   forma   scritta   prevista   obbligatoriamente   per   il   consenso  

relativo   ai   dati   sensibili   e   la   documentazione   per   iscritto   prevista   per   il   consenso  relativo  ai  dati  personali  diversi  da  quelli  sensibili  ?  Una  risposta  certa  non  è  stata  rintracciata.  Nel   dubbio   di   un'interpretazione   cavillosa,   il   suggerimento,   per   avere   la  massima  

tranquillità   sarebbe,   ovviamente,   quello   di   farsi   dare   sempre   il   consenso   scritto   da  parte   dell'interessato,   ma   è   chiaro   che   così   facendo   si   annullerebbe   lo   scopo   della  norma  che  è  di  differenziare  il  sistema  di  trattamento  dei  dati  sensibili  (più  delicati  e  importanti)  dagli  altri  dati  personali.  

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L'art.   24   del   Codice   è   molto   importante   perché   stabilisce   una   serie   di   eccezioni,  volte  a  semplificare  (e  di  molto)  l'attività  professionale  dei  privati  e  degli  enti  pubblici  economici,   indicando   i   casi   nei   quali   può   essere   effettuato   il   trattamento   dei   dati  personali  diversi  da  quelli  sensibili  senza  il  consenso.  Come  è  ovvio  la  norma  in  questione  detta  la  regola  generale.  E'   compito   poi   dell'interprete   valutare   se   il   caso   concreto   rientra   nella   astratta  

fattispecie  normativa.  Delle  varie  ipotesi  di  esclusione  astrattamente  previste  dall'art.  24,   l'attività   dell'amministratore   di   immobili   potrebbe   fondatamente   essere  annoverata   tra   quelle   disciplinate   al   punto   b   dell'articolo   citato,   in   forza   del   quale   il  consenso   non   è   richiesto   quando   il   trattamento     "è   necessario   per   eseguire   obblighi  derivanti  da  un  contratto  del  quale  è  parte  l'interessato  o  per  adempiere,  prima  della  conclusione  del  contratto,  a  specifiche  richieste  dell'interessato  ”.  Infatti   pare   fondato   ritenere   che   l'amministratore   tratti   i   dati   personali   dei  

condomini   nell'esercizio   del   (contratto   di)   mandato   professionale   ricevuto  dall'assemblea  dei  condomini,  nell'interesse  dei  condomini  stessi.  Per   cui   siamo   dell'avviso   che   l'amministratore   non   sia   tenuto   a   raccogliere   il  

consenso  espresso  dei  condomini  per  il  trattamento  dei  loro  dati  personali  diversi  da  quelli  sensibili,  in  quanto  Fattività  professionale  dell'amministratore  rientra  tra  quelle  che  beneficiano  dell'esclusione  di  cui  al  punto  b)  dell'art.  24.  In   tema   di   condominio   una   non   recente   pronuncia   del   Garante   (pronuncia   del  

19/5/2000)   ha   chiarito   che   "   per   quanto   riguarda   la   normativa   sulla   protezione   dei  dati   personali,   i   condomini   devono   essere   considerati   contitolari   di   un   medesimo  trattamento   di   dati   di   cui   l'amministratore   ha   la   concreta   gestione;   tale   contitolarità  rende   lecita   per   ciascun   condomino   la   conoscenza   dei   dati   raccolti   ed   utilizzabili  correntemente  presso  il  condominio  per  le  finalità  riconducibili  alla  disciplina  dettata  dagli  artt.  1117  e  ss.  del  C.  C.  ".  La   pronuncia   in   questione   è   utile   laddove   precisa   che   ciascun   condomino   è  

contitolare  di  un  unico  trattamento  e  quindi  conferma  il  diritto  per  ciascun  condomino  di  conoscere  tutti  i  dati  raccolti  e  necessari  per  la  gestione  del  condominio.  In  ogni  caso  il  punto  da  sottolineare  è  che  sempre  il  trattamento  dei  dati  personali  

deve  avvenire  nel  rispetto  di  quanto  statuito  dall'art.  11  del  decreto  legislativo  n.  196/  2003,  "Codice  in  materia  di  protezione  dei  dati  personali  ".  E'   opportuno   quindi   rammentare   il   disposto   del   citato   art.   11,   il   quale   prevede  

espressamente  che  i  dati  personali  siano  :  a)  trattati  in  modo  lecito  e  secondo  correttezza  ;  b)  raccolti  e  registrati  per  scopi  determinati,  espliciti  e  legittimi,  ed  utilizzati  in  altre  

operazioni  del  trattamento  in  termini  compatibili  con  tali  scopi  ;  c)  esatti  e,  se  necessita,  aggiornati  ;  d)  pertinenti,  completi,  non  eccedenti  rispetto  alle  finalità  per  le  quali  sono  raccolti  

e  successivamente  trattati  ;  e)   conservati   in   una   forma   che   consenta   l'identificazione   dell'interessato   per   un  

periodo  di  tempo  non  superiore  a  quello  necessario  agli  scopi  per  i  quali  essi  sono  stati  raccolti  o  successivamente  trattati.  Di  sicuro  possono  apparire  come  regole  generiche,  ma  secondo  le  finalità  perseguite  

dal   Legislatore   tutti   noi   professionisti,   ogni   qualvolta   trattiamo   dei   dati   personali,  dobbiamo  porci   il  problema  se   il  nostro  uso  e  conservazione  dei  dati  personali   siano  conformi  alle  direttive  dell'art.  11  sopracitato.        

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Il  trattamento  dei  dati  sensibili  Il  Garante  autorizza   i   liberi  professionisti  a   trattare   i  dati   sensibili  di   cui  all'art.  4,  

comma  1,  lettera  d),  del  Codice,  secondo  le  prescrizioni  di  seguito  indicate.  Prima  di   iniziare  o  proseguire   il   trattamento,   i  sistemi   informativi  ed   i  programmi  

informatici   sono   (debbono   essere)   configurati   riducendo   al  minimo   l'utilizzazione   di  dati  personali  e  di  dati   identificativi,   in  modo  da  escluderne   il   trattamento  quando   le  finalità  perseguite  nei  singoli  casi  possono  essere  realizzate  mediante,  rispettivamente,  dati  anonimi  od  opportune  modalità  che  permettano  di   identificare   l'interessato  solo  in  caso  di  necessità,  in  conformità  all'art.  3  del  Codice.  Con   il   provvedimento   n.4/2004   (G.U.   n.   190   del   14/8/2004)   il   Garante   per   la  

protezione  dei  dati  personali  ha  emanato  un'autorizzazione  generale  per  trattare  i  dati  sensibili  di  cui  all'art.  4,  comma  1,  lettera  d  del  Codice,  autorizzazione  che  si  riporta:  "  l'origine   razziale   ed   etnica,   le   convinzioni   religiose,   filosofiche   o   di   altro   genere,   le  opinioni   politiche,   l'adesione   a   partiti,   sindacati,   associazioni   ad   organizzazioni   a  carattere   religioso,   filosofico,   politico   o   sindacale,   nonché   i   dati   personali   idonei   a  rivelare  lo  stato  di  salute  e  la  vita  sessuale  ".  Tale  autorizzazione  riguarda  esclusivamente  "  i  liberi  professionisti  iscritti  in  albi  o  

elenchi   professionali".   Sono   equiparati   ai   liberi   professionisti   i   soggetti   iscritti   nei  corrispondenti   albi   o   elenchi   speciali   istituiti   anche   ai   sensi   dell'art.   34   del   regio  decreto-­‐legge  27  novembre  1933,  n.  1578  e  successive  modificazioni  ed   integrazioni,  recante  l'ordinamento  della  professione  di  avvocato.  L'autorizzazione  è  rilasciata  anche  ai  sostituti  e  agli  ausiliari  che  collaborano  con  il  

libero   professionista   ai   sensi   dell'art.   2232   del   Codice   civile,   ai   praticanti   e   ai  tirocinanti   presso   il   libero   professionista,   qualora   tali   soggetti   siano   titolari   di   un  autonomo   trattamento   o   siano   contitolari   del   trattamento   effettuato   dal   libero  professionista.  Pertanto   questo   è   un   ulteriore   caso   nel   quale   la   mancanza   di   un   albo   o   registro  

costituisce  un  ingiusto  svantaggio  per  gli  amministratori  di  immobili  rispetto  alle  altre  categorie  di  professionisti.  Peraltro,   come   già   accennato,   i   casi   nei   quali   l'amministratore   di   immobili   debba  

trattare  dati  sensibili  sono  un'eccezione  rara,  per  cui,  almeno  in  base  alle  nozioni  di  cui  disponiamo   al   momento,   possiamo   per   ora   accantonare   la   minuziosa   e   complessa  problematica  del  come  trattare  i  dati  sensibili.  Il  trattamento  dei  dati  sensibili  può  essere  effettuato  ai  soli  fini  dell'espletamento  di  

un   incarico   che   rientri   tra   quelli   che   il   libero   professionista   può   eseguire   in   base   al  proprio  ordinamento  professionale.  Il   trattamento   dei   dati   sensibili   deve   essere   effettuato   unicamente   con   logiche   e  

mediante   forme   di   organizzazione   dei   dati   strettamente   indispensabili   in   rapporto  all'incarico  conferito  dal  cliente.  Resta   ferma   la   facoltà   del   libero   professionista   di   designare   quali   responsabili   o  

incaricati   del   trattamento   i   sostituti,   gli   ausiliari,   i   tirocinanti   e   i   praticanti   presso   il  libero   professionista,     i   quali,   in   tal   caso,   possono   avere   accesso   ai   soli   dati  strettamente  pertinenti  alla  collaborazione  ad  essi  richiesta.  I  dati  sensibili  possono  essere  conservati  per  un  periodo  di  tempo  non  superiore  a  

quello  strettamente  necessario  per  adempiere  agli  incarichi  conferiti.  A   tal   fine,   anche   mediante   controlli   periodici,   deve   essere   verificata   la   stretta  

pertinenza,  non  eccedenza  ed  indispensabilità  dei  dati  rispetto  agli   incarichi   in  corso,  da   instaurare   o   cessati,   anche   con   riferimento   ai   dati   che   l'interessato   fornisce   di  propria   iniziativa.   I   dati   che,   a   seguito   delle   verifiche,   risultano   eccedenti   o   non  

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pertinenti  o  non  indispensabili  non  possono  essere  utilizzati,  salvo  che  per  l'eventuale  conservazione,  a  norma  di  legge,  dell'atto  o  del  documento  che  li  contiene.  I   dati   sensibili   possono   essere   comunicati   e   ove   necessario   diffusi,   a   soggetti  

pubblici   o   privati,   nei   limiti   strettamente   pertinenti   all'espletamento   dell'incarico  conferito  e  nel  rispetto,  in  ogni  caso,  del  segreto  professionale.  Tuttavia   teniamo   ancora   una   volta   a   sottolineare   che   l'art.   37   (Notificazione   del  

trattamento)   posto   sotto   il   Titolo   VI   (   Adempimenti   )   del   Codice   della   Privacy   non  indica  "  chi  "  deve  notificare  al  Garante  il  trattamento  dei  dati  personali  (  generico  )  per  i   quali   deve   operare,   cioè   non   indica   quali   categorie   debbano   adempiere,   bensì  contiene  un  elenco  complesso,  variegato  e  generico  di  categorie  di  "  dati  "  assoggettati  al  regime  della  notificazione.    Misure  minime  di  sicurezza  Le  misure  minime  di  sicurezza  sono  disciplinate  sotto  il  Capo  II,  artt.  33,  34,  35  e  36  

del  Codice.  Peraltro,  prima  di  esaminare  il  contenuto  di  tali  norme  è  forse  opportuno  cercare  di  

dare   una   risposta   ad   un   problema   pratico   operativo   che   "   tormenta   "   gli  amministratori  di  immobili.  Questi   debbono   predisporre   il   cosiddetto   "   Documento   programmatico   per   la  

Sicurezza  "  comunemente  chiamato  DPS  ?  Come  più  volte  sottolineato  anche  su  questo  aspetto  la  legge  non  dà  risposte  certe,  

ma  deve  essere  interpretata.  A   nostro   avviso   gli   amministratori   non   debbono   predisporre   tale   documento,  

perché  "  il  documento  programmatico  per  la  sicurezza  è  obbligatorio  a  condizione  che  ricorrano   due   requisiti   :   1)   trattamento   di   dati   sensibili   o   giudiziari;     2)   che   tali  trattamenti   avvengano   mediante   strumenti   elettronici   (parere   del   Dott.   Alessandro  Colaprisco,  dell'Ufficio  del  Garante).  Riteniamo   corretta   e   coerente   con   lo   spirito   della   legge   tale   interpretazione,   in  

quanto  dall'esame  del  combinato  disposto  dell'art.34  lettera  G,  e  dell'allegato  B  punto  19  emerge  chiaro  come   l'obbligo  di  predisporre   il  DPS  sia  stato  volutamente   limitato  dal   legislatore   in   capo   ai   titolari   del   trattamento   dei   dati   sensibili   (   cfr.   A   Ciccia   -­‐   S.  Fumagalli,  op.  cit.  pag.  165).  Peraltro   vale   sempre   l'avviso   che   a   tale   obbligo   è   invece   tenuto   l'amministratore  

che  dovesse  trattare  dati  sensibili  c/o  giudiziari  mediante  strumentazione  elettronica.  Chiarito  quanto  sopra,   in  buona  sostanza  in  che  cosa  consistono  le  misure  minime  

da  adottare  per  la  protezione  dei  dati  personali  ?  Orbene  non  possiamo  che  concordare  con  quanto  scritto,  con  acuta  sintesi,  dall'Avv.  

Gian   Vincenzo   Tortorici,   il   quale,   nella   sua   relazione   del   26   aprile   2005,   ha  ottimamente   sottolineato   che   "   le   precauzioni   da   prendere   consistono   nel   ridurre   al  minimo  il  rischio  che  i  dati  trattati  possano  :  a)  essere  distrutti  o  persi,  anche  a  causa  di  eventi  accidentali  ;  b)  essere  letti  o  utilizzati  in  modo  improprio  da  persone  non  autorizzate  .  Ne   consegue   che   l'accesso   al   computer   deve   essere   protetto   da   una   password  

avente  lunghezza  minima  di  otto  caratteri,  la  password  non  deve  contenere  riferimenti  riconducibili   in  qualsiasi  modo  all'incaricato  del   trattamento,  deve  essere  mantenuta  segreta  e,  quindi,  non  deve  essere  comunicata  a  nessuno  e  deve  essere  cambiata  ogni  sei  mesi  ".  Per  quanto  concerne  i  documenti  cartacei  si  deve  operare   in  modo  che  questi  non  

possano  essere  letti  o  copiati  da  terzi  estranei.  

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Inoltre   dobbiamo   sottolineare   che   l'art.   35   lettera   c)   prevede   che   per   la  conservazione   di   documenti   cartacei   debbano   essere   adottate   procedure   per   la  conservazione   di   determinati   atti   in   archivi   ad   accesso   selezionato   e   disciplina   delle  modalità  di  accesso  finalizzata  all’identificazione  degli  incaricati.    Quindi  i  documenti  debbono  essere  conservati  in  armadi  o  archivi  chiusi  a  chiave,  e  

la  chiave  deve  essere  controllata  dal  titolare  del  trattamento  (amministratore):  niente  più  carte,  fascicoli,  documenti  accessibili  a  chiunque  entri  nel  nostro  studio.    La  videosorveglianza  E'  lecito  installare  apparecchiature  di  videosorveglianza  a  tutela  del  singolo  purché  

le   immagini   raccolte   non   vengano   rese   note   a   terze   persone,   purché   inquadrino  esclusivamente   l'accesso   alla   singola   abitazione   e   purché   sussistano   le   effettive   e  concrete   situazioni   di   pericolo   che   costituiscono   presupposti   di   liceità   della   stessa  installazione  (art.5,  comma  3  del  Codice).  Nel   caso   di   installazione   di   apparecchi   di   videosorveglianza   da   parte   del  

condominio  ci   sono  due  condizioni  preliminari:  a)  che  sussistano  effettive  e  concrete  situazioni  di  pericolo  per  la  sicurezza  di  persone  o  beni;  b)  la  preventiva  valutazione  di  inadeguatezza  di   altri   sistemi  di  protezione  quali   cancelli,   allarmi,  porte  blindate   che  siano  stati  già  adottati.  In  questo  caso  è  necessario  informare  le  persone  che  possono  essere   riprese   attraverso   l'affissione   di   un   cartello   posto   all'ingresso   degli   spazi  condominiali.  Il   Garante   ha   comunque   sollecitato   il   rispetto   del   principio   di   proporzionalità   fra  

mezzi  impiegati  e  fini  perseguiti.  (Provvedimento  del  29  aprile  2004  reperibile  sul  sito  dell'Autorità  www.garanteprivacy.it).  La   tematica   è   stata   esaminata   da   questa  Autorità   per   i   profili   di   sua   competenza,  

ovvero  per  quanto  riguarda  la  liceità  e  la  correttezza  del  trattamento  di  dati  personali.  In  presenza  di  una  crescente  utilizzazione  di  impianti  di  videosorveglianza  da  parte  

di  molti  soggetti  pubblici  e  privati,   il  Garante,  nell'attesa  di  una  specifica   legislazione,  reputa  necessario  sintetizzare  gli  adempimenti,  le  garanzie  e  le  tutele  già  necessari  in  base   alle   norme   vigenti,   per   facilitarne   la,   conoscenza   da   parte   degli   operatori  interessati.  Le  regole  di  base  della  disciplina  sul  trattamento  dei  dati  personali,  infatti,  sono  già  

applicabili   alle   immagini   ed   ai   suoni,   qualora   le   apparecchiature   che   li   rilevano  permettano  di  identificare,  in  modo  diretto  o  indiretto,  i  soggetti  interessati.  Chi  intende  svolgere  attività  di  videosorveglianza  deve  quindi  osservare  almeno  le  

seguenti   cautele   (decalogo   delle   regole   per   non   violare   la   privacy),   rispettando  comunque  il  principio  di  proporzionalità  tra  mezzi  impiegati  e  fini  perseguiti:  1   -­‐   Tutti   gli   interessati   devono   determinare   esattamente   le   finalità   perseguite  

attraverso   la   videosorveglianza   e   verificarne   la   liceità   in   base   alle   norme   vigenti.   Se  l'attività  è  svolta  in  presenza  di  un  pericolo  concreto  o  per  la  prevenzione  di  specifici  reati,   occorre   rispettare   le   competenze   che   le   leggi   assegnano   per   tali   fini   solo   a  determinate   amministrazioni   pubbliche,   prevedendo   che   alle   informazioni   raccolte  possano  accedere  solo  queste  amministrazioni.  2   -­‐   Il   trattamento   dei   dati   deve   avvenire   secondo   correttezza   e   per   scopi  

determinati,  espliciti  e  legittimi  (art.  9,  comma  1,  lett.  A)  e  b),  legge  675/1996).  3  -­‐  Nei  casi  in  cui  la  legge  impone  la  notificazione  al  Garante  dei  trattamenti  di  dati  

personali   effettuati   da   determinati   soggetti   (art.   7   legge   675/1996),   questi   devono  indicare   fra   le   modalità   di   trattamento   anche   la   raccolta   di   informazioni   mediante  apparecchiature   di   videosorveglianza.   Non   è   prevista   alcuna   altra   forma   di   specifica  comunicazione  o  richiesta  di  autorizzazione  al  Garante.  

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4   -­‐   Si   devono   fornire   alle   persone   che   possono   essere   riprese   indicazioni   chiare,  anche   se   sintetiche,   che   avvertano   della   presenza   di   impianti   di   videosorveglianza,  fornendo  anche  le  informazioni  necessarie  ai  13  sensi  dell'art.  10  della   legge  n.  675/1996.  Ciò  è   tanto  più  necessario  quando   le  

apparecchiature  non  siano  immediatamente  visibili.  5   -­‐   Occorre   rispettare   scrupolosamente   il   divieto   di   controllo   a   distanza   dei  

lavoratori  e  le  precise  garanzie  previste  al  riguardo  (art.  4  legge  300/1970).  6  -­‐  Occorre  rispettare  i  principi  di  pertinenza  e  di  non  eccedenza,  raccogliendo  solo  i  

dati  strettamente  necessari  per  il  raggiungimento  delle  finalità  perseguite,  registrando  le   sole   immagine   indispensabili,   limitando   l'angolo   visuale   delle   riprese,   evitando   -­‐  quando  non  indispensabili  -­‐  immagini  dettagliate,  ingrandite  o  dettagli  non  rilevanti,  e  stabilendo   in   modo   conseguente   la   localizzazione   delle   telecamere   e   le   modalità   di  ripresa.  7  -­‐  Occorre  determinare  con  precisione  il  periodo  di  eventuale  conservazione  delle  

immagini,   prima   della   loro   cancellazione,   e   prevedere   la   loro   conservazione   solo   in  relazione  ad   illeciti   che   si   siano  verificati  o   ad   indagini  delle   autorità  giudiziarie  o  di  polizia.  8   -­‐   Occorre   designare   per   i   iscritto   i   soggetti   -­‐   responsabili   ed   incaricati   del  

trattamento   dei   dati   (artt.   8   e   9   della   legge   675/1996)   -­‐   che   possono   utilizzare   gli  impianti  e  prendere  visione  delle  registrazioni,  avendo  cura  che  essi  accedano  ai   soli  dati   personali   strettamente   necessari   e   vietando   rigorosamente   l'accesso   di   altri  soggetti,  salvo  che  si  tratti  di  indagini  giudiziarie  o  di  polizia.  9   -­‐   I  dati   raccolti  per  determinati   fini   (ad  esempio,   ragioni  di   sicurezza,   tutela  del  

patrimonio)  non  possono  essere  utilizzati  per   finalità  diverse  o  ulteriori   (ad  esempio  pubblicità,   analisi   di   comportamenti   di   consumo),   salvo   le   esigenze   di   polizia   o  giustizia,  e  non  possono  essere  diffusi  o  comunicati  a  terzi.  10  -­‐  I  particolari  per  la  rilevazione  degli  accessi  dei  veicoli  a  centri  storici  e  alle  zone  

a  traffico  limitato  devono  essere  conformi  anche  alle  disposizioni  contenute  nel    D.P.R.  250/1999.   E'   altresì   necessario   che   la   relativa   documentazione   sia   conservata   per   il  solo  periodo  necessario  per  contestare  le  infrazioni  e  definire  il  relativo  contenzioso  e  che  ad  essa  si  possa,  inoltre,  accedere  solo  ai  fini  di  indagine  giudiziaria  o  di  polizia.    Per   gli   impianti   di   videosorveglianza   finalizzati   esclusivamente   alla   sicurezza  

individuale  (ad  esempio  il  controllo  dell'accesso  alla  propria  abitazione)  si  ricorda  che  questi  non  rientrano  nell'ambito  dell'applicazione  della  legge  675/1996,  ricorrendo  le  condizioni  di  cui  all'art.  3.  Occorre,  però,   che   le   riprese  siano  strettamente   limitate  allo   spazio  antistante   tali  

accessi,  senza  forme  di  videosorveglianza  su  aree  circostanti  e  senza  limitazioni  delle  libertà  altrui.  Occorre,  inoltre,  che  le  informazioni  raccolte  non  siano  in  alcun  modo  comunicate  o  

diffuse.  Altrimenti   si   rientra   nell'ambito   di   applicazione   generale   della   legge   675/1996   e  

devono,  quindi,  essere  rispettate  tutte  le  indicazioni  di  cui  ai  punti  precedenti.  In   piena   osservanza   della   Tutela   al   diritto   alla   privacy   giova   ricordare   che   le  

immagini   sono   conservate   in   luogo   non   accessibile   a   terzi   salvo   al   Responsabile   del  trattamento,   che   le   immagine   devono   essere   cancellate   entro   le   24   ore   alla  registrazione   -­‐   fatte   salve   speciali   esigenze   di   ulteriore   conservazione   in   relazione   a  indagini   -­‐   e   che   le   stesse   possono   essere   visibili   sono   in   casi   di   reati   su   richiesta  dell’Autorità  Giudiziaria.  

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Inoltre,   va   sottolineato   che   i     dati   relativi   al   trattamento   di   videosorveglianza,  devono   essere   protetti   da   idonee   e   preventive   misure   di   sicurezza,   riducendo   al  minimo  i  rischi  di  distruzione,  perdita,  anche  accidentale,  di  accesso  non  autorizzato  o  trattamento  non  consentito  o  non  conforme  alle  finalità  della  raccolta.  Le  "misure  minime  di  sicurezza"  sono  obbligatorie  anche  sul  piano  penale.    Il   titolare   del   trattamento   che   si   avvale   di   un   soggetto   esterno   deve   ricevere  dall’installatore   una   descrizione   scritta   dell’intervento   effettuato   che   ne   attesti   la  conformità  alle  regole  in  materia.  Tra  le  misure  di  sicurezza  che  devono  essere  adottate:    -­‐  locali  con  accesso  protetto  da  badge  -­‐  armadi  chiusi  a  chiave  per  la  custodia  dei  supporti  -­‐  sistemi  di  controllo  accessi  (user-­‐id,  password)  per  visionare  le  registrazioni  -­‐  diversi  profili  di  autorizzazione  per  accedere  alla  visione  delle  immagini  registrate  

(ad  esempio:  per  manutentore,  per  responsabile  del  trattamento,  per  forze  di  polizia)  -­‐  sistemi  di  cifratura  delle  registrazioni.    In  merito   al   quorum   deliberativo   per   gli   impianti   di   videosorveglianza   delle   aree  

condominiali   l’Art.   1122-­‐ter.   -­‐   (Impianti   di   videosorveglianza   sulle   parti   comuni)   –  testualmente   recita:   “Le   deliberazioni   concernenti   l'installazione   sulle   parti   comuni  dell'edificio   di   impianti   volti   a   consentire   la   videosorveglianza   su   di   esse   sono  approvate   dall'assemblea   con   la   maggioranza   di   cui   al   secondo   comma   dell'articolo  1136”,   pertanto,   le   delibere   per   essere   valide   devono   essere   approvate   con   la  maggioranza  degli  intervenuti  che  rappresenti  almeno  la  metà  del  valore  dell’edificio.      

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Lettera  di  incarico  ad  un  collaboratore    per  il  trattamento  dei  dati  personali  

ai  sensi  del  D.  Lgs.  196/2003    Io  sottoscritto  .....  quale  amministratore  del  condominio  di  Via    ...  ai  sensi  del  D.  Lgs.  

196/2003  (Codice  in  materia  di  trattamento  dei  dati  personali),  autorizzo  il  sig.  …...  al  trattamento  del  dati  personali  dei  condomini  in  possesso  dello  studio.  Premesso  che:  •   il   trattamento   dei   dati   personali   deve   essere   svolto   nel   rispetto   del   D.  

Lgs.196/2003,   secondo   le   prescrizioni   dell'eventuale   "Documento   Programmatico  sulla  Sicurezza"  e  secondo  le  specifiche  direttive  impartite  dal  titolare  o  dall'eventuale  responsabile  del  trattamento;  •   il   trattamento   dei   dati   personali   è   strumentale   all'incarico   affidato   ad   ogni  

collaboratore  dello  studio  di  amministrazione  condominiale;  •  il  trattamento  dei  dati  deve  essere  effettuato  esclusivamente  in  ordine  all'incarico  

affidato  al  collaboratore;  •  al  fine  di  un  corretto  e  diligente  trattamento  del  dati  personali  si  impartiscono  le  

seguenti  istruzione  alle  quali  dovrà  scrupolosamente  attenersi;  •   i   dati   dei   condomini   conosciuti,   acquisiti   o   utilizzati,   nell'esercizio   delle   proprie  

attività  di  competenza  dovranno  essere  trattati  in  modo  lecito  e  secondo  correttezza;  •   è   richiesta   a   ciascun   collaboratore   la   massima   riservatezza   affinché   i   dati  

personali  siano  esatti,  aggiornati,  pertinenti,  completi  e  non  eccedenti  le  finalità  per  cui  sono  stati  raccolti  e  trattati  in  conformità  al  D.  Lgs  196/2003;  •   i   dati   personali   dei   condomini   dovranno   essere   conservati   per   il   tempo  

strettamente  necessario  ad  adempiere  agli  obblighi  contrattuali  del  mandato  conferito  allo  studio  e  di  legge;  •   ciascun   collaboratore   non   potrà   trattare   dati   sensibili   senza   il   consenso  

dell'interessato;  •   dovranno   essere   rispettati   i   diritti   dell'interessato   al   trattamento   secondo   il  

disposto  degli  artt.  7  e  ss.  del  D.  lgs  196/2003;  •  durante  il  trattamento  dei  dati  dovrà  adottarsi  ogni  precauzione  idonea  ad  evitare  

la  visione,  il  possesso  e  l'utilizzo  da  parte  di  soggetti  non  autorizzati;  •  è  tassativamente  vietato  l'utilizzo  personale  e  comunque  improprio  dei  dati  di  cui  

trattasi;  •  ciascun  collaboratore  dichiara  di  aver  preso  visione  e  di  rispettare   le   indicazioni  

del  "Documento  Programmatico  sulla  Sicurezza"  dello  studio.  Luogo  e  data  L'amministratore    II  collaboratore  per  accettazione      

(  per  gentile  concessione  dell’autore,      Avv.  Gian  Vincenzo  Tortorici,  Pisa  )  

       

   

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Informativa  ai  sensi  dell’art.  13  D.  Lgs  196/2003    In   ottemperanza   al   disposto   dell'art.   13   del   D.   Lgs.   30   giugno   2003   n.   196,   io  

sottoscritto  ...  Amministratore  del  condomini  odi  Via    ...  informo  che  i  dati  personali  del  condominio  e  dei  condomini,  sono  raccolti  al  fine  di:    1.  adempiere  agli  obblighi   contrattuali   conseguenti  alla  nomina  di  amministratore  

condominiale;  2.   adempiere   agli   obblighi   di   legge   (es.   fatturazione,   scritture   e   registrazioni  

contabili  obbligatorie,  ecc.);  3.   gestire   i   rapporti   contrattuali   con   i   clienti   e   fornitori   del   condominio  

amministrato;  4.  gestire  eventuali  contenziosi  giudiziali  e  stragiudiziali.  In  relazione  alle  predette  finalità,  si  comunica  che  il  trattamento  dei  dati  personali  è  

effettuato   con   l'ausilio   di   strumenti   cartacei   ed   informatici,   in  modo   da   garantire   la  sicurezza  e  la  riservatezza  dei  dati  in  osservanza  del  nuovo  codice  della  privacy.  La  presente  informativo  è  resa  per  i  dati:  a)  raccolti  direttamente  presso  l'interessato  (art.  13,  comma  1);  b)   raccolti   presso   terzi   (art.   13,   comma   4),   in   particolare   presso   il   precedente  

amministratore;  c)  pervenuti  da  pubblici   registri,  elenchi,  atti  o  documenti  conoscibili  da  chiunque  

(art.  24,  comma  1,  lett.  c).  II  conferimento  dei  dati  personali  è  indispensabile  ai  fini  di  adempiere  agli  obblighi  

contrattuali   assunti   ed   un   eventuale   diniego   al   trattamento   dei   dati   comporterà  l'impossibilità  ad  adempiere  al  mandato  conferito  ed  ai  conseguenti  obblighi  di  legge.  I   dati   personali   non   saranno   diffusi.   AI   fine   di   adempiere   agli   obblighi   di   legge   e  

contrattuali,    i  dati  potranno  invece  essere  comunicati  a:  •  collaboratori  dello  studio;  •  Poste  s.p.a.  o  altre  società  di  recapito  di  corrispondenza;  •  banche  ed  istituti  di  credito;  •  studi  legali  e  tecnici;  •   compagnie   di   assicurazione   e   imprese   di   manutenzione   solo   in   occasione   di  

sinistri  e  di  riparazioni  interessanti  le  proprietà  esclusive;  Non  intercorrendo  alcun  rapporto  contrattuale  tra   l'eventuale   locatario/affittuario  

e  l'amministratore,  lo  studio   tratterà   i   dati   personali   del   conduttore   solo   previa   autorizzazione   scritta  

dello   stesso;     in   caso   contrario   ogni   comunicazione   e   suddivisione   delle   spese  condominiali   avrà   come   unico   referente   il   proprietario   dell'immobile.   Si   informa  inoltre  che,  ai  sensi  dell'art.  7  del  D.  Lgs  196/2003,  l'interessato  al  trattamento  dei  dati  ha  diritto:  I.   di   avere   conferma,   in  modo   intelligibile   e  gratuito,  dell'esistenza  o  meno  di  dati  

personali  che  lo  riguardano;  II.   di   essere   informato   sulle   finalità   e   sulle  modalità   del   trattamento,   sul   titolare,  

sull'eventuale  responsabile  del  trattamento,  sui  soggetti  o  categorie  di  soggetti  ai  quali  i  dati  personali  potranno  essere  comunicati;  III.   di   ottenere   l'aggiornamento,   la   rettificazione   ovvero,   quando   vi   ha   interesse,  

l'integrazione  dei  dati;  IV.  di  ottenere  la  cancellazione,  la  trasformazione  in  forma  anonima  o  il  blocco  dei  

dati  trattati  in  violazione  di  legge  o  dopo  la  cessata  necessità  di  conservazione;  V.  di  opporsi  al  trattamento  per  motivi  legittimi;  

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VI.   di   opporsi   all'invio   di   materiale   pubblicitario   o   di   vendita   diretta   o   per   il  compimento  di  ricerche  di  mercato  o  di  comunicazione  commerciale  .  Titolare  del  trattamento  è  il  sottoscritto  amministratore.    Responsabile  del  trattamento  è  il  sig.  ...  Luogo  e  data    L'amministratore  

 Per  ricevuta      II  condomino  

 (  per  gentile  concessione  dell'autore,    Avv.  Gian  Vincenzo  Tortorici,  Pisa)  

 

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MODULO  N.  9      

Gli  impianti  condominiali    (Pietro  Barchi)  

   I  fabbricati,  nella  loro  componente  muraria,  sono  strutture  statiche.  Per   essere   vissuti   completamente   e   dare   ai   Condomini   un   uso   confortevole   e  

pienamente  godibile  del  bene  gli  immobili  debbono  essere  completati  con  la  presenza  degli  impianti.      Gli   impianti   costituiscono   la   componente   “viva”   dei   fabbricati:   tutti   i   giorni   ci  

serviamo   di     acqua,   energia   elettrica,   ascensore,   fogne,   riscaldamento,  condizionamento  dell’aria,  televisione  ed  altro  ancora.  Spesso   proprio   dal   malfunzionamento   degli   impianti   nasce   il   contenzioso  

condominiale.  Riteniamo  opportuno  fare  una  panoramica  sugli   impianti  di  maggior  rilievo  al  fine  

di   poter   meglio   comprendere   il   loro   funzionamento   e   meglio   rispondere   alle  problematiche  condominiali.    9.1-­  IMPIANTI  ELETTRICI  

Scopo   degli   impianti   elettrici   in   generale   è   quello   di   alimentare   utenze   e   servizi.  All’interno   delle   realtà   condominiali   gli   impianti   elettrici   hanno   inizio   a   valle   dei  misuratori  di  energia  posti  in  opera  dalle  società  erogatrici  (ENEL,  ACEA  od  altre).  Le  due  classificazioni  principali  prevedono  che  l’energia  venga  utilizzata  per  :  

a. Illuminazione  (scale,  giardini,  locali  di  servizio);  b. Forza   motrice   (ascensori,   montacarichi,   centrale   termica,   cancelli  

automatici,  pompe  di  circolazione,  centralini  per  citofoni  ecc.);    La  normativa   relativa   agli   impianti   elettrici   si   è   sempre  maggiormente   indirizzata  

verso  la  sicurezza  degli  impianti.  Il  riferimento  normativo  di  maggior  rilievo  è  stato  rappresentato  dalla  L.  46/90  che  

ha   disciplinato   le   tipologie   di   materiali   da   usare   ed   i   sistemi   di   realizzazione   degli  impianti.  Sono  così  scomparsi  per  sempre  i  vecchi   impianti  realizzati  con  “filtubo”  annegato  

nelle  murature,  prese  elettriche  murate,   tracciati  non  identificabili  della  rete  elettrica  ecc.  La  L.  46/90  ha  inoltre  imposto  la  qualificazione  delle  imprese  ed  assegnato  loro    la  

responsabilità  della  realizzazione  attraverso  l’obbligo  del  rilascio  della  “Dichiarazione  di  conformità  dell’impianto”.  La  L.  46/90  dopo  numerose  proroghe  è  stata  vigente  fino  al  30  giugno  2006.  I  principi  informatori  della  legge  erano  i  seguenti:  

1) Gli   impianti   debbono   essere   eseguiti   a   "regola   d'arte"   secondo   la  normativa  vigente,  usando  materiali  a  norma;  2) I   lavori   d’installazione,   trasformazione,   ampliamento   e  manutenzione  

straordinaria  degli  impianti  in  genere  debbono  essere  affidati  a  ditte  abilitate  ed  il   cui   responsabile   tecnico   possieda   i   requisiti   tecnico   professionali  ufficialmente  accertati;  3) II   committente   od   il   proprietario   o   l'amministratore   è   tenuto   ad  

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affidare  i  lavori  di  cui  sopra  alle  sole  ditte  abilitate;  4) Per   i   lavori  di  una  certa   importanza  è  previsto  un  progetto  redatto  da  

un  professionista  iscritto  nel  rispettivo  albo  professionale;  5) A  lavori  eseguiti  la  ditta  esecutrice  dovrà  rilasciare  una  dichiarazione  di  

conformità   alle   norme   di   sicurezza   e,   qualora   sia   previsto,   il   progetto   ed   il  certificato  di  collaudo.  

 Per   dare   continuità   e   rafforzamento   alle   direttive   mirate   alla   sicurezza   degli  

impianti  è  stato  poi  emanato  il  D.M.  37  del  22  gennaio  2008,  entrato  in  vigore  dal  23  marzo  2008.  In  particolare,  per  uniformare  la  regolarità  degli  impianti  è  stata  resa  obbligatoria  la  

certificazione  anche  di  quelli  preesistenti  con  verifica  da  parte  di  tecnico  abilitato.  Il   possesso   della   certificazione   è   basilare   per   il   funzionamento   del   fabbricato   e  

l’amministratore  dovrà  curare  la  raccolta  e  conservazione  dei  certificati  degli  impianti.  Per   norma   del   DPR   22   ottobre   2001   n.   462   è   obbligo   di   legge   far   verificare  

periodicamente  gl’impianti.    9.2-­  IMPIANTI  CITOFONICI  Scopo  degli   impianti   “di   citofono”  è  quello  di  mettere   in   comunicazione   le   singole  

unità  immobiliari  con  l’esterno  del  fabbricato.  Fatto   salvo   quanto   sopra   detto   per   gl’impianti   elettrici,   gl’impianti   citofonici  

costituiscono  una  delle  applicazioni  maggiormente  radicate  all’interno  dei  condomini.  Gli   impianti   videocitofoni   aggiungono   l'uso   della   telecamera   fissa   allo   scopo   di  

vedere  la  persona  con  la  quale  si  sta  parlando.  Gli  impianti  citofono  sono  molto  diffusi  sul  territorio  e  ben  noti  a  tutti,  gli   impianti  

videocitofono  sono  meno  diffusi  molto  probabilmente  per  un  problema  di  costi.  Riteniamo  che  presto  gl’impianti  di  videocitofono  avranno  una  più  larga  diffusione  

per   il   prezioso   servizio   di   vigilanza   e   controllo   che   attraverso   di   loro   è   possibile  effettuare  sull'ingresso  di  visitatori  più  o  meno  graditi  all'interno  dei  condomini.  Nuove   tecnologie   di   posa   in   opera   hanno   semplificato   la   realizzazione   di   tali  

impianti,  abbassato  i  costi  di  realizzazione  e  facilitato  la  loro  diffusione.    9.3-­  IMPIANTI  DI  VIDEOSORVEGLIANZA  Scopo   degl’impianti   di   videosorveglianza   è   quello   di   tenere   sotto   controllo   video  

alcuni  punti  ritenuti  strategici  dell’area  condominiale.  Il   sistema   di   realizzazione   è   tecnicamente   elementare   in   quanto     comprende  

semplicemente   una   telecamera   ed   un   registratore   a   cassetta   video   per   la  conservazione  delle  immagini.    9.4-­  IMPIANTI  ANTENNA  TV  Scopo   degli   impianti   antenna   TV   è   quello   di   permettere   la   ricezione   dei   segnali  

provenienti  e  diffusi  da  stazioni  fisse  o  mobili.  Gli   impianti  di   antenna  TV  hanno  ormai  diffusione   su   tutto   il   territorio  nazionale,  

spesso  con  più  di  un  apparecchio  servito  all’interno  della  stessa  unità  immobiliare.    Gli  impianti  d'antenna  c'interessano  solo  nel  caso  siano  "  centralizzati"  quando  cioè  

con  una  sola  antenna  sia  servito  l’intero  condominio  o  singole  scale.  Questo  sistema  è   largamente  diffuso  anche  se  non  ha  del   tutto  soppiantato  quello  

dell'antenna  individuale  altamente  antiestetico.  La  prima  distinzione  è  tra  antenna  terrestre  ed  antenna  satellitare.    

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L’antenna  terrestre  ha  costituito  per  anni  l’unico  sistema  di  ricezione,  dalla  nascita  del  sistema  televisivo  in  Italia.  L’antenna  terrestre  riceve  il  segnale  da  postazioni  fisse  collocate  in  punti  strategici  

del   territorio  e  può  essere  utilizzata  sia  per  ricevere   il  segnale  “analogico”  che  quello  “digitale”.  L’antenna   satellitare,   di   più   moderna   ed   ormai   larghissima   diffusione,   riceve   il    

segnale  di  tipo  digitale  dai  satelliti,  proprio  per  questo  lanciati  nello  spazio,  ed  offre  un  segnale  di  migliore  qualità.  Le  problematiche  che  possono  sorgere  nei  condomini  sono  prevalentemente  legate  

al   sistema   di   distribuzione   del   segnale   proveniente   dall’impianto,   sia   terrestre   che  digitale,  alle  singole  unità  immobiliari.  I  sistemi  di  distribuzione  in  uso  sono  infatti  di  due  tipi:  

• diretto;  • a  cascata;  

 Nel  sistema  “diretto”  ogni  unità  immobiliare  è  servita  con  un  cavo  indipendente  con  

partenza  dalla  centralina  di  amplificazione;  Nel   sistema   “a   cascata”   un   unico   cavo   parte   dalla   centralina   di   amplificazione   ed  

entra   ed   esce   dagli   alloggi   sovrapposti,   lasciando   in   ciascuno   una   presa   di  collegamento  TV.  È   intuitivo   come   il   sistema   a   cascata   sia   quelle   che   determina   più   facilmente  

disservizi   (e   conseguentemente   tensioni   tra   i   Condomini)   e   problemi   per  l’amministratore.  Una   piccola   manomissione   (anche   involontaria   )   da   parte   di   un   Condomino   può  

pregiudicare  la  qualità  del  segnale  negli  alloggi  sottostanti.  Il   disservizio   di   cui   sopra   può   alimentare   ,   per   insoddisfazione   del   servizio,   il  

proliferare   di   sistemi   sia   terrestri   che   satellitari   individuali,   in   sovrapposizione   ad  impianti  centralizzati  esistenti.  Certo  è  che   la  norma  DPR  29.3.1973,  art.  231  da   facoltà  di   realizzare   tali   impianti  

individuali  in  omaggio  al  principio  del  “diritto  all’informazione”.  È   nostro   parere   che   un   impianto   centralizzato   nella   ricezione   e   diretto   nella  

trasmissione   del   segnale   sia   la   soluzione   migliore   sia   ai   fini   del   risparmio   (per   la  suddivisione  delle  spese  di  manutenzione  di  antenne  e  centralini)  sia  ai  fini  estetici  per  evitare  il  proliferare  di  antenne  TV  sui  fabbricati,  sia  sui  tetti  che  sulle  facciate.  Riteniamo   ed   auspichiamo   che   con   la   completa   copertura   digitale   del   territorio  

possa  essere  questa  la  soluzione,  se  non  se  ne  troveranno  di  migliori.        9.5-­  IMPIANTI    ELEVATORI  Scopo  degli  impianti  elevatori  è  quello  di  facilitare  il  trasporto  in  alto  di  persone  e/o  

cose.  Gli  impianti  elevatori  nascono  come  esigenza  al  momento  in  cui  vengono  realizzate,  

nella  moderna  tipologia  costruttiva,  le  abitazioni  multipiano.    Gli   impianti   elevatori   possono   essere   al   servizio   di   persone,   definizione   corrente  

“ascensore”,  o  di  cose,  definizione  corrente  “montacarichi”.  Dal  punto  di  vista  della  realizzazione  possono  essere  elettrici  con  trazione  a  funi  od  

oleodinamici.  Gli  ascensori  con  trazione  a  funi  sono  quelli  più  largamente  diffusi  e  solitamente  più  

economici  nella  realizzazione.  Gli   ascensori   sono   costituiti   fondamentalmente   da   un   vano   corsa,   interno   od  

esterno   alle   murature,   nel   quale   scorre   una   cabina   porta   persone,   e   da   una   “sala  

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macchina”.  Nella   sala   macchina,   posta   in   alto   rispetto   al   vano   corsa,   sono   presenti   le  

apparecchiature   per   il   funzionamento   ed   il   controllo   del   servizio   e   quindi   motore,  argano,  puleggia,  funi  di  trazione,  quadro  elettrico  ecc.  Gli  ascensori  a   funzionamento  oleodinamico  hanno   invece  un  “pistone”  che  spinge  

da  sotto  la  cabina  porta  persone.  Hanno  una  sala  macchina  di  dimensioni  ridotte  rispetto  a  quella  del  sistema  a  funi  e  

non   necessariamente   disposta   in   asse   con   la   cabina   ascensore:   è   sufficiente   che   un  compressore  spinga  l’olio  nel  pistone  e  che  questo  sollevi  la  cabina.  Questa  tipologia  di  ascensore  è  normalmente  utilizzata  per  fabbricati  non  superiori  

a  tre  piani.    Riferimenti  nornativi      Per  impianti  di  nuova  realizzazione   l’amministratore  ha  alcune  incombenze  dettate  

dal  D.P.R.  162/1999.  Sostanzialmente   deve   compilare   una   modulistica   indicata   nella   normativa  

inviandola  al  Comune  nel  quale  è  istallato  l’impianto,  entro  10  giorni  dal  rilascio  della  “Dichiarazione  di  conformità”.    Nella   modulistica   sono   compresi   dati   tecnici   ed   amministrativi   quali   l’indirizzo  

dello   stabile,   alcune   caratteristiche   quali   velocità,   numero   di   fermate   ,   dati   sul  costruttore   dell’impianto,   sul   manutentore   e   sul   soggetto   incaricato   delle   verifiche  periodiche.    Il   Comune   da   parte   sua   assegnerà   un   numero   di  matricola   da   utilizzare   in   tutti   i  

rapporti  futuri  per  l’immediata  individuazione  dell’impianto.    Per   impianti   già   in   esercizio   l’amministratore   è   tenuto,   a   far   eseguire   la  

manutenzione  ordinaria  dell’impianto  e  le  visite  periodiche  con  cadenza  biennale.  La  manutenzione  ordinaria  deve  essere  eseguita  da  “Ditta  Abilitata”  a  norma  della  

46/90  e  seguenti.  Le   visite   periodiche   devono   essere   eseguite   da   Enti   preposti   (ASL,   ARPA,   Enti  

Notificati)   ed   hanno   lo   scopo   di   verificare   il   rispetto   delle   normative   di   sicurezza  relative  al  funzionamento  dei  macchinari.  Al  termine  della  visita  viene  rilasciato  un  verbale  che  può  essere  con  esito  positivo,  

positivo  con  prescrizioni,  negativo.  L’amministratore   si   attiverà   per   far   eseguire   gl’interventi   di   manutenzione  

ordinaria  e/o  straordinaria,  con  le  eventuali  delibere  assembleari,  al  fine  di  consentire  ai  condomini  l’uso  dell’ascensore  nelle  condizioni  di  piena  sicurezza.    9.6-­  IMPIANTI  IDRICI  Scopo   degli   impianti   idrici   è   quello   di   consentire   la   distribuzione   dell’acqua  

all’interno  degli  edifici.    9.6.1-­  Acqua  ad  uso  potabile  Scopo   degli   impianti   idrici   ad   uso   potabile   è   quello   di   garantire   condizioni   di  

vivibilità  ed  igienico  sanitarie  ottimali  per  i  residenti.  All’interno   delle   realtà   condominiali   gl’impianti   idrici   hanno   inizio   a   valle   dei  

misuratori  posti  in  esercizio  dalle  Società  erogatrici  (ACEA  od  altre).  

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Gli   impianti   interni   sono   formati   da   tubazioni,   solitamente   in   acciaio   zincato,   che  portano   l'acqua  alle  diverse  utenze,   siano  esse  d'uso   condominiale   (lavatoi,   bagno  di  portineria  od  altro)  siano  d'uso  privato,  cioè  al  servizio  dei  singoli  appartamenti.  La   distribuzione   nei   singoli   appartamenti   ha   subito   in   questi   ultimi   anni   una  

sostanziale   trasformazione   in   quanto   si   è   passati,   quasi   totalmente,   dal   sistema   a  "cassoni"  a  quello  ad  “acqua  diretta”  Nel  primo  caso  si   trattava  di  avere  per  ogni   singola  unità   immobiliare  un  cassone  

d'accumulo   (200   -­‐   300   litri),   posto   nella   parte   alta   del   fabbricato,   con   funzione   di  riserva   nel   caso   di   mancanza   d'erogazione;   nel   secondo   caso   si   tratta   di   avere   un  allacciamento  diretto  all'acquedotto  comunale,  senza  accumulo.  Le  motivazioni  che  hanno  spinto  a  questa  trasformazione  sono,  in  modo  prevalente,  

di  carattere  igienico.  I  cassoni,  infatti,  non  erano  quasi  mai  perfettamente  sigillati  e  quindi  permettevano  

il   ristagno,   al   loro   interno,   di   corpi   estranei   di   varia   natura   (anche   piccoli   animali);  inoltre   il   materiale   solitamente   usato   per   i   cassoni   era   l’“eternit”   che,   come   ormai  sappiamo   ampiamente,   contiene   fibre   d'amianto   che     hanno   sull'uomo   effetti  cancerogeni.  Per  motivi  di  praticità  e  di  ricerca  della  maggiore  garanzia   igienica  possibile,  nella  

quasi  totalità  dei  casi  nei  quali  erano  presenti  cassoni  in  eternit  non  si  è  proceduto  alla  sostituzione  dei  cassoni  in  eternit  con  altri  (magari  in  polietilene  od  acciaio  inox)  ,  ma  al  cambio  del  sistema  di  distribuzione.    Un   piccolo   accenno   sulla   contabilizzazione   dei   consumi:   in   ambedue   i   sistemi   di  

distribuzione  (cassoni  o  diretta)  è  opportuno  che  ogni  singola  unità  immobiliare  abbia  installato   un   contatore   divisionale   al   fine   di   addebitare   al   singolo   utente   l'acqua  effettivamente  consumata.  In   caso   d'assenza   di   tali   contatori,   ed   in   pendenza   di   un'eventuale   delibera  

assembleare   che   regoli   la  materia,   il   sistema   di   ripartizione   più   logico   è   quello   "per  millesimo  di  proprietà"   e  non   "in  parti   uguali"   o   "per   componente   familiare"   come  a  volte  c'è  capitato  di  vedere.  Da  molto  tempo  si  è  ormai  diffuso  il  servizio  di  “lettura  e  riparto”  da  parte  di  ditte  

specializzate.    I  costi  del  servizio  sono  generalmente  abbastanza  contenuti  e  per  questo  accettati  

senza  obiezioni  da  parte  dei  Condomini.  Per  l’amministratore  un  problema  in  meno.  La  manutenzione  degli  impianti  idrici  è  praticamente  nulla  se  non  in  caso  di  guasto  

del  contatore  o  foratura  accidentale  di  una  tubazione.    9.6.2-­  Acqua  ad  uso  innaffiamento  Scopo   degli   impianti   d’innaffiamento   è   quello   di   garantire   il   mantenimento   delle  

condizioni  ottimali  delle  aree  verdi  condominiali.    Per  motivi  economici  è  opportuno  che  la  fonte  d'approvvigionamento  dell'acqua  sia,  

ove  possibile,  un  pozzo  condominiale  e  non  l'acquedotto  fornitore  di  acqua  potabile.  La  rete  di  distribuzione  dell’acqua  dovrà  essere  ben  studiata  al   fine  di  permettere  

un  adeguato  e  razionale  innaffiamento  dei  giardini,  magari  con  sistema  automatizzato.  Sarà   conveniente   che   tale   rete   ,   ovviamente   passante   a   terra,   sia   realizzata   con  

tubazioni   in   polietilene,   piuttosto   che   in   acciaio,   materiale   che   subisce   facilmente   il  fenomeno  dell’ossidazione.    Vale   la   pena   ricordare   che   per   lo   sfruttamento   dei   pozzi   per   innaffiamento   esiste  

l’obbligo  della  “Denuncia  del  pozzo”  e  del  pagamento  degli  oneri  a  Provincia  e  Regione;  

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 9.6.3-­  Acqua  ad  uso  antincendio  Scopo   degli   impianti   antincendio   è   quello   di   garantire   condizioni   di   sicurezza   nei  

fabbricati  avverso  il  pericolo  d’incendio.  Gli   impianti   idrici   con   funzione   antincendio   non   sono   molto   diffusi   ,   a   livello  

condominiale,   in  quanto  la   loro  obbligatorietà  è   legata  ad  una  particolare  tipologia  di  fabbricato  (per  esempio  altezza  in  gronda  oltre  24  m.).  Normalmente  non  hanno  bisogno  di  manutenzione  di  nessun  tipo.  La  distribuzione  dell'acqua  avviene  con  partenza  da  un  contatore  ad  uso  “dedicato”  

e  non  promiscuo  ad  altri  usi  e  terminale  costituito  da  una  serie  di  manichette  e  lance  di  erogazione,  chiuse  in  apposite  cassette.  Gli   impianti   debbono   essere   soggetti   a   verifiche   cadenzate   per   accertare   la   loro  

efficienza.  Nei   casi   di   posteggi   auto   al   coperto   le   normative   di   legge   possono   prevedere  

l’installazione  d'impianto  antincendio.    Nei  casi  in  cui  sia  possibile  usare  degli  estintori  occorre  avere  cura  di  eseguirne  la  

manutenzione  che  consiste  nella  ricarica  semestrale  da  parte  di  ditte  specializzate.    9.7-­  IMPIANTI  DI  SCARICO  Scopo  degli   impianti  di   scarico  è  quello  di   raccogliere  acque  meteoriche  ed   acque  

residue  dei  servizi  e  convogliarle  verso  la  rete  fognaria  comunale.  Sono  costituiti  da  una  rete  verticale  e  da  una  rete  orizzontale.  La   rete   verticale   per   la   raccolta   delle   acque  meteoriche   è   costituita   dai   cosiddetti  

“pluviali”,  tubazioni,  in  ferro,plastica  o  rame,  che  partendo  dai  terrazzi  o  lastrici  solari  raggiungono,  con  un  percorso  verticale,  uno  o  più  pozzetti  di  raccolta  posti  ai  piedi  del  fabbricato.  Il  punto  d’innesto  nel  terrazzo  o  lastrico  solare  prende  il  nome  di  “bocchettone”.      La   rete   verticale   per   la   raccolta   delle   acque   di   scarico   dei   servizi   è   costituita   da  

tubazioni,   solitamente   in   ghisa,   che   raccolgono   gli   scarichi   di   lavorazione   di   bagni   e  cucine  e  li  convogliano  a  dei  pozzetti  posti  ai  piedi  del  fabbricato.  I   problemi   legati   agli   scarichi   fognari   sono  molto   sentiti   nell'ambito   condominiale  

perché  possono  creare  effetti  di  rigurgito  per  intasamento  o  cattivi  odori  permanenti.  La   soluzione   può   essere   rappresentata   da   periodiche   ispezioni   ai   pozzetti   per  

l'accertamento   della   non   ostruzione   dei   condotti   ed   eventuale   pulizia   degli   stessi   a  mezzo  di  sistemi  tipo  "canal-­‐jet  ".    9.8-­  IMPIANTI  DI  ESALAZIONE  Scopo   degli   impianti   di   esalazione   è   quello   di   scaricare   oltre   la   sommità   del  

fabbricato  gli  odori  fisiologicamente  prodotti  da  bagni  e  cucine.  Per   il   mantenimento   dello   stato   di   efficienza   di   detti   impianti     è   opportuno  

verificare   la  cosiddètta  rete  di  ventilazione  (primaria  e  secondaria)  per  accertare  che  non   abbia   avuto   modifiche   od   ostruzione   in   genere   dal   momento   della   sua  realizzazione.    9.9-­  IMPIANTI  TERMICI  Scopo  degli  impianti  termici  è  quello  di  modificare  la  temperatura  degli  ambienti  ,  al  

fine  di  renderla    confortevole  per  lo  svolgimento  delle  nostre  attività.      Gli  impianti  termici  ai  quali  facciamo  riferimento  sono  quelli  di  tipo  “centralizzato”  

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Gli  impianti  termici  si  possono  distinguere  in  due  prime  grandi  tipologie:  a-­‐ Impianti  di  riscaldamento  dell’aria  (fase  invernale);  b-­‐ Impianti  di  condizionamento  dell’aria  (fase  estiva).  

 9.10-­  IMPIANTI  DI  RISCALDAMENTO  Descrizione  degli  impianti  di  riscaldamento  e  loro  elementi:    

Sistemi  di  realizzazione  degli  impianti:  • a  colonne  montanti;  • misto:  a  colonne  montanti  ed  anello;  

 Elementi  costituenti  gli  impianti;  

• la  centrale  termica;    • la  rete  di  distribuzione;  • i  corpi  scaldanti;  • i  componenti  esterni  

 La  centrale  termica:  

• caldaia;  • bruciatore;  • pompe  di  circolazione;  • tubazioni;  • rivestimenti  atermici;  • organi  di  regolazione  e  termoregolazione;  • organi  d'intercettazione;  • gruppo  d'alimentazione  idrica;  • sistema  d'espansione;  • trattamento  dell'acqua  d'alimentazione;  • impianto  elettrico;  • canna  fumaria;  

 La  rete  di  distribuzione:  

• tubazioni    

I  corpi  scaldanti;  • radiatori  /  termoventilatori  ,  altro.  

 I  Componenti  esterni:  

• canna  fumaria;  • serbatoio  per  combustibile.  

 Principali  componenti  la  centrale  termica  

 CALDAIA  Lo  scopo  della  caldaia  è  quello  di  produrre  calore  attraverso  la  fiamma  ed  i  fumi  per  

trasferirlo    al  fluido  da  riscaldare.  Nella  maggior  parte  dei  casi  questo  fluido  è  l'acqua  che  per  gli  impianti  ad  uso  civile  

è  posta  in  circolazione  allo  stato  liquido.  In   questo   settore   sotto   lo   stimolo   delle   crisi   energetiche   succedutesi   nel   tempo   e  

delle   esigenze   ecologiche   sempre  più   sentite   sono   stati   fatti   in  questi   ultimi   anni  dei  

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progressi  notevolissimi.  Il  costo  sempre  più  elevato  dei  combustibili  ed  eventuali  prevedibili  restrizioni  che  

si   potrebbero   avere   in   futuro,   consigliano   di   non   risparmiare   in   sede   d'acquisto   di  queste  macchine.  Le  caldaie  oggi   istallate  sono  del   tipo  ad  “alto  rendimento”    ed  è  bene  che  abbiano  

una    notevole  facilità  di  manutenzione  e  pulizia.  Il   problema  della   facilità   di   pulizia   riveste   grande   importanza  perché  una   caldaia,  

anche   ben   costruita,   cala   di   rendimento   quando   le   pareti   delle   superfici   di   scambio  sono  ricoperte  da  incrostazioni  di  fuliggine.    Una  caratteristica  importante  che  le  caldaie  debbono  avere  è  quella  dell'affidabilità  

intesa   come   continuità   di   esercizio   perché   guasti   in   genere   provocano   notevoli  disservizi   sia   nell'area   industriale,   per   la   regolarità   dei   processi.   di   lavorazione,   sia  nell'area   civile,   che   in  questa   sede   c'interessa,   per   le   tensioni   conseguenti   all'interno  dei  condomini.  Altra   importante   caratteristica   è   la   sicurezza  di   funzionamento  per   evitare   scoppi  

od  esplosioni,  anche  se  esistono  diversi  dispositivi  per   rendere  abbastanza  sicuro  un  impianto  termico  ben  progettato.  Tra  i  dati  caratteristici  delle  caldaie  notiamo:    

— la   potenza   termica   al   focolare,   che   indica   la   quantità   di   calore  sviluppata,  per  ogni  ora,  nella  camera  di  combustione;    

— la  potenza  termica  utile,  che  indica  la  quantità  di  calore  effettivamente  trasferita,  per  ogni  ora,  al  fluido  vettore.    Questi  dati  sono  riportati  sulla  targa  della  caldaia  (più   i  valori  sono  vicini   tra   loro  

migliore  è  il  rendimento  della  caldaia).    CLASSIFICAZIONE:  Le  caldaie  normalmente  installate  per  usi  civili  in  impianti  centralizzati  sono  caldaie  

"a   tubi   di   fumo"   nelle   quali   i   fumi,   dopo   aver   lambito   le   pareti   della   camera   di  combustione,   rimbalzano   sul   fondo   della   camera   di   combustione   stessa   e   s'infilano  all'interno  dei  fasci  tubieri,  esternamente  lambiti  dall'acqua  che  per  trasferimento  del  calore  dai  fumi  diventa  acqua  calda.  I  materiali  usati  per  la  costruzione  di  caldaie  sono:  

− acciaio;  − ghisa.  

 Per  studi  legati  al  risparmio  di  energia  (e  conseguente  risparmio  economico)  sono  

in  uso,  oltre  le  caldaie  ad  alto  rendimento,    caldaie  del  tipo  a  “  temperatura  scorrevole”  e  del  tipo  a    “  condensazione”.  Le   caldaie   a   temperatura   scorrevole   hanno   un   funzionamento   regolato   dalla  

richiesta  termica  dell’impianto  e  quindi  dalle  condizioni  climatiche.  In  questo  modo  si  ottiene  una  diminuzione  delle  perdite  verso   l’ambiente  esterno  

ed  al  camino,  a  bruciatore  spento  con  conseguente  risparmio  economico.  Le  caldaie  a  condensazione  hanno  un  rendimento  percentualmente  più  alto  rispetto  

alle  caldaie  tradizionali  anche  se  ad  alto  rendimento  in  quanto  riutilizzano  ,  per  mezzo  di  uno  scambiatore  di   calore,  parte  dei   fumi  prodotti  dalla   combustione  per  scaldare  l’acqua   che   torna   in   caldaia   dopo   aver   ceduto   calore   ai   corpi   scaldanti   e   quindi   agli  

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ambienti.  Un  impianto  che  dovesse  nascere  con  caldaia  del  tipo  a  condensazione  ha  bisogno  di  

un’attenta  progettazione  ma  garantirebbe,  nel  tempo,  un  risparmio  economico  rispetto  ad  un  impianto  tradizionale  del  quale  ha  certamente  un  maggior  costo  iniziale.  Sostituire   la   sola   caldaia   a   condensazione   in   un   impianto   realizzato   per   caldaia  

tradizionale   è   intervento   da   affidare   a   Ditte   qualificate   per   evitare   che   fenomeni   di  condensa  possano  in  breve  tempo  deteriorare  componenti  dell’impianto.       DA  RICORDARE    

Nelle  caldaie  è  necessario  che  non  manchi  mai  l'acqua.  Occorre  che  l’acqua  lambisca  effettivamente  le  parti  metalliche  e  non  sia  impedita  

da  incrostazioni  calcaree.  (Tali  incrostazioni  danneggiano  sempre  lo  scambio  termico  e  quindi  il  rendimento  

della   macchina   e   quando   raggiungono   grossi   spessori   possono   anche   provocare   il  surriscaldamento  del  metallo  ed  il  suo  collasso).    Tutte  le  parti  non  sufficientemente  raffreddate  dall'acqua  come  i  portelli  ed  i  setti  

per   deviare   i   fumi   devono   essere   protetti   da   materiali   refrattari   per   evitare  surriscaldamenti:  anche  in  questo  caso  bisogna  assicurarsi  che  lo  stato  del  refrattario  sia  in  perfetta  efficienza.    Per  normativa  è  importante  ricordare  che  quando  la  potenza  necessaria  a  scaldare  

l’edificio  supera  350  kW  occorre  suddividere  la  potenza  stessa  su  due  generatori.    

   BRUCIATORE  Lo  scopo  del  bruciatore  è  quello  di  realizzare  la  combustione.  Si   definiscono   bruciatori   gli   apparecchi   che   permettono   di   sprigionare   dai  

combustibili  le  loro  energie.    La   combustione,   infatti,   non   è   che   una   reazione   chimica   tra   il   combustibile   ed   il  

comburente:  questa  reazione  è  tanto  più  facilitata  quanto  più  intimo  è  il  contatto  fra  i  due  componenti  la  reazione.  Il  combustibile  può  essere  gas  o  gasolio,  il  comburente  è  l’aria.  La   combustione   deve   assolutamente   avvenire   tutta   nella   camera   di   combustione  

della  caldaia  perché  poi  i  fumi,  a  contatto  con  le  superfici  di  scambio  si  raffreddano  e  se  la  combustione  non  è  stata  totale  si  ha  la  formazione  d'incombusti  e  di  fuliggine.  Incombusti   e   fuliggine   si   formano   ovviamente   anche   se   l'aria   di   combustione   è  

scarsa;   tuttavia   l'aria   di   combustione   non   deve   neppure   essere   eccessiva   per   non  andare   incontro  ad  un  abbassamento  di  rendimento   ,   in  quanto   i   fumi  ancora  troppo  caldi   e   non   “sfruttati”   verrebbero   incanalati   troppo   velocemente   verso   la   canna  fumaria.              

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      DA  RICORDARE  

 Nei  bruciatori  si  deve  realizzare  la  perfetta  miscelazione  tra  il  combustibile  

ed  il  comburente.      Deve  esistere  e  mantenersi  un  rapporto  costante  e  sicuro  fra  combustibile  

e  comburente.    La   lunghezza   della   fiamma   deve   essere   regolabile   e   comunque   tale   da  

rimanere  sempre  nella  camera  di  combustione.    

   

Potere  Calorifico  Inferiore  (p.c.i.)  Tipo  di  combustibile   p.c.i.  espresso  in  

Kcal/Kg  Legname   3.500/4.000  Torbe   4.000/4.500  Lignite   4.500/6.000  

Litantrace   7.500/8.500  Antracite   8.000/8.500  Benzine   10.500  Gasolio   10.100  Gas  città   4.000/5.000  Metano   8.500/8.600  

                             POMPA  DI  CIRCOLAZIONE  Scopo   della   pompa   di   circolazione   è   quello   di   “spingere”   l'acqua   calda   all'interno  

delle   tubazioni   e   farla   pervenire   fino   ai   radiatori   per   lo   scambio   termico   con  l'ambiente.  Le   pompe   vanno   scelte   sotto   il   profilo   progettuale   secondo   le   caratteristiche   di  

"portata"  e  di  "prevalenza"  intendendosi  per  portata  la  quantità  d’acqua  da  trasportare  (espressa   in   m3/h)   e   per   prevalenza   la   distanza   (espressa   in   metri)   alla   quale   una  

Rendimento  della  caldaia  Tipo  di  combustibile   Rendimento  Combustibili  solidi  

polverizzati  e  soffiati  80-­‐90%  

Gas  di  città   85-­‐90%  Nafte  leggere   89-­‐91%  Gasolio   90-­‐92%  

Nafte  pesanti   90-­‐92%  Metano   92-­‐92%  

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quantità  d'acqua  deve  essere  trasportata.    Le  caratteristiche   tecniche  vanno  scelte  con  molta  cura  dal  progettista  per  evitare  

fenomeni  di  malfunzionamento  e  conseguenti  lamentele  da  parte  degli  utenti.  Sotto   il   profilo   costruttivo,   le   pompe   vanno   scelte   di   materiali   d'alta   affidabilità  

(preferibili   le  giranti   inox)  con  motori  elettrici  più  silenziosi   (con  più  alto  numero  di  poli)  ed  eventualmente  con  più  curve  di  funzionamento.    TUBAZIONI  Scopo   delle   tubazioni   è   quello   di   veicolare   il   fluido   caldo   prodotto,   dalla   centrale  

termica  al  resto  dell’impianto.  All'interno  della   centrale   termica   sono   installate   tubazioni   d'acciaio,   con  partenza  

dalla   caldaia,   che   costituiscono   l'inizio   della   rete   di   distribuzione   dell'acqua   calda   ai  radiatori.  Normalmente   avremo   in   centrale   i   cosiddetti   "collettori"   di  mandata   e   di   ritorno  

intendendo  delle  tubazioni  di  gran  diametro  sulle  quali  sono  innestate  le  tubazioni  di  partenza  dalla  caldaia  all'impianto,  e  quelle  di  ritorno  dall'impianto  alla  caldaia.    RIVESTIMENTI  ATERMICI  Scopo  dei  rivestimenti  atermici  è  quello  di  conservare  il  calore  del  fluido  passante  

nelle   tubazioni  evitando  che  si  possa  disperdere  negli  ambienti  nei  quali   le   tubazioni  transitano.    I   materiali   possono   essere   di   diversa   natura   ed   il   progettista   dovrà   tenere   conto  

degli  spessori  da  usare  in  funzione  delle  loro  capacità  coibenti.  I  rivestimenti  "classici"  degli  impianti  termici  sono  quelli  costituiti  da  lana  di  vetro,  

cartone,  filo  di  ferro  zincato,  rete  metallica  e  finitura  in  gesso  con  collarini  alle  testate.  Da  molti  anni  questo  tipo  di  rivestimento  è  stato  sostituito  da  materiali  sintetici;  tra  

i  più  usati  è  quello  realizzato   in  coppelle  di  poliuretano  espanso  a   loro  volta  rivestite  esternamente  in  p.v.c.  Particolare   caratteristica   è   la   praticità   d'installazione   ed   il   costo   estremamente  

contenuto  rispetto  al  sistema  in  gesso.    ORGANI  DI  REGOLAZIONE  E  TERMOREGOLAZIONE  Scopo  degli  organi  di  regolazione  e  termoregolazione  è  quello  di  controllare  i  cicli  di  

funzionamento  delle  apparecchiatura.  Nella  centrale  termica  saranno  installati  termometri  e  termostati  .    Particolare   interesse   riveste   la   termoregolazione   con   regolatore   climatico   che   ci  

permette  di  controllare   la   temperatura  d'invio  dell'acqua  al  circuito  di  riscaldamento  in  funzione  della  temperatura  esterna.  Il  sistema  è  stato  ideato  per  il  contenimento  dei  consumi  energetici  e  si  compone  di  

un  regolatore  climatico  di  tipo  elettronico  con  funzione  di  centralina  di  comando,  una  sonda   di   temperatura   aria   esterna,   una   sonda   di   temperatura   acqua   di   mandata  all'impianto,  una  valvola  a  tre  o  quattro  vie  di  tipo  manuale  od  a  comando  elettrico,  per  l’invio  dell’acqua  al  circuito,  di  una  pompa  di  ricircolo  a  scopo  anticondensa.  Il   sistema   appena   descritto   è   stato   uno   dei   "cavalli   di   battaglia"   della   prima  

normativa  sul  risparmio  energetico,  la  legge  373/76.      ORGANI  D'INTERCETTAZIONE  Scopo  degli   organi  d’intercettazione  è  quello  di  permettere  d'intercettare   il   flusso  

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dell'acqua  all'interno  delle  tubazioni.  Si   rendono  particolarmente  necessari   in   centrale   termica   a  monte  ed   a  valle  delle  

pompe  di  circolazione   e   sulle   linee   di   partenza   e   ritorno   ai   collettori;   lungo   la   rete   di  distribuzione  ed  ai  piedi  delle  colonne  montanti  per  facilitare  lo  svuotamento  soltanto  parziale  dell'impianto    in  caso  di  guasto.  I  modelli   più   in   uso   sono   quelli   del   tipo   a   sfera   "con  manovra   rapida   a   leva"   che  

offrono  vantaggi  di  tenuta  meccanica,  d'immediata  individuazione  dei  circuiti  aperti  ed  anche  di  regolazione  di  flusso  in  quanto  l'esecuzione  del  movimento  apertura-­‐chiusura  avviene  con  un  movimento  in  un  arco  di  90  gradi.  In   moltissimi   impianti   troviamo   installate   le   classiche   "saracinesche"   che   non  

offrono  alcuno  dei  vantaggi  sopra  descritti  e  si  rivelano  assai  fastidiose  nella  gestione  dell'impianto.    Uno   degli   inconvenienti   più   frequenti   è   legato   al   deposito   di   calcio   nella   sede   di  

chiusura   :   il   fenomeno   impedisce  di   fatto   la  perfetta   chiusura  dei   circuiti   e   costringe  l'operatore,   in   caso   di   riparazione,   a   svuotare   completamente   l'impianto   (od   almeno  fino  al  punto  di  guasto  se  si  tratta  di  tubazione  verticale)  .    GRUPPO  D’ALIMENTAZIONE  IDRICA  Scopo   del   gruppo   di   alimentazione   è   quello   di   restituire   al   circuito   la   quantità   di  

acqua  persa  per  evaporazione.  La   fonte   dì   alimentazione   idrica   deve   essere   certa   e   costante   per   far   si   che  

l’impianto  sia  sempre  pieno  di  acqua.  La   fonte   può   essere   indifferentemente   acqua   di   rete   od   acqua   di   pozzo  

eventualmente  stoccata  in  piccoli  serbatoi  di  servizio.  L'ingresso   dell'acqua   all'impianto   dovrà   avvenire   tramite   apposito   gruppo   di  

riempimento  omologato.  É  sempre  opportuno  installare  un  contatore  dei  litri  dell'acqua  d'alimentazione  per  

verificare   il   consumo   giornaliero   :   sarà   così   anche   possibile   identificare  immediatamente,   nel   caso   di   consumi   anomali,   l'esistenza   di   perdite   per   rottura   di  tubazioni.    SISTEMA  DI  ESPANSIONE  Scopo  dell’esistenza  negli  impianti  del  sistema  di  espansione  è  quello  di  raccogliere  

l’acqua  che  per  effetto  dell’aumento  della  temperatura  aumenta  di  volume  Per  controllare  l'effetto  di  questo  processo  fisico  si  utilizzano  il  sistema  cosiddetto  a  

"vaso  aperto"  o  quello  a  "vaso  chiuso".  Quello  a  vaso  aperto  è  costituito  da  un  cassone,  completo  d'accessori,  atto  a  ricevere  

la   quantità   d'acqua   in   espansione   ed   a   restituirla   all'impianto   (insieme   a   quelle   da  reintegrare  per  evaporazione)  quando  l'impianto  sarà  in  fase  di  riposo;  Quello  a  vaso  chiuso  è  costituito  da  un  recipiente  chiuso  nel  quale  è  alloggiata  una  

membrana  in  gomma  che  modifica  la  sua  posizione  quando  l’acqua  è  in  espansione;    Il  dimensionamento  dei  vasi  d'espansione  va  effettuato  con  cura  dal  progettista  per  

evitare  continui  reintegri  dannosi  per  l'impianto.  E'  il  caso  di  ricordare  che  il  sistema  a  vaso  aperto  va  alloggiato  nel  punto  più  alto  del  

fabbricato   mentre   quello   a   vaso   chiuso   viene   alloggiato   all'interno   della   centrale  termica.  Il   primo   è   meccanicamente   più   semplice   e   quindi   maggiormente   affidabile   del  

secondo   ma   ha   lo   svantaggio   di   essere   difficilmente   ispezionabile   a   causa   della   sua  posizione.  

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Sotto  il  profilo  funzionale,  i  due  sistemi  si  equivalgono  e  sarà  quindi  il  progettista  a  scegliere  un  sistema  o  l'altro  secondo  personali  valutazioni  tecniche.    TRATTAMENTO  DELL’ACQUA  DI  ALIMENTAZIONE  DELL’IMPIANTO  Scopo   dell’istallazione   di   un   sistema   di   trattamento   dell’acqua   di   alimentazione  

dell’impianto   è   quello   di   evitare/limitare   i   danni   provocati   dalla   concentrazione   di  calcare  contenuto  nell’acqua.    Il  valore  della  concentrazione  viene  normalmente  espresso  in  gradi  francesi.  Nell’acqua,   è   noto,   è   contenuto   il   carbonato   di   calcio   che   ,con   l'aumento   della  

temperatura   (già   sopra   i   40°C)   da   corso   al   fenomeno   della   precipitazione   con  formazione   d’incrostazioni   e   depositi   nella   partì   basse   dell'impianto   e   quindi  segnatamente  nella  caldaia.    In  questo  modo  si  peggiora  il  rendimento  della  caldaia  e  si  avviano  fenomeni  di  non  

uniformi  dilatazioni  termiche  delle  lamiere  con  conseguente  rapido  deperimento  della  caldaia  medesima.  Secondo   l'analisi   dell'acqua   ed   i   riscontri   tecnici   effettuati   da   uno   specialista   si  

potrà   procedere   alla   installazione   d'impianti   di   trattamento   a   sali   polifosfati   od   altri  ancora  più  complicati  e  naturalmente  più  costosi.  Un  buon  successo  hanno  ottenuto  dei  prodotti  chimici  con  effetto  filmante  :  capaci  

cioè  di   creare  una  pellicola  all'interno  della   tubazione  per   impedire   l'aggressione  del  carbonato  di  calcio.  In   questi   casi   la   perdita   di   efficacia   del   prodotto   è   segnalata   dal   mutamento   del  

colore  e  quindi  si  può  procedere  con  la  giusta  tempestività  alla  sua  sostituzione.    IMPIANTO  ELETTRICO  Fermo   restando   quanto   detto   in   precedenza   per   gl’impianti   elettrici   vediamo   in  

particolare  quelli  istallati  nelle  centrali  termiche.  La  ricerca  è  sempre  quella  di  avere  una  maggiore  sicurezza  e  questo  ha  portato  ad  

un  succedersi  di  normative  riguardanti  tutta  la  componentistica  ed  in  particolare:  • quadri  elettrici;  • linee  di  potenza  e  d'alimentazione;  • interruttore  esterno;  • impianto  d'illuminazione.  

 Sottolineiamo   in   questa   sede   che   i   gradi   di   protezione   delle   apparecchiature,   dei  

condotti   e  di  qualsiasi   involucro   contenente   conduttori   sotto   tensione,  presenti  nelle  centrali   termiche   con   potenzialità   superiori   alle   30.000   Kcal/h   non   deve   essere  inferiore   a   quello   previsto   dalle   norme   CEI   64/2   ART.B   1.05,   relativa   agli   impianti  civili.  In  generale  per   impianti   termici  ad  uso  civile  è  sufficiente  un   indice  di  protezione  

(IP)  44.  Il  grado  di  protezione  è  formato  da  due  cifre:  la  prima  definisce  la  protezione  contro  

la  penetrazione  dai  corpi  solidi,  la  seconda  contro  la  penetrazione  dai  liquidi.  Più  è  alto  il  numero  e  maggiore  è  il  grado  di  protezione.  E'   da   ricordare   che,   in   caso   di   trasformazione   di   alimentazione   dell'impianto   da  

combustibile   liquido   a   gas   metano,   l'impianto   elettrico   ed   in   particolare   le   linee   di  alimentazione  dovranno  essere  completamente  sostituite.  Oltre  i  motivi  logici  di  opportunità  legati  al  rinnovo  dell'impianto,  ricordiamo  che  il  

gasolio,   in  caso  di  perdita  del  bruciatore,    si  raccoglie  in  basso  mentre  il  gas  metano   ,  più  leggero  dell'aria,  stratifica  in  alto.  

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La   posizione   delle   linee   elettriche   deve   essere   opposta   a   quella   di   ristagno   del  combustibile  per  evitare  il  pericolo  di  incendio  o  scoppio.    RETE  DI  DISTRIBUZIONE  CALORE    Scopo  della  rete  di  distribuzione  negl’impianti  termici  è  quello  di  veicolare  l'acqua  

calda   (   tra   i   50   ed   i   90   °C   )   in   partenza   dalla   caldaia   verso   i   radiatori   e   quindi  l'ambiente,  e  farla  tornare,    a  temperatura  più  fredda,    nella  caldaia  stessa.    La  rete  di  distribuzione  è  costituita  da  tubazioni  di  diametro  conforme  alle  utenze  

da   servire,   adeguatamente   coibentate   e   passanti   molto   spesso   in   scantinati,  autorimesse  o  simili.  Per  impianti  distribuiti  col  sistema  a  "colonne  montanti"  avremo  una  tubazione  che  

allaccerà  tutti  i  radiatori  posti  sulla  stessa  verticale;  per  impianti  distribuiti  col  sistema  "ad   anello"   avremo   i   radiatori   sullo   stesso   piano   orizzontale   (preferibilmente   dello  stesso   appartamento)   collegati   insieme   ed   a   loro   volta   alimentati   da   una   colonna  montante  per  servire  i  diversi  piani.  Questo  secondo  sistema  favorisce,  rispetto  al  primo,  la  possibilità  di  riscaldamento  ,  

per  zone  ,  secondo  la  richiesta  termica.    CORPI  SCALDANTI  Scopo  dei   corpi   scaldanti   è  quello  di  diffondere  negli   ambienti   il   calore   contenuto  

nell’acqua  prodotta  in  centrale  termica,  scambiandolo  con  l’aria.  Lo  scambio  termico  avviene  per  convezione  /  irraggiamento.  Negli   impianti  di  riscaldamento  di   tipo  tradizionale   l'elemento  che   immette  calore  

nei  locali  è  il  radiatore.  I   radiatori,   chiamati   comunemente   termosifoni   o   piastre,   secondo   la   loro  

conformazione,    costituiscono  la  parte  più  accessibile  e  visibile  dell'impianto,  da  parte  degli  utenti.  Possono  essere  costruiti  in  ghisa,  in  acciaio  od  in  alluminio.  I   radiatori   in   ghisa   mantengono   più   a   lungo   il   calore   e   continuano   ad   emetterlo  

anche   quando   l'impianto   sia   stato   spento   ;   di   contro   sono   più   ingombranti   ed  impiegano  più  tempo  a  diventare  caldi.  Quelli  in  alluminio  ed  in  acciaio  hanno  il  pregio  di  scaldarsi  rapidamente  e  di  avere  

un  minore  ingombro,  ma  tendono  a  raffreddarsi  piuttosto  in  fretta.  Per   effetto   del   basso   coefficiente   di   trasmissione   del   calore   da   parte   dell'aria   i  

radiatori   sono   generalmente   costruiti   con   ampie   superfici   a   contatto   con   l'aria   allo  scopo  di  migliorare  la  resa  dell'apparecchio.  I   radiatori   sono   normalmente   corredati   di   una   valvola   che   regola   l'ingresso  

dell'acqua  calda  proveniente  dalla  centrale  termica,  di  una  valvola  che  regola  l'uscita  e  quindi   il   ritorno  dell'acqua  verso   la  centrale   termica  (  detentore  )  e  di  una  valvola  di  sfogo  aria.  Negli   impianti   di   taglio   più   moderno   e   nei   condomini   nei   quali   è   maggiore   è   la  

sensibilità   verso   il   risparmio   energetico   vengono   installate   delle   valvole   di   tipo  termostatico  che  regolano  il  flusso  dell'acqua  in  ingresso  al  radiatore  in  modo  tale  che  l'ambiente   interessato   abbia   al   suo   interno   la   temperatura   prefissata   (   per   esempio  20°C.).  Il   risparmio   si   ottiene  anche  perché   l'ambiente  può   sfruttare    gratuitamente   delle  

rientrate   di   calore   da   cose   o   persone   presenti   nei   locali   ovvero   da   fonti   esterne   di  calore  quali  illuminazione,  computer,  insolazione  ecc.  I  termoventilatori  sono  una  sorta  di  radiatori  corredati  da  un  ventilatore  allo  scopo  

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di  accelerare  la  diffusione  del  calore  negli  ambienti.  Per   questa   caratteristica   sono   particolarmente   usati   nelle   abitazioni   a  

frequentazione  saltuaria.    ELEMENTI  ESTERNI  CANNA  FUMARIA  Scopo   della   canna   fumaria   è   quello   di   espellere   nell'atmosfera   i   prodotti   della  

combustione.  E'   collegata   alla   caldaia   attraverso   un   raccordo  metallico   ed   ha   alla   sua   base   una  

cosiddetta  "camera  di  calma"  dalla  quale  i  fumi  si  avviano  verso  l'atmosfera.  La  canna  fumaria  vera  e  propria  è  normalmente  realizzata   in  muratura  di  mattoni  

intonacata   e   rivestita   ,   ovvero   in   elementi   prefabbricati   a   doppia   parete,   ovvero   in  acciaio  inox  a  doppia  parete,  con  interposto  materiale  di  coibentazione.  Alla  sommità  della  canna  fumaria  è  posto  il  cappello  con  funzione  antipioggia  e  con  

sagomatura  atta  ad  agevolare  il  deflusso  dei  fumi.  In   fase   progettuale   è  molto   importante   un   corretto   dimensionamento  della   canna  

fumaria  che  per  non  dover  sopportare  malfunzionamenti  che  possono  rivelarsi  anche  di  difficile  e  costosa  eliminazione.  La   scelta   del   materiale,   sotto   il   profilo   estetico,   va   fatta   di   norma   secondo   la  

tipologia  del  fabbricato.  Al   fine  di  operare  una  scelta  vanno  valutati   anche   i   tempi  di  esecuzione  ed   i   costi  

complessivi  degli  interventi  (materiali  e  posa  in  opera).  A  volte  per  non  sostenere  i  costi  di  demolizione  di  una  canna  fumaria  e  quelli  della  

sua  sostituzione  con  altra  dello  stesso  tipo  si  può  procedere  all'intubazione  della  canna  fumaria  in  opera.  In   sostanza   si   opera   il   consolidamento   delle   pareti   esterne   della   canna   fumaria  

esistente  (ad  un  costo  relativamente  basso  in  quanto  si  può  noleggiare  una  piattaforma  aerea)  e  successivamente  si  posiziona  all’interno  della  canna  fumaria  consolidata  una  tubazione  in  acciaio  inox  non  coibentata,  che  viene  a  costituire   la  vera  canna  fumaria  dell'impianto.    SERBATOI  PER  COMBUSTIBILE  Un   elemento   da   non   trascurare   è   il   serbatoio   per   combustibile   liquido   per  

l'alimentazione  dell'impianto.  Normalmente   si   tratta   di   un   recipiente   in   lamiera   (spessore   4   /   5  millimetri),   di  

forma  cilindrica,  che  viene  interrato  in  un  giardino  di  pertinenza  dello  stabile  del  quale  è  a  servizio  ovvero  in  sottosuolo  stradale.  Se   l'interramento   è   in   zona  non   carrabile   la   generatrice   superiore   deve  distare   al  

minimo  centimetri  20  dal  piano  di  campagna,  se   l'interramento  è   in  zona  carrabile   la  generatrice  superiore  deve  distare  al  minimo  70  centimetri  dal  piano  di  riferimento.  La  capacità  più  in  uso  è  quella  contenente  5.000  litri.  Il   serbatoio   viene   collegato   idraulicamente   al   bruciatore   con   tubazioni  

normalmente  in  rame  con  funzione  di  andata  e  ritorno  al  serbatoio  medesimo.  Il  gestore  dell’impianto  dovrà  porre  molta  attenzione  alla  quantità  di  combustibile  

realmente  approvvigionato  e  scaricato  durante  l'esercizio  dell'impianto,  per  vigilare  su  eventuali   perdite;   dovrà   porre   altrettanta   attenzione   alle   quantità   residue   a   fine  stagione   di   riscaldamento   cercando   di   non   far   ristagnare   combustibile   nel   serbatoio  durante  l'estate.  Il  rischio  che  si  corre  è  che  il  serbatoio  si  buchi  (attenzione  alle  correnti  vaganti  !)  

ed  il  combustibile  si  disperda  nel  terreno.  

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Il   fatto   può   naturalmente   avvenire   anche   durante   la   stagione   invernale   ma  esercitando   il   controllo   sui   consumi   (con   cadenza   almeno   settimanale)   avremo   la  possibilità  d’intervenire  con  rapidità  ed  evitare  sia  un  danno  economico  che  un  danno  ecologico.  È  stato  approvato  il  D.M.  n.  246  del  24  maggio  1999  riguardante  la  conduzione  dei  

serbatoi   interrarti   che   obbligano   l'amministratore   a   controlli   e   verifiche   che   non   lo  facciano  ricadere  nel  51-­‐bis  della  legge  nel  quale  è  previsto  per  inquinamento  l'arresto  da  sei  mesi  ad  un  anno  ed  multe  non  indifferenti.      

Principali  interventi  di  manutenzione  della  Centrale  Termica  da  eseguirsi  …  

…  a  scadenza  mensile   …  al  termine  della  stagione  • Verifica  apertura  saracinesche  • Verifica   premistoppa  

saracinesche  • Verifica  livello  impianto  • Controllo  termostati  di  limite  • Controllo  termostati  di  sicurezza  • Controllo  valvole  solenoidi  • Verifica  ed  inversione  

elettropompe  • Pulizia  fascio  tubiero  caldaie  • Controllo  stato  raccordo  fumario  • Verifica  vaso  d'espansione  • Controllo  teleruttori  • Controllo  e  ricarica  sali  

addolcitore  • Pulizia  degli  elettrodi  

d'accensione  bruciatore  • Pulizia  dell'ugello  bruciatore  • Pulizia  del  vetro  della  foto  

resistenza  bruciatore  • Controllo  della  combustione  

• Pulizia  della  caldaia  e  dei  raccordi  del  camino        • Controllo  livello  impianto  e  messa  

a  riposo  di  tutte  le  apparecchiature        • Pulizia  del  camino  verticale        • Pulizia  dei  filtri    

         ELENCO  DELLA  NORMATIVA  PER  IMPIANTI  TERMICI  In   ordine   cronologico   le   leggi   e   le   circolari   più   importanti   emanate   dal  Ministero  

dell'Interno   Direzione   Generale   della   Protezione   Civile   e   dei   Servizi   Antincendio  attualmente  in  vigore,  relative  agli  impianti  di  riscaldamento  sono  le  seguenti:    

• D.M.   27   settembre   1955,   “Determinazione   delle   attività   soggette   alle  visite  periodiche  in  prevenzione  incendi”.  

• Legge  n.  615  del  13   luglio  1966,   "Provvedimenti  contro   l'inquinamento  atmosferico".  

• Circolare   del   Ministero   dell'interno   n.   68   del   25   novembre   1969:  

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“Norme  di  sicurezza  per  gli  impianti  termici  a  gas  di  rete”.  • D.P.R.   n.   1391   del   22   dicembre   1970,   “Regolamento   per   l'esecuzione  

della   legge   13   luglio   1966   n.°615,   recante   provvedimenti   contro  l'inquinamento  atmosferico,  limitatamente  al  settore  degli  impianti  termici”.  

• D.P.R.   n.   322   del   15   aprile   1977,   "Regolamento   per   l'esecuzione   della  legge   13   luglio   1966,   n.   615,   recante   provvedimenti   contro   l'inquinamento  atmosferico,  limitatamente  al  settore  delle  industrie".  

• Circolare  del  Ministero  dell'Interno  n.  73  del  29   luglio  1971,  “Impianti  termici  ad  olio  combustibile  od  a  gasolio   -­   Istruzione  per   l'applicazione  delle  norme   contro   l'inquinamento   atmosferico;   disposizione   ai   fini   della  prevenzione  incendi”.  

• D.M.   1   dicembre   1975,   "Norme   di   sicurezza   per   apparecchi   contenenti  liquidi  caldi  sotto  pressione".  

• Legge  n.  373  del  30  Aprile  1976,  “Risparmio  energetico  negli  edifici”.  • D.M   10  Marzo   1977   e   D.P.R.   28   Giugno   1977   n.1052   ,   attuativi   della  

373.  • D.M.16   febbraio   1982   "Modificazioni   del   decreto   ministeriale   27  

settembre   1965,   concernente   la   determinazione   delle   attività   soggette   alle  visite  di  prevenzione  incendi.  Chiarimenti  e  criteri  applicativi”.  

• Legge  n.  308  del  29  maggio  1982  e  D.M.  22  Giugno  1983.  • Legge   n.   818   del   7  Dicembre   1984   riguardante   l'obbligo   per   i   titolari  

d'attività   indicate  nel  D.M.     6.12.82   a   richiedere   il   “certificato  prevenzione  incendi”.  

• Legge  n.  10  9  gennaio  1991,  Norme  per  l'attuazione  del  Piano  Energetico  Nazionale   in  materia  di  uso  razionale  dell'energia,  di  risparmio  energetico  e  dello  sviluppo  delle  fonti  rinnovabili  di  energia.  

• D.P.R.   n.   412   26   Agosto   1993,   “Regolamento   recante   norme   per   la  progettazione,  l'esercizio  e  la  manutenzione  degli  impianti  termici  degli  edifici  ai   fini   del   contenimento   dei   consumi   di   energia,   in   attuazione   dell'art.4,  comma  4,  della  legge  9,  Gennaio  1991,  n.10”.  

Oltre   le   suddette   leggi,   decreti   e   circolari   vi   sono   moltitudini   d'altre   circolari     e  

pareri   espressi   ufficialmente   dal   Ministero   dell'Interno   per   chiarimenti   in   merito   a  particolari  impianti.  E’utile  seguire  costantemente  gli  aggiornamenti,  magari  con  l’ausilio  di  un  addetto  

al  settore  per  la  corretta  interpretazione  delle  norme.        

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INFORMAZIONI  D'ORDINE  PRATICO    AD  USO  DEGLI  AMMINISTRATORI  D’IMMOBILI  

 A-­  Durata  apparecchiature  Ci  è  stato  spesso  chiesto  quanto  "devono"  durare  le  apparecchiature  degli   impianti  

termici.  Come   ogni   macchina   anche   le   apparecchiature   componenti   gli   impianti   termici  

hanno  una  durata  legata  al  tempo  di  funzionamento  ed  al  modo  in  cui  è  stata  eseguita  la  sua  manutenzione.    Motivi  d'ordine  pratico  poi  ne  consigliano,  a  volte,   la  sostituzione,  anche  se  ancora  

funzionanti,   perché   le   riparazioni   ed   i   costi   d'esercizio   diventano   così   onerosi   da  rendere  commercialmente  utile  servirsi  d'apparecchiature  completamente  nuove.    Un   amministratore   attento   dovrà   badare   anche   a   questa   circostanza,   anche   se   ci  

rendiamo   conto   della   difficoltà   di   convincere   un'assemblea   ad   effettuare   la  sostituzione  di   una   caldaia   non   completamente   "finita"   senza   suscitare   commenti   ed  illazioni.  Sarà   confortante  per   l'Amministratore   in  questi   casi  poter  disporre  di  un  giudizio  

tecnico  qualificato  che  giustifichi  le  iniziative  prospettate.  Riportiamo   comunque,   di   seguito,   una   tabella   indicativa   delle   durate   medie,   in  

buona  funzionalità  delle  apparecchiature  più  significative,  sempre  a  patto  che  vengano  eseguiti  corretti  interventi  di  manutenzione:            Tipo  di  apparecchio   Anni     Tipo  di  apparecchio   Anni  

Bruciatori  di  gasolio   12     Tubazioni  in  rame   40  Bruciatori  gas  metano   15     Valvole  in  genere   15  Caldaie  d'acciaio   12     Vaso   di   espansione  

chiuso  15  

Caldaie  in  ghisa   15     Elettropompe   15  Corpi   scaldanti   in  

acciaio  15     Regolazioni  automatiche   10  

Corpi  scaldanti  ghisa   30     Apparecchiature  elettriche  

10  

Convettori  in  rame    ed  alluminio  

20     Rivestimenti  isolanti   30  

Serbatoi  combustibili    liquidi  

30     Organi  di  controllo   10  

Tubazioni  d'acciaio   30            B-­Controllo  delle  temperature  ambiente  E'   fisiologico   per   un   amministratore   d'immobili   ricevere   reclami   in   ordine   alle  

temperature  nei  diversi  ambienti  serviti.  Sempre  saranno  discordanti  i  pareri  ed  i  giudizi  sul  concetto  di  "caldo"  e  di  "freddo"  

(in   quanto   si   tratta   di   sensazioni   personali   e   non   di   un   valore   numerico)  ma   spesso  neanche   i   termometri   riusciranno   a   fare   chiarezza   al   riguardo   perché   anche   loro  saranno  "di  parte"!  Per  generale   informazione  riportiamo,  di  seguito,  alcune  accortezze  da  seguire  nel  

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caso   che   l'amministratore   voglia   avventurarsi   ad   eseguire   personalmente   le  misurazioni   delle   temperature   eventualmente   richieste   non   servendosi   (cosa   che  invece   raccomandiamo   vivamente)   dell'intervento   di   un   tecnico   che   saprà   come  operare:  Evitare   le   misurazioni   in   giornate   particolarmente   solatie   che   generano   il  

surriscaldamento  negli  ambienti  esposti  al  sole  rispetto  a  quelli  in  ombra;  Evitare   le   misurazioni   in   giornate   eccezionalmente   ventose   perché   attraverso   gli  

infissi   aumenta   il   ricambio   dell'aria   che   penalizzerà   le   temperature   degli   ambienti  esposti;  Evitare   le   misurazioni   durante   le   prime   ore   d'accensione   dell'impianto,   che  

coincidono  solitamente  con   le  ore  del  mattino  peraltro  dedicate  alle  pulizie  dei   locali  medesimi,  ma  effettuarle  nelle  prime  ore  pomeridiane  quando  gli  ambienti  dovrebbero  essere  a  regime  ottimale.  Per   ulteriore   informazione   si   riportano   di   seguito   alcuni   punti   significativi   della  

circolare  UNI-­‐CTI  5364  relative  al  collaudo  degli  impianti  termici:  a) per   temperatura   interna   di   un   locale   si   intende   quella   dell'aria,  

misurata  al  centro  del  locale,  all'altezza  di  m.1,50  dal  pavimento;  b) la  tolleranza  ammessa  per  i  valori  di  temperatura  minimi  di  legge  va  da  

-­‐1°C  a  +2°C;  c) i  locali  debbono  essere  in  normali  condizioni  d'abitabilità  con  porte  ed  

infissi   principali   a   vetri   completamente   chiusi,   avendo   cura   che   rimangano  aperti   durante   le   ore   di   illuminazione   naturale   gli   infissi   secondari   di  oscuramento  quali  tapparelle,  persiane,  veneziane  ecc.  

d) l'esercizio   dell'impianto   deve   essere   tale   da   garantire   che   sul   suo  funzionamento   non   influiscano   modalità   diverse   di   accensione   stabilite   in  periodi  precedenti;  

e) il  termometro  usato  per  le  misurazioni  deve  avere  l'elemento  sensibile  schermato   dall'influenza   di   ogni   notevole   effetto   radiante   e   la   sua   precisione  deve  consentire  letture  con  un  errore  massimo  di  0,2°C;  

 Non   si   possono   fare   confronti   di   omogeneità   tra   ambienti   disabitati   ed   ambienti  

abitati  ed  arredati  ed  ambienti  eventualmente  riscontrati  in  condizioni  non  idonee  per  una  corretta  misurazione  delle  temperature  nei  quali  ad  esempio:  

• vi  siano  porte  e/o  finestre  socchiuse  o  che  presentino  difetti  di  tenuta  o  siano  state  serrate  da  poco  tempo;  

• gli  infissi  di  oscuramento  siano  chiusi;  • le  superfici  vetrate  risultino  irraggiate  dal  sole  durante  le  rilevazioni  o  

nel  periodo  immediatamente  precedente;  • siano  stesi  panni  o  biancheria  ad  asciugare;  • siano  in  funzione  elettrodomestici  o  fornelli  a  gas;  • siano  presenti  contemporaneamente  molte  persone;  • i   corpi   scaldanti   siano   confinati   dietro   tendaggi   e   comunque   coperti  

anche  parzialmente;  • sia  impedita  la  libera  circolazione  dell'aria  nei  corpi  scaldanti;  • risulti   parzialmente   o   totalmente   impedito   il   contatto   dell'aria   con   le  

superfici  riscaldanti  (eventuali  pannelli  a  soffitto  od  a  pavimento  ecc.).      TERZO  RESPONSABILE  La   legge   prevede   la   possibilità   di   delegare   la   responsabilità   dell'esercizio   e   della  

manutenzione   dell'impianto   ad   un   soggetto,   appunto   il   “terzo   responsabile”,   purché  

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questo  sia  dotato  di  sufficienti  competenze  tecniche  ed  organizzative.  Il   terzo   responsabile   deve   essere   infatti   una   ditta   che   possieda   almeno  

un'abilitazione,   rilasciata   dalla   Camera   di   commercio   o   dall'albo   delle   imprese  artigiane  ,  ai  sensi  della  legge  n.46  del  1990.  L’assemblea  può  quindi  scegliere  tra:  

• delegare   a   ditta   qualificata   la   manutenzione   e   le   periodiche   visite  strumentali  all’impianto  e  la  responsabilità  dell'esercizio  (consigliata);  

• affidare   ad   una   ditta   la   manutenzione   e   le   verifiche   strumentali  periodiche  ed  assumere   in  proprio   la  responsabilità  dell’impianto  nella   figura  dell’amministratore.  

 RISPARMIO  ENERGETICO/CONTABILIZZAZIONE  DEL  CALORE  Con   la   crisi   petrolifera   degli   anni   '70   in   Italia   e   nel   mondo   si   è   cominciato   ad  

affrontare  il  problema  del  risparmio  energetico.  Il  nostro  Paese  infatti  non  è  un  produttore  di  petrolio,  od  almeno  non  nella  quantità  

tale   da   coprire   il   fabbisogno   nazionale,   per   cui   trovandosi   obbligatoriamente   nella  posizione  di  "importatore"  ha  sofferto,  come  altri,  il  rincaro  dei  prezzi.  Ai  problemi  di  quegli  anni  il  legislatore  ha  risposto  con  emanazione  di  norme  mirate  

a   contrastarli   ed   in   particolare   ha   emanato   la   legge   26   aprile   1976   n.373   e,  successivamente  il  D.P.R.  28  giugno  1977  n.1052;  I   punti   cardine   di   questa   normativa   vanno   ricercati   nell'isolamento   termico   degli  

edifici,   nei   criteri   di   progettazione   dei   nuovi   impianti,   nell'omologazione   dei  componenti  gli  impianti  stessi.  La  progettazione   impiantistica,  prima  di   tale   legge,  veniva  normalmente  realizzata  

assegnando,   in  base  a  calcoli,   ai  diversi  ambienti  da  riscaldare   le  Kcal/h  necessarie  a  reintegrare  quelle  perdute  per  trasmissione  verso  l'esterno.  Pareti   molto   sottili   e   quindi   molto   disperdenti   facevano   gravare   enormemente   i  

bilanci  di  chi  doveva  acquistare  combustibile  per  riscaldamento.  Dopo   tale   legge   un   ambiente   non   "doveva"   disperdere   più   di   un   certo   numero   di  

Kcal/h   prefissato   dalla   legge   stessa,   secondo   le   indicazioni   dei   tecnici:   l'obbligo  diventava   quindi   quello   di   realizzare   fabbricati   con   dispersioni   di   calore   ridotte   al  minimo.  Ad  un  più  elevato  investimento  iniziale  faceva  riscontro  un  risparmio  energetico  e,  

di  fatto,  economico,  per  tutto  il  tempo  di  esercizio  dell'impianto.  Dal  punto  di  vista  esclusivamente  tecnico  la  legge  373  ha  inoltre  reso  obbligatoria  il  

“sistema   di   termoregolazione”:   un   insieme   di   strumentazioni   atte   ad   far   ottenere  all'interno   dei   locali   una   temperatura   imposta   e   prefissata   “in   funzione   della  temperatura  esterna”.  Con   la   373   (sostituita   poi   dalla   10   /   91),   ed   aggiornata   ulteriormente   con   altre  

normative,  si  è  proceduto  inoltre  alla  suddivisione  del  territorio  nazionale  in  sei  zone  climatiche  ed  all'indicazione  dei  periodi  ed  orari  nei  quali  è  consentita  l'erogazione  del  calore.  Per  esempio  la  città  di  ROMA  ricade  nella  zona  climatica  D  e  può  (non  deve)  erogare  

riscaldamento  dal  giorno  1  novembre  al  giorno  15  aprile   ,  per  un  massimo  di  12  ore  giornaliere.  Al   di   fuori   del   periodo   indicato   è   possibile   erogare   riscaldamento   per   condizioni  

climatiche   avverse   per   una   durata   giornaliera   non   superiore   alla   metà   delle   ore  previste  nel  periodo  di  legge.  I  fabbricati  ad  uso  civile  che  c’interessano  rientrano  nella  Categoria  E1.  Con   la   L.   9   gennaio   1991   n.10   "Norme   per   l'attuazione   del   piano   energetico  

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nazionale   in   materia   di   uso   razionale   dell'energia,   di   risparmio   energetico   e   dello  sviluppo  delle  fonti  rinnovabili  di  energia"  è  stato  chiarito  che  il  risparmio  energetico  e  il  minor  consumo  dovevano  essere  ottenuti  "a  parità  di  servizio  reso  e  di  qualità  della  vita".  Dal  punto  di  vista  degli  amministratori  di   immobili   la   legge  10  /  91  ha  presentato  

una   innovazione   storica   :   ha   ammesso   la   trasformazione   degli   impianti   di  riscaldamento   "centralizzati"   in   "impianti   autonomi   unifamiliari   a   gas"   con   una   sola  maggioranza  ,  quella  relativa  ai  millesimi.  La   normativa   ha   dato   il   via   a   numerosissimi   casi   di   abbandono   dell’impianto  

centralizzato  in  favore  di  impianti  unifamiliari.  Le  trasformazioni  sono  spesso  avvenute  senza  il  rispetto  completo  delle  normative  

ed  ha  dato  corso  a  numerosi  casi  di  contenzioso.  Il   caso   più   frequente   è   legato   alla   presentazione   al   Comune   della   pratica   di  

trasformazione   carente   della   “Relazione   Tecnica”   a   dimostrazione   del   beneficio  energetico  per  il  fabbricato  interessato  nell’eseguire  la  trasformazione  di  che  trattasi.    In  sostanza  in  molti  casi  mirando  all’indipendenza  individuale  si  è  passati  sopra  lo  

spirito  della  norma.  Successive   riflessioni   in   materia   hanno   fatto   maturare   la   convinzione   che   il  

“risparmio   energetico   di   un   fabbricato”   non   passasse   per   la   trasformazione  dell’impianto  da  centralizzato  ad   impianti  autonomi  ma  potesse  avere    una  soluzione  diversa.    Ripercorriamo  brevemente  i  passaggi  tecnici  del  funzionamento  delle  caldaie:  Nei   primi   impianti   considerati   si   procedeva   all’accensione   ed   al   funzionamento  

degli   stessi     secondo   una   delibera   assembleare   (per   periodo   ed   orario   di  funzionamento)  spesso  aggiustata  nel  corso  della  giornata  dalla  "sensazione  di  calore”  da  parte  di  questo  o  quel  condomino  che  andava,  a  volte  personalmente,  a  regolare  il  termostato;  L'adozione  della  termoregolazione  è  stata  un  grande  passo  in  avanti  :   l’istallazione  

di  una   sonda  di   temperatura  esterna   (esposta   a  NORD)  offriva  già   la  prima   forma  di  risparmio.  Naturalmente   i   locali   esposti   a   SUD   ,   o   con   esposizioni   diverse   dal   NORD,   ed  

assoggettai  alla  stessa  centralina  avevano  un  eccesso  di  calore.  In   questi   casi   la   prima   forma   di   regolazione   della   temperatura   era   determinata  

dall’apertura  delle  finestre.  Riconosciamo   che   è   praticamente   impossibile   pensare   di   educare   l'occupante   alla  

regolazione  della  singola  valvola  del  radiatore  ma  a  questo  punto  è  sicuro  che  abbiamo  vanificato  la  maggior  parte  del  risparmio  che  avevamo  ipotizzato  facendo  installare  il  sistema  di  termoregolazione.  In   una   fase   successiva   si   è   proceduto   all’istallazione   di   valvole   termostatiche  

posizionate   sui   radiatori   esposti   a   SUD,   per  mantenere   temperature   omogenee   negli  alloggi  con  stabile  situazione  di  benessere.  Il   limite   di   questo   sistema   è   rappresentato   dal   fatto   che   le   valvole   termostatiche  

vengono   installate   all'interno   dei   singoli   ambienti   da   servire   e   sono   sotto   l'unico  diretto   controllo   del   fruitore   del   servizio   e   non   offre   un   risparmio   immediatamente  visibile   a   chi   diligentemente   istalla   le   valvole   e   non   le   manomette,   rispetto   ad   altri  condomini.    Superare   questo   limite   è   stato   il   punto   qualificante   della   “contabilizzazione   del  

calore”.  Con   la   “contabilizzazione   del   calore”     l'utilizzatore   non   avrà   alcun   interesse   ad  

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aprire  le  finestre  per  regolare  gli  eventuali  eccessi  di  temperatura  in  alcuni  dei  propri  ambienti  perché  il  suo  radiatore  seguiterebbe  a  registrare  emissione  di  calore  che  gli  verrebbe  addebitata  sul  conto  personale.  Per   riepilogare   l’impianto   ad   oggi   considerato   ottimale   per   il   raggiungimento   di  

valori   interessanti   di   risparmio   energetico   nei   fabbricati   è   quello   della  “contabilizzazione  del  calore”.  Dal  punto  di  vista  tecnico  si  concretizza  con  un  impianto  centralizzato  con  valvola  

di   termoregolazione   climatica,   con   valvole   termostatiche   su   tutti   i   radiatori  componenti   l’impianto   e   con   l’applicazione   di   contabilizzatore   su   ogni   singolo  radiatore;    Il   sistema   indicato   abbatte   di   fatto   l’interesse   per   la   realizzazione   di   impianti  

unifamiliari   in   sostituzione   centralizzato   in   quanto   permette   la   gestione   “quasi”  individuale   dell’impianto   termico   dell’alloggio   a   costi   contenutissimi,   quelli  dell’istallazione   delle   valvole   termostatiche   e   dei   contabilizzatori   ,   contro   i   costi  d’impiantistica  ed  opere  murarie  da  considerare  nel   caso  di   realizzazione  d’impianto  autonomo.  Se   vogliamo   confrontare   ulteriormente   le   due   possibili   soluzioni   diremo   che   con  

l'impianto  unifamiliare  la  libertà  è  piena  ed  esclusiva  ed  i  consumi  saranno  quelli  legati  all'effettivo  utilizzo  (  non  così  bassi  come  si  potrebbe  sperare,  anzi  sicuramente  più  alti  a  parità  di  ore  di  accensione  !  )  con   il  contabilizzato  saremo  costretti  a  spendere  una  quota   anche   se   il   nostro   impianto   fosse   chiuso   ma   riceveremo   calore   dagli   alloggi  limitrofi  e,  soprattutto,  risparmieremo  le  spese  di  trasformazione.  In  buona  sostanza  la  scelta  non  è  facile  ma  c'è  da  dire  che  da  quando  si  è  diffuso  il  

contabilizzatore  sempre  meno  si  da  corso  a  trasformazioni  in  unifamiliari.  Forse   ci   saranno   ancora   passi   in   avanti  ma   per   il  momento   questo   sistema   viene  

adottato  con  successo  e  soddisfazione.  Sotto  il  profilo  psicologico  ci  gratifica  il  fatto  di  essere  "quasi"  gestori  individuali  del  

calore  proveniente  dall'impianto  centralizzato  ;  sotto  il  profilo  economico  ci  gratifica  il  fatto   che   le   nostre   ore   di   assenza   dall'alloggio,   se   abbiamo   avuto   cura   di   chiudere   il  rubinetto  d'ingresso  al  radiatore,  ci  vengono  in  buona  parte  riconosciute  come  ore  in  franchigia.  Dal   punto   di   vista   normativo   l’assemblea   può   andare   in   delibera   secondo   la   L.  

10/91.  Il  sistema  nel  dettaglio  prevede  una  suddivisione  dei  costi  di  esercizio  nel  seguente  

modo:  • dal   20  %   al   50  %   (   solitamente   il   30%   )   secondo   le   esistenti   tabelle  

millesimali;  • il   restante   attraverso   la   lettura   diretta   degli   strumenti   conta   calore  

posizionati  su  ogni  singolo  radiatore.    Gli  strumenti  normalmente  usati  dalle  diverse  case  sono  del  tipo  "  a  lettura  diretta  "  

come  il  contatore  dell'acqua,  ovvero  col  radiocomando.  Per  effettuare  la  lettura  stagionale  del  primo  tipo  è  necessario  accedere  all'alloggio,  

nel  secondo  caso  non  sarà  necessario.  La   Società   che   provvede   alle   lettura   dei   valori   indicati   dai   contabilizzatori  

consegnerà   all’amministratore   un   tabulato   con   le   imputazioni   di   spesa   per   i   singoli  Condomini,  proprio  come  avviene  per  la  lettura  dei  contatori  idrici  divisionali.    CONDIZIONAMENTO  DELL’ARIA  Scopo  degli  impianti  di  condizionamento  dell’aria  è  quello  di  costituire  condizioni  di  

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benessere  termico  per  gli  occupanti  degli  ambienti  condominiali.  A  causa  dei  non  indifferenti  costi  di  realizzazione  e  di  gestione  gl’impianti  di  questo  

tipo  sono  poco  diffusi  nei   fabbricati  ad  uso  civile  abitazione,  mentre  sono  abbastanza  diffusi  nei  fabbricati  ad  uso  ufficio.  Senza  entrare  nei  dettagli  tecnici  ci  limitiamo  a  segnalare  che,  come  per  gl’impianti  

termici,  avremo:  • la  centrale  frigorifera;  • la  rete  di  distribuzione;  • gli  elementi  di  diffusione  del  freddo.  

 La   tipologia   d’impianto   maggiormente   in   uso   fino   a   qualche   anno   addietro   era  

formata  da  un  gruppo  frigorifero  (ed  altre  apparecchiature  accessorie)  atto  a  produrre  acqua  fredda.  L’acqua   fredda   (5°/7°  C)   veniva   fatta   passare   attraverso  una   “batteria   di   scambio  

termico”   investita   da   un   flusso   d’aria   che   in   questo   modo   diventava   aria   fredda   da  convogliare  agli  ambienti  per  mezzo  di    canalizzazioni  in  lamiera  zincata  internamente  rivestite,  per  evitare  la  dispersione  del  freddo.  Sulle   canalizzazioni   erano   montati   i   diffusori   (bocchette,   anemostati)   con   la  

funzione  appunto  di  diffondere  l’aria  negli  ambienti.  Una  tecnologia  leggermente  diversa  si  è  diffusa  successivamente.  Nella   centrale   frigorifera   viene   comunque   prodotta   l’acqua   fredda   ,   poi   la   stessa  

acqua   viene   veicolata   nei   diversi   ambienti   attraverso   tubazioni   rivestite   ed   in   ogni  singolo  ambiente  viene  istallato  uno  o  più  diffusori  (secondo  necessità).  Questi   diffusori   (fan-­‐coil)   hanno   al   loro   interno   una   batteria   nella   quale   transita  

l’acqua  fredda  inviata  dalla  centrale  che  viene  investita  dall’aria  ambiente.  L’aria   a   contatto   con   la   batteria   diffonde   aria   fredda   costituendo   le   condizioni   di  

benessere  richieste.  Confrontando   i   due   sistemi   possiamo   dire   che   il   primo   è   un   sistema   abbastanza  

rigido  che  si  lascia  preferire  nel  caso  di  grandi  aree  da  servire  a  condizioni  omogenee  di   temperatura,   il   secondo   è  molto   flessibile   e   per   questo   particolarmente   adatto   ad  uffici   formati   da   una   serie   di   stanze   indipendenti   alle   quali   è   possibile   dare   anche  condizioni  climatiche  diverse  tra  loro.  In  alcuni  casi  i  due  tipi  d’impianti  si  possono  combinare  anche  in  uno  stesso  stabile:  

il  primo  per  le  aree  ad  uso  comune,  il  secondo  per  gli  uffici  individuali.  L’amministratore  che  si  trovasse  a  gestire  questi  sistemi  dovrà  approfondire  queste  

tematiche   sia   per   opportune   conoscenze   di   manutenzione   che   per   una   corretta  ripartizione  dei  costi  d’esercizio.          ENERGIE  ALTERNATIVE  Un  brevissimo  cenno  alle  energie  alternative  :  eolico,  fotovoltaico  e  solare  termico.  I  primi  due  si  rivolgono  alla  produzione  di  energia,  il  terzo  alla  produzione  di  calore.  L’energia    fotovoltaica  richiede  un  forte  impegno  di  capitale  iniziale  e  basse  spese  di  

mantenimento:   come   acquistare   oggi   energia   da   consumare   nei   prossimi   anni.  Recuperato   il   costo   iniziale   si   disporrà  per   gli   anni   a   venire   di   energia   quasi   a   costo  zero.  Senza  sovvenzioni  iniziali  è  di  interesse  quasi  nullo  per  i  condomini.  L’energia   prodotta   dal   solare   termico   si   presenta   come  un   aspetto  maggiormente  

interessante  in  quanto  è  possibile  produrre,  a  basso  costo  e  sfruttando  l’irraggiamento  solare,   acqua   calda   per   impianti   sanitari   condominiali   ed   acqua   calda   per   alimento  

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caldaie  centralizzate  di  riscaldamento.  Il   “ritorno   economico”   di   questo   tipo   d’intervento   può   essere   abbastanza  

interessante.  Prima   di   procedere   ad   investimenti   sarà   bene   approfondire   le   conoscenze   sia  

tecniche  che  economiche.      

143

MODULO  N.10    

 

Contabilità  e  rendiconto  condominiali  (Carlo  Parodi)  

   10.1  -­  Definizione  e  normativa  La  contabilità  è  un  sistema  di  regole  che  disciplinano   la   formazione  e   l’esecuzione  

delle  decisioni  di  finanziamento  e  di  spesa;  una  registrazione  corretta  ed  ordinata  dei  fatti  contabili  nei  quali  si  articola  la  gestione  rende  agevole  la  trasformazione  dei  valori  della   contabilità   generale   in   valori   di   bilancio   consuntivo   (o   rendiconto)   che  rappresenta   la   funzione  più  rilevante  per  dare  contenuto  all’informazione  dell’utenza  in   tutti   i   casi   di   amministrazione   di   beni   altrui   (vedi   anche   l’art.   1713   c.c.   per   il  mandatario).   La   contabilità   non   ha   regole   codificate   ed   anche   per   l’imprenditore   il  codice   civile   si   limita   ad   indicare   “quelle   richieste   dalla   natura   e   dalla   dimensione  dell’impresa”.  È   opportuno   evidenziare   che   già   la   norma   UNI   10801   (Amministrazione  

condominiale   e   immobiliare)   definisce   il   rendiconto   come   il   documento   contabile  dettagliato   della   gestione   amministrativa   di   un   anno   o   frazione;   esso   espone   in   una  forma  di  facile  comprensione  per  l’utente  medio  le  spese  e  le  entrate  raggruppate  per  motivazioni   omogenee   secondo   le   disposizioni   di   legge   e/o   del   regolamento  condominiale.  Aggiunge   che   il   riparto  delle   spese  è  un  quadro   sinottico   che   indica   le  quote   di   spesa   spettanti   a   ciascuna   unità   immobiliare   per   ogni   capitolo   omogeneo  (tabella).   Contiene   altresì   il   saldo   attivo   o   passivo   per   ogni   unità   immobiliare,  rappresentato   dal   totale   delle   spese   dedotti   i   versamenti   effettuati   e,   trattandosi   di  spese  di  cassa,  saranno  annotate  quelle  da  pagare  relativamente  alla  competenza.    10.2-­  La  normativa  del  codice  civile    Nell’ambito  condominiale  la  nuova  normativa  di  cui  alla  legge  n.  220/2012  in  vigore  

dal  17  giugno  2013  prevede  innanzitutto  al  settimo  comma  dell'art.  1129:  -­  l'obbligo  di  far  transitare  le  somme  ricevute  dai  condomini  e  da  terzi,  nonché  quelle  

a   qualsiasi   titolo   erogate     per   conto   del   condominio,   su   uno   specifico   conto   corrente  bancario  o  postale,  intestato  al  condominio.  All’art.   1130   c.c.   punto   7)   prevede   inoltre   l'obbligo   di   tenuta   da   parte  

dell'amministratore   di   un   registro   di   contabilità     dove   annotare   in   ordine   cronologico,  entro  trenta  giorni  da  quello  dell'effettuazione,   i  singoli  movimenti   in  entrata  ed  uscita,  da  gestire  ovviamente  anche  in  modalità  informatizzata.  

Registro di contabilità – Si tratta in sostanza di un “registro di cassa” nel quale vanno inseriti i movimenti relativi agli incassi di quote periodiche versate dai condomini (o anche straordinarie) e di eventuali canoni di affitto, nonché i pagamenti relativi alla fornitura dei servizi comuni; potrebbe essere utile una parificazione periodica con il saldo del conto corrente bancario o postale ove fosse tutto “tracciato” e si potessero evitare versamenti a mezzo assegno o addirittura in contanti che alcuni condomini pretendono ancora di effettuare.  Al  punto  10)  poi  stabilisce   l'obbligo  per   l’amministratore  di  redigere   il   rendiconto  

condominiale   annuale   della   gestione     e   convocare   l'assemblea   per   la   relativa  

144

approvazione   entro   180   giorni.     Nel   successivo   art.   1130   bis   chiarisce   alcune  indicazioni  “tecniche”  circa  le  modalità  di  redazione  del  documento  stesso.    Deve  contenere:  -­‐     "le   voci   di   entrata   e   di   uscita   ed   ogni   altro   dato   inerente   alla   situazione  

patrimoniale  del  condominio,  ai  fondi  disponibili  ed  alle  eventuali  riserve".  Si  compone:  -­‐   "di   un   registro   di   contabilità,   di   un   riepilogo   finanziario,   nonché   di   una   nota  

sintetica  esplicativa  della  gestione  con  l'indicazione    anche  dei  rapporti  in  corso  e  delle  questioni  pendenti".  

L’art. 1130 bis chiarisce che il rendiconto condominiale deve contenere “le voci di

entrata e di uscita”: si tratta degli stessi dati contabili individuati come “movimenti” del registro di contabilità di cui al citato punto 7).

I fondi disponibili e le eventuali riserve debbono essere evidenziati nella

situazione patrimoniale “in modo da consentire l’immediata verifica”; la verifica automatica si può ottenere facendo riferimento alla situazione patrimoniale relativa al rendiconto dell’esercizio precedente dove ad esempio il TFR (Trattamento di Fine Rapporto o Fondo liquidazione del personale dipendente) evidenziava una determinata disponibilità da integrare con l’accantonamento dell’anno di riferimento, già imputato fra le spese di esercizio (oneri per il personale). Analogamente la “voce” (o il “conto”) Fondo di riserva viene istituita ed inserita fra le passività (partite a debito) della situazione patrimoniale a seguito di specifiche delibere assembleari che istituiscono accantonamenti per determinati obiettivi, compreso quello “speciale” previsto al punto 4) dell’art. 1135 c.c.

La “novità” di tale fondo speciale è rappresentata dall’obbligatorietà di costituzione in occasione di delibere per opere di manutenzione straordinaria per un ammontare pari all’ammontare dei lavori; si tratta in sostanza della corretta interpretazione del punto 3) dell’art. 1130 c.c. (“riscuotere i contributi ed erogare (poi) le spese”) nel senso della preventiva provvista di fondi da parte dell’amministratore. E’ indispensabile in tali occasioni predisporre, in allegato al rendiconto annuale, un prospetto di “personalizzazione” degli accantonamenti stessi rendendo possibile un diretto conguaglio tra venditore ed acquirente in caso di mobilità dei comproprietari.  

CONTO CORRENTE BANCARIO O POSTALE INTESTATO AL CONDOMINIO

REGISTRO DI CONTABILITA’

(registrazioni entro 30 gg. dai movimenti di entrata ed uscita) Inottemperanza è causa di gravi irregolarità con possibile

ricorso all’autorità giudiziaria per revoca

RENDICONTO CONDOMINIALE Riepilogo finanziario – Situazione patrimoniale

Relazione esplicativa

CONSERVAZIONE DOCUMENTI: DIECI ANNI

145

 10.2.1  -­    Le  indicazioni  di  giurisprudenza  e  dottrina  La  Suprema  Corte  ha  sentenziato  che  la  contabilità  presentata  dall’amministratore  

del   condominio   non   è   necessario   sia   redatta   con   forme   rigorose,   analoghe   a   quelle  prescritte   per   i   bilanci   delle   società,  ma  deve   essere   idonea   a   rendere   intelligibile   ai  condòmini  le  voci  di  entrata  e  di  uscita  con  le  relative  quote  di  ripartizione  ed  a  fornire  la   prova   della   qualità   e   quantità   delle   somme   incassate   nonché   dell’entità   e   causale  degli  esborsi  fatti  (tra  le  altre  Cassazione  28  aprile  2005,  n.  8877).    La   Corte   d’Appello   di   Milano   (1/1/1993,   n.1824)   ha   precisato   però   che   ciò   non  

significa   che   non   esistano   regole   minime   da   osservare   ai   fini   dell’adempimento  dell’obbligo   di   rendiconto,   che   è   l’atto   con   il   quale   l’obbligato   giustifica   le   spese  addebitate  ai  suoi  mandanti.    Ed   infatti   la   giurisprudenza   ha   indicato   in   varie   sentenze   alcuni   requisiti  

indispensabili   del   rendiconto   condominiale   evidenziando   anche   la   necessità   di   tener  conto  dell’aspetto  dimensionale  del  condominio  stesso:  

– Cassazione   6/2/84,   n.896:   il   documento   contabile   assume   la   forma  semplificata  di   rendiconto   finanziario   e   deve   contenere,   nella  parte   relativa  alle  spese,  gli  impegni  di  uscita,  distinti  per  importi  pagati,  rimasti  da  pagare  e  totali.  –   Corte  d’Appello  di  Milano  26/5/1992:  se  non  vengono  poste  in  evidenza  le  

giacenze  patrimoniali  si  tratta  di  un  modo  non  corretto  di  redigere  il  rendiconto  perché  elaborato  in  modo  da  impedire  ai  condòmini  di  prendere  conoscenza  della  reale  situazione  finanziaria  del  condominio.  –   Tribunale   di   Genova   3/3/1994:   Per   soddisfare   le   esigenze   di   chiarezza  

amministrativa   e   contabile   il   prospetto   di   riparto   delle   spese   condominiali   deve  indicare  per   le  varie  colonne  relative  ciascuna  ad  una  determinata  categoria,  gli  importi  addebitati  ad  ogni  singolo  proprietario  con  a  fianco  l’aliquota  millesimale  a  lui  attribuita.  –   Corte  d’appello  di  Milano  7/6/88,  n.  134:  Allorché  non  ci  si  trovi  di  fronte  

ad   un   condominio   di   piccole   dimensioni   si   impongono   forme   contabili   rigorose  secondo  le  regole  proprie  della  tecnica  ragionieristica.  Spesso  gli  errori  rivelano  la  costruzione   eccessivamente   semplificata   della   contabilità,   realizzata   senza  riscontri  costanti,  al  di  fuori  di  un  sistema  di  partita  doppia.  

 Anche  la  dottrina  ha  dato  indicazioni  a  prima  vista  generiche  in  merito  alla  resa  del  

conto:   «nelle   forme   contabili   idonee   a   rappresentare   il   modo   in   cui   la   gestione  amministrativa   ha   avuto   luogo»   (Salis);   “i   canoni   contabili-­‐amministrativi   che  presiedono  la  materia”  (Branca);  “le  norme  ordinarie  di  amministrazione”  (Nobile).  Tali   “principi  contabili”   indicano  che   la   forma  del  rendiconto  deve  essere  costante  

per   una   indispensabile   comparabilità,   la   rilevazione   dei   fatti   economici   deve   seguire  criteri   contabili  ben   individuati,   l’informazione  patrimoniale,   economica  e   finanziaria  fornita   dal   bilancio   deve   essere   verificabile   con   una   indipendente   ricostruzione   del  procedimento  contabile,  la  situazione  patrimoniale  deve  identificare  attività  e  passività  alla   data   di   riferimento,   il   bilancio   di   esercizio   deve   essere   corredato   da   una   nota  integrativa  che  faciliti  la  comprensione  della  schematica  simbologia  contabile,  l’effetto  delle  operazioni  deve  essere  rilevato  e  attribuito  all’esercizio  al  quale  si  riferiscono  e  non  a  quello  in  cui  si  concretizzano  i  relativi  incassi  e  pagamenti.      

146

 10.3  -­  Criterio  di  competenza  e  di  cassa  Tale  ultimo  principio  contabile  viene  definito  criterio  di  competenza,  fissato  anche  

dall’art.  2423  bis  c.c.  per  la  redazione  del  bilancio  societario  (“si  deve  tener  conto  dei  proventi   e   degli   oneri   di   competenza   dell’esercizio   indipendentemente   dalle   date  dell’incasso  e  del  pagamento”)  e  dal  Regolamento  concernente   l’amministrazione  e   la  contabilità   degli   enti   pubblici   (DPR   27/2/2003,   n.97):   “La   competenza   economica  imputa  gli  effetti  delle  operazioni  e  degli  altri  eventi  all’esercizio  nel  quale  è  rinvenibile  l’utilità   economica   anche   se   diverso   da   quello   in   cui   si   concretizzano   i   relativi  movimenti  finanziari”.  Il   criterio   di   competenza   rispetta   il   principio   dell’autonomia   dei   bilanci   con  

conseguente  omogeneità  e  confrontabilità  nel  tempo  analogamente  a  quanto  previsto  dall’ordinamento   fiscale   per   la   determinazione   del   reddito   d’impresa;   in   particolare  nell’ambito   condominiale   è   importante   tener   conto   dei   servizi   effettivamente   resi  (forniture  di  gas,  acqua  e  luce,  manutenzioni  in  abbonamento  e  riparazioni  effettuate,  prestazioni   per   vigilanza   e   pulizie,   ecc.)   ed   addebitarli   ai   relativi   fruitori  indipendentemente  dalla  data  del  pagamento.  Il   criterio   di   cassa   invece,   con   l’inserimento   in   rendiconto   soltanto   di   fatture   al  

momento  dell’effettivo  pagamento  e  quindi  anche  in  un  esercizio  successivo  a  quello  di  riferimento  può  determinare  l’imputazione  di  talune  spese  a  soggetti  diversi  da  quelli  che  hanno  effettivamente  goduto  del   relativo  servizio   (una   fornitura  di   combustibile,  una  utenza  per  consumi   idrici,  ecc.)  nell’ipotesi  di  vendita  dell’unità   immobiliare  o  di  mobilità   dell’inquilino   con   relative   difficoltà   per   l’incasso   delle   quote   da   parte  dell’amministratore  che  tenterà  invano  di  far  comprendere  ai  debitori  il  concetto  della  solidarietà   passiva   prevista   dall’art.   63   delle   Disposizioni   per   l’attuazione   del   codice  civile.  La  Cassazione   con   sentenza  n.   10153  del     9  maggio  2011   evidenzia,   senza   alcuna  

valida   argomentazione   contabile,   che   "nell'ambito   della   gestione   condominiale   il  consuntivo   soggiace   al   criterio   di   cassa";   la   stessa   S.C.   (16   agosto   2000,   n.   10815)  aveva   precisato   che   "l'amministratore   dura   in   carica   un   anno   e   sottopone  all'approvazione  dell'assemblea   il   consuntivo  delle   spese  afferenti   all'anno  per   cui   la  gestione  viene  rapportata  alla  competenza  annuale".  L'inserimento  delle  spese  nel  "Registro  di  contabilità"  secondo  le  modalità  previste  

in   una   qualsiasi   procedura   informatica   utilizzata   per   le   registrazioni   contabili,   può  avvenire  come  segue:    Descrizione   Importo  Fattura   Data  Fattura   Data  competenza   Cassa  

ALFA  ascensore  IV  trimestre  ‘13  

€  250,00   02.12.13   20.12.13   28.12.13  

 L'imputazione  in  rendiconto  2013  viene  comunque  effettuata  trattandosi  di  servizio  

già   reso  mentre   se   il   pagamento   non   viene   effettuato   per  mancanza   di   disponibilità,  non  verrà  indicata  la  data  nella  colonna  "cassa"  con  conseguente  regolare  addebito  pro  quota   ai   condomini   ed   inserimento   fra   le   passività   della   situazioni   patrimoniale  (debito  verso  ALFA).    Seguendo   invece   il   criterio   di   cassa   la   registrazione   non   verrebbe   effettuata   nel  

registro  di  contabilità  (inteso  come  "movimenti  di  entrata  ed  uscita"),  ma  il  debito  per  una   utenza   scaduta   o   per   un   intervento   di   manutenzione   effettuato   e   fatturato  

147

dovrebbe  comunque  essere  registrato  (come  "voce  di  uscita"  art.  1130  bis?)      10.4  -­  Schema  di  rendiconto  standard  Nell’interesse   della   collettività   condominiale   è   necessario   fissare   una   struttura  

uniforme   di   rappresentazione   del   documento   riassuntivo   dell’esercizio   che   possa  esporre  con  semplicità  e   chiarezza   i   risultati   conseguiti   e   consentire   comprensione  e  controllo  ad  ogni  condòmino  dotato  di  un  minimo  di  cultura  contabile.  La   struttura   contabile,   il   sistema   di   scritture,   il  metodo   di   registrazione   potranno  

risultare   diversamente   articolati   in   funzione   della   complessità   della   gestione,   ma   lo  schema   riassuntivo  di   esercizio  dovrà   comprendere  una  dimostrazione  delle   spese   e  delle  entrate,   la  relativa  ripartizione  nonché  una  situazione  contabile  che  rappresenti  una   memoria   storica   del   patrimonio   condominiale   realizzando   uno   strumento   di  raccordo   tra   successivi   esercizi   e  quindi  una   complessiva   trasparenza  gestionale   con  automatismi   contabili   e   concordanze   a   garanzia   di   un’elaborazione   tecnicamente  corretta   (cosiddetta   situazione   patrimoniale).     Il   CSN   A.N.A.C.I.   ha   elaborato   un  “bilancio  concordato”  sottoscritto  da  associazioni  della  proprietà,  dell’inquilinato  e  dei  consumatori  il  4  luglio  2007,  con  linee  guida  per  la  relativa  redazione,  poi  perfezionato  come   segue   con   il   contributo   dell'Ordine   dei   Commercialisti   di   Napoli   che   risponde  anche  alle  attuali  prescrizioni  del  codice  (vedi  anche  sito  www.anaci.it):    

148

AMMINISTRAZIONE CONDOMINIO VIA RENDICONTO CONSUNTIVO ANNO 20

Elaborato n.1 di 5 CONTO CONSUNTIVO ANNO 20.... TABELLA A

- Generale

Consuntivo (A)

Preventivo (B)

Conguaglio (A-B)

%

1 Assicura

zione fabbricato

2 Oneri

bancari c/c n……

3 ICI ex

alloggio portiere

4

Compenso amministratore

5 Iva e cpa

amministratore

6 Cancelle

ria/postali/amm.ne

7 Manuten

zioni e riparazioni

8 Fornitur

a energia elettrica

9 Fornitura acqua

10

....................................

TOTALE TABELLA A

TABELLA B - Portierato

Consuntivo (A)

Preventivo (B)

Conguaglio (A-B) %

1 Stipendi

o portiere e sostituto

2

Oneri fiscali e previdenziali

3 Accanto

namento per t.f.r.

4 Consule

nza del Lavoro

4 Consule

nza del Lavoro

5 ..............

....................

..

TOTALE

TABELLA B

TABELLA C - Scala

Consuntivo (A)

Preventivo (B)

Conguaglio (A-B) %

1 Manuten

zioni e riparazioni

2 Fornitur

a energia elettrica

3 ..............

....................

..

TOTALE

TABELLA C

TABELLA D - Ascensore

Consuntivo (A)

Preventivo (B)

Conguaglio (A-B) %

1 Manuten

zioni e riparazioni

2 Fornitur

a energia elettrica f.m.

3 Verifiche biennali

4 ..............

....................

..

149

TOTALE TABELLA D

TABELLA E - Autorimessa

Consuntivo (A)

Preventivo (B)

Conguaglio (A-B) %

1 Manuten

zioni e riparazioni

2 Fornitur

a energia elettrica

3 Cosap

varco carraio

4 ..............

....................

..

TOTALE

TABELLA D

ALTRE DA RIPARTIRE

Consuntivo (A)

Preventivo (B)

Conguaglio (A-B) %

1 Riparazi

oni pluviali e fecali

2

Manutenzioni e riparazioni citofoni

3 Postali individuali

4 ..............

....................

..

TOTALE

ALTRE

IMPREVISTE (*)

Consuntivo (A)

Preventivo (B)

Conguaglio (A-B) %

1 Spese ………….

2 Spese …………

3 ..............

....................

..

TOTALE

IMPREVISTE (*) spese senza separata imputazione da

ripartire secondo legge.

TOTALE GENERALE

150

Nello schema sono incluse le spese impreviste di importi tali da non richiedere un separato riparto. Diversamente le spese straordinarie di importo rilevante e oggetto di apposita delibera o ratifica, saranno oggetto di separata rendicontazione i cui risultati confluiranno anch’essi, così come quelli del conto consuntivo, nello stato patrimoniale finale.

LO STATO PATRIMONIALE I valori da riportare nel prospetto sono quelli risultanti esattamente al termine del periodo

oggetto di rendiconto; ciò evidentemente allo scopo di rispettare il principio di certezza dei valori iscritti in modo da poter avere evidenza della effettiva consistenze di cassa, facilitando allo stesso tempo il compito di quadratura dell’amministratore, sia nell’ambito del rendiconto presentato che nel collegamento con quelli successivi, a scongiurare ogni ipotesi di duplicazione della spesa. Si consiglia, per esigenze soprattutto di carattere fiscale, di considerare il periodo amministrativo coincidente con l’anno solare. Nella nostra analisi vanno pertanto considerati i valori come esistenti alla data del 31 dicembre.

ATTIVO: In tale prospetto, oltre alla esistenza di cassa e di banca, (al 31/12 dell’anno) devono essere dettagliatamente riportati tutti i crediti, distinguendo quelli sorti durante l’anno da quelli relativi agli anni pregressi, suddividendoli tra quelli che hanno avuto origine da conguagli rispetto a quelli che hanno avuto origine dall’emissione di quote ordinarie non pagate (morosità). Nel dettaglio dei crediti inoltre vanno evidenziati quelli oggetto di contenzioso, quelli per quote straordinarie, gli eventuali acconti a fornitori e per spese legali a fronte di contenziosi non ancora definiti.

PASSIVO: nei debiti vanno evidenziati quelli relativi a conguagli, quelli relativi a fornitori non pagati durante l’anno, quelli sorti in anni pregressi (motivando nelle note le ragioni del mancato pagamento), i depositi cauzionali, i debiti tributari/previdenziali ed infine i fondi a qualsiasi titolo costituiti (es. fondo cassa, fondo locazioni attive, fondo lavori, ecc) indicando la loro specifica destinazione e riferendo nelle note la fonte istitutiva dello stesso (es. “delibera del ...”, oppure “avanzo del....”). Per il Fondo TFR è opportuno specificare se a copertura ci sia un accantonamento reale a mezzo polizza o libretto bancario, precisando altresì eventuali corresponsioni di anticipi ai dipendenti.

151

AMMINISTRAZIONE CONDOMINIO VIA RENDICONTO CONSUNTIVO ANNO 20

Elaborato n.2 di 5 STATO PATRIMONIALE AL 31/12/20....

ATTIVITA' PASSIVITA'

DESCRIZIONE IMPORTI DESCRIZIONE

IMPORTI Crediti per quote ordinarie dell'anno Debiti v/fornitori (4) Crediti per quote ordinarie anni

pregressi Debiti tributari

Crediti per conguagli anni pregressi Debiti previdenziali

Crediti per quote straordinarie Debiti per conguagli anni pregressi

Crediti in contenzioso (1) Fitti attivi da ripartire (5)

Acconti vertenze legali (1) Deposito cauzionale fitti attivi

Fitti attivi da incassare (2) Deposito cauzionale fornitori

Fornitori c/anticipi (3) Fondo T.F.R. dipendenti (6)

Liquidità su c/c bancario Fondo riserva esigenze di cassa (7)

Liquidità su c/c postale .......................... Liquidità in cassa .......................... Deposito cauzionale COSAP .......................... .......................... ..........................

TOTALE ATTIVITA' TOTALE PASSIVITA'

Conguaglio anno corrente (8) Conguaglio anno corrente (9)

TOTALE A PAREGGIO TOTALE A PAREGGIO

Note (1) specificare per quale vertenza (2) specificare inquilino, periodo e motivazioni del mancato incasso (3) specificare il fornitore e il titolo della spesa (4) trattasi dei costi consuntivati da pagare al 31/12 - specificare eventuali importi riferiti ad anni pregressi (5) trattasi degli introiti da locazione immobili proprietà comune su cui deliberare la destinazione o riparto (6) al netto degli (eventuali) anticipi corrisposti - specificare se c'è accantonamento reale (es. libretto, assicurazione) (7) specificare destinazione e riferimento delibera istitutiva (8) conguaglio gestione corrente a debito dei condomini (= credito per il Condominio) (9) conguaglio gestione corrente a credito dei condomini (= debito per il Condominio)

SITUAZIONE DI CASSA In questo prospetto viene ricostruita tutta la movimentazione effettiva della

“cassa” condominiale. Vengono cioè riportati tutti gli incassi e gli esborsi effettivamente operati durante l’anno così come risultanti dal libro cassa ovvero, in caso di utilizzo del metodo della partita doppia, risultanti dalle scritture che hanno comportato un movimento finanziario. In tal modo si ha una perfetta coincidenza dei movimenti e dei saldi del c/c intestato al condominio con le registrazioni di

152

contabilità. In sintesi, si riportano i saldi liquidi iniziali, si aggiungono i movimenti in entrata

ed uscita raggruppati per tipologia di movimentazione, giungendo alla consistenza finale di cassa e banca/posta. Anche qui la movimentazione riportata è quella fino al 31/12 dell’anno ed i valori finali necessariamente dovranno coincidere con quelli indicati nell’attivo dello stato patrimoniale. Scopo fondamentale di tale elaborato è la dimostrazione della movimentazione finanziaria che ha determinato la variazione della consistenza di cassa nel periodo amministrativo; voci e importi dovranno trovare riscontro puntuale nel Conto Consuntivo e nello Stato Patrimoniale così da determinare la quadratura completa delle scritture contabili.

Rappresenta dunque un importante documento di controllo.

AMMINISTRAZIONE CONDOMINIO VIA SITUAZIONE DI CASSA ANNO 20

Elaborato n.3 di 5 SITUAZIONE DI CASSA ANNO 20

ENTRATE USCITE

DESCRIZIONE IMPORTI DESCRIZIONE

IMPORTI

Esistenza c/c bancario al 01/01/20..... Spese consuntivate dell'anno effett. pagate

Esistenza c/c postale al 01/01/20..... Spese straordinarie effett. Pagate

Esistenza di cassa al 01/01/20..... Pagamento debiti anni pregressi

Quote condominiali ordinarie dell'anno Riparto fitti anni pregressi

Quote condominiali ordinarie anni pregressi. Restituzione depositi

cauzionali

Quote condominiali straordinarie dell'anno Anticipi/liquidazione TFR

dipendenti

Quote condominiali straordinarie anni pregressi Utilizzo fondo cassa

Quote condominiali conguaglio anno precedente Anticipi a fornitori

Quote condominiali conguaglio anni pregressi Anticipi vertenze legali

Fitti attivi Restituzione conguagli a credito condomini

.......................... .......................... TOTALE USCITE Liquidità al 31/12/20__ (1)

TOTALE ENTRATE TOTALE A PAREGGIO (1 ) di cui € ….. su c/c bancario, € ….. su c/c postale, € ….. in cassa.

153

RIPARTO CONSUNTIVO In tale prospetto le spese vengono ripartite secondo i criteri di ripartizione

stabiliti dal Regolamento di condominio (tabelle millesimali, ecc) e/o dall’Assemblea di condominio e/o dalla legge.

Per ciascun condomino vengono riportati i millesimi di ogni tabella di ripartizione, la relativa attribuzione della spesa per millesimi, o il coefficiente di ripartizione per le altre spese non riconducibili a nessuna tabella millesimale, e la relativa spesa attribuita.

Viene poi riportato per ciascuna unità immobiliare il totale spesa, il confronto con il preventivo e l’indicazione del relativo conseguente conguaglio (differenza fra quanto previsto e quanto effettivamente speso), indipendentemente da eventuali morosità pregresse.

TAB.A Generale

TAB.B Portierato

TAB.C Scala

TAB.D Ascensore

Tot. Spese (A)

Quote

emesse (B)

Conguaglio 20.... (A – B) N S

C P I

NT

CONDOMINO

mm

Importi

mm

Importi

mm

Importi

mm

Importi

1 A T 1 2 A 1 2 3 A 2 3 4 A 3 4 5 A 4 5 6 A 5 6 8 B T 1 9 B 1 2 1

0 B 2 3

11

B 3 4 1

2 B 4 5

13

B 5 6 1

5 G S1

1 1

6 G S1

2 1

7 G S1

3 1

8 G S1

4 1

9 G S1

5 2

0 G S1

6 2

1 G S1

7 2

9 E T 7

5

30

E T 77

TOTALI RIPARTITI 1

000 1

000 1

000 1

000 TOTALI DA

CONSUNTIVO

ARROTOND. DA RIPARTO

154

IL PROSPETTO DEI CONTI INDIVIDUALI In tale prospetto vengono riportate, per singolo condomino, tutte le somme

dovute al condominio: in pratica costituisce un vero e proprio estratto conto di fine anno contabile. Alle eventuali morosità relative agli anni precedenti vengono aggiunte quelle sorte nell’anno per quote ordinarie e straordinarie non pagate, nonché le somme dovute per il conguaglio finale (che non costituisce morosità).

In tal modo il condomino ha un quadro completo della sua situazione debitoria e il condominio il dettaglio dei crediti nei confronti dei condomini.

Tale rappresentazione contabile consente, inoltre, di evidenziare debiti di anni pregressi eventualmente a carico di precedenti condomini (art. 63 disp. att. c.c.).  

AMMINISTRAZIONE CONDOMINIO VIA RENDICONTO ANNO 20

Elaborato n.5 di 5 PROSPETTO CONTI INDIVIDUALI AL 31/12 ANNO 20

Quote non versate anno corrente Quote non versate anni pregressi

Altri crediti

TOTALE

N sc P i

nt condo

mino

Quote Ordin

arie

Quote Straordinarie

Conguaglio

Quote

Ord.

Quote

Straord.

Conguagli

RisarcimRimborsi

complessivo dovuto

1 A T 1 2 A 1 2 3 A 2 3 4 A 3 4 5 A 4 5 6 A 5 6 7 B T 1 8 B 1 2 9 B 2 3 1

0 B 3 4

11

B 4 5 1

2 B 5 6

13

G S1

1 1

4 G S1

2 1

5 G S1

3 1

6 G S1

4 1

7 G S1

5 1

8 G S1

6 1

9 G S1

7 2

0 E T 7

5

21

E T 77

TOTALI

                 

155

10.4.1  –  Il  meccanismo  contabile  Il   rendiconto   condominiale   deve   essere   elaborato   in   base   ad   un   meccanismo  

contabile   che   coordina   opportunamente   le   scritture   che   già   vengono   normalmente  elaborate   nelle   varie   amministrazioni   condominiali;   le   entrate   vengono   suddivise  secondo  la  natura  (quote  ordinarie  e  straordinarie,  affitti,  proventi  vari  e  rimborsi)  con  annotazione  in  schede  o  partitari  individuali  anche  di  tipo  informatizzato  per  seguire  i  versamenti   delle   quote   dovute   dai   vari   partecipanti   al   condominio;   la   classificazione  delle   uscite   tiene   conto   delle   diverse   imputazioni   indicate   dal   regolamento  condominiale  e  predispone  una  analitica  registrazione  delle  componenti  di  categorie  di  spese  da  ripartire  secondo  differenti  criteri  rappresentati  dalle  tabelle  millesimali.  Le   schede   o   partitari   individuali   intestati   ad   ogni   utente   dei   servizi   condominiali  

hanno   la   colonna  delle  partite   a  debito   con   le  quote  ordinarie   e   straordinarie   fissate  nei  preventivi   inserite  ad  ogni  rispettiva  scadenza  e   la  colonna  delle  partite  a  credito  ovvero   ogni   versamento,   anche   in   acconto,   effettuato   dai   singoli   partecipanti   con  l’indicazione  delle  date  relative  in  modo  da  consentire  anche  la  possibilità  di  calcolare  eventuali  indennità  di  mora;  altre  due  colonne  evidenziano  i  saldi  arretrati  in  sospeso  e   la  successiva  regolarizzazione.  Tali  prospetti   forniscono  a  fine  esercizio   il   totale  dei  versamenti   effettuati   da   inserire   nella   “Ripartizione   spese”   per   il   raffronto   con   il  «dovuto»  e  la  conseguente  determinazione  dei  conguagli  a  credito  o  a  debito.  A   fine   esercizio,   per   visualizzare   in   modo   completo   i   risultati   della   gestione  

condominiale  (normalmente  dodici  mesi  anche  se  non  corrispondenti  all’anno  solare)  è   necessario   elaborare   quattro   prospetti   la   cui   reciproca   concordanza   è   garanzia   di  perfetta   tenuta  della  contabilità   (Conto  economico  o  Dimostrazione  spese  ed  entrate,  Ripartizione  spese,  Situazione  di  cassa  e  Situazione  patrimoniale).  Per  facilitare  il  compito  dell’amministratore  sono  disponibili  sul  mercato  numerose  

procedure   informatiche   per   la   registrazione,   l’aggiornamento   e   la   documentazione  delle   informazioni   relative   alle   gestioni   condominiali.   L'Associazione   ha   realizzato  ANACI  Gest,  un  software  gestionale  dedicato  agli  amministratori  immobiliari.  Il  giornale  di  contabilità  è  rappresentato  dalla  prima  nota  ovvero  una  lista  di  tutte  le  

spese  imputate  all’esercizio  con  le  voci  raggruppate  per  tabelle  millesimali  con  dettagli  di  spesa  sotto  ciascuna  voce  ordinati  per  data.  Dal  preventivo  vengono  generate  delle  quote  relative  ad  un  numero  variabile  di  rate  

che  danno   luogo   ad   addebiti   periodici   automaticamente   riportati   negli   estratti   conto  individuali;  per  ogni  utente  del  condominio  (è  possibile  distinguere  le  imputazioni  tra  proprietario  ed  inquilino)  è  disponibile  un  archivio  con  la  descrizione  della  data  degli  addebiti,  la  successiva  data  di  pagamento  e  la  registrazione  di  eventuali  acconti.  In  ogni  momento  è  possibile  ottenere  il  riepilogo  degli  estratti  conto  nominativi,   il  

consuntivo  delle  spese  e  la  situazione  di  cassa;  il  sistema  a  fine  esercizio  seleziona  tutte  le   spese   immesse   e   i   movimenti   degli   estratti   conto   nell’intervallo   di   tempo   da  considerare,  ripartisce  le  spese  per  nominativo  in  base  ai  millesimi  di  ciascuna  tabella,  totalizza  i  pagamenti  degli  estratti  conto  e  determina  i  conguagli  individuali.    La   dimostrazione   delle   spese   e   delle   entrate   potrà   avere   contenuti   diversi   in  

relazione   ai   servizi   disponibili   nel   condominio   con   la   rappresentazione   di   altre  categorie   di   spese   in   funzione   delle   varie   tabelle   millesimali   esistenti;   l’esposizione  della  natura  delle  spese  sostenute  potrà  essere  più  analitica  anche  se   la  sintesi  rende  spesso  il  rendiconto  meno  complicato  e  quindi  più  leggibile,  con  la  dovuta  disponibilità  dell’amministratore   a   rilasciare,   su   richiesta,   copia   della   prima   nota   spese;   potrà  considerare  tutti  i  pagamenti  comunque  effettuati  dai  condòmini  nel  periodo  contabile  di   riferimento   con   l’inserimento   anche   di   tutti   i   saldi   dell’esercizio   precedente   (a  

156

credito  o  a  debito).    10.4.2  -­  Documenti  giustificativi  L’evoluzione  della  giurisprudenza  (Cassazione  28/11/2001  n.15159)  ha  superato  il  

concetto  del  controllo  dei  giustificativi  di  spesa  solo  in  sede  di  rendiconto  annuale;   la  S.C.  ha  chiarito  che  il  rapporto  tra  l’amministratore  ed  i  condòmini  è  analogo  a  quello  del  mandato  con  rappresentanza,  sebbene  con  caratteristiche  del  tutto  peculiari,  e  che  i   condòmini,   in   quanto   mandanti,   sono   titolari   dei   poteri   di   vigilanza   e   di   controllo  previsti   dal   contratto   di   mandato   (art.   1713   c.c.:   «il   mandatario   deve   rimettere   al  mandante  ciò  che  ha  ricevuto  a  causa  del  mandato»).  Non   vi   è   ragione   pertanto   di   impedire   agli   stessi   di   esercitare,   in   ogni   tempo,   la  

vigilanza  ed  il  controllo  sullo  svolgimento  dell’attività  di  gestione  delle  cose,  dei  servizi  e  degli  impianti  comuni  e,  perciò,  di  prendere  visione  dei  registri  e  dei  documenti  che  li  riguardano,   sempre   che   la   vigilanza   ed   il   controllo   non   si   risolvano   in   un   intralcio  dell’amministrazione,  non  siano  contrari  al  principio  della  correttezza  ed  i  condòmini  sostengano  i  costi  delle  attività  afferenti  alla  vigilanza  ed  al  controllo.  L'art.   1130   bis   evidenzia   infatti   che   "condomini   ed   inquilini   possono   prendere  

visione  dei  documenti  giustificativi  di  spesa  in  ogni  tempo  ed  estrarne  copia  a  proprie  spese".    10.4.3  -­  Elenco  fornitori  beni  e  servizi  Anche   se   il   Ministero   delle   Finanze   ha   chiarito   (Risoluzione   24   maggio   1986,  

n.321703)   che   il   soggetto   obbligato   al   rilascio   delle   fatture,   responsabile   quindi   di  eventuali  omissioni,  è  colui  che  effettua  cessioni  o  prestazioni  di  servizi  nell’esercizio  di  imprese  o  di  arti  e  professioni  e  non  il  condominio  considerato  consumatore  finale,  l’amministratore  dovrà  acquisire  giustificativi  di  spesa  fiscalmente  regolari  per  essere  in   grado   di   documentare   agli   uffici   finanziari   un   corretto   elenco   dei   fornitori   del  condominio   (art.   21   comma   14,   legge   n.449/1997),   un   obbligo   specifico   per  l’«amministratore»  e  non  per  il  condominio.  Il   D.M.   12   novembre   1998   ha   fissato   i   contenuti   di   tale   «comunicazione   degli  

amministratori  di   condominio  all’anagrafe   tributaria»   e  più  precisamente  ha   chiarito  quali  dati  non  debbono  essere  comunicati  per  cui  per  esclusione  l’amministratore  deve  preparare  soltanto  un  elenco  delle  forniture  di  beni  e  servizi  effettuate  nell’anno  solare  di  riferimento  (con  generalità,  domicilio  e  codice  fiscale)  che  non  abbiano  determinato  ritenute   alla   fonte   (corrispettivi   da   inserire   soltanto   nel  Modello   770)     e   che   non   si  riferiscano   ad   utenze   acqua,   gas   ed   energia   elettrica;   non   vanno   indicati   eventuali  pagamenti  effettuati  allo  stesso  fornitore  fino  a  €  258,23  anche  se  rappresentati  da  più  fatture,   ma   tale   semplificazione   non   rappresenta   una   franchigia,   nel   senso   che   le  forniture  superiori  a  tale  importo  vanno  integralmente  registrate.  Il  Ministero  ha   chiarito   che,   per   individuare   l’importo   complessivo  delle   forniture  

per   gli   acquisti   di   beni   (gasolio,   materiali   pulizie,   cancelleria,   estintori,   materiale  elettrico,   ecc.)   si   considera   il   momento   della   consegna,  mentre   per   le   prestazioni   di  servizi   (manutenzioni,   riparazioni,   ecc.)   si   tiene   conto   della   data   di   pagamento   del  corrispettivo,  anche  se  parziale.  Il   quadro   AC   (Amministratori   di   condominio)   fa   parte   dei   prospetti   aggiuntivi   al  

modello   base   UNICO   (sia   persone   fisiche   che   società),   ed   il   soggetto   obbligato   ad  effettuare   l’anzidetta   comunicazione   all’anagrafe   tributaria   riferita   all’intera   gestione  condominiale   è   l’amministratore   in   carica   al   31   dicembre   dell’anno   solare   di  riferimento.   I   quadri   AC   (uno   per   ogni   condominio)   debbono   essere   allegati   al  Mod.  UNICO  dell’amministratore.  

157

Questo  adempimento  per  gli  amministratori  di  condomini  esige  quindi  la  tenuta  di  contabilità   chiara   ed   ordinata   e   la   predisposizione   di   un   rendiconto   di   esercizio  facilmente   «leggibile»   in   quanto   gli   uffici   finanziari   potranno   eseguire   controlli   per  accertare  l’esattezza  delle  comunicazioni  anzidette.  Gli   amministratori   condominiali   sono   tenuti   ad   un   attento   studio   delle   tematiche  

tributarie,   evitando   troppo   semplicisticamente   di   considerare   «errori   formali»   la  mancata   predisposizione   di   un   quadro   AC   per   ogni   condominio   gestito,   in   quanto  ininfluente  per  la  determinazione  dell’imposta.  Non  si  tratta  infatti  di  un  obbligo  fiscale  fine   a   se   stesso   e   l’inosservanza   del   dettato   normativo   dà   luogo   ad   una   sanzione  amministrativa  da  258  a  1.032  euro.  A  seguito  dell'abolizione  dell'invio  della  comunicazione  di   inizio   lavori  ai   fini  della  

pratica  per  l'ottenimento  dei  benefici  fiscali  per  gli  interventi  di  recupero  edilizio,  nel  Quadro  AC  vanno  indicati  i  riferimenti  catastali  relativi  agli  immobili  dove  si  effettuano  i  lavori  stessi.        

158

MODULO  N.  11      

La  gestione  dei  dipendenti  (Antonio  Pazonzi)  

   Nel  condominio  si  può  verificare  la  necessità  di  instaurare  rapporti  di  lavoro  al  fine  

di  poter  svolgere  determinati  servizi  necessari  al  mantenimento,  al  miglior  godimento  ed  alla  sicurezza  del  bene  comune.  Quando   si   verifica   la   suddetta   necessità   si   possono   instaurare   rapporti   di   lavoro  

subordinato  assumendo  il  condominio,  in  persona  dell’amministratore  pro-­‐tempore  in  quanto  rappresentante  legale,  la  figura  di  datore  di  lavoro.  Per   questo  motivo   il   legislatore   e   le   associazioni   di   categoria   hanno  visto  bene  di  

regolamentare  ad  hoc  questi  possibili  rapporti.  L’art.   2094   c.c.   definisce   chi   è   il   prestatore   di   lavoro   subordinato   e   quali   sono   gli  

elementi   che   devono   essere   presenti   nel   rapporto     tra   questi   ed   il   datore   di   lavoro  affinché   il   lavoratore   sia   considerato   tale.  Precisamente:   la   subordinazione,   l’impiego  di  mezzi  forniti  dal  datore  di  lavoro,  l’orario  di  lavoro.  La   natura  del   rapporto   giuridico   che   si   viene   ad   instaurare   tra   datore   di   lavoro   e  

lavoratore  è  un  contratto  a  prestazioni  corrispettive  dove  i  contratti  collettivi  di  lavoro  assumono  un  ruolo  fondamentale.    11.1  -­  I  contratti  collettivi  di  lavoro  I   contratti   collettivi  disciplinano   in  maniera  dettagliata   lo  svolgimento  dell’attività  

lavorativa  e  ne  abbiamo  incontrati  nel  tempo  di  tre  categorie:    a)  Contratti  Collettivi  Corporativi  Sono  quei  contratti  stipulati  dal  sindacato  di  diritto  pubblico  e  mantenuti  in  vigore  

dopo  la  caduta  del  fascismo  dall’art.43  del  D.Lgs.  23  novembre  1944,  n.369.    b)  Contratto  Collettivo  ex  art.  39  Costituzione  L’art.  39  Cost.  ha   inteso  stabilire  nel  nostro  ordinamento   il  principio  del  contratto  

collettivo  come  norma  giuridica  e  pertanto  ha  predisposto  uno  speciale  procedimento  per   la   stipulazione  del   contratto   collettivo  attraverso   il  quale  viene  ad  essi   attribuita  efficacia  di  norma  giuridica,  valevole  in  quanto  tale  erga  omnes.  La  mancata  attuazione  di  questo  articolo  e  l’esigenza  di  fornire  a  tutte  le  categorie  

di   lavoratori  una  piattaforma  più  aggiornata  di   trattamento  minimo  rispetto  a  quella  ormai   superata,   portarono   il   legislatore,   con   la   legge  14   luglio  1959  n.   741   intitolata  “norme   transitorie   per   garantire   minimi   di   trattamento   economico   e   normativo   ai  lavoratori”,   a   conferire,   in   via   indiretta,   efficacia   erga   omnes   ad   alcuni   contratti  collettivi.    c)    Contratto  collettivo  di  diritto  comune  Il  tipo  fondamentale  di  contratto  collettivo  e  l’unico  che  oggi  possa  realizzarsi.  E’  il  

contratto  di  diritto  comune  o  postcorporativo.  È  un  contratto  atipico,  perché  privo  di  una  specifica  disciplina  legislativa,  ed  è  chiamato  così   in  quanto  regolato  dalle  norme  di   diritto   comune   valide   in   materia   contrattuale   (libro   IV   c.c.).   In   conformità   dei  principi   generali   del   diritto   validi   in  materia   contrattuale   vincola   esclusivamente   gli  

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associati  alle  organizzazioni  sindacali  che  li  hanno  stipulati.  Di  conseguenza  il  datore  di  lavoro   che   receda   dalla   propria   organizzazione   si   libera   dall’obbligo   di   applicare   i  contratti   collettivi   stipulati   successivamente   al   recesso,   ma   resta   vincolato   fino   alla  normale  scadenza  del  contratto  vigente  al  momento  in  cui  il  recesso  si  è  verificato.  I   contratti   collettivi   di   diritto   comune   hanno   durata   economica   e   normativa  

quadriennale   e   rinnovo   economico   biennale.     Quelli   che   stabiliscono   il   trattamento  minimo   economico   e   normativo   applicato   ai   rapporti   di   lavoro   dei   dipendenti   da  proprietari  di   fabbricati  sono  due    e  classificano   i   lavoratori   in  categorie,  a   loro  volta  suddivise   in   più   profili   in   base   alle  mansioni   svolte:   Contratto   Confedilizia-­‐Sindacati  Confederali  e  Contratto  Federproprietà-­‐UPPI-­‐CONFSAL-­‐CONFAPPI-­‐ASPPI.  Una   volta   inquadrato   il   profilo   professionale   del   lavoratore,   potrà   essere  

determinato  l’orario  al  quale  lo  stesso  dovrà  conformarsi.      A  seconda  dell’orario  svolto  scaturiscono   dei   particolari   obblighi   in   merito   alle   procedure   di   assunzione,   al  pagamento   della     retribuzione,   alla   contribuzione   previdenziale   (INPS)   ed   al  pagamento   dei   premi   per   assicurare   i   lavoratori   in   caso   di   infortunio   sul   luogo   di  lavoro  (INAIL).  L’orario  massimo   settimanale   consentito   è   fissato   per   legge.   Il   normale   orario   di  

lavoro  attualmente  è   fissato  dal   legislatore   in  40  ore  settimanali  escludendo  da  detto  limite  le  categorie  di  lavoratori  che  svolgono  servizio  di  vigilanza,  guardiania,  semplice  attesa  o  custodia  (legge  24  giugno  1997,  n.  196).  Tale  limite  è  stato  ribadito    dal  D.Lgs.  n.66  dell’8  aprile  2003  che  ha  dato  attuazione  alle  direttive  comunitarie  93/104/CE  e  2000/34/CE.  Dall’origine  ad  oggi  il  servizio  di  portierato  originariamente  svolto  per  66  ore  settimanali  è  stato  da  prima  ridotto  a  60,  in  seguito  a  59  ed  ora  a  48  ore,  stante  il  limite  imposto  dalla  Comunità  Europea.  Il  datore  di  lavoro  una  volta  scelto  il  lavoratore  e  dopo  averlo  inquadrato  secondo  le  

mansioni  attribuitegli,  eseguirà  tutta  una  serie  di  operazioni  previste  dalla  normativa  vigente   ai   fini   della   costituzione,   della   durata   e   della     eventuale   estinzione   della  prestazione  lavorativa.  Nel  susseguirsi  del  rinnovamento  del  mercato  del   lavoro  è  possibile  applicare  una  

più  ampia  scelta  tra  i  vari  istituti  per  l’inserimento  dei  lavoratori  e  più  precisamente:  L’apprendistato:  applicabile   esclusivamente  per   alcuni   profili   e   solo   qualora   vi   sia  

già  un  tutore  che  possa  assistere  l’apprendista,  concede  di  assumere  usufruendo  delle  agevolazioni  tipiche  di  questo  istituto  (contributive  e  previdenziali).    Il  job  sharing:    da  la  possibilità  di  assumere  legando  alla  prestazione  da  adempiere,  

due   o   più   persone   le   quali   saranno   retribuite   secondo   la   prestazione   effettivamente  lavorata  e  corresponsabili  della  stessa.    11.2  -­  Il  part-­time  Per  assumere  un  lavoratore  part-­‐time,  stante    l’abrogazione  dell’art.  5  della    legge  n.  

863/84    dal  D.Lgs.  25  febbraio  2000,  n.  61  e    modificato  dal  D.Lgs  26  febbraio  2001,  n.  100     ed   infine   dal   D.Lgs.   276/2003,   non   è   più   necessaria   la     comunicazione   alla  Direzione  Provinciale  del  Lavoro  degli  assunti  con  questo  istituto,  rimane  solo  l’obbligo  della  convalida  da  parte  della  stessa,  qualora  da  un  contratto  a  tempo  pieno  si  passi  ad  uno  a  tempo  ridotto,  da  espletare  in  forma  scritta  e  previo  consenso  delle  parti.  Il  part-­‐time  può  essere  orizzontale,  quando  la  prestazione  è  costante  nel  tempo  e  la  

riduzione   riguarda   solo   l’orario   di   lavoro,   e   verticale,   quando   la   prestazione   viene  effettuata  solo  in  giorni  prestabiliti  con  cadenza  settimanale,  mensile  o  annuale.  Il  part-­‐time  può  essere  instaurato  per  un  minimo  di  24  ore  per  i  portieri  A4  e  20  ore  per  gli  A3.  

160

La  responsabilità  della  custodia  per  i  lavoratori  a  tempo  parziale  ,  (riservata  ai  soli  lavoratori  con  alloggio  cui  tale  mansione  è  riferibile),  non  sussisterà  negli  orari  che  il  lavoratore   intende   destinare   ad   altre   attività   lavorative   al   di   fuori   dell’alloggio   di  servizio.  Ai   lavoratori   a   tempo  parziale   con  distribuzione  orizzontale  o   verticale  non  potrà    

essere  affidata  la  conduzione  dell’impianto  di  riscaldamento,  fatta  salva  tale  possibilità  per   i   lavoratori   a   tempo   parziale   verticale   con   orario   giornaliero   completo   e   con  prestazioni  continuative  da  svolgersi  in  un  determinato  periodo  dell’anno.  Il   ricorso   al   lavoro   supplementare   ed   al   lavoro   straordinario   è   consentito   con  

riferimento  alle  seguenti  specifiche  esigenze  organizzative:  –   necessità   di   manutenzione   ordinaria   e/o   straordinaria   agli   impianti,  

che  non  possa  essere  eseguita  nel  corso  del  normale  orario  di  lavoro;  –   altre  contingenti  necessità  connesse  con  le  funzioni  di  sorveglianza  e/o  

di  custodia  del  portiere.    Contratto  di  assunzione  Fermo   restando   che   l’orario   settimanale   di   lavoro   relativo   ai   rapporti   part-­‐time  

dovrà  risultare  da  atto  scritto  al  momento  dell’assunzione,  gli  stessi  saranno  regolati,  oltre  che  dalle  specifiche  normative  già  previste  dal  CCNL,  anche  dal  D.Lgs.  25  febbraio  2000,  n.  61  e  successive  modifiche  e/o  integrazioni.  L’atto  scritto  di  cui  al  comma  precedente  dovrà  inoltre  contenere:  

a)   il   trattamento   economico   e   normativo   secondo   criteri   di  proporzionalità  all’entità  della  prestazione  lavorativa  b)   la  puntuale  indicazione  della  durata  della  prestazione  lavorativa  e  della  

collocazione   dell’orario   con   riferimento   al     giorno,   alla   settimana,   al  mese   ed  all’anno  così  come  previsto  dall’art.  2,  comma  2,  del  D.Lgs.  n.  61/2000  citato  e  sue  successive  modifiche  e/o  integrazioni.  

 Il  rapporto  a  tempo  parziale  sarà  disciplinato  secondo  i  seguenti  principi:  a)   volontarietà  di  entrambe  le  parti;  

b)   reversibilità   della   prestazione   da   tempo   parziale   a   tempo   pieno   in  relazione   alle   esigenze   della   proprietà   e   quando   sia   compatibile   con   le  mansioni  svolte  e/o  da  svolgere,  ferma  restando  la  volontarietà  delle  parti;  c)   priorità  del  passaggio  da  tempo  pieno  a  tempo  parziale  o  viceversa  dei  

lavoratori   già   in   forza   rispetto   ad   eventuali   nuove   assunzioni,   per   le   stesse  mansioni.    

I  genitori  di  portatori  di  handicap  grave,  comprovato  dai  Servizi  sanitari  competenti  per   territorio,   che   richiedano   il   passaggio   a   tempo   parziale,   hanno   diritto   di  precedenza  rispetto  agli  altri  lavoratori.    Clausole  di  flessibilità  e  di  elasticità  Le   parti   del   contratto   di   lavoro   a   tempo  parziale   possono   concordare   per   iscritto  

clausole   flessibili   relative   alla   variazione   della   collocazione   temporale   della  prestazione  stessa.  Nei   rapporti   di   lavoro   a   tempo   parziale   di   tipo   verticale   o   misto   possono   essere  

stabilite   sempre   per   atto   scritto   anche   clausole   elastiche   relative   alla   variazione   in  aumento  della  durata  della  prestazione  lavorativa.  Il   rifiuto  da  parte  del   lavoratore  non  può   integrare   in  nessun   caso   gli   estremi  del  

giustificato  motivo  di    licenziamento  né  l’adozione    di  provvedimenti  disciplinari.  

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Sia   le   clausole   flessibili   che   le   clausole  elastiche  potranno  essere  pattuite  a   tempo  indeterminato  come  pure  a  tempo  determinato.  Le   parti   hanno   concordato   che,   in   presenza     di   clausole   flessibili,   la   collocazione  

temporale  della  prestazione  lavorativa  potrà  essere  modificata  a  richiesta  del  datore  di  lavoro  nel  rispetto  di  un  preavviso  di  almeno  10  giorni  lavorativi.  Al  lavoratore  cui  si  applica  la  clausola  di  flessibilità  spetterà  un’indennità  pari  al  5%  

della   retribuzione   globale   di   fatto   a   titolo   di   compensazione.   Nell’ipotesi   del   venire  meno  della  clausola  di  flessibilità,  la  predetta  indennità  cesserà  di  essere  corrisposta.  Le   parti   concordano   altresì   che,   in   presenza   di   clausole   elastiche,   la   prestazione  

lavorativa   potrà   essere   modificata   in   aumento,   a   richiesta   del   datore   di   lavoro,   nel  rispetto  di  un  preavviso  di  almeno  2  gg.  lavorativi.  Nell’accordo   devono   inoltre   essere   indicate   le   ragioni   di   carattere   tecnico,  

organizzativo   produttivo   o   sostitutivo   che   autorizzano   l’applicazione   delle   clausole  flessibili  od  elastiche.  Le  ore  di  lavoro  effettuate  in  aggiunta  a  quelle  ordinarie,  vengono  retribuite  con  le  

stesse  modalità  e  maggiorazione  previste  per  il  lavoro  supplementare.  Il  datore  di  lavoro  può,  a  sua  volta  ,  recedere  dal  patto  con  un  preavviso  di  almeno  

un  mese.    11.3  -­  Il  contratto  a  tempo  determinato  Presupposti  -­  E’   consentita   l’apposizione   di   un   termine   alla   durata   del   contratto   di   lavoro  

subordinato   a   fronte   di   ragioni   di   carattere   tecnico   organizzativo   ,   produttivo   o  sostitutivo.  Copia   dell’atto   scritto   deve   essere   consegnata   dal   datore   di   lavoro   al   lavoratore  

entro  5  gg.  lavorativi  dall’inizio  della  prestazione.    Ipotesi  di  utilizzo  -­  In   relazione   a   quanto   disposto   dal   D.Lgs   6   settembre   2001,   n.   368,   le   parti  

convengono  sulle  seguenti  ipotesi  di  apposizione  di  un  termine  al  contratto  di  lavoro,  nel  caso  di  assunzioni  di  lavoratori:  

–   per  sostituzione  di  lavoratori  assenti  con  diritto  alla  conservazione  del  posto  ai  sensi  dell’art.  2110  c.c.;  

–   per  sostituzione  di  lavoratori  assenti  per  ferie  e  permessi;  –   per   sostituzione   di   lavoratori   assenti   per   aspettative,   per   le   quali  

comunque  sia  legalmente  previsto  l’obbligo  della  conservazione  del  posto;  –   per  sostituzione  di  lavoratori  impegnati  in  attività  formative;  

–   per   sostituzione   di   lavoratori   il   cui   rapporto   di   lavoro   sia  temporaneamente  trasformato  da  tempo  pieno  a  tempo  parziale;  –   a   servizio   di   residenze   turistiche   a   carattere   stagionale   ovvero   con  

mansioni   relative  a   strutture,   impianti  o   apparati   con   funzionamento   limitato  solo  ad  alcuni  periodi  nell’anno;  

–   per  supporto  tecnico  nel  campo  della  prevenzione  e  sicurezza  del  lavoro;  –   per  lavorazioni  connesse  ai  vincolanti  termini  di  esecuzione;  –   per  l’intensificazione  dell’attività  lavorativa  in  determinati  periodi  dell’anno;  

–   a   conclusione   di   un   periodo   di   tirocinio   o   di   stage,   allo   scopo   di  facilitare  l’ingresso  dei  giovani  nel  mondo  del  lavoro;  

–   per  l’inserimento  di  lavoratori  con  età  superiore  ai  55  anni;  –   per   l’esecuzione  di  un’opera  o  di  un  servizio  definiti  o  predeterminati  

nel  tempo  aventi  carattere  straordinario  o  occasionale;  

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–   per   esigenze   connesse   ad   eccezionali   cause   di   forza   maggiore   e/o  calamità  naturale.  

 Limiti  di  utilizzo  -­  I   contratti   a   tempo   determinato   non   potranno   superare   il   10%   dell’organico  

complessivo  dei  lavoratori  assunti  a  tempo  indeterminato.    Formazione  -­  Il   lavoratore   assunto   con   contratto   a   tempo   determinato   dovrà   ricevere   una  

formazione   sufficiente   ed   adeguata   alle   caratteristiche   delle   mansioni   oggetto   del  contratto  al  fine  di  prevenire  rischi  specifici  connessi  alla  esecuzione  del  lavoro.    Posti  vacanti  -­  Ai   lavoratori   occupati   a   tempo  determinato  dovrà   essere   inoltrata   comunicazione  

circa   i  posti  vacanti  che  si  rendessero  disponibili,   in  modo  da  garantire   loro   le  stesse  possibilità  di  ottenere  posti  duraturi  che  hanno  gli  altri  lavoratori.      11.4  -­  Assunzione:  primi  obblighi  Comunicazione  al  centro  per  l’impiego  di  competenza  (ex  collocamento)  –  Deve   essere   effettuata   il   giorno   antecedente   all’assunzione   del   lavoratore,  

attraverso   la   compilazione   e   l’invio   telematico   del   modello   UNI-­‐LAV.       In   questo  modello   vanno   riportati   tutti   i   dati   delle   parti   che   stipulano   il   contratto     (nome,  cognome,   codice   fiscale,   ecc.)   e   quei   dati   attinenti   al   rapporto   di   lavoro   in   senso   più  stretto  come  la  tipologia  di  lavoro  scelta  (se  a  tempo  determinato,  indeterminato,  full-­‐time,    part-­‐time,  la  qualifica  e  la  posizione  assicurativa  INAIL).  Una  particolare  attenzione  deve  essere  fatta  al  periodo  di  prova  che  deve  risultare  

da  atto  scritto  ed  è  considerato  un  normale  periodo  retributivo  e  pertanto  maturano  tutti  i  diritti  contrattuali.  Il  lavoratore  aspirante  all’assunzione  deve  presentare  i  seguenti  documenti:  –   carta  di  identità;  –   scheda  professionale;  

–   la   documentazione   necessaria   per   fruire   dell’assegno   per   il   nucleo  familiare  (stato  di  famiglia);  

–   certificato  medico;  –   il  codice  fiscale;  –   la  carta  di  soggiorno  per  motivi  di  lavoro  se  stranieri;  –   attestato  di  frequenza  al  corso  ex-­‐D.Lgs.  81/2008.    La   licenza  comunale  prevista  dal  R.D.  18  giugno  1931  è  stata  abrogata  dalla  Legge  

24  novembre  2000,  n.  340.    Lettera  d’assunzione  -­‐  Una   volta   assunto   il   dipendente   dobbiamo   sottoscrivere   e   far   sottoscrivere   una  

dichiarazione  dalla  quale  risultino  tutti  gli  elementi  fondamentali  del  rapporto  (durata,  orario,  retribuzioni,  detrazioni  spettanti).  La   lettera  di  assunzione  (o  contratto   individuale)  non  può  derogare  alla   legge,  ma  

può   contenere   disposizioni   in   melius   rispetto   al   contratto   collettivo   (ossia,   oltre   le  condizioni   minime   di   trattamento   economico   e   normativo   contenute   nel   contratto  collettivo,  il  contratto  individuale  può  stabilire  ulteriori  condizioni,  ma  solo  a  patto  che  

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siano  più  favorevoli  per  il  lavoratore).  Devono   essere   altresì   elencati   gli   obblighi   (dovere   di   diligenza,   obbedienza   e  

fedeltà,  artt.  2104  e  2105  c.c.)  le  mansioni  e  le  sanzioni  del  lavoratore.  È  necessario,   inoltre,   che  all’interno  della   lettera  di  assunzione  vi   siano  specificati  

anche  le  sanzioni  a  cui   il   lavoratore  andrebbe  in  contro  a  causa  della  violazione  degli  obblighi  contrattuali,  nonché  la  procedura  per  la  contestazione  delle  stesse.  Questi  ultimi  elementi  sono   importanti   in  quanto   in  caso  di   richiamo  è  necessario  

che   ci   sia   prova   certa   che   il   lavoratore   conosca   ciò   che   rientra   nei   suoi   doveri  contestualmente   all’assunzione,   anche   al   fine   di   evitare     il   ricorso   all’Autorità  Giudiziaria.    Iscrizione   del   lavoratore   nel   libro   unico   del   lavoro   gestito   telematicamente   dal  

consulente  -­‐  Al   fine   dell’assolvimento   dell’obbligo   previsto   dalla   normativa   vigente.   Il   libro   in  

questione  è  un  libro  che  le  aziende  sono  tenute  ad  istituire  e  a  conservare  e  nel  quale  vanno  iscritti   i   lavoratori  assunti,  gli  stessi  vanno  inseriti  seguendo  una  numerazione  progressiva  ed  in  ordine  cronologico  di  assunzione  (per  data).  Inoltre  debbono  essere  annotate   le   detrazioni   annuali     spettanti   al   lavoratore,   le   quali   possono   essere  trascritte   globalmente   riferendole   all’ammontare   annuo   se   dettagliate   nel   libro   delle  retribuzioni  (cedolini    paga).  Il  libro  non  può  contenere  spazi  in  bianco  e  le  correzioni  debbono   essere   fatte   in   modo   tale   da   lasciare   leggibile   ciò   che   si   è   cancellato.   Va  conservato  10  anni  dopo  l’ultima  scrittura.    Libro  degli  infortuni  -­‐  Deve  essere  conservato  presso   il  datore  di   lavoro.  La  vidimazione  viene  effettuata  

presso   l’ASL   di   competenza   e   conservato   per   quattro   anni   dalla   data   dell’ultima  registrazione.    11.5  -­  INAIL  (Istituto  Nazionale  Assicurazioni  Infortuni  sul  Lavoro)  La  gestione  dell’assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni  sui  luoghi  di  lavoro  e  

le   malattie   professionali   è   affidata   all’INAIL.     Si   tratta   di   un   ente   pubblico   non  economico  a  carattere  nazionale,  erogatore  di  servizi,  che  opera  sotto   la  vigilanza  del  Ministero  del  Lavoro  e  Previdenza  Sociale.  Il  Testo  Unico  in  materia  di    infortuni  sui  luoghi  di  lavoro  (DPR  30  giugno  1965,  n.  

1124)  obbliga  all’assicurazione  in  questione,  tutti  quei  soggetti  che  svolgendo  attività  lavorativa  possono  incorrere  in  infortuni  e  più  precisamente:  

1.   Coloro  che  in  modo  permanente  o  avventizio  prestano  alle  dipendenze  e   sotto   la   direzione   altrui   opera   manuale   retribuita,   qualunque   sia   la   forma  retributiva.  2.   Coloro  che   trovandosi  nelle  condizioni  di  cui  al  precedente  n.  1  anche  

senza  partecipare  materialmente  al    lavoro,  sovrintendono  a  quello  altrui.  3.   I  soci  che  partecipano  all’attività  della  ditta  associante.    Elementi   che   devono   ricorrere   affinché   l’infortunio   si   possa   qualificare   come  

professionale  sono:  a)   La  causa  violenta;  

b)   L’occasione   di   lavoro   (rischio   generico   –   quello   che   corre   ogni  individuo;   rischio   specifico   –   quello   che   corre   il   soggetto   in   particolari  condizioni);  c)   Una  menomazione  della  capacità  lavorativa  del  soggetto  temporanea  o  

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permanente  assoluta  o  parziale.    La  differenza  tra  infortunio  e  malattia  professionale  sta  nella  modalità  della  causa:  

l’infortunio,   causa   concentrata   nel   tempo,   violenta,   immediata.     La   malattia  professionale,   causa   lenta   che   si   verifica   con   il   tempo,   agendo   sull’organismo  dell’individuo.  I   premi   da   versare   all’istituto   vengono   calcolati   a   partire   da   una   base   minimale  

prevista   dall’INAIL   stessa,   affinché   il   versamento   del   premio   effettuato   dal   datore   di  lavoro   sia   matematicamente   ed   economicamente   sufficiente   a   risarcire   il   danno  occorso  al  lavoratore.  Una  volta  fissati  gli  elementi  (tasso  in  funzione  del  rischio  assicurato  e  retribuzioni  

imponibili)   l’INAIL   si   limita   ad   inviare   ad   ogni   datore   di   lavoro   il   prospetto   di  autoliquidazione  con  le  basi  del  calcolo  del  premio  ed  è   il  datore  di   lavoro  stesso  che  calcola   quanto   deve   sia   come   “regolazione”   dell’anno   precedente   sia   come   rata   di  premio  anticipata  per  l’anno  in  corso.    Si  deve  provvedere  entro  il  16  febbraio  di  ogni  anno  al   pagamento   ed   entro   il   31  marzo   all’invio   telematico.  Resta   salvo   il   potere  di  controllo  e  verifica  da  parte  dell’INAIL.  Contro  le  applicazioni  delle  tariffe  il  datore  di  lavoro  può  ricorrere  entro  30  giorni  

dalla   data   di   comunicazione   del   provvedimento   al   Consiglio   di   Amministrazione  dell’INAIL.  I  crediti  vantati  dall’INAIL  nei  confronti  dei  debitori  si  prescrivono  nel  termine  dei  5  

anni.  Quando  occorre    un  infortunio  al  soggetto  assicurato,  le  prestazioni  economiche  che  

l’istituto  eroga  vengono  accreditate   lasciando  delle  percentuali   a   carico  del  datore  di  lavoro  in  funzione  del  tempo  trascorso  sotto  infortunio  dal  lavoratore  e  calcolate  come  segue:    1°  giorno   100%  a  carico  del  datore  di  lavoro  salve  migliori  

condizioni  dei  CCNL  2°-­‐3°  giorno   60%      a  carico  del  datore  di  lavoro  

dal  4°  al  90°  giorno   60%  a  carico  INAIL  della  retribuzione  media  dei  15  giorni    precedenti  infortunio  

dal  91°  giorno   75%  a  carico  INAIL  della  retribuzione  media  dei  15  giorni      precedenti  l'infortunio  

 Per   vedersi   riconosciuta   un’invalidità   permanente   il   lavoratore   deve   riportare  

residuati   postumi   permanenti   e   l’attitudine   al   lavoro   deve   essere   inficiata   per   una  percentuale  superiore  al  10%  della  sua  capacità  lavorativa  totale.  La  rendita  sarà  calcolata:  1)   Previa  valutazione  medico  legale  del  danno;  

2)   Tenendo  conto  delle  retribuzioni  percepite  dal   lavoratore  nei  12  mesi  precedenti  l’infortunio  (compresa  la  13a).    Nel  caso  di  minor  periodo  lavorativo  la  retribuzione  si  calcola  pari  a  300  volte  la  retribuzione  giornaliera.  

 Altre   prestazioni   erogate   dall’Istituto:   Rendita   provvisoria;   revisione   e  

capitalizzazione  della  rendita;  assegno  per  assistenza  personale  continuativa;   rendita  ai  superstiti;  assegno  funerario  di  passaggio.    

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11.5.1  -­  La  denuncia  di  infortunio  L’art.   52   del   T.U.   1124/65   prevede   che   il   lavoratore   dia   immediata   notizia  

dell’infortunio  al  datore  di  lavoro;  per  le  malattie  professionali  il  termine  è  di  giorni  15.  Il  diritto  alle  prestazioni  si  perde  per  le  denuncie  fatte  dopo  3  anni  dall’evento  lesivo.  Il  datore  di  lavoro  ha  l’obbligo  di  denunciare  l’infortunio  all’INAIL  entro  2  giorni  da  

quello   in   cui   ne   ha   avuta   notizia   a   mezzo   del   certificato   medico.   La   denuncia   va  compilata  su  apposito  modello.   In  caso  di  morte  del   lavoratore   la  denuncia  va   fatta  a  mezzo  telegramma  entro  24  ore  dall’evento.  Per   le  malattie  professionali   la  denuncia  va  presentata  dal  datore  di  lavoro  entro  5  giorni  successivi  a  quello  in  cui  il  lavoratore  ha  informato  il  datore  di  lavoro.    La  c.d.  inchiesta  pretorile  -­‐  Ogni   datore   di   lavoro   deve   dare   notizia   all’autorità   di   P.S.   di   ogni   infortunio   che  

abbia  durata  superiore  a  3  giorni.  L’autorità  di  P.S.  in  caso  di  infortunio  mortale  o  con  inabilità  superiore  a  30  giorni  ne  informa  la  Direzione  Provinciale  del  Lavoro  che  può  procedere  ad  inchiesta  al  fine  di  verificare  le  modalità  dell’infortunio  (D.Lgs.  n.  51  del  1998),   anche   su   richiesta   dell’INAIL   o   dell’infortunato.     La   procedura   d’urgenza   è  richiesta  dall’Istituto  alla  Direzione  Provinciale  del  Lavoro  quando  questo  ritiene  che  l’infortunio   sia   dovuto   a   dolo   dell’infortunato   o   lo   stesso   abbia   aggravato   le  conseguenze.    11.5.2  -­  La  denuncia  di  esercizio  Il   proprietario   di   fabbricato   che   vuole   assumere   lavoratori   dipendenti   deve  

denunciare   l’esercizio   all’Istituto   contestualmente   all’instaurazione   del   rapporto     (o  alla   cessazione).   Ai   fini   della   denuncia   rileva   la   data   di   effettivo   inizio   dell’attività    lavorativa   a   prescindere   dalla   data   di   assunzione   presente   sul   contratto   di   lavoro  stipulato.   In   via   generale   la   contestualità   della   denuncia   non   esclude   che   la   stessa  possa  essere  fatta  anticipatamente.  La  denuncia  deve  essere  fatta  attraverso  il  canale  telematico  dell'INAIL.  Assegnato  il  numero  di  posizione  assicurativa  l’INAIL  comunica  il  grado  del  rischio  

ed   il   premio   relativo   in   funzione   dell’attività   dichiarata.   Ogni   variazione   e   modifica  nell’estensione   del   rischio   va   comunicata   entro   30   giorni   cosi   come   la   cessazione  dell’attività.      11.6  -­  Istituto  nazionale  di  previdenza  sociale  (INPS)  E’   l’ente   di   diritto   pubblico   incaricato   di   gestire   le   Assicurazioni   Generali  

Obbligatorie  (AGO).  Queste  assicurazioni  sono:  l’Indennità  Vecchiaia  per  i  lavoratori  e  Superstiti  (I.V.S.);  

la   disoccupazione   involontaria;   la  malattia   (ordinaria   e   specifica-­‐TBC);   la  maternità;  l’indennità   di   mobilità;   l’integrazione   salariale   ordinaria   e   straordinaria;   gli   Assegni  per  il  Nucleo  Familiare  (A.N.F.).      L’istituto  accerta  e  riscuote  i  contributi  delle  gestioni  affidategli.  L’Istituto   gestisce   inoltre   la   cosidetta   Gestione   Separata   (relativa   a   lavoratori  

autonomi   e   parasubordinati),   operativa   dal   1°   aprile   1996   per   i   non   iscritti   ad   altre  forme  di  previdenza  e  dal  30  giugno  1996  per  gli  iscritti  ad  altre  forme  di  previdenza  e  per  i  già  pensionati.  La   domanda   di   iscrizione   all’INPS   deve   essere   compilata   on-­‐line   e   trasmessa  

telematicamente.   L’INPS   in   funzione   dell’iscrizione   comunicherà   il   settore   di  

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appartenenza  ed  assegnerà  il  numero  di  matricola  che  è  un  numero  composto  di  dieci  caratteri   numerici   dei   quali   i   primi   due   indicano   la   sede   provinciale   i   successivi   sei  sono  numeri  progressivi  e  gli  ultimi  due  il  settore.  L’Istituto  provvederà  ad  attribuire  anche  il  Codice  Statistico  Contributivo  (C.S.C.)  che  è  composto  di  5  caratteri  numerici  dove  il  primo  indica  il  ramo  di  inquadramento  (industria,  artigianato,  commercio,  ecc..)  il   secondo   ed   il   terzo   la   classe   nell’ambito   del   ramo   (es:   ramo   –   industria   ;   classe   –  tessile),  il  quarto  ed  il  quinto  la  categoria  specifica  di  attività  nell’ambito  della  classe  e  del  ramo.  Per  i  proprietari  di  fabbricati  il  C.S.C.  è:  70600  oppure  70601.    11.6.1  -­  Imponibile  contributivo  INPS  Ai   fini   della   determinazione   della   base   imponibile   per   il   calcolo   dei   contributi   di  

previdenza  ed  assistenza  si  considera  retribuzione  tutto  ciò  che  il  lavoratore  riceve  dal  datore  di  lavoro  in  denaro  o  in  natura,  al  lordo  di  qualsiasi  ritenuta,  in  dipendenza  dal  rapporto  di  lavoro”.  La   base   imponibile   per   il   calcolo   dei   contributi   di   previdenza   e   assistenza   e   dei  

premi  INAIL  è  individuata  con  riferimento  alla  normativa  fiscale.  Le  nuove  disposizioni  hanno  fissato  il  principio  in  base  al  quale  i  redditi  qualificati  come  di  lavoro  dipendente  dal   punto   di   vista   fiscale   sono   considerati   allo   stesso   modo   dal   punto   di   vista  contributivo/previdenziale.  La   retribuzione  da  prendere  come  base  non  può  essere   inferiore  all’importo  delle  

retribuzioni   stabilite   da   leggi,   regolamenti   o   contratti   collettivi   stipulati   dalle  organizzazioni   sindacali   maggiormente   rappresentative   sul   piano   nazionale,  riconoscendo   forza   erga   omnes   alla   contrattazione   collettiva,   ai   fini   del   calcolo   dei  contributi  previdenziali  ed  assistenziali.  Le   retribuzioni   devono   essere   confrontate   con   i   minimali   di   legge   ai   fini  

contributivi.  Qualora  la  retribuzione  effettivamente  corrisposta  sia  superiore  ai  minimi  giornalieri   di   legge   resta   confermata,   altrimenti   deve   essere     adeguata   ai   predetti  minimi.    11.6.2  -­  La  liquidazione  delle  prestazioni  da  parte  del  datore  di  lavoro  Sono   quelle   che   il   datore   di   lavoro   è   tenuto   a   liquidare   e   ad   anticiparne   il  

pagamento   al   lavoratore   per   conto   dell’INPS,   e   che,   all’atto   del   versamento   dei  contributi  “conguaglia”  con  le  somme  dovute,  esponendo  i  relativi  codici  ed  importi  sul  modello  di  denuncia  aziendale  mensile  (UNIEMENS).  Si  tratta  di  assegni  integrativi  o  sostitutivi  di  tutta  o  di  parte  della  retribuzione  per  

eventi  o  condizioni  soggettive,  la  cui  gestione  economica  è  affidata  al  datore  di  lavoro  oltre   che   per   evidenti   motivi   pratici   in   ossequio   al   principio   dell’integrità   della  retribuzione  (A.N.F.  malattia/maternità/integrazioni  salariali).  L’assegno  per   il  nucleo   familiare  spetta  per   intero  purché  si   sia   lavorato  nel  mese  

almeno  104  ore  mensili  per  gli  operai  e  130  per  gli  impiegati.  Al  di  sotto  di  tale  soglia  l’A.N.F.   sarà   giornaliero.   I   lavoratori   part-­‐time     devono   aver   lavorato   almeno   24   ore  settimanali.  L’A.N.F.  non  è  assoggettabile  a  prelievo  né  fiscale  né  previdenziale.    La  malattia  -­‐  E’   qualsiasi   evento   morboso   che   comporti   l’incapacità   temporanea   al   lavoro.   La  

gestione  dell’indennità  per  i  profili  A),  C),  D),  è  passata  alla  competenza  delle  specifiche  Casse  previste  dai  CCNL.  Tali  prestazioni  sono  erogate  dal  datore  di   lavoro  per  conto  della  cassa  la  quale  provvede,  terminato  l’evento,  a  rimborsare  quanto  anticipato.  Il   lavoratore   ammalato   è   tenuto   a   trasmettere,   a  mezzo   racc.   A.R.,   o   a   recapitare,  

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entro   due   giorni   dalla   data   del   rilascio,   il   certificato   medico   e   l’attestazione  rispettivamente  alla  Cassa  anzidetta  ed  al  proprio  datore  di  lavoro.  L’indennità  spetta  dal:  -­‐  1°  giorno  per  malattia  di  durata  continuativa  da  15  a  180  giorni;  -­‐  4°  giorno  per  malattia  di  durata  continuativa  sino  a  14  giorni;  Per  il  profilo  B)  la  malattia  è  gestita  dall'Inps.  L’inizio  della  malattia  è  dichiarato  sul  certificato  medico,  dallo  stesso  lavoratore  e,  

solitamente,   coincide   con   il   giorno   della   visita   medica   (e   quindi   di   redazione   del  certificato),   ma   può   anche   essere   il   giorno   immediatamente   precedente.   In   caso   di  omessa  indicazione  della  data  di  inizio  il  quarto  giorno  si  computa  dalla  visita  medica.  In  presenza  di  ricaduta  accertata  dal  medico  curante  entro  30  giorni  dalla  conclusione  del  primo  periodo  di    malattia,  non  si  applica  la  carenza.  Il  lavoratore  ammalato  ha  l’obbligo  della  reperibilità  durante  le  fasce  orarie  10-­‐12  e  

17-­‐19  per  permettere  le  visite  di  controllo  domiciliari  effettuate  su  richiesta  del  datore  di  lavoro  o  su  iniziativa  della  Cassa.    La  maternità  -­‐  La   tutela   della  maternità   si   concretizza,   oltre   che   con   la   difesa  dell’integrità   fisica  

che  prevede  l’interdizione  obbligatoria  pre  e  post-­‐parto,  anche  con  la  corresponsione  di  tre  tipi  di  indennità  connesse  a  tre  fasi  concatenate:  –   Astensione  obbligatoria;  –   Astensione  facoltativa;  

– Permessi  per  allattamento  durante  il  primo  anno  di  vita  del  bambino.    

L’indennità  di  maternità  compete  alle   lavoratrici  nei  confronti  delle  quali  risultino  esistenti  all’inizio  del  periodo  di  assenza  obbligatoria  dal  lavoro  le  seguenti  condizioni:  accertato   stato   di   gravidanza   e   rapporto   di   lavoro   con   corresponsione   in   atto   della    retribuzione.  L‘astensione   obbligatoria   è   prevista   nei   primi   due   mesi   anteriori   al   parto   più  

eventuale  interdizione  dal  lavoro  riconosciuta  dall’Ispettorato,  più  l’eventuale  periodo  intercorrente  tra  la  data  presunta  del  parto  e  quella  effettiva.    Analoga  astensione  per  i  tre  mesi  successivi  al  parto.    L’astensione   facoltativa  spetta  per   la  durata  massima  di  11  (undici)  mesi  fruibili   ininterrottamente  o  in  maniera  frazionata,  entro  otto  anni  di  età   del   bambino  o  dal   suo   ingresso  nella   famiglia   in   caso  di   affidamento  provvisorio  (non  maggiore  di  3  anni).  Astensione  obbligatoria:  80%  della  retribuzione  media  giornaliera  lorda  dell’ultimo  

mese  lavorato.    Astensione  facoltativa:  30%  della  retribuzione  media  giornaliera  lorda,  con   esclusione   dei   ratei   delle   competenze   ultramensili,   per   un   periodo   massimo  complessivo  tra  i  genitori,  di  sei  mesi,  entro  il  terzo  anno  di  età  dl  bambino  (in  caso  di  adozione  o  affidamento,  entro  tre  anni  dall’ingresso  in  famiglia).  In   caso   di   superamento   dei   sei   mesi   e   dal   compimento   del   terzo   anno   fino   al  

compimento  degli  otto  anni  di  età  del  bambino,   l’indennità  spetta  a  condizione  che   il  reddito  individuale  del  genitore  richiedente  non  superi  due  volte  e  mezzo  l’importo  del  trattamento  minimo  pensionistico   in  vigore  a  quella  data.  La  domanda  va  presentata  all’INPS  e  al  datore  di  lavoro.  E’   d’obbligo   per   il   datore   di   lavoro   corrispondere   acconti   pari   ad   almeno   il   50%  

della   retribuzione   percepita   dalla   lavoratrice   il   mese   precedente   l’astensione  obbligatoria.  Le  somme  anticipate  dal  datore  di  lavoro  sono  poste  a  conguaglio  sul  DM  10/02.    

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11.6.3  -­  Il  versamento  e  l’accredito  dei  contributi  Il   corretto  assolvimento  degli  obblighi   contributivi  presuppone  come  abbiamo  già  

visto,   l’esatta  individuazione  della  base  retributiva  imponibile  sulla  quale  applicare  le  aliquote   in   vigore   per   i   specifici   periodi   di   riferimento,   tenuto   conto,   altresì,   dei  minimali   di   retribuzione   vigenti.   Dopo   aver     determinato   le   somme   dovute   occorre  procedere  alla  liquidazione  totale  dei  contributi  tenendo  conto  delle  somme  anticipate  per  conto  dell’istituto.  Dopo   tale   operazione   può   verificarsi   che   la   differenza   sia   una   somma   da   versare  

oppure  che  l’azienda  abbia  titolo  ad  un  rimborso,  avendo  anticipato  per  prestazioni  più  di   quanto   è   tenuta   a   versare.   L’esposizione   di   questi   dati   si   effettua   sui  modelli   DM  10/02.  Il   condominio   quando   assume   lavoratori   dipendenti   ha   l’obbligo   di   iscriversi  

all’INPS  che  è   l’ente  di  diritto  pubblico   incaricato  di  gestire   le  assicurazioni  suddette.  Detto  adempimento  deve  essere  fatto  entro  il  giorno  16  del  mese  successivo  a  quello  in  cui  è  scaduto  il  primo  periodo  di  retribuzione.    11.6.4  -­  La  retribuzione  Di   retribuzione   si   occupa,   all’interno   dell’Ordinamento   italiano,   la   Costituzione  

all’art.   36,   comma   1,   che   stabilisce   che   il   lavoratore   deve   essere   retribuito  proporzionalmente   al   lavoro   svolto   e   sufficientemente   per   poter   aver   una   esistenza  “libera  e  dignitosa“.  La  retribuzione  non  è  quindi  mero  corrispettivo  dell’adempimento  dell’attività,  ma  

dell’impegno   profuso   personalmente   nell’attività,   tant’è   che   il   lavoratore   viene  retribuito  anche  quando  non  adempie  all’obbligazione  (ferie,  permessi..);   la  disciplina  legale   o   contrattuale,   infatti,   impone   al   datore   di   lavoro   di   retribuire   comunque   il  lavoratore  anche  se  questo  non  effettua  la  controprestazione,  contrariamente  a  quanto  normalmente  avviene  nei  contratti  sinallagmatici.  I  principi  costituzionali  sanciti  espressamente  dall’art.  36  della  Costituzione  sono  la  

proporzionalità  e  la  sufficienza.  Sufficienza:  al  lavoratore  deve  essere  garantita  una  retribuzione  che  possa  attuare  il  

programma  sociale  individuato  dall’art.  3  della  Costituzione,  proporzionata  anche  alle  concrete  esigenze  del  singolo  lavoratore  e  della  propria  famiglia.  Proporzionalità:   la   quantità   dell’ammontare   della   retribuzione   non   è   relazionata  

soltanto  al  tempo  del  lavoro  svolto,  ma  anche  dalla  qualità  della  prestazione  in  termini  di  difficoltà,  importanza  e  complessità,  nonché  di  responsabilità.  Il   Codice   Civile   all’art.   2121   definisce   la   retribuzione   (ai   fini   del   calcolo  

dell’indennità   di  mancato   preavviso)   come   “le   provvigioni,   i   premi   di   produzione,   le  partecipazioni  agli  utili  e  ai  prodotti  ed  ogni  altro  compenso  di  carattere  continuativo,  con  l’esclusione  di  quanto  è  corrisposto  a  titolo  di  rimborso  spese”.  La  giurisprudenza,  invece,  nel  ricostruire  il  concetto  di  retribuzione,  si  è  consolidata  

attorno   al   c.d.   concetto   unitario   o   onnicomprensivo   di   retribuzione:   sarebbero   voci  retributive   tutti   i   compensi   erogati   dal   datore   di   lavoro   in   modo   determinato   (in  misura   fissa   o   variabile),   obbligatorio   (escluse   le   liberalità),   corrispettivo   (in  correlazione  causale  con  il  rapporto  di  lavoro)  e  continuo  (cioè  con  regolarità).  La  retribuzione  minima  dei  dipendenti  dei  proprietari  dei  fabbricati  è  determinata  

in  base  a  quanto  stabilito  dai  CCNL  come  riportato  in  tabelle  allegate  agli  stessi.  La  retribuzione  può  avvenire  in  denaro  ed  in  natura.  Alla   retribuzione   ordinaria   vanno   aggiunte   le   competenze   che  maturano   anche   in  

caso  di  assenze  giustificate  (13a,  ferie,  permessi,  trattamento  di  fine  rapporto).  Di  seguito  vengono  elencati  gli  elementi  della  retribuzione  e  la  loro  imputabilità  ai  

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fini  previdenziali,  fiscali  ed  ai  fini  della  maturazione  del  Trattamento  di  Fine  Rapporto  (T.F.R.):    VOCE   INPS   IRPEF   TFR  Salario   100%   100%   100%  Indennità  di  scala  mobile   100%   100%   100%  Indennità  supplementari   100%   100%   100%  Indennità  di  alloggio  (1)   100%   100%   100%  Lavoro  straordinario  (2)   100%   100%   Solo  se  continuo  Indennità  di  esazione   100%   100%   100%  Assegni  di  malattia   0   100%   100%  Assegni  di  maternità  INPS   0   100%   100%  Assegni  di  infortunio  INAIL   0   100%   100%  Giorni  di  carenza  di  malattia   100%   100%   100%  Permessi  non  goduti   100%   100%   0  13a  mensilità   100%   100%   100%  Preavviso  lavorato   100%   100%   100%  Indennità   sostitutiva   di  

preavviso  100%   Tassaz.  Separata   0  

Liquidazione  T.F.R.   0   Tassaz.  Separata    Note  (1)   Per   i   fabbricati   concessi   ai   portieri   si   deve   calcolare   il   30%   della   rendita   catastale  

dell’immobile   aumentandola   di   tutte   le   spese   inerenti   comprese   le   utenze   non   a   carico   del  dipendente  (si  considera  il  reddito  figurativo  se  superiore  ad  euro  258,23  annue).  

(2)  Non  consentito  per  i  portieri  con  alloggio  (va  recuperato  in  ore).    La  contribuzione  dovuta  all’INPS  Sulla  base  della  retribuzione  mensile  come  sopra  determinata,  che    non  può  essere  

inferiore  al  minimale  stabilito,  si  deve  versare  attraverso  la  delega  di  pagamento  F24  e  descritta  sul  mod.  DM10/2.    I  contributi  sono  i  seguenti:     Operai      40,27%   Portieri    37,13%        Di  cui  a  carico  del  lavoratore   9,19%   8,84%    Evidenziazione  dei  lavoratori  sul  DM10/2  –  PORTIERI   nella  casella  OPERAI  –  PULITORI  (tempo  pieno)   nella  casella  OPERAI  –  PULITORI  (part-­‐time)   (1°  rigo  bianco)  cod.194    11.7  -­  La  tassazione  IRPEF  sui  redditi  di  lavoro  dipendente  Il  condominio  è  sostituto  di   imposta  con  obblighi  di  accertamento,  dichiarazione  e  

liquidazione   delle   imposte   sul   reddito   delle   persone   fisiche;   tutte   le   retribuzioni  devono   essere   assoggettate   a   tassazione   mensilmente   con   trattenuta   da   quanto  corrisposto  al  lavoratore  in  ciascun  periodo  di  paga.  La   tassazione   viene   determinata   sull’imponibile   dato   dalla   retribuzione   lorda   al  

netto  di  quanto  trattenuto  per  quota  a  carico  del  lavoratore  dovuta  all’INPS.  Una   volta   quantificato   l’imponibile   fiscale   (reddito   complessivo   meno   gli   oneri  

deducibili  e  la  rendita  per  l’abitazione  principale),  per  ottenere  l’imposta  lorda  occorre  applicare   a   detto   importo   l’aliquota   corrispondete   alla   fascia   di   reddito   determinata  moltiplicando  l’aliquota  IRPEF  per  il  reddito  imponibile  (dato  dal  reddito  complessivo  

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a   cui   si   sottraggono   gli   oneri   deducibili   e   la   rendita   per   l’abitazione   principale).   In  seguito  alla  tassazione  lorda  si  sottraggono  le  detrazioni  (per  tipologia  di  reddito,  per  familiari  a  carico,  per  oneri  sostenuti  ecc.)  e  si  ottiene  la  tassazione  netta.      

Reddito  Complessivo  

 –  Oneri  deducibili  e  rendita  abitaz.  Principale  

 =  Reddito  imponibile  

 x  

 aliquote  

 =  IRPEF  lorda  

 IRPEF  lorda  

 –      DETRAZIONI  

 =  Per  tipologia  di  reddito  per  familiari  a  carico    per  oneri  sostenuti    familiari  a  carico    altre  

 =    IRPEF  NETTA  

   Mensilmente   la   ritenuta   così   determinata,   viene   operata   sulla   busta   paga   del  

lavoratore  e  versata  con  la  delega  F24  riportando  il  codice  tributo  1001,  entro  il  giorno  16   del  mese   successivo   a   quello   di   pagamento   della   retribuzione.  Non   c’è   obbligo   di  versamento  con  modalità  telematiche.  Entro   il   15   marzo   di   ogni   anno   per   l’anno   appena   trascorso   il   datore   di   lavoro    

dovrà  consegnare  ai  dipendenti  il  modello  C.U.D.  riepilogante  i  compensi  corrisposti,  le  ritenute   operate   e   le   detrazioni   riconosciute   nonché   l’ammontare   assunto   per  imponibile   del   trattamento   di   fine   rapporto.   Il   modello   C.U.D.   relativo   alle   somme  corrisposte   nell’anno   precedente   ha   anche   la   funzione   di   riepilogativo   contributivo  consegnato  al  dipendente  in  quanto  figurano  gli  imponibili  contributivi,  i  mesi  lavorati,  le   assicurazioni   sociali,   il   tipo   di   rapporto   e   quant’altro   necessario   al   rapporto   con  l’INPS.  Entro  il  28  febbraio  dell’anno  successivo  si  deve  effettuare  il  conguaglio  di  fine  anno  

per  tutti  i  redditi  percepiti  dal  lavoratore  fino  al  12  gennaio  prendendo  per  base  tutte  le   retribuzioni   imponibili   fiscalmente   sommando   tutte   le   eventuali   indennità  corrisposte  per  infortunio  e/o  malattia  e  considerando  le  detrazioni  anzidette.  Si  dovrà  altresì  provvedere  a  determinare  l’addizionale  regionale  e,  se  deliberata  dal  comune  di  residenza   del   lavoratore,   l’addizionale   comunale   che   dovranno   essere   versate   in   11  rate  mensili  uguali  e  successive.    11.8  -­  La  risoluzione  del  rapporto  di  lavoro  Il   rapporto  di   lavoro   si   può   risolvere  per   estinzione  o  per   risoluzione.   Si   estingue  

quando   la   causa   si   è   realizzata   in   pieno   (esempio:   rapporto   di   lavoro   a   tempo  determinato   per   sostituzione   del   lavoratore   in   ferie).   Quando   invece   intervengono  degli  elementi  “perturbatori”  la  causa  non  si  realizza  e  si  ha  la  risoluzione  del  rapporto  per  impossibilità  sopravvenuta  o  per  inadempimento  della  prestazione.  Per   definire   la   cessazione   del   rapporto   di   lavoro,   va   chiarito   che   se   la   cessazione  

proviene  dal  datore  di  lavoro  parleremo  di  licenziamento,  se  proviene  dal  lavoratore  di  dimissioni.  Nei   contratti   a   tempo   determinato,   sia   il   licenziamento   che   le   dimissioni,   devono  

essere   preceduti   dal   preavviso.   Le   cause   che   fanno   cessare   un   rapporto   di   lavoro   a  tempo  determinato  possono  essere:  –   La  scadenza  del  termine;  –   Il  compimento  del  lavoro;  

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–   La  risoluzione  legale;  –   Il  recesso  per  giusta    causa;  –   Il  recesso  per  giustificato  motivo.    Il  rapporto  a  tempo  indeterminato  è  visto  con  maggior  favore  sia  dal  legislatore,  sia  

dalla   contrattazione   collettiva   perché   garantisce   la   conservazione   del   posto,   la  maturazione  di  una  maggiore  indennità  di  anzianità  o  trattamento  di  fine  rapporto.    11.8.1  -­  Il  licenziamento  La  motivazione  più  frequente  del   licenziamento  riguarda  comportamenti  colposi  o  

dolosi   del   lavoratore,   la   cui   gravità   non   consente   la   prosecuzione   del   rapporto   di  lavoro   per   via   della   lesione   del   vincolo   fiduciario.   In   relazione   alla   gravità   della  condotta,  nel  diritto  italiano  si  distingue  tradizionalmente  tra  licenziamenti  per  “giusta  causa”  e  per  “giustificato  motivo”.  –   giusta   causa:   un   concetto   usato   dal   codice   civile   italiano   (art.   2119   c.c.)   per  

riferirsi  ad  un  comportamento   talmente  grave  da  non  consentire   la  prosecuzione  del  rapporto  neppure  a  titolo  provvisorio  (in  sostanza:  neppure  per  il  tempo  previsto  per  il   preavviso   di   licenziamento).   In   queste   ipotesi,   il   datore   può   licenziare   in   tronco,  senza  dare  alcun  preavviso.  –   giustificato  motivo   soggettivo:   è   un’ipotesi  meno   grave  di   inadempimento  degli  

obblighi   contrattuali,   che   giustifica   il   licenziamento   ma   con   l’obbligo   da   parte   del  datore   di   lavoro   di   concedere   il   preavviso   previsto   (ovvero   di   pagarne   il   relativo  ammontare).  –   giustificato   motivo   oggettivo:   è   reso   necessario   da   una   riorganizzazione   del  

lavoro,   da   ragioni   relative   all’attività   produttiva   (innovazioni   tecnologiche,   modifica  dei   cicli   produttivi,   ecc.),   ovvero   da   una   crisi   aziendale.   Nelle   ipotesi,   cioè,   in   cui  l’azienda,  per  vari  motivi,  non  ricava  più  utilità  dal  lavoro  svolto  da  quel  dipendente,  o,  in  generale,  da  una  categoria  di  dipendenti.  Per  ragioni  di  natura  economica  o  tecnica,  il  datore  può  quindi  decidere  di  licenziare  uno  o  più  lavoratori.  Il   licenziamento  può  essere  impugnato  con  qualsiasi  atto  scritto  entro  60  giorni.   Il  

lavoratore   può   chiedere   la   specifica   dei   motivi   che   hanno   determinato   il   suo  licenziamento  e  quindi  ci  sono  delle  garanzie  per  la  conservazione  del  posto;  non  solo,  ma  può  esserci  la  reintegrazione  nel  posto  di  lavoro  quando  il  Giudice  del  Lavoro,  una  volta  adito,  dovesse  riscontrare  che  non  era  previsto  come    giustificato  motivo  o  giusta  causa  l’allontanamento  del  lavoratore.  Il   preavviso   è   un   atto   dovuto   ed   è   determinato   dall’anzianità   di   servizio   del  

lavoratore,  dalla  qualifica  e  dall’età.    Il  preavviso  è  obbligatorio  tranne  che  nel  periodo  di   prova.     Una   risoluzione   anticipata   prevede   il   pagamento   al   lavoratore   di   un  indennità  sostitutiva.    11.8.2  -­  Tutela  obbligatoria  contro  i  licenziamenti  illegittimi  Qualora   il   licenziamento   dichiarato   illegittimo,   a   seguito   di   ricorso   giudiziale,   sia  

stato   intimato   da   aziende   di   dimensioni   ridotte   (sino   a   15   dipendenti),   come   nella  quasi   totalità   dei   condomini,   la   sentenza   stabilisce   un   obbligo   alternativo   in   capo   al  datore  di  lavoro  (art.  8  legge  n.  604/66),  il  quale  può  scegliere  tra:  –   riassumere  il  lavoratore  entro  tre  giorni  dalla  pubblicazione  della  sentenza;  

–   ovvero   pagare   all’ex   dipendente   una   indennità   risarcitoria,   compresa  tra  2,5  e  6  mensilità  (estensibile  sino  a  10  per  i  lavoratori  con  almeno  dieci  anni  di   anzianità,   e   fino   a   14   per   i   dipendenti   in   servizio   da   più   di   venti   anni).   La  misura  dell’indennità  è  stabilita  dal  giudice  sulla  base  dell’anzianità  di  servizio,  

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delle  dimensioni  aziendali,  nonché  al  comportamento  tenuto  dalle  parti.    11.8.3  -­  Le  dimissioni  Le  dimissioni  sono   l’atto  con  cui  un   lavoratore  dipendente  recede  unilateralmente  

dal  contratto  che  lo  vincola  al  datore  di  lavoro.  Nell’ordinamento   italiano,   le   dimissioni   si   configurano   come   una   facoltà   del  

lavoratore,  che  può  essere  esercitata  senza  alcun  limite,  con  il  solo  rispetto  dell’obbligo  di  dare  il  preavviso  così  come  stabilito  dai  contratti  collettivi.  L’atto   ha   effetto   al  momento   in   cui   viene   a   conoscenza   del   datore   di   lavoro.   Non  

rileva   in   alcun   modo   l’eventuale   dissenso   del   datore.   L’eventuale   revoca   delle  dimissioni  è  efficace,  secondo  le  regole  generali  (art.  1328  c.c.),  solo  se  è  comunicata  al  datore  di  lavoro  prima  che  quest’ultimo  abbia  avuto  notizia  dell’atto  di  recesso.  L’ordinamento   italiano   non   prevedeva   forme   particolari   per   le   dimissioni,   che  

potevano,  quindi,   essere  presentate  anche  oralmente.   I   requisiti  di   forma  sono,  però,  spesso  dettati  dai  contratti  collettivi,  che  possono  imporre  l’onere  della  forma  scritta  a  tutela  del  lavoratore.    11.8.4  -­  Il  trattamento  di  fine  rapporto  In   tutti   i   casi   di   cessazione   del   rapporto   di   lavoro   subordinato   deve   essere  

corrisposto  al  lavoratore  il  trattamento  di  fine  rapporto.  Il   calcolo   deve   essere   aggiornato   annualmente   per   poter   individuare   la  

rivalutazione   del   TFR   (75%   aggiornamento   ISTAT   +   misura   fissa   1,50%)   da  assoggettare   ad   imposta   sostitutiva   11%   da   imputare   a   riduzione   dello   stesso  accantonamento.  L’imposta   deve   essere   versata   annualmente   (anche   se   il   rapporto   di   lavoro  

continua)   entro   il   16   dicembre   in   acconto   sul   90%   della   rivalutazione   maturata  nell’anno  di    riferimento  ed  il  saldo  entro  il  28  febbraio  successivo.      11.9  -­  L’Amministratore/datore  di  lavoro  L’Amministratore   riveste   la   figura   di   datore   di   lavoro   di   ogni   figura   assunta   alle  

dirette  dipendenze  del  condominio.  Da  ciò  derivano,  ex   lege,  adempimenti,  obblighi  e  responsabilità  propri  della  funzione  assunta.  Si  pensi  per  esempio  alla  Circolare  esplicativa  del  Ministero  del  Lavoro  n.  28  del  5  

marzo   1997   che   al   punto   n.   1   individua   come   datore   di   lavoro   l’amministratore   pro  tempore   che   ha   alle   sue   dipendenze   lavoratori   subordinati:   e   tali   sono   non   soltanto  quelli   stricto   sensu   intesi,  ma  anche   i   lavoratori   con  rapporto  contrattuale  privato  di  portierato  e  “tutti  i  lavoratori  subordinati  che  prestino  la  loro  attività  nell’ambito  di  un  condominio,   con  mansioni   affini   a   quelle   dei   portieri”   (nel   disimpegno   del   servizio   di  pulizia-­‐scale,  o  di  quello  di  giardinaggio,  ecc.),  beninteso  restando  esclusi  coloro  i  quali  “prestino  la  loro  attività  con  contratto  di  lavoro  autonomo”.    11.9.1  -­  Adempimenti,  obblighi  Gli   adempimenti   che   l’amministrazione   condominiale   deve   mettere   in   atto   sono  

quelli  tipici  del  datore  di  lavoro  nei  confronti  del  lavoratore  dipendente:  dalla  lettera  di  assunzione,   alla   sottoscrizione   del   contratto   di   lavoro,   sino   a   quelli   previdenziali   e  fiscali  (vedi  sub.  11.4).  Gli   obblighi   dell’amministratore/datore   di   lavoro   nei   confronti   dei   lavoratori  

subordinati  sono  essenzialmente:  –   Obbligo  di  corrispondere  il  trattamento  economico  e  normativo  dovuto:  e  

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cioè  la  retribuzione  (art.  2099  c.c.),  con  i  relativi  accessori,  e  di  provvedere  agli  obblighi   previdenziali   e   assistenziali   previsti   dalla   legge   e   dal   contratto  collettivo;  –   Obbligo  di   sicurezza:   il   datore  di   lavoro   (ex   art.   2087   c.c.)   è   tenuto  ad  

adottare   nell’esercizio   dell’impresa   le   misure   che,   secondo   la   particolarità   del  lavoro,   l’esperienza  e   la   tecnica,   sono  necessarie  a   tutelare   l’integrità   fisica  e   la  personalità   morale   dei   prestatori   di   lavoro.   L’ultima   norma   in   merito   di  sicurezza   sui  posti  di   lavoro  è   il  D.Lgs.  81/2008  che   stabilisce  gli   adempimenti  obbligatori  del  datore  di  lavoro;  –   Obbligo   di   tutelare   la   riservatezza   del   lavoratore:   dovere   impedire   a  

terzi  l’accesso  si  dati  personali  riservati  del  prestatore  di  lavoro  (le  sue  opinioni  politiche,   sindacali   o   religiose)   così   come   statuito   dal   D.Lgs.   196/2003   in  analogia  all’art.  8  della  legge  n.  300  del  20  maggio  1970  (Statuto  dei  lavoratori);  –   Obbligo  di  informazione:  nei  confronti  del  prestatore  di  lavoro  (al  quale  

devono   essere   comunicati   qualifica,   mansioni,   periodi   di   ferie,   prospetto   paga  ecc.),  e  nei  confronti  del  sindacato  che  deve  essere  informato  non  solamente  sul  rapporto  di  lavoro  in  corso  di  svolgimento,  ma  anche  sulla  gestione  complessiva;  –   Obbligo  di  accertamenti  sanitari:  prima  dell’assunzione  o  in  costanza  di  

rapporto  nei  casi  in  cui  la  legge  ne  preveda  la  sorveglianza  obbligatoria.    11.9.2  -­  Responsabilità  civile  e  penale  La  violazione  di  obblighi  summenzionati  può  essere  fonte  sia  di  responsabilità  civile  

(di   natura   contrattuale  nei   confronti   del   condominio,   di   natura   extracontrattuale  nei  confronti  dei  terzi  danneggiati),  sia  di  responsabilità  penale  (principalmente  in  merito  alla   sicurezza)   nel   caso   dell’insorgere   di   una   situazione   di   pericolo   che  l’amministratore/datore  di  lavoro  ha  l’obbligo  di  eliminare.  La   giurisprudenza   penale,   ha   spesso   analizzato   le   responsabilità  

dell’amministratore,   con   particolare   riferimento   ai   reati   che   trovano   fondamento  nell’art.   40,   comma2,   del   Codice   Penale:   “non   impedire   un   evento   che   si   ha   l’obbligo  giuridico  di  impedire  equivale  a  cagionarlo”.  Il  risultato  è  che  l’amministratore  è  penalmente  responsabile  in  tutti  quei  casi  in  cui  

non  si  attivi  con  la  necessaria  urgenza  per  rimuovere  quelle  situazioni  di  pericolo  per  l’incolumità  delle  persone,  derivante,  per  esempio  dalla  rovina  delle  parti  comuni  dello  stabile  (Cass.  Pen.,  sez.  I,  20  novembre  1996,  n.  9866).  L’amministratore   è   infatti   titolare   “ope   legis”,   non   solo   del   dovere   di   erogazione  

delle   spese   attinenti   alla   manutenzione   ordinaria   e   alla   conservazione   delle   parti   e  servizi  comuni  dell’edificio,  ai  sensi  dell’art.  1130  nn.  3  e  4  c.c.,  ma  anche  del  potere  di  “ordinare   lavori   di  manutenzione   straordinaria   che   rivestano   carattere   urgente”   con  l’obbligo   di   “riferirne   nella   prima   assemblea   dei   condomini”,   ai   sensi   dell’art.   1135  comma   2   c.c.,   di   talché   deve   riconoscersi   in   capo   allo   stesso   l’obbligo   giuridico   di  attivarsi   senza   indugio   per   la   eliminazione   delle   situazioni   potenzialmente   idonee   a  cagionare  la  violazione  della  regola  del  “neminem  laedere”  ex  art.  2043  c.c.  (Cass.  Pen.,  sez.  I,  25  febbraio  2003,  n.  9027).    11.9.3  Il  potere  disciplinare  Il   potere   disciplinare   indica   la   facoltà   del   datore   di   lavoro   di   irrogare   sanzioni   al  

lavoratore  che  venga  meno  ai  suoi  doveri  contrattuali,  e  precisamente  agli  obblighi  di  diligenza,  obbedienza  e  fedeltà,  sanciti  dagli  artt.  2104  e  2105  del  c.c..  In   tal  senso  detto  potere  assume  una   funzione  preventiva  diretta  a  ristabilire,  con  

immediatezza   e   celerità,   l’ordinato   svolgimento   dell’attività   lavorativa   turbato   dalle  

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inadempienze  del  lavoratore.  I  presupposti  che  condizionano  il  legittimo  esercizio  del  potere  disciplinare  sono  

–   la  sussistenza  e  l’imputabilità  del  fatto:  l’onere  della  prova  in  ordine  alla  sussistenza   del   fatto   spetta   al   datore.   Qualora   il   prestatore   ritenga   che   il   fatto  contestatogli   non   gli   sia   imputabile   (ad   es.   per   forza   maggiore,   caso   fortuito,  condotta  di  terzi,  ecc.),  è  tenuto  a  dimostrare  le  ragioni  della  non  imputabilità  .;  –   l’adeguatezza  della  sanzione:  il  requisito  della  proporzionalità,  previsto  

dall’art.   2106   c.c.,   vieta   al   datore   di   lavoro   di   applicare   sanzioni   non  proporzionate  all’indebito  contestato.  Di  norma  i  contratti  collettivi  prevedono  le  sanzioni   comminabili   a   fronte   di   determinate   condotte   illegittime.   In   questo  caso,   il   datore   non   può   applicare   sanzioni   più   gravi   di   quelle   stabilite   dalla  contrattazione  collettiva;  –   i  limiti  alla  rilevanza  della  recidiva:  ovvero  l’impossibilità  di  prendere  in  

considerazione   precedenti   sanzioni   disciplinari   dopo   2   anni   dalla   loro  applicazione;  –   la   determinazione   del   codice   disciplinare   e   la   sua   affissione   in   luogo  

accessibile  a  tutti  i  lavoratori,  ovvero  previsione  di  comportamenti  cui  consegue  una  sanzione.  

 Tipi  di  sanzione  -­  La  tipologia  delle  sanzioni,  così  come  ricavata  dalla  prassi  contrattuale  prevede:  –   il  richiamo  verbale;  –   l’ammonizione  scritta;  

–   la  multa:  non  può  essere  comminata  per  un  importo  superiore  a  4  ore  della  retribuzione  base;  –   la  sospensione  dal   lavoro  e  dalla  retribuzione:  non  può  essere  disposta  

per  un  periodo  superiore  a  10  giorni;  –   il  licenziamento  (cosiddetto  disciplinare).    Procedura  -­  Il  datore  di  lavoro  non  può  adottare  alcun  provvedimento  disciplinare  nei  confronti  

del  lavoratore  senza  avergli  preventivamente  contestato  l’addebito  e  specificato  i  fatti  imputati  con  precisione.  Dopo   la   contestazione   dell’addebito   il   datore   è   tenuto   a   sentire   oralmente   il  

lavoratore   che   ne   faccia   richiesta   e   a   ricevere   le   sue   eventuali   difese   scritte  concedendogli  un  termine  non  inferiore  a  5  giorni.  Il   lavoratore   può   tutelarsi   nei   confronti   del   provvedimento   disciplinare   con   un  

ricorso  al  Tribunale  in  funzione  di  Giudice  del  Lavoro  (dopo  aver  esperito  il  tentativo  obbligatorio   di   conciliazione),   con   una   procedura   arbitrale   preso   la   Direzione  provinciale  del  lavoro,  ovvero  con  analoghe  procedure  arbitrali  previste  nel  C.C.N.L.                      

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MODULO  N.  12    

Le  piscine  (Laura  Gonnellini)  

   

In  alcuni  edifici  condominiali  più  moderni,  soprattutto  nelle  località  di  villeggiatura,  si   trova   talvolta   anche   una   piscina   destinata   ai   condomini.   La   presenza   della   piscina  condominiale   senza   dubbio   impreziosisce   la   situazione   complessiva   dell’edificio,  fornendo   ai   condomini   un’utilità   in   più,   ma   determina   anche   ulteriori   problemi   per  quanto   riguarda   il   suo   uso,   la   ripartizione   delle   spese   e   soprattutto   la   questione  fondamentale   della   responsabilità   per   i   danni   che   gli   utenti   eventualmente   possono  subire  a  seguito  del  suo  uso.    Inoltre,  come  in  ogni  situazione  di  convivenza,  la  piscina  può  essere  fonte  di  litigi  tra  

i   condomini.   Per   questi   motivi,   l'assemblea   condominiale   o   il   regolamento   di  condominio   debbono   disciplinare   in   maniera   chiara   le   modalità   di   utilizzo,   anche   se  questo  non  potrà  escludere  contrasti  tra  i  condomini.      12.1-­  Definizione  Si   definisce   piscina   un   complesso   attrezzato   per   la   balneazione   che   comporti   la  

presenza   di   uno   o   più   bacini   artificiali   utilizzati   per   attività   ricreative,   formative,  sportive  e  terapeutiche  esercitate  nell’acqua  contenuta  nei  bacini  stessi.  Né  esistono  di  varie  tipologie:  posso  essere  di  proprietà  pubblica  o  privata  destinate  

ad  un’utenza  pubblica;  piscine  pubbliche  (come  le  comunali),  piscine  ad  uso  collettivo  (alberghi,   palestre,   complessi),   piscine   ad   uso   speciale   (stazioni   termali),   piscine  condominiali  (art.  1117  c.c.)  sono  destinate  esclusivamente  ai  condomini  e  suoi  ospiti.        12.2-­  Normativa  applicabile  Dal   punto   di   vista   normativo   non   esiste   una   disciplina   apposita   che   riguardi   le  

piscine  c.d.  condominiali  ossia  le  piscine  facenti  parte  di  un  complesso  condominiale.  Le   piscine   condominiali   essendo   destinate   ad   una   collettività   sono   equiparate   dalla  dottrina   e   dalla   giurisprudenza   alle   piscine   pubbliche   per   quel   che   riguarda   la  normativa  applicabile.  La   disciplina   base   in   materia   è   costituita:   dall’Atto   d’intesa   tra   Stato   e   Regioni,  

proposto   nel   1992   dal   Ministero   della   Sanità,   relativo   agli   aspetti   igienico   sanitari  concernenti   la   costruzione,   la   manutenzione   e   la   vigilanza   delle   piscine   ad   uso  natatorio”   (pubblicato   nella   G.U.   il   17.2.92);   dal   D.M.   18.3.96   dettante   norme   di  sicurezza   per   la   costruzione   e   l’esercizio   di   impianti   sportivi   e,   da   ultimo,   dall’atto  d’intesa  Stato  Regioni  del  16.01.2003.  Alla   luce   di   tali   atti,   che   non   costituiscono   norme   giuridiche   in   senso   stretto   con  

valore  vincolante  per   la  generalità  dei  destinatari,   si   ritiene  di   applicare   la  normativa  delle   piscine   pubbliche   anche   a   quelle   condominiali   che   impongono   la   presenza   del  bagnino  nella  piscina.  Qualora   l’atto   d’intesa   non   sia   stato   recepito   dalle   singole   Regioni,   come   nel   caso  

della   Regione   Lazio,   è   chiaro   che   non   vi   è   nessun   vincolo   di   legge   a   carico   del  condominio  che  imponga  la  presenza  di  un  bagnino  nella  piscina  condominiale.    Per  eseguire   la  progettazione  di  una  piscina  servono  delle  specifiche  competenze  e  

deve   essere   eseguita   con   molta   cura   vista   la   delicatezza   della   materia.   La   sua  

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realizzazione  deve  rispettare  regole  e  normative  per  non  avere  in  seguito  problemi  di  difficile   soluzione,   sia   strutturali   che   impiantistici.   Occorre   per   la   progettazione,   fare  una  distinzione  tra:  piscine  private,  dove  non  esiste  una  normativa  tecnica  obbligatoria  a  cui  fare  riferimento;  piscine  pubbliche,  semipubbliche,  condominiali  o  quelle  inserite  in  strutture  turistiche  ricettive  per  cui  devono  essere  applicate  le  norme  UNI  n.  10637  e  UNI   EN   n.   15288   –   1/2,   dove   vengono   stabiliti   i   requisiti   di   sicurezza   per   la  progettazione.    12.3-­  Autorizzazioni  necessarie  per  costruire  una  piscina  La   normativa   italiana   in   merito   è   molto   confusa   e   spesso   viene   interpretata   non  

correttamente.   In  ogni   regione  e  spesso   in  molti   comuni   le  normative  sono  diverse  e  non  consentono  di  avere  un  indirizzo  univoco  su  quali  autorizzazioni  siano  necessarie.  In  ogni  caso  per  costruire  una  piscina  è  necessaria  un’autorizzazione  e  vediamo  quali  occorrono:  

permesso   di   costruire.   Necessario   per   tutti   gli  interventi   di   nuova   costruzione,   che   comportano   una  trasformazione   edilizia   urbanistica   del   territorio,   sia   per   opere  realizzate  fuoriterra  che  per  quelle  interrate.  In  merito  ai  lavori  per  la   costruzione   delle   piscine,   la   Cassazione   penale   sez.III,   con   due  sentenze  del   27   settembre  2000  n.   12288   e   del   29   aprile   2003  n.  26197  ha  chiarito  che  occorre  il  permesso  di  costruire.    

D.I.A.   (Denuncia   inizio   attività)   ora   sostituita   dalla  S.C.I.A.   Se   la   costruzione   della   piscina,   intesa   come   opera  pertinenziale,   supera   il   volume   del   20%  del   fabbricato   principale,  viene  considerata  nuova  costruzione  ed  è  necessario  il  permesso  di  costruire   oppure   se   la   zona   è   sottoposta   a   vincoli   urbanistici   o   di  particolare   pregio.   Se   dopo   30   giorni   dalla   presentazione   non   si  riceve   risposta   dall’autorità   comunale   il   titolo   costituisce  autorizzazione   a   costruire   ed   ha   lo   stesso   valore   giuridico   del  permesso  di  costruire.    

 12.4-­  L’uso  Se   non   è   specificato   nel   regolamento   condominiale,   l'assemblea,   per   assicurare  

l'igiene,   la  sicurezza,  ed  ottimizzare  il  godimento  del  bene,  deve  poi  disciplinare   l'uso  della   piscina,   tramite   un   regolamento   di   servizio   che   preveda   limitazioni   di   orario,  capienza   di   utilizzatori   ed   eventuali   turni,   la   possibilità   di   far   accedere   ospiti   dei  condomini,  ecc..  I  condomini  debbono  attenersi  al  regolamento  interno,  igienico  e  di  sicurezza,  della  

piscina   affisso   in   prossimità   dell’ingresso   dell’impianto   natatorio.Nel   regolamento  sono   disciplinate,   fra   l’altro,   le   modalità   di   accesso   alla   vasca,   la   sua   capienza,   il  periodo,   in   cui   è   consentito   l'accesso   all'impianto   e   l’orario   di   funzionamento;   le  indicazioni  minime  del  regolamento  di  uso  della  piscina  sono  le  seguenti:  

raccomandazione  di  non  bagnarsi  a  meno  di  tre  ore  dal  pasto;   segnalazione  della  presenza  o  assenza  del  servizio  di  assistenza  bagnanti;   ubicazione  dei  servizi  igienici;   periodo  di  accesso  ed  orario;   profondità  dell'acqua  ed  eventuali  punti  a  profondità  ridotta;  

divieto  di   ingresso  ai  minori  di  12  anni   se  non   sono  accompagnati  da  maggiorenni;  

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obbligo  di  doccia  e  di  pediluvio  prima  di  bagnarsi;   divieto  di  effettuare  tuffi  (se  non  in  presenza  di  strutture  adeguate).  L'amministratore  condominiale  o,  se  nominato,  il  responsabile  dell'impianto,  dovrà  

occuparsi   del   funzionamento   della   piscina   non   solo   da   un   punto   di   vista   gestionale-­‐organizzativo,   ma   anche   dal   punto   di   vista   tecnologico   quindi   avrà   l'obbligo   di  verificare   il   rispetto   dei   requisiti   igienico   sanitari,   incluse   le  procedure   di  autocontrollo,   le   pulizie   e   la   disinfezione   e   deve   tenere   aggiornato   il   documento   di  valutazione  dei  rischi.  La  piscina  condominiale  è  soggetta  anche  a  controlli  esterni,  effettuati  dall’Azienda  

Sanitaria   Locale   di   competenza,   la   quale   deve   effettuare   prelievi   dell’acqua   per  verificare  che  corrispondano  ai  valori  stabiliti  dalla  competente  regione.  Qualora  venga  accertato  che  non  sono  garantiti  i  requisiti  stabiliti  possono  essere  inflitte  sanzioni  ed  anche  la  chiusura  dell’impianto.  Per   quanto   riguarda   l’uso   della   piscina   il   problema   fondamentale   riguarda   la  

possibilità   o  meno   che  un   condomino  possa   invitare   ospiti   (estranei   al   condominio).  Poiché   la   piscina   costituisce   una   cosa   comune,   in   proposito   trova   applicazione   l’art.  1102  cod.  civ.,  che  consente  a   tutti   i  condomini  di  usare   il  bene  condominiale  purché  l’uso   che   ne   viene   fatto   non   impedisca   agli   altri   partecipanti   di   farne   pure   pari   uso  secondo  il  loro  diritto.  In  una  decisione  non  molto  recente  (Pret.  Roma  13  luglio  1989)  è  stato  individuato  un  limite  al  diritto  di   invitare  gli  ospiti  nella  piscina  condominiale  ed  è  stato  deciso  che,  in  applicazione  del  principio  contenuto  nell’art.  1118,  comma  1,  e  nell’art.  1123  cod.  civ.,  il  diritto  di  invitare  ospiti  nella  piscina  comune,  costituendo  un  modo  di   fruizione  del  bene   comune,  deve  essere   esercitato  da   ciascun   condomino   in  proporzione  alla  sua  quota  di  proprietà.    

 12.5-­  La  ripartizione  delle  spese    La   ripartizione   delle   spese   per   la   manutenzione   ordinaria   e   straordinaria   della  

piscina   deve   essere   attuata   in   funzione   di   quanto   previsto   dal   regolamento  condominiale,  criterio  derogabile  soltanto  all'unanimità.  Se  però  non  e'  previsto  nulla,  le   spese   relative   all'impianto   dovranno   essere   ripartite   sulla   base   della   tabella  generale.  Vengono   esonerati   dalla   contribuzione   alle   spese   i   condomini   che   non   utilizzano   la  piscina   per   ragioni   indipendenti   dalla   loro   volontà   ossia   per   ragioni   strutturali  dell'edificio   o   perché   così   previsto   nel   regolamento   condominiale   (cioè   quando   la  piscina  e'  comune  soltanto  ad  alcune  unità  immobiliari).  Con   riferimento   non   solo   alla   piscina,   ma   in   generale   anche   ad   altri   servizi  

condominiali   suscettibili   di   utilizzo   separato,   la   Suprema   Corte   ha   infatti   affermato  (Cass.  n.  5179  del  29  aprile  1992)  che  nel   condominio   il  principio  di  proporzionalità  fra  spese  e  uso  previsto  dall’art.  1123,  comma  2,  cod.  civ.,  secondo  cui   le  spese  per  la  conservazione  e   il   godimento  delle  parti   comuni  dell’edificio  devono  essere   ripartite,  qualora   si   tratti   di   cose   destinate   a   servire   i   condomini   in   misura   diversa,   in  proporzione   dell’uso   che   ciascuno   può   farne,   comporta   che   qualora   la   possibilità  dell’uso  sia  del  tutto  esclusa,  con  riguardo  alla  destinazione  delle  quote  immobiliari  di  proprietà   esclusiva,   per   ragioni   strutturali   indipendenti   dalla   libera   scelta   del  condomino,  deve  essere  escluso  anche  l’onere  del  condomino  stesso  di  contribuire  alle  spese  di  gestione  del  relativo  servizio.          

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12.6-­  La  responsabilità  in  caso  di  danni    Chi   usa   la   piscina   può   subire   qualche   incidente   (eventualmente   anche  mortale)   o  

contrarre  un’infezione  quando  l’acqua  non  viene  disinfettata  in  maniera  adeguata.    In   caso  di   incidente  possono   sorgere   tre  ordini  di   responsabilità   –amministrativa,  

civile   e   penale-­‐   a   carico   dei   condomini   quali   proprietari,   quindi   a   carico  dell’amministrazione  e  del  gestore  della  piscina.  La   responsabilità   amministrativa   è   dovuta   alla   violazione   delle   eventuali   norme  

emanate   a   livello   regionale   che   impongano   la   presenza   obbligatoria   del   bagnino,  qualora  l’atto  d’intesa  fosse  stato  recepito  dalla  Regione.  La   responsabilità   civile,   invece,   trova   il   fondamento   negli   art.li   2043   e   2051   del  

codice  civile.  Secondo   l’art.   2043   c.c.,   la   responsabilità   extracontrattuale   è   connessa   ad   un   mero  comportamento   doloso   o   colposo   che   cagiona   un   danno   ingiusto   ed   obbliga,   per  l’appunto,  colui  che  l’ha  commesso  (nel  caso  di  infortunio  in  piscina,  il  condominio)  a  risarcire  il  danno.  Mentre  l’art.  2051  c.c.  prevede  la  responsabilità  del  custode,  per  tutti  i  danni  cagionati  dalle  cose  da   lui  custodite  (come  nel  caso  della  piscina),  salvo   il  caso  fortuito.   In  altri  termini   ciò   sta   a   significare   che   per   un   danno   subito   nella   piscina   condominiale,   il  Condominio  per  non   essere   giudicato   responsabile   deve  dimostrare  di   aver   adottato  tutte  le  misure  richieste  dalla  legge  in  materia  di  sicurezza  e  gestione.  Va   rilevato,   comunque,   che   l’esercizio   della   piscina   può   essere   considerata   come  

attività  pericolosa  ex  art.  2050  c.c.,  che  rende  punibile  anche  la  colpa  lievissima.  È   chiaro   che   se   il   Condominio   avesse   ritenuto   di   incaricare   un   apposito   gestore  

dell’impianto,  ogni  responsabilità  in  ordine  ai  danni  conseguenti  all’uso  della  piscina  si  trasferirebbe  in  capo  al  medesimo  gestore.  Infine,   l’eventuale   sinistro  potrebbe  essere  altresì   fonte  di   responsabilità  penale  a  

carico  del  proprietario  della  piscina  (nel  nostro  caso  il  condominio),  in  capo  al  quale  si  potrebbe  configurare  il  reato  di  lesioni  personali  colpose  ex  art.  590  c.p.  o  del  più  grave  reato  di  omicidio  colposo  ai  sensi  dell’art.  589  c.p..  

   

ELENCO  DELLE  REGIONI  CHE  HANNO  EMESSO  NORMATIVA  IN  MERITO  ALLE  PISCINE:  

  Provincia  di  Bolzano;   Provincia  di  Trento;   Repubblica  di  San  Marino;   Lombardia;   Emilia  Romagna;   Liguria;   Toscana;   Marche;   Molise;   Umbria;   Puglia;   Calabria.  

       

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MODULO  N.  13  

   

Il  perimento  dell'edificio:  conseguenze  e  disciplina  applicabile  

(Laura  Gonnellini)    Molto   spesso,   anche   di   recente,   abbiamo   appreso   dai   media   che   edifici   in  

condominio  sono  crollati  per  cause  murarie,  terremoti,  incendio  o  scoppio.  La   normativa   specifica   applicabile,   in  materia   di   perimento   parziale   o   totale   e   di  

ricostruzione  dell'edificio,  è  dettata  dall'articolo  1128  del  codice  civile.    L’art.  1128  c.c.   stabilisce   che   se   l’edificio  perisce   interamente  o  per  una  parte   che  

rappresenti   i   tre   quarti   del   suo   valore,   ciascuno   dei   condòmini   può   richiedere   la  vendita  all’asta  del  suolo  e  dei  materiali,  salvo  che  sia  stato  diversamente  convenuto.    Nel  caso  di  perimento  di  una  parte  minore,  l’assemblea  dei  condòmini  delibera  circa  

la   ricostruzione   delle   parti   comuni   dell’edificio,   e   ciascuno   è   tenuto   a   concorrervi   in  proporzione  dei  suoi  diritti  sulle  parti  stesse.    L’indennità  corrisposta  per  l’assicurazione  relativa  alle  parti  comuni  è  destinata  alla  

ricostruzione  di  queste.    Il  condòmino  che  non  intende  partecipare  alla  ricostruzione  dell’edificio  è  tenuto  a  

cedere   agli   altri   condòmini   i   suoi   diritti,   anche   sulle   parti   di   sua   esclusiva  proprietà,  secondo   la   stima   che  ne   sarà   fatta,   salvo   che  non  preferisca   cedere   i   diritti   stessi   ad  alcuni  soltanto  dei  condòmini.      

Quanto   all’ambito   di   applicabilità   della   norma,   va   precisato   che   il   perimento  dell’edificio   deve   dipendere   da   fatti   estranei   alla   volontà   dei   condòmini,   sicché  rientrano  nella  fattispecie  i  crolli  dovuti  a  vetustà,  difetti  di  manutenzione,  esplosioni  o  disastri  naturali  (es.  sisma,  incendio,  scoppio  etc).  Rimane,  invece,  estranea  all’ambito  di   applicabilità   della   norma   l’ipotesi   di   demolizione   dell’edificio,   per   volontà   dei  condòmini,  a  scopo  di  ricostruzione,  salvo  che  la  demolizione  si  sia  resa  necessaria  per  evitare   crolli   conseguenti   alla   vetustà   dell’edificio,   che   avrebbero   potuto   cagionare  danni  a  persone  e  cose.    (Cass.  28-­‐6-­‐1980,  n.  4102).      

L’art.  1128  c.c.  prende  in  esame  due  diverse  ipotesi:  il  1°  comma  prevede  il  caso  in  cui  l’edificio  sia  perito  totalmente  o  il  suo  valore  sia  ridotto  a  non  oltre  un  quarto  di  quello  originario,  mentre  il  2°  comma  prevede  il  perimento  di  una  parte  minore  dell’edificio,  ovvero  inferiore  ai  tre  quarti.  Il   primo   problema   da   affrontare   è   quello   relativo   alla   determinazione   del   valore  

della  parte  dell’edificio  che  sia  perita.  La  soluzione  che  ha  raccolto  i  maggiori  consensi  in   dottrina   è   quella   in   base   alla   quale   è   necessario   avere   riguardo   al   valore   che  l’edificio  aveva  prima  della  distruzione,  senza  considerare  il  suolo.      Perimento   totale   -­‐   Nel   caso   di   perimento   totale   o   dei   tre   quarti,   il   condominio   si  estingue  ed  al  suolo  e  ai  materiali  di  risulta  si  applicano  le  regole  sulla  comunione.  Di  questi   ultimi   beni   ciascun   condòmino   può   chiedere   la   vendita   all’asta,   salvo   che   sia  

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diversamente   convenuto.   La   relativa   deroga   può   risultare,   oltre   che   dal   titolo,   da   un  contratto  o  dal  regolamento  approvato  da  tutti  i  condòmini.      

La   ricostruzione   del   fabbricato   può   avvenire   solo   con   la   unanime   volontà   dei  condòmini,   cioè   in   seguito   ad   accordi   tra   di   loro,   essendosi   esaurito   il   potere  deliberativo  dell’assemblea.  I  condòmini  dissenzienti  non  sono  vincolati  a  contribuire  alle  spese  di  ricostruzione.  Pertanto,   un   condomino   non   può   richiedere   la   vendita   all'asta   del   suolo   e   dei  

materiali,  attribuita  nel  caso  di  perimento  dell'edificio,  ove  la  demolizione  sia  voluta  da  tutti  i  condomini  al  fine  di  ricostruire  lo  stabile  condominiale.  Viene   da   domandarsi,   tuttavia,   cosa   succeda   nel   caso   in   cui   la   ricostruzione   sia  

eseguita   su   iniziativa   di   uno   o   alcuni   dei   condòmini,   senza   il   consenso   degli   altri.  Secondo  la  giurisprudenza  ciascun  condòmino  ha  il  diritto  di  ricostruire,  qualora  ciò  si  rendesse   necessario   per   il   godimento   di   parti   di   proprietà   esclusiva,   oltre   a   queste  ultime,   anche   parti   originariamente   di   proprietà   comune   o   di   proprietà   esclusiva   di  altri  condòmini.  Perciò  ove  uno  dei  condòmini  proceda  di  sua  esclusiva  iniziativa  alla  ricostruzione   secondo   le   caratteristiche   sostanziali   del   fabbricato   preesistente   ed   in  modo  da   riprodurre   le   singole  unità   immobiliari   che  vi   erano  comprese,   gli   altri  non  possono  chiedere  la  demolizione  della  costruzione,  ma  hanno  l’alternativa  tra  il  cedere  al  costruttore  le  loro  quote  o  il  concorrere  alle  spese  di  ricostruzione  e  riavere  le  loro  unità  immobiliari.  Principio  generale,  valido  anche  nel  caso  di  perimento  e  ricostruzione  parziale  dello  

stabile,  inoltre,  è  che  il  singolo  che  non  intenda  concorrere  alla  ricostruzione  delle  parti  comuni  dovrà  cedere  agli  altri  condòmini  o  a  terzi  i  propri  diritti,  compresi  quelli  sulla  parte   di   sua   esclusiva   proprietà,   a   prezzi   di   stima   fissati   da   periti   incaricati   dagli  interessati   o,   nel   caso   di   contrasto,   dal   perito   nominato   dal   giudice   (art.   1128   c.c.,  ultimo  comma).    Non   può,   invece,   parlarsi   di   ricostruzione   nel   caso   in   cui   un   condòmino   occupi   il  

suolo   comune   di   risulta   con   parte   di   un   edificio   diverso,   da   lui   costruito   su   un’area  attigua  di  sua  proprietà  esclusiva.  Con  la  conseguenza  che  gli  altri  condòmini  possono  chiedere,   a   norma   dell’art.   2933   c.c.,   la   riduzione   in   pristino   relativamente   al   suolo  comune  illegittimamente  occupato  (Cass.  21-­‐10-­‐1974,  n.  2988).    Con   il   perimento   totale   dell’edificio   il   condominio   viene  meno   e   permane   solo   la  

comunione  sul   suolo  e   sui  materiali  di   risulta.  Se   il   fabbricato  viene  ricostruito  come  era  in  precedenza,  si  ripristina  il  condominio,  mentre  nel  caso  di  ricostruzione  eseguita  ad  iniziativa  di  alcuni  soltanto  dei  condòmini,  con  caratteristiche  sostanziali  diverse  da  quelle  del  preesistente  fabbricato  il  condominio  stesso  non  rinasce  e  quanto  edificato  costituisce   un’opera   realizzata   sul   suolo   comune,   come   tale   soggetta   alla   disciplina  della  accessione  e,  quindi,  da  attribuire  secondo  le  quote  originarie  ai  comproprietari  del  suolo  (Cass.  16  marzo  2011,  n.  6198;  Cass.  20  maggio  2008,  n.  12775).      Perimento  parziale  -­‐  L’art.  1128,  2°  comma.,  c.c.  prevede  l’ipotesi  del  perimento  di  

una  parte  dell’edificio  inferiore  ai  tre  quarti  del  suo  valore.  In  tale  ipotesi  l’assemblea  dei  condòmini  delibera  circa  la  ricostruzione  delle  parti  comuni  dell’edificio  e  ciascuno  è   tenuto  a  concorrervi   in  proporzione  dei  suoi  diritti   sulle  parti   stesse.   Il   fatto  che   la  norma  parli  espressamente  di  «assemblea  dei  condòmini»  è  sufficiente  per  affermare  che  con  il  perimento  parziale  dell’edificio  il  condominio  ed  i  suoi  organi  non  vengono  meno.    

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La  delibera  che  stabilisca   la  ricostruzione  dell’edificio  deve  essere  adottata  con  un  numero  di  voti  che  rappresenti  la  maggioranza  degli  intervenuti  ed  almeno  la  metà  del  valore  dell’edificio  (art.  1136,  2°  e  4°  comma.,  c.c.).  L’assemblea  può  deliberare  soltanto  la   ricostruzione   delle   parti   comuni  ma   non   il   rifacimento   dei   singoli   piani,   inerendo  quest’ultimo   alla   sfera   individuale   di   ciascun   condòmino,   salvo   che   la   sua   mancata  realizzazione   impedisca   la   ricostruzione   delle   stesse   parti   comuni.   Il   condòmino,   dal  canto  suo,  non  è  obbligato  a  ricostruire   la  propria  unità   immobiliare,   salvo  che  ciò  si  renda  indispensabile  al  fine  della  ricostruzione  di  parti  comuni  dell’edificio.    La  mancanza  della  delibera  assembleare  di   ricostruzione  o,   addirittura,   l’esistenza  di  una  delibera  contraria,  non  impedisce  ai  singoli  condòmini  di  ricostruire  le  loro  unità  immobiliari   parzialmente   perite   e,   conseguentemente,   le   parti   comuni   necessarie   al  godimento  di  esse  (Cass.  25-­‐10-­‐1980,  n.  5762).  Parte  della  giurisprudenza  ha  tuttavia  affermato  che  l’assemblea  dei  condòmini  ha  un  vero  è  proprio  obbligo  di  deliberare  la  ricostruzione  delle  parti  comuni,  con   la  conseguenza  che   il  condòmino  ha   il  diritto  di  pretendere  che  tali  opere  siano  compiute  (Cass.  2-­‐8-­‐1968,  n.  2767).      Indennità   di   assicurazione   -­‐   L’art.   1128,   3°   comma,   c.c.   stabilisce   che   l’indennità  

corrisposta   per   l’assicurazione   delle   parti   comuni   è   destinata   alla   ricostruzione   di  queste.  Tale  indennità  viene,  in  tal  modo,  vincolata  alla  ricostruzione  delle  parti  per  le  quali   l’assicurazione  era   stata   contratta,   con  divieto  per   la  maggioranza   (ma  non  per  l’unanimità)  di  distoglierla  ad  altri   scopi.  Questa  possibilità  deve   tuttavia  ammettersi  nell’ipotesi  in  cui  la  maggioranza  dei  condòmini  decida  di  non  ricostruire.      Ai   sensi   dell’ultimo   comma   dell’art.   1128   c.c.,   il   condòmino   che   non   intende  

partecipare  alla  ricostruzione  dell’edificio  è  tenuto  a  cedere  agli  altri  condòmini  i  suoi  diritti.   Tale   obbligo,   in   mancanza   di   spontanea   adesione,   può   essere   imposto  giudiziariamente.  Per  la  cessione  è  necessaria  la  forma  scritta.      

     

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MODULO  N. 14      

Cenni  di  Diritto  penale  e  processuale  

(Floria  Carucci)      14.1  -­  Premessa  La  normativa  del  diritto  penale  sostanziale  vigente  è  contenuta  sia  nel  codice  penale  

sia  in  alcune  leggi  speciali  di  diritto  penale  che  disciplinano  particolari  materie  (come,  ad  esempio,  la  legge  a  tutela  della  salute  e  la  sicurezza  dei  luoghi  di  lavoro),  cui  fanno  –  poi   –   immediato   complemento   le   disposizioni   del   codice   di   procedura   penale   che  stabilisco  i  principi  e  le  regole  del  processo.  Poste  queste  doverose  premesse  di   natura  meramente  nozionistica,   sembra  quasi  

superfluo   evidenziare   come   la   figura   dell’amministratore   di   condominio   non  rappresenti,  per   l’ordinamento  penale   italiano,  un  soggetto  destinatario  di  particolari  norme   ovvero   di   specifica   disciplina,   non   rilevandosi   alcuna   differenza   rispetto   alla    normativa   dettata   in   via   generale   e   risultando   –   conseguentemente   –   applicabili   alla  menzionata   figura   professionale   tutte   le   disposizioni   ordinarie   attualmente   vigenti,  indistintamente  riferibili  a  qualunque  soggetto  presente  sul  territorio  nazionale,  salvo  la  previsione  di  alcuni  reati  specificamente  attribuiti  allo  stesso  da  leggi  speciali.  È  chiaro,  dunque,  che   l’amministratore  di  condominio  (tanto  nella  sua  vita  privata  

quanto   nell’esercizio   della   sua   professione)   può   assumere,   come   qualunque   altra  persona,  sia  la  veste  di  imputato  (vale  a  dire  di  responsabile  di  una  condotta  di  reato)  sia  di  persona  offesa  (e,  dunque,  di  soggetto  titolare  del  bene  giuridico  protetto  dalla  norma  che  si  assume  essere  stato  violato  dalla  condotta  di  reato).  Sul   punto   sembra,   inoltre,   doveroso   puntualizzare   come   il   condominio   (che   è   un  

ente  privo  di  personalità  giuridica)  non  possa  mai  assumere  la  veste  di  imputato  in  un  processo   penale   poiché   la   responsabilità   penale   è   –   come   noto   –   esclusivamente  personale,  ma  ben  potrà  –  invece  –  avere  la  qualifica  di  persona  offesa  nel  caso  in  cui  la  condotta   di   reato   tenuta   dal   responsabile   abbia   offeso   un   diritto   proprio   del  condominio  complessivamente  inteso.    14.2  Condizioni  di  procedibilità  Pur   nella   consapevolezza   di   richiedere   al   lettore   un   apprezzabile   sforzo   di  

comprensione,   si   ritiene   opportuno   affrontare   a   questo   punto   dell’esposizione   un  importante   argomento   di   diritto   processuale   relativo   alle   c.d.   “condizioni   di  procedibilità”,   introducendo   la   distinzione   tra   “reati   procedibili   d’ufficio”   e   “reati  procedibili  a  querela  della  persona  offesa”.  I   reati   previsti   dal   codice   penale   sono,   infatti,   generalmente   procedibili   d’ufficio  

eccezion  fatta  per  quelle  ipotesi  di  reato  in  relazione  alle  quali  la  legge  espressamente  richiede   doversi   procedere   a   querela   della   persona   offesa,   evidentemente   in   ragione  del  diverso  interesse  specifico  dello  Stato  alla  persecuzione  penale  di  quel  determinato  fatto   di   reato,   così   rimettendo   la   decisione   in   ordine   alla   procedibilità   alla   esclusiva  volontà  della  persona  offesa  che  può  valutare  se  presentare  o  meno  la  querela.          

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14.3  -­  La  denuncia-­querela  La   querela   rappresenta,   dunque,   “un   atto   processuale   di   natura   negoziale,   con   la  

quale   il   soggetto   privato,   titolare   del   relativo   diritto,   indica,   con   dichiarazione  unilaterale  di  volontà,   il   fatto  per   il  quale  chiede  che  l’organo  pubblico  di  giustizia  inizi  l’azione  penale”2.  La  normativa  vigente  non  prevede  alcuna  specifica  formalità  in  ordine  al  contenuto  

della   querela,   limitandosi   a   stabilire   all’art.   336   c.p.p.   che   “La   querela   è   proposta  mediante  dichiarazione  nella  quale,  personalmente  o  a  mezzo  di  procuratore  speciale,  si  manifesta   la   volontà   che   si   proceda   in   ordine   ad   un   fatto   previsto   dalla   legge   come  reato”.  Nonostante   sia   opinione   largamente  diffusa  quella   secondo   la  quale   –   ai   fini   della  

procedibilità  –  la  querela  debba  contenere  la  c.d.  “istanza  di  punizione”,  la  Cassazione,  negli   ultimi   anni,   ha   chiarito   in  modo   pressoché   uniforme   come   “la   sussistenza   della  volontà  di  punizione  da  parte  della  persona  offesa,  non  richiede  formule  particolari  e  può  essere   riconosciuta   dal   Giudice   anche   in   atti   che   non   contengono   la   sua   esplicita  manifestazione;  ne  consegue  che  tale  volontà  può  essere  riconosciuta  anche  nell’atto  con  il   quale   la   persona  offesa   si   costituisce   parte   civile”3   ovvero  nel   fatto   stesso  di   recarsi  presso  gli  Uffici  dell’Autorità  Giudiziaria  al  fine  di  presentare  querela.  La  querela  deve,  però,  essere  presentata  personalmente  dalla  persona  offesa  o  dal  

suo  legale  rappresentante  o,  ancora,  da  un  suo  procuratore  speciale  entro  e  non  oltre  il  termine  di  tre  mesi  dal  giorno  in  cui  si  sono  verificati  i  fatti  di  reato  ovvero  da  quello  in  cui  se  ne  è  avuta  notizia;  è  sufficiente  che  venga  formalizzata  anche  da  uno  soltanto  dei  soggetti  passivi  e  si  estende  a   tutti   i  partecipanti  al   reato  anche  se  presentata  contro  uno  soltanto  di  questi.  Spettando,   dunque,   alla   persona   offesa   l’esclusiva   legittimazione   a   proporre  

querela,   alla   stessa   è   –   conseguentemente   –   attribuito   anche   il   potere   di   rinunciarvi  (espressamente   o   tacitamente)   ovvero,   ancora,   di   rimettere   la   querela   vale   a   dire   di  ritirarla   in  un  momento  successivo  alla  sua  presentazione  (e   fintanto  che   la  sentenza  non  passi  in  giudicato).  Tali   formalità   non   sono,   invece,   richieste   in   ordine   alla   procedibilità   dei   reati  

perseguibili   d’ufficio   in   relazione   ai   quali   è   sufficiente   che   l’Autorità   Giudiziaria  (mediante   la   presentazione   di   denuncia,   esposto,   ecc.)   abbia   conoscenza   di   un   fatto  penalmente   rilevante   affinché   sia   obbligata   all’iscrizione   della   comunicazione   nel  registro   delle   notizie   di   reato   tenuto   ex   art.   335   c.p.p.   presso   la   Procura   della  Repubblica  di  ogni  Tribunale  Penale.  La  fondamentale  differenza  va,  dunque,   individuata  nel  fatto  che  nel  primo  caso  la  

presentazione   della   querela   deve   necessariamente   avvenire   a   mezzo   della   persona  offesa   (o   del   suo  procuratore   speciale)   entro   il   termine  di   tre  mesi  mentre   nell’altra  ipotesi  chiunque,  ed  in  qualunque  tempo,  può  dare  comunicazione  (a  mezzo  denuncia,  esposto,   referto   ecc.)   alla   Autorità   Giudiziaria   che   si   è   verificato   un   fatto   di   reato;  inoltre,   mentre   nei   reati   procedibili   a   querela   la   manifestata   volontà   della   persona  offesa  di  ritirarla  pone  fine  al  processo  penale,  nei  reati  perseguibili  d’ufficio  una  volta  iscritta   la   notizia   di   reato   nel   registro   ex   art.   335   c.p.p.,   il   procedimento   va   avanti  indipendentemente  dalla  volontà  della  persona  offesa  di  rinunciarvi  o  meno.    

2 Cassazione Penale, 17.01.1983, Werner, CP 84, 558; GP 84, III, 100. 3 Cassazione Penale, sentenza 19.10.2001, Cosenza, CP 03, 386.

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 14.4  -­  Legittimazione  dell’amministratore  Pare   opportuno,   allora,   chiarire   a   chi   sia   attribuita   la   legittimazione   a   presentare  

denuncia   –   querela   nell’ipotesi   in   cui   persona   offesa   dal   reato   sia   il   condominio  generalmente  e  complessivamente  considerato.  La  Giurisprudenza  è,  oggi,  univocamente  orientata  nel  ritenere  che  –  nell’ipotesi  in  

cui  persona  offesa  sia  un  ente  di  mera  gestione  privo  di  personalità  giuridica,  come  è  appunto   il   condominio   –   “il   diritto   di   querela   deve   essere   esercitato   a   mezzo   di  rappresentante   specialmente   autorizzato   dallo   Statuto   o   da   tutti   insieme   i   condomini,  componenti   dell’ente   collettivo.   Quando   lo   Statuto   non   preveda   un   rappresentante  speciale,  il  rappresentante  ordinario  dell’ente  non  ha  veste  di  querelarsi  per  l’ente  stesso  e  deve  essere  munito  della  procura  speciale  di  tutti  i  componenti  dell’ente  medesimo”4  In   tema   di   legittimazione   a   proporre   querela,   infatti,   per   la   proposizione   di   una  

valida  istanza  di  punizione  da  parte  di  un  condominio  di  edifici,  occorre  la  preventiva  manifestazione  di  volontà  da  parte  dei  condomini,  volta  a  conferire  all’Amministratore  l’incarico  di   perseguire  penalmente  un   soggetto   in  ordine   ad  un   fatto   ritenuto   lesivo  del  patrimonio  comune5.  Parimenti,  però,  ogni  singolo  condomino  ha  diritto  di  presentare  querela  in  ordine  a  

reati  commessi  in  danno  del  condominio6.  Recentemente,  la  Suprema  Corte  di  Cassazione  è  stata  chiamata  a  pronunciarsi  circa  

la   legittimazione  dell’Amministratore  di  condominio  a  presentare  querela   in  ordine  a  reati  in  danno  del  condominio.  La   Cassazione   ha   sul   punto   chiarito   come   “(…)   Il   condominio   di   edifici   non   è   un  

soggetto  giuridico  dotato  di  personalità  giuridica  distinta  da  quella  dei  suoi  partecipanti  (CASS.  CIVILE,  SEZ.  II,  SENTENZA  29.08.1997,  N.  8257;  CASS.  CIVILE,  II,  SENTENZA  27.01.1997,  N.   826;   CASS.   CIVILE,   SEZ.   II,   SENTENZA   12.03.1994,   N.   2393),   bensì   uno   strumento   di  gestione   collegiale   di   interessi   comuni   dei   condomini,   che   non   è   suscettibile,   in   quanto  tale,   di   essere   portatore   di   propri   autonomi   interessi   direttamente   protetti  dall’ordinamento   penale,   la   cui   violazione,   prescindendo   dalle   diverse   formalità  eventualmente  imposte  dalla  natura  ordinaria  o  straordinaria  dell’atto,  possa  consentire  una   legittimazione   all’esercizio   del   diritto   di   querela   dell’amministratore   che   lo  rappresenta.  Un  tale  esercizio  da  parte  dell’amministratore  non  è  ipotizzabile,  inoltre,  in  relazione  

alla   lesione  degli   interessi   individuali,  anche   se   collettivi  dei  partecipanti,  dal  momento  che   l’amministratore   esplica,   come   mandatario   dei   condomini,   soltanto   le   funzioni  esecutive,  amministrative,  di  gestione  e  di   tutela  dei  beni  e   servizi  a   lui  attribuite  dalla  legge,  dal  regolamento  di  condominio  o  dall’assemblea,  a  norma  degli  artt.  1130  e  1131,  comma   primo   c.c.,   ed   esclusivamente   nell’ambito   di   queste   ha   la   rappresentanza   degli  stessi  e  può  agire  in  giudizio.  Non   può,   infatti,   ricomprendersi   la   querela   tra   gli   atti   di   gestione   dei   beni   o   di  

conservazione   dei   diritti   inerenti   alla   parti   comuni   dell’edificio,   anche   se   avente   ad  oggetto   un   fatto   lesivo   del   patrimonio   condominiale,   costituendo   la   stessa   un  presupposto   della   validità   del   promovimento   dell’azione   penale   e   non   un   mezzo   di  cautela  processuale  o   sostanziale,   ed   il   competere   il   relativo  diritto   in  via   strettamente  personale   alla   persona   offesa   dal   reato   esclude   anche   che,   in   assenza   dello   speciale  mandato,   previsto   dagli   artt.   122   e   336   c.p.p.,   lo   stesso   possa   essere   esercitato   da   un  

4 Cassazione Penale, sentenza 16.10.1950, Silvestri, GP 51, II, 274. 5 Cassazione Penale, sentenza 29.11.2000, Panichella, CP 02, 1719. 6 Cassazione Penale, sentenza 9 giugno 1958, Cecchi, GP 59, II, 140.

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soggetto  diverso  dal  suo  titolare.  Corretta,  pertanto,  appare   la  decisione  del  Giudice   che  ha  negato,   in  assenza  di  una  

unanime  manifestazione  di  volontà  dei  condomini  che  si  procedesse  penalmente  in  ordine  al   fatto   contestato   all’imputato   e   di   un   corrispondente   unanime   specifico   incarico  conferito   all’Amministratore,   l’esistenza   e   la   legittimazione   del   rappresentante   del  condominio   alla   presentazione   della   querela   (CFR.   CASSAZIONE   PENALE,   SENTENZA  16.10.1950,  SILVESTRI)”7.  Pare   opportuno   sottolineare   come   la   Giurisprudenza   della   Suprema   Corte   di  

Cassazione   sia   oramai   univocamente   orientata   nel   ritenere   che   “In   tema   di  legittimazione   a   proporre   la   querela,   per   la   proposizione   di   una   valida   istanza   di  punizione   da   parte   di   un   condominio   di   edifici   occorre   la   preventiva   unanime  manifestazione   di   volontà   da   parte   dei   condomini   volta   a   conferire   all’amministratore  l’incarico  di  perseguire  penalmente  un  soggetto  in  ordine  ad  un  fatto  ritenuto  lesivo  del  patrimonio  comune”8.  Alla  persona  offesa  dal   reato   l’ordinamento  processuale  penale   vigente   riconosce,  

poi,   il   diritto   di   agire   nel   processo   per   fornire   il   proprio   contributo,   evidentemente    volto   all’accertamento   della   responsabilità   penale   dell’imputato   e   ad   ottenere,   in  conseguenza  di  questo,   il   riconoscimento  del  proprio  diritto  al   risarcimento  di   tutti   i  danni  patiti  in  ragione  della  condotta  di  reato  contestata  all’imputato.  Lo   strumento   attraverso   il   quale   poter   agire   in   sede   penale   per   formalizzare   la  

propria   richiesta   di   risarcimento   danni   è   rappresentato   dalla   costituzione   di   parte  civile,   disciplinata   agli   artt.   74   e   ss.   c.p.p.,   che   inserisce   l’esercizio   dell’azione   civile  all’interno  del  processo  penale.  L’art.   185   c.p.   stabilisce,   infatti,   che   “Ogni   reato   obbliga   alle   restituzioni   a   norma  

delle   leggi   civili.   (artt.   2043-­2059   c.c.).   Ogni   reato   che   abbia   cagionato   un   danno  patrimoniale  o  non  patrimoniale  (art.  2059  c.c.)  obbliga  al  risarcimento  il  colpevole  e  le  persone  che  a  norma  delle  leggi  civili,  debbono  rispondere  per  il  fatto  di  lui”.  In  tema  di  parte  civile,  l’art.  74  c.p.p.  dispone,  innanzitutto,  che  “l’azione  civile  per  le  

restituzioni  e  per  il  risarcimento  del  danno  di  cui  all’art.  185  c.p.  può  essere  esercitata  nel  processo  penale  dal  soggetto  al  quale  il  reato  ha  recato  danno  ovvero  dai  suoi  successori  universali,  nei  confronti  dell’imputato  e  del  responsabile  civile”.  La  legittimazione  a  costituirsi  parte  civile  nel  processo  penale  spetta  –  dunque  –  al  

“soggetto”  offeso  o  danneggiato  dal  reato.  Tenuto  conto  del  combinato  disposto  di  cui  agli  artt.  185  c.p.  e  74  e  ss.  c.p.p.,  si  pone  

il   problema   se   legittimato   alla   costituzione   di   parte   civile   sia   soltanto   colui   che   ha  subito   un   danno   diretto   dalla   condotta   del   soggetto   agente   ovvero   possa   ritenersi  compreso   anche   il   danno   indiretto   e,   conseguentemente,   se   ex   art.   74   c.p.p.   possa  costituirsi  parte   civile   solo   colui   che  abbia   subito  un  danno  diretto  ovvero  anche   chi  abbia  subito  un  danno  indiretto.  La   Suprema   Corte   di   Cassazione,   chiamata   a   pronunciarsi   sul   punto,   ha   chiarito  

come   l’ammissibilità   della   costituzione   di   parte   civile   sia   subordinata   al   fatto   che   il  danno  risarcibile  sia  conseguenza  diretta  ed  immediata  del  reato,  con  ciò  –  però  –  non  volendo  affermare  che   il  soggetto  danneggiato  dal  reato  coincide  necessariamente  ed  esclusivamente   con   il   soggetto   titolare   dell’interesse   specifico   direttamente   tutelato  dalla  norma  violata.  Tale   coincidenza,   infatti,   rappresenta   la   regola,   ma   la   Corte   di   Cassazione   ha   –

comunque   –   lasciato   intendere   che   in   talune   situazioni   può   risultare   legittimato   a  

7 Cassazione Penale, Sez. II, 29.11.2000, Presidente dott. N. Zingale. 8 Cassazione Penale, Sezione II, 05.01.2001, n. 6, Panichella.

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costituirsi   parte   civile   anche   un   danneggiato   diverso   dal   soggetto   passivo   del   reato,  sempre   che   il   danno   da   questi   subito   sia   conseguenza   diretta   ed   immediata   della  condotta  di  reato.  Pur  non  rilevandosi  specifiche  pronunce  giurisprudenziali  sul  punto,  pare  corretto  

ritenere  (in  modo  speculare  a  quanto   indicato   in   tema  di   legittimazione  a  presentare  querela)   che   nel   caso   in   cui   la   persona   offesa   o   il   danneggiato   dal   reato   sia   l’intero  condominio,   l’Amministratore   possa   validamente   rilasciare   ad   un   difensore   procura  speciale  ex  artt.76  ss.   c.p.p.   ai   fini  della   costituzione  di  parte  civile   in  giudizio  penale  soltanto  se  –  a  sua  volta  –  preventivamente  e  specificamente  autorizzato  sul  punto  con  delibera   unanime   dell’assemblea   condominiale,   ritenuto   che   portatore   dell’interesse  giuridicamente  protetto  e  leso  dal  reato  è  solo  ed  esclusivamente  il  condominio.    

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ALLEGATO 1

ANACI Sede di Roma Convegno Giuridico 20 Ottobre 2012

“LO SLALOM DELL’AMMINISTRATORE TRA LEGGI E SENTENZE”

LA RETRIBUZIONE DELL’AMMINISTRATORE CONDOMINIALE

-TRACCIA DELLA RELAZIONE ORALE-

Dott. Fabio Gerosa

(Direttore del Centro studi ANACI di Roma)

“Tutto quello che espone a rischi contenuti e relativi rende poco. Spesso meno del costo della vita. Non è il caso dell’amministratore condominiale”

1- Premessa Il mio intervento non ha l’ambizione di penetrare nei meandri giuridici, né vuol

essere, anche lontanamente, un’esercitazione accademica, poiché il rischio è quello di riferire di una realtà, come è quella del mondo condominiale, che non può semplificarsi con paradigmi, categorie e concetti criptici.

Nel nostro attuale quadro normativo sono i condòmini interessati, riuniti in

assemblea, a decidere sulle modalità di gestione delle cose, impianti e servizi comuni. Precisando che l’assemblea e l’amministratore rappresentano figure peculiari all’istituto del condominio. Ed in quanto tali, differenti dalle omologhe figure delle persone giuridiche e societarie. Seppur non trascurando la circostanza che la giurisprudenza, quando ha un dubbio interpretativo, si volge verso spunti e suggerimenti del mondo societario. Offuscando il palcoscenico condominiale.

L’assemblea, peraltro, non può deliberare su ogni questione che attenga alle parti

comuni, in quanto le sue attribuzioni sono circoscritte e temperate dalle attribuzioni riservate all’amministratore condominiale, soggetto che - come ci ricorda la Curia - ha il mero compito di amministrare (cfr. Cass. 9/2/1977 n. 571), e tenuto a dar seguito alle sole delibere rientranti nei poteri deliberativi dell’assemblea (Cass. 14/1/1977 n. 278). Del resto il nuovo testo sulla “Riforma del condominio”,

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approvato dalla Camera dei Deputati il 27 Settembre 2012, ed ora all’esame del Senato, conferma questo ruolo meramente esecutivo dell’amministratore, anzi indebolendolo. Dalla lettura dell’art. 1129 c.c. del nuovo testo in esame, al terzo comma si legge un nuovo vincolo condizionante l’incarico: “L’assemblea può subordinare la nomina dell’amministratore alla presentazione ai condomini di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato”. Senza che vi sia, in parallelo, un riconoscimento di una congrua retribuzione a fronte di nuovi compiti.

Difatti l’art.1135 c.c. resta ancorato ad una anacronistica eventualità del

compenso, in quanto il legislatore, sia nel primo passaggio al Senato, approvato il 26 Gennaio 2011, sia nella successiva approvazione modificativa della Camera di cui sopra, ha stabilito di rivisitare la lettera del punto 1) dell’art.1135 del cod. civ. vigente. Lasciando invariata la prima attribuzione dell’assemblea dei condomini, ovvero quella di provvedere “alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione”.

Quindi l’amministratore deve principalmente dare esecuzione alle delibere

dell’assemblea, attraverso una legittimazione ricevuta dalle deliberazioni assembleari, immediatamente esecutive ex art. 1137, secondo comma, del c.c.. E di recente, la Cass., 28 marzo 2012 n. 4988, ha ribadito, ancora una volta, che il potere decisionale non compete all’amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale ma semplicemente esecutivo del condominio.

Un soggetto, l’amministratore di condominio, definito dalla giurisprudenza un

ufficio di diritto privato, orientato alla tutela di interessi individuali e realizzante una cooperazione con tutti i singoli condomini, quindi come tale, assimilabile al mandato con rappresentanza.

Definito pure un soggetto che segue l’incarico conferito dai condomini, con

un’attività che si concretizza nelle azioni esecutive e di rappresentanza verso i terzi, supportato da un rapporto di mandato. Ove il mandatario-amministratore non può superare la “linea Maginot” del compito gestorio affidatogli, ed il mandante-gruppo di condòmini mantiene sia il diritto di regolarsi da sé i propri interessi, che rimuovere il mandatario infedele in ogni tempo. Fermo restando, comunque, la possibilità, per l’amministratore rimosso, di avanzare una richiesta di risarcimento dei danni, qualora subisca una revoca senza giusta causa, come disposto dall’art. 1725 c.c.. Di misura pari ad almeno la quota di retribuzione che avrebbe incassato fino al termine dell’incarico annuale (Tribunale Catania, 1999) alla stregua dell’amministratore ad interim che ha diritto ad essere retribuito per il periodo di interinato con le stesse modalità stabilite per il periodo precedente (Cass. 14/6/1976, n. 2214).

Parimenti le stesse regole dovrebbero valere nel caso di un amministratore che

rinunci all’incarico senza giusta causa. Ma in materia condominiale, operando la regola della prorogatio della funzione, deve essere comunque garantita la

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prosecuzione dell’amministrazione, fino alla sostituzione del gestore dimissionario.

2- La cornice di riferimento normativo Lo sviluppo della realtà condominiale ha origine dal Regio Decreto 15 Gennaio

1934, numero 56, il quale precisava che gli organi di amministrazione del condominio erano due: assemblea ed amministratore. Con quest’ultimo che “presta di regola gratuitamente la propria opera”. Se ne desume che nel codice abrogato il mandato era presunto gratuito, a differenza dell’impianto in vigore, che presume il mandato a titolo oneroso (cfr. art. 1709 cod.civ.).

Ma pur tenendo sempre presente che il mandato può essere anche a titolo

gratuito: in tal caso, l'assemblea condominale deve però esprimersi chiaramente sulla gratuità, al momento della nomina dell'amministratore (cfr. N. Izzo, AA.VV., I rapporti tra assemblea ed amministratore di condominio, Milano, 2005; Cass.,16/4/1987 n.3774).

Con l’analisi delle attribuzioni dell’amministratore, che determinano pedissequamente il diritto alla retribuzione, è necessario soffermarsi ad evidenziare come il codice civile limiti dette attribuzioni nell’alveo dell’ordinaria amministrazione, limite specificato chiaramente dall’art. 1135 c.c., allorchè prescrive che l’amministratore non può ordinare lavori di straordinaria manutenzione. Frapposti ai lavori ed alla gestione ordinaria, per la quale, invece, l’amministratore può disporre con autonomia: si pensi alle spese inerenti la normale e ricorrente gestione a scadenza fissa.

Interessante è l’esempio della nomina del “Terzo responsabile” per la conduzione della caldaia, che autorevole dottrina ritiene non rientri nei poteri dell’amministratore, ma “deve essere deliberata dall’assemblea” (vd. R. Triola, AA.VV. in I rapporti tra assemblea ed amministratore del condominio, Milano, 2005, pag. 207).

In altre parole ogni qual volta l’amministratore del condominio, esercita attività

di amministrazione ordinaria, ne sarà direttamente soggetto responsabile e legittimato; nel caso, al contrario, di operazioni classificabili come di amministrazione straordinaria, senza una specifica deliberazione da parte dell’assemblea condominiale, non potrà disporre, salvo il caso di urgenza, ex art. 1135 c.c., ultimo comma, ma comunque rimarrà sempre l’obbligo di riferire alla prima assemblea.

Quindi, nell’espletamento del mandato, l’amministratore di condominio dovrà

agire utilizzando la diligenza del buon padre di famiglia, ovvero agire in modo ordinato, con solerzia e prudenza.

Ricapitolando: la regola della “presunta onerosità” viene in secondo piano

allorché vi sia il riconoscimento esplicito da parte dell’assemblea condominiale. Pertanto, ogni compenso deve ritenersi compreso nel corrispettivo stabilito

all’inizio dell’incarico per tutta l’attività di carattere amministrativo annuale, che

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quindi non può essere retribuita separatamente (cfr. Cass. 28/4/2010 n. 10204). Ed un eventuale compenso extra dell’amministratore di condominio deve essere

deliberato dall’assemblea condominiale (Cass. 3.12.2008, n. 28734). Inoltre, tale eventuale attività aggiuntiva va analizzata sotto la lente dell’art. 1711

del cod.civ. sui “Limiti del mandato”, il quale dispone chiaramente: “Il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato. L’atto che esorbita dal mandato resta a carico del mandatario, se il mandante non lo ratifica. Il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possono essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione”.

Ne discende che il mandatario-amministratore è tenuto ad eseguire

diligentemente sia gli atti per il quale il mandato è stato conferito, ma anche quelli utili per il suo compimento. In particolare, poiché l'amministratore riveste la qualità di mandatario generale, la sua retribuzione deve essere rapportata anche alle attività ulteriori e strumentali necessarie al completamento dell’azione gestoria. In questo senso, si sono pronunciate le sentenze della Cassazione 25 febbraio 2000, n. 2149; e 5 giugno1999, n.5932.

3- La quantificazione del compenso

L’ANACI con la collaborazione del Censis ha monitorato gli onorari degli amministratori di condominio attraverso due rapporti: uno pubblicato nel 2004 e l’altro nel 2010. Per quel che riguarda il primo rapporto, dal sondaggio sono emersi i corrispettivi medi praticati in Italia per unità immobiliare, che sono risultati di € 77,00 e di € 88,00, a seconda se vi erano inclusi i servizi.

Questa differenziazione dei corrispettivi sottolinea il “peso” sulla retribuzione

dell’amministratore della gestione di personale dipendente e gestione riscaldamento centralizzato.

Altro aspetto è il confronto con i cugini francesi ove il corrispettivo medio è di €

115,00 ad unità immobiliare. In particolare a Roma è emerso il dato di € 75,00 mentre Parigi è € 157,00.

Altro dato interessante si è ricavato dalle risposte relative al compenso minimo

per condominio, che varia dai 1.600,00 Euro di Napoli ai 300,00 Euro di Cremona. Nel secondo rapporto Anaci – Censis, svolto nel 2010 su un campione di 1.150

Amministratori, è emerso che l’onorario medio varia in funzione dei servizi da garantire al singolo edificio condominiale con una variazione pari al 10% tra un condominio con portiere e riscaldamento centralizzato (80,00 euro) e un condominio semplice pari a 76,00 euro.

Altra analisi è stata pubblicata sul n. 104 del 2008 della rivista “Dossier

Condominio” ove Francesco Caporilli ha calcolato che il corrispettivo ad unità

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immobiliare ammonta a 110,00 Euro annui. Da tale dato ha ricavato che, per ottenere un congruo risultato relativamente alla

retribuzione annua, un amministratore professionista deve amministrare almeno 25 stabili condominiali.

4- Retribuzione e verifica sull’amministratore

Ai condòmini che richiedano di visionare i documenti contabili, con modalità che non intralci l’attività amministrativa dell’amministratore, e rispetti le regole di correttezza, il diritto per i proprietari è bilanciato, per l’amministratore, se vi sia anche una richiesta di estrarre copia di detti documenti, dal rimborso dei costi sostenuti a carico dei condòmini istanti (Cass. 26/8/98 n.8460; Cass. 29/11/2001 n. 15159; Cass. 11/9/2003 n.13350). In passato, invece, si sosteneva che il potere del singolo condomino di verificare l’attività del gestore sussistesse di norma all’approvazione del consuntivo (Cass. 5/4/1984 n. 2220). A conferma dell’assunto, sul testo del Disegno di Legge sulla riforma del condominio, all’art. 1129 c.c., secondo comma, si specifica: “Contestualmente all’accettazione della nomina, e ad ogni rinnovo dell’incarico, l’amministratore comunica i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si tratta di societa`, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell’articolo 1130, nonche´ i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore, puo` prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata”. Non riconoscendo, in ogni caso, alcun compenso extra all’amministratore, ma il mero rimborso delle spese sostenute.

Superando forse anche l’interessante Sentenza del 26.11.2008, n. 23539, del

Tribunale di Roma la quale, se pur confermando l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, ha specificato che il diritto di ciascun condomino nel prendere visione dei giustificativi di spesa ed estrarne copia, non deve essere confuso con l’analogo diritto all’invio di copia della medesima documentazione sulla base dei principi di correttezza e di probabile intralcio all’attività amministrativa.

Lo stesso principio vale poi anche per il conduttore, il quale può anch’egli

prendere visione dei documenti giustificativi delle spese (cfr. Cassazione, 4/6/1998, n. 5485).

Ricordando, ad ogni modo, che se l’unità immobiliare è concessa in locazione “le spese relative al compenso corrisposto all' amministratore del condominio e le spese sostenute dallo stesso nell'esercizio della sua attività non rientrano tra gli oneri accessori che l'art. 9 della legge n. 392 del 1978 pone a carico del conduttore dell'immobile” (cfr. Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1991, n. 6216).

Tornando per un attimo al R.D.L. n. 56 del 1934, le regole e gli indirizzi dati

dall’amministratore erano obbligatorie per i condomini, salvo il ricorso al consiglio di amministrazione e all’assemblea.

Nell’attuale disegno legislativo, che non prevede il consiglio di amministrazione,

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vale il disposto dell’art. 1133 c.c., con una “scala gerarchica” ove l’amministratore è sopra i condòmini, ma ritorna subalterno di fronte agli stessi condòmini se legittimamente riuniti in assemblea. Si pensi ad esempio al diritto al compenso ed alla possibilità, che ha sempre l’assemblea, di revocare in ogni tempo l’amministratore.

Riassumendo: al primo gradino vi sono i condòmini, al secondo l’amministratore, al terzo l’assemblea. Ma può accadere che vi sia un Regolamento condominiale, che si pone al vertice. In un disegno gerarchico, peculiare del periodo nel quale la legislazione condominiale ha preso vita.

Problema, quello della “retribuzione” dell’amministratore di condominio, che

genera ancora incertezze e risente dell’evoluzione storica dell’istituto condominiale, con un’evoluzione giurisprudenziale parallela all’evolversi della stessa figura dell’amministratore. Con un passaggio lento e graduale dal soggetto turnario ed interno al condominio, che presta normalmente la propria opera a titolo gratuito, all’attuale professionista che reclama una retribuzione a fronte di sempre più ampi ed articolati compiti.

E sempre in ordine alla gerarchia di rapporti tra assemblea ed amministratore, la

giurisprudenza di merito ha costantemente negato la legittimità di un compenso in aggiunta a quello deliberato dall’assemblea. Intendendo che la retribuzione accordata in assemblea comprende tutte le attività dell’amministratore durante l’anno.

5- Casistica pratica sulla retribuzione dell’amministratore

La vasta casistica affrontata dalla giurisprudenza può essere riassunta per argomenti.

Il passaggio delle consegne

Nel caso di richiesta di un compenso aggiuntivo per attività relativa al passaggio delle consegne, specificato che l’amministratore deve restituire tutti i documenti, non è dovuto dal condominio alcun compenso aggiuntivo.

In tal senso si sono espressi più volte i Tribunali di merito, ad esempio Corte d’Appello di Milano Sentenza 29 dicembre 1992 n. 2220; più di recente Tribunale di Messina 9 gennaio 2012 n. 20.

Anche nel testo della “Riforma”, la Camera non ha modificato quanto stabilito dal Senato in prima approvazione, ossia quanto disposto all’ ottavo comma del probabile nuovo art.1129 c.c.: “Alla cessazione dell’incarico l’amministratore e` tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attivita` urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”.

Cristallino il riferimento all’esclusione di un compenso per attività ultronea.

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I lavori straordinari

Va escluso il compenso aggiuntivo a favore dell’Amministratore di condominio per la cura dei lavori straordinari di ristrutturazione. Come ad esempio: verifica dei preventivi, esame degli aspetti civili e fiscali del contratto di appalto, od emissione di nuove bollette di pagamento; cfr. Corte di Appello di Milano 23 maggio 1997 n. 1637.

Paradossalmente nel nuovo testo della “Riforma”, la posizione dell’amministratore si aggrava ancora, con l’aggiunta di un nuovo vincolo all’attività, indicato al comma decimo del nuovo probabile art.1129 c.c.: “L’amministratore e` tenuto altresı` ad adeguare i massimali della polizza se nel periodo del suo incarico l’assemblea deliberi lavori straordinari. Tale adeguamento non deve essere inferiore all’importo di spesa deliberato e deve essere effettuato contestualmente all’inizio dei lavori. Nel caso in cui l’amministratore sia coperto da una polizza di assicurazione per la responsabilita` civile professionale generale per l’intera attività da lui svolta, tale polizza deve essere integrata con una dichiarazione dell’impresa di assicurazione che garantisca le condizioni previste dal periodo precedente per lo specifico condominio”.

Un costo per amministrare il condominio a tutela dell’utenza, a carico dell’amministratore, che potrebbe finanche sempre rinunciare al compenso ordinario. Si commenta da solo.

Infine, di recente, la Corte di Cassazione con Sentenza n. 5984 del 16

aprile 2012 ha stabilito che anche il compenso di un tecnico deve essere liquidato attraverso il passaggio in assemblea. Infatti in assenza di una deliberazione dell’assemblea - escluso il tema di lavori urgenti – anche il compenso da corrispondere al Direttore dei Lavori deve essere ratificato dal consesso condominiale.

Le assemblee straordinarie

La definizione di assemblea “straordinaria” discende dall’art. 66 delle disp. Att. Cod. civ., intendendo qualsiasi riunione tenuta in aggiunta a quella ordinaria annuale, per provvedere all’amministrazione o alla necessità della delibera assembleare. Si pensi, ad esempio, alla notifica di un Atto giudiziario al condominio.

E’ esclusa anche la richiesta di un compenso aggiuntivo per attività

straordinaria volta alla convocazione e tenuta di più assemblee straordinarie (Tribunale di Perugia 15 novembre 1999 n. 793, che riforma la Sentenza del Febbraio dell’anno precedente del Pretore di Foligno n.8).

Ed anche se è vero che l'amministratore non è obbligato a partecipare alle

assemblee condominiali, tuttavia «quale mandatario dei condomini, svolge le funzioni che metaforicamente possono definirsi di organo esecutivo dell'assemblea da cui riceve ordini, direttive, indicazioni, suggerimenti, il

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che spiega la prassi diffusa…secondo cui l'amministratore partecipa sempre all'assemblea e solitamente funge da segretario», Cassazione 12 marzo 2003, n. 3596. Ne discende pertanto che la partecipazione dell’amministratore alle assemblee deve ritenersi compresa tra i suoi compiti istituzionali e, se non espressamente concordato, non retribuito a parte.

Nondimeno se dovesse passare la “Riforma”, sarà interessante

comprendere l’orientamento della giurisprudenza in ordine alla richiesta di assemblee straordinarie. Ciò considerata la differente modalità della richiesta all’amministratore: non più almeno 1/6 dei millesimi ed almeno due condòmini, ma il singolo condomino, senza vincolo millesimale, in diversi casi. Ad esempio nel novello art. 1117-quater sulla Tutela delle destinazioni d’uso: “In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attivita` con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’articolo 1136” .

L’amministratore, su sollecitazione singola - si pensi ad un grande complesso con posti auto scoperti, di mezzo millesimo -che richiedono assemblee, di quanto lavoro aggiuntivo sarebbe gravato? Forse non potrà esimersi da richiedere un compenso extra.

Andando avanti sul Progetto di legge di Riforma del condominio, va

considerato anche l’art. 1120 del cod. civ, sulle innovazioni: ”L’amministratore e` tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all’adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l’amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni».

Oppure i casi di sospetti di gravi irregolarità, ove nel progetto di

“Riforma”, il nuovo art .1129 c.c. così dispone : “ Nei casi in cui siano emerse gravi irregolarita` fiscali o di non ottemperanza a quanto disposto dal numero 3) del dodicesimo comma del presente articolo, (ovvero la mancata apertura ed utilizzazione del conto di cui al settimo comma) i condomini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore. In caso di mancata revoca da parte dell’assemblea, ciascun condomino puo` rivolgersi all’autorita` giudiziaria”.

Concludendo, ne deriva che l’attività di amministratore condominiale

comprende pure la partecipazione alle assemblee straordinarie, prescindendone dalla numerosità, fatti salvi eventuali patti contrari e

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preventivi, instaurati tra assemblea e gestore.

I Consiglieri Il Tribunale di Monza con la sentenza 27 giugno 1985, ha statuito che la

retribuzione stabilita dall’assemblea va intesa come relativa a tutte le attività svolte. In guisa di ciò eventuali riunioni del consiglio di condominio non sono da considerarsi estranee al mandato dell’Amministratore. Ed anche qualora l’Amministratore del condominio risulti essere un professionista con Albo, i criteri da assumere per la determinazione del compenso, in assenza di una delibera assembleare specifica, rimangono quelli determinati dal consesso condominiale.

Anche in questo caso l’attività dell’amministratore e la pedissequa annosa

questione del compenso, con l’avvio della “Riforma” subirà alcune sostanziali modifiche. In proposito, infatti, dalla lettura del nuovo art. 1130-bis, secondo comma, risulta che: “L’assemblea può anche nominare, oltre all’amministratore, un consiglio di condomino composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo”.

Ne discende che, con l’istituzione del nuovo “organo” del consiglio di

condominio, l’amministratore sarà gravato di un altro adempimento: la convocazione e l’informativa ad un ristretto gruppo di partecipanti del condominio, in una lettura che ricorda la vecchia disciplina del 1934 in tema di condominio. E con maggiori oneri subentrano, per logica, più alti costi per la collettività condominiale.

I “tariffari”

In merito ai tariffari degli amministratori di condominio, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con il provvedimento del 14/12/1994 n. 2550, ha escluso l’applicazione di un tariffario per gli amministratori condominiali predisposti dalle rispettive associazioni; come ha escluso per i Geometri l’applicazione di un loro tariffario nell’esperimento di attività di amministrazione condominiale.

Rammentando che il compenso all’amministratore ha carattere

“eventuale” ex art. 1135, n.1, cod.civ., ed esso deve essere deliberato dall’assemblea. Per tale ragione non può riferirsi ad eventuali tariffari consigliati dalle Associazioni, se non accettate dal consesso condominiale.

Solamente in caso di amministrazione giudiziaria, il Tribunale di Napoli,

con sentenza del 19/12/2003 n. 12748 ha stabilito in via equitativa il compenso sulla base del tariffario predisposto dalla F.I.A.B.S. (Federazione Italiana Amministratori di Beni Stabili).

Annotando comunque, sempre trattando di amministratori giudiziari, che anche per essi la retribuzione deve essere deliberata dall’assemblea, e

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solamente nel caso in cui non si arrivasse ad un accordo sul quantum, la sua determinazione avverrà in sede giudiziaria (Tribunale Napoli, 4/5/1971).

Nel 2003, inoltre, il Giudice di Pace di Valenza ha rigettato la domanda

della fissazione di una percentuale sulla retribuzione dell’Amministratore determinata dal Tariffario dell’UNAI, sulla considerazione errata che il passaggio delle consegne sia attività extra-mandatum.

In senso contrario, va annotata la Sentenza numero 2220 del 29 Dicembre

1992, con la quale la Corte d’Appello di Milano, riconobbe all’amministratore del condominio, pur in assenza del tariffario professionale, un compenso aggiuntivo dell’ 1% sul valore complessivo di un appalto per lavori di rifacimento delle facciate condominiali; a giustificare un lavoro aggiuntivo svolto per due anni dal gestore condominiale.

Ad ogni buon fine, per non incorrere in errore, interviene il Disegno di

Legge sulla “riforma” che, nel testo dell’art.1129 c.c. così dispone: “L’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”.

La gratuità dell’amministrazione condominiale

Le fattispecie analizzate, che riconoscono il diritto dell’amministratore condominiale ad un compenso aggiuntivo, sono giustificate da attività riconosciute come eccedenti le normali attribuzioni ex art.1135 cod.civ., unica norma che disciplina la materia: «L'assemblea dei condomini provvede alla conferma dell'amministratore e all'eventuale sua retribuzione».

Il concetto di “eventuale” retribuzione può condurre anche alla

circostanza di “gratuità” dell’attività dell’amministrazione condominiale, se disposta dall’assemblea o dal Regolamento di condominio. Fermo restando l’accettazione dell’altra parte.

Anche la giurisprudenza è stata interessata di tali questioni: la Cassazione, con Sentenza n. 3774 del 16 Aprile 1987, ha confermato la lettura del Regolamento condominiale che prevedeva la retribuzione unicamente per l’amministratore professionista, escludendola per il condomino-amministratore; e sempre la Cassazione, con Sentenza del 27 Maggio 1982, numero 3233, ha superato la “presunzione di onerosità” riferita all’attività di amministratore di condominio, allorchè la prassi esistente presso il condominio o l’atteggiamento delle parti sia indirizzato in tal senso. Nella fattispecie l’amministratore durato in carica per cinque anni, non aveva mai richiesto una retribuzione.

Gratuità esclusa, anche se disposta da un Regolamento contrattuale, solamente per l’amministratore giudiziario (Cass. 12/2/1988, n. 1513).

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La lievitazione della retribuzione

Al contrario, laddove si ravvisi un aumento del compenso dell’amministratore, lo stesso deve sempre e comunque venir ratificato dall’assemblea condominiale (Tribunale di Roma, 21 Febbraio 1987).

E nel caso in cui l'assemblea non abbia provveduto a determinare il

compenso, quest'ultimo può essere determinato in sede di approvazione del consuntivo annuale.

Altra fattispecie è quella per la quale si sia statuito un compenso

sproporzionato. Il Pretore di Catania, 27/10/1997, ha dichiarato nulla la delibera, viziata da eccesso di potere, del riconoscimento di una retribuzione “abnorme” per l’amministratore, lesiva dell’interesse comune. Considerando anche il compenso medio ricorrente nel luogo ove è stato edificato il condominio.

Di interesse risulta il caso in cui l’amministratore non stabilisca, come di

prassi, un compenso omnia, ma lo determini parametrandolo a singole prestazioni; ad esempio per numero di sopralluoghi presso il condominio, che si stabiliscono attraverso decisioni discrezionali del gestore.

In questi casi si potrebbe innescarsi un conflitto di interessi, tipico del

“Contratto con se stessi” ex art. 1395 del codice civile. Questo articolo dispone infatti che “E’ annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificatamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto di interessi. L’impugnazione può essere proposta soltanto dal rappresentato”.

In tal senso la delibera potrebbe ritenersi viziata, nel caso si evidenziasse il caso di un’eventuale vessatorietà a danno della proprietà, considerando gli utenti condòmini come consumatori (cfr. sul punto Cass. 24/7/2001 n. 10086).

Retribuzione esclusa per “mala gestio”

La realtà fattuale vede l’amministratore di condominio legato all’assemblea da un rapporto fiduciale, ovvero la proprietà ha la massima scelta sul soggetto da incaricare: un professionista esterno, una società oppure un condòmino. E questo vincolo rimane per l’intera durata del rapporto, talvolta pure con la deroga delle attribuzioni dell’amministratore da parte dell’assemblea.

L’assemblea può pertanto in ogni momento sostituirsi all’amministratore

e privarlo dei suoi poteri, sull’assunto della normale derogabilità del mandato ex art. 1723 c.c., come espresso in dottrina anche da Corona (cfr. R. Corona,

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Proprietà e maggioranza nel condominio degli edifici, Torino, 2001). Ed in questa logica, con la sentenza del 18 aprile 2007 n.1763, la Corte di

Appello di Roma ha stabilito che non può riconoscersi il compenso all’Amministratore di condominio che non abbia permesso ai condomini di conoscere le situazioni patrimoniali nelle assemblee annuali, esponendoli ad esborsi per omissioni o ritardi nel pagamento delle forniture.

Dello stesso tenore la pronuncia del 22/7/2011 del Trib. Civ. Nocera Inferiore.

Amministrazione condominiale soggetta ad IVA?

La Corte di Cassazione, attraverso due pronunce, la prima n. 12916 del 2007; e la seconda del 26.11.2008, n. 28186, ha stabilito che il compenso dell’Amministratore, se l’attività è svolta senza impiegare mezzi organizzati, non è assoggettabile IVA.

Compenso per pratiche relative agli sgravi fiscali

Nemmeno tali nuovi obblighi, peraltro, consentono - per quanto detto sopra - comunque, di scardinare la dicotomia tra “amministrazione ordinaria” ed “amministrazione straordinaria”, per la valutazione delle competenze di amministratore od assemblea, al fine di valutare la retribuzione dovuta all’amministratore. Talchè la giurisprudenza si è interessata ai nuovi obblighi relativi alle certificazioni fiscali per lavori del 36%, ora 50%. Disponendo in modo netto che anche per esse l’amministratore non ha diritto ad un compenso suppletivo, rientrando nei suoi compiti (cfr. Tribunale Catania, 10/05/2004 n. 1577).

La revisione dei conti

Di particolare interesse la questione relativa ad un’eventuale richiesta di revisione dei pregressi rendiconti condominiali all’Amministratore. In particolare nel caso in cui lo stesso debba ricostruire le contabilità pregresse degli Amministratori precedenti. Riteniamo che questa attività sia ultronea rispetto ai compiti specificati ex art. 1130 c.c., limitati ad un anno di gestione ed alla resa del proprio operato, anche contabile.

Tale questione diviene di particolare importanza alla luce della recente Sentenza Cassazione 6/12/2011 n. 26243, secondo la quale l’assemblea è legittimata a modificare i rendiconti pregressi degli ultimi 10 anni, se pur regolarmente approvati.

Retribuzione “sanata”dalla delibera assembleare

Il compenso straordinario dell’amministratore è riconosciuto, come abbiamo visto, se deliberato dall’assemblea, e la delibera non può essere impugnata se non per motivi di legittimità. In tale alveo, particolarmente interessante risulta la sentenza del Tribunale di Roma 24820 del 8/9/2004.

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Con tale decisione il Tribunale ha rigettato l’impugnazione di assemblea ove l’assemblea aveva, a consuntivo, approvato alcune voci retributive “ulteriori” per l’Amministratore di condominio.

La pronuncia del Tribunale di Roma è conforme all’indicazione della Suprema Corte di Cassazione n. 2133 del 1995 che statuisce come “possa riconoscere a posteriori lavori o voci di spesa non preventivamente deliberati”.

In sintesi si può affermare che l’assemblea ha il potere di integrare o

modificare una decisione deliberando successivamente un compenso extra all’Amministratore. In tal caso il Giudice non può avere sindacato di merito, se non nel caso di un eccesso di potere da parte del consesso condominiale.

Ma sul tema dell’approvazione implicita del compenso

dell’Amministratore, la Corte di Cassazione, il 20 ottobre 2007 n. 21130 ha rimesso il giudizio alle Sezioni unite. Tale assunto è di particolare interesse per gli amministratori di condominio poiché rimane il dubbio che la mera approvazione di Bilancio nel corpo del quale risulti iscritta la voce relativa al compenso dell’Amministratore non sembrerebbe sufficiente.

Le Sezioni Unite infatti, con la pronuncia del 29 agosto 2008 n. 21933,

hanno precisato che la retribuzione extra necessita di una “esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione di bilancio”. Questa decisione anche se riferita agli amministratori di società di capitali, ricade anche per gli Amministratori di condominio. Difatti la Cassazione successivamente ha stabilito lo stesso principio per l’approvazione ed il pedissequo riconoscimento dell’anticipazione di soldi da parte dell’Amministratore a favore del condominio (cfr. Cas., 9.6.2010 n. 13878; Cas., 9.5.2011 n. 10153; Cas. 27.6.2011 n. 14197). In tale ipotesi il diritto del mandatario al compenso deve comprendere la prova della corretta quantificazione del credito vantato per la retribuzione.

6- Retribuzione “à forfait” o “modulata” ?

Da quanto evidenziato, la retribuzione dovrebbe essere sempre esaustiva, per l’amministratore, proprio al fine di evitare conflitti ed interpretazioni dubbie, sia nel caso si perfezioni l’incarico con un forfait annuo, sia nel caso di richiamo a singole voci minuziosamente indicate, ossia “modulata”.

Ma sul punto vanno accesi i riflettori in merito alla circostanza che l’attività di

amministratore condominiale, per la sua peculiare complessità ed interdisciplinarietà, ha un limite nella obiettiva impossibilità di definire con assoluta esattezza, in via preventiva, una retribuzione annua.

Tanti possono essere gli imprevisti e le attività aggiuntive rispetto ad un’ordinaria

amministrazione. Per fare un esempio, come abbiamo visto, si pensi al numero di assemblee necessarie in un esercizio annuale per la soddisfacente gestione di un

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qualsiasi condominio. In tal senso è interessante la pronuncia della Cassazione, 24 marzo 2009 n. 7057.

Ove, nel caso di specie, e confermando un principio già enunciato, sottolineava che sul verbale di assemblea a fronte di una delibera che specificava e quantificava un compenso per ogni partecipazione in tribunale, per ogni incontro con i tecnici e infine il costo per le riunioni con gli avvocati per ogni questione condominiale, l’assemblea “onde dissipare ogni dubbio” aveva precisato una somma per il compenso annuo. La Suprema Corte ha allora sentenziato che detta precisazione costituiva il massimo della retribuzione che l’amministratore poteva richiedere al condominio.

Con un art.1130 c.c., sulle attribuzioni dell’amministratore, che potrebbe passare

da quattro a dieci punti (se passasse la Riforma), e con l’obbligo di tenere pure un registro per le nomine e le revoche degli amministratori; la retribuzione dell’amministratore, a fronte di così tante nuove attribuzioni, non può che lievitare, a danno della piccola proprietà, con buona pace della spending review.

Allorchè l’assemblea può disporre pure (nel progetto di nuovo art. 1135 c.c.) che:

“L’assemblea puo` autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare a progetti programmi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonche´ di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, la vivibilita` urbana, la sicurezza e la sostenibilita` ambientale della zona in cui il condominio e` ubicato”.

Senza disporre alcunché sul compenso! Così pure quanto disposto dal “riformato” art. 66 disp. Att. c.c.

“L’amministratore ha facolta` di fissare piu` riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell’assemblea in termini brevi, convocando gli aventi diritto con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell’assemblea validamente costituitasi”.

Anche per questa ipotesi non è prevista “revisione prezzi” a favore dell’amministratore per attività ulteriore.

Pertanto, e concludendo, qualora apparissero sul codice civile queste nuove ed

onerose attribuzioni, ultronee, per l’amministrazione condominiale. Essa, stretta da una eccessiva chiosa sociale, non potrebbe far altro che “modulare” la retribuzione, attraverso la creazione di un contratto tra proprietà ed amministratore.

Non potendo più assumere, il professionista, l’alea di un compenso a forfait,

come magari sempre fatto. Per concludere, vi lascio questo messaggio: “Tutto quello che espone a rischi

contenuti e relativi rende poco. Spesso meno del costo della vita. Non è il caso dell’amministratore condominiale.