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PRATO, ECHI PREZIOSI DONATELLO, LIPPI E CAPOLAVORI DEL SACRO Diocesi di Prato

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Prato, echi Preziosidonatello, liPPi

e caPolavori del sacro

Diocesidi Prato

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Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla siae del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra siae, aie, sns e cna, confartigianato, casa, claai, confcommercio, confesercenti il 18 dicembre 2000. le riproduzioni per uso differente da quello personale sopracitato potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dagli aventi diritto/dall’editore

Mostra promossa e organizzata dadiocesi di Prato, comune di Prato, Fondazione cassa di risparmio di Pratocon la collaborazione della soprintendenza per i Beni architettonici, Paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Firenze, Pistoia e Prato

La mostra è stata presentata nell’ambito della XIII Settimana della Cultura

Mostra a cura diUfficio Beni culturali della diocesi di Pratocon la collaborazione dell’assessorato alla cultura del comune di Prato edella Fondazione cassa di risparmio di PratoProgetto allestimento e graficachiara Fornari

AllestimentoBiagiotti e Bertini allestimenti, Firenze; antique Bric a’ Brac, Prato; F&M Progetti, Prato; l.G.d. arredamenti, Prato

Catalogo a cura diClaudio Cerretelli, direttore dei Musei diocesani di Pratocon la collaborazione di Maria Pia Mannini, conservatrice del Museo civico di PratoReferenze fotografichearchivio fotografico Museo civico di Prato; archivio fotografico opificio Pietre dure, Fi-renze; Fototeca Ufficio Beni culturali diocesi di Prato; Jacopo Menzani; daniele Piacenti; antonio Quattrone

© 20101 diocesi, comune, Fondazione cassa di risparmio di Prato© 2011 edifir-edizioni Firenzevia Fiume, 8 - 50123 Firenzewww.edifir.it

isBn 978-88-7970-518-9

Responsabile del progetto editorialesimone GismondiResponsabile editorialeelena MariottiStampaPacini editore industrie Grafiche, ospedaletto (Pisa)

In copertinadonatello e Michelozzo di Bartolomeo, Capitello del pulpito esterno, Prato, Museo dell’opera del duomo

PRATO, ECHI PREZIOSIDONATELLO, LIPPI E CAPOLAVORI DEL SACROPRATO, MuSEO dEll’OPERA dEl duOMO, MuSEO dI PITTuRA MuRAlE

14 aprile-15 settembre 2011

INdICE

Presentazione 3Cristina Acidini

Donatello e Michelozzo Di BartoloMeo

Capitello del pulpito esterno 4Claudio Cerretelli

Il restauro del capitello 9S.G., C.V., S.A., A.B.

Scansione ed elaborazione tridimensionale 10Roberto Scopigno, Matteo Dellepiane

Filippino lippi

Cristo crocifisso 12Jonathan K. Nelson

Il restauro del Crocifisso 15Gianna Nunziati

Mariotto Di narDo

Polittico Serristori 17Cristina Gnoni Mavarelli

Il restauro del polittico 24Daniele Piacenti

GreGorio paGani

Stendardi da apparato 26Maria Grazia Trenti Antonelli

Il restauro degli stendardi 34Lucia Biondi, Lucia Nucci

Si ringraziano enti e privati che hanno collaborato all’iniziativa, in particolare la comunità monastica di San Clemente a Prato e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze

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presentazione

È davvero una mostra, questa nei due prestigiosi musei dell’opera del duomo e di Pittura Murale in san domenico, che ha caratteri di eccezionalità per l’alto profilo dei soggetti che l’hanno promossa – con la collaborazione della consorella soprintendenza territorialmente competente – e per l’importanza artistica delle opere esposte, che rappresentano preziosi arricchimenti del patrimonio pratese d’arte sacra, sia che si parli di acquisti, sia che si parli di restauri. con rinnovata soddisfazione infatti vedo, uscito dal sapiente restauro, il monumentale Polittico con Madonna in trono col Bambino e Santi di Mariotto di nardo, completo di cuspidi e predella, di committenza serristori, risalente al 1424. nel preoc-cuparmi che – in esito all’annunciata messa in vendita da parte del proprietario – potesse approdare ad una raccolta privata dove sarebbe stato nuovamente sottratto al godimento pubblico, nel 2007 mi permisi di segnalarlo ai vertici del sistema bancario facente capo a Prato. Per i valori storici e artistici che lo caratterizzano, infatti, il polittico era ed è degno di un grande museo; ma, esclusi gli stranieri che non potevano acquistarlo in quanto notificato dalla legge di tutela, ed escluso il Polo Museale Fio-rentino per la cui campagna di acquisti avevo al momento altre priorità, mi pareva improbabile che altri musei si facessero avanti con adeguate risorse. e sarebbe stato d’altronde un peccato se, acquistata da un collezionista privato, questa insigne opera del Quattrocento fiorentino avesse continuato a essere esclusa magari per generazioni dalla pubblica vista. Questo ordine di rifles-sioni mi indusse a far presente l’opportunità di un acquisto, nel puro interesse della destinazione ottimale del polittico e senza che da parte dell’istituzione che dirigevo e dirigo vi fosse alcun vantaggio, se non in termini culturali alti e generali. invece Prato, se fosse stata la città destinataria dell’opera, si sarebbe arricchita di un dipinto d’eccellenza e, anche per le dimensioni ragguarde-voli, di grande rilevanza; ed esso sarebbe rimasto in territorio toscano, seppure non nella città d’origine, anziché migrare in un contesto diverso e magari remoto. l’ascolto di questo appello da parte della Fondazione cassa di risparmio di Prato mi diede la gioia di ammirare poi l’opera nel Palazzo di via degli alberti, sede storica della banca pratese.così come si distingue per essere un’accorta e brillante aggiunta al patrimonio cittadino il Crocifisso di Filippino lippi, che il comune di Prato ha acquistato in asta a new York: opera destinata alla devozione privata, che replica ad alto livello di effetti pittorici l’immagine centrale della Pala valori già in san Procolo a Firenze.con i venti “setini” ovvero stendardi serici da san clemente, torna a stupire – come in altri casi del recente passato – la ric-chezza dell’arte sacra stratificata e conservata nei monasteri pratesi: e grazie alla condivisibile attribuzione, che la nuova visibi-lità delle figure conseguente al restauro viene a sostenere, si aggiungono nuovi e interessanti “pezzi” al corpus di un pittore a cavallo fra il Xvi e il Xvii secolo, Gregorio detto Goro Pagani, che attende ancora una meritata rivalutazione complessiva.Ma infine mi si perdoni se il mio più vivo e appassionato interesse torna al capitello bronzeo già sotto il pulpito di donatello e Michelozzo all’esterno del duomo: una creazione unica nella storia dell’arte occidentale, che tiene della monumentalità del contesto architettonico originario, e insieme manifesta l’inventiva e la raffinatezza di artefici che hanno – senza retorica – “fatto” il rinascimento. dopo aver visto il capitello all’opificio delle Pietre dure per tutti gli anni del restauro, condotto con metodi e prassi esemplari dal settore di restauro dei Bronzi e armi antiche diretto allora da annamaria Giusti (settore, dove ebbe per compagni la Porta del Paradiso del Ghiberti, l’Amore-Atys di donatello, la Decollazione del Battista di vincenzo danti dal Battistero di Firenze, la base del Porcellino del tacca… e credo possa bastare), dopo averlo inviato e accompagnato in mostre all’estero dove ha rappresentato al massimo livello la civiltà artistica del Quattrocento fiorentino, ritengo giusto che ora torni a casa, e che sia salutato da una qualificata forma di benvenuto, qual è senz’altro questa bella mostra.

Cristina Acidinisoprintendente per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico

e per il Polo Museale della città di Firenze e, ad interim, dell’opificio delle Pietre dure

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donatello (donato di niccolò, Firenze, ca. 1386-1466)Michelozzo di BartoloMeo (Firenze, 1396-1472)

Capitello del pulpito esterno

1433

Bronzo fuso parzialmente dorato, rifinito a bulino e cesello, cm 96,8x144,2x50,6Prato, Museo dell’opera del duomoProvienienza: cattedrale di santo stefano; dal 2011 nel Museo dell’opera del duomo di Prato

la stimolante esperienza del viaggio romano di donatello nel 1432-1433 − l’ultimo condotto dall’artista nella città dei Papi − che gli consentì di raccogliere una notevole serie di spunti su forme, strutture e tecniche dell’arte romana antica, gli fornì anche la spinta per la realizzazione di un’opera con caratteri piuttosto originali (anche nel confronto con la mul-tiforme attività del grande scultore fino a quegli anni): il capitello in bronzo per il pulpito esterno della pieve di santo stefano − l’attuale cattedrale − a Prato. come vedremo, i documenti riferiscono che la fusione fu effettuata da Michelozzo − il quale fino dal 1425 era in società con donatello − e probabilmente egli eseguì anche parte del modello; la critica è però ormai concorde nell’attribuire al solo donatello il disegno del capitello, che concentra in una superficie contenuta un buon numero di elementi ricavati dall’arte antica, rielaborati e ricomposti in uno schema totalmente libero e fantasioso, di un’originalità ed esuberanza mai raggiunte nelle opere di Michelozzo. e sicuramente, oltre all’invenzione, va ricondotto direttamente a donatello anche buona parte del modellato, come mostrano evidenti richiami alle sue opere certe 1. il contratto stipulato il 14 luglio 1428 da Michelozzo, anche a nome del socio donatello, per la realizzazione del pulpito esterno destinato all’ostensione della sacra cintola della vergine, prevedeva di adattare lo spigolo della facciata della Pieve dandogli forma di pilastro scanalato, in modo da sottolineare la sua funzione di basamento del pulpito (questa soluzione non venne poi adottata). il pilastro doveva essere completato con «due spiritelli in luogho di gocciole, di grandeza di braccia due l’uno, ornati di fogliame», probabilmente una sorta di capitello in marmo bianco ornato su ogni facciata da un grande putto alato (oltre un metro di larghezza) che doveva raccordare il pilastro con la base convessa del parapetto del pulpito 2. i lavori, malgrado gli impegni presi, furono appena avviati negli anni successivi, e ripresero concretamente solo dopo il forzato rientro da roma di donatello e Michelozzo, nel 1433, ottenuto grazie all’intervento di cosimo de’ Medici. la

1 cfr. F. Caglioti, in In the Light of Apollo. Italian Renaissance and Grece, catalogo della mostra (national Gallery, alexandros soutzos Museum atene; 22 dicembre 2003-31 marzo 2004), a cura di M. gregori, Milano, 2004, vol. i, pp. 196-197; G. Bonsanti, Il pulpito di Donatello, in La Sacra Cintola nel Duomo di Prato, Prato, 1995, p. 306. r. lightbown, Donatello and Michelozzo. An artistic Partnership and his Patrons in the early Renaissance, londra, 1980, attribuisce a donatello il disegno, e a Michelozzo l’esecuzione del modello. 2 il contratto è edito in C. guasti, Il pergamo di Donatello pel Duomo di Prato, Firenze, 1887 pp. 12-13. nell’atto, subito dopo aver indicato che il pulpito doveva essere fatto «tutto di marmo biancho da charrara», si passa alla descrizione della cornice del pilastro sormontata dai due putti alati. sicuramente non era previsto l’uso del bronzo, che per il costo rilevante sarebbe stato specificato chiaramente nel contratto.

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Donatello e Michelozzo di Bartolomeo, Capitello del pulpito esterno

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

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prima operazione alla quale i due artisti posero mano fu proprio la realizzazione del capitello alla base del pulpito, il cui proget-to era stato, nel frattempo, completamente modificato (certo in accordo con l’opera della cintola, promotrice dell’intervento), approdando all’idea di una fusione in bronzo.tra agosto e ottobre dello stesso anno fu pagata a donatello e Mi-chelozzo la cera necessaria a fare il modello del capitello; l’opera era già completata il 9 dicembre seguente, quando vennero pagati i mat-toni utilizzati per formare il forno di fusione, consegnati a Micheloz-zo, col quale aveva collaborato Maso di Bartolomeo.nel febbraio 1435 la «armadura de’ ferri del chapitello del bronzo che fe’ Michelozzo di Bartolomeo» fu probabilmente predisposta per l’ancoraggio alla parete; ma solo nel 1438 si giunse al montag-gio, in vista del completamento del parapetto in marmo (luglio-agosto dello stesso anno). subito dopo − il 3 settembre − il pittore fiorentino Piero chellini venne pagato per aver dorato “a missione” il capitello. risalgono probabilmente a questo intervento i notevoli resti di doratura rintracciati col recente restauro. l’opera però non era completata: mancava infatti il secondo lato del capitello, che si pensò di far fondere solo nel 1553, e ancora, per l’ul-tima volta, nel 1866, prima di abbandonare definitivamente l’idea 3.

lo schema del capitello si ispira liberamente al cosiddetto capitello adrianeo, dai caratteri ellenistico asiatici, diffuso a roma, in asia Minore e Grecia nel periodo di adriano e antonino Pio (ii secolo d.c.) 4. Questa tipologia, che vede nel capitello pratese la prima importante citazione, sarà riproposta da leon Battista alberti, in Palazzo rucellai, e dopo di lui da Michelozzo, dal rossellino, da antonio Manetti ciaccheri e da altri architetti fiorentini, sempre in forme assai vicine agli esempi romani. nel capitello pratese, invece, ci sono notevoli variazioni rispetto al modello classico, che portano a far germinare le parti architettoni-che con grumi di foglie, cauli e corolle, e a popolarle di fantastici spiritelli, con una libertà e una fantasia compositiva che non hanno precedenti. nonostante l’abbondanza di elementi decorativi l’ef-

3 guasti, Il pergamo ... cit., pp. 16, 20, 21, 30. i consistenti anticipi ai due artisti – ben 450 lire tra il 14 agosto e il 19 dicembre 1433 – (ivi, p. 26) devono riferirsi in buona parte al capitello.4 il più celebre era nel pilastro angolare del primo basamento del Mausoleo di adriano (castel sant’angelo): documentato da vari disegni quattrocenteschi, scomparve con le trasformazioni del 1495.

1. Donatello e Michelozzo di Bartolomeo, Fianco del capitello del pulpito esterno, Prato, Museo dell’Opera del Duomo

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Donatello e Michelozzo di Bartolomeo, Capitello del pulpito esterno

fetto complessivo non è caotico né ridondante, grazie a un attento studio dei rapporti tra pieni e vuoti, e tra l’emergere più o meno accentuato dei volumi.Per assolvere alla difficile funzione di raccordo tra il basamento quadrangolare, formato dallo spigolo della chiesa, e le cornici convesse sottostanti il parapetto del pulpito, il capitello adotta un abaco − il coronamento superiore – falcato (con modanature decorate a volute e palmette, a can corrente e a fogliette lanceolate). al centro di quest’ultimo trova posto un originale putto alato, che sembra uscire dall’interno del capitello, incuneandosi tra la concavità dell’abaco e l’orlo del kalathos (il corpo del capi-tello) e aggrappandosi a quest’ultimo per sporgersi dinamicamente in avanti, come da una balconata, in modo da sostenere con la testa le cornici soprastanti. sotto di lui pendono due capsule di papavero, tradizionalmente simbolo di sonno e di oblio. È possibile che il primo progetto del pulpito, del 1428, prevedesse già due putti simili, anche se più grandi (i due “spiritelli in luogo di gocciole”).le parti laterali dell’abaco, sporgenti, sono sorrette dalle spirali superiori di una classica doppia voluta a s (o a calice), che orna il corpo del capitello, realizzata in forme più morbide, rispetto a quelle tradizionali, quasi a suggerire una fascia di stoffa (Fig. 3). al centro e ai lati delle volute si formano motivi vegetali a baccelli (di lupini o taccole) e girali vegetali con rosette, sui quali si dispongono, ben in evidenza, putti alati di diverse dimensioni: non angioletti, ma “spiritelli”, come li definiscono anche i documenti del tempo, figure attive e giocose, simbolo di vita, di ritmo e musicalità.tra questi, pienamente donatelliani sono i due bellissimi spiritelli adolescenti che indossano solo un elaborato elmo; addossati alle volute laterali con posa sicura e un po’ spavalda, richiamano al David del Bargello o ai putti del nodo del pastorale, nel San Lodovico in santa croce. sopra le loro teste è una conchiglia – un Pettine – forse riferimento ai pellegrini che accorrevano a Prato per l’ostensione della sacra cintola. Questa minuta ornamentazione vegetale con puttini sembra anticipare i motivi decorativi dell’armatura del Gattamelata nel monumento donatelliano di Padova 5.

5 si veda a. angelini, Il pulpito esterno di Donatello e di Michelozzo, in Prato, storia di una città 1**. Ascesa e declino del centro medievale (dal Mille al 1494), Firenze, 1991, p. 933.

2-3. Donatello e Michelozzo di Bartolomeo, Capitello del pulpito esterno, Prato, Museo dell’Opera del Duomo, particolari

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

Per la zona più bassa del capitello, alle tradizionali foglie d’acanto che concludono inferiormente i capitelli adrianei si so-stituiscono nell’esempio pratese due splendidi putti alati, nudi e coronati di fiori. essi sorreggono quasi distrattamente un festone vegetale, mentre riposano mollemente adagiati sul basamento o “tazza” a ovoli del capitello (un classicheggiante kyma ionico), come per asciugarsi al caldo sole pomeridiano dopo un bagno alla fonte. Gli spiritelli tengono il busto sol-levato, per scrutare curiosi verso l’esterno, puntellandosi con una mano sul basamento, quasi fosse il bordo di una vasca.sul lato corto del capitello un terzo putto alato, di profilo, si accovaccia per adattarsi al limitato spazio, e mentre sostiene un festone su spalle e avambracci, scruta la corona d’alloro che tiene tra le mani, pronto a ornarsene la testa ricciuta (Fig. 2). nella zona superiore il fianco del capitello ripete gli identici motivi del fronte (tanto da poterlo sovrapporre quasi perfet-tamente all’altro, per circa un terzo della superficie), giungendo addirittura a riproporre sull’abaco – con una scelta non facile da comprendere – parte di un’ala uguale a quella del putto centrale 6.

Claudio Cerretelli

Bibliografia:C. guasti, Il pergamo di Donatello pel Duomo di Prato, Firenze, 1887; h.w. Janson, The Sculpture of Donatello, Princeton, 1957, vol. ii, pp. 114-115; g. MarChini, Il Duomo di Prato, Milano, 1957, pp. 58-59; M. lisner, Zur frühen Bildhauerarchitektur Donatellos, in «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», iX-X (1958-59), pp. 72-127; r. lightbown, Donatello and Michelozzo. An artistic Partnership and his Patrons in the early Renaissance, londra, 1980; G. Bonsanti, Il pulpito di Donatello, in La Sacra Cintola nel Duomo di Prato, Prato, 1995, pp. 297-311, cfr. p. 306; c. Cerretelli, La Pieve e la Cintola, in La Sacra Cintola nel Duomo di Prato, Prato, 1995, pp. 89-161, cfr. p. 101; a. an-gelini, Il pulpito esterno di Donatello e di Michelozzo, in Prato, storia di una città 1**. Ascesa e declino del centro medievale (dal Mille al 1494), Firenze, 1991, pp. 931-935, cfr. p. 933; F. Caglioti, Donatello e i Medici. Storia del David e della Giuditta, Firenze, 2000, vol. i, pp. 55-56, 100, 169-170, 173; F. Caglioti, in In the Light of Apollo. Italian Renaissance and Grece, catalogo della mostra (national Gallery-alexandros soutzos Museum atene 22 dicembre 2003-31 marzo 2004), a cura di M. gregori, Milano, 2004, vol. i, pp. 196-197; a. giusti, in The Splendour of the Medici. Art and Life in Renaissance Florence, catalogo della mostra (Museum of Fine arts Budapest, 24 gennaio-18 maggio 2008), a cura di M. bietti-a. giusti, Budapest, 2008, p. 138.

Mostre: In the Light of Apollo. Italian Renaissance and Grece, catalogo della mostra (national Gallery-alexandros soutzos Museum atene 22 dicembre 2003-31 marzo 2004), a cura di M. gregori, Milano, 2004, vol. i, pp. 196-197; The Splendour of the Medici. Art and Life in Renaissance Florence, catalogo della mostra (Museum of Fine arts Budapest, 24 gennaio-18 maggio 2008), a cura di M. bietti-a. giusti, Budapest, 2008, p. 138.

6 Quest’ultimo elemento, abbastanza particolare, fa tornare alla mente una complessa ipotesi, difficilmente dimostrabile, avanzata da horst Janson, secondo il quale (per l’emergenza del putto sulla voluta destra e per l’angolazione dell’abaco) l’intero capitello sarebbe stato fuso nel 1433, e in un solo pezzo, ma a seguito della perdita di una delle due facce quella superstite, prevista per il fianco della chiesa, sarebbe stata invece spostata sul fronte (cfr. h.w. Janson, The Sculpture of Donatello, Princeton, 1957, vol. ii, pp. 114-115).

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Donatello e Michelozzo di Bartolomeo, Capitello del pulpito esterno

Il restauro del capitelloopificio delle Pietre dure - Firenzesettore Bronzi e armi anticheDirezione: Maria donata MazzoniRestauratori interni: stefania agnoletti, annalena Brini Laboratorio scientifico: andrea cagnini, simone Porcinairestauro eseguito nel 2007 da svèta Gennai, chiara valcepina con la direzione di annamaria Giusti e la direzione tecnica di Fabio Burrini

sulla facciata del duomo di Prato, il capitello bronzeo di donatello e Michelozzo si collocava idealmente a sostegno del pulpito marmoreo. Fuso da Michelozzo nel 1433 con la tecnica della fusione a cera persa, è interamente rivestito con foglia d’oro applicata a missione, che oggi sussiste in frammenti abbastanza estesi rimessi in luce dalla pulitura.il restauro, affidato all’opificio delle Pietre dure, costituisce la fase finale di un più ampio progetto che ha visto come protagonista l’intero pulpito.a livello conservativo presentava un tipo di corrosione caratteristica dei bronzi situati all’aperto in ambiente urbano; l’esposizione angolare e più protetta del lato corto del manufatto rispetto a quello frontale, ha dato origine ad una tipo-logia e ad un livello di corrosione diversificati.il delicato restauro è stato preceduto e accompagnato da una estesa campagna diagnostica, grafica e fotografica, che analizzando gli aspetti del degrado ha reso possibile la definizione delle procedure di intervento; con particolare attenzione all’individuazio-ne di un protettivo idoneo e alla definizione di un programma di manutenzione a scopo di studio e di conservazione. la pulitura della superficie sul retro è stata effettuata con tecniche di tipo meccanico.nella parte frontale lo stato estremamente frammentario e decoeso della doratura ha reso complessa la messa a punto di una metodologia che garantisse allo stesso tempo conservazione e resa estetica.

4-5. Donatello e Michelozzo di Bartolomeo, Capitello del pulpito esterno, Prato, Museo dell’Opera del Duomo, particolari in fase di restauro

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

Per non rischiare di compromettere la fragile foglia d’oro, data la varietà di situazioni presenti sulla superficie, sono stati usati metodi complementari di pulitura, fra cui quella con ablazione laser, che riveste ormai un ruolo importante, per il restauro delle superfici metalliche dorate, nei laboratori dell’opificio delle Pietre dure.lo spessore notevole delle incrostazioni superficiali non ha consentito di accostarsi alla pulitura direttamente con il laser, è stato pertanto necessario individuare un metodo che rendesse possibile l’assottigliamento delle stesse agendo in modo superficiale, non andando cioè ad interagire con i prodotti di corrosione formatisi sotto la doratura e che ne costituiscono, allo stato attuale, il supporto. sono state individuate, tra i vari prodotti testati, le resine a scambio ionico che, grazie alla loro azione caratteristica, provocano un “indebolimento” dell’incrostazione. Per agevolare l’azione delle resine è stato deciso di far precedere al trattamento chimico un assottigliamento manuale dei depositi incoerenti con il bisturi.l’ablazione laser ha consentito la rimozione selettiva e controllata delle incrostazioni e il raggiungimento di un buon livello di pulitura, mettendo in luce la residua foglia d’oro.controversa è stata la scelta del tipo di protezione finale: l’esito dei test comparativi fra protettivi di varia natura ha con-vogliato, per aspetti estetico-conservativi, la scelta verso un prodotto conosciuto e stabile che garantisce una migliore reversibilità, come la cera microcristallina.

S.G. - C.V. - S.A. - A.B.

Scansione ed elaborazione tridimensionale

nel dicembre 2010, per poter realizzare una copia fedele in bronzo del capitello, da sostituire all’originale all’ester-no della cattedrale, è stata condotta dall’istituto di scienza e tecnologie dell’informazione (isti) del cnr di Pisa una campagna di acquisizione 3d con scanner la-ser di precisione della superficie del capitello, effettuata presso i laboratori dell’opificio delle Pietre dure, dove l’opera si trovava a seguito del restauro. lo scanner laser si basa sul principio della triangolazione: si rileva la parte di superficie illuminata da una lama laser proiettata a un angolo dato e da una precisa distanza (ac-quisendo 8-10 punti 3d per millimetro quadrato). Per ottenere i dati dell’intero oggetto sono necessarie mol-te scansioni, da differenti punti di vista; in questo caso ne sono state effettuate 353. ogni ripresa fornisce una mappa di punti che riproduce quella particolare “vista” dell’oggetto, i dati grezzi devono quindi essere elaborati per produrre un modello 3d completo, attraverso le fasi di allineamento delle scansioni entro lo stesso spazio di coordinate, di fusione per la produzione di un modello

6. Donatello e Michelozzo di Bartolomeo, Capitello del pulpito esterno, particolare della scansione tridimensionale

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Donatello e Michelozzo di Bartolomeo, Capitello del pulpito esterno

3d unico (realizzato in questo caso con una risoluzione di 0.7 mm.), e di semplificazione, che riduce la complessità geometrica preservando il dettaglio. infine, per preparare alla riproduzione il modello 3d, è necessaria una pulizia della struttura geometrica (rimuovendo piccoli artefatti geometrici e chiudendo piccole aree non acquisite dallo scanner). in tutte le fasi del processing è stato utilizzato software realizzato da cnr-isti. dal modello 3d è attualmente (marzo 2011) in via di ultimazione una riproduzione in gesso dalla quale sarà realizzata (a cura della fonderia salvadori arte di Pistoia) la copia in bronzo a cera persa.

Roberto Scopigno e Matteo Dellepiane visual computing lab isti – cnr

7. Donatello e Michelozzo di Bartolomeo, Capitello del pulpito esterno, scansione tridimensionale

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FiliPPino liPPi (Prato 1457-Firenze 1504)

Cristo crocifisso

1500-1504

olio e oro su tavola, cm 31,2x23,5 (superficie dipinta, cm 29,7x22)Prato, Museo civicoProvenienza: Berlino, Fritz rothmann, nel 1928; zantpoort e Berlino, vitale Bloch; Firenze, alessandro contini-Bo-nacossi; acquistato nel 1933 da simon Guggenheim e sua moglie; donato nel 1955 al denver Museum of art, simon Guggenheim Memorial collection, n. 1955.108; venduto a new York, christie’s, il 27 gennaio 2010, lotto 2; acquistato dal comune di Prato per inserirlo nelle collezioni del Museo civico

Quest’opera costituisce una replica in formato ridotto, eseguita dallo stesso Filippino lippi, della figura centrale della Pala Valori, che ornava la cappella di Francesco valori nella piccola chiesa di san Procolo a Firenze. il pannello centrale della pala, raffigurante La Crocifissione con la Vergine e san Francesco (cm 186x179), pervenuto al Kaiser Friederich Museum di Berlino, andò distrutto nel 1945 (Fig. 1). le somiglianze fra questa opera e altri dipinti di Filippino di sicura cronologia ci consentono di datare la Pala Valori intorno al 1498-1500.i sorprendenti caratteri stilistici di questo lavoro − soprattutto l’uso del fondo oro e l’estrema semplicità della composi-zione – appaiono direttamente derivati dal pensiero del savonarola e dei suoi seguaci. cristo è presentato con occhi ormai chiusi, dopo avere superato ogni sofferenza. tre angeli raccolgono il sangue che sgorga dalle piaghe delle sue mani e del costato, mentre dai suoi piedi un altro rivolo di sangue scende a bagnare la base della croce. dal terreno circostante emergono quattro teschi, ossa sparse e diversi blocchi di pietra, probabili resti di lastre tombali. la vergine e san Francesco hanno proporzioni assai maggiori del cristo, anche se questo è reso meno evidente dalla loro posizione raccolta, in ginocchio ai lati della croce. l’accenno a una collina, sulla sinistra, è l’unica indicazione del luogo in cui la scena si svolge, mentre l’omogeneo fondo oro non è segnato da decorazioni o motivi geometrici.la più antica descrizione edita della Pala Valori appare nel Riposo di raffaello Borghini, del 1584 1: «[Filippino] fece molte altre tavole come in san Brocolo alla cappella de’ valori, nella facciata dirimpetto all’altare maggiore, una in cui si vede chri-sto in croce, in campo d’oro, con tre angeli che ricevono il sangue dalle piaghe in alcuni calici, e a piè della croce (…)». la pala d’altare originale, in particolare il pannello centrale, rivela come Filippino avesse adeguato il proprio stile per la cappella valori. come leader politico dei piagnoni, Francesco valori aveva raggiunto il più alto livello di potere nel 1497, quando ri-coprì la carica di Gonfaloniere; a seguito dei suoi stretti rapporti con il savonarola egli fu assassinato dalla stessa folla che diede l’assalto al convento di san Marco nell’aprile del 1498. niccolò, suo nipote ed erede, divenne il responsabile del mantenimento della cappella valori; fu quasi certamente niccolò a commissionare la pala a Filippino, come lui membro della confraternita di san Paolo.

1 r. borghini, Il Riposo, in cui della pittura e della scultura si favella ..., ristampa anastatica dell’edizione Firenze, 1584, hildesheim, olms, 1969, pp. 358-359.

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Filippino Lippi, Cristo crocifisso

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

nel suo diario privato niccolò tessé le lodi di suo zio France-sco e descrisse la sua fede nel savonarola; la Pala Valori riflette tre temi centrali degli scritti e dei sermoni del frate ferrarese. savonarola affermava spesso che per ottenere la salvezza at-traverso il sangue di cristo il credente doveva pentirsi, come avevano fatto la Maddalena e il Battista; doveva accettare il mistero della croce con purezza di fede come la vergine e me-ditare sulla crocifissione, come simbolo dell’inevitabile morte dell’uomo. savonarola prestò particolare attenzione al tema della crocifissione. Fu proprio lui a commissionare a Baccio da Montelupo un crocifisso di legno per san Marco, e i suoi seguaci che partecipavano alle processioni da lui organizzate si caricavano di croci di legno rosso. il frate diceva spesso ai suoi seguaci di appendere un crocifisso in ogni stanza della propria casa, e una delle sue affermazioni preferite era che solo la croce doveva essere il vero “libro” del credente. l’importanza attribuita al sangue di cristo nella Pala Va-lori ha scarsi riscontri nella pittura toscana del periodo. nel dibattito che si sviluppò nel corso del Quattrocento sulla questione del santo sangue, i domenicani sostenevano che quello era il simbolo del sacrificio di cristo e della redenzio-ne dell’uomo, e anche nel Crocifisso di Baccio per san Marco il sangue sgorga abbondante dalle ferite.il santo sangue riveste un ruolo centrale nella visione del savo-narola della crocifissione Mistica, nella quale i fedeli di cristo

si bagnano nel suo sangue, come mostra una nota xilografia su quel tema, spesso attribuita senza fondamento al Botticelli. anche nel piccolo dipinto oggetto di questa scheda Filippino mostra il sangue che scorre dalle ferite sul fianco, sulle mani, sulla fronte e sul torace. nessun pannello della Pala Valori mostra ornamenti superflui, e lo stesso avviene in questa replica, il cui fondo è rigorosamente nero. tuttavia Filippino inserisce l’oro nella Pala di san Pancrazio, soprattutto come fondale della Crocifissione, e ripropone anche in questa piccola versione l’uso di oro nel cristo crocifisso − nell’aureola, nell’iscrizione sulla croce e nella decorazione delle vesti di cristo −. la stessa figura del crocifisso richiama perfettamente quanto osservava il savonarola nel suo Trattato dell’amore di Jesu Christo: che «il dolce et buon Jesu era di nobile complessione, et tenera, et delicata». l’intera stesura del piccolo dipinto può essere definita assai delicata, e diversi dettagli virtuosistici rivelano la mano dello stesso Filippino: lo scorcio dell’aureola, le ciocche di capelli che scendono sulle spalle, e specialmente il piede più in basso, dove le pieghe nella pelle evidenziano la pressione del piede sovrastante. sebbene le braccia, nel punto in cui si con-giungono al corpo, abbiano quasi l’aspetto di stracci contorti, è proprio questa mancanza di realismo a confermare che non siamo di fronte all’opera di un allievo, indicando piuttosto il tentativo di Filippino di enfatizzare la sofferenza di cristo. Questo piccolo dipinto fu probabilmente creato per la devozione privata e domestica di un fedele del savonarola, forse dell’ambito di Francesco valori.

Jonathan K. Nelson

1. Filippino Lippi, Crocifissione con la Vergine e san Francesco (tavola centrale della Pala Valori), ca. 1498-1500 (già Berlino, Kaiser-Frie-drich-Museum, cat. n. 96; distrutta nel 1945)

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Filippino Lippi, Cristo crocifisso

Bibliografia:g. briganti, Un’opera inedita di Filippino Lippi, in Miscellanea di storia dell’arte in onore di Igino Benvenuto Supino, Firenze, 1933, pp. 481-482; a. sCharF, Filippino Lippi, Wien, 1935, pp. 57, 107 n. 27b; a. sCharF, Filippino Lippi, Wien, 1950, pp. 33, 55 n. 97; l. berti-u. baldini, Filippino Lippi, Firenze, 1957, p. 98 n. 11 (attribuita); n. 97; F. gaMba, Filippino Lippi nella storia della critica, Firenze, 1958, pp. 79, 102 n. 32; b. berenson, Italian Pictures of the Renaissance. A List of the Principal Artists and their Works, london, 1963, p. 108; b. FrederiCksen-F. Zeri, Census of Pre-Nineteenth-Century Italian Paintings in North American Public Collections, cambridge, Massachusetts, 1972, p. 105 (bottega); l. berti-u. baldini, Filippino Lippi, Firenze, 1991, p. 235 (attribuita); J.k. nelson in P. ZaMbrano-J.k. nelson, Filippino Lippi, Milano, 2004, p. 599 n. 55.2 (di Filippino lippi o di uno stretto collaboratore).

Mostre:new York World’s Fair, Catalouge of European Paintings and Sculpture from 1300-1800, a cura di G.h. MCCall (new York, maggio-ottobre 1939), new York, 1939, p. 106, n. 217.

Il restauro del Crocifisso

il dipinto era stato trasportato – probabilmente intorno alla metà del novecento – su un supporto di compensato li-stellare, forse a causa delle precarie condizioni del supporto originale (di pioppo o più probabilmente di noce, visto che le piccole dimensioni del dipinto fanno supporre un limitato spessore originario). il trasporto appariva perfettamente riuscito e la superficie pittorica si presentava compatta, priva di sollevamenti di colore o preparazione, senza fessurazioni verticali, mentre si evidenziavano solo due piccole cadute di colore (all’attacco del braccio destro e nel bordo inferiore del perizoma, sulla coscia destra del cristo), restaurate in passato (Fig. 3).la superficie pittorica era uniformemente ingiallita da uno strato di vernice resinosa ossidata, sotto la quale si intravede-vano i resti di una vernice più antica, rimossa in maniera non uniforme (Figg. 2-3). l’intervento di restauro, poiché la superficie pittorica si presentava in generale perfettamente stabile, ha comportato la rimozione del primo strato di vernice ossidata (usando come solvente una mista leggera 3a), quindi una leggerissima verniciatura con vernice da ritocco. a questa è seguita una pulitura a bisturi, con microscopio, dei residui di vernice più antica, così da restituire un aspetto omogeneo all’intera superficie e consentire quindi una più armoniosa lettura dell’opera.la terza fase dell’intervento ha comportato la rimozione dei due vecchi restauri su braccio e gamba destra del cristo, la fer-matura dei bordi del colore, una nuova preparazione a gesso e colla e la campitura delle lacune con colori ad acquerello.l’ultima fase ha riguardato il restauro finale con colori a vernice delle due lacune più grandi, e leggere ritessiture sugli incarnati del cristo e su piccole parti del fondo nero. il dipinto è stato infine completato con vernice mastice.

Gianna Nunziati

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

2. Filippino Lippi, Cristo crocifisso, Prato, Museo civico, prima del restauro

3. Particolare, prima del recente restauro, nel quale si evidenziano antichi interventi eseguiti su lacune del colore presso la spalla e la coscia destra

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Mariotto di nardo (Firenze, notizie 1389/90-1424)

Polittico SerristoriMadonna col Bambino in trono e sei angeli (scomparto centrale); San Giacomo Maggiore e san Giovanni Battista (scomparto sinistro); Re David (qua-drilobo in alto); Sant’Andrea e san Bernardo (scomparto destro); Mosè (quadrilobo superiore); Angelo annunciante (cuspide sinistra); l’Eterno benedi-cente (cuspide centrale); Madonna annunciata (cuspide destra). nella predella, da sinistra: Donatore (Bernardo di tommaso serristori) inginocchiato; Decapitazione di san Giacomo, Battesimo di Cristo; Adorazione dei Magi; Martirio di sant’Andrea; Visione di san Bernardo; Donatrice inginocchiata.

1424 (datato)

tempera, oro su tavola, cm 315x275 (trittico), cm 28x278 (predella)Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato Iscrizione sotto lo scomparto centrale: «questa tavola ha Fatto Fare / bernardo di toMMaso di seristorio / PeriMedio / delaniMa sua / e de suoi antiCesori / anno doMini MCCCCxxiiii di diCeMbre». Provenienza: cappella serristori, chiesa di san Francesco a Figline valdarno; casagrande serristori a Figline (1808 circa); Palazzo serristori a Firenze (1880 circa-1977); asta sotheby’s 1977 tenuta a Firenze a Palazzo capponi; asta semenzato del 1988 tenuta a roma; collezione Gualtieri; asta sotheby’s 2007 tenuta a Firenze a Palazzo serristori dove è stato ac-quisito dalla Fondazione cassa di risparmio di Prato; ospitato dal 2007 al 2009 nella Galleria del Palazzo degli alberti a Prato; dal marzo 2011 depositato nel Museo di Pittura Murale in san domenico, Prato

nel museo di Pittura Murale di san domenico, accanto all’eccellente compagine dei polittici tre quattrocenteschi del Museo civico di Prato, è presentato il maestoso trittico di Mariotto di nardo, una vera e propria “macchina d’altare” ac-quisita dalla Fondazione cassa di risparmio di Prato nel 2007, che ha così incrementato il patrimonio artistico cittadino con una significativa pagina di pittura tardo-gotica.il trittico, ospitato subito dopo l’acquisto nella Galleria di Palazzo degli alberti, torna visibile al pubblico dopo il delicato restau-ro (ottobre 2009-estate 2010) promosso dalla stessa Fondazione cassa di risparmio ed eseguito con ineccepibile rigore tecnico da daniele Piacenti con la sorveglianza tecnico-scientifica della scrivente, quale funzionaria di zona della soprintendenza. il restauro, oltre a provvedere al necessario risanamento della struttura lignea e della pellicola pittorica, ha consentito un apprez-zabile recupero dei valori cromatici originari e una più chiara distinzione delle integrazioni effettuate dai restauratori angiolo tricca (1880 ca.) e luigi cavenaghi (1904), ripristinando un soddisfacente equilibrio strutturale e assicurando una lettura più coerente dell’insieme. l’odierno intervento − a seguito del quale l'opera era stata smontata in tutte le sue componenti nel laboratorio fiorentino di Piacenti − ha, inoltre, reso possibile la movimentazione in sicurezza del dipinto alla mostra di Figline valdarno Arte a Figline. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio (16 ottobre 2010-16 gennaio 2011) 1, spostamento da con-siderarsi comunque un accadimento “eccezionale” per le rilevanti dimensioni e l’articolata struttura dell’opera.

1 la mostra Arte a Figline. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio (16 ottobre 2010-16 gennaio 2011), promossa nell’ambito del ciclo espositivo “la città degli Uffizi”, era dedicata alle opere d’arte qualitativamente più elevate prodotte nel territorio di Figline tra la seconda metà del secolo Xiii e la prima metà del secolo Xv.

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

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Mariotto di Nardo, Polittico Serristori

Per il polittico di Mariotto di nardo − commissionato dalla famiglia serristori, fondatrice dell'eponimo spedale a Figline − un emblema-tico ritorno al contesto d'appartenenza dopo oltre un secolo d'assen-za, sia pure in una sede (Palazzo Pretorio) diversa rispetto a quella originaria, ritorno che ha consentito una riconsiderazione critica e un interessante accostamento ai quattro Santi della Galleria degli Uffizi (depositi, inv.1890, nn. 6101, 6102, 6092, 6093), appartenenti ad una fase precoce (1390-1395) dell’attività del pittore. Per delineare una pur sintetica trattazione storico-artistica del polittico serristori ne vanno innanzitutto ripercorse le complesse vicende, anche alla luce anche di quanto emerso nel corso dell’ul-timo restauro e dei recenti studi 2. il dipinto presenta un’elaborata struttura articolata su più registri: tre scomparti ogivali sormontati da altrettante tavolette cuspidate; in basso un gradino a mo’ di basamento architettonico “a scatola”, e sotto la predella dipinta con due formelle applicate ai lati, come basi per i pilastri laterali; il tutto racchiuso da un’incorniciatura in legno intagliato con pilastrini laterali, colonnine tortili, guglie di coronamento, con decori in pastiglia dorata e una profilatura ad archetti continui per gli scomparti centrali. È stato commissionato da Bernardo di tommaso serristori, ri-

tratto come orante nella predella (lato sinistro) e menzionato nell’iscrizione dedicatoria sotto lo scomparto centrale, per la cap-pella di famiglia, quella a cornu evangeli della chiesa di san Fran-

cesco di Figline, dove era ancora collocato nel corso del secolo Xviii, come attesta la cronaca redatta da padre Francesco antonio Benoffi (m 1786) 3. i serristori, presumibilmente in coincidenza con la soppressione della chiesa di san Francesco (1808), decisero poi di trasferire il polittico dalla cappella alla casagrande, la loro imponente dimora figlinese, dove il dipinto restò in soffitta in cattivo stato di conservazione fino al trasferimento a Firenze nel palazzo di famiglia sull’omonimo lungarno, avvenuto intorno al 1880.sull’altare della chiesa di san Francesco a Figline, per iniziativa del conte Umberto serristori, nel 1929 fu collocata, a mo’ di memoria, una copia del trittico di dimensioni ridotte, in quanto limitata alla sola parte centrale con la Madonna col Bambino e alle figure dei Santi Giovanni Battista e Andrea (Fig. 1) 4.

2 Fondamentali sono s. Chiodo, Il polittico Serristori di Mariotto di Nardo, in «Prato storia e arte», 102 (2007), pp. 9-27; s. Chiodo, Ma-riotto di Nardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, roma, 2008, vol. 70, pp. 585-592 (pp. 586-592).3 Pesaro, Biblioteca oliveriana, ms. 1687, Fs. 330-334.4 cfr d. neri, La chiesa di San Francesco a Figline, Firenze 1931, edizione citata, riedita nella collana “Microstudi”, 11, Figline valdarno, 2010, p. 28.

1. Pittore del secolo XX (?), Madonna col Bambino in trono e a angeli, San Giovanni Battista, Sant’Andrea (da Mariotto di Nardo), Figline Valdarno, chiesa di San Francesco

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

2-3. Mariotto di Nardo, Polittico Serristori Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato: scomparto sinistro San Giacomo maggiore e San Giovanni Battista, Re David (quadrilobo in alto); scomparto centrale Madonna col Bambino e sei angeli

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Mariotto di Nardo, Polittico Serristori

nel polittico di Mariotto di nardo l’iscrizione dedicatoria, apposta in lettere gotiche sotto lo scomparto centrale, è stata ripri-stinata sulla base di quella originale, documentata nella cronaca del Benoffi, durante il rifacimento della carpenteria, come è stato confermato anche dalle indagini svolte in occasione del recente restauro. l’intervento di ricostruzione, che ha riproposto con alcune modifiche l’incorniciatura originaria e il basamento di tipo architettonico con decorazioni in pastiglia e gli stemmi dipinti, è stato effettuato dal pittore angiolo tricca, incaricato nel 1880 dal conte alfredo serristori di restaurare il polittico 5.la predella, “lasciata in disparte” volutamente al momento dell’intervento del tricca per le disastrate condizioni conser-vative, nel 1904 fu data in restauro per iniziativa del conte Umberto serristori a luigi cavenaghi, celebre restauratore del periodo che provvide ad integrare ampie zone negli sfondi e dipingere la formella applicata nell’estremità destra con la figura della donatrice inginocchiata a mani giunte. Quest’ultima, realizzata con ogni probabilità in sostituzione della pit-tura originale andata perduta, dovrebbe raffigurare cecca di Giovanni caffini, sposata da Bernardo di tommaso serristori proprio nel 1424; va rilevata la tonalità scura dell’immagine, intenzionalmente perseguita dal cavenaghi per armonizzarla con la cromia offuscata delle scene della predella. a seguito dello smembramento della collezione serristori, il polittico, già notificato dall’allora Ministero della Pubblica istruzione nel 1956, è apparso tre volte in vendita sul mercato antiquario: nel maggio 1977 a Firenze da sotheby’s,

5 Per le notizie sui restauri di angiolo tricca e luigi cavenaghi vedi l. berretti, Umberto Serristori, collezionista di primitivi, in Arte a Figline ... cit., p. 65, nota 16.

4. Mariotto di Nardo, Polittico Serristori Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato, particolare della predella con l’Adorazione dei Magi e l’Annuncio ai pastori

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

nell’ottobre 1988 a roma presso semenzato e infine nel 2007 sempre a Firenze nell’asta tenuta da sotheby’s a Palazzo serristori, quando è stato acquisito dalla Fondazione cassa di risparmio di Prato.la prima citazione critica del dipinto si deve a sirén (1904) che lo riferisce a lorenzo di niccolò; successivamente (1908) lo stesso studioso, a seguito della distinzione della personalità di Mariotto di nardo con l’individuazione dei documenti del 1394-1395 per il polittico della chiesa di san donnino a villamagna, ha ricondotto l’opera figlinese al pittore, con una attribuzione poi condivisa da tutta la critica successiva.Mariotto di nardo, figlio di nardo di cione (ritenuto uno scarpellino da una parte della critica, mentre gli studi più recen-ti, sulla scia all’asserzione vasariana, lo identificano con il pittore fratello dell’orcagna), apprende il mestiere nell’ambito orcagnesco, come dimostrano le opere giovanili stilisticamente vicine alla produzione di Jacopo di cione. alla formazione del suo stile, che appare ben individuabile in opere quale il trittico di santa Margherita a tosina (1389) e il polittico do-cumentato di san Martino a villamagna (1395), contribuirono inoltre le tendenze goticheggianti della bottega di agnolo Gaddi e soprattutto il diretto contatto, stabilito durante gli anni della collaborazione con l’opera del duomo, con gli scultori attivi nel cantiere della cattedrale. nella Firenze dei primo decenni del Quattrocento, Mariotto non si sottrasse al fascino dall’elegante arte internazionale di Gherardo starnina e lorenzo Monaco, recependone spunti e suggestioni che coesistono con la tendenza arcaizzante della sua fase estrema. emblematica espressione di tale fase è il polittico serristori, datato 1424, anno della morte di Mariotto di nardo. nella solenne ancona l’artista, pur accogliendo timidamente le moderne impostazioni spaziali negli scorci, e nell’ambientazione dei santi e

5-6. Mariotto di Nardo, Polittico Serristori Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato, particolare della predella con Decapitazione di San Giacomo e Battesimo di Cristo

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Mariotto di Nardo, Polittico Serristori

della Madonna col Bambino in uno spazio unificato, recupera intenzionalmente una severità neo-giottesca nella definizione dei quattro santi che attorniano la vergine, figure statiche e inespressive, contraddistinte da un accentuato chiaroscuro che rimanda ai modelli orcagneschi della sua formazione 6. tuttavia la vivacità narrativa degli episodi della predella, dove Mariotto di nardo tratteggia le scene con una ricchezza di dettagli peculiari del gusto internazionale e caratterizza i personaggi con un’efficace espressività, riscatta l’austerità degli scomparti centrali. inoltre, la gamma cromatica sfavillante con gli audaci accostamenti, le ricercate tonalità cangianti, la profusione dell’oro utilizzato con varie tecniche, la raffinata resa del drappo d’onore del trono della vergine, rivelano la consumata perizia tecnica di Mariotto di nardo nel consegnare un manufatto di estrema preziosità, che certamente dovette suscitare l’ammirazione dei contemporanei, come attestano le numerose commissioni svolte durante la sua attività, sia a Firenze che fuori, per prestigiosi committenti privati e illustri istituzioni pubbliche 7.

Cristina Gnoni Mavarelli

Bibliografia:o. sirén, Di alcuni pittori fiorentini che subirono l’influenza di Lorenzo Monaco, in «l’arte», (1904), pp. 340-341; o. sirén, Gli affreschi nel Paradiso degli Alberti, Lorenzo di Niccolò e Mariotto di Nardo, in «l’arte», (1908), pp. 179-196 (p. 194); a. venturi, Storia dell’Arte Italiana, vol. vii, 1°, 1910, p. 25, nota 2; B. khvoshinsky-M. salMi, I pittori toscani dal XIII al XIV secolo, roma, 1914, vol. ii, p. 61; r. van Marle, The Development of the Italian Schools of Paintings, the hague, 1927, vol. iX, p. 218; d. neri oFM, La chiesa di San Francesco a Figline, Firenze, 1931, edizione citata, riedita nella collana “Microstudi”, 11, Figline valdarno, 2010, pp. 18, 24, 37 nota 19; B. berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Florentine school, london, 1963, vol. i, p. 131; M. boskovits, Pittura Fiorentina alla vigilia del Rinascimento, Firenze, 1975, p. 394; r. FreMantle, Florentine Gothic Painters, london, 1975, p. 451, figg. 936-938; s. Chiodo, Mariotto di Nardo. Note per un “egregio pittore”, in «arte cristiana», lXXXvii (1999), pp. 91-104 (p. 98); sotheby’s, Catalogo dell’asta Palazzo Serristori (Firenze, 9-16 maggio 1977), lotto 28; s. Chiodo, Il polittico Serristori di Mariotto di Nardo, in «Prato storia e arte», 102 (2007), pp. 9-27; s. Chiodo, Mariotto di Nardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, roma, 2008, vol. lXX, pp. 585-592 (pp. 586-587); F. baldini, scheda del Polittico serristori in Arte a Figline Valdarno. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio, catalogo della mostra (Figline valdarno, 16 ottobre 2010-16 gennaio 2011), a cura di a. tartuFeri, 2011, pp. 158-163; l. berretti, Umberto Serristori collezionista di primitivi alla Casagrande di Figline, in Arte a Figline Valdarno. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio, catalogo della mostra (Figline valdarno, 16 ottobre 2010-16 gennaio 2011) a cura di a. tartuFeri, 2011, pp. 62-63, 65 nota 16; d. PiaCenti, Il restauro del polittico Serristori di Mariotto di Nardo, in Arte a Figline Valdarno. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio, catalogo della mostra (Figline valdarno, 16 ottobre 2010-16 gennaio 2011) a cura di a. tartuFeri, 2011, pp. 162-163; a. tartuFeri, Arte a Figline. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio, in Arte a Figline Valdarno. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio, catalogo della mostra (Figline valdarno, 16 ottobre 2010-16 gennaio 2011) a cura di a. tartuFeri, 2011, pp. 86-87.

Mostre:Mostra dei Tesori Segreti delle Case Fiorentine, catalogo della mostra (Firenze, 11 giugno-11 luglio 1960), a cura di M. gregori, Firenze, 1960, cat. n. 8; Arte a Figline Valdarno. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio, catalogo della mostra (Figline valdarno, 16 ottobre 2010-16 gennaio 2011), a cura di a. tartuFeri, Firenze, 2010

6 cfr. Chiodo, Il polittico ... cit., p. 26.7 in proposito merita riportare la lucida analisi di sonia chiodo (Chiodo, Il polittico ... cit., p. 25): «…. l’attività tarda di Mariotto è stata spesso oggetto del più severo giudizio della critica storico-artistica. esiste dunque una evidente contraddizione tra quello che è l’apprezzamento goduto ai suoi tempi da questo artista, testimoniato dal numero, dalla destinazionee dal prestigio sociale dei committenti, e la moderna valutazione critica di questa fase della sua attività».

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

Il restauro del politticoStoria e vicendesi tratta di una complessa macchina d’altare di grandi dimensioni che ha attraver-sato il tempo e con tutte le sue vicissitudini è giunta fino a noi conservando tutto il suo fascino e la sua monumentalità. dalla sua originaria pertinenza, la cappella serristori della chiesa di san Francesco a Figline valdarno, dove il conte Bernardo serristori lo aveva fatto collocare sull’altare dopo averlo commissionato a Mariotto di nardo, il polittico ha visto vari trasferimenti e subìto smembrature e ricomposi-zioni, acconciature e cambiamenti di stile per le varie collocazioni. sull’altare della chiesa di Figline era costituito da un massiccio e profondo gradino d’altare di forma scatolata che sosteneva i tre scomparti principali, la Madonna in tro-no col Bambino e le due coppie di santi ai lati che terminavano in alto con le tre anco-nette con l’annunciazione ed il redentore. con il primo trasferimento a casagrande serristori a Figline subì la smembratura, perdette i pilastri laterali e il suo gradino finì in soffitta. nel 1880 il conte alfredo serristori diede incarico al professor angiolo tricca di acconciarlo in modo da poterlo esporre degnamente nel grande Palazzo serristori. Furono ricostruiti i due pilastri laterali terminanti con quattro pinnacoli, un gradino decorato con stemmi di famiglia le colonnette tortili. Furono ritagliate alla “moda” le cuspidi degli scomparti principali e per far questo dovette ricostruire anche tutte le de-corazioni in pastiglia il fogliame e i pinnacoli del registro superiore in legno intagliato e dorato. nel 1904 il conte Umberto serristori recuperata in condizioni disastrose la parte anteriore istoriata dell’originale gradino d’altare, diede incarico al restauratore luigi cavenaghi di integrarla delle parti pittoriche mancanti. Fu così aggiunta la figura femminile alla base del pilastro di destra e gran parte dei fondi dipinti e dorati delle scene con le storie dei santi. il polittico acquisì la forma che oggi tutti conosciamo e recuperò la sua integrità, mancava soltanto l’appoggio d’altare che aveva in origine e che si ripresenta oggi nella redazione espositiva del Museo di Pittura Murale dopo il restauro.

Il restaurocon l’incarico affidatoci dalla Fondazione cassa di risparmio di Prato nel 2009, abbiamo iniziato a occuparci del restauro del polittico che già da tempo, ancora prima che fosse rimosso da palazzo serristori, mostrava chiari segni di sofferenza. era fessurato nei piani dipinti e così siamo intervenuti col risarcimento del legno e il trattamento antiparassitario, la fer-matura del colore e dell’oro. la pittura appariva sorda e confusa, si riteneva che fossero le stratificazioni depositate dal tempo a provocare questo effetto. Una campagna diagnostica di tipo fotografico nel visibile, in fluorescenza ultravioletta e in riflettografia infrarossa ha rivelato soltanto le tradizionali ridipinture che si possono riscontrare nei dipinti antichi che da almeno un secolo non sono restaurati, ha evidenziato e circoscritto nettamente invece le integrazioni del cavenaghi. dopo i primi saggi è apparsa quasi inalterata la pittura di Mariotto di nardo, sepolta sotto le ridipinture ottocentesche e le deturpanti sgrondature di olio e vernice che il tricca tentò di togliere, ma poi decise più saggiamente di operare di pennello e ricostruì per intero le vesti dei santi. il metodo che abbiamo messo a punto per la rimozione controllata della massa di sgrondature che da almeno quattro secoli deturpava le figure di santi è parte integrante dei metodi moderni di

7. Grafico del polittico visto da tergo: sono evidenziati in ocra gli interventi di Angiolo Tricca del 1880, e in verde un’aggiunta del 1904 corrispondente al restauro di Luigi Cavenaghi (grafico di Lucia Bresci)

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Mariotto di Nardo, Polittico Serristori

pulitura che vengono comunemente definiti “metodi ac-quosi”. l’uso di appropriati solvent Gels ci ha permesso così di poter ammorbidire le durissime e stratificate masse di olio-resine polimerizzate e quindi insolubili in solvente che poi abbiamo assottigliato col bisturi in mesi di pazien-te lavoro al microscopio. Per fortuna che il tricca intuì la gravità dell’intervento, che in quell’epoca era eseguito con alcali (“l’acqua maestra”, così era chiamata la soda caustica nelle sue miscele utilizzate nel corso dei secoli fino al dopoguerra), facendo sì che la pittura di Mariotto giungesse fino a noi. con la pulitura del restauro odier-no si è così privilegiato il recupero della fresca pittura di Mariotto di nardo ma si sono calibrate le tonalità della pittura del cavenaghi (più bruna) e le abbaglianti dora-ture del tricca. con il ritocco pittorico ad acquerello si sono integrate le poche lacune, la verniciatura finale della superficie pittorica si è eseguita con regal varnish, le do-rature si sono invece trattate con cera microcristallina.

Nota sulla tecnica pittorica di Cavenaghiha dipinto le scene mancanti su fondo oro, con impasti magri di olio e pigmenti con particolare uso dei bruni miscelati e poi ha “graffiato” il colore per far riemerge-re l’oro, oppure il fondo sottostante per “invecchiare” e adeguare la sua pittura al resto delle scene della predella.

il restauro interamente finanziato dalla Fondazione cassa di risparmio di Prato è stato eseguito da daniele Pia-centi con la collaborazione di lucia Bresci. Funzionario responsabile per la soprintendenza competente per terri-torio: dottoressa cristina Gnoni Mavarelli.Per l’esecuzione del supporto espositivo e per il montag-gio del polittico ha collaborato leonardo schiavetti di antique Bric a’ Brac di Prato.l’illuminazione a led high cri è stata realizzata da F&M Progetti di Prato

Daniele Piacenti

le foto dell’intero, e poi le n. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 sono di daniele Pia-centi, il grafico è stato eseguito da lucia Bresci

8-9. Mariotto di Nardo, Polittico Serristori, Fondazione cassa di risparmio di Prato, particolari durante la pulitura

10. Mariotto di Nardo, Polittico Serristori, Fondazione cassa di risparmio di Prato, particolare della predella con la Crocifissione di Sant’Andrea, in fluorescenza ultravioletta. in evidenza, in scuro, la pittura di cavenaghi

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GreGorio PaGani (Firenze 1588-1605)

Stendardi da apparatoraffiguranti: Trinità; Visitazione; San Giovanni Gualberto; San Pietro Celestino; San Roberto; San Guglielmo da Vercelli; San Bernardo Tolomeo; San Romualdo; Santa Caterina d’Alessandria; Santa Maria Maddalena; Santa Prassede; San Ciliano; Sant’Ildefonso; San Lotario; San Pietro Cardinale; San Pietro Damiano; San Pietro Igneo; Sant’Umberto; Beato Casimiro; Beato Urbano II.

1595 circa

tempera e oro su seta, cm 146x46 (Santa Maria Maddalena e Visitazione cm 52x46)Prato, Monastero di san clementeProvenienza: Monastero di san Michele a Prato; dal 1849 nel Monastero di san clemente a Prato

l’apparato è costituito da venti stendardi, diciotto dei quali si compongono di una parte in seta bianca, cucita a una sotto-stante balza in seta rossa. sulla prima sono dipinte a tempera figure di santi e beati, su fondo dorato a guazzo, sulla seconda, entro una cartella sagomata, sono riportati nome e qualifica relativi al personaggio raffigurato. Fa eccezione uno stendardo che rappresenta la Trinità, il quale reca nella balza inferiore uno stemma partito con l’arme delle famiglie rocchi e salviati. due pezzi sono stati probabilmente ritagliati in antico e presentano solo parte delle figure (Visitazione e Santa Maria Maddalena). la forma centinata nella parte superiore è dovuta a una modifica apportata in occasione di una loro tarda trasformazione. in origine erano rettangolari, e terminavano con un’asola entro la quale era infilato il sostegno rigido che permetteva l’esposizione. tra i santi a figura intera dovevano avere una posizione di rilievo, evidenziata da una maggiore ricchezza della cartella, i fondatori di ordini religiosi sotto la regola di san Benedetto: Pietro Celestino, Roberto, Guglielmo da Vercelli, Bernardo Tolomeo, Romualdo, Giovanni Gualberto. non sempre è invece evidente la relazione con l’ordine delle altre dieci figure di santi e beati, di alcuni dei quali sfugge anche la realtà storica.Proviamo a immaginare come doveva apparire nelle grandi festività liturgiche la chiesa di san Michele di Prato, adornata con venti stendardi di seta dipinti. nel lontano passato, al quale ci riportano quegli oggetti mirabili che oggi vengono qui esposti, la chiesa, ora sede della Misericordia, era annessa al convento delle monache benedettine di san Michele. Piace pensare che gli stendardi pendessero al centro della chiesa o in prossimità dell’altar maggiore, oscillando lievi a ogni pic-colo moto dell’aria, scintillanti nei loro fondi oro, leggiadri nella varietà brillante dei colori.esponenti di una ricca famiglia di origine pratese, anche se da tempo residenti a Firenze, i rocchi, imparentati con i sal-viati, avevano donato alla comunità monastica quello splendido apparato di sete dipinte con figure di santi e Beati. era forse una ricca dote per una figliola monacanda? Probabilmente non lo sapremo mai. di quegli anni, tra lo scadere del Xvi secolo e l’inizio del Xvii, restano ben poche testimonianze documentarie, e tuttavia tra le pieghe di notizie am-ministrative è stato possibile rintracciare i nomi di ben tre monache di famiglia rocchi che vivevano nel monastero nella seconda metà del cinquecento e una nei primi decenni del seicento 1.

1 in una recente pubblicazione ho dato conto di ricerche d’archivio che mi hanno permesso di ipotizzare come committente un membro della famiglia rocchi (M.g. trenti antonelli, Una proposta per Gregorio Pagani, in Governare l’arte. Scritti per Antonio Paolucci dalle Soprin-

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Gregorio Pagani, Stendardi da apparato

Trinità e arme Rocchi-Salviati Santa CaterinaBeato Urbano II Papa

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

Possiamo solo esercitare la nostra fantasia nel figurarci l’aspetto degli stendardi, o “drappelloni”, secondo la terminologia coeva, che pendevano da un’asta rigida ed erano guarniti di frange dorate. e ancora, proseguendo nella rievocazione del passato, accompagneremo quei fragili oggetti, così amati, nel trasloco cui furono obbligate le monache nel 1849 dalla loro originaria sede al convento di san clemente, dove tuttora risiedono. Fedeli alla tradizione e diligenti conservatrici come solo le donne sanno essere, e a maggior ragione se votate a una vita raccolta e laboriosa, le benedettine riadattarono i loro stendardi alla nuova chiesa e non mancarono di esibire nelle festività solenni i loro santi. danneggiate dall’uso, fragili per loro stessa natura, le belle sete furono applicate su robuste tele di lino, ritagliandole, e incorniciate con profili di gotiche finestre (Fig. 1). Quest’intervento forse prolungò la vita dei dipinti, ma fu causa invo-lontaria di ulteriori danni.la colla d’amido, usata per fissare le sete, finì col provocare un lento, inesorabile degrado, tanto che ad ogni esposizione

tendenze Fiorentine, Firenze, livorno, 2008, pp. 180-185). il patriarca di questa famiglia, vannozzo, eminente cittadino pratese, vissuto nella prima metà del cinquecento, aveva sposato Francesca di leonardo salviati. Poiché il complesso dei dipinti è databile alla fine del secolo Xvi, non mi sembra plausibile che lo stemma si riferisca a quel lontano matrimonio. Mi sono chiesta se non si fosse rinnovata la parentela rocchi salviati con un nuovo matrimonio, del quale tuttavia non ho trovato documentazione.

Visitazione Santa Maria Maddalena

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Gregorio Pagani, Stendardi da apparato

San Guglielmo da Vercelli San Pietro Celestino San Pietro Igneo

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

Beato CasimiroSan Romualdo Santa Prassede

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Gregorio Pagani, Stendardi da apparato

frammenti di tessuto si distaccavano, compromettendo gravemente l’inte-grità delle opere.consapevole della rarità e bellezza dell’insieme e della precarietà delle sue condizioni, ho avuto il privilegio di dare inizio al restauro e di partecipare a tutte le scelte relative. Queste sono state spesso così difficili da richiedere una buona dose d’inventiva, mancando nella letteratura e nell’esperienza specialistica esempi di analoghi interventi 2. È venuto in soccorso nel lungo lavoro il sostegno finanziario della Fon-dazione cassa di risparmio di Prato, sollecita nella tutela del patrimonio cittadino e tanto illuminata da non pretendere, come spesso accade, un immediato ritorno d’immagine dall’investimento fatto.Perduta la loro aerea leggerezza, le belle sete ora sono adagiate su di un ripiano rigido e imbottito, protette da un velo sottile per evitare che fram-menti si possano perdere. se qualcuno, preso da legittimo rimpianto per una condizione originaria ormai irrecuperabile, si rammaricasse della nuova realtà che questi oggetti hanno assunto, consideri che larghi brani di stoffa dipinta non esistono più e che piccole e grandi lacune sono state colmate dipingendo il tessuto sot-tostante in modo da realizzare un’eccellente integrazione cromatica. senza nessun intervento di ricostruzione, contrario alla dottrina del restauro, ma solo con un abile gioco di tessitura cromatica sono state collegate tra di loro le parti originali, colmando i vuoti, in modo da trasmettere integre le imma-gini dei santi che ancora possono dialogare con noi, anche se con modalità diverse dal passato.lo studio ravvicinato delle opere mi ha portato a riflettere sulla loro data-zione e a proporre il nome di Gregorio Pagani (Firenze 1588-1605) per l’esecuzione della parte pittorica 3. allievo di santi di tito, esponente di spicco del movimento ispirato ai pre-cetti della controriforma, Pagani aveva tratto dal maestro un forte senso del decoro, atteggiamenti composti, gesti di espli-cita devozione nei soggetti sacri, e insieme amore per le belle stoffe, sete fruscianti e ricchi broccati. con l’amico ludovico cigoli aveva condiviso lo studio «per giungere a un modo di colorire naturale e vero» e insieme ave-vano contemplato ad arezzo la straordinaria Madonna del popolo di Federico Barocci 4. intonazioni correggesche sono state

2 su proposta della soprintendenza per i Beni artistici e storici di Firenze, Pistoia e Prato e grazie a un finanziamento statale, nel 1994 è iniziato lo stu-dio e il restauro dei primi due stendardi, a cura di lucia Biondi e di lucia nucci, sotto la mia direzione, con la consulenza dell’opificio delle Pietre dure. documentazione dell’intervento in: l. biondi-l. nuCCi, Monastero claustrale di San Clemente a Prato. Stendardi dipinti su seta. Contributi metodologici e sperimentali per i tessuti dipinti, in «Kermes», Xviii, 60 (2005), pp. 17-23. il restauro è stato completato sotto la direzione di cristina Gnoni.3 oltre al saggio citato, ulteriori precisazioni si trovano in: M.g. trenti antonelli, Le belle sete di San Clemente. Uno straordinario apparato attribuito a Gregorio Pagani, in «Prato storia e arte», 105 (2009), pp. 35-47.4 F. baldinuCCi, Notizie de’ professori del disegno (1681-1728), ed. a cura di F. ranalli, Firenze, 1845-1847, 5 voll., nella ristampa anastatica a cura di P. baroCChi, Firenze, 1974-1975, vol. iii, pp. 240 e 38.

1. Gregorio Pagani, Beato Urbano II Papa. Lo sten-dardo, prima del restauro, mostra parte dell’incorni-ciatura neogotica in tela dipinta

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

spesso osservate nei suoi dipinti, come nella pala con la Madonna e Santi, ora nel Museo dell’ermitage di san Pietro-burgo.la gestualità che connota quest’ope-ra e altre dello stesso periodo sembra gradualmente bloccarsi in forme più statiche, dove l’intensità drammatica si concentra in moti essenziali e nell’in-tensità degli sguardi. nel contempo la materia pittorica si fa straordinaria-mente ricca e brillante. esemplari sono alcuni dipinti, tra i più noti del mae-stro, che appartengono alle collezioni statali fiorentine: Cristo nella casa di Marta e Maria recentemente acquisi-to dalla Galleria degli Uffizi, che va ad aggiungersi alle tele raffiguranti Pira-mo e Tisbe, Lot e le figlie, Tobia che ren-de la vista al padre, quest’ultima della Galleria Palatina. le figure dipinte sugli stendardi di san clemente sono solenni, statiche, prive di riferimenti spaziali perché dipinte su fondo oro. si affidano, per dichiarare la propria identità, all’abbigliamento e agli attributi. Gesti ed espressioni dei volti sono ispirati a una generica devo-zione. le vesti sono in molti casi quelle monacali. solo in presenza di santi ve-scovi, cardinali, papi, o figure femmini-li il pittore ha potuto abbandonarsi alla sua vocazione e arricchire di sontuosità cromatica i camici bordati di pizzo, i cappelli cardinalizi, i ricchi piviali, le sete marezzate.l’attribuzione a Gregorio Pagani delle sete di san clemente è stata sostenu-ta da confronti con disegni conservati nel Gabinetto disegni e stampe degli San Ciliano San Pier Damiani

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Gregorio Pagani, Stendardi da apparato

Uffizi e con alcune sue opere, particolarmente significative per la stringente somiglianza stili-stica e iconografica.Mi riferisco agli affreschi dell’oratorio di Ur-bana nei pressi Montespertoli (Figg. 2-3) e al San Lorenzo della Basilica della Madonna delle Grazie a san Giovanni valdarno (1600), dove le figure dei santi, simili nell’aspetto e nei ge-sti, sono apparentati a quelli pratesi dalla stessa presentazione solenne, dalla nobiltà dei gesti e dal ricco abbigliamento.È probabile che per una commissione così va-sta il pittore sia stato assistito da collaboratori, ma il progetto d’insieme non può che risalire al responsabile della bottega. lo conferma, a mio avviso, il fatto che ogni figura sia studiata nella sua individualità, cercando di variare la sfilata, altrimenti uniforme, di santi e beati. lo confermano i disegni con studi accurati per le mani, sia che sostengano libri, sia che si apra-no accoglienti. nelle parti meglio conservate può essere ricondotto all’intervento diretto del pittore quel segno sottile che delinea i contorni delle figure. del suo stile parlano i brani che più risplendono di colori imitanti la consistenza delle stoffe.Per quanto riguarda la datazione ho proposto per il complesso di san clemente un momento intorno alla metà dell’ulti-mo decennio del cinquecento, in coincidenza con gli affreschi dell’oratorio di Urbana.

Maria Grazia Trenti Antonelli

Bibliografia:a. PaoluCCi, Affreschi di Gregorio Pagani, in «Paragone», 353 (1979), pp. 90-93; s. bardaZZi-e. Castellani, Il monastero di San Clemente in Prato, Prato, 1986, p. 125, tavole 151-173; C. Cerretelli, Prato e la sua provincia, Prato, 1995 p. 120; M.P. Mannini, Matteo Rosselli, in Il Seicento a Prato, a cura di c. Cerretelli-r. FantaPPiè, Prato, 1998, pp. 56-61; l. biondi-l. nuCCi, Il monastero claustrale di San Clemente a Prato. Stendardi dipinti su seta. Contributi metodologici e sperimentali per i tessuti dipinti in «Kermes», Xviii, 60 (2005), pp. 17-23; M.g. trenti antonelli, Una proposta per Gregorio Pagani, in Governare l’arte. Scritti per Antonio Paolucci dalle Soprintendenze Fiorentine, Firenze, livorno, 2008, pp. 180-185; M.g. trenti antonelli, Le belle sete di San Clemente. Uno straordinario apparato attribuito a Gregorio Pagani, in «Prato storia e arte», 105 (2009), pp. 35-47.

2. Gregorio Pagani, San Miniato, Orato-rio di Urbana (Montespertoli)

3. Gregorio Pagani, Santa Lucia, Ora-torio di Urbana (Montespertoli)

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Prato, Echi preziosi. Donatello, Lippi e capolavori del Sacro

Il restauro degli stendardil’intervento è iniziato nel 1994 con lo stendardo raffigurante San Celestino, e proseguito nel 1996 con quello raffigurante San Roberto. Questi due primi interventi sono serviti da guida per il proseguimento del lavoro sui rimanenti diciotto stendar-di, l’ultimo dei quali è stato concluso nel 2005.Gli stendardi hanno forma cuspidata e presentano in fondo un pannello cucito in ermesino di seta rosso cremisi. la loro unicità deriva dal fatto che si tratta di tessuti di ermesino di seta non tinta dipinti direttamente con tempera a uovo senza alcuna preparazione sottostante, e con i fondi dorati a guazzo su bolo giallo.la rarità di tale tecnica pittorica su seta, che non doveva essere così insolita nel passato, se ne troviamo descrizione accurata nelle fonti, è resa tale anche dalla deperibilità delle fibre di seta, accentuata dalla presenza di pigmenti e leganti, oltre che dall’uso degli stendardi, che spesso non poneva particolare at-tenzione all’aspetto conservativo dei manufatti.Gli stendardi, probabilmente verso la fine del XiX secolo, era-no stati rimaneggiati modificandone dimensioni e morfologia: alla zona superiore era stata data forma cuspidata, tagliando il tessuto dorato, ed erano stati incollati con pasta d’amido su teli di lino dipinti a tempera, per imitare nicchie architettoni-che in pietra, secondo il gusto neo-gotico dell’epoca 5. il tessuto di ermesino di seta risultava in generale molto fragile e irrigidito, talvolta frammentario (Fig. 4), mentre la superfi-cie presentava pieghe e sovrapposizioni vistose (Fig. 5). Una delle cause principali di deterioramento era dovuta alla natura dei materiali utilizzati, molto diversi tra loro dal punto di vista chimico e comportamentale. in particolare l’amido, utilizzato nell’intervento ottocentesco, continuava a creare contrazioni e conseguenti nuove rotture nella seta, reagendo alle variazioni climatiche ambientali. emergeva quindi con chiarezza la necessità di minimizzarne l’azione negativa, te-nendo conto tuttavia dell’estrema fragilità e frammentarietà del tessuto di seta, difficile anche da manipolare.la stesura del progetto di restauro ha comportato notevoli difficoltà per la singolarità del caso: in quegli anni – eravamo

5 i teli di seta misurano cm 146x47 ca., i teli di lino invece cm 304x54 ca.

4. Particolare dello stendardo con San Ciliano visto dal retro dopo la sfoderatura

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Gregorio Pagani, Stendardi da apparato

nel 1994 − gli studi su questo genere di interventi erano pressoché inesistenti. Punto focale era decidere se mantenere agli stendardi in seta le più tarde aggiunte in lino, nel rispetto dei principi della storia del restauro, oppure se eliminarle per esigenze di conservazione.nell’incertezza iniziale ci siamo avvalsi della consulenza di esperti tecnici e scientifici, in particolare di isetta tosini dell’opificio delle Pietre dure, il cui contributo è stato fondamentale per le nostre scelte operative. tenendo conto delle sue motivazioni scientifiche, infatti, abbiamo deciso di separare il lino applicato sulla seta originale, per procedere all’eli-minazione quasi totale della pasta d’amido (Fig. 6). le sue indicazioni sono state inoltre risolutive anche nella scelta di un adesivo compatibile con le piccole quantità residue di amido, che fosse inoltre capace di riattivarlo e distribuirlo più uniformemente sulla superficie.Messo a punto il procedimento tecnico, ci siamo poste il problema di come risolvere la questione estetica delle lacune, talvolta ingenti, della seta, che dovevano essere colmate nel pieno rispetto dell’opera originale, e in modo reversibile. la seta dipinta è stata consolidata facendola aderire su un supporto totale di “velo di lione”, di cui si sfruttava la trasparenza, sotto il quale è stato posto un ermesino di seta (tensionato su un pannello rigido ma leggero). solo su questo strato di ermesino, indipendente dal soprastante setino dipinto, siamo intervenute per risolvere otticamente le lacune, con colori da tessuti stesi per campiture, corrispondenti perfettamente a quelle originali.il restauro, realizzato in tempi assai lunghi a causa della sua connotazione sperimentale, ha comportato ampie soddisfa-zioni per i risultati ottenuti, derivanti anche al sommarsi delle nostre rispettive competenze di restauratrice di materiali tessili e di restauratrice di dipinti 6.

Lucia Biondi e Lucia Nucci

6 Per notizie più dettagliate riguardo all’intervento e ai materiali adoperati si rimanda all’articolo biondi- nuCCi, Il monastero claustrale … cit.

5. Particolare dello stendardo con Santa Caterina prima del restauro 6. Le restauratrici al lavoro durante la complessa operazione di sfoderatura

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