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Cultura classicistica medioevale

Illuminismo

• Giuseppe Parini

Romanticismo

• Giacomo Leopardi

Positivismo

• Giovanni Verga

• Honorè Balzac

• Gustave Flaubert

• Emile Zolà

Decadentismo

• Charles Baudelarire

• Giovanni Pascoli

• Gabriele D’Annunzio

Simbolismo

• Italo Svevo

• Luigi Piandello

Ermetismo

• Giuseppe Ungaretti

• Eugenio Montale

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Illuminismo

Periodo Storico

• Nasce in Francia nella seconda metà del 700

• È un movimento culturale, storico, artistico che viene definito anche età dei lumi

Tratti Fondamentali

• Gli intellettuali illuministi sostenevano che i lumi della ragione potessero rischiarare e illuminare le menti intorpidite da secoli di pregiudizi e superstizioni (medioevo).

• La ragione è la chiave interpretativa di ogni fenomeno (La Ragione è vista come una Dea)

• Antropocentrismo (l’uomo , con la Ragione, si pone al centro del mondo ) e Materialismo (l’esistenza è considerata solo sulla base di quello che si può misurare e sperimentare )

• Scientismo= fede nella scienza (lo scienziato è la figura tipica dell’illuminismo; gli intellettuali illuministi, tra cui Voltaire e Diderot. pubblicarono la prima enciclopedia ragionata delle scienze e delle arti.)

• Cosmopolitismo e ottimismo= tutti grazie alla ragione sono uguali e felici; sono tutti cittadini del mondo in nome della ragione umana.

• Antistoricismo= la storia inizia con l’et{ della ragione, le altre epoche vengono cancellate e dimenticate (vedi medioevo)

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Romanticismo

Periodo Storico

• Nasce in Germania nel primo 800 in contrapposizione dell’Illuminismo

Tratti Fondamentali

• Esaltazione dello spirito e dei sentimenti

• Idealismo (prevalere delle idee) che sostituisce il materialismo illuminista (prevalere della materia)

• Diffidenza verso la scienza

• Nazionalismo (idea di patria, forte sentimento di nazionalità)

• Pessimismo nei confronti della vita (è molto sentita la sofferenza dell’anima, unita ad una sensibilità derivante dai sentimenti)

• Storicismo= la storia è una realizzazione di un disegno universale (rivalutazione di tutta la storia contro l’astoricismo che era stato dell’illuminismo)

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Positivismo

Periodo Storico

• Nasce in Francia nella seconda met{ dell’800

• Si diffonde in europea come reazione al Romanticismo in un tempo storico caratterizzato da nuovi problemi politici e sociali che fecero cadere l’attenzione su aspetti concreti e reali

Tratti Fondamentali

• Il positivismo può essere definito come una cultura post Romantica che tende ad approfondire la sua realtà nella sua concretezza, ad analizzarla con il metodo scientifico e a privilegiare i fatti più che le idee

• Ritorna lo Scientismo (Fiducia nella scienza, nel progresso e nei dati accertabili)

• Ritorna la razionalità ed una concezione della vita antireligiosa, materialista

• Determinismo= uomo sottoposto a leggi meccaniche e di selezione naturale

• Nascita di nuove scienze (sociologia, psicologia, farmacologia)

• L’applicazione della filosofia positivistica al campo della letteratura è stata detta realismo che prese diversi nomi, in Francia Naturalismo (con Zolà, Flaubert, Balzac) ed in Italia Verismo con Luigi Capuana

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Verismo

Periodo Storico

• Nasce in Italia dalla corrente filosofica del Positivismo; (l’applicazione del positivismo nel campo della letteratura è stata detta Realismo che in Francia prenderà il nome di naturalismo e in Italia di verismo)

Tratti Fondamentali

• L’intento principale è rappresentare la realt{ nella sua autenticit{ ( tratto che lo accomuna al naturalismo francese)

• L’adesione alla realt{ nella narrazione è portata avanti con il criterio dell’impersonalit{ narrativa ( scomparsa di ogni soggettivismo; niente intervento da parte dell’autore)

• I soggetti privilegiati dal verismo sono i miseri e gli umili

• Il teorico del Verismo italiano fu Luigi Capuana, ma il massimo scrittore del verismo italiano fu Giovanni Verga ( entrambi appartenenti al mondo siciliano ), anche se inizialmente Verga non produsse opere di stile verista

• (occorre aspettare la novella NEDDA per parlare di verismo verghiano)

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Decadentismo

Periodo Storico

• Nasce in Francia alla fine dell’800, precisamente nel 1885

• Nasce come reazione al Positivismo e in opposizione ai nuovi valori e stili di vita portati dalla seconda rivoluzione industriale

Tratti Fondamentali

•Nacque dal termine francese “decadent”, utilizzato per la prima volta da Paul Verlaine, per esprimere i significati e le intenzioni di una nuova epoca, che vedeva l’affermarsi di una societ{ in rapida trasformazione, dominata dai meccanismi anonimi del mercato

•Sfiducia nella ragione e nella scienza perché non rispondono ai problemi esistenziali dell’individuo

•Avversione al conformismo della società borghese, ai principi della democrazia e alle leggi del profitto

•Non esiste più la realt{ oggettiva ma tutto viene visto secondo l’interiorit{, secondo l’esplorazione della propria originale individualità

•Al posto della razionalit{ prende il sopravvento l’istinto e l’inconscio (elemento dell’irrazionalit{)

•Diventa fondamentale il mondo del sogno e dell’ immaginario

•Al tipico Realismo viene contrapposta l’intuizione artistica, la creativit{ originale dell’’individuo

•TEMI DEL DECADENTISMO

•Angoscia della vita, nevrosi, solitudine, irrazionalit{ della vita, anticonformismo esasperato fino all’estremo ( bene espresso dai “poeti maledetti”), rifiuto della societ{ borghese, sentimento della realt{ come mistero indecifrabile

•FIGURE ESPRESSIVE POETICHE

•Analogia= associazione per immagini

•Sinestesia= associazioni di parole che appartengono a campi sensoriali diversi(silenzio nero)

•Parola suggestiva= ambigua, non definita (che suggerisce)

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Simbolismo

Periodo Storico

• Movimento artistico-letterario che nasce nel 1886 in continuità con il decadentismo

• E’ la tendenza a rappresentare la natura e la vita, nella letteratura e nell’arte in genere, non attraverso persone e oggetti di una determinata realtà quotidiana, ma mediante simboli che rimandano ad aspetti più profondi e complessi (riferimento all’inconscio umano)

Tratti Fondamentali

• Sviluppa ed elabora i temi fondamentali della poetica decadentista

• Contro l’oggettivismo dei naturalisti francesi promuove una concezione soggettiva della realtà

• Il poeta si esprime attraverso l’immagine allusiva e il linguaggio dei simboli.

• Ricerca della musicalità della parola, dei simboli, di elementi onirici, suggestivi e irrazionali dell’incoscio, rientrano tutti nella libertà creativa dell’artista

• Il tema principale è l’esaltazione della bellezza come valore assoluto (estetismo)

• IL SIMBOLISMO PER PAROLE-CHIAVE: simboli, estetismo, irrazionalismo, onirismo (=sogno)

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Ermetismo

Periodo Storico

• Inizialmente il termine venne usato in senso negativo dal critico crociano Francesco Flora, ma, in seguito, perdendo la sua connotazione negativa passò a significare un orientamento, nella poesia italiana, diffuso nel ventennio tra le due guerre mondiali (ventennio fascista)

Tratti Fondamentali

• Nell’accezione del critico Francesco Flora, il termine “ermetismo” viene riferito all’espressione poetica di G.Ungaretti e del francese Paul Valery che si presentavano alquanto “oscura e criptica” per un abuso della tecnica dell’analogia.

• L’oscurit{ è un elemento caratteristico della lirica ermetica ( comunica mediante allusioni, analogie, immagini da decodificare, luoghi oscuri e ambigui)

• Essenzialità lirica: ricerca di un linguaggio scarno ed essenziale, caricato però di espressioni e significati ambigui che lo rendono assai difficile nell’interpretazione e lo allontanano dal grande pubblico

• Non compromissione con la storia e astensione dalla vita politica : il poeta ermetico si pone fuori dalla storia perché al posto della storia la letteratura pone se stessa. L’ermetismo, prendendo le distanze dalla storia e dalla vita politica del tempo, però, è stato interpretato anche come forma di dissenso e di diffidenza dal regime fascista.

• Il saggio-manifesto del nuovo movimento poetico fu l’articolo di Carlo Bo (1938) intitolato”letteratura come una vita”. In esso risuona un rovesciamento dell’estetismo dannunziano: non è la vita che deve diventare un’opera d’arte ma è la letteratura , la poetica, che deve mirare a diventare strumento di conoscenza ed espressione di autentica umanità e di alta moralità.

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Giuseppe Parini Nasce in Lombardia (Lecco) nel 1762 in

campagna in una realtà aperta alle novità. viene soprannominato “homo novus” (uomo

nuovo )della letteratura ,dallo storico De Santis che ne apprezza l’impegno civile

Opera nella cultura illuminista del periodo Vive sempre in ristrettezze economiche Ha studiato grazie alla zia che lo costrinse però a

farsi prete È stato precettore di nobili famiglie milanesi di

cui ha attaccato le abitudini Muore nel 1799 in ristrettezze economiche e il

suo corpo viene seppellito in una fossa comune in una fossa comune

Le opere

Il pensiero

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Il Pensiero MITO DELL’ARCADIA

Parini contrappone la vita rurale campestre, con i suoi valori semplici e genuini, alla vita urbana della nobiltà persa in attività futili e mondane.

CRITICA ALLA NOBILTA’

La classe sociale dei nobili viene criticata come una classe che consuma ma non produce nulla, dedita solo ai piaceri e divertimenti mondali che sono inutili e che spesso sono la causa della povertà di molti.

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Le opere Nella sua opera più importante “il giorno” Parini immagina di essere il

precettore di un nobile e di accompagnarlo nella sua inutile giornata mondana

In questo poema l’autore esprime l’idea di uguaglianza e di democrazia diffuse nell’illuminismo

L’opera doveva essere composta da quattro parti: il mattino, il mezzogiorno e la sera ( suddivisa in Vespro e Notte) ma quest’ultima parte è rimasta incompiuta e venne pubblicata postuma nel 1801

IL MATTINO TRAMA Risveglio del giovane signore in tarda mattinata dopo aver fatto baldoria tutta la notte. Descrizione della colazione con prodotti ricercati che solo le famiglie più ricche potevano avere Descrizione del processo della cura maniacale del look

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Giacomo Leopardi

Nasce a Recanati il 29 giugno del 1798 in un ambiente chiuso nella mentalit{ a causa dell’influenza dello stato pontificio, ostile alle nuove idee

Il padre, il conte Monaldo, era un nobile letterato che amava dilettarsi negli studi e nella poesia (aveva infatti una grande biblioteca) trascurando l’amministrazione del patrimonio familiare di cui dovette occuparsi la madre.

La madre Adelaide Antici, era di bigotta mentalità: educava i figli in un clima di terrore compiacendosi delle loro sofferenze e spaventandoli con punizioni divine.

Questo fatto segnò molto la fanciullezza di Leopardi (la madre lo opprimeva tanto da ascoltarne addirittura le confessioni) così che, appena maggiorenne rinnegò la religione.

Si dedicò fin da bambino allo studio, imparando da solo greco, latino ed ebraico e scrivendo i suoi primi testi

Dai suoi sette anni di studio “matto e disperatissimo” ne uscì rovinato nel fisico (si ammalò di scoliosi e divenne quasi cieco)

Soffocato da Recanati aspirò ad allontanarsene presto, tentando anche una fuga dalla casa paterna.

Le opere

Il pensiero

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Giacomo Leopardi

Il suo desiderio venne realizzato qualche anno più tardi, nel 1822, quando ottenne il permesso di andare dallo zio Carlo Antici a Roma. La sua prima uscita da Recanati fu un’ esperienza deludente perché a Roma non trovò ne l’appoggio sperato ne l’apertura culturale che Leopardi sognava.

Tornato a Recanati nel 1823, il poeta se ne allontanò di nuovo per trasferirsi nel 1825 a Milano. In questi anni Leopardi maturò il suo pensiero

Da Milano, dove il clima non era favorevole alle sue precarie condizioni di salute (soffriva anche d’asma), Leopardi si trasferì prima a Bologna, poi a Firenze, dove conobbe vari intellettuali letterati e dove il clima era più dolce per la sua salute.

A causa di ristrettezze economiche dovette tornare a Recanati, soggiornando però per un breve tempo a Pisa dove scrisse a Silvia.

A Recanati soffrì molto ma fu anche il periodo della più grande lirica Leopardiana (alcune delle sue composizioni furono ”la quiete dopo la tempesta”, “il sabato del villaggio” e “il canto notturno di un pastore errante dell’Asia”).

Si può dire che la sua poesia nacque dalla sofferenza.

Le opere

Il pensiero

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Giacomo Leopardi

Nel 1830 lasciò definitivamente Recanati per tornare a Firenze, dove fu aiutato economicamente da Pietro Colletta e dove conobbe il giovane napoletano Antonio Ranieri.

Provò a Firenze la prima grande delusione amorosa in quanto la fiorentina Fanny Targioni Tozzetti lo illuse per far colpo sull’amico ricco, piacente e acculturato Ranieri.

Da quella delusione il poeta trasse ispirazione per la composizione delle cinque poesie del “ciclo di Aspasia”.

Negli ultimi anni della sua vita si trasferì a Napoli, insieme a Ranieri che lo sostenne economicamente.

Soggiornò spesso in una villetta alle falde del vesuvio che gli ispirò la poesia “la ginestra” che può essere considerato anche il suo testamento sirituale.

Il poeta morì in seguito ad un’ epidemia di colera il 14 Giugno del 1837 Per intercessione dell’amico Ranieri il suo corpo non fu sepolto in una fossa

comune ma vicino alla tomba di Virgilio. Postume vennero pubblicate da Ranieri due opere leopardiane che sono

più una raccolta di pensieri e riflessioni scritte in vari periodi dal poeta: “Lo zibaldone dei pensieri” e “i pensieri”

Le opere

Il pensiero

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Il Pensiero TEMA DELLA FELICITA’

Leopardi identifica la felicit{ con il piacere. Ora, l’amor proprio, spinge l’individuo a desiderare un piacere senza limiti proprio perché la sua capacità di immaginazione è infinita.

Le soddisfazioni dei desideri, però, sono qualcosa di finito per cui la contraddizione tra l’immaginazione del piacere infinito e la realizzazione parziale e finita dei desideri porta ad una perenne insoddisfazione.

Ne consegue che la felicit{ è solo una pausa tra un’insoddisfazione e l’altra

IL PESSIMISMO

Il Pensiero leopardiano matura da un pessimismo personale ad un pessimismo storico fino a raggiungere un pessimismo cosmico (o titanico o universale)

Gli anni tra il 1823 ed il 1825 furono quelli in cui Leopardi maturò questo passaggio: comprese che l’infelicit{ non riguarda particolari condizioni personali (nel suo caso riferite all’ambiente in cui vive), né è il prodotto di condizioni storiche date dal prevalere della ragione sull’immaginazione a causa del progresso civile (pessimismo storico) .

La condizione di infelicità è , invece, universale, inevitabile conseguenza di una legge di natura alla quale nessun uomo e nessun tempo può sottrarsi (pessimismo cosmico)

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Pessimismo Storico Pessimismo Cosmico

RAGIONE È nemica dell’uomo perché fa conoscere l’arida verit{

della realtà, dando fine alla naturale disposizione all’immaginazione soffocata dalla Razionalit{

RAGIONE È amica dell’uomo perché lo aiuta a recuperare la

dignità contro una natura ostile e malvagia: gli uomini infatti possono accettare con la ragione la loro

condizione infelice ed elevarsi al di sopra di essa

NATURA È benefica perché alimenta l’immaginazione degli individui, condizione da cui scaturisca la poesia

NATURA È matrigna e ostile in quanto per una sua legge interna ha lo scopo non tanto di rendere felici gli individui ma di mantenere l’equilibrio della specie per il quale sono

necessarie tanto le nascite quanto le morti

FELICITA’ È data dall’ ignoranza ingenua e fantasiosa tipica degli antichi che vivevano di illusioni e sogni e quindi erano

più felici dei moderni.

FELICITA’ Non è possibile la felicità, semmai esiste solo la cessazione momentanea di un dolore. I sogni e

l’illusione di una felicit{ possibile non fanno altro che aggravare la sofferenza dei singoli

INFELICITA’ Data dalla conoscenza razionale che fa apparire

“l’arido vero” svilendo la capacit{ immaginativa degli uomini e quindi uccidendo tutte le loro illusioni

INFELICITA’ È una condizione perenne tipica non solo degli uomini

ma di tutti gli esseri viventi(vegetali o animali che siano) e di tutte le epoche storiche

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Le Opere L’INFINITO

A SILVIA

CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA

LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA

IL SABATO DEL VILLAGGIO

IL PASSERO SOLITARIO

IL VAGO E L’INDEFINITO DELLE IMMAGINAZIONI

FANCIULLESCHE

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L’infinito Fa parte dei piccoli idilli (Leopardi li definisce avventure dell’animo) La contemplazione della natura gli offre lo spunto per guardarsi dentro L’idiglio tradizionale descriveva soltanto la natura L’idiglio leopardiano prendendo spunto da un elemento del paesaggio diventa una

riflessione interiore

TRAMA All’inizio leopardi osservando il colle che sovrasta Recanati e una siepe che gli impedisce

di guardare oltre si immagina interminati spazi e grandi silenzi al di la dalla siepe Ma quella profondissima quiete immaginata gli suscita angoscia e smarrimento (quando

ad esempio si guarda il cielo e si tenta di immaginare la dimensione dello spazio) Sentendo poi il vento fra gli alberi Leopardi inizia a pensare al passato e al presente e si

rende conto che non sono nulla comparate all’infinito (come tempo) L’immaginazione dell’eterno e dell’immensit{ lascia a Leopardi una dolce sensazione a

cui si abbandona

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A Silvia Fa parte dei grandi idilli (componimenti pisano,recanatesi e sono espressione

del pessimismo cosmico Leopardiano. C’è una protesta contro l’inganno della natura e una riflessione matura sulla sofferenza)

TRAMA Il poeta ripensa alla condizione felice e speranzosa di Silvia durante la sua

giovane età sottolineando come fosse entusiasta del futuro che la attendeva È la rievocazione di un illusione; quello della giovinezza, che suscita speranze,

pensieri soavi, attese e sogni, ma tutti questi incanti sono destinati a svanire a contatto con la dura realtà

Silvia è simbolo di speranze giovanili destinate a dissolversi con l’inganno della natura

Anche la speranza del poeta come la vita di Silvia è venuta meno “all’apparir del vero” (di fronte alla verit{)

Una volta cadute tutte le speranze la meta che attende Leopardi e tutti gli essere umani è una fredda morte ed una tomba spoglia

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Canto notturno di un pastore errante dell’Asia È la poesia che meglio evidenzia il pessimismo cosmico di Leopardi. Fa parte dei “grandi idilli”. Lo spunto di ispirazione del canto venne offerto a Leopardi dai racconti sulle abitudini dei pastori

nomadi dell’Asia, da parte di un barone russo che era stato in quelle terre.

TRAMA Leopardi immagina il dialogo tra un pastore e la luna, avente per argomento le domande esistenziali

dell’uomo. La condizione dell’umanit{, fatta di fatiche e dolore, viene dapprima avvicinata alla vita del pastore (che si ripete sempre uguale e senza sosta, come il tragitto lunare), poi viene ribadita con l’immagine del “vecchiarel bianco, infermo, mezzo vestito e scalzo…” che dopo tanto andare “senza posa o ristoro”, dopo “tanto affaticar” giunge “all’ abisso orrido ed immenso” della morte, in cui precipitano tutti gli uomini.

In realt{, fin dalla nascita l’uomo ha a che fare con la morte (“è rischio di morte il nascimento”) e il primo compito dei genitori verso il neonato è proprio quello di prenderlo a “consolar di essere nato”.

Leopardi identificandosi nell’ immagine del pastore pone quelle che sono le sue domande esistenziali alla luna: “se la vita è sventura perché da noi si dura?......ecc”.

Gli interrogativi del pastore però sono destinati a non aver risposta e questo gli da modo di pensare che se fosse come la sua “greggia”, ignara della sua condizione esistenziale sarebbe più felice.

Ma subito corregge questo pensiero con la grave constatazione che la sofferenza è una condizione universale: “forse in qual forma, in quale stato che sia […] è funesto a chi nasce il dì natale”.

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La quiete dopo la tempesta Questa poesia insieme a “il sabato del villaggio” è stata scritta a Recanati nel

1829, in un periodo non facile x il poeta, avvilito delle difficoltà economiche e da una salute cagionevole (le due poesie sono state scritte a pochi giorni di distanza l’una dall’altra).

La poesia offre (insieme al “sabato del villaggio”) un quadretto di vita del borgo (riferimento a Recanati); presa come spunto per riflettere sulla condizione umana e denunciare un’illusoria felicit{(esempi di poesia sentimentale)

TRAMA Leopardi descrive un ambiente che ritorna in vita dopo un temporale (metafora

dell’affanno della vita): gli uccelli tornano a cantare, gli artigiani al loro lavoro quotidiano, ogni cosa ritorna alla normalità e ogni cuore si rallegra. Ma è una felicit{ di breve durata. Leopardi, ricorda che “ogni piacere è figlio dell’affanno“, in quanto nasce da un dolore che si attenua. Quindi la vera normalità non è la condizione di quiete e tranquillità ma quella della sofferenza e del dolore. Gli intensi momenti di partecipazione alla vita non sono che brevi interruzioni di una realtà fatta di dolore e affanno. Alla fine, solo la morte fa cessare per sempre ogni dolore

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Il sabato del villaggio Questa poesia insieme a “la quiete dopo la tempesta” è stata scritta a Recanati nel 1829, in un periodo

non facile x il poeta, avvilito delle difficoltà economiche e da una salute cagionevole (le due poesie sono state scritte a pochi giorni di distanza l’una dall’altra).

La poesia offre (insieme a “la quiete dopo la tempesta”) un quadretto di vita del borgo (riferimento a Recanati); presa come spunto per riflettere sulla condizione umana e denunciare un’illusoria felicit{ (esempi di poesia sentimentale)

TRAMA La poesia si apre con animate scene di vita recanatesi nelle quali sembra cogliersi il palpito stesso della

vita. Leopardi fa vedere tutta l’attesa (illusoria) di una vita che offre speranze e attrattive. Anche se poi la natura è una matrigna ingannatrice e riserva ai suoi figli sofferenze continue in un

progressivo scivolare verso la morte. Nella seconda parte della poesia c’è la riflessione su come l’unica possibilit{ di felicit{, in realt{, non

sta mai in qualcosa che è già, ma in qualcosa che deve venire, in qualcosa che si aspetta, si attende (la vigilia della festa).

La felicità più che nel presente o nel futuro in sé ( che costituirà lo stesso motivo di noia e tristezza appena si compirà) sta nella speranza del futuro.

Il sabato, rappresentando l’attesa piena di speranza del giorno di festa, simboleggia la fanciullezza è l’adolescenza che sono le et{ più belle proprio perché caratterizzate dalla speranza, sogni, illusioni e progetti per il futuro.

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Il passero solitario La data di composizione di questa poesia è incerta (tra il 1828 ed il 1830) . Essa fa parte dei “Grandi idilli”, scritti durante il soggiorno recanatese. I motivi dominanti sono quello della solitudine e il rimpianto della giovinezza perduta.

TRAMA La primavera brilla nell’aria; la natura risplende e gli uccelli fanno festa. Solo, fra loro, un passero canta sulla cima del campanile e diffonde il suo verso fino al

tramonto. Restando in disparte, il passero solitario sembra l’unico a non godere della gioia comune. Questa scena fa pensare a Leopardi la propria condizione: a Recanati è giorno di festa e

mentre i giovani del luogo vestiti a festa, passeggiano allegramente per le strade del borgo, il poeta sembra l’unico a non interessarsi ai divertimenti e agli amori e preferisce starsene come il “solingo augelin”.

Il passero solitario però asseconda la sua natura e non si pentirà, un domani del suo modo di essere, mentre il poeta si rende conto che un giorno si volterà indietro a rimpiangere quella sua giovinezza perduta.

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Il vago e l’indefinito delle immaginazioni fanciullesche TEMATICA Per Leopardi la poesia nasce dalla fantasia e

dall’immaginazione, quindi ha i caratteri della spontaneit{ e dell’originalit{. Essa non si può collocare entro schemi precisi ma si colloca nella dimensione del vago e dell’infinito.

Le parole vaghe ed indefinite sono le poetiche per eccellenza(per esempio “notte”, ”notturno”, “lontan0”, “antico”…) sono parole poetiche perché destano idee di vago e di indefinito. Per leopardi gli antiche erano più poetici perché dotati di più immaginazione, mentre l’uomo contemporaneo, con l’avvento della ragione ha interrotto questi sentimenti tipici dell’et{ fanciullesca e giovanile (che si possono recuperare solo attraverso le rimembranze).

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Giovanni Verga Nacque a Catania (da una famiglia di proprietari terrieri) nel 1840 e vi morì

nel 1922 Fu l’esponente più importante del verismo italiano A soli 17 anni scrisse il suo primo romanzo storico (“amore e patria”) anche se

il suo precettore gli sconsiglia di pubblicarlo perché pieno di scorrettezze. Si iscrisse alla facoltà di legge a Catania ma lasciò gli studi per scrivere il suo

secondo romanzo storico (“i carbonari della montagna”) che pubblicò Nel 1865 Verga si trasferì a Firenze, cuore della vita politica e intellettuale

italiana Per Verga significò uscire da un ambiente provinciale per inserirsi in uno più

stimolante culturalmente A Firenze ha la possibilità di conoscere importanti intellettuali e questo ispirò

la sua produzione Verga ebbe una svolta in campo letterario: abbandonò il genere del romanzo

storico per quello del romanzo psicologico sentimentale (tra questi romanzi “fiorentini”, i più importanti sono “storia di una capinera” e “una peccatrice” )

Da Firenze Verga si trasferì a Milano, dove ebbe modo do frequentare importanti ambienti letterali e di stabilire contatti con intellettuali influenzati dal Naturalismo Francese

Al periodo milanese appartengono i romanzi (del genere sentimentale psicologico) “Eva”, “Tigre reale”, e “Eros” (anche se “Eva” si può considerare 1 romanzo “fiorentino” perché risente del soggiorno toscano nell’ispirazione e nei contenuti, infatti Verga l’aveva cominciato a scrivere a Firenze)

Le opere

Il pensiero

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Giovanni Verga I romanzi milanesi sono storie di passione travolgenti dagli esiti

drammatici; i personaggi gi{ appaiono come dei “vinti”, dei predestinati alla sconfitta: soni vinti dalla passione ma anche da un meccanismo sociale rigido e ipocrita.

Il 1874 segna l’anno di svolta verista dello scrittore . La prima novella verista è “Nedda”, scritta proprio in quest’anno: è una novella rusticana ambientata nelle terre contadine della Sicilia.

Alla produzione verista dello scrittore appartengono anche “vita dei campi” , “novelle rusticane” , “I Malavoglia” e “Mastro don Gesualdo” (il secondo di una raccolta di opere che doveva chiamarsi “Ciclo dei Vinti” e che rimase incompiuta).

Verga scrisse molto anche per il teatro, portando sul palcoscenico il contenuto di molte sue novelle. Riscosse un gran successo soprattutto con l’atto unico di “cavalleria Rusticana” in cui recitò anche Eleonora Duse nel ruolo di protagonista.

Nel 1893 Verga si ritirò definitivamente a Catania, chiudendosi sempre più in se stesso e scrivendo sempre meno, limitandosi a ritoccare le sue opere migliori per nuove edizioni.

Morì a Catania nella sua casa nel 1922 in seguito ad una trombosi celebrale

Le opere

Il pensiero

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Il Pensiero IL VERISMO Osservazione e descrizione della realt{ così com’è, aderenza al vero, espressi formalmente con l’impersonalit{ della narrazione. Lo scrittore

scompare dietro le vicende dei personaggi, la mano dell’autore nel racconto rimane invisibile, c’è oggettivit{ assoluta nella narrazione e non c’è traccia alcuna di soggettivismo.

SCONFITTA DEI SINGOLI I personaggi di Verga appaiono come dei vinti dalla vita, sono degli sconfitti (alle loro passioni, dalle società e dallo stesso progresso)

PESSIMISMO La condizione umana individuale è destinata all’infelicit{. Nonostante il progresso migliori le condizioni generali dell’umanità esso comporta

sempre, sul piano individuale, la sconfitta dei singoli tanto che i vincitori di oggi saranno inevitabilmente i vinti di domani. la “fiumana del progresso” travolge quindi tutti gli individui

LOTTA PER LA VITA Nonostante i personaggi di verga siano destinati ad una inevitabile sconfitta, essi non rinunciano a lottare per la loro soporavvivenza. Verga

non crede n una possibilità di riscatto nel destino degli individui, dato da una provvidenza o dal progresso, nonostante questo i suoi personaggi non perdono mai la loro dignità personale di lottare per la vita.

IL MITO DEL FOCOLARE DOMESTICO La famiglia rappresenta l’unica forza per i deboli, l’unica sicurezza in mezzo alle tempeste della vita.

MITO DELLA ROBA(denuncia contro l’accumulazione) L’accumulazione materialistica, tipica dei proprietari terrieri e della borghesia capitalistica, fa avvilire ogni affetto e sentimento, smarrire la

propria umanità e diventare cinici ed egoisti (esempio Mazzarò)

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Le opere

LA ROBA

ROSSO MALPELO

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La roba

È tratta da “Novelle rusticane”, una raccolta di 12 novelle pubblicata nel 1883 Uno dei temi ricorrenti in molte di queste novelle è il mito della “roba”.

TRAMA Il protagonista di questa novella è Mazzarò, un uomo di umili origini che lavorando sodo

era riuscito ad accumulare tante proprietà e a diventare molto ricco. Questa nuova condizione di ricchezza però lo aveva reso cinico e avido, tanto che, pure

avendo le tasche piene, risparmiava fino all’ultimo spicciolo. Mazzarò, ormai vecchio, sentiva avvicinarsi i giorni della fine e questo lo rendeva

arrabbiato con la vita perché avrebbe dovuto lasciare tutta la sua “roba”. Ciò che scatenò di più la sua rabbia fu la visione di un suo operaio, curvo sotto il peso del

suo lavoro, mezzo nudo ed affamato, che Mazzarò invidiò solo per la giovane età. Prese quindi a lanciargli il bastone gridando: “guardate chi a giorni lunghi, costui che non ha niente”.

Quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua “roba” per pensare all’anima, del tutto fuori di se ne andò uccidendo a colpi di bastone le sue anatre ed i suoi tacchini, strillando: “Roba mia vientene con me”

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Rosso Malpelo

È tratta da “vita dei campi”, raccolta di 8 novelle pubblicata nel 1880. Vi prevalgono i temi della miseria, il mito del focolare domestico e del rispetto delle consuetudini

della comunità.

TRAMA Il protagonista è un ragazzo che lavora in una cava di rena, soprannominato “Malpelo” perché,

secondo una credenza popolare, chi aveva i capelli rossi era anche cattivo. Per questo veniva maltrattato da tutti, persino dalla madre e dalla sorella. L’unico conforto per Malpelo era il ricordo del padre, morto in quella stessa cava. Ogni domenica, prendeva le scarpe del babbo appese al chiodo, le lucidava e se le provava ripensando

al passato. Il ricordo della morte crudele del padre ispirava a Malpelo di maltrattare i più deboli di lui. Rosso

Malpelo si sfoga su un povero ragazzo chiamato ranocchio e non risparmia neanche il suo asino. Quando però ranocchio si ammala rosso malpelo sottrae dei soldi alla paga della settimana per

comprargli una minestra calda e gli da i propri calzoni per coprirlo meglio. Ma ranocchio muore e a rosso malpelo non importa più nulla della vita, d’altronde non ha più

nessuno: la madre e la sorella sono andate via perché hanno formato una nuova famiglia. Non avendo più niente da perdere, Malpelo accetta i lavori più pericolosi alla cava. Quando gli viene affidata un’esplorazione rischiosa in una galleria della miniera, Malpelo presi gli

arnesi del padre si prepara a scendere per non tornare più

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Charles Baudelaire Nasce in Francia nel 1821 Fu il massimo esponente del decadentismo e il precursore del

simbolismo. Si ricorda come il primo dei cosiddetti poeti maledetti, un gruppo di

poeti francesi comprendente anche i tre grandi simbolisti francesi Mallarmè, Rimbaud e Verlaine.

Ebbe un’ infanzia ed un’ adolescenza segnata dalla morte del padre e dai profondi contrasti con il patrigno, un rigido ufficiale in carriera, che lo costrinse ad entrare Nel collegio Royal dove ottenne la maturità (Baccalaureato)

La vita sregolata, la ribellione alle regole comuni e gli ambienti frequentati, convinsero il patrigno a farlo imbarcare per l’India

Durante questo viaggio Baudelaire approfondì il suo interesse per

l’Esoterismo che influenzer{ l’opera “I fiori del male” Rientrato a Parigi potè finalmente usufruire dell’eredit{ paterna che

sperperò in breve tempo in una vita disordinata, dispendiosa e con amori scandalosi (tra cui si ricorda la relazione con l’attrice mulatta Jeanne Duval a cui si legò per tutta la vita) Le opere

Il pensiero

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Charles Baudelaire La debolezza per l’alcool, le droghe e i debiti con gli strozzini

che lo tormentarono per tutta la vita costrinsero la famiglia a farlo interdire.

Nel 1845 tentò il suicidio Intanto uscirono le sui prime poesie che furono ignorate dal

grande pubblico. Partecipò ai moti rivoluzionari del 1848 dopodiché pubblicò i

fiori del male, la raccolta comprendeva 100 poesie. L’opera fu sequestrata con l’accusa di pubblicazione oscena Processato, baudelaire dovette pagare una somma in denaro e

togliere dall’opera 6 poesie Tentò nuovamente il suicidio, dopodiché lascio Parigi e si

recò a Bruxelles ma il soggiorno nella nuova città non modificò i suoi vizi.

Tornò a Parigi malato e cercò nell’ hashish, nell’oppio, nell’alcool e nell’etere il sollievo alla sua malattia che dopo una lunga paralisi lo uccise nel 1867 Le opere

Il pensiero

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Page 34: Positivismo - Libero Community

Il Pensiero DENUNCIA CONTRO LA SOCIETÀ DEL SUO TEMPO Denuncia portata avanti mettendosi ai margini della società, rinnegandone i

valori morali con atteggiamenti anticonformisti

RICERCA INQUIETA DELL’INFINITO Ricerca dell’assoluto esaltandone gli aspetti estremi Desiderio smanioso D’infinito (poesia vista come elevazione dell’animo

attraverso l’estraneazione dalla realt{ quotidiana)

ESTETISMO

L’autore, incarnando i temi del decadentismo, esalta l’estetica come uno dei valori assoluti.

CULTO DELLA PAROLA POETICA Ricerca della bellezza della forma e del contenuto, dell’immagine, della

suggestività e della musicalità delle parole

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Le opere

L’ALBATROS

SPLEEN

CORRESPONDANCES

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L’Albatros

Fa parte della raccolta “i fiori del male” che descrivono la condizione tragica dell’uomo con i suoi peccati, le sue angosce, i suoi tormenti ma anche il desiderio di elevarsi

TRAMA Baudelaire simboleggia il poeta con l’albatro, un grande uccello

marino che sulla terra si muove goffo e impacciato perché impedito dalle ali troppo sviluppate; nel cielo invece sa volare negli spazi sconfinati verso dimensioni sconosciute.

Così è il poeta: anche lui come l’albatro si muove goffo e impacciato sulla terra, schiacciato dalla realtà che lo soffoca, ma quando lascia libero il suo pensiero sa elevarsi in spazi infiniti e divenire come l’ uccello marino “un principe delle nubi”

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Spleen Con questa parola Baudelaire indica la noia, la malinconia senza nome,

la tristezza senza causa che i latini chiamavano “Taedium vitae” (noia della vita)

Questa poesia è tratta dalla prima sezione dei “fiori del male” TRAMA Il poeta parla di due sentimenti opposti in lotta fra loro, la speranza e

l’angoscia, ovvero, da un lato il disgusto per una vita distrutta dalla noia e dall’altro l’aspirazione verso l’infinito e l’assoluto.

La speranza però lascia il posto all’angoscia del poeta: Solo, isolato, si sente oppresso da tutto quello che lo circonda. L‘anelito all’infinito rimane irrealizzato nel poeta, è il segno di una

sconfitta per la sconfitta della speranza e della vittoria dell’angoscia che pianta sul capo chino del poeta il suo “nero vessillo”

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Correspondances Divenne l’esempio di un nuovo linguaggio, di una parola

poetica che diviene suono, colore, allusione ed emozione. Questa lirica infatti è stata considerata il manifesto del

simbolismo

TRAMA Baudelaire descrive il mondo come un misterioso codice

pieno di simboli da decifrare, questa è la missione del poeta, cioè la sua funzione in una societ{ dove l’uomo distratto da mille problemi non si accorge del misterioso mondo nascosto dietro la forma sensibile della realtà

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Giovanni Pascoli Nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre del 1855, quarto di dieci figli di Ruggero e

Caterina Allocatelli Diventa professore di lettere, dopo aver studiato nel collegio degli Scolopi ad Urbino e dopo

aver frequentato l’universit{ di lettere a Bologna (dove ebbe come insegnante Carducci) La sua vita è segnata da una serie di lutti famigliari tra cui quello del padre avvenuto il 10

agosto 1867 che influenzerà la sua poesia. Non a caso la sua prima raccolta di poesie Myricae la dedica al padre Gli assassini del padre non furono mai trovati e questo inasprì il poeta nei confronti della

vita umana che per lui è solo un miscuglio di violenza, male ed ingiustizia Oltre questo pesante lutto il poeta vide morire anche la sorella e la madre a distanza di un

mese l’una dall’altra. Rimasto orfano si trasferisce a Rimini con i fratelli. Dopo la morte del fratello Giacomo, Pascoli entrò ufficialmente nel movimento

internazionalista, socialista di Andrea Costa. Si impegnò in attività propagandistiche, comizi e manifestazioni in seguito alle quali venne

imprigionato per alcuni mesi. A causa di una profonda crisi interiore Pascoli abbandonò le sue idee politiche per

dedicarsi alla poesia che divenne la sua fonte di redenzione. Pascoli amava ritirarsi a Castelvecchio quando libero da impegni. Questo luogo fu l’ispiratore di alcuni dei più bei canti Pascoliani Nel 1905 Prese la cattedra di letteratura italiana che era stata di Carducci all’universit{ di

Bologna, dove morì il 6 aprile del 1912 a causa di un tumore al fegato proprio il giorno del sabato santo.

Il suo corpo è sepolto in una piccola cappella costruita nella casa di Castelvecchio.

Le opere

Il pensiero

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Il Pensiero LA POETICA DEL FANCIULLINO Per Pascoli in ogni uomo si cela un fanciullino da cui deriva la sensibilità poetica. La voce di questo fanciullino si fa

sentire soprattutto nell’infanzia e rischia di essere soffocata dalla razionalit{ dell’et{ adulta. Solo chi sa ancora prestare ascolto al fanciullino che è dentro di se, pur crescendo negli anni e nella saggezza, può cogliere quelle sensazioni, quelle ispirazioni, quello stupore propri del poeta.

POESIA E FRATELLANZA UMANA Il messaggio che Pascoli vuole inviare agli uomini contro la malvagità nel mondo è quello di sentirsi, attraverso la

poesia tutti accomunati da un sentimento di fratellanza. Secondo il poeta la poesia quindi, assume i caratteri di una missione con il compito di ridestare nell’uomo sentimenti

di solidarietà con i suoi simili.

IL MITO DEL NIDO E DELL’INFANZIA Nella poesia Pascoliana trovano espressione questi due miti correlati fra loro. Il mito del nido diventa il luogo degli affetti, della sicurezza, della tranquillità nel quale trovare riparo dalle violenze e

dalle ingiustizie della vita esterna. Questo mito si manifesta attraverso il regredire al tempo dell’infanzia e il consolarsi nella rievocazione di essa.

LA NATURA Secondo il poeta nel mondo domina il male, causato non dalla natura ma dall’uomo stesso. Diversamente da Leopardi, il poeta infatti ritiene che la natura è buona e pia, in contrasto con il mondo dell’uomo

doloroso e violento.

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Il Pensiero PAESAGGIO Uno dei motivi ricorrenti protagonista dell’intera poesia Pascoliana è il paesaggio, sia come luogo in cui l’anima del

poeta può attingere alla semplicit{ e all’umilt{ delle cose, sia come ambiente in cui proiettare quel senso di smarrimento derivante dall’incombere della morte, dalla presenza del male e dell’ingiustizia nel mondo.

STRUTTURA POETICA I versi di Pascoli sono caratterizzati da: ONOMATOPEA = sono parole che riproducono i suoni della natura e degli animali (chiu, fru fru, don don) SINESTESIA = accostamento di aggettivi e sostantivi che fanno riferimento a due diversi campi sensoriali (soffi di

lampi) SIMILITUDINE = consiste nell’accostare due termini sulla base di un rapporto di somiglianza, per lo più espresso da

come oppure simile a (“com’eco d’un grido che fu”) METAFORA = è una similitudine abbreviata, non espressa dalle parole come o simile a ANTITESI = consiste nell’accostare due parole o frasi di significato contrario (“un nero di nubi “ e “nebbia di latte“) CLIMAX = consiste nell’usare espressioni di intensit{ sempre più crescente per esempio il chiu dell’assiuolo passa da

voce nei campi (nella prima strofa) a singhiozzo (nella seconda strofa), fino ad arrivare in fine ad un pianto di morte (terza strofa)

ALLITERAZIONE = ripetizione del medesimo suono all’inizio o all’interno di più parole contigue “ un fru fru tra le fratte”

ANAFORA = consiste nella ripetizione di una stessa parola o espressione che aprono strofe consecutive(“chiu”, “nascondi”)

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Le opere

LAVANDARE

NOVEMBRE

X AGOSTO

L’ASSIUOLO

NEBBIA

IL GELSOMINO NOTTURNO

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Lavandare

TRAMA In uno sfondo autunnale il poeta è immerso nella

campagna solitaria, rapito dalla natura circostante Davanti a lui un campo con un aratro abbandonato ed in

sottofondo il rumore delle lavandaie che si immergono nella natura.

Pascoli fa di questo aratro il simbolo di solitudine e di abbandono per eccellenza.

In questa poesia si ritrovano espressioni appartenenti tanto al codice visivo(“campo mezzo grigio e mezzo nero”, “un aratro senza buoi”) quanto al codice uditivo(“sciabordare delle lavandaie”, “il vento soffia”, ”lunghe cantilene”).

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Novembre

TRAMA

È autunno e aleggia la tristezza

Il bel tempo però ricorda per un attimo la stagione primaverile poi tutto ritorna autunnale

Tutti gli elementi della natura è come se ricordassero il destino fragile e triste degli uomini (rami secchi, cadere fragile delle foglie, cielo privo di rondini, terra resa arida dal freddo e silenzio sconfinato)

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X Agosto

Compare nella quarta edizione di Myricae ed è forse la più famosa lirica di Pascoli.

TRAMA La poesia è stata scritta per ricordare la morte del padre ucciso

appunto il 10 agosto nel giorno delle stelle cadenti (San Lorenzo) La morte del padre simboleggia il dramma del dolore del mondo L’immagine della morte della rondine richiama il sacrificio di

Cristo quindi il prevalere del male sull’innocente Le stelle cadenti diventano il pianto del cielo e la terra diventa

“un atomo opaco del male” (cioè, un punto insignificante nell’immensit{ dell’universo ma dominato dal male)

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L’Assiuolo

È stata pubblicata nel 1897, nella quarta edizione di Myricae, nella sezione intitolata “in campagna”

TRAMA Con questa poesia Pascoli descrive un paesaggio notturno dove all’inizio prevale il

sentimento dell’estasi, difatti dice che la notte è meravigliosa, il cielo è chiaro come l’alba e perfino gli alberi sembrano sporgersi per vedere meglio la luna che è nascosta tra le nubi. Il paesaggio descrittivo è reso ancora più incantevole dalla melodia del mare e dai fruscii dei cespugli che sembrano quasi rasserenare l’anima. Tutto quest’ambiente è disturbato non dai lampi, dalle nubi e dalla nebbia, ma solamente da una voce triste che si leva nei campi: il chiù. Una voce che all’apparenza sembra di passaggio, ma di strofa in strofa diventa più angoscioso, fino ad arrivare ad un pianto di morte. Questo suono, per lui, è come un sussulto, una scossa al cuore che gli fa emergere ricordi tristi e pensieri tormentati.

Il suono dell’uccello notturno pare quasi la voce stessa del suo cuore angosciato. Con tutto il suo componimento poetico, Pascoli vuole esprimere l’incombere dei ricordi e

della morte, che impedisce al poeta di godere pienamente la magia di una notte di luna perché è avvolto dal mistero e dall’angoscia della morte.

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Nebbia Raccolta nella prima edizione dei canti di Castelvecchio. Sono presenti il mito del nido e dell’infanzia: le piccole cose di tutti i giorni, gli

umili rituali domestici, tutto quello che gli sta vicino è sentito dal poeta come protettivo nei confronti dell’angoscia e del passato con l’ossessione dei morti familiari.

L’anafora “nascondi le cose lontane” è l’emblema della rimozione che ovatta la sua paura di vivere.

TRAMA Il poeta invoca la nebbia perché nasconda le cose lontane che per lui sono

piene di sofferenza, in quanto ricordano i suoi lutti passati. Pascoli vuole vedere soltanto “la siepe dell’orto”, “i due peschi e i due meli” e

tutte quelle realtà che si riferiscono al nido familiare dove solo può trovare un po’ di sollievo alle sue angosce.

Suggestiva è l’immagine finale del sonnecchiare del cane che allude al stato di quiete in cui il poeta si trova solo a contatto con le cose del nido

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Il gelsomino notturno È stata scritta nel 1901 come dono nuziale all’amico

Gabriele Briganti e raccolta nella prima raccolta dei canti di Castelvecchio

TRAMA Sullo sfondo di un paesaggio notturno in cui si animano

forme animali e vegetali (appaiono “le farfalle crepuscolari”, nasce “l’erba sopra le fosse”, “un ape tardiva sussurra” ecc…) vi è una casa in cui si compie un rito nuziale.

All’arrivo dell’alba il lume della casa si spegne, così come si chiudono i petali del fiore notturno.

È l’allusione di una nuova vita che ancora non si vede ma che gi{ è presente nell’utero materno.

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Gabriele D’Annunzio Nasce a Pescara nel 1863 Si trasferì a Roma all’et{ di 18 anni dove si iscrisse alla facolt{ di lettere Non conseguì mai la laurea ma frequentò salotti mondani e ambienti letterari Divenne protagonista della cultura del tempo e del giornalismo della capitale Il soggiorno Romano di D’Annunzio fu segnato da molti amori ed avventure e da qualche

scandalo letterario(trattò anche alcuni temi erotici). Al 1889 risale la pubblicazione del più importante romanzo di D’Annunzio: “Il piacere” L’autore conobbe il filosofo Nietzsche dal quale si fece ispirare con la teoria del superuomo Scrisse anche delle opere teatrali soprattutto grazie all’incontro con Eleonora Duse, una

delle attrici più celebri dell’epoca della quale divenne amante Intenso fu anche il suo impegno in politica, passando dalla destra alla sinistra estrema

finché non scoppiò la guerra mondiale che gli offrì l’occasione di passare all’azione: sostenne la causa dell’intervento in guerra; si arruolò come volontario e fece memorabili imprese(ferito ad un occhio fu costretto ad un lungo periodo di inazione che gli permise di dedicarsi alla stesura di alcune prose); a guerra finita sostenne una propaganda per l’annessione italiana della citt{ di Fiume che occupò proclamandosi re di Fiume in contrasto con gli accordi internazionali. L’impresa fu stroncata un anno dopo dall’esercito regolare italiano.

Deluso D’Annunzio alimentò la propaganda nazionalista che precedette l’avvento del fascismo.

Il regime fascista non lo ricompensò come si aspettava e questo lo fece ritirare nella sua villa presso il lago di garda, ribattezzata come il Vittoriale D’italia dove morì nel 1938

Le opere

Il pensiero

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Il Pensiero

ESTETISMO L’autore, incarnando i temi del decadentismo, esalta l’estetica come uno dei valori

assoluti. l’esasperazione di questo ideale lo porta a concepire la sua stessa vita come un’opera

d’arte “una vita inimitabile”

IL MITO DEL SUPERUOMO il mito del superuomo ingloba lo stesso estetismo amplificandone le caratteristiche:

oltre che un’ opera d’arte la vita deve essere attiva ed eroica

IL VELLEITARISMO A differenza del superuomo di Nietzsche, quello di D’Annunzio resta un uomo che

rifiuta ugualmente la morale del gregge ma non vuole collocarsi oltre l’uomo stesso (il suo potere è quello della volontà).

Tale mito è funzionale quindi ad una denuncia dei valori democratici della società contemporanea

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Il Pensiero

ANTIDEMOCRATISMO Rifiuto della democrazia e proposta di un ideologia aristocratica borghese e

individualistica.

CULTO DELLA PAROLA POETICA Lo stesso D’Annunzio ha così espresso la sua fede nella potenza della parola poetica: “o poeta, divina è la parola; nella pura bellezza il ciel ripose ogni nostra letizia, e il

verso è tutto.” La parola in D’Annunzio si carica di allusioni, musicalit{ e suggestioni

PANISMO Il panismo in poesia è la tendenza ad abbandonarsi alla vita dei sensi e dell’istinto,a

dissolversi e ad immedesimarsi con le forze e gli aspetti della natura,astri, mare, fiumi, alberi; a sentirsi, cioè, parte del Tutto, nella circolarità della vita cosmica.

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Le opere

IL PIACERE

LA PIOGGIA NEL PINETO

CANTO ALLA GIOIA

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Il piacere

Il romanzo fu definito la bibbia del Decadentismo italiano Il protagonista Andrea Sperelli è il modello del nuovo giovane signore italiano

ultimo discendente di una famiglia di intellettuali che metteva al primo posto il valore della bellezza e faceva di essa una vera e propria religione.

TRAMA Egli è un artista che dopo essere stato lasciato dalla sua bellissima amante Elena

Muti per dimenticarla si lancia in esperienze artistiche mondane. È così che incontra Maria Ferres, la bella moglie di un diplomatico e se ne innamora.

Andrea, incapace di dimenticare Elena, cerca di far rivivere l’antico amore nel legame con la nuova donna.

Andrea si lascia coinvolgere in un gioco sensuale di sovrapposizione dell’immagine delle due donne ma, in un momento d’abbandono Andrea si rivolge a Maria con il nome della precedente amante e la donna allora fugge via lasciando solo Andrea con la sua sconfitta.

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La pioggia nel pineto

Tratto dall’ Alcyone (raccolta di poesie intitolata dal nome di una stella appartenente alla costellazione delle Pleiadi)

TRAMA La poesia descrive una passeggiata del poeta con la sua donna, ricordata con il

nome suggestivo di Ermione. I due sorpresi da un temporale estivo si rifugiano in una pineta. È l’occasione per un’ esperienza straordinaria dei sensi: Ascoltare la pioggia nella pineta che diventa musica Dal primo ticchettio delle gocce si passa ad uno scroscio pieno che avvolge il

bosco e i due giovani amanti che si sentono un tutt’uno con la natura(sentimento del panismo)

La poesia ci delizia con parole onomatopee che ci suggeriscono i suoni della natura

I due personaggi ormai immersi nella natura sento come trasformarsi essi stessi in creature arboree con straordinaria sensazione di piacere

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Canto alla Gioia TRAMA Tratto da canto novo (raccolta di poesie del 1882 di spiccata sensualita

unita alla ricerca di nuove modalità espressive)

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Italo Svevo Italo Svevo è lo pseudonimo di Ettore Schmitz, nato a Trieste nel 1861 da una famiglia

agitata e in una realtà territoriale aperta alle più diverse influenze culturali della letteratura contemporanea europea.

Si può dire che Svevo ebbe una formazione di impronta europea, infatti studiò in Germania, a Baviera

Tornato a Trieste, divenne impiegato in una banca. L’interesse personale per la letteratura lo spinse a leggere grandi autori come i naturalisti

francesi Balzac, Flaubert e Zolà Pubblicò a proprie spese i suoi primi due grandi romanzi (“una vita” del 1892 e “senilit{” del

1898) che però non ottenne il successo sperato e non riscontrarono l’interesse del pubblico. Svevo sembrò rassegnarsi al fallimento letterario. L’anno successivo al suo secondo

romanzo, lasciò l’impiego in banca per diventare nuovo socio del suocero in una ditta di vernici.

Il nuovo impiego dirigenziale lo portò a viaggiare molto in europa. Fu in quel periodo che conobbe e divenne amico di James Joyce, scrittore irlandese che lo

stimolò a ritornare alla scrittura. Ispirato a Joyce, Svevo scrisse il suo terzo romanzo “la coscienza di Zeno” che in Italia non

fu subito apprezzato. A Parigi però Joyce la fece conoscere a critici di fama internazionale i quali lo apprezzarono

molto. In seguito ci fu la riscoperta di Svevo anche a livello nazionale; alla fine lo stesso Montale

scrisse un “omaggio a Svevo” in una rivista. Svevo morì nel 1928 a seguito di un incidente stradale. Alcune sue opere furono pubblicate postume

Le opere

Il pensiero

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Il Pensiero DISSOLUZIONE DEL PERSONAGGIO NELLA SUA COSCIENZA Svevo parla e racconta di “crisi di coscienze”, i suoi romanzi sono psicologici moderni, incentrati

sull’immagine della coscienza dei personaggi, con tutte le sue luci ed ombre. Di conseguenza, anche la struttura narrativa del racconto cambia: non c’è un normale sviluppo cronologico delle vicende ma episodi che seguono il “flusso di coscienza” così come affiora, senza un ordine preciso.

CRITICA ALLA SOCIETA’ BORGHESE La società è malata.... Malata di falsità e ipocrisie di cui i più non si accorgono, adeguandosi al

conformismo imperante. Solo i “diversi” riescono a scoprire l’inganno collettivo dei rapporti sociali falsi ed egoistici e l’inganno

dei valori sociali fatti solo per mascherare l’insensatezza della vita. Essi, che non si adattano alle regole sociali, sono ritenuti “malati” e “pazzi”. In realtà sono i soli e unici sani, perché la vera malattia è sociale. Da solo però un individuo non riesce

ad opporsi a questo meccanismo malato della società e ad instaurare migliori e diversi rapporti. Quindi deve rassegnarsi alla “malattia” come condizione di una vita vera (perché la salute non è che “incoscienza”)

IRONIA Svevo utilizza la tecnica narrativa dell’ironia per “denunciare” la mistificazione (cioè la falsit{) della

societ{ e delle sue regole. La tecnica dell’ironia è una tecnica di auto-distanziamento da se stessi e dal mondo che Svevo riprende dalla psicoanalisi e trasporta nella narrazione

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Le opere

LA COSCIENZA DI ZENO

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La coscienza di Zeno Si presenta come un’autobiografia che però non segue la tradizionale sequenza cronologica ma si

affida ai ricordi della memoria, ai “flussi di coscienza” del protagonista (Zeno Cosini), senza ordine ne legami causali precisi.

Nell’opera sono trattati diversi argomenti che costituiscono i sei capitoli del romanzo e che raccontano i diversi episodi della vita di Zeno, raccontati come sono stati vissuti interiormente dal protagonista nella sua coscienza (il fumo, la morte di mio padre, la storia del mio matrimonio, la moglie e l’amante, storia di un’associazione commerciale, psicoanalisi).

I capitoli sono preceduti da una prefazione che Svevo attribuisce al “dottor S”, psicoanalista che aveva consigliato al protagonista di scrivere un diario personale e che poi il dottore aveva fatto pubblicare per vendicarsi del suo paziente per aver interrotto la terapia.

TRAMA Zeno Cosini è un uomo d’affari di Trieste, nevrotico, ossessionato dal vizio del fumo che lo tormenta;

è un “antieroe” per eccellenza, un uomo che sente tutta la sua incapacit{ di agire e reagire. Nel desiderio di guarire si rivolge ad un psicoanalista e sotto suo consiglio tiene un diario della propria

“coscienza” riguardo alcuni episodi. Zeno scrive che dopo la morte del padre aveva corteggiato Ada, la sorella più bella delle tre sorelle

Malfenti ma aveva sposato Augusta, la meno bella delle tre. Il suo matrimonio, però, si era rivelato ben riuscito, a differenza di quello del suo rivale Guido che aveva sposato Ada, imbruttitasi ed ammalatasi.

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La coscienza di Zeno Zeno, nel tema “il fumo” ripensa al suo vizio: tante volte aveva detto di fumare “l’ultima sigaretta” e

tale proposito era fallito. Zeno si rende conto che, di tutto ciò che aveva programmato e voluto, niente si era realizzato, mentre quello che gli era riucito era avvenuto per caso.

Anche la sua relazione extraconiugale, di cui nessuno si era accorto (a differenza di quella di Guido che aveva provocato scandalo) era avvenuta “per caso”. E ancora: Guido si era rovinato con alcuni investimenti azzardati in borsa, lui “per caso” e senza volerlo era riuscito a realizzare discreti guadagni. Mentre quando avrebbe voluto andare al funerale di Guido (che nel tentativo di inscenare un suicidio era finito per uccidersi davvero) si era sbagliato funerale, seguendo le esequie di un’altra persona.

Zeno racconta tutti questi episodi con ironico distacco e la sua ironia non risparmia neanche la psicoanalisi.

Alla fine Zeno deve ammettere che la “malattia” è la condizione inevitabile dalla quale non si può guarire (se non guarisce prima la società stessa). Se Zeno è un anti-eroe incapace di reagire alla sua condizione, è però consapevole della sua inettitudine e questa consapevolezza lo rene più sano di tanti altri che semplicemente si “lasciano vivere” nel conformismo generale. Zeno sa di non essere adeguato e quindi può solo rassegnarsi a questa sua condizione perché non è tanto lui a dover guarire quanto la societ{. (“ad essere malato non è il singolo uomo ma l’intero mondo")

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Luigi Pirandello Nasce ad Agrigento nel 1867 Compie gli studi liceali e si iscrive all’universit{ di Palermo. Intraprende gli studi universitari a Palermo ma poi li continua a Roma e li completa a Bonn,

in Germania (dove si laurea in filologia romanza) Tornato ad Agrigento, sposa Maria Antonietta Portulano E con lei si trasferisce a Roma dove

insegnò, a partire dal 1897, alla CATTEDRA DI MAGISERO (fino al 1922). Intanto si dedicò anche a scrivere opere di narrativa

Nel 1903 Pirandello subì un grave dissesto economico che provocò le prime manifestazioni della malattia mentale della moglie.

Lo scrittore veniva accusato ingiustamente dalla moglie di tradimento, la salute psichica della moglie si aggravò sempre più finché non venne rinchiusa in una casa di cura

Il dramma familiare della moglie fu per lo scrittore una grande sofferenza di vita che divenne però materia d’ispirazione

Dal 1916 Pirandello si occupò di teatro, portando al successo molte sue opere (tra le quali “6 personaggi in cerca d’autore” opera scenicamente innovativa ed esempio più alto del teatro pirandelliano).

Con le opere teatrali Pirandello fece più successo che con le sue opere letterali . Nel 1926 fondò una compagnia teatrale propria. Nel 1929 aderì all’accademia d’italia fascista (lui era iscritto al partito dal 1924) Ricevette il premio Nobel per la letteratura (1934) come riconoscimento universale delle sue

opere Morì a Roma nel 1936; furono rispettate le volontà del suo testamento: funerale senza

ufficialità, senza fiori, senza discorsi, senza accompagnamento (neanche quello dei figli) e trasportato sul carro funebre dei poveri.

Le opere

Il pensiero

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Il Pensiero

SMARRIMENTO E CRISI D’IDENTITA’ DELL’UOMO CONTEMPORANEO L’uomo si trova a vivere, nella sua condizione esistenziale, come uno che ha smarito la propria identità

e libertà, costretto ad una vita inautentica, ingabbiata dentro le convenzioni e forme sociali

CONTRADDIZIONE TRA “ESSENZA” E “APPARENZA”, TRA “VITA” E “FORMA” Pirandello indaga l’animo umano nelle sue contraddizioni, rivela una realt{ psicologica che è

complessa e profonda, caratterizzata da una molteplicità di apparenze e di ruoli a cui costringe la società (forme sociali)

LA “MASCHERA” SOCIALE E NECESSITA’ DELLA “FORMA” La “forma” è come una maschera sotto la quale si agitano i sentimenti che potrebbero travolgere

l’uomo, una maschera attraverso la quale l’uomo si illude di conoscersi ma in realt{ è solo un’immagine falsa e inautentica di sé .

La maschera sociale è come un “carcere senza sbarre” , una gabbia che imprigiona l’uomo in una molteplicit{ di “forme di essere” (ruoli) per cui l’uomo non è mai se stesso

Ma allo stesso tempo , per vivere nella societ{, c’è bisogno di una forma Le convenzioni sociali sono insopportabili a una vita inautentica, tuttavia esse sono indispensabili

perché la vita dell’uomo è essenzialmente “sociale” e la societ{ non permetterebbe all’uomo di vivere al di fuori delle sue “forme”

La conseguenza sarebbe una “morte sociale”, cioè l’emarginazione, l’isolamento e l’alienazione

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Il Pensiero PESSIMISMO La “sconfitta” dell’uomo è inevitabile : non può illudersi di vivere fuori dalla sua

maschera sociale. Se pensasse di liberarsene sarebbe breve la durata della sua illusione . Per non morire socialmente e smarrire del tutto la propria identit{ l’uomo è costretto a

restare ancorato a un’esistenza inautentica, frantumata nelle maschere in cui appare e che gli impone la società

La contraddizione tra essenza dell’uomo (sua identit{ autentica) e apparenza (le sue maschere sociali) si risolve a favore della societ{ se l’uomo non vuole restare alienato e isolato

UMORISMO COME “SENTIMENTO DEL CONTRARIO” Pirandello usa l’umorismo per rappresentare la contradditorietà del reale. L’umorismo è ciò che fa riflettere amaramente sulla falsit{ di ogni costruzione coerente

della realtà imposta dalla maschera sociale. L’umorismo si basa sul sentimento del contrario, che mette a nudo la sofferenza del

personaggio dietro la comicità della situazione presentata e rivela il profondo divario esistente fra ideale e reale, tra forma apparente e vita vera.

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Le opere

FUGA

ENRICO IV

IL SENTIMENTO DEL CONTRARIO

IL FU MATTIA PASCAL

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Fuga

Novella pubblicata per la prima volta sul “corriere della sera” ( 23 agosto 1923) e che fa parte della raccolta “Novelle per un anno”.

TRAMA Si racconta di un impiegato borghese, il signor Bareggi, uomo di mezza

età malato e nevrotico, con una vita che si ripete sempre uguale a se stessa, a casa e in ufficio, oppresso dalle “premure angosciose” di moglie e figlie.

L’impiegato Bareggi sogna di fuggire e liberarsi dall”afa della vita” che lo soffoca e un giorno, preso da una “pazzia fisica”, approfittò di una distrazione del lattaio per rubargli il carretto e lanciarsi in una fuga pazza e disperata. La corsa, però, gli fece perdere il controllo del carretto facendolo sbalzare fuori.

La novella si conclude con l’immagine del cavallo che si ferma davanti casa del lattaio con il carretto vuoto.

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Enrico IV E’ una tragedia del 1922 e fa parte della produzione teatrale di Pirandello. TRAMA Si racconta la vicenda tormentata di un ricco borghese impazzito vent’anni prima per essere caduto da

cavallo in una caccia in maschera, durante la quale aveva indossato i costumi dell’imperatore Enrico IV.

A disarcionarlo da cavallo e farlo cadere era stati il suo rivale in amore, il barone Balcredi che amava la marchesa Matilde Spina.

Impazzito, il protagonista aveva veramente creduto di essere Enrico IV. A nulla erano valsi i tentativi dei familiari di rinsavirlo e quindi avevano finito per assecondarlo nella sua pazzia e lasciargli credere di essere Enrico IV.

Senonchè, il pazzo, dopo 12 anni, era improvvisamente guarito e si era reso conto di come il responsabile dei suoi guai, il barone Balcredi, era diventato l’amante di Matilde. Il falso Enrico però, aveva taciuto della sua guarigione perché non sarebbe stato creduto, fissato ormai com’era in quella “forma” sociale di pazzia.

Dopo otto anni dalla sua guarigione, però, il nipote del finto Enrico IV a tutti i costi si impone di far guarire lo zio, con l’aiuto di uno psicanalista che gli aveva consigliato di far rivivere al malato il dramma della cavalcata di un tempo, provocandogli un forte trauma emotivo che lo avrebbe sicuramente riportato alla normalità. In questo tentativo di rievocazione del passato, il falso Enrico IV può vendicarsi finalmente del barone Balcredi uccidendolo.

A questo punto, per coprire il delitto compiuto a Enrico IV non resta che fingersi tale per sempre, assumendo quella maschera sociale in cui era stato costretto per anni.

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Il sentimento del contrario

Questa riflessione pirandelliana si ritrova in un interessante saggio sull’umorismo, pubblicato nel 1908 con la dedica “alla buon anima di Mattia Pascal bibliotecario”.

TRAMA Lo scrittore, nel suo saggio, offre l’esempio di una vecchia signora “coi capelli

ritinti…tutta imbellettata” e agghindata con abiti giovanili. Appare subito una contraddizione comica tra il modo in cui la signora si mostra e ciò che, invece, “una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere”.

E’ un sorriso amaro, però, se si riflette sul fatto che, in realt{, la vecchia non ha piacere di fare ciò che fa ma è spinta a presentarsi in quel modo per conquistare l’amore del marito molto più giovane di lei. Ecco allora che emerge il sentimento del contrario, per cui da una situazione comica si va a finire nella percezione di una sofferenza nascosta e profonda della persona.

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Il fu Mattia Pascal Quest’opera è il terzo dei romanzi pirandelliani ( dopo “L’esclusa” e “il turno”), pubblicato nel 1904. E’ il racconto di una “crisi d’identit{” la cui struttura narrativa sovverte la tradizionale successione cronologica degli

avvenimenti (propria del romanzo ottocentesco) avvicinandolo al successivo “la coscienza di Zeno” di Italo Svevo. TRAMA Nella premessa, Mattia Pascal, bibliotecario di un paesino ligure, racconta di scrivere la sua storia, sotto forma di

romanzo, su consiglio dell’amico curato don Eligio. Mattia Pascal racconta di essere stato un bambino spensierato ma di essere stato sempre più deluso dalla vita nell’et{

adulta. Soggetto a ristrettezze economiche, annoiato e oppresso dalla moglie e dalla suocera, (legami resi ancor più insopportabili alla morte della bambina di appena un anno nata dal suo matrimonio), Mattia aveva deciso di fuggire lontano. Deciso a raggiungere Marsiglia per poi imbarcarsi per l’America, l’uomo per caso era capitato al Casinò di Montecarlo dove aveva vinto una forte somma di denaro. Deciso a riscattare le proprietà paterne con quella vincita, mentre fa ritorno a casa , Mattia legge sul giornale la notizia della sua morte: un cadavere era stato ritrovato in un fiume ed era stato riconosciuto dalla moglie come il suo. Mattia era stato scambiato per un suicida. Quella notizia gli mette in testa di rifarsi una nuova vita, libero dalla sua vecchia di Mattia Pascal che gli stava stretta.

Mattia Pascal si trasforma in Adriano Meis. Viaggia, si stabilisce poi a Roma come pensionato presso la famiglia Paleari; stringe amicizia con il padrone di casa e si innamora della figlia Adriana. Ma non può sposarsi: per la legge non è nessuno, non ha documenti né diritti. In quella nuova esistenza senza identità sociale Adriano Meis non può avere relazioni e legami ufficiali, non può neanche denunciare chi lo deruba del suo denaro perché non ha documenti di riconoscimento. L’unica soluzione che gli resta è iscenare il suo secondo falso suicidio per ritornare ad essere Mattia Pascal.

Ben presto, però, si rende conto che non gli è possibile neanche ritornare ad essere lo stesso Mattia Pascal di prima perché la moglie si è risposata con un suo vecchio spasimante e ha anche una bambina.

L’ex Mattia Pascal decide allora di ritirarsi definitivamente nella sua vecchia biblioteca, restare morto per tutti, tenendosi solo un unico amico e confidente ( don Eligio) e andare a portare fiori sulla sua tomba.

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Giuseppe Ungaretti Nasce ad Alessandria d’Egitto da genitori italiani nel 1888. Trascorsi i primi ventiquattro anni della sua vita in Egitto, si

trasferisce a Parigi, dove conobbe i più importanti intellettuali del tempo e dai quali fu influenzato (soprattutto da Mallarmé, Valery e Rimbaud)

Fu soldato in trincea negli anni della grande guerra e questo fatto lo segnò molto e influenzò tutta la sua poesia.

Aderì al fascismo; fu anche corrispondente da Parigi del giornale di Benito Mussolini.

Lavorò anche a Roma presso il Ministero degli Esteri e poi si trasferì in Brasile, dove tenne la cattedra di letteratura italiana presso l’universit{ di S.Paolo.

In Brasile subì la morte del figlio di soli nove anni. Tornò in Italia in pieni anni di guerra ( 1942) e insegnò

letteratura moderna e contemporanea all’universit{ di Roma. Morì a Milano nel 1970.

Le opere

Il pensiero

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Il Pensiero PENA DI VIVERE: l’essenza dell’esistenza umana, secondo Ungaretti, è pena, dolore, sofferenza e morte. Le sue

poesie esprimono bene questi temi che richiamano l’inevitabile fragilit{ della condizione umana, non legata a circostanze storiche, in quanto è l’intera esistenza dell’uomo, per natura, ad essere segnata dalla pena e dall’angoscia.

RICHIAMO ALLA FRATELLANZA: L’amara pena che l’uomo avverte nel suo vivere deve richiamarlo al bisogno di fratellanza con

gli altri. Fu proprio la guerra a maturare nel poeta il tema della pena di vivere come condizione

esistenziale e, allo stesso tempo, la necessità di una solidarietà fra gli uomini. ESSENZIALITA’ DELLA PAROLA: Per esprimere l’essenza della vita umana che è pena e dolore, non c’è bisogno di tante parole. La parola deve essere “scavata” nella sua essenzialit{, deve essere pura e semplice. Il linguaggio poetico, quindi, è estremamente scarno, tutto incentrato sul tema del dolore,

senza troppi giri di parole, perché per far sentire la pena del vivere le parole devono essere poche e chiare.

Ungaretti stesso ha definito i suoi versi ( tra i più brevi mai scritti) con il termine “versicoli”.

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Le opere

FRATELLI

SONO UNA CREATURA

SAN MARTINO DEL CARSO

GIROVAGO

I FIUMI

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Fratelli L’esperienza della guerra segnò moltissimo l’animo di Ungaretti e ispirò gran parte della sua

produzione poetica che è prevalentemente una “lirica di trincea”). Accanto al tema predominante della guerra, però, Ungaretti esprime anche un richiamo alla vita, in quanto proprio la tragedia della guerra stimola il bisogno di fratellanza. Ecco perché, queste liriche della trincea, in un primo momento, sono state raccolte con il titolo di “Allegria di naufragi” : due segni, opposti ma complementari, di una condizione umana di fragilità, continuamente oscillante tra un andare alla deriva verso la desolazione e un riaccendersi della speranza verso una volontà di vita. Successivamente queste poesie furono raffinate formalmente e vennero raccolte in una nuova sistemazione “dal titolo semplificato “Allegria” del 1931. Infine, tutte furono raccolte, nel 1942, in forma definitiva nell’edizione Mondadori, con il titolo “Vita di un uomo”.

TRAMA La poesia prende spunto dal tema della guerra ma Ungaretti non esprime alcun sentimento di odio

verso il nemico. Anzi, in questa poesia accomuna i soldati con il termine “fratelli”. Ciò che fa questi uomini, di reggimenti diversi, dei “fratelli” è la naturale condizione della fragilit{

umana( la parola “fratelli” è accostata, infatti, a una “foglia appena nata” che richiama tutta la fragilit{ delle vita).

La presa di coscienza di una realtà comune fatta di precarietà e sofferenza dovrebbe far risuonare questa parola “fratelli” come un sussulto di speranza nel buio della notte ( che è la notte della guerra ma più in generale dell’esistenza umana)

La parola chiave “fratelli”, non solo d{ il titolo alla poesia, ma apre e chiude la composizione ed è sottolineata dalle numerose allitterazioni presenti ( “fratelli”, “foglia”, “fragilit{”, “fratelli”).

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Sono una creatura L’esperienza della guerra segnò moltissimo l’animo di Ungaretti e ispirò gran parte della

sua produzione poetica che è prevalentemente una “lirica di trincea”). Accanto al tema predominante della guerra, però, Ungaretti esprime anche un richiamo alla vita, in quanto proprio la tragedia della guerra stimola il bisogno di fratellanza. Ecco perché, queste liriche della trincea, in un primo momento, sono state raccolte con il titolo di “Allegria di naufragi” : due segni, opposti ma complementari, di una condizione umana di fragilità, continuamente oscillante tra un andare alla deriva verso la desolazione e un riaccendersi della speranza verso una volontà di vita. Successivamente queste poesie furono raffinate formalmente e vennero raccolte in una nuova sistemazione “dal titolo semplificato “Allegria” del 1931. Infine, tutte furono raccolte, nel 1942, in forma definitiva nell’edizione Mondadori, con il titolo “Vita di un uomo”.

TRAMA E’ il monte S.Michele, un’altura del Carso, luogo di aspri combattimenti nella prima

guerra mondiale, ad aver ispirato questa breve poesia: poche ed essenziali parole paragonano quel paesaggio così arido e duro all’animo del poeta, rimasto impietrito dal dolore della guerra.

E’ un dolore, però, che resta chiuso dentro l’animo, che non ha lo sfogo delle lacrime e che fa sì che, se anche si è scampati alla morte esteriore del corpo, un’altra morte ( quella interiore dell’animo) “si sconta, vivendo”.

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San Martino del Carso L’esperienza della guerra segnò moltissimo l’animo di Ungaretti e ispirò gran parte della

sua produzione poetica che è prevalentemente una “lirica di trincea”). Accanto al tema predominante della guerra, però, Ungaretti esprime anche un richiamo alla vita, in quanto proprio la tragedia della guerra stimola il bisogno di fratellanza. Ecco perché, queste liriche della trincea, in un primo momento, sono state raccolte con il titolo di “Allegria di naufragi” : due segni, opposti ma complementari, di una condizione umana di fragilità, continuamente oscillante tra un andare alla deriva verso la desolazione e un riaccendersi della speranza verso una volontà di vita. Successivamente queste poesie furono raffinate formalmente e vennero raccolte in una nuova sistemazione “dal titolo semplificato “Allegria” del 1931. Infine, tutte furono raccolte, nel 1942, in forma definitiva nell’edizione Mondadori, con il titolo “Vita di un uomo”.

TRAMA In questa poesia Ungaretti descrive la borgata di S.Martino del Carso così come è stata

ridotta dalle artiglierie durante la prima guerra mondiale: nient’altro che “qualche brandello di muro”. Ma almeno qualche cosa è rimasto. Invece, di tanti amici del poeta che con lui hanno combattuto “non è rimasto neppure tanto”. Eppure il poeta li ricorda tutti e nel suo cuore ha una croce per ognuno di loro, come luogo del loro riposo eterno. Ecco perché è il suo cuore “il paese più straziato”, cioè quello che è stato maggiormente rovinato dalla guerra (più delle macerie di S.Martino).

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Girovago

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I fiumi L’esperienza della guerra segnò moltissimo l’animo di Ungaretti e ispirò gran parte della sua produzione poetica che è

prevalentemente una “lirica di trincea”). Accanto al tema predominante della guerra, però, Ungaretti esprime anche un richiamo alla vita, in quanto proprio la tragedia della guerra stimola il bisogno di fratellanza. Ecco perché, queste liriche della trincea, in un primo momento, sono state raccolte con il titolo di “Allegria di naufragi” : due segni, opposti ma complementari, di una condizione umana di fragilità, continuamente oscillante tra un andare alla deriva verso la desolazione e un riaccendersi della speranza verso una volontà di vita. Successivamente queste poesie furono raffinate formalmente e vennero raccolte in una nuova sistemazione “dal titolo semplificato “Allegria” del 1931. Infine, tutte furono raccolte, nel 1942, in forma definitiva nell’edizione Mondadori, con il titolo “Vita di un uomo”.

TRAMA Anche in questa lirica, composta in zone di operazioni militari presso l’altura di S.Michele, nel Carso, c’è lo sfondo di

un desolato paesaggio di guerra. Il poeta si trova in una cavit{ caratteristica del terreno carsico , aggrappato ad un “albero mutilato” ( evidentemente

colpito , al pari degli uomini, dalla violenza distruttiva della guerra). E’ sera e il poeta si perde a contemplare il paesaggio lunare, con il pensiero che ritorna al mattino, quando il poeta , in una pausa dalla vita di trincea, in un momento di “rara felicit{” ha ripreso contatto con la natura. Lo stupore del poeta dinanzi alla natura gli offre l’occasione di ripensare alle diverse epoche della sua vita, in un’esistenza che è idealmente segnata dai fiumi: al Sarchio, in Toscana, dove hanno avuto origine i suoi antenati; al Nilo, in Egitto, che lo ha visto nascere e alla Senna, a Parigi, dove si è rivelata la sua vocazione poetica.

Attraverso il ricordo dei fiumi che hanno segnato la sua esistenza, affiora, nel poeta, la nostalgia, rafforzata dal fatto che ora nella sua vita è scesa la notte e l’esistenza sembra come un fiore con i petali dal colore delle tenebre ( allusione alla guerra e all’angoscia che l’accompagna).

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Eugenio Montale Nacque a Genova nel 1896 e trascorse l’infanzia e

l’adolescenza in Liguria, nelle cinqueterre. Cominciò a scrivere molto presto, del 1916 è la poesia

“meriggio pallido e assolato”. La sua prima raccolta poetica è “ossi di seppia” (1925)

Fu uno dei pochi intellettuali italiani a firmare il manifesto antifascista degli intellettuali italiani di Benedetto Croce

A lui si deve la riscoperta e rivalutazione dell’opera di Italo Svevo in Italia (lui scrisse nella rivista “l’esame” un omaggio a Svevo che lo rilanciò al grande pubblico)

Tradusse molte opere di autori stranieri tra cui Shakespeare ed Eliot

Fu un grande critico letterario e lavorò al Corriere della sera di Milano.

Nel 1975 ottenne il premio nobel della letteratura italiana . Muore a Milano il 12 settembre del 1977

Le opere

Il pensiero

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Il Pensiero MALE DI VIVERE L’esistenza dell’uomo per Montale è qualcosa di misterioso e drammaticamente precario,

dominato dalla sofferenza e dal dolore. Il “male di vivere” è l’essenza della vita umana. La radice del male di vivere sta nella profonda disarmonia dell’uomo di fronte alla realt{ che lo circonda di cui non riesce a spiegare il mistero

AMARO PESSIMISMO Nessun tentativo di consolazione dell’uomo può vincere di fronte al male di vivere, tutti

gli sforzi e la stessa ansia per svelare la verità di una realtà che resta impenetrabile e indecifrabile all’uomo risultano vani.

Soltanto un miracolo, un’improvvisa e imprevista salvezza potrebbe liberare l’uomo dal suo male di vivere.

USO DEL CORRISPETTIVO OGGETTIVO E SIMBOLISMO Il poeta usa un linguaggio evocativo e fortemente simbolico, ricorrendo all’utilizzo di

corrispettivi oggettivi, ripresi da Tomas Eliot. Attraverso i corrispettivi oggettivi Montale vuole esprimere la correlazione tra uno stato

d’animo ed un oggetto del mondo esterno il quale si carica di simboli pur conservando la sua specificità per i suoi caratteri fisici evidenti e reali

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Uso del corrispettivo oggettivo

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Le opere

MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO

IL MALE DI VIVERE

I LIMONI

NON CHIEDERCI LA PAROLA

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Meriggiare pallido e assorto La poesia è tratta da “ossi di seppia” raccolta pubblicata nel 1925: il titolo fa riferimento

agli ossi di seppia disseccati che il mare deposita a riva, allusione simbolica a paesaggi desolati, rocciosi, aridi che richiamano la desolazione, l’angoscia e la solitudine dell’esistenza. I paesaggi descritti fanno riferimento al paesaggio ligure delle Cinqueterre che non viene colto secondo il panismo Dannunziano ma è visto nella sua asprezza.

La visione pessimistica della condizione umana è accompagnata a un linguaggio poetico essenziale, ricco di simboli ed analogie ma anche straordinariamente descrittivo, in una cura meticolosa di particolari

TRAMA Il poeta trascorre il pomeriggio di una calda giornata estiva, con l’animo immerso nel

pensiero su quale possa essere il senso della vita. All’inizio fa una descrizione di un caldo paesaggio immerso nella campagna ligure, dove

gli elementi della natura sono espressi con sonorità aspre e stridenti e con immagini allusive (esempio delle “rosse formiche”)

Passeggiando presso un muro rovente si accorge di come tutta la sua vita sia simile a quel camminare lungo “una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”, immagine che rimanda alla limitatezza dell’uomo e alla sua impossibilit{ di uscire dai confini stretti della propria esistenza per conoscere il mistero dell’immensit{ che lo circonda.

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Il male di vivere La poesia è tratta da “ossi di seppia” raccolta pubblicata nel 1925: il titolo fa riferimento

agli ossi di seppia disseccati che il mare deposita a riva, allusione simbolica a paesaggi desolati, rocciosi, aridi che richiamano la desolazione, l’angoscia e la solitudine dell’esistenza. I paesaggi descritti fanno riferimento al paesaggio ligure delle Cinqueterre che non viene colto secondo il panismo Dannunziano ma è visto nella sua asprezza.

La visione pessimistica della condizione umana è accompagnata a un linguaggio poetico essenziale, ricco di simboli ed analogie ma anche straordinariamente descrittivo, in una cura meticolosa di particolari

TRAMA Il poeta sostiene di aver frequentemente incontrato il male di vivere, cioè la condizione di

sofferenza che ciascun essere vivente, in ogni forma creata, sperimenta e prova: animali, vegetali, persino cose inanimate. Così “il ruscello strozzato che gorgoglia nelle strettoie delle rive”, “la foglia riarsa che si accartoccia al sole”, “il cavallo che stramazza violentemente al suolo”…, tutto sembra sottostare a questa pena esistenziale del vivere. Di fronte a questo male, non esiste altra alternativa che l’indifferenza totale, la mancanza di partecipazione, l’assoluto disimpegno di fronte alle cose. A tale indifferenza richiamano le immagini simboliche della statua immobile, della nuvola alta nel cielo e del falco inghiottito nell’immensit{ dell’azzurro.

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I limoni La poesia è tratta da “ossi di seppia” raccolta pubblicata nel 1925: il titolo fa riferimento agli ossi di seppia disseccati che

il mare deposita a riva, allusione simbolica a paesaggi desolati, rocciosi, aridi che richiamano la desolazione, l’angoscia e la solitudine dell’esistenza. I paesaggi descritti fanno riferimento al paesaggio ligure delle Cinqueterre che non viene colto secondo il panismo Dannunziano ma è visto nella sua asprezza.

La visione pessimistica della condizione umana è accompagnata a un linguaggio poetico essenziale, ricco di simboli ed analogie ma anche straordinariamente descrittivo, in una cura meticolosa di particolari

TRAMA La poesia si apre con la descrizione degli alberi di limone, osservati nel paesaggio ligure di un’estate campestre. Il poeta si rivolge ad un ipotetico interlocutore (“Ascoltami”), quasi a significare la sua volont{ di uscire dalla propria

solitudine e instaurare un dialogo con un’altra persona. L’autore dichiara di prediligere le cose semplici e quotidiane, per le sue poesie, rifiutando i termini ricercati e

inconsueti dei poeti accademici. Montale ama l’umilt{ e la semplicit{ di oggetti come “strade”, “fossi”, “pozzanghere”, “viuzze”, “ciuffi delle canne” e “orti dove sono gli alberi di limone”.

Gli alberi di limone, trascurati nella poesia tradizionale dei grandi letterati, diventano per Montale il simbolo della realtà intesa nei suoi aspetti più umili e dimessi e più vicini alle sofferenze comuni.

Lo scenario semplice e suggestivo di vita campestre, con i suoi alberi di limone, i suoi profumi, i suoi silenzi e l’ immenso azzurro del cielo, viene contrapposto alla vita rumorosa di citt{ “dove l’azzurro si mostra soltanto a pezzi, in alto”, tra i cornicioni delle case. La vita estiva campestre lascia il posto al paesaggio urbano invernale, con il prevalere del grigiore, del tedio e della tristezza.

Solo quando s’intravvede, attraverso un portone mal chiuso, che d{ sul retro di una casa, il colore giallo dei limoni, allora “il gelo del cuore si sfa” e in petto risuonano le canzoni di una ritrovata solarit{.

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Non chiederci la parola La poesia è tratta da “ossi di seppia” raccolta pubblicata nel 1925: il titolo fa riferimento agli ossi di

seppia disseccati che il mare deposita a riva, allusione simbolica a paesaggi desolati, rocciosi, aridi che richiamano la desolazione, l’angoscia e la solitudine dell’esistenza. I paesaggi descritti fanno riferimento al paesaggio ligure delle Cinqueterre che non viene colto secondo il panismo Dannunziano ma è visto nella sua asprezza.

La visione pessimistica della condizione umana è accompagnata a un linguaggio poetico essenziale, ricco di simboli ed analogie ma anche straordinariamente descrittivo, in una cura meticolosa di particolari.

TRAMA Montale si rivolge al lettore identificandosi con tutti i poeti della sua generazione ( la particella “ci”

indica una pluralità di interlocutori). Non si può chiedere ai poeti, che sono uomini come tutti, una parola che definisca con precisione l’animo umano o che, come una formula magica, offra le chiavi per capire il mondo.

Montale, nella seconda strofa, sembra quasi rimpiangere, attraverso l’esclamazione iniziale (Ah!), l’uomo “che se ne va sicuro”, che procede senza darsi pensiero dei segni di precariet{ della vita.

Il poeta sembra fare anche in questa poesia una sorta di dichiarazione: la poesia non può dare certezze e i poeti non hanno in sé la capacità di svelare il significato della vita e del suo mistero. Le uniche certezze sono negative, ( pensiero ben sottolineato dall’uso della negazione “non” ripetuta per ben cinque volte nei versi della poesia.), quindi si può solo dire quello che non si è e quello che non si vuole: “Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

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