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Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale ISTITUTO SUPERIORE INTERDIOCESANO DI SCIENZE RELIGIOSE “DUNS SCOTO” Nola - Acerra CORSO DI TEORIA DELLA SCUOLA E LEGISLAZIONE SCOLASTICA Teoria della Scuola e Legislazione scolastica Dispense a cura del prof. Michele Montella 1 5^ Lezione venerdì 5 aprile 2019 SGUARDO STORICO AI MODELLI SCOLASTICI Il modello costituzionale Introduzione storica. La storia dei modelli costituzionali, cioè di quei modelli che hanno costruito le norme di uno Stato, è molto lunga e se gettiamo uno sguardo solo a quelle dellepoca moderna ci accorgiamo della fluidità e del dinamismo legislativo da cui sono caratterizzate. La rivoluzione americana e quella francese hanno costituito lavvio del percorso di una coscienza civile e di un lungo e doloroso cammino liberale prima e democratico dopo. Gli anni che vanno dal 1787 al 1793 furono fondamentali per lacquisizione di obiettivi, contenuti, modalità operative ed organizzative riguardo alla gestione delle complesse tematiche dei rapporti tra cittadino e società e della questione dellaffermazione dei limiti ai poteri dello Stato, come risposta agli abusi e alle drammatiche violenze degli Stati assoluti. La Costituzione americana non tardò a fondare la Carta sul principio della separazione dei poteri e della sovranità del popolo. Il periodo rivoluzionario aprì la fase storica delle grandi costituzioni europee fino alla fine del 1800. In questi decenni, grazie agli esempi napoleonici, si affermò il modello costituzionale monarchico che faceva proprie le conquiste di libertà, rinunciando al diritto divino e accettando solo in minima parte di condividere con quella popolare lorigine aristocratica della volontà legislativa. Un altro periodo che possiamo ricordare di questa lunga fase di maturazione del modello riguarda la storia della caduta degli imperi durante la prima guerra mondiale e la nascita di una serie di costituzioni repubblicane, che diedero il via al modello parlamentare. Il periodo delle repubbliche parlamentari lasciò poi il posto alle dittature e ai totalitarismi che in buona parte dellEuropa, dagli anni Venti agli anni Quaranta, tennero in scacco le rivendicazioni libertarie dei popoli e condussero alla seconda guerra mondiale, al termine della quale, un nuovo anelito di ricostruzione non solo fisica, ma morale e civile diede forma alle moderne costituzioni vigenti. Collocazione generale. Per introdurre la riflessione sul modello costituzionale ci facciamo aiutare, come per i precedenti modelli, da alcune pagine antologiche che ci permettono di collocare con precisione questo che presentiamo nel contesto civile della nazione e nel panorama culturale e storico nel quale esso nacque. Noi sappiamo che la Costituzione è la legge fondamentale dello Stato e come tale i suoi articoli ci parlano di tre cardini civili da cui si origina una comunità umana articolata e solidale: il primo riguarda i fondamenti ordinamentali, il secondo i diritti e i doveri dei cittadini, il terzo l’organizzazione e il funzionamento degli organi statali.

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Nola - Acerra

CORSO DI TEORIA DELLA SCUOLA E LEGISLAZIONE SCOLASTICA

Teoria della Scuola e Legislazione scolastica – Dispense a cura del prof. Michele Montella

1

5^ Lezione venerdì 5 aprile 2019

SGUARDO STORICO AI MODELLI SCOLASTICI

Il modello costituzionale

Introduzione storica. La storia dei modelli costituzionali, cioè di quei modelli che

hanno costruito le norme di uno Stato, è molto lunga e se gettiamo uno sguardo solo a

quelle dell’epoca moderna ci accorgiamo della fluidità e del dinamismo legislativo da

cui sono caratterizzate.

La rivoluzione americana e quella francese hanno costituito l’avvio del percorso di una

coscienza civile e di un lungo e doloroso cammino liberale prima e democratico dopo.

Gli anni che vanno dal 1787 al 1793 furono fondamentali per l’acquisizione di obiettivi,

contenuti, modalità operative ed organizzative riguardo alla gestione delle complesse

tematiche dei rapporti tra cittadino e società e della questione dell’affermazione dei

limiti ai poteri dello Stato, come risposta agli abusi e alle drammatiche violenze degli

Stati assoluti.

La Costituzione americana non tardò a fondare la Carta sul principio della separazione

dei poteri e della sovranità del popolo. Il periodo rivoluzionario aprì la fase storica delle

grandi costituzioni europee fino alla fine del 1800. In questi decenni, grazie agli esempi

napoleonici, si affermò il modello costituzionale monarchico che faceva proprie le

conquiste di libertà, rinunciando al diritto divino e accettando solo in minima parte di

condividere con quella popolare l’origine aristocratica della volontà legislativa.

Un altro periodo che possiamo ricordare di questa lunga fase di maturazione del

modello riguarda la storia della caduta degli imperi durante la prima guerra mondiale e

la nascita di una serie di costituzioni repubblicane, che diedero il via al modello

parlamentare. Il periodo delle repubbliche parlamentari lasciò poi il posto alle dittature

e ai totalitarismi che in buona parte dell’Europa, dagli anni Venti agli anni Quaranta,

tennero in scacco le rivendicazioni libertarie dei popoli e condussero alla seconda guerra

mondiale, al termine della quale, un nuovo anelito di ricostruzione non solo fisica, ma

morale e civile diede forma alle moderne costituzioni vigenti.

Collocazione generale. Per introdurre la riflessione sul modello costituzionale ci

facciamo aiutare, come per i precedenti modelli, da alcune pagine antologiche che ci

permettono di collocare con precisione questo che presentiamo nel contesto civile della

nazione e nel panorama culturale e storico nel quale esso nacque.

Noi sappiamo che la Costituzione è la legge fondamentale dello Stato e come tale i suoi

articoli ci parlano di tre cardini civili da cui si origina una comunità umana articolata e

solidale: il primo riguarda i fondamenti ordinamentali, il secondo i diritti e i doveri

dei cittadini, il terzo l’organizzazione e il funzionamento degli organi statali.

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Ora questi tre aspetti caratterizzano la Costituzione in quanto sono emersi come

possibili soluzioni delle problematiche civili che l’Italia si trovò ad affrontare in

relazione alla fine della dittatura fascista, alla disarticolazione degli scenari legislativi

ereditati dalla cancellazione nei fatti, se non nelle forme, dei diritti dei cittadini e dal

senso di disorientamento percepito in seguito al cambiamento valoriale dovuto alle lotte

per la Resistenza, alla memoria delle Leggi razziali e al terribile contributo che l’Italia

aveva dato alla Shoah.

Per comprendere questo periodo si può ricorrere, certo, ai documenti storici, ma per

avere almeno un assaggio di ciò che l’Italia era diventata, nel passaggio dalla dittatura

alla Repubblica, dalla sudditanza alla democrazia, da un ventennio di sentimenti

contrastanti e bui alla ventata improvvisa della libertà, abbiamo bisogno del racconto,

della narrazione degli eventi, della memoria del dibattito politico che in quei decenni

attraversò la nostra storia. Tale racconto civile di un popolo possiamo supporlo

attraverso i romanzi che furono pubblicati, i racconti, le cronache, le autobiografie, i

film, le opere d’arte che gradualmente, come una lenta e incoercibile riflessione storica,

attraversarono generazioni di italiane e di italiani.

Per questo motivo è bene passare in rassegna almeno alcuni documenti, che, in qualche

maniera e per sintetici punti problematici, possono aiutarci a capire da quali radici la

nostra scuola è nata e si è sviluppata, sebbene tra poche luci e molte ombre e tra enormi

problemi politici non ancora sanati.

Abbiamo scelto un celebre discorso, pronunciato presso l’Università cattolica di Milano

del 1955 di Piero Calamandrei ai giovani studenti universitari e delle scuole superiori

sulla Costituzione, come avvio di una serie di seminari sul testo che, negli anni

cinquanta, rappresentava ancora una novità assoluta per il popolo italiano.

Nel discorso si sente la passione civile di un padre della Costituzione e viene chiarito il

concetto che le carte costituzionali additano il percorso democratico che un Paese deve

compiere per attualizzare la dichiarazione dei diritti e il loro riconoscimento giuridico,

per rendere operativo, con il contributo personale e dei gruppi sociali, il sistema

legislativo proclamato e garantito nella sua sostanza.

Seguono poi alcuni passi dalla Lettera ai Giudici di don Lorenzo Milani, che si

focalizza sul rapporto tra la legge e la comunità che la genera.

La lettera, scritta nell’ottobre del 1965, quando ormai don Lorenzo era già molto

malato, rispondeva ad un comunicato stampa con il quale i Cappellani Militari in

congedo della Toscana definivano l’obiezione di coscienza “espressione di viltà”. La

scuola di Barbiana si occupò di questo tema, analizzando, con lo stile che le era tipico,

accurato e documentato, gli ultimi cento anni della storia italiana e venendo alla

conclusione che coloro che avevano accettato il carcere a causa dell’ideale della

nonviolenza non potevano essere trattati come delinquenti. Dieci giorni dopo la

pubblicazione della risposta ai cappellani Don Lorenzo venne denunciato da sei ex –

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combattenti per incitamento alla diserzione e vilipendio alle Forze Armate. Così il

sacerdote dovette difendersi scrivendo la cosiddetta Lettera ai Giudici.

Il concetto principale della lettera afferma che se le leggi non sono giuste bisogna avere

il coraggio di cambiarle come un dovere personale di cittadino. I mutamenti storici e le

riflessioni morali possono gettare luce anche sulle ingiustizie che la stessa Legge può

perpetrare; per questo motivo può essere giusto proprio superare, in maniera condivisa,

la legge stessa.

Nella breve storia della nostra Repubblica più di una volta ciò è accaduto, per esempio

proprio con la Legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare. Quest’ultima fu

approvata nel luglio del 1998 con il numero 230. La legge 230/98 sancisce il pieno

riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza, dopo una serie di tentativi

giuridici, che allargavano le maglie della sua praticabilità, ma non ne riconoscevano

integralmente il valore. Infatti con questa legge l'obiezione di coscienza non è più un

beneficio concesso dallo Stato, ma diventa un diritto della persona.

Infine abbiamo scelto alcune pagine dal libro Lessico famigliare di Natalia Ginzuburg,

pubblicato nel 1963, perché ci mostrano la quotidianità di una famiglia borghese

durante il fascismo e la riflessione della scrittrice sul periodo di passaggio dalla caduta

del fascismo alla liberazione. I brani scelti descrivono l’entusiasmo degli Italiani nel

dover ricostruire un percorso di liberazione all’indomani della guerra, insieme alla

ricostruzione materiale di un paese allo sbando. Il concetto di un rapporto tra poesia e

politica è fra le più suggestive intuizioni, dell’autrice. Esso coglie la passione civile e

l’impegno alla partecipazione, coniugandolo con il desiderio di trovare le parole per

raccontare ciò che fu, ma anche per iniziare una nuova vita libera, finalmente rispettosa

dell’esigenze più profonde dell’esistenza umana.

Estratto del Discorso sulla Costituzione Di Piero Calamandrei. (…)

compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il

pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una

giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini

dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la

formula contenuta nell’art. primo - “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul

lavoro “- corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per

ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi

per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul

lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui

non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è

una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini

veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro

miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a

E’

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contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società. E allora

voi capite da questo che la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in

parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un

impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta

dinanzi! E‘ stato detto giustamente che le costituzioni sono anche delle polemiche, che

negli articoli delle costituzioni c’è sempre anche se dissimulata dalla formulazione

fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica, di solito è una polemica

contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto

fuori il nuovo regime. Se voi leggete la parte della costituzione che si riferisce ai

rapporti civili politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica

contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà,

che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano sistematicamente

disconosciute. Quindi, polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino contro

il passato. Ma c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il

presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice: “E’ compito della

Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il

pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto

e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un

giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare

attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione

ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è una costituzione immobile che

abbia fissato un punto fermo, è una costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non

voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende

qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione rinnovatrice,

progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che,

anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle

disuguaglianze economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di

accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un

regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al progresso della

società. Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è

in noi per trasformare questa situazione presente. Però, vedete, la costituzione non è

una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo

di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno

rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la

volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle

offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo

politico che è -non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di

giovani- una malattia dei giovani. “La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa

della politica”: quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella

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vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due

contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi

contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran

burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava: E allora questo contadino

impaurito domanda a un marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e questo dice: “Se

continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda”. Allora lui corre nella stiva

a svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il

bastimento fra mezz’ora affonda!”. Quello dice: “Che me ne importa, non è mica

mio!”. Questo è l’indifferentisno alla politica. E’ così bello, è così comodo: la libertà

c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo

so anch’io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre

che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come

l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel

senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e

che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a

sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le

condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi

ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita

politica. La costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto

di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale,

della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti

questo bastimento. E’ la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della

propria dignità di uomo. Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il

2 giugno 1946, questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili

e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori- il caos, la

guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo- io ero a Firenze, lo stesso è

capitato qui- queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta

perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto,

questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della

comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della

nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro

paese. Quindi, voi giovani alla costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra

gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la

coscienza civica, rendersi conto - questa è una delle gioie della vita - rendersi conto

che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto,

nei limiti dell’Italia e nel mondo. Ora vedete - io ho poco altro da dirvi -, in questa

costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro

tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le

nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi

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articoli ci si sentono delle voci lontane. Quando io leggo nell’art. 2, “l’adempimento

dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, o quando leggo,

nell’art. 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri

popoli”, la patria italiana in mezzo alle alte patrie, dico: ma questo è Mazzini; o

quando io leggo, nell’art. 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere

davanti alla legge”, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’art. 5, “la Repubblica

una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o

quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate, “l’ordinamento delle

forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” esercito di popolo,

ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, “non è ammessa la pena di morte”,

ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani.

Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare

a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi

dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti

di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le

strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la

giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa

è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di

centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra

costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove

furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano

per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata

la nostra costituzione.1

Dalla “Lettera ai giudici”2 Don Lorenzo Milani.

Signori Giudici,

vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà infatti facile

ch’io possa venire a Roma perché sono da tempo malato. Allego un certificato medico e

vi prego di procedere in mia assenza.

La malattia è l’unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai tempi

di Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato. E questa

è proprio l’accusa che mi si fa in questo processo. Ma esso non è fondata per moltissimi

miei confratelli e in nessun modo per me. Vi spiegherò anzi quanto mi stia a cuore

imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini.

(…)

1 Discorso sulla Costituzione agli studenti di Milano del 26 gennaio 1955.

2 Lorenzo Milani, Lettera ai giudici, Barbiana 18 ottobre 1965 p. 26 in L’Obbedienza non è più

una virtù, a cura di Carlo Galeotti – Roma, Stampa alternativa, 1994 edizione elettronica

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Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella mia duplice veste di maestro e di sacerdote

e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che ingiuria un carcerato

ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo

bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano

anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita.

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di

parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo

che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.

Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande "I care". È il motto intraducibile

dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta a cuore" il contrario esatto del

motto fascista "Me ne frego". Quando quel comunicato era arrivato a noi era già

vecchio di una settimana. Si seppe che né le autorità civili, né quelle religiose avevano

reagito.

Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce

ricreazione né vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare. Ha perciò

il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l’unica ricreazione che concedo

ai miei ragazzi. Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (utili testi di scuola

media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in

cerca d’una "guerra giusta". D’una guerra cioè che fosse in regola con l’articolo 11

della Costituzione. Non è colpa nostra se non l’abbiamo trovata.

Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri: ci sono arrivate decine di lettere

anonime di ingiurie e di minacce firmate solo con la svastica o col fascio. Siamo stati

feriti da alcuni giornalisti con "interviste" piene di falsità. Da altri con incredibili

illazioni tratte da quelle "interviste" senza curarsi di controllarne la serietà. Siamo stati

poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero 14-4 1965). La nostra

lettera è stata incriminata. Ci è stato però di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi

quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale.

Così diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che

vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode che leggono i giornali sportivi,

che si disinteressano di politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore di

religione all’Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il

comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere

appassionato di caccia e di judo. Che ha l’automobile. Non toccava a lui chiamare "vili

e estranei al comandamento cristiano dell’amore" quei 31 giovani. I miei figlioli voglio

che somiglino più a loro che a lui. E ciò nonostante non voglio che vengano su

anarchici.

questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E siamo

giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di

apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è

A

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scuola buona. La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo

ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli

presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato

formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione),

dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia

dalla vostra funzione). La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover

giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste. Son vivi in Italia dei magistrati che

in passato han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a

questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire,

insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perché, in un certo senso, la

scuola è fuori del vostro ordinamento giuridico. Il ragazzo non è ancora penalmente

imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli

domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo

di lui, dall'altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. E

allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i "segni dei tempi",

indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che

noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del

vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al progresso

legislativo. In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei

ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi

dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste

(cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste

(cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano

cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca

anche la leva dello sciopero.

Natalia Ginzburg, Lessico famigliare

ario tornò in Italia nel 45. Era forse commosso e malinconico, ma non lo

lasciava vedere; espose a mia madre che lo abbracciava la mascella

ironica, la fronte abbronzata e solcata di ironiche rughe. Era ormai tutto

calvo, col cranio nudo e lucido e come di bronzo, e vestiva una casacca linda e lisa di

una seta grigia che sembrava fodera, come si vedono nei film indosso a certi negozianti

cinesi. Faceva ora un viso corrugato e serio quando approvava persone e cose che gli

sembravano serie, o quando mostrava d’apprezzare nuovi romanzieri o nuovi poeti.

Diceva di un romanzo: “E’ buono! Non c’è male, è abbastanza buono!”. Parlava

sempre come se traducesse dal francese. Aveva abbandonato Erodoto, i classici greci o

almeno non ne parlava più. I romanzi nuovi che apprezzava erano, in genere, romanzi

francesi sulla resistenza. Ma sembrava diventato più cauto, nei suoi apprezzamenti: o

almeno era più cauto nelle sue simpatie, non come una volta soggetto ad infatuazioni

M

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improvvise. Non era però diventato più cauto nel deprecare e nel condannare e

mostrava nell’odio l’antica, incontrollata violenza. Non gli piaceva l’Italia. Quasi tutto

in Italia gli sembrava ridicolo, fatuo, mal congegnato e mal costruito. “La scuola in

Italia fa pena! In Francia è migliore! In Francia non è perfetta, ma è però migliore. Si

sa qui c’è troppi preti. E’ tutto in mano ai preti! “Quanti preti!” diceva ogni volta che

usciva, “Quanti preti avete in Italia. Noi in Francia possiamo fare chilometri senza

incontrare un prete!” (…)

Mia madre si stancò di sentirlo ripetere che in Francia maestre così non esistevano

(avevano cacciato un bambino ebreo n.d.r.) e non si potevano nemmeno pensare. Era

stufa di sentirgli dire: “Da noi in Francia” e stufa anche di sentirlo parlare contro i

preti. “Sempre meglio un governo di preti che il fascismo” diceva mia madre. “E’ lo

stesso, non capisci che è lo stesso. La stessa cosa!”.

(…)

Il mondo appariva dopo la guerra enorme, inconoscibile e senza confini. Mia madre

tuttavia riprese ad abitarlo come poteva. Riprese ad abitarlo con lietezza, perché il suo

temperamento era lieto. Il suo animo non sapeva invecchiare e non conobbe mai la

vecchiaia, che è starsene ripiegati in disparte piangendo lo sfacelo del passato senza

lagrime e non ne portò il lutto. Non amava del resto vestirsi in lutto. Quando era morta

sua madre, lei stava allora a Palermo, e se ne venne a Firenze, dove sua madre era

morta all’improvviso e da sola. Ebbe un grande dolore nel vederla morta. Poi uscì per

comprarsi un vestito da lutto. Ma invece di comprare un vestito nero, come s’era

proposto, si comprò un vestito rosso e tornò a Palermo con quel vestito rosso nella

valigia.

Giovani poeti scrivevano e portavano in lettura alla casa editrice, versi di questa

specie. (…) Era il dopoguerra, un tempo in cui tutti pensavano di essere dei poeti e tutti

pensavano di essere dei politici; tutti s’immaginavano che si potesse e si dovesse anzi

far poesia di tutto, dopo tanti anni in cui era sembrato che il mondo fosse ammutolito e

pietrificato e la realtà era stata guardata come di là da un vetro, in una vitrea

cristallina e muta immobilità. Romanzieri e poeti avevano, negli anni del fascismo,

digiunato, non essendovi intorno molte parole che fosse consentito usare; e i pochi che

ancora avevano usato parole le avevano scelte con ogni cura nel magro patrimonio di

briciole che ancora restava. Nel tempo del fascismo, i poeti s’erano trovati ad

esprimere solo il mondo arido, chiuso e sibillino dei sogni. Ora c’erano di nuovo molte

parole in circolazione e la realtà di nuovo pareva a portata di mano; perciò quegli

antichi digiunatori si diedero a vendemmiarvi con delizia. E la vendemmia fu generale,

perché tutti ebbero l’idea di prendervi parte; e si determinò una confusione di

linguaggio fra poesia e politica, le quali erano apparse mescolate insieme.3

3Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Einaudi Torino 1963, p.100 e segg.

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Il fondamento della partecipazione democratica. Il modello costituzionale disegna

una mappa della vocazione democratica di un paese, sottolineando la necessità

dell’educazione alla partecipazione democratica e sviluppando la tesi che gli

apprendimenti per essere tali devono poter promuovere l’accesso ai meccanismi di

partecipazione e di coinvolgimento civile. Lo Stato in qualsiasi sua forma, sia privata

sia pubblica ha il compito di accompagnare i soggetti in un percorso di formazione alla

cittadinanza e al servizio pubblico, perché solo in questo modo si promuove lo sviluppo

fisico, psichico e intellettuale delle giovani generazioni. Per questo motivo il modello

che sarà analizzato si fonda sull’affermazione dell’importanza di uno stretto rapporto

tra fattori scolastici e fattori sociali della comunità, in quanto l’educazione e

l’istruzione non sono fini a se stesse, ma hanno lo scopo di predisporre e favorire

l’inserimento e la partecipazione della persona nella comunità. A tale panorama si

ispirano anche le normative che indicano i gradi e l’intensità del funzionamento degli

organi collegiali, come strumento di interazione4. Il processo educativo nella scuola si

costruisce nella predisposizione delle condizioni che diano concretezza alla

comunicazione interna tra docenti, studenti ed operatori scolastici e alla comunicazione

esterna tra gli elementi dell’intera comunità che intorno alla scuola vive, lavora e

s’impegna. In questo senso la partecipazione al progetto scolastico da parte dei genitori

è un contributo fondamentale. Gli Organi Collegiali della scuola prevedono sempre la

rappresentanza dei genitori, sono tra gli strumenti che possono garantire sia il libero

confronto tra tutte le componenti scolastiche sia il raccordo tra scuola e territorio in un

contatto significativo con le dinamiche sociali.

Il clima storico. Per capire il clima degli anni che precedettero e seguirono la stesura

della Costituzione è fruttuoso andare con la memoria, attraverso i saggi, i romanzi, le

cronache, alla passione didattica di tanti insegnanti, osservatori e intellettuali come Pier

Paolo Pasolini, che nell’immediato dopoguerra, al motto di “educazione e democrazia”,

condividevano l’impegno, la costanza e la tenacia professionale per offrire ad un’Italia,

finalmente libera, la testimonianza di una scuola laica e democratica. “E tale

partecipazione era così forte che si soprassedeva perfino a stipendi da fame, ad

impieghi trovati lontano da casa e a condizioni di lavoro pessime.5”

Così come più tardi Piero Calamandrei il 2 giugno 1956, in una celebre pagina, nata

come prefazione ad un libro di Giovanni Ferretti su Scuola e Costituzione, afferma con

4 Art. 3 comma 1 D. Lgs 1994/297: Al fine di realizzare (…) la partecipazione alla gestione della scuola dando ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica, sono istituiti, a livello di circolo, di istituto, distrettuale, provinciale e nazionale, gli organi collegiali (…).

5 P.P. Pasolini, Lettere. 1940 -1954, Torino Einaudi,1986 p. CI

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forza e rigore giuridico l’idea che la scuola è un organo costituzionale da abbinare a

quelli che tradizionalmente vengono identificati come istituzioni (Governo, Parlamento

ecc.)6.

Il panorama storico post bellico di un’Italia povera e umiliata spiegava l’entusiasmo per

un nuovo progetto culturale, la forte carica morale di un cambiamento dei rapporti

civili, ma richiedeva, nello stesso momento, forza e lungimiranza per includere la

Nazione nel concerto dei Paesi europei democratici e articolare interventi sistematici di

ordine economico – finanziario, sociale e culturale.

All’indomani della seconda guerra mondiale l’Italia si trovò, infatti, a vivere una

condizione drammatica di bisogni primari non soddisfatti, di insufficienze dei sistemi

amministrativi, di carenze culturali gravi, di non risolte arretratezze sociali.

L’esigenza di mettere mano ad una rivisitazione dell’impostazione scolastica era molto

sentita, ma il peso dell’oscurantismo fascista rendeva l’operazione faticosa e lenta. Lo

storico della letteratura e antifascista Carlo Dionisotti così scriveva: “Un’Italia nuova

necessariamente avrà una scuola nuova. Ma è inutile farsi illusioni: sarà per molti anni

ancora un’Italia gravata dall’eredità fallimentare del fascismo e della guerra e la

scuola dovrà essere proporzionata a queste condizioni. Vivrà d’uno spirito nuovo in un

corpo contratto e consunto dal male. L’importante è che le si rifacciano pian piano

muscoli adatti non alla vita e alla storia di trent’anni fa, ma alla vita del presente e del

prossimo futuro. In questo senso dovranno essere tutti riveduti i programmi

d’insegnamento, non per mondarli soltanto delle scorie lasciate dal fascismo, che è una

troppo facile bisogna, ma per adattarli a esigenze nuove e soprattutto alle pratiche

possibilità dello svolgimento”7

6 Piero Calamandrei, in Prefazione, da G. Ferretti, Scuola e democrazia, Torino 1956 “La scuola resta in secondo piano nell’ordinamento amministrativo, non sale ai vertici dell’ordinamento costituzionale. E tuttavia non c’è dubbio che in una democrazia, se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che a lungo andare la scuola è più importante del parlamento, della magistratura e della corte costituzionale. Il parlamento consacra in formule legali i diritti del cittadino, la magistratura e la corte costituzionale difendono e garantiscono questi diritti, ma la coscienza dei cittadini è creata dalla scuola; dalla scuola dipende come sarà domani il parlamento, come funzionerà la magistratura, cioè come sarà la coscienza e la competenza di quegli uomini che saranno domani i legislatori, i governanti e i giudici del nostro paese. La classe politica che domani detterà le leggi ed amministrerà la giustizia, esce dalla scuola; tale sarà quale la scuola sarà riuscita a formarla. Che la classe dirigente sia veramente formata, come è ideale democratico, dai migliori di tutte le classi, in modo che da tutti gli strati sociali, anche dai più umili, i giovani più idonei e più meritevoli possano salire ai posti di responsabilità, dipende dalla scuola, che è il vaglio dei cittadini di domani. A voler immaginare l’organismo costituzionale come un organismo vivo, si direbbe che il sistema scolastico equivalga al sistema emato-poietico: il sangue vitale che rigenera ogni giorno la democrazia parte dalla scuola, seminarium rei publicae.” 7 Carlo Dionisotti, Per una scuola nuova, Scritti sul fascismo e sulla Resistenza, Einaudi, Torino 2008,

p.12.

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Ci furono vari tentativi di defascistizzare la scuola che presero corpo già nel 1943 e, più

tardi la stessa Commissione Alleata che gestiva l’amministrazione dell’Italia del sud,

organizzò una sottocommissione per riformare i programmi della scuola elementare.

Tale organismo cercò di cancellare le disposizioni e i testi che inneggiavano all’Italia

fascista di cui era piena la pratica didattica ordinaria e i documenti pedagogici che ne

giustificavano l’opera. Si rendeva necessario emendare i testi antologici, le impostazioni

storiche dei manuali, la Geografia e, in generale, i panorami culturali nei quali veniva

collocata la legislazione scolastica.

Guido De Ruggiero, storico della filosofia tra i più importanti di quegli anni, amico di

Croce e di Gentile, sebbene poi con quest’ultimo ruppe clamorosamente, ministro della

P.I. nel primo Governo Bonomi (18 giugno – 12 dicembre 1944), si poneva, nonostante

l’analogo contesto culturale, il problema dei manuali di Storia e della traduzione storica

dei fatti immediatamente prima degli anni costituzionali. Egli scrivendo su “La Nuova

Europa”, rivista di studi storici, politici e culturali, pubblicata dal 1944 al 1946 che fu

assai importante come punto di riferimento del rinnovamento della comunità civile

italiana agli albori dell’Italia repubblicana, affermava: “Scrivere nuovi testi di storia, o,

più in generale, dare un nuovo orientamento all’insegnamento della storia, non è

impresa facile; sarei anzi per dire che è la più difficile che oggi si presenti ai nostri

professori e ai nostri uomini di cultura. L’espediente più dannoso sarebbe quello di

sostituire al posto dell’ultimo capitolo della storia contemporanea un altro capitolo

egualmente, se anche oppostamente, addomesticato. Si otterrebbe così il risultato di

una grottesca sovrapposizione di una nuova testa ad un vecchio corpo non fatto per

essa. (…) I nostri ragazzi hanno finora ricevuto una cultura storica di stile fascistico;

di più, essi hanno duramente vissuto le esperienze degli ultimi anni, che lasceranno

tracce durevoli nei loro animi. Ora, il silenzio su questi eventi lascerebbe intatte le

nozioni adulterate che bisognerebbe invece rimuovere, e darebbe poi agio di

completarle, per la parte ancora non scritta nel modo più arbitrario e imprevedibile. 8

In questo contesto sembrò che la scuola gentiliana fosse uno dei pochi dispositivi

legislativi che ancora riuscivano a salvaguardare il patrimonio di esperienze e di cultura

formatosi dopo l’Unità. Tuttavia la gerarchizzazione scolastica, l’accentramento

caratteristico del documento istituzionale, la forte prevalenza dell’elemento classista, la

scarsa considerazione della dimensione culturale del lavoro operaio e manuale

impedivano una reale integrazione del modello fascista in un ambito democratico. Fu

questo nodo che non si riuscì a sciogliere durante i primi anni della Repubblica,

nonostante la spinta ideale e i larghi orizzonti culturali e politici in cui fu inquadrata la

questione della scuola.

8 Guido De Ruggiero, Come scrivere la storia per le scuole, in “La Nuova Europa”, 22 aprile 1945, n.16,

p.9

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Bisogna anche dire tuttavia, all’interno di questo panorama, che abbiamo assistito in

questi ultimi decenni ad un numero spropositato di disposizioni normative della

legislazione ordinaria e costituzionale, di carte dei diritti, di leggi, di decreti legislativi,

di decreti legge, di ordinanze, di regolamenti che regolano il mondo della scuola,

offrendo ai cittadini e ai Paesi europei partners, un’immagine di asistematicità e di

confusione legislativa poco edificante. Tra l’altro si sono andati sempre più divaricando

i concetti di educazione e di istruzione, capisaldi della visione costituzionale, a tal punto

che oggi sembra essersi smarrita l’idea che un sistema - scuola di un Paese democratico

abbia il dovere di trasmettere e diffondere un nucleo di valori sociali comuni, in cui le

persone e la comunità possano riconoscersi.

I principi fondamentali della Costituzione a cui si ispira la scuola. La Carta

costituzionale presenta pochi ma fondamentali articoli direttamente legati alla scuola.

Tale caratteristica non deve lasciare spiazzati, in quanto fu volontà dei padri

costituzionali informare tutt’intera la Carta ai principi educativi e ad un contesto

culturale nel quale la maturazione pedagogica, il valore dell’istruzione potessero essere

tra i punti più importanti di riferimento dell’intero impianto costituzionale. Già abbiamo

detto di come Piero Calamandrei concepisse la scuola come organo costituzionale

insieme agli altri descritti nella seconda parte della Costituzione (Ordinamento dello

Stato), mediante i quali si esprime la volontà popolare, ma anche se gettiamo uno

sguardo immediato agli stessi articoli, addirittura ai principi fondamentali della Carta, si

evince che la Costituzione affida alla scuola compiti di primaria importanza, come

quello di rimuovere gli ostacoli alla realizzazione dei diritti, di garantire ai futuri

cittadini l’uguaglianza delle opportunità, di trasmettere mediante l’apprendimento la

consapevolezza di essere cittadini. Solo la scuola può ottemperare a questi compito e

rendere concreto il disegno di un percorso evolutivo della persona dalla prime

esperienze di cittadinanza alla formazione integrale dell’intelletto e dello spirito del

cittadino nello Stato. L’ispirazione democratica fonda la stessa convivenza umana per la

Costituzione e tale principio trova concretezza soprattutto nelle condizioni che rendono

possibili l’educazione e l’istruzione.

Gli articoli della Costituzione disegnano dunque i principi fondamentali ai quali si ispira

la Scuola, in particolare alla libertà e all’eguaglianza.9

9 Gli articoli che vincolano esplicitamente il legislatore ad emanare Leggi rispettose del diritto

allo studio sono i seguenti:

Articolo 3 Costituzione - Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla

Legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di

condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine

economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono

il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori

all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

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In relazione alla libertà ciò vuol dire che lo Stato italiano riconosce a se stesso il

diritto-dovere di creare le condizioni per svolgere il compito dell’educazione, ma nello

stesso tempo lo riconosce anche ai privati; allo stesso modo viene sancito il diritto

all’istruzione religiosa e confessionale. I diritti civili legati alla realizzazione universale

delle libertà sociali rappresentano per i padri costituzionali punti di riferimento

incoercibili e non passibili di limitazioni. Qui i diritti alle libertà sono illuminati dal

concetto che non si accetta nessun’arbitrarietà nella limitazione, se non mediante un

intervento dell’autorità giudiziaria. Possiamo dire che la Costituzione riconosce anche le

libertà che non sono direttamente collegabili alla cittadinanza e che sono fondamentali,

universali, attinenti a “tutti” stranieri e apolidi, come la manifestazione del pensiero, la

professione della religione, l’azione in giudizio per la tutela dei diritti. Per la sfera di

questi diritti la scuola e gli articoli sull’istruzione diventano ancora più importanti e

necessari in quanto i processi di maturazione culturale attraverso l’educazione offrono

la consapevolezza della pervasività di questi diritti.

Le libertà definite dalla Carta costituzionale dovevano essere diverse da quelle proprie

dello Stato liberale prima del Fascismo sia dal punto di vista delle garanzie sia da quello

dei contenuti; tale prospettiva condusse ad un ripensamento del principio liberale che fu

definito in un contesto di reciprocità con il principio di eguaglianza, così come si

addiceva ad uno Stato moderno. Sebbene mancassero ancora, in quegli anni, le

condizioni per creare un insieme di valori e di traguardi comuni, a causa delle differenze

e delle diversità di sviluppo economico e sociale delle varie regioni italiane, si cercò di

allargare le garanzie a livello istituzionale e nello stesso tempo di individuare con

precisione le riduzioni, nell’ordinaria vita del Paese, dei contenuti delle libertà in

relazione ai problemi di sicurezza e di ordine pubblico. Le stesse libertà relative al

mondo dell’istruzione furono modulate sul rapporto tra la libertà professionale

dell’insegnante e il diritto ad un’istruzione rispettosa del percorso democratico e civile

della nazione. A questo ci si riferisce quando si parla del rapporto tra il modello

costituzionale e la costituzione materiale, che vide nei primi anni della Repubblica un

dibattito vivacissimo in grado di ricomporre completamente il tema dei limiti alla libertà

della legislazione fascista. Bisognerà aspettare gli anni Sessanta del Novecento per fare

emergere con nettezza alcuni importanti esiti di questo dibattito, in particolare

Articolo 9 Costituzione - La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca

scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della nazione.

Articolo 30 Costituzione - È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli,

anche se nati fuori del matrimonio. Nel caso di incapacità dei genitori, la legge provvede a che

siano assolti i loro compiti.

Articolo 38 Costituzione - Gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e

all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed

istituti predisposti o integrati dallo Stato.

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nell’ambito dell’obbligo scolastico, ma anche nell’ambito dell’uguaglianza fra i sessi e

della manifestazione del pensiero.

In definitiva lo sviluppo delle risorse implicite nella Costituzione si è andato

esplicitando, lungo i decenni, attraverso l’organizzazione di un sistema di garanzie che

puntava sulle autonomie sia del singolo nei suoi rapporti sociali sia delle istituzioni, in

maniera da valorizzare i diritti di libertà riferibili alla persona come stella polare

dell’impianto costituzionale.

La libertà come diritto personale finì con l’aprirsi ai nuovi diritti della costituzione

cosiddetta materiale, non chiaramente definiti nella Carta, ma emersi nella loro

chiarezza decenni dopo. Si pensa qui ai diritti all’informazione, al campo dei diritti

relativi alla salvaguardia dell’ambiente, ai consumi, ai diritti familiari e a quelli dei

processi lavorativi. In questo vasto contesto anche la scuola con la sua vita regolata dai

rapporti comunitari si ritrovò a ripensare i diritti di libertà in relazione all’autonomia

culturale, progettuale e finanziaria, alla partecipazione degli studenti e dei genitori, alle

modalità gestionali dei nuovi Organi Collegiali.

In relazione all’eguaglianza ciò vuol dire che lo Stato ha il dovere di promuovere

l’accesso all’istruzione, di facilitare con ogni mezzo legale i percorsi evolutivi e i

processi democratici. Come spesso soleva dire don Milani, la peggiore delle ingiustizie

sarebbe quella di “far parti uguali fra diseguali”, perciò la Costituzione evidenzia il

dovere statale di aiutare i meritevoli, che non avessero i mezzi per proseguire gli studi.

Teresa Mattei, la più giovane tra gli eletti all’Assemblea costituente, in un discorso

all’Assemblea Costituente, durante il dibattito in aula, disse rispetto a questo principio:

“Vorrei solo sottolineare in questa Assemblea qualcosa di nuovo che sta accadendo nel

nostro Paese. Non a caso, fra le più solenni dichiarazioni che rientrano nei 7 articoli di

queste disposizioni generali (…) trova posto, la non meno solenne e necessaria

affermazione della completa eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza

distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e

politiche. Questo basterebbe, onorevoli colleghi, a dare un preminente carattere

antifascista a tutta la nostra Costituzione, perché proprio in queste fondamentali cose il

fascismo ha tradito l'Italia, togliendo all'Italia il suo carattere di Paese del lavoro e dei

lavoratori, togliendo ai lavoratori le loro libertà, conducendo una politica di guerra,

una politica di odio verso gli altri Paesi, facendo una politica che sopprimeva ogni

possibilità della persona umana di veder rispettate le proprie libertà, la propria

dignità, facendo in modo di togliere la possibilità alle categorie più oppresse, più

diseredate del nostro Paese, di affacciarsi alla vita sociale, alla vita nazionale, e

togliendo quindi anche alle donne italiane la possibilità di contribuire fattivamente alla

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costituzione di una società migliore, di una società che si avanzasse sulla strada del

progresso, sulla strada della giustizia sociale.” 10

Nell’ambito di questo principio la proclamazione di un’istruzione aperta a tutti trova

una specifica significatività nel contesto del diritto allo studio perché è dovere dello

Stato di garantire il diritto civico dei cittadini ad accedere liberamente al sistema

scolastico11. Tali diritti sono accorpati nella denominazione di diritti sociali perché è in

base ad essi che lo Stato interviene per promuovere il soddisfacimento e la tutela delle

esigenze proclamate; infatti l’art. 3 comma 2 della Costituzione afferma proprio il

concetto che le garanzie per fruire dei diritti devono essere estese a tutti e non solo a

parti della società12.

I diritti allo studio e all’istruzione, tra l’altro, trovano un particolare spazio anche

all’interno di altri articoli che sono sanciti chiaramente e secondo una ben distinta

accezione. Infatti nell’art.34 mentre si dà fondamento nel secondo comma, al diritto

all’istruzione, intendendosi con esso l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto

anni, si enuncia, nel comma successivo, il diritto allo studio, identificato nel diritto di

raggiungere i gradi più alti degli studi. L’esigenza di una scuola, come comunità aperta

e solidale dimostra la volontà dei padri costituenti di rompere i privilegi di classe e

riconoscere un pensiero universale di giustizia, relativo alla non discriminazione.

L’affermazione della gratuità e della obbligatorietà è conseguenza proprio di questo

pensiero perché è chiaro che l’imposizione di un obbligo deve essere legato alla

garanzia di non onerosità dell’attività di apprendimento. Le due situazioni giuridiche

fanno capo ad un unico soggetto: l'alunno, che può soddisfare il diritto attraverso la

gratuità ed adempiere all'obbligo mediante la frequenza a scuola.

In sintesi l’opera di promozione della dignità personale del soggetto educando si svolge

attraverso la tutela della garanzia della libertà d’insegnamento, della libertà di ricevere

l’istruzione, dell’obbligatorietà e della gratuità dell’istruzione; del riconoscimento del

diritto allo studio di tutti, anche di coloro che sono privi di mezzi; dell’ammissione ai

vari gradi dell’istruzione scolastica; della libertà ad istituire scuole da parte di enti o

privati e, infine, della parificazione delle scuole private a quelle statali in relazione agli

effetti legali e al riconoscimento professionale del titolo di studio.

10 Mattei Teresa, Assemblea Costituente, 18 marzo 1947, Atti

11 Art. 34 comma 1 Costituzione: La scuola è aperta a tutti.

12 Art. 3 comma 2 Costituzione: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine

economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono

il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori

all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

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Un altro aspetto del modello costituzionale riguarda il concetto stesso di Stato che viene

inteso in maniera allargata, soprattutto dopo la modificazione del Titolo V della

Costituzione, infatti i compiti istituzionali possono essere incarnati anche da altre

soggettività (Regioni, Province, Comuni, Comunità montane). Il termine "Repubblica"

viene infatti adoperato nell’art. 9 Cost. nella sua accezione più vasta; infatti il corpo

dello Stato inteso come ordinamento dei suoi organi, in tutte le sue possibili

articolazioni, sovviene alle necessità dell’educazione dei cittadini.

La Costituzione si occupa anche dell’insegnamento dell’arte e della scienza, ponendo

con il primo comma dell’art. 3313 la questione della distinzione tra arte e scienza. Il

motivo per cui sono accomunate in un unico periodo consiste nell’aver inteso gli oggetti

di indagine educativa nella loro duplice funzione estetica e scientifica, dando ai due

aggettivi un campo semantico metodologico e di fruizione. Così il comma pone anche la

questione a lungo dibattuta della distinzione tra libertà d’insegnamento e libertà

nell’insegnamento, intendendo con la prima (libertà d’insegnamento) 14 l’attività

docente dal punto di vista dell’organizzazione didattica e con la seconda (libertà

nell’insegnamento) l’attività docente dal punto di vista delle scelte contenutistiche e

metodologiche nel senso della garanzia di manifestazione del proprio pensiero

riguardante l’arte e la scienza.

Resta chiaro che lo spazio di garanzia di una simile affermazione non riguarda le

convinzioni personali, ma solo il modo dell’esposizione di argomenti e contenuti che

deve essere svolto secondo i criteri del metodo scientifico. Altri limiti alla libertà

d’insegnamento riguardano il dovuto rispetto delle norme costituzionali e

dell’ordinamento scolastico vigente e il rispetto della coscienza morale e civile degli

alunni15. In questa maniera la libertà d’insegnamento attiene alla garanzia del diritto

all’apprendimento del soggetto educando.

13 Art. 33 L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento

14 Art. 1 del D. Lgs. 1994/297 Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di

istruzione valido per le scuole di ogni ordine e grado: "… la libertà d’insegnamento è intesa

come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente (…) ed è diretta a

promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della

personalità degli alunni"

15 Art. 1, comma 2 del D. Lgs 1994/297 L'esercizio di tale libertà è diretto a promuovere,

attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità

degli alunni. Art. 2, comma 1 L'azione di promozione di cui all'articolo 1 è attuata nel rispetto

della coscienza morale e civile degli alunni.

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Gli articoli da vicino. I Padri costituzionali scelsero di occuparsi della scuola inserendo

la questione nel contesto delle problematiche attinenti alla ricostruzione del tessuto

sociale, economico – finanziario, culturale e pedagogico della nazione. Il dovere di

tracciare un percorso logico che dia l’idea di un processo anche cronologico di

formazione della persona è leggibile nella Carta se si pone attenzione alla disposizione

degli articoli: infatti mentre quelli che vanno dal 29 al 31 si occupano della educazione

inziale del cittadino all’interno della famiglia, riconoscendo a quest’ultima i diritti di

“mantenere, istruire ed educare i figli”, i due articoli abbinati 33 e 34 sono attenti al

contesto formativo nelle istituzioni e tesi all’inserimento del cittadino nel mondo del

lavoro, con la loro attenzione alle norme generali dell’istruzione e al riconoscimento

dell’obbligatorietà e della gratuità dei percorsi. Anche nell’articolo 117, così com’è

stato modificato dalla riforma costituzionale del 2001, si definiscono come legislazione

esclusiva dello Stato le norme generali sull’istruzione. Molte altre disposizioni

costituzionali però presentano aspetti fondamentali ai fini di una visione positiva della

scuola nel sistema – paese: si fa riferimento qui alle disposizioni contenute negli articoli

1, 2, 3 e quelle contenute negli articoli 4, 7, 8, 9, 17, 18, 19, 21, 38.

Se fissiamo l’attenzione su alcuni articoli più espliciti ci rendiamo conto che essi si

riferiscono alla scuola individuando alcuni elementi di garanzia giuridica riguardanti la

libertà di insegnamento (art. 33, comma 1 Cost.); la presenza di scuole statali per tutti i

tipi, ordini e gradi di istruzione (art. 33, comma 2 Cost.). A proposito dell’art. 33 nel

corso dei lavori dell’Assemblea costituzionale prevalse l’interpretazione giuridica che

concepiva la scuola come istituzione educativa e non solo istruttiva; aspetto questo che

è stato più tardi, nel 1994, confermato dal c.d. Testo Unico (D.L. 297/1994) che al Capo

I, del titolo I, della parte III recita la “funzione docente è intesa come esplicazione

essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di

essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione

umana e critica della loro personalità”.

Altri articoli si riferiscono alla scuola chiarendo il libero accesso all’istruzione

scolastica, senza alcuna discriminazione, come l’articolo 34. Quest’ultimo nel proporre

il diritto allo studio esprime la funzione istruttiva nel senso di garantire la promozione e

lo sviluppo della personalità, più che quella di trasmettere cultura, ritenuta questa

operazione puramente meccanica e passiva.

In particolare il comma 1 sgombra il campo da possibili equivoci interpretativi,

chiarendo che si mettono al bando tutte le tentazioni di fare dell’istruzione un privilegio

per pochi per renderla diritto universale. L’articolo dunque sancisce il principio della

non discriminazione ed il divieto di configurare l'istruzione come appannaggio di

categorie determinate di persone. Il comma 2 poi dello stesso articolo lega

l’imposizione dell’obbligo con quello della gratuità; infatti non si può adempiere al

dovere dell’obbligo se non si garantisce la non onerosità dell’attività necessaria a

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concretizzare quel compito. Definito in questa maniera il diritto diviene veramente

concreto e non generico e si esprime con la frequenza scolastica e l’inclusione

dell’alunno nella ordinaria vita quotidiana della scuola.

Il riconoscimento del diritto allo studio anche a coloro che sono privi di mezzi, purché

capaci e meritevoli mediante borse di studio, assegni ed altre provvidenze da attribuirsi

per concorso (art. 34, comma 3 Cost.) completa il quadro che stiamo illustrando in

quanto l’eguaglianza sostanziale fra cittadini abbienti e non abbienti, così come definita

dal comma secondo dell’articolo 3 dei Principi Fondamentali, trova piena attuazione. Il

nesso diretto tra principio di uguaglianza e diritto allo studio qui è molto chiaro in

quanto il primo non può trovare attuazione se non si tutela il secondo.

In questo stesso contesto concettuale si situano poi i commi dell’articolo precedente, il

33, che trattano dell’ammissione, per esami, ai vari gradi dell’istruzione scolastica e

dell’abilitazione professionale (art. 33, comma 5 Cost.); della libera istituzione di scuole

da parte di enti o privati (art. 33, comma 3 Cost.); la parificazione delle scuole private a

quelle statali, quanto agli effetti legali e al riconoscimento professionale del titolo di

studio (art. 33, comma 4).

Anche le Regioni, le Province, i Comuni hanno alcune prerogative nel salvaguardare il

diritto allo studio. In pratica la nazione, come Repubblica, persegue l’istruzione in

quanto ordinata, nella sua globalità e nelle sue diverse articolazioni, alla tutela

all’istruzione e all’educazione.

L’istruzione non statale. Il tema della libertà d’insegnamento tocca in maniera non

secondaria anche la questione dell’istruzione impartita da organi non statali. Se

accettiamo il concetto che libertà d’insegnamento vuol dire libertà della scuola di poter

organizzare il suo sistema di apprendimento e che quindi l’istruzione non è riservata

solo allo Stato, in quanto esso predispone solo i mezzi d’istruzione e indica le norme

generali, ma anche ad enti e privati, allora vuol dire che lo Stato riconosce la bontà di

azioni educative come diritto, sebbene senza oneri per lo Stato16, e legittima le iniziative

educative non statali senza la pretesa di un monopolio statale, anzi approvando altre

forme di sistemi educativi, in linea con il dettato costituzionale della libertà di

manifestazione del pensiero e di libera iniziativa. La diatriba riguardante l’ambito

dell’intervento statale ha permesso una lunga e approfondita discussione sulla

legittimità dell’azione statale di finanziamento alle scuole private. Il dettato

costituzionale è chiaro da questo punto di vista, tuttavia bisogna anche considerare che

un contributo finanziario dia garanzia al pluralismo culturale ed educativo, pur nella

16 Articolo 33, comma 3 Costituzione " (…) enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed

istituti di educazione senza oneri per lo Stato".

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legittima azione di sovrintendenza statale circa i criteri secondo cui parificare ed

equiparare gli studi compiuti in istituzioni private17.

17 Art. 33, comma 4 Costituzione “ La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non

statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un

trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”.