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POLITICA ECONOMICA Facoltà di Scienze Economiche e Giuridiche Corso di Economia aziendale Prof. MICHELE SABATINO TEORIE, SCUOLE ED EVIDENZE EMPIRICHE (parte quinta)

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POLITICA ECONOMICAFacoltà di Scienze Economiche e Giuridiche

Corso di Economia aziendale

Prof. MICHELE SABATINO

TEORIE, SCUOLE ED EVIDENZE EMPIRICHE(parte quinta)

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La Nuova Economia Keynesiana

� L’attacco della NMC alla teoria keynesiana fu molto profondo e creò una sorta di confusione tra gli economisti con la sensazione che non esistesse più una scuola di pensiero di riferimento.

� Tuttavia la risposta keynesiana alla NMC non tardò ad arrivare andando a costituire un nuovo filone teorico nota con il nome di Nuova Economia Keynesiana in posizione alternativa – a volte convergente – con la NMC.

� Quali sono i rapporti con le scuole precedenti:- Il punto di convergenza tra NMC e NEK consiste nell’approccio

microeconomico e nell’importanza del ruolo delle informazioni e altresì delle aspettative razionali;

- Viene rigettata l’ipotesi della NMC dell’equilibrio generale walrasiano istantaneo e continuo essendo in presenza e rigiditàdei prezzi;

- Inoltre la NEK si distingue dai keynesiani perché tentano di razionalizzare le ipotesi keynesiane soprattutto sul fronte microeconomico con una particolare attenzione al mercato dei beni e all’offerta aggregata.

- Infine secondo la NEK considera la rigidità dei prezzi solo temporanee a differenza dei keynesiani che la consideravano “fissi” e la NMC le cui variazioni erano addirittura istantanee.

La Nuova Economia Keynesiana

� La NEK è stata definita la macroeconomia dei mercati imperfetti.� La NEK è una scuola di pensiero economica che, in risposta alle

conclusioni della NMC riabilita l‘economia keynesiana, riprendendone l'impostazione ma arricchendola di nuovi concetti. Due ipotesi principali definiscono l'approccio Neo Keynesiano alla macroeconomia. Come per l'approccio neoclassico, l'analisi macroeconomica dei Neo Keynesiani di solito presume che le famiglie e le imprese abbiano proprie Aspettative razionali. Le due scuole tuttavia differiscono nel fatto che l'analisi Neo Keynesiana di solito presupponga una varietà di difetti di mercato. In particolare, i Neo Keynesiani ritengono che i prezzi e i salari siano "sticky" cioè vischiosi, significa che essi non si adeguano istantaneamente alle variazioni delle condizioni economiche.

� La vischiosità dei prezzi e dei salari, e le altre variabili del mercato presenti nei modelli Neo Keynesiani, implicano che l'economia possa fallire dall'ottenere la massima occupazione. Per cui, i Neo Keynesiani sostengono che la stabilizzazione macroeconomica con intervento dei governi centrali (usando la politica fiscale) o delle banche centrali (usando la politica monetaria) può portare ad un risultato più efficace di una politica macroeconomica del laissez faire.

La Nuova Economia Keynesiana

La Nuova Economia Keynesiana

� Nonostante questa convergenza con gli ortodossi keynesiani la NEK subisce da questi alcune critiche:

1. In primo luogo occupazione e produzione dipendono dalla domanda effettiva senza ricorre all’ipotesi estrema di rigidità di prezzi e salari della NEK;

2. A differenza di Keynes che pensava a shock della domanda aggregata reale per i NEK si èdata importanza crescente alla domanda aggregata nominale e quindi agli shock monetari.

Implicazioni per l’efficacia della politica economica

� Secondo la NEK le politiche di stabilizzazione ritornano ad essere efficaci nonostante le aspettative razionali.

� Uno shock della domanda, incluso una politica di stabilizzazione, può manifestare gli effetti reali nel breve periodo poiché la curva di offerta aggregata risulta inclinata positivamente nel breve periodo. Infatti le aspettative razionali tenderebbero a generare una curva di offerta verticale. Tuttavia la rigidità di prezzo (salari) preclude i necessari aggiustamenti nominali e pertanto causa effetti di tipo reale.

� Il problema quindi, non sta nelle aspettative di prezzo (Pe) ma bensì nella rigidità dei salari (W) che sono fissi. Gli agenti economici al momento della determinazione dei salari tengono conto dell’inflazione attesa (W/(Pe)) secondo il principio delle aspettative razionali (Pe=Po) ma non sono in grado di prevedere shock casuali futuri che si possono verificare durante il periodo di validità del contratto.

Implicazioni per l’efficacia della politica economica

S (Wo(Pe)P

Y

Po

Yn

S*

D’

D

Y1

Implicazioni per l’efficacia della politica economica

� Secondo la NEK variazioni di offerta di moneta tornano ad essereefficaci. A differenza dei nuovi economisti classici la moneta non èneutrale e la politica monetaria determina effetti reali. Se alcuni prezzi sono rigidi e altri flessibili shock dell’offerta di moneta determinano effetti reali. Per i NEK l’efficacia dei mutamenti di politica monetaria vale nell’intervallo i tempo in cui i prezzi (salari) sono predeterminati. Le variazioni di moneta previste e accertata prima della fissazione del prezzo-salario sono tenute in considerazione e non producono effetti reali. Ogni variazione dell’offerta di moneta dal target annunciato e predeterminato, una volta che siano fissati i prezzi, produce deviazioni del reddito dal suo livello naturale.

� Gli interventi di politica economica sono efficaci se comportano per la loro esplicazione un tempo inferiore a quello necessario agli agenti per le decisioni di prezzo. In questo senso è preferibile (a differenza della NMC) una politica disinflazionistica graduale in modo da essere tenuta in conto in previsione della conclusione dei contratti.

� Si conferma inoltre la curva di Phillips come una curva inclinata i cui dati empirici confermano di essere tanto più inclinata quando più aumenta l’inflazione media.

Implicazioni per l’efficacia della politica economica

� Le deviazioni della produzione e dell’occupazione dai loro livelli naturali, dovuti alla rigidità di prezzi e salari, sono comunque di breve periodo. Nel m/l periodo prezzi e salari si aggiustano e la curva di offerta torna ad essere verticale S*. La persistenza degli effetti reali nel lungo periodo èdovuta a modelli c.d.”isteresi” con continui disturbi stocastici in continuo inseguimento dell’equilibrio.

� I Nek infine insistono su politiche attive non solo sul fronte della domanda ma anche su quello dell’offerta.

Le caratteristiche della NEK

� La NEK ribadisce le caratteristiche di disequilibrio dei modelli economici in cui le fluttuazioni reali sono dovute anche a shock della domanda aggregata nominale per la presenza di rigidità (prezzi, salari), per la lentezza nel processo di aggiustamento o per altre situazione difallimento del mercato in cui anche la disoccupazione torna ad essere involontaria.

� La NEK parte da un’analisi microeconomica dei mercati dei beni e del lavoro per indagare le conseguenze sull’equilibrio macroeconomico. Nel passato ad una situazione di concorrenza imperfetta, di informazioni incomplete, di interdipendenza strategica a livello micro si contrapponeva una macroeconomia orientata a modelli con mercati perfetti, agenti razionali e informazioni perfette.

� Nell’analisi NEK invece le rigidità microeconomiche esistenti nel mercato dei beni e in quello del lavoro si riflettono in modo amplificato a livello macroeconomico per via delle esternalità e delle rigidità. Queste frizioni micro amplificate causano le rigidità dei prezzi (P e W) e quindi gli effetti reali su reddito ed occupazione. Infine rigidità nominali e reali di prezzo dovute a shock della domanda comportano effetti reali permanenti.

Le rigidità di prezzo nel mercato dei beni

� Le 'Nominal rigidities', cioè, le vishiosità dei salari e dei prezzi, costituiscono un aspetto centrale dei modelli Neo Keynesiani. Perché i prezzi si dovrebbero adeguare lentamente? Una spiegazione comune data dai Neo Keynesiani è la presenza di ”menu cost”, che significa piccoli costi che devono essere pagati in modo da aggiustare il valore nominale dei prezzi.

� Per esempio, i costi per costruire un nuovo catalogo, price list, o menu sarebbero considerati costi indicativi. Anche se questi costi sembrano irrisori, i Neo Keynesiani spiegano come essi possano amplificare le fluttuazioni di breve corso. Non solo le imprese devono pagare per cambiare i prezzi, ma anche, possono esserci effetti collaterali che camminano assieme alle variazioni dei prezzi. Una ditta che abbassa i propri prezzi a causa di una diminuzione dell'offerta di denaro contribuiràall'aumento del reddito reale dei clienti di tale prodotto. Ciò permetterà al compratore di acquistarne di più, ma non necessariamente dalla ditta che ne ha abbassato i prezzi. E poiché le imprese non ricevono il massimo del beneficio dalla riduzione dei propri prezzi il loro incentivo a ridurre i prezzi in risposta ad eventi macroeconomici diminuisce.

Le rigidità di prezzo nel mercato dei beni

� Altre fonti sulla viscosità dei prezzi includono:1. Forme di mercato oligopolistico o di concorrenza monopolistica in cui in

presenza di una differenziazione di prodotto le variazioni di prodotto sono poco frequenti;

2. Informazioni limitate in relazione ad esempio alla transitorietà o permanenza degli spostamenti della curva di domanda e altresì la sua rilevanza ai fini della modifica dei prezzi;

3. Contratti a lungo termine con prezzi fissi;4. Rapporti di lungo periodo con la clientela con impegni a non variare i

prezzi;5. Regole di determinazione del prezzo del tipo market-up pricing costanti

al variare del ciclo.Infine è interessante comprendere la frequenza degli aggiustamenti dei prezzi e la situazione non sincronizzata di fissazione dei prezzi da parte delle imprese. La fissazione dei prezzi non è quindi istantaneo e continuo ma periodico e saltuario con regole di time-dependent.In tale contesto di variazioni dei prezzi in maniera asincornica si può assistere a effetti reali nel periodo eccedente l’intervallo contrattuale. L’aggiustamento dei prezzi a livello aggregato a seguito di perturbazioni può quindi richiedere parecchio tempo.

Rigidità micro, nominali e reali, ed inerzia nominale aggregata

� Qualunque siano le cause della frizioni di prezzo a livello micro, anche se piccole, queste possono tradursi in ampie rigidità a livello aggregato specie in mercato non perfettamente concorrenziali. L’amplificazione degli effetti derivanti dalle rigidità nominali può dipendere dall’operare congiunto di rigidità reali. Queste sono la costanza dei prezzi relativi (pi/pj), dei salati relativi (wi/wj), dei salari rispetto ai prezzi (wi/pi).

� La presenza di rigidità reali riduce l’incentivo ad aggiustare i prezzi nominali a seguito di shock della domanda.

� Le rigidità reali possono derivare da metodi di custumer markets (la stabilità dei prezzi relativi di un’impresa). In tale situazione i clienti non rispondono istantaneamente a modifiche nei prezzi reali. In assenza di informazioni perfette i clienti preferiscono pagare un premio ai fornitori abituali al fine di evitare una ricerca costosa. Sono inoltre disponibili ad accettare aumenti di prezzo dovuti ad aumenti dei costi cha a spostamenti della domanda.

Rigidità micro, nominali e reali, ed inerzia nominale aggregata

� Un’altra rigidità reale, ossia nei prezzi relativi, è costituito dai legami intersettoriali. Spesso il mutamento dei prezzi pone un problema di coordinamento all’interno della catena di produzione, nella quale i prezzi finali si modificano piùlentamente rispetto alle variazioni di prezzo dei singoli stadi produttivi (i prezzi delle materie prime e semilavorati sono piùflessibili dei prezzi dei prodotti finiti).

� In definitiva anche una variazione dei prezzi relativi a livellomicro si traduce in aggiustamenti più lenti e graduale a livello aggregato.

� In conclusione è possibile che a seguito di uno shock della domanda aggregata tutti prezzi non si modifichino istantaneamente a causa della imperfetta correlazione tra costi dei singoli settori ed imprese. Ci troviamo davanti ad problema di fallimento del coordinamento.

Equilibri multipli

� I problemi di coordinamento quindi derivano da quella interdipendenza strategica delle imprese. Le imprese infatti modificano i prezzi solo se sono convinte che anche le altre imprese si comporteranno allo stesso modo.

� In tale situazione un equilibrio è definito come una situazione di mutua compatibilità. Nessuno ha l’incentivo a deviare a tale situazione.

� Quando si verifica un fallimento di coordinamento si determinano equilibri inefficienti e si possono aprire margini per interventi di politica economica. Cause del fallimento del coordinamento sono: incompletezza dei mercati, economie esterne o rendimenti crescenti di scala, costi di transazione e ricerca, carenza delle istituzioni preposte al coordinamento, situazioni di monopolio. In queste situazioni possiamo avere equilibri multipli.

� Siamo in presenza non più di un unico equilibrio naturale per il reddito ma di molteplici equilibri possibili.

Il modello NEK

� In seguito al lavoro pionieristico su che tipo di elementi microeconomici possano produrre effetti macroeconomici keynesiani, gli economisti hanno iniziato a mettere insieme questi pezzi per costruire modelli macroeconomici. Questi modelli descrivono le decisioni delle famiglie, delle imprese monopolistiche competitive, del governo o della banca centrale, e a volte di altri agenti economici. Le imprese monopolistiche si presume che affrontino alcuni tipi di vischiosità dei prezzi, cosicché ogni volta che le imprese riaggiustano i propri prezzi, esse devono tenere a mente che tali prezzi probabilmente resteranno invariati più a lungo di quanto esse stesse vorrebbero. Molti modelli presumono che anche i salari siano rigidi. La produzione totale è determinata dagli acquisti delle famiglie, che dipendono dai prezzi imposti dalle imprese. Siccome il comportamento macroeconomico deriva dall'interazione delle decisioni di tutti questi agenti, che agiscono nel corso del tempo, in facciaall'incertezza sulle condizioni future, questi modelli sono classificati come modelli di Equilibri generali stocastici dinamici.

� I parametri del modello sono di solito stimati o scelti in modo da far sì che le dinamiche del modello riporti similmente i dati macroeconomici attuali del paese o della regione che viene studiata.

Teorie e politiche del lavoro

� Le analisi del mercato del lavoro a seguito dell’influenza della NMC e della NEK hanno sempre più assunto il carattere dell’analisi microeconomica. La questione della rigidità dei salari èsempre stata al centro del dibattito.

� Alcune considerazioni sulle rigidità dei neo-keneysiano hanno inoltre ripreso analisi e considerazioni monetariste sulle rigiditàistituzionali (sussidi, presenza del sindacato, salari minimi, tutela del lavoro) o comunque sulle imperfezioni del mercato del lavoro. In definitiva tutti rilevano come il mercato del lavoro sia, perragioni anche di carattere sociale e culturale, diverso dagli altri mercati e il salario c.d equo spesso non coincide con il salario di equilibrio walrasiano.

� Il problema dei salari rigidi si lega anche alla questione delladisoccupazione ciclica, strutturale e involontaria. Inoltre la spiegazione della disoccupazione involontaria deve anche tenere conto della modifica, nel tempo, del livello di disoccupazione al tasso naturale.

� La teoria della ricerca fornisce la prima spiegazione microeconomica dell’esistenza di un tasso di disoccupazione naturale positivo. La presenza di disoccupati infatti non è uno spreco di risorse umane ma bensì il tempo necessario impiegato nella ricerca di un lavoro.

� Nella teoria di ricerca si definisce salario di riserva quel salario determinato dall’uguaglianza tra il costo marginale di ricerca (mancati guadagni, ect..) e il beneficio marginale della ricerca (possibilità di conseguire un lavoro meglio retribuito).

� Questo salario di riserva è influenzato dal salario precedentemente percepito ma diminuisce all’allungarsi del tempo. Poiché la ricerca può essere condotta in condizione di disoccupazione questi teorici spiegano la presenza di disoccupazione volontaria che permane anche in presenza di costi di transazione. Il lavoratore è disincentivato ad accettare lavori precari, temporanei o ritenuti insoddisfacenti (effetto stigma – segnalazione di qualità scadente es. call center).

� I critici sostengono che a causa di tali fattori il salario reale difficilmente può ridursi con conseguenza di disoccupazione permanente.

Teorie e politiche del lavoroLa Teoria della ricerca

L’evidenza empirica risconta che i disoccupati sono tali in quantolicenziati e non per loro scelta e inoltre il lavoro più essere ricercato in maniera efficiente anche lavorando. La teoria della ricerca quindi può semplicemente spiegare la ricerca del lavoro dei giovani di prima occupazione.Altre teorie del mercato del lavoro ribadiscono l’importante dell’elemento informativo di tipo imperfetto e asimmetrico. I lavoratori (eterogenei) possiedono differenti capacità lavorative non note ai datori di lavoro. Le imprese non avendo noto ex-ante la qualità del lavoratore hanno come unico segnale il salario richiesto. Maggiori salari attraggono lavoratori migliori e più efficienti. Le rigidità salariali e le fluttuazioni dell’occupazione possono essere spiegate come perdita per l’impresa di una certa quota dei lavoratori migliori. Riducendo il salario sarebbero proprio i migliori ad andar via. Riproponendosi altresì l’effetto stigma come segnale di scarsa qualità.Altro segnale alle imprese è il loro grado di istruzione che lega la produttività al livello di istruzione del lavoratore. La teoria del capitaleumano studio il nesso positivo tra livello di istruzione e produttività del lavoro e altresì la massimizzazione dell’utilità rispetto al ciclo vitale tenendo conto il costo-opportunità dell’istruzione a seguito dei flussi maggiori di reddito futuro.

Teorie e politiche del lavoroLa Teoria della ricerca

� All’interno dei vari filoni teorici l’elevata disoccupazione è considerata una conseguenza della rigidità salariale. Tuttavia bisogna distinguere tra rigiditànominali e reali.

� Per i keynesiani la rigidità salariale nominale consentiva di spiegare la disoccupazione involontaria. Da questa scaturiva anche per la NEK la vischiosità dei salari dovuti alla presenza di contratti di lavoro a lungo termine e da eccessive regolamentazioni del mercato. La presenza di contratti lunghi è dovuta ai costi di negoziazione. Inoltre la lunghezza èlegata positivamente all’indicizzazione salariale e negativamente all’inflazione. Spesso è importante per le imprese avere scadenze di contratti asincroniche così da avere informazioni dettagliate sui salari relativi avendo contratti salariali scaglionati.

� Altro elemento è l’ipotesi del salario relativo secondo cui ai lavoratori interessa il salario relativo alla media degli altri occupati. Da questo uno shock improvviso della domanda che dovrebbe comportare una riduzione del salario nominale si riflette solo parzialmente sul salario poiché una parte dei lavoratori si rifiuterà di lavorare con un salario minore rispetto a quello di altri lavoratori con contratti ancora scaduti. Anche le imprese sono disincentivate a cambiare la struttura retributiva per costi decisionali.

Teorie e politiche del lavoroLa rigidità dei salari

� Vediamo ora la rigidità dei salari reali. In tal caso la disoccupazione che ne consegue è di tipo classico e quindi non correlato alle fluttuazioni della domanda. Se ciò avviene alla rigidità nominale si aggiunge quella reale che crea disoccupazione keynesiana.

� In tali situazioni le politiche economiche ritornano ad essere efficaci e sono in grado di ridurre la disoccupazione. Tuttavia essendo quest’ultima generata da motivi informativi, eterogeneità e altre imperfezioni sono preferibili politiche attive del lavoro. Elevati salari reali crea un effetto sugli investimenti a causa della riduzione della profittabilità. Inoltre si possono verificare effetti sulla sostituzione tra capitale e lavoro. Maggiori investimenti per ridurre il lavoro.

Teorie e politiche del lavoroLa rigidità dei salari

Teorie e politiche del lavoroLa rigidità dei salari

� Vediamo le spiegazioni di queste rigidità dei salari reali. La teoria dei contratti impliciti spiega i fenomeni della disoccupazione involontaria. Esso si richiama al rischio da suddividere tra imprese e lavoratori. Essendoci un contratto a lungo termine il mercato del lavoro risulta diverso rispetto agli altri mercato in quanto nonsubisce modifiche istantanee. I lavoratori sono resti ad assumersi rischi e quindi sono interessati a fronte della contropartita salariale ad una stabilità nella retribuzione, anche a costi di un salario reale più basso. E’ come se il rischio fosse annullato attraverso un contratto (implicito) con l’impresa a fronte di una certa stabilità. Ciò spiega una certa rigidità dei salari reali e della possibilità per imprese e lavoratori di conseguire risultati “ottimali”.

� Attualmente sono noti tre modelli di spiegazione delle rigidità del salario reale: teoria del sindacato, modello insider-outsider, teoria dei salari di efficienza.

� Il mercato del lavoro è regolamentato secondo due categorie estreme: i modelli con potere monopolistico del sindacato ed i modelli con potere monopolistico delle imprese. Altra soluzione è il mercato bilaterale. In tale situazioni shock esogeni causano piccole variazioni dei salari reali e ampie fluttuazioni nell’occupazione.

� In condizione di monopolio del sindacato si verifica alta disoccupazione e salari più elevati. Tuttavia sul piano empirico tutto ciò non è proprio cosìvero.

� Anche la struttura della contrattazione provoca effetti sulle performance macroeconomiche. Contrattazioni centralizzate o totalmente decentrale hanno un andamento a U. Migliori performance si hanno o in presenza di forti contrattazioni centralizzate (il sindacato internalizza rivendicazioni salariali più contenute in cambio di occupazione) o forte decentramento (in cui il mercato riconduce le richieste salariali alla sopravvivenza delle imprese). Nei sistemi intermedi (contrattazioni settoriali) tali meccanismi di equilibrio non funziona.

� Infine il risultato della contrattazione salariale è condizionata anche dalla posizione relativa agli altri lavoratori di altri settori/categorie, dallo stato del mercato del lavoro e dell’economia.

Teorie e politiche del lavoroTeoria del sindacato

� Altra spiegazione è quella del comportamento dei lavoratori in funzione della propria segmentazione tra due categorie non sostituibili: i lavoratori occupati insider e quelli in cerca di occupazione outsider. Soltanto i primi hanno un potere di contrattazione dei salari oltre al controllo sull’entrata. Ciò spiega la presenza di forte disoccupazione in presenza di dinamiche salariali sostenute. Inoltre l’esclusione degli outsider può essere dovuta anche ai costi di transazione.

� Il salario pagato agli insider (wi) pur essendo superiore a quello di equilibrio (wo) è minore della somma tra il salario di riserva degli outsider (wo) e i costi di turnover (co) e quindi wi < wo + co in cui l’impresa reputa conveniente non assumere.

� I costi di turnover comprendono i costi di assunzione, di addestramento, integrazione della struttura produttiva e altresì anche gli eventuali costi di mancata cooperazione degli insider nei confronti dei neoassunti. Salari maggiori sono possibili in presenza di tale situazione di rendita degli insider.

Teorie e politiche del lavoroModelli insider-outsider

� Abbiamo già rilavato che le imprese spesso stabiliscono il prezzo di vendita applicando un mark up sui costi unitari di produzione. Il costo del lavoro (costo di produzione in condizione labour-intensive) diviso la quantità di produzione determina il costo del lavoro per unità di prodotto CLUP.

� Questo indicatore determina il grado di competitività. Le sue dinamiche dipendo dalla variazioni salariali (lorde) rispetto alle variazioni della produttività del lavoro. Se il CULP è definito C/Q (C è il costo del lavoro al lordo di previdenza e assicurazione e Q l’output) dividendo il numeratore e denominare per N (occupati) si ottiene il CULP = (C/N) (Q/N) = W/q dove W è il salario unitario lordo e q la produttività del lavoro. A tal proposito la crescita salariale dovrebbe avere un limite nella crescita delle produttivitàdel lavoro. Le dinamiche del CULP sono legate alla competitivitàdell’impresa. Tale CULP serve altresì per verificare la competitivitàdell’intero Paese.

� Altro elemento importante è quello di come si possano aumentare i salari al fine di aumentare proporzionalmente le quantità prodotte e quindi l’effort dei lavoratori. La teoria dei salari di efficienza riconosce altresì l’esistenza di lavoro eterogeneo. Salari elevati sono compatibili con un comportamento massimizzante dell’impresa in quanto sono correlati in modo positivo con i livelli di produttività.

Teorie e politiche del lavoroTeoria dei salari d’efficienza

� Il fatto che la produttività del lavoro, sia ignota ai datori di lavoro in un contesto di informazioni imperfette, e che quindi venga fattadipendere dal livello salariale (ribaltando il nesso causale) ègiustificata dalla seguenti argomentazioni:

1. Sono incentivati il morale dei lavoratori, motivazioni al lavoro;2. Sono ridotti i costi di turnover;3. È accresciuta la capacità di attrazione dei lavoratori più qualificati;4. È migliore l’efficienza lavorativa dei dipendenti;5. Migliora l’efficienza legata all’intensificarsi dello sforzo lavorativo e

della riduzione dell’assenteismo (costo-opportunità dato dalla possibilità di perdita di un lavoro ben retribuito).

� In definitiva il salario è utilizzato dall’impresa come meccanismo di selezione della produttività.

Teorie e politiche del lavoroTeoria dei salari d’efficienza

� Per eliminare la disoccupazione ciclica occorrono interventi sul fronte della domanda aggregata. Tuttavia questi spesso non sono sufficienti. Il reddito potenziale Y* ed il corrispondente tasso di disoccupazione u* non significano l’assenza di disoccupazione nel mercato del lavoro.

� Ricordiamo quindi che esiste disoccupazione volontaria, disoccupazione frizionale (mutamenti della struttura produttiva, progresso tecnico, imperfezioni di mercato) e disoccupazione strutturale ( persone in cerca di occupazione da lungo tempo per la persistenza di squilibri permanenti del mercato del lavoro.

� Secondo la teoria dell’isteresi non esiste un valore di equilibrio del tasso di disoccupazione naturale costante in quanto questo dipende dai valori passati della disoccupazione. Il tasso naturale di disoccupazione è quel tasso compatibile alla struttura dell’economia e del mercato e può modificarsi a mutamenti del progresso tecnico e dei sistemi istituzionali. Se gli scostamenti dall’equilibrio naturale erano stati considerati dai monetaristi temporanei la teoria dell’isteresi genera continui equilibri naturali.

� Tre determinanti:1. Il calo permanente della domanda e degli investimenti;2. La struttura della contrattazione salariale;3. La relazione tra durata della disoccupazione e probabilità di trovare una nuova

occupazione.

Teorie e politiche del lavoroTeoria dell’isteresi della disoccupazione

� La teoria dell’isteresi ha cercato di spiegare i fenomeni della persistente disoccupazione in molti paesi europei nel corso degli anni ’80 e ’90. I meccanismi esplicitati infatti si sono rafforzati nel tempo attraverso una sorta di causazione cumulativa. Inoltre malgrado nel corso delle fasi recessive la disoccupazione aumenta rapidamente in quelle di crescita la disoccupazione si èridotto molto più lentamente.

� Profonde e prolungate fasi di recessione possono determinare forti aumenti del tasso di disoccupazione e modificare il tasso naturale di disoccupazione. In tal senso non sono efficaci sono politiche espansive ma anche politiche strutturali volte ad eliminare le carenze strutturali del mercato del lavoro.

Teorie e politiche del lavoroTeoria dell’isteresi della disoccupazione

� E’ necessario parlare anche di flessibilità del mercato del lavoro per comprendere i meccanismi e le teorie sulla rigidità dei salari.

� Maggiore flessibilità del lavoro può assicurare la creazione di nuovi posti di lavoro: L’Europa sconta infatti una bassa flessibilità del lavoro rispetto agli USA. Sono presenti rigidità salariali e occupazionali, elevato costo del lavoro, alti livelli della spesa pubblica (di tipo assistenziale) e pervasiva regolamentazione con ostacoli all’iniziativa privata.

� Le rigidità del mercato del lavoro causano un elevata disoccupazione naturale (un)- sia perché mantengono una curva WS (wage-setting) elevata: alti sussidi di disoccupazione, elevati minimi di legge, sindacalizzazione;- sia perché mantengono una bassa curva PS (price-setting) con eccessivi margini di profitto, alti costi diversi dal lavoro, elevati contributi e imposte sul lavoro.Un mercato dei beni e dei servizi scarsamente competitivo o troppo regolamentato determina elevata disoccupazione. Spesso il terziario, rispetto all’industria, soffre di queste protezioni.

Teorie e politiche del lavoroLa flessibilità del mercato del lavoro

� Malgrado ciò bisogna precisare sull’Europa alcune considerazioni che nel tempo hanno modificato il modello europeo:

1. La realtà UE è molto diversificata e varia da paese a paese (anche all’interno – vedi l’Italia);

2. I regimi istituzionali sono stati modificati in gran parte dell’UE con minore sindalizzazione, alcune flessibilità, ect..

3. Ulteriori liberalizzazioni sono in fase di attuazione tuttavia siamo in presenza di un rischio di una iniqua redistribuzione del reddito;

4. In UE non mancano eccezioni al trad-off tra elevata occupazione e livelli soddisfacenti di equità sociale e distributiva. La tutela non deve riguardare il posto di lavoro (restrizioni al licenziamento) ma bensì attraverso adeguati ammortizzatori sociali;Esistono casi di successo in UE (Danimarca e Olanda) di flexicurityconiugando flessibilità del mercato del lavoro e sicurezza per i lavoratori.Infine l’analisi deve tenere conto di flessibilità passiva (o di breve periodo) considerata condizione di una buona performance dei mercati da sostituire con flessibilità innovativa (di lungo periodo) con forma di partecipazione, coordinamento e partnership pubblico/privato in un ambiente in continua evoluzione: more and better jobs secondo la Strategia di Lisbona.

Teorie e politiche del lavoroLa flessibilità del mercato del lavoro

� Da tempo ormai si parla di flessibilità salariali. Tra queste ipotesi sono comprese le forme di:- incentivazione salariale legandole alle performance economiche e professionali;- compartecipazione ai profitti d’impresa articolando il salario in una quota fissa e una legata ai risultati di impresa;- flessibilità salariale in cambio di stabilità occupazionale rispetto all’andamento ciclico dell’economia;- altre interpretazioni tentando di legare le dinamiche salariali agli andamenti della produttività del lavoro;

� Infine si parla di contrattazione salariale decentrata e/o territoriale a causa di dinamiche della produttività diversificate (cosa diversa della gabbie salariali – che stabiliscono delle differenze salariali in base ai territori).

� Altro elemento importante è il c.d. cuneo fiscale e cioè la differenza tra il costo del lavoro e la retribuzione netta del lavoratore. Tale differenza è composta dagli oneri fiscali e previdenziali che incidono sul costo complessivo e quindi sulle dinamiche occupazionali.

Teorie e politiche del lavoroLa flessibilità salariale

� La flessibilità del lavoro può essere1) Flessibilità interna (orari di lavoro, organizzazione produttiva, pratica di gestione delle risorse umane);2) Flessibilità esterna (detta numerica) sia in termini “in entrata” sia “in uscita”. Quella in entrata è legata ai sistemi di istituzione e transizione scuola/università-lavoro e presenza di tipologie contrattuali (flessibilità contrattuali). Quella in uscita èstrettamente legata ai regimi di protezione dell’impiego. Esistono regole (più o meno rigide) di protezione dell’impiego e forme di compensi monetari in caso di licenziamento. In tal senso è sempre importante comprendere il livello del compenso monetario e i costi impliciti relativi alle regole che fissano la validità giuridica.E’ stato rilevato che situazioni di maggiore protezione all’uscita finiscono per determinare comportamenti più prudenti e stabili delle imprese che riducono molto meno l’occupazione in momenti recessivi ma assumono molto meno in caso di crescita. A differenza di sistemi molto più flessibili che mostrano flussi in entrata/uscita molto più ampi e rapidi. In tali paesi si sono sviluppati sistemi di sostegno temporaneo del reddito e di flexicurity.Inoltre i regimi di protezione proteggono i lavoratori adulti e quindi esiste una relazione negativa tra disoccupazione giovanile e rigidità di protezione. Infine dagli anni ’90 si sono sviluppate forme di “flessibilità al margine” con forme contrattuali atipiche che hanno finito per costituire un mercato del lavoro duale (lavoro permanente e lavoro precario).

Teorie e politiche del lavoroLa flessibilità occupazionale e i regimi di protezione

Flessibilità spaziale

� Nelle teorie analizzate si è ipotizzata una perfetta mobilità del lavoro all’interno di una intera economia mentre l’evidenza empirica dimostra come ciò sia più teorica che reale esistendo diversità anche sub-nazionali.

� La mobilità territoriale del lavoro e quindi di una ridotta flessibilità spaziale accentua la difficoltàdi stabilizzazione automatica dell’economia di mercato a seguito di shock della domanda.

Le politiche del lavoro� Quali sono le politiche per ridurre al minimo la disoccupazione e migliorare le

performance del lavoro?� L’obiettivo è quello di rendere più competitivo ed efficiente il mercato del

lavoro. Alcuni esempi proposti dalla Commissione UE:(i) ridurre il costo del lavoro e aumentare le flessibilità;(ii) incentivare la produttività del lavoro anche nell’organizzazione produttiva;(iii) corrispondere sussidi salariali e di disoccupazione;(iv) politiche di stimolo della domanda di lavoro con la creazione di nuovo lavoro;(v) migliorare l’offerta (formazione, riqualificazione, ect…);(vi) migliorare l’organizzazione del lavoro (agenzie del lavoro, job macthing, ect..)Le politiche passive del lavoro sono riferite ai sussidi e indennità(prepensionamenti, CIG) quelle attive sono riferite ai servizi per l’impiego, la formazione e la creazione di impresa.Una questione dibattuta è quella di come i sussidi di disoccupazione possono contribuire all’estensione della disoccupazione di lunga durata disincentivando le azioni di ricerca del lavoro. La rilevanza empirica è ambigua.