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1 POLITECNICO DI MILANO Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Aeronautica MODELLAZIONE NUMERICA E VERIFICA SPERIMENTALE DELLE FORZE AEROELASTICHE NON STAZIONARIE AGENTI SU UN IMPALCATO DI PONTE Relatore: Prof. Giorgio Diana Correlatore: Ing. Tommaso Argentini Candidato: Mamone Dario 820631 A.A. 2015/2016

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POLITECNICO DI MILANO Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Aeronautica

MODELLAZIONE NUMERICA E VERIFICA

SPERIMENTALE DELLE FORZE

AEROELASTICHE NON STAZIONARIE

AGENTI SU UN IMPALCATO DI PONTE

Relatore: Prof. Giorgio Diana

Correlatore: Ing. Tommaso Argentini

Candidato:

Mamone Dario

820631

A.A. 2015/2016

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Indice

Introduzione 5

Risposta dinamica dei ponti al vento turbolento 8

Approccio Quasi Stazionario 14

Approccio linearizzato 17

Metodi non lineari 21

Band Superposition Method 22

Modello Reologico 24

Modello Reologico 25

Funzioni di trasferimento aerodinamiche 26

Identificazione parametri 29

Assemblaggio sistema aeroelastico 31

Caso studio: Ponte sullo stretto di Messina 37

Identificazione parametri 41

Simulazioni di moto libero 44

Simulazioni Buffeting 52

Attività Sperimentale 55

Model setup 58

Strumentazione 62

Analisi dei dati 67

Identificazione modello reologico 76

Conclusioni 80

APPENDICE A-Modellazione vento turbolento 83

Bibliografia 88

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Introduzione

L’avvento dei nuovi materiali da costruzione e lo sviluppo tecnologico avvenuto nel XIX

e XX secolo consentì di concepire e realizzare opere sempre più ardite come i ponti di

grande luce. La realizzazione di tali opere mise gli ingegneri dell’epoca di fronte a delle

problematiche del tutto inaspettate, come ad esempio l’interazione del vento con la

struttura. Le conoscenze teoriche dell’epoca su tali argomenti, però, non erano in grado

di fornire delle teorie affidabili per la progettazione di tali opere e questo emerse, talvolta

in maniera anche drammatica, nell’arco della storia.

Il celebre caso del ponte di Tacoma rappresentò un input importante, tanto per i costruttori

quanto per la comunità scientifica, in termini di ricerca di soluzioni che potessero mitigare

gli effetti del vento sulla dinamica di questo tipo di strutture.

Una prima tendenza è stata quella di aumentare la rigidezza torsionale degli impalcati, è

il caso ad esempio del ponte Verrazzano Narrow, sfruttando il vantaggioso rapporto tra

rigidezza e massa tipico delle strutture reticolari. Questa soluzione, seppur efficace in

termini di stabilità aeroelastica, ben presto si rivelò allo stesso tempo limitante

principalmente a causa dell’aumento dei pesi in gioco e, conseguentemente, dei costi di

costruzione e manutenzione.

Per ponti di grandissima luce, inoltre, subentrano anche problematiche aerostatiche: si

consideri infatti il ponte di Akashi Kaikyo che, con i suoi 1991 metri di luce, è il ponte

sospeso con la campata più lunga al mondo.

Tale impalcato, per via del rinforzo strutturale formato da un sistema di travature

reticolari, è particolarmente sensibile all’azione di resistenza aerodinamica causata dal

vento medio e, più specificatamente, secondo i progettisti può soffrire di uno spostamento

orizzontale di oltre 30 metri nel caso di forti venti.

Una seconda filosofia progettuale si fece strada a partire dagli anni ’60: la strategia

consiste nell’ottimizzare dal punto di vista aerodinamico la forma della sezione del ponte,

in modo tale da ridurne le azioni dovute al vento che agiscono su di esso.

Gli impalcati così progettati, caratterizzati da sezioni scatolari singole o multiple e da una

lastra ortotropa per la trasmissione dei carichi, garantiscono soddisfacenti proprietà sia in

termini di rigidezza strutturale sia in termini di sensibilità all’azione del vento.

Nel caso del ponte sullo stretto di Messina, la soluzione proposta dai progettisti consiste

in un impalcato ventilato, formato da tre cassoni separati, che permette l’attraversamento

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del flusso d’aria, abbattendo così i valori dei coefficienti di portanza e momento e, più in

generale, diminuendo la superficie esposta all’azione eolica.

Si noti che una soluzione progettuale di questo tipo richiede comunque uno studio

approfondito della risposta al buffeting, dato che i cassoni sottovento saranno esposti non

solo al vento turbolento atmosferico ma anche alla scia formata dal distacco della vena

fluida dalle componenti strutturali poste sopravento.

Recentemente diversi ricercatori hanno proposto soluzioni alternative basate su un

sistema di controllo passivo, attraverso superfici aerodinamiche sul bordo d’attacco e

d’uscita, in grado di fornire un’azione dissipativa che permetta di sopprimere i fenomeni

d’instabilità, mentre altri hanno formulato un approccio che sfrutti dei sistemi di

smorzatori inerziali (sebbene in questo caso le masse in gioco possano essere eccessive).

Più recentemente, un gruppo di ricercatori dell’università di Copenaghen, ha paventato la

possibilità di costruire impalcati le cui frequenze proprie torsionali siano minori di quelle

verticali, eliminando di fatto il fenomeno del flutter.

Il processo di ottimizzazione aerodinamica della sezione dell’impalcato necessita di una

descrizione accurata del fenomeno di accoppiamento aeroelastico e diverse risposte sono

state fornite in merito dalla comunità scientifica operante nel settore, nel corso deli ultimi

decenni.

In questo lavoro di tesi si intende focalizzare l’attenzione sulla descrizione del campo di

forze aerodinamiche agenti sugli impalcati e la loro modellazione.

Tali forze sono, in generale, una funzione non lineare sia dell’ampiezza delle oscillazioni

dell’angolo d’attacco che della velocità ridotta

Nella prima parte del lavoro si presenteranno quelle che sono le teorie utilizzate per

descrivere il fenomeno: partendo dalla trattazione analitica basata su un approccio quasi

stazionario si esploreranno i lavori di alcuni gruppi di ricercatori, volti a descrivere le non

linearità intrinseche della formulazione, specificando limiti e vantaggi di ognuno.

Nel secondo capitolo si considererà nello specifico un approccio che fa utilizzo di un

modello reologico per la modellazione delle forze eoliche statiche, autoeccitate e di

buffeting, specificando le basi teoriche del metodo, le condizioni di applicazione e la

formalizzazione matematica nel dominio del tempo utilizzata.

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Contestualmente, si inserirà un confronto numerico, avendo preso come riferimento

l’impalcato del progetto del ponte sullo stretto di Messina, volto a evidenziare i pro e i

contro di questo approccio.

Infine si procederà alla presentazione dell’attività sperimentale svolta nel Giugno 2016

presso la galleria del vento del Politecnico di Milano, utile per l’identificazione delle

flutter derivatives del Third Bosphorus Bridge. Si evidenzieranno le peculiarità

dell’utilizzo di un modello sezionale deformabile e si sfrutteranno i dati ricavati per

impostare un confronto numerico-sperimentale, implementando e calibrando

ottimamente i parametri di un schema numerico basato sull’utilizzo di un modello

reologico.

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Risposta dinamica dei ponti al vento turbolento

Il tema della risposta dinamica dei ponti al vento turbolento ha convogliato negli ultimi

decenni l’attenzione di numerosi ricercatori. Parallelamente alle sfide di tipo costruttivo,

considerando le dimensioni sempre più estreme di questo tipo di strutture, sono subentrate

nuove variabili da tenere in considerazione anche a livello progettuale. L’aerodinamica

degli impalcati e, più dettagliatamente, l’accoppiamento aeroelastico cui sono soggetti,

rappresenta uno dei settori di ricerca più attivi nell’ambito dell’ingegneria strutturale. La

geometria molto allungata dei ponti permette non solo di utilizzare un modello lineare di

trave per la descrizione del comportamento strutturale ma anche di sfruttare un approccio

bidimensionale per la descrizione del campo aerodinamico intorno alla struttura. In

quest’ottica, la metodologia più utilizzata e consolidata nell’ambito dell’ingegneria del

vento è definire un certo numero di sezioni aerodinamiche dell’impalcato, considerate

rigide coerentemente con il modello di trave, su cui calcolare le forze aerodinamiche.

Figura 1-Schema FEM dell'Izmit Bay Bridge con dettaglio (in rosso) sulle sezioni aerodinamiche

Già molti autori nel corso degli anni hanno messo in evidenza, attraverso confronti

numerico-sperimentali, l’importanza di un’analisi multimodale per studiare i fenomeni di

instabilità e risposta al vento turbolento dei ponti dovuti all’accoppiamento aeroelastico.

Per il resto della trattazione quindi, si sottintenderà sempre un’analisi multimodale basata

su un approccio sezionale per le forze aerodinamiche con il fine di studiare la dinamica

del ponte descritto attraverso un modello di trave. Un primo impulso in tal senso non

poteva che venire dal mondo aeronautico per mano di Theodore Theodorsen e la sua

descrizione rigorosa delle forze sezionali agenti su una lamina piana in movimento

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armonico. Conducendo le sue analisi in un contesto linearizzato, Theodorsen dimostrò

una dipendenza lineare tra le forze agenti sulla lamina e i gradi di libertà della lamina

stessa e delle sue derivate. Tali forzanti verranno definite in funzione di una funzione

complessa, detta appunto di Theodorsen, che varia con la frequenza ridotta:

𝐶(𝑘) = 𝐹(𝑘) + 𝑖𝐺(𝑘)

𝑘 =𝑓𝐵

𝑈

Dove 𝐶(𝑘) è la funzione di Theodorsen, composta da una parte reale (𝐹(𝑘)) e una

immaginaria (𝐺(𝑘)), mentre k è la frequenza ridotta.

Successivamente, grazie principalmente al lavoro di Scanlan, si riuscì a estendere il

ragionamento di Theodorsen anche ai corpi tozzi come gli impalcati di ponte,

introducendo il concetto di flutterderivatives. La differenza sostanziale tra il lavoro di

Scanlan e quello di Theodorsen sta nel fatto che la funzione circolatoria di Theodorsen,

riferendosi a un caso geometricamente semplice, è nota a priori in forma analitica mentre

le flutterderivatives necessitano di prove ad hoc in galleria del vento per essere ricavate.

Figura 2-Funzione di Thedorosen: parte reale(F(k)) e immaginaria (G(k))

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Un approccio alternativo nel dominio del tempo, che si può dimostrare essere equivalente,

consiste nel ricorrere alle funzioni indiciali. Wagner fu il primo a introdurre questo tipo

di analisi studiando anch’egli le condizioni di flusso non stazionario intorno a una lamina

piana. La teoria di Wagner si basa sull’idea che è possibile modellare il transitorio dovuto

alla variazione di incidenza di un profilo attraverso una funzione del tempo

adimensionales che moltiplichi la forza calcolata in condizioni statiche:

𝐹𝑗(𝑠) =1

2𝜌𝑈2𝐵𝑐′𝑗𝛼𝜑(𝑠)

𝑠 =2𝑈𝑡

𝐵

Dovej=D,L,M indica la componente di forza a cui ci si riferisce e𝜑(𝑠) è la funzione di

Wagner la quale, per rispettare il requisito di consistenza con la Teoria Quasi Stazionaria,

deve rispettare le relazioni:

lim𝑠→∞

𝜑(𝑠) = 1

lim𝑠→∞

𝜑′(𝑠) = 0

Anche approcciandosi nel dominio del tempo è possibile ricavare delle funzioni indiciali

per gli impalcati di ponte, per cui non si dispone di un’espressione analitica, attraverso

tecniche sperimentali.

Diversi autori hanno dedicato importanti studi all’analisi del dualismo tempo-frequenza

per la descrizione delle forze aerodinamiche sia sugli impalcati di ponte che sui profili

alari.

Sebbene le sopracitate teorie rappresentino dei capisaldi nella descrizione

dell’aerodinamica instazionaria, la geometria delle sezioni di impalcati da ponte introduce

non linearità che necessitano di una modellazione numerica del fenomeno più raffinata.

Nel presente capitolo ci si dedicherà a un confronto tra alcuni dei metodi usati, dai più

classici ai più innovativi, per descrivere il fenomeno di interazione fluido-struttura,

dovuto sia alle oscillazioni della struttura che alla parte fluttuante del vento atmosferico.

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L’obiettivo è evidenziare pregi e difetti di ciascuno di questi approcci, inquadrando

principalmente il ruolo dell’utilizzo di un Modello Reologico con sistemi lineari e i

vantaggi che comporta un suo utilizzo.

Successivamente a una breve introduzione sul modello di vento turbolento utilizzato si

descriveranno:

Teoria Quasi Stazionaria: Permette una descrizione nel dominio del tempo basata sui

coefficienti aerodinamici ricavati in condizioni statiche e, prendendo come unico input

l’angolo d’attacco, riesce a fornire una descrizione accurata delle non linearità dovute ad

ampiezze non piccole delle oscillazioni nonostante il suo campo di validità si limiti solo

ad alti valori della velocità ridotta (𝑉∗ =𝑈

𝑓𝐵=

1

𝑘).

Approccio FlutterDerivatives: Si basa sull’individuazione sperimentale dei coefficienti

aerodinamici nel dominio della frequenza ed è uno dei metodi più diffusi. Trattandosi di

un metodo sviluppato all’interno di un contesto linearizzato, permette una

rappresentazione esplicita delle forze di buffeting e di quelle autoeccitate: sfruttando il

principio di sovrapposizione degli effetti è infatti possibile separare la dipendenza dal

movimento della struttura rispetto a quella dal vento turbolento, ricavando le matrici di

rigidezza e smorzamento aerodinamico e le ammettenze aerodinamiche. Attraverso

un’opportuna trasformazione secondo Fourier dei coefficienti è possibile condurre analisi

nel dominio del tempo, garantendo una miglior riproduzione del meccanismo di

interazione tra il fenomeno del buffeting e le forze autoeccitate. Proprio in questo contesto

si inserisce il modello reologico ampiamente trattato in questo lavoro. Una trasformazione

diretta delle flutterderivatives nel dominio del tempo potrebbe essere una fonte d’errore

nel caso in cui il ponte non si trovi a oscillare in condizioni risonanti. Le prove

sperimentali vengono condotte principalmente attraverso un’analisi del moto risonante

forzato sotto l’azione del vento medio mentre, in condizioni operative, il ponte sarà

soggetto a uno spettro di forzanti e la sua risposta sarà data da una composizione delle

risposte modali.

Il modello reologico si propone, attraverso l’uso di una serie di sistemi meccanici posti

in parallelo, di superare questa limitazione, basandosi su una calibrazione accurata dei

parametri che garantisca una soddisfacente riproduzione dell’andamento di modulo e fase

della funzione di trasferimento aerodinamica.

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Band superpositionapproach: E’ un metodo che consente di tenere in conto le non

linearità dovute sia all’angolo d’attacco che alla velocità ridotta. Una prima analisi viene

condotta a bassa frequenza per quantificare gli effetti della dinamica lenta associata a

turbolenza di lunga scala per poi eseguire un’analisi ad alta frequenza linearizzata non

più intorno alla posizione di equilibrio statico bensì intorno a una posizione tempo-

variante individuata dall’analisi statica e dalle oscillazioni a bassa frequenza. La risposta

ad alta frequenza può essere calcolata attraverso un approccio linearizzato, in tal senso si

avrà bisogno di un vasto set di flutterderivatives calcolate intorno a vari angoli medi,

oppure attraverso l’utilizzo di un modello reologico basato sui cicli di isteresi che

comunque necessita di campagne sperimentali approfondite e dedicate per la sua

implementazione.

La geometria molto allungata dei ponti permette un approccio sezionale, che verrà

mantenuto per tutta la trattazione, per ricavare le componenti statiche e dinamiche di forza

esercitate sulla struttura. In particolare, le forze dinamiche derivano non solo dalla parte

turbolenta del vento atmosferico ma anche dal movimento relativo della struttura intorno

alla sua posizione di equilibrio statico. In ragione di ciò si considerino le equazioni del

moto del sistema aeroelastico bidimensionale:

[𝑀𝑠2𝐷]�̈� + [𝑅𝑠

2𝐷]�̇� + [𝐾𝑠2𝐷]𝑋 = 𝐹𝑎𝑒𝑟𝑜(𝑋, �̇�, 𝑈, 𝑏, 𝑡)

Dove X=[y,z,θ]Tè il vettore dei gradi di libertà della sezione, Ms,Rs,Ksle matrici di massa,

smorzamento e rigidezza strutturale sezionali, b=[u,w]T le componenti di velocità

turbolenta e U la velocità media. Per la convenzione dei segni si faccia riferimento alla

Fig 1.

Da suddette equazioni del moto, attraverso un’integrazione lungo l’asse del ponte, è

possibile ricavare le equazioni che governano la dinamica complessiva della struttura.

Come precedentemente sottolineato, è prassi comune utilizzare un approccio multimodale

per descrivere l’accoppiamento aeroelastico appena esplicitato.

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Formalmente si avrà:

[𝑀𝑠]�̈� + [𝑅𝑠]�̇� + [𝐾𝑠]𝑞 = [𝜙]𝑇𝐹𝑎𝑒𝑟𝑜 = 𝑄𝑙𝑎𝑔

Dove il vettore q è il vettore delle coordinate generalizzate modali del problema, 𝜙 è la

matrice dei modi propri e 𝑄𝑙𝑎𝑔 è la componente lagrangiana di forza aerodinamica.

Nel seguito verranno presentati diversi metodi per ricavare le suddette forze, in generale

funzioni non lineari dell’angolo d’attacco e della frequenza ridotta, evidenziando limiti e

vantaggi di ognuno.

Figura 3-Convenzione dei segni

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Approccio Quasi Stazionario

L’ipotesi fondamentale alla base di questo metodo è che la velocità ridotta sia alta:

𝑉∗ =𝑉

𝑓𝐵> 10

Con V velocità media, f frequenza del movimento o della velocità turbolenta, B la corda

dell’impalcato.

Alti valori della velocità ridotta implicano che i periodi caratteristici del movimento della

struttura (piuttosto che delle oscillazioni del vento turbolento) siano molto maggiori

rispetto al tempo necessario alla particella fluida per percorrere la corda della sezione,

permettendo l’utilizzo dei coefficienti aerodinamici ricavati in condizioni statiche per la

determinazione delle forze dinamiche.

Attraverso la schematizzazione sopra riportata si definiscono la velocità relativa cui è

soggetto il ponte e l’angolo d’attacco tra il vento relativo e il ponte stesso:

𝑉𝑟𝑒𝑙2 = (𝑈 + 𝑣 − �̇�)2 + (𝑤 − �̇� − 𝐵1 ∙ �̇�)

2

𝜓 = tan−1 (𝑤 − �̇� − 𝐵1 ∙ 𝜃

𝑈 + 𝑣 − �̇�)

𝛼 = 𝜃 + 𝜓

Dove B1 rappresenta una distanza caratteristica che verrà definita nell’ambito della Teoria

Quasi Stazionaria Corretta.

L’angolo d’attacco relativo è dunque una funzione tempo-variante del movimento della

struttura e del vento turbolento.

Considerando la ben nota espressione delle forze aerodinamiche:

𝐹𝑗 =1

2𝜌𝑉𝑟𝑒𝑙

2 𝑆𝐶𝑗(𝛼(𝑡))

Con il pedice j=L,D,M che rappresenta i contributi alla portanza, resistenza e momento e

con S la superficie di riferimento.

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Con riferimento alla Figura si esplicitano le equazioni del moto:

𝑚𝑦�̈� + 𝑟𝑦�̇� + 𝑘𝑦𝑦 =1

2𝜌𝑆 ((𝑈 + 𝑣 − �̇�)2 + (𝑤 − �̇� − 𝐵1�̇�)

2) (𝐶𝐷(𝛼) cos𝜓 − 𝐶𝐿(𝛼) sin𝜓)

𝑚𝑧�̈� + 𝑟𝑧�̇� + 𝑘𝑧𝑧 =1

2𝜌𝑆 ((𝑈 + 𝑣 − �̇�)2 + (𝑤 − �̇� − 𝐵1�̇�)

2) (𝐶𝐷(𝛼) sin𝜓 + 𝐶𝐿(𝛼) cos𝜓)

𝐽𝐺�̈� + 𝑟𝜃�̇� + 𝑘𝜃𝜃 =1

2𝜌𝑆 ((𝑈 + 𝑣 − �̇�)2 + (𝑤 − �̇� − 𝐵1�̇�)

2)𝐶𝑀(𝛼)

Il sistema di equazioni differenziali non lineari appena ricavato permettere di esprimere

le forze aerodinamiche tempo-varianti avendo come input l’angolo d’attacco tra il vento

relativo e l’impalcato e rappresenta un pilastro fondamentale dell’ingegneria del vento

specialmente a livello didattico, dato che permette di intuire il fenomeno fisico basandosi

sul concetto di variazione dell’incidenza conseguentemente al movimento relativo tra

corrente e struttura.

Tuttavia resta importante la limitazione imposta sulla velocità ridotta, infatti fuori da

quest’ipotesi non è possibile riferirsi ai coefficienti statici a causa dell’importanza che

assume il fenomeno di isteresi aerodinamica.

Figura 4-Isteresi aerodinamica: Non linearità dovute alla frequenza (sinistra) e all'ampiezza dell'oscillazione (destra)

Il ciclo di isteresi evidenzia la presenza di uno sfasamento tra la forza e l’angolo d’attacco

istantaneo ψ. Se queste due grandezze fossero perfettamente in fase, il grafico sarebbe

costituito da una singola linea corrispondente con l’andamento del coefficiente statico.

In presenza di uno sfasamento il grafico si presenta come una linea chiusa la cui area

sottesa rappresenta la quantità di energia che può essere dissipata o immessa all’interno

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del sistema da parte delle forze aerodinamiche. L’influenza delle non linearità dovute

all’ampiezza dell’angolo d’attacco si manifestano attraverso una deviazione dalla forma

ellittica caratteristica dei fenomeni lineari: più questo tipo di non linearità sono presenti,

più il grafico rappresentativo del ciclo di isteresi si discosterà da un’ellisse.

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Approccio linearizzato

Come si è visto le forze aerodinamiche sono una funzione non lineare dell’angolo

d’attacco, della velocità del vento, del movimento della struttura e della turbolenza. Tali

espressioni non lineari sono molto complesse e solitamente è più conveniente riferirsi a

un approccio linearizzato, il quale permette di sfruttare il principio di sovrapposizione per

isolare i contributi alla forzante aerodinamica dovuti al movimento della struttura (self-

excitedforces) e al vento turbolento (buffetingforces):

𝐹𝐴𝐸𝑅𝑂 = 𝐹𝑆𝑇 + 𝐹𝑆𝐸 + 𝐹𝐵𝑈𝐹𝐹

Con ST,SE,BUFF che significano rispettivamente Static, Self-excited, Buffeting.

Sotto l’ipotesi di piccoli spostamenti della struttura e intensità della turbolenza moderata

(𝑢,𝑤 ≪ 𝑈), è possibile linearizzare le forze aerodinamiche intorno alla posizione di

equilibrio statico, indicata con il pedice 0:

𝑋0 = {

𝑦0𝑧0𝜃0} ; �̇�0 = {

000} ; 𝑏0 = {

00}

𝐹𝐴𝐸𝑅𝑂(𝑋, �̇�, 𝑏) = 𝐹𝐴𝐸𝑅𝑂(𝑋0, �̇�0, 𝑏0) + (𝜕𝐹𝐴𝐸𝑅𝑂𝜕𝑋

)0(𝑋 − 𝑋0) + (

𝜕𝐹𝐴𝐸𝑅𝑂

𝜕�̇�)0

�̇� + (𝜕𝐹𝐴𝐸𝑅𝑂𝜕𝑏

)0𝑏

𝐹𝐴𝐸𝑅𝑂,𝑑𝑦𝑛 = −[𝐾𝐴𝐸𝑅𝑂]𝑋 − [𝑅𝐴𝐸𝑅𝑂]�̇� + [𝐴𝑚]𝑏

Dove con KAERO, RAERO e Am si intendono le matrici di rigidezza, smorzamento e

ammettenza aerodinamica, mentre �̅�, 𝑋 ̅̇ rappresentano le perturbazioni dello stato.

Il sistema di equazioni del moto bidimensionali per il sistema aeroelastico accoppiato

diventano:

[𝑀𝑠]�̈� + [𝑅𝑠 + 𝑅𝐴𝐸𝑅𝑂]�̇� + [𝐾𝑠 + 𝐾𝐴𝐸𝑅𝑂]𝑋 = [𝐴𝑚]𝑏

Pur trovandoci in un contesto linearizzato, la determinazione dei coefficienti delle matrici

aerodinamiche resta un tema delicato e la loro dipendenza dalla velocità ridotta V* resta

oggetto di studio da parte di molti ricercatori del settore. Sotto le ipotesi dell’approccio

quasi stazionario, quindi alte V*, attraverso la procedura di linearizzazione del campo

cinematico e dei coefficienti aerodinamici, le suddette matrici vengono espresse in

funzione dei coefficienti statici. Nonostante tutte le limitazioni precedentemente esposte

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legate a quest’aspetto, questa espressione dell’accoppiamento aeroelastico viene sfruttata

ampiamente nelle fasi preliminari del progetto, con l’intento di fornire una prima

ottimizzazione della forma sezionale del ponte.

Una procedura più generale è quella basata sulla determinazione sperimentale delle

flutterderivatives attraverso prove di moto libero o movimento imposto.

Dalla Teoria Quasi Stazionaria:

𝐾𝐴𝐸𝑅𝑂 = −1

2𝜌𝑆𝑈2 [

0 0 𝐾𝐷0 0 𝐾𝐿0 0 𝐵𝐾𝑀

]

𝑅𝐴𝐸𝑅𝑂 =1

2𝜌𝑆𝑈 [

𝐶𝐷0 𝐾𝐷 − 𝐶𝐿0 𝐵1(𝐾𝐷 − 𝐶𝐿0)

𝐶𝐿0 𝐾𝐿 + 𝐶𝐷0 𝐵1(𝐾𝐿 + 𝐶𝐷0)𝐶𝑀0 𝐵𝐾𝑀 𝐵1𝐵𝐾𝑀

]

𝐴𝑚 =1

2𝜌𝑆𝑈 [

2𝐶𝐷0 𝐾𝐷 − 𝐶𝐿02𝐶𝐿0 𝐾𝐿 + 𝐶𝐷02𝐶𝑀0 𝐵𝐾𝑀

]

Dove Cj0 e Kj (j=D,L,M) sono rispettivamente i coefficienti aerodinamici e le loro derivate

valutati intorno alla posizione di equilibrio statico.

Le matrici contenenti le flutterderivatives, secondo la formulazione di Zasso, sono così

composte:

𝐾𝐴𝐸𝑅𝑂 = −1

2𝜌𝑆𝑈2

[ 𝑝6∗

𝜋

2𝑉𝜔∗2𝐵𝑝4∗

𝜋

2𝑉𝜔∗2𝐵𝑝3∗

ℎ6∗

𝜋

2𝑉𝜔∗2𝐵ℎ4∗

𝜋

2𝑉𝜔∗2𝐵ℎ3∗

𝑎6∗𝜋

2𝑉𝜔∗2

𝑎4∗𝜋

2𝑉𝜔∗2

𝑎3∗𝐵]

𝑅𝐴𝐸𝑅𝑂 =1

2𝜌𝑆𝑈2

[ 𝑝5∗1

𝑉𝑝1∗1

𝑉𝑝2∗𝐵

𝑉

ℎ5∗1

𝑉ℎ1∗1

𝑉ℎ2∗𝐵

𝑉

𝑎5∗𝐵

𝑉𝑎1∗𝐵

𝑉𝑎2∗𝐵2

𝑉 ]

Dove pj*, hj

*, aj* (j=1:6) sono le flutterderivativese 𝑉𝜔

∗ =𝑉∗

2𝜋 è la velocità ridotta riferita

alla pulsazione ω.

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Data la necessità di condurre analisi fuori dal contesto linearizzato, molti studi sulla

dinamica e sull’aeroelastica dei ponti vengono condotti nel dominio del tempo.

Solitamente, la dipendenza delle forze aerodinamiche dalla velocità ridotta viene tradotta

nel dominio del tempo dividendo il range di frequenze in intervalli più piccoli e

considerando il valore dei coefficienti costanti al loro interno, filtrando le storie temporali

del vento turbolento corrispondenti per ciascuno di essi. Tuttavia questo approccio non

permette di avere standard di precisione accettabili salvo nelle condizioni di risonanza dei

modi strutturali, dove il dato sperimentale non è approssimato. Alternativamente si

potrebbe aumentare il numero di intervalli, almeno nelle zone dove gli effetti dovuti al

gradiente di V* sono maggiori, accettando conseguentemente l’aumento del costo

computazionale e del costo nell’identificazione sperimentale delle flutterderivatives.

Sebbene attualmente non esista nessuna metodologia numerica che tenga in conto tutte le

nonlinearità aerodinamiche, molti ricercatori hanno proposto teorie, alcune delle quali

verranno brevemente esposte nel seguito, che possano superare queste limitazioni.

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Figura 5-Flutter derivatives del Ponte sullo stretto di Messina, concessione del Dipartimento di Meccanica del

Politecnico di Milano

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Metodi non lineari

Nonostante gli approcci linearizzati siano tra i più utilizzati per il calcolo della risposta

dinamica dei ponti al vento turbolento, questi metodi non tengono in conto gli effetti

intrinsecamente non lineari presenti nella descrizione del problema aeroelastico. Come

precedentemente detto le non linearità dell’aerodinamica sono dovute all’ampiezza delle

fluttuazioni dell’angolo d’attacco e al valore della velocità ridotta.

La Teoria Quasi Stazionaria modella bene gli effetti non lineari causati dalla variazione

d’incidenza però perde di validità per bassi valori di 𝑉∗ , mentre muovendosi in un

contesto linearizzato si perde la descrizione non lineare dell’influenza dell’angolo

d’attacco ma si recupera, attraverso prove sperimentali, quella sulla velocità ridotta.

L’importanza di un’analisi non lineare è stata messa in evidenza durante la campagna

sperimentale svolta presso il Politecnico di Milano nel 2009 (Diana et al. 2009) in cui

diverse prove sono state condotte su un modello sezionale di impalcato, per poi

confrontare i modelli numerici lineari e non con i risultati sperimentali, sia all’interno dei

margini di stabilità del sistema che in condizioni di instabilità. I risultati sperimentali

evidenziano come in alcuni casi non si possa prescindere da un’analisi non lineare, infatti

confrontando i risultati sia in termini di forza che di spostamenti, si può notare come il

metodo non lineare, basato su un’approssimazione polinomiale dei cicli di isteresi

aerodinamica, riproduca meglio sia lo spettro di frequenze, tenendo in conto anche

contributi in frequenza completamente ignorati dal modello lineare, sia le ampiezze di

oscillazione delle grandezze d’interesse.

Figura 6-Confronto numerico-sperimentale della risposta (sinistra) e delle forze (destra)

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Band Superposition Method

Questo metodo si basa sul concetto per cui anche se le forze aerodinamiche sono funzioni

non lineari sia dell’angolo d’attacco che della velocità ridotta è possibile separare la

risposta a bassa frequenza (LF-LowFrequency) da quella ad alta frequenza (HF-High

Frequency). Tale separazione si basa sull’evidenza che a bassa frequenza è predominante

l’effetto non lineare dovuto all’angolo d’attacco (causato da turbolenza di lunghezza di

scala elevata e lunghi periodi) mentre ad alta frequenza le non linearità sono dovute sia

alle fluttuazioni dell’incidenza che ai valori della velocità ridotta.

Sfruttando queste proprietà fenomenologiche si esegue un’analisi non lineare usando la

Teoria Quasi Stazionaria Corretta per la componente a bassa frequenza e,

contestualmente, si interviene utilizzando un approccio linearizzato della risposta ad alta

frequenza (partendo dal presupposto che le fluttuazioni indotte dalla turbolenza nella

banda HF siano modeste) intorno alla posizione calcolata nell’analisi a bassa frequenza.

Studiando la risposta a bassa frequenza è quindi possibile modulare i valori dei parametri

nell’approccio linearizzato nella HF Band.

La banda di separazione tra la HF band e la LF band viene espressa in termini di velocità

ridotta, in particolare si sceglie il valore di V* per cui le forze aerodinamiche mostrano

una dipendenza minore dalla frequenza.Questo approccio è vantaggioso dato che

permette di calcolare la risposta dinamica in maniera completa (le ipotesi sono supportate

dalle evidenze sperimentali) utilizzando un database sperimentale non eccessivo anche

se, tuttavia, non è capace di tenere in conto eventuali non linearità nell’oscillazione ad

alta frequenza.

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Figura 7-Flowchart Band superposition method (Diana et al. 2012)

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Modello Reologico

La maggior parte dei metodi usati per valutare gli effetti aeroelastici sulla dinamica dei

ponti si basa sulla definizione di funzioni di trasferimento aerodinamiche

(flutterderivatives, ammettenze) mentre l’approccio basato sull’utilizzo di modelli

reologici fa riferimento ai cicli di isteresi aerodinamica funzioni sia delle oscillazioni

dell’angolo d’attacco che della velocità ridotta. In particolare, analizzando il fenomeno

dell’isteresi aerodinamica, è possibile notare che l’unico parametro che lo influenza è la

variazione dell’angolo d’attacco istantaneo, indipendentemente da ciò che la causi:

𝐹𝑎𝑒𝑟𝑜(𝑋, �̇�, 𝑈, 𝑏) = 𝐹𝑎𝑒𝑟𝑜(𝜓, 𝑈)

Questa osservazione permette di definire la funzione di trasferimento in funzione di un

unico input (sistema SISO).

L’obiettivo che si vuole raggiungere attraverso questo approccio è la definizione di un

modello reologico, formato da elementi elastici non lineari e non conservativi connessi in

parallelo, che risponda alla deformazione imposta (la variazione dell’angolo d’attacco).

Intuitivamente la calibrazione dei vari parametri è un processo non banale, viene eseguita

una procedura di minimizzazione vincolata in modo da ottenere un comportamento

isteretico che ricalchi gli effetti aeroelastici.

Sebbene questo metodo sia sicuramente affidabile, attraverso un’opportuna scelta dei

modelli e un’adeguata calibrazione è possibile riprodurre le non linearità aerodinamiche

causate sia da grandi oscillazioni dell’angolo d’incidenza che dalla velocità ridotta, e per

alcuni versi molto pratico, la definizione di un solo parametro in ingresso permette una

verifica sperimentale più ‘facile’, è anche una tecnica che necessita di un vasto set di dati

sperimentali e, ad oggi, richiede ulteriore investigazione.

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Modello Reologico

La definizione di un modello reologico ben si presta per valutare gli effetti aeroelastici

non lineari legati alla variazione dell’incidenza e al valore della velocità ridotta,

modellandone i parametri seguendo l’analogia tra i cicli di isteresi aerodinamica e i cicli

di isteresi meccanica del modello.

Coerentemente con l’attività sperimentale svolta, nel seguito si procederà alla

presentazione di un modello reologico sviluppato all’interno di un contesto linearizzato,

dove si intende investigare i legami non lineari per bassi valori di V*.

Sotto l’ipotesi di comportamento lineare, valido solo per piccole oscillazioni dell’angolo

d’attacco intorno alla posizione di equilibrio statico, il problema della risposta dinamica

del ponte al vento turbolento può essere sviluppato sia nel dominio del tempo che in quello

della frequenza. Questo metodo si basa sull’identificazione dei parametri nel dominio

della frequenza, sfruttando le funzioni di trasferimento aerodinamiche espresse in

funzione delle flutterderivativese delle ammettenze, per poi integrare le equazioni del

moto del sistema aeroelastico accoppiato. Un approccio del genere permette di studiare

non solo i problemi di instabilità e di risposta a regime, ma anche il transitorio della

risposta stessa. Inoltre, permette di considerare l’effettiva combinazione dei carichi

autoeccitati con le forze di buffeting, mentre nel dominio della frequenza tali azioni

vengono sempre calcolate con riferimento alla posizione di equilibrio statico intorno alla

quale si esegue la procedura di linearizzazione.

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Funzioni di trasferimento aerodinamiche

Considerando le matrici aerodinamiche precedentemente ricavate, senza nessuna ipotesi

sulla velocità ridotta, le funzioni di trasferimento aerodinamiche, funzione delle

flutterderivatives e delle ammettenza aerodinamiche, si presentano nella forma:

𝐿𝑠𝑒

(𝑧

𝐵)=1

2𝜌𝑈2𝐵(−

ℎ1∗2𝜋𝑖

𝑉∗+ℎ4∗2𝜋3

𝑉∗2)

𝐿𝑠𝑒𝜃=1

2𝜌𝑈2𝐵 (−

ℎ2∗2𝜋𝑖

𝑉∗+ ℎ3

∗)

𝑀𝑠𝑒

(𝑧

𝐵)=1

2𝜌𝑈2𝐵2 (−

𝑎1∗2𝜋𝑖

𝑉∗+𝑎4∗2𝜋3

𝑉∗2)

𝑀𝑠𝑒

𝜃=1

2𝜌𝑈2𝐵2 (−

𝑎2∗2𝜋𝑖

𝑉∗+ 𝑎3

∗)

Dove i è l’unità immaginaria.

L’utilizzo del modello reologico è mirato a riprodurre l’andamento delle funzioni di

trasferimento aerodinamiche in termini di modulo e fase. Tale obiettivo viene perseguito

modellando ogni componente di forza attraverso l’utilizzo di diversi oscillatori meccanici

di ordine 0,1,2 posti in parallelo, che prendano come input di deformazione lo stesso

ingresso fornito alla corrispondente componente di forza di cui si vuole produrre

l’andamento.

Modello Reologico ordine 0: E’ un semplice sistema molla-smorzatore la cui funzione di

trasferimento è:

𝐹

𝜓= 𝑘 + 𝑗𝛺𝑟

Dove con k e r si intendono i valori di rigidezza e smorzamento del sistemino e con Ωla

pulsazione dell’input.

Modello Reologico ordine 1: Caratterizzato da due sistemini di ordine zero posti in serie,

aggiunge un grado di libertà al problema. La sua funzione di trasferimento è la seguente:

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𝐹

𝜓=(𝑘2 + 𝑗𝛺𝑟2)(𝑘1 + 𝑗𝛺𝑟1)

𝑘𝑠 + 𝑗𝛺𝑟𝑠

Dove con il pedice s ci si riferisce alla somma di 1 e 2, mentre la coordinata μ rappresenta

il grado di libertà aggiuntivo introdotto da ogni sistema di quest’ordine.

Modello Reologico ordine 2: Alla coppia di sistemi messi in serie si aggiunge una massa

per inserire la dipendenza dalla derivata seconda dell’input. Anche in questo caso si

aggiunge un ulteriore grado di libertà (η) al problema:

𝐹

𝜓=(𝑘1 + 𝑗𝛺𝑟1)(−𝑚𝛺

2 + 𝑘2 + 𝑗𝛺𝑟2)

(−𝑚𝛺2 + 𝑘𝑠 + 𝑗𝛺𝑟𝑠)

Contestualmente alle funzioni di trasferimento sopra ricavate si ricavano anche le

equazioni del moto per i sistemi reologici di ordine 1 e 2:

𝑟𝑠�̇� + 𝑘𝑠𝜇 = 𝑟2�̇� + 𝑘2𝜓

𝑚�̈� + 𝑟𝑠�̇� + 𝑘𝑠𝜂 = 𝑟2�̇� + 𝑘2𝜓

I sistemi reologici appena definiti vengono opportunamente calibrati e combinati per

ricavare l’andamento delle funzioni di trasferimento aerodinamiche che legano i tre gradi

di libertà del sistema meccanico (y,z,θ) e le due componenti di velocità turbolenta (u,w)

con le forze e i momenti agenti sull’impalcato.Praticamente, la procedura di

identificazione consiste nell’individuare il numero di sistemi e il valore dei parametri per

un angolo di incidenza α=0° e, successivamente, imporre un rateo di variazione dei

parametri stessi pari al 10% rispetto a quello iniziale per gli altri angoli di incidenza.

Conseguentemente all’identificazione di tutti i modelli reologici, l’integrazione viene

svolta separatamente per le forze autoeccitate e per quelle dovute al vento turbolento. In

particolare, una prima integrazione viene eseguita per ricavare le forze di buffeting dalle

equazioni del moto dei modelli reologici, le quali vengono successivamente utilizzate

come input tempo-variante durante una seconda integrazione che coinvolge le

componenti di forza autoeccitate accoppiate con il sistema meccanico.

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Per l’integrazione, si è scelto di seguire il metodo del trapezio o, in alternativa, il metodo

di Newmark.

Intuitivamente, è buona prassi identificare ciascuna delle funzioni di trasferimento

utilizzando il minor numero possibile di modelli reologici, con il fine di evitare un

eccessivo aumento dei gradi di libertà del sistema aeroelastico e la conseguente

esplosione del vettore di stato.

Infatti, supponendo il caso di un ponte la cui aerodinamica è descritta attraverso venti

sezioni aerodinamiche e supponendo che ciascuna delle nove funzioni di trasferimento

sia approssimata grazie all’utilizzo di tre sistemi reologico (uno per ordine, ipotesi

ottimistica), dato il fatto che gli elementi di ordine 0 non aggiungono gradi di libertà

mentre quelli di ordine 1 e 2 ne aggiungono uno ciascuno rispettivamente, si otterrà:

2 𝑔𝑑𝑙 𝑎𝑔𝑔𝑖𝑢𝑛𝑡𝑖𝑣𝑖 × 9 𝐹𝑑𝑇 × 20 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑎𝑒𝑟𝑜𝑑𝑖𝑛𝑎𝑚𝑖𝑐ℎ𝑒 = 180 𝑔𝑑𝑙 𝑎𝑔𝑔𝑖𝑢𝑛𝑡𝑖𝑣𝑖

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Identificazione parametri

L’identificazione dei vari parametri rappresentativi di inerzia, smorzamenti e rigidezze

dei modelli viene eseguita attraverso una minimizzazione vincolata dello scarto

quadratico medio tra la funzione di trasferimento del modello (FdTmodel) e la

corrispondente funzione di trasferimento aerodinamica (FdTaero).

L’obiettivo del processo è dunque la minimizzazione della funzione obiettivo:

𝑜𝑏𝑗 =∑ √𝑅𝑒(𝐹𝑑𝑇𝑚𝑜𝑑𝑒𝑙 − 𝐹𝑑𝑇𝑎𝑒𝑟𝑜)2 + 𝐼𝑚(𝐹𝑑𝑇𝑚𝑜𝑑𝑒𝑙 − 𝐹𝑑𝑇𝑎𝑒𝑟𝑜)2𝑛𝑖=1

𝑛

Dove con n si intende la lunghezza del vettore delle funzioni di trasferimento.

Per la definizione delle FdTaero si utilizzano i valori delle flutterderivatives e delle

ammettenzericavati da opportune campagne sperimentali e successivamente interpolati.

L’introduzione di vincoli nella minimizzazione è mirata non solo a imporre il margine di

stabilità desiderato dei singoli sistemi ma anche a garantire la congruenza con la Teoria

Quasi Stazionaria per alti valori di V*.

La generica espressione dei vincoli è la seguente:

Stabilità modelli ordine 1:

−𝑘𝑠𝑟𝑠≤ 0

Stabilità modelli ordine 2:

|−𝑟𝑠 ±√𝑟𝑠2 − 4𝑚𝑘𝑠

2𝑚| − 𝛥 ≤ 0

𝑅𝑒 (−𝑟𝑠 ±√𝑟𝑠2 − 4𝑚𝑘𝑠

2𝑚) ≤ 0

Aerodinamica:

𝐾𝑇𝑂𝑇 = 0 𝑝𝑒𝑟 𝑦, 𝑧

𝐾𝑇𝑂𝑇 = 𝐹𝑑𝑇𝐴𝐸𝑅𝑂(𝑘 → 0) 𝑝𝑒𝑟 𝜃

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Dove Δ rappresenta un controllo sul valore assoluto della FdT, imposto per ragioni

numeriche, mentre 𝐾𝑇𝑂𝑇 è la rigidezza totale equivalente dei modelli reologici. Il

significato di tali relazioni sarà approfondito nel seguito.

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Assemblaggio sistema aeroelastico

Nel seguito, si procederà alla presentazione della procedura di assemblaggio del sistema

aeroelastico.

Si considerino nuovamente le equazioni del moto del sistema sezionale in cui si omette

per il momento la componente di buffeting:

[𝑀𝑠]�̈� + [𝑅𝑠]�̇� + [𝐾𝑠]𝑋 = 𝐹𝑥(𝑋, �̇�, 𝑈, 𝑡)

Dove con Fx si intendono le forze autoeccitate agenti sull’impalcato riferite al sistema di

riferimento strutturale. Esplicitando:

𝐹𝑥 = [

𝑓𝑦𝑓𝑧𝑓𝜃

] = [cos 𝛼 − sin 𝛼 0sin 𝛼 cos 𝛼 00 0 1

] [

𝑓𝐷(𝛼)

𝑓𝐿(𝛼)𝑓𝑀(𝛼)

] = 𝛬𝑓𝐴𝐸𝑅𝑂

Esplicitando a loro volta anche le forze agenti nel sistema di riferimento del vento:

𝑓𝐴𝐸𝑅𝑂 =1

2𝜌𝑈2𝐵 [

1 0 00 1 00 0 𝐵

] [𝐶𝐷𝐶𝐿𝐶𝑀

] = 𝑄 [𝐶𝐷𝐶𝐿𝐶𝑀

]

Il passo successivo consiste nell’evidenziare la dipendenza tra i coefficienti aerodinamici

e le funzioni di trasferimento caratteristiche dei modelli reologici precedentemente

identificate:

[𝐶𝐷𝐶𝐿𝐶𝑀

] = 𝐿2𝑇𝑓2 + 𝐿1

𝑇𝑓1 + 𝐿0𝑇𝑓0

Dove i pedici 0,1,2 rappresentano l’ordine dei rispettivi modelli, f è un vettore colonna di

nove elementi che rappresenta le funzioni di trasferimento del modello tra le varie

componenti di movimento (y,z,θ) e le componenti di forza (Lift, Drag, Moment), mentre

L è una matrice di servizio utile a sommare i vari contributi alla stessa componente di

forza.

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Nello specifico:

𝐿𝑖 =

[ 𝑙𝐷𝑦𝑙𝐷𝑧𝑙𝐷𝜃000000

000𝑙𝐿𝑦𝑙𝐿𝑧𝑙𝐿𝜃000

000000𝑙𝑀𝑦𝑙𝑀𝑧𝑙𝑀𝜃]

Dove i termini non nulli sono unitari e i=0,1,2.

Il generico vettore f si presenta nella forma:

𝑓 =

[ 𝑓𝐷𝑦𝑓𝐷𝑧𝑓𝐷𝜃𝑓𝐿𝑦𝑓𝐿𝑧𝑓𝐿𝜃𝑓𝑀𝑦𝑓𝑀𝑧𝑓𝑀𝜃]

Da questa rappresentazione è facile intuire che il vettore f altro non è che una collezione

delle varie funzioni di trasferimento del modello che vengono opportunamente sommate

grazie all’utilizzo della matrice di servizio L:

[𝐶𝐷𝐶𝐿𝐶𝑀

] = [

𝑓𝐷𝑦 + 𝑓𝐷𝑧 + 𝑓𝐷𝜃𝑓𝐿𝑦 + 𝑓𝐿𝑧 + 𝑓𝐿𝜃𝑓𝑀𝑦 + 𝑓𝑀𝑧 + 𝑓𝑀𝜃

]

2

+ [

𝑓𝐷𝑦 + 𝑓𝐷𝑧 + 𝑓𝐷𝜃𝑓𝐿𝑦 + 𝑓𝐿𝑧 + 𝑓𝐿𝜃𝑓𝑀𝑦 + 𝑓𝑀𝑧 + 𝑓𝑀𝜃

]

1

+ [

𝑓𝐷𝑦 + 𝑓𝐷𝑧 + 𝑓𝐷𝜃𝑓𝐿𝑦 + 𝑓𝐿𝑧 + 𝑓𝐿𝜃𝑓𝑀𝑦 + 𝑓𝑀𝑧 + 𝑓𝑀𝜃

]

0

Il vettore f sarà, ovviamente, funzione dei gradi di libertà della struttura, dei modelli

reologici e delle loro derivate e nel seguito si procederà a ricavare tale relazioni per ogni

ordine del modello precedentemente presentato.

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Modello ordine 0:

𝑓0 =

[ 𝑓𝐷𝑦𝑓𝐷𝑧𝑓𝐷𝜃𝑓𝐿𝑦𝑓𝐿𝑧𝑓𝐿𝜃𝑓𝑀𝑦𝑓𝑀𝑧𝑓𝑀𝜃]

=

[ 𝑟𝐷𝑦 0 0

0 𝑟𝐷𝑧 00 0 𝑟𝐷𝜃𝑟𝐿𝑦 0 0

0 𝑟𝐿𝑧 00 0 𝑟𝐿𝜃

𝑟𝑀𝑦 0 0

0 𝑟𝑀𝑧 00 0 𝑟𝑀𝜃]

{�̇�} +

[ 𝑘𝐷𝑦 0 0

0 𝑘𝐷𝑧 00 0 𝑘𝐷𝜃𝑘𝐿𝑦 0 0

0 𝑘𝐿𝑧 00 0 𝑘𝐿𝜃

𝑘𝑀𝑦 0 0

0 𝑘𝑀𝑧 00 0 𝑘𝑀𝜃]

{𝑋}

O in forma compatta:

𝑓0 = [𝑅𝑥𝑥0 ]�̇� + [𝐾𝑥𝑥

0 ]𝑋

Dove la coppia di indici i=D,L,M e j=y,z,θ identificano la funzione di trasferimento e X

rappresenta il vettore di gradi di libertà strutturali.

Il modello di ordine zero non aggiunge gradi di libertà al sistema e sfruttando le equazioni

precedentemente ricavate ci si può facilmente ricondurre al sistema di riferimento

strutturale:

𝐹𝑥0 = 𝛬𝑄𝐿0

𝑇𝑅𝑥𝑥0 �̇� + 𝛬𝑄𝐿0

𝑇𝐾𝑥𝑥0 𝑋

Modello ordine 1:

{𝑓10} = [

𝑅𝑥𝑥1 𝑅𝑥𝜇

1

𝑅𝜇𝑥1 𝑅𝜇𝜇

1 ] {�̇��̇�} + [

𝐾𝑥𝑥1 𝐾𝑥𝜇

1

𝐾𝜇𝑥1 𝐾𝜇𝜇

1 ] {𝑋𝜇}

In questo caso bisogna considerare le equazioni relative ai gradi di libertà aggiuntivi, in

particolare al vettore delle funzioni di trasferimento si aggiungerà un vettore di zeri di

dimensioni 9 × 1. Le sottomatrici si presentano nella forma:

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𝑅𝑥𝑥1 =

[ 𝑟𝐷𝑦1

00𝑟𝐿𝑦1

00𝑟𝑀𝑦1

00

0𝑟𝐷𝑧1

00𝑟𝐿𝑧1

00𝑟𝑀𝑧1

0

00𝑟𝐷𝜃1

00𝑟𝐿𝜃1

00𝑟𝑀𝜃1]

𝑅𝑥𝜇1 = [

−𝑟𝐷𝑦1 ⋯ 0

⋮ ⋱ ⋮0 ⋯ −𝑟𝑀𝜃

1]

𝑅𝜇𝑥1 =

[ 𝑟𝐷𝑦2

00𝑟𝐿𝑦2

00𝑟𝑀𝑦2

00

0𝑟𝐷𝑧2

00𝑟𝐿𝑧2

00𝑟𝑀𝑧2

0

00𝑟𝐷𝜃2

00𝑟𝐿𝜃2

00𝑟𝑀𝜃2]

𝑅𝜇𝜇1 = [

−𝑟𝐷𝑦𝑠 ⋯ 0

⋮ ⋱ ⋮0 ⋯ −𝑟𝑀𝜃

𝑠]

Dove gli apici 1 e 2 identificano l’elemento del modello a cui si fa riferimento e s la loro

somma. Per ragioni di sintesi si è omessa l’espressione delle sottomatrici di rigidezza, la

cui forma è identica a quelle di smorzamento appena esplicitate.

Sostituendo nel sistema di riferimento strutturale si ottiene:

{𝐹𝑥1

0} = [

𝛬𝑄𝐿1𝑇𝑅𝑥𝑥

1 𝛬𝑄𝐿1𝑇𝑅𝑥𝜇

1

𝑅𝜇𝑥1 𝑅𝜇𝜇

1 ] {�̇��̇�} + [

𝛬𝑄𝐿1𝑇𝐾𝑥𝑥

1 𝛬𝑄𝐿1𝑇𝐾𝑥𝜇

1

𝐾𝜇𝑥1 𝐾𝜇𝜇

1 ] {𝑋𝜇}

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Modello ordine 2:

Nel caso del modello di ordine 2 si aggiunge una componente inerziale completamente

disaccoppiata da quella strutturale dovuta alla presenza di una massa tra i parametri.

{𝑓20} = [

0 00 𝑀𝜂𝜂

2 ] {�̈��̈�} [

𝑅𝑥𝑥2 𝑅𝑥𝜂

2

𝑅𝜂𝑥2 𝑅𝜂𝜂

2 ] {�̇��̇�} + [

𝐾𝑥𝑥2 𝐾𝑥𝜂

2

𝐾𝜂𝑥2 𝐾𝜂𝜂

2 ] {𝑋𝜂}

Dove la sottomatrice d’inerzia è:

𝑀𝜂𝜂2 = [

−𝑚𝐷𝑦 ⋯ 0

⋮ ⋱ ⋮0 ⋯ −𝑚𝑀𝜃

]

Mentre per le altre sottomatrici si sottintende la stessa forma di quelle di ordine uno.

Nel sistema di riferimento strutturale:

{𝐹𝑥2

0} = [

0 00 𝑀𝜂𝜂

2 ] {�̈��̈�} [

𝛬𝑄𝐿2𝑇𝑅𝑥𝑥

2 𝛬𝑄𝐿2𝑇𝑅𝑥𝜂

2

𝑅𝜂𝑥2 𝑅𝜂𝜂

2 ] {�̇��̇�} + [

𝛬𝑄𝐿2𝑇𝐾𝑥𝑥

2 𝛬𝑄𝐿2𝑇𝐾𝑥𝜂

2

𝐾𝜂𝑥2 𝐾𝜂𝜂

2 ] {𝑋𝜂}

L’espressione finale del sistema aeroelastico rappresentato agli stati si presenta nella

forma:

𝐴𝑇𝑂𝑇�̇� + 𝐵𝑇𝑂𝑇𝑧 = 𝐹𝐵𝑈𝐹𝐹

In cui il vettore di stato z è così composto:

𝑧 =

[ �̇�𝑋�̇�𝜂𝜇]

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Prendendo in considerazione il vettore di stato si nota come l’utilizzo di un numero

eccessivo di modelli reologici comporti una crescita nella dimensione di quest’ultimo e

conseguentemente del costo computazionale, evidenziando come una buona

identificazione dei parametri non possa prescindere da una scelta consapevole del numero

di modelli da inserire. In particolare ogni grado di liberta, per ogni modello reologico,

aggiunge 9 (più altre 9 per ogni derivata) componenti al vettore di stato.

Questo inconveniente rappresenta uno degli aspetti negativi nell’affidarsi alla definizione

di questo metodo per studiare l’accoppiamento aeroelastico tipico dei ponti di grandi luce.

D’altro canto rappresenta un miglioramento rispetto all’approccio classico basato sulla

trasformazione diretta nel dominio del tempo delle flutterderivatives. Infatti, quest’ultimo

approccio introduce inevitabilmente degli errori dovuti al fatto che i coefficienti vengono

individuati in condizioni di risonanza strutturale mentre l’utilizzo di un modello reologico

di questo tipo, i cui parametri sono costanti e non dipendono dalla frequenza del

movimento, garantisce una miglior previsione delle forze aerodinamiche sia in condizioni

di risonanza che non.

Un primo set di simulazioni per verificare la bontà di questo metodo è stata eseguita

scegliendo come riferimento l’impalcato del ponte sullo Stretto di Messina, i cui risultati

verranno presentati nei capitoli successivi.

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Caso studio: Ponte sullo stretto di Messina

Un primo set di simulazioni è stato condotto per confrontare un approccio basato sulle

flutterderivatives con l’implementazione del modello reologico. Successivamente a una

presentazione del processo di identificazione dei parametri del modello, si discuteranno i

risultati derivanti sia da analisi di moto libero con condizioni iniziali imposte che da

analisi di risposta al buffeting.

Si è scelto di prendere come riferimento l’impalcato del ponte sullo stretto di Messina,

oggetto di diverse campagne sperimentali atte a investigarne il comportamento

aeroelastico. In particolare, durante le prove sperimentali eseguite presso la galleria del

vento del Politecnico di Milano, sono stati eseguiti diversi test di moto libero e forzato,su

un modello sezionale, per ricavare l’andamento di flutterderivatives eammettenzee tali

risultati saranno presi come riferimento nel seguito.

In tal senso si inseriscono i grafici riportanti gli andamenti delle aj,hj, con j=1:4, oltre che

dei coefficienti statici e delle loro derivate, importanti per verificare la consistenza con la

Teoria Quasi Stazionaria.

Figura 8-Coefficienti aerodinamici (in alto) e loro derivate (in basso) del Messina

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Figura 9-Flutter derivatives del Messina per α=0°

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39

Le suddette simulazioni sono state condotte inserendo come input strutturale il modello

FEM di un modello aeroelastico del Third Bosphorus Bridge, ampiamente descritto nel

capitolo riguardante la parte sperimentale, lungo 8 metri, le cui caratteristiche dinamiche

d’interesse sono riportate nella tabella:

Deformata 𝒎∗ [kg] 𝒌∗ [𝑵/𝒎] 𝒇∗ [𝑯𝒛]

Primo Laterale 48.5 2700 1.19

Primo Verticale 47.2 3500 1.37

Secondo Laterale 57.3 20000 3

Secondo Verticale 53 21000 3.18

Primo Torsionale 6.7 3500 3.45

La scelta atipica di affidarsi a un modello aeroelastico ibrido, nonostante la poca valenza

concreta, rappresenta comunque un riferimento importante per la validazione del codice

numerico. Infatti, essendo i modi omologhi ben separati, permette di valutare

l’accoppiamento aeroelastico in condizioni risonanti, garantendo una buona qualità

dell’analisi aerodinamica e un grado di stabilità del sistema soddisfacente.

Il modello è costituito, oltre che dall’impalcato vincolato lateralmente a due supporti

rigidi, da un sistema di catenarie e di molle che hanno il compito di sostenere staticamente

il ponte.

Figura 10-Schema FEM-Catenarie (blu), pendini (rosso), asse (arancione), sezioni (giallo)

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Il FEM di questa struttura è stato sviluppato modellando l’impalcato con elementi beam,

così come per le catenarie, mentre per le molle si è scelto di utilizzare l’elemento bar. Le

sezioni, per cui si è introdotto il vincolo MultiPointConstraint per garantire la rigidezza

nel piano, sono caratterizzate dalla presenza di masse concentrate disassate.

Dal punto di vista aerodinamico, si è modellato unicamente l’impalcato trascurando

elementi come le catenarie data la loro scarsa influenza sulla dinamica complessiva del

sistema.

Tutte le simulazioni sono state eseguite ad un angolo medio costante pari a 𝛼0 = 0°.

Figura 11-Deformate modali

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Identificazione parametri

Come precedentemente esposto il processo di identificazione dei parametri del modello

reologico consta di un processo di minimizzazione vincolata, il cui obiettivo è lo scarto

quadratico medio tra le Funzioni di Trasferimento Aerodinamiche e le Funzioni di

trasferimento meccaniche.

Alcuni dei vincoli inseriti riguardano la stabilità dei modelli di ordine 1 e 2, i modelli di

ordine zero sono intrinsecamente stabili, mentre altri, che riguardano la congruenza

aerodinamica con la TQS, riguardano tutti i sistemi indistintamente.

Stabilità modelli ordine 1:

−𝑘𝑠𝑟𝑠≤ 0

Stabilità modelli ordine 2:

|−𝑟𝑠 ±√𝑟𝑠2 − 4𝑚𝑘𝑠

2𝑚| − 5 ≤ 0

𝑅𝑒 (−𝑟𝑠 ±√𝑟𝑠2 − 4𝑚𝑘𝑠

2𝑚) ≤ 0

La seconda delle condizioni impone la stabilità del modello, mentre la prima, come

precedentemente evidenziato per ragioni numeriche, impone che i parametri descrivano

una FdT la cui dinamica sia simile a quella della struttura.

Per ciò che riguarda l’aerodinamica, si impone il comportamento statico (𝑘 → 0) delle

varie funzioni di trasferimento a seconda dell’input. Infatti se si considera un movimento

statico in y o z la funzione di trasferimento deve avere modulo nullo, mentre considerando

un movimento in θ deve coincidere con il valore della corrispondente funzione di

trasferimento aerodinamica:

𝐾𝑇𝑂𝑇 = 0 𝑝𝑒𝑟 𝑦, 𝑧

𝐾𝑇𝑂𝑇 = 𝐹𝑑𝑇𝐴𝐸𝑅𝑂(𝑘 → 0) 𝑝𝑒𝑟 𝜃

Dove con KTOT si intende la rigidezza equivalente di tutti i modelli reologici inseriti in

ogni funzione di trasferimento.

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Figura 12-Funzioni di trasferimento L

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Figura 13--Funzioni di trasferimento M

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Le prove sperimentali e, conseguentemente, il processo d’identificazione sono stati

eseguiti sul range di frequenze k=[0:0.5]. In questa rappresentazione si è deciso di

estendere l’andamento della funzione di trasferimento del modello fino a 𝑘 = 0.8 →

𝑉∗ = 1.25, mentre per le flutterderivativessi è considerato un valore costante.

Sfruttando le informazioni che si ricavano attraverso i dati sperimentali infatti, un

approccio basato sul modello reologico permette di estendere con criterio il range di

frequenze ridotte, superando gli ostacoli pratici legati al forzamento del modello ad alta

frequenza, dove le inerzie rappresentano un limite, o di prove a basse velocità di galleria

le cui misure possono essere molto affette da rumore.

Si consideri inoltre, che per le funzioni di trasferimento che prendono come input lo

spostamento orizzontale y si è considerato un andamento costante sia in modulo che in

fase, congruente ovviamente con la TQS, dato che a causa della sua scarsa influenza sulla

dinamica complessiva della struttura, non sono state eseguite prove sperimentali in tal

senso. Sulla base di questa identificazione sono state condotte le successive simulazioni

di moto libero e risposta al buffeting.

Simulazioni di moto libero

Con questa prima parte di simulazioni numeriche si vuole investigare come variano i

parametri dinamici del sistema aeroelastico con la velocità del vento. Nel seguito verrà

presentato un confronto tra una descrizione classica, fondata sull’utilizzo diretto delle

flutterderivatives per la stima degli autovalori del sistema aeroelastico, con un approccio

basato sul modello reologico.

Sempre all’interno del modello reologico sono state sviluppate due serie di analisi

diverse: una prima, in frequenza, ricercando gli autovalori del sistema e una seconda, nel

dominio del tempo, attraverso un’integrazione delle equazioni del moto della struttura

sotto l’azione del vento medio.

L’implementazione di tali analisi è stata eseguita grazie al software ModynaBridge

sviluppato presso il dipartimento di meccanica del Politecnico di Milano.

Nell’approccio flutterderivatives il software prende come input strutturale il modello

FEM precedentemente descritto e come input aerodinamico appunto le flutterderivatives

sperimentali per poi calcolare numericamente autovalori e autovettori del sistema

aeroelastico, spazzando un range di velocità fino a 𝑉𝑚𝑎𝑥 = 15 𝑚/𝑠 con un

∆𝑉 = 0.1 𝑚/𝑠.

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Per il modello reologico invece, oltre ad avere un input aerodinamico differente, non è

implementata nel software una funzione che esegua la stessa procedura di calcolo delle

frequenze proprie e degli smorzamenti modali attraverso una ricerca degli autovalori.

Si è proceduto quindi, attraverso simulazioni di moto laminare sullo stesso intervallo di

velocità (considerando un ∆𝑉 = 1 𝑚/𝑠 per ragioni di costi computazionali), alla

deduzione delle matrici aeroelastiche del sistema rappresentato agli stati:

𝐴𝑇𝑂𝑇�̇� + 𝐵𝑇𝑂𝑇𝑧 = 0

Note le matrici aeroelastiche per le velocità d’interesse, si è proseguito con l’estrazione

degli autovalori del sistema. Il software utilizzato, Matlab, calcola gli autovalori

attraverso il metodo QR e li restituisce in output in ordine decrescente di modulo.

Per ricavare un andamento degli autovalori, si è deciso di ‘riordinarli’ passo per passo

facendo un confronto con l’autovettore e l’autovalore calcolati al passo precedente.

Per 𝑉 = 0 si considerino ovviamente le espressioni di autovettori e autovalori strutturali:

𝜙𝑖𝑘 = {1 𝑝𝑒𝑟 𝑖 = 𝑘0 𝑝𝑒𝑟 𝑖 ≠ 𝑘

𝜆𝑘 =𝜉𝑘𝜔𝑘

√1 − 𝜉𝑘2± 𝑗𝜔𝑘

Dove 𝜙𝑖𝑘 rappresenta il generico elemento della matrice dei modi propri strutturali e 𝜆𝑘

la ricostruzione del generico autovalorek-esimo.

Una volta ricostruito l’andamento degli autovalori è possibile ricavare i valori delle

frequenze proprie e degli smorzamenti modali:

𝑓𝑘𝑖 =𝑖𝑚𝑎𝑔(𝜆𝑘𝑖)

2𝜋

𝜉𝑘𝑖 = −𝑟𝑒𝑎𝑙(𝜆𝑘𝑖)

𝑎𝑏𝑠(𝜆𝑘𝑖)

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Dove i pedici k e i indicano rispettivamente il modo e la componente generica i-esima del

vettore di velocità d’interesse.

Per ciò che riguarda l’integrazione delle equazioni del moto le analisi hanno le seguenti

caratteristiche:

𝑇𝑠𝑖𝑚 = 100 𝑠

∆𝑡 = 0.01 𝑠

La griglia del vento è stata inserita nel modello numerico imponendo che i punti di

generazione delle storie temporali, per quanto in questo si caso si tratti di moto laminare

a velocità costante, coincidessero con le sezioni aerodinamiche preimpostate per il ponte.

Le simulazioni sono state portate a termine su tutto il range di velocità e per i primi cinque

modi della struttura, imponendo iterativamente la condizione iniziale sullo spostamento:

𝑞𝑗 = 1

Dove j rappresenta il modo considerato e 𝑞𝑗 è la cordinata generalizzata.

Sulla base della risposta dinamica del ponte al vento laminare con condizioni iniziali

imposte è possibile ricavare, studiamento il decadimento della stessa, le proprietà di

frequenza e smorzamento modali del sistema aeroelastico.

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Figura 14-Storia temporale di una simulazione di moto libero

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Figura 15-Autovalori sistema aeroelastico

Figura 16-frequenze proprie sistema aeroelastico

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Il calcolo delle frequenze proprie del sistema attraverso le tre tecniche precedentemente

illustrate presenta una generale accordanza dei risultati, tanto che è possibile

rappresentarle attraverso un’unica curva come quella in figura mentre, per ciò che

riguarda l’andamento degli smorzamenti modali, il confronto presenta delle differenze.

In particolare, si considerano gli smorzamenti caratteristici del primo e secondo modo

verticale, del primo modo torsionale. Per valori di velocità ridotta 𝑉∗ < 2 ci si aspettava

a priori delle differenze in quanto da quel punto in poi le flutterderivatives sono

approssimate con valore costante mentre il modello reologico prosegue il suo andamento

in funzione dei parametri. Quest’aspetto è molto più evidente nel caso del primo modo

torsionale rispetto ai due verticali: ilprimo verticale infatti, avendo una frequenza minore

rispetto al torsionale, maschera un po’ quest’effetto perché per quei valori di velocità

ridotta la velocità effettiva del vento, che amplifica le differenze sulle funzioni di

trasferimento, è più bassa rispetto al torsionale. Si consideri in merito:

Deformata 𝑽∗ 𝑽

Primo Verticale 2 ~3

Secondo Verticale 2 ~7

Primo Torsionale 2 ~8

I verticali in ogni caso, presentano anch’essi un andamento lineare, con pendenza diversa

rispetto al caso flutterderivatives, mentre l’analisi del torsionale evidenzia

l’instazionarietà del valore dello smorzamento per bassi valori della velocità ridotta.

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Figura 17-Confronto smorzamenti primo modo verticale

Figura 18-Confronto smorzamenti secondo modo verticale

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Figura 19-Confronto smorzamenti primo modo torsionale

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Simulazioni Buffeting

L’analisi del moto libero ha messo in luce alcune criticità del confronto tra modello

reologico e approccio classico.

Le simulazioni di risposta al vento turbolento sono mirate a evidenziare le differenze nel

calcolo della risposta del ponte, funzione della velocità ridotta, per i due modelli numerici

descritti e analizzati.

In tal senso sono state prese come riferimento diverse velocità del vento medio, con

l’intenzione di spazzare l’intervallo di velocità ridotta dell’identificazione.

In particolare, una simulazione a bassa velocità (𝑉 = 3 𝑚/𝑠) vuole investigare le non

linearità dovute alla velocità ridotta per i modi a bassa frequenza, una prova a velocità

media (𝑉 = 5 𝑚/𝑠) per investigare principalmente la risposta torsionale e, infine, una

prova ad alta velocità (𝑉 = 15 𝑚/𝑠 ) per verificare la congruenza dei due approcci

almeno per ciò che riguarda il primo modo verticale e il modo torsionale.

Bassa Velocità: La rappresentazione della risposta del primo modo verticale mette in

evidenza un valore di ampiezza dell’oscillazione risonante, calcolata con il modello

reologico, leggermente più smorzata rispetto a quella calcolata con le flutterderivatives.

La velocità ridotta caratteristica dell’interazione fluido-struttura in questo caso è 𝑉∗ =

1.9 , in corrispondenza della quale è apprezzabile una differenza nel calcolo degli

smorzamento per il modo considerata. Per gli altri modi la velocità ridotta è minore

dell’unità, ciò comporta una forte instazionarietà delle forze aerodinamiche per cui non è

di interesse un confronto della risposta modale.

Velocità media: L’analisi evidenzia una differenza molto accentuata nel calcolo della

risposta torsionale, con il modello reologico ben più smorzato rispetto alla risposta

calcolata con le flutterderivatives. Trovandoci a una velocità ridotta 𝑉∗ = 1.25, la stima

dello smorzamento modale è molto diversa nei due approcci: ci troviamo nella zona dove

non è stata eseguita nessuna identificazione delle flutterderivatives mentre il modello

reologico stima la funzione di trasferimento sulla base dei parametri stimati nel processo

di identificazione.

Velocità alta: In questo caso, muovendoci verso valori velocità ridotta più alti, le risposte

sono tendenzialmente molto simili. Le piccole differenze nella risposta sono in ogni caso

congruenti con i valori degli smorzamenti modali. Nel prossimo capitolo si intende

confrontare il modello reologico con i dati delle prove sperimentali.

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Figura 20-Risposta simulazione bassa velocità

Figura 21-Risposta simulazione velocità media

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Figura 22-Risposte simulazione alta velocità

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Attività Sperimentale

Come precedentemente specificato, una descrizione analitica delle forze aerodinamiche

agenti sugli impalcati di ponte, attraverso la Teoria Quasi Stazionaria, garantisce una

descrizione precisa delle non linearità dovute all’ampiezza dell’angolo d’attacco relativo

tra vento e ponte, ma non è in grado di descrivere le non linearità dovute alla velocità

ridotta𝑉∗ . In particolare, suddetta descrizione perde di validità per valori di velocità

ridotta inferiori a 𝑉∗ < 10, escludendo così gran parte del range operativo dei ponti in

condizioni reali.

Si consideri infatti un generico impalcato di ponte con corda 𝐵 = 35 𝑚 e le prime

frequenze proprie verticali e torsionali tipiche di un ponte sospeso: 𝑓𝑣 = 0.1 𝐻𝑧 e

𝑓𝑡 = 0.3 𝐻𝑧. Supponendo un range di velocità operativo d’interesse 𝑉 = 20 − 40 𝑚/𝑠 i

valori di velocità ridotta corrispondenti per i due modi sarebbero:

𝑉𝑣∗ = 6 − 11

𝑉𝑡∗ = 2 − 4

Dove con i pedici v e t ci si riferisce al primo modo verticale e torsionale rispettivamente.

Quest’esempio mette in evidenza le limitazioni intrinseche legate all’ipotesi che sta alla

base della TQS e suggerisce la necessità di uno studio più approfondito in questo senso.

Per superare le sopracitate limitazioni è pratica diffusa ricorrere a prove sperimentali

specifiche e indirizzate all’identificazione dei coefficienti aerodinamici in condizioni non

stazionarie.

I risultati di tali prove possono essere utilizzati sia per calibrare modelli numerici di vario

tipo, come già ampiamente discusso, che per la certificazione, strettamente necessaria, di

strutture particolarmente soggette all’azione del vento come i ponti sospesi.

Le tipologie di prove sperimentali più diffuse a livello mondiale sono basate sull’utilizzo

di modelli sezionali rigidi o sull’utilizzo di modelli aeroelastici del ponte completo (full

aeroelastic model).

La prima tipologia è principalmente utilizzata per l’identificazione delle flutterderivatives

e delle ammettenze aerodinamiche ma anche, progettando una configurazione del

modello sospeso attraverso molle di rigidezza opportunamente calibrate, per valutare i

limiti di stabilità dell’impalcato così come la risposta al buffeting.

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La seconda tipologia invece, caratterizzata da una scala geometrica molto più piccola,

non è utilizzata nel processo di identificazione, date le difficoltà oggettive che un

approccio di questo tipo comporterebbe, bensì per valutare la risposta al vento del ponte

nella sua configurazione reale.

Sia il modello sezionale rigido che il full aeroelastic model presentano dei vantaggi e

degli svantaggi in funzione del tipo di prova sperimentale che si vuole condurre.

Se da un lato i modelli sezionali rigidi garantiscono, grazie alla loro grande scala

geometrica, una maggiore accuratezza nella riproduzione dei dettagli progettuali e nella

misura delle forze aerodinamiche (sia attraverso l’utilizzo di prese di pressione che

attraverso bilance per la misura delle forze globali) oltre a un maggior controllo sia dello

smorzamento che della correlazione della turbolenza lungo l’asse dell’impalcato,

dall’altro non permettono né la visualizzazione degli effetti dovuti alle deformate modali

né un’eccitazione multimodale e, inoltre, tutte le sezioni sono caratterizzate dallo stesso

comportamento aerodinamico.

L’utilizzo di una scala geometrica più piccola permette notevoli miglioramenti nella

simulazione sperimentale della risposta, dato che il modello è rappresentativo del ponte

vero sia in termini geometrici che di vincolo e, volendo, del contesto orografico del sito

di costruzione.

Allo stesso tempo un full aeroelastic model non permette un controllo agevole dello

smorzamento e comporta anche un peggioramento nella qualità delle misura delle

grandezze aerodinamiche.

Figura 23-Modello sezionale (sinistra) e aeroelastico (destra)

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Nel seguito, coerentemente con l’attività sperimentale svolta, ci si concentrerà sulle prove

sperimentali condotte con il fine di identificare le flutter derivatives tipiche di un

impalcato.

La determinazione delle flutter derivatives per via sperimentale viene eseguita

principalmente attraverso due tecniche diverse in cui modelli sezionali dell’impalcato di

ponte vengono provati in galleria del vento:

Free motionmethod: Il modello sezionale è sospeso attraverso un sistema di molle le cui

rigidezze sono opportunamente calibrate per essere rappresentative del modello reale, per

poi studiare la risposta, sotto vento medio, con condizioni iniziale imposte.

Analizzando il decadimento della risposta nel tempo si ricavano i valori di frequenza e

smorzamento del sistema aeroelastico, per poi confrontarli con quelli puramente

strutturali e dedurre l’influenza dell’aerodinamica sui modi di vibrare. Tale procedura

viene ovviamente ripetuta sul più ampio range possibile di velocità ridotte.

Forcedmotionmethod: E’ un metodo più costoso ma anche più affidabile rispetto al

precedente. Consiste nell’imporre un movimento armonico al modello sotto l’azione del

vento medio e misurare, attraverso un’opportuna distribuzione di prese di pressione

piuttosto che attraverso l’utilizzo di bilance multidirezionali, le componenti di forza

aerodinamica di interesse. Le prove vengono eseguite a vari angoli di incidenza in modo

tale da quantificare anche l’influenza dell’angolo medio.

L’attività che verrà nel seguito descritta si basa su un approccio innovativo nella

descrizione sperimentale dei coefficienti aerodinamici degli impalcati, considerando

oggetto delle prove un modello sezionale deformabile, che si propone di trarre i vantaggi

propri dei modelli sezionali eliminando, almeno in parte, gli aspetti negativi dell’utilizzo

di questo tipo di modello.

Un oggetto di questo tipo infatti permette l’utilizzo di una scala geometrica più grande,

con tutti i vantaggi nella descrizione dell’aerodinamica che ne derivano, senza dover

necessariamente ricorrere a un modello rigido. Le prove eseguite sono state di tipo statico,

per identificare la polare della sezione, e di tipo dinamico, con l’intento di identificare le

flutter derivatives. Quest’ultime sono prove di moto imposto attraverso l’utilizzo di un

tavolo vibrante.

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Model setup

Figura 24-Schema BB3 (in alto) e della sua sezione (in basso)

Il modello sezionale dell’impalcato è rappresentativo del Third Bosphorus Bridge (BB3),

un ponte situato ad Istanbul, Turchia, che attraversa lo stretto del Bosforo ed è destinato

sia al traffico veicolare che ferroviario.

Progettato secondo una configurazione ibrida strallato-sospeso vanta una lunghezza

complessiva di circa 2100 m su tre campate (con la campata più lunga che misura oltre

1400 m) e una lunghezza in corda di 60 m.

Il modello, in dotazione alla Galleria del Vento del Politecnico di Milano, è stato costruito

e utilizzato nel 2014 in seguito alla richiesta, da parte dei progettisti, di valutare

sperimentalmente gli effetti del distacco di vortici per questa struttura (VIV-

VortexInducedVibrations).

L’attività sperimentale contestualmente svolta è stata indirizzata a investigare il

fenomeno in diverse configurazioni dell’impalcato (con o senza barriere antivento per il

traffico veicolare e ferroviario) oltre che a valutare i profili di velocità del vento sul piano

stradale.

Il progetto del modello sezionale è stato condotto seguendo le indicazioni fornite dal

cliente considerando una scala geometrica 𝜆𝐿 = 1: 50 ed è realizzato affinché simuli i

primi tre modi propri torsionali.

Il modello è caratterizzato da una corda 𝐵 = 1.17 𝑚 per una lunghezza complessiva

𝐿 = 8 𝑚, ed è costituito da venti moduli separati l’uno dall’adiacente da uno spazio

∆= 1 𝑚𝑚.

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Figura 25-Modello in galleria del vento (alto) e sue dimensioni principali (basso)

Ciascun modulo è costruito con un rivestimento non strutturale in fibra di carbonio, per

garantire alte prestazioni in termini di rigidezza e leggerezza, che riproduce l’esatta

geometria della sezione del ponte e da un diaframma di rinforzo, che garantisce la

rigidezza torsionale e funge da collegamento con la parte strutturale.

Le caratteristiche di rigidezza sono riprodotte grazie all’impiego di un tubo d’acciaio a

sezione cava circolare.

Complessivamente il modello si presenta con una configurazione a spina in cui il tubo,

in cui sono concentrate le caratteristiche strutturali, riproduce l’asse della trave e i singoli

moduli, opportunamente inseriti intorno alla parte strutturale, riproducono la geometria

della sezione e la maggior parte della componente inerziale.

Il tubo d’acciaio è vincolato attraverso due coppie di gogne (una per lato) a due supporti

rigidi alti 1.5 m.

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Le catenarie, che assolvono il compito di sostenere staticamente il ponte, sono anch’esse

in acciaio e sono collegate all’impalcato attraverso tre coppie di molle, sceltein modo tale

da non influire sulla dinamica della struttura, mentre scaricano a terra grazie a dei pali di

supporto (alti 3.05 m).

I sopracitati pali di supporto sono stati opportunamente controventati e fissati alla

piattaforma della galleria affinché garantiscano proprietà di rigidezza tali da risultare

dinamicamente disaccoppiati dal resto della struttura.

Una prima caratterizzazione del comportamento dinamico del ponte è stata condotta

grazie a una serie di prove di decay (analisi del moto libero con condizioni iniziali

imposte) e di moto forzato, in condizioni di quiete aerodinamica, grazie alle quali è stato

possibile individuare le frequenze proprie strutturali del sistema e i corrispondenti valori

di smorzamento modale, ottenuti utilizzando la trasformata di Hilbert.

Modo f (Hz) Deformata 𝝃𝑺𝑻𝑹𝑼(-)

1 1.3 1𝑆𝑇 Verticale 0.35-0.4%

2 3.1 2𝑆𝑇 Verticale 0.24-0.25%

3 3.9 1𝑆𝑇 Torsionale 0.14-0.15%

4 6 3𝑆𝑇 Verticale 0.16-0.17%

5 7.8 2𝑆𝑇 Torsionale 0.12-0.3%

6 9.8 4𝑆𝑇 Verticale 0.15-0.17%

7 11.4 3𝑆𝑇 Torsionale 0.15-0.30%

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Figura 26-Dettaglio del modello: gogne (alto, sinistra), molle (alto, destra), CAD del modulo (centro, sinistra), modulo

(centro, destra), pali controventati (basso, sinistra) e impalcato (basso, destra)

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Strumentazione

Prese di pressione: Le prese di pressione sono state installate nei moduli in

corrispondenza delle sezioni di mezzeria e a un quarto della lunghezza, secondo due

distribuzioni anulari lungo il perimetro della sezione, ciascuna delle quali avente 128

prese di pressione.

Il sistema è progettato per misurare la distribuzione di pressione contemporaneamente

attraverso le 256 prese poste sul modello.

Tale presupposto è stato realizzato utilizzando il sistema di acquisizione ad alta frequenza

QUADdaq (Chell Instruments) e scanner di pressione ESP (Pressure System) piccoli a

sufficienza da poter essere inseriti all’interno del modulo.

Gli scanner sono realizzati con una schiera di 32 sensori di pressione piezoresistivi in

silicone, corrispondenti ciascuno ad una presa di pressione cui sono collegati attraverso

dei tubi in PVC.

La possibilità di inserire gli scanner dentro il modulo stesso, permette di diminuire la

lunghezza del tubo di collegamento e conseguentemente lo sfasamento dovuto alla

risposta in frequenza del segnale.

Comunque i dati di pressione sono stati corretti in tal senso grazie all’impiego di una

funzione di trasferimento, controllata con la lunghezza del tubo, sviluppata nel corso degli

anni presso il Politecnico di Milano.

Accelerometri: Un set di otto accelerometri MEMS (Micro-Electro-Mechanical-Systems)

è stato predisposto su due schiere da quattro, la prima sul bordo d’attacco (UpWind-Uw)

e la seconda sul bordo d’uscita (DownWind-Dw), per misurare le accelerazioni e ricavare

gli spostamenti verticali e rotazionali della sezione attraverso le relazioni:

𝑧 =𝑧𝑢𝑤 + 𝑧𝑑𝑤

2

𝜃 =𝑧𝑢𝑤 − 𝑧𝑑𝑤

𝐵

La posizione delle coppie di accelerometri è stata scelta tenendo in considerazione diversi

fattori tra cui la possibilità di misurare bene gli spostamenti nei ventri delle principali

deformate modali, avere un’idea precisa degli spostamenti cui sono soggette le due

sezioni con prese di pressione e la sezione cui si vincola lo shaker.

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Figura 27-Posizioni prese di pressioni sezione 1 (uguale per sezione 2)

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Figura 28-Posizione accelerometri (quadrati neri), prese di pressione (linee tratteggiate) e posizione shaker

Figura 29-Modulo con prese di pressione (alto) e scanner (basso)

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Attuatore elettrodinamico: Nelle prove di moto imposto ci si è avvalsi dell’utilizzo di un

attuatore elettrodinamico (tavolo vibrante, shaker) grazie al quale è stato possibile

sollecitare il modello.

La scelta dello shaker è stata dettata dall’esigenza di riuscire a forzare il modello in

risonanza, considerando gli effetti dissipativi dello smorzamento aerodinamico,

garantendo un movimento oscillatorio tale che:

𝛼𝑑𝑦𝑛 = ±2°

𝛼𝑑𝑦𝑛 = 𝜃 𝑝𝑒𝑟 𝑖 𝑚𝑜𝑡𝑖 𝑡𝑜𝑟𝑠𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑖

𝛼𝑑𝑦𝑛 =�̇�

𝑉 𝑝𝑒𝑟 𝑖 𝑚𝑜𝑡𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑡𝑖𝑐𝑎𝑙𝑖

Più precisamente si è proceduto, considerando una stima dello smorzamento

aerodinamico basato sulla TQS, a calcolare la componente lagrangiana di forza necessaria

a garantire il movimento imposto.

Successivamente si è ricavata la forza in coordinate fisiche a seconda della posizione

scelta per forzare il sistema.

Per evitare problemi pratici legati al movimento di un oggetto molto massiccio come lo

shaker si è scelto la posizione a un quarto dell’impalcato, frutto di un’analisi di

ottimizzazione.

Lo shaker scelto garantisce i requisiti necessari al forzamento sia in termini di forza e

frequenza che in termini di escursione della massa oscillante.

I modi verticali sono stati forzati collegando il tavolo vibrante direttamente all’asse della

trave mentre per i torsionali si è scelta una soluzione con un solo collegamento in

prossimità del bordo d’attacco. Si noti che per quanto riguarda quest’ultima scelta è stato

verificato, attraverso opportune analisi e conferme sperimentali, che la componente di

spostamento verticale, associato al forzamento disassato del modello, risulta essere molto

smorzata (le frequenze verticali e torsionali sono ben separate).

Lo strumento è stato dotato di un sistema di ventilazione interno per evitare problemi

legati al surriscaldamento dell’avvolgimento elettrico.

Contestualmente si è fatto uso anche di un sistema di laser, posizionato in corrispondenza

della sezione di mezzeria per valutare l’angolo medio statico effettivo, mentre la velocità

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di riferimento della galleria è stata misurata attraverso un tubo di Pitot posto davanti al

modello, in prossimità della sezione mediana, ad un’altezza ℎ = 1.5 𝑚.

Figura 30-Accelerometro (alto, sinistra), tavolo vibrante (alto, destra), tubo di Pitot (basso, sinistra) e laser (basso,

destra)

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Analisi dei dati

Le prove statiche sono state effettuate non solo per ricavare la polare dell’impalcato ma

anche per valutare gli effetti deformabili del ponte, ricordando che le flutter derivatives

presentano una forte dipendenza con l’angolo medio.

Le prove sono state eseguite per varie velocità medie di galleria e facendo ruotare il

profilo nel range dì interesse. Delle correzioni sono state applicate utilizzando il laser per

la misura dell’angolo di rotazione effettivo che consideri anche gli effetti deformabili

della struttura.

Figura 31-Coefficienti statici BB3 (alto) e loro derivate (basso)

Per ciò che riguarda le prove dinamiche, tutto ad angolo di incidenza iniziale nullo, il

lavoro di post processing ha richiesto un impegno superiore e a tutt’oggi è oggetto di

studio da parte del gruppo di lavoro di ingegneria del vento del Politecnico di Milano.

Quando si utilizza un modello sezionale rigido si possono controllare facilmente,

attraverso il sistema di sostegno e quello di forzamento, tutti i gradi di libertà del sistema,

nascondendo di fatto gli effetti dell’accoppiamento aeroelastico, ricavando il singolo

coefficiente aerodinamico in condizioni deterministiche.

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Le flutter derivatives si ricavano infatti per via indiretta attraverso le misure dei

coefficienti di forza per moto imposto, nel nostro caso linearizzato, grazie all’impiego

delle matrici aerodinamiche, ricavate secondo la formulazione di Zasso, si può risalire a

un’espressione per ricavare i coefficienti:

{

𝑐𝐷𝑑𝑦𝑛

𝑐𝐿𝑑𝑦𝑛

𝑐𝑀𝑑𝑦𝑛

} = ([𝐾𝐴𝐸𝑅𝑂] + 𝑗𝜔[𝑅𝐴𝐸𝑅𝑂]){𝑋}

Isolando rispetto ai coefficienti da ricavare si ottiene un sistema lineare del tipo:

[

0 00 0

0 00 0

0 0𝑘25𝑍 𝑘26𝜃

𝑘17𝜃 𝑘18𝑍0 0

0 0𝑘41𝑍 𝑘42𝜃

𝑘33𝜃 𝑘34𝑍0 0

0 00 0

0 00 0

]

{

𝑎1𝑎2𝑎3𝑎4ℎ1ℎ2ℎ3ℎ4}

= {

𝑟𝑒𝑎𝑙(𝑐𝐿)𝑖𝑚𝑎𝑔(𝑐𝐿)𝑟𝑒𝑎𝑙(𝑐𝑀)𝑖𝑚𝑎𝑔(𝑐𝑀)

}

Dove:

𝑘17 = 1;

𝑘18 =𝜋

2𝑉𝜔∗2𝐵;

𝑘25 =𝜔

𝑉;

𝑘26 =𝜔𝐵

𝑉;

𝑘33 = 𝐵;

𝑘34 =𝜋

2𝑉𝜔∗2;

𝑘41 = 𝑘26;

𝑘42 = 𝑘26𝐵;

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Tale sistema, rappresentativo di una unica misura, può essere scritto in forma compatta:

𝐴𝑖𝑥 = 𝑏𝑖

In cui x è il vettore contenente tutte le flutter derivatives incognite, b è il vettore delle

misure aerodinamiche e A è la matrice dei coefficienti, mentre il pedice i rappresenta il

numero della misura preso in considerazione

Osservando la composizione delle matrici rappresentative del sistema lineare da risolvere,

si può facilmente intuire come nel caso di sistema accoppiato, quindi il nostro caso, il

sistema risulti sottodeterminato (m<n) e un approccio deterministico, tipico per l’utilizzo

di modelli sezionali rigidi, non è adeguato.

Per ovviare si è sviluppato un metodo basato su una minimizzazione ai minimi quadrati

del residuo.

Praticamente, ci si è mossi analizzando più prove insieme, raggruppandole ovviamente

secondo i valori della velocità ridotta, in modo da rendere il sistema sovradeterminato ed

eseguirne la minimizzazione.

Formalmente, considerando un raggruppamento di N prove:

[𝐴1𝐴𝑖𝐴𝑁

] {𝑥} = {

𝑏1𝑏𝑖𝑏𝑁

}

Con i=1,2…N. In forma compatta si avrà:

𝐴𝑥 = 𝑏

Tenendo presente l’utilizzo di due sezioni aerodinamiche per le misure dei coefficienti,

sono state implementate tre versioni differenti del metodo, basate sull’utilizzo o meno di

una matrice di pesi, come verrà spiegato più approfonditamente nel seguito.

Inizialmente si è scelto di non pesare il sistema e, nel seguito, si riportano gli andamenti

ricavati.

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Secondariamente, si è proceduto pesando le equazioni attraverso l’utilizzo di una matrice

di pesi P:

𝑃𝐴𝑥 = 𝑏

Dove la matrice di pesi P è una matrice diagonale i cui elementi, normalizzati, sono

l’inverso del rapporto tra varianza e media della misura aerodinamica considerata:

𝑝𝑖𝑖 = (𝜎𝑐𝑗𝜇𝑐𝑗)

−1

Dove σ è la varianza e μ la media e j=D,L,M.

Attraverso questa tecnica è stato possibile pesare meno le misure aerodinamiche che

presentano un alto rapporto tra varianza e media, evidentemente poco affidabili.

Infine, si è proceduto utilizzando una matrice dei pesi che però questa volta non vada a

valutare la bontà della misura aerodinamica ma l’input cinematico:

𝐴𝑃𝑥 = 𝑏

Anche in questo caso la matrice P è diagonale e i suoi termini avranno la stessa

espressione dei precedenti, salvo che in questo caso non valutano la dispersione delle

misure aerodinamiche ma la dispersione delle misure di spostamento in ingresso.

Nel seguito si inseriscono i grafici ricavati dall’analisi ai minimi quadrati delle flutter

derivatives e le rappresentazioni in tempo e in frequenza di alcune delle misure effettuate.

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Figura 32-Minimi Quadrati, matrice di pesi sui coefficienti

Figura 33-Minimi Quadrati, pesi sulle equazioni

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Figura 34-Minimi Quadrati senza pesatura

Figura 35-Dettaglio misure di rotazione per primo modo torsionale, V=7.5 m/s

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Figura 36-Minimi Quadrati, matrice di pesi sui coefficienti

Figura 37-Minimi Quadrati, matrice di pesi sulle equazioni

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Figura 38-Minimi Quadrati senza pesatura

Da un’analisi dei grafici riportati risulta evidente come l’andamento dei risultati sia

influenzato dalla scelta della tecnica di pesatura.

Si può osservare come la scelta di pesare le equazioni (e quindi i coefficienti

aerodinamici) non rappresenti la via giusta per risolvere l’indeterminatezza del problema.

Pesando le equazioni infatti, tutti i termini cinematici avranno la stessa influenza sul

calcolo dei coefficienti aerodinamici, indipendentemente dal tipo di moto che si sta

imponendo.

La rappresentazione senza matrice di pesi non valuta in alcun modo la bontà della misura

e, pertanto, potrebbe usare dei dati viziati da rumore.

Si consideri ad esempio il forzamento del primo modo verticale.

Le due sezioni equipaggiate con le prese di pressione saranno soggette ad ampiezze di

oscillazione diverse e, in particolare, il valore dell’ampiezza di oscillazione della seconda

può essere molto minore rispetto alla prima e, di conseguenza, l’influenza del rumore di

misura potrebbe essere rilevante.

Si è scelto pertanto di proseguire all’interpolazione delle flutter derivatives e

all’identificazione del modello reologico prendendo come riferimento l’analisi effettuata

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pesando le grandezze cinematiche in input. Per alti valori di velocità ridotta, si è imposta

la congruenza con la TQS.

Figura 39-Flutter derivatives BB3 interpolate

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Identificazione modello reologico

In questa sezione si presenteranno criticamente i risultati dell’identificazione dei

parametri del modello reologico basati sui coefficienti aerodinamici in condizioni non

stazionarie.

Si sorvolerà sulle basi teoriche, la definizione delle funzioni di trasferimento e sulla

imposizione dei vincoli della minimizzazione, già ampiamente trattati nei capitoli

precedenti.

Figura 40-Funzione di trasferimento L-z

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Figura 41-Funzione di trasferimento L-θ

Figura 42-Funzione di trasferimento M-z

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Figura 43-Funzione di trasferimento M-θ

Osservando gli andamenti delle curve, è possibile notare come, a fronte di una globale

coincidenza degli andamenti, per bassi valori di k le due funzioni tendano a divergere

l’una dall’altra.

Ciò è dovuto al fatto che ci troviamo in una regione di frequenza ridotta per cui non

esistono dati sperimentali.

Nella tabella sottostante sono riportati il numero di sistemi reologici utilizzati nel

processo di identificazione, sottintendendo l’utilizzo di un singolo sistema di ordine 0 per

ciascuna delel D-y, D-z, D-θ, L-y e M-y, identificate sulla base di flutter derivatives

costanti e congruenti con la TQS.

Ordine 0 Ordine 1 Ordine 2

L-z 1 1 1

L-θ 0 2 3

M-z 1 1 2

M-θ 2 1 1

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Ricordando che si aggiunge un grado di libertà per ogni modello di ordine 1 e 2 e

considerando l’utilizzo di venti sezioni aerodinamiche, al sistema verranno aggiunti

complessivamente:

𝑛𝑔𝑑𝑙 𝑎𝑔𝑔𝑖𝑢𝑛𝑡𝑖𝑣𝑖 = [(5 × 1) + (7 × 1)] × 20 = 240

Il numero di gradi di libertà che si aggiungono al sistema è un parametro fondamentale

nell’utilizzo di un modello reologico: la qualità dell’identificazione deve essere il più

economica possibile dal punto di vista computazionale.

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Conclusioni

Tale lavoro di tesi si inserisce all’interno di un progetto di ricerca più ampio e ancora in

corso presso il Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano.

Sono stati approfonditi due dei temi che caratterizzano questo progetto: la validazione del

modello reologico e l’utilizzo di un modello sezionale deformabile per l’identificazione

dei coefficienti aerodinamici non stazionari per gli impalcati di ponte.

L’utilizzo di un modello reologico ha dimostrato di essere una possibile via da seguire

per arrivare a definire un metodo che tenga in conto delle non linearità aerodinamiche,

dovute alla velocità ridotta, nel calcolo delle flutter derivatives. Recentemente è stata

proposta una sua implementazione all’interno di un Band Superposition method,

arrivando a definire una procedura che consideri tutte le non linearità presenti nella

descrizione dell’accoppiamento aeroelastico delle strutture da ponte.

Tuttavia, non fornendo una descrizione analitica di tali forze, resta vincolato alle

identificazioni sperimentali in galleria del vento delle flutter derivatives e, inoltre, il

criterio di scelta del numero di modelli da utilizzare è ancora oggetto di studio.

L’utilizzo di un modello sezionale aeroelastico, nonostante la procedura non banale e

sicuramente migliorabile per l’estrapolazione dei coefficienti aerodinamici dai dati,

rappresenta un’innovazione di primo piano: avendo la possibilità di alzare la frequenza

del forzamento infatti (le inerzie in gioco sono minori rispetto al sezionale), è possibile

investigare la zona a bassa velocità ridotta, dove i fenomeni non lineari sono più

importanti.

Grazie alla sua grande scala geometrica inoltre, permette di aprire nuove rotte nel campo

dell’investigazione aerodinamica degli impalcati di grande luce, passando da una

descrizione bidimensionale a una tridimensionale del campo fluidodinamico, studiando

l’effetto delle deformate modali sull’accoppiamento fluido-struttura.

Più in generale, l’utilizzo di un modello deformabile, coadiuvato da un opportuno

modello rigido, permetterebbe l’identificazione dei coefficienti d’interesse su tutto il

range di velocità ridotta desiderato: dalla zona fortemente instazionaria fino a quella quasi

statica.

Per economia, facilità di utilizzo e/o costruzione, si potrebbe pensare a progettare un

modello deformabile, sulla stessa falsa riga di quello utilizzato nella campagna

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sperimentale qui descritta, con dei moduli estraibili dalla struttura e facilmente utilizzabili

come modelli sezionali rigidi.

Avere a disposizione coefficienti aerodinamici fedelmente misurati su un range di

frequenze il più ampio possibile garantirebbe una progettazione aerodinamica delle

sezioni più consapevole, una certificazione delle strutture più rapida e precisa e

rappresenterebbe un notevole impulso alla ricerca del settore.

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APPENDICE A-Modellazione vento turbolento

Negli strati più bassi dell’atmosfera le masse d’aria in movimento risentono della

presenza del suolo in maniera tanto più importante quanto maggiore sia la rugosità del

luogo in esame. Gli effetti viscosi si manifestano non solo attraverso un profilo di velocità

media variabile con la quota (fino ad una quota detta gradientheight, funzione della

posizione geografica e della rugosità, dove tali effetti diventano trascurabili) ma anche

attraverso la formazione di vortici di varie scale di lunghezza, trasportati nella direzione

della corrente, responsabili della natura turbolenta del vento nella bassa troposfera. Il

profilo di velocità avrà una parte media e una parte fluttuante e il suo andamento è

fortemente irregolare.

Il campo fluidodinamico atmosferico è dunque una funzione del tempo e dello spazio e

la sua natura rende molto difficile un approccio deterministico per la sua descrizione.

D’altro canto è però possibile descrivere in maniera completa (almeno per gli interessi

dell’ingegneria del vento) tale campo di moto facendo riferimento a poche grandezze

stocastiche, le quali permettono, coadiuvate da opportune misure metereologiche, di

correlare temporalmente e spazialmente le varie componenti di velocità:

Intensità di turbolenza: E’ il rapporto tra la deviazione standard della velocità e la velocità

media ed è funzione della quota z:

𝐼𝑢(𝑧) =𝜎𝑢(𝑧)

𝑈(𝑧)

𝐼𝑣(𝑧) =𝜎𝑣(𝑧)

𝑈(𝑧)

𝐼𝑤(𝑧) =𝜎𝑤(𝑧)

𝑈(𝑧)

Dove i pedici u,ve w rappresentano le componenti di velocità turbolenta allineata con la

direzione del vento, normale laterale e normale verticale rispettivamente.

Densità spettrale di potenza: Rappresenta il contenuto energetico del segnale ad ogni

frequenza ed è definito come la trasformata di Fourier dell’autocorrelazione di un segnale:

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𝑆𝑥𝑥(𝑓) = ∫ 𝑅𝑥𝑥(𝑡)𝑒−𝑗2𝜋𝑓𝑡

+∞

−∞

𝑑𝑡

Lunghezza di scala integrale: Rappresenta una misura della grandezza dei vortici in una

data direzione ed è data dall’integrale della cross-correlazione tra due punti lungo la

direzione stessa:

𝐿𝑢𝑥 = ∫ 𝑅𝑢(𝑟𝑥)𝑑𝑟𝑥

0

In questo esempio si è considerata la componente di velocità turbolenta lungo la direzione

del vento medio.

Funzione di coerenza: Permette di correlare spazialmente la turbolenza e, secondo la

derivazione empirica formulata da Davenport, può essere espressa:

𝛾𝑢𝑢(𝛥𝑥, 𝑓) = 𝑒−(𝐶𝑥

𝛥𝑥∙𝑓

𝑈)

Dove la costante non dimensionale di decadimento Cx è la costante di correlazione

spaziale, Δxrappresenta una generica distanza lungo il medesimo asse, f la frequenza e U

la velocità media.

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Sulla base di questa trattazione è possibile determinare numericamente una griglia del

vento nel luogo d’interesse nei quali nodi si generano le storie temporali delle varie

componenti turbolente (per gli impalcati si trascura la componente in direzione dell’asse

del ponte). La generazione di tali storie temporali è un passaggio delicato sia per

l’importanza qualitativa che ricopre all’interno dell’analisi, permettendo di passare da un

approccio stocastico a uno deterministico, sia per il costo computazionale che richiede.

Come primo passo, è necessario definire la cross spectraldensitymatrix(XPSD) i cui

elementi sono le densità spettrali di potenza (PSD) dirette e incrociate delle varie

componenti di vento turbolento per ogni sezione aerodinamica, per un totale di (2n)2

elementi, essendo n il numero di sezioni aerodinamiche, a una data frequenza f.

Estendendo il ragionamento a tutto l’insieme di frequenze discrete d’interesse la XPSD

diventa una matrice rettangolare di dimensioni (2𝑛 ∙ 2𝑛 ∙ 𝑛𝑓 ) dove nf è il numero di

frequenze discrete, scelto sufficientemente alto da garantire una buona riproduzione dello

spettro. Ciascuna delle sottomatrici (2𝑛 ∙ 2𝑛), corrispondente a una singola frequenza

discreta fk , è organizzata secondo l’ordine del vettore delle velocità turbolente B:

𝐵 = [𝑣1 𝑤1 𝑣2 𝑤2 ⋯ 𝑣𝑖 𝑤𝑖 ⋯ 𝑤𝑛]𝑇

Dove v e w sono le componenti di velocità turbolenta orizzontale e verticale.

Conseguentemente, la XPSD nella sua forma generale avrà la seguente espressione:

𝑆(𝑓) =

[ 𝑆𝑣𝑣(1,1)(𝑓) 𝑆𝑣𝑤

(1,1)(𝑓)

𝑆𝑤𝑣(1,1)

(𝑓) 𝑆𝑤𝑤(1,1)

(𝑓)⋯

𝑆𝑣𝑣(1,𝑖)

(𝑓) 𝑆𝑣𝑤(1,𝑖)

(𝑓)

𝑆𝑤𝑣(1,𝑖)

(𝑓) 𝑆𝑤𝑤(1,𝑖)

(𝑓)⋮ ⋱ ⋮

𝑆𝑌𝑀𝑀 ⋯𝑆𝑣𝑣(𝑖,𝑖)(𝑓) 𝑆𝑣𝑤

(𝑖,𝑖)(𝑓)

𝑆𝑤𝑣(𝑖,𝑖)(𝑓) 𝑆𝑤𝑤

(𝑖,𝑖)(𝑓) ]

Dove:

𝑆𝑣𝑣(𝑖,𝑖)(𝑓)e 𝑆𝑤𝑤

(𝑖,𝑖)(𝑓) sono gli autospettri delle componenti v e w sullo stesso nodo i;

𝑆𝑣𝑤(𝑖,𝑖)(𝑓) = 𝑆𝑤𝑣

(𝑖,𝑖)(𝑓)sono gli spettri incrociati delle componenti v e w sullo stesso

nodo i;

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𝑆𝑣𝑣(𝑖,𝑗)

(𝑓)e 𝑆𝑤𝑤(𝑖,𝑗)

(𝑓) sono gli autospettri delle componenti v e w su due nodi diversi

i e j;

𝑆𝑣𝑤(𝑖,𝑗)(𝑓) 𝑒 𝑆𝑤𝑣

(𝑖,𝑗)(𝑓)sono gli spettri incrociati delle componenti v e w su due nodi

diversi i e j, considerati sempre uguali a zero;

Il metodo usato per ricostruire le storie temporali consiste in una sovrapposizione di

armoniche basata sulla decomposizione secondo Cholesky della matrice spettrale.

A titolo di esempio, si consideri la componente longitudinale di velocità turbolenta agente

sull’i-esima sezione aerodinamica:

𝑣𝑖(𝑡) = ∑𝐴𝑘 cos(2𝜋𝑓𝑘𝑡 + 𝜙𝑘)

𝑁

𝑘=1

Con l’ampiezza definita come:

𝐴𝑘 = √2𝛥𝑓𝑆𝑣𝑣(𝑖,𝑖)(𝑓𝑘)

Figura 44-Storia temporale componente turbolenta del vento atmosferico

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