Polis n° 2 aprile 2009

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pol . is Giorgio Napolitano Giuliano Cazzola . Pietro Ichino . Vincenzo Visco Comandini Stefano Gori . Alberto Benzoni . Franco Sircana Luigi Covatta . Vincenzo Susca . Ornella Kira Pistilli NUOVA SERIE - anno 2 - n° 2 - aprile 2009 Direttore Enrico Manca Spedizione di stampe in abbonamento postale di cui alla lettera C) del comma 2 dell’art. 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 862 per la riforma della politica e delle istituzioni

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rivista riformista politica e istituzioni

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pol.ispol.isper la riform

a della politica e delle istituzioni

Giorgio NapolitanoGiuliano Cazzola . Pietro Ichino . Vincenzo Visco Comandini

Stefano Gori . Alberto Benzoni . Franco Sircana Luigi Covatta . Vincenzo Susca . Ornella Kira Pistilli

NUOVA SERIE - anno 2 - n° 2 - aprile 2009

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ALBERTO ABRUZZESE – Università IULM di Milano

ROBERTO ALIBONI – Vice Presidente Istituto Affari Internazionali

SEBASTIANO BAGNARA – Università degli Studi di Sassari-Alghero

LUCIANO BENADUSI – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

SARA BENTIVEGNA – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

ALBERTO BENZONI – Politologo

ROBERT CASTRUCCI – Assegnista di Ricerca, Università degli Studi Roma Tre

GIULIANO CAZZOLA – Deputato al Parlamento

DANIELE CIRIOLI – Fondazione Marco Biagi

VINCENZO VISCO COMANDINI – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

LUIGI COVATTA – Vice Direttore Pol.is

MASSIMO DE ANGELIS – Politologo

MOISÉS DE LEMOS MARTINS – Università do Minho di Braga (Portogallo)

GIANNI DE MICHELIS – Presidente Ipalmo

STEFANO GORI – Bristol Business School

PIETRO ICHINO – Senatore della Repubblica

ORNELLA KYRA PISTILLI – Antropologa

ANTONIO LANDOLFI – Presidente della Fondazione Giacomo Mancini

FABIO LA ROCCA – CeaQ, Università di Parigi “La Sorbonne”

ANDREA MALAGAMBA – Dottore di Ricerca Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

CLAUDIA MANCINA – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

PAOLO MANCINI – Università degli Studi di Perugia

MAURO MARÉ – Università degli Studi della Tuscia

MARIO PIREDDU – Università degli Studi Roma Tre

ANTONIO RAFELE – Università di Torino

FRANCO SIRCANA – Vice Direttore Pol.is

VINCENZO SUSCA – CeaQ, Università di Parigi “La Sorbonne”

FEDERICO TARQUINI – Dottorando di Ricerca Università IULM di Milano

TITO VAGNI – Dottorando di Ricerca Università IULM di Milano

ALBERTO ZULIANI – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

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Direttore Enrico Manca

ISBN 978-88-95923-19-2

02/2009

Spedizione di stampe in abbonamento postale di cui alla lettera C) del comma 2 dell’art. 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 862

per la riforma della politica e delle istituzioni

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Direttore Enrico Manca

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pol.isper la riforma della politica e delle istituzioni

DirettoreEnrico Manca

VicedirettoriLuigi Covatta, Franco Sircana

Comitato EditorialeAlberto Abruzzese – Università IULM di MilanoRoberto Aliboni – Vice Presidente Istituto Affari InternazionaliSebastiano Bagnara -Università di Sassari-AlgheroLuciano Benadusi – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”Alberto Benzoni – PolitologoEnzo Cheli – Università degli Studi di FirenzeDerrick de Kerckhove – Direttore dell'Istituto McLuhan di Cultura e Tecnologia dell'Università di TorontoAlberto Gaston – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”Antonio Golini – Università di Roma “La Sapienza”Antonio Landolfi – Presidente della Fondazione Giacomo ManciniMichel Maffesoli – “La Sorbonne”, ParigiClaudia Mancina – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”Paolo Mancini – Università di PerugiaMaria Luisa Maniscalco – Università di Roma TreMauro Maré – Università de La TusciaStefano Rolando – Università IULM di MilanoAlberto Zuliani – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Coordinamento EditorialePiero Pocci

Capo RedattoreMaurizio Persiani

In RedazioneLorenza BonaccorsiRobert CastrucciVincenzo Visco ComandiniVincenzo Susca

Segretaria di RedazioneAnnalisa Simbari

Pol.isrivista di cultura politica edita dall’Associazione Pol.is – Centro di iniziativa politico-culturale

via del Boschetto, 68 – 00184 Romatel. 346 00 40 287p.iva 09319481009www.pol-is.it

Autorizzazione del tribunale di Milano n. 94/2007 del 20/02/07

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Progetto graficoAlessio Scordamaglia

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StampaFinito di stampare nel mese di aprile 2009 presso Digital Print – Milano

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SOMMARIO

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Enrico MancaLa debolezza dell’opposizione è un rischio per una dialettica democratica forte e vitale 5

Giorgio NapolitanoQuestione meridionale e politiche euromediterranee 9

Primo piano

Franco SircanaEuropa 12

Vincenzo Visco Comandini e Stefano GoriIl conto che potrebbe spaccare l’Europa 19

Alberto BenzoniAfghanistan: “vincere” ma per potersene andare 29

Focus

Luigi CovattaUno spazio impervio per la sinistra 35

Giuliano Cazzola e Daniele Cirioli Il modello italiano di protezione del lavoro 39

Pietro Ichino Lombardia e Calabria 2013: la valutazione dell’efficienza dei servizi 67

Dibattito sull’università

Luciano BenadusiUn’università da (ben) riformare ma non da buttar via 73

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SOMMARIO

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Immaginario – Il mondo di Facebooka cura di Vincenzo Susca

Vincenzo SuscaLa ricreazione della vita elettronica 89

Ornella Kyra PistilliCodici di attrazione 97

Mario PiredduFakebook: essere insieme, umanamente 103

Fabio La RoccaDialogo con Moisés Martins: l’esposizione in rete della vita quotidiana 109

Federico TarquiniLa distrazione comunitaria 115

Tito VagniDalla bacheca di partito alla bacheca di Facebook 121

Andrea Malagamba e Antonio RafeleUna stanza tutta di specchi. Facecode e libertà 127

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Enrico Manca

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’è un rischio democratico, in Italia? Penso di no. Ma unademocrazia è vitale se realizza una forte dialettica tra unamaggioranza che governa ed una opposizione che control-

la. Quel che preoccupa, in questa fase, è da un lato una certa in-determinatezza valoriale di una maggioranza forte ma anche com-posita; problema questo di particolare importanza in una fase incui si prospetta un significativo mutamento nell’articolazione enei meccanismi del Governo del Paese; e dall’altra l’insufficien-za (è di questa, in particolare, che vogliamo occuparci in questoarticolo) di una opposizione politica, programmatica, progettua-le in grado di essere all’altezza delle sfide di questo tempo e tale,quindi, da rendere viva, costruttiva e positiva la dialettica demo-cratica. Non che sulla carta non vi sia una opposizione. Anzi cen’è più di una: il Partito Democratico; l’Italia dei Valori; il cantie-re in ri-costruzione della Sinistra antagonista; l’Unione di cen-tro. E, poi, c’è l’opposizione sindacal-politica: la CGIL; e anco-ra… “La Repubblica”, riconosciuto king maker del PD. (Interes-sante ed indicativa al riguardo la lettera al Direttore del giornaledi uno stimato e stimabile esponente di lungo corso del PC-PDS-DS e ora del PD, Alfredo Raichlin, nel numero di sabato 4 apri-le u.s.). Ma si tratta di un’opposizione che non si è ancora inter-rogata a sufficienza sul significato profondo dei suoi insuccessi,legati certo al fallimento del Governo di coalizione guidato daRomano Prodi, ma non solo. Ne è un esempio lampante l’usci-

La debolezzadell’opposizione è un

rischio per una dialetticademocratica forte e vitale

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La debolezza dell’opposizione è un rischio per una dialettica democratica forte e vitale

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ta di scena della segreteria virtual-mediatica di Walter Veltroni.Le sue dimissioni seguite alla sconfitta sarda non sono state pre-cedute né seguite da una discussione politica aperta e trasparen-te, e da un forte confronto tra posizioni diverse. Si è, invece, pre-ferito mettere la testa sotto la sabbia. L’esame di coscienza è anco-ra una volta rinviato in attesa delle elezioni europee, che il PDaffronterà, però, privo di un forte contrassegno identitario. L’in-sufficiente riflessione sul passato, l’assenza di una risposta con-vincente agli interrogativi del presente, rischia di fare emergereun’opposizione che “rivendica” ma non riesce ad indicare, in pa-ritempo, i cambiamenti possibili in grado di misurarsi realistica-mente con la devastante macro-crisi di questa fase mutante delcapitalismo. Questo tipo di opposizione ottiene, non di rado, l’ef-fetto paradosso di ingigantire il “FARE” del Presidente del Con-siglio e del Governo; di fare emergere le azioni anticrisi del Mini-stro del Tesoro come le uniche credibilmente in campo. E que-sto vale anche per la costante sottolineatura polemica del dinami-smo internazionale di Silvio Berlusconi, spesso praticato fuoridagli schemi del politically correct diplomatico. Questa conti-nua uscita fuori dalle righe è in parte frutto del carattere estro-verso del Presidente del Consiglio, ma non di rado si tratta discelte fatte consapevolmente per il timore di “mummificarsi” neimusei delle cere delle foto ricordo dei grandi del mondo e pernon “allentare” neanche per un attimo il suo ricercato rapportodiretto e personale con il “popolo”. A sinistra si continua spes-so a considerare ancora la presenza di Silvio Berlusconi come unepi-fenomeno passeggero. Ciò nasce dal fatto che non sono sta-ti fatti ancora, fino in fondo, i conti con ciò che significa questopassaggio epocale. Ripensare il passato per vivere adeguatamen-te il presente e progettare credibilmente il futuro: questo il trian-golo della storia attorno a cui potrebbe ri-costruirsi una sinistrariformista in grado di inverare oggi in Italia una democrazia vi-tale fondata su una dialettica reale per costruire una alternativapossibile che faccia perno su alcuni temi e, in alcune circostanze,su possibili incontri tra maggioranza e opposizione su questionidecisive che attengono alla vita dei cittadini e all’interesse na-zionale. Nell’ultimo numero di Pol.is abbiamo ripercorso la “viacrucis” delle occasioni mancate; delle delusioni sofferte. Abbiamoricordato come nel tempo vi sia stata una frettolosa ed inadegua-

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E D I T O R I A L E

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ta riflessione sulla passata esperienza comunista; e come una sif-fatta riflessione sia stata, peraltro, contraddetta con la cancellazio-ne (uno di quegli “ossimori” cari a D’Alema) della storia e dellacreatività programmatica, ideale e politica del socialismo rifor-mista italiano, preferendogli, in qualche caso, persino il dipietri-smo sfascista. Aver voluto dar vita ad un grande partito in gra-do di superare e unificare le culture riformiste del Paese metten-do all’angolo proprio quella parte del riformismo liberal-demo-cratico e liberal-socialista uscito vincente dalla storia, ma per-dente, per le ragioni ben note, nella vicenda della quotidianitàdella politica degli anni Novanta, è stato un errore gravido diconseguenze pratiche. Il risultato è stato di aver regalato politica-mente, culturalmente ed elettoralmente al PDL un’area liberalde-mocratica e liberalsocialista che, grosso modo, ha sempre rappre-sentato il 20-25% del corpo elettorale italiano. E non è un casoche oggi l’unico luogo in cui, pur con non poche contraddizio-ni, uomini della cultura liberal socialista e riformista hanno tro-vato collocazione sia il Governo espresso dal PDL. Ma c’è un se-condo errore: quello di aver pensato di mettere insieme in un so-lo partito laici e cattolici “in quanto tali”. Non si può conside-rare esaurita l’esperienza del partito dei cattolici e, in paritem-po, pensare di dare carattere fondativo di un partito al gruppocattolico in quanto tale. La contraddizione risulta evidente con-siderando il fatto che, mentre le differenza fra la cultura riformi-sta laica e quella cattolica sul terreno economico e sociale e delwelfare sono andate sempre più assottigliandosi fino quasi a scom-parire, hanno invece assunto una forte dimensione identitaria letematiche relative ai diritti eticamente sensibili che coinvolgonoquestioni essenziali attinenti alla vita e alla morte. Una differen-ziazione su questa tematica tra laici e cattolici è destinata nonad attenuarsi ma con l’avanzamento della scienza e delle tecnolo-gie presumibilmente a crescere. Non è un caso che la Chiesa cat-tolica viva oggi una stagione in cui il suo ruolo appare acquisiresempre maggiore rilievo anche grazie all’emergere di tematicheche coinvolgono sempre più credenti e non. Sono questi a cuiho fatto riferimento alcuni dei germi di crisi del Partito Demo-cratico senza la cui risoluzione è difficile pensare ad un suo “nuo-vo inizio”. Ed è bene anche che non ci si consoli nella facile illu-sione che la grande forza del PDL sia solo legata alla presenza di

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La debolezza dell’opposizione è un rischio per una dialettica democratica forte e vitale

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Silvio Berlusconi. Non sono pochi, infatti, a sinistra quelli cheaffidano al dopo Berlusconi una speranza di cambiamento e dirivalsa. Un atteggiamento di debolezza che si fonda su ipotesi in-certe, non programmabili e legate a vicende che possono averesbocchi anche radicalmente diversi tra loro. È vero che l’ amalga-ma del nuovo PDL è tutto da verificare. Ma va tenuto presente ilfatto che le componenti che ad esso hanno dato vita convivonoinsieme, in un modo o nell’altro, da oltre quindici anni e costitui-scono ormai un blocco sociale e di interessi non facilmente di-saggregabile. Va posta attenzione anche a quelle che possono ap-parire le contraddizioni interne al blocco moderato: esse possonoavere una doppia valenza, di debolezza ma anche di forza, cioèdi capacità di aggregare altri settori. Penso al caso “Fini”; l’ela-borazione del Presidente della Camera, innovativa rispetto allasua storia politica, va guardata con attenzione e rispetto. Ma po-trebbe essere una pericolosa illusione considerare l’atteggiamen-to del Presidente della Camera come un possibile bastone fra leruote nell’ingranaggio del PDL. È più probabile che questa posi-zione, permeata di laicità e sorretta dall’idea dell’inclusione inuna società destinata ad essere sempre più multiculturale e mul-tireligiosa, oltre ad essere interessante in sé, può avere la funzio-ne di calamitare consensi che altrimenti non andrebbero al PDL.È quindi consigliabile una maggiore prudenza in quegli esponen-ti dell’opposizione che vivono come realtà un loro evidente desi-derio: quello cioè che il Presidente della Camera sia il picconato-re del Polo di centro-destra. Sia che nel futuro diventi stabile lascelta bipolare o bipartitica; sia che il bipolarismo vada in crisi, c’èbisogno di un’opposizione che sia in grado di assolvere ad un ruo-lo decisivo per la vita democratica ed a costituire un’alternativaidentitaria credibile. In mancanza di ciò, le strade che si prospet-tano sono due: il consolidamento per lungo tempo del centro-destra, o una crisi del sistema politico con sbocchi imprevedibi-li. Quanto prima la sinistra riformista prenderà coscienza di que-ste problematiche meglio sarà per la democrazia italiana. Soloun dibattito ed un confronto chiaro, forte e trasparente che diavita ad una fase di riconosciuta lotta politica potrà far sì che al-l’interno del Partito Democratico possa emergere un nuovo grup-po dirigente all’altezza delle grandi sfide del nostro tempo.

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di Giorgio Napolitano

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a questione meridionale oggi, alla luce degli sviluppi dellepolitiche europee ed euro mediterranee, può essere decli-nata al punto di incrocio tra due problematiche: quella de-

gli squilibri tra il Nord e il Sud in Italia, cioè all’interno di unpaese europeo tra i fondatori della Comunità e dell’Unione e trai più impegnati da sempre, nel processo di integrazione; e quel-la degli squilibri tra la sponda Nord e la sponda Sud del Medi-terraneo. Problematiche, che vanno viste nella prospettiva di su-perare entrambi quegli squilibri in una visione di sviluppo uni-tario nazionale italiano ed euro mediterraneo.

Partendo comunque dalla distinzione tra i due versanti di que-sta riflessione, e dal richiamo al primo di essi, riprenderò innan-zitutto quel che ho già avuto modo di dire recentemente più vol-te. C’è stata, non si può nasconderlo, una drammatica caduta delgrado di attenzione da parte di tutte le forze rappresentative delpaese verso la realtà del Mezzogiorno e verso il tema del rappor-to tra Mezzogiorno e sviluppo nazionale. Ciò ha voluto anchedire, in concreto, da diversi anni a questa parte, una caduta degliinvestimenti ordinari dello Stato nelle regioni meridionali; men-tre è chiaro che altre risorse e forme di intervento per il Mezzo-giorno, in modo particolare i Fondi europei, dovrebbero avereun carattere addizionale e non sostitutivo.

Si pone in pari tempo la questione dell’impiego oculato e pro-duttivo delle risorse pubbliche disponibili nelle regioni del Mez-

Questione meridionale e politiche

euromediterranee

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Questione meridionale e politiche euromediterraneedi Giorgio Napolitano

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zogiorno, a cominciare dalle regioni dell’Obiettivo Uno verso cuisi sono indirizzati i fondi della politica di coesione della UE. E que-sto chiama in causa anche la responsabilità delle istituzioni rap-presentative dello stesso Mezzogiorno, perché la forza del meridio-nalismo storico è sempre consistita nel non ridursi alla sola denun-cia delle responsabilità delle classi dirigenti nazionali ma nel sa-per guardare criticamente anche all’interno del Mezzogiorno, del-la sua stratificazione sociale e della sua classe politica.I fondi europei rimandano a un grande significato, non abbastan-za riconosciuto di quella politica di coesione che ha rappresentato,come ci ricorda il suo ideatore Jacques Delors, uno sviluppo fon-damentale del processo di costruzione europea. Debbono però con-siderarsi insufficienti i risultati raggiunti, nel senso della riduzionedel divario tra Nord e Sud sul piano della dotazione di infrastruttu-re, della qualità dei servizi pubblici, dell’investimento in capitaleumano, del rendimento delle amministrazioni pubbliche.

Un bilancio critico che fa tutt’uno con quello della strategiadi nuova programmazione portata avanti in Italia nei confrontidel Mezzogiorno tra gli anni 1998 e 2008. Allo stato attuale nonè nemmeno dato sapere se il Quadro strategico nazionale appro-vato per il 2007-2013 resta tuttora valido e impegnativo, o se adesso sia destinato a seguire un puro e semplice vuoto di strategiaverso il Mezzogiorno.

Si tratta di nodi che richiamano quanto più volte ho sottoli-neato: da un lato cioè il dovere di solidarietà tra Nord e Sud, cheè garanzia costituzionale dell’unità nazionale, e dall’altro quel-l’impegno all’autocorrezione e all’innovazione che deve essereportato avanti nel Mezzogiorno. Un impegno, innanzitutto manon solo, sul piano del contrasto della criminalità organizzata,problema che rimane tuttora di enorme e grave importanza ai fi-ni generali dello sviluppo delle nostre regioni, e segnatamentedella Calabria come della Campania.

Si tratta di nodi da sciogliere più che mai in presenza di unacrisi come quella che sta investendo l’economia mondiale, euro-pea ed italiana: una crisi che sotto diversi aspetti trova particolar-mente vulnerabile il nostro Sud.

C’è egualmente da chiedersi quanto la crisi trovi particolar-mente vulnerabile il Sud del Mediterraneo, o come, all’opposto,una rinnovata cooperazione per lo sviluppo euromediterraneo

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P R I M O P I A N O

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possa rappresentare una leva importante per il superamento del-la crisi, vista anche come occasione di rinnovamento e non sol-tanto come un approccio difensivo e ripetitivo.

Come sappiamo, la politica di cooperazione euromediterra-nea ha già alle spalle i tredici anni trascorsi dall’avvio del pro-cesso di Barcellona. Penso, altresì, e ne siamo tutti coscienti, cheil futuro dell’Unione per il Mediterraneo è legato all’affermazio-ne nei fatti di una forte volontà politica orientata in questa di-rezione, senza ambiguamente bilanciarla con l’esigenza, pur im-portante, di rafforzare la politica orientale della UE.

Ma il futuro dell’Unione per il Mediterraneo è innanzituttolegato allo sviluppo di un processo di pace nel Medio Oriente e intutta la regione che lo circonda.

È ormai imperativo assillante per la comunità internazionaleriaprire la strada del dialogo e del negoziato che non deve esserecompromessa e bloccata dal durissimo scontro degli ultimi mesi.

Dal discorso del Presidente della Repubblica al convegno “Mezzogiorno Euromediterraneo”

Università Mediterranea di Reggio Calabria

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Franco Sircana

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l rinnovo del Parlamento euro-peo coincide con il trentennaledelle sue elezioni a suffragio uni-

versale diretto. Per merito dei trat-tati di Maastricht (1992) e di Am-sterdam (1997), il Parlamento ha ac-cresciuto il suo peso passando da unsemplice ruolo di tribuna e consul-tivo a quello di codecisore con ilConsiglio dei Ministri e di interlo-cutore della Commissione su mate-rie via via più rilevanti. Resta peròbasato su sistemi elettorali nazionalidiversi l’uno dall’altro e, menoma-zione seria per un parlamento, nonha potere di iniziativa sulle leggi, ri-servato invece alla Commissione eu-ropea, composta da persone cuimanca il crisma dell’elezione.

Marginalità italianaDa un punto di vista italiano saltaall’occhio la rarefazione della nostrapresenza di vertice: nel precedente

Parlamento formato per designazio-ne dei Parlamenti nazionali (1962-79) si incontrano ben tre presidentiitaliani su nove (Gaetano Martino,Mario Scelba, Emilio Colombo)mentre non v’è traccia di italiani trai dodici presidenti dal 1979 ad oggi:tre francesi, tre tedeschi, due spagno-li, un britannico, un irlandese, unolandese. Nel quadro istituzionaleeuropeo, l’Italia è stata compensata,a cavallo del secolo, da una robustapresenza a livello della Commissio-ne (prima i commissari Monti e Bo-nino, poi il presidente Prodi e ilcommissario Monti). Ma negli ulti-

Europa

Il PDL, scontando un successo del PPE, rivendica la presidenza del Parlamento europeo per un proprio eletto

Cosa c’è di meglio, per i governi degli Stati membri, di un sistema che consenteloro di continuare a prendere le decisioni che contano in seno al Consiglio deiMinistri dell’Unione, scaricandone i costi su un’organizzazione rappresentatacome tecnocratica, lontana, rarefatta, e nello stesso tempo caratterizzata daprocedure complesse, defatiganti e tutt’altro che trasparenti? E chi ha voluto chele procedure fossero tali, se non i Capi di Stato e di governo riuniti inConferenza intergovernativa?Cesare Pinelli, Pol.is dicembre 2008

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P R I M O P I A N O

13pol.is - aprile 2009

mi anni la presenza italiana si è no-tevolmente ridotta (e nel frattempo,sintomo non trascurabile, si è accen-tuata la tendenza a marginalizzare lalingua italiana negli usi ufficiali ri-spetto a inglese, francese, tedesco espagnolo).

Il Popolo delle Libertà, scontan-do un successo del Partito PopolareEuropeo e facendo valere il propriopeso di probabile prima formazionenell’ambito del PPE stesso, rivendicala presidenza del Parlamento euro-peo per un proprio eletto. Non è evi-dentemente una questione di puroprestigio: sarà un test importante perverificare il peso e la considerazionedel PdL e del nostro paese.

Successo conservatoreAlcune cause della marginalità ita-liana sono squisitamente politiche,attinenti al modo stesso di configu-rarsi dei soggetti politici italiani e al-la qualità e ai contenuti della loroproposta.

La sinistra, in particolare, non hasaputo creare le condizioni per “mo-netizzare” la più che decorosa presi-denza di Prodi, messa comunque inprogressivo risalto dalla qualità del-

l’azione del successore. La coinciden-za della leadership dell’Ulivo con lapresidenza della Commissione del-l’Unione europea significava unaforte proiezione della sinistra rifor-mista italiana sulla scena continen-tale, e comportava l’obbligo di unalinea e una proposta politica di rilie-vo europeo in grado di risolvere po-sitivamente la difforme configurazio-ne del soggetto politico italiano ri-spetto alle famiglie politiche in cuitradizionalmente i partiti degli altripaesi europei si riconoscono; fami-glie logore quanto si vuole, ma chela storia della costruzione europeadota pur sempre di fortissime creden-ziali, non certo scalfibili dalle va-ghezze di un Ulivo transatlantico. Ecomportava altresì l’obbligo di mo-tivare, in Europa, il mancato espli-cito riconoscimento dell’immaginee della storia di tutta l’area di sicuropedigree europeista (anzi, federali-sta) riconducibile sotto il nome di li-beralsocialismo, il 22% dell’eletto-rato italiano nel 1992. E oggi il PDsi ritrova ad essere assai più parteche non soluzione dei problemi cheattanagliano la sinistra riformista eu-ropea.

Diversa e positiva, sotto questoprofilo, la vicenda del PdL o megliodi Forza Italia, che ha risolto congrande chiarezza e tempestività poli-tica il nodo della sua appartenenzaeuropea scegliendo sin dal 1998 ilPPE con conseguente emarginazionedei popolari dell’Ulivo e trascinan-

Il PD si ritrova ad essere più parte

che soluzione dei problemi della sinistra

riformista europea

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dovi infine anche AN, concorrendocosì notevolmente a ‘sdemocristia-nizzare’ il PPE stesso e a tradurlo nelgrande contenitore europeo dellaconservazione moderata. Qui, sem-mai, altri fattori rischiano di pesarenegativamente nel confronto euro-peo. Per un verso radici e antichestorie: Gianfranco Fini ha compiutocon rigore un percorso di conversio-ne guadagnandosi una ormai pienacredibilità di liberale e di attentoguardiano dei valori della Costituzio-ne; la manifesta non condivisione aquesta nuova linea da parte di folteschiere di aennini non mancherà disuscitare reazioni in Europa, soprat-tutto da parte di quei paesi, Germa-nia in testa, ove i conti con il passa-to si è stati costretti a farli fino infondo e si è quindi divenuti punti-gliosamente vigili contro ogni formadi nascondimento e di mimetismo (eciò sfiora, in qualche misura, ancheparte della sinistra). Per altro verso,pesa una sostanza partito-leaderisti-co plebiscitaria, contrastante con for-me e sostanze europee caratterizzateda più articolati processi decisionali,e perciò destinata a suscitare pruden-ze, distinguo e anche sospetti. Infine,pesa sul PdL il condizionamento de-rivante dall’alleanza con una forzacosì virulentemente particolaristicacome la Lega.

Ma la marginalità del nostropaese dipende anche, in larga misu-ra, da cause attinenti alla sua strut-tura economica e sociale: un debito

pubblico superiore al 105% del PIL,un’economia da lungo tempo pros-sima al ristagno e l’arretratezza ita-liana su una numerosa serie di indi-catori – dalle spese per R&S all’oc-cupazione femminile, dal dramma-tico divario delle regioni meridio-nali alla paralisi della giustizia, ecc.– non sono buone credenziali peressere nominati al vertice di istitu-zioni politiche europee e internazio-nali e comunque per guadagnareuna posizione centrale nella tramapolitica europea.

La crisi europeaTrama, peraltro, sfilacciata: la crisiplanetaria in corso ha colto l’Euro-pa in un passaggio particolarmentecritico della sua vicenda. L’introdu-zione dell’euro a fine anni ’90 e l’al-largamento dell’Europa a 27 sonostati, ad un tempo, pietre miliari diuno straordinario processo politicoiniziato negli anni ’40 e innesco diuna crisi di identità, come segnalaanche il tasso di partecipazione alleelezioni al Parlamento europeo, pas-sato, in media europea, dal 63% del1979 al 45% del 2004.

Il NO francese del 2005 alla co-

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La marginalità del nostropaese dipende anche da cause attinenti alla sua struttura economica e sociale

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stituzione europea è stato un deva-stante ‘la’ al riflusso, anche se di fat-to fu assai più un no di malesserenei confronti di una classe dirigenteinterna che un ragionato no all’Eu-ropa. Anzi, proprio la crisi ha resodi senso comune la valutazione chegli stati nazionali sono piattaformedel tutto insufficienti per fronteg-giarla e che la dimensione minimanecessaria da cui partire è quella eu-ropea. Dimensione peraltro ricerca-ta attraverso fitte serie di incontriintergovernativi a multilateralità va-riabile finalizzati al coordinamentodelle iniziative nazionali, mettendoinvece in sordina politiche comuniche abbiano in Bruxelles la sedeprincipale di elaborazione e condu-zione. Precarietà dell’architetturaistituzionale europea in attesa del-l’entrata in vigore di un rivedutotrattato di Lisbona, “intensificazio-ne” politica delle questioni attinen-ti all’economia europea – da quellaenergetica a quella dei paesi dell’Est,a quella turca, al medio-oriente – econservatorismo delle classi dirigen-ti nazionali hanno declassato il ruo-lo di una Commissione concepita ecresciuta in un quadro di relativa

omogeneità socioeconomica e distabilità politica garantita dallaGuerra Fredda.

Il ritorno a un’azione più diretta,non mediata dei singoli stati accre-sce però i rischi di tensioni, lacera-zioni e fuoriuscite, come ci dice peresempio la pericolosa linea di frattu-ra tra est e ovest europei. E rilanciadi conseguenza gli stati più forti,Germania e Francia, nel ruolo di ag-gregatori.

Germania e FranciaDue stati che, attraverso il lungoprocesso di costruzione europea,hanno accumulato un solido patri-monio comune come mostra oggi laconcordanza di iniziative e di propo-ste di nuova “governance” con cuiaffrontare la crisi economico finan-ziaria mondiale e anche l’unità di in-tenti in merito alla NATO, manife-stata nell’occasione dell’annunciodel reingresso francese nel comandodella NATO e maturata nei lunghianni di comune opposizione alla po-litica di Bush in Irak.

E però due stati che, in mancan-za di un forte punto di gravità politicoistituzionale europeo, sono sollecitatia farsi carico di un progetto di porta-ta europea in modo più parallelo cheintegrato, accentuando in questa fa-se il ricorso a stilemi della politica eu-ropea d’antan col ritorno alle zone diinfluenza, per la Germania soprattut-to a nord e a est, per la Francia so-prattutto verso il Mediterraneo.

Per fronteggiare la crisi planetaria gli stati

nazionali sono insufficienti,occorre partire dalla dimensione europea

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I segni recenti non mancano. Dirilievo, un paio d’anni fa, il tentativofrancese di prendere la guida delconsorzio Airbus superando la pari-teticità con i tedeschi. Di rilievo, nel2008, la vicenda della nuova Unio-ne del Mediterraneo, iniziativa dispicco della politica francese. Con-cepita da Sarkozy fuori da una di-mensione comunitaria e limitata aisoli paesi rivieraschi o in prossimitàdel Mediterraneo, ha suscitato unaforte reazione della Germania cheha infine ottenuto il reinserimentodell’iniziativa nel Processo di Barcel-lona sotto l’egida dell’Unione euro-pea. Di rilievo, agli inizi del 2009,l’uscita della Siemens AG dalla Are-va, consorzio paritetico franco tede-sco per le costruzioni nucleari e ladecisione, di forte significato anchepolitico, della società tedesca distringere accordi con i russi e di pun-tare sul loro mercato.

È un serio confronto tra unaGermania dominante per popolazio-ne, dimensione dell’apparato indu-striale e complessiva competitivitàdi sistema a livello mondiale comedimostra la sua bilancia commercia-le, e una Francia che dal dopoguer-ra ad oggi ha ossessivamente colti-vato l’obiettivo di conservare tuttele stigmate della grande potenza an-che senza esserlo, compresa la per-durante capacità di attenzione all’al-trui cultura e di coinvolgimento del-le altrui competenze (di cui molteitaliane, in tempi recenti Mario

Monti e Franco Bassanini). Come ilRegno Unito, si dirà. Ma i britanni-ci hanno deindustrializzato il paesein nome di una finanza oggi in gra-vissima crisi e affidata in buona par-te alle cure dello Stato e sono statisurclassati dai francesi su tutta lafrontiera dell’alta tecnologia di rile-vanza strategica.

I francesi hanno curato in modospasmodico, con continuità nel tem-po e con il concorso di un’ampia tra-sversalità politica, il dimensiona-mento competitivo dei loro grandigruppi, nella piena consapevolezzadella fragilità di un sistema che affi-di il proprio futuro soprattutto al“piccolo è bello”.

L’obiettivo francese, tutt’altroche difensivo, è di puntare a grandigruppi con quartieri generali salda-mente insediati in Francia e ben in-terrelati con l’alta amministrazione,ma con forte proiezione multinazio-nale. E, come è noto, il “complessoamministrativo-finanziario-industria-le” francese ha trovato, negli ultimiquindici anni, un terreno particolar-mente adatto per esprimersi proprioin Italia, quarto PIL e terza manifat-tura d’Europa e quindi decisiva in

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La Francia ha guadagnatonel nostro paese una posizione dominante in settori chiave del sistema produttivo

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una contesa che si misura su aree diinfluenza economica.

Rapporto asimmetricoLa Francia ha guadagnato nel nostropaese, attraverso acquisizioni e noninvestimenti diretti in nuove inizia-tive, una posizione dominante oquantomeno condizionante in setto-ri chiave del sistema produttivo(energia elettrica, nucleare, traspor-to aereo, industria della moda, gran-de distribuzione, ma anche apparatidi telecomunicazioni, materiale fer-roviario, acqua) e soprattutto unafortissima presenza nell’area strate-gica della finanza, tale da consenti-re il diretto accesso ad analitici dos-sier riguardanti primari attori italia-ni e quindi una straordinaria visibili-tà sulla nostra industria, con la con-seguente possibilità di esercitare, sedel caso, un potere di interdizione.

È un rapporto asimmetrico. Sen-za riandare al no di De Gaulle a unAgnelli che voleva rilevare la Ci-troên (oggi si parla semmai del con-trario), merita ricordare che più re-centemente (2005), di fronte a untentativo dell’Istituto San Paolo discalare la Dexia, controllante diCrediop in Italia, il governo france-

se fece sapere che non avrebbe ap-provato la fusione con gli italianiperché contrario ad operazioni tran-sfrontaliere nel settore creditizio; co-sì come il tentativo di ENEL, in ac-cordo con la francese Véolia, di ri-levare Suez fu bloccato con partico-lare asprezza: “Un takeover di ENELsu Suez è considerato un attaccocontro la Francia”, così al telefonode Villepin con Berlusconi, vediCorriere della Sera del 24 febbraio2006. (Mentre è da notare che Uni-credit ha potuto guadagnare grandidimensioni europee rilevando unabanca tedesca).

Ragionare di Francia, di un co-sì essenziale, impegnativo e coin-volgente vicino, aiuta a porre in ri-salto il momento critico, per la po-litica italiana in cui cadono le ele-zioni per il Parlamento europeo. Ungoverno, l’attuale, che all’internopoggia su un consenso senza prece-denti nella cosiddetta seconda re-pubblica, ma che all’estero apparepiù debole rispetto a quello prece-dente di Berlusconi: manca oggi unpari forte rapporto con l’ammini-strazione americana, quanto menosul piano dei riferimenti valoriali edel feeling personale, e il nuovocontesto di relazioni USA-Europariduce i gradi di libertà nei rapporticon la Russia di Putin; nel RegnoUnito non c’è più Blair e con laGermania della Merkel era buonoil rapporto del governo Prodi, assaimeno quello di questo governo. Lo

L’attuale governo Berlusconi è più

forte all’interno ma più debole all’estero

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stesso speciale rapporto col Vatica-no, così utile sul piano interno, ri-schia di essere una remora sull’este-ro a causa dell’oltranzismo conser-vatore di Benedetto XVI.

In un quadro politico europeo in-cardinato sui rapporti intergoverna-tivi, che mortifica strumentazioni epoteri di una politica comune, laFrancia di Sarkozy si presenta, perl’Italia di oggi, con le caratteristichedell’indispensabilità e della impre-scindibilità e la costringe a un rap-porto di leadership su nulla e di su-bordinazione su molto.

Difficile dire quale sia il diversoe più appagante indirizzo di politicaeuropea di questa maggioranza. L’ar-gomento non sembra sufficiente-mente ‘glamour’ per Berlusconi,aspetto che rileva nel caso di unaconduzione politica iperpersonaliz-zata, dove conta essere l’ultimo deigrandi per evitare le impegnative re-

sponsabilità derivanti dall’essere ilprimo dei piccoli. Per funzione e sta-tura intellettuale l’attenzione va al-lora rivolta a Tremonti: e sul vilup-po delle sue contraddizioni anche inmateria europea è d’obbligo il rinvioal citato saggio di Cesare Pinelli.

L’opposizione ha certamente “col-tivato” di più l’Europa: ha un patri-monio di competenze, una predispo-sizione al progetto dell’Europa unitae democratica e una capacità di mo-bilitazione popolare su questo temache manca alle forze di maggioranza.Le è oggi difficile correlare il voto peril Parlamento europeo alla gestionedella crisi, al recupero di una simpa-tia tra i popoli e del senso della cit-tadinanza europea, alla volontà diprogetto comune, alla riproposizionedi una prospettiva federalista. Ma le ènecessario, altrimenti continuerà asubire l’Europa e a consumarsi di po-litica nazionale.

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Vincenzo Visco Comandini / Stefano Gori

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n recente numero dell’Eco-nomist, presentando in co-pertina il titolo “Il conto

che potrebbe spaccare l’Europa”, pa-venta il rischio di una crisi insana-bile fra vecchi nuovi e stati membridell’Unione Europea. Più o meno incontemporanea, la Banca Mondia-le lancia l’allarme sul fatto che, se ipaesi europei più sviluppati non fan-no di più per aiutare i loro vicini,difficilmente si potrà evitare l’espan-dersi della crisi finanziaria. Un cracfinanziario nell’Europa dell’Estavrebbe infatti effetti molto negati-vi sulle banche in Italia, Austria,Svizzera, Svezia che per anni hannofornito credito alle istituzioni finan-ziarie e alle imprese dei paesi ex-co-munisti e che oggi spesso detengo-no il controllo delle maggiori ban-che dell’area.

Quest’invito non è stato accoltodal vertice dei capi di Stato e di go-verno dell’Unione Europea delloscorso 1° Marzo, e anzi il cancellie-re tedesco Angela Merkel ha giusti-ficato questa scelta affermando che“non si possono confrontare le situa-zioni di paesi come la Polonia o i Balti-ci o l’Ungheria”. Il rifiuto ad un nuo-vo Piano Marshall per l’Est europeo(un pacchetto da 180 miliardi di eu-ro) insieme all’invito ad analizzareogni situazione caso per caso è sta-to invece sostenuto dalla stampa, inparticolare quella politica, quale cat-tivo presagio per le sorti del nostrocontinente.

Molti osservatori politici si sonochiesti se avesse ragione il premierungherese Ferenc Gyurcsany quan-do ha sostenuto che “c’è il rischio cheuna nuova cortina di ferro divida l’Eu-ropa”. Coloro che si dicono pratican-ti della scienza triste, l’economia,hanno invece assunto una posizionepiù riflessiva, forse meno ossessiona-ta dai ricorsi storici.

Riteniamo che per gli stati mem-bri occidentali, la priorità non siatanto temere possibili rischi di frat-

Il conto che potrebbespaccare l’Europa

U

Un crac finanzari nell’Europa dell’Est

avrebbe effetti negativi sulle banche

in Italia

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Il conto che potrebbe spaccare l’Europadi Vincenzo Visco Comandini e Stefano Gori

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tura con i paesi dell’Est, quanto piut-tosto individuare con precisione lespecifiche cause di crisi in quell’area,mettendo a punto un cocktail di in-terventi selettivi coerenti con la si-tuazione economica di ciascun pae-se. Il tutto tenendo a mente che granparte della popolazione e le istituzio-ni di quei paesi si trovano per la pri-ma volta a dover affrontare le conse-guenze di una crisi economica seriacome quella attuale. Dal crollo delmuro la convinzione della maggio-ranza dei cittadini dell’est era infattiche il capitalismo avrebbe generatotassi di crescita continui, ma la real-tà di questi giorni ha mostrato chespesso non è così. In questo scenarioil vero rischio è non solo non capireche la crisi, globale, è prettamenteeconomica e finanziaria, ma anchesottovalutare il potenziale esplosivoche si genera se la recessione econo-mica venisse accompagnata dal-l’acuirsi di questioni politiche che daanni caratterizzano l’area.

Perché l’economia di quei paesiè cosi importante per noi?Il Fondo Monetario Internazionale(FMI) negli ultimi mesi ha già pre-stato miliardi di dollari a Ungheria,Ucraina, Lettonia, Serbia, Bielorus-sia, mentre la crisi economica ha in-nescato manifestazioni, proteste e avolte scontri con la polizia nelle Re-pubbliche baltiche e in Bulgaria. Re-centemente il governo di centro de-stra della Lettonia, terzo esecutivo

in Europa a dare le dimissioni sotto icolpi della crisi economica dopoquelli islandese e ungherese, è crolla-to dopo che il prodotto interno delpaese di 2,2 milioni di abitanti erasceso nel mese di gennaio del 10,5%.Le tre Repubbliche baltiche, Letto-nia, Lituania ed Estonia, che dopo illoro ingresso nell’Unione europeanel 2004 potevano vantare una cre-scita economica fra le più alte del-l’Unione tanto da essere sopranno-minate le «Tigri del Baltico», han-no visto nei primi mesi di quest’an-no livelli di protesta mai riscontratidall’epoca sovietica.

L’attenzione della “Vecchia Eu-ropa” alla crisi è dovuta al fatto chei capitali investiti in questi paesiprovengono per la maggior parte daistituti di credito occidentali. Alcu-ne banche italiane sono tra quelleinteressate e il rischio di insolvibi-lità di quei paesi si ripercuoterebbesui loro conti, con un ulteriore ef-fetto domino sull’intero sistemabancario continentale, che peraltroabbiamo già conosciuto nei mesiscorsi. Più di una fonte stima, adesempio, che il Gruppo Unicredit èesposto verso quest’area per quasi

I capitali investiti nei paesidell’Est provengono per la maggior parte da istituti di creditooccidentali

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100 milioni di euro, e che la sfavo-revole congiuntura economicaavrebbe molto verosimilmente unimpatto negativo sia sui ricavi (nel2007 il 12% dei ricavi venivano ge-nerati dai paesi dell’est Europa, dal-la Turchia e dal Kazakistan) che sul-l’utile operativo del gruppo (40%prodotto nell’area interessata allacrisi). Il problema è esacerbato dal-le recenti acquisizioni del gruppo,come la Bank Austria Creditanstalt,che nel 2005 era stata portata in do-te dalla tedesca HVB e che oggi ri-sulta pesantemente esposta versoquesti paesi.

Le difficoltà sono simili per lebanche svedesi, che nel Balticohanno investito un ammontare parial 25% del PIL svedese, valore chespiega bene perché queste stessebanche, aiutate dalle loro banchecentrali, continuino a pompare de-naro in questi paesi. Ma anche altriistituti di credito europei risultanofortemente esposti verso queste re-gioni: l’austriaca Raiffeisen ha 55%dei suoi asset a rischio, la sua con-nazionale Erste Bank il 38%, la sve-dese SwedBank il 27%, la belga Kbcil 22% e la francese Sociéte genera-

le il 12%. Ma come e perché si ègiunti a questo punto? Nell’ultimodecennio i paesi dell’Est hanno im-boccato una strada diversa rispettoa quelli occidentali europei: sul pia-no politico internazionale hanno de-ciso di appoggiare gli Stati Uniti ac-cettando sul loro territorio infrastrut-ture per lo scudo di difesa antimissi-listico (postazioni radar nella Repub-blica Ceca e batterie di missili Pa-triot in Polonia); su quello economi-co hanno presentato tassi di cresci-ta e livello d’inflazione più simili al-la Cina che alla Germania.

I fattori di debolezza strutturaleÈ quindi importante individuare eanalizzare nello specifico i fattori chehanno contribuito ad una forte cre-scita di questi paesi, che oggi appa-iono essere i maggiori responsabilidella debacle economica degli ultimisei mesi.

1) Nell’ultimo decennio ci sonostati investimenti rilevanti dovuti al-l’attività di outsourcing delle grandiimprese dell’Europa occidentale inPolonia, Repubblica Ceca e Slovac-chia in particolare nel settore auto-mobilistico.

2) Sono cresciuti di molto i flus-si di rimesse degli immigrati, in par-ticolare Polonia (dal Regno Unito,Irlanda e Germania), Romania (daItalia e Francia), Lettonia (dal Re-gno Unito), Bulgaria (dalla Francia)e al di fuori dell’UE verso l’Ucrainae la Moldavia, che hanno contribui-

I prestiti in valuta estera sono stati

un potente stimolo per l’economia dell’est Europa

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to alla crescita dei consumi internidi questi paesi.

3) È aumentato l’export verso lazona Euro, in particolare dell’Esto-nia, della Repubblica Ceca, dellaSlovacchia e dell’Ungheria; l’inci-denza dell’export sul PIL nei paesidell’area est europea è elevatissima, eoscilla fra il 34% della Romania e il90% della Slovacchia.

4) I prestiti in valuta estera sonostati un potente stimolo per l’econo-mia, in particolare in Ungheria do-ve hanno raggiunto un volume equi-valente al 33% del PIL. A causa del-la mancanza di risparmio nazionalead indebitarsi non sono state solo leaziende, ma anche le famiglie, tal-volta anche solo per coprire i nor-mali consumi. Accendere un mutuoin Fiorini risultava una scelta trop-po costosa a causa dei tassi troppo al-ti, per questo gli ungheresi hannofatto ricorso ai prestiti in Franchisvizzeri o in Euro.

5) Le banche europee hanno in-vestito nel settore finanziario del-l’est Europa, acquisendo operatorilocali ed introducendo prodotti in-novativi per quei mercati. La per-centuale del capitale in mano ad in-ventori esteri è pari al 98% in Esto-nia, al 97% in Slovacchia, al 90%nella Repubblica Ceca, all’85% inLituania, all’80% in Ungheria eBulgaria, al 78% in Lettonia e al75% in Polonia.

6) I consistenti investimenti ininfrastrutture finanziati da fondi eu-

ropei hanno contribuito ad accelle-rare lo sviluppo.

Questi fattori hanno tutti, anchese in diversa misura, creato il terre-no per la crisi di oggi. Infatti:

1) Gli investimenti nel settoreautomobilistico e in generale tuttala rete di subfornitori in outsourcingdell’industria tedesca hanno risenti-to della crisi dell’auto, con unadrammatica riduzione degli ordina-tivi: il flusso degli investimenti ver-so l’area dei paesi dell’est si è oggipraticamente azzerato.

2) L’ammontare delle rimesse de-gli immigrati ha subito contraccolpidovuti alla crisi economica dei paesiospitanti, tanto che si stanno regi-strando anche flussi di immigrazio-ne di ritorno.

3) In tutti questi paesi fortemen-te esportatori l’impatto della reces-sione nell’Europa occidentale e ne-gli USA si è subito rivelata moltodolorosa.

4) Con il crollo delle valute na-zionali i prestiti in valuta sono di-ventati proibitivi. Questo fenomenoè simile, ma molto più drammatico,a quello che sperimentarono gli ita-liani che avevano contratto debitiin ECU durante la svalutazione dei

I flussi di rimesse degli immigrati hannocontribuito alla crescita dei paesi dell’Est

Il conto che potrebbe spaccare l’Europadi Vincenzo Visco Comandini e Stefano Gori

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primi anni Novanta. L’azzeramentodi questa fonte di finanziamento staprecipitando verso lo stallo le eco-nomie di alcuni dei paesi europei apiù rapida crescita. La chiave scate-nante della crisi asiatica – e del de-fault argentino del 2002 – era l’usodi finanziamenti in valuta estera co-me leva per svilupparsi. L’unica buo-na notizia per questi paesi è la recen-te svalutazione del Franco svizzero,che sta in particolare alleviandol’onere del debito ungherese in que-sta valuta.

5) I prodotti innovativi introdot-ti in un mercato dove la popolazio-ne non ne ha consuetudine ha ali-mentato la speculazione finanziaria,ha gonfiato in modo non razionaleil mercato immobiliare e ha espostole famiglie e le imprese a rischi pri-ma sconosciuti. L’effetto negativo èstato esacerbato dai problemi dellebanche europee che avevano fattoforti investimenti nell’Est Europa,che sono state costrette dalla crisiinternazionale a tagliare il credito inquesti paesi per ridurre la propriaesposizione, alimentando quindi an-cor di più le difficoltà dei debitoriche non riescono a rifinanziarsi;

6) La fase post-allargamento dei

forti investimenti europei in infra-strutture si è esaurita.

Com’è evidente, questi fattorisommati insieme hanno contribuitoad attivare un circolo vizioso e adaumentare il rischio di default finan-ziario dei paesi dell’Est, misurato daun aumento drammatico dello spreadfra rendimenti dei loro titoli di sta-to e quelli dei titoli pubblici tede-schi: l’effetto è stato di impedir loro,in una situazione di bassissimo ri-sparmio nazionale, l’approvvigiona-mento sui mercati internazionali ne-cessario per reperire risorse da desti-nare a politiche pubbliche di contra-sto della crisi, come invece è avve-nuto negli altri stati membri.

L’errore di molti commentatori èdi fare di tutta l’erba un fascio. Suquesto punto il cancelliere Merkelha ragione a chiedere un distinguofra i diversi paesi. Possiamo infattidividere i paesi dell’Est in tre grup-pi. Il primo è composto da Sloveniae Slovacchia che hanno adottatol’Euro, in cui ad rallentamento deltasso di crescita dell’economia nonè seguita una crisi finanziaria; il se-condo dai paesi che hanno risentitodello stallo delle economie dellavecchia Europa e che, pur non tro-vandosi in condizioni drammatiche,rischiano di soffrire dell’atteggia-mento punitivo dei mercati solo per-ché parte di quella regione: Polonia,Repubblica Ceca, Estonia, Bulgariae Romania; nel terzo infine i malatigravi: Ungheria, Lettonia e Lituania.

In Slovenia e in Slovacchia

il sistema bancario è stabile e sicuro

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In Slovenia e Slovacchia il siste-ma bancario è sicuro e stabile, e noncasualmente i due paesi non hannoattuato politiche di liberismo incon-dizionato, senza regole spesso osser-vate negli altri. Nel secondo gruppo,l’Estonia ha sofferto particolarmenteil settore immobiliare, le esportazio-ni sono in picchiata e il paese sembrapagare il prezzo di una crescita trop-po rapida. Contrariamente all’opinio-ne di alcuni analisti che includonol’Estonia nel terzo gruppo in quantoappartenente alla regione baltica, varicordato che questo paese ha un’eco-nomia reale piuttosto solida con unasituazione politica stabile.

Ancora meno problematica è lasituazione della Polonia, dove laBanca Centrale ha recentemente ta-gliato il tasso di sconto, riducendo-lo al 4%, minimo storico postcomu-nista. La crescita del PIL nel 2009rallenterà dai ritmi quasi cinesi a un1,7-2%, ma probabilmente non sitrasformerà in recessione. Lo Zlotyha da poco fermato la propria svalu-tazione (da 3,2 a 4,6 Zloty per un eu-ro) tornando così ai livelli del 2004.Il rapporto debito-PIL è fermo al47% e il disavanzo sotto controllo,ben al di sotto della soglia di Maa-stricht del 3% del PIL. Se si escludel’isterismo alimentato dai gemellinazional-populisti Kaczynski nonsembrano esserci all’orizzonte ten-sioni politiche o sociali particolar-mente acute. Per questo molti eco-nomisti ritengono realistica la pro-

spettiva della Polonia di entrare nel-l’Euro nel 2012 con conti pubbliciin ordine.

Nella Repubblica Ceca gli ordi-nativi esteri all’industria per pro-dotti finiti e di alta tecnologia so-no crollati oltre il 30%, ma non c’èun equivalente abbassamento delPIL (meno 0,9% nel 2009 rispettoall’anno precedente) come invecein Ungheria. Il rischio per questogruppo di paesi è che pregiudizi in-differenziati verso il Centro-Est Eu-ropa nel suo insieme abbassino ilrating sul loro debito e a cascatasulle loro banche.

La Lettonia, la Lituania e l’Un-gheria sono i veri malati su cui in-tervenire per evitare il contagio. Afine febbraio Standard and Poor’s hadeclassato il rating dei titoli pubbli-ci lettoni a livelli di junk bond (tito-li “spazzatura”) a causa del pessimoquadro congiunturale, caratterizzatoda stagflazione, che vede congiunta-mente una riduzione del PIL di qua-si il 10%, un tasso d’inflazione diuguale importo, la disoccupazione aoltre il 12% e il crollo di più del20% dei prezzi sul mercato immobi-liare; per ridurre la spesa pubblica ilgoverno ha tagliato del 15% gli sti-

La Lettonia, la Lituania e l’Ungheria sono i verimalati su cui intervenire per evitare il contagio

Il conto che potrebbe spaccare l’Europadi Vincenzo Visco Comandini e Stefano Gori

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pendi dei dipendenti pubblici conun reddito superiore ai 480 euro almese. In Lituania il PIL è sceso me-no (del 5% circa) ma l’inflazione èancora molto alta. L’Ungheria, infi-ne, è il paese che desta le maggioripreoccupazioni, sia perché il piùgrande del gruppo sia perché è pas-sato in poco tempo da nazione al-l’avanguardia nelle riforme econo-miche a grande malato della nuovaEuropa. La Borsa ungherese è crol-lata in pochi mesi del 50%, il tassodi sconto è volato all’11,5%. La gen-te si è fortemente indebitata per mu-tui e credito al consumo, contrattiquasi esclusivamente in valuta este-ra. I prestiti in valuta rappresentanoil 90% del totale dei debiti degli un-gheresi, e sono oggi pari al 33% delPIL, rispetto all’11% in Polonia e al4% in Repubblica Ceca. Il paese ma-giaro sta così pagando doppiamenteil crollo del fiorino (negli ultimi duemesi e mezzo il fiorino si è svalutatorispetto all’euro del 11%, rispetto al-l’inizio del 2007 del 16% e nellostesso periodo rispetto al Dollaro del20%). L’Economist ha stimato cheper il 2009 il debito a breve in Un-

gheria è pari al 79% delle riserve, ri-spetto al “solo” 38% della Polonia.Infine la diffusa percezione che glialtri stati membri dell’Unione Euro-pea non sono interessati più di tantoalla situazione ungherese ha fatto sa-lire la tensione sociale e politica, chevede l’estrema destra di Jobbik au-mentare i propri consensi.

Non si può poi non considerareciò che sta succedendo ai paesi del-l’Europa orientale che non sono par-te dell’Unione Europea, in partico-lare l’Ucraina. Secondo il FinancialTimes, i maggiori istituti del paesenon permettono più ai loro clienti diritirare anticipatamente i depositi.Così davanti alle banche si formanolunghe file di piccoli risparmiatori.Già da ottobre i bancomat avevanofissato un tetto massimo ai prelievidi 1000 hryvnia (pari a 150 euro) algiorno nel timore di uno svuotamen-to delle casse e dallo scorso settem-bre i depositi bancari sono scesi del20%, gli investimenti del 10%, il PILdi circa il 6%, mentre la valuta haperso il 40% del proprio valore. Loscontro interno sta mettendo a ri-schio anche gli aiuti stranieri, anchequelli messi a disposizione dal FMIalla fine dell’anno scorso ma via viacongelati. L’industria siderurgica co-sì come quella estrattiva dell’Ucrai-na orientale è scesa ai minimi stori-ci, mentre il comparto industriale haregistrato nel mese di gennaio unacontrazione del 34%, con conseguen-ti licenziamenti in massa.

File di piccoli risparmiatori davanti alle banche di alcuni

paesi dell’Europa orientale non UE

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Possibili strategie d’uscita dalla crisiDi fronte a problemi così complessi ediversificati sarebbe ingenuo ritene-re possibile una terapia unica per ipaesi dell’Est che oggi stanno affron-tando la prima seria crisi economicadell’era post-comunista. Si possonoperò delineare alcune linee di poli-tica che, poste in essere in modo piùo meno coordinato, potrebbero ab-breviare di molto l’uscita di questipaesi dalla crisi che rischia di inter-rompere, se non di invertire, il loroprocesso d’integrazione nella comu-nità economica europea.

1) Lo Stress Test per ciascun pae-se. Per non sprecare risorse ed indi-viduare le cure appropriate è neces-sario che l’Unione Europea procedaad un’analisi paese per paese, indi-viduando le questioni più criticheper la stabilità dell’intero sistema (adesempio prestiti in valuta dei privati,solidità delle maggiori banche, pro-duzione industriale da riavviare) perprovvedere ad iniezioni di capitalemirate e a condizioni ben precise.Questi paesi, esattamente come staavvenendo per le istituzioni finan-ziarie americane, dovrebbero sotto-porsi a una sorta di stress test per ve-rificare le condizioni di utilizzo ap-propriato delle risorse.

2) Un quadro regolatorio euro-peo più definito. Le conclusioni delgruppo di esperti guidato dall’ex Go-vernatore della Banca di Francia,Jacques de Larosière, premono per

una riforma a breve sulla supervisio-ne bancaria a livello europeo, anti-cipando al 2010 la vigilanza sugliistituti di credito rispetto all’ipotesiiniziale del 2012. La proposta è dicreare un ‘Sistema europeo di Super-visione Finanziaria’ e un ‘Consiglioeuropeo sui Rischi Sistemici’ sottola guida del presidente della BancaCentrale Europea. Come è stato sot-tolineato dal gruppo socialista al Par-lamento europeo, tale proposta puòoffrire effetti positivi solamente setali organismi saranno investiti dipoteri effettivi e non svolgeranno ilmero ruolo di ‘osservatori’. Finché lasupervisione dei mercati resterà nel-le mani delle singole autorità nazio-nali, nonostante gli sforzi ed i buonipropositi di coordinare il loro opera-to a livello europeo, non si potrà re-almente affermare che la stabilità deimercati è garantita allo stesso modoin tutti i paesi europei.

3) Accordo fra governi più ricchie banche maggiormente esposte ver-so l’est europeo. Per affrontare la cri-si i debiti in scadenza devono esserenecessariamente rifinanziati. Le ban-che europee potrebbero rinnovare iprestiti a breve termine concessi alle

Non serve una terapia unica per i paesi dell’Est che affrontano la prima crisi economica dall’erapost-comunista

Il conto che potrebbe spaccare l’Europadi Vincenzo Visco Comandini e Stefano Gori

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loro controllate ma, come sottolineaMoody’s, potrebbero non essere ingrado di farlo. Sintomo di ciò è statoil nervosismo sui mercati finanziariosservato ai primi di marzo quandoil Commissario Europeo agli AffariEconomici Almunia ha dichiaratoche nel caso in cui banche dell’EstEuropa controllate da gruppi esteriavessero avuto necessità di mezzi fre-schi sarebbero state le case madri adover intervenire, ricapitalizzando leloro sussidiarie.

4) Far entrare nell’Euro solo pae-si con i conti in ordine, ma aiutan-doli ad evitare la scorciatoia dellasvalutazione competitiva. Una poli-tica monetaria espansiva nella zonaeuro potrebbe consentire ai tassi diinteresse dell’Est Europa di rimanerebassi. Ma questo potrebbe non esse-re sufficiente. Infatti le nuove eco-nomie dell’Est, pressate dalla crisi,chiedono procedure più snelle perl’ingresso nell’area dell’eu-ro. Richiesta respinta dal presiden-te dell’Eurogruppo, il lussemburghe-se Jean-Claude Juncker, che ha lororisposto in modo categorico: “noncredo che possiamo cambiare i criteri diaccesso all’euro in una notte, non è fat-tibile”. Un atteggiamento rigoroso sui

parametri di Maastricht è certamen-te necessario, ma la BCE dovrebbecercare di evitare drammatiche sva-lutazioni nei paesi candidati.

5) Una politica di allargamentodell’Unione più cauta. L’allargamen-to dovrebbe essere consentito soloa paesi preparati come Croazia e Is-landa, al fine di evitare ripercussio-ni negative e crolli di consenso perla politica europea negli stati mem-bri come Germania, Francia o Re-gno Unito che stanno già pagandola crisi economica, unitamente adaiuti mirati anche a paesi extra UEcome l’Ucraina o la Bielorussia, de-cisi assieme alla Russia di giocare unruolo strategico nell’area. Qui è ri-chiesto l’intervento della BERS edella BEI per gli investimenti nel-l’economia reale.

6)Il Fondo Monetario Interna-zionale deve assumere maggiori re-sponsabilità nel finanziamento diprestiti all’Est europeo. In ambitoG20, gli europei dovranno convin-cere sauditi e cinesi a seguire il buonesempio dei giapponesi nel rifinan-ziamento del Fondo Monetario, inmodo che questo possa concedereprestiti vitali a tutto l’Est europeo. Iprestiti dovrebbero essere girati allebanche, che li concederanno alleimprese. Una parte dei fondi serviràa stabilizzare i cambi, fatto apprezza-bile in paesi in cui banche, imprese efamiglie sono indebitate in valuta.Tuttavia, se non è affatto certo chetale strategia di convincimento rie-

Far entrare nell’Euro solo paesi con i conti

in ordine

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sca ad andare in porto dal momen-to che gli stessi stati europei lesinanogli aiuti, non è però da escludere unsuo successo perché cinesi e sauditisono sempre ansiosi di apparire buo-ni cittadini del mondo.

7) Disinnescare i problemi geo-politici con la Russia. Il Cancellieretedesco sta utilizzando strumental-mente la crisi dei paesi dell’Est Eu-ropa per ribadire il peso economico,politico e culturale della Germanianell’area, cercando di riguadagnareuna propria egemonia rispetto agliUSA. Dopo l’11 settembre e graziealla guerra all’“asse del male” la Ger-mania era stata infatti sostituita dagliStati Uniti come principale paese diriferimento. I tedeschi sono oggi ri-sentiti perché, nonostante abbianodi fatto pagato i costi legati alla rea-lizzazione delle infrastrutture finan-ziate dall’Europa dopo l’allargamen-to, il loro sistema industriale abbiafortemente investito nell’area, laGermania sia il più grande importa-tore di beni e anche la principale de-stinazione del flusso migratorio pro-veniente dai paesi dell’Est, hannodovuto lasciare l’egemonia agli Sta-ti Uniti in quest’area. Lo spiegamen-to delle basi missilistiche e dei radaramericani che dovrebbero essere in-

stallate sia in Polonia che nella Re-pubblica Ceca entro il 2011, nonrappresentano altro che un tentati-vo da parte di Washington di in-fluenzare i processi attualmente incorso in Europa. Tale contesto geo-politico ha avuto un impatto nega-tivo nei rapporti con la Russia (ve-di le crisi dei gasdotti susseguitosinegli inverni scorsi e l’aumento delprezzo del gas naturale), e da più par-ti si ritiene che per uscire da questacrisi economica sarà necessario rista-bilire un rapporto con la Russia chein questi anni si è perso.

Il primo ministro slovacco Ro-bert Fico in una recente intervistasu La Repubblica ha affermato “Èmolto importante la partnership strate-gica tedesco-russa perché a lungo ter-mine la UE non può avere stabilitàsenza la Russia”. Tale conciliazionepotrebbe realizzarsi proprio in que-sti giorni, dal momento che il pre-sidente Obama non ha mai apprez-zato la politica di George Bush ver-so l’Est Europa.

Disinnescare i problemi geopolitici con la Russia

Il conto che potrebbe spaccare l’Europadi Vincenzo Visco Comandini e Stefano Gori

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Alberto Benzoni

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ccorre inviare altri 17.000uomini” solo per “stabiliz-zare la situazione” (in al-

tre parole, per evitare che si deterio-ri ulteriormente); una situazioneche, per altro, “non ha mai avutol’attenzione strategica che merita-va”. Così il portavoce della CasaBianca, il 17 febbraio scorso.

Pesa qui, naturalmente, la pole-mica con la precedente amministra-zione. Polemica fondata. Perchél’Iraq ha certamente contribuito a“cancellare dagli schermi” l’Afgha-nistan: in termini di uomini (sino adoggi la presenza militare a Kabul –forze afghane comprese – è pari a cir-ca un terzo di quella a Baghdad; e inun territorio quasi due volte maggio-re), di mezzi finanziari (almeno intermini pro capite, l’Afghanistan ha

avuto molto meno dell’Iraq e, se èper questo, della Bosnia o del Koso-vo) e, appunto, di “attenzione stra-tegica” (l’Iraq ha avuto il “surge” diPetraeus, una maggiore presenza mi-litare ma al servizio di un nuovo ap-proccio politico; nulla di tutto que-sto in Afghanistan e in un conflittoche dura oramai da più di otto anni).

Le due guerreDue guerre partite sotto auspici deltutto diversi. Da una parte, “la guer-ra scema” – come l’ha definita Oba-ma – perché basata su ragioni false ecaratterizzata da obiettivi del tuttoirrealistici (la presenza di armi di di-struzione di massa; l’Iraq come luo-go dello scontro decisivo con il ter-rorismo islamico; il cambio di regi-me a Baghdad come premessa per lademocratizzazione dei regimi medio-rientali); e per di più la guerra pre-ventiva ed unilaterale, priva di qual-siasi copertura da parte della colletti-vità internazionale. Dall’altra, un in-tervento chiaro e convincente nel-le sue motivazioni (legami evidentitra il regime talebano e Al Qaeda) enei suoi obiettivi (ricostruzione di

Afghanistan: “vincere”ma per potersene andare

Da una parte una guerrabasata su ragioni false e obiettivi irrealistici,

dall’altra un intervento chiaro e convincente

“O

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Afghanistan: “vincere” ma per potersene andaredi Alberto Benzoni

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un paese distrutto da vent’anni diguerre); e che, come tale, ha potutofruire del concorso dell’Europa, del-la Nato e soprattutto dell’Onu, contutti i suoi molteplici apparati; pertacere di tutte le varie organizzazioninon governative.

Come mai allora, gli Stati Uni-ti stanno oggi uscendo dal pantanoiracheno, sia pur dopo aver pagatoe fatto pagare costi immani in ter-mini finanziari e soprattutto umani,lasciando dietro di sé una situazio-ne irta di pericoli ma, tutto somma-to, accettabile; mentre questa stes-sa situazione sta sfuggendo di manoa Kabul?

Attenzione strategicaÈ mancata, appunto, in quest’ultimocaso la necessaria attenzione strategi-ca; lo abbiamo sentito dallo stessoportavoce della nuova Amministra-zione. Nel caso americano, la cosa ècomprensibile: qualunque cosa sipensi sulla “super potenza militare”e le “guerre di Bush”, Washington èin grado di affrontare, allo stessotempo, non più di un conflitto diqualche importanza; e così l’arrivodell’Iraq nel marzo 2003 ha ridottofatalmente le risorse e l’interesse de-dicati all’Afghanistan. Con le con-seguenze note.

Altrettanto comprensibile – an-che se forse meno giustificabile – ladisattenzione europea.

Per la verità, l’UE aveva propo-sto una risposta collettiva NATO al-

l’attacco alle Torri Gemelle, rispostaprevista nel testo del Trattato; mal’amministrazione Bush aveva lascia-to cadere la cosa sostanzialmente perassicurarsi mano libera nella gestionedell’intervento. Di qui una crescen-te divaricazione nei rispettivi livellidi responsabilità: agli “anglosassoni”la guerra guerreggiata; ad altri il, teo-ricamente, successivo impegno perla ricostruzione. Livelli gestiti, am-bedue, in modo inadeguato.

Oggi, si chiede un maggiore im-pegno sull’uno e sull’altro fronte.Una richiesta che incontrerà presu-mibilmente forti resistenze e che sa-rà soddisfatta solo in minima parte.

La renitenza, europea ma ancheitaliana, è dovuta a due fondamen-tali ragioni: il generale scetticismodi “color che sanno”, militari, esper-ti, politici; e la crescente ostilità del-la pubblica opinione alle cosiddette“guerre umanitarie” (unilaterali obenedette dall’ONU non fa moltadifferenza).

Da una parte gli “esperti sul cam-po” sono convinti che la guerra siapersa; o, più esattamente, che nonpossa essere vinta. Stiamo parlando,

Washington è in grado di affrontare nello stesso tempo non più di un conflitto di qualche importanza

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naturalmente, di una guerra asimme-trica: in cui lo scopo dei talebani (ol-tre tutto molto poco amati dagli af-ghani) non è di entrare da trionfa-tori a Kabul, ma piuttosto di crearenel paese una situazione di caos e diinsicurezza tale da porre agli occi-dentali l’alternativa tra un logora-mento senza fine ed un ritiro più omeno disonorevole. Si converrà, al-lora, che la richiesta di “più uominie mezzi”, soltanto per evitare che lasituazione si degradi ulteriormente,non è proprio il massimo della vita.

Certo, governi e parlamenti eu-ropei confermeranno l’impegno aKabul. Ma senza un vero consensoda parte dei loro elettori.

Nel corso degli anni Novanta,l’intervento umanitario nei Balcani– prima in Bosnia, poi in Kosovo –apparve alle coscienze democraticheeuropee, rappresentate da leader disinistra come Blair e Jospin, Fischere D’Alema, l’unica risposta possibi-le contro possibili nuovi genocidi: iCaschi Blu avevano assistito passi-vamente ai massacri di Srebrenica eal martirio di Sarajevo; occorrevaimpedire, anche ricorrendo all’uso

della forza, che vicende del generesi ripetessero. Ma poi, nel primo de-cennio del nuovo secolo, la ruota hagirato in senso opposto: di guerre e/ointerventi umanitari – dopo l’Iraq el’Afghanistan – nessuno vuol piùsentir parlare; e politici realisti co-me no-global incalliti contestano lastessa esistenza di questa categoria.Non a caso, allora, ad ogni passag-gio parlamentare per il rifinanzia-mento della missione, i sostenitoridella medesima mettono avantil’ONU e si riempiono la bocca dellaparola pace. I nostri soldati sono lìper erigere scuole e scavare pozzi;sparano anche, certo, ma solo se di-sturbati nella bisogna.

Afghanizzazione del conflittoDi qui la necessità di una revisionestrategica. In sintesi, è impensabileche gli alleati europei e, al limite, glistessi Stati Uniti reggano a lungo unimpegno “open ended” e senza alcu-na soluzione in vista; ma questa so-luzione (un Afghanistan “viabile” elibero di crescere senza interferenzeesterne e in un assetto che non dan-neggi i paesi vicini), che tra l’altroconsentirebbe il disimpegno gradua-le della presenza militare occidenta-le, può appunto esser resa possibilesolo dopo un generale ripensamen-to delle strategie di intervento a li-vello locale e soprattutto regionale.

E allora, in primo luogo, afgha-nizzazione del conflitto. Sul pianomilitare e soprattutto politico.

Governi e parlamenti europei confermano

l’impegno a Kabul. Ma senza un vero

consenso da parte dei loro elettori

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Agli americani può non piacereKarzai. La sua corruzione (ma il vi-zio nel paese è, diciamo così, strut-turale e generalizzato); la sua aper-tura indiscriminata ai talebani; e,“last but not least”, il suo tentativodi rifarsi una verginità nazionalistacavalcando l’antiamericanismo. Ma,per carità, che non comincino a cer-care e/o patrocinare leader più di lo-ro gusto. Per questo ci sono le ele-zioni; dove ai marines non è conces-so il diritto di voto. Allo stesso Kar-zai e a chiunque altro il diritto do-vere di lavorare per un consenso na-zionale il più ampio possibile, tale-bani compresi.

Il retroterraIl quadro regionale si presenta nel-l’insieme più promettente. Né al-l’Iran né alla Cina né soprattutto al-la Russia interessa un paese predadell’anarchia e sede di questa o quel-la base terrorista. Teheran aveva sa-lutato con grande soddisfazione lacaduta dei talebani; rammaricando-si successivamente del mancato ac-coglimento della sua offerta di col-laborazione a partire dalla lotta con-tro il traffico di droga. I cinesi faran-no quanto è necessario, e anche dipiù, per evitare il diffondersi del con-tagio islamista in Asia centrale. Pu-tin, infine, appare chiaramente di-sposto, in Afghanistan come altro-ve, ad avviare un dialogo con Wa-shington consono al ruolo interna-zionale della Russia.

Ma, in tutto questo, c’è un gran-de buco nero: il Pakistan. Senza ilretroterra pakistano, la guerriglia sa-rebbe condannata alla sconfitta, co-me è avvenuto in Iraq.

Il retroterra; anzi i retroterra. Ilprimo, visibile e immediato, è rap-presentato da un’area di frontieraimpervia e immensa, con popolazio-ni sostanzialmente fuori controllo,dove agli antichi legami e regole tri-bali si sovrappongono sempre piùquelli dell’Islam militante. Il secon-do e decisivo, è quello del “comples-so militare islamista” operante alcentro del sistema di potere pakista-no. Nella sua ottica, la destabilizza-zione permanente a Kabul è una spe-cie di necessità nazionale. Non sitratta soltanto di deviare altrove unradicalismo islamista potenzialmen-te pericoloso per il proprio paese(oppure di rendere pan per focaccia“all’astuto afghano” che già avevautilizzato in passato la carta del-l’“irredentismo pashtun”). L’obietti-vo è strategico: si tratta di utilizzarein tutti i sensi, il retroterra, questavolta afghano, in vista dello scontroprossimo venturo con il nemico sto-rico: l’India.

Senza il retroterra pakistano, la guerriglia sarrebbe condannata alla sconfitta, com’è avvenuto in Iraq

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Una linea consolidata nel corsodi decenni. Che era espressa dai go-verni; con la garanzia del consensodella pubblica opinione e, cosa assaipiù importante, dell’appoggio degliStati Uniti. Il Pakistan era, infatti, illoro alleato storico e fidato nella re-gione: perché era un’alternativa al-l’India – equivocamente terza forzi-sta, in realtà amica dell’URSS – e so-prattutto perché era disposto a farela sua parte sino in fondo nella lottacontro l’espansionismo sovietico.

Dopo l’11 settembre, però, ècambiato tutto. Islamabad non è piùl’unico amico fidato; rimane soltan-to un concorso indispensabile, manella misura in cui saprà combatte-re efficacemente, sino ad eliminar-la, quella galassia jhadista conside-rata sino ad un recente passato (e, inalcuni circoli, anche ora) come unarisorsa preziosa per il paese.

Si richiede, dunque, una svoltadi 180 gradi rispetto alle pratiche delpassato. Per attuarla occorrerebbe unpotere forte o quantomeno credibi-le e un popolo unito. E non è certoil caso del Pakistan di oggi.

Pure, le circostanze oggettive pos-sono spingere nella direzione giusta.

A partire dal quadro internazionale:un’economia dipendente dal concor-so FMI; rapporti di “distensione fred-da” con l’India, miracolosamente(ma non poi tanto...) sopravvissutiagli attacchi di Mumbai; il timoredell’isolamento (tanto maggiore nelcontesto di una “exit strategy” dal-l’Afghanistan che possa contare sulconcorso di tutte le altre grandi po-tenze dell’area); l’esistenza di un go-verno e, anche di una pubblica opi-nione, profondamente ostile al fana-tismo islamista; e, infine, per dirlatutta, la necessità vitale del sostegnoamericano.

Exit strategyE, allora, ci vorrà tempo e pazienza.Anche perché gli strumenti puniti-vi (interventi militari USA nel terri-torio pakistano) sono controprodu-centi, mentre le possibili incentiva-zioni (reale autonomia per il Ka-shmir, presenza e aiuti internaziona-li nelle aree di confine) sono di là davenire. L’essenziale è che il paesetenga, nell’immediato, una linea ac-cettabile.

In definitiva, anche tenendoconto del fattore Pakistan, il quadroregionale è complessivamente pro-mettente.

Attenzione, però: riferirsi, pun-tare ad un quadro regionale ha sensosolo se c’è una “exit strategy”. Af-frontiamola, dunque, questa parola:maltrattata e distorta dall’uso politi-co cui è stata sottoposta. In tale con-

Uscita forzata o predisposta,

oppure suggello di un successo militare

o anche solo politico

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testo “exit” uguale “uscita”; vale adire abbandono, fuga, sconfitta, nonimporta se dovuta e meritata o ca-suale o legata a proprie debolezze.L’uscita può essere forzata o predi-sposta; frutto di un disastro incon-trollato oppure suggello di un suc-cesso militare o magari anche solopolitico. E tra i due colori estremidel nero (scappare da Saigon aggrap-pati ad un elicottero) o del bianco(lasciare l’Europa dopo la secondaguerra mondiale) ci son molte tona-lità di grigio.

Nel caso di specie, formulareun’ipotesi di uscita è poi assoluta-

mente necessario; e non perché si siaalla vigilia di una sconfitta, ma per-ché la coalizione (Usa, Nato, Onu)non è in grado di reggere a lungo glisforzi che gli vengono richiesti senzaaver chiari gli obiettivi da raggiun-gere e, conseguentemente, gli oriz-zonti temporali del suo impegno.

Dopo tutto il “surge” iracheno del2007 ha consentito agli americani diorganizzare il loro ritiro per il 2010,lasciando dietro di sé un paese ragio-nevolmente organizzato e ragione-volmente protetto da minacce ester-ne: perché non dovrebbe accadere lostesso anche in Afghanistan?

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Luigi Covatta

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ncora negli ultimi mesi del-l’anno scorso Maurizio Sac-coni minacciava di tagliare

le unghie alle Regioni, annunciava lafine della “festa dei formatori”, lascia-va intendere di voler approfittare del-la crisi per regolare definitivamenteconti che, nel governo del mercatodel lavoro, restavano aperti dai tem-pi del “Libro bianco” di Marco Biagi.A sua volta Renato Brunetta sfidavail potente sindacato del pubblico im-piego, metteva alla gogna i “fannullo-ni”, minacciava tornelli anche a pa-lazzo Chigi. Con l’anno nuovo, inve-ce, si respira un’aria diversa. Sacconinega l’opportunità di rinnovare il si-stema degli ammortizzatori sociali, sioppone a qualunque ipotesi di rifor-ma delle pensioni, si accorda con leRegioni su una sorta di prelievo for-zoso dal Fondo sociale europeo. E Bru-

netta, per teorizzare che il nostro mer-cato del lavoro è il migliore del mon-do imbastisce addirittura una polemi-ca postuma con Biagi (Corriere dellaSera del 7 marzo).

La strada della prudenzaSacconi e Brunetta hanno molte buo-ne ragioni per avere imboccato la stra-da della prudenza. La crisi è grave ma,almeno finora, non catastrofica. L’ipo-tesi di cavalcarla per introdurre rifor-me, quindi, non è sostenuta dallo sta-to di necessità, ma potrebbe reggeresolo con un vasto consenso politico esociale di cui non si vedono tracce. Edel resto cambiare la locomotiva conil treno in corsa, come hanno impara-to a proprie spese i vecchi lombardia-ni, è impresa improba e di incerto suc-cesso. Al di là del merito, però, ci so-no altre buone ragioni che giustifica-no la svolta dei due ministri (e più ingenerale del governo). Sono ragionipiù squisitamente politiche (che perchi scrive sono sempre ottime ragioni)e che quindi vanno comprese ancorpiù approfonditamente delle ragioni dimerito. Senza quella svolta, infatti, dif-ficilmente il Popolo della Libertà fon-

A

Uno spazio impervioper la sinistra

La crisi è grave e l’ipotesi di cavalcarla introducendo

riforme necessita di un vasto consenso

politico e sociale

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Uno spazio impervio per la sinistradi Luigi Covatta

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dato alla fine di marzo avrebbe potutodefinirsi “il partito degli italiani”. Sa-rebbe stato solo un partito, e nonavrebbe risolto, come invece “il partitodegli italiani” ambisce a risolvere, lacrisi di sistema aperta da vent’anni.

La path dependenceIn Italia, infatti, le crisi di sistema nonsono mai state risolte in termini di ra-dicale discontinuità, perfino quandosi sono manifestate nella forma dellaguerra civile. Per Luciano Cafagna,anzi, fu innanzitutto sul lascito fasci-sta (“un lascito di mezzi e strutture, unlascito di funzioni e attese pubbliche,un lascito di know how, insomma”)che si fondarono “le fortune successi-ve, nella nuova Italia repubblicana,della Democrazia cristiana e del Par-tito comunista” (La grande slavina,1993). E per Michele Salvati fu la pathdependence il principale elemento dilegittimazione dell’Italia repubblica-na (Il Mulino, aprile 2003).

Anche Berlusconi, con buona pa-ce di quanti ne esaltano o ne depreca-no il carattere di radicale innovatore,sta puntando sulla path dependence perfondare il nuovo sistema politico. Per-ciò non disturba sindacati e Confin-dustria nel consueto mercimonio dicasse integrazione e mobilità lunghe,offre agli ex capitani coraggiosi il bu-siness di Alitalia depurata dai debiti,non si nega al negoziato con le Regio-ni benché governate pro tempore dalcentrosinistra, assume addirittura ilruolo di Lord protettore nei confron-

ti di quanti (per esempio Bassolino) ri-sultano in disgrazia presso il loro schie-ramento, e come Lord protettore sipropone anche alla Chiesa, sia nellasua dimensione gerarchica che in quel-la, più impalpabile, che ne traduce insenso comune i precetti. La crisi mon-diale, inoltre, invece di tagliargli le ali,come avvenne dopo l’11 settembre,consente a lui di tagliare le unghie aibanchieri, primo contropotere fra i piùsignificativi; mentre l’insipienza del-l’opposizione, incapace di esprimeresia un presidente della commissione divigilanza che un presidente della RAI,gli mette in mano una scala reale al ta-volo delle nomine ai vertici di emit-tenti e giornali. Paradossalmente Ber-lusconi sta percorrendo la stessa stra-da che, fallendo, tentarono di percor-rere i postcomunisti negli anni passati.Tale infatti doveva essere il ruolo diProdi nel tenere insieme poteri e in-teressi su cui si reggeva una costituzio-ne materiale passata indenne attraver-so molteplici riforme dei sistemi eletto-rali, scioglimento di diversi partiti,epurazione di un’intera classe politica.

Ora che quel disegno è arrivatonon al capolinea, come ancora dueanni fa scriveva Emanuele Macaluso,

Berlusconi sta percorrendola stessa strada che, fallendo, percorsero i postcomunisti negli anni passati

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ma al deposito delle vecchie vetture,è il caso di interrogarsi sui motivi diun così clamoroso fallimento. C’è sta-ta, sicuramente, carenza di leadership,da imputare non solo e non tanto aProdi, ma soprattutto a chi Prodi loaveva scelto e incoronato: ai “compa-gni di scuola” che ritenevano di poterereditare senza beneficio d’inventarioun patrimonio fatto di radicamento so-ciale e di rigorosa selezione dei gruppidirigenti, e che non solo hanno esibi-to la loro modesta cultura di governo,ma hanno dimenticato che la Graeciacapta aveva bensì acculturato i feri vic-tores, ma non aveva mai preteso diesprimerne il duce; ma anche ai restidi quella che fu la sinistra democristia-na, del tutto inadeguata a garantire lacontinuità di una cultura di governotutt’altro che disprezzabile ed a farsicarico del deficit di riformismo di cuisoffrivano i loro compagni di strada.

La tigre referendariaLe cause di questa défaillance, peraltro,vanno indagate a partire dal concepi-mento della lunga gestazione da cui sa-rebbe nato il Partito democratico. Apartire cioè dal momento in cui, neglianni ’90, postcomunisti e democristia-ni di sinistra cavalcarono la tigre refe-rendaria senza rendersi conto che sta-

vano segando il ramo su cui anche lo-ro (soprattutto loro, anzi) erano sedu-ti. Allora fu Ernesto Galli della Log-gia a segnalare sul Corriere, molto pri-ma che Berlusconi scendesse in cam-po, che sarebbe stata la riforma del si-stema elettorale a sdoganare la destra,correggendo “un sistema affatto sbi-lenco, senza destra o centrodestra, sen-za cioè una rappresentanza propria ediretta della parte moderata e conser-vatrice del paese, un sistema dove ilcentro faceva la parte anche della de-stra ma che poi la deriva naturale, in-sita nel suo codice genetico risalenteal CLN, ha progressivamente spintonella vasta palude del consociativismoe dunque ancor più sotto un segnoegemonico – se non altro emotivo elessicale – della sinistra”.

Ora è ancora Galli della Loggia asegnalare, sul Corriere del 29 marzo,che il paradigma antifascista su cui siera formato il sistema politico dellaprima Repubblica (che esaltava l’uti-lità marginale della sinistra democri-stiana e preservava l’insediamento delPCI) è stato definitivamente sostitui-to dal paradigma anticomunista. Percui, fra l’altro, il Popolo della Libertànon deve fare nessuna fatica culturaleper svolgere il ruolo di “partito degliitaliani”, dal momento che il mainstre-am ha già da tempo radicalmentecambiato direzione.

Law & orderIn altra sede sarà interessante discu-tere su quanto la sinistra degli anni

Il paradigma antifascistadella prima Repubblica

è stato sostituito dal paradigma anticomunista

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Uno spazio impervio per la sinistradi Luigi Covatta

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‘90 abbia contribuito a questo cam-biamento non solo oggettivamente(con la riforma elettorale), ma anchesoggettivamente. Qualche anno fauno storico comunista, Salvatore Lu-po, osservò che allora “persino i co-munisti guidati da Achille Occhettosi mostrarono pronti a far propri con-cetti che sino a qualche anno primasarebbero a loro stessi apparsi eversi-vi nonché degni del peggiore degli in-sulti: qualunquista” (Partito e antiparti-to, 2004). E certo la sinistra di fine se-colo non si fece mancare niente nelriabilitare concetti di destra come law& order ed antiparlamentarismo, ap-pena mascherati dal populismo giusti-zialista ed antipolitico.

In questa sede, però, convieneprendere atto della chiusura di un ci-clo e chiedersi quale ruolo possa svol-gere la sinistra nel ciclo che si apre.Se continuerà, come sta facendo ilPartito democratico, da un lato nellapolitica del “più uno” (sugli ammor-tizzatori sociali, sugli aiuti alle impre-se, sul sostegno ai poveri), e dall’altrosu quella del “no” (al piano casa, alnucleare, al maestro unico, alla rifor-ma universitaria) è facile immagina-re che il bipartitismo che si profila tor-nerà ad essere quello imperfetto evo-cato da Giorgio Galli negli anni ’60.

Lo spazio che si apre, invece, è unaltro, ed è molto più impervio di quel-lo che la sinistra aveva occupato conorgogliosa sicurezza negli ultimi quin-dici anni. Ma è l’unico in cui si puòdisvelare la magia berlusconiana, che

navigando verso il nuovo è approdatoal vecchio “blocco storico”, costruitocome sempre sulla consociazione deipoteri costituiti ai vertici e sul duali-smo alla base. Solo contraddicendoquesto dualismo, infatti, si può darluogo a un bipartitismo “perfetto”. So-lo dando voce, cioè, innanzitutto aglioutsiders, visto che gli insiders stannoormai felicemente al caldo sotto la co-perta del “partito degli italiani”. Leoccasioni non mancano. Sulla politi-ca sociale, per esempio, si potrebberoperfino prendere in parola i propositiriformisti accennati l’anno scorso daSacconi e Brunetta. Sulla politica isti-tuzionale meglio prendere in parola ilFini della “stagione costituente” chenon quello della “difesa della dignitàdel Parlamento” con contorno di im-pronte digitali. E non prendere in pa-rola, invece, Bossi e Calderoli, piffe-rai magici di un federalismo che si sadove comincia e non si sa dove fini-sce. E sulla politica urbanistica meglioascoltare i senza casa che gli archistar.

È uno spazio impervio, come hogià detto. Ma ha il grande vantaggiodi essere l’unico che rimane. L’altro,quello che era stato ereditato, lo haoccupato tutto Berlusconi.

Approdo di Berlusconi alvecchio “blocco storico”:consociazione dei potericostituiti ai vertici e dualismo alla base

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Giuliano Cazzola e Daniele Cirioli

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PremessaIl tema degli ammortizzatori socialiè al centro del dibattito sulla crisi.L’opposizione accusa il Governo dinon aver provveduto a dare coper-tura a tutto il mondo del lavoro incaso di sospensione dell’attività pro-duttiva e di perdita del posto di la-voro. E di non averlo fatto sottraen-dosi all’impegno di riformare in sen-so universalistico il quadro delle pre-stazioni (un’operazione sempre riba-dita con maggiore o minore solenni-tà, ma mai realizzata nell’arco di al-meno quattro legislature). Di quil’osservazione – che ormai è divenu-ta quasi un luogo comune – che il si-stema degli ammortizzatori sociali danoi non funziona e non tutela ade-guatamente una parte importante dilavoratori. In verità, il modello ita-liano di protezione del lavoro ha i

medesimi difetti di gran parte delwelfare: un insieme di interventi set-toriali, talvolta persino corporativi,varati in tempi differenti ad alcunisegmenti del mercato del lavoro, poiestesi ad altri. In geometria anche uninsieme di particolari segmenti pos-sono costituire una linea, ancorchénon rettilinea. Così, nel tempo, èmolto cresciuta la platea dei sogget-ti tutelati, avvalendosi delle stru-mentazioni più flessibili del sistema.Il Governo lo ha fatto attraversol’estensione della c.d. cassa integra-zione in deroga (rivolta cioè ai set-tori e ai soggetti che non ne fruisco-no), il cui finanziamento è passatodai 400 milioni di euro previsti dalcollegato Lavoro, ai 9 miliardi in dueanni, definiti dopo l’accordo del 17febbraio scorso tra Governo e Regio-ni dove è stato stabilito che questeultime avrebbero reso disponibili ri-sorse per 2,5 miliardi sul versante de-gli ammortizzatori sociali. Per megliochiarire questi passaggi sarà utiletracciare le linee generali dell’attua-le ordinamento, per quanto riguar-da sia la sospensione che la perditadel lavoro. Si vedrà così che in tutti

Il modello italiano di protezione del lavoro

La rete della protezione del lavoro si è allargata

con il metodo dellapartenogenesi

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Il modello italiano di protezione del lavorodi Giuliano Cazzola e Daniele Cirioli

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questi anni la rete della protezionesi è allargata, magari con il metododella partenogenesi. Più nel disordi-ne che nell’ordine. Ma pur semprecon molta concretezza. Questa situa-zione ha indotto il ministro Mauri-zio Sacconi ad escludere – nel breveperiodo – un’ampia revisione degliammortizzatori sociali (cassa integra-zione e disoccupazione) che a suoavviso avrebbe posto più problemidi quelli che avrebbe potuto risolve-re. Il primo intervento del Governomesso in campo a favore dell’occu-pazione è consistito di una dupliceazione di potenziamento e di esten-sione degli ammortizzatori sociali. Aquesti interventi sono seguite, poi,delle linee guida per la tutela attivadella disoccupazione che il Governoha consegnato a Regioni e Parti so-ciali, durante un confronto del 22gennaio 2009 a proposito della rifor-ma della contrattazione.

Il documento si chiama «Provve-dere alle persone, ripartire dalle perso-ne: un progetto solidale tra istituzionie attori sociali», un titolo fortemen-te significativo. Individua una seriedi misure «tempestive e mirate», fi-nalizzate «all’occupabilità» durantel’emergenza economico-sociale del-la crisi, secondo un percorso – spie-gano le stesse Linee guida – «nonsemplice nella sua capacità di rag-giungere tutti coloro che sarannocolpiti dalla crisi né scontato nel-l’efficacia delle azioni ipotizzate».Dunque un percorso difficile, anche

negli effetti, ma non impossibile dapraticare. Particolarmente accatti-vante è il significato che, nelle Li-nee guida, assumono queste misure.Vale a dire il significato di azioni ca-paci di rispondere ai bisogni dellepersone senza sacrificare le esigenzedelle imprese. Una soluzione, dun-que, per mantenere al lavoro quan-te più persone possibili in questo pe-riodo di crisi, caratterizzato dalla ri-duzione della produzione nelle im-prese, e quindi delle ore di lavoro,garantendo comunque un reddito ailavoratori che si traduce nei consu-mi tanto ricercati per far ripartire lacarovana del PIL.

Il rovescio della medaglia, stan-do sempre alle Linee guida, è la pre-senza di alcune criticità: l’alto nu-mero di lavoratori che non sono an-cora destinatari di ammortizzatori so-ciali; il fenomeno dell’inurbamento– lo spostamento dei lavoratori perandare a vivere in città – che inevi-tabilmente accentua le difficoltàeconomiche durante la disoccupa-zione; la bassa professionalità soprat-tutto di giovani, donne ed anziani.

La proposta del Governo – que-

Una soluzione per mantenere al lavoroquante più personepossibili in questo periodo di crisi

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sto difficile ma non impossibile per-corso per l’occupabilità – si snoda susette punti e potrebbe condurre (ilcondizionale viene d’obbligo: si trat-ta solamente di una proposta) a signi-ficativi cambiamenti dell’attuale si-stema degli ammortizzatori sociali.

Dal punto di vista amministrativo,burocratico, si potrebbe registrare unospostamento dell’attività decisiona-le degli interventi dallo Stato versole Regioni (oggi gli accordi per l’ero-gazione della Cig, per esempio, ven-gono sottoscritti presso il Ministerodel Lavoro). Agli enti territoriali, in-fatti, viene chiesto di assumere le«funzioni di valutazione e negozia-zione» delle richieste di interventoa favore dei lavoratori in esubero.

Dal punto di vista delle imprese sipotrebbe registrare una modifica del-le procedure di gestione del persona-le in esubero, con maggiore ricorsoai «contratti di solidarietà» – checonsentono di evitare i licenziamen-ti riducendo a tutti i lavoratori l’ora-rio di lavoro senza modificare i sala-ri che vengono integrati dalla Cig;con minori autorizzazioni alla mobi-lità (anticamera dei licenziamenti); econ qualche forma d’incentivazionein più all’utilizzo dei tirocini formati-

vi quale strumento di primo impie-go per i lavoratori disoccupati.

Dal punto di vista dei lavoratori, in-fine, si potrebbero registrare le mo-difiche più rilevanti. Prima di tuttoci dovrebbe essere l’ampliamentodella platea dei soggetti destinataridi misure a sostegno del reddito du-rante la disoccupazione. Una novi-tà, a dire il vero, che ha già trovatoampia effettività con le misure di po-tenziamento degli ammortizzatori so-ciali introdotte dal Pacchetto anti-crisi. Oltre questo, la fruizione degliammortizzatori sociali dovrebbe per-dere l’automatismo che oggi la ca-ratterizza – è erogata in forma unatantum per predeterminati periodidi tempo – per essere invece vinco-lata, per quanto riguarda misura edurata, alle ore di lavoro prestate dallavoratore prima di perdere il postodi lavoro e, comunque, secondo im-porti progressivamente decrescenti,al fine di stimolare comportamentiattivi da parte dei beneficiari (la ri-cerca di una nuova occupazione), fi-no alla revoca della prestazione ingodimento nelle ipotesi di rifiuto diun’offerta di lavoro o di un percorsodi formazione.

«Provvedere alle persone, ripartiredalle persone»: la proposta del Go-verno, in definitiva, contiene inte-ressanti misure d’intervento per af-frontare la crisi alcune delle quali,come detto, che sono già norme dilegge. Misure che chiedono, anchequesto è vero, un’intesa solidale e di

Provvedere alle persone, ripartire dalle

persone

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collaborazione tra istituzioni e so-cietà civile.

Va osservato, tuttavia, che si trat-ta di misure che si fermano al «prov-vedere alle persone». Resta (ancora)in sospeso, invece, il «ripartire dallepersone»: un concetto forte e cheprelude ad altro. Al superamento,per esempio, delle divergenze cheancora impediscono – crisi o noncrisi; con o senza le nuove misure –una piena uguaglianza di opportuni-tà e trattamento, sul mercato e sul-le tutele, tra lavoratori – appuntopersone – delle diverse categorie diappartenenza.

La preoccupazione è che la crisi,con il suo carico di paure, non pos-sa finire per intorpidire la voglia e laforza di ammodernamento in questadirezione, di cui il Paese e la societàhanno veramente bisogno. Le misu-re «tempestive e mirate», di indiscu-tibile necessità, non devono perciòfare accantonare i progetti di rifor-ma, quale tra gli altri quello del wel-fare partito con il Libro Verde sul fu-turo del modello sociale nel 2008 (il25 luglio).

Se davvero si vuole raggiungereil «primato della persona, di ciascu-na persona, di tutte le persone», co-me auspicato nelle recenti Linee gui-da, occorre prima di tutto stabilire(o ri-stabilire) le regole di uguaglian-za sociale, che fungono peraltro dainiettori di fiducia e di speranza. Dal-l’operazione non deve restarne esclu-so nessuno perché sia una sfida non

«solamente economica ma, prima ditutto, progettuale e culturale», diret-ta a «riproporre la centralità dellapersona, in sé e nelle sue proiezionirelazionali a partire dalla famiglia».

Ammortizzatori sociali: il caso ItaliaIn Italia opera, da decenni, un arti-colato sistema di tutela del redditoa favore dei lavoratori che sono so-spesi dal lavoro per motivi contin-genti e temporanei, quelli che sonoin procinto di perdere o che hannogià perso il posto di lavoro. Si trat-ta, come già anticipato, di quelloche comunemente va sotto il nomedi «ammortizzatori sociali».

<Gallia omnis divisa est in partestres>, scriveva Giulio Cesare. Anchenel nostro caso possiamo individua-re tre branche di tutele: quelle allequali si ha diritto in costanza di unrapporto di lavoro; quella (perché èuna: la procedura di mobilità) cheaccompagna i lavoratori dallo statodi occupazione a quello di disoccu-pazione, favorendo il loro reinseri-

In Italia opera da decenni un articolatosistema di tuteladel reddito a favore dei lavoratori: gli ammortizzatori sociali

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mento nel mondo del lavoro; quellealle quali si accede una volta che siè perso il posto di lavoro.

Al primo gruppo appartengonole integrazioni salariali, nelle duespecie di cassa integrazione guada-gni ordinaria (Cig) e cassa integra-zione guadagni straordinaria (Cigs);al secondo gruppo, come detto, ap-partiene la procedura di mobilità;del terzo gruppo, infine, fanno par-te le indennità di disoccupazione,nelle diverse declinazioni (ordina-ria, con requisiti ridotti, specialeper l’edilizia).

Sul lavoro, ed anche sulla previ-denza e assistenza (pensioni e am-mortizzatori sociali insomma), signi-

fica smontare le tre prerogative checaratterizzano oggi il mercato del-l’occupazione.

La prima: il «privilegio di ap-partenenza», ossia la fortuna diavere un impiego nel settore pub-blico e non in quello privato. Crisio non crisi ma il dipendente pub-blico che rischi corre di perdere ilposto di lavoro?

La seconda: i «diversi pesi deicontratti di lavoro», ossia la spropor-zione nei diritti e nelle tutele ai la-voratori che esiste tra lavoro subor-dinato (dipendente), parasubordina-to (co.co.pro) e autonomo. La terza,infine, «l’apartheid dei lavoratori».Tipica del lavoro dipendente è quel-la sorta di rendita di posizione di cuigode chi sta dentro il mondo del la-voro (chi è assunto) rispetto e a sfa-vore di chi, invece, in quel mondovorrebbe tanto entrarci.

Una barriera invisibile e invali-cabile che protegge chi è dentro (oc-cupati) e penalizza chi è fuori (inoc-cupati e disoccupati).

Una barriera invisibile e invalicabileprotegge chi è dentro

il lavoro e penalizza chi è fuori

Tabella 1 - Gli ammortizzatori sociali

Gruppo 1 Salvaguardia del posto di lavoro

Le misure • Cassa integrazione guadagni ordinaria• Cassa integrazione guadagni straordinaria• Integrazioni salariali in agricoltura• Integrazioni salariali in edilizia

Gruppo 2 Sostegno a favore della rioccupazione

Le misure Procedura di mobilità

Gruppo 3 Sostentamento durante la disoccupazione

Le misure Indennità di disoccupazione ordinaria

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La Cassa integrazione guadagni La cassa integrazione guadagni – oancor più genericamente le integra-zioni salariali – è una prestazioneche integra o sostituisce la retribu-zione dei lavoratori sospesi o chelavorano a orario ridotto pressoaziende in momentanea difficoltàproduttiva. Anche se può apparire, a prima vi-sta, un sostegno più a favore delleimprese che dei lavoratori, rappre-sentando un aiuto economico inrelazione agli oneri della manodo-pera non utilizzata in attesa dellaripresa della normale attività pro-duttiva, in realtà con la cassa inte-grazione l’azienda evita i licenzia-menti.

Ci sono due tipi di cassa integra-zione : quella ordinaria (Cig ordina-ria) e quella straordinaria (Cigs). Al-la prima accede l’impresa che soffrauna crisi dipendente da eventi tem-poranei come la mancanza di com-messe, eventi meteorologici straor-dinari e via dicendo. In questi casi,dunque, si reputa transitoria l’insta-bilità anche dei posti di lavoro e siritiene certa la ripresa dell’attivitàproduttiva normale dell’azienda. Èstraordinaria, invece, la cassa inte-grazione accordata all’azienda chedeve fronteggiare processi di ristrut-turazione (cambiamento di tecno-logie), riorganizzazione (cambia-mento dell’organizzazione azienda-le), riconversione (cambiamentodell’attività) o in caso di crisi azien-

dale. Inoltre, l’intervento straordi-nario può essere richiesto anche aseguito di fallimento, concordatopreventivo, liquidazione coatta am-ministrativa e amministrazione stra-ordinaria. Si capisce, dunque, chein questi casi si è di fronte a eventidi una gravità maggiore, tali da fartemere addirittura la tenuta stessadell’azienda. Tale gravità giustificaun periodo di concessione più lun-go, rispetto alla cassa integrazioneordinaria.

L’importo dell’integrazione sala-riale è pari all’80% della retribuzionecomplessiva che sarebbe spettata allavoratore per le ore di lavoro nonprestate, fino ad un massimo di 40ore settimanali.

L’ammontare deve essere poi ri-dotto di una percentuale pari al5,84% (e corrispondente all’aliquotacontributiva a carico degli appren-disti). Al lavoratore che percepiscel’integrazione salariale è dovuto l’as-segno per il nucleo familiare.

L’importo da corrispondere è sog-getto a un limite mensile che variaanno dopo anno, in quanto rivalu-tato in base alle variazioni dell’indi-ce dei prezzi al consumo accertatedall’Istat (cfr. Tabella 2).

La mobilità non è alternativa al licenziamento, ma lo presuppone

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La procedura di mobilitàL’indennità di mobilità è un ammor-tizzatore sociale che mira a renderemeno drammatiche ai lavoratori leconseguenze della perdita del postodi lavoro. A differenza delle integra-zioni salariali (Cig e Cigs), la mobi-lità non è alternativa al licenziamen-to, ma lo presuppone. Non consisteunicamente in un sostegno econo-mico elargito ai lavoratori, ma an-che di meccanismi che per favorir-ne la loro rioccupazione come, peresempio, il passaggio tra aziende (daquelle in crisi a quelle che hanno bi-sogno di manodopera). Per questeragioni si parla più propriamente di«procedura» di mobilità.

Non tutte le aziende possono av-

viare la procedura di mobilità. Essainfatti è riservata alle imprese conpiù di 15 dipendenti ammesse allacassa integrazione guadagni straor-dinaria che, nel corso del program-ma di risanamento, dichiarano dinon essere in grado di garantire ilreimpiego di tutti i lavoratori sospe-si e di non poter attivare misure al-ternative; alle imprese che occupa-no più di 15 dipendenti (compresiapprendisti e contratti di formazio-ne) che, in seguito a una riduzioneo trasformazione dell’attività o di la-voro, decidono di effettuare un li-cenziamento collettivo (si ricorda,come detto, che perché si possa par-lare di «licenziamenti collettivi» ènecessario che avvengano almeno 5licenziamenti nell’arco di 120 gior-ni, in una o più unità produttive del-l’azienda nell’ambito della stessa pro-vincia; alle imprese che occupanopiù di 15 dipendenti che intendonoeffettuare licenziamenti collettivi perla cessazione dell’attività.

Dal punto di vista dei lavoratori,

La procedura di mobilitànon determina sempre

e automaticamante ai lavoratori il diritto

alla relativa indennità

Tabella 2 - I limiti alle integrazioni salariali

Retribuzione mensile Massimale integrazione salariale – Anno 2009

Al lordo della ritenuta (1) Al netto della ritenuta (1)

Fino a euro 1.917,48 euro 886,31 euro 834,55

Oltre euro 1.917,48 euro 1.065,26 euro 1.003,05

Settore edile

Fino a euro 1.917,48 euro 1.063,57 euro 1.001,46

Oltre euro 1.917,48 euro 1.278,31 euro 1.203,66

(1) Ritenuta contributiva del 5,84 per cento

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la collocazione in mobilità può av-venire sia direttamente a seguito dilicenziamento e sia, come più spes-so accade, dopo un periodo di cassaintegrazione guadagni. La scelta deilavoratori (operai, impiegati e qua-dri) da collocare in mobilità è ope-rata sulla base di criteri previsti daicontratti collettivi o da accordi sin-dacali. In mancanza, la scelta deveavvenire tenendo conto dei criteridel carico fiscale di famiglia; dell’an-zianità; delle esigenze tecnico pro-duttive ed organizzative. Attenzio-ne: la procedura di mobilità non de-termina sempre e automaticamenteil diritto (ai lavoratori) alla relativaindennità: questa, infatti, è concessasoltanto se le imprese rientrano nelcampo di applicazione della cassa in-tegrazione guadagni straordinaria(Cigs) e a favore dei lavoratori chene possiedono i necessari requisiti.In particolare, hanno titolo all’in-dennità i lavoratori che:• sono stati assunti con contratto a

tempo indeterminato (quindi ilprecario, il lavoratore a termine,in ogni caso di attivazione di pro-

cedure di mobilità non avrà maidiritto alla relativa indennità); so-no iscritti nelle liste di mobilitàcompilate dalla Direzione regiona-le del lavoro sulla base degli elen-chi inviati dalle aziende in crisi;

• hanno un’anzianità aziendale dialmeno 12 mesi, compresi i perio-di di lavoro a tempo determinatoe i periodi di apprendistato svoltiprima dell’assunzione a tempo in-determinato nella stessa impresa;

• hanno almeno 6 mesi di lavoro ef-fettivo nell’impresa, compresi i pe-riodi di sospensione del lavoro perferie, festività, infortuni.

Per il periodo di concessione del-l’indennità, il lavoratore ha dirittoalla contribuzione figurativa. Oltreall’indennità, i lavoratori che nehanno diritto possono percepire an-che l’assegno per il nucleo familiare.

L’importo da corrispondere è sog-getto a un limite mensile che variaanno dopo anno, in quanto rivalu-tato in base alle variazioni dell’indi-ce dei prezzi al consumo accertatedall’Istat (cfr. Tabella 3).

Tabella 3 - I limiti all’indennità di mobilità

Retribuzione mensile Massimale indennità di mobilità – Anno 2009

Al lordo della ritenuta (1) Al netto della ritenuta (1)

Fino a euro 1.917,48 euro 886,31 euro 834,55

Oltre euro 1.917,48 euro 1.065,26 euro 1.003,05

(1) Ritenuta contributiva del 5,84 per cento

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L’indennità di disoccupazionecon requisiti normaliL’indennità di disoccupazione ri-sponde alla finalità di garantire, inpresenza dei requisiti previsti dallalegge, un aiuto economico che sosti-tuisca il reddito da lavoro al lavora-tore che sia divenuto disoccupato.

Con il Pacchetto anticrisi il Go-verno ha introdotto alcune modifi-che alla disciplina, al fine di poten-ziarne la portata a beneficio dei la-voratori. Rispetto alle regole previ-genti, l’indennità ordinaria di disoc-cupazione non agricola con requisitinormali:• riguarda anche i lavoratori sospe-

si per crisi aziendali o occupazio-nali;

• è erogata subordinatamente ad unintervento integrativo pari alme-no alla misura del 20% dell’inden-nità a carico degli enti bilateraliprevisti dalla contrattazione col-lettiva (ma l’indennità può essereconcessa anche senza necessitàdell’intervento integrativo deglienti bilaterali, fino a che un appo-sito regolamento ministeriale nondisciplinerà la materia);

• ha una durata massima che nonpuò superare novanta giornate diannue indennità;

• non è sottoposta a specifiche limi-tazioni di spesa.

La principale novità, dunque, èrappresentata dal vincolo dell’inter-vento integrativo degli enti bilatera-li. Questi enti sono organismi costi-tuiti ad iniziativa di una o più asso-ciazioni dei datori e dei lavoratoricomparativamente più rappresenta-tive, quali sedi privilegiate per la re-golazione del mercato del lavoro at-traverso, in particolare, la promozio-ne di una occupazione regolare e diqualità, l’intermediazione nell’incon-tro tra domanda e offerta di lavoro,la programmazione e le modalità diattuazione di attività formative, lagestione mutualistica di fondi per laformazione e l’integrazione del red-dito, la certificazione dei contratti dilavoro e lo sviluppo di azioni ineren-ti la salute e la sicurezza sul lavoro;

La nuove regole, inoltre, confer-mano il campo di non applicazionedell’intervento, sia riguardo ai dipen-denti di aziende già destinatarie ditrattamenti di integrazione salaria-le, nonché nei casi di particolari ti-pologie contrattuali. Allo stesso mo-do la richiamata indennità non spet-ta nelle ipotesi di perdita e sospen-sione dello stato di disoccupazionedisciplinate dalla normativa in ma-teria di incontro tra domanda e of-ferta di lavoro.

Il pacchetto anticrisi del Governo introduce

alcune modifiche alladisciplina dell’indennità

di disoccupazione

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L’indennità ordinaria di disoccu-pazione con i requisiti normali èconcessa ai lavoratori che vengonoa trovarsi senza lavoro, quindi senzaretribuzione, per le seguenti ragioni:• licenziamento;• sospensione per mancanza di la-

voro;• scadenza del contratto;• dimissioni per giusta causa, deter-

minate da molestie sessuali; man-cato pagamento della retribuzio-ne; modifica peggiorativa dellemansioni lavorative; mobbing; no-tevole variazione delle condizionidi lavoro a seguito della cessionedell’azienda ad altre persone, fisi-che o giuridiche; spostamento dellavoratore da una sede all’altra,senza comprovate ragioni tecni-che, organizzative e produttive;comportamento ingiurioso del su-periore gerarchico.

L’indennità di disoccupazionespetta a operai, impiegati, equipara-ti ed intermedi (lavoratori che svol-gono mansioni a metà strada traquelle operaie e quelle impiegatizie),anche se assunti con contratto part-time o a tempo determinato. Spet-ta, inoltre, ai dirigenti di qualsiasisettore privato; ai lavoratori a domi-cilio, ma solo nel caso di licenzia-mento/cessazione del rapporto di la-voro e non di sospensione del lavorotra una commessa e l’altra; ai lavo-ratori impiegati in attività stagiona-li o attività soggette a periodi di so-sta; ai lavoratori occupati occasio-

nalmente in sostituzione di altro per-sonale; ai lavoratori assunti con con-tratto di formazione e lavoro (abro-gato); ai lavoratori con contratto disolidarietà; ai portieri di stabili; ai la-voratori assunti in Italia ed operantiall’estero in paesi non convenziona-ti o con i quali non esistono accor-di di sicurezza sociale; ai soci di coo-perative, con l’esclusione di quelledi facchinaggio svolto anche conl’ausilio di mezzi meccanici o diversi,trasporto il cui esercizio sia effettua-to personalmente dai soci proprieta-ri o affittuari del mezzo.

Non hanno diritto all’indennità,invece, i lavoratori che si dimetto-no volontariamente, ad eccezionedelle lavoratrici madri e dei lavora-tori padri che abbandonano il postodi lavoro durante il periodo in cui èprevisto il divieto di licenziamento(vale a dire dall’inizio del periodo digravidanza fino al compimento del1° anno di età del bambino); i lavo-ratori parasubordinati; i lavoratoriautonomi; i lavoratori con contrat-to a part-time verticale per i periodidi pausa dell’attività lavorativa; i la-voratori a domicilio, per i periodi in-tercorrenti tra una commessa e l’al-tra nel corso del rapporto di lavoro; i

Non ha diritto all’indennità di disoccupazione chi si dimettevolontariamente

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lavoratori extracomunitari con per-messo di soggiorno stagionale; gli ap-prendisti; i caratisti, gli armatori e iproprietari armatori imbarcati su na-vi da pesca da loro stessi armate; i la-voratori con contratto di comparte-cipazione agli utili; i ministri del cul-to che esercitano il loro ministero inmodo esclusivo; i soci dipendenti dasocietà o enti cooperativi anche difatto; i soci delle cooperative dellapiccola pesca; i soci delle cooperati-ve teatrali e cinematografiche. Su ta-le ambito, tuttavia, notevoli e im-portanti novità sono arrivate, pro-prio con riguardo alla crisi del 2009,dalla manovra del Governo (di que-sto di parlerà più avanti).

Il diritto all’indennità di disoc-cupazione si perfeziona in presenzadei seguenti requisiti:• disoccupazione, il lavoratore cioè

non deve svolgere alcun tipo di at-tività lavorativa, né autonoma, nésubordinata e né parasubordinata;

• essere alla ricerca di un posto dilavoro avendo, a tal fine, rilascia-to al Centro per l’impiego la pre-vista “dichiarazione di immediata

disponibilità” a svolgere una atti-vità lavorativa o a seguire un per-corso per la ricerca di una nuovaoccupazione;

• avere svolto in passato un’attivitàlavorativa, con il relativo versa-mento dei contributi all’Inps perla disoccupazione, almeno due an-ni prima del licenziamento;

• avere almeno un anno di contri-buzione (equivalente a 52 contri-buti settimanali) nei due anni cheprecedono la data di cessazione delrapporto di lavoro;

• essere in possesso della capacità la-vorativa, sia pure residua (non ave-re cioè in corso malattie che pro-vochino la temporanea inabilità allavoro). In caso contrario, l’inden-nità sarà erogata a partire dal mo-mento del recupero della capacitàlavorativa, sempre che permangalo stato di disoccupazione.

Relativamente al requisito con-tributivo (avere almeno un anno dicontribuzione, equivalente a 52 con-tributi settimanali, nei due anni cheprecedono la data di cessazione delrapporto di lavoro), sono validi invia generale tutti i contributi setti-manali versati per l’assicurazionecontro la disoccupazione involonta-ria. A questi, poi, si aggiungono i se-guenti periodi coperti dalla contri-buzione figurativa: • periodi indennizzati di astensione

obbligatoria o facoltativa per ma-ternità;

Per avere dirittoall’indennità

di disoccupazione, il lavoratore non deve

svolgere alcun tipo di attività

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• periodi di astensione dal lavoroper le malattie dei figli di età com-presa tra i 3 e gli 8 anni;

• periodi di servizio militare o civile,se nell’anno antecedente la datadi chiamata alle armi risultanoversati almeno 24 contributi set-timanali effettivi;

• periodi di lavoro all’estero in pae-si convenzionati.

Altri periodi coperti da contribu-zione figurativa sono, invece, consi-derati neutri. Nel senso che, sebbenenon utili al raggiungimento delle 52settimane contributive necessarie,pur tuttavia consentono di amplia-re il biennio nel quale ricercarle. So-no considerati neutri i periodi di:• servizio militare o servizio civile

nel caso in cui nell’anno antece-dente la chiamata alle armi nonrisultino versati almeno 24 contri-buti settimanali contro la disoccu-pazione;

• autorizzazione alla Cassa integra-zione guadagni a zero ore;

• astensione obbligatoria e facolta-tiva per gravidanza non indenniz-zata;

• assenza per infortunio sul lavoro;• assenza per malattia certificata ma

non indennizzata;• lavoro all’estero in paesi non con-

venzionati;• assenza per permesso e congedo

per i figli con handicap grave.

Il periodo massimo indennizzabi-

le per i trattamenti di disoccupazio-ne ordinaria con requisiti normali èdi 8 mesi per i soggetti con età ana-grafica inferiore a 50 anni e di 12mesi per i soggetti con età anagraficapari o superiore a 50 anni (requisitidi età che vanno verificati alla datadi inizio della disoccupazione inden-nizzabile). Ai lavoratori sospesi, in-vece, l’indennità spetta nel limitemassimo di 65 giorni.

La misura dell’indennità è fissataal 60% della retribuzione media lor-da per i primi 6 mesi; al 50% per i 2mesi seguenti e al 40% per i restan-ti mesi. Ai lavoratori sospesi è pa-gata nella misura del 50% della re-tribuzione. L’indennità viene corri-sposta per 30 giorni al mese (indi-pendentemente dal fatto che il me-se sia di 30 o 31 giorni), ad eccezio-ne del mese di febbraio, per il qua-le viene corrisposta per l’esatto nu-mero di giorni (28 o 29). A coloroche, anche per un solo giorno, per-cepiscono l’indennità di disoccupa-zione nel periodo compreso tra il 18e il 24 dicembre, è corrisposto inol-tre, in aggiunta all’indennità nor-malmente spettante, un assegno

Il disoccupato chepercepisce l’indennità ha diritto, su domanda,anche all’assegno per il nucleo familiare

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speciale commisurato a 6 giorni diindennità (è la cosiddetta gratificanatalizia). Il disoccupato che perce-pisce l’indennità ha diritto, dietrodomanda, anche all’assegno per ilnucleo familiare.

L’importo da corrispondere a ti-tolo d’indennità di disoccupazione èsoggetto a un limite mensile che va-ria anno dopo anno, in quanto riva-lutato in base alle variazioni dell’in-dice dei prezzi al consumo accertatedall’Istat (cfr Tabella 6).

L’indennità di disoccupazionecon requisiti ridottiAl pari di quella con i requisiti nor-mali, anche l’indennità di disoccu-pazione con i requisiti ridotti è una

prestazione a sostegno del redditodei lavoratori. In tal caso, si rivolgespecificamente a quei lavoratori che,avendo svolto lavori brevi e discon-tinui (ad esempio, le supplenze delpersonale precario della scuola), nonriescono a raggiungere il requisito dicontribuzione minimo richiesto perottenere l’indennità di disoccupazio-ne con i requisiti normali (i 52 con-tributi settimanali). Con la disoccupazione con i requi-siti ridotti, che va richiesta una vol-ta all’anno, i lavoratori hanno lapossibilità di ottenere l’indennità peri periodi di non occupazione che sisono verificati nell’anno solare pre-cedente la domanda.

Il Pacchetto anticrisi del Gover-no ha introdotto alcune modifiche.Rispetto alla previgente disciplina,adesso l’indennità:• riguarda anche i lavoratori sospesi

per crisi aziendali o occupazionali;• ha una durata massima che non

può superare 90 giornate di inden-nità nell’anno solare;

• non è sottoposta a specifiche limi-tazioni di spesa.

L’indennità di disoccupazione

con i requisiti ridotti spetta a chi ha lavorato per un periodo limitato

di tempo

Tabella 4 - I limiti alla disoccupazione ordinaria (1)

Retribuzione mensile Importo massimo mensile dell’indennità

Fino a euro 1.917,48 euro 886,31

Oltre euro 1.917,48 euro 1.065,26

(1) Con requisiti normali

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L’indennità di disoccupazionecon i requisiti ridotti spetta a colo-ro che, nell’anno solare di riferimen-to, hanno prestato attività di lavorodipendente (utile per il diritto allaprestazione) per un periodo limitatodi tempo. Se hanno avuto un unicorapporto di lavoro terminato con ledimissioni, non avranno diritto anessuna indennità di disoccupazio-ne. Nel caso di più rapporti di lavo-ro successivi, il periodo non inden-nizzabile è quello compreso fra le di-missioni e l’inizio del nuovo rappor-to di lavoro. È, invece, indennizza-bile il periodo successivo al rappor-to di lavoro terminato per motivi di-versi dalle dimissioni, fino all’iniziodi un nuovo rapporto lavorativo.Tutti i periodi lavorati, comunque,sono da ritenere utili sia ai fini deldiritto sia della durata e della misuradella prestazione da liquidare.

Per avere diritto al pagamentodella disoccupazione ordinaria con irequisiti ridotti bisogna:• avere almeno 2 anni di anzianità

assicurativa contro la disoccupa-zione involontaria; il biennio sicalcola a ritroso a partire dal 31dicembre dell’anno per il qualeviene richiesta la prestazione;

• avere svolto lavoro dipendente peralmeno 78 giorni di calendario nelperiodo di riferimento. Per verifi-care il requisito delle 78 giornatevanno considerate non solo legiornate effettivamente lavoratema anche quelle comunque inter-

ne ad un rapporto di lavoro e perle quali sussista l’obbligo di con-tribuzione. Nel calcolo dei giornisono incluse anche le giornate in-dennizzate a titolo di malattia, ma-ternità ecc.; sono, invece, esclusele assenze a titolo personale (scio-peri, congedi non retribuiti ecc.).

Con riferimento ai lavoratori pa-rasubordinati, la loro eventuale iscri-zione alla Gestione separata Inpsnon preclude il diritto all’indennitàdi disoccupazione; tuttavia, le gior-nate svolte come parasubordinato,anche coincidenti con un’attività dilavoro dipendente, non sono utili néper il diritto, né per la durata e nem-meno per la misura della prestazio-ne. In particolare, non si ha dirittoalla prestazione:• se si è iscritti come liberi profes-

sionisti, dalla data di iscrizione alrelativo albo fino alla data di can-cellazione;

• se si è iscritti come collaboratori co-ordinati e continuativi o come la-voratori a progetto, per i periodi diattività che dovranno essere dichia-

Gli artigiani hanno diritto all’indennità per le giornate di sospensione dell’attivià lavorativadell’azienda

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rati con autocertificazione o con at-testazione del committente da cuirisulti la durata del contratto.

Quindi, il lavoratore che, nel-l’anno solare di riferimento, ha pre-stato la sua attività esclusivamentecome parasubordinato (con obbligodi iscrizione alla Gestione separata),non ha diritto alla prestazione.

Con riferimento ai lavoratori au-tonomi, gli artigiani hanno dirittoall’indennità per le giornate di so-spensione dell’attività lavorativa del-l’azienda, purché lo status di disoc-cupato sia accertabile tramite:• la documentazione da cui risulti la

comunicazione da parte dell’azien-da all’ufficio provinciale del lavo-ro e all’Inps dei periodi di inatti-vità;

• la dichiarazione rilasciata dall’en-te bilaterale artigianato che haprovveduto ad erogare le integra-zioni economiche per il periododurante il quale è previsto l’inden-nizzo; tali integrazioni sono cumu-labili e compatibili con l’indenni-tà di disoccupazione.

Le misure nel Pacchetto anticrisiOltre a quanto già anticipato, con ilPacchetto anticrisi il Governo ha in-trodotto una serie di novità in mate-ria di ammortizzatori sociali, operan-do sia con la previsione di ulterioristrumenti a tutela del reddito in ca-so di disoccupazione o di sospensio-ne dal lavoro e sia mediante la ripro-posizione di misure già in atto.

La disoccupazione agli apprendisti Il nuovo trattamento è previsto invia sperimentale per il triennio2009-2011 e subordinatamente a unintervento integrativo pari almenoalla misura del 20% a carico deglienti bilaterali previsti dalla contrat-tazione collettiva. L’erogazione scat-ta in caso di sospensione per crisiaziendali o occupazionali ovvero incaso di licenziamento, ed è pari al-l’indennità ordinaria di disoccupa-zione con requisiti normali per i la-voratori assunti con la qualifica diapprendista alla data del 29 novem-bre 2008 e con almeno tre mesi diservizio presso l’azienda interessatada trattamento, per una durata mas-sima di 90 giornate nell’intero perio-do di vigenza del contratto di ap-prendistato.

È prevista una specifica procedu-ra al fine della fruizione del nuovotrattamento. In particolare, è previ-sto l’obbligo di comunicazione, daparte del datore di lavoro – con ap-posita dichiarazione da inviare aiCentri per l’impiego e alla sede del-

La disoccupazione agli apprendisti scatta in caso di sospensione

per crisi aziendali,occupazionali

o di licenziamento

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l’Inps – della sospensione della atti-vità lavorativa nonché delle relati-ve motivazioni e dei nominativi deilavoratori interessati. I lavoratori, aloro volta, hanno l’obbligo di comu-nicare al locale Centro per l’impie-go, tramite specifica dichiarazione,l’immediata disponibilità al lavoro oa un percorso di riqualificazione pro-fessionale. Il Centro per l’impiego, asua volta, ha l’obbligo di comunica-re tempestivamente, e comunquenon oltre 5 giorni, a determinati sog-getti autorizzati o accreditati (si trat-ta delle Agenzie per il lavoro le qua-li svolgono attività di somministra-zione, intermediazione, ricerca e se-lezione del personale, nonché sup-porto alla ricollocazione professio-nale – ne parliamo nel prossimo ca-pitolo), i nominativi dei lavoratoridisponibili al lavoro o a un percorsoformativo finalizzato alla ricolloca-zione nel mercato del lavoro ai sen-si della normativa vigente.

La tredicesima ai lavoratori a progettoSempre in via sperimentale per iltriennio 2009-2011 il Pacchetto an-ticrisi ha previsto il riconoscimentodi una somma da liquidarsi in unicasoluzione e pari al 10% del redditopercepito l’anno precedente (la pre-stazione salirà al 20%), ai collabora-tori coordinati e continuativi, iscrit-ti in via esclusiva (cioè non iscrittia un’altra forma di previdenza obbli-gatoria, o che non siano già titolari

di una pensione) alla gestione sepa-rata presso l’Inps, con esclusione deisoggetti i soggetti titolari di redditidi lavoro autonomo.

Il beneficio può essere concessonei soli casi di fine lavoro e a condi-zione che il soggetto sottoscriva unapposito patto di servizio presso icompetenti Centri per l’impiego. Perfruire dell’una tantum i richiamatisoggetti devono soddisfare, congiun-tamente, le seguenti condizioni:• operare in regime di monocom-

mittenza;• conseguimento, nell’anno prece-

dente al periodo di riferimento,di un reddito superiore a 5.000euro e pari o inferiore al minima-le di reddito contributivo fissatoper gli artigiani e commercianti(pari a circa 13.280 euro nel2008), nonché accreditamentopresso la predetta Gestione sepa-rata di un numero di mensilitànon inferiore a tre;

• accreditamento, nell’anno di rife-rimento, presso la stessa Gestioneseparata, di un numero di mensi-lità non inferiore a tre;

• non risultino accreditati nell’an-

Somma da liquidarsi in un’unica soluzione pari al 10% del redditopercepito l’annoprecedente

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no precedente almeno 2 mesipresso la richiamata Gestione se-parata.

Concessione di ammortizzatorisociali in derogaIl Pacchetto anticrisi prevede la pro-roga dei trattamenti di integrazionesalariale straordinaria, di mobilità edi disoccupazione speciale cosiddet-ta in deroga, cioè anche se non pre-visto dalla disciplina ordinaria. Laproroga viene disposta per la con-cessione di trattamenti di cassa in-tegrazione guadagni straordinaria, dimobilità e di disoccupazione specia-le, nonché dei programmi finalizza-ti alla gestione di crisi occupaziona-li, anche con riferimento a settoriproduttivi e ad aree regionali, defi-niti in specifiche intese stipulate insede istituzionale territoriale entroil 20 maggio 2009 e recepite in ac-cordi in sede governativa entro il 15giugno 2009.

La proroga deve essere dispostacon decreto del Ministro del Lavo-ro, della Salute e delle Politiche so-ciali, di concerto con quello del-l’Economia e delle Finanze, a condi-

zione che i piani di gestione delle ec-cedenze abbiano determinato una ri-duzione, in misura pari ad almeno il10%, del numero dei destinatari deitrattamenti scaduti alla data del 31dicembre 2008.

L’importo dei trattamenti corri-sposti in base a tali provvedimentiministeriali di proroga è ridotto nel-la misura del 10% nel caso di primaproroga, del 30% nell’ipotesi di se-conda proroga e del 40% nel caso diulteriori proroghe. In quest’ultimaipotesi di proroga successiva alla se-conda, i trattamenti possono essereerogati esclusivamente nel caso difrequenza di specifici programmi direimpiego, anche miranti alla riqua-lificazione professionale, organizzatidalla regione.

Estensione della mobilitàAltra novità è la previsione, a favo-re dei lavoratori non destinatari deitrattamenti di mobilità, dell’eroga-zione di un trattamento di ammon-tare equivalente all’indennità di mo-bilità, in caso di licenziamento. Lafruizione dell’indennità assicura,inoltre, anche la copertura figurati-va dei relativi periodi di percezione.

Ammortizzatori sociali al terziarioIl Pacchetto anticrisi, ancora, fino al31 dicembre 2009, ammette che sia-no concessi trattamenti di integra-zione salariale straordinaria e di mo-bilità ai dipendenti delle impreseesercenti attività commerciali con

Il Pacchetto anticrisiprevede la proroga

dei trattamenti di integrazione salariale

straordinaria

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più di 50 dipendenti, delle agenziedi viaggio e turismo, compresi glioperatori turistici, con più di 50 di-pendenti e delle imprese di vigilanzacon più di 15 dipendenti.

Ammortizzatori sociali ai portuali Viene prorogata, inoltre, una misu-ra introdotta con il Protocollo Wel-fare del 2007 per l’anno 2008, a fa-vore dei lavoratori portuali. Si tratta,propriamente, della concessione perl’anno 2009 di un’indennità, pari aun ventiseiesimo del trattamentomassimo mensile d’integrazione sa-lariale straordinaria (che per il 2009è di euro 886,31 per i lavoratori per-cettori di una retribuzione fino a eu-ro 1.917,48 ovvero di euro 1.065,26per quelli che percepiscono una re-tribuzione maggiore), nonché la re-lativa contribuzione figurativa e gliassegni per il nucleo familiare:• per ogni giornata di mancato av-

viamento al lavoro;• per le giornate di mancato avvia-

mento al lavoro che coincidano,in base al programma, con le gior-nate definite festive, durante lequali il lavoratore sia risultato di-sponibile.

L’indennità spetta quindi per unnumero di giornate di mancato av-viamento al lavoro pari alla differen-za tra il numero massimo di 26 gior-nate mensili erogabili e il numerodelle giornate effettivamente lavo-rate in ogni mese, incrementato dal

numero delle giornate di ferie, ma-lattia, infortunio, permesso e indi-sponibilità.

L’erogazione è riconosciuta alleseguenti categorie di lavoratori:• addetti alle prestazioni di lavoro

temporaneo occupati con contrat-to di lavoro a tempo indetermina-to nelle imprese e agenzie portua-li (il riferimento è all’articolo 17della legge n. 84 del 28 gennaio1994). L’articolo 17 disciplina lafornitura del lavoro portuale tem-poraneo. In particolare, stabilisceche le autorità portuali o, laddovenon istituite, le autorità maritti-me, debbano autorizzare l’eroga-zione delle prestazioni di lavorotemporaneo da parte di una im-presa, che deve essere dotata diadeguato personale e risorse pro-prie con specifica caratterizzazio-ne di professionalità nell’esecuzio-ne delle operazioni portuali. L’at-tività della richiamata impresa de-ve essere esclusivamente rivoltaalla fornitura di lavoro tempora-neo per l’esecuzione delle opera-zioni e dei servizi portuali, da in-dividuare secondo una procedura

Il Protocollo Welfare del 2007 prevede la proroga degliammortizzatori sociali per i portuali

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accessibile ad imprese italiane ecomunitarie. Inoltre, la disposizio-ne prevede che, nel caso in cui ciònon si realizzi (relativamente al-l’istituzione e all’autorizzazione al-l’esercizio della richiamata impre-sa), le prestazioni di lavoro portua-le temporaneo vengano erogate daagenzie promosse dalle autoritàportuali o, laddove non istituite,dalle autorità marittime e soggetteal controllo delle stesse e la cui ge-stione è affidata ad un organo di-rettivo composto da rappresentan-ti delle imprese operanti in opera-zioni portuali (carico, scarico, tra-sbordo, deposito, movimento ingenere delle merci e di ogni altromateriale, svolti nell’ambito por-tuale), in fornitura di lavoro por-tuale temporaneo e nella gestionedi opere attinenti alle attività ma-rittime e portuali.

• lavoratori delle società derivatedalla trasformazione delle compa-gnie portuali (il riferimento sta-volta è all’articolo 21 della mede-sima legge n. 84 del 1994). Si trat-

ta, nell’ambito della trasformazio-ne in società delle compagnie egruppi portuali, dell’obbligo, ap-punto, di trasformazione, da partedi questi ultimi, in una società ouna cooperativa secondo i tipi pre-visti dal codice civile, per la forni-tura di servizi, nonché, fino al 31dicembre 1996, di mere prestazio-ni di lavoro.

L’iscrizione nelle liste di mobilitàIl Pacchetto anticrisi proroga al 31dicembre 2009 la possibilità di iscri-zione nelle liste di mobilità da partedei lavoratori delle imprese con me-no di 15 dipendenti licenziati pergiustificato motivo oggettivo, con-nesso a riduzione, trasformazione ocessazione di attività o di lavoro. Lapossibilità d’iscrizione è riconosciutaai soli fini dei benefici contributiviconseguenti all’eventuale rioccupa-zione (benefici rivolti soprattutto al-le imprese: come tale, dunque,l’iscrizione si trasforma in una sortadi incentivo all’occupazione di que-sti lavoratori), con esclusione del di-ritto all’indennità di mobilità. Inparticolare, questi sono gli incenti-vi per l’assunzione dei lavoratoriiscritti nelle liste di mobilità:• in caso di stipulazione di un rap-

porto di lavoro a tempo indeter-minato, al datore di lavoro è rico-nosciuto il beneficio della riduzio-ne della relativa contribuzione (asuo carico) che, per i primi 18 me-si della nuova occupazione (e per

Possono iscriversi nelle liste di mobilità

i lavoratori delle impresecon meno di 15

dipendenti licenziati per giusto motivo

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la nuova occupazione) viene equi-parata a quella dovuta per gli ap-prendisti dipendenti da aziendenon artigiane;

• lo stesso beneficio è riconosciuto,sempre al datore di lavoro, anchein caso di stipulazione di un rap-porto di lavoro a tempo determi-nato per una durata non superio-re a 12 mesi, per l’intero periododi occupazione nonché, eventual-mente, per ulteriori 12 mesi qua-lora il contratto venga trasformatoa tempo indeterminato.

I contratti di solidarietà difensiviProrogato al 31 dicembre 2009 il ter-mine entro il quale le imprese pos-sono stipulare «contratti di solida-rietà», pur non rientrando nell’am-bito ordinario di applicazione delladisciplina. In particolare, si tratta deicontratti di solidarietà cosiddetti«difensivi», che si sostanziano in ac-cordi tra datore di lavoro e rappre-sentanze sindacali volti a ridurrel’orario di lavoro da praticare inazienda, allo scopo di evitare, oquantomeno limitare, i licenziamen-ti mediante un utilizzo più razionaledella forza lavoro. I contratti di so-lidarietà hanno una durata compre-sa tra i 12 e i 24 mesi, con possibili-tà di proroga per ulteriori 24 mesi(36 per le regioni del Mezzogiorno),beneficiando di determinate agevo-lazioni.

Per le imprese industriali appar-tenenti nel campo di applicazione

della cassa integrazione guadagnistraordinaria, i contratti di solidarie-tà possono nascere anche su accordicollettivi aziendali e prevedere, in re-lazione alla riduzione dell’orario dilavoro, della quale sia stata accerta-ta la finalizzazione all’evitare dichia-razioni di esubero di personale daparte dell’Ufficio regionale del lavo-ro, la concessione del trattamentod’integrazione salariale il cui ammon-tare è determinato nella misura del60% del trattamento retributivo per-so a seguito della riduzione d’orario.

La disciplina dei contratti di soli-darietà, inoltre, riguarda le impreseartigiane non rientranti nel campodi applicazione della Cigs, anchecon meno di 16 dipendenti, e le im-prese che non ricadono nel campodi applicazione della cassa integra-zione guadagni straordinaria. Perqueste ultime imprese, in particolare,la nuova disciplina transitoria pre-vede uno specifico beneficio, nel ca-so in cui esse stipulino i contratti disolidarietà, che evitino o riducanole eccedenze di personale, nel corsodella procedura di mobilità. In talcaso, viene riconosciuto, per un pe-riodo massimo di 2 anni, un contri-

I contratti di solidarietàdifensivi sono accordi tra le parti volti a ridurrel’orario di lavoro

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buto pari al 50% del monte retribu-tivo non erogato a seguito della ri-duzione di orario. La misura, erogatain rate trimestrali, è ripartita in par-ti uguali tra impresa e lavoratori in-teressati alla riduzione dell’orario dilavoro. Per i lavoratori, inoltre, ilcontributo non ha natura di retribu-zione ai fini degli istituti contrattua-li e di legge; tuttavia, ai fini della li-quidazione del trattamento pensio-nistico, si tiene conto dell’intera re-tribuzione di riferimento.

La nuova disciplina transitoria,ancora, prevede che il predetto con-tributo economico possa essere con-cesso anche alle imprese artigianenon rientranti nel campo di applica-zione del trattamento Cigs, ancheove occupino meno di 16 dipenden-ti. Tale estensione è disposta a con-dizione che i lavoratori interessatidal contratto di solidarietà percepi-scano una prestazione «di entità noninferiore alla metà della quota delcontributo pubblico destinata ai la-voratori», con oneri a carico dei fon-di bilaterali istituiti dalla contratta-zione collettiva.

La rottamazione negoziIl Pacchetto anticrisi ha ripristina-to, per il periodo dal 1° gennaio2009 al 31 dicembre 2011, una vec-chia misura a favore delle aziendecommerciali, nota come «rottama-zione negozi». Si tratta, in partico-lare, dell’erogazione di un indenniz-zo, pari al trattamento pensionisti-co minimo, a fronte della cessazio-ne definitiva dell’attività commer-ciale a favore degli esercenti il com-mercio al minuto e loro coadiutoriche avessero superato determinatilimiti di età.

Le attività commerciali di riferi-mento sono:• attività commerciali al minuto in

sede fissa, anche abbinata ad atti-vità di somministrazione al pub-blico di alimenti e bevande;

• attività commerciali su aree pub-bliche.

Le condizioni e i requisiti per il go-dimento dell’indennizzo prevedono:• età maggiore a 62 anni, se uomi-

ni, ovvero 57, se donne; • iscrizione, al momento della ces-

sazione dell’attività, per almeno 5anni nella Gestione pensionisticaInps relativa ai soggetti esercentiattività commerciali;

• cessazione definitiva dell’attività;• riconsegna dell’autorizzazione per

l’esercizio dell’attività commercia-le e di quella eventuale per l’atti-vità di somministrazione al pub-blico di alimenti e bevande;

Con la cessazione definitiva dell’attività

commerciale viene erogato un indennizzo

pari al minimo pensionistico

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Il modello italiano di protezione del lavorodi Giuliano Cazzola e Daniele Cirioli

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• cancellazione del soggetto titola-re dell’attività dal registro degliesercenti il commercio e dal regi-stro delle imprese presso la cameradi commercio.

La fruizione dell’indennizzo è in-compatibile con lo svolgimento diqualsiasi attività di lavoro autono-mo o subordinato; a tal fine i com-mercianti interessati possono presen-tare la relativa domanda all’Inps en-tro il 31 gennaio 2012.

L’importo dell’indennizzo, comeaccennato, è pari al trattamento mi-nimo di pensione per gli iscritti allaGestione Inps relativa ai soggettiesercenti attività commerciali (ilquale è eguale a quello previsto peril Fondo pensioni lavoratori dipen-denti).

Il trattamento minimo, nel 2009,è pari a euro 458,20 e rappresentaun’integrazione che lo Stato, trami-te l’Inps, corrisponde al pensionatoquando la pensione, che deriva dalcalcolo dei contributi, è di importoinferiore a quello che viene conside-rato il “minimo vitale”. In tal casocioè l’importo della pensione vieneaumentato (integrato) fino a rag-giungere la cifra stabilita, di anno in

anno, dalla legge. Tuttavia, l’inte-grazione è riconosciuta a condizio-ne che il pensionato e l’eventualeconiuge abbiano redditi non supe-riori ai limiti stabiliti ogni anno dal-la legge.

L’indennizzo spetta dal primogiorno del mese successivo a quellodi presentazione della domanda finoa tutto il mese in cui il beneficiariocompie il 65° anno di età, se uomo,ovvero il 60° anno, se donna. Il pe-riodo di godimento dell’indennizzoè utile ai soli fini del conseguimen-to del diritto a pensione. Più preci-samente, l’erogazione dell’indenniz-zo perdura fino al momento della de-correnza della pensione di vecchia-ia: la precisazione è importante e ne-cessaria per scongiurare che, conl’introduzione delle «finestre» ancheper la pensione di vecchiaia, gli in-teressati si trovino, in alcuni casi,privi sia della pensione che dell’ero-gazione dell’indennizzo. Queste «fi-nestre», già operative da anni per ilpensionamento di anzianità, dalloscorso anno sono state previste an-che per le pensioni di vecchiaia.Consistono in una particolare disci-plina della decorrenza dei trattamen-ti pensionistici.

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Pietro Ichino

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Al NordMilano, 30 novembre 2013, ore 10– Nel grande auditorium della Re-gione il portavoce del Nucleo re-gionale di valutazione ha appenaterminato la presentazione dellabozza di rapporto annuale sull’an-damento dei servizi al mercato dellavoro in Lombardia. Nella platea,attentissima fino a quel momento,corre un brusio: si mescolano vocidi consenso con altre di perplessi-tà o addirittura disappunto. Sonole reazioni dei dirigenti dell’asses-sorato regionale al mercato del la-voro, alcuni dei quali siedono suicarboni accesi, perché dai dati ap-pena forniti può dipendere la con-ferma o no del loro incarico. Maanche dei rappresentanti dei gesto-

ri privati dei servizi accreditati: perciascuno di essi, dalla valutazioneche verrà varata ufficialmente allafine dipende l’entità del finanzia-mento regionale nel prossimo an-no, secondo la legge regionale n.22/2006. Ci sono anche numerosisindacalisti, giornalisti specializzati,ricercatori universitari.

I dati di questo annual report inprogress erano, in realtà, già dispo-nibili on line da due settimane at-traverso il “portale della trasparen-za” della Regione. È in funzione or-mai da tre anni, ma gli addetti ai la-vori non si sono ancora abituati autilizzarlo. Così, i giornali riporte-ranno solo domani gli indici di an-damento gestionale che sono statida poco proiettati sullo schermo. Esoprattutto le tabelle comparative:quella con i dati omologhi delleventi regioni italiane e quella con idati dei principali Paesi europei.Complessivamente, non è andatacosì male come qualcuno temeva:la Lombardia si conferma al terzoposto tra le Regioni italiane – die-tro a Trentino-Alto Adige e Tosca-na – in base all’indice di coerenza

Lombardia e Calabria 2013:la valutazione

dell’efficienza dei servizi

Il “portale dellatrasparenza” in Lombardia è in funzione da tre anni,

ma gli addetti ai lavori non sono abituati

a utilizzarlo

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Lombardia e Calabria 2013: la valutazione dell’efficienza dei servizidi Pietro Ichino

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tra formazione professionale finan-ziata con fondi pubblici e sbocchioccupazionali effettivi di chi ne hafruito. Secondo i dati comparativiforniti dal Nucleo di valutazione laLombardia scende, invece, al quin-to posto in graduatoria, dal quartodel 2012, per l’efficacia dei servizidi mediazione tra domanda e offer-ta con finanziamento pubblico; ilche non sarebbe un dramma, senon fosse che su questo dato gli ad-detti agli uffici di collocamento e iloro dirigenti si giocano un premioche sarebbe potuto arrivare, rispet-tivamente, al sette e al trenta percento dello stipendio.

Il dato più negativo che si traedalla bozza di rapporto annuale, pe-rò, è il distacco apparentemente in-colmabile dei servizi lombardi daquelli degli altri Paesi europei e inparticolare del Nord-Europa: nono-stante i progressi in termini assolu-ti degli ultimi anni, la Regione haperso ancora del terreno in questoconfronto rispetto alla fascia alta.Ora, per esempio, il tasso comples-sivo di coerenza tra formazione im-partita e sbocchi occupazionali ef-fettivi, per la Lombardia, è salito al56 per cento, dal 52 per cento regi-strato nel 2010; ma deve confron-tarsi con un “lunare” tasso dell’81per cento della Svezia, del 79 percento della Danimarca e addiritturadell’83 per cento della Norvegia.

“Quelli, però, corrono troppo;non possiamo continuare a con-

frontarci con loro” protesta un sin-dacalista del settore pubblico, in-tervenendo nella discussione; “or-mai non li ripigliamo più. D’altraparte, quelli sono Paesi molto piùpiccoli del nostro; e più ricchi; unvero confronto non si può fare”.

Su questa uscita si apre unostrano dibattito, che vede contrap-porsi al sindacalista della funzionepubblica un altro sindacalista, maicomparso prima, nelle tre edizioniprecedenti di questa public reviewregionale sui servizi per l’impiego:rappresenta un sindacato nuovo, loSGEC, Sindacato delle generazio-ni emergenti e dei cittadini. “Maquali Paesi più piccoli!? – protestavivacemente – La Svezia ha esatta-mente lo stesso numero di abitan-ti e lo stesso reddito medio pro capi-te della Lombardia; la Danimarcaha un milione di abitanti in più delPiemonte; per altro verso, da noi leRegioni hanno una competenza le-gislativa e amministrativa piena edesclusiva in materia di servizi nelmercato del lavoro. Perché, dun-que, i servizi di collocamento e di

Secondo i dati comparativi del Nucleo di valutazione, la Lombardia scende al 5° posto dal 4° posto del 2012

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formazione della Lombardia nonpotrebbero garantirci lo stesso gra-do di efficienza dei servizi di queiPaesi?”. E i due segretari regionaliconfederali di Cgil e Cisl dannol’impressione di concordare più conlui che con il sindacalista della fun-zione pubblica.

All’intervento dello SGEC faeco il capogruppo dell’opposizionenella commissione consiliare per illavoro e la formazione, Gianni Ser-rapico, che preannuncia per il pros-simo anno una campagna elettora-le centrata sulla fissazione ai diri-genti del settore dell’obiettivo diallineare entro tre anni gli indici diefficacia dei servizi di loro compe-tenza a quelli scandinavi: “Se ac-cettano questo obiettivo – dice ilconsigliere – meritano di essereconfermati nell’incarico; se lo rifiu-tano, meritano di essere sostituiticon dirigenti capaci di applicare ilknow-how più avanzato. Se neces-sario li recluteremo tra i miglioridirigenti delle agenzie private. Op-pure – perché no? – li importeremodai Paesi stranieri più avanzati”.

Gli replica, irritato, un dirigenteregionale del settore: “Come fac-ciamo a migliorare la performancese non abbiamo i poteri? Qui nonsi può spostare una sedia senza ilpermesso del sindacato, non si pos-sono sostituire gli incapaci, non sipossono incentivare incisivamentequelli che si impegnano di più. Ab-biamo introdotto l’incentivo col-lettivo, ma quando scatta lo pren-dono tutti quanti, anche quelli chehanno contribuito di meno…”

“Le cose non stanno così” lo in-terrompe l’assessore regionale chepresiede la public review “e non po-tete fingere di non saperlo: la leggedello scorso anno facilita i trasferi-menti d’ufficio e attribuisce ai re-sponsabili di ogni comparto e servi-zio un budget per la distribuzione de-gli incentivi anche ad personam, in-crementabile con la collocazione inmobilità del personale eccedenta-rio rispetto agli organici; e le pro-cedure disciplinari sono state mol-to semplificate fin dal 2009. Il fat-to è che è ancora troppo piccola laparte del management regionale ca-pace di usare fino in fondo le pre-rogative di cui dispone. Ormai in-vece tutti i dirigenti devono impa-rare a farlo, e a farlo efficacemente,perché l’efficienza e la produttivitàdi ogni comparto dell’amministra-zione ora è costantemente sotto gliocchi di tutti. Ora la gente vede,confronta, se i risultati fissati nonvengono raggiunti, ne chiede con-

È ancora troppo piccola la parte di management

capace di usare fino in fondo

le prerogative di cui dispone

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Lombardia e Calabria 2013: la valutazione dell’efficienza dei servizidi Pietro Ichino

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to a noi politici. Ci chiedono: ‘per-ché avete scelto dei dirigenti inca-paci? Se si sono impegnati a rag-giungere questo o quell’obiettivo epoi non lo hanno raggiunto, perchénon li sostituite con altri migliori?E se invece non si sono impegnatia raggiungerlo, perché li avete as-sunti?’ Neppure noi politici possia-mo continuare a sfogliar margheri-te: se non siamo noi a mandar via idirigenti incapaci, saremo noi a es-sere mandati via. Da quando l’effi-cienza dei servizi viene misurata econfrontata, non ci sono più opzio-ni ideologiche che tengano: la mag-gior parte della gente vota per chisa garantire le performance miglio-ri, sulla base delle tabelle pubblica-te on line dalla rete degli osservato-ri indipendenti”.

Già che ha preso la parola, l’as-sessore prosegue spiegando in chemodo verranno utilizzati i dati for-niti dal valutatore indipendenteper redistribuire i contributi regio-nali fra i centri di collocamento edi formazione accreditati, secondola legge n. 22/2006. E passa quindiad aprire la seconda parte della di-scussione: quella sugli obiettivi dimiglioramento che dovranno esse-re fissati per il prossimo anno; sulpunto dà di nuovo la parola al por-tavoce del Nucleo di valutazione,cui compete di formulare una pro-posta alla Giunta regionale. Questipropone alla discussione pubblicauna serie di obiettivi di migliora-

mento ulteriore di tutti gli indicinell’ordine dei due punti nell’arcodel prossimo anno, tranne che per iservizi di orientamento professio-nale, il cui tasso di capillarizzazio-ne è cresciuto più del previsto nel-l’ultimo periodo e per il quale sem-bra realistico proporsi un aumentoulteriore della stessa entità: entrol’anno prossimo la percentuale digiovani in uscita dalla scuola me-dia inferiore o dalla media superio-re cui sarà offerto il nuovo serviziodi guidance, nel rispetto dello stan-dard di qualità definito due anni orsono, dovrà salire al 90 per cento,per raggiungere il 100 per centoentro il 2015.

A questo punto chiede la paro-la il rappresentante di un’associa-zione di portatori di handicap: la-menta lo spazio troppo esiguo de-dicato dal Nucleo di valutazioneall’andamento dei servizi specifica-mente dedicati a queste persone; eintegra l’annual report con i datiraccolti ed elaborati autonoma-mente dall’associazione. Rileva cheil numero complessivo degli inse-rimenti al lavoro nell’ultimo annoè aumentato, ma osserva che, se lo

Da quando l’efficienza dei servizi viene misurata e confrontata, non ci sonopiù opzioni ideologiche che tengano

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si disaggrega in base alla gravitàdella menomazione, il dato relati-vo all’handicap grave è invece leg-germente peggiorato. Proponedunque di lanciare un programmaregionale speciale per l’inserimen-to nel tessuto produttivo dei por-tatori di handicap grave, di cuitraccia le linee essenziali e proponeanche il nome: “Neutralizzare l’-handicap”. E chiede che al dirigen-te cui verrà affidato il programmavenga fissato un obiettivo partico-larmente impegnativo: “Su questoterreno non siamo più all’anno ze-ro; ma abbiamo ancora un gapenorme da superare rispetto ai Pae-si più avanzati. Dobbiamo impara-re a importare da loro i metodi mi-gliori, che in quei Paesi sono statiaffinati in decenni di sperimenta-zioni, mentre noi restavamo fer-mi”. Conclude chiedendo che nel“portale regionale della trasparen-za” venga inserito il link a una pa-gina web curata dall’associazione,nella quale si dà conto mese per

mese degli indici di andamento deiservizi lombardi per l’avviamentoal lavoro dei portatori di handicap,posti a confronto con quelli dellealtre regioni e degli altri principa-li Paesi europei.

È quindi la volta della rappre-sentante dell’associazione femmi-nista “Pari o dispari”, che osservacome il tasso di occupazione fem-minile in Lombardia sia rimasto aldi sotto di quello svedese del 7 percento; chiede pertanto all’assesso-re che cosa la Giunta si propongadi fare per superare questo gap.L’assessore obietta che il tasso re-gionale di occupazione femminileresta pur sempre il più alto sul pia-no nazionale.

La rappresentante di “Pari o di-spari” si dichiara insoddisfatta del-la risposta. Interviene di nuovo ilconsigliere d’opposizione Serrapi-co, sostenendo che il superamentodi quel gap non sarebbe affatto im-possibile, se la Regione si impe-gnasse di più sul terreno specificodei servizi alla famiglia e alle donneche lavorano e della riqualificazio-ne professionale e assistenza inten-siva per la rioccupazione di quelleche intendono rientrare nel merca-to del lavoro dopo un periodo dimaternità. Il portavoce del Nucleotrae occasione da questo scambioper integrare il set di obiettivi daproporre alla Giunta per il nuovoanno con un obiettivo riferito allosviluppo di questi servizi mirati al-

Il portavoce del Nucleochiede di integrare

il set di obiettivi da proporre alla Giunta

con riferimentiall’incremento del tasso

di occupazione femminile

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l’incremento del tasso di occupa-zione femminile.

La public review lombarda sichiude con una breve sessione dicarattere marcatamente tecnico,introdotta dalla relazione del dot-tor Mitchel, il membro dell’Agen-zia centrale per la trasparenza e lavalutazione nelle amministrazionipubbliche che fino al 2010 ha la-vorato per la Health Care AuditCommission britannica. Il quale il-lustra le correzioni che dal prossi-mo anno dovranno essere apporta-te al metodo di rilevazione degli in-dicatori di performance nei settoridel collocamento e della formazio-ne, come è già avvenuto in alcunialtri Paesi stranieri per evitare di-storsioni nel comportamento delleagenzie fornitrici dei servizi. Spie-ga poi il modo in cui l’Agenziacentrale segue e coordina l’operatodegli organi indipendenti periferi-ci di valutazione; nell’ultimo anno,in due casi essa ha dovuto chiede-re lo scioglimento per grave difet-to di indipendenza rispetto al ver-tice politico o al management delcomparto sottoposto al loro con-trollo.

Al SudCatanzaro, 2 dicembre 2013, ore 10– Nella sala dell’Auditorium Casa-linuovo la public review sui servizicalabresi di formazione e colloca-mento si apre in un clima di gran-de tensione: pochi giorni or sono il

Presidente del Consiglio regionalesi è dimesso dopo che la Corte diGiustizia europea ha condannato laRegione a restituire la non piccolasomma di 6 milioni di euro. Si trat-ta dei contributi che erano statierogati dal Fondo Sociale Europeotra il 2009 e il 2011, a fronte di unesborso di pari entità disposto dalConsiglio regionale nel novembre2007, per l’attivazione presso le am-ministrazioni pubbliche della stes-sa Regione di 250 “stage di alta for-mazione”, riservati a laureati con ilmassimo dei voti, attivati nel corsodel 2008. Indennità di formazione:1000 euro al mese. Durata degli sta-ge: 24 mesi. Tema dell’iniziativa:l’innovazione amministrativa. Mo-tivo della decisione della Corte diLussemburgo: assenza pressoché to-tale di contenuto formativo effetti-vo degli stage in questione. Altri250 stage dello stesso tipo e con lostesso finanziamento, attivati nellaseconda metà del 2009, sono anco-ra sotto esame.

In attesa che venga svolta la re-lazione del presidente del Nucleoregionale indipendente di valuta-

Tensione all’AuditoriumCasalinuovo di Catanzarodove si apre la publicreview sui servizi di formazione

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67pol.is – aprile 2009

zione, il pubblico in sala discutel’accaduto accalorandosi. “Lo saiperché tutto questo è potuto acca-dere? – dice il professor Sgarlato,medico dell’ateneo catanzarese, aun funzionario della Presidenza delConsiglio regionale – Perché finoall’anno scorso l’organo regionaledi valutazione delle politiche del la-voro e della formazione dipendevaancora dalla Presidenza: figurati seavrebbe potuto permettersi di squa-lificare l’iniziativa dei 500 super-sta-ge di 24 mesi a 1000 euro al mese!”

“Ma destra e sinistra in Consi-glio regionale sono corresponsabi-li dell’abuso del finanziamento co-munitario per i super-stage, replicail funzionario: se fosse solo unaquestione di metodo di designazio-ne dei membri dell’organo di valu-tazione non si salverebbe neppureil Nucleo attuale, che è stato isti-tuito con una delibera bi-partisan.Però questa volta il Consiglio hafatto una scelta coraggiosa, sce-gliendo due giovani analisti-valu-tatori stranieri e un marchigianoche ha lavorato in Svezia per dieci

anni: credo che abbiano fatto unbuon lavoro e che davvero nonguardino in faccia nessuno. Sentia-mo che cosa vengono a dirci”.

La dottoressa Verheek, presi-dente del nuovo Nucleo di valuta-zione esordisce col suo forte accen-to olandese e il suo sguardo taglien-te, affrontando subito il tema delgiorno: i “super-stage finalizzati al-l’innovazione amministrativa” mes-si sotto accusa dall’Unione Euro-pea. Dei 227 laureati eccellenti chehanno portato a termine nel 2010il “super-stage” attivato nel 2008,risulta che, a due anni di distanza,nel 2011, avevano trovato un’oc-cupazione di durata superiore aquattro mesi soltanto 103, cioè il45,3 per cento; che scendeva al41,2 rispetto ai 250 laureati inte-ressati al programma fin dall’inizioe usciti prematuramente. A tre an-ni di distanza il dato aumenta a155, pari rispettivamente al 68,2 eal 62 per cento. Ma il dato più cla-moroso è costituito dal numero diquelli che, a tre anni di distanza, ri-sultano avere trovato una occupa-zione coerente con l’oggetto dello“stage” biennale, ovvero in unaamministrazione pubblica o para-pubblica: soltanto 17, pari al 7,5per cento. Mentre un terzo degliinteressati risulta ancora disoccu-pato. Questo significa – concludela presidente del Nucleo – che nonsoltanto i 6 milioni di euro investi-ti dal Fondo Sociale Europeo in

La Verheek affronta subito il tema dei “super-stage

per l’innovazioneamministrativa”

messi sotto accusadall’Unione Europea

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Lombardia e Calabria 2013: la valutazione dell’efficienza dei servizidi Pietro Ichino

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questa iniziativa, ma anche i 6 mi-lioni investiti dalla Regione sonostati spesi quasi interamente a vuo-to, sono serviti tutt’al più per trat-tenere in Calabria qualcuno che al-trimenti sarebbe migrato altrove,ma senza creare le condizioni peruna successiva occupazione miglio-re; “e, per essere del tutto franchi– aggiunge la dottoressa Verheek –ci avrebbe stupito il contrario: erainfatti agevolmente prevedibile findall’inizio che da quei 24 mesi spe-si presso amministrazioni pubblichecalabresi i giovani interessatiavrebbero potuto trarre soltanto i1000 euro mensili di indennità, manon certo una formazione nel cam-po dell’innovazione amministrati-va. Se fosse stato davvero questo loscopo dell’iniziativa essi avrebberodovuto essere inviati, con una spe-sa uguale o persino minore, per seimesi presso amministrazionid’avanguardia straniere, o in qual-che ufficio del Trentino, o del-l’Emilia-Romagna, dove l’innova-zione si sperimenta davvero”.

Dalla sala si alza la voce di ungiovane “super-stagista”: “Chi pa-ga per questo spreco? E chi ci dà unlavoro, dopo quattro anni di atte-sa? Ci avete ingannato con quei1000 euro al mese per due anni: erauna trappola. A pagare, ora, nonsono i politici, ma siamo noi”. Lapresidente del Nucleo di valutazio-ne dagli occhi di ghiaccio, impas-sibile, risponde: “Voi avete ragione

a protestare. Ma non dovete pren-dervela con noi: noi abbiamo sol-tanto il compito di misurare e va-lutare i risultati, senza reticenze esenza compiacenze verso nessuno”.

La relazione prosegue conl’esposizione e la discussione dei da-ti relativi al tasso di coerenza traformazione impartita in altri pro-grammi finanziati con denaro pub-blico e sbocchi occupazionali con-seguiti: dati, certo, migliori rispet-to al 7,5 per cento dei “super-sta-ge”, ma pur sempre inaccettabil-mente bassi: tutti sotto il 35 percento. La sproporzione tra spesapubblica e risultati conseguiti èmessa in risalto dal confronto im-pietoso con i tassi di coerenza me-di delle Regioni del Centro e delNord-Italia e – più ancora – con itassi di coerenza medi degli altrimaggiori Paesi europei.

Vengono quindi esaminati i da-ti relativi alle attività di colloca-mento e a quelle di orientamentoprofessionale, i cui risultati utili so-no ancora più bassi, rispetto allemedie delle Regioni del Centro-

Un giovane “super-stagista” chiede: Chi paga per questospreco? Chi ci dà un lavoro dopo quattro anni di attesa?

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Nord, di quanto non siano quellidelle attività di formazione. “Ab-biamo ovviamente curato – avver-te la presidente del Nucleo – di ta-rare i risultati in relazione alle con-dizioni del mercato del lavoro ca-labrese, notoriamente assai peggio-ri rispetto alla media nazionale; maciononostante la valutazione del-l’efficacia di questi servizi è drasti-camente negativa. Al punto da fardubitare di una riformabilità dellestrutture: qui occorre pensare piut-tosto a una loro rifondazione radi-cale”. La relazione si chiude conuna nota di ottimismo: “In una si-tuazione così pesantemente nega-tiva, i margini di miglioramento so-no amplissimi. Una nuova dirigen-za fortemente motivata non farà fa-tica a conseguire dei miglioramen-ti rilevanti degli indicatori di per-formance”.

Dalla sala una voce chiede intono sarcastico: “Vuole indicarcicome fare?”. Ma la dottoressa Ver-heek torna al suo posto senza nep-pure degnare il contestatore diun’occhiata.

Il primo intervento nella discus-

sione è di un ricercatore fresco re-duce da un dottorato in Danimar-ca: “L’opinione corrente è che inCalabria il mercato del lavoro nonesista, cioè che la domanda di la-voro sia a zero. Se fosse davvero co-sì, allora logica vorrebbe che la Re-gione azzerasse anche le proprieiniziative in questo campo: nonavrebbe senso attivare dei servizi almercato del lavoro, se questo mer-cato non ci fosse. Anche il pro-gramma dei ‘super-stage’ oggi con-testato dagli ispettori del FondoSociale Europeo, a ben vedere, na-sceva dalla convinzione che la so-la cosa possibile qui da noi fosse di-sporre misure sostanzialmente assi-stenziali per alleviare la disoccupa-zione. In Calabria, invece, oltre al-l’offerta c’è anche una domanda dilavoro: non quanta ne vorremmo,ma c’è e si misura in decine di mi-gliaia di contratti ogni anno inogni provincia. Per esempio nelsettore turistico, nel commercio,nell’artigianato, nei servizi infor-matici alle imprese, nei servizi allapersona e alla famiglia. Dobbiamofarne una mappa e orientare tutti iservizi per l’impiego a questa do-manda. Nel campo dei servizi in-formatici si può pensare anche al-l’intercettazione di domanda pro-veniente da altre Regioni, permansioni suscettibili di essere svol-te in forma di telelavoro. Se inco-minciamo a farlo, è realistico pun-tare, all’inizio, a un aumento del

Un ricercatore francese:l’opinione corrente

è che il mercato del lavoro in Calabria

non esista

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Lombardia e Calabria 2013: la valutazione dell’efficienza dei servizidi Pietro Ichino

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tasso di coerenza tra formazioneimpartita e sbocchi occupazionalieffettivi del 5 per cento all’anno,poi anche del 10 per cento; e lostesso discorso vale per l’aumentodi efficacia dei servizi di orienta-mento professionale e di colloca-mento. Fissare obiettivi di questogenere ai nuovi dirigenti non è af-fatto velleitario, né tanto menovessatorio nei loro confronti; acondizione, ovviamente, che siconsenta loro di sostituire il perso-nale inutilizzabile con personaleutile allo scopo”.

“E del personale inutilizzabile checosa dovremmo fare, secondo te?”chiede dalla platea un sindacalista.

“Collocarlo in mobilità, come èespressamente previsto dalla legge”,risponde il ricercatore. “Poi, via viache se ne presenta l’occasione, spo-starlo negli uffici dove ce n’è biso-gno. Ci sono uffici dove le pratichehanno ritardi di anni; manca perso-nale d’ordine negli ispettorati, ne-gli istituti previdenziali, nelle can-cellerie giudiziarie, negli uffici dellaPubblica Sicurezza e della Guardiadi Finanza, nelle Aziende sanitarielocali. Per esempio, se trasferissimoun po’ dei dipendenti dei vecchi uf-fici di collocamento agli ispettora-ti del lavoro, come assistenti degliispettori, si potrebbe raddoppiare otriplicare l’efficienza di questi ulti-mi senza costi aggiuntivi per l’era-rio; e negli uffici di collocamentonessuno se ne accorgerebbe”.

Interviene ora un altro sindaca-lista: “Se vogliamo aumentare ladomanda di lavoro in Calabria dob-biamo imparare ad attirare qui in-vestimenti, intercettandoli dovun-que è possibile. Per questo, però,dobbiamo saper offrire a chi inve-ste un habitat favorevole al decollodell’impresa; e soprattutto sapergliproporre una scommessa comunesul successo dell’impresa. Dobbia-mo mostrargli che siamo i primi acrederci; in molti casi il modo mi-gliore per farlo è negoziare un dif-ferimento parziale della retribuzio-ne a quando i frutti arriveranno”.

Quest’ultima affermazione fa ri-bollire alcuni settori della platea.“Vatti a fidare dei padroni!” gridauna voce dal pubblico; “Cambiamestiere!” grida un’altra.

“Ti sbagli, tiene botta il sinda-calista: il nostro mestiere consisteanche nel guidare i lavoratori nellavalutazione attenta della qualitàdell’imprenditore con il quale stan-no trattando. Ma se la valutazioneè positiva, compito del sindacato èdi rappresentare e assistere i lavo-

Un sindacalista: dobbiamo imparare ad attirare investimenti qui in Calabria, offrire un habitat favorevole al decollo

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F O C U S

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ratori nella scommessa comune conchi propone un buon piano indu-striale. Dobbiamo dirgli: ‘tu ci met-ti il capitale e il know-how, noi cimettiamo il nostro lavoro. Per i pri-mi due anni ti prestiamo noi unaparte del capitale, accettando unadilazione del pagamento di unquarto delle nostre retribuzioni;poi, se il risultato sarà 100, inco-mincerai a pagarci la retribuzioneintera; se sarà 120, come siamoconvinti che sia possibile, ci resti-tuirai quel quarto di retribuzioneche ti avremo prestato fino a quelmomento”. L’intervento provocaun dibattito acceso, in cui inter-vengono altri sindacalisti, rappre-sentanti delle imprese, esponentipolitici.

Le conclusioni della public re-view sono tratte dall’Assessore re-gionale alle politiche del lavoro ealla formazione professionale, cheriprende il discorso sull’attrazionedi investimenti nella Regione: “Percreare un habitat più interessanteper le imprese dobbiamo migliorarenon soltanto i servizi al mercatodel lavoro, ma tutti i servizi e le in-frastrutture di cui le imprese han-no bisogno. Per questo l’opera deiNuclei indipendenti di valutazioneè preziosa non soltanto in questosettore di cui ci siamo occupati og-gi, ma anche in tutti gli altri. Saràla loro opera a consentirci di fissa-re ai nostri dirigenti obiettivi spe-cifici, misurabili, ripetibili, esigibi-

li, collegabili a scadenze temporaliben precise; a consentirci di com-misurare ai risultati oggettivi il lorotrattamento, ivi compresa, dovenecessario, la rimozione dall’inca-rico dirigenziale. Rendere immedia-tamente visibili questi obiettivi online, rendere costantemente cono-scibile il loro grado di realizzazioneda parte di ciascun ufficio, sarà unimpegno prioritario dell’Ammini-strazione regionale, mirato a con-sentire alla cittadinanza di control-lare l’operato di noi politici e di te-nere il suo fiato sul collo dei diri-genti. Se avessimo potuto disporredel servizio prezioso della valuta-zione indipendente, e ancor più seavessimo potuto disporre dellacombinazione tra questa e l’attivitàdi civic auditing svolta direttamen-te dalla cittadinanza, probabilmen-te non sarebbe potuto accadere chela Regione commettesse l’errorecommesso con il programma dei‘super-stages’ di cinque anni fa. Viassicuro – scandisce l’Assessore al-zando la voce – che un errore diquesto genere non si ripeterà”; equi si guadagna un applauso con-vinto da una buona metà del pub-blico presente.

“Un vantaggio di cui disponia-mo – conclude l’Assessore – per ilfatto di essere oggi la Regione piùarretrata sul piano amministrativo,in coda a tutte le graduatorie na-zionali, sta certamente, come dice-va la presidente del Nucleo di va-

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lutazione, negli ampi margini dimiglioramento che ci si offrono.Ma un altro vantaggio sta nellapossibilità di appropriarci delleesperienze più positive svolte nei

decenni passati nelle altre Regioni,e anche negli altri Paesi europei,coi quali tutti dobbiamo impararea confrontarci sempre più intensa-mente”.

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Luciano Benadusi

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’articolo di Alberto Zuliani (di-cembre 2008) presenta un qua-dro sistematico della situazio-

ne in cui versa l’università italiana,ne individua i problemi a suo pare-re più importanti e indica alcune so-luzioni possibili. In larga parte con-divido le sue analisi e proposte e netrovo apprezzabile lo stile, che si di-stingue per rigore, equilibrio e prag-matismo, da molti degli attuali in-terventi sull’università non solo dipolitici e di giornalisti ma anche distudiosi che trovano larga audiencesui media. Tali interventi hanno in-fatti spesso un’intonazione tenden-ziosa, scandalistica e catastrofista, eanche quando fanno uso di docu-mentati argomenti empirici – mi ri-ferisco in particolare ai giudiziespressi da alcuni autorevoli colle-

ghi della Bocconi – rivelano un’evi-dente pregiudizio negativo, insiemecon una più o meno esplicita pro-pensione ideologica di stampo neo-liberista ed elitista. Da questo chesta diventando un vero e propriomainstream nell’ambito della forma-zione dell’opinione pubblica, l’uni-versità italiana viene dipinta comela sentina di ogni male: sperperereb-be finanziamenti accordatile con do-vizia, selezionerebbe il personale subasi clientelari e familiste, ospitereb-be un gran numero di fannulloni edi mediocri e, anche per effetto dimal ponderate riforme (come il vi-tuperato 3 più 2), si troverebbe “incaduta libera” mostrando livelli diqualità decrescenti e decisamente in-feriori a quelli degli altri paesi svi-luppati.

Opera di disinformazioneMesse così le cose, solo una shum-peteriana “distruzione creatrice” po-trebbe permettere al paese di rivede-re delle università degne di questonome, e poco importa se queste fos-sero solo un pugno avendo tutt’in-torno un panorama desolato di isti-

Un’università da (ben) riformare

ma non da buttar via

L

Per l’opinione pubblical’università mostra livelli

di qualità decrescenti e inferiori a quelli

degli altri paesi

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Un’università da (ben) riformare ma non da buttar viadi Luciano Benadusi

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tuzioni low cost, dedite a impartirecorsi di formazione post-secondariasenza alcun legame con la ricerca econ l’avanzata expertise professiona-le. Il Guinness dei primati nell’ope-ra di disinformazione e di discreditodell’università italiana tocca, conpieno merito, al nostro Presidentedel Consiglio, il quale, secondoquanto riportano alcuni quotidianidel 16 marzo, le avrebbe imputato inun convegno a Cernobbio di essere“diventata un sistema di ammortiz-zatori sociali, in cui ogni professoreha il figlio, il cugino, l’amico del fi-glio, il cognato che ha la cattedracon l’invenzione di un corso di lau-rea”, aggiungendo di aver visto “cor-si di laurea che mi hanno fatto pri-ma inorridire e poi ridere, come ilcorso di salute animale, che ha dueiscritti in Italia” (vedi Corriere dellaSera, pag. 5).

Processo pubblico all’universitàQui troviamo compresenti in ma-niera esemplare tre vizi ricorrentinell’attuale “processo pubblico al-l’università”. Innanzitutto l’indebi-ta generalizzazione a partire da sin-goli, ovviamente riprovevoli, casi dimalcostume. In secondo luogo la di-sonestà intellettuale perché si fingedi non sapere che fenomeni di ne-potismo e di favore prestato ad ami-ci ed amiche non esistono solo, enemmeno soprattutto, nell’univer-sità ma sono purtroppo assai diffusinella società italiana, ivi compresa

– e certamente non ultima – la clas-se politica. Infine, l’avventatezza deigiudizi di merito, dal momento chela laurea in “Salute animale” ha tut-ta l’aria di essere una normalissimalaurea in veterinaria solo con un no-me un po’ inconsueto e il fatto checonti appena due iscritti probabil-mente significa che si tratta di uncorso già soppresso e in via di esau-rimento.

Non intendo fare processi alleintenzioni, ma non posso non espri-mere il timore che per effetto di taledistorcente rappresentazione dellarealtà, potremmo assistere presto adun nuovo caso di perversa “profeziache si autoadempie”. Un’istituzione,quale è la nostra università che, perriprendere le espressioni usate da unrecente studio comparativo coordi-nato da Regini (2008), è sicuramen-te “malata” ma anche ingiustamente“denigrata”, può, per errore di dia-gnosi, venire sottoposta a misure pu-nitive e a terapie incongrue, e con-seguentemente sospinta davvero ver-so una irreversibile agonia.

Pur sapendo che vanno utilizza-ti con cautela perché talora possono

Si finge di non sapere che fenomeni di nepotismoe di favori agli amici sonoassai diffusi nella societàitaliana, compresa la classepolitica

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essere fuorvianti, mi avvarrò nel-l’analisi, oltre che di dati nazionalicome quelli passati in rassegna daZuliani, di dati di tipo comparativomessi a disposizione dalle fonti sta-tistiche internazionali e da indaginiserie quali la ricerca appena citata.Il mio intento è di effettuare un’ana-lisi che permetta di discernere le ma-lattie reali da malattie solo supposte,anche se proclamate a gran voce dacritici malevoli e superficiali.

Comincerò proprio dal problemadel finanziamento. In un suo recen-te volume (2008) Perotti ha asseri-to che i valori della spesa per studen-te nell’istruzione terziaria calcolatidall’Oecd sarebbero nel caso dell’Ita-lia fortemente sottostimati perché,come avverte una nota metodologi-ca aggiunta alla tabella comparativapubblicata su Education at a Glance(2008), tutti gli studenti, analoga-mente a quanto si fa per la Germa-nia e l’Austria ma non per gli altripaesi, sarebbero considerati “a tempopieno equivalente”, formula utilizza-ta per rendere più omogenei i con-

fronti internazionali e approssimar-si maggiormente all’offerta reale diservizi agli studenti. Mi rendo con-to che ragionando attorno a “stu-denti teorici” le insidie presenti nel-la comparazione internazionale, do-vute alla carenza di informazioniomogenee su un numero spesso as-sai ampio di paesi, aumentano sen-sibilmente. Questo indicatore vapertanto utilizzato con molta caute-la e non può certo costituire il fon-damento principale su cui sorreggereuna tesi di ordine generale sulla que-stione del finanziamento. È propriociò che fa invece Perotti. Ne rideter-mina la misura sulla base dei dati su-gli “studenti equivalenti in regolacon gli esami”1 forniti dal Mur giun-gendo a concludere che il valore in-dicato dall’Oecd andrebbe addirittu-ra raddoppiato; così grazie ad unosbalorditivo coup de theatre l’Italiabalzerebbe dalla fascia medio-bassaalla fascia alta delle classifiche inter-nazionali ed europee.

Legittimare i tagliInsomma, al contrario di quanto siera fin qui ritenuto, l’università nonrisulterebbe affatto sottofinanziatae l’unico problema da affrontare re-sterebbe l’esistenza di troppi einammissibili sprechi. Una voltacostruita e ben pubblicizzata questanuova “evidenza empirica”, è riusci-to più facile ai policy makers gover-nativi legittimare la politica dei ta-gli al finanziamento statale alle uni-

La politica dei tagli all’università, già

cominciata dal precedente governo, è proseguita in modo

più radicale dall’attuale

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versità che, iniziata dal precedenteGoverno, è stata proseguita, in mo-do più radicale, dall’attuale. Il pun-to è dunque importante e meritauna discussione.

Spesa pro capiteIl raddoppio della spesa italiana perstudente rappresenta, a mio parere,una correzione del tutto ingiustifica-ta in quanto la formula con cuil’Oecd calcola il numero degli “stu-denti a tempo pieno equivalente”tiene conto non solo del carico di-dattico effettivo richiesto dagli stu-denti in un dato anno – misurato dalnumero degli esami sostenuti o deicrediti acquisiti – ma anche delladurata effettiva degli studi, cioè delperiodo di tempo mediamente inter-corrente fra l’atto dell’immatricola-zione e quello dell’uscita, avvengaessa per conseguimento del titolo oper abbandono2. È per questo chenell’annesso cui rimanda la tabella,l’Oecd asserisce che per i tre paesiper i quali non si ricorre alla formu-la del “tempo pieno equivalente”l’ammontare della spesa per studen-te rimane pur sempre comparabilepoiché la mancata considerazionedel carico didattico effettivo, la qua-le comporta una sottovalutazionedella spesa pro-capite, si compensacon la mancata considerazione del-la durata effettiva degli studi, che alcontrario comporta una sua soprav-valutazione. Tale asserzione ha unasua indubbia plausibilità sul piano

logico ma rimane generica e quindipriva di una dimostrazione statisti-ca. L’ho perciò sottoposta ad un ten-tativo di misurazione per necessitàalquanto approssimativo, anche peruna certa oscurità presente nelle spe-cifiche metodologiche offerte dal-l’Oecd, applicando la sua formuladel “tempo pieno equivalente” ai da-ti pubblicati dal Mur e dal Cnvsu re-lativamente alle due variabili in og-getto: il carico didattico effettivo inun dato anno e la durata effettivadegli studi3. La conclusione cui sonopervenuto è che non parrebbe esser-vi una compensazione totale, comeaffermato dall’Oecd, bensì una soloparziale, per cui nel 2004, l’ultimoanno per il quale è effettuato il con-fronto, la spesa italiana per studen-te “a tempo pieno equivalente” do-vrebbe essere stimata poco meno di10.700 USR, un valore nettamenteinferiore a quello calcolato da Perot-ti (attorno ai 16.000), sebbene signi-ficativamente superiore a quantopubblicato in Education at a Glance.Il motivo della compensazione sol-tanto parziale sarebbe presumibil-mente l’elevata presenza in Italia delfenomeno del dropping-out che inci-

Nel 2004 la spesa per studente a “tempo pienoequivalente” è stata al di sotto degli USA e pari a quella della Francia

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de soprattutto sugli studenti in ritar-do sulla tabella di marcia, quindiconsiderati non a tempo pieno. Unmotivo, cioè, che rimanda ad un fe-nomeno patologico, per quanto èpossibile, da eliminare. Malgradoquesta correzione al ribasso, si trat-ta comunque di un ammontare che,per centrare il confronto sui maggio-ri fra i paesi sviluppati, resterebbedecisamente al di sotto del livellodegli Stati Uniti, del Giappone, delRegno Unito, della Germania, sa-rebbe più o meno pari a quello del-la Francia ed un poco più elevato diquello della Spagna. In Europa adattestarsi su valori inferiori rimarreb-bero praticamente, oltre agli altripaesi del Sud (Spagna appunto, non-ché Portogallo e Grecia), solo le na-zioni dell’Est.

Tuttavia, per le ragioni dette, lavia meno fallace per comparare l’Ita-lia ad altri paesi è guardare piuttostoad un altro, meno problematico epiù significativo indicatore, la quo-ta del PIL spesa per l’istruzione ter-ziaria. Il quadro che ne risulta divie-ne allora più chiaro e nello stessotempo ben più drammatico. Sempre

in base alle statistiche Oecd – maquelle Eurostat (2008) nella sostan-za ci forniscono la medesima indica-zione – l’Italia con il suo 0,9% del2005 (0,76% secondo Eurostat), sicolloca al di sotto di tutti i 6 mag-giori paesi sopra menzionati (StatiUniti, 2,9; Giappone, 1,4; RegnoUnito, 1,3; Germania, 1,1; Fran-cia,1,3; Spagna 1,1), al di sotto dellamedia dell’Oecd (1,5) e dell’Europaa 19 (1,3) e viene superata perfinoda paesi come il Portogallo, la Gre-cia e da alcuni di quelli dell’Est. Per-tanto, se pure fosse accettabile – esiamo convinti che non lo sia – ilcalcolo di Perotti, ci si dovrebbe al-lora a maggior ragione domandareperché il nostro paese investe nelsettore così poche risorse e non sipreoccupi, ad esempio, di elevare ilsuo numero di laureati o il suo infi-mo numero di studenti “a tempopieno equivalente” portandolo a li-velli più dignitosi a confronto congli altri paesi.

Abbandoni e ritardiObiettivi che comunque la politicadell’istruzione superiore dovrebbeperseguire non tanto aumentando ilflusso degli immatricolati, già oggimolto consistente, quanto soprattut-to finanziando azioni volte a contra-stare il macroscopico fenomeno de-gli abbandoni e dei ritardi nel con-seguimento dei titoli di studio. Dinuovo, i dati Oecd fanno risaltareche questa rimane tuttora una delle

Finanziare azioni volte a contrastare il

macroscopico fenomenodegli abbandoni e dei

ritardi nel conseguimentodei titoli di studio

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maggiori piaghe che affliggono il no-stro sistema, con effetti perversi siain termini di efficienza che di equità.

Le recenti normative fatte appro-vare dal Governo (la legge n.133/2008 e il D.L. 180/2008) con itagli apportati al Ffo e le pesanti li-mitazioni introdotte per il turnoverdei docenti universitari, avranno laconseguenza di peggiorare in misuraconsistente entrambi gli indicatoridi finanziamento che abbiamo appe-na preso in esame e con ogni proba-bilità anche quella di squilibrare ul-teriormente la posizione dell’Italiarispetto agli altri sistemi nazionali diistruzione terziaria, rendendo le no-stre ancora più deboli nella competi-zione con le università degli altripaesi europei e nel mercato globale.

Cessazioni e reclutamentoA proposito del turnover, il Cnvsu(2008) stima che nei prossimi 4 an-ni intervengano circa 10.000 cessa-zioni, che riguarderanno in gran par-te i professori ordinari e per una par-te minore, ma pur sempre rilevante,i professori associati. La previsione èprudenziale in quanto basata solo sulnumero delle cessazioni per raggiun-ti limiti di età quando abitualmentequelle effettive ammontano a circail doppio. A fronte di queste straor-dinariamente ingenti uscite – comeminimo circa un sesto dell’attualeorganico del personale docente eprobabilmente più di un terzo dei

professori di prima fascia – la nuovanormativa consentirà un recluta-mento (dall’esterno o per scorrimen-to di carriera) ridottissimo per le pri-me due fasce ed uno più corposo, epur tuttavia anche esso ben al di sot-to di quanto occorrerebbe ai fini delrimpiazzo, per i ricercatori. È veroche ne deriveranno alcuni effetti po-sitivi come il ringiovanimento di uncorpo docente troppo invecchiato,punto su cui i confronti internazio-nali giustificano pienamente le cri-tiche rivolte al nostro sistema. E, inuna certa misura, può essere consi-derato un effetto positivo anche lacorrezione della struttura per fascecosì da farle assumere, grazie all’am-pliamento della base (i ricercatori)ed al restringimento del vertice (iprofessori ordinari), una forma pira-midale che oggi non ha. Sennonchéla correzione mi sembra troppo dra-stica comportando due conseguenzenegative: indebolire la qualità e lareputazione scientifica dei nostri ate-nei o almeno di alcuni o di alcuneparti di essi, ristabilire una gerarchiaaccademica (intendo dire anche delpotere accademico) molto forte con

Con la nuova normativa si amplierà la base (ricercatori) e si restringerà il vertice (professori ordinari)

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prevedibili ricadute anche sul con-trollo dei concorsi, per i quali oltre-tutto la nuova normativa, sul puntogiustamente criticata da Zuliani, ri-serva la presenza nelle commissioniai soli ordinari.

Si aggiunga, per completare loscenario restrittivo in termini di ri-sorse umane e finanziarie che si pro-fila per i prossimi anni, la sicuracontrazione del numero (assai piùelevato da noi che negli altri gran-di paesi europei, eccetto la Germa-nia, come mostra il già citato studiocoordinato da Regini) dei professo-ri a contratto, già oggi in atto, permotivi di sostenibilità economica esoprattutto per i requisiti di coper-tura degli insegnamenti mediantepersonale “strutturato” introdottidal D.M. 270 e dai successivi decre-ti che hanno corretto gli ordina-menti e il sistema di regolazione del-la didattica previsti dalla riforma,cioè dal D.M. 509.

Concludendo sulla questione delfinanziamento, non posso dunquenon condividere le frustrazioni, gliallarmi e le proteste diffusesi così

ampiamente tra docenti e studentinegli ultimi mesi e apprezzare l’invi-to autorevolmente rivolto dal Presi-dente della Repubblica al Governodi ritornare sulle decisioni prese e dirinunciare ai tagli “indiscriminati”disposti dalle recenti normative edalla legge finanziaria.

Redistribuire il finanziamentoSi può capire che nella grave crisiche stiamo attraversando il Gover-no italiano non se la senta, per unaserie di motivi più o meno condivisi-bili, di accrescere la spesa pubblicaper le università, come pure sarebbebene fare e come altre nazioni stan-no facendo. Quel che non mi pareproprio accettabile è che il già insuf-ficiente ammontare del flusso dei fi-nanziamenti venga drasticamente ri-dotto anziché piuttosto redistribuitoin modo più razionale allo scopo dirimediare alle più gravi carenze epremiare il merito dei singoli e delleistituzioni.

Le analisi fin qui svolte e i datirichiamati si riferiscono ai finanzia-menti complessivi, pubblici o priva-ti che siano. Guardando invece allacomposizione interna si può consta-tare che dal 2001 al 2006 la quota diessi proveniente dal Mur (FFO e fi-nanziamenti finalizzati) è significa-tivamente diminuita passando dal72,9% al 64,7%, mentre è aumenta-ta sia l’incidenza delle entrate con-tributive (le somme pagate dagli stu-

Nella grave crisi che attravesiamo, il Governonon intende accrescere

la spesa pubblica per l’università, come fanno

altre nazioni

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denti e dalle loro famiglie) che, an-cor più, quella delle entrate finaliz-zate provenienti da altri soggetti(istituzioni e imprese). Facendouguale a 100 il loro ammontare nel2001 le prime sono infatti arrivate a145,0 e le seconde a 167,2, mentrenel contempo le entrate non finaliz-zate dal Mur – rappresentate dalFondo di Finanziamento Ordinario(Ffo) – sono salite solo a 116,6. An-che in questo torna utile il confron-to internazionale. Secondo l’Oecd(2008), la componente pubblica delfinanziamento in Italia ha oramai –si tratta ancora una volta del 2005 –un peso inferiore a quelli medi del-l’organizzazione e dell’Europa a 19,e fra i maggiori paesi sopra conside-rati solo negli Stati Uniti il peso ri-sulta essere decisamente più basso(nel Regno Unito è all’incirca egua-le, negli altri 4 è invece più o menomarcatamente superiore).

Il mercato finanziarioNon si può poi non condividere l’os-servazione avanzata opportunamen-te dal Cnvsu (2008) che la crescitadelle entrate finalizzate provenientida altri soggetti se da un lato “rap-presenta un segnale della capacitàimprenditoriale delle nostre univer-sità”, dall’altro “ha degli ovvi effettisull’incremento delle uscite, poichéle entrate finalizzate vengono in lar-ga parte acquisite a fronte di speci-fiche attività di formazione e di ri-cerca <addizionali>, che solo in par-

te vengono fatte rientrare nell’impe-gno istituzionale del <personalestrutturato>”. Per la medesima ra-gione non sembra che si possa dareper scontato, come fanno i sosteni-tori della trasformazione delle uni-versità pubbliche in fondazioni, chespingere verso un ancora più accen-tuato ricorso al mercato per il finan-ziamento dell’istruzione universita-ria e della ricerca, inseguendo sottotale profilo il modello americano,serva davvero ad alimentare l’attivi-tà istituzionale anziché missioni piùspecifiche, magari economicamentee socialmente utili se appunto “ad-dizionali”, non così se diventasserodi fatto “sostitutive”. D’altra parte,se la penuria delle risorse disponibi-li per il sostentamento delle univer-sità e lo svolgimento delle primariefunzioni di formazione “graduata” edi ricerca di base conducesse, comesta già verificandosi, ad innalzare alivelli sempre più insopportabili ilprelievo sulle entrate finalizzate daparte di atenei e dipartimenti, il ri-sultato sarebbe quello di una perdi-ta di competitività rispetto ad altrisoggetti (università private o stranie-re, enti pubblici e privati, imprese)

La componente pubblica del finanziamentoin Italia ha un peso inferiore a quellodell’Europa a 19

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e di un’uscita dal mercato. Dal mo-mento che ritengo essenziali le fun-zioni istituzionali ma anche utile lapresenza sul mercato, che non va af-fatto demonizzata come alcuni fan-no, la soluzione più adatta mi sem-bra non già la trasformazione delleuniversità in fondazioni bensì la co-stituzione, a fianco delle struttureuniversitarie pubbliche, di fondazio-ni e società sotto il loro controlloche svolgano sul mercato, in condi-zioni competitive e senza paralizzan-ti lacci e lacciuoli, le funzioni “addi-zionali” (ricerca applicata, master ealtri tipi di formazione professiona-le, consulenza, ecc.). E, nello stessotempo, trasferiscano una parte, de-terminata in misura ragionevole enon eccessiva, delle risorse guada-gnate sul mercato alle università per-ché siano destinate all’adempimentodei compiti istituzionali.

Intendo ora spostare l’attenzionedall’entità dei finanziamenti e dallaloro composizione interna alla que-stione del loro uso efficiente entran-do sia pure brevemente nell’accesodibattito sugli sprechi. Non intendo

affatto negare che nelle universitàitaliane si verifichino forme di cat-tivo utilizzo delle risorse, chiamia-mole pure sprechi, talora gravi edinammissibili. Né intendo affattonegare la necessità di riforme, alcunedelle quali sono indicate in modopersuasivo nell’articolo di Zuliani.Credo però che si debbano distin-guere, cosa che nel mainstream degliattuali processi pubblici all’universi-tà si è soliti non fare, fra due tipi disprechi ovvero tra sprechi e ineffi-cienze. Il primo tipo di sprechi con-siste in spese inutili e non necessa-rie che si dovrebbero semplicementetagliare. Il secondo tipo, cioè le inef-ficienze, riguarda spese necessarie epotenzialmente utili che vengonotuttavia gestite in modo inefficien-te e in certi casi addirittura scorretto.

Spese inutili e inefficienzeSi sta facendo credere che gli spre-chi universitari appartengano soprat-tutto al primo tipo, anche perché ciòtorna comodo ai politici consenten-do loro di legittimare i tagli al bilan-cio dello Stato. In realtà in grandeprevalenza essi sono del secondo tipoe per affrontarli con strategie ade-guate conviene anzitutto misurarnee apprezzarne in modo realistico ledimensioni e quindi comprendernele cause, che sono a volte abbastan-za complesse. Diamone un esempioa proposito di uno dei fenomeni piùspesso biasimati: la moltiplicazionedei corsi di laurea. Come avverte

Tagliare gli sprechi ma rivedere le spese

necessarie e utili gestite in modo inefficiente

e scorretto

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Zuliani, un corretto raffronto va fat-to fra entità omogenee, cioè tra gliattuali corsi triennali e a ciclo uni-co e i corsi di laurea preesistenti allariforma. Essendo all’incirca del27%4, l’incremento non risulta cosìimponente come vogliono farlo ap-parire quanti dimenticano che conla riforma i livelli di laurea sono sta-ti raddoppiati.

Autoreferenzialità-espansionismoQuanto alle cause del fenomeno, vene sono alcune deteriori o comunquediscutibili: autoreferenzialità edespansionismo da parte dei docenti,pressioni di politici locali a favoredella disseminazione degli insedia-menti universitari sul territorio, ten-tativi da parte di Atenei e Facoltà diattrarre maggiori quantità di studen-ti al fine di accrescere la propria pre-sa sulle risorse trasferite dallo Stato,erroneamente distribuite in misuraproporzionale al numero degli iscrit-ti. Non sono stati assenti però altrimotivi che del resto spiegano la pre-senza del fenomeno anche al di fuoridei nostri confini nazionali. In primoluogo, come abbiamo detto, il 3 più2 che in certi paesi ha portato a rad-doppiare i livelli di laurea. E poi, latendenza incoraggiata a livello euro-peo ed internazionale, a immetterenell’istruzione universitaria più con-sistenti dosi di “vocazionalismo”, ov-vero a valorizzarne il ruolo propulsivorispetto allo sviluppo economico lo-cale. Sta di fatto però che la differen-

ziazione specialistica e la dissemina-zione territoriale dell’offerta forma-tiva sono state in Italia eccessive, da-te le scarse risorse disponibili taloraprovocando scadimenti qualitativiintollerabili. È quindi del tutto giu-stificato l’indirizzo portato avanti dalMinistero nel quadro dell’attuazionedel D.M. 270, con i nuovi più vinco-lanti “requisiti funzionali”, che cer-ca di contrarre il numero dei corsi dilaurea facendo chiudere quelli conpochi iscritti o con pochi docenti“strutturati”. Vi è solo da augurarsiche il controllo da parte del Cun sul-le deliberazioni in materia adottatedegli atenei sia sufficientemente se-vero così da evitare le elusioni dellanormativa, come ben sappiamo assaifrequenti nel nostro paese.

Ciò detto, per dimostrare che diuno spreco da sanare si tratta, va pe-rò subito avvertito che scarse sonole risorse risparmiabili grazie alla po-licy degli accorpamenti: qualche au-la e strumentazione didattica, alcu-ni professori a contratto per lo piùpagati con cifre irrisorie, un poco dilavoro del personale amministrati-vo. Il grosso dei costi, che derivanodalle retribuzioni dei docenti di ruo-

Differenziazione specialistica e territorialità dell’offerta formativa in Italia sono state eccessive

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lo impiegati, rimarrà immutato, sem-plicemente si sposterà su altri corsidi laurea, e se tutto andrà bene nemigliorerà la qualità. Perché il mi-glioramento effettivamente avven-ga si dovrà prestare sufficiente atten-zione al rischio che l’operazione, malgestita, produca effetti perversi, cioènuovi sprechi/inefficienze, che po-trebbero prendere la forma di sottou-tilizzazione dei docenti riallocati odelle competenze da loro possedute.Si tratta, dunque, di uno spreco delsecondo tipo, la cui eliminazionecomporterà – se tutto andrà bene –una crescita di qualità, e solo in pro-porzioni assai ridotte una contrazio-ne della spesa.

Molti altri esempi del genere sipotrebbero addurre: dalla frammen-tazione dei moduli e degli esami –anche essa oramai preclusa dal D.M.270 – alle distorsioni del sistemaconcorsuale e del reclutamento, cheè forse l’inefficienza più grave e dipiù difficile superamento. A questoproposito, debbo dire che la mia in-dignazione per la campagna scanda-listica in atto non è minore di quel-la di Zuliani. Si assumono come rap-presentativi dell’intera università ca-si-limite relativi alle sedi ed alle areedisciplinari più esposte a fenomeni

degenerativi. E si ignora che famili-smo e nepotismo, sono atteggiamen-ti radicati diffusamente nella socie-tà italiana e interessano in modoparticolare talune professioni comequella medica, siano o non esercita-te in ambito accademico.

Soluzione non congiunturaleIl problema di una selezione concor-suale poco meritocratica tuttavia esi-ste e non mi sembra in grado di ri-solverlo la scelta ora adottata, il sor-teggio dei membri delle commissio-ni: una strada, che può forse esserenon irragionevole scegliere nell’at-tuale contingenza, ma che è stata giàpercorsa in passato e i cui esiti, co-me ricordano i più anziani di noi, sisono rivelati poco felici. Pur essen-do convinto che nessuno può presu-mere di avere in materia la ricettagiusta, credo che una soluzione noncongiunturale vada piuttosto cercatasulla linea su cui si erano orientati,sia pure in modo diverso, i due pre-cedenti ministri, la Moratti e Mus-si. Mi riferisco cioè ad una procedu-ra selettiva a due stadi. Il primo sisvolgerebbe a livello nazionale (vin-colato ad una scadenza annuale perscongiurare i ritardi verificatisi inpassato, quando vigevano appunto iconcorsoni nazionali) con la funzio-ne di designare rose di idonei sullabase di una rigorosa verifica dei re-quisiti scientifici di soglia. Il secondosi esplicherebbe invece a livello diateneo, dove la chiamata di un ido-

Per un miglioramentooccorre evitare nuovi

sprechi/inefficienze

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neo o di un altro sarebbe sì libera masoggetta indirettamente ad una va-lutazione esterna ex post dell’effica-cia scientifica, didattica ed organiz-zativa della struttura di pertinenza,avente effetti premianti o sanziona-tori sull’istituzione decidente.

In realtà ogni discorso generalesull’efficienza e sulla qualità del no-stro sistema universitario appare ine-vitabilmente arbitrario in quantosiamo oggi in presenza di un gradoelevatissimo di eterogeneità, non so-lo tra diverse istituzioni e aree disci-plinari ma anche all’interno di esse,che va al di là del limite da conside-rarsi fisiologico in un regime di au-tonomia.

Una governance inceppataPrendiamo ad esempio il tema del-l’impegno dei docenti. Mancano da-ti che ci consentano, come in altripaesi, di determinare il numero deidocenti da considerarsi di fatto, enon formalmente, “a tempo pienoequivalente”, rapportandolo al nu-mero totale dei docenti in servizio.La mia impressione è che il tempoeffettivo dedicato ai compiti istitu-zionali – di ricerca, di didattica edorganizzativi – sia andato negli anniaumentando non poco per effettodell’ampliamento della cerchia deidocenti attivi, talora molto attivi fi-no a situazioni di vero e propriostress. Contemporaneamente, persi-stono nondimeno cerchie che si alli-

neano al minimo delle prestazioniprescritte dalla legge o addirittura sicollocano al di sotto. Una parte im-portante e crescente del lavoro uni-versitario è poi – non dimentichia-molo – eseguito da contrattisti, re-tribuiti in misura risibile o non retri-buiti affatto, nonché da giovani vo-lontari senza alcun rapporto contrat-tuale con l’organizzazione universi-taria. Insomma, ad un estremo tro-viamo, come in tutte le amministra-zioni pubbliche, i “fannulloni”, adun altro gli “stakanovisti” o addirit-tura, e questo è davvero ecceziona-le, un numero cospicuo di volonta-ri. Nessun altra istituzione pubblica,a mia conoscenza, presenta situazio-ni tanto eterogenee. E ciò accadenon solo perché vi è un regime diautonomia – in tal caso sarebbe an-cora normale – ma perché la gover-nance universitaria si è inceppata,non funziona, non è in grado quantomeno di temperare la tendenza, na-turale nelle organizzazioni accademi-che, significativamente definite daun grande studioso delle organizza-zioni quale March “anarchie orga-

Nell’organizzazione universitaria troviamo i “fannulloni”, gli “stakanovisti” e, fatto eccezionale, numerosi volontari

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nizzate”, all’individualismo atomisti-co ed all’anarchia.

Sarebbe troppo lungo affrontarequi il problema e le alternative chesi prospettano per la sua soluzione,salvo il dire che tutte passano peruna revisione del modello organiz-zativo tradizionale, radicale per chiauspica l’avvento di un manageria-lismo all’americana, meno radicaleper chi, a mio avviso più realistica-mente, preferisce pensare a correzio-ni molto incisive però non tali dasmantellare il modello di governan-ce “democratico” delle università eu-ropee. Penso, ad esempio, ad unasemplificazione della struttura orga-nizzativa che (moltiplicando gli in-trecci: tra Senati, Consigli di Am-ministrazione, coordinamenti di Pre-sidi e di Direttori; tra Facoltà, Dipar-timenti e Corsi di Laurea, ecc.) haassunto la forma di una matrice trop-po complessa, ad una sostanziale li-mitazione dell’assemblearismo, alrafforzamento delle leadership elet-tive e delle figure gestionali di tipotecnico e amministrativo (anchecon la diffusione di ruoli nuovi co-me il manager didattico). E soprat-

tutto penso alla centralità della va-lutazione – interna ed esterna, di si-stema e di ateneo o di facoltà – nonsolo per la trasparenza e per il con-trollo dei processi ma anche per l’ir-rogazione di sanzioni e l’elargizionedi premi ed incentivi.

Dell’eccellenzaAlcune delle misure introdotte di re-cente dal ministro Gelmini, come lavalutazione periodica della produt-tività di tutti i docenti, si muovononella direzione giusta. Per altri im-portanti aspetti, mi riferisco in par-ticolare all’istituzione dell’agenzia in-dipendente per la valutazione, dopoqualche passo avanti nella preceden-te legislatura, invece si registra oraun deplorevole ritardo.

Un’ultima questione cui intendodedicare qualche considerazione,strettamente connessa del resto altema della valutazione, è quella del-la qualità o, per usare un termineche oggi tende a sostituirla nell’en-fasi accordata da chi discute dell’uni-versità in Italia e a livello interna-zionale, dell’eccellenza (Bleiklie,2008). La critica delle critiche indi-rizzata al nostro sistema universita-rio riguarda infatti proprio questopunto, considerato giustamente es-senziale.

Ingiustificati catastrofismiEbbene, ancora una volta convieneevitare ingiustificati e fuorvianti ca-

Il ministro Gelmini ha giustamente introdotto

la valutazione periodicadella produttività

dei docenti

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tastrofismi per affrontare il proble-ma nelle sue dimensioni e caratteri-stiche reali. Con tutti i loro limiti,derivanti spesso dalla insufficienteaffidabilità ed omogeneità dei datisu cui sono costruiti nonché dalledifferenze di metodologie e anche disottese concezioni della qualità checonducono a risultati difformi (For-nari, 2009), i ranking internazionali,quando vengono interpretati con in-telligenza e cautela, possono aiutarea farsi un’idea del livello qualitativoraggiunto da una singola istituzioneo dall’intero sistema universitario diun paese. In Italia sono spesso lettia sproposito e utilizzati per dipingereuna situazione di sconsolante arre-tratezza e degrado. In realtà il nostrosistema certamente non eccelle manon figura nemmeno così male dagiustificare il mainstream catastrofi-sta. Nella sua valutazione dei siste-mi nazionali Il Ranking Thes (TimesHigher Education Supplement) collocal’Italia al 12° posto nel mondo ed al7° in Europa, preceduta da nazioni,come gli Stati Uniti, il Giappone, ilRegno Unito, la Germania, la Fran-cia ed altre, che spendono quasi tut-te una quota maggiore, a volte mol-to maggiore, del loro PIL in questosettore. Il piazzamento, pur non es-sendo certamente brillante, apparepertanto migliore di quello ottenu-to nelle classifiche sulla spesa.

Se poi andiamo a esaminare lequattro dimensioni su cui si articolala graduatoria ci accorgiamo che le

nostre performance sono molto dif-ferenziate. Secondo il criterio dell’ac-cessibilità (% degli studenti iscrittiad un’università italiana compresa frale 500 migliori) figuriamo benissimo:siamo terzi nel mondo e primi in Eu-ropa. Ad influenzare negativamenteil punteggio complessivo è il criteriodell’eccellenza (performance globa-le delle università di un paese che ri-sultano meglio piazzate nella classi-fica riguardante i singoli atenei) doveci collochiamo soltanto al 30° posto.Gli altri ranking maggiormente ac-creditati a livello internazionale con-fermano, anzi rafforzano, l’idea chela qualità media dei nostri atenei èbuona: ne abbiamo più della Franciae della Spagna tra i primi 500 nellagraduatoria di Shanghai, anche piùdel Regno Unito sempre tra i primi500 in quella di Taiwan ed egual-mente più della Spagna, della Fran-cia e del Regno Unito tra i primi 250in Europa secondo la classifica di Lei-den. Il problema va dunque circo-scritto alla nostra presenza nella fa-scia non già delle buone bensì delleottime università. Altri paesi euro-pei, la Francia e la Germania, han-

Nella valutazione dei sistemi nazionali, il ranking Thes collocal’Italia al 12° posto nelmondo e al 7° in Europa

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no avviato politiche ad hoc direttead accrescere la presenza di istituzio-ni nazionali fra le Top Universities de-stinandovi ingenti risorse (Regini,2009). Con le nuove normative an-che noi abbiamo finalmente iniziatoa lanciare una politica dell’eccellen-za riservando una quota del Ffo agliatenei che saranno valutati più “me-ritevoli”. Questa scelta, per la veritàancora piuttosto timida, dovrebbe daun lato essere finanziata grazie ai ri-sparmi derivanti da un vigoroso ta-glio dei “rami secchi” (atenei sottolo standard minimo accettabile), dal-l’altro e prevalentemente investen-dovi, come fanno diversi altri paesi,adeguate risorse addizionali. Se si as-sume come vincolo il mantenimen-to dell’attuale punto di forza del no-stro sistema che è, come si è visto, laqualità (scientifica e didattica) me-dia delle istituzioni universitarie, ilfinanziamento di una policy per l’ec-cellenza non dovrebbe però compor-tare tagli a carico di istituzioni “buo-ne” ancorché non in grado di pri-meggiare. A meno di non volere op-tare per una linea elitista, che rove-

sciando la situazione attuale e assu-mendo il modello dualistico delle Re-search Universities drasticamente se-parate dalle Education Universities,pur di risparmiare e allocare altrovedelle risorse si accontenti di vedersorgere qua o là qualche “cattedralenel deserto”.

BibliografiaBleiklie I., (2008), “Excellence

and the diversity of higher educationsystems”, Paper presented at the 21st

CHER Conference on “Excellenceand Diversity in Higher Education.Meanings, Goals, and Instruments”,Pavia.

Cnvsu, (2008), IX Rapporto sullostato dell’università.

Eurostat, (2008), 5% of EU GDPis spent by governments on education,“Statistic in focus”, 117.

Fornari R., (2009), Efficienza,qualità ed eccellenza dell’università. Lacostruzione del dato per la valutazione,Tesi di dottorato, Università di Ro-ma-Sapienza.

Mur, (2008), Università in cifre2007.

Oecd, (2008), Education at aglance, Paris.

Perotti R., (2008), L’universitàtruccata. Gli scandali del malcostumeaccademico, le ricette per rilanciarel’università, Einaudi, Torino.

Regini M. (a cura di), (2009),L’università malata e denigrata. Unconfronto con l’Europa, in corso dipubblicazione.

Per numero di studentiiscritti siamo terzi nel

mondo e primi in Europa.Per eccellenza ci

collochiamo soltanto al 30° posto

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Zuliani A., (2008), “Università:spunti per un confronto”, in Pol.Isper la riforma della politica e delle istitu-zioni, 1.

Note1 La definizione data dal Mur è la se-guente: gli studenti equivalenti sonopari al numero teorico di studentiche sarebbe necessario per “genera-re” il numero di esami superati o dicrediti acquisiti se tutti gli studentifossero in regola in un dato anno. Illoro ammontare si ottiene dividen-do il numero di esami superati o deicrediti acquisiti per il numero mediodi esami o di crediti previsti annual-mente dall’ordinamento degli studi. 2 La definizione dell’Oecd di full ti-me equivalent student è la seguente:“A full-time equivalent (FTE) mea-sure attempts to standardise a stu-dent’s actual course load against thenormal course load. Calculating thefull-time/part-time status requires in-formation on the time periods foractual and normal course loads.Where data and norms on indivi-dual participation are available, FTEis measured as the share of the ac-tual study load in the normal study

load multiplied by the share of theactual duration of study in the nor-mal duration of the school/academicyear. [FTE = (actual course lo-ad/normal course load) * (actual dura-tion of study during reference pe-riod/normal duration of study duringreference period).].3 Per l’anno 2003-2004, il rapportotra numero di studenti in regola congli esami e totale degli studentiiscritti calcolato dal Mur è pari a0,483 mentre il rapporto tra la dura-ta media degli studi effettiva (stima-ta dall’Oecd a 5,01) e la durata me-dia teorica (da me stimata a 3,35) èpari a 1,5. Rapportando i due fattori,così come previsto nella formula del-l’Oecd, il full time equivalent risultapari a 0,724.4 Secondo la stima presentata nel-l’articolo di Zuliani, nell’anno 2000i corsi di diploma e laurea erano pa-ri a 2.262 cui possono essere aggiun-ti 182 corsi di laurea triennale spe-rimentale per un totale di 2.444 cor-si, mentre nell’anno 2007, i corsi dilaurea triennale e a ciclo unico “ef-fettivi” (cioè senza considerare quel-li disattivati o in esaurimento) era-no pari a 3.102.

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Vincenzo [email protected]

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entocinquantamila nuovefacce al giorno si sporgonodalla finestra di Facebook,

spalancando il sipario più intimodella propria esistenza privata allemultiple reti di amici veri, verosimi-li e potenziali cha fluttuano nel cy-berspazio. Dal mese di gennaio, gliutenti del software sociale fondatoad Harvard nel 2004 da Mark Zuc-kerberg sono aumentati di un milio-ne la settimana, giungendo oggi auna quota di più di centosettanta-cinque milioni. Una pletora di vol-ti accompagnati dai dettagli minu-ziosi di ciò che contraddistinguel’aspetto più sensibile, emotivo esimbolico del vissuto individuale. Leesperienze amorose, gli sballi nottur-ni, le relazioni amicali e i conflitti

familiari debordano dalle cornici ri-servate della vita domestica e schiz-zano sugli schermi di quanti sonostati scelti e implicati nell’esperien-za degli utenti. Ognuno diviene cosìparte integrante della vita di ognisuo amico, di cui accede completa-mente sia alla scena, sia al retrosce-na esistenziale. I rivoli delle identi-tà private confluiscono fatalmentein un bacino comune, inaugurandouno stato di congiunzione che nonè più e non è solo un corpo fisico,ma un corpo elettronico, non più unorgano unico e collettivo, ma unapluralità di nodi, uno per ogni rete,per ogni identità e per ogni relazionesprigionate nei flussi comunicativi.

Un destino comuneNon è il mero impulso voyeristico acalamitare lo sguardo verso una pagi-na personale, ma un sentimento dicompartecipazione alle vicende al-trui che rinvia alla condivisione diun destino comune. Siamo così in-terpellati ad intervenire nella vitadell’altro perché lasciare un segnodella nostra presenza significa accre-scere la sua identità, consolidare una

La ricreazione della vita elettronica

C

I rivoli delle identità privateconfluiscono fatalmente

in un bacino comune: non è più e non è solo un corpo fisico, ma un

corpo elettronico

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La ricreazione della vita elettronicadi Vincenzo Susca

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relazione e fortificare la tribù di cuisi fa parte. Ogni comunità è quindiattraversata da intensi rapporti di so-lidarietà tra i propri membri e impli-ca la loro reciproca trasparenza e in-terdipendenza. Sboccia così un flo-rilegio di patti, tormentoni baldan-zosi, adesioni a cause, stigmatizzazio-ni e denunce che, quand’anche in-centrate su argomenti futili, coagu-lano e confortano dei sentimenticondivisi, irradiandoli sulla rete sot-to forma di tribù. Si tratta di un pa-radigma comunitario poroso, che dauna parte stringe i partecipanti in unabbraccio intimo, mentre dall’altrali proietta continuamente altrove.Abbiamo infatti accesso alle facce-tracce dei contatti affissi nella pagi-na personale di ognuno dei nostri in-terlocutori, siamo al corrente dellerelazioni che intercorrono tra gliutenti, conosciamo gli spostamentie i legami che giorno dopo giorno sitessono e siamo costantemente ap-pellati ad aderire a una nuova cau-sa, a convolare verso un altro grup-po, a fonderci giocosamente in unadiversa tribù.

Si fa qui largo una vibrante so-cialità in grado di porre in sinergiala distrazione con l’implicazione, laleggerezza con l’impegno, svelandotutta la profondità insita nelle figureculturali apparentemente più effime-re del nostro tempo. Per questo mo-tivo si può affiggere contemporanea-mente e senza vergogna su una pagi-na personale una barzelletta o un

commento ilare ad una foto, accan-to alla denuncia del genocidio in SriLanka e a una petizione per il rispet-to della Costituzione. In entrambele dimensioni è all’opera una formadi partecipazione alle cose di tipoempatico, che lascia prevalere ilpensiero dei sentimenti, l’implica-zione emozionale e sensibile rispet-to a un’adesione razionale e astrattaa un principio o a una issue: Facebo-ok è il reame dove sono i sensi apensare e non il pensiero a dirigerela sensibilità.

Un’etica senza moraleAl suo interno si sviluppa un’eticache, alimentata da ebbrezze ludiche,da pulsioni oniriche e da adesioniestetiche, può prescindere dalla mo-rale o persino porsi come immoralenella misura in cui l’epifania di ungruppo, con tutto il carico di codicivaloriali e simbolici che esso portacon sé, sia inconciliabile con qualsi-voglia norma istituita e consolidata.Per ogni tribù, infatti, la legge delgruppo, ovvero ciò che garantisce aipartecipanti di sentirsi insieme, ri-conoscersi e vibrare all’unisono,trionfa su qualsiasi altro principio

Facebook è il reame dove sono i sensi a pensaree non il pensiero a dirigerela sensibilità

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I M M A G I N A R I O

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proveniente dall’esterno del propriocorpo comunitario, della propria pel-le elettronica.

Ciò implica contemporaneamen-te un coinvolgimento intenso e fa-miliare nella vita dell’altro. Basti ve-dere come si compone ogni paginapersonale del social software. Al vol-to dell’utente è immediatamente as-sociato il caleidoscopio delle faccedei suoi amici. La sua esistenza elet-tronica è completata e finanche resapossibile dallo sguardo ed eventual-mente da un commento, un’imma-gine, una emoticon e di tutti gli altritipi di tracce lasciate dagli altri. Lastanza della nostra vita mentale ècostantemente abitata da un formi-colio di voci e stimoli che sovrap-pongono alla nostra coscienza per-sonale una supercoscienza in gradodi interrompere lo stato di solitudi-ne nel quale versiamo e di aggiunge-re ulteriori strati alla nostra esisten-za. Si tratta di un processo più com-plesso della sua semplificazione co-me sparizione del sé o trionfo narci-sistico dell’individuo. Questo am-biente ci interpella infatti, in un an-dirivieni incessante, ad agire sull’al-tro e a desiderare segretamentel’azione dell’altro su di noi.

L’identità elettronica e la vita quotidianaUna volta letto che Gio è stato tra-dito dalla sua compagna, una co-scienza invisibile ci sussurra che ab-biamo il compito di incoraggiarel’amico o semplicemente di farglisentire che siamo con lui. L’appren-dimento dell’informazione ci solleci-ta immediatamente all’azione e al-l’interazione; pratiche che, beninte-so, possono rimanere circoscritte nel-l’ambito della sola attività comuni-cativa senza riverberarsi sul terrenofisico della vita sociale. Nell’ambitodi questa dinamica ci accorgiamotuttavia che un filo rosso lega gra-dualmente la dimensione immagina-ria e immateriale della rete a quellamateriale del mondo, come testimo-niano le situazioni e gli eventi creatia partire dai social software e daimondi virtuali, così come la propa-gazione nei territori urbani di mode,stili di vita e attitudini provenientidai luoghi della socialità elettronica.I casi evocati rilevano l’instaurarsi diun rapporto dialogico, di una costan-te reversibilità tra media e vita quoti-diana, un processo di codetermina-zione che plasma un paesaggio del-l’abitare sospeso tra la terra e il cie-lo, tra i bit e la terra. Su questo limborinnoviamo e riproduciamo la nostraesperienza coniugando in modo al-ternativamente armonioso e conflit-tuale gli orizzonti liquidi della nostraidentità elettronica con quelli solididel suo referente fisico.

L’individuo modernoesplode in qualcosa

di più grande di sé e del sé

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La ricreazione della vita elettronicadi Vincenzo Susca

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Per ciò che concerne i rapportisociali, Facebook avalla inoltre unacondizione in cui il singolo speri-menta la duplice prospettiva di fareparte di uno o più gruppi senza ab-bandonare completamente la suaidentità e di acquisire un’identità ac-cresciuta senza perdere il senso delgruppo. Ogni amico ha il diritto e ildovere di affiggere un suo pensiero,un’immagine o una traccia sensibilesulla nostra pagina, ed è esattamen-te ciò che attribuisce un valore spe-cifico al profilo personale, di cui ilvolto diviene una sommatoria con-fusa tra l’immagine del sé e l’impron-ta dell’altro. L’identità privata quin-di si polverizza e liquefa nei rivoli deigruppi di contatti in cui viene cana-lizzata e da ognuno di essi è inces-santemente rielaborata. Avvienequindi che l’individuo modernoesplode in qualcosa di più grande disé e del sé. Senza le incursioni e leincisioni degli amici la pagina per-sonale, per quanto ciò possa sembra-re paradossale, si impoverisce, divie-ne anemica. Assistiamo così a unevento al tempo stesso prodigioso econtroverso: Facebook azzera la so-litudine e l’isolamento che avvolgo-no tante dimensioni della vita socia-le e anche elettronica contempora-nea. Da questo punto di vista tale si-stema fa compiere un salto di quali-tà anche al web, e in particolare alblog. Nell’ambito della blogosferaappaiono tante comete fugaci, dovea scrivere e leggere è il solo blogger.

Queste si dissipano frettolosamenteperché non riescono ad inserirsi nel-la galassia comunicativa. Facebookè invece un universo multistratifica-to dove la connessione è stimolatasia tecnicamente, sia socialmente,divenendo quasi un processo auto-matico, ben sorretto dall’architettu-ra del software e dalla sua estetica,le quali sono al tempo stesso abba-stanza uniformi da garantire unacomprensibilità e un accesso agili, esufficientemente personalizzabili dalasciare ai singoli un margine di ma-novra per disegnare la propria fine-stra autonomamente.

Tribù elasticheLe comunità di Facebook si pongo-no come il collante che garantisceall’utente di non smarrirsi in un uni-verso che supera quantitativamentela popolazione del Canada. Sono in-fatti centinaia di migliaia i gruppidisseminati in questo mondo. Ognu-no di essi si distingue rispetto all’evi-denziazione di una passione condi-visa, di un simbolo o di un’altra for-ma di appartenenza.

Il fuoco sacro che riscalda l’immaginario di Facebook è il coacervo di immagini ed emozioniche fluttua tra gli schermi e i corpi degli utenti

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Fiorito originariamente attornoalle università di Harvard, Stanford,Columbia e Yale, tale social softwa-re ha ora oltrepassato ampiamentele barriere dell’accademia. Più del-la metà dei suoi abitanti è ormaiesterna ai campus statunitensi e, so-prattutto, appare mossa da obiettivie linguaggi ben lungi dalle prospetti-ve più seriose e scientifiche dell’uni-versità. Il fuoco sacro che riscaldal’immaginario di Facebook è il coa-cervo di immagini, comunicazionied emozioni che fluttua tra glischermi e i corpi degli utenti. Lacondivisione delle banalità di baseattorno a cui si delinea l’esistenzanella sua dimensione ordinaria ren-de tale ambiente familiare e adatto astabilire nuovi legami profondi.Questi si dipanano sulla base delprincipio ìgli amici dei miei amicisono miei amiciî, facendo tuttavia ameno dell’intercessione della perso-na tramite cui l’incontro è favorito.Frugando nella lista dei contatti diun nostro amico, ci lasciamo affasci-nare da una faccia e possiamo age-volmente, una volta che l’interlo-cutore ci dia il suo benestare, entra-re direttamente in contatto con essae con il suo universo. In tal modo lenostre reti si estendono e ognuno

può levarsi in voli pindarici rispet-to al proprio punto di partenza geo-grafico o sociale.

Ogni tribù oscilla nel cyberspa-zio come una meteora, in alcuni ca-si sgranandosi e in altri attraendomagneticamente nuovi componen-ti. Per afferrare l’identità di ogni per-sona che risiede in Facebook divie-ne così necessario esplorare le mol-teplici trame comunitarie di cui es-sa è partecipe. Ciò è tuttavia possi-bile solo idealmente, giacché ognitribù non è che una nebulosa elasti-ca, di cui i tratti mutano in temporeale. Basti pensare che le paginepersonali visitate ammontano a set-tanta miliardi la settimana, e che lavisita media in ognuna di esse è diventi minuti. Provate ad iscrivervi enoterete con quale velocità sareteattratti da flussi di persone e di im-magini in grado di condurvi, ben aldi là di quanto crediate di control-larlo, dove non avreste mai neancheimmaginato.

La profondità dell’effimeroIl mondo tecnomagico di Facebook èin grado di immergerci completamen-te e in tempo reale, in una condizionesospesa tra l’incantesimo e la sceltarazionale, nella vita degli altri, tantoda farci provare l’ebbrezza del “fiatosul collo”. Si inaugura qui una circo-lazione virtuosa e viziosa di affetti sot-to forma di immagini, elaborazionigrafiche o frasi brevi, che garantisco-no una comunione pagana tra i par-

Siamo qui immersicompletamente

nella vita dell’altro

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tecipanti e ne rendono possibile, apartire dalla condivisione degli aspet-ti più effimeri e ordinari dell’esistenza,un rapporto in profondità.

Il software prevede diversi rap-porti comunicativi, che vanno dal-la chat privata o collettiva alloscambio di battute in pubblico, pas-sando per la telefonata tramite Sky-pe sino ad arrivare alle lettere piùtradizionali. Questi scambi sono tut-tavia anticipati dall’iniziazione cheha luogo tramite l’adesione al reper-torio di dati e soprattutto di imma-gini fornito da ogni utente per pre-sentarsi al pubblico. Facebook risul-ta infatti essere il principale serviziodi condivisione di immagini con cir-ca 5 miliardi di foto presenti. Esse te-stimoniano a che punto la culturadigitale abbia a cuore la dimensioneestetica dell’esistenza e sappia farse-ne carico autonomamente.

Le foto esposte non sono sbiaditecopie degli artificiosi photobook

sbandierati da modelle e veline diogni lega, ma riproducono in modotanto genuino quanto ricercato gliassi, le icone e le passioni di base chemuovono ogni attore sociale presen-te, manifestandosi come una formadi recitazione spontanea piuttostoche come una spontaneità recitata.La messa in scena del sé, pur artico-landosi attorno all’esibizione dei da-ti più intimi e banali della persona,si compie in modo inedito rispetto aquanto mostrato dalle derive televi-sive dei reality show, svincolandosidal ricorso al ridicolo e al trash ri-chiesto dall’industria audiovisiva alpubblico come costo da pagare perl’apparizione. Il mondo di Facebook,per quanto non avulso dal sistemaeconomico e finanziario che regge ilweb 2.0, è aperto gratuitamente atutti e non vende direttamente al-cuno spettacolo a nessuna audience.Qui l’utente, in sé e per sé, è lo spet-tacolo. Il resto è noia.

Vincenzo Susca insegna Sociologia al-l’università Sorbonne di Paris, dove faparte del CeaQ. Direttore editoriale deiCahiers européens de l’imaginaire. Col-labora con l’Università IULM di Mila-no e scrive per L’Espresso.

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OriginiMark Zuckerberg ha fondato “Facebook” (inizialmente noto col nome diThefacebook) nel Febbraio 2004, mentre frequentava l’Università di Har-vard, con l’aiuto di un amico specializzato in informatica, Andrew McCol-lum, e Eduardo Saverin. Il nome del sito si riferisce agli annuari (facebo-oks) con le foto di ogni singolo membro che alcuni college e scuole prepa-ratorie statunitensi pubblicano all’inizio dell’anno accademico e distri-buiscono ai nuovi studenti e al personale della facoltà come una via perconoscere le persone del campus. In seguito il software ha raggiunto l’Uni-versità di Stanford, della Columbia e di Yale, per poi allargarsi in brevetempo a tutte le università americane. Dal 27 febbraio 2006 Facebook siestese anche alle scuole superiori e alle grandi aziende americane. Dal-l’11 settembre 2006, chiunque abbia più di 13 anni può parteciparvi. Gliutenti possono fare parte di una o più reti partecipanti, come la scuolasuperiore, il luogo di lavoro o la regione geografica. Di fatto, da questadata, qualsiasi utente connesso alla rete può iscriversi a Facebook.

FunzionalitàFacebook permette di:– Generare network con i propri amici ed entrare in relazione con tutti i

contatti ad essi legati.– Presentare il proprio profilo includendo foto, video e immagini. La vi-

sione dei dati dettagliati della persona è ristretta agli utenti della stes-sa rete e agli amici.

– Scegliere di aggregarsi ad una o più reti, organizzate per città, posto dilavoro, scuola e religione.

– Commentare qualsiasi contenuto inserito in Facebook dai propri contatti. – Chattare, scambiarsi e-mail e telefonare tramite Skype.– Importare, condividere video e creare album fotografici e slideshow.– Esportare funzionalità e contenuti da un profilo all’altro.– Creare eventi ai quali possono essere invitati esclusivamente i propri

contatti, o chiunque voglia parteciparvi.– Diventare fan di qualcosa o qualcuno.– Creare gruppi intorno ad un tema o ad una persona, o aderire a quelli

già esistenti su Facebook– Essere informati su qualsiasi contenuto ricevuto sul proprio profilo gra-

zie alla funzione “notifiche”.

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A cura di F. Tarquini

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DatiGli utenti di Facebook hanno a disposizione più di 2000 applicazioni,tra cui primeggiano: Top Friends, Video, Graffiti, MyQuestions, iLike,FreeGifts, X Me, Superpoke!, Fortune Cookie & Horoscopes.I risultati ottenuti usando un’applicazione, ad esempio i giochi, sono co-stantemente comunicati ai propri contatti, e viceversa, tramite la fun-zione “notifiche”.L’iscrizione al sito è gratuita per gli utenti. I suoi proventi derivano dallapubblicità posta tramite i banner. Secondo TechCrunch, circa l’85% de-gli studenti dei college americani fa parte della comunità.In uno studio condotto da Student Monitor, Facebook è stato nominatonegli USA come la seconda cosa più “in” tra gli studenti universitari su-bito dopo l’iPod, allo stesso posto della birra e del sesso.Sony Pictures e Aaron Sorkin, il creatore della serie The West Wing,hanno confermato che stanno preparando un film sul social network Fa-cebook. Il film non ha ancora un titolo e sarà prodotto da Scott Rudin, eprobabilmente sarà incentrato su Mark Zuckerberg.

NumeriDal settembre 2006 al settembre 2007 la posizione nella graduatoria deltraffico dei siti è passata secondo Alexa dalla sessantesima alla settimaposizione.In Italia nel mese di agosto 2008 si sono registrate oltre un milione e tre-centomila visite, con un incremento annuo del 961%. Durante il terzotrimestre del 2008 l’Italia è in testa alla lista dei paesi con il maggioreincremento del numero di utenti: +135%Dal mese di gennaio 150.000 persone al giorno si iscrivono al social soft-ware. Oggi gli utenti ammontano a più di 175 milioni (dati aggiornatial 9.1.2009; fonte: Facebook Statistics).Il sito è attualmente valutato circa quindici miliardi di dollari.Recentemente Microsoft ha acquisito una quota di Facebook pari al-l’1,6% per l’esorbitante cifra di 240 milioni di dollari.

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Ornella Kyra [email protected]

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na sera, un mio amico diFacebook, ha scritto sul suostato: “sono un’antenna

omnidirezionale”. Qualcosa inquella frase mi ha colpito all’im-provviso. Ho iniziato ad immagina-re le facce dei miei contatti Face-book come strane antenne, muo-versi in ogni direzione alla ricercadi qualcosa da intercettare o da cuilasciarsi intercettare. Facce anten-na. Movimenti di antenna. Captaree irradiare. Attrattori1 nello spazioaperto della rete. Quella frase-im-magine, quella visione animata,compendia dove ogni cosa sta an-dando: i nostri corpi, le nostre iden-tità, le nostre menti, le nostre rela-zioni, i molteplici universi esperen-ziali nei quali quotidianamente na-vighiamo. Come visione solleticaun nuovo sentire, come metaforacognitiva registra un passaggio, co-

me visore suggerisce un’ipotesi:l’avatar antenna.

Con Facebook, è la nostra fac-cia e il nostro nome ad agire daavatar, perché siamo noi ad essereinterfacciati all’ambiente digitale enon il contrario, come avvenivanel web 1.0. Questo è un punto no-dale interessante perché cambia ra-dicalmente il nostro rapporto conle macchine, con gli ambienti digi-tali e con la stessa idea di mente.

I media elettronici hanno con-tribuito a sciogliere ontologie vec-chie di secoli ma alcune scorie teo-riche fluttuano ancora nell’aria in-tossicando le visioni del presente.Qui di seguito, una breve ma indi-cativa sequenza di frasi selezionateda articoli apparsi sulla stampa ita-liana negli ultimi mesi: Facebookrende soli; Facebook è per gli sfigati;Su Facebook ti rubano l’identità; Fa-cebook è un programma della CIAper il controllo totale; Facebook dà di-pendenza.

La traccia che connetteLa sequenza rivela l’incapacità diafferrare il nuovo, di comprender-

Codici di attrazione

U

Viviamo quotidianamente

nell’estensione della nostra mente

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Codici di attrazionedi Ornella Kyra Pistilli

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ne le potenzialità oltre che le criti-cità; di registrare le spinte liberta-rie e sperimentali che si agitano alsuo interno. Soprattutto, rivela per-sistenze di concetti, visioni e para-digmi che non funzionano più, per-ché non riescono a cogliere la com-plessità dello stato presente. Rea-le/virtuale, mente/corpo, materia-le/immateriale, pubblico/privato,non possono più essere pensati co-me parti sconnesse e contrappostedi realtà. Tra il corpo fisico, l’ava-tar e la pelle elettronica delle in-terfacce digitali vi sono contiguitàontologiche che impediscono didefinire con certezza dove finiscel’una e inizia l’altra. Viviamo quoti-dianamente nell’estensione dellanostra mente, in ambienti immate-riali generati da contenuti e rela-zioni. Tutto questo sfida le inter-pretazioni precedenti e spinge ol-tre il dominio della ratio dualistache separa, divide, oppone e scon-nette, pensa la realtà in entità con-trapposte e non vede il cambiamen-to in atto. È come cercare di cattu-rare onde radio con reti per farfalle.

Le applicazioniSe la mente è immanente2 non so-lo al corpo ma anche ai canali e aimessaggi esterni al corpo allora tut-ti i canali di informazione e i mes-saggi trasportati devono essere con-siderati parte del sistema mentale.Nelle reti della comunicazione glo-bale, la mente è estensibile, l’infor-

mazione navigabile, il confine trareale e virtuale, corpo e mente, ma-teriale e immateriale, una puraconvenzione.

Facebook, letteralmente, librodelle facce, è un dispositivo per lacreazione di legami tra persone, so-cial network, appunto. Nato con loscopo di riunire ciò che il tempo ele circostanze hanno disperso – ivecchi compagni di scuola, gli ami-ci del cortile o quelli incontrati ingiro per il mondo, i parenti, i col-leghi di lavoro – fa il pieno di uten-ti nel momento in cui introduceuna serie di applicazioni che per-mettono di generare e far circolarecontenuti multimediali sui qualigiocare affinità e divergenze, sim-patie e antipatie, comunanze, in-differenze e conflitto. I contenutisprigionano tracce testuali, visuali,iconiche, soniche, che lasciano scieambigue della nostra presenza. Lostatico libro delle facce si trasfor-ma in un imprevedibile e mutantelibro delle tracce, dove non sono piùi gradi di separazione a stabilire lacondizione di possibilità delle rela-zioni ma i contenuti generati dagli

Lo statico libro delle facce si trasforma in un imprevedibile e mutante libro delle tracce

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utenti a dare una chance alle rela-zioni. È la traccia a connettere.Le applicazioni permettono un’in-terazione creativa. Tra le più utiliz-zate: Super Wall, per la ricerca econdivisione di foto, video; Cause,che consente di sottoscrivere e con-dividere cause o anche di crearne dinuove; Note, per pubblicare e con-dividere testi; Facebook Mobile, checonsente l’utilizzo di Facebook dadispositivi mobili; Top Friend, per se-gnalare i nostri migliori amici inse-rendoli nel Top Friend Box; DefineMe, per chiedere ai nostri amici checosa ne pensano di noi; Tag Cloud,per assegnare degli aggettivi quali-ficativi ai nostri amici; iLike, per in-serire musica e video; MyMusic, peraccedere alla propria libreria iTunesdirettamente da Facebook; Last FMMusic, per ascoltare e condividerela musica di last.fm; Visual Bookshelfper condividere i libri che stiamoleggendo, Testimonials, per raccoglie-re le nostre referenze Blog RSS FeedReader, per leggere le Feed RSS, FriendStats, per creare statistiche sui no-stri amici; Console Identities, per mo-strare il nostro Xbox Live Gamer-

tag, PlayStation Network ID, o WiiFriend Code nel profilo.

E ancora, applicazioni che vi-sualizzano il nostro stato di formafisica, le città che abbiamo visita-to, la natura dei collegamenti tra inostri amici, le statistiche sui no-stri amici, così come quiz per sape-re a quale Rock Star del momentoo del passato assomigliamo, qualepersonaggio di un film o opera d’ar-te siamo, e così via. È possibile ag-gregarsi a una o più reti, organizza-te per tipologie – città natale, cit-tà di residenza, residenza geografi-ca, professione, università; far par-te di un gruppo, sostenere una cau-sa, una rivista scientifica, un hob-by, una passione comune.

Giochi di sguardiSedotti dal traffico di messaggi,conversazioni, collegamenti, avvin-ti dal fragore semantico degli at-trattori, transitiamo nel libro delletracce sperimentando il piacere deldislocamento e dei movimenti plu-rimi. Perché Facebook non è sol-tanto voyeurismo. È il piacere diseguire le tracce disseminate daglialtri; di percepire e decodificarne imessaggi; di giocare con gli sguar-di – chi sarà quella persona? Cosaposso capire della sua vita guardan-do la sua bacheca? Che cosa pen-serà di me?

Questo movimento tra indizitrasforma la faccia che è anche ava-tar in un’antenna che capta e dif-

La faccia diviene una sottile membrana

che si connette alla pluralità

dei mondi

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fonde segnali. Le antenne di Face-book sono entità liminali che vivo-no sulla linea della propria identità.Quello che affascina è la possibilitàdi fare esperienza della condizionedi soglia, di limite. La faccia non èpiù soltanto il luogo dell’identitàfissa da documento di riconosci-mento, del sé medesimo, ma puòdiventare il luogo del transito, unasottile membrana che si connettealla pluralità dei mondi. E in que-sto movimento sperimenta la sot-tile evanescenza di tutte le identitàe appartenenze e le potenzialità li-bertarie del transito.

Con Facebook scrivo e riscrivocontinuamente la mia interfaccia –e di conseguenza anche la mia fac-cia – a seconda delle azioni checompio, dei testi che scrivo, dellecause che sostengo, delle relazioniche intrattengo, delle dichiarazio-ni di stato che rilascio ogni giorno.

L’impossibilità di toccare conmano e di vedere con gli occhi l’al-tro, stimola un diverso tipo disguardo. Apre canali imprevisti allapercezione in grado di materializza-re nuove dimensioni di realtà. Unanuvola di tag può generare un’aura,un insieme di link un sistema ner-voso. La serie di post suggerisconoun’attitudine, uno stile, una mappadelle abitudini cognitive.

I contenuti funzionano da po-tenti marcatori semiotici, attratto-ri capaci di impollinare ma anchecaptare, attrarre per simpatia con-

tenuti dello stesso tipo. Tracce, se-gni, graffi, scritture che non hannopropriamente un inizio e una finema andamenti, sviluppi, improvvi-sazioni, dissonanze, contatti, in-trecci, picchi, arresti improvvisiche seguono l’instabile fluire delleaffinità elettive. Con Facebook, ladinamica degli sguardi passa attra-verso questi segnali. Segnali esibiticome vestiti, come make-up, par-lati come slang.

Strade e reti: verso il life-sharingC’era una volta la strada, libro del-le facce, luogo degli sguardi, croce-via dei desideri. Zona franca del-l’identità, spazio libero dove speri-mentare momenti di non-apparte-nenza – alla tradizione, alle radici,alla classe sociale, alla famiglia, allareligione, al genere sessuale, al-l’ethos dominante. Dal cemento del-le strade sono germogliate idee, cul-ture, stili di vita, forme di resisten-za simbolica e, soprattutto, la con-sapevolezza dello stile e la consape-volezza dell’importanza simbolicadelle differenze esibite attraverso lostile. La strada ha reso possibile ilprolungamento dell’io, espressionenero cemento dell’inquietudine me-

La moda elettronica è una sfida alla staticità cognitiva ed esperenziale

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tropolitana. Con l’avvento dei me-dia elettronici, del web 2.0 e del so-cial network, gli spazi di condivisio-ne si sono estesi, moltiplicati e so-vrapposti. È qui, insieme alla stra-da, che si praticano, innovano escontrano le nuove forme dell’inte-razione umana; è qui che si genera-no, inseminano e diffondono mode,stili e tendenze che poi tornano al-la strada, in un processo di ibrida-zione continua; un file-sharing cherealizza il life-sharing.

Le qualità sottili dello scambio.“E dimmi, questa antenna omnidi-rezionale, non ti sembra un soffio-ne da soffiare? Soffi e le idee gira-no per il mondo”, scrive sulla miabacheca l’amico-antenna.

Nella dimensione immaterialedella moda elettronica, i segnali dimoda circolano a una velocitàmaggiore rispetto alla moda fisica,limitata dalle sue stesse caratteri-stiche materiali. Se in un giornoposso rinnovare i contenuti dellamia interfaccia digitale, non possofare altrimenti con il mio guarda-roba! La moda fisica, che si espri-me attraverso la manipolazione didress code – accessori, abbiglia-

mento, make-up, messaggi paralin-guistici e cinetici – non è in gradodi incorporare visualmente le infor-mazioni che ogni giorno ci attra-versano a causa della sua stessastruttura materiale.

La moda elettronicaCon la moda elettronica, che si ba-sa sulla creazione e condivisione dicontenuti esperiti come segnali diespressione, è possibile incorpora-re ed esibire strati di informazioneprima impensabili. I segnali esibitiindicano sempre, come nella modafisica, il tipo di accesso all’informa-zione e la posizione occupata nellospettro della moda: tempestivo, se-lettivo, qualitativo, imitativo, fa-shion victim, ritardatario. Se la co-municazione è la forza sotterraneadella moda, nella moda elettronicaè accelerata, moltiplicata e disloca-ta. Una sfida alla staticità cognitivaed esperenziale. L’esperienza delflusso e dell’attraversamento ecci-ta l’immaginazione creativa: colle-gare, costruire ponti, sentieri, pas-saggi, stazioni di cambio tra mondidiversi. Vorrei suggerire l’importan-za che tutto questo può avere nelsentire, nel pensare ed esperire lamolteplicità, la differenza; di anda-re oltre i confini prefissati; nellapossibilità di smuovere il pensierocritico; nell’ibridazione tra culture.Altro che invisibilità e scomparsadell’identità! Non si tratta di libe-rarsi del corpo ma di liberare il cor-

Oggi la nostra faccia può andare ovunque:

basta schiacciare il tasto Enter

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Codici di attrazionedi Ornella Kyra Pistilli

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po, che è anche mente. Oggi la no-stra faccia può andare ovunque, ba-sta continuare a schiacciare il tastoENTER. Se tutto questo suggeriscealtri modi, altri mondi, altre possi-bilità, Facebook ce ne fornisce unatraccia.

Note1 Massimo Canevacci, Una Stupita Fat-ticità, Costa & Nolan, Milano, 2007.2 Gregory Bateson, Steps to an Eco-logy of Mind, 1972; (1976) trad. It.Verso un’Ecologia della Mente, Adel-phi, Milano, 1995.

Ornella Kyra Pistilli, antropologa, ri-cercatrice indipendente, collabora conl’Università “La Sapienza” di Roma.

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Mario [email protected]

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aia Lopresti è nata su Face-book il 25 Novembre 2008,è iscritta a 319 gruppi, par-

tecipa a tutti gli eventi, ha 2175 amici,ma solo 15 sanno che in realtà lei nonesiste”. Così si conclude il breve corto“GaiaLopresti: una vita virtuale” dellaregista Emilia Ricasoli, girato il 20 di-cembre 2008 e caricato su YouTube il27 gennaio del 20091. Il corto raccon-ta della creazione di una identità chevive di messaggi scritti nel proprio ‘sta-tus’ di Facebook, di immagini e videopostati nel proprio profilo, di parteci-pazioni a gruppi di vario tipo, di ade-sioni a eventi, di richieste di amicizia.Una identità appunto “non esistente”secondo gli autori, i quali quasi a di-mostrazione rimarcano la soppressio-ne del profilo da parte degli ammini-stratori di Facebook seguita alla pub-

blicazione del video su YouTube. In-fatti, di norma gli account su Facebookdovrebbero corrispondere a identità‘reali’, ovvero a persone con nome ecognome (spesso vi sono problemi, in-fatti, per gli account di associazioni,collettivi, gruppi artistici e politici,etc.). Il team di Facebook ha oscuratoil profilo di Gaia Lopresti, aperto il 25novembre 2008 perché contravveni-va al regolamento contro i fake, ossiai profili “falsi”, ma la sera del 2 febbra-io 2009 lo stesso team ha riattivato ilprofilo di Gaia, “invitandola a nonusare il suo wall per diffondere il videoe la sua storia” secondo quanto rac-contato dagli autori del video. Alla da-ta dell’8 febbraio 2009 Gaia Loprestiha 2.350 amici, molti ormai consape-voli della sua identità, molti altri sicu-ramente ancora ignari. Al di là delleintenzioni degli autori dell’esperimen-to, l’esperienza di Gaia mette in luceuna serie di elementi interessanti percomprendere alcuni processi di costru-zione delle relazioni nei social net-work. Naturalmente Facebook nonnasce dal nulla, ed è forse utile unabreve contestualizzazione. Dal puntodi vista della comunicazione e delle

Fakebook: essere insieme,

umanamente

Il caso di Gaia Loprestimette in luce elementi

per comprendere alcuniprocessi di costruzione

delle relazioni nei socialnetwork

“G

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Fakebook: essere insieme, umanamentedi Mario Pireddu

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forme di relazione sociale, infatti, sipuò sostenere che l’affermazione di lo-giche di rete e l’utilizzo abituale di nu-merose applicazioni web based hannoconsentito l’introduzione di diversielementi di discontinuità rispetto alpassato.

Definire il web 2.0Ben prima che il termine “web 2.0” di-ventasse familiare per analisti e studio-si, ci si era accorti che al di là della for-tuna degli slogan, qualcosa nella retestava cambiando profondamente. Iltermine “web 2.0”, lo si ricorderà, co-mincia a diffondersi nel 2003 e vieneutilizzato per tracciare a posteriori unalinea di demarcazione tra la prima fasedi sviluppo della rete (web 1.0) e l’at-tuale evoluzione in direzione semprepiù connettiva e collaborativa.

Di web 2.0 sono state date defini-zioni spesso in contrasto tra loro, e iltermine viene spesso utilizzato nelmarketing per la sua stessa natura dislogan efficace; ad ogni modo, la defi-nizione di O’Reilly resta la più cele-bre: “web 2.0 è la rete come piattafor-ma, comprendente tutti i dispositiviinterconnessi; le applicazioni web 2.0sono quelle che sfruttano maggior-mente i vantaggi specifici di tale piat-taforma: la distribuzione di softwarecome servizio continuamente aggior-nato che diventa migliore quanto piùviene utilizzato, con il consumo e il re-mix di dati da molteplici fonti, inclusii singoli utenti, che mettono a disposi-zione i propri dati e servizi in una for-

ma che consente ad altri di remixarli,producendo effetti di rete attraversouna “architettura della partecipazio-ne”, e oltrepassando la metafora dellapagina del web 1.0 per offrire esperien-ze di utenti sempre più ricche”2. I so-cial network fanno parte della galassiadiversificata di realtà che viene defi-nita “2.0”, e sono evidentemente unfatto insieme sociale e tecnologico,dunque svincolato da qualsiasi teleo-logia o finalismo intrinseco (che inve-ce gli apocalittici e gli integrati di tur-no credono sempre di individuare). Ilweb 2.0 – spesso con troppo entusia-smo acritico – rimanda a un’idea diluogo sociale in cui le possibilità di svi-luppo della rete si esprimerebbero almeglio, per cui ogni nodo diventa unpotenziale “server”. Ciò nel senso delruolo fondamentale che l’apporto pro-duttivo di ogni elemento della rete ri-vestirebbe per l’organizzazione, loscambio e più in generale per la cre-scita del sapere condiviso dalla molti-tudine di utenti che fanno parte delprocesso comunicativo. L’accento èsulla riduzione e sulla distribuzione diun controllo centrale in favore dellavelocità, del dinamismo e dei risulta-ti di attività comuni.

La “meccanica” in atto su Facebook sarebbe la soluzione dei moltiproblemi che affliggono la nostra Università

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L’architettura della partecipazioneDescrivere il web come una piattafor-ma vuol dire definire la formulazionedel concetto di architettura della parteci-pazione: funzionalità, servizi, contenu-ti, ed efficienza di programmi e appli-cazioni migliorerebbero con l’aumen-tare costante degli utenti che li utiliz-zano. Da questo punto di vista, sonogli utenti ad aggiungere valore aglistrumenti e ai prodotti degli scambicomunicativi. Se si osservano le for-me di online business di successo (daeBay ad Amazon, passando per il piùvicino IBS, che stanno ridando linfaal mercato dei prodotti di nicchia3),non si può non riconoscere che allabase di questi processi vi siano effetti-vamente delle interessanti e per certiversi inedite forme di interazione so-ciale. Yochai Benkler, professore di di-ritto all’Università di Yale, parlaespressamente di produzione di capi-tale e di valore. I capitali a disposizio-ne dei singoli individui sono moltepli-ci, dalla capacità di calcolo inutilizzatadei computer alla creatività e al lavorointellettuale (capitale cognitivo), e illoro parziale utilizzo per la produzionedi beni condivisi (shareable goods), pur

non implicando grossi investimenti alivello individuale, tutto ciò può con-durre – grazie alle tecnologie della co-municazione – alla creazione di benidall’elevato valore4.

Il valore di FacebookÈ proprio sul “valore” che si gioca lapartita dell’interpretazione sul muta-mento in atto. Se nel caso di Wikipe-dia (esperienza peraltro contestata invarie occasioni), dei suggerimenti deilettori su Amazon o altre realtà “2.0”,pare più o meno chiaro quale sia il va-lore che cresce grazie alla partecipazio-ne attiva degli utenti, nel caso dei so-cial network le valutazioni si fanno piùcontraddittorie. A leggere quel cheviene scritto sui social network, infat-ti, ci si trova spesso davanti a lettureora giudicanti, ora enfatiche. Su Face-book, in particolare, è stato detto escritto molto, e questo – oltre che peril suo effettivo successo in termini diiscrizioni e valore economico – siamettendo in evidenza la presenza digruppi razzisti o inneggianti alla vio-lenza, sia per il suo utilizzo “intelligen-te”, come ad esempio quello dello staffdel presidente Obama durante la cam-pagna elettorale contro McCain5. Nonentrando nel merito, tra l’altro, si puòaffermare come nota a margine chequella che è stata condotta come unacomplessa campagna di marketing benriuscita6 (con tutte le novità del caso,naturalmente) è stata scambiata damolti analisti per una unione tra unanuova politica “rivoluzionaria” e le lo-

Il fatto che esistano migliaiadi account come quello

di Gaia dimostra che il“valore” di Facebook debba

essere ridimensionato?

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giche connettive e partecipatorie del-la rete, con un appiattimento sulle re-toriche del web 2.0 – che più che aiu-tare a comprendere, rendono opaca lareale portata dell’evento e la sua na-turale ambiguità.

Miti e realtà della reteForse è meglio dirlo chiaramente, co-me fa Formenti nel suo ultimo testo:sulla rete circolano ancora diverse mi-tologie che vengono da lontano, chesono cresciute negli anni Novanta delsecolo scorso e che sono sopravvissu-te nella trasformazione recente delweb7. “La rete non può essere control-lata”, “la trasparenza è sempre buona”,“lo sciame è sempre intelligente”, e viadiscorrendo. Anche relativamente alvalore partecipativo che si attribuiscea fenomeni di intrattenimento digita-le come questo, ci sarebbe molto da di-scutere. Da un lato, la partecipazionenon è riuscita a funzionare di per sécome deterrente delle deviazioni au-toritarie della democrazia e anzi haspesso fatto da dispositivo di pericolo-se derive populiste. Al contempo vadetto che la “meccanica” in atto su Fa-cebook sarebbe la soluzione dei moltiproblemi di inerzia, passività e verti-calità che affliggono la nostra Univer-sità. Sottolineare questo non significaaffatto porsi dalla parte degli apocalit-tici che enfatizzano la “negatività” del-la cultura dello user generated content.Anzi, chi scrive è convinto della inevi-tabilità del cambiamento e della utili-tà di un mutamento che scardina le lo-

giche elitarie e centraliste che aveva-mo ereditato da una cultura monome-diale quale quella tipografica della mo-dernità. Più che altro, si è convinti delfatto che per indagare la realtà socia-le serva un atteggiamento laico, un ap-proccio basato sulla comprensione piùche sul giudizio fulmineo, sulla curiosi-tà più che sulla specchiata moralità(solitamente dell’osservatore e mai indiscussione). Già, perché quel che ac-cade nei social network e in Facebo-ok è nella sostanza qualcosa di amora-le, proprio poiché – come detto sopra –siamo davanti a un fatto insieme so-ciale e tecnologico, privo di qualsiasifinalismo costitutivo. Ed ecco perchéla vicenda di Gaia Lopresti può esse-re letta in vari modi. Non è questa lasede per elencare la proliferazione direaltà interessanti connesse alla cultu-ra della partecipazione e dei contenu-ti generati dagli utenti8. Ci si limiti aosservare che uno dei meriti indubbidi Facebook, rispetto ad altre realtà, èstato il riuscire a portare in rete centi-naia di migliaia di persone che forseavrebbero tardato o non vi sarebberomai entrate. È indubbio infatti che Fa-cebook abbia “alfabetizzato” (bruttaparola che rende evidente il pregiudi-zio tipografico sempre incombente sul-la percezione delle vie alla conoscen-

Quel che accade nei socialnetwork e in Facebook è nella sostanza qualcosa di amorale

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za) alla rete moltissime persone chenon avevano familiarità con il net-work e le sue logiche, e spesso addirit-tura neanche con il computer. Alcu-ne di queste persone si sono affaccia-te su Facebook con l’entusiasmo di chiritrova vecchie conoscenze o ne fa dinuove, di chi prende parte a cene del-la classe delle scuole superiori, etc; al-tre utilizzano Facebook come strumen-to di lavoro (contatti, comunicazioni,analisi sociologiche, etc.) o di autopro-mozione (personale, politica, artistica,etc.). Altre ancora, si sono iscritte aFacebook con identità nascoste o “nonreali”, decidendo di valutare e ponde-rare il da farsi, oppure scegliendo espli-citamente la via dell’identità “falsa”(la stessa cosa avviene per ovvie ragio-ni, e maggiormente, anche nei monditridimensionali persistenti online, co-me Second Life etc.). È il caso di Ga-ia Lopresti, che peraltro ci dice qual-cosa che sapevamo già, sin dai tempidei MUD e delle chat.

Gaia Lopresti livesIl fatto che esistano migliaia di ac-count come quello di Gaia – a volteanche dai nomi celebri, come Gesù di

Nazareth, Frank Zappa, etc. – dimo-stra che il “valore” di Facebook debbaessere ridimensionato?

Ciò presupporrebbe che conside-riamo gli account “normali” – quelliche Facebook ci intima di aprire, ov-vero con i nostri nomi e cognomi –rappresentazioni reali di noi stessi. Mal’identità sociale è qualcosa di enorme-mente sfaccettata per poter assumerequesta posizione come valida in asso-luto. In Facebook prende corpo unarealtà sociale costruita e complessa, co-struita a partire da un senso comune cheogni individualità concorre a model-lare, e per questo sostanzialmente in-definibile una volta per tutte. DavideBorrelli ricorda come alla radice del-l’espressione “senso comune” risiedauna ambivalenza semantica di fondo:munus come debito verso l’altro, comefondazione del luogo comune e dei le-gami di reciprocità che sono alla basedell’essere insieme; e comune come ba-nale, ovvero ordinario e poco signifi-cativo. In questo senso, scrive Borrelliriprendendo l’etimologia di banale (dain bannum positum, abbandonato e al-lontanato), nello slittamento di signi-ficato del concetto di comune, “dalcondiviso al banale, si verifica una tra-sformazione da ciò che percepiamo co-me “anche nostro” a ciò che invecesentiamo come “estraneo da noi”9. Piùnel concreto, come già rimarcavaGoffman, se l’identità sociale è costrui-ta, ognuno di noi lavora per costruirlaindividualmente in un certo modo,ognuno si assume la responsabilità di

In Facebook prende corpo una realtà socialecostruita a partire da unsenso comune che ogni

individualità concorre a modellare

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sorvegliare il flusso degli eventi a cuiassiste e a cui partecipa10. E insiemeagli altri crea la realtà sociale, il suo“valore” e le sue configurazioni.L’ostentata voglia di ripulire Facebookda questo o da quello, dai fake e dalleidentità non chiare, con il corredo diinferenze che ne consegue, è il corri-spettivo oscuro delle acritiche dichia-razioni di entusiasmo per le mitologie ele “rivoluzioni” dei nuovi media. Sitratta di una volontà che rende contodi un’idea di medium spoglia di unaconsiderazione ancora fondamentale:il medium è il messaggio, e il messag-gio siamo noi. Il “valore” del medium ènella natura dell’interazione, nel mu-tamento di proporzioni, di ritmo e dischemi che introduce nei rapportiumani11. Rapporti che da sempre si de-finiscono attraverso media differenti.Quel che si decide di postare su Face-book è una parte di quel che siamo, edè in questo senso che appare limitan-te affermare che Gaia Lopresti non esi-ste. Gaia Lopresti agisce, scrive i suoipensieri, pubblica dei video, rispondeai contatti. Gaia Lopresti esiste.

Note1 www.youtube.com/watch?=7YP961Y41U42 “Web 2.0 is the network as platform,spanning all connected devices; web 2.0applications are those that make the mostof the intrinsic advantages of that plat-form: delivering software as a continually-updated service that gets better the more

people use it, consuming and remixing da-ta from multiple sources, including indi-vidual users, while providing their own da-ta and services in a form that allows remi-xing by others, creating network effectsthrough an “architecture of participation”,and going beyond the page metaphor ofWeb 1.0 to deliver rich user experiences”.http://radar.oreilly.com/archives/2005/10/web_20_compact_definition.html3 Anderson C., La coda lunga. Da un mer-cato di massa a una massa di mercati, Codi-ce, Torino, 2007.4 Benkler Y., The Wealth of Networks: HowSocial Production Transforms Markets andFreedom, Yale University Press, New Ha-ven and London, 2006. Si veda ancheBenkler Y., “Sharing Nicely: on shareablegoods and the emergence of sharing as amodality of economic production”, The Ya-le Law Journal, Vol. 114, 2004, pp. 273-358.5 www.facebook.com/barackobama6 www.7thfloor.it/2009/01/29/12-lezioni-che-abbiamo-imparato-dalla-strategia-di-marketing-e-comunicazione-di-barack-obama/7 Formenti C., Cybersoviet. Utopie postde-mocratiche e nuovi media, Raffaello Corti-na Editore, Milano, 2008.8 Si veda a titolo di esempio Jenkins H.,Cultura convergente, Apogeo, Milano,2007; Jenkins H., Fan, blogger e videoga-mers. L’emergere delle culture partecipativenell’era digitale, Franco Angeli, Milano,2008.9 Borrelli D., Il mondo che siamo. Per unasociologia dei media e dei linguaggi digitali, Li-guori, Napoli, 2008, p. 174.10 Cfr. Goffman E., Il rituale dell’interazione,Il Mulino, Bologna, 1971.11 McLuhan M., Gli strumenti del comuni-care, Il Saggiatore, Milano, 1967.

Mario Pireddu, mediologo, è asse-gnista di ricerca presso l’Università Ro-ma Tre.

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Fabio La Rocca / Moisés de Lemos [email protected] / [email protected]

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abio La Rocca: Il mondo con-temporaneo è sempre più do-minato dal trionfo della società

della comunicazione, nella quale ilpaesaggio del web rappresenta ilmezzo principale di scambio, di rela-zione e di espressione. In questo pa-norama, la tendenza del social net-working si diffonde capillarmentenella nostra vita sociale, divenendola forma espressiva dell’essere socia-le nell’era del web 2.0. Qui la figuradell’internauta assume allo stessotempo il ruolo di attore e spettatoredella “grande conversazione” scam-biata quotidianamente in Internet.È il caso di Facebook, un vero feno-meno alla moda, un altro strumen-to che si aggiunge alla panoplia deidiversi siti friends e comunitari, e che

potremmo definire come un meta-medium interattivo che rimodella lavita quotidiana. Quali sono le chia-vi del suo successo? Si tratta di unnuovo paradigma dell’esistenza?

Moisés de Lemos Martins: Per ini-ziare, vorrei segnalare che non sonodel tutto sicuro che il paesaggio delweb rappresenti il “mezzo principa-le di scambio, relazione ed espressio-ne” della società della comunicazio-ne. Si tratta del trionfo della socie-tà della comunicazione o piuttostodell’emergenza di una società capi-talista migliorata, una società basa-ta sul controllo e la soggettivazione?A mio avviso, l’informazione tecno-logica è prima di tutto una nuovaforma di dominazione. L’interazionecon le tecnologie s’iscrive in un pro-cesso iniziato tempo fa con la ten-sione tra la logica degli esseri uma-ni e la logica tecnica.

Per essere più precisi, assistiamooggi a una specie di sincretismo, incui delle nuove tribù socio-tecnichecoesistono con strutture di dominiolegate al capitalismo. In questo nuo-vo ordine, il proto-modernismo e il

L’esposizione in rete della vita quotidiana.

Dialogo tra Fabio La Rocca e Moisés de Lemos Martins

F

Facebook non è unsemplice “fenomeno alla

moda”: l’aggregazione degliesseri umani e degli oggetti

tecnici è una tendenza di lunga durata

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L’esposizione in rete della vita quotidianadi Fabio La Rocca / Moisés de Lemos Martins

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modernismo tout court si presentanomescolati.

In questo contesto il sociale, co-me l’umano, è ormai mescolato al-l’inumano. Il sociale ha una pelletecnica, come potremmo dire citan-do Derrick de Kerckhove.

Ciò che lei chiama “un meta-medium interattivo” a mio avvisorappresenta una nuova forma di ag-gregare gli esseri umani con degli og-getti tecnici. Non penso che possia-mo parlare di Facebook come di un“fenomeno alla moda”. L’aggregazio-ne degli esseri umani e degli oggettitecnici è una tendenza di lunga du-rata nel senso in cui ne parlano Ber-gson e Leroi-Gourhan. Per la stessaragione, non credo che siamo difronte all’avvento di un nuovo para-digma dell’esistenza. Questo paradig-ma viene dal proto-modernismo e siricollega alla fusione degli esseriumani con gli oggetti tecnici.

FLR: Nello scenario attuale Facebo-ok, inteso come medium sociale, siinserisce in un cambio di paradigmalegato alle nuove tecnologie, un eco-sistema mediatico strutturato sull’in-terazione, le reti e le relazioni. Si svi-luppa così una sensazione di appar-tenenza ad una sola vasta tribù chepotremmo tradurre evidenziando ilpassaggio da una società intima al-l’esposizione e alla messa in rete del-la vita quotidiana. Possiamo vedereche nell’esperienza digitale della co-municazione, l’identità si mette a nu-

do, l’intimità si pubblicizza e in que-sto modo si sviluppa una cartografiaumana relazionale e comportamen-tale. Il fatto di “aggiornare” il profi-lo, di visualizzare ciò che stiamo fa-cendo, il notro status emotivo, inogni momento della giornata, è il se-gno evidente della pervasività dellaRete che è sempre in posizione ON;dunque una permanenza on line inin-terrotta, che permette la diffusione el’accesso a tutta la catena di amici (opseudo tali). Anche questo è il sim-bolo della potenza della comunica-zione attraverso le NTCI (NuoveTecnologie di Comunicazione e In-formazione) che sono sempre più re-lazionali e, come mostra bene Der-rick de Kerckhove, sono un emble-ma dell’interattività, della connetti-vità e dunque dell’effetto della webi-tude. Su Facebook, riscontriamo untrionfo del linguaggio digitale dellacomunicazione da intendere comeuno scambio intenso di messaggi, fo-to, video, informazioni, che si im-merge nell’universo dove vige “l’esta-si della comunicazione” di cui parla-va Jean Baudrillard.

MLM: Mi interrogo se la definizio-ne di Facebook come “medium so-

Nell’esperienza digitaledella comunicazionel’identità si mette a nudo

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ciale” spieghi tutta la sua natura. Inuovi media rendono conto del-l’emergenza di una società capitali-sta migliorata. Concepisco Facebo-ok come un’attività positiva, dove èall’opera un processo di soggettiva-zione che ci rende docili e utili. Percapire meglio il dispositivo Facebo-ok, possiamo appoggiarci sull’idea diCastells dell’abbandono del model-lo basato sulla produzione e l’avven-to di un modello imperniato sull’in-formazione. Considero tuttavia chequesta chiave ermeneutica non siacompletamente soddisfacente. Seposso fare una parodia della teoriadell’informazione, direi che, dallasua origine, essa è legata alle compa-gnie telefoniche. Si tratta di com-pensare o di annullare dei rumori, inmodo che i messaggi circolino tra unemittente e un ricettore.

Direi allora che la figura dell’eco-sistema mi sembra, a tal proposito,molto più pertinente. Dobbiamo co-munque rilevare che in questi eco-sistemi ha luogo un’ibridazione: l’ho-mo sapiens si mescola all’homo nume-ricus. Un essere ibridato con le suelogiche socio-tecniche. Pensando aDonna Haraway, si potrebbe parlare

di cyborg. Ma forse bisogna espri-mersi in modo più radicale. Dovrem-mo quindi dire che questo processodi ibridazione è cominciato con illinguaggio (la scrittura in quantoproto-tecnica per parlare come Der-rida) ed è continuato con la stampa,la fotografia, il grammofono, il filme la macchina da scrivere, la radio,la TV e prende forma oggi in questanuova fusione di bios e tekné: una fu-sione dell’organico e dell’inorganicoche il cibernauta sperimenta quoti-dianamente.

Non credo, tra l’altro, che que-sto passaggio dalla società intima al-l’esposizione e la messa in rete dellavita quotidiana sia apparso all’im-provviso tramite l’avvento dei nuovimedia. Abbiamo visto con Haber-mas che la creazione dello spaziopubblico è iniziata con i giornali e ibar, in seguito alla Rivoluzione fran-cese. La radio ha avuto anch’essaun’importanza decisiva nella primametà del XX secolo, per poi lasciarespazio alla televisione. C’è statoquindi un grande cambio di forma:all’inizio, i media avevano un cen-tro di controllo dell’informazione ederano gerarchici e verticali conun’interazione dell’alto verso il bas-so. Era il caso della stampa, della ra-dio e della televisione. Ora invece lereti digitali costituiscono una carto-grafia accentrata con delle interazio-ni orizzontali.

Sulla connessione permanente,continua e ininterrotta “della rete

Nei nuovi ecosistemi haluogo un’ibridazione:

l’homo sapiens si mescolaall’homo numericus

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che è sempre in posizione ON” vor-rei ricordare che per Toni Negri ilcapitalismo è per natura connettivo,ed egli arriva fino al punto di parlaredi modo connettivista del capitali-smo che comporta la fine delle fron-tiere. La “modernità liquida” di cuiparla Bauman spiega questo generedi fenomeni; essa permette quindi laliberazione del capitale e la sua fron-tiera un tempo ristretta, chiusa, pe-sante, meccanica, ora può mobiliz-zare l’uomo intero.

Questa logica connettivista è unalogica iper che s’impone nel sociale:“se tu non sei connesso, non esistipiù”; “mi connetto, quindi esisto”.In questo processo c’è una certa so-miglianza con i fenomeni di dipen-denza: più ne prendi più ne vuoi.Anche la televisione produce un ef-fetto simile. Pertanto la connessio-ne nei nuovi media non è più par-ziale, ma avvolge la gente sempre piùnella loro totalità come se si trattas-se di un processo virale.

FLR: Se Internet diventa l’infra-struttura di funzionamento delle at-tività umane, è certo che Facebookoccupa qui un posto di primo piano,divenendo una norma di quelle checon Federico Casalegno chiamiamo“cybersocialità”. (Il Saggiatore,2008). Ciò influenza l’immaginariocollettivo nel quale il gioco, il ludi-co, il sentimento di condivisione, lasmania di tessere dei legami all’infi-nito, sono altrettanti segni dell’ho-

mo numericus oppure del nuovo uo-mo postmoderno che tramite Face-book realizza un’autocelebrazione delSé che si perde in un Noi più vasto.Ma allo stesso tempo, questa auto-celebrazione genera anche un’auto-sorveglianza dell’esistenza, una mon-dializzazione della vita privata. L’in-dividuo insieme con il sistema disorveglianza e di marketing viraleche si “nasconde” dietro il supportotecnico di Facebook, forma in que-sto modo un solo e unico Big Bro-ther! La “facebookizzazione” delmondo potrebbe allora essere intesacome un nuovo paradigma dell’esi-stenza che indicizza il corpo sociale.

MLM: Questa socialità è ambigua.Potremmo dire che essa può sia pro-durre qualcosa di nuovo ricreandodelle inedite possibilità, sia rinforzarela società del controllo. Facebook è ingrado, infatti, di provocare lo svilup-po delle differenze con la celebrazio-ne del corpo e del ludico. Le comuni-tà e le feste rese possibili dal socialnetworking vanno in questo senso.Ma i suoi effetti sono contraddittori ele dipendenze emozionali che generane offrono una testimonianza.

Questo nuovo Big Brother si in-dirizza all’individuo intero e lo av-volge dall’interno come se parteci-

“Mi connetto quindi esisto”

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passe ad una allucinazione colletti-va, uguale all’esperienza allucinoge-na descritta da Gibson nel suo ro-manzo Neuromante. Questo proces-so è in grande accelerazione: semprepiù reti e anche sempre più tempodavanti al computer. Si tratta di unBig Brother frammentato, accentra-to, con delle rugosità e delle con-traddizioni. Per esempio, vediamosorgere delle reti sotterranee che so-no nel Net ma che non gli sono sot-tomesse. È il caso del neo-sciamani-smo, del new age, della sperimenta-zione estetica, delle comunità disoftware libero contro Microsoft, de-gli hackers etc. La logica di questoBig Brother va nel senso di una mo-bilizzazione estetica ed emotiva diogni individuo. D’altra parte, biso-gna sottolineare che l’invocazionedell’estetica nel contesto tecnologi-co non è limitata dal taglio episte-mologico di questa disciplina. L’este-tica è qui compresa in rapporto allasensibilità, all’emozione, alle sensa-zioni, all’affetto. Per questo diremoche la nuova sensibilità è ibrida. So-no le macchine prodotte dallascienza che mobilitano gli affetti e

gli danno un valore mercantile. Nelmomento stesso in cui le nuove tec-nologie si spettacolarizzano, esse re-mitologizzano il mondo in permanen-za, realizzando il ritorno dell’arcai-co nell’attuale. Dall’analisi di Ben-jamin, capiamo che l’avvento deinuovi mezzi tecnici non ha comeunico effetto la “disarticolazionedelle masse”. Al contrario, le nuo-ve tecnologie aiutano l’ingresso del-le masse nella storia rinforzando illoro diritto affinché possano affer-marsi nella loro potenza. Questa cir-costanza provoca la crisi dei rappor-ti di proprietà sui quali si poggianoi valori di “creatività, genialità, va-lore eterno e segreto”.

FLR: L’esistenza dell’uomo postmo-derno è generalmente posizionata inquesto mondo digitale sociale, di cuiFacebook fa parte, con una forteconvergenza tecnologica in cui In-ternet, come indica Joël de Rosnay,è pensato come una Tecnologia diRelazione. Relazione e convergenzasono dunque caratteristiche legateall’effetto Facebook, che dallo spa-zio privato si propaga in quello pub-blico grazie alla proliferazione degliapparecchi tecnologici, come i tele-foni cellulari di nuova generazione,che permettono agli individui di es-sere ad ogni momento della giorna-ta in contatto con la propria comu-nità di amici per comunicare e ave-re sotto controllo ogni istante dellaloro vita. In tal modo, si potrebbe

Siamo di fronte alla crisi dei rapporti di proprietà

sui quali si poggiano i valori di creatività,

genialità, valore eterno e segreto

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L’esposizione in rete della vita quotidianadi Fabio La Rocca / Moisés de Lemos Martins

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ipotizzare, seguendo Alexander Barde Jan Söderqvist, che l’utente diven-ta il medium; questo lifestreaminggetta la personalità skizoide nella te-la di Facebook e nel desiderio di es-sere collegato (nel senso del legametecnologico) che determina il pas-saggio dell’individuo verso il “divi-du”, nel senso deleuziano. Ecco dun-que quello che sembra essere, nelmomento della trasposizione dellavita quotidiana in Facebook, unodei tratti caratteristici della perso-nalità “dividuale”: un punto di vistasulla frammentazione dei pezzi di vi-ta in funzione del coinvolgimentonel contesto, nel presente dell’im-mersione tecnologica.

MLM: Riconosco nel suo spuntouna tesi di Deleuze che trovo moltointeressante. In effetti, la tendenzaschizoide della società moderna èantecedente al web 2.0. A mio av-viso, il web 2.0 non costituisce un

cambio di paradigma. Siamo qui difronte alla dilatazione di ciò che ècominciato con lo sviluppo della so-cietà moderna o, in altri termini, diquello che è cominciato con il capi-talismo.

Un ultimo aspetto da evidenzia-re: la sua riflessione colloca la tra-sposizione della vita quotidiana suFacebook sulla linea della frammen-tazione. L’immersione nel contesto,nel presente dell’immersione tecno-logica, significherebbe la frammen-tazione dei pezzi di vita. Condividopienamente questo punto di vista.La tecnica non è più soltanto stru-mentale, non si limita più a prolun-gare il braccio umano ma attraversal’umano e lo investe. Essa è, in effet-ti, seguendo la formula di Heidegger,la condizione che ci permette di de-finire l’umano. L’uomo non è più se-parabile dalle reti tecnologiche mul-tiple dove decide la sua vita: esso haormai una pelle tecnologica.

Moisés de Lemos Martins è professoredi Scienze della Comunicazione all’Uni-versità do Minho di Braga (Portogallo),membro del CECS (Centro de EstudosComunicação e Sociedade), dove dirigeil gruppo di ricerca “Linguaggio e Inte-razione Sociale” e presidente dell’Istitu-to di Scienze Sociali della stessa univer-sità. Direttore delle riviste scientificheComunicação e Sociedade e Anuário In-ternacional de Comunicação Lusófona.

Fabio La Rocca è sociologo ricercatoreal Centre d’Etude sur l’Actuel et le Quo-tidien (CeaQ) all’Università Paris De-scartes Sorbonne dove ha fondato e diri-ge il GRIS (Groupe de Recherche surl’Image en Sociologie). Docente di So-ciologia della vita quotidiana, Immagi-nario e Postmodernità alla Sorbonne.

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Federico [email protected]

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La distrazione e il raccoglimen-to vengono contrapposti in unmodo tale che consente questa

formulazione: colui che si raccogliedavanti all’opera d’arte vi si sprofon-da; penetra nell’opera, come raccon-ta la leggenda di un pittore cinese al-la vista della sua opera compiuta. In-versamente la massa distratta fasprofondare nel suo grembo l’operad’arte. Ciò avviene nel modo piùevidente negli edifici. L’architetturaha sempre fornito il prototipo diun’opera d’arte la cui ricezione av-viene nella distrazione e da partedella collettività. Le leggi della suaricezione sono le più istruttive”(Walter Benjamin, 1936).

Mettendo a confronto l’eserciziodel raccoglimento e della distrazio-ne, Benjamin traccia le conclusionidel suo magnifico saggio sull’opera

d’arte nell’epoca della sua riproduci-bilità tecnica. È il passo conclusivodi una riflessione nata dalle caratte-ristiche tecniche della riproducibili-tà seriale, e capace di spiegare comei processi di percezione scaturiti daessa rappresentino sia delle discon-tinuità che delle continuità con leforme estetiche del passato. L’ele-mento che certifica questa doppiavalenza è la distrazione, intesa comequalità e modalità della percezionedelle masse. Discontinua è l’alter-nanza tra raccoglimento e distrazio-ne, valore culturale e valore espositi-vo; in continuità con le attitudiniblasé del soggetto metropolitano è,all’opposto, lo sguardo distratto. GiàBaudelaire nella prima pagina de “Ilpittore della vita moderna” descri-veva l’andamento noncurante deivisitatori nei corridoi dedicati allapittura del Louvre. È la metropoli ilmedium di questi processi. Il conte-nitore che permette, finanche obbli-ga, un uso così naturale della distra-zione nel vissuto quotidiano dellamassa. Attraverso la distrazione sicostruisce quella struttura mentaleche presiede l’imporsi di un nuovo

La distrazione comunitaria

La distrazione configura una struttura mentale che

impone a sua volta uninedito paradigma sociale

“L

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La distrazione comunitariadi Federico Tarquini

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significato, l’erigersi delle architet-ture dell’immaginario (Bachtin).

Distrazione, abitudine e normalesenso comuneIntorno ai concetti di abitudine e dinormale senso comune Stuart Hall eLouis Althusser hanno offerto rifles-sioni degne di nota. Il principaleanimatore della corrente dei Cultu-ral Studies ci ha mostrato come sia-no effettivamente la spontaneità ela naturalità “che rendono il sensocomune simultaneamente, ‘sponta-neo’, ideologico e inconscio”. E inol-tre che “tramite il senso comunenon si può apprendere come stannole cose: si può solo scoprire qual è illoro posto nello schema esistentedelle cose”. È perciò evidente in chemodo l’ideologia, espressa come lanarrazione che “racconta” il sensocomune, non possa essere estrapola-ta dalla vita quotidiana ed essereesclusa dall’incessante divenire delmondo. È su questa prospettiva cheLouis Althusser ci concede la sua vi-sione del comportamento dell’ideo-logia all’interno del contesto socia-le. Per il filosofo francese, l’ideolo-gia non è altro che “un sistema dirappresentazioni, ma queste rappre-sentazioni non hanno il più dellevolte nulla a che vedere con la ‘co-scienza’. Per lo più sono immagini,a volte anche concetti, ma soprat-tutto sono strutture, e come tali siimpongono alla stragrande maggio-ranza degli uomini senza passare at-

traverso la loro ‘coscienza’. Sono og-getti culturali percepiti-accettati-su-biti che agiscono sugli uomini attra-verso un processo che sfugge loro”.

Tutta questa introduzione hal’ambizione di spiegare, seppur par-zialmente, quale sia il meccanismoche soggiace alla connotazione di un“oggetto culturale” come Facebook.La distrazione sembra essere uno deipunti cardinali intorno al quale isoggetti interessati a tale piattafor-ma ne stanno negoziando il signifi-cato. Vedremo in seguito un esem-pio topico che rappresenta come ladistrazione sia un fattore essenzialenel processo di analisi che si stacompiendo sul fenomeno Facebook:le sue comunità.

Comunità della e nella distrazioneRiflettere oggi sul senso della comu-nità offerto da Facebook è certamen-te una sfida complicata. Dopo unlungo tempo nel quale la comunitàfu disgregata, sradicata ed esclusadalla scena sociale, oggi sembra tor-nare con rinnovato vigore. Per defi-nire la sua emersione nei social net-

Community è uno dei tantitermini inglesi che si sonoimposti nel nostrovocabolario dall’avventodelle tecnologie digitali

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work si tende ad usare un vocaboloinglese: community. Community èuno dei tanti termini inglesi che sisono imposti nel nostro vocabolariodall’avvento delle tecnologie digita-li. Ciò accade quando una piattafor-ma espressiva, la lingua italiana, nonè più capace di reggere l’urto del mu-tamento in atto. Detto in altre pa-role il concetto di comunità che siva delineando in rete sfugge al suotradizionale significato linguistico,ed è perciò necessario accettare l’in-vasione di un elemento incoerente(un vocabolo inglese) dentro un in-sieme storicamente dato (il vocabo-lario della lingua italiana). Questaanomalia, fuori da una riflessioneprettamente linguistica, mette in lu-ce come la comunità – dimensionerelazionale – abbia ritrovato vigoredopo secoli di esclusione dalla scenasociale, ma in una forma dalle carat-teristiche diverse. Il pensiero socio-logico moderno in tutte le sue mol-teplici declinazioni è unanime nelconsiderare il tempo moderno comeciò che ha disgregato le comunitàtradizionali (Giddens). L’uso di una

terminologia inglese è perciò un’ope-razione volta a definire le comunitàin rete come derivazione mutata del-l’antico concetto di comunità. Talemanovra si basa, in maniera alquan-to evidente, sulla qualità e la quanti-tà di rapporti sociali consumati neisocial network. Questa forma “deltutto nuova” di comunità è il cam-po espressivo dove convergono le te-si e gli studi maggiormente coinvol-ti nell’analisi della società delle re-ti, o più in generale nella tanto di-battuta società postmoderna.

L’industria culturale, attraversole sue narrazioni, ha avuto una for-te influenza nei processi di monda-nizzazione delle società occidentali,fornendo “l’habitat” dentro cui lenuove soggettività, costantementedelineate e messe in crisi dai mecca-nismi della moda e del progresso tec-nologico, hanno potuto collocarsi.Sradicamento e ricollocazione furo-no al tempo stesso sia il mezzo che ilfine (o la fine) di una inesorabilemarcia verso il ritorno della comu-nità come dimensione relazionale.In altre parole i continui conflittiacuiti dall’accelerazione del temposi riducevano nell’adesione ad unacomunità, intesa come soglia tra spa-zio pubblico e spazio privato, traidentità e personalità. È questo ilmeccanismo che diede vita alla lun-ga stagione delle sottoculture, all’in-venzione del “giovane”, al prepoten-te ingresso dei miti dello spettacolo edel consumo nei processi di costru-

L’esibizione di volti è ingrado di svelare le

sfaccettature diabolicheche caratterizzano

il nostro tempo

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La distrazione comunitariadi Federico Tarquini

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zione dell’identità. Il fattore che re-se possibile l’equilibrio di un tale si-stema, sempre fondato sulla crisi eperciò altamente instabile, fu la di-strazione. Attraverso la distrazioneveniva imposto il senso dell’abitudi-ne nella percezione. La frattura crea-ta nella narrazione dei vissuti quoti-diani dallo strano, dal barbaro e daaltre figure simili, veniva ben prestoridotta e ricongiunta, tramite l’insor-gere della distrazione, alla dimensio-ne del senso comune. Tutto ciò po-teva avvenire grazie alla capacitàdella cultura occidentale di rendereoggi canonico ciò che ieri era ano-mico.

Il coinvolgimento emotivoChe senso ha, dunque, parlare dicommunity? Che senso ha la com-munity stessa?

Questa mattina aprendo Facebo-ok ho letto lo stato di un amico checosì recitava: “Onore a MassimoMorsello”. Che significato ha tuttociò? Quale grado di coinvolgimen-to emotivo causa la lettura di tali af-fermazioni? Basso! Letto nei terminidella canonica scala di valori di unapersona tendenzialmente democra-tica ciò dovrebbe far inorridire, o almassimo provocare dissenso. Since-ramente non si riscontrano in grannumero questo genere di sentimen-ti. Sulla superficie di questa indiffe-renza va ricercato il senso dellacommunity.

Numerosi sono i gruppi-comuni-

tà su Facebook che dovrebbero pro-vocare sdegno. È evidente che spes-so, e nella mente di molti, si accen-da il calore di questo sentire. Ciònon impedisce comunque la loro esi-stenza, spogliando, inoltre, il veloche nelle precedenti piattaformeespressive, più facili da controllare equindi da indirizzare, copriva questogenere di fenomeni. Il valore espo-sitivo viene di conseguenza forte-mente potenziato; la parte del dia-volo si mostra dunque a noi con ilsuo “semplice” volto.

Una serie di informazioni ci ten-gono costantemente legati alle per-sone che sono nella nostra orbita,nella nostra pagina, venendo da lon-tano “come l’acqua e il gas” (Valé-ry). Così come è difficile mortifica-re la nostra abitudine al comfort del-la luce e del gas a favore di una con-dotta rispettosa dell’ambiente, ci ècomplicato infervorarci per questogenere di cose. Ciò accade poichéquesti messaggi vengono dagli “ami-ci”, da persone che abitano la nostracomunità, e che quindi intrattengo-no con noi un rapporto di prossimi-tà. Quest’ultima è capace, in manie-ra prepotente rispetto ad altre piat-taforme, di attivare all’infinito altre

Facebook crea e ricreacostantemente la vitacomunitaria

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forme di relazioni con “gli amici de-gli amici”.

Tali forme espressive penetranoin noi, nello stesso modo descrittoda Benjamin per il cinema. La va-lutazione che esprimiamo intorno aquesti temi è distratta, blasé. La ca-pacità che permette tale esercizio siè sedimentata nell’animo occiden-tale proprio grazie all’esperienza del-la metropoli e delle sue forme este-tiche. “Siamo abituati” ad elaborareinformazioni, a valutarle, nella di-strazione. Al di là di un giudizio dimerito su tale attitudine valutativa– per un’operazione del genere siavrebbe bisogno di altro spazio eforse di competenze maggiori – cipreme sottolineare come siano iprocessi di distrazione a tenere le fi-la di una dimensione sociale così li-quida. A permetterci ancora unavolta, nonostante le molte critici-tà, di essere immersi nella dimen-sione relazionale simboleggiata daFacebookbbok. Hebdige, parlandodella dialettica tra culture domi-nanti e sottoculture, poneva comediscriminante la portata non natu-

rale delle forme estetiche di que-st’ultime. La riduzione di tale inna-turalità venne operata grazie alla di-strazione con cui si finisce per per-cepirla, che velocemente divieneabituale. Lo strappo operato sullamaglietta di un punk frequentandola stessa dimensione della moda,usandone gli stessi strumenti, puòessere velocemente ricondotto nel-l’abitudine e rielaborato a piaceredalla cultura dominante.

La ricreazione e la socialità Accettare tale visione del mondo edei rapporti umani sembra portaread un’inevitabile qualificazione peg-giorativa degli stessi. Facilmente sipotrebbe concludere che la quasi in-capacità di provare sdegno – la sem-plicità con cui apparentemente lacultura dominante pesca nel maredella rete i suoi frutti dorati, anchequelli apparentemente tossici – por-ta ad un imbastardimento dell’ani-mo umano. È forse plausibile crede-re che tutto ciò porti alla dittaturadella distrazione, evocata nel suosenso peggiore, quello del mito del-l’uomo-macchina privo ormai dicuore e di umori, capace solo di ese-guire. Crediamo diversamente chetale meccanismo abbia il potere diporsi come campo espressivo dellamutazione socioantropologica in at-to – ruolo da sempre assolto dalleforme estetiche – svelando i residuiche le grandi narrazioni moderne ce-lavano, espellendoli come rifiuti.

Ciò che in Facebook si esprime con

il meccanismo delladistrazione, è una

crescente necessità di rapporti umani

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La distrazione comunitariadi Federico Tarquini

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Ciò che in Facebook si esprime, at-traverso il meccanismo della distra-zione, è una crescente necessità, equantità, di rapporti umani. Poten-ziando la comunicazione si potenziaun genere di legame che, anche qua-lora fosse vuoto di senso, sancisce lanecessità immanente all’uomo di es-sere in relazione con il mondo, con

le comunità che sceglie o che è ob-bligato a frequentare. Difficile uscireda una torsione così delicata comequella che si è appena descritto. Ca-pire altresì dove riposi il senso ulti-mo della comunità ricreata su Face-book. Conoscerne la verità.

Distratti lasciamo questo compi-to a chi ne fosse capace.

Federico Tarquini svolge un dottoratodi ricerca in cotutela presso l’Istituto diComunicazione dello IULM di Milanoe il CeaQ dell’Università Descartes ParisV “La Sorbonne”. Prepara una tesi di-retta da Alberto Abruzzese e MichelMaffesoli sul rapporto tra estremismopolitico e società delle reti.

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Tito [email protected]

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’Italia che abbiamo in menteassomiglia poco alle altre na-zioni occidentali che si identi-

ficano spesso con i grandi agglome-rati urbani o con le megalopoli.L’Italia è una nazione di provincia. Isuoi cittadini abitano per il 70% interritori che potremmo definire ru-rali. Come già osservava Georg Sim-mel agli albori della modernità, lavita nella metropoli è assai più com-plessa di quella nei piccoli centri,perché consente una quantità di re-lazioni e di stimoli superiori, deter-minando così una distinzione tra ledue forme dell’abitare, in particolareper ciò che concerne l’esperienzapubblica. La metropoli è il luogo na-turale dell’azione politica, quindi isuoi cittadini avvertono una prossi-mità maggiore alle istituzioni diquanto non sia per un abitante dellaprovincia italiana, che ha la sensa-zione di essere alla periferia dell’im-pero. Nei comuni italiani la politica

nazionale è un’esperienza televisiva.Si ha accesso alle notizie soltanto at-traverso i media e in particolare gra-zie alla televisione. Non a caso co-me ha più volte scritto AlbertoAbruzzese, il processo di metropoliz-zazione, e quindi di modernizzazio-ne, per buona parte degli italiani èavvenuto attraverso lo schermo te-levisivo.

Il retroscena metropolitanoNella metropoli i cittadini hanno lapossibilità di osservare i propri rap-presentanti nella situazione di retro-scena, senza la mediazione delloschermo. Non è difficile infatti im-battersi in un politico mentre sta fa-cendo shopping, mentre pranza consua moglie o è affaccendato in qual-siasi altra attività quotidiana. Molticittadini della nostra capitale cono-scono abitudini e frequentazioni diquegli uomini pubblici che sono allaguida del Paese. Così, oltre al rap-porto mediato dallo schermo o dal-le pagine stampate, vi è una sorta divisione diretta dei politici che dà lasensazione di essere vicini, di espe-rire un contatto. L’incontro di un

Dalla bacheca di partito alla bacheca di Facebook

L

Jean Baudrillard: “Video dunque sono”

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Dalla bacheca di partito alla bacheca di Facebookdi Tito Vagni

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parlamentare, di un ministro, di unbanchiere, di un divo, di uno qual-siasi dei personaggi che popolano latelevisione costituisce un ricongiun-gimento tra la dimensione rappre-sentativa e quella rappresentata chegarantiscono, l’una per l’altra, l’esi-stenza.

Quando invece la conoscenza siarresta a un livello meramente im-maginario, essa gode del fascino deldubbio lacerante, in cui non sappia-mo se le nostre passioni, i nostri in-vestimenti affettivi riposino su undato reale o meno. Siamo animati daun’insolvibile voglia di rischiare.

Gli abitanti della metropoli siconfondono con le figure del poterereale e anche se il contatto è sempreprotetto da una pellicola di intangi-bilità si ha la sensazione di parteci-pare e di condividere l’esperienzadell’abitare.

Le medesime dinamiche non so-no rinvenibili in un piccolo comu-ne di provincia, anche se i due livel-li dell’esperienza permangono. Il pri-mo è occupato dai media che dannovita alle narrazioni dell’azione politi-ca. C’è anche un secondo piano, mi-sconosciuto nella metropoli, in cuiil cittadino veste i panni dell’anoni-mo amministratore o del militante.Questa dimensione non ha risaltonei mezzi di comunicazione di massae pertanto resta lontana dalle logi-che delle odierne videocrazie. È chia-ro infatti che gli sfortunati che nonhanno avuto un battesimo televisi-

vo sembrano quasi condurre una vi-ta minore o comunque un’esistenzadi cui nessuno, se non i membri del-la stessa comunità, ha notizia. Comeha sintetizzato Jean Baudrillard: “vi-deo dunque sono”.

La bacheca nella vita di partitoLa vita di partito, almeno fino aqualche anno fa, era fatta di riunionidi sezione, di porta a porta, di discus-sioni nei bar e della bacheca. La ba-checa era lo strumento di comuni-cazione attraverso il quale la sezionelocale del partito comunicava le pro-prie idee alla popolazione. Era unmezzo di grande impatto perché af-fissa sulle mura della piazza o in ogniluogo in cui pulsava la vita della co-munità. Intorno alla bacheca c’eraun’aura speciale: avere la possibilitàdi emanciparsi dal ruolo comunedell’urlatore da bar e godere del pri-vilegio di pubblicizzare attraverso ilsofisticato strumento della scritturai propri pensieri, provocava un parti-colare stato di euforia. Impossibiledimenticare il rumore forte dei colpiimpressi sulla macchina da scrivere,i ripensamenti, gli errori, i sorrisi di

La bacheca di partito era il simbolo di idee fortimosse da passionicoraggiose che davanosenso all’esistenza

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compiacimento. La famiglia chiama-ta a raccolta per giudicare, a lavorofinito, la riuscita del pezzo che sareb-be deflagrato come una bomba nelvociare cittadino.

La bacheca conteneva spesso del-le invettive che necessitavano di es-sere coperte e difese, per questo leaffissioni avvenivano a notte fonda,di sabato, quando l’oscurità bastava acoprire ogni responsabilità e la ba-checa a fare da scudo a qualsiasi rea-zione. Così, la domenica mattina do-po la messa, vedere un capannello dipersone, amici, compaesani, attentia leggere quelle parole era emozio-nante. Difficile scordare quei tempiche sembrano quasi aneddoti da li-bro Cuore per quanto sono distantidalla “politichetta” che prepotente-mente si affaccia sui nostri giorni.Invece si tratta degli anni ’90, anniin cui le definizioni avevano ancoraun senso e la bacheca sulla quale siscriveva marcava una distinzione divalore tra le storie a cui ciascuno ap-parteneva.

La bacheca era un momento checristallizzava una passione autenti-ca, priva di qualsiasi tornaconto.Questa caratteristica accumunava,in maniera indistinta, tutti gli schie-

ramenti. Si desiderava introdurre lapropria storia nella Storia a cui sisentiva di appartenere.

Bacheche digitaliQuando si parla di bacheca, in que-sto preciso momento storico, ci si ri-ferisce, quasi sempre e in particola-re per le giovani generazioni, alla ba-checa di Facebook. I paragoni sonoinutili, perché l’unico punto di con-tatto tra questi due oggetti è la lororilevanza pubblica, la loro capacitàcomunicativa. Entrambe servono perrendere noto un contenuto. Ma conquali contenuti abbiamo a che faresu Facebook? Sarebbe impossibiledirlo con esattezza, tant’è alto il nu-mero di utenti che ne fa uso e cheha facoltà di scrivere. Quello che ècerto, è che i contenuti di Facebooksono pubblici senza avere una rile-vanza pubblica. Ciascuno può assi-stere ogni giorno ad una pubbliciz-zazione, vera, verosimile o falsa (po-co importa) di uno dei suoi contat-ti. L’intimità, un tempo gelosamentecustodita nel proprio corpo, che riu-sciva a trapelare soltanto con un ar-rossamento, una lacrima o un sorri-so, adesso è pubblicizzata senza pu-dori, segno di una svendita totale almercato delle vanità. Così questoche viene definito un social networkdiviene lo strumento per fare quelloche si è sempre fatto con mezzi me-no efficaci: mettersi in mostra. Ilprocesso di vetrinizzazione socialedescritto da Vanni Codeluppi, ini-

I contenuti di Facebook sono

pubblici senza avere una rilevanza pubblica

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Dalla bacheca di partito alla bacheca di Facebookdi Tito Vagni

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ziato con i passages parigini e le gran-di esposizioni universali, in cui perla prima volta la merce veniva espo-sta, mettendo in secondo piano ilproprio valore d’uso e facendo emer-gere dal suo nucleo vitale la sua for-ma estetica come valore di scambiosimbolico, vive con Facebook la fasepiù avanzata, quella più potente,perché capace di aggregare, montan-doli insieme, foto, musiche, parole,attribuendo ad ognuno di questi se-gni un significato ricombinato. Cia-scuno produce il proprio racconto,trasformando la miseria umana in unfilm ad alta tensione, con l’intentodi compiacere il proprio pubblico ola propria cerchia.

Bravo maestro il realityI quattro milioni di italiani che usa-no Facebook con disinvoltura han-no avuto gioco facile ad acquisire letecniche della esteriorizzazione del ségrazie ai tanti reality show che sonoemersi come l’ultimo grande generedella televisione generalista. In que-sti spettacoli televisivi sembra che iconcorrenti sviluppino una partico-lare attitudine nell’autonarrazione.Partendo dal Grande Fratello e pas-sando per i suoi surrogati, i personag-gi che hanno avuto maggiore succes-so sono quelli che hanno saputo co-struire un racconto avvincente dellapropria storia. La narrazione è rivoltaal pubblico dal quale però è difficile oraro avere dei feedback, per tale mo-tivo il concorrente vive nella paura

costante di non essere compreso einizia a fornire delle didascalie a cor-redo dei suoi video-comportamenti,iniziando così a parlare di sé ognivolta che se ne presenta l’occasione.Il teorema è di grande interesse: l’im-magine ha una forza dirompente e siha la sensazione che abbia la grandecapacità di cogliere un momento,catturarlo e isolarlo, costituendolocome una prova vincolante. Le per-sone che compaiono nello schermonon vogliono che le immagini sianointerpretate liberamente, così un ba-cio non è semplicemente un bacio, ela foto con un bicchiere in manonon è sete ma voglia di divertirsi. At-traverso la parola i partecipanti deireality vorrebbero circoscrivere le in-terpretazioni, proiettare lo sguardodel telespettatore dietro l’immagine,per catturarne veramente il senso,racchiuso nelle intenzioni di chi neè protagonista. Così in un banaleprogramma televisivo, in maniera in-conscia, assistiamo a una sorta di per-formance surrealista. Come nell’ope-ra di René Magritte Ceci n’est pas unepipe, il modo in cui i partecipanti deireality, e sulla loro scia gli utenti di

Facebook è il simbolo di una vita avviluppata su se stessa, incapace di dedicarsi all’altro ma bramosa di esibirsi

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Facebookbook, affiancano a delle im-magini dal significato apparentemen-te incontestabile delle didascalie chene negano la naturalezza dell’eviden-za, mette in crisi il legame presuntotra immagine e realtà.

L’epoca delle passioni tristiDopo aver appreso alla scuola deireality le tecniche per parlare di sé,agli utenti di Facebookbook non re-sta che pubblicare tutto, sviscerarsi,per non avere il timore di essere in-terpretati e fraintesi. Ecco allora cheassistiamo quotidianamente a un’in-flazione di segni: “sono triste”, “so-no contento”, “ho trovato l’amore”,“mi hanno lasciato”, “sono arrabbia-to”, “ho sonno”, “devo andare in ba-gno”. Una cronaca stucchevole dicui potremmo fare a meno, aspettidel quotidiano che un tempo sareb-bero restati nella propria intimità og-gi sono pubblicizzati.

La bacheca di partito era il sim-bolo di idee forti mosse da passionicoraggiose che davano senso all’esi-stenza. Questa nuova declinazionecibernetica della bacheca è l’esem-pio della tristezza delle passioni at-tuali (Benasayag) fondate sulla mi-

sera venerazione dell’io erto a stellapolare.

Facebook è il simbolo di una vitaavviluppata su se stessa, incapace didedicarsi all’altro ma bramosa di dar-si, per il gusto perverso di essere pre-sa da chiunque, di essere desideratae desiderarsi in una forma di autoe-rotismo che vuole impedire la bru-talità del contatto, della partecipa-zione e della condivisione. La barba-rie dell’altro. La bacheca era il rac-conto di un’esperienza collettiva, ilrisultato sintetico di un sogno chetrascendeva gli uomini del presente,e li confondeva, obbligandoli a co-stituirsi in comune, rinunciando co-sì alla differenziazione con l’altro concui si condivideva la propria vita to-talizzata. Facebook, figlio legittimodella nuova dimensione globale, siscopre contenitore di mondi umani,di corpi in cui inizia e si esauriscel’esperienza nella sua dimensione mi-nima, quella individuale.

Esistono eccezioni, alcuni utentiutilizzano la bacheca per socializza-re informazioni, per creare una co-scienza condivisa, ma molto piùspesso Facebookbook è uno strumen-to utile a propagandare se stessi emostrare ai piccoli pubblici che cicostruiamo intorno chi siamo o inmolti casi chi vorremmo essere.

Non si tratta qui di descrivere inmaniera esauriente i meccanismi chesottendono a due dispositivi così di-versi, ma di comprendere un cam-biamento, il passaggio dalla dimen-

Facebook è unapiattaforma di relazioniche in sé non produce

effetti negativi

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Dalla bacheca di partito alla bacheca di Facebookdi Tito Vagni

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sione collettiva a quella privata del-l’esperienza. Il passaggio da una so-cietà passionale ad un cinismo con-templativo che si fonda sul fallimen-to della prima. La sfiducia nell’altroe l’egocentrismo che ne deriva.

La malinconiaQuesta scrittura intrisa di malinco-nia ha ragioni personali ma si nutreanche di un dubbio al momento ir-risolvibile. Facebook non è un’aber-razione, è anzi una piattaforma di re-lazioni che in sé non produce effettinegativi, e l’esposizione pubblica delproprio io non è un fatto da condan-nare. Non si vuole neanche sostene-re il teorema del “si stava meglioquando si stava peggio”, sappiamo

bene che nelle nostre ali è impiglia-ta la tempesta che ci conduce ineso-rabilmente verso il futuro (Benja-min), ma non crediamo che tuttoquello che ci lasciamo alle spalle sia-no macerie e distruzione.

Abbiamo impressi nelle nostrementi ricordi di cui non vogliamoprivarci in nome del progresso, e al-lo stesso tempo sentiamo il bisognodi liberarci da alcune costrizioni delpassato e trovare nei media digitaliun ambiente capace di accogliere lenostre istanze. Se è impossibile giu-dicare senza prendere parte, allorasiamo con il vecchio futuro che ciaccoglie nel suo presente, ma non ri-nunciamo alle passioni, altrimentigelerebbe il nostro cuore.

Tito Vagni è dottorando di ricerca inComunicazione e Nuove Tecnologiepresso l’Università IULM di Milano e inSciences Humaines et Sociales presol’Université Paris Descartes, “La Sorbon-ne”. Si occupa di cultura pop, immagi-nario politico, nuovi media.

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Andrea Malagamba e Antonio [email protected] / [email protected]

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gni volta che Narciso sisporge sull’acqua a con-templare se stesso, si espo-

ne al rischio di morire. Eppure ognu-no sente la fascinazione irresistibiledi qualsiasi forma di estensione di sé:un motorino o un binocolo prolun-gano il nostro corpo, diventano ilnostro corpo, ma solo a patto che es-so sia narcotizzato e amputato – per-ché «il sistema nervoso riesce a sop-portarlo solo nel torpore o bloccan-do la percezione» – cioè sia reso, se-condo una definizione divenuta or-mai classica di Marshall McLuhan,un «servomeccanismo». Il mito diNarciso si lega indissolubilmente al-la semantica del suo nome, legata algreco narcosis: narcosi, torpore1.

Il medium elettronico non fa ec-cezione: il nostro sistema nervoso

deve essere intorpidito, perché nel-la tecnologia elettronica è esso stes-so ad essere riprodotto. Quante vol-te la televisione ci culla fino al son-no o accompagna muta le nostre at-tività domestiche? Analogamente,anche l’utente di Facebook lascia lasua pagina aperta per controllarla eaggiornarla di tanto in tanto, men-tre è preso da altre occupazioni; an-che Facebook è estensione e inten-sificazione – e dunque, per certi ver-si, narcosi – della nostra vita psichi-ca. Ma nello spazio di FacebookNarciso non è solo: la sua immaginesi specchia negli occhi degli altri, lasua identità consiste nell’infinitamoltiplicazione di sé nel prisma del-lo sguardo altrui; una sorta di mise enabîme nella quale salta la distinzionetra l’io e la sua immagine, tra la so-stanza e il simulacro.

Narciso senza narcosiInsomma, «io non sono io» secondola dicitura di Ramon Jimenez, o al-meno non sempre lo stesso io.L’utente di Facebook può “refresharela sua pagina” o “aggiornare il suostatus” di continuo: la stravagante

Una stanza tutta di specchi.Facecode e libertà

O

L’identità Facebookconsiste nell’infinita

moltiplicazione di sé nel prisma dello

sguardo altrui

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Una stanza tutta di specchi. Facecode e libertàdi Andrea Malagamba e Antonio Rafele

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compresenza nel lessico Facebookdell’inglese italianizzato e del latinorealizza l’antinomia tra la persistenzache la parola “identità” per lo piùpresuppone, e il suo essere sempremodificabile e sostituibile. E nellapromessa di rinascere incessante-mente, Narciso può specchiarsi al-l’infinito. Da questo punto di vista,Facebook impone di pensare il me-dium secondo un nuovo impiantoconcettuale, configurandosi comeun’estensione di sé che sembra nonprevedere la fase amputativa, vale adire la riduzione dell’intensità sen-soria nell’uso del medium.

Poco importa se l’identità è verao falsa, poiché in entrambi i casi, es-sa è innanzitutto un’identità rinar-rata, un’estensione narrativa di séche appare al mondo a diversi livel-li, come per un gioco di cerchi con-centrici. «Dal canto mio, preferiscocominciare prendendo in considera-zione un effetto. [...] La prima cosache mi chiedo è: “fra gli innumere-voli effetti, o impressioni, di cui ilcuore, l’intelletto, o (più in genera-le) l’anima sono suscettibili, qualedebbo scegliere in questa occasio-ne?”». Nelle pagine di Poe2, l’operad’arte moderna si differenzia da quel-la antica per l’implicita dichiarazio-ne della propria artificialità: il testosi costruisce a partire dall’effetto, e diconseguenza l’opera stessa non vie-ne più intesa come esperienza dura-tura e del tutto autonoma, capace divivere al di là del momento fruitivo,

ma come dispositivo comunicativocapace di creare un gioco finzionalee del tutto “interno” tra chi scrive echi legge.

Il lettore entra nel testo, divieneimmagine onnipresente del proces-so creativo, l’operazione mentale at-traverso cui e per cui il testo si gene-ra. La vita dell’opera coincide allo-ra esclusivamente con la sua lettura,con l’attimo della sua dissoluzione:il piacere, e il suo rovescio – la ca-ducità – sono il procedimento el’obiettivo di un testo ormai privo diqualsiasi finalità esterna al suo stessoconsumo. In questa prospettiva, l’au-tore si configura come un tecnicoparticolarmente ispirato, la cui stru-mentazione è fornita da quell’insie-me di magazzini della memoria o ar-chivi stilistici che attraversano lastoria letteraria.

Cooperazione ludicaAl pari di ogni narrazione, anchequella che Facebook realizza preve-de la presenza del lettore, di codicipiù o meno stretti e di messaggi nonsempre del tutto chiari per chi li ri-

La ricerca dei volti perduticoincide con il tentativo di riorganizzare,raccontandolo a se stessi e agli altri, il propriopassato

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ceve: nella lista di amici di Facebookfigurano individui con diversi gradidi familiarità e di partecipazione allanostra vita; per questo, ogni lanciodi un nuovo status, vale a dire di unnuovo racconto di sé, non vienecompreso da tutti nel suo significa-to originario: chi lo legge può ri-spondere fischi per fiaschi, può fun-zionare rispetto ad esso come unospecchio deformante; ma è propriotale azione di plastico adattamentodel messaggio altrui alla propria vi-ta che può divenire a sua volta pun-to di innesto di nuovi discorsi, occa-sione per nuove narrazioni di sé daparte di chi risponde. Le modalità dicostruzione e ricezione del testo con-vergono verso una percezione diogni testo come medium della comu-nicazione; la dimensione estetica as-sume, di riflesso, un carattere essen-zialmente ludico sia rispetto al pia-no della sfera creativa – testo comecombinazione di elementi narrativi– sia rispetto a quella della fruizione,semplice o complessa che sia.

Il principio di cooperazione te-stuale diventa una componente es-senziale nei meccanismi di significa-

zione per portare a compimento unsofisticato gioco compositivo e in-trappolare il fruitore in un comples-so labirinto di specchi e di vetrine.Tale dinamica costituisce una dellestrutture portanti dell’industria cul-turale e presuppone che autore e let-tore accettino di essere, per un datoperiodo – quello della creazione equello della lettura – parte di un re-gime finzionale puro. Le recenti nar-razioni televisive e videoludiche so-no, infatti, disseminate di indizi cheprevedono l’attiva partecipazione delfruitore.

Da questo punto di vista, Face-book è un medium perfettamente in-tegrato nella tradizione letteraria, te-levisiva e videoludica: presupponeun autore e un potenziale lettore, epresuppone anche la creazione di unregime finzionale puro recuperando,in questo, l’aspirazione e la fascina-zione, tipicamente metropolitana,per una seconda vita, per un univer-so parallelo. Accanto a questo, rendepossibile un secondo scenario: quel-lo di un utente che, pur lavorandoancora con le strutture e la strumen-tazione tipica della tradizione lette-raria – scrittura, finzione, creazionee ricezione – ne fa un uso sostanzial-mente nuovo e discontinuo. In que-sto caso, l’utente fa coincidere la fin-zione prodotta su Facebook con lapropria vita quotidiana, con i propriritmi, con i propri desideri e con ipropri bisogni.

Nel primo scenario, tendono a

Facebook tesse il filo del racconto di sé,

sottraendo al passato il suo tratto pertinente

di “non essere più”

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conservarsi le distinzioni tra indivi-duo e massa, tra essere e apparire,tra finzione e realtà. Nel secondo,queste distinzioni sembrano invecesfumare generando una dimensionemolto più intima, antropologica, so-matica, interiore. Ad un gioco fin-zionale e sociale perfettamente con-trollato si sovrappone una dimen-sione che assume, sì, le sembianzedel gioco in senso lato, ma che pre-vede anche un investimento e unapartecipazione fortissima da partedell’attore. Narciso non usa l’esten-sione e l’esposizione di sé come unsemplice travestimento o stratagem-ma all’interno di un sistema colletti-vo di status e valori, ma come unmodo di partecipare, di rendersi vi-sibile, di esibire o donare, sotto losguardo degli altri, la propria forma,il proprio abito.

Vite al limitePalcoscenico dell’egolatria per alcu-ni, ma anche spazio di interazione ericonoscimento, di equivoci più omeno fruttuosi, di abbrivii narrativie di sentieri interrotti, Facebookpuò appartenere interamente al gio-co finzionale della tradizione lette-raria, oppure generare una dimen-sione nella quale questo stesso gio-co diventa strumentale alla pubbli-cità di sé, del proprio essere, del pro-prio stile, richiamando, in quest’ul-timo caso, la promozione che le startelevisive hanno fatto e fanno delproprio corpo e del proprio stile di

vita. E come nel caso di una star te-levisiva, alla massima visibilità cor-risponde una massima esposizioneallo sguardo, al controllo e al rischiodegli altri.

Nel continuo racconto di sé, l’iovive in limine tra il dentro e il fuori, èsoglia aperta nello spazio e nel tem-po. Secondo Paul Virilio «viviamoin un mondo fondato non più sul-l’estensione geografica, ma su una di-stanza temporale che viene costan-temente ridotta dalle nostre capaci-tà di trasporto, trasmissione e azio-ne telematica». Il rapporto tem-po/spazio nella seconda modernitàtende a zero, poiché la velocità è un«milieu […] una sorta di sostanza ae-rea che satura il mondo»3. Se le chato skype – come d’altro canto, ma adaltri costi, il telefono o il fax – ab-battono la frontiera dello spazio, Fa-cebook sembra abbattere il muro deltempo, facendo riemergere dal pas-sato volti che non credevamo di ve-dere più: la ricerca dei volti perduticoincide con il tentativo di riappro-priarsi del tempo, di riorganizzare,raccontandolo a se stessi e agli altri,il proprio passato, per farlo affioraretra le pieghe del tempo, nei golfid’ombra che esso apre nella vita diognuno.

Sorridi Narciso che Facebook ti vede

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Specchiandosi nei volti altrui,Narciso presentifica il se stesso delpassato, tesse il filo del racconto disé, sottraendo al passato il suo trat-to pertinente di “non essere più”:che sia anche questo un rispecchia-mento senza morte?

E dunque: sorridi Narciso! Facebook ti vede.

Note1 McLuhan M., Gli strumenti del co-municare, Milano, 1967, pp. 51 e 56.2 Armitage J. (a cura di), Virilio Live:selected interviews, London, 2001;Bauman Z., La società sotto assedio,Bari, 2003.3 Poe E. A., La filosofia della compo-sizione, Milano, 1995, p. 26.

Andrea Malagamba è dottore di ricercain Studi di storia letteraria e linguisticaitaliana e cultore della materia pressol’Università di Roma “La Sapienza”.

Antonio Rafele è assegnista di ricercaall’Università di Torino. Collabora conil CeaQ, Università “La Sorbonne” diParigi.

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Bibliografia essenzialeA cura di Federico Tarquini e Tito Vagni

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Bibliografia essenzialeA cura di Federico Tarquini e Tito Vagni

Abruzzese A., Il crepuscolo dei barbari, Bevivino Editore, Milano, 2009.Baloun K. M., Inside Facebook: Life, Work and Visions of Greatness, TraffordPublishing, Vicotoria, 2008.Bardainne C., Susca V., Ricreazioni. Galassie dell’immaginario postmoderno,Bevivino Editore, Milano, 2009.Barthes R., Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 1974.Baudrillard J., Simulacres et simulation, Gallimard, Paris, 1978.Benkler Y., La ricchezza della rete. La produzione sociale trasforma il mercato e au-menta le libertà, Università Bocconi, Milano, 2007.Benjamin W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einau-di, Torino, 2000.Boni A., Stemart N., Facebook et les autres réseaux sociaux, Micro Applica-tion, Paris, 2008.Borrelli D., Il mondo che siamo. Per una sociologia dei media e dei linguaggi di-gitali, Liguori, Napoli, 2008.Bouteiller J., Germouty C., Papillaud K., Bienvenue sur Facebook!: Le moded’emploi, Albin Michel, Paris, 2008.Carzaniga M., Civati G., L’amore ai tempi di Facebook, Zelig, Roma, 2009.Casalegno F., Cybersocialità. Nuove forme di interazione comunitaria, Il Sag-giatore, Milano, 2008.Codeluppi V., La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degliindividui e della società, Bollati Boringhieri, Torino, 2007.Cutrano F., Rispieghiamo facebook per chi era assente, Aliberti Castelvecchi,Roma, 2008.Da Empoli G., Obama. La politica nell’era di Facebook, Marsilio, Venezia, 2008.Formenti C., Cybersoviet. Utopie postdemocratiche e nuovi media, RaffaelloCortina Editore, Milano, 2008.Grewal D. S., Network Power: The Social Dynamics of Globalization, Yale Uni-versity Press, 2008.Hall S., Il soggetto e la differenza. Per un’archeologia degli studi culturali e po-stcoloniali, Meltemi, Roma, 2006.Jenkins H., Fan, blogger e videogamers. L’emergere delle culture partecipativenell’era digitale, Franco Angeli, Milano, 2008.Maffesoli M., Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società po-stmoderne, Guerrini e Associati, Roma, 2004.McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967.

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Menduni E., I media digitali. Tecnologie, linguaggi, usi sociali, Laterza, Bari-Ro-ma, 2007.Pistilli O. K., Dress code. Sincretismi cultura comunicazione nella moda con-temporanea, Castelvecchi, Roma, 2005.Susca V., de Kerckhove D., Transpolitica. Nuovi rapporti di potere e di sapere,Apogeo, Milano, 2008.Virilio P., Lo schermo e l’oblio, Anabassi, Milano, 1994.

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pol.ispol.isper la riform

a della politica e delle istituzioni

Giorgio NapolitanoGiuliano Cazzola . Pietro Ichino . Vincenzo Visco Comandini

Stefano Gori . Alberto Benzoni . Franco Sircana Luigi Covatta . Vincenzo Susca . Ornella Kira Pistilli

NUOVA SERIE - anno 2 - n° 2 - aprile 2009

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ALBERTO ABRUZZESE – Università IULM di Milano

ROBERTO ALIBONI – Vice Presidente Istituto Affari Internazionali

SEBASTIANO BAGNARA – Università degli Studi di Sassari-Alghero

LUCIANO BENADUSI – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

SARA BENTIVEGNA – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

ALBERTO BENZONI – Politologo

ROBERT CASTRUCCI – Assegnista di Ricerca, Università degli Studi Roma Tre

GIULIANO CAZZOLA – Deputato al Parlamento

DANIELE CIRIOLI – Fondazione Marco Biagi

VINCENZO VISCO COMANDINI – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

LUIGI COVATTA – Vice Direttore Pol.is

MASSIMO DE ANGELIS – Politologo

MOISÉS DE LEMOS MARTINS – Università do Minho di Braga (Portogallo)

GIANNI DE MICHELIS – Presidente Ipalmo

STEFANO GORI – Bristol Business School

PIETRO ICHINO – Senatore della Repubblica

ORNELLA KYRA PISTILLI – Antropologa

ANTONIO LANDOLFI – Presidente della Fondazione Giacomo Mancini

FABIO LA ROCCA – CeaQ, Università di Parigi “La Sorbonne”

ANDREA MALAGAMBA – Dottore di Ricerca Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

CLAUDIA MANCINA – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

PAOLO MANCINI – Università degli Studi di Perugia

MAURO MARÉ – Università degli Studi della Tuscia

MARIO PIREDDU – Università degli Studi Roma Tre

ANTONIO RAFELE – Università di Torino

FRANCO SIRCANA – Vice Direttore Pol.is

VINCENZO SUSCA – CeaQ, Università di Parigi “La Sorbonne”

FEDERICO TARQUINI – Dottorando di Ricerca Università IULM di Milano

TITO VAGNI – Dottorando di Ricerca Università IULM di Milano

ALBERTO ZULIANI – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

ì<(ss)t&=jcdbjc<€ 15,00

Direttore Enrico Manca

ISBN 978-88-95923-19-2

02/2009

Spedizione di stampe in abbonamento postale di cui alla lettera C) del comma 2 dell’art. 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 862

per la riforma della politica e delle istituzioni

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