Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

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LE STORIE DI POLIBIO DA MEGALOPOLI VOLGARIZZATE SUL TE5TO GRECO DELLO SCHWEIG HAUSER E CORREDATE DI NOTE DAL DOTTORE I. KOHEN DA TRIESTE TOMO PIIIMO MILANO COI TIPI de fratelli sonzogno 1824.

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LE STORIED I

P O L I B I ODA M E G A L O P O L I

V O L G A R I Z Z A T E

SUL TE5TO GRECO DELLO SCHWEIG HAUSER

E CORREDATE DI NOTE

DAL DOTTORE I. KOHEN

DA T R I E S T E

TOMO PI IIM O

M I L A N O

COI TIPI d e ’ f r a t e l l i s o n z o g n o

1 8 2 4 .

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I N D I C E

DELLE COSE CONTENUTE IN QUESTO TOMO.

Della vita e degli scritti di P olibio. Pag. iDelle edizioni e traduzioni di Polibio n .8

Volgarizzamento del primo libro n 37Sommario del primo libro n 145Note al primo libro i» 15 1Volgarizzamento del secondo libro » ■39Sommario del secondo libro » 3aoNote al secondo libro n 3a5

T A V O L E IN R A M E .

Corvo di DuiUio. Pag. 63Carta generale della Grecia e sue isole.

» delT Italia e Sicilia, e costa <t A frica .

eddie
Typewritten Text
Nota: Le tavole erano mancanti nello scan originale
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DELLA VITA E DEGLI SCRITTI

D I P O L IB IO .

ACQV* Polibio in M egalopoli, città delC Arca­d ia , n e ll olimpiade c x u y , o in sulV incominciare deir olimpiade c x i r , cioè a dire fr a g li anni di Roma 55o e 556 ( i) , regnando in Egitto Tolom eo, Epifane (a). Suo padre Licorta f u pretore degli Achei, e dopo Filopemene il pià valoroso capitano di quella nazione (3). N è degenerò il figlio da. tanto genitore.

(1) Gerard» Fottio ( d e Historio. Graecl*, e. i g ) fa un

sottilissimo calcolo per provare che Polibio vide la luce pel- r appunta nel quarto anno dell’olimpiade c u r r i , o dir vo­gliano nelt anno di Roma 5{6. Ma lo Schweighduser chiaro dimostra oh" egli, con una petizione di principio , pone a fon­damento delia tua ipotesi d i che ne dovrebbe seguire.

(2 ) Sai da , che Lieo chiama il padre di Polibio , pretende esser questi nato, mentre che regnava Tolomeo Evergete , il qu a le , conforme rilevasi da Polibio stesso ( I . v , c . 34 e 55 confront. col I. 11, c. Cg ) mori nell'olimpiade c x x x ix , dunque parecchi anni aitanti la nascita del nostro autore.

( 3) Narra Giustino ( Epit. I. i m i , 0 . 1 ) che Fllopemene preso da' Messenii, ed avvelenato in carcere , chiese innanzi d i m orire , se Licorta pretore degli Achei, ch‘ egli riputava

P o l i b i o } tomo 1. 1

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aN ella sua prima gioventh f u seguace d i Filopemene, eh’ egli ebbe in somma venerazione , e le ceneri d e l quale portò al sepolcro. Pria che giunto fo sse a l t età. che richiedea la legge p e lf ammissione a’ maestrali , cioè avanti tren i anni , f u insieme col padre destinato per ambasciadore a l re d'Egitto (4)> N ella guerra fra . i Romani e Perseo, che fin ì colCesterminio del regno d i M acedonia, era egli dapprima col padre Ravviso che gli A chei s i stessero d i mezzo (5) ; ma avendo vinto il partito che favoriva i Rom ani, venne eletto a generale della cavalleria A chea, che dovea andar in soccorso di quelli (6), e mandalo ambasciadore a l console Quinto Marcio , il quale facea la guerra a Perseo ; ma rifiutò questi gli o fferti a ju d , dicendo che non ne abbisognava. In appresso i fra telli 7 o -

lemei ( Filometore ed Evergete l i ) che insieme re- gnavan in Egitto , il domandarono agli A chei per co­mandare la cavalleria ausiliario contr Antioco re d i

dopo di s i il secondo nella scienza militare, era salvo ? come gli dissero di si t * adunque , rispose, non hanno gli Achei tutto perduto » e spirò. Diffalti non sì tosto giunte in Mega­lopoli la nuova della miseranda fine di queir eroe t che tutta la gioventù prese le armi, e condotta da Licorta fece aspra vendetta degli uccisori di Filopemene, costringendoli a danti la morte, e facendo a Messeti ii riconoscere la sovrani là degli Achei. Il corpo di Filopemene fu poi abbruciato, e con gran pompa recato in patria ( P. Plutarco in Filopem. p* 368 ).

(4) Polibio 1. xxv, o. <j.(5) Id. xiviii', 3 e C.(6) Id. I. e.

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*Siria (y). Dopo la disfatta d i Perseo , accusato con mille de* pià illustri Achei cT aver parteggiato pe’ ne­

mici de' Rom ani, f u insieme con essi chiamato a Ro­m a , ed essendo gli altri stati distribuiti pelle città <T Italia t ottenne egli dal pretore, a richiesta d i Sci­pione e d i Fabio fig li d i Paolo E m ilio , il permesso d i restare nella capitale (8). Crebbe poscia la sua amicizia per Scipione Emiliano ( che soli dicioti anni avea quando il conobbe ) a ta le , che noi abbandonò finché visse , ammaestrandolo nelle cose della guerra, e molte virtuose massime insinuandogli (9). Mercè di siffatta protezione potè egli procacciare alla patria non piccioli vantaggi ( 1 o), fr a i quali il pià segnalato

f u V aver indotto il suo amico ■e discepolo ad inter­cedere presso Catone pel ritorno degli Achei eh*erano sia ti suoi compagni d 'esilio , da mille oramai ridotti a soli trecento : favore che f u loro finalmente accor-

(7) Polibio I. i i v u i , c. lo | I. xx ix , 8 e seg.(8) td. 1. xxxn, 9. Pausati, vii, 90. I l principio della loro

mmicitia fu , secondochi narra Polibio ( L c. ) , la congiuntura d"alcuni libri prestati, e di ragionamenti sopra quelli tenuti.

(9 ) Raooonta Plutarco ( Vpophthegmat. Regnai, et Imperai.,

t. u , p. 199 ) che Scipione minore, osservando il precetto di Polibio, ingegnatasi di non lasciare il f o n , pria che si fosse in qualsivoglia modo renduto familiare ed amico alcuno £ quelli che aveano con lui parlato.

(10) Coti impetrò egli dal Senato che i Locri fissero sol­

levati dal ooncomr alla guerra di Spagna e di Dalmatia

( s u , 5 ).

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dato dopo diciassette an n i, essendo sino a quel tempo riuscito vano ogni maneggio (n ). In queir occasione ritornò Polibio stesso in Achea , e confortò i suoi compatrioti alla concordia ed al rispetto verso il po­polo Romano ( i a). M a come prima se ne allontanò per seguir Scipione nelCimpresa d i Cartagine, riani- maronsi le antiche fa zio n i, e ogni cosa andò sosso- pra. Laonde i Rom ani, provocati da gravi o ffe se , mandarono Metello con un esercito in A chea , da cui

f u rotto in battaglia il pretore Critolao, poscia v in­viarono M ummio, il quale sconfitto eh’ ebbe il pre­tore Dieo, entrò in Corinto, la saccheggiò ed arse ( 13). P olibio, dopo V eccidio d i Cartagine , volò nel Pe­loponneso, per riparare, ove possibil fo s s e , alC e- strema ruina della patria; ma Corinto era già ca­duta ( 14)- Tuttavia ottenne egli da Mummio e da' dieci

( l i ) Plutarco nel Catone maggiore p. 3£ i .

(ta) Pausati, v il i , Z1).(13) Giustìn. xxxiv, i , a. Polii, x i , 1 , g.

(l{) Fabricio (Bibliotb. Graee., t. ili, p. 573 ) sostiene che Polibio fu presente alla distruzione di Corinto, ed appoggiasi al passo di Strabone ( v i l i , p. 331 ) , ove addotte sono le pa­role di Polibio , i l quale narra di avere co* pnprii occhi ve­duti i soldati Romani giuocar a‘ dadi sulle nobili dipinture con­quistate in quella città. Ma cid prova soltanto eh' egli vi fu poco tempo dopo il suo eccidio. Che se prima vi fosse punto, non i improbabile, che impedita avrebbe si trista catastrofe: Anche il Valesio , nelle note al frammento relativo a quest» fatto , porta opinione t che Polibio venne a Corinto dopo il suo incendio, e contraddice al Casaubono , il quale nel prospetto

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eommissarii eh’ erano con lui per ordinare le cosa della Grecia , che rimesse fossero le statue d,'Arato e di Filopemene, ed in riconoscenza di cotesto bene­

ficio gli Achei rizzaron a lui una statua d i marmo ( 15). In ta l incontro diecT egli un saggio insigne d’ asti­nenza. Imperciocché , essendogli stato offerto d à vin­citori di scegliersi f r a le suppellettili pià preziose, confiscate a ribelli, quelle che maggiormente gli ag­gradissero, non solo non volle nulla accettare , ma esortò eziandio gli altri Greci a non comperarne (i(>). Poiché i eommissarii si furono partiti dall' A chea, Polibio , per ordine di e ssi, visitò le città del Pelo­ponneso -, giudicò le loro contese, prescrisse loro leg­gi (17), e governò gli affari per m odo, che tutti si riconobbero da lui sommamente beneficati, e a gara ogni maniera <T onori gli profusero (18). Fra questi meritano precipuamente d’ esser rammentate le statue che in varii luoghi gli eressero. Pausania (19)ne vide

cronologico mette la distruttone di Cartegine un anno avanti quella di Corinto : laddove secondo Pellejo Patenolo e Orosio omendae queste famose città nello stesso anno ( G08 di Roma) furono diroccate. Lacchi rende vieppiù inventimile, che Poli­bio t i trovane presente alla strage delt una e dell’ altra.

(15) Polii, i l , 8.

(16) Id. i l , 9.(19) Pausan. v i l i , 3o.

(18) Polii, i l , 10.

(19) Pausan. y ih , 3o , 9 , 4{ , 48.

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a Megalopoli (io ), presso Acace in Arcadia (a i) , a M antinea, a P allanzio, a Tegea.

Dopo questi avvenimenti, condusse a fine la sua Storia universale, ohe da molto tempo avea preparata, fo rse anche incominciata (11). In qual epoca di sua vita eg f intraprendesse que' lunghi e perigliosi viaggi, d i cui egli stesso parla in varii luoghi della sua sto­ria , e fanno eziandio menzione A ppiano, Plutarco , Ammiano, Marcellino e Plinio , non è abbastanza noto (a3). Tuttavia non pare che innanzi d i conseguire la sua piena libertà g li effettuasse , loccftè accadde t anno 6o4 d i Roma , cinquantesimo circa d i sua età. Checché ne s ia , certo egli è , che percorse f A frica ,

( lo ) Era sotto a questo scrìtto, aver Polibio girata tutta la terra e tutti i mari, essere stato socio <? armi de' Romani, ed aver calmata Pira foro contro i Greci.

(ai) Appiedi questo leggevasi, ohe sin dapprincipio la Grecie evitata avrebbe la sua sciagura, se ubbidito avesse in tutto a Polibio , e che dopo il suo fallo per lui solo ebbe salvezza.

(aa ) Polib. l . u i . o . i , 5.

(*3) Se fosse pervenuta a noi quella parte della Storia £ Polibio, in cui, conforme rilevasi da Ateneo (I. vi, p. 193)

i riferita la legazione di Scipione Emiliano in Grecia, Egitto ed Asia, affine di compor le liti insurte tra g li alleati del popolo Romano, noi potremmo sapere se il nostro storico si valse di cotal occasione per visitar quelle contrade, e per tal guisa stabilire il tempo di cotesti viaggi. Ma in difetto di que­s t autorità non possiamo che avventurar qualche conghiettura. — Se la mentovata legavone , siccome seguendo Cicerone (Ac­

cademie. 11, 2 ) stimano il Freinshemio e lo Sckweighàuser ,

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la Spagna, la Gallia e il mare che ne bagna le co­tte sino alla Britannia con animo d ì rettificare g li

fu eteguita avanti il cantorato dì Scipione, cioè a dire avanti ? anno 6 1 a </< Roma, non i probabile che Polibio, occupato com‘ egli era a ratte/tare gli affari della Grecia ne* primi anni dopo la dittruzione di Corinto , accompagnatte Scipione, quan- d“ anche Tullio ( l . c. ) non ci atticuratte che Panetio tolo allora teco lui fo tte . Ma te , conforme apparisce dal lib. vi, da

republ. dello fletto Cicerone, un altro giro dell' Africano ebbe luogo fra il tuo centorato e il fecondo contolato » ( centorque fu e rit, et olierit legatut Mgyptum etc. , delìgere ilerum cot. abtent) * quindi fra il G ì2 e 620 di R ., non i inveritimile che Polibio t abbia allora teguito. Se non che il Sicatonio e il Reicke, tlando alla relazione di Palerio Mattimo ( 1. iv, c. 3,

13 ) che dopo amendue i contolati mette la legazione anzi detta, tono d" avvito che un anno innanzi alla morte di Scipione nel G ii di R. eisa fo tte avvenuta. Ora, ettendo pelVindefessa di­ligenza del dottiuimo montign. M ai, ohe tanti tetori delle clanica antichità già tratte alla luce, ttata tcopfrta gran parte de’ libri politici di Cicerone, leggeti nel lib. 111, cap. 3S

come Scipione rammenta a Sp. Marameo, il quale mm meno che Metello , a detta di Giustino ( l x x x v i i i, 9), gli fu in quel viaggio compagno, come cota recente Metterti trovati irniente a Rodi : ( Rhodiorum , apud quot nuper fuim ut una ) donde è chiaro che, fingendoti que' dialoghi tenuti t anno medetimo in cui mori Scipione, della tteua legazione qui parlati, che da Palerio Massimo i ricordata , e che non poti etter anteriore all* anno di R. 623. Adunque lo itefio Cicerone attegna in tre diverti luoghi tre differenti epoche alla peregrinazione del- V Africano , f una avanti il centorato , f altra dopo il mede- timo , lu. terza dopo il tecondo contolato ; e te dalValtro canto

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errori degli antichi intorno a queste contrade; che visitò i regni d e lt A s ia , e f u in Egitto allorquando vi regnava Tolemeo Fiscone ; che andò sulle A lp i per chiarirsi del passaggio £ Annibaie per queste mon­tagne (a4)- Degnissimo d i memoria è fr a gli altri il viaggio eh’ egli fece lungo la costa occidentale del- t A frica , per cui ebbe una flotta da Scipione che colà guerreggiava, e nel quale to n i oltre si spinse, che confrontando la relazione che ne dà Plinio (a5) colla geografica descrizione d i quelle parti, trasmes­saci da Claudio Tolemeo (26), e sembra indubitato esser lui giunto sino al quinto grado di latitudine bo­reale , ove sono i regni odierni d i Ashantea e d i B e- nin sulla costa della Guinea, corrispondenti al paese de Perorsi e de' Farusii da amendue nominati.

N e tt anno dì Roma 610 , poich1 ebbe finita la sua storia , accompagnò Scipione in Numanzia, ove cooperò a lt assedio e a lt espugnazione di Numanzia. — Es­sendo nel 6a4 Scipione stato ucciso proditoriamente

i l Pighio , non cui s’ accorda il cel. Mai, da un passo di Plu­tarco (Apophibegm. Opp. t.11, p. 200 ) arguisce che tre volte Ju mandato Scipione dal Senato a decider le controversie dei Sodi t io non veggo perché col testi lodato critico accusar dettasi Tullio d“ un errore di memoria là v f egli la prima accenna di quelle mistioni. Che nelV ultima pertanto non fosse Polibio sembra manifesto dalla circostanza che Plutarco al luogo citato non parlò se non se di Panezio.

(24) Polii, n i , e . 4-B.( a 5) ìli si, nat. t , i.

(2C) À frica, tav. i r , ediz. veneta del 1511.

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dalla fa ttone de’ Gracchi (*7) , Polibio, che non ere- deasi più sicuro a Rom a, se ne ritornò in pa tria , ove visse ancora alcuni ann i, e morì in età di ottan- tadue dalle conseguenze £ una caduta che fece da cavallo, venendo a casa dalla campagna (a8).

Scrisse Polibio la storia de’ suoi tempi in quaranta lib r i, e vi comprese lo spazio d i settantasei a n n i, cioè a dire dal principio d e lt olimpiade c x l , sino al fin e della c i m i , ossia d a lt incominciasnento della seconda guerra Punica sino alla distruzione di Co­rinto (ag). D i cotesti libri i prim i cinque soli perven­nero a noi intieri, de’ quali i due anteriori, d a ll au­tore denominati preparazione, contengono un com­pendio de’ fa tti che precedettero più prossimamente a quelli da lui narrati d i proposito, e sono , la prima guerra P unica, la sollevazione degli A fricani contra i Cartaginesi, le guerre de’Romani nella Gallia Ci­salpina e nelC lllir ia , e la guerra degli Achei e di Antigono re di Macedonia con Cleomene re d i Sparta.

(29) Bella morte di Scipione Emiliano leggasi Cicer. Or.

prò Milone v ii , Fellejo Patere, lib. 11, dur. V itt. de vir.

ili. LYiu, Appian. A lett. de ball. civ. Roman, lib. 1.

(28) Luciano, de Macrobii*.

(29) Nel? introduzione alla sua ' Storia dice Polibio, che i Romani in 53 anni compierono il conquisto del mondo allora conosciuto. Ora corrispondendo V olimpiade c x l a lt anno di R. 533 , il mentovato cor.quitto fu fn ito ? anno 586 , in cui fu debellato Perseo. 1 rimanenti 23 anni consumatomi, parte nella pace, parte nella guerra Celtiberica, nell‘ ultima Punica, e neWAcaica , che riuscì fatale a Corinto e alla libertà de’ Greci.

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IOCiò che degli altri libri rimane è dovuto a lt impe■ radure Costantino Porfirogenete, il quale nel secolo X

form ò un corpo d i Pandette politiche dagli estratti d i parecchi storici antichi d i prima classe, fr a cui Poli­bio g li fo rn ì la pià abbondevole materia. 1 prim i libri compiuti dovati furono alle lettere intorno alla metà del secolo x r da Nicolò r , Pontefice grandemente benemerito degli studii greci e latini pe* molti codici manoscritti ch'egli fece ricercar dappertutto con ogni diligenza, ed inUodutse nel Faticano. 1 pià ragguar­devoli fram m enti de' libri successivi scoperti furono in tre diverse epoche de* secoli x r i e x r ii. De’quali ci proponghiamo d i dare pià esatta contezza, quando parleremo de’ lavori di que’ dotti che rendettero Po­libio d i pubblica ragione. A ltr i avanzi d i minor contò somministrarono a parecchi raccoglitori g li antichi che V han citato, e singolarmente il grammatico Sui- da (3o), il quale sembra averlo posseduto ancor in­tiero.

(3o) Fiorì Suida nella seconda metà del secolo undecima sotto t imperudore Alessio Comneno i , adunque oltre m se­colo dopo Costantino Porfirogenete, il quale morì nel g5g. E i si pare eziandio che tutta t opera di Polibio fosse presente al Cesare Briennio , quando nella prima metà del secolo duode­cimo scrisse la storia degf imperadori sino a* suoi tempi, con­

forme stima il Possiti suo editore nelle note a p. >44* Ma da quindi innanzi non hawi più traccia dell' open intiero. Chi sa, se il lavoro eseguito per comando del Porfirogenete, contenendo uno spoglio delle cose pià interessanti che si supposero comprese

in Polibio, offerto non abbia a* copiatori un grande risparmi*.

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Oltre alla storio universale compose Polibio la storia della guerra Numantina (3 i), la vita di Filo- pemene in tre libri (3a), commentarti di tattica <33), e un opuscolo delF abitazione sotto f Equatore (34). Ma tutte queste opere sono perdute.

Era Polibio tenuto presso P antichità in conto d i storico sommamente autorevole, siccome ne f a fed a il giudizio che d i lui dà Cicerone (35) , e ciò che ne scrive Tito Livio (36), il quale trasportò nel latino, quasi a parola a parola do libri suoi in tieri, e Stra*

di fatica , e per tal guisa denudate le età future di tante perle della sua stona?

(3 i; Cieer. Epiat. ad familiari I. ▼> «p. 121

(3i) Polib. I. ■ ,

(33) Polib. I. u , o. s o ; Arrian. io tactio. nel principioi in taetitf. cap. l , 3 , i g.

( 3{) Gemina», Eleni. Ailron. o. i 3, io Fatava Uranologie

t. ili , p. 5i e seg.( 35) D* olT. n i j 3a u Polybiut auctor bonus in primis. > —

De re pnbl. u , i { u Sequamur en'um Polybium nottnm ( i Scipione che parla ) <pto nemo fu it in exquirendìs temporibus diligenti or ». Grand1 elogio in vero , e tanto maggiora , qua*» toehè di avvenimenti colà si tratta , che appartengono alla Sto* ria Romana. I l pereki qualunque volta nell? indicazione ielle epoche noi rinverremo Polibio in contraddizione cogli altri sio•

ric i, senza esitazione a lui ei appiglieremo.(36) L . s i c , {5 <t Polybiut kaudquoquam tpemtndus ca­

cto r » — L. u x m , io «* Polybium secuti sumus, non inoer* lam auctorem , quum omnium Romanarum rerum, tum prmcipue in Gtaeia geitarum ». Le quali espressioni di autor non iapra-

gerole, aotor non incerto indussero alcuni a credere chi t i v ù

I I

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bone (37), c Gioseffo (38) e Plutarco (39). E di/fa tti, oltreché egli era insigne capitano , ed avea con glo­ria militato in Grecia avanti la sciagura della sua patria , e co’ Romani in Jspagna e in A fr ic a , filo­sofo e politico di vaglia il manifestano i suoi scritti, ripieni de piti sublimi precetti d i condotta morale e civile. N elle descrizioni poi delle operazioni d i guerra egli f u giudicato tanto eccellente, che i suoi libri stu­diar onsi da’ pià fam osi capitani, e che M . Bruto stesso , sebben era schizzinoso a tede, che perfin nello stile di Cicerone trovava materia da criticare , il ri­dusse a compendio , sccondochè narra Plutarco nella vita di lui.

M a ciò che sovra ogni altra cosa il qualifica sto­rico di prima sfera si è la sua scrupolosità nel ri­ferir i fa tti conformemente al vero , inaccessibile mo­strandosi a lt odio e a lt adulazione , non meno che alla smania d ’ imporre a ’ creduli colV insolito e col

fra i mediocri V annoverasse. Ma il Cataubono co lf autorità di molti testi dimostrò ad evidenza, che coletto modo negativo di esprimersi ere assai familiare agli antichi per significare t ec­

cellenza cf una cosa 0 d’uno persona. Quindi io forte stupisco, come il dottissimo Tiraboschi ( Stor. della Letterat. ItaL t. i ,

p. 272 ) si accosti a lt opinione di coloro che tacciano Lino ingratitudine verso Polibio, e che al certo non conobbero il

valore delle frasi Liviane , a cui appoggian il loro sentimento.(S")) Lib. ix , p. 422 il chiama t , uomo di

grande autorità, ed il cita in diversi luoghi della sua opera. (38) Cootra Apion. 1. 11.

(3 9) Reipnb. gereod. priecepta p. 81

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maraviglioso (4o) : difètti pur troppo comuni a l volga degli storici, e eh’ egli censurò in parecchi, che toc­carono gli argomenti da lui tra tta ti, siccome furono Timeo, Filino, Fabio pittore, Filarco , Chereo, So­sila e altri. A ciò aggiungansi le esatte cognizioni geo­grafiche eh’ egli procacciassi, non già per via della lettura o delle altrui relazioni, ma recandosi, con­

form e abbiam accennato d i sopra, a' luoghi medesi­m i , senza esser ributtato da stenti e da perigli. Delle quali cognizioni un saggio insigne ci d iede , pochi anni sono, un General Inglese, il quale (40 seguendo le orme segnate da Polibio, scopri la strada su cui Annibaie passò le A lp i, onde lo stesso T . Livio (4?) non avea se non se idee fa lse e confuse , siccome a suo luogo sarà da" noi dimostrato.

A tante eminenti doti univa Polibio il possesso della lingua latina } mercè della quale egli potè nella composizione della sua storia servirsi de’ libri cen- sua li, e degli altri monumenti che serbavansi nel Campidoglio , d i cui g li fu cortese Scipione, oltre alle notizie verbali eh' egli ebbe da Lelio intimo amico deir Africano.

( io ) Invano cercasi nella sua opera menzione di prodigio , di cui piene sono le storie degli antichi. Di che ha voluto filino ( in Augnilo ) scusarlo , dicendo ch‘ egli non li conside-, rava appartenenti alla storia.

(£1) Biblioth. onivertelle octobre 1820, p. i 4 8 , litterature. Di questo viaggio daremo un ragguaglio precìso nelle note al terzo litro , ov’ i descritto il mentovato passaggio ì Annibaie.

({2) L . x i i , 32 , 38.

i 3

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A malgrado d i pregi cotanto segnalati non man• corono a Polibio detrattori. Fra gli antichi Dionigi t£ Alicam asso (43) g li appone poca cura dello s tile , e una viziosa collocazione delle parole , per m odo, eh’ egli pronunzia , non potersi tollerar sino alla fine la lettura della sua storia. M a un filosofo che non lasciò mai t ombra delle scuole, e non f u occupato in alcun impiego civile o m ilitare , mal poteva giù* dicar del merito d i chi a dottrina non comune con» giunse pratica sì grande delle materie d i cui prese a scrivere. E già non g li bastò / ’ animo d i prose- giure la sua storia Rom ana, ove Polibio / ’ incomin­cia (44) t - temendo, per quanto io credo, il confronto con un rivale di gran lunga a lu i superiore. V ' ebbe eziandio certo Svilia te , matematico « musico da Ca­riando città della Caria, il quale, a delta d i Suiday scrisse una confutazione della storia d i Polibio (45). Fra i moderni Sebastiano Moccio in un libercolo la­tino , intitolato Giudizio degli storici, per poca cosa

(43) De verbor. compoait. 0. 4-(£4) Gli undici libri di Antichità Romane, che di Dionigi ci

m ungono, non giungono che a lt anno di R. 31 a ; tua i libri perduti finivano, per quanto raccogliesi da’frammenti superstiti, colla guerra di Pirro intorno all'anno 4; 3 , un anno prima che la legione Romana, condotta da Decio Campano, l ' impa­

dronisse di Regio per tradimento, dal qual avvenimento Polibio incomincia la sua preparazione.

(45) Questo libro i intitolato wptt r ii UtXéfiìrirrtf/mr. I l Fabrici* ( op. cit. p. 901 ) stima che possa costui aver scritta un* open emula di quella di Polibio, tiecone le

»4

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tenuta d a l T irabosch i (46), taccia P olib io d i vanità ,

par aver eg li tanto sovente pa rla to d i sè stesso. — In ­

degnissim o rim provero che non m en ta confutazione. —

A ltr i biasim ano le lunghe e fre q u e n ti sue d igressioni,

le q u a li pertanto sono ben lontane d a ll' esser super­

f lu e , aggirandosi sem pre sovra u tili o g g e tti, siccome

sono perfezionam enti d i m acchine i d? istitu zion i m i­

lita r i , con fron ti d e 'va rii sistem i d i guerreggiare presso

le d iverse n a z io n i, origine d elle repubbliche e loro

m odi d i go vern a rsi, precetti re la tiv i a l t arte d i scri­

vere la s to r ia , avvertim enti po litic i e m orali. — A l ­

tr i scorge in lu i una soverchia pred ilezione per i l p o ­

polo che soffliogò la sua pa tria . M a n o i verrem os-

Amazoni chiamate tono da Omero , perché fecondalo Scoliatte gareggiavano in forza cogli nomini. Ma , con tuona licenza del dotlittimo Alemanno e del Greco Scoliaste , potrebbe anche darti che queir mthmn/fmi significasse avrer-

u r ìo degli nomini, conforme tpiega l ' Etichio siffatta parola, e che iih y p a f* esprimeste opposizione, derivato da i t h y f i -

che giutta lo ttetto grammatico denota fa r opposizione al reo. Oltreché te la fattura di Scillace fo tte ttata emula della storia £ Polibio, ben altro rumore te ne tarebbe me­

nalo pel mondo. Non è pertanto da confonderti quetto Scillace con altro da Cariando pure , ma molto anteriore a Polibio , che fu celebre geografo , e visse tolto Dario Itlatpe , per or­dine del quale egli fece e deferisse parecchi viaggi. Di cottai

fa menzione Strabone ( xii , p. 5G6 . u n , 683 ) e Aristotile,• molti altri il rammentano con lode. Pretendeti ch'egli abbia lasciato il Periplut wiffwXtus (giro per mare) ch‘ i nato coni*

mentalo dal Fottio.

(46) Op. cù. t. t u , p. 1021.

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servando nel corso deir opera , corri egli non lasciò di rimproverar acerbamente a' Romani i loro d ife tti, e ben chiaro apparirà , com e, mosso da caldo amore del suo paese egli scrisse la sua S to ria , affatican­dosi di fa r conoscere a.’ Greci, quanto era vana ora­mai e perniciosa ogni resistenza fa tta a R om ani, i quali pià che dalla fortuna erari dal valore condotti a quell’ apice di forza che ogni ostacolo abbatteva. Che se dalC altro canto egli loda i Romani a cielo ,0 si mostra d i loro sviscerato , è da riflettersi pri­mieramente , che d i grandi beneficenze V avean col­malo , 0 che per intercessione di lui beneficaron ezian­dio i suoi concittadini ; poscia che se in Roma fiorì giammai ogni maniera di pubbliche e domestiche vir- t i i , ciò accadde pelC appunto a’ tem pi che il nostro autore scelse ad argomento ilei suo lavoro (47).

({7) I l dispreizo delle ricchezze e V inflessibile rigore che vegliava sui costumi, eran il prezioso patrimonio , cui i Ro­mani tutta dovettero la loro grandezza. Senza rammentare i pià antichi esempli della gloriosa povertà <f un Curio, <f un Cin­cinnato , <T un Pullicola in tempi di troppo rozza semplicità , basterà qui accennare , come i più grandi Capitani della culla età , su cui aggirasi la storia di Polibio, Scipione Emiliano sterminatore di Cartagine e di Numanzia , e L . Mummio di­struttore di Corinto , nulla appropriaronsi delle immense dovi­zie , onde quelle città ridondavano, e che il primo, poiché ebbe vissuto senza fasto , lasciò morendo sole ventidue libbre <f argento e due libbre e mezzo d’oro (F . Aur. V itt. de vir.

ili. 58 e 60 ). — Ma lo stesso Scipione , vittima dell’ ambi­

zione de’ Gracchi, recò seco alla tomba la virtù e la felicità

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Continuarono la storia di Polibio , Posidonio da Olbiopoli, so fista , in 5 a lib ri, e Strabono Am aseo,lo stesso d i cui abbiamo Vopera geografica, in 4% li­bri ( V. Suida alT artic. P olib io , e Strab. Geogr. I. x i , p. 5 i5 ).

de' suoi concittadini. Imperciocché come prima l“ avidità del do­minio , tolto il mtntito aspetto di popolarità, tparte fra la p lebe, il veleno del?avarizia e de’piaceri, fu aperta la via a tutte le sette che lacerarono successivamente le viscere della re­

pubblica, e donde altro scampo non v‘ ebbe che in braccio alla Monarchia,

. 17

P o l i b i o j tomo I . a

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DELLE EDIZIONI E TRADUZIONI

DI P O L I B I O .

1 prim i cinque libri della storia Polibiana voltati furono in latino da Nicolò P erotti, Arcivescovo S i­pontino (i) , per ordine del Sommo Pontefice Nico­lò y . Era il Perotti elegantissimo scrittore latino , a tale che i suoi nemici, per iscreditarlo, spacciarono la sua versione per antica, e da lui interpellata ; dappoiché, conforme dice Paolo Giovio nell' elogio del medesimo } mentrechè Tucidide , Diodoro , P lu­tarco ed Appiano erano stati tradotti con nobilissima gara <E alti ingegni, il Perotti tutti gli avanzò in f e ­deltà , dolcezza e purità della romana favella . M a per quanto sia vero che la latinità d i cotesto autore emulava quella de buoni secoli d i Roma , fa lso è che la sua traduzione d i Polibio fosse fedele , avendo egli espresse in quella molte cose che non vi sono , e altre , per non comprenderle, al tutto sorpassate f siccome , distesamente dimostra il Casaubono (a).

(1) Cioè di Manfredonia che pria chiamatati Siponto. ( P. Ciò. Pillani Storie Fiorentine, lib. v , c. 46 )• Del retto era

il Peroni nativo di Sauoferrato nella Marca d“ Ancona.(2) De prioribai Polybii intcrpretibai, ecc. Discorso pre­

metto alla tua edizione.

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Laonde io credo, che il G iovio, scrittore « il cui n primario fin e (sono parole del Tiraboschi (3) ) non era » altro che quello £ arricchire co’ suoi studii, e d i ot-• tener premii e ricompense da quelli ch’egli lodava, » e d i anteporre perciò, ove gli tornasse in acconcio, » C adulazione alla verità . . . . » gli elogi del quale » sono talvolta satire anziché elogi » io credo , dissi, che il Giovio qui pure per qualche poco lodevole ri­spetto , abbia encomiato il Sipontino oltre il giusto. Sebbene non posso menar buona a l critico francese F osservazione che a que’ tempi rie ss un italiano co­nosceva il greco meglio del P erotti, e pochi a l pari d i lu i ; giacché qual paese, in queir epoca appunto , accolse tanti dotti G reci, fugg iti dalla patria lorp soggiogata , quanti f I ta lia , e dove coltivavansi al­lora le lettere greche con maggior fervore ? Che se il Sipontino non fu fr a gl’ Italiani del quattrocento U pià consumato ellenista (4) , il furono bene un M arsilio Ficino , un Poliziano, un F a lla , un Negri, i quali, parte con somma lode fecero latine parecchie

f r a le pià insigni scritture della G recia, parte occu­parono cattedre d i Greca letteratura a gara cogli stessi maestri di quella nazione , parte pubblicaron in quella

(3) Op. cit. t. v i i , p. 877 - 8Bi.

({ ) Apostolo Zeno, a dir vero ( V. Tirobosohi l. e .) cita vna lettera di Francesco Filelfo al P e n iti, nella quale il loda delle profonde cognizioni che avea del Greco. Ma non meno che il Giovio era il Filelfo liberale di lodi, singolarmente ove sperava che gliene fosse per ridondar qualche vantaggio.

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dotta lingua proprii componimenti applaudidssim i (5).Questa prima traduzione d i Polibio f u pubblicata

a Roma nel 147^ j poscia a Brescia nel i 488. N el i 5ao vide essa la luce in Agenovia insieme col testo greco per opera di Vincenzo Obsopeo il quale vi aggiunse ima prefazione, e consultò un codice mano­scritto mandatogli dalC E tzelio, avvocato, per quanto credesiy Norimbergese, donde trasse alcune nuove le­zioni.

N el i 536 Lazzaro B a if , ambasciadore del re di Francia presso la repubblica d i Venezia, inserì nella sua opera de re navali veterum un fram mento del libro x v i , da lui trovato nella Biblioteca M ar­ciana , che contiene la battaglia navale di Filippo ctìn A italo e co'Rodii nelle acque d i Scio.

Una parte ragguardevole del libro sesto , che tratta della milizia Rom ana, uscì a Basilea nel i 53y col- F interpretazione latina d i Gianni Lascari. A ltr i due

fram m enti dello stesso libro , ove ragionasi delle va­rie form e de governi, e della eccellenza del governo Rom ano, voltò in latino Pompilio Am aseo} e diede

( 5) La traduzione latina , che di Platone fece Manilio Ficino, e quelle <f Erodoto e di Tucidide pubblicate dal fa lla sono le migliori che abbiamo de’ mentovati autori. Il Polivano insegnò lettere greche a Firenze con maggior applauso dello stesso Greco Calcondila, e compose un libro <T epigrammi greci, che hanno tutta la dolcezza de’ versi d‘ Anacreonte. f i Negri fu in Milano prescelto alla cattedra di ledere greche » concorrenza di Basilio Calcondila fg lio di Demetrio.

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a i

fu o ri a Bologna nel 1544- U Casaubono , mentre che f a plauso alla purezza Tulliana della sua dicitura , il riprende d i gravi omissioni , e non molta cogni­zione nel Greco gli attribuisce (6).

Un codice venuto da Corfh ed acquistato da Diego H urtado M endosa , ambasciadore d i Carlo r a l Pontefice Paolo / / / , fo rn i a lt Arlenio i fram m enti d e dodici lib ri, che nell’ edizione Ervagiana compar­vero a Basilea nel i 549» ■£' anno innanzi avea già Sisto Betulejo , rettore e bibliotecario delC Università A ugustana , confrontato t esemplare Cor ciré se con un altro che trovavasi nella sua custodia, sebbene, a sua propria confessione, inferiore a quello , a W olfango Muscolo s i valse d i cotal confronto nella traduzione latina eh’ eseguì de’ mentovati fram m enti.

Fra i primi traduttori d i Polibio è da riporsi in qualche modo Lionardo Aretino , il quale, in sup- plimento della feconda Decade d i T . L iv io , compose latinamente due libri della prima guerra Punica t « della sollevazione de’ popoli <£ A frica contra i Car-

(G) N i il- Reithe r ì lo Sckweighàater fanno menzione di tfuetto traduttore , e T Argelati ( BiblioU degli Volgari*»» tori ,

Milano, Agnelli i ■567- t. m ( p. 2 8 0 ) dubita perfino te la tua venione fo tte volgare 0 latina, i l Villa pertanto nelle ad­dizioni e correzioni alla mentovata Opera ( t. r , p. 654 ) af­

ferma ettere la medetima latina, e dice che Pompilio tcritse un commentario in lingua italiana, con cui illuttrd quetti fram m enti, il quale per altro non era dato alle ttampe. —

Da qua' codici il Laicari e V Amaseo traeuero que' pe tti nm ho potuto rinvenire.

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taginesi, tolti quasi d i peso da Polibio. Furon essi stampati in Augusta nel i53j .

Fulvio O rsini, uno de' più ingegnosi e diligenti spositori della classica antichità , e che , quanto alla pratica d i codici m anoscritti, ebbe pochi suoi pari , da un codice che inviato g li avea Antonio Agostino, Arcivescovo d i Tarragona, trasse le ambascerie, e felicem ente, sebbene talvolta con soverchio ardire , ne corresse il testo , e con giudiziosi commenti illustrollo. Uscì quest' opera con molta magnificenza in Anversa nel i 58a da' torchii del Plautino , unitamente a nuovi fram menti d i Polibio e t? altri G reci, corredati dì note dallo stesso Fulvio. È da maravigliarsi che il Casaubono fr a le edizioni Polibiane anteriori alla sua non parli punto d i questa : locchè egli tanto metto dovea fa r e , quantochè in moltissime sue conghiettui e seguì r opinione delV editor italiano.

Non è a dubitarsi, se la versione del Perotti e quella del Muscolo lasciassero molto a desiderare. I l Casaubono , da quel valente letterato eh1 egli era , voltò d i bel nuovo in latino il Polibio con molto maggior esattezza che non avean fa tto i suoi prede- cessori. Non picciol vantaggio si procacciò pella cor­rezione de' fram m enti , che appai'tengono a libri suc­cessivi agl' in tieri, dalF antichissimo codice Urbinate, passato poi nella Vaticana, che contiene g li estratti de' prim i diciassette libri. M a pei prim i cinque non s i valse , come dovea, delV edizione principe delF Ob- sopeo, per cui era stato consultato un codice d i ben miglior conio, che non è il regio Pai igino ed il Ba-

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varìco , da lui a tal uopo esaminati donde avvenne che parte conservò, parte emendò a suo talenta g li errori dell' edizione d i Basilea. In fine pose i fra m ­menti già raccolti dall' Orsini , eh' egli neppur qui nominar vo lle , ed alcuni altri da sè rinvenuti in veirii autori. Un eccellente prospetto cronologico chiude r opera. — Avea il Casaubono con eruditissimi com­menti illustrato il testo Polibiano ; ma sopraffatto dalla morte non li condusse oltre il vigesimo capitolo del primo libro , e pochi ne aggiunse suo figlio M e­rico , cavati dalle carte del padre. N on compariscon essi neir edizione d i Pai'igi del 1609, e furono colà stam pali a parte nel r6 iy , poscia in Augusta per cura del Boeder nel i654-

Un codice manoscritto venuto da Cipro, e dal suo possessore denominato Peireseiaao , somministrò ad Enrico Falesio un articolo d 1 estratti della raccolta Bizantina non per anche conosciuto , che portava in

fro n te il tìtolo ; De’ viiii e delle virtù. V avea tra questi estratti molte cose d i Polibio, che il professore Parigino unì e pubblicò nel i 634 colla traduzione latina , e arricchì d’ ottime annotazioni, aggiugnen- dovi'una nuova collezione di fram m enti Polibiani.

Giac. Grò nov io , ancor giovine , diede alla luce nel 1670 in Amsterdam il suo Polibio in tre volumi, copiando esattamente il Casaubono ( se s i eccettuino alcune rarissime correzioni fa tte a l testo greco e alla traduzione latina ) , unendovi g li estratti Vallesiani , le note del Casaubono , quelle d i Fulvio Orsini alle ambascerie, e le proprie, giovandosi ancora negli

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estratti antichi d ’un codice manoscritto d i Leida: M a non contento del suo lavoro, ne viaggi che poco appres­so 'foce molti utili materiali procurossi per una nuova edizione. A Londra trascrisse le note che il Casau- borio tracciate avea d i sua mano nel margine <S un esemplare dell’ edizione Ervagiana, e le la ion i che il medesimo avea tratte dal codice Urbinate. Appro­priassi pur ( indice della Grecità d i Polibio , inco­m inciato, per quanto sembra, da Isacco Casaubono, e fin ito dal figlio Merico , cui aggiunse poscia un sup­plemento d i vocaboli che si riferiscono agli estratti tfallesiani. A Parigi cavò dal codice regio , che servì già a l Caiaubono, e che contiene i due prim i libri d i P o lib io , parecchie nuove lezioni, e vi appose quelle che il Boedero trasse dal codice Augustano. Consultò pure colà il Valesio sovra alcuni testi cor­rotti e d iffic ili, ed ebbe da lui parecchi fram m enti Polibiani tolti dal libro <£ Erone su lt arte d i respin­ger V assedio. A Firenze notò le diverse lesioni d i tee o quattro codici m anoscritti, che racchiudono, parte i prim i cinque lib ri, parte i varii estratti. I ti- tornato a casa con questo tesoro, riprese tratto trattolo studio d i Polibio, e fece un supplemento alle note già da lui pubblicate. Accingevasi egli a render le sue fa tiche di pubblico diritto , quando passò d i que­sta vita. M olti anni appresso il Rhunkenio recò tuttoV apparecchio Gronoviano spettante a Polibio nella Biblioteca dell’ Università d i Leida, e affidollo poscia allo Sclrweighauser che preparavati a confrontar di bel nuovo il nostro storico co’ codici antichi, e darlo

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fu o ri più corretto che non era stato fa tto sino a’suoi tempi.

Una ristampa delV edizione del Gronovio f u pro­curata dal cel. Gio. Augusto E m e tti, il quale vi premise una erudita prefazione, ove leggonsi molte utili osservazioni intorno a Polibio. F i è aggiunto un vocabolario Polibiano , in cui, a dir vero, emen­dati sono molti luoghi, ma introdotte eziandio non poche lezioni viziose. D el resto espresse egli il desi­derio che qualche altro valente scrittore prendesse ad esaminar i ■ codici antichi e a viemmaggiormente cor­reggere e purgare il testo.

Anim ato da siffatto invito lo Sckweighduser pro­fessore Strasburghese , e ricco d e lt apparecchio Grò- noviano , del quale, siccome dicemmo, g li era stata

fa tta copia, mise mano alC opera, e con maraviglioso successo la condusse a fin e , traendo non solo par­tito da tutte le pià insigni fatiche de' suoi anteces­sori , ma ponendovi ancor egli medesimo lo studio più indefesso coti procacciarsi mezzi del tutto nuovi , ed investigar ogni più minuta cosa con critica sagace. Ebbe ricorso a pià preziosi codici esistenti nelle varie Biblioteche d i Francia, Germania ed Ita lia , f r a cui alcuni innanzi a lui non erano stati esam inati, sic­come due codici regii P arig in i, ed un Vaticano , il più antico di quanti rimangono, e da loro trasse le lezioni sfuggite agli altri editori. Queste con quelle che la diligenza c C ingegno altrui aveano già rac­colte , distribuì in due classi. La prima contiene le lezioni che hanno la maggior somiglianza col testo

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da lui adottato, e eh' egli collocò appiè d i paginir. N elle altre comprese quelle che pià dall’ originale si allontanano, e che relegate furono ne’ commentarii. Conservò la traduzione latina del Casaubono, e la modificò soltanto ove gli sembrò che questi non avea ben colpito il senso dell' autore, e dove col fa vo r d i nuovi lumi potè integrar qualche luogo manchevole ,o emendarne qualche vitioso. Hestituì le ambascerie e gli esempii d i virlà e di vizii al rispettivi libri cui appartengono , attenendosi alla scorta de’ tempi e de­g li altri autori che trattarono le medesime m aterie, singolarmente d i Tito Livio. N e’ margini del testo ritrovansi i sommarii e la cronologia Greca e Ro­mana. N elle annotazioni, olire alle varianti già men­tovate , che sono in grandissimo numero, e a severo giudizio assoggettate> discutonsi le ragioni che f in ­dussero ad accogliere nel testo una lezione am ichi le a ltre , e vi sono illustrali i luoghi d ifficili, e i punti storici rilevati col confronto d i altri antichi scrittori. Passaron eziandio in quelle non poche os­servazioni tolte a l Casaubono , al Reishe , a l Grò- novio , a Giuseppe Scaligero (]). I fram m enti di Polibio sparsi nelle opere degli antichi, parte collocò ne’ libri a- cui trovò o congetturò che spettassero, parte , e segnatamente quelli che rinvenne negli au-

(■j) Questi avea scritte notfi marginali ut un esemplare E r- vagiano di Polibio, il qual esemplare passò nelle mani deU'Eir- sio , che vi aggiunse le sue osservazioni ; poscia venne in po­

tere del Segaar, da citi f ebbe lo Svhwei^hauser.

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tori L a lin i, raccolse in un corpo separato, e li pre­mise a’ commentarii , distinguendo quelli che poteano riferirsi a libri determinati da quelli che a libri in~ certi appartengono , e che di bel nuovo divise in due c la ssi, in fram m enti storici} c geografici, e in fra m ­m enti grammatici , secondochi era o non era possi­bile d i assegnarli a un qualche nome d i persona, d i nazione o d i luogo. Compilò un vocabolario, ove non solo espresse la proprietà dello stile Polibiano , ma giustificò ancora il senso da lu i attribuito a molte voci e fr a s i del suo autore, e corresse con esemplare ingenuità i proprii abbagli. Tutta V opera à composta d i nove volum i, de’quali i quattro prim i contengono la m ateria, i tre successivi e metà deir ottavo dedi­cati sono a' commentarii, V altra metà di questo è form ata dalC indice storico e geografico , e t ultimo si compone de'fram m enti e del vocabolario. In pa­recchie prefazioni rende t editore conto deir industria con cui altri innanzi a lu i adoperaronsi n e lt illustrar P olibio , de’ varii codici da quelli e da lui esaminati, e £ ogni altra sua fa tica n e lt esecuzione d i cotanto ardua e nobile impresa. E finalm ente perchè nulla mancasse a render tutto il lavoro una compiuta en­ciclopedia Polibiana , non dimenticò egli d i collocar in capo ad alcuni de' suoi volumi i discorsi prelim i­nari e le dedicatorie del P ero tti, deir Obsopeo, del- T A rlen io , del Casaubono , deir O rsini, del Valesio e del Reiske.

A lcuni d o tti, sebbene non editori d i Polibio , f e ­cero su lui egregi lavori , che grandemente contribui­

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rono ad illustrarlo. Così scrisse molto eruditamente i l grande Giusto Lipsio (8), sulla parte del sesto libro rendala latina dal Lascari. Così spiegò Marco Meibomio (9) parecchi luoghi d i Polibio, correggen­do alcuni errori del Casaubono e del Gronovio. Tra­dusse il medesimo ancora la battaglia navale d i Scio , e d i erudite note accompagnolla, con animo di fa r conoscere la possibilità d i voltar dal greco, 0 più

fedelm ente, 0 con maggior eleganza e chiarezza del-V idioma romano che non fece il Casaubono. Così tro­vatisi annotazioni a varii testi del nostro autore nelle osservazioni pubblicate da Giacomo di Grentemenil intorno agli scrittori Greci (10). Così confrontò il Boeclero (11) diversi luoghi di Polibio colle imita­zioni che ne eseguirono T . Livio e Diodoro Siculo. Così lasciò lo Schelio (12) una dissertazione molto riputata sugli accampamenti e sugli schieramenti d i Polibio. M a sovra tutti meritò d i quest illustre storico,

f r a quelli che noi fecero ristampare , il chiarissimo Jteiske, il quale dedicò tutto il quarto volume delle sue osservazioni sugli autori Greci alla correzione

(8) V. la sua opera de Militia Romana, lib. v , e la censura che ne fece il Casaubono nell' epistola 11 al Bongarsio.

(q) V . il suo libro de fabrica trirem. stampato in Am­

sterdam nel 1G71 ed inserito nel tomo x ir d*l tesoro Gre- viano.

(10) Lugd. Batav. 1GG8.

(11) Appiè delle sue varie lezioni di cui abbiam già fati» cenno a p. iGg.

( ì a ) Graev. Thes. antitj. Roman, t. z.

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ed illustrazione degli avanzi d i P o lib io , e vi mandò innanzi una prefazione eruditissima. Tanto era que­sto critico insigne invaghito d i cotale scrittore, che egli confessa d i non aver avuto nessun greco o la­tino così sovente pelle m ani, e che nessuna produ­zione del suo ingegno era da lui apprezzata a l pari delle annotazioni fa tte sovra Polibio.

Quanto è a’ volgarizzamenti del nostro autore, 0’ sembra che a tem pi del Casaubono il pià stimato

fo sse un Tedesco fa tto , per quanto quegli asserisce, da persona nelle lettere greche dottissim a, sebbene da diversissime occupazioni distratta ( i3). I l Beiske, che fio rì nel secolo decorso , rammenta due versioni Tedesche uscite ci tempi suoi a Vienna e a Berlino, ma da lu i non vedute (14)> V ha nella medesima lin­gua una recentissima traduzione fa tta da dotto guer­riero , e corredata di note ( i5) , d i cui f u pubblicato il primo volume nel 1820. — In francese f u recato Polibio , per quanto n i è noto , tre volte. Certo M ai- gret Lionese pubblicò nel i 55j i prim i cinque libri ì e Fanno appresso vi aggiunse i fram m enti de'posteriori. Siccome pertanto il Casaubono , che doveva averne contezza, non ne f a m otto, così egli è probabile , che molto meschina la stimasse appetto alla Tedesca

( i 3) È desso del Xylandro stampato a Basilea nel 15<j in

foglio.( ■^ ) V. la sua prefazione ad Polybtana.( | 5) Polybiat Kriegggeschichte ùbenetzt von F. W. Beni-

cken , mit Annerkaogsn. Weimar Lande«ioduslri« Comptoir

1820, 8.°

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d i cui parlò con lode (16). N el secolo x y u un M. de J ije r , accademico , riprese il lavoro, ma non fece che voltar il Casaubono e si lasciò sfuggire un infinità d ’ errori (17), pella fr e tta , con cui l’estrema povertà, in che vivea costringevalo a scrivere. P ià felice f u la traduzione del Benedettino D. Vincenzo ThuiU lier , eseguila, conform egli annunzia nel frontispizio , sull’ originale greco, preceduta da un esteso trattalo sulla vita d i Polibio , ed accompagnata da un corpo d i scienza a guisa di commentarli con molte figure, opera del celebre Folard. Fu essa stampata a Pa­

rigi negli armi 1727-30 in 6 volum i, in 4-° — -/» inglese f u Polibio trasportato da Enrico Scheers , e Giovanni Dryden vi aggiunse la vita deW autore, a un giudizio sugli scritti d i lui. Londra 1693-94, a voi. in 8.° Se non che dice il Thuillier, come cor­reva voce in Inghilterra, aver il traduttore eseguitoil suo lavoro sulla versione elei Casaubono. I l primo volgarizzatore italiano d i Polibio f u il Domenichi, quegli che tradusse Senofonte , Plutarco , Luciano , Plinio a parecchi altri antichi colla superficialità che

(iC ) I l Thuillier (Vie da Potybe p. non biasima che

lo siile di questa induzione , imputandolo al tempo in cui fu scrìtta ; ma ben più essenziali convien credere che sieno i suoi d ife tti, dappoiché il Casaubono , quantunque francete, non la stima degna di menzione, laddove loda a cielo quella del X f- landro, a ' tempi del quale la lingua alemanna non era al certo più ingentilita della francese.

(17) Il Meibomio (op. cit, ) asserisce che il De Ryer ac­

crebbe sovente gli errori del Qasaubono anziché toglierli.

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ora inevitabile in chi , siccome lu i, spinto era dal bisogno ad affollare i letterarii lavori. M a v Ita d i peggio (18). Non conosceva egli il greco; quindi atte­nersi dovea pe prim i cinque libri a lt imperfettissima traduzione latina del Perotti, e pe’ fram m enti a quella egualmente mediocre del Muscolo. N el i5/f5 comparve co' tipi del Giolito la versione da’ libri in tieri, e fu riprodotta t anno appresso riveduta e corretta. N e l i 553 , e pià emendata nel i 56 a ripubblicò il Dome- nichi la stessa opera, e vi aggiunse g li estra tti, che pochi anni prima erano stati trovati. N el usc^in Verona dei torchi del Ramanzini la surriferita tra­duzione , riveduta col confronto del testo greco da Giulio L and i, il quale vi unì la raccolta delle am­bascerie , che innanzi a lui non erano state volgariz­zate (19).— Parecchi squarci delle storie d i Polibio,

(18) Batta leggere il giudizio che dà il Pompei (V ite de­

gli uomini ili nitri di Plutarco nella prefittone) per conoscere in qual pregio s'hanno a tenere le sue versioni dal fgreco. « Improprietà , ( sono sue espressioni ) e mala collocazione di parole, e strane forme di dire, vi s’incontrano continuo, spes­

sissimo vi si veggon frantesi anche i sentimenti più chiarii la stentata durezza dello stile vi apparisce quasi da per tu tto , e in moltissimi luoghi vi domina una tal oscurità , che andar fa tentone anche gF ingegni p ii oculati e penetranti ». Dopo un ta l giudizio io non comprendo , come il Tira boschi ( op. cit. t. vii , p. 1 o 11 ) abbia potuto trovare nelle traduzioni del Po­meri ic hi « facilità e chiarezza di stile non senza eleganza ».

( 19) Chi desidera aver notizia esatta di questa edizione con­sulti FArgelati ( Op. cit. 1 .111, p. 377 e 378 nella nota d .)

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e singolarmente i jram m enti del sesto libro , fu ron venduti italiani da àiversi autori del secolo x v i , sic­come da Filippo Strozzi, da Bartolomeo Cavalcanti, da Francesco Patrizj (20), da Marino Savorgnano , che già nel i S o j recò d i greco in volgare molte cose di Polibio , da Remigio Fiorentino (21), da Nicolò Leonieeno (22). È da maravigliarsi pertanto che non ebbero per anche questa sorte i fram m enti Valesiani delle virtà e de’ vizii. Alm eno nè tA rg e la ti, nè il V illa nelle addizioni e correzioni al medesimo ne fanno menzione.

lo non ho finora avuto il destro d i esaminare la traduzione del Domeniùhi, nè quella che sui testo greco f u riformata dal Landi. M a considerando cheil primo non potè valersi che d i versioni latine poco

fe d e li , e t altro per bene che riordinasse un lavoro

Colà trovasi ancor mentovata una versione manoscritta di Pie­tro Angelio, che il conte Mazzucchelli pretende esistere, ap­poggiato a debolissime e remote autorità.

(lo) Arricchì il Patrizi la sua traduzione un nobile com­mento , che fu recato in latino da Ludolfo Neocoro ed inserito nel t. x del tesoro Greviano.

( a i ) Questi volgarizzò le orazioni di Polibio, siccome fece di altre orazioni militari raccolte da tutti gli storici Greci e

Latini e pubblicate presso il Giolito nel 15Go e nel 1585 , in 4-°

(aa ) Di lui e del Cavalcanti abbiamo la comparazione del- F armadura de’ Romani e de' Macedoni, trotta dal libro x tiii

di Polibio; quella stampata nel i 5a g , questa con altre tra­duzioni dal Greco nel i 552 in Firenze.

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imperfetto sul testa originale, e da questa una parte nuova volgiu'iszasse, prose a modello l' edizione Pa­rigina del Casaubono (ai), dopo il quale la suppel­lettile Polibiano si è d i molto accresciuta, e nuovi diligenti confronti con molti codici si sono fa t t i , e la critica d i molti valenti scrittori si è indefessamente su tanto autore esercitata : c iò , d iss i, considerando , venni nell’ opinione che un volgarizzatore, il quale da siffa tti lumi traesse partito , cosa non indegna di lode imprenderebbe in tanto ardore degli odierni in- gegni nelC illustrare le opere antiche , e segnatamente gC immortali esemplari della Grecia che il tempo non ne ha invidiati. Nò credo io già che a riuscire in siffatta impresa necessario sia <£ essere guerriero spe­rimentato. N egò, a dir vero , il Casaubono al Pe­rotti , digiuno affatto della scienza m ilitare, la f a ­coltà d i comprendere g li argomenti eh’ ebbe tra mani Polibio, e al Casaubono stesso, che da' libri sol­tanto apparata avea la tattica degli antichi, il tra- duttor francese , che preparò il testo a commentarii del F ollard, non accordò la capacità d'im m edesi­marsi col sue originale. Ma se il M acchiavelli, quan­tunque sempre in maneggi civili occupato, ebbe animo d i scriver otta libri su ll’arte della guerra (24), se il

( 23) V. la nota succitata del? Jrgelati.(2{) Convinto dalla differenza che in qualsivoglia arte corre

da un dotto teorico ad un pratico consumato, il segretario Fio- rentinoj per quanto dal Duca d" Urlino pregato fosse di schie­rar un battaglione almeno secondo i principii da lui esposti, non vi si potè indurre giammai ( V. Bayle Diclion. crit. ecc.,

f o l id io , tomo l. 3

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Cardinal BetUivoglio non militò giam m ai, eppur de­scrisse tanto maestrevolmente la guerra d i Fiandra ; se a' giorni nostri il B otta , senza aver cinto spada, con maravigliosa evidenza tracciò le battaglie terrestri e navali, accadute nella guerra d’ indipendenza f r aV Inghilterra e f America ; egli è chiaro che non f a mestieri <£ esser un Tucidide, un Polibio , un Cesa­re , un Guicciardini, per scriver gesta belliche, e che molto meno fia <£ uopo aver sudato nelle battaglie per voltar con accuratezza uno scritto che contenga cose militari.

Non dissimulerò pertanto, che, quantunque io creda essenziale ad ogni buon volgarizzamento una ragio­nevole libertà nelC espressione e nella scelta delle f r a s i , non picciol vanto è tuttavia, secondochè io stim o, il conservar alC autore, che prendasi a recar in ùna lingua moderna, il nodo suo colore , ed i li­neamenti suoi proprii. I l perchè io ho seguito intro­ducendo , il pià che per me si è potuto , lo spirito del testo, e perfino la proprietà della dicitura greca, ove l’ indole della favella italiana il concedette.

Nell'ordine delle materie e nella correzione del te­sto attenuto mi sono allo Schweighauser, ultimo a

Art. Machiavel, Note G. ) Ben diversamente si diportò il Peri- patetico Formione, il quale, secondochè narra Tullio , ( da

Oratore 1. l i , c. 18) sema aver mai veduto nemico, 0 accam­pamento , ebbe V ardire di ragionar parecchie ore su lf ufficio d‘un capitano , e di lutto ciò che spelta alla guerra in pre­senza d3 Annibale : onde questi disse, aver egli veduti spesso molti vecchi deliranti, ma nessuno che delirasse più di costui.

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più benemerita editore di P o lib io , senza la fa tica del quale il volgarizzamento mio non esisterebbe, siccome egli stesso non dubitò di confessare, che senza t interpretazione del Casaubono il lavoro suo non sarebbe nato ( i5). Le annotazioni da me ag­giunte sono: i.° Illustrative de' luoghi meno chiari: a.® Storico-critiche e tendenti a vie pià fa r spic­

care i pregi delT autore appetto agli altri antichi che nella istessa messe posero le m ai: 3.° Gramma­tica li, ove t intelligenza pià precisa del testo m i è sembrato di renderle necessarie. Poco m i sono intrat­tenuto nelle imprese e negli artificii di guerra, come quelli che dà miei studii alienissimi furono già da tra­duttori nella milizia dotti egregiamente discussi e ri­schiarali.

(25) P. la sua edizione £ Polibio i. i l pnefat. p. 38.

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DELLE STORIE

DI POLIBIO DA MEGALOPOLI.

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L I B R O PRI MO.

I. S e coloro che innanzi a noi descrissero gli avveni- A. dìR. menù trasandata avessero la lode della storia siesta , necessario forse sarebbe di esortar ciascheduno allo stu- dio ed all’ accoglienza di siflhite memorie ; perciocché nulla più prontamente contribuisce alla correzione degli uomini che la scienza de’ fatti avanti i nostri tempi caduti (i). Ma siccome non alcuni, nè in qualche par­te , ma tulli , quasi che dissi, in coiài guisa incomin­ciarono fc finirono «.dicendo, la più vera lustrazione ed esercitazióne per prtpar&rsi agli affari civili essere I* ad­dottrinamento nella storia , anzi evidentissima e sola maestra di sopportar generosamente le vicende dell* fortuna esser In commemorazione delle altrui avversiti | così egli è manifesto non convenirsi a nessuno, e molto freno a n o i, di replicare ciò che gii acconciamente e con astti parole è stato detto. Senzachè il maravigli oso

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A. ò'R. de’ fatti di cui prendemmo a «crivere, vale di per sé ad invitar ed eccitar chicchessia , o giovine, o vecchio, alla lettura di quest’ opera. £ qual è 1* uomo cotanto dappoco e leggero , che conoscer non voglia, come, e per qual foggia di governo tutta quasi la terra abitata, in cinquantatrè anni non compiuti, cadde soggiogata sotto l’ impero de’ Romani ? (a) Loccbi non trovasi che fosse in addietro avvenuto. Chi poi tanto è sviscerato di qualsivoglia altro genere di spettacolo o di dottrina, che 1’ anteponga a questa conoscena ?

II. Che maraviglioso pertanto e grande sia il prospetto del nostro argomento, fia precipuamente chiaro, ove le più nobili dinastìe de’ passati tempi, di cui gli scrit­tori sonosi maggiormente occupati, accostiamo alla su­periorità de’ Romani, e con questa confrontiamo. Del qual avvicinamento e confronto degne sono le seguenti (3). I Persiani in alcun tempo gran dominio e ptotere acqui* alarono ; ma qualunque volta arrischiaronsi di varcar i confini d1 Asia vennero in pericolo di perdere non che l’impero, sè stessi (4 '- 1 Lacedemoni buona pezza com­batterono pel principato della Grecia, ed ottenutolo finalmente , il tennero appena dodici anni non contra­ttato (5). I Macedoni regnarono in Europa da* luoghi vicini al mar Adriatico sino al fiume (6; litro , che sembra parte ben piccola dell’ anzidetta regione : poscia vi aggiunsero la signoria dell'Asia , sterminato eh’ eb­bero l'impero de’ Persiani. Tuttavia costoro pure, cre­duti possedere molti paesi e grandi dovizie, la maggior parie della terra abitata ad altri lasciarono: conciossiachi pella Sicilia , pella Sardegna e peli* Africa non ai ar-

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gomentasMTO neppur di muover anni , e le più belli- A. cose nazioni occidentali, a dir poco, non conoscessero. All’ opposto i Romani la terra tutta , non una qualche parte di lei si renderono soggetta , ed uoa superiorità di potere procacciarono , che può ben esser ammirala da’ viventi , non gii superata da’ posteri. Le quali cose tutte più chiaramente si comprenderanno per questo scritto, ed insieme si conoscerà qua* vantaggi arrechi agli amatori d’ istruzione il genere di storia (7), che ai filiti si attiene.

III. Darà incominciamento alla nostra sposizione, per rispetto al tempo l’ olimpiade centesima e quadragesima, e per ciò che riguarda a’ fatti la guerra che i Greci appellano Sociale , e che dapprima in un cogli Achei ruppe agli Etoli Filippo di Demetrio figlio , padre di Perseo ; presso gli abitanti d’ Asia la guerra che circa la Celesiria insurse fra Antioco e Tolomeo Filopatore; nelle contradé d’ Italia e d’Africa quella ch’ebbe luogo tra i Romani ed i Cartaginesi , chiamata da* più Anni­balica. I quali affari tutti annodansi agli ultimi di cui 6crive (8) Arato da Sicione. Ne* tempi a quelli anteriori gli avvenimenti della terra erano come isolati ; percioc­ché differivano relativamente a’ disegni, agli esiti ed ai luoghi. Ma d’ allora in poi divenne la storia quasi un corpo , per modo che intrecciaronsi i fatti d’ Italia e «T Africa con quelli d’ Asia e di Grecia, e ad un solo fine si riferirono. Il perchè da cotesti tempi 1’ opera nostra incominciammo. I Romani adunque, avendo nella guerra anzidetta soggiogali i Cartaginesi, e stimando di aver eseguita la principale e maggior parte del conquisto

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A. &B. universale, osarono di stendere la mano sul rimanente, e di passar con fona in Asia. Che se famigliar! e noti ci fossero gli Siali che pel dominio universale conten­devano , d’ uopo forse non avremmo di scrìver sulle cose passale, nè dai quai proponimenti e da qual potere quelli movessero a tante e tali imprese. Ora siccome a molti fra i Greci non sono presenti le forse delle re­pubbliche di Roma e di CarlBgine , e le gesta loro di prima, cesi abbiam credulo necessarie di premetter alla storia questo ed il seguente libro , affinchè nessuno in­tento all’ esposizione de’ felli, s’ arresti poi e cerchi con qua’ consigli e con quai mezzi i Romani si accinsero a cotali imprese, per coi ditennero signori di tutta la terra e di tutto il mare che conosciamo, ma per via di questi libri e delle notizie preliminari in essi contea nule palese fia a' leggitori , che da ben ragionevoli principii si partirono alla meditazione e pervennero al conseguimento dell’ universa! impero.

IV. Conciossiachè il particolare della nostra storia edil mirabile de’nostri tempi in ciò consista, che siccome quasi tvtti gli affari della terra ad un lato si chinarono ed ogni cosa costrinsero a volgersi verso un solo scopo, cosi noi pure col mezzo di questa storia rechiamo ai leggitori in uo sol prospetto il maneggio della fortuna nel mandare tant’ opera ad effetto. Locchè ci fu preci­puo stimolo- ed incentivo ad applicarci a tal lavoro. A ciò si arroge che nessuno sin a noi s’ assunse di com­

pilar una (9) storia universale ; nel qual c b s o io posta non avrei tanta industria a questa parte. Ora veggendo molti essersi occupati delle guerre parziali e di alcuni

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falli ad esse contemporanei , ma nessuno , che io sap- A. p ia , avere neppur preso ad esaminare in generale e complessivamente il governo degli avvenimenti, quando e donde incominciarono, e per qnal modo ebbero fine: reputai al tutto necessario' di non lasciarmi dietro , nè di trasandar inosservato il più bello insieme ed il pià olile magistero deHa fortuna:, la quale mentre molte novità produce, e I’ attività sua insinua nelle vile uma­ne , nob operò giammai tal a lto , nè tanto «fono fece quanto a’ nostri giorni. Locchè apparar non puossi da chi scrive le storie particolari; salvocbè alcuno in visi­tando ad una ad uua le città più illustri, o in vergen­dole solo separatamente effigiate, non credasi dolce­mente di comprendere la forma dr tutta la terre abi­tata, e qualsivoglia sito e disposizione di lei: cosa fuori d’ ogni ragione. Coloro periamo che stimano di recarsi comodamente sott’ occhio 1’ intiera Storia per via delle sue parli, simili mi sembrano a quelli che mentre veg­gono le membra spane d’ un corpo gii animato e bel­lo , credonsi d' essere sufficienti spettatori dell’ attiviti e della bellezza di coiai vivente. Che se alcuno di repente ricomponesse 1’ animale ed il ridonasse alla sua form* ed al decoro della vita, ed il mostrasse poscia di bel nuovo a costoro' medesimi : subito , per quanto io cre­do , essi tutti confesserebbono , essere stati in addietro molto lungi dal vero, non altrimenti che tallino òhe sogna ; perciocché possibil è di formarsi dalle parti una idea del tutto , ma scienza e cbgoizione non mai. La­onde è da reputarsi che hi storia delle parti poco con­tribuisca alla notizia ed alla sede del tutto , a cui per

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A. di R. mezzo della connessione e del confronto di lotte le parti tra loro , e della loro somiglianza e differenza unica­mente giugner puossi, per modo che addentro nella storia si guardi, e l’ utile ed il dilettevole se ne tragga.

V. A fondamento di questo libro porremo il primo passaggio de* Romani fuori d’ Italia , il quale i seguito a ciò che di narrar finisce (io) Timeo , e cade nella centesima vigesima settima olimpiade. È dunque da dini come e quando dopo aver sistemate le cose d’ Italia, e di quali occasioni valendosi essi s accinsero a passar in Sicilia, seudochi de’ luoghi fuori d’ Italia situati in questa terra scesero dapprima. È altresì da esporsi nu- daaaente la causa di questo tragitto, affinché non ab­biasi a òercar la causa della causa, ed a lasciar senza base il principio e la dimostratone di tutto l'argomento. Deesi eziandio adottare un principio, relativamente ai tempi , convenuto e conosciuto da tu tti, e per rispetto a’ fatti agevole ad esser di per sé compreso , ancorché d’ uopo sia di rimontar ad epoche anteriori, e di toc­care sommariamente le gesta di mezzo; giacché essendoil principio ignoralo , o soltanto posto in dubbio, non è stimalo degno d’ assenso e di fede ciò che segne : laddove allorquando dassi di quello non dispulabil con­tezza , quanto appresso si narra é da chi l’ ode con approvazione ricevuto.

VI. Volgeva l’anno dopo la battaglia navale sul fiume Ego diciannovesimo, ed innanzi alla pugna di Leuttra sedicesimo, in cui i Lacedemoni conseguirono la ( u ) pace cosi della di Anlalcida col re di Persia, e ( n ) Dionigi il vecchio, vinti ch’ebbe i Greci d'Italia presso

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3 fiume EUeporo , assediò Regio. I Galli nello stesso tempo presero Roma colla forza , e teneanla dal Capi­tello in fuori. Co’quali i Romani fecero trattati a pia­cere de’ vincitori, e contro speranza riacquistarono la patria , donde pigliarono quasi principio d’ incremento , e mossero ne* tempi appresso guerra a* vicini. Ed avendo soggiogati i Latini col valore, e colla bellica fortuna, guerreggiaron poscia co' T irreni, indi co’ Celti ( i3) , dappoi co* Sanniti ( 14) , che ad oriente ed a settentrione confinano colle terre de’ Latini ( i5). Né andò guari cbe i Tarentini, impauriti dell' aver con insolenza trattati gli ambasciadori Romani, trassero Pirro in Italia Tanno prima che i Galli (16) assaltassero la Grecia, e periti quelli eh’erano intorno a Delfo, i rimanenti passassero in Asia. I Romani, poiché ebbero assoggettati i Tir­reni ed i Sanniti, e vinti i Celti d’ Italia in molte bat­taglie , gittaronsi allor dapprima sul resto dell’ Italia, combattendo non già come per conquistar paesi stra­nieri , ma più come per rivendicar i propri! e che loro appartenevano. Usciti veri atleti nelle opere di guerra da’ combattimenti co’ Sanniti e co’ Celti, sostenuta che ebbero valorosamente questa guerra (17), cacciarono fi­nalmente d’ Italia Pirro colle sue forze , e guerreggiaron di bel nuovo e sconfissero quelli cbe avean parteggiato eon Pirro. E divenuti conira la comune aspettazione signori di tutte queste nazioni, ed assoggettatisi tutti gli abitanti d’ Italia , tranne i Celli, presero ad assediar i Romani che allora occupavano Regio.

VII. Imperciocché singoiar caso e consimile avvenuto era ad amendue le città fabbricale sullo stretto, a Mes-

43. diR.

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A .iiR . lina ed a Regio. Non molto ianaoii a’ tempi di cui parliamo (18), i Campani al soldo di Agatocle, avendo gii buona pezza veduta di mal occhio la belletta e pro­sperità di Messina, offertasi loro l’ occasione , tentarono d’ impossessarsene per tradimento. Entraronvi come ami­ci , e tebéndo la città, parte degli abitanti discaccia­rono , parte uccisero. Giò eseguito, le donne ed i fan­ciulli de'm iseri, secondochè il caso glieli recava in roano a ciascheduno, nelF atto di commettere la scelle­ratezza , si tennero, e le altre robe è la campagna po­scia tra loro divisero. Ora costoro fattisi di subito, ed agevolmenté padroni dr cosi bella contrada e città tro-i

4?4 varono incontanente imitatori di total misfatto. Imper­ciocché (19) i Regini, allorquando Pirro passò in Ita^ Ita , spaventali del suo approssimarsi, e temendo ezian­dio i Cartaginesi signori del m are, trassero a sé UU presidio ed ajuto da’ Romani. I quali entrati in unmero di quattro mila uomini, condotti da Decio Campano, custodirono per qualche tempo la città , e serbarono la fède. Ma finalmente imitando i Manierimi, e giovatisi dell1 opera loro, tradirono i Regini , invaghiti dell* op­portuna situazione della città, ed avidi delle sostanze de’ suoi felici abitatori, i quali parte esiliarono, parte trucidarono, nella stessa guisa che fecero i Campani , ed impadronironsi della città. A’ Romani fu molto grave T accaduto, ma niente poterono fare perchè erano trat­tenuti dalle mentovate guerre. Ma come prima ne fu­rono sbrigali, li rinchiusero, stringendo Regio d’ asse-;

483 dio, conforme dissi dianzi. Ed avendoli superati ne uc­cisero la maggior parte nel mentre che prendevano la

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terra: che preveggendo l’ avvenire disperatamente eransi A.diB. quelli difesi. Vivi vennero in lor potere meglio di tre­cento i quali mandati a Roma i consoli trar fecero nel Foro , e frustar fecero , secondo il loro costume, e percuotere colla scure, volendo per via della costoro paninone, quanto era in loro, ristabilir la propria fède presso gli alleali. La campagna e la città restituirono tosto a’ Regini.

Vili. I Maruertini ( cbe questo nome s’ imposero i Campani rendulisi padroni di Messina) finatUntochi si valsero dell’ alleanza de’ Romani che occupavan Regio, signoreggiavan non solo con sicurezza la città ed il con­tado , ma ioquietavan ancora non leggermente i Carta­ginesi ed i Siracusani confinanti, e tributi riscuotevano da molti luoghi della Sicilia. Ma poiché rimasero privi dell’ assistenza testé riferita, essendo coloro che Regio tenevano cinti d’ assedio, furon incontanente da’ Siracu­sani respinti nella città per consimili cagioni. Non molto 47 8 prima l’ esercito de’Siracusani venuto in discordia coi cittadini, e soggiornando ne’ dintorni di Mergana (ao), aveva eletti a’capi Àriemidoro e Cerone, il quale re­gnò poscia in Siracusa ( a i ) , e giovin era ancor mollo, ma olire alla nobil prosapia ben disposto dalla natura alla dignità reale, ed all1 amministrazione de’ pubblici •Bari. Questi accettò la suprema potestà , ed introdottosi in città per mezzo di alcuni famigliaci, e debellala la fazione contraria , con tanta modestia e magnanimità governò le cose, che i Siracusani, sebbene non appro­vassero la scelta de’ capi falla dalla soldatesca, tutti al­lora unanimi accettarono Cerone per loro duce. 11 quale

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A. dii1. tosto ne’ primi divisameli ti manifesto»!, a chi diritto mirava, eccitato a maggiori speranze, che non al ca­pitanato.

485 IX. Veggendo egli die i S iracusaniogni qual volta mandavau fuori l’ esercito e con esso i maestrali, tu­multuavano e meditavan sempre qualche novità, sapendo eziandio che Leptine era molto superiore agli altri cit­tadini di dignità e di fede, e grandemente in credito presso la moltitudine, fece seco lui parentado t volendo lasciarlo quasi spia in città, quando per affari gli e r^ mestieri d’ uscirne coll’ esercito. Sposata ch’ebbe la figlia di lu i, ed osservati i veterani mercenari i pieni di mal talento ed inquieti, condusse fuori li soldati sotto specie di assaltar i barbari che occupavano Messina. Posto il campo presso Centoripa a rincontro de* nemici, e schie­ratosi presso il fiume Ciamosoro , riteone seco i cavalli ed i fanti della città in qualche distanza , quasi che in altro luogo venir volesse alle mani cogli avversarii; ma espose gli stranieri, e tutti lasciolli da’ barbari stermi­nare , e mentre che questi andavano in rotta , egli si­curo co’ cittadini si ritrasse in Siracusa. Mandato com­piutamente ad effetto il suo disegno , e tolto di mezzo quanto nell’ esercito v’ avea d'inquieto e di sedizioso (aa), prese al suo soldo di proprio arbitrio convenevol nu­mero di gente, e poti già senza timore far valere la sua autorità. Osservando periamo che i barbari , fieri dell' ottenuto vantaggio, audacemente pel paese discor­revano, armò ed esercitò assiduamente le forze urb.me, usci seco loro al campo, ed attaccò i nemici nel piano Mileo presso il fiume Longano (a3) , e data loro uua

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4*7grande sconfitta, e presi i loro duci, fiaccò Tardi- A .iiR . mento de’ barbari. Ritornato in Siracusa, fu da tutti (>4) 4^5 i Socii proclamato re.

X. I Mamerùoi, spogliati già prima degli ajuli di quelli di Regio conforme dissi di sopra , ed estrema­mente abbattuti di forze pelle ragioni testi mentovate, parte ricorsero a’ Cartaginesi ed a questi si arrendettero colla rocca, parte mandarono ambasciadori a’Romani a dar loro la città ed a richiederli d’ ajuli, come quelli die (a5) alla medesima gente appartenevano (26). I Ro­mani si stettero buona pezza dubbiosi, stimando il con» cedere soccorso assurdità che balzava agli occhi , dap­poiché poc’anzi aveano con atroce supplizio puniti i proprii cittadini pel tradimento fatto a’ Regini, e cer­car incontanente di ajntar i Manierimi di egual scelle­ratezza colpevoli sarebbe stato* fallo inescusabile verso i Messinesi non meno, che verso la città di Regio. Nè ignoravano ciò i Romani, ma veggendo che i Cartagi­nesi ridotto avevano sotto la loro ubbidienza , non solo gran tratto d’ Africa e di Spagna, ma signori eran eziandio di tutte le isole del mar Sardo ed Etrusco, forte temevano, qualora la Sicilia pure possedessero, non gravi troppo e formidabili vicini divenissero , cheli cignessero d’ attorno, e sovrastassero ad ogni parte d’ Italia. E che fra poco assoggettata avrebbonsi la Si­cilia , non essendo i Mamertini soccorsi, era cosa chiara; giacché padroni di Messina loro consegnata, in breve tempo distrutta avrebbon Siracusa, signori com’erano di pressoché tutto il resto di Sicilia. Ciò prevedevan i Ro­mani , e stimando per sè necessario di non abbandonar

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J .iiR . Messina , né di lasciare che i Cartaginesi si formassero quasi un ponte per passar in Italia, gran pezza su questa cosa deliberarono.

4po XI. (a 7) Il Sanato pertanto non sanzionò mai siffatta sentenza , pelle cagioni anzidette ; che sembra vagli l’as­surdità di soccorrer i Manierimi bilanciare i vantaggi che da cotal ajuto ridonderebhono. Ma il volgo: dalle antecedenti guerre abbattuto, e bisognoso di risarcirei in qualsivoglia guisa de’danni sofferti , tra peli’ (a 8) uti­lità che al pubblico, siccome poc’ anzi dicevamo , ne sarebbe derivata , e pe’ vantaggi privali grandi e mani­festi , die i capi dell’ esercito dimostravano , determinò che si porgesse ajuto. Confermato il partilo con uu de­creto del popolo, fu eletto l’uno de’ consoli Appio Clau­dio e spedito con ordine di recar ajuti e di tragittar a Messina. I Mamerlini cacciarono , parte con minacce, parte con inganno il capitano Cartaginese, che già te- nea la rocca, e chiamoron Appio e (29) gli consegna­rono la città. I Cartaginesi impiccarono il lor capitano , stimando eh’ egli per balordaggine ed insieme per vi­gliaccheria avesse lasciata la rocca ; poscia accamparoosi colla forza navale nelle vicinanze del Peloro, e coll’eser­cito di terra presso (3o) Suna stringendo Messina. Al­lora Cerone credendo le presenti circostanze favorevoli per cacciar del tutto i barbari fuori della Sicilia , fece trattato co’ Cartaginesi, ed avviossi alla città mentovata : e posto il campo dall’ altra parte presso il monte Cal­citi i co , chiuse di qui pure 1’ uscita a quelli eh’ erano ia città. Ma il duce de’ Romaui Appio (3 i) passò di notte temerariamente lo stretto e venne a Messina. Il quale

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k gcome vide ! nemici da ogni lato spigneni vigorosamente A. diB. contro la r i t t i , ed argomentando che vituperevole ad no tempo e pericoloso gli sarebbe per riuscire l’ asse» d io , dappoiché gli avversarj padroni erano del mare e «Iella terra, mandò primieramente ambasciadori ad amen* d u e , con animo di liberare i Mamerlini dalla guerra; ma non gli essendo dato retta, risolvette finalmente, dalla necessiti costretto, di combattere e di attaccar prima i Siracusani. Usci adunque coll’esercito, e schie- rossi in battaglia, a cui pronto discese pure il re di Sirpcaso. Poiché ebbe pqgnato buona pezza, vinse i nemici, ed inseguii!!, sino a che tutti si ridussero entro allo steccato. Appio, spogliati i m orti, ritornò a Mes­sina , e Gerope avendo un colai cattivo presentimento dell’ esito degli a (Tari, sopraggiunta la notte , ritirossi in fretta a Siracusa.

XII. Il di vegnente, avvedutosi Appio della castoro fuga, e preso ardire, determinò di non indugiare, ma di affrontarsi co Cartaginesi. Comandò dunque a* sol­dati di rinfrescarsi per tempo, e si pose in cammino all’ albeggiar del giorno. Venuto alle Inani co’ nemici, niolli ne uccise, e gli altri costrinse a fuggir a preci* pizio nelle città aggiaccati. Avendo combattuto con tanta fortuna e sciolto l’assedio, corse impunemente e guastò la campagna de’ Siracusani e de’ loro alleali, senza cbe gli si opponesse alcuno di quelli che abitavano i luoghi aperti. Alla perfide andò sotto Siracusa e si accinse ad assediarla.

Questo fu il primo tragitto che fecero i Romani fuorip o l i b i o } tomo t . 4

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A.àiR. d'Italia con un esercito, e per siffatti moli?! accadde a qne’ tempi. Il quale giudicammo esser il principio più convenevole del' lavoro propostoci, e perciò da esso prendemmo le mosse, risalendo alquanto a tempi ante­riori , per Don lasciar dubbiezza alcuna nella dimostra» zione delle cause. Quindi credemmo necessario a chi contemplar vuole come conviensi (3a) l'apice della po­tenza , a cui son ora pervenuti i Romani, lo sapere eome, e quando essi, poiché (33) perduta ebbero la patria, progredendo in meglio si riavessero, e quando altresì, e come, soggiogata tutta l'Italia, ponessero l’a­nimo ad invadere quelli di fuori. Non debbe adunque recar maraviglia, se dove in appresso parleremo de’ più illustri governi , riànderemo tal fiata i tempi passati ; perocché abbiam ciò fatto affine di pigliar incomincia- menli tali, che comprender se ne possa di leggeri, donde ciascheduno di que’ popoli si partisse^ e come, e quando , per giugner allo stato in cui si ritrova. Loc- chè, per ciò che risguarda i Romani, abbiam testi ese­guito.

X1IL Ma lasciamo queste cose; che tempo è ormai di ragionar di quelle che abbiam tolto a trattare, poi­ché brevemente ed in compendio esposti avremo i fatti die appartengono alla nostra preparazione, de’ qnali sono' i primi per ordine quelli' che accaddero tra i Romani ed i Cartaginesi nella guerra circa la Sicilia. Seguita prossimamente la guerra d' Africa, cui s’ attacca quella che fece Amilcare in Ispagna , e dopo lui Asdrubale edi Cartaginesi. Nello stesso tempo succedette il primo tra­gitto de’ Romani nell' Illirico ed io quelle parti d 'E u-

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rapa. Agli iDiidetli combattimenti tennero diètro quelli A.diR. contro i Celti d’Icali», ed in quel torno ferrea presso i Greci la guerra che Cleomenica fu appellala. Qui ponemmo fine a tutta la nostra preparasene ed al secondo librò. Ma 1’ annoverar partitamente ciascheduno de’ mentovati av­venimenti non è né a noi necessario, n i utile a’ leggi­tori ; perciocché non ci proponemmo di descriverli, seb­bene preferimmo di rammentarli sommariamente, per­chè sieno d’ introduzione a* fatti che narreremo. Quindi toccheremo di passaggio e seguitamente le cose di so­pra accennate, e c’ ingegneremo di annodar la fine della preparazione al principio della nostra storia. Per tal guisa continuata rendendo la narrazione, apparirà aver noi non senza ragione ritocchi i fatti da altri esposti, ed a’ curiosi per colai distribuzioue apriremo un istrut­tivo e facile accesso a quanto segue. Con qualche mag­gior diligenza ci sludieremo di narrar la guerra che pella Sicilia fu tra i Romani ed i Cartaginesi : che fàcìl non i trovar guerra che più di questa durasse, e con maggiori apparecchi si conducesse, e dove più conti­nuate fazioni, più battaglie, e maggiori vicende acca­dessero. Amendue le repubbliche intatti serba va n a quei tempi i loro costumi , (34) avean sufficienti fortune e forze eguali. Laonde chi vuò bene considerar il carat­tere ed il potere di ootesti Siati, non tanto dalle guerre sopraggiunte, che da siffatti particolari farne debbe giudizio.

XIV. Ma non meno delle mentovate circostanze m’in­dusse a fermarmi su questa guerra , il non .avere (35)Filino e Fabio, i quali sembra ne scrivessero con mag-

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A.diR. gìor cognizione, riferita U v en ti, conforme ai conve­niva. Non suppongo io gii che eotali nomini abbiano (36) a bello aladio mentito , ove a considerar mi fàccia la loro vita, e le massime che seguitarono t sebbene panni che sia loro a un di presso accaduto ciò che accader suole agli amanti. Imperciocché la parzialità e benevo­lenza somma di Filino verso de' Cartaginesi apparir gli fanno prudenti, ginsie , valorose tutte le loro azioni, edil contrario quelle de* Romani. Fabio dall’ altro canto sostiene l’opposto. Ora nelle altre condizioni della vita siffatta (3^)' equità non é da riprovarsi : che un uomo dabbene esser debbe amico degli amici e della pairia , ed odiare chi odia gli amici, e chi gli ama amare. Ma come alcuno assume il carattere di storico ha egli ad obbliare «peste cose tutte, anzi sovente gli è d1 uopo parlar bene do* nemici, ed ornarli con esimie lod i, quando i loro fatti il richieggono , e non di rado (3ty) biasimare ed acerbamente rimproverare gli amici, ove le mancanze da loro commesse a ciò fare ammoniscono. Im­perciocché, siccome un vivente cui tolgansi gli occhi al tutto inutile si rende, cosi, levata che sia dalla sto ­ria la venti , ciò che rimane in un racconto di nessun profitto si converte. Quindi non dobbiamo esitare di accusar gli amici, e di lodar i nemici , nè peritarci di vituperar tal fiata que’ medesimi ohe tal altra lodiamo ; dappoiché chi negli affari s'aggira non può sempre co­gliere nel segno, nè è probabile eh’ erri continuamente. Agli alti dunque e non agli allori applicarsi debbono nelle memprie le riapetu've asserzioni e sentenze. E che «ero sia ciò che ora dicemmo può da questo arguirti.

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XV. Filmo , incooindando il fecondo libro della ape- / di/i.

anione de’ fatti, dice che i Cartaginesi ed i Siracusani posero T asaedio a Messina, e cbe i Romani giunti per mare nella città, fecero tosto tuia sortita conir» i Sira­cusani , ma essendo da questi molto mal conci se ne ritornarono l Messia*. Usciti un’ altra volta conira i Cartaginesi foion essi, a sua detta, non solo ballali | ma perdettero ben anche i migliòri aoldati * fatti pri­gioni. Indi riferisce, essere Gerone dopo questo conflitto divenuto U n» forsennato j che non contento di fuggir di nottetempd a Siracusa dopo aver ano lo steccato è

le tende, abbandonò eziandio tutte le castella che sunne* si cavaliere di Messina Siihiimente, aoggiugn’ eg li, ave*i Cartagineii appresso la pugna sgomberato il campo 4 éd essersi dileguati pèlle città 1 non s’ arrischiando di difender i luoghi aperti ; donde avvenne che i dooi i osservando la moltilddine aw iU u, risolverono <di non avventurarsi all’ esito di una battaglia. I Ronfani riverii inseguiti, e non solo guasta la campagna de’CartaginCsl e de’ Siracusani, ma eziandio presd (3g) ad assedi** Siracusa ; ed a stringerla. Le quali cose, secondo eh*io credo, sono piene di assurdità, n i ban bisogno dà esser ventilale. Imperciocdbè quegli 'stessi eh* ei fece aa* sodiar Messina , e vincer ne’ conili i t i , fuggirono a dettri sua 6 sloggiarono da’ luoghi aperti, ed. alla fide faroa assediati, e caddero d’animo miseramente ; laddove quelli che rappresentò vinti ed assediati vèggiamo -pét lui in* seguir il nemico 4 e di sùbito impossessarsi deliri cam­pa gna, e per ultimò assediar Siracusa. Cotesti avverò-

menti come possono mai tra loro accordarsi? Al cerio

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A. diR. è necessario che false rieno le prime asserzioni , o le altre che risguardano i fatti posteri ari. Ma sono vere le ni lime, giacchi i Cartaginesi ed.i Siracusani sgom­berarono la campagna, ed i Romani assediaron incon­tanente Siracusa, anzi, conforme egli stesso dice, (4<>) Echelta ancora, situata fra il territorio de’ Siracusani e de*Cartaginesi. Donde fòrza è concludere, che false sono le cose narrate dapprima , e che i Romani furono vittoriosi subito ne1 primi combattimenti presso Messina, mentrechè vinti ne li annunzia il mentovalo scrittore. E tale tu trovi Filino in tutto il corso dell’ opera , tale Fabio ancore , siccome nelle rispettive occasioni sarà dimostrato. O ra , poi die abbiam ragionato quanto si conveniva a questa digressione, ritorniamo alla storia, in cui attaccando sempre un fatto all’ altro per ordine di tnocé&sione T c ingegneremo di guidar i leggittori pella più breve a vere cognizioni circa la guerra anzidetto.

4qi XVI. Pervenuta da Sicilia a Roma la nuova delle fe­lici gesta d' Appio e delle legioni, creati furono consoli Manio Ottacilio e Manio Valerio, ed amendue mandati i» Sicilia capitani con tutte le forze. (40 Hanno i Ro­mani in tutto quattro legioni composte di cittadini, oltre •Rii ajuti degli alleati , le quali rinnovansi ogni anno. In ciascheduna di esse sono quattromille fanti e trecento cavalli. Come furono arrivate (4a) ribellaronsi da’Car- taginesi e da’ Siracusani pressoché' tutte le città ed irni- ronsi a’ Romani. (43) Gerone osservando la costernazione e lo sbigottimento de’ Siciliani, ed insieme quanto eran manierose e (44) d* vigor piene le legioni Romane, ar­guì'da tutto ciò doversi maggiori speranze collocar nei

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Romani che non ne’ Cartaginesi. Da siffatte ragioni in- A. <£ A. dotto a piegarsi verso quella parte, mandò a’ consoli ambasciadori per parlar di pace e d’ amicizia. I Romani accolsero il partito, singolarmente per cagione delle vetto­vaglie : perciocché, essendo i Cartaginesi padroni del m are, temevano d' esser in ogni parte di quelle esci a- 1 s i, (45) dappoiché le legioni dianzi tragittate difettato aveano del bisognevole. Laonde , stimando che Cerone in dò potesse loro - essere di grande vantaggio, lieti l'amidzia di Jni accettarono. F a pattuito, che il re restituisse a’Romani ! prigioni senza riscatto, e desse loro per giunta cento talenti. In conseguenza di ciò i Romani ebbero i Siracusani per amiei ed alleati, ed il re Gerone messosi all’ ombra de’ Romani, e sommini­strando loto quanto avean d'uopo , dominò da quind’in* nanzi t Siracusani senza tim ore, mostrandosi a’ Gre* d (46) amante delle loro corone ; e delle loro lodi ; conciossiaché nessuno fosse di lai più illustre, e (47) nes­suno godesse maggior tempo i frutti della propria pru­denza , cosi ne’ privati come ne’ pubblid affili.

XVII. Come fa recato a Roma questo trattato , ed approvato dal popolo , e decretata la pace con. Gerone1, determinarono i Romani di : non ispedire più tutte 1* fòrze, ma dtae legioni soltanto, ■ stimando èssersi ren­dala la guerra più lieve peli’ anione del re , ed insieme supponendo cfie l’esercito abbònderebbe per tal guisa delle , cose necessarie^ I Cartaginesi veggendo Gefone di­venuto lor nemico, ed i Romani più intrìnsecamente mischiarsi negli affari di Sicilia, reputarono esser me» siieri di più imponente apparecchio per- poter mostrare

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A di R. il viso a’ hemid, e conservare dò che possedevano in Sicilia. Per la qual cosa assoldarono gente ne’ |>ae*i £ oltremare, molli Liguri e Celli ,* e più di tutti S pa­g lio li , e mandaronli in Sicilia. (48) E conaiderando che Agrigento era la d iti più acconcia a siffatti prepa­ra menti , ed insieme la più importante del loro domi­nio 4 vi raccolsero l«t vettovaglie ed i soldati, e stabili-

4qs rono di farla sede (4g) principale della guerra. I consoli Bimani, che fecero il trattato eoo Gcrooe, ritornarono a rjwta, e quelli che dopo loro furono creali, Ludo Po* suiniio e Quinto Mamilio, (5o) vennero in Sidlia colle legioni. I quali , come conobbero il disegno de’ Carta­ginesi, e gli apparecchi che Jacmmi in Agrigento, ri­solverono di andar aff impresa con maggior audacia. H perchè, negletta ogni.akra parte della gaernr, si spin­sero sovr' Agrigento stessa con tutte le forse, ed «c* campatisi in distanza d- Wto stadii dalla d i t i , chiusero i Cartaginesi entro alle ninfa. Ma percioochè era allora il colmo della ricolla , e l’assedio sembrava doversi pro­lungare , uscirono i soldati a foraggiare eoa maggior ««don che non si ceoveniva. I Cartaginesi * veduti i nemici sparsi pella Campagna, sortirono ed assaltarono i foraggiatoti, ed adendoli facilmente messi-io fuga <5 l) avventaronsi, chi sugli alloggiamenti per predare, chi sdle auròra. Ma la singoiar disaiplim salvò allora t siccome fatto avea sovente , le eose de’ Romani ; pesdocchè chi presso loto abbadoaa il poste , o fogge afillo dal pre* sidio, è panilo di morte. Quindi fu che allora pure fe­cero valorosamente testa al nemico1, sebbene d’ as> sai superiore, e perdendo moki de* suoi, maggior a* -

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mero ucdsero degli avversarli. 'Finalmente circondarono A.&R.

i nemici, che per poco non strappavan lo steccato, e parte ne ammazzarono, parte incalzando e tagliando respinsero nella città.

XVIII. Dopo questo fatto i Cartaginesi erano più timidi oell’attaccare, ed i Romani più gnardinghi bel foraggiare.Poiché i Cartaginesi non usarono se non se per iscar*» BMiedare « ed i duci Romani diviso l’esercito in dne parti, con una stanziaronsi intorno al tempio «T Esco- lapio ioti a ozi alla città , e coll’allra s’accamparono vèrso quella parte che guarda (5 a) Eraclea. Lo spazio fra gli alloggiamenti da Ametadue le parti della d iti afforzaro­no , e vi tirarono davanti On fosso interno per ripararsi dalle sortite della città, ed un esterno a sicurezza degli assalti di fuori , e per impedire la furtiva introdtniose di gente e di roba che suol farsi nelle città assediate.Gl’intervalli tra i fossi e gli alloggiamenti occuparono con guardie, fortificando i luoghi opportuni tfl certi intervalli. Le vettovaglie ed ogni altro apparecchio rac~ coglievan per essi gli alleati e condticevam in Erbesso.Egliuo poi da questa d iti r che non era lungi, conti­nuamente pigliavano i viveri e seco reoavaso, e per tal guisa provvedeanst abbondevohnente di tutto il ne­cessario. Cinque mesi circa durò questo state di cose, non potendo una parte riportar sull’ altra un decisivo Vantaggio, se si eccettuino quelli cbe da qualche bada­lucco derivavano. Stretti i Cartaginesi dalla fame per cagione della moltitudine degli uomini nella cit<à rio-' chiusi, (e ve n’eran non meno di cinquantamila). (53) An­nibale che comandava le forze assediate , disperando di

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A.&R. poterla durare, mandava frequenti messi a Cartagine per esporvi Ja sua situazione e chiedere soccorso. Quelli di Cartagine empierono le navi di nuovi soldati ratina- licci e di elefanti, e spedironli iu Sicilia all’ altro capi­tano Annone, il quale raccolse 1’ esercito ed ogni ap­parecchio in Eraclea, (54) prese dapprima Erboso per scerete pratiche, e tolae al campo nemico le vettovaglie ed ogni cosa al consumo necessaria^ Donde avvenne che i Romani ad un tempo assediarono, e furono iq realtà assediati; perciocché a tanta mancanza di viveri e ristrettezza delle cose bisognevoli si ridussero, che spesso deliberavano se< avessero ad abbandonar l’ asse­dio : locchè avrebbon fatto finalmente, se Gérone ado­perato non si fosse con ogni studio e fatica a procace ciar loro, «ebbene mediocremente , ciò di che' più abbi* sognavano.

XIX. Osservando! poscia Annone assottigliarsi i Ro- tpani per inedia e per malattie ( che pestilénzial influenza era tra loro ) « stimando il suo esercito alto alla batta­glia , preae gli elefanti che ascendevano » cinquanta circa,. e tutto il resto delle sue forze e spaccatamente fuori d’ Eraclea li condusse, comandando alla caval­leria Numidica che innanzi si avviasse, e come appres­sala si fosse allo steccato degli avversarli, gli stuzzicasse, e provocasse la loro cavalleria, poi desse luogo e si ripie­gasse fùiallanlochè questa la raggiugnesse. Fecero i Numidi conforme fu lor ordinato, ed assaltato eh’ ebbero l’uno de’ campi, i cavalieri Romani tosto fuori lanciaronsi ed animosi gl’ incalzarono. Gli Africani cedettero, giusta il comandamento ricevalo, finaitantochè unironsi con

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quelli di Annone. Allora volutisi, e circondali i nemi- A. di il. cij furon loro addosso, e molti ne ucdisero, gli altri inseguirono sino allo steocato. Ciò fatto accampossi An­none al di sopra de’ Romani, occupalo avendo il colle denominato (55) T oro, distante pressoché dieci stadii dagli aVversarii. Per ben due mesi le cose non cangia* rono faccia, e nulla d’ importanza si fece, tranne la scaramucciar ogni giorno. Ma poiché Annibaie, assidua­mente con faci accese, e con messi dalla città mandali ed Annone, significò cbe la moltitudine non potea tol­lera* la fame, e che molti dalla penuria spinti diserta- vano, risolvette il duce CarUginese di cimentarsi ad una battaglia. Nè eran a ciò meno propensi i Romani pelle cagioni dianzi esposte. Il perchè amendue uscirono cogli eserciti in un luogo di mezzo fra i due campi» ed aflronlaronsi. Durava già la pugna buona pezza, quando i Romani misero in fuga i mercenarii de’ Car­taginesi , che combattevano nella prima fila., Questi cad­dero sovra gli elefanti, e sovra le altre schiette di die*Irò , e scombujaron tutto l ' esercito Punico. Divenne to­sto la ritirala universale, ed il maggior numero ne peri» gli altri si ridussero in Eraclea. I Romani inipadroni- ronsi della maggior parte degli elefanti, e di tutti gli attrezzi. SopraggionU la notte , ed essendo peli’ alle­grezza della vittoria, e per istanchezza le loro guardie tenute con qualche negligenza, Annibaie che disperava del fatto suo , e stimava aver pelle accennate cause op­portunità di procurarsi salvezza , mosse intorno alla mez­zanotte dalla città colle forze straniere, e colmati i fossi con stuoie ripiene di paglia oondusse fuori impune*-

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J*<E R. mente 1’ esercito , (56) sena che i nemici l’osservassero. Come fu giorno i Romani s'avvidero delTacceduto , ed avendo alcnn poco noiato il retroguardo d* Annibaie, corsero tutti alle porte, e da nessuno impediti entrarono a furia nella città e la misero a sacco, ove molti nomini e molte suppellettili d 'ogni sorta vennero in loro potere.

XX: 11 Senato di Roma, arata contezza degli affari d ' Agrigento , fd oltremodo lieto 4 e sollevatosi a più alti pensieri, non s’ arrestò a’ primi consigli, nè gli bastò di aver salvati i Mamertini, nè di aver còlto tanto fratte da questa guerra ; ma sperando esser possibile discacciar del lutto i Cartaginesi dall’ isola e di procu­rare per tal via grahde aumento alle cose sue,- a dò volse ogni suo raziocinio e mito il suo animo; Ora per quanto appartiene alle forte di terra vedeva easo che gli affari ragionevolmente procedevano, sendòchi i con*

4g3 soli Ludp Valerio e Tito Otlacilio, creali dopo quelli che assediato aventi Agrigento, sembravano plausibil­mente amministrar le bisogne di Sicilia ; ma siccome il mare possedeva» da’ Cartaginesi sena Opposizione , cosi era ira loro la guérrd equilibrata. E diffatti ne’ tempi appresso, allorquando i Romani teneano già Agrigfentoj molte città mediterranee unirò osi ad essi, temendo la loro possanza di terra : laddove maggior numerò ancora delle marittime, atterrite dall’ armata Cartaginese, da loro si ribellarono. Veggendo adunque sempre più per siffatte cagioni (5y) inchinarsi la bilancia della guerra quando ad una parte, quando all’ altra , ed essere I’ I- lalia spesso devastata dalle navi Cartaginesi, meatrecbè

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r Africa non riceverà al postatto danno alcuno, a ac- A. £ A, cinsero a scender essi ancora in mare. La qual cosa tra le altre non poco m' eccitò a far pià estesa menzione delf accennata guerra, affinché non s’ ignori 1* origine di questo avvenimento , come, quando , e per quali motiri i Romani dapprima in mare entrarono. Ossen- rando pertanto che la guerra si protraeva , a fabbricar navi s'indussero, cento (58) da cinque ordini , e venti da tre. Ma inesperti alTatto com’ erano i costruttori in fabbricar cinque rem i, perciocché nessuno usava allor in Italia coiai vascelli, molta difficoltà vi provarono.Quindi singolarmente fia manifesta la grandezza d’ ani­mo de’Romani e la loro audacia somma nelle imprese.I quali non solo senza gli opportuni apparecchi, ma senza apparecchi del tu tto , e non avendo giammai pensato al m are, allor appena vi posero mente , e con tanto ardire all’ opera si misero , che avanti d’ averne fatto sperimento alcuno , si fecero incontanente a dar battaglia navale a’ Cartaginesi, che la signorìa del mare non contrastata teneano da’ loro maggiori. Ed a con­férma della verità di quanto or asserisco , e del mara- viglioso del lor ardimento valga, che quando sbarcarono le prime forze a Messina, non che avessero navi co­perte , (5g) non possedevano neppur una nave lunga o una barca sola, ma raccolsero da’ Tarantini, da’ Locri, dagli Eleati e da’ Napoletani navi da cinquanta remi e galee, e «u queste con temerario divisamento traghet­tarono i soldati. Nel qual tempo essendosi loro i Carta* ginesi fatti incontro nello stretto , una lor nave coperta per desiderio di combattere troppo innoltrossi, a tale

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A.& R. cbe arrenò e cadde in poter de* Romani, i quali 'la. tolsero ad esemplare , sa cui costruir tutta T armata. Che se ciò avvenuto non fosse, egli £ chiaro che per difetto d’esperienza sarebbonsi rimasti dell’ impresa.

XXL Coloro pertanto, cui affidata era la costruzione delle navi, di preparar ogni cosa a ciò opportuna si occupavano, e quelli che raccoglievano la ciurma inse­gnavano a maneggiar i remi in terra nel modo seguente. Seder facevano gli uomini sul lido presso al remeggio nello stesso ordine, in cui sarebbonsi assisi sulle panche, delle navi. In mezzo ad essi collocavano 1’ ammonitore, e li assuefacevano (60) a lasciarsi cader tutti ad un tempo indietro , a sé traendo le mani, ed a chinarsi poscia innanzi, queste in là spigrendo , incominciando e ces- sapdo i movimenti, seoondochè era loro comandato.

4g4 Fatta che fu questa preparazione , come ebbero com­piute le navi, le trassero in acqua, e provatisi alcun poco effettualmente in m are, navi garono per ordine del console luogo la costa d'Italia. Imperciocché (61) Gneo Cornelio, preposto alle forze navali de’ Romani, pochi giorni innanzi imposto aveva a’comandanli delle navi di recarsi nello stretto , come prima fosse in pnnto 1’ ar­mata, ed egli andò avanti con diciassette navi a Messina, per sollecitar le provvigioni di che l’armata abbisognava. Al quale offertasi occasione di tener (62) pratiche colla città di Lipari, abbandonossi a colale speranza più pron­tamente che non si conveniva , vi andò colle navi ac­cennale, e vi afferrò. Annibaie capitano de’ Cartaginesi, sentito a Palermo 1’ accaduto , spedì colà Boode , che era senatore , con venti navi, il qnale passò il mare di

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dotte e chiòse Cajo nel porto. Fattosi giorno U ciurma A di R. ai rifuggi in terra , e Cajo sbigottito , non potendo far altrimenti, si arrendette a’ nemici. I Cartaginesi, prese le navi ed il duce degli avversar», re carotisi tosto ad Annibaie. Non molti giorni appresso, essendo la disgrazia di Cajo tanto insigne e recente , Annibaie stesso per poco non cadde manifestamente nello stesso errore ; perciocché avendo udito che vicina era Tarmata de'Ro­mani , che veniva d ’ Italia, bramoso di riconoscer il namero e tutta la disposizione degli avversarli, si parti con cinquanta navi. Coni’ ebbe girata (63) la punu d'Italia ai abbattè a’nemici chenavigavan ordinatamente ed in linea , e perdette la maggior parte delle navi, ma egli con quelle che gli rimasero contro ogni spe­ranza ed aspettazione scampò.

XXII. I Romani dopo questi fatti avvicioaronsi alle spiagge di Sicilia, e conosciuto 1’ accidente - di Gneo mandaron tosto ad avvertirne Cajo Duillio, chq capita­nava le forse di terra, e lo aspettarono. E Mentendo ad un tempo che Tarmata nemica non era lungi, apparec- chiavansi alla battaglia. Ma essendo le loro navi di goffa costruzione , e poco spedite, suggerì loro alcuno un ajuto alla pugna, (64) quelli che poscia denomina­rono corvi, i quali composti erano in cotal modo.Slava in sulla prora un’ antenna rotonda , (65) lunga ventiquattro piedi, (66) larga nel diametro tte palmi, con in cima una girella. Intorno ad essa era applica­ta (67) una scala, fatta di tavole trasversali, e con chiodi saldata, quattro piedi larga , e lunga trentasei.Il foro del tavolalo era bislungo e girava intorno all’ au«

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A. di fi. tenna (obito dopo i primi dodici piedi della «cala, da amendue i lati della quale era ua parapetto dell* alteua del ginocchio, Alla sua estremiti adattavasi una specie di pestello di ferro appuntato, che aveva in cima db anello, per modo che tutto 1’ ingegno rassomiglia­va (68) ad una macchina di pistore. A questo anello le­gatasi una fune, con co i, quando ortavansi le navi, alzavano i corvi mediante la girella eh* era nell* anten­n a , e li calavano sulla coperta della nave nemica, ora dal lato della prora, ora nel fianco, (69) mentrechè girandole dappresso schivavan il suo impeto. Come i corvi, nelle assi delle coperte conficcati, serrate aveano le navi, se queste congingnevansi pe* fianchi ( da tutte le parti dentro vi saltavano, ma se ciò seguiva dalla parte delle prore , a due a due pello stesso corro* vi si lanciavano. I primi difendevano la faccia coll’ opporre gli scudi, e quelli che venivan dietro assicuravan i fiapchi ponendo la drconferenia degli scudi sovra 3 parapetto. Di cotesti apparecchi forniti aspettavan il tempo opportuno alla pugna navale.

XXIII. Cajo Duillio, non fi tosto seppe il caso av­venuto al capitano della forza navale , che consegnate le forze di terra a’ tribuni, recossi alle navi. Sentito coli cbe i nemici guastavano la campagna di Melazzo, vi andò con tutta 1’ armata. Come i Cartaginesi li vi­dero , lieti e pieni d’ ardore si fecero innanzi, dileg­giando 1' inesperienza de’ Romani , e navigavano tutti colle prore voltate 1’ nemici, non istimando il pericolo da tanto che d* uopo fosse di schierarsi, non altrimenti che se a manifesta preda corressero. Annibaie n’ era il

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dace, colai che di notte (attivamente condotto avea A.diR . P esercito fuori d’ Agrigento , ed allora trovava» in una nave da tette palchi eh1 era stata del re Pirro. Avvici­nati che si furono, veggendo i Cartaginesi alla prora di ciascheduna nave i corvi in alto sospesi, stettero al* quanto sopra sé, maravigliandosi dello strano apparec­chio di cotali macchine. Cionnonditneno, sprezzali alla fine gli awersarii, quelli che primi navigavano ardita­mente gli assalirono. Ma i vascelli venuti ad alFroniarsi erano 1’ un dopo l’ altro atterrali dalle macchine ; e gli nomini incontanente passati pe’ corvi combattevano sulle eeperte. I Cartaginesi, pane venivan uccisi, parte ar- rendevansi , sbigottiti di quanto accadeva; perciocché era la batlagUa simile ad on conflitto di terra. Perdet­tero adunque le prime trenta navi, eh' eran ile all' as­salto , colla gente, e fra quesle fu presa la comandante. Annibaie inaspettatamente e con grande rischio salvossi in ooo schifo. L’ altra frotta de’ Cartaginesi avanzavi» per dare la carica, ma come in appressandosi vide dò oh' era accaduto alle navi che l’ aveau preceduta , ripie- gossi ed evitò i colpi delle macchine. Tuttavia affidati uell’ agilità delle loro navi, chi a'fianchi , chi alle poppe volteggiando, speravan di poter impunemente far im­pressione, ma circondati affatto da tutte le parti, e so­vrastando loro i corvi per modo, che quelli che avvici­navano erano di necessità afferrati, andarono in volta, spaventati dalla novità del caso, dopo aver perduta cin­quanta navi.

XXIV. I Romani, venuti quasi per miracolo nella speranza di conseguire la superiorità in mare, doppia-

rouBio , Ionio /. 5

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A. di R. mente inanimivansi a continuare la guerra. Discesero, quindi io Sicilia, e levarono T assedio (70) d‘ Egesta , ridotta già agli estremi. Di qui partiti espugnarono la. dttà di (71) Macella. Dopo la pugna navale Amilcare: capitano de' Cartaginési, che comandava le forze di terra, dimorando a Palermo riseppe die nel campo. Romano era nata dissensione tra gli alleali e le legioni pel primato nelle battaglie, e sentito eh* eransi in di­sparte accampati tra (7») Paropo, e le (^3) terme d’im e- ra , andò lor addosso di repente con tutto 1' esercito* mentrechè trasportavano gli alloggiamenti, e ne uccise

495 da quattromila. Dopo questo fatto Annibaie colle navi salvate si ridusse a Cartagine, donde poco stante passò in Sardegna, prendendo seco altre navi ed alcuni ri­nomati comandanti di vascelli. Ni guari andò che chiuso da’ Romani in un porto di Sardegna, e perdute avendo molte navi, fu arrestato da’ Cartaginesi scampati dalla cotta ed impiccato. Imperciocché i Romani, come prima toccarono il m are, posero l’ animo al conquisto della Sardegna. Ma le legioni che trovavansi in Sicilia nulla

496 Cecero di memorabile nell’ anno seguente. I nuovi con* soli pertanto, Aulo Attilio e Cajo Sulpicio colà mandali, mossero verso Palermo, ove svernavano le forze dei Cartaginesi. Come si furono appressati alla dttà schie­ra ron tutto 1’ esercito, ma non uscendo i nemici lor in­contro , se ne allontanarono ed andaron ad (74) Ipana, che presero d’ assalto. Impossessaronsi ancora di { j5) Mit- tistrato, cbe lungo tempo sostenuto avea 1’ assedio pella fortezza del sito. Occuparon eziandio la dttà di (76) Ca­rnali ua , che poc'anzi erasi da loro ribellata, andandovi

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aottO colle opere, ed abbattendo le mura ; cosi (77) Eaoa A. £ ft. e molte altre terre de’ Cartaginesi. Da queste spacci*-* tisi ad assediare Lipari ti accinsero.

XXV. L’anno vegnente, avendo il Console- Romano 497 Cajo Attilio approdato a (78) Tiodaride, vide P armata Cartaginese passargli davanti disordinata ; onde' comandi alla ciurma di seguirlo, mentreché egli .con di«ei navi precedeva. I Cartaginesi, come conobbero che gli av* versori! parte ^mbarcavansi, parte avean gii salpato, et che i primi erm mollo più avanzati degli altri, voltai fonai e ti fecero loro incontro, e circondatili , distra»*•ero le navi / e'({nella del capitano per poco non pre->■ero con lana Ja gente ; senonchè scampò essa, inaspew tatamente il pericolo merci del buon remeggio, di coi era fornita, e della sua celerità. Le rimanenti de’ Ro-> tnaai che seguivano, a poco a poco • si ' raeoohtro ed anelatesi in fronte, assaltarono i nemici, e presero loro dieci navi colla gente, ed otto ne sommersero. Le altre de* Cartaginesi ritiraronsi <79) nelle isole Liparee:Dopo- questa pugna , araendue credendo d’ aver con egual fortana gareggiato, si posero Con ogn1,industria a raccozzar vie maggiori forze navali ed a sostenere la superiori là nelle cose marittime. Le forze di terra nulla operaron allora di notabile, ma in piccioli e lievi fatti il tempo consumarono. Preparati adunque, nel modo che dissi, fecero vela nella prossima state. I Romani con trecento trenta navi lunghe e coperte approdarono a Messina, donde partitisi navigarono , lasciando a mano destra la Sicilia , e girato il capò Pachino avviaronsi ad (80) Ecuomo, ove aveano 1* esercito di terra. I Car-

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<5 A nesi salparono con trecBndnquauta navi coperte, c pre­terì) terra a (81) Lilibeo, poscia stantiaronsi ad Era- dea Minoa.

XXYI. Era proponimento de’ Roma ai di recarsi in Africa e di trarre U guerra co li, affinché i Cartaginesi avessero a combattere, non gii pella S id lia , ma per aè •lewi e pel proprio paese. Questi all’opposito conoscendo come l’Africa è di fàcil accesso , e come la popolatone tutta di quelle contrade di leggeri soggiogata sarebbe da chiunque vi fosse ostilmente entrato, non ebber animo di permetterlo , ma agognavano di esporre 1’ evento al rischio d’ una battaglia navale. Apparecchiali gli noi a resistere, gli altri ad assaltare > manifesto era che l’ar­dore d’ amendue fosse per portarvi un fiero scontro.I Romani adunque accoociaronsi cosi all’ uopo di pu­gnar in mane, come alla discesa nella terra nemica. 0 perchè, scelsero d’-infra le legioni le migliori braocia, e divisero tutto 1’ eserpto, eh’ erano per portar, seco, in quattro parti, Ciascheduna di queste parti avea due de- tiomioaùoni; perciocché chiamavasi prima legione e pri­ma annata, e cosi le altre. (83) La quarta prese un terzo nome ancora, quello di triarsi, secondo il cosuh

pie negli eserciti di terra. Tutta la forza contenuta nelle navi ^scendeva a oenquaranta mila uomini) ricevendo cia- schedun vascello trecento rematori, e centoventi com­battenti I Cartaginesi posero la maggiore, anzi ogni loro cura nel prepararsi al cimento di mare. 11 numero della lor gente e ra , in ragione delle navi , olire cenciuqusn* ta mila. O nde, non che uno il quale co’ proprii occhi vedesse, chi parlar ne ode soltanto attonito contemplar

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debbe la grandezza del perìcolo, e dalla moltitudine de- A. iiR . gli nomini e. delle nari arguire (83) l1 ampiezza e po­tenza di amendue gK |lati. I Romani riflettendo aver cui a correre Tallo mare appètto a nemici eh' erano spediti navigatori, iogegnaronsi di -disporre la loro ar­mata in guisa che fosse da ogni laio sicura e difficile ad èsser attaccata. Le navi da sèi ordini, eh’ erano due} ed in cui trovavano i consoli Marcò Attilio e Ludo Manlio, schierarono le prime in fronte appaiale. Dietro ciascheduna di queste collocarono ad una ad una in se­rie non interrotta le altre navi, formando due armate condotte dalle respetlivè Capiiàuet Fra ogni nave di amendue le armate lasciarou uno spazio sempre mag­giore. (84) E seguitavansi i legni l’uuo presso all'altro, guardando in fuori colle prore. Poiché ebbero ordinata là prima e la seconda battaglia a guisa di rostro , vi égginnsero la terza legione in una sola (83) fila di fronte, che pella sua posizione deretana compieva la foma trian­golare di tutto lo schieramento. Appresto questa pò*1 sero le- navi che portavano i cavalli, remurchiate dalla terza armata , ed alle spalle di questa anelarono la quar­ta armala , in cui ennò i triarii, distendendoli in una sola fila , per modo che da amendue i lati avanzavano tutte le precedenti. Congegnata ogni parte nella maniera a nz ideila, prendeva tutto l ’ordinamento la perfetta figura d* un (86) cuneo, vuoto nella dm a, ma solido alla baie, ed il complesso era agile, robusto , ed insieme difficile a sciogliersi.

XXVII. Fraltanto i dud Cartaginesi brevemente arin- garono i suoi, facendo loro vedere j come vinaio ri nella

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A. di E. .pugna navale guerreggialo awebbooo pella Sicilia, lad­dove . se fiuterò vinti romba iterebbono pelk patria e pe’ consanguinei ; indi comodarono entrassero nelle navi. II fecero tatti di buona voglia, e salparono ani­mosi e feroci » perciocché dalle cose loro dette pres*- gtvan l’ avvenire. I Capitani osservando 1’ ordine de’ne-

, e ad esso acconciando le loro disposizioni, schie- rarono tre parti delle loro Ione in una sola linea, sten­dendo 1’ ala dei tra nell’ allo m are, come per circondare gli avversarli, ed a questi opponendo tutta le loro pro­re. Della quarta parte formarono l’ ala sinistra di tuttolo schieramento, e le diedero la figura di (87) forbice piegandola verso terra. Conduceva 1’ ala destra de'Car­taginesi , composta di (88) navi rostrate, e di galee da cinque ordini le più spedile per girar le ale nemiche, Annone, quegli che vinto fa nella battaglia navale di Agrigento: della sinistra aveacnra Amilcare , che combattè nella marina di Tindarida, e che sostenendo allora il ci­mento nel centro, tale stratagemma osò nelFatto della, pugna.I Romani reggendo che i Cartaginesi nel distendersi assot­tigliavano la schiera , giltaronsi sol centro, dal qual mo­vimento, ebbe principio il conflitto. Subitamente i Car­taginesi del centro avutone l’ordine, andarono in volta, con animo di disunire la schiera de’Romani. Quelli per­tanto prestamente cedevano, ed < Romani con ardore li se­guitavano. Cosi la prima e seconda annata incalzava i fuggitivi, e la terza e quarta ne furono staccate, quella

. che rimurchiava le navi cariche di cavalli, qnesla che portava i triarii rimasti alle riscosse. I Cartaginesi, poi­ché credettero d’aver tratte la prima e seconda armata

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m luogo opportuno, ad un segno alzato nella nave di A .£ R . Amilcare tutti insieme voi taro tui ed assalirono coloro ohe gl' inseguivano. Qui si accese un fiero combatti­mento , ove nella celerità del volteggiare, nella facilità d’ accostarsi, e nella prontezza di ritirarsi i Cartaginesi era a molto superiori, ma pella violenza del combattere, quando era appiccala la mischia, e pel vantaggio di af­ferrare co’ corvi.le navi che si appressavano, e perchè eran amendue i consoli fra i combattenti, ed al cospetto loro fàcevasi il cimento, i Romani nutrivano non mi­nori speranze che i Cartaginesi. Da questa parte era in siffatta guisa disposta là battaglia.

XXVin. In quello Annone che dirigeva 1* ala destra, e nel primo affronto erasi tenuto in disparte, travali­calo il mare attaccò le navi de’ triarii, « li mise a mal parlilo. Quelli fra i Cartaginesi che schierati erano vi*-cino a terra , mutata la forma che aveano in una fila di fronte, e voltate le prore a1 nemici, assalirono i li­ni urchi delle navi conduttrici de’ cavalli. Queste, lasciate andar le funi, azzuflàronsi co’ nemici e forte pugnaro­no. Era tutto il conflitto in tre parti, e tre battaglie fa- cevansi in siti molto tra loro distanti : ma siccome nguali eran le parti (89) sino dalla prima disposizione , cosi pugoavasi con ugual fortuna da tutti i lati. Tuttavia accadde a ciaschedoaa meritamente quanto ragion vuole che avvenga, allorquando simili sono tutte le circostanze de* combattenti : (90) che i primi ad incominciar la pu­gna furono i primi a deciderla. Imperciocché fu final­mente soverchiato Amilcare , e messo in fuga. Manlio legò le navi prese olle sue, ed Attilio , avvedutosi del

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A. di R- pericolo, in che erano i triarii e le navi conduttrici Je* cavalli, s’ affrettò a «occorrerli co’vascelli illesi della 'seconda armata, e raggiunto ch'ebbe Annone l’ attaccò per modo, che i triarii, tehbene gii malconci, ripre­sero animo .e vigore a ristabilir la pugna. J Cartaginesi battuti da fronte ed assaliti da tergo, e circondati all’ impensata da quelli che venivan in ajuto, piegarono e fuggirono peli’ alto mare, (gì) Frattanto Manlio, ri­tornando già , e veggendo la tersa armata spinta verso terra e chiusa dall’ ala sinistra de* Cartaginesi, ed Atti­lio che avea pisciate io salvo le navi de’cavalli ed i triarii , mossero al soccorso de’pericolanti, i quali erano poco tnen che assediati, e da lungo tempo in procinto di perire; se non cbè i Cartaginesi temendo i corvi, cignevanli benai ed a tètra li premevano, ma loro non si accostavano, peritandosi di assalirli, affinché nel conflitto non fossero azzeccati. I consoli pertanto soprag­giunti tosto li circondarono, e presero cinquanta navi nemiche con tutta la gente : poche, girala la costa, scamparono. Tali furono in questa battaglia navale te fazioni particolari. L’ esito in generale riuscì favorevole a’ Romani. Perirono di questi ventiquattro navi, dei Cartaginesi oltre trenta ; ma de’ Romani nessuna nave cadde colla ciurma in potere de’ nemiei ; de’ Cartaginesi ne caddero sessantatri.

XXIX. Dopo questo fatto i Romani i falla pià larga provvigione di vettovaglie, e racconciale le navi prese, trattate eziandio le loto ciurme con quella cura che convengasi dietro cosi prosperi successi, dirizzarono le vele alla volta dell’ Africa. Approdarono' colle prime

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savi al capto (gì) Eroica, il quale sporge fuori di tatto J .d iR .

il golfo di Cartagine, e si estende lungi in man; vèrso la .Sicilia* Coli aspettarono le navi che li seghivàrib , e raccolta lotta l’ annata, navigarono terra terra , sino a che giunsero alla città òhe ha nome (g3) Aspide* Qoi discesero, e traile le navi sul lido i le circondarono di £oiao e di steccato, e si accinsero ad assediare la citìi, non volendo loro arrendersi quelli che la tenevaao. I Cartaginesi eh’ erano scampali dalla battaglia navale, ritornati a casa , e persuasi cbe i nemici, insuperbiti della vittoria ottenata , sarebbono incontanente corsi a Cartagine , custodivano eoo forze terrestri e navali la costa che giace davanti alla città ; ma poiché riseppero che i Romani erano impunemente sbarcati, ed assedia­vano Aspide, non isteltero più in guardia del loro ar­rivo , ma ragunarono forse, ed occuparonsi in presi­diare la città e la campagna. I Romani, ir. * jnoritisi di

Aspide, e lasciata guemigione nella città e ne’dintorni, mandarono ambasci adori in patria per annonziar 1’ ac­cattato , e per chieder ciò che avessero a (are io avve­nire, e come governarsi. Iodi partirono! in fretta con tutto l’ esercito, e si diedero a guastar il paese. Non si opponendo loro nessuno distrassero molte abitazioni magnificamente costrutte, presero mollo bestiame, ed oltre venti mila corpi schiavi condussero alle navi. Frattanto giunsero da Roma mandatarii j che significa­rono dover nno de’ consoli restare con sufficienti forze, e l’ altro recar a Roma l’ armata. Rimase M. Attilio con quaranta navi , quindicimila. fanti, e cinquecento cavalli. L. Manlio pigliò seco le ciurme e tutti i pri-

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A. diR. gioni, è postato a salvamento davanti alla Sicilia, venne a Roma.

XXX. I Cartagine» , come videro die i nemici ap- parecchiavansi a lunga guerra, elessero primieramente due capitani de’ loro eserciti , Asdmbale figlio d’ An­none e Bóstaro, poscia (g4) mandarono in Eraclea ad Amilcare, richiamandolo premurosamente. Questi con dnquecento cavalli e dnque mila fanti giunse a Cai* tagine, e creato terzo capitano consigKosn con Aidru- bale circa il partito da prendersi in tal frangente. Pia- eque loro di soccorrer la campagna, e di non permetter che a man ulva si guastasse. Attilio dopo alcuni giorni ai mito in cammino , prendendo cT assalto e saccheg­giando le castella non m urate, e le murate assediando. Giunto presso (g5) A di, d tti non ispregevole, vi pose attorno il campo, spignendo le opere e F assedio. I Cartaginesi*pertanto bramosi di soccorrere la d tti e risoluti di difender i luoghi aperti, uscirono fuori col- T esercito , ed occupato on colle , il quale soprastava bensì a’ nem id , ma era incomodo alla propria oste, vi si accamparono. Del resto , sebbene avean le maggiori speranze ne' cavalli e negli elefanti, ahbandonaron il piano (96) e si rinchiusero ne' luoghi forti e di diffidi accesso, insegnando per tal guisa a’nemid dò che avean ad imprènder contra di loro. Locchè esiandio avvenne; sendoché i dud Romani, conoscendo mercé della loro esperienza , come il nerbo più formidabile dell’ oste av­versaria era divenuto inutile pella natura de’luoghi, non aspettarono che discesi al piano si schierassero, ma va­lendosi della favorevole circostanza , accostarono’ in sol

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far del giorno al colle da amebdue le parti. I cavalli J .£ B . dunque e gli elefanti non erano a’Cartaginesi di nessun uso , ma i mercenari!, con gran valore ed insistenza pugnando , costrinsero la prima legione a ceder ed a fuggire. Tuttavia accerchiati , mentrechè avanzavano precipitosamente , da quelli che dall’ altra parte saliva­no » andaron in volta. Allora sboccaron subito tutti dal campo. Gli elefanti pertanto ed i cavalli, riusciti tosto al piano, salvi si ritrassero. Ma i Romani inseguirono la fanteria per breve tratto , e saccheggiato il campo si diffusero per tutta la campagna e la città, ed impune­mente le guastarono. Ed impadronitisi della città di Tunesi (97), eh’ era molto acconcia alle imprese che meditavano , ed oltre a ciò opportunamente situata per rispetto a Cartagine ed alla vicina campagna, presero dentro a lei gli alloggiamenti.

XXXI. I Cartaginesi sconfitti poco fa per m are, ed ora per terra , non per viltà de’ soldati, ma per im­prudenza dei capitani, ridotti eran al tutto in una dif- ^99 (ìc!le situazione. Alle quali cose •’ aggiunse cbe i Nu­midi ad un tempo gli a svitarono , e recavan al loro territorio non m inore, anzi maggior danno che non facevan i Romani. Donde avvenne che gli abitanti della campagna fuggivano spaventati in città, ove la desola­tone e la fame eran al colmo, parte per cagione della moltitudine , parte perchè aspettavano 1* assedio. Attilio yeggendo i Cartaginesi vinti per mare e per terra , e stimandosi già prossimo ad espugnar la città , (98) te* mendo, non il console che gli fosse per succedere, mandato da Roma , gli usurpasse il titolo delle suo

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é.& R . gesta, imitò i Cartaginesi a trattar la pace. Questi lieti la proposta ascoltarono, e spedirono a tal effetto i loro nomini primarii, i quali seco lui abboccatisi, tanto fu- con lontani dal piegar I’ animo a ciò cbe da loro cbie- devajii cbe noti ebbero neppur cuore <f udirè i gravosi comandamenti. Imperciocché Attilio , come se d* ogni cosa fosse gii padrone, credeva dover essi a grami a ed a generositi ascrivere checché egli loro lasciava. Ma i Cartaginesi considerando che , quaod’ anche soggiogali fossero, seguir non ne potea peggio di quanto lo r im- ponevasi , se de ritornarono , non solo disgustati delle condizioni offerte, ma ben abche gravemente ofTesi dalla durezza di Attillo. (99) Il Senato poi de’ Cartagi­nesi ,■ sentite le proposizioni del console Romano, com4 che disperasse quasi della salvezza, vi si oppose tuttavia con tanto vigore e con tanta altezza d* animo, che tolsé di sofferir tatto , e di sperimentar qualsivoglia fatica e fortuna, anziché tollerare nalla che sentisse di vilti ed indegno fosse delle gèsta passate.

XXXIt. Circa quel tempo approdò a Cartagine ori nccoglitor di milizie straniere , eh’ era pria stato spe­dito in Grecia, e recò seco grosso numero di soldati , fra coi e tà certo Santippo (100) Lacedemone, aOmo al­levato nella disciplina Spartana, e di sufficiente pratica nellè cose di guerra. Il quale odila I' ultima scon6lia«, e come ed in qual guisa avvenne, e veggendo insieme i bellici apparati de’ Cartaginesi, e la m olliladine dei cavalli è degli elefanti, subito ne arguì ed espose agli amici, che i Cartaginesi non da’ Romani, ma da sé Messi peli’ imperizia de’ loro capitani erano stali viali.

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Tosto, licwme (101) accader dovei in quel frangente, A .diR . ai «parsero i discorsi di Sauiippo fra il volgo e i duci ; laonde a1 principali della città parve di chiamar costui a e di farne sperienza. Egli venuto a colloquio, addusse a* maestrali le ragioni di quanto aveva asserito , e di­mostrò loro la causa della rotta toccala, affermando' ohe , ove lui ascoltassero, ed al piano si attenessero nelle maree, negli accampamenti e nelle battaglie, di leggeri potrebbousi procurar salvezza, e vincere gli av­versarli. I duci, approvali i suoi delti, e da lui persuasi gli consegnarono 1’ esercito incontanente. Non si tosto arasi divulgata questa voce di Santippo, che un rumore e bisbiglio pieno di speranza corse pella moltitudine ; ma (ioa) come condusse T oste fuori della città, e Tal» telò acconciamente, ed incominciò a farlo muover in ordine parte per parte, ed a comandar secondo le re» gole, tanto superior apparve all'imperizia degli antece­denti capitani , che il popolo con grida significò il suo applauso , e gli pareva mill’ anni d* attaccar i nemici, tenendo per fermo che condotti da Santippo nessuna sciagura gli potrebbe avvenire. Indi osservando i capitani «he la moltitudine erasi maravigliosamente rianimata, aringaronla come si conveniva alla circostanza, e dopo alcuui giorni mossero colle forze, le qoali componevansi di circa dodici mila pedoni, quattro mila cavalli, e pressoché cento elefanti.

XXXUL I Romani, come videro i Cartaginesi mai*' dare per luoghi piani, e per il campo in sili eguali, strana cosa loro sembrò, e se ne turbarono. Tuttavia non indugiarono ad appressarsi a’ nemici f *e non essen*

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'A.<UR* dona più lungi, accampanatisi il primo giorno in di­stanza di dieci stadii circa da1 medesimi. U di appresso i capi de’ Cartaginesi deliberarono cbe cosa e come avessero a (are. I soldati, agognando di cimentarsi , fa­cevano crocchi i, e ad alla foce chiedevano che Santippe

, quanto prima condurli dovesse alla pugna. I duci, os­servando P impeto ed il fervor delle turbe , e scongiu­randoli ad un tempo Santippo alesso di non lasciar sfuggire 1* opportunità , comandarono a* soldati d’ esser presti, ed a Santippo lasciaron 1* arbitrio di governar gli affari come stimerebbe più utile. Egli accettata la facoltà, dispóse gli elefanti in una fila, ed innanzi • tutto T esercito collocolli in fronte ; la falange de’ Cai* taginesi pose dietro a questi in sufficiente distanza, ed i mercenari!, parte schierò nell’ ala destra, parte , ed eran cotesti,i più agili, mise insieme co’ cavalli davanti ad amendue le ale. I Romani, veduti gli avversarli in ordine di battaglia, andafon loro prontamente incontra Ma sbigottiti degli elefimti, 1’ assalto de’ quali prevede­vano , si posero dinanzi (io3) i lanciatoli, e dietro ad essi affollarono molte (io4) insegne, ed i cavalli distri­buirono fra le due ale. Facendo per tal modo tutta la schiera più ristretta di prima, e più profonda , §’ op­posero, quanto è alla pugna contra le belve, ma per quello che spetta al guarentirsi da’ cavalli, che i loro di gran Innga in numero superavano, al lutto fallirono. Poiché amendue , secondo il proprio divisamente, eb­bero disposto il tutto e le parti negli ordini conve­nienti , rimasero schierali, aspettando 1’ opportunità di reciprocamente affrontarsi.

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XXXIV. Allorquando Santippo comandò a’ reggitori A. di X. degli elefanti <T avanzare, e di rompere le file de’ ne­mici , ed a’ cavalli di girar ambe le ale * e. di assaltar gli avversarli, i Romani ancora , conforme é loro co­starne, ( to 5) batterono le armi, ed alte grida mettendo andaron addosso a’ nemici. I cavalli de’ Romani faggina tosto in amendne le ale, perciocché quelli de’ Cartagi­nesi di molli doppii gli avanzavano. (106) I fanti che erano nell’ ala sinistra, cedendo all’ impeto delle belve, ed insieme disprezzando i mercenarii, attaccarono l’ ala destra de’ Cartaginesi, e messala in foga, la incalzarono ed inseguirono sin dentro al campo. Di coloro che sta­vano rimpetto agli elefanti , i primi cadevan a mucchi! combattendo, spinti e conculcati dalla violenza degli animali. Cionnondimeno il corpo della battaglia , pella profondità delle file serrate , rimase per alcun tempo senza rompersi. (107) Ma poiché le schiere estreme, accerchiate dappertutto da’ cavalli, costrette furono a volgerti ed a pugnare, e quelli che per mezzo gli «le. fanti forzalo avean il passaggio, e stavan già a tergo delle belve, s’avvennero nella falange intatta e ben or­dinata de' Cartaginesi, venivano trucidati ; i Romani, travagliati da tutte le parli perirono, il maggior numero calpestati dall’ enorme forza delle belve; gli altri a furia di lance trafitti dalla folla de’ cavalieri nello stesso sito della battaglia. Pochissimi salvaronsi colla fuga, e s io come facevano la ritirata per luoghi campestri, coti ne caddero di questi ancora sotto gli elefanti ed i cavalli. Cinquecento forse che fuggivano col console Attilio, vennero fra poco nelle mani de’ nemici, e tutù eoa

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J .£ f t . esulai furono presi vivi. De1 mercenarii, che militavano presso i Cartaginesi, e che stavano coatro l’ ala sinistra de’ Romani, morirono da ottocento. De’ Romani salva­tomi da due mila ( i quali nell' insego» i nemici, sio- come dicemmo, si sottrassero al pericolo ; gli altri tulli perirono, tranne il console Attilio , e quelli che seco lai andarono ia volta. I Cartaginesi, spogliati i m orti, condussero seco il console co’ prigioni , e ritornaronoio città pieni di giubilo per coiai vittoria.

XXXV. (108) In questa emergenza , ove bene si consideri , molte cose avvennero, donde trarsi possono alili precetti peli*umana vita. Imperciocché evidentissimo si fece allora a tatti pel caso di Attilio ; non doversi, massimamente dopo i prosperi saccessi, aver fidanza nella fortuna, dappoiché colui che lesiè non accordava misericordia nè perdono a' v inti, fa poco stante egli stesso menato in servaggio, e ridotto a pregar que’ me­desimi pel la sua salvezza. Laonde ciò che aulicamente disse assai bene Ejiripidet (109)

« Finpc un savio consiglio molfe mani »

acquistò allora fede da’fatti; coociossiachè un uomo solo ed aoa sola opinione distruggesse un esercito che sem* brava invincibile, e nei maneggi di guerra senza pari, e quella repubblica eh’ era manifestamente in fondo, e gli animi de' soldati nella disperazione immersi, ergesse a migliori speranze. Le quali cose io rammento a cor­rezione di coloro che leggeranno queste memorie. Che due essendo i modi per cui gli oomini iu meglio si cangiano, 1’ uao col mezzo de’ proprii capi, I’ altro per

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via degli altru i, più elidente ai è quello delle proprie J . di R. sciagure, ma pià sicuro quello delle (ira ni ero. Il primo di questi nessuno sceglier! di buon grado, posdachè dopo grandi fatiche e perigli conduce alla correzione j ma al secondo è sempre da tener d ietro , polendosi senza danno conoscer in lui il meglio. Donde , a chi dentro vi guarda lice arguire, la più bella disciplina per viver rettamente nser 1’ esperienza che si acquista dall' esatta storia de' fatti ; perciocché essa «ola , senza recar isconcio in qualsivoglia tempo e situazione, giudici veraci ne fa del migliore.

XXXVL I Cartaginesi, cui ogni cosa era riuscita a talento, nulla omisero per significare 1’ estrema loro gioja, e grati dimostrandosi verso degli Dei, e recipro­cando tra loro ufGcii di benevolenza. Ma Sanlippo , il quale portato avea Unto incremento e preponderanza agli afiàri de1 Cartaginesi, in breve partissi con prudente ed accorto consiglio, (n o ) Imperciocché le gesu illustri ed ammirabili ingenerano gravi invidie ed atroci calun­nie , le quali i citudini, per cagione de* parentadi e della moltitudine degli amici , possono, forse tollerane , laddove agli stranieri amendue quest» cose ridondano in Svantaggio e pencolo, (i 11) Un’ altra voce ancora crasi diffusa circa la partenza di Sanlippo, la quale noi c’iagegnescmo di esporre, come più acconcia occasione che non è la presente ce ne sari offerta. I Romani, cui le cose avvenute in Africa giunsero inaspettate, oo cuparonsi tosto in allestir l’armata e ritirar la gente che in Africa erasi salvata. I Cartaginesi dal lor canto ac-

roLisio , tomo /. ti

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J ,£ R . campai-oasi (otto Aspide e l’ assediaroao , procaraado di avere in lor potere quelli che rifuggiti eraosi coli dalla battaglia, ma non polendola in alcun modo pren­dere (n a ) pel valor e peli’ ardire de’ difensori , desi­stettero finalmente dall’ assedio. Avuta pertanto nuova cbe i Romani apparecchiavano 1’ armata per ritornar in Africa, apprestanti essi pare i loro vascelli , e nuovi ne fabbricarono. In breve tempo n’ ebbero in tutto punto dugento; onde salparono, e si posero ad osservar Y arrivo de’nemici. I Romani in sul principio della state trassero in mare trecencinquanta navi , e mandaronle fuori, avendone creali comandanti i consoli Marco Emilio e Servio Fulvio. Questi fecero vela e costeg­giarono la Sicilia, dirigendosi verso l’ Africa. Presso Ermèa azzuffaronsi coll’ armata de’ Cartaginesi , cbe al primo affronto facilmente misero in fuga, ( n 3) pren­dendo cenloquattordici navi colla genie. I soldati rimasti in Africa levarono da Aspide, e ritornarono in Sicilia.

XXXVII. Tragittati a salvamento ed avvicinatisi al territorio de’ Camarini, venne lor addosso tanta furia di tempesta e di sciagure, cbe descrivere non puossi condegnamente all’enormità del caso. Imperciocché (i 14) di quallrooensessantaquailro navi ottanta sole rimasero : le altre pane affondarono , parte furono da’ marosi git­tate e fracassate agli scogli ed alle punte riempiendo lutti que’ lidi di cadaveri e di tavole infrante. Maggior disgrazia di questa, accaduta per mare in un tempo solo , non rammentano le storie. Della quale sono da accagionarsi mollo più i condottieri, che non la for­tuna ; perciocché i timonieri solennemente avean prò-

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tesuto che tion si navigasse (115) dal lato esterno della A diR* Sicilia, che guarda verso il mar d' Africa, essendovi l’acqua profonda , e le spiagge senza porti : inoltre dicevano (116) nn segno celeste non esser ancora pas­sato, e l’altro a sorger prossimo; (che navigavano (i 17) tra lo spuntar d’Orione e del Cane ). Ma non dieder essi retta a cotali ragionamenti, (118) e si spinsero nel mar di fuori (119) desiderosi d’ insignorirsi in pas­sando di qualche città , che spaventata avrebbono colla mostra della vittoria testé ottenuta. Cosi, per piccole speranze abbattutisi in grandi sventure, riconobbero alla perfine la propria stoltezza, (n o ) Generalmente i Ro­mani spuntar volendo tutto colla forza, e credendo che seguir debba necessariamente ciò che si hanno proposto; e nulla di quanto han risoluto di fare esser impossibile, riescon loro molle imprese per siffatto impeto appunto, ma in alcune al lulto succumbono , massimamente per mare. Conciossiaché, siccome per terra hanno a fare con uomini ed opere umane, cosi molte cose vanno loro a seconda opponendo essi la violenza a forze eguali.Tuttavia qui ancora, sebbene di rado , falliscono. Ma allorquando col mare e coll’ ambiente si cimentano, ed a far loro forza imprendono > toccano di grandi scon­fitte. Ciò è loro a quel tempo e sovente già accaduto , ed accadrà in appresso, finaitanioché un giorno non correggeranno tanta audacia e foga , per cui credono dover loro sempre esser aperto il mare e la terra.

XXXVIII. 1 Cartaginesi, risaputa la perdila dell’ar­mata Romana , e credendosi da mollo per terra dopo gli avuti prosperi successi, e per mare a cagione della

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A. di R. riferita sciagura de’ Romani, con maggior animo ai die* dero a’ lavori navali e terrestri. Spediron tosto A idro- baie in Sicilia e gli consegnarono i soldati che avean già sotto lai militato , e quelli eh’ erano venuti da Eraclea, ed insieme cenquoranta elefanti. Partitosi costui, appa­recchiarono dugento navi e le altre cose al viaggio ne-

500 cessarle. Asdrubale, giunto salvo a Lilibeo, esercitava gli elefanti ed i soldati, ed appariva esser egli per oo> rapar i luoghi aperti. I Romani, coi coloro eh* erano scampati dal naufragio avean riferito ogni cosa minuta­m ente, furono dolenti oltre m odo, ma ( la i) non con­sultando punto se avessero a cedere , determinarono di far costruire dugentoventi (iaa)'nnovi vascelli. Compiuti questi nello spazio di tre mesi ( cosa non facile a cre­dersi ) , i comandanti Aulo Attilio e Gneo Cornelio , eh’ erano stati eletti, tosto gli allestirono, e fecero vela. ( i? 3) Entrati nello stretto presero seco da Messina le navi salvate dal naufragio , ed afferrarono con tre­cento navi ( ia4) a Palermo di Siciba , che per esser la città più importante del dominio Cartaginese si ac­cinsero ad assediare. Innalzate le opere in due luoghi, e posta ogni cosa in ordine, recarono innanzi le mac­chine. Cadde per pochi colpi la torre situata presso al m are, onde i soldati entrarono con impeto per quella parte , e la cosi detta città nuova fu espugnata , e per tal caso venne anche in pericolo quella che vecchia & nominata ; il perché gli abitanti tosto s’ arrendettero. Insignoritisi della città, i consoli vi lasciarono un pre­sidio e se ne andarono a Roma.

501 XXXIX. La state vegnente i nuovi consoli Gneo

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Servi Iio e Cajo Sempronio salparono con lotta l’armata, A. diR.

ed approdati in Sicilia , di 11 si partirono peli’ Africa. Radendo la costa fecero molte discese, nelle quali niente di memorabile avendo operato, vennero all’ isola ( ia 5) de’ Lotofagi, che chiamasi Meninge , e non è lungi dalla piccola Sirte. Coli per poca pratica de’ luoghi diedero in un basso fondo, ed essendosi assise le navi al ritirarsi della m area, furono in grande imbarazzo. Tuttavia ritornata inaspettatamente dopo alcun tempo F acqua £Ìttaron fuori le cose più pesanti ed a grande stento alleviarono le navi ; poscia se ne andarono simili a chi fogge. Ricondotti in Sicilia e girato il capo Liti- beo, presero terra a Palermo , donde temerariamente navigando (iafi) peli’ alto mare alla volta di Roma f abbatteronsi nuovamente ad una burrasca tanto forte, che perdettero più di cencinquanta navi. I Romani, dopo questi avvenimenti , comecbè fossero in tntto ol- tremodo ambiziosi, ciò non di meno pe*grandi e molti danni sofferti si rimasero di allestire nn’ altra armata ; sibbene avendo ogni residoa loro speranza nelle forze di terra, spedirono i consoli Lucio Cecilio e Gneo 5o3 Furio colle legioni in Sicilia ; ed armarono soltanto Sessanta navi per recar le vettovaglie all’esercitò. Pelle anzidette sciagure gli aflàri de’ Cartaginesi saliron di bel nnovo a più onorevole stato : che il mare signo­reggiavano senza timore, dappoiché i Romani se n’ e- rano ritirati, e nelle forze di terra molto speravano. E n avean ben donde. Imperciocché i Romani, divulgatasi la lama della battaglia in Africa, come gli elefanti ruppero le loro file, e fecero perir molta gente, ebbero

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J.diU . tanto spavento di colesti animali, che due anni ap­presso , schieratisi di rinconito al nemico, quando nella campagna di Lilibeo , quando in quella di Selinunte , in distanza di cinque o sei stadii, non arri schiaro nsi mai d'incominciar la pugna, nè di scender al piano per Umore degli elefanti. A cjue’ tempi presero soltanto per assedio le (127) Terme e Lipari, allenendosi a luoghi montuosi e di malagevole accesso. Per la qoal cosa osservando i Romani la umidezza e 1* abbattimento del loro esercito di terra, mutarono consiglio, ed appi- gliaronsi un* altra volta al mare. E creati consoli Cajo Attilio e Lucio Manlio, fabbricarono cinquanta vascelli, levarono gente , e ai diedero con ardore ad accozzar un armata.

XL. Il duce de* Cartaginesi Asdrubale, veduti avendo i Romani timidi nelle antecedenti fazioni, come riseppe che 1’ uno de’ consoli colla meli delle forte andato se n’ era in Italia, e Cecilio coll’ altra pane dell’ esercito stanziava a Palermo , per esser di presidio al ricotto degli (128) alleali, ch’ era gii avanzato, mosse coll’ oste da Lilibeo ed accamposù in su’ confini del territorio di Palermo. Cecilio veggendolo baldanzoso, e bramando di aizzar il suo impelo, contenne i suoi dentro alle porle. Il perchè Asdrubale, fallosi più audace, quasi che Cecilio non osasse d’ uscire, arditamente si trasse innanzi con lutto l’esercito, e pelle strette gii tossi sulla campagna di Palermo. Guastò le derrate sin presso alla città , e tuttavia Cecilio non cangiò proponimento , fi*- nattantochi l’ ebbe indotto a passar il fiume che scorre avanti la cittì. Poiché i Cartaginesi traghettarono gli

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elefanti e l’ esercito, mandò fan lì leggeri a stuzzicarli, J .é iR .

finché li costrinse a poni in ordine di battaglia. Veduto il buon successo del suo divisa mento, collocò una mano di gente spedita innanzi al muro ed al fosso , e co­mandò , che ove le belve s’ avvicinassero, le ricevessero con un nuvolo di saette, e quando fossero incalzati, si rifuggissero nel fosso, e ne balzassero fuori un’ altra volta per vibrar le lance negli animali che piombassero loro addosso. (129) Agli artigiani, cbe trattengonsi nel mercato, ordinò che recassero i dardi, e li deponessero fuori della ci UÀ alla base delle mura. Egli colle insegne piantossi sulla porla che guardava 1’ ala sinistra de* ne» mici, donde sempre più soldati e più mandava io soc­corso (»3o) della fanteria leggera. Rendutasi la «uffa generale, i reggitori degli elefanti, gareggiando con Asdrubale , e volendo di per sé conseguir la vittoria , andarono tutti insieme d’impeto sopra i combattènti che di leggeri misero in fuga ed inseguirono sin dentro al fosso. Le belve avventatesi a questi, e ferite da coloro che dal maro le saettavano, e ad un tempo trafitte dagli spiedi e dalle aste che spessi e gagliardi lancia- vansi dalla gente intatta cbè schierata era. dinanzi al fosso, coperte di trecce e lacerate in tutto il corpo, subitamente si scompigliarono, e voltatesi gittaronsi so- sopra i suoi, calpestando ed uccidendo gli uomini, e confondendo e sparpagliando le file. Locchè veggendo Cecilio usci solleciiamente coll’ esercito , ed assaltali di fianco i nemici scomposti co’ suoi eh’ erano intatti ed in buon ordine, fece degli avversar» orrenda strage, e molti ne uccise, gli altri mise in precipitevole fuga.

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A.diR. Dieci elefanti prese ( 13 1) co’ mori che li reggevano; ì rimanenti che i mori aveano sballati, fece dopo la bat- taglia circondar dalla cavalleria, e a’ impossessò di (atti. Per questo fatto egli ebbe, a confessione d* ogn a n o , il merito di rinfrancar le forze terrestri de’ Romani, e di far si che riconquistassero i luoghi aperti.

5o4 XLL Venata a Roma la nuova della vittoria, grande ne fu la gioja, non tanto pella sconfitta de’nemici, rimasti privi degli elefanti, qnanto pel coraggio cresciuto a’auoi, dopo aver superati questi animali. Adunque per siffatte cagioni corroboraronsi un* altra volta nel lor primo propo­nimento di spedir a nuove imprese i consoli con un'ar­mata ed un esercito navale, ingegnandosi a tutto loro potere di por fine a questa guerra. Apparecchiato il necessario a cotale spedizione, navigarono i consoli con dugento vascelli alla volta della Sicilia. Correva allora T anno decimoquarto della guerra. Approdati ( i3a) a Li- libeo, e coli incontratisi colle Ione di terra , prepara- ronsi ad assediar la città stimando che avendola espu­gnata facilmente porterebbono la guerra in Africa. In­torno a ciò egual era a un di presso l'opinione de' duci Cartaginesi, i quali non altrimenti che i Romani ne giudicavamo. Quindi lasciata ogni altra cosa da parte, si fecero a soccorrerla, ed a tentare e tollerar tutto pell’an- «idetta città; perciocché nessuna ( i 33) forte stazione sa­rebbe loro rimasta, essendo i Romani signori di tutta la Sicilia, fuorché di Trapani. Ma affinché non riescan oscure le cose da noi dette a chi non conosce que’luo- ghi, noi ci studieremo di recar brevemente a cognizione de’ leggitori 1’ opportunità e la posizione loro.

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XLII. Tutta la Sicilia £ situata per rispetto aHltalia ed A.&R, «Ile sue « trem iti, siccome il Peloponneso per rispetto al rimanente della Grecia ed a’ suoi promontori! ; ma in ciò differiscono, che quella £ isola, questo continente , perciocché ( i34) il trameno dell’ una si varca a piedi,1* altro io nave. La figura della Sicilia è triangolare, e le punte di ciaschedun angolo prendono l’aspetto di p rom ontori!d i cui quello eh’è inclinato a mettogiop- no , e sporge nel mare Siculo, chiamasi Pachino ; quello che guarda a settentrione forma il confine occidentale dello stretto , è dodici stadi! distante dall’ Italia , ed ha nome Peloro ; il terzo è voltato verso l’Africa, e giace opportunamente di rincontro a’ promontori! che stanno dinanzi a Cartagine, lungi da questi circa mille stadii,& voltato all’ occidente (135) vernale, divide il mar Africano dal Sardo, ed appellasi Lilibeo. Presso a que­sto ò situata una città d’ egual nome , che allora asse­diavano i Romani, ben fortificata di mura , con intorno un fosso profondo e lagune dal mare, pelle quali en­trasi nel porto, ma non senta molta perizia e pratica de’ luoghi. I Romani vi avean posto il campo da amen- due le parti, e lo spazio fra i due campi avean occu­palo con fossa, steccato e muro. Incominciarono ad avanzar le opere verso la torre più vicina al mare, che porta in Africa, ed aggiugnendo sempre nnovi lavori a’già fatti, ed estendendo vie maggiormente le costruite moli, abbatterono finalmente sei torri prossime alla gii mentovala. Le altre ( i36) tutte ad un tempo presero a martellar coll’ ariete. Spingevasi con efficacia e terrore F assedio ; le torri, quali ogni giorno minaedavan mi-

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J . Ji R. o a , quali minavano , e le opere progredivano sempre più oltre nell’ interno della città , per modo che gli as­sediati compresi erano di forte costernazione e spavento, sebbene v’ avea nella città, senza la moltitudine urbana, da diecimila mericenarii. F rattanto il lor comandante ImiW cone non ometteva nulla di ciò che farsi polca, ma ri­fabbricando gli edifizii caduti, e ( i3y) scavando mine, non comune imbarazzo recava a’ nemici. Girava egli eziandio qua e là ogni d i , e tentavà di appiccar il fuoco alle opere degli avversarti, ed a questo fine temeraria­mente eccitava molte avvisaglie di giorno e di notte, a tale cbe qualche fiata più ne morivano in siffatti con­flitti , cbe non sogliono cadere nelle battaglie campali.

XLIII. In questo mezzo alcuni de'principali duci della milizia mercenaria, indettatisi di consegnare la città ai Romani, e persuasi che i loro soldati gli avrebbon ub­biditi , balzarono di notte tempo fuori della città nel campo nemico, e ne parlarono al console Romano. Ma (138) 1’ Acheo Alessone, lo stesso che netempi ad­dietro fu cagione di salvezza agli Agrigentini, quando i mercenarii de’ Siracusani macchinavano di tradirli, fu allor pure il primo cbe della pratica ebbe sentore , e 1’ aperse al capitano Cartaginese. Il quale, udito ciò che era, raunò immantinente gli altri duci, e supplichevole gli ammoni, promettendo loro gran doni e premi! a serbargli la fede, e non prender parte alle insidie di coloro eh’eran usciti. Fu accollo il suo discordo con gradimento; quindi mandò con essi tosto a'Celli Annibale figlio di quell’An­nibaie che mori in Sardegna, pella famigliarità che qual antico compagno d’ arme seco loro avea, ed agli alni

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mercenari! spedi Alettone ch'era ad essi a ocello, ed in cui A. di B.

aveano fiducia. Costoro raccolsero la moltitudine, l’arin- garono ed impegnarono la propria fede circa i doni, che il capitano aveva a ciascheduno promessi. Cosi di leggeri li persuasero a non far novità. Il perchè, ac­costatisi poscia alle mura quelli eh’ eran usciti e vo­lendo esortarli ad accettar le offerte de’ Romani, non che loro badassero ,' ricusarono perfin d’ascoltarli, e sca­gliati Ior addosso sassi e dardi dalle mura li discaccia­rono. I Cartaginesi adunque pelle ragioni anzidette, per poco non guastarono le loro facceude, traditi da’ mer­cenari! ma Alessone dapprima salvi colla sua fedeltà agli Agrigentini non solo la città ed il territorio , ma eziandio- le leggi e la libertà , ed allora fu causa che i Cartaginesi non perdessero tutto.

Nulla di ciò erosi risaputo a Cartagine, ma conget­turando di quali cose abbisognassero gli assediati, em­pierono colà cinquanta navi di soldati, e preposero loro Annibaie., comandante delle galee, ch’ era figlio d’ Amil­care, (139) ed intimo amico d'Aderbale. Costui ammo­nirono con parole acconce al caso, e lo spedirono sol* lecitamente, imponendogli di non por tempo in mezzo e di soccorrer gli assediati , facendo opportunamente qualche colpo ardito. Spiccossi Annibaie dal lido con diecimila soldati, ed approdò alle ( 14o) isole Eguse, che giacciono tra Lilibeo e Cartagine, ove aspettò il tempo propizio alla navigazione. Alzatosi un buon vento favorevole , corse con tulle le vele gonfie a seconda del- T aura diritto nell’ imboccatura del porlo, colla genie sulle coperte delle navi annata e presta a combattere.

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A .din: I Romani, parte pella repentina compana, parte per­chè temevano non la forza del vento gli spingere nel porto insieme co' nemici, lasciarono d’ impedire 1’ en­trata del soccorso, ma stettero in mare, sbigottiti del-

1' audacia degli avversar». La moltitudine della cittì ran­nata tutta sulle m ura, in affanno dell’ esito, ed insieme lieta oltremodo della speranza inaspettatamente giunta, con battimenti di mano e grida inanimiva quelli ch’en­travano. Annibaie pieno d'ardire vi giunse a corsa, e dato fondo, pose i soldati iti terra a salvamento. Gli abitanti lutti rallegravansi non tanto dell* firmato socceno , seb­bene molta speranza e forza gliene crescesse, quanto del non essersi i Romani arrischiati d’ impedire l’ in­gresso de’ Cartaginesi.

XLV. Imilcone governatore della città, reggendo l’ar­dore ed alacrità de* cittadini pegli ajuti arrivali, e di coloro eh’ eran venuti, per non aver essi sperimentati i mali dell’ assedio , volendo trar partito dall’impeto ( i40 non per anche scemato d’ amendue le parli, per fiir incendiare le opere de’nemici, chiamò tutti a parlamento. Qdì con molte parole convenienti alla circostanza accese ne* loro animi immenso desiderio di pugnare ; percioc­ché a ciaschednuo in particolare che con valore si di­porterebbe fece grandi promesse oltre a’ doni di ohe, disse, sarebbe loro stata cortese la pubblica munificenza de’Cartaginesi. Applaudirono tutti ad una voce, e grida­rono non indugiasse ma seco loro uscisse : laonde egli, commendatili e gradita la loro buona disposizione, li- cenziolli, ordinando che andassero per tempo a riposarsi, ed ubbidissero a’ duci. Poco stante convocò i loro capi,

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ed assegnò a ciascheduno il luogo più conveniente alias- J .& R .

salto, manifestò loro eziandio il seguale ed il tempo dell’ attacco , e comandò a’ duci di recani a’ioro posti con lotta la gente intorno alla vigilia mattutina. Esegui­sco essi i suoi comandamenti, ed egli postosi in cam­mino coll’ esercito come prima si fece giorno, attaccò in molti luoghi le opere nemiche. I Romani, che pre­vedevano l’avvenire, non rimasero oziosi, n i sprovvisti, ma ovonque era d’uopo prontamente accorrevano e com­battevano valorosamente. In poco d’ora aflrontaronsi tu tti, e fiera divenne la zuffa intorno alle mura ; im­perciocché della citti eran usciti non meno di ventimila uomini, e ( i4*) quelli di fuori erano più ancora. Ma quanto maggiormente i soldati combattevano fuor delle file e promiscuamente a lor posta, tanto più infervo­ra vasi il cimento, sendochè in tanta moltitudine pu- gnavan corpo a corpo, e drappello con drappello , collo stesso ardore come se state fossero singolari tenzoni. Tuttavia le grida e la calca precipua era intorno alle opere. Conciossiachè quelli che dapprincipio da ambe le parti erano stati destinati, qua per discacciar chi guar­dava le macchine, là per non permetter che ciò si fa­cesse , erano di tanta emulazione e gara accesi, gli uni affaticandosi di respinger, gli altri Scaponendosi di non ceder loro punto, che alla fine ostinati morivano sul luogo che occupato avean dapprima. Con questi mischia- ronsi parecchi!, che portavano fiaccole, stoppa e fuo­co , e con tanta audacia da tutte le parti piombavano 6ulle macchine, che i Romani si ridussero all’estremo pe­ricolo , non potendo frenare l’ impelo degli avversarli.

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A.diR. 11 capitano de’ Cartaginesi veggendo die molli perivano nella pugua, senza potersi impossessare delle opere, per cui avea falla cotest’ impresa , ordinò a’ suoi irombadori di suonar a raccolta. I Romani, che per poco non avean perduti lutti gli apparecchi, impadronironsi final­mente delle opere , e recaron ogni cosa con sicurezza in salvo.

XLVI. Dopo questa bisogna Annibaie, da’ nemici non osservato, andò di notte tempo colle sue navi a (143) Trapani presso Aderbale duce de’ Cartaginesi ; imperciocché peli’ opportunità del luogo e la bellezza del porlo i Cartaginesi sempre con grande diligenza quella città custodivano. Era dessa lungi da Lilibeo circa centoventi stadii. Quelli di Cartagine volendo saper le novelle di Lilibeo, e non le potendo avere, dappoi­ché ( 144) un‘ eran rinchiusi, gli altri gelosamente guardati, uno de’principali, Annibaie 045 ) sopranno- mato Rodio, si profTerse di entrar in Lilibeo, e di ri­ferire ciò che co’ proprii occhi veduto avrebbe. Aggra- diron essi colai promessa, ma non se ne fidarono, es­sendo l’ armata Romana stanziala nel porto. Costui per­tanto , allestitasi una propria nave, salpò e tragittato in nna delle isole che giacciono rimpeilo a Lilibeo , il giorno appresso col vento in fil di ruota, (i4^) intorno all’ ora quarta , veggenti tutti i nemici, stupefatti dell’ar­dimento , entrò , ed il di seguente tosto si accinse al ri­torno. II console, volendo coti maggior cura custodir l’ ingresso, allestì nella notte dieci navi delle più velie­re , ed egli stesso stando con tutto l’esercito sulla riva, era spettatore di ciò che accadeva. Le navi da amendue

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le parti della bocca , accostatesi alla laguna quanto più A .d iR .

potevano , ( 147) arrestaronsi co’ remi alzati, in attitu­dine di assai lare e di prender la nave che fosse per uscire. Ma il Rodio, staccatosi apertamente dalla costa, insultava cotanto j nemici coll' audacia e colla celerilà del navigare, che non solo scappò fuori illeso colla nave e colla ciurma, passando dinanzi a1 vascelli romani quasi immobili , ma ben anche , correndo un tratto avan­t i , si soffermava ( 14®) co’ remi in aria, non altrimenti che se sfidasse gli avversar». E non osando nessuno di dargli la caccia pella velocità del suo remeggio , 1 andò a buon viaggio , dopo aver con un legno solo insultata 1’ armata nemica. Fece dipoi sovente lo stesso eoo grande vantaggio de’ Cartaginesi, coi significava volta per volta le maggiori orgenze, mentre che confortava gli assedia­l i , e strabiliar faceva i Romani col temerario suo ardire.

XLV1I. Ma soprattutto contribuiva all’ audacia di lui la pratica di que’ bassi fondi, per mezzo i quali egli esattamente segnata avea la strada. Imperciocché come ebbe' tragittato l’alto mare e fu surto , quasi che da Ita­lia venisse , dirigeva la prora verso la torre più vicina al mare, per modo che ne ( 149) reslavan adombrate tutte le torri che verso ('Africa sono voltate: unica guisa.d’imberciar il porlo per chi naviga con vento diritto. Nell’ arditezza del Ròdio affidali, molti che conoscevan i luoghi s’ at­tenterò uo di mettersi alla stessa impresa. Donde molla noja ricevendo i Romani si diedero à terrapienare ( t5o) l’ imboccatura del porto. Ma la maggior parte dell’ im­presa non riuscì pella profondità del mare , e perchè le materie che vi si gittavano non poteano fermarsi , nè

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'A. diR. io alcun modo rimanere unite per cagione del fiotto • dell’ impeto della corrente, cbe tutto ciò che giù lan- davaai, appena diaceto, sospingeva e sbaragliava. la un sito solo, ov’ era un basso fondo, fa rinato il terra­pieno a grande stento, nel quale arrenò una quadri­reme di singoiar costruzione, eh’ era uscita di notte, e venne in p o ta de* nemici. I Romani, di quella imposte»* salisi, la fornirono di scelta gente, e ttavan in agguato di tutti quelli eh’ entravano, massimamente del Rodio.11 quale per avventura entrato di notte, nel ritorno ve* leggiava scopertamente; ma voltatosi e scorgendo la ( i 5 i )

quadrireme , eh’ era seco lui uscita, la riconobbe e sbi­gottì. Dapprincipio tentò di fuggire, mercecchè era le­tto navigatore , ma vicino ad esser raggiunto f perei oc­chi la nave ( i5a) avversaria era ben fornita di rematori fu finalmente costretto a voltarsi e ad azzuffarsi co’ne­mici. Ma ( i53) rimasto inferiore a’soldati navali eh’eran molti ed uomini scelti, cadde in mano degli avversarli.I Romani insignoritisi di questa nave ancora, eh’ era ben fabbricata, e provvedutala di tutto il necessario, frenarono 1’ audacia di coloro che recavansi navigando a Lilibeo.

XLVffl. Gli assediati rialzavano assiduamente ciò che il nemico abbatteva, ma disperavano di guastar e di distrug­gere i suoi apparecchi; quando insorse ( i54) un vento che con tanta violenza ed impeto ( i55) resistette all’ac- costamento delle macchine, che scosse perfino le gal­lerie, e strappò le torri che a queste (i 56) stavano dap­presso. Allora alcuni mercenarii Greci, conoscendo l'op­portunità che offeriva la congiuntura di distruggere le

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opere de* nemici , apersero al espilano il lor pensiero. A.

Il quale approvato avendo la cosa, e preparato tulio ciò eh’ era d’ uopo all* impresa, i giovani mentovali , fatta di si una mano, in tre luoghi appiccarono il fuoco alle opere. Eran queste da lungo tempo preparate, quindi facili a divampare, e siccome il vento infuriava per modo , che conquassava le basi delle torri e degli altri edifisii, cosi grande pascolo ed efficace ebbero le fiamme; laddove difficili ed infruttuosi al tutto riusci- vano i sussidii e gli ajuli de’ Romani. Imperciocché il caso tanto spavento recava a quelli che accorrevano, che non poteano n i comprendere n i vedere ciò che acca­deva , ma accecati dalla fuUgine, dalle scintille e dal densissimo fumo , non pochi perivano e cadevano senza potersi avvicinare per frenar il fuoco. E quanto mag­gior era l’incomodo de’Rotnani pelle cagioni testi men­tovate , tanto maggior agio avean quelli che mettevan il fuoco, seodo che quanto offuscar poteva ed offendere la bufera cacciava addosso agli avversarli, e ciò che gii- lavasi o lanciavasi su’ difensori, e per sterminar le ope­re , coglieva nel segno, avendo libera la vista coloro che ti­ravano ed il colpo essendo più efficace pella sua veemen­za , e cospirando l’impeto del vento colla furia de’ com­battenti. Finalmente crebbe a tale il guasto, che le basi delle torri e ( i58) le travi degli arieti si rendettero disutili. P e r le quali cose i Romani disperarono di espugnar Lilibeo co lie opere ; ma cinsero la d iti di fossa e di steccato, e ti­ra ro n o un muro dinanzi al proprio campo commettendo l’e­sito a l tempo. Quelli di Lilibeo rifabbricarono la parte del m u ro caduta, e sostennero poi auimosamente 1’ assedio,

robusto , tomo /. 7

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A. diR. XLIX. Pervenuta a Roma la nuova di questi fatti,5o5 ed essendo sialo poscia riferito da molli, come la mag­

gior parte della gente navale era perita nella difesa delle opere e nel resto dell' assedio, fu con ogni premura eseguita una coscrizione di marinari, e raccoltine da dieci mila spedironsi in Sicilia. I quali, poiché ebbero passalo lo stretto, ed a piedi furono giunti nel campo,il console Publio Claudio, raunati i tribuni, disse, esser la circostanza opportuna per andar a Trapani con tolta l’ armata, dappoiché il duce de* Cartaginesi Ader­bale , comandante di quella città, preparalo ncn era ad una sorpresa, ignorava l’ arrivo della nuova ciurma, ed era persuaso che , pella perdita di gente avvenuta nell’ assedio, l’armata non potea navigare. Avendo lutti prontamente acconsentito, imbarcò egli incontanente la ciurma vecchia, e quella che di recente era venuta, ed elesse da tutto l 'esercito i migliori soldati, che sponta­neamente si olferivano, perciocché la corsa era breve , e la preda facile appariva. Con questo apparecchio salpò circa la mezza notte, seuza esser veduto da’ nemici. Dapprincipio raccolti veleggiavano, lasciando a man de­stra la terra ; ma come allo spuntar del giorno sursero le prime navi presso a Trapani, Aderbale in veggen* dole stupì dapprima di cosa tanto inaspettata, ma riavu­tosi tosto, e conosciuto 1’ avvicinarsi de* nemici , risol­vette di non lasciar nulla intentato, e di tollerar lutto, anziché esporsi ad essere stretto da un assedio che già imminente appariva. Il perchè raccolse subito le ciurme sul lido, ed i mercenai ii convocò fuori della città per mezzo di banditore. Poiché furono uniti, con breve

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diceria recò loro alla niente la speranza di vincere, ore J . i iR .

animosi combattessero , e le miserie di un assedio, ove badassero, temendo il pericolo. Mostrandosi essi pronti alla battaglia, e gridando cbe li conducesse, e non in­dugiasse , egli lodato e gradito il loro ardore, comandò che sollecitamente s’imbarcassero, e guardando alla sua nave la seguissero alla poppa. Dati cb’ ebbe questi or­dini spacciatamele, usci il primo in allo m are, e con­dusse fuori i suoi soli’ alle ru p i, dal lato del porto op* posto a quello per cui entrali eran i nemici.

L. Il console Publio, osservando contro la sua aspet­tazione che i nemici non cedevano , n i erano sbigot­titi del suo arrivo, ma accingevansì alla' pugna, a che le sue navi parte erano gii nel porto, parte nella bocca appunto , parte per entrarvi, ordinò a tutte di voltarsi e di tornar fuori. Allora quelle eli’ erano noi porlo, e quelle che lo imboccavano, nel girare s* impacciarono , e non solo ne nacque immenso tumulto fra la gente, ma delle navi ancora, oell’u riarsi vicendevoluieute, scliian- taronsi i palamenti. Tuttavia , a mano a mano cbe si sbrigavano , i comandanti delle galee schieravate presso al lido , ed iu breve tutte guardavan colle prore i ne­mici. Publio stesso navigava dapprincipio alla coda deU r armata, ma allora, voltatosi iu correudo verso I’ alto mare, pervenne all’ ala sinistra. Trattauto Aderbale, avanzata la stanca delle navi nemiche con cinipe va­scelli rostrati, piantò la sua nave di rimpetto agli av­versari! dalla parie dell’alto mare, e come ciasc'ieduna seguiva bandir ficea (159) che lo stesso eseguisse. Poi­ché furono lutti collocali in fronte, dato il segnale,

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A. diR. dapprima andò addosso a’nemici in ordine, mentre che i Romani restavano vicini a terra per ricevere le navi che fuor del porlo sorgevano. Donde avvenne che i Romani con grande svantaggio rasente la costa combatterono.

LI. Come si furono avvicinate , alzaronsi i segnali da amendue le Capitane, ed incominciò la zuffa. Dapprin­cipio era il, combattimento equilibralo, perciocché cia­scheduna parte valevasi del fiore della forza di terra; ma a poco a poco i (160) Cartaginesi divennero supe­riori , come quelli che in luna la battaglia erano a mi­glior partito. Imperciocché di gran lunga avanzavano i Romani nella celerità del navigare pell’eccellente costru­zione delle navi, e pella qualità delle ciurme, ed il sito ancora molto gli ajutava , distesa avendo la loro schiera dalla parte che guarda l’alto mare. Laonde, ove i ne­mici costretti gli avessero a ripiegarsi, essi sicuramen­te mercè del celere navigare potevano retrocedere ed uscire al largo ; e se taluno degli avversari! nell* inse­guire eraai di soverchio innoliralo, voltala la nave, quando correndo attorno, quando spingendosi ne’ fian­chi davano frequeuli assalti , e molli vascelli sommer­gevano, mentre che quelli giravansi a stento ed erano impacciati pel peso de’ legni e peU’imperisia delle dura­me. Che se alcuno de’ compagni era in pericolo, pron­tamente lo soccorrevano e meitevan in salvo, iraeodolo dietro le altre poppe in alio mare. Ma a’ Romani it contrario di ciò avveniva, i quali essendo incalzali non potean rinculare, perciocché presso a terra combattevano; aibbene, stretto che fosse qualche loro vascello da quelli che gli venivan addosso, o dava ne’ bassi fondi e vi arre-

I IO

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uva colla poppa, o porlato salta «piaggia vi era bat» A. £ ft. luto. Farsi strada per mezzo le navi nemiche, e sorger alle spalle di quelle che già eran nella zuffa impe­gnate , ( ripiego efficacissimo nelle pugne navali ) ren­deva» loro impossibile pella gravezza de’ vascelli, ed innoltre peli’ inesperienza de’ marinai. Nè polevan essi tampoco recar soccorso a chi ne avea bisogno, serrati com'erano alla terra , senza che rimanesse il più pic­ciolo spazio per ajutare gli angustiali. Il console , veg- gendo ciò che accadeva , e parte delle navi arrenata nei bassi fondi, parte sbattuta sul lido , si diede a fuggire, svoltando da mano manca luogo la costa, accompagnato da circa trenta navi, che per avventura gli erano vici­ne. Degli altri vascelli, che ascendevano a novanlatrè, in un colla gente impossessaronsi i Cartaginesi : sennon­ché alcuni spinsero le navi a terra , e se ne andarono.

LII. Per questa pugna navale Aderbale salì in gran fama presso i Cartaginesi , come quegli che da >è, e mercè della propria provvidenza ed intrepidezza conse­guita avea la Vittoria. Ma Publio (i6 t) ne venne in biasimo presso i Romani, e fu forte incolpato , dap­poiché con. temerità ed imprudenza avea proceduto , e , per quanto era in lu i, grave danno arrecato a Roma.II perchè, tratto poscia in giudizio, fu a grossa molta condannalo, e corse non lievi pericoli. A malgrado pertanto di cotali avvenimenti, i Romani, accesi dal desiderio del dominio universale , fecero tulio il possi­bile , e con fervore adoperaronsi nella coniinuazione dell’ impresa. Quindi giunto il tempo de’ comizii con­solari , ed eletti i nuovi consoli, mandarono inconta-

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A diR. nenie l'ano di loro ( 16») Lucio Giugno con vettovaglie per quelli che assediavan Lilibeo, e con ogni altra cosa necessaria al sostentamento dell’ esercito. Oltre a ciò armarono sessanta navi ebe gli fossero di scorta. Giu­gno, venuto a Messina, e presi seco tutti i vascelli che dall’ esercito e dal resto della Sicilia gli eran andati incontro, si partì in fretta per Siracusa con cento venti legni , e circa ottanta navi da trasporto che recavano i viveri e 1’ altra roba. Ivi consegnò a* questori metà dei legni da trasporto ed alcune galeotte , e spedili! , af­finchè con ogni sollecitudine portassero il bisognevole all’ esercito. Egli rimase a Siracusa, aspettando quelli che nel venir da Messina erano rimasi addietro, e per ricever il frumento dagli alleati dentro a terra.

LUI. Circa quel tempo spedi Aderbale a Cartagine , gli uomini fatti prigioni nella battaglia e le navi p rese.Il collega Cariatone mandò con trenta navi , oltre alle settanta con cui egli era arrivalo, ed ordinògli assalisse improvvisamente le nari nemiche stauziate a Lilibeo, s’ impadronisse di quelle che poteva , alle altre appic- oasse il fuoco. Fece Cartalone i suoi comandamenti, e sorpresi i legni avversarli di buon mattino , parte ne arse , parte ne trasse seco , onde givi) confusione in­sorse nel rampo de’Romani. Imperciocché mentre questi correvano in ajuto delle navi , ed alzava.isi le grida , Imilcone ch’era ( 1G3) alla guardia di Lilibeo, accortosi di quello eh’ e ra , e veduta poi ogni cosa come si fece gionio, mandò contro di loro i mercenari! fuori della città. I Romani , da lauti mali circondati , caddero in non comune avvilimento. Poscia il comandante dell’ ar-

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mata Cartaginese, ( i64) di pochi vascelli, tratti alcuni A .iiR , seco , altii spezzali, si parli da Lilibeo , ed andò un picciol tratto alla volta di Eraclea, stando in osservazione pe*interchiuder le navi che recavansi all’esercito. In quello annunziarono le vedette che un numero ragguardevole di navi d’ogni genere avanzavasi ed era gii vicino; ond’egli, bramoso d’ azzuffarsi, come quegli che pella precedente Vittoria dispregiava i Romani, si fece loro incontro. Egualmente ( i65) a’* provveditori eh* erano stati da Si* racusa spediti innanzi, avvisarono le galee, che sogliono preceder l’ armala , 1’ arrivo de’ nemici. Essi, non isti— tnandosi atti alla pugna f approdarono ad una picciola citti del loro dominio , che porto non avea , ma ca­le ( 166; e prominenze fuor del lido , cbe opportuna­mente stavan dattorno. Colà sbarcarono , e disposte le catapulte e le macchine da lanciar pietre eh’ erano bella città, aspettarono l’arrivo de’nemici. I Cartaginesi avvicinatisi, dapprincipio si accinsero ad assediarli, sup* ponendo che i soldati spaventati si ritrarrebbono in città, ed essi impunemente si sarebbon impossessati dei Vascelli. Ma essendo loro fallita la speranza, dappoiché quelli valorosamente difendevansi, ed il luogo presentava molle e vnrie difficoltà , dopo aver portate via poche iiavi cariche di vettovaglie, si raccolsero ad un fiume , ove afferrarono, ed osservarono la partenza de’ nemici.

LIV. Il consóle ri ma so a Siracusa, poiché ebbe re­cato ad effetto il suo proponimento , girata la punta di Pachino , navigò alla volta di Lilibeo , non sapendo ciò eh’ era accaduto a quelli eh’ egli avea mandati in­nanzi. Ma il comandante dell’ armata Cartaginese , av-

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4. & R. verlito di bel nnovo da’ segni degli esploratori eh’erano comparsi i nemici, andò ad incontrarli in ta tti fretta , con animo di attaccarli nella maggior distanta che polca dalle proprie navi. Giugno scorgendo da lungi Tarmata Cartaginese , ed il grande numero delle navi, non osando d’ affrontarsi , nè potendosene causare pella vi­cinanza degli avversari!, deviò in (167) luoghi aspri e per ogni conto pericolosi, e vi prese te rra , giudicando eh’ era meglio tollerar qualsivoglia caso, di quello che far cadere tutto 1’ esercito nelle mani de* nemici. Il co­mandante dell* armata Cartaginese , di ciò avvedutosi , non volle pugnare nè accostarsi a que' luoghi, ma 00- cupato certo promontorio e colà gittate le ancore , si pose in osservazione tra amendue le annate, non la­sciando di vista nessuna. Frattanto «opraggionse una burrasca, (168) ed il mare minacciava so unno pericolo, quando i nocchieri Cartaginesi, pella pratica che avean de’ luoghi e della cosa preveggendo dò che sovrastava, e predicendo ciò che sarebbe accaduto , persuasero a Cartalone di schivar la tempesta e di girare il promon­torio di Pachino. E fece egli gran senno : che i Carta­ginesi, superata la punta a grande stento, collocaron le navi in sulvo. Ma ainendue le armate Romane, soprap­prese dalla procella in siti al lutto importuosi, distrutte furono per modo, che nulla rimase , neppur de’ rolla­mi , buono a qualche cosa : tanto era oltre ogni creder grande la rovina.

LV. Per questo avvenimento gli affari de* Cartaginesi si raddrizzarono , e le loro speranze riacquistarono so­dezza. I Romani , che in addietro erano stati infe'ici

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anzi che n o , allora lo furono del tutto ; onde abban- A. di R.

donarono il mare , conservando la signorìa del conti­nente : laddove i Cartaginesi il mare dominavano, e non disperavano affatto della terra. Dopo queste scia­gure , tolti così a Roma, come nell’ esercito intorno a Lilibeo, deploravano il misero stato della repubblica.G ò non pertanto non desistevano dal proponimento dell* assedio , (169) ma gli uni per terra senza opposi­zione somministravano il necessario, gli altri dnravan al cimento quanto potevano. (170) Giugno , andato al- l’esercito dopo il naufragio, dolentissimo com’ era , po­neva ogni suo studio a qualche nuova impresa segna­lata , che risarcir potesse i danni sofferti. Il perchè es­sendogli presentata certa lieve occasione, occupò Erice per tradimento, e s’ impossessò del tempio di Venere e della città. Erice è un monte presso al mare in quella parte di Sicilia che g if» verso Italia , fra Trapani e Palermo , ma più confinante (171) e quasi contiguo a Trapani, e molto più alto di qualsivoglia montagna della Sicilia, dall’Etna in fuori. Ha desso sulla vetta un piano, ov’ è situato (172) il tempio di Venere Eridna, a confessione universale il più illustre per ricchezza e dignità di culto tra quanti ne ha la Sicilia. La città si distende appiè della vetta , e vi mena lunga e ripida salita. Collocò egli sulla cima un presidio, egualmente che sulla strada (173) per cui vi si ascende da Trapani, ed amendue i luoghi con ogni impegno custodiva,(174) ma la salita maggiormente, persuaso di assicurarsi così il possesso della città e di tutto il monte.

LVL I Cartaginesi elessero poscia a capitano Amil- 507

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A.diR . care soprannomato Barca , ed a lui consegnarono 1’ ar­mata. Questi, presa la forza navale, mosse per guastar l’ Italia, r Volgeva F anno decimo ottavo della guerra. - Spogliò il paese (175) de’Locri e de’Bruzii, e partitosi di là afferrò con tutta 1' armata presso al territorio Pa­lermitano, ed occupò il luogo denominato (176) Su l

Carcere, il quale giace sol mare (177) fra Erice e Pa­lermo , ed i reputato il sito più acconcio per porvi il campo con sicurezza , e per farvi lunga stanza ; per­ciocché é un monte da tutti i lati scosceso, che dalla pianura che gli sta dattorno sorge ad ona ragguardevol altezza. La sua circonferenza alla sommità non è minora di cento aiadii, e sotto a quella tutto il circuito è ac­cessibile cd atto all» coltivazione. (178) Alle brezze del mare ottimamente esposto, è desso al tutto scevro d’a* liimali mortiferi. Predpizii inaccessibili il cingono dalla parte della marina , e dove attaccasi alla terra di den* Irò, per modo che rimangono pochi intervalli che ri­chieggono qualche afforzamento. V ' ha su quello pare un eminenza , che servir paò di rocca, ed insieme di comoda specola per osservar il paese sottoposto. Pos­siede eziandio uu porlo, opportuno «.quelli che fanno vela da Trapani o da Lilibeo verso Italia , il quale è abbondantissimo d’ acqua. Tre sono le vie che menano « cotesto mouie, ma tutte difficili : due da terra , ona da mare. Colà pose temerariamente il campo Amilcare, come quegli che senza aver alcuna città alleata , nè qualsivoglia altra speranza, gittossi in mezzo a’ tremici. Ciò non di meno preparò a’ Romani non lievi brighe e pericoli. Imperciocché primieramente , partitosi di Là

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per mare , guastò la costa d’ Italia sino alla campagna A .diR .

di Cutnaj poscia essendosi i Romani accampati di ri lu­petto a lui aranti Palermo della distanza di cinque stadii circa, molte e varie zuffe appiccò seco loro per terra nello spazio di quasi tre ann i, le quali non si possono qui tutte partitaraente descrivere.

LVII. Avvegnaché siccome (179) ne’pugili (180) per generoso ardire e per robustezza eccellenti, allorquando dannosi battaglia per conseguir la corona, colpo sovra colpo s’assestano senza posa, e né i combattenti nè gli spettatori possono tener conto de’singoli assalti e colpi, o prevederli , ma da tutto il vigor della pugna puosai Dir convenevolmente ragione dell’ ardore , non meno cbe della perizia , forza , ed alto animo di ciaschedu­no ; (181) cosi ne’duci de’ quali ora parliamo. Diffalii le cause ed i modi, per cui ogni giorno ponevansi re­ciproche insidie , o le rendevano vane , e le sorprese e gli assalti, nessuno scrittore ad anuoverar giuguerebbe, ed agli uditori riescirebbe cosa infinita , e nessuna uti­lità è da giudicarsi che deriverebbe da siffatta lettura : sibbene peli’ espressione universale de’ fatti e peli’ esito della gara verrassi maggiormente a conoscere gli uomini mentovali. Conciossiachè non si omettessero (i8a; gli stratagemmi che traggonsi dalle storie, nè i ritrovamenti tolti dall’opportunità e dall’urgenza de’casi, nè i partili umerarii e violenti. Tuttavia per molte cagioni possibil non fu di venir a decisiva battaglia; perciocché le forze d’ amendue eran eguali, e gli alloggiamenti del pari inaccessibili pella fortezza de’ luoghi, e brevissimo l’ in­tervallo tra i due campi ; donde avvenne che ogni

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A.diR. giorno senza internizione succedessero conflitti parziali, ma nulla di definitivo si eseguisse. ( i 83) Perivano bensì ne’conflitti quelli che cadevan combattendo; ma coloro che ripiegavansi eran tosto tutti fuori di pericolo sotto la protezione de' loro forti, e voltata la faccia al ne­mico, di bel nuovo combattevano.

5 io LYIII. Ma non altrimenti che un ( i 84) egregio Ji- spensator di premii, la fortuna miracolosamente levolli dall' anzidetto luogo e dalla lolla antecedente, e li ridusse ad una ben più risicosa tenzone, ed in uno spazio più stretto. Imperciocché Amilcare , tenendo i Romani la cima e le falde del monte E nee, conforme abbiam detto , occupò la città dello stesso nome , eh’ era pel- l’ appunto tra gli accampamenti alla cima ed alle falde. Quindi fu che i Romani, stanziati sulla sommità ed assediali, con ammirabile costanza ogni pericolo tolle­ravano , ed i Cartaginesi oltre ogni creder resistevano, stringendoli i nemici da tutte le parti, e non si po­tendo recar loro facilmente le vettovaglie, dappoiché per un luogo solo e per una sola via comunicavano col mare. Tuttavia colà ancora amendue posero in opera 1’ un contra 1’ altro tutti gl’ ingegni e gli sforzi che si osano negli assedii, e tolleraron ogni sorta di priva­zione, facendo prova di qualsivoglia modo di attacco e di combattimento. Finalmente , non già siccome dice Fabio, spossati, e vinti da’ mali , ma quali uomini impassibili ed invitti, ( i 85) fecero pari; imperciocché pria che 1’ un 1’ altro superasse ( sebbene due anni di continuo nello stesso luogo puguassero ), la guerra per altra via incamminossi allo scioglimento. Quanto è dun-

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qu e ad E rice ed alle forze d i te rra , gli affari in tal A .

guisa procedevano. E ran pertan to am endue le repub­

bliche simili (186) a generosi galli , che p iù coll’ anim o

che colle forze com battono. C onciossiachè questi so­

vente , (187) perdu te per debo lezza le ali e rim asi col

aolo co ragg io , (188) sospendon alcun poco i colpi, m a

poi come a caso un ’ altra volta si precip itan addosso, e

afferransi fac ilm en te, finattantochè alla fine uno d ’ essi

cade. Cosi pure i Rom ani ed i C artag inesi , stauchi

delle fatiche ne’ continui cim enti , g iun ti erano all’ estre­

m a disperazione , e le loro forze erano grandem ente

scem ate pe’ tribu ti e pelle spese d i tanti anni.

L IX . (189) E ppure i R om ani dimessa non avean la 5 i

fierezza d’ a n im o , sebbene (1 9 0 ) da quasi cinque anni

abbandonato avessero del tu tto il m are p er cagion delle

sciagure so fferte , e perchè eran o persuasi d i dover por

fine alla guerra colle sole forze terrestri. Ma osservando

allora che la faccenda non p rogred iva secondo i loro

divisam enti , massim amente pel v a lo re del capitano C ar­

tag inese , determ inarono di co llocar pella terza volta le

loro speranze negli apparecchi n a v a l i , stim ando che sol­

tanto per via di tal consiglio , ove opportunam ente v’in­

sistessero, finirebbero la g u e rra con lo ro vantaggio.

Loccbè alla perfine eseguirono. Im perciocché dapprim a

avean lascialo il m a re , (191) cedendo a’ casi della for­

tuna ; poscia essendo stati sconfitti nella battaglia navale

d i T ra p a n i; ed allora fecero questa terza im presa , in

cui rimasi v inc ito ri, ed esclusa avendo dalle provvigioni

m arittim e l’oste d e ’ Cartaginesi presso E r ic e , condussero

a term ine ogni cosa. D el resto (192 ) ebbe il disperato

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J .d iB . a rd ire la m aggior parte in questa im p re sa ; perciocché

nell’ erario non era il danaro bisognevole alla spedizio­

ne , ma peli’ am or patrio e pella generosità di quelli

che reggevano la repubb lica fu trovato quauto bastava

a ll’ esecuzione del conceputo disegno. In rag ione delle

fa c o ltà , u n o , due e tre im pegnavaosi d i som m inistrar

unà nave da cinque o rd in i arm ata d i tu tto p u n to , a

condizione che in conform ità de’prosperì successi sareb-

bono compensati della spesa. A llestiron p er tal guisa in

breve tem po (193) dugento vascelli d a cinque p a lc h i,

che costru irono sul modello della nave presa al Kodio.

5 1 a E lessero poscia a com andante dell* arm ata C ajo L utazio,

e lo sped irono in sull’ incom inciar della state. 11 quale ,

il’ im provviso com parso in S ic ilia , occupò il porto d i

T rapan i e le stazioni di Lilibeo , poiché tu tto il navi­

glio de’ C artaginesi erasi ritirato a casa. Eresse poscia

delle opere in torno a T rapan i , ed apparecch iò ogni al­

tra cosa necessaria all’ assed io , in cui perseverò a tutto

suo potere. M a preveggendo insiem e l’ arrivo dell’ ar­

m ala C artaginese e ricordatosi del prim o proponim ento ,

com e non aveva a decidersi la guerra se non se con una

battaglia m a rittim a , n o n lasciava trascorrer il tem po

inutilm ente e nell’ ozio ; sibbeue sperim entava ed esor­

tava ogni giorno le sue ciurm e in quelle cose che fa -

cevan al suo d ise g n o , ed in ogni disciplina con grande

cura gl’ istruiva , per m odo che fra poco ridusse i ma*

rinai a com piuti atleti pel sovrastante cim ento.

L X . I C artaginesi, g iugnendo loro inaspettata la nuova

che i Rom ani navigavano con un ’ a rm a ta , ed cransi

u n ' altra volta appigliali al m a re , allestirono iuconla**

I IO

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nenie delle n a v i, ed em piutele di vettovaglie e delle al* A .

tre cose n ecessarie , le spedirono , non volendo che

l’ esercito d ’ E rice difettasse punto del bisognevole. C o­

m andante della forza navale crearono A n n o n e , il quale

lalpò , ed approdalo all'iso la chiam ata (ic)4) C e ra , si

p a rti in tu tta fretta alla volta d ’ E r ic e , affine d i de*

p o r v i , senza cbe i nem ici se n’avvedessero , le vettova­

glie ed alleviar le sue n a v i, poscia, presi tra i merce­

nari i quelli eh ’ erano i p iù atti alla milizia n a v a le , e

con essi B a rc a , affron tarli cogli avversarii. L u te z io , co­

nosciuto l ' arrivo d ’ A nnone , e fatta congbiettu ra della

sua in ten z io n e , scelse d ’ infra l’ esercito d i terra la mi­

glior g e n te , e recossi all’isola E g u sa , che giace di rin ­

contro a Lilibeo. Colà parlò a’ so ld a ti, conform e alla

circostanza convengasi , ed a’ nocchieri annunziò che il

g iorno vegnente sarebbesi data battaglia. In sul m attino ,

quand’ era già chiaro il di veggendo Lulazio che un

vento pieno soffiava in poppa a ’ n em ic i, e che a’ suoi

diflìcil sarebbe p e r riuscire la navigazione col vento contra­

rio , e col m are infuriato, dubitava dapprincipio di ciò che

aveva a fare. M a rifle tten d o , che ov’ egli com battesse ,

m entre che il m ar era tem pestoso, con A nnone e colle sae

forze navali ( ig 5) e co’ vascelli ancora carichi si affron­

terebbe ; laddove se aspettasse il tem po tra n q u illo , e la­

sciasse indugiando tragittar i nem ici ed u n irs i coll’ eser­

cito veterano , pugnar dovrebbe colle navi spedile ed

alleviate , e colla m iglior gente delle ferze di te r r a , e ,

quello che più d ’ ogni cosa m o n tav a , coll' audacia di

A m ilcare , della quale nu lla ?’ aveva d i p iù form idabi­

le : (.196) c iò , d is s i, rifle ttendo , risolvette d i non per-

1 1 1

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A d iR . d er la presente occasione. V edute adunque le uavi ne­

m iche co rrer a vele gonfie , salpò tostam ente. I m arinai

d i leggeri (197) rom pevan il fiotto (198) m ercè della

loro robustezza; quindi ben presto distese le navi in una

f i la , e stette con tu tta l’ arm ata a fron te de ' nemici.

L X I. I C artaginesi , com e osservarono che i R om ani

avean loro (199) ta g lia ta la strada , am m ainarono le vele,

e d incoraggiatisi recip rocam ente nave p er nave , attac­

carono gli avversar». Ma siccom e l’apparecchio d ’ am en-

du e costituito era in m odo contrario a quello della

battaglia di T ra p a n i , cosi ragion volle che l’ esito ancor

della pugna riuscisse con trario . Im perciocché i R om ani

avean (200) cangiata la guisa di costru ir le n a v i, e d e -

poste tu tte le cose p e sa n ti, tranne quelle necessarie alla

b a ttag lia ; i m arinai (201) esercitati all’accordo prestavan

loro eccellenti s e rv ig i, ed i loro soldati navali eran

uom ini d ’ invincibil ferm ezza , ed il fior delle forze di

te rra . M a presso i Cartaginesi era l’opposto di lu tto ciò :

le navi ca ric h e , e mal alte a com battere, i m arinai non

pun to am m aestrali e rau n a licc i, i soldati raccolti di fre­

sco , e novelli ne’ patim enti e ne’ pericoli ; perciocché

credendo non aver i R om ani giam m ai a d ispu tar loro

la signoria del m a re , dappoco tenevano e trascuravano

le forze navali. Inferiori adunque com ’ erano a’ Rom ani

in m olle p a r t i , non si tosto appiccarono la zuffa che

andaro^ in {sconfitta, e cinquanta delle loro navi affon­

d a ro n o , settanta ne fu rono prese colla gente. L e altre

a vele piene col favor del vento rito rnaro a G e r a , m u­

tatasi fortunatam ente e d ’im provviso l’au ra a seconda del

loro bisogno. Il conso le , recatosi all* oste di L ilib e o ,

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a ttèn d e rà con m olta cu ra a ' Vascelli tolti ed a’prigioni: che A.tU E .

poco m eno d i diecim ila erano gli uom ini presi in battaglia,

L X II. 1 Cartaginesi, ricevuta inaspettatam ente la nuova

d i tan ta r o t ta , avean i desiderii e 1’ am bizione p r o n t i ,

quanto l’ ebbero mai, alla guerra , ma non vi trovarono

verso: chè n o n poteano forn ir il necessario alle fo rse d i

S ic ilia , m entre chè g li avversarli signoreggiavano il m are.

Lasciale adunque quelle p e r d isp e ra le , e divenuti in

c e r io m odo tra d ito ri, ' n o n rim anevan loro nè b rac c ia ,

n è capitani p e r continuare la guerra. Il perchè m anda-

ro n incon tanen te p e r B a rc a , ed a lu i rim isero la sonvr

ma degli affari. Q u esti fece cosa veram ente degna d i

b u o n o e p ruden te Capitano. F inaitan tochè i Cartaginesi

aveano qualché ragionevole speranza d ’ u n esito felice,

n o n om ise egli im presa alcuna p e r quanto ard ila e pe*

ricolosa apparisse , e tu tte le p robab ili vie d i vincere

tentò quanto altro C apitano giammai. M a poiché p ? g r

g iorate fu rono le circosianne, e non restò nessuna lu ­

singa d i salvar quelli ch e sotto lu i m ilitavano , con sa­

vio consig lio , e d a d ac e e s p e r to , cedette alla p resente

necessità , e spedi am basciadori per t r a t t t r la pace. Im ­

perciocché è da reputarsi p a rta d 'eg reg io C apitano ri­

g u ard ar al tem po d i v in c e te , egualm ente che a quello

d i ceder la vittoria. L utazio volonteroso accolse l’ invi»

to , come colui che sapeva essere i R o m a n i, ( i o i ) fiac­

ca ti e)d oppressi dalla guerra. Cosi fu posto fine alle

contese (ao 3) e disteso il seguente trattato . A q u este con*

d iz io n i s ia a m istà f r a i C artag inesi e d i R o m a n i, ove ciò

p iaccia p u re a l p o p o lo d i R o m a . S g o m b rin o i C artag inesi

tu tta la S ic ilia , e. n o n fa c c ia n g u e ira a G e ro n e , n è

FOL1DIO , tom o t . 8

n 3

Page 118: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A .& R . m uovano le a rm i con tro i S ir a c u s a n i, n i c o n tr i i loro

a llea ti. R estitu isca n o i C a rta g in esi a’ R o m a n i tu tti i

p rig io n i se n za risca tto . P a g h in o in v e n i a n n i i C ar­

ta g in esi à R o m a n i d u e m ille d u g en to (ao4) ta le n ti e u io ic i

<F argen to .

5 i 3 L X IU . Q uesto la t ta to recalo a H om a n o n fu approvato

da! popolo, il quale spedì d ieci com m inarli p e r esam inar

la faccenda. C o s to ro , arrivati che fu ro n o , nella totalità

nu lla ca n g ia ro n o , m a estesero alquan to le gravezze im­

poste a* C artaginesi ; im perciocché r id u s s e » alla m età il

tem po prescritto al pagam ento de’ t r ib u t i , aggiunsero

m ille ta le n ti, e vollero inno ltre ohe i Cartaginesi sgom ­

brassero le isole tu tte che giacciono tra IWtalja e la Si*

cilia. A questi patti adunque e in potai guisa fini la

gu erra tra i Rom ani ed i C artag inesi pel possesso della

Sicilia : gu erra che d u rò ventiquatte ann i c o n tin u i, e

c b e , fra quante d i cui parla r udim m o , fu la p iù lu n ­

ga , la p iù seguitata e p iù g ra n d e , io cui o ltre alle r i ­

m anen ti (ao5 > battaglie ed apparecchi de’ quali d i sopra

p a r la m m o , un a ( a o 6 ) v o l ta , ove si som m ino le o a u

d*am be le p a r t i , pugnarono con m eglio d i cinquecento

vascelli da cinque o rd in i, (207) la i ira con poco m eno di

settecento. (108) P erdette ro i R om ani in questa guerra

da settecento navi da c inque o rd in i , com prese quelle

ch e periron n e l naufragio: i G artag io rti da cinquecento.

P e r tal m odo co loro che fanno le m araviglie delle pn»

gne navali e delle arm ate (309) d i A n tig o p o , d i Tolep

m eo e di D e m e trio , com e di queste còse saranno io*

form ati , a baoo d rillo stup iranno della grandezza d i

siffatte gesta. C be se alcuno calcolar v o rrà la differenza

u 4

Page 119: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

ohe bà tra le navi da cinque o rd in i e (juelle da i r à , J .iìJ L

d i cui si vallerò (a io), i Persi ani ne’ com battim enti con»

Irò i G re c i , ( a n ) e gli A teniesi e i Lacedem oni nelle

guerre eh ’ ebbero tra la ro , troverà che giam m ai tante

io n e ìq m are *' affron tarono . Q u in d i è chiaro d ò che

d a p p rin d p io abbiam o n e r i lo , aver i Rom ani non a caso,

i l i p e r favor d i fortuna , confortila «oiqbrtt ad alcuni

G o e d , « a b tQ m e?ila(neqte , poiché in u l i e tan ti a f ­

fari eransi esercitati, 900 solo arditam eple ereditata la

signoria e l’ im pero universale , Ria eziandio consegnili»

il |or<> propopiipentQ i

L X JY , S e^beue u « \ com prenderà ta luno p e r qpaj

Qagioup, intpoa^essatisi d i tu tta U te r r a , ed avendo or*

mollo m aggior potenza che uon ebbero in addietro a l i

leatir n o n (tossano ta u |e n ^ v i, n£ vPfrer il m are con lali

arm ate. T v tlavia It; cause di questa difficoltà si conosce-?

ran n o app ieno , a llo rquando perverrem o ad (a 1 a) esporre

U costitu^iojne del loro g o v e rn a , la quale gè dobfcjapt

dqì Iralt^w com 5 cosa ftccessqria » nè l ’ hauuo *i leggitori

a considerar coq poca alttuzioue. {m perdoccbè bello u t:

lo spettacolo 1 qua ignoto quasi che d i t t i , r in m to $ip<X

a’ nostri g io rn i , per colpa d i chi p e scrisse : che alena i

non copohbero l’ a rg o m e n to , altri ne federo) u n ’ oscura

e d inu tile sposizjoue. D el resto pella guerra anzi detta

troverassi essere state eguali' apiendue le repubbliche ,

n o n solo nelle r iso lu z io n i, m a eziandio nella m a g n a n i

9H tà , e massim amente nella gara pel p rim ato . QvuittQ

è a’ so ld a ti, f^ron i R om ani di g ran lunga più valorosi;

ma il C apitano più repu ta lo e audace d i qqell’eià fu

A m ilcare so^rannom alo B a rc a , padre di quell’AunibaJe,

che poscia guerreggiò co ’ Rom ani,

i *5

Page 120: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A.t& R. L X V . D o p a questa pace avvenne ad am èndae le re­

pubbliche u n caso singolare ed eguale. P resso i R om ani

segui la guerra ( a i 3) dom estica co’ F a lis e i, c b e p resto

e vantaggiosam ente fu da loro finita , essendosi in po­

chi giorni impossessati della loro r i t t i . I C artaginesi eb ­

b e ro circa Io stesso tem po una g u erra non ptccioU nè

spregevole co’ m ercenari!, e co’ N n n r i d i 'e ‘cogli A fricani

c h ’ eransi insiem e con questi r ib e lla ti, ' neUà quale so­

stennero d i m olti e grandi sp av en ti, e corsero r i « A ie

d i p en d e re , n o n cb e il d o m in io , sè stessi éd il p a trio

suolo. Q u i i prezzo dell’ opera che ci fermiamo per

m olti rispetti ; quan tunque, secondo il nostro prim o di­

v isam ente, farem o la narrazione ia com pendio e con

brevi parole. P rim ieram ente potrassi d à quan to a llo r av*

venne conoscere ottim am ente qual sia la n a tu ra e la forma

d i quella g u e r ra , cbe volgarm ente chiam asi (a14) se n za

f è d e ; poscia quali provvedim enti e cautele p rep a ra r deb­

b a d ì lunga m ano chi d i forze m ercenarie si v a le , evi­

dentissim am ente sc o rg e s i'd a siffatta congiuntura ; o ltre

ciò qual differenza sia tra costum i barbari e m escolati,

e le m aniere d i ch i è nelle liberali d iscipline , n ell’ ub ­

b id ienza alle le g g i, e nella civiltà educate. M a ciò d ie

£ iù m onta si è , che pelle gesta d i qtae' tem pi si com­

p renderanno ( a i 5) le caùse della guerra che sotto A n ­

n ibale insurse fra i R om àni ed i C artaginesi. In to rn o

alla quale , dappoiché non solo gli s c r it to r i , m a quelli

ancora che vi ebbero parte , dubitano tu tto ra quali n e

fossero i m o tiv i, Util 'cosà sarà di - addu rre la p ià ge->

nuitxa opinione ai leggitore curioso.

L X V L Com e prim a fu dato com pim ento alla sud»

i i 6

Page 121: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

detta p a c e , Barca tn d u f K a Lilibeo le fo rse eh* erano A ,d i R

a d E r ic e , e depose il capitanalo. G escone com andante

della a t t i occupava*! d i traghetta r i soldati in A frica ,

m a p ro teg g en d o l ’ av v en ire , con prudente cdnsiglio li

d iv i ie , e partitam ente im b arco lli, e spedilli in te rp o la

ta m e n ie , p e r d a r agio a 'C artagineai di pagar il soldo a

quelli che andavano g io g n eo d o , e d i m andarli da Car­

tag ine «He lo ro c a s e , pria che arrivati fossero quelli che

venivan d ie tro . G escone pertan to con qoesto intendi­

m ento eseguiva la spedizione ; m a i C artag inesi, parte

scarseggianti d i danari pelle passate spese, p arte persuasi

ch e im petrerebbon da* m erce n a n i qualche diffalco (a 16)

dagli stipendii lo ro d o v u ti, ove gli avessero tu tti raccolti

e ricevuti deiMro C artag in e , colà tra ttennero d a questa

speranza indotti j quelli che app rodavano , e li fe rm i-

ro n o in città. M a siccome m olte in iquità cotnmellevansi

d i g io rno e d i n o t t e , e la to rb a incom inciava a d ar d i

sé sospetto peli’ in tem peranza che a siffatta gente è fa­

m iliare , trattarono co’ condottieri che se n e andassero

tu tti nella d t tà di Sicca , e pigliassero p e ’ bisogni più

a rg e n ti un a m oneta d ’ o ro p e r ciascheduno, fin a lu n to -

chè si apprestassero li sa la rii, e fossero g iu n te le mi­

lizie rim ase addietro . P ro n ti e ra n o ad u b b id ir* , p e r ciò

che risguardava la partenza, se n o n che voleano lasciar

ivi le sahnerìe, conform e fatto avean altre v o lte , siccome

quelli che fra poco rito rnati sarebbono pegli stipendii.

t C artag inesi, tem endo , non coloro che dopo hm go

tem po fossero a rr iv a ti, per d es id e rio , chi d e ’ f ig lino li,

ch i delle m o g li, parte ricusassero d* u s c ire , p a r te , es­

sendo già u s c it i , ritornassero tosto alla volta de’ su o i,

i i 7

Page 122: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A .à iR . onde la CftlA « n o n m inori oltraggi sarebbe esposta ; d ò ,

d i m , sospettando, K costrinsero ooo m olta odievoleaza, a

loro m alg rado , d i recar seco le salm erie. I m eraenarii,

andati che furono ta tti a S ic c a , si stettero buona pesai

in ripono ed ozio ; la (a i J) qual cosa m inim am ente

ai convieue a soldati s tra n ie r i, ed è , p er cosi d ir an ­

che da sé so la , orig ine e cagione d ’ am m utinam ento.

V ivean costoro licenziosam ente, e disoccupati com 'e ra*

n o , alcuni tra loro si m ettevano a com putar il soldo

che loro d o v e a s i, esagerandolo , e facendo la somma

in m olti doppii m aggiore eh’ essa non e r a , « dicevano

che i Cartaginesi ben gliel’ avrebbero dovuta pagare.

T u lli poi riuhiam avan alla m em oria ( a i 8) le prom esse

d ie i d a c i , esortandoli in tem po di p e rico lo , avean loro

f a t te , ed erano in g rande speranza ed aspettazione dei

vantaggi che gliene sarebbono p e r ridondare.

L X V 1J. Il p e rch è , com e furon tutti raunati a Sicca,

ed A n n o n e , ch ’ era allora, capitano d e ll'A frica soggetta

a ’ C a rtag in esi, venne senza p o te r soddisfare alle spe­

ranze loro ed alle prom esse f in te , ma all’ opposilo ,

ragionando del peso de’ tribali e della somma ristret­

tezza in coi trovavosi la d u i , pregò i soldati che r i-

nunsiassero a qualche p a n e degli stipendi! che d ’ ac­

co rdo eran loro dovuti , insurse tosto discordia e sedi­

n o n e , e laceratisi frequenti com briccole , ora delle

singole nazioni se p a ra te , ora d i to lte in s ie m e , p e r

m odo e h e , diverse essendo le genti e le lin g u e , era il

. cam po pieno di (319) confuse favelle, di tum ulto (aan)

e turbam ento. È pertan to d a sa p e rs i, che i Cartaginesi

valsom i d i milizie varie e to n d o n e , affinché n u a’ ai<

118

Page 123: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

to rd rtio agevolm ente i d am m u tin a rs i, « non incnfaUM A .i iR .

te rro re a’capitani j lòccbè perfèttam ente dUengoAo oobì-

ponendo l’ esèrcito d i m olte n a z io n i; m a ove risvegliato

nasi odio , i r a , o ribellione; ed abbiasi ad istru ire ( ad

■tn m a n ta rè , ed a ricondurre al dovere i in v ia li, co lgon

al tu tto fuori del segno; Im perciocché colali milizie j

quando m ontan in i r a , o concepiscono qualche o d io ,

n o n isfbgansi colla m align ili degli a ltri uom ini , m a

inferiscono al tu tto , e divengono furibondi. Ciò a questi

p u re accadde : cbé eran essi I b e r i , C e l t i , ed alena i

L iguri e B àle iri , e v’ àvea non pochi G reci b as ta rd i,

la m aggior parte d iserto ri e schiavi ; m a il p ià g ran

num ero erano Afrifcani. L aonde possibil non era d i t'ac­

coglier tu tti insiem e a p a rla m e n to , né d i trovar a ciò

alcun a ltro com penso. E to m e m ai ? dappoiché il ca­

p itano non avrebbe p o tu to conoscere i linguaggi d i da*

Scheduno. C onvocar a ragunanza p er m ezzo d i p ià in ­

te rp re ti , cbe ripetessero quattro o cinque volte la me­

desim a cosa , stato sarebbe , quasi che d iss i, espediente

ancor più del prim o ineseguibile. R im aneva , che m e­

d ian te i condottieri si facessero 14 inchieste e le am -

m onizioni ; locché A nnone ingegnavasi di far continua-

m entè. Ma costoro so v ra ttn tto , o non capivano d ò che

d icevasi, o dopo aver assentito al e a p ila n o , riferivano

alla m oltitùdine il con trario j ch i p e r ig n o rà n z a , chi

p e r m alizia. D onde avvenne che d ap p e rtu tto era Oscu­

r i t i , mala fede , confusione. O ltre a d ò credevano n o n

aver i C artaginesi a bello studio m andati lo ro que* ca­

p itan i che consd i erano d e ll’ o pera dà lo ro prestala

nella guerra d i S ic ilia , e che avean loro fatte le p re -

” 9

Page 124: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

i a o

4 - «e s s e , ma tali che a nessuno d i qne’ fatti e ran o stati

p resen ti. F inalm en te d ispregiando A n n o n e , e diffidando

■de’ duci subaltern i , p ieni d ’ ira c o n tri i C a rtag in e s i,

partirousi alla volta della c i t tà , ed accam parono in z u ­

m e rò d ’ o lire ventim ila presso ( a a i) T u n esi, distante d a

•Cartagine circa centoventi stadii.

L X Y IIL {■ Cartaginesi s’ avvidero dell' e rro re com*

messo allo rquando era inu tile il conoscerlo. A vean essi

grandem ente fallato accozzando tanta m oltitud ine di

jne rcenarii in u n sol lu o g o , (a a a) nessuna speranza

po tendo ripo rre nelle arm i u rbane all’ uopo di qualche

g u erra . M a il peggio si era ch e avean lasciatj partire 1

figli e le m ogli d i costo ro in u n colle salmerie, i quali

•se avessero ritenuti p er ostaggi , si assicuravano m iglior

-partito , e rendevano i soldati p iù docili alle lo ro ri­

chieste. C hecché n e fo sse , spaventati del viaino accam­

pam ento , tu tto sofferivano , ingegnandosi d i placcar la

loro collera. M andavano fuori in abbondanza le v e tto ­

vaglie d i cui abb isognavano , e le vendeano a’prezzi che

piacean a quelli d i stabilire. Spedivan d i con tinuo am -

basciadori tolti dal Senato , che loro prom ettessero di

fare tu tto d ò che chiedevano, p u rché possibil fosse. Ma

i m ercenarii inventavan ogni g iorno nuove pretese, fatti

p iù audaci dallo sbigottim ento ch e osservavano ne’ C ar­

taginesi. I cim enti che sostenuti aveano in Sicilia contro

le legioni R om ane ispiravan loro la fid u c ia , che nè i

C a rtag in esi, nè qualsivoglia altra nazione po trebbe fa­

cilm ente ven ir seco al paragone dell' arm e. Q u in d i ,

n o n sì tosto ebbero concesso lo ro i Cartaginesi quanto

avean. chiesto relativam ente agli stipendi!, che andarono

Page 125: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

p iù là , e pretesero il valore d e ' cavalli m orti. A vendo A . <£R.

c iò ancora conseguito , d issero doversi lo ro pagare il

valsente d e l p an a g g io , cbe d a luogo tem po lo ro com -

-petevasi, a l m aggior p rezzo eh’ e rasi fatto nella gnerra.

la som m a sem pre aggiungevano un a qualche n o v ità ,

( a a 3) estendevano il pagam ento all’im possibile, avendo tra

lo ro m olti nom ini m aligni e sediziosi. G ò non d i m eno

p rom ettendo ì Cartaginesi tn tto ciò che potea farsi, ae-

-corisentirono che gli a r tic o li, su cni qo istionavasi, foa-

sero rim essi all’ arb itrio d ’ a n o d e ’ capitani eh’ e ra stato

in S icilia. C o n A m ilcare B arca , sotto cui avean milk-

tato in S ic ilia , erano c o rru c c ia ti, credendosi massima­

m ente p e r cagione d i lu i tra sc u ta ti , perc iocché noti

era venuto a loro p e r am ba sci «dorè , e d avea sponta­

neam ente deposto il capitanato. M a a G escone porta ­

vano graude benevolenza , com e a quegli che quando

fu lo r duoe in Sicilia provvide a’ lo ro bisogni colla

m aggior c u r a , singolarm ente nel rito rno . I l perché lu i

elessero ad arb itro , delle lo ro contese.

L X IX . V enu to adunque G escone per m ase co’ da­

n ari , ed app rodato a T u n e s i , (12^) p rese dapp rim a

in disparte i c o n d o ttie ri, poscia raunó la m oltitudine ,

nazione p e r nazione. R infacciò lo ro il passato , e tentò

d ’ istruirli del p resen te , m a sovrattnlto gli am m oni pel-

r avvenire , p regandoli che benevoli si dim ostrassero a

ch i da si lungo tem po dava loro il soldo. F inalm ente

si accinse a pagar gli stipendii re s ta n ti, fàeendo la di­

stribuzione secondo le nazioni, (a a 5) M a era tra lo ro

certo S p e u d io , d i nascita C a m p a n o , schiavo disertalo

da’ R o m a n i, uom o d i sm isurata forza ed audacia teme-

12*1

Page 126: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A . <£R. r a n a in guerra. Cosm i tem endo , n o n il suo pad rone

venisse a p renderlo » e secondo le leggi R om ane il fa­

cesse m orir fra to rm e n ti, con delti e falli tu tto tentava

p e r rom pere il tra tta to co’ Cartaginesi. A la i unissi tal

M alo A fricano * uom o invero d i libera condizione , è

che cogli a ltri avea m ilitato * ma eh* e ra a u to autor

p rincipale d e ’ m òvim enti an tid e ili. D ub itando adunque

eh* egli pagato avrebbe il fio peg li a l t r i , Sosteneva la

m édesim a opinione che S p e n d io , e , traendo se p a ra ta

m ente gli A fricani * tappreséniava lo ro c o m e , p a n ile

che si fossero le a ltre nazióni pelle lóro pairie , dopo

-il ricevim ento degli s tlp en d ii, i C artaginesi versereb-

bono su lo ro l’ ira concepula contro quelli ancora, con

attim o di spaventare per m ezzo d i siffatta punizione

tu tti i popoli d ’ A frica. IrritarOnsi i soldati subito a co­

tali d is c o n i, e colto il lieve p re te s to , che G escone pa­

gava bensì il soldo 4 m a i p re ss i del frum ento e dèi

cavalli ad dltro tem po d iffe riv a , corsero incontanente a

raunarsi. A S pendio ed a M a io , che vituperavano ed

accusavano GeScone ed i C a rta g in e s i, davano rè tta , ed

ogni loro parola a tten tam en te asco ltavano , m a se alcun

a ltro faeevasi innanzi p e r co n sig lia rli, non aspettavano

finché conoscessero Se egli proponeva qualche partirò

contrario o consentaneo a ciò che diceva S pend io , ma

nell’ istante 1’ uccidevano a fu ria di sassi. P e r ta l guisa

in questi tuitìulii aifimazzaroti e condottieri e gregarii ,

- fe la sola espressione che in com une com prendevano

era (29.6) d ò g li , perciocché d i conlinoo 1* eseguivano ,

è singolarm ente quando ubbriachi dopo il p ranzo co n -

- correvano. Q u in d i purché alcuno incom inciasse a g rid a r

1 3 2

Page 127: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

d d g l i , tan to e con tale celerilà m enavano le m ani da A .& R

tu lle le p a r t i , che ch i e ra » un a volta a cresta lo nofa

potea più scam parti. A lla fine nessuno arrischiandoci

più p er colai cagione di recar in m ezzo n n qualche

consiglio , crearono lo ro capitani M alo e Spendio-

L X X . Gescone vedea ta tto lo (337) sconvolgim ento

e la c o n fu s io n e , m a sovra ogni cosa ponendo 1* utilità

della patria ( e considerando c h e , ove costoro infero­

cissero, i Cartaginesi verrebbon in m anifesto pericolo d i

p e rd e r to l to , (328) cimentossi , è rim ase saldo n e l suo

propon im en to , ó ra chiam ando i capi in d isparte , o ra

raunando separatam ente ed esortando ciascheduna na­

zione. T uttav ia n o n avendo per anohé gli A fricani con*

seguiti gli s tip en d ii, e ch iedendo essi con baldanza che

lo r fossero d a t i , G escone , che- p n n ir volea la lo ro te­

m e rità , im pose loro di dom andarli a M ato lo r capitano.

A ciò essi in tanta ira m ontarono, che, senza porre il p ià

m inim o tem po in mezzo, c o n e ro prim ieram ente a rap ir il

danaro eh ’ era oolà pron to , posoia arrestarono G escone e

tu tti i C artaginesi cbe seco Ini erano.' Mato e Spendio,

supponendo che sobitorneate accesa sarebbesi la g u e r ra ,

ove con qualche fatto avessero violate le leggi e la fede,

stim olarono 1’ avventataggine della tu rba , e , co’ danari

rap irono ancora le suppellettili de’Cartaginesi, e G escone

co* suoi legarono villanam ente e m andarono in carcere.

P e r tal m odo aperte ostilità usavano già verso d e ’ C a r - 5 i 4

tag in es i, facendo em pia congiura e contraria al com un

diritto delle genti. Q ueste furono le cause , questo il

principio della guerra co* m ercenarii, chiam ata Africana. -

Mato t dopo le azioni m entovate , spedi incontanente

123

Page 128: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

4. d i R . am basdadori a tu tte le d t tà «T Africa , eccitandole alla

lib e rtà , e richiedendole d ’ a ja ti e d i a s io c ian i alT im -

prèsa. In appresso, avendo quasi tu tti i popoli d 'A frica

pron tam ente acconsentilo a ribellarsi da’ Cartaginesi , e

d i bo o n grado spediti loro soccorsi di vettovaglie e di

g e n te , divisero le forze , e recaronsi ad assediare ,

c h i (229) U lic a , ch i (a3o) Ippone Di airi lo, perciocché

q u es te città non voiean aver parie nella ribellione.

L X X L I C artaginesi, che soslenlavano sempre la vita

co’ p rodotti delle loro cam p ag n e , ma i pubblici appa­

recch i e le Spese d i guerra traevano dalle rendile d e l -

l ’A frica, ed oltre a ciò erano accostumali a g uerregg ia r

con forze s tran iere , privati allora non solo ad u n tra t to

d i tu tte queste cose improvvisa niente, ma veggendo a n ­

co ra ch e ciascheduna d ’esse voliate s’era in loro rovina,

a g rande avvilim ento e disperazione si ridussero, com e

quelli cui inaspettati giugneauo si (Tatti avvenimenti. Im ­

perciocché , rifiniti pella guerra di Sicilia , speravano

c h e , effettuata la p a c e , respirerebbono alquanto e r i -

m etterebbonsi in tollerabile sialo. Ma avvenne loro tu t to

1’ opposto : chè insulse guerra maggiore e più formida­

bile. In add ietro com battu to aveano co’ R om ani pella

Sicilia ; ora p er sé stessi e pella patria im prendevano

u n a guerra intestina. Olire a ciò non copia d ’ arme ,

no n forze m a rittim e , non naviglio possedeano, essendo

in tante battaglie navali rim asti inferiori. Nè aveano

essi (a3 1 ) provvigioni d i vettovaglie o di d a n a r i , nè la

p iù p icdo la speranza che d i fuo ri am ici o alleati l i

sovvenissero. A llora b ene conobbero quanto d iffe r isca

un a guerra straniera e d ’ oltrem are da u u am m nliru t*

124

Page 129: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

m eato e tum ulto dom estico. Ma eran essi p rincipalm ente A. d i fi.

a aè d i ta li e tan ti m ali cagione.

L X X II. Conciossiachè nella gu erra p re c e d e n te , p er

motivi cbe credevano g iu s t i , acerbo dom inio e s e r c i ta i

se rc rsu ’ popoli d’ A frica. (a 3a) D alla cam pagna p ig lia»

vano la m età d i ' tu tti i p ro d o tti, ed alle città im pone*

van il doppio de’ trib u ti d i p r im a , n o n facendo grazia

agl’ in d ig e n ti , n è concedendo à nessuno la p iù picciola

agevolezza. In p reg io ed ono re av ean o , non que’ go­

vernato ri che con dolcezza e d um anità i popoli tratta­

vano , sibbene quelli che fbrnivan lo ro m aggior danaro

e r o b a , e (» 33) i paesani opprim evano nel m o d o prù

crudèle. U no d e’ quali e ra A nnone. Il perchè la gen te ,

non c h e d*esser.eccita ta a ribellarvi , appena avean b i­

sogno d ’ esserne avvertili. L e d o n n e , che avanti questo

tem po indifferenti vedeano trascinar nelle Carceri i m a­

riti ed i figli p e r cagione de’tribu ti, cong iu rarono nelle

respetìive città ' d i Qon occultar alcuno de’ lo ro effetti, 6

spogliatesi dec lo ro ornam enti, senza opposizione li p ro ­

dussero in mezao , p e r form arne i salarii a’ sò ld a ti , 0

tanta abbondanza procacciarono a M ato ed a S pendio ,

dhe non solo f o ra to pagali gli stipendii dovu ti a* m er­

c e n a r i , conform e aveano patteggiato p e r farli ribellare ;

m a d ie n e avanzò eziandio p e r con tinuar le spese.

( a 34) T a n to , chi appigliarsi vuole a buon i consigli ;

n o n Solo al p re se n te , m a all’ avvenire ancora dee rH

guardare.

L X X IH . C iò 'n o n pertan to i C a rtag in e s i, sebbene

avvolti in tanti m a li, preposto all* esercito A nnone , i l

quale già p rim a avea lo r assoggettata la pa rte d ’ A frica

125

Page 130: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A .d ìR . in to rn o (a35) a C sn to p o rte , fecero ra g m a ta d i m eree—

n a n i , arm arono i cittadini eh ’ erano in età da guerreg-*

g ia re , esercitarono • disciplinarono la cavalleria u rh a a a ,

ed allestirono le navi eh’ eran lo ro rim ase , galee v a r

scelti da cinquanta r e m i , e le qiaggiori . barche eh’ a»

veano. F re tiam o M aio e S p en d io , poiché furon a km »

v ena ti da settanta m ila A fricani , p a rtile le fo rs e , a t ­

tediavano itnpnnem enle U tica a D istrico , ed afTbrsaijn

negli alloggiamenti di T u n esi, escludevano i Cartaginesi

d»ir A frica ta tla . Im perciocché (»3 6 ) g » c e la ch là di Cartagine in un seno d i m are , e ipQrge in fuori a

m odo d i p en iso la , circondala pella m aggior p a r ta , q u a

4al m are, là da u n lago. ( * ì j ) L o stretto che a ll’ A frica

la nn isce (a 38 ) £ largo reo ticinqne aladii. Del lato ch e

guarda il m are £• non lungi la città d i U lica; dall’ a ltra

nella d irittu ra d e l lago i Tuneai. N e ' quali d u e luoghi

accam pati essendosi i m eveedarii, e tagliando a’ Carta­

ginesi la cam unicaaioaa colla cam pagna ' , m in anciavano

città stessa , a quando di g io rno , quando di no tte avvici Davanti alle m ura , riem piendo g li abitanti

te rro re e d i tum ulto.

L X X IV . (a3g) A nnone adoperava*! a p roposito n e tr

l’^ l ts t i r e gli apparati d i guerra, e d em in quest* p arta

m olto destro. M a non si tosto usciva egli coll* e se rc ito ,

ch 'e ra o n a ltro ; perocché m ale coglieva le o p p o rtu n ità ,

e lu tto faceva senza perizia e neghittosam ente. Recatosi

adunque prim ieram ente ad U tica p e r soccorrere gli

se d ia ti, e spaventati ayendo i nem ici coll# (moltitudine

degli elefanti , de’ quali non avea m euo di cento , ed

csseudo poscia in spi p u n to 4 ’ o ttenere com pilila viUQn

i a 6

Page 131: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

r i a , co ti n u le si d ipo rtò , che veone io pericolo d i A .& R .

perdere sé stesso e gli assediali. Im perciocché fatte

( • 4o) rec a r da C artagine le catapulte , le balestre , e

lo tte in som m a le m acchine d ' a ssed io , e accam patosi

d inanzi ad U lica, prese ad assaltar lo steccalo de’oeipici.

E d entrati g li elefanti a furia nel com preso , n o n po­

lendo i nem ici sostener P im peto d i quelle moli , p re -

cìpilaronsi tu tti fuori del cam po , e m olti ne m orirono

feriti dalle b e lv e , e quelli che scam parono arreslaronsi

•opra u n colle forte e denso d ’ alberi , affidali nella si*

carezza che lo ro offeriva il sito. A n n o n e , avvezzo •

guerreggiare con N um idi ed A fricani , i quali , com e

in co m in d an a piegare, foggono dilungandosi pel tra tto

d i due o tre g io n n i, stim ando allora p u re i nem ici fi­

n iti , e v in ta ogni co sa , neglesse del tu tto i soldati ed

il c a m p o , ed (a 4 0 en tra lo io pttA attese a ristorarsi.

M a i m ercenarii eh1 erano fuggiti sul c o lle , allevali

nfJT audacia d i Barca , e ne’ com battim enti d i Sicilia

aam efàtti a , sovente nello stesso g io rno , quando ritira rs i,

quando v o lta rs i, e d assalir i n e m ic i, com e riseppero

d ie il capitano se n ’ e ra andato in città , ed i soldati

p e t cag ione della vittoria po ltrivano e dileguavansi d a l

c a m p o , aggom itolatisi assaltarono g li alloggiam enti a

m olti ne u cc ise ro , gli a ltri costrinsero a ripararsi ver»

gQgnosameqle sotto le m ora ed alle porle , Im possessa-

ronsi d i to tte le calm erie e di tu tte le m acchine degli

assed iam i, che A nnone avendo colle altre cose fatte

po rtar fuori d i C artagine , ridusse a cader nelle mani

de’ nem ici. Nè iu quell’ incontro soltanto A n n o n e operò

in fin g a rd o , q u dopo alcuqi giorni anco ra , esseodou

137

Page 132: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

presso G orza l’ oste avversaria d i r in co a trò a lu i ac­

cam pata , ove gli si offerse opportun ità d i v irioere, d u e

volte ia battaglia schierata , e due volte p er im provviso

attacco: che sebbene allora il cam po d e ’ nem ici gli fosse

v ic in o , egli am endue queste occasioni si lasciò in fin ta

tuosam ente e d a m al accorto sfuggire.

5 15 L X X V . P e r la qual cosa i C a rta g in e s i, osservando

com1 egli m ale am m inistrava g li a f f a r i , preposero alT e -

■e rd to A m ilcare Barca , e lo spedirono p er capitano

nella presente guerra, dandogli settanta elefanti e quanti

m ercenarii po terono accozzare , con queUi eh ’ erano di»

•ertati d a’ n e m ic i, ed insièm e la cavalleria e la fan teria

u rbana , p e r m odo che (»4*) tu tti somm avano diecim ila.

Q uesti subito nella p rim a ' sortita coll’ im peto inaspet­

ta to spaventò ed avvili i nem ici e sciolse l'assed io d i

U lic a , m ostrandosi degno delle opere p assa te , e del-

F aspettazione di ta tti . L e gesta d i la i in questa spedi­

zione sono le seguenti. L a lingua d i te rra -ch e oongiunge

C artagine coll’ A fr ic a , è attraversata da colli d i difBcil

accesso, «u cui lavorate sono s tra d e , che m éttono nella

cam pagna.' M alo occupati aveva e presidiati tq tti i Ino*

ghi situati vantaggiosam ente su* colli anzidetti. O ltre a

ciò siccom e il fium e (a43) M acara im pedisce sim ilm ente

in alcuni luogh i il passaggio a quelli eh’ escono nel

contado , e pella grossezza delle acque il p iù delle volte

n o n può guazzarsi ; cosi M ato P unico ponte , che ave*

sop ra , assicurò con fortificazioni, e (»44) fabbricò dap*

presso u n a città. D onde avvenne che i C artaginesi, noci

che passar còli’esercito nella cam pagna, n ep p u r ad u n o

ad u n o sbucar po teano facilm ente senza esser' C edu ti

ia8

Page 133: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

da’ nemici. Ciò considerando A m ilcare, in tento com’egli A . di R.

era a valersi d ’ ogni opportun ità d i cose e di tem po ,

dappoiché non y era m odo d ’ u sc ire , im m aginò colai

ripiego. (^4 5 ) O sservando che il fiume su d d e tto , allor-

qnapdo certi venti insorgevano , ove sbocca nel m are

em pievasi d i s a b b ia , e vi si form ava u s a .strada g u a-

d o s a , p repara la ogni cosa pel passaggio dell’ esercito, e

tenendo in sé il suo disegno , aspettò il m entovato ac­

cidente : il q u a le , com e sopraggiuose , mosse d i notte­

te m p o , e da nessun veduto traghettò in sul fa r del

g iorno nell’accennato sito tu tte le sue forze. Inaspettato

g iunse 1' aflàre agli, avversarti ed a quelli della c i t tà , e

frattauto Amilcare: proseguiva p e r il piano alla volta d i

coloro che custodivano il ponte.

L X X V I. Spendio , conosciuto ciò eh ' e ra , si fece

incon tro ad A m ilcare nella «pianura : e soccorrevansi

m u tu am e n te , quelli della città presso al ponte , in n u ­

m ero di dieci mila, e quelli eh ’ efano veduti, da U tic a ,

che a quindici m ila ascendevano. Poiché (?46 ) faron a

c o n ta tto , credendo che i Cartaginesi fossero presi in

mezzo , assiduam ente (»47) l* n o 1' altro esortava ecci­

tandosi , ed attaccavano i nem ici. A m ilcare continuava

il cam m ino , facendo m arciare g li elefanti in f ro n te ,

dopo questi la cavalleria ed i fanti leggeri , e r nel re ­

tro guardo la grave arm adura. C om e vide che gli av»

venarii andavangli addosso tem erariam ente, ordinò a ’suoi

che tu tti si voltassero. Q u d ji eh ’ erano nelle prim e file

fece in fretta volgersi , e collocarsi di d ie tro , e quelli^

«he dapprincipio erano stati alla coda , fece g ira re , e

schierò al cospetto de nemici. G li A fricani ed i m e r-

i>o l i b i o , tom o l . 9

139

Page 134: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A . d i fl. o en a rii, stim ando eh’ e u i fuggissero sp a v en ta ti, scom­

posero le Gle e gli assaltarono m enando fo rte le rflatii.

Ma non sì tosto la cavalleria , appressatasi alla gente

schierata , voltolai e fece a l to , ed il resto d e ll ' esercito

diede la ca rica , che gli A fricani, sbigottiti d ell’ inaspet­

ta to e v e n to , p iegarono e la d iedero a g a m b e , come

quelli che inconsideratam ente e spicciolati gli avean in­

seguiti. Indi gli no i cadendo sulla p ropria gente ch ’era

lo ro alle spalle , rovinavano, e a sé ed a 'su o i recavano

strage ; gli afcri , e d e ra n il m aggior num ero , veniano

protniacaam énte ta l pestati da’ cavalli e dag li elefanti «he

gl’ incalzavano. P e riro n o da sei mila tra Africani e Stra­

nieri , e due m ila ne furono presi ; i rim anenti fuggi­

rono , chi nella città presso al ponte , eh i nel cam po

presso U rica. A m ilca re , ripo rta ta avendo la vittoria nel

m odo an z id e tto , tenne im m antinente dietro al nemico.

L a città vicina al ponte prese d ’ assalto , ed i nem ici

che vi erano l’ abbandonarono e fliggironó a Tunesi.

C orse il resto della cam pagna, ed alcuni luoghi costrinse

ad a r re n d e rs i, la maggior p a n e prese colla forca. Così

ispirò a’ Cartaginesi alcun poco d i fiducia e d* ard ire f

avendoli sollevati alquanto dalla disperazione in cu i pria

trovavanai.

L X X V Il. M ato frattanto durava nell' a tted io d ’ Ip -

p o n e , e ad A utarito condofliere de’ G alli ed a S pendio

consigliava d i n o n si lasciar sfuggire i n e m ic i, m a di

evitar il p iano , perciocché gli avversàri! abbondavano di

cavalli e d ’ e le fa n ti, e di (a4 8 ) p ro g red ir q uan t’ essi

appiè delle m ontagne , assaltandoli ogni qual volta ad

alena (a 49) luogo difficile s*abbattessero. M entre c h e

i3o

Page 135: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

dava questi av v e rtim en ti, m andava eziandio pregando i A . d iR .

Num idi e gli A frican i, lo soccorressero e non trascu­

rassero l’ occasione di riacquistar la libertà. Spendio ,

presi seco d a sei m ila nom ini d i quelli ch ’erano a T li­

neai , marciava rim pello a’ Cartaginesi alle falde dei

m onti , ed o ltre agli anzidetti avea da due mila G alli

condotti da A u ta rito : (a5o) che gli a l tr i , che sotto lu i

dapprincipio m ilitavano, erano disertati e passali presso

i R o m a n i, quando cam peggiavano in to rno ad E rice .

Com e A m ilcare giungeva in qualche piano circondato

da’m onti, gli ajuti de’ N um idi e degli A fricani 'un ivaosi

con Spendio. Laonde a grandi angustie ed inevitabil

pericolo riducevansi i Cartaginesi , alloggiandosi lo ro di

repente gli Africani in fronte , i N um idi alla c o d a , «

Spendio in Ganco.

L X X V IIL E ra allora certo N arra , N um ida d i gran*

dissimo conto, (a 5 1) e pieno d ’im peto guerrie ro . C ostu i

svea sem pre favoriti i Cartaginesi, coltivando ( a 5a ) l ’ af*

in io n e che loro .portava suo padre , ed in quel tem po

viem m aggiorm enie v’ inclinava, pella g loria del capitano

A m ilcare. Il perchè , stim ando opportuna 1’ occasione

d ’ accostarsi e stringer am ic iz ia , venne al cam po con

circa cento N u m id i, ed avvicinatosi allo steccato , ardi­

tam ente vi si p ia n tò , facendo segni colla m ano. A m iU

care m aravigliatoti del costui d ise g n o , m andò ad e tto

un cavaliere, cui disse che abboccarsi volea co l capitano.

M a , siccome il duce Cartaginese slava iu forte dubita*

zione e diffidava , cosi N arva consegnò a’ com pagni il

cavallo e le la n c e , e disarm alo francam ente entrò nel

cam po. C olan i'audacia recò a tu tù maraviglia e stu p o re :

131

Page 136: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

À .i ìR . tuttavìa il ricevettero , e se co lu i s 'in te rtennero . V enuto

a colloquio d isse, esser affezionato a tu tti i Cartaginesi,

ma sovra ogni cosa desiderare d i farsi amico d i B arca;

essersi condotto a quel luogo ( a 53) con anim o d i seco

lu i riconciliarsi, e di un irsi senza inganoo ad ogni sua

opera e consiglio. A m ilcare , ciò s e n tito , tanto gran­

dem ente ra lleg rossi, cosi pella fiducia con cui era si

presentato il giovinetto , com e pella schiettezza di lui

n e l ragionare , che non solo di b u o n grado Io accettò

p«V’ so d o de suoi a f fa r i , m a gli prom ise eziandio con

giuram ento che data gli avrebbe la figlia , ove serbata

avesse la fede a’ Cartaginesi. F erm ato l'a c c o rd o venne

N arva con a r c a due m ila N um idi eh ’ eran a lui sog­

getti. A m ilca re , cresciuto d i questa fo rz a , schierò la

tu a gente a battag lia ; e Spendio unitosi agli A frican i,

e disceso nel piano s’ affrontò co ’ Cartaginesi. Nacque

fiera zuffa , e v insero i C artag inesi, avendo gli elefanti

egregiam ente com battu to , e Narva presta ti insigni ser­

vigi. A utarito e S pend io fuggirono , degli altri caddero

"3a d ie d m ila , e da quattro mila furono p re s i Conseguita

la v itto ria , A m ilcare a 'p r ig io n i cbe n* erano c o n te n ti ,

d iede permesso d i m ilitar seco, ed anno ili colle spoglie

d e ’nem ici; e co lo ro che ricusavano ragunò a parlam ento,

e disse , p erdonar loro i falli sino a quel tem po com­

messi , e conceder licenza a ciascheduno di andare ove

gli fosse p ia d u to ; m a a chi piglierà l’ arm i con tro i

C artaginesi m in a e d ò , che , se venisse preso , punito

sarebbe con rigore im placabile.

L X X IX . In to rno a quel te m p o , i m ercenarii che

presidiavano l’ isola di S a rd e g n a , im itando M ato e Spen»

i3a

Page 137: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

dio assalirono i Cartaginesi che in quella erano, (a 5 4) A.

Bostaro com andante degli aju ti rinchiusero nella rocca ,

ed uccisero insiem e co’ suoi concittadini. Avendovi po­

scia i Cartaginesi spedito p er capitano A nnone con u n

altro ese rc ito , ed essendosi queste forze ancora , dopo

aver abbandonato A nnone , un ite alle p r im e , imposse s-

saronsi i ribelli d ’ A nnone vivo , e nell’ istante lo im­

piccarono , indi im m aginando (a 55) stravaganti supplici!,

uccisero con torm enti tutti i Cartaginesi eh ’ erano ne l-

F isola. Assoggettate poi le città , tennero p er forza l’iso­

la , fino a che i S a rd i , insorti contro di lo ro , li cac­

ciarono in Italia. P e r tal guisa fu 1a Sardegna tolta a

Cartagine : isola ragguardevole p e r grandezza , p e r po­

polazione e p e r prodotti. S iccom e pertan to molli ne han

m olto parlato , cosi no i jnon reputam m o necessario d i

ripeter cose a tu tti conosciute. M aio e S p en d io , e con

essi il G allo A u ta r ito , presero sospetto dell’ um anità

d ’ Am ilcare verso i p r ig io n i, e tem endo n o n allo slesso

m odo gli A fricani e la tu rb a d e’ m ercenarii si lascias­

sero sedurre dalla m ostrata im punità, consigliavansi qual

nuova em pietà usar potessero per far al tu tto inferocir

la m oltitudine contro i Cartaginesi. P iacque lo ro d u n ­

qu e di ragunar i soldati. C iò fatto introdussero u n co r­

rie re , che infingevasi spedito d a quelli della lo ro setta

in Sardegna. Recava egli u n a le ttere in cui ere espres­

s o , che custodissero gelosam ente G escone e in n i i Car­

taginesi , a’ quali avean ro lla la fede a T unesi , con­

form e abbiam detto d i sopra ; perciocché alcuni de l-

l’ esercito teneano segrete p ratiche co’ Cartaginesi p er

liberarli. Spendio giovatosi d i questa occasione esortolli

i 33

Page 138: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A .J iR . dapprim a a non fidarsi d e ll'u m an ità usata da A m ilcare

Terso i prigioni. N on aver egli preso tifla tlo partito

pella loro sa lvezza, m a studiarsi d i soggiogarli tu tti

colla liberazione di quelli, affinché non alcuni m a tatti

p u n isca , ove gli prestino fede. O ltracciò ammoniti! ba­

dassero bene d i non m etter in libertà G escone ; che t

nem ici si beiTercbbono di lo ro , e grave danno ne de­

riverebbe a’ loro a ffa r i , lasciandosi essi fuggir dalle

mani u n tan t’ uom o e valente d u c e , il quale rag ion

volea che fosse p e r essere loro p iù form idabil nem ico.

M entre ch ’egli così parlava, ed ecco u n altro corriere ,

com e m andato d a T nnesi , con le ttere simili a quelle

che venute spacciavansi da Sardegna.

L X X X . Indi soggiunse il Gallo A u ta r ito , un a sola

salvezza esser alle loro cose: depo rre ogni speranza nei

Cartaginesi. Non po te r alcuno essere lo ro socio fe d e le ,

finallan 'ochè abbia l’anim o rivolto alla costoro nm aniti.

Il perchè li pregava a quelli credessero , quelli ascol­

tassero , a tali dessero re i tà , che le cose p iù n e m ich e

voli ed atroci loro suggerivano con tro i Cartaginesi ;

chi il coti trario diceva tenessero per trad ito re e nem ico.

C on silfatti discorsi gli andava egli (a 5 6) invitando e

persuadendo che uccidessero con torm enti G escone e

quelli eh ’ erano stati insiem e con la i p re s i , ed i Car­

taginesi fatti prigioni in appresso. A vea costui grandis­

sim o potere nelle consulte, perchè molti com prendevano

la sua favella, com e quegli che, buona pezza m ilitando,

aveva apparata la lingua p u n ic a , della quale pressoché

ttatti (a57) in qualche m odo dilettavansi pella lunghezza

dell’ antecedente servigio. Gli fece il volgo unanim e

134

Page 139: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

p la u so , ond ’ egli se n ’ andò con ottim o concetto . E d A -$ R -

essendosi a lu i recali m olti d ’ ogni nazione p er supp lir

cario di non m arto ria r G esco ne , dal quale o ttenu ti

avfano d e’ h en e fic ii, e parlando tu tti ad u n tratto , cia­

scheduno nel p roprio linguaggio , non si poterono nep*

p u r capire. M a poiché fu palese eh* essi chiedevano

m isericordia pe’ c o n d a n n a ti, ed uno di quelli eh ’ erano

colè astisi g ridò « a d d o sso > lapidarono tu tti colora

eh ’ eransi fatti innanzi. Q uesti pertan to , com e da fiere

tru c id a ti, seppellirono i p a re n ti , e Geycone co’ suoi in

num ero d i circa settecento furono fatti p rendere da

Spendio e condur fuori dello steccato, e m enatili poco

lungi dal c a m p o , dapprim a m ozzaron loro le m a n i ,

incom inciando da G esc o n e , che poco dianzi esaltato

aveano sovra tu tti i C artag in esi, rim ettendo in lu i le

lo ro differenze. P o ich ’ ebbero troncate le m a n i, (a 5 8)

tagliaron agl' infelici naso ed o rec ch ie , ed avendoli cosi

m u tila ti, ru p p ero loro le c o sce , e vivi ancora li g ittar

ro n in u n fosso.

L X X X I. I C a rtag in e s i, avuta nuova della sventura ,

a ltro non po tendo f a r e , altam ente si dolsero del caso

acerb o , e m andarono am basciadori ad A m ilcare ed a l-

l ' a ltro capitano A n n o n e , pregandoli soccorressero la

p a tr i* , e vendicassero la m orie de’ m iseri. A gli soaHe*>

m i spedirono arald i per levar i m o r t i , m a essi non

glieli d iedero , ed avvertirono quelli oh’ eran v e n u ti ,

che non si m andassero lo ro nè araldi né am basciadori :

g iacché a ch iunque venisse toccherebbe la stessa sorte

d i G escone. P e li’ avvenire fecero decreto e reciproca*

m ente inculcaronsi d i uccidere co n torm enti ogni C a r-

i35

Page 140: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A .d iU . tnginese che prendessero , e di m ozzar le mani ad ogni

lo r alleato, e rim andarlo a C artag ine: loccliè eseguirono

m olto accuratam ente. C hi pertanto queste cose consideri

non esiterà di asserire, che non solo i corpi degli uo­

m ini , e le u lcere ed i tum ori che vi n asco n o , talvolta

( a 59) incrudeliscono , e divengono al tu tto insanabili ,

m a m ollo m aggiorm ente gli f>nimi. Im perciocché le u l­

cere , ove si curino , per questo appunto tal fiata irri—

tausi , e più preslo (260) serpeggian divorando , e se

al contrario si lascino stare , corrom pendo , conform e è

loro n a tu ra , le parli co n tig u e , non arrestatisi sino a

che d istru tto non hanno il corpo d ie n’è attaccato. Si­

m ilm ente negli animi s’ ingenerano spesso (a tt i) annera­

m ene e putredini , per tnodo che nessun anim ale fassi

dell’uom o più em pio e crudele. C he se con indulgenza

ed um anità li tratti , stim ano essi cotesto procedere in­

sidia ed in g anno , e più diffidenti e malevoli divengono

verso di quelli che tisan loro ca rili. E se ti v en d ich i,

e gare^gi con lo ro in fu ro re , nulla v 'ha di più nefando

né d i p iù terribile cui non s’apjiiglino a lode recandosi

colai audacia. F inalm en te giunti al colmo della fe ro c ia ,

spogliaosi dell’ um ana natu ra . (263) È pertan to da cre­

dersi che l’orig ine d i questa disposizione e ciò che m ag­

giorm ente vi contribuisce sieno i perversi costum i, e la

cattiva educazione sino dalla fanciullezza. L e cause coo­

peran ti sono m olte , m a la m aggiore gli oltraggi e le

rap ine d e ’ m aestrati. L e quali cose allora appun to awe>

raronsi nel corpo d e ’m ercenari!, m a più ancora ne’loro

duci.

L X X X II. A m ilcare vedendosi alle strette pella rabbia

i3G

Page 141: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

disperata de n e m ic i, chiam ò a sé A nnone , persuaso A . di R.

c h e , unendo insieme gli eserciti , p iù presto si perver­

rebbe a finir la guerra . I nem ici cbe gli cadevano nelle

m a n i, o uccideva nell’ a tto d i com battere , o se gli ve­

nivano p o rta ti p r ig io n i, g itta ta alle fiere , scorgendo

unico com penso nello sterm inio totale degli avversar».

Ma m entre cbe le speranze d e ’ Cartaginesi in torno a

questa g u e r r a , sem bravano m ig lio ra rs i, incom inciarono

gli affari subitam ente a indietreggiare. Im perciocché i

c a p ita n i, com e furon u n i t i , vennero tra lo ro in tale

d isco rd ia , che non solo trascurarono le occasioni di

batter i nem ici, ma d iedero eziandio a questi p e r cagion

delle loro gare m olte opportunità dì danneggiarli. I C a r­

taginesi d i ciò accortisi , o rd inarono a uno de’ capitani

d ’ an d arsen e , ed all’ altro , che prescelto avrebbe 1’ eser­

cito , d i restare. A ciò s’ aggiunse , che le vettovaglie

condotte dal luogo che chiam ano (a63) gli E m porii in

cui collocavano le m aggiori speranze , per rispetto ai

viveri ed alle altre cose necessarie , perirono tu tte p e r

m are in una burrasca. L a Sardegna , siccome dissi d i

sopra , fa lóro tolta , dalla qual isola grandi vantaggi

avean sem pre tra tti nelle loro em ergenze. M a il m aggior

colpo si (u la ribellione (a64 ) d ’ U tica e d* Ippone , le

quali sole fra le città d ’ A frica sostenuta avean valoro­

sam ente la presente g u erra , ed a ' tem pi d ’ A g ato d e an­

cora e nell’invasione de’ Rom ani eransi con grande ani­

m o d ife s i, ed a d irla breve , non ebbero giammai me­

ditata cosa sinistra con tro i C artaginesi. M a allora ol­

treché senza rag ione presero il partito degli A fric an i,

nell’atto stesso di ribellarsi d im ostraron a questi la m ag-

i3?

Page 142: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A . d iti, g io r in trin jichew a e fede , e verso de’ C artaginesi o p e ­

rarono con isliaza ed odio inesorabile. Iinpercioccltà

quelli che venuti erano a so c co rre rli, In num ero di

cinquecento c i r c a , trucidarono tu t t i , insieme col loro

d u c e , e g iltarono giù dalle m u ra , e la oittà consegna­

ro n o agli A frican i, non perm ettendo a’ Cartaginesi, cba

glielo chiedevano , di seppellire gl’ infelici. M ato e

Spendio insuperb iti d i questi prosperi su c e tss i, s’ ac­

cinsero ad assediar C artagine. Barca, ricevuto il oollega

A nnibaie, (che costui avean m andato i cittadini, poiché

l’ esercito risolvette che A nnone se pe dovesse andare ,

allorquando fu da’ C artaginesi dato l’ arb itrio a ’ soldati

sulla dissensione d e ’ capitani ) : A m ilcare , dico , eo a

essului e con N arva correva i) paeae e tratteneva lo

vettovaglie a M ato ed a Speqdio , essendogli in ciò stata

m olto utile T opera del N um ida N arva. In questi ter-»

m ini trovavaqpi le fo rze eh1 erano ip cam pagna.

L X X X IU . I C artag inesi, chiusi da tu tti i la l i , co -

stretti furono a r ic o rre r àgli stali (a6 5 ) alleati. G erone,

cbe non avea mai p e rd u ta d i vista la presente guerra ,

prestavasi con grande prem ura, a tu tte le loro richieste,

«d allora raddoppiava il suo zelo , persuaso d i giovar a

fè slesso , cosi pella sua signoria in S ic ilia , com e nel*

1’ am icizia de’ R o m a n i, ove salvati avesse i C artaginesi,

p rocu rando che non riuscisse a ’ prepotenti d i conseguir

senza opposizione il loro proponim ento. E d era b e a

savio e p ru d en te il suo consiglio i (a6 6 ) che siffatte

cose n o n s’ hanno a trascurare g iam m ai, (a6y) nè d e b -

besi ad alcuno conferir la p |o potere , che mal si possa

con lui contendere circa i p roprii manifesti d iritti. M »

i38

Page 143: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

i Rom àni ancore osservarono i t r a t ta t i , e non om isero A .& R .

alcuna d im ostrazione di buona volontà ; sebbene dap­

principio insorta fosse qualche d isputa fra le d u e na­

z ion i, quasi pella stessa causa. I Rom ani se l’ erano pi-

gitala co’ C a rta g in e s i, perciocché conducevano n e’ loro

porti le u a v i, che con vettovaglie p e’ nem ici andavano

d all’ Italia in A frica , ed ave*n g ii raccolto d i questa

rag ione cinquecent’ u o m in i, e teneanli incarcerati. M a

p o ic h é , avendoli chiesti per m ezzo di am basciadori , li

r ieb b ero , tan to se ne com piacquero , che tosto donaron

in cam bio a ’C artaginesi i p rig ioni rim asi presso d i lo ro

dalla g u erra d i Sicilia. E d a qu in d ' innanzi aocordaroo

ad essi con prontezza e benevolenza tu tto ciò cbe do­

mandavano. P e r la qual cosa perm isero a* m ercatanti d i

esportar a C artagine tu tto ciò cbe occorreva , e vieta»

ren o d i recar nulla a’ nem ici. Poscia n o u ascoltarono i

m ercenari! d i S a rd e g n a , allorquando rib e lla tili da’ C a r­

taginesi ehiam aronli nell’ iso la , e gli U licesi , che loro

si d iedero , non acce tta rono , fedeli alle leggi de’ trattati.

I C artag inesi, a ju ta ti dagli amici a n e id e tti, sostenevano

1’ assedio.

L X X X TV . M aio e S pend io e ra n non m eno assediali 5 16

d i quello che assediavano ; im perciocché A m ilcare a

U nta p enu ria d* ogni cosa necessaria aveali rido tti , che

costretti fu rono a lasciar 1’ assedio. M a poco stante fe­

cero nn a scelta d e ’ m igliori tre i m ercenari! e gli A fri­

cani , che somm avano ta tti cinquanta m ila, fra i quali

era Z a rza A fricano colla sua g e n te , e rito rnarono ìh

cam pagna, (268 ) m arciando alla sfilata di rim petto ad

A m ilc a re , ed osservando i suoi m ovim enti. I luoghi

i 39

Page 144: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

. di R. p iani causavano p er timore degli elefanti e d e ’ cavalli

d i N a rv a , ma i m ontuosi e stretti ingegnavansi d i

p reoccupare . E d eran essi a que’ tem pi p e r nulla infe­

riori agli avversarli nel divisar im prese e nell’ardim ento,

m a p er im perizia sovente venivan meno. A llora poteasi

veder in effetto quanto l1 esperienza regolata dall’ a rte ,

e (a63) l’ ingegno di perito capitano prevalgano all'ine­

sperienza ed alla pratica tum ultuaria della m ilizia, dap­

poiché A m ilcare molti (a^ o ) in avvisaglie p a rz ia li, ta­

gliando i passi ed accerch iando , a guisa di bu o n gio­

catore , uccideva ; m olti in fazioni p iù g e n e ra li, parte

cader faceva in agguati, p arte inaspettatam ente e d ’ im ­

provv iso , quando di g iorno , qnando d i no tte so rp ren ­

deva e sbigottiva, e quanti ne prendeva vivi gittava alle

fiere. F inalm en te accam patosi lo r dappresso all’ im pen ­

sata in un luogo ad essi incom odo per com battere, m a

opportuno al suo esercito , in tan ta ristrettezza li con­

dusse , cbe non arrischiandosi d i pugnare , n è fuggire

potendo , perciocché eran dappertu tto circondati da fosso

e d a steccato , alla perfine spinti dalla fam e costretti

furono a divorarsi tra loro ; cosi rim eritandoli Idd io

della lo r em pietà e perfidia versò del prossim o. C he d i

uscir a battaglia non osavano , certi della sconfitta ch e

loro sovrastava , e del supplicio che a ttenderà quelli

che verrebbono p r e s i , e d i pace nep p u r i m in agi narcosi

d i far m e n z io n e , conscii com’ erano delle scelleratezze

commesse : m a pazienti aspettavano sem pre i soccorsi

da T u n e s i , pelle prom esse lo r fatte da’ d u c i , e fra t­

tanto tolleravano ogni contrarietà .

L X X X V . P oiché ebbero em piam ente consum ati i

Page 145: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

p rig io n i. nutrendosi delle loro c a r n i , e consum ati a l- A . di R.

treai i s e r r i , e nessun ajuto g iungerà d a T unesi , la

m o ltitud ine , stanca di tanti m a li , p rep a ra ra a1 duci i

peggiori trattam enti, quando A utarilo , Z a n a e S pendio

riso lverono di dare sè stessi in m ano a1 nem ici , e d i

p arla r con A m ilcare d i pace. M andalo adunque u n

a ra ld o , e presa la licepzayd i far un ’ am b asceria , rec a -

ronsi in num ero d i d ie ut presso i C artaginesi. S tabili

seco loro A m ilcare le seguenti condizioni: F o ssa libero

a i C artag inesi d i sceg liere f r a i n em ic i d ie c i u o m in i,

q u a li vo le sse ro : g l i a ltr i la sc ia sse ro p a r tir in .tonaca.

A llora disse subito A m ilcare sceglier egli giusta i patti

quelli eh ’erano presenti. P e r tal guisa vennero A utarilo ,

S pend io , e gli a ltri p iù cospicui duci in potere d e ’C ar-

taginesi. G li A fr ic a n i, ud ita la p resu ra d e ' d u c i , cre­

dendoli traditori, perciocché nu lla sapevano del tra tta to ,

corsero alle arm e. M a A m ilcare accercbiolli cogli elefanti

e col resto dell’ esercito , e tu tti li uccise , che som-

m avan o ltre quaran ta mila , presso il luogo chiam ato

(a 7 i) la Sega , pella som iglianza d i form a che ha con

questo strum ento.

L X X X V L P e’fatti testé esposti m igliorarono d i m olto

le speranze d e ' C artag in esi, i quali stim avansi g i i p e r ­

d u ti. G irò poi A m ilcare cou N arva e con A nnibaie la

cam pagna e la città. E siccome gli A fricani a rren d e -

v an s i, e la lo r p a rte abbracciavano p er cagione dell’ ul­

tim a v itto ria , cosi assoggettato d i ’ ebbero il m aggior

num ero delle città , andaron a T u n e s i , e prepararci osi

ad assediar M ato. A nnibaie pose il cam po dina tizi alla

città dalla parte che guarda C a rta g in e , e dal la to o p -

14 1

Page 146: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A .d iR . posto Amilcare. Poscia condussero Spendio e g li a ltri

prigiooi sotto le m ura e gl’im piocarono al cospetto d e i

nemici, ( a j a ) M ato p e r ta n to , accortosi della negligenza

e soverchia fiducia d ’ A n n ib a le , assaltò il suo cam po ,

ed uccise molli C artag inesi, g illandoli tu tti fuori degli

alloggiam enti; s’impossessò eziandio d i lo lle le salm erie,

e prese vivo lo stesso capitano A nnibaie. Il quale in­

contanente m enarono alla croce di S p e n d io , e m arto­

riatolo crudelm ente , detrassero colui t e questi vivo vi

a ttacca ro n o , e tren ta d e’ più nobili C artag inesi immo­

larono in torno al corpo d i S pendio: non altrim enti cho

se la fo rtuna a bello studio date avesse ad am endue

reciproche occasioni d i straziarsi tra loro co’più o m tn d i

supplici!. Barca tard i riseppe l’ attacco fatto da quelli

della c i t tà , pella distanza degli alloggiam enti , ma tie p -

p u r quando ne fu inform alo accorse all’ ajulo pella dif­

ficoltà de’ luoghi di mezzo. Il p e rc h è , levate le tende

da T u n e s i , e g iun to al fium e B à o ara , acca no possi ove

il fium e m ette foce nel m are.

L X X X V II. I C a rtag in e s i, cui siffatta sventura era

g iun ta inaspettata , rim asero di bel n uovo scoraggiati e

fuori d i sp e ra n ae , com e quelli che avean testé rip reso

a n im o , ed in un subito ricaduti erano in tan to scon­

forto. C iò non pertan to n o n desistevano dal procacciare

quello che richiedevasi alla loro salvesza. P e r la quai

cosa elessero tren ta del S e n a to , e con essi A nnone ,

(173) lo stesso capitano che diausi se n ’ era andato ,

ed insiem e arm arono quanti ne rim anevano in età ab ita

alla m ilitia , (a y 4 ) quasi p e r co rre r I’ ultim o aringo , e

gli spedirono a B arca, raveom audando m olto a’ senato ri

>4?

Page 147: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

di rappattum ar I cap iu n i ad ogni m odo , cessando le

•m ieti* com ete, ed obbligandoli alla concdrdia, iu eoa*

lemplaaton* del presente stalo degli affari. I q u a l i , poi

eh ’ ebbero (ridotti in u n luogo i cap itan i, fecero m olti

e varii d isco rs i, e indussero A nnone e Barca ad unirai

e ad eseguir i lo ro suggerim enti. D a quel tem po id

po i i accordatisi sem pre iu u n parere , fecero tu tto a

v«glia de’ Cartaginesi. P e r la qual cosa M ato assai sof­

ie riva ne’ com battim enti p a rz ia li, che covente facevansi

presso (a jS ) a L ep ti ed alla altre città . F inalm en te ri*

solvette di cim entarsi ad un a battaglia cam pale , a coi

i Cartaginesi ancora e ran m olto inclinati. L aonde am en-

db* , saldi in do ta l p ro p o n im e n to , eccitarono tu tti gli

alleati ad a s s o c ia t is i , £ raccolsero le guarnigioni dalle

città , <176) com e frer n(rischiar tu tto ad tan giuoco.

A ppresta la ogni cosa necessaria all’ im presa, schierarono!

in battaglia e d ’ accordo appiccarono la zuffa. R im ase

la vittoria a’ C artag inesi, e peri il m aggior n u m ero

dègli A fricani t gli a ltri rifuggiroosi io una città» e non

m olto dopo •’ arrehdettetv» M aio cadde vivo nelle m ani

d e ’ nem ici.

L X X X V III. T t t t t t la p a rti d ’ A frica im m antinente

dopo la pugna fecero i Com andam enti de’ Cartaginesi ;

m a Ippone ed U tloa resistevano , non avendo alcun

appicco alla pace , perciocché sino dal p rincip io della

ribellione non lasciaron luògo alla m isericordia ed al

perdono , (a y 7) T an to im porta eziandio in cotali e rro ri

la m o d eraz io n e , ed il non com m etter volontariam ente

eccessi irreparabili. T u ttav ia , accostato il cam po , ad

una A n n o n e , all’ altra B a rc a , fu ron tosto costretti a

143!. di A.

Page 148: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A. diR . tra ttar la pace a quelle condizioni cbe p iacquero ai

Cartaginesi. L a gu erra A fricana a d u n q u e , cbe a tante

angustie rido tti avea i C a rtag in esi, p e r tal m odo f in i ,

cbe non solo riacquistarono l’ im pero d ’ A fr ic a , m a

pun iron ancora condegnam ente gli autori della ribel­

lione , sendocbi per ultim o la so ld a te sca , andando

in trionfi} pella c i t tà , d iede a M ato ed a ' suoi ogni

sorta d i torm enti. T re anni e q u a ttro m esi guerreggia^

rono i m erce n an i co’ C artag in esi, e co letta guerra

avanza di g ran lunga in crudeltà e scelleratezza quan te

altre p e r relazione conosciamo. (378) C irca quel tem po

i R o m an i, invitati da’ m ercenari! d i Sardegna eh’ eransi

presso loro r ifu g g iti , accingevansi a tragittar in q u e l-

l’ isola. I Cartaginesi se ne ad o n ta ro n o , com e quelli

che pretendevano spettar p iù a s i cutal d o m in io , e già

preparavansi a far vendetta di coloro che l ’ iso la avean

ribellala, quando i Rom ani, valutili di questa occasione,

decretarono la gu erra con tro i C artaginesi, d icendo che

colai apparecchio non con tra i S ard i , m a con tra loro

faoevasi. M a quelli , m iracolosam ente scam pati dalla

guerra a m id e tta , e ad ogni m odo m al disposti ad ad­

dossarsi a l presente d i bel nuovo l’inimicizia de’Rom ani,

cedettero alle c irco stan te , e non solo abbandonarono

la S ardegna , m a aggiunsero eziandio m illedugento ta­

lenti al tribo lo cbe pagavano a’ R om ani, affinchè allora

n o n fossero obbligali ad en tra r in guerra.

144

FINE DBL LIBRO PRIMO.

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SOMMARIO

D E L P R I M O L I B R O ,

14i>

Ml refaxkme de ll’ Astore. — Fruttò della tioria. —■ Predio delta storia Romana ( § I. ) — Confmnto del? impera Ro­mano eam altri imperi — Storia 'd i fa tti — Disegno principale d e lt autore ( § l i . ) — La storia presente forma funsi un oorpo, — è scritta p f Greci — / due primi R iri sì premet­tono qual preparazione ( § II I . ) — Le cose de' Romani sono commesso eoa quelle di tutù gli altri popoli — Storia iin'tOrr- «aie — ■ Dalle mentirà sparse non piti giudicarsi deW intie­ro ( § IV. ) — PvSMggio a lt argomento stesso — Neoessitè d i rimontare a p'm atto principio ( § V. ) — P a r te prima «Mia

preparaa ioae Gecla estortori alla p rima guerra Pan ica . — l Ro­mani soggiogano l'Italia (§ V I.) — / Mamertini occupano M issi­va — /?e£«o oppresso dal presidio Soniamo — Supplicio de'porf- d i ( § VII. ) — 1 Mamertini ridotti allò strette da' Siracusani —

Cerone pretore a Siracusa ( $ V I I I . ) — Gerone re ( § I X . ) —

1 M anierimi, parie rivolgami a’Romani, parte a' Cartaginesi —

1 Romani deliberano intomo a' Mamertini ( § X. ) — Decre­tano doversi loro rooar ajtUo — Gerone s’unisce a'Cartn^inem —

Monte Caldàico — Appio Claudio tragitta a Messina — o mette in fuga Gerono ( § XI* ) — Appio Claudio discaccia i Cartaginesi — Motivo del modo di trattar questa storia (§ X I I . ) •

F a r le feconda della preparazione — . Argomento del primo e secondo libro , ne' quali questa parto si contiene — Ragion*

polibio , tomo 1. io

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1 4 6 •di trattar le cote in quetd due libri cotnprete — Guerra Pa­

nini prima — Gli itorici Filino e Fabio — Officio dello tto - rico — Verità luce della ttaria ( $ XIV. ) — Errori di Fi­lino — Echetla città ( $ XV. ) — 5 * incomincia la guerra con grandezza e tforzo — Formazione delle legioni Romane — Trattato de' Romani con Cerone — Gerone a lt ombra dell’ami­

cizia Romana ( $ XVI. ) — Apparecchio de' Cartaginesi in Agri­gento — I Contoli L . Pattiamo e Q. M anilio attediano Agri­

gento — Severa disciplina de* Romani ( $ XVII. ) — Era- alea città — Erbetta eùtà — Annibaie comandante <F Agri­

gento — Annone capuano de1 Cartaginesi prende Erbetto —*

1 Romani attediano Agrigento e sono attediati da Anno­

ne ( § XVIII. ) — Annone sconfitto in battaglia — Annibaie eolia tua gente fogge dalla città — Agrigento preta da B i­mani ( § XIX. ) — I Romani meditano maggiori imprese —

I Romani rivolgono al mare i loro pensieri — Audacemente allestiscono m'armata — Sebbene prima non avean avute novi

da guerra — Prima armata navale de' Romani ( § X X .) —

Maniera <t esercitare i rematori — I l console Gneo Cornelio preso a Lippari dal Cartaginese Boode — Annibaie coman­

dante dell'armata Punica perde molte navi ( $ XXI. ) — Pugna navale di Duillio — Struttura del corvo — Uso del corvo nella battaglia navale ( $ XXIL ) ■— Campagna di Melazzo —

F itto ria navale di Duillio ( § XXIII. ) — Egesta liberata da assedio — Macella presa — Amilcare batte gli ejtui de' Ro­

mani — I Romani vincitori in Sardegna — Annibaie impic­cato — I consoli Aula Attilio e C. Sulpicio prendono molte città della Sicilia (§ XXIV. ) — Ambigua pugna navale di Attilio presso Tindaride — Si rinforzano grandemente le ar­mate da amendue le parti — Pachino — Ecnomo — Eraclea Minoa (§ XXV.) — M. Regolo e L . Manlio vanno in Africa —

F o r z e navali — Triarii navali — Schieramento triangolare delle navi Romani ( § X X V I.) — Schieramento dell'armata Car-

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taginete — Dori de" Cariagineti — Battaglia navale pretto Ecnomo ( § XXVII. ) — Triplice pugna navale — Vincono i Romani ( § XXVJ1I. ) — I Contali approdano in Africa — Prendano Atpide — Guastano fA frica ■— M . Regalo rimane in Africa ( § X X IX .) — Adi città — / Cartagineii chia- mano a tè i loro Capitani — Protperi tucceui di Regolo in Africa — I Cariagineti adoperano tem a dettrezza — Sono •confitti da Regolo — È preta Tuniti ( § XXX. ) .— /

Cariagineti tiretti da tutte le parti — Regolo preteriva

loro dure condizioni ( § XXXI. ) — Santippo Capitano dei Cariagineti ( § XXXII. ) —- Santippo e Regolo (§ XXXIII.) -

È data battaglia — Sconfitta di Regolo — È preio Re­golo da' Cariagineti ( § XXXIV. ) — Ouervazioni d e lf au­tore intorno a fu e tti avvenimenti — Utilità della tlo ria ( § XXXV. ) — Santippo ritorna a caia — I contali M . Emilio e Ser. Fulvio vanno in Africa — Prendono f ar­ma/a Punica ( § XXXVI. ) — Naufragio delta rotata vittorio­sa — Costellazioni nemiche della navigazione — Audacia otti- nata d i’ Romani ,(§ XXXVII.) — Nuova tperanza de' Car- lagineti in Sicilia — Nuova armata de" Romani — 1 contali Aulo Attilio e Gn. Cornelio tolgono Palermo a' Cartagine­

si XXXVIII. ) — / contali Gn. Sorvilio e C. Sempronio arrenano coir armata nella S irti — Meninge, itola die Lo­

tofagi — Altro grande naufragio — I Romani cedon il maro ai Cartagineu — I contali L . Cecili? e G. Furio in Sicilia eolie forze di terra — Spaventati d ig li eiefinti — Prendono Terma e Lippari ( § XXXIX. ) — Cecilio ed Atdrubale a Palermo — Atdrubale battuto a metto in Juga ( § XL. ) —I Romani allettitcono una nuova armata — Attediano L ili­beo ( § XLI. ) — Situazione e figura della Sicilia — Pachino —

Priora — Lilibeo — Imi Icone comandante di Lilibeo (§ XLII.) —

I mercenarii tentano di dar Lilibeo per tradimento — Fede dell’ Acheo Alettone — Va a vuoto il tradimento di L ili-

*47

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beo ( § XLIII. ) — Lilibeo t * occorso — Annibale entra eoa

ajuà in Lilibeo ( § XLIV. ) — / Cartagmeti Jbnoo una sor­

tita da Lilibeo — ì Romani adoperano le macchine inta­no ( § LXV. ) — Trapani — Annibaie Rodio entra impune- mente colla tua nave in Lilibeo — « n'etce arditamente ( § XLVI. ) — Egli ed altri fan sovente lo tte tn — ì Ro­mani turano il porto di LilibeQ — È preso Annibaie Ro­

dio ( § XLVU. ) t— Fanno altra sortita gli assediati — « 4 w*

cenduno le opere de‘ Romani — J Romani cingono Lilibeo di vallo e fissa ( § XI.V1II. ) — U console P. Claudio lenta Trapani ( § XLIX- ) — Aderbale comandante di Trapani gli

fa trista accoglienza ( § L. ) — P. Claudio fugge e perde Far* ■mata ( § LI. ) — Storia d“Aderbale — infamia di P. Claudio —Il console L . Giugno mandato in Sicilia ( § LII. ) — Carta- Ione tende insidie a lt armata Romana in Lilibeo ( § LIII. ) —

L. Giugno naviga alla volta di Lilibeo — e perde t armala per naufragio ( $ LIY. ) — 1 Romani lasciano il tiare — L . Giugno occupa Erice — Erice monte e città — Venere Eri- cina ( § LV. ) - - Amilcare Rorca — E tte , o Epierte ( car­

cere è sulla carcere ) castello presso Palermo — Amilcare ed i Romani a Palermo — Amilcare ed i Romani a lin ce — Lotta di galli ( § LV1--LVIII. ) — t Romani allestiscono di bel nuovo un"'armata — e le spese ne seno fom ite da'particolari —< C. Lutazio col? armala a Trapani ( J LIX. ) — Annone co­mandante dell'armata Cartaginese — Cera isola — Lutazio ed Annone a Egusa ( § LX. ) — Battaglia navale a Egusa —

C. Lutazio distrugge tarmata Oartoginete ( § LXI. ) — 1 Car­taginesi chiedono pace per mezzo di Amilcare Barai — Loda d‘ Amilcare — Conditioni della pace , »- la quale si conchiur de ( § LXII. ) — Gnu,detta della guecra narrate — M oli mas ravigliosa delle armate venute a conflitto — Polenta de' Ror mani acquietata con Senno e con valore , e non a oaso (§ LX1IL) -r

Promessa cf un libro sulla form i della repubblica Romana —

148

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, > 4 9I Cartagineii óoAfrontali éo' Roihani (§ LXIV.) — GuefrU dei Rimani co‘ Falitci — Guerra Africatta da’ Cartaginesi ea‘ tuoi tolda/i mercenarii — Guerra denta perdono , e per malti conti membrabilk - - Origine della gitemi Africana ( § LXV. ) —

Gli Africani ed i mercenarii de" Cartaginesi titgittanà dalla Sicilia in Africa — Sotto mandati da Cartagine a Sicea —

Esagerano la somma degli itipendii loro dovuti ( § LXTI. ) —i

Ammutinamento della milizia mercenaria — Pericoli che da co-*

tal turba dirivano - Annonk non pud chetare il tumulto - Gli ammutinati allóggianti ih Tuneti ( § LXVII. ) — Tatto pn^> metton i Cartaginesi — 1 mercenàri aumentano tempre le loro pretese — È rimesto daffare a Gettarne ( § LXVIIL ) — Spen­dio e Mato irritano la toldtietca -J. Incrudeliscono vèrta di quelli che teco nón parteggiano — Sono■ creati duci de“ ribel­li ( § LXIX. ) — Arrestano GetcoAe — Fanno guerra aperta —

Aizzano gU Africani contro i Curtmgiaeti — Attediano Dticd è lppone Diarrito (§ LIX>) — J Cariagineti a mal parti­to ( § LXXI. ) — Durezza con che i Cartaginesi gbvetvano i loro sudditi — Le femmine a gara co" mariti nella ribellio­

ne ( § LXX1I. ) — Apporeechu de' Cartaginesi — Situazione di Cartagine — Utica — Tunesi ( LXXIll. ) — Annone com­batte male presso Utica — ed a Gorsa ancora ( $ LXXIY. ) —

Amilcare Barca libera Olici dall? assedio — Guazza il fu m é Èacara — Assalta alle spalle i custodi del ponte ( § LXXV ) —

ScOnfgge i ribelli ( LXXYI.) — È tiretto dà Spendio — Il Gallo Autarito, gli Africani ed i Numidi con Spendio (§ LXXV lì.) -

II Numida Narva patta ad Amilcare Amilcare vince in bat­taglia i ribelli ( § LXXV1II. ) — 1 mercenarii in Sardegna tollevaniì contro i Cartagineii ■*- E lolgon loro f isola — I ribelli in Africa rinfrancati dalle fnzioni de'lori) duci — Spen­

di o tlimola i ribelli ($ LXXIX. ) — Il Gallo Autorità conti- glia a crudeltà — I ribelli atroci verto i pià umani — Tru­cidano miseramente Gettone ( LXXX.) — Minacciano altre

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crudeltà — Piaghe dell’animo insanabili (§ LXXX1.) — Amil­

care ed Annone capitani de' Cartaginesi — Seno tra loro di­scordi - Le vettovaglie de'Cartaginesi periscono in un naufragio -

tppacrila ed Vtica arrendonsi a’ ribelli. — 1 ribelli assediano Car­

tagine (§ LXXXII-) — Cerone soccorre i Cartaginesi — S i i Romani gli abbandonano (LXXXIII.) — Amilcare stringe i ir- ielK — Quanto t arte di comandare eserciti superior sia ad atta rozza audacia — I ribelli angustiati dalla fam e , si divo­rano tra loro (§ LXXXIV.) — Spendio s‘ arrende ad Amil­care — È ucciso gran numero di ribelli — La Sega, luog» presso Cartagine (§ LXXXY.) — Afato assediato a Tunesi —

Spendio impiccato — Annibaie preso da Mato — ed appesa (§ LXXXVI.) Annone ed Amilcare riconciliati — Stringono Mato — Lepti città — Mato i vinto in battaglia e preso. (§ LXXXVII.) *— L ‘ Africa pacificata — Ippone Diarrito ed Vtica riprese — Fine della guerra Africana — I Cartaginesi cedono a' Ramimi la Sardegna e s’ incaricano d“ un m w tri­imo (§ I.XXXVIII.).

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ANNOTAZIONI

AL L I B R O PRIMO.

( i ) JLJà fetenza de’fa tti avanti i nostri tempi accaduti. Gli antichi, e singolarmente i Greci, ohe tanto avanti ientirano

nelle aoiense morali , il diletto ohe procaccia la lettura della

•tona riferivano all’ stiliti ohe se ne oava pel viver civile a

pel regolamento delle passioni. Quindi ) che lo itudio di quella formava preuo di loro parte della filosofia , ed i soli Epicurei, che il «omino bene ponevano ne' piaceri che 1* no.

n o , fatto a s i solo uopo della sna eaistema, separano dalla

•ooieti, non se ne occupavano..« Muta,, dioeva Cicerone (a)

a* segnaci di quella setta , è la storia nelle vostre dispute. Io

non ho udito giammai nella souola d’ Bpicnro nominar Li­curgo i Solone, Milziade , Temistocle . Epaminonda , i quali sono sulle labbra di tatti gli altri filosofi ». « C h i, sciama

Plutarco (4) , affamato che sia , mangerà , o assetato beverà

con maggior diletto quanto ebber imbandito i Feaci, antiohè

soorrer il racconto de’ viaggi erranti d* Ulisse ? E chi oon

(a) De finlb. bonor. et malor I. n , o. a l.(i) Open morali. Trattato che ha per titolo: Non poterti viver

piacevolmente teguendo Epicuro.

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trasporto maggiore giauerasai colla più bella donna di quello

eh* vegliare su ciò cbe Senofonte scrisse di Pantea , o di Temoclea Aristnbulo, od i Tisbe Teopompo? Ma questi piaceri •nno dell’ anima , e gli Epicurei ce ne distolgono.

(?) Cadde topfpo^ata Molto V imperi de’ Romani. Conqui­statori e popoli bellicosi hanno in ogni tempo percorsa la so*

perficie della (erra, soggiogati regni, spedite generazioni, fatti sparire presto illustri nazioni monumenti di civiltà , lingna e

costumi, ma nossuno pervenne alla gloria ed alla soda con­

sistenza de* Romani. E la ragione di ciò ri ì cbe quelli, da

cieca ambinone e da desiderio di rapina spinti , vittime alla

perfine caddero delle proprie sfrenate passioni : laddove i Ro­mani nel corso delle vittorie , cbe signori d<*ll' orbo li ren­dettero, non dipartirono giammai da'prfncipft della più rigida

virtii e delta piò severa disoiplina militare. « Nessuna repub­

blica , scrisse Tito Livio (<r) , fa giammai della Romana pià

grande , n i piti santa , n i più ricca di betoni esempli, nè

rn mi tanto tardi entrassero avariai» e lawnria, nè ove ‘in

tant» pregio e per cmV Inngo tempo si tenessero la povertà

e la parsimonia.

( 3) / Persiani in alcun tempo gran potere e dominio acqui- sfamno. Il regno di Persia istrtnifo da Cijo colla riunione

della Media , f» da lui aggrandito col conquisto dell* Assiria

• della Lidia, ed il suo soocestore Cambia* vi aggiùnse I’ E- grtto. Ma non sk tosto i Persiani sotto Serse pasaaroo in En- royw ed assaltarono la Grecia , che locoaron acerbe rotte , le

quali non solo mandarono a- vuoto la loro impresa, ma attras­

sero eziandio i nemici nel cuore de* loro dorainii, avendo

Agesilao re di Sparta tolte loro quasi tutte le provincie del- 1’ Asia minore.

(',) 1 Laeedemoni■ ec. Liberata la Gcecia- da’ Persiani oh»

i5 i

Uì&t. Bom- tifila pfcfcmone. »

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Caveau invaia, insorse tra gli Ateniesi e i Lacedemoni Ad*

infelice gara per ft primato , là quale dopto veozei anni di sanguinosa gnelr» finì col rendere gH Spartani padroni d' A-

tane. I vincitori , aaliti in superbia per coti avventurato sno-

cesacr, fecero una apédisione in Alia , ore grave danno r*- oaron al re iK Persia, e i’ impossessarono perfin di S*rdi y gii capitale del ricchissimo regno di- Lidia.- Ma n»o andò

guari, cbe disfatti da' Tebaoi nella battaglia di Lentlra li

ridussero ah’ estremo pericolo. Agesilao , oh* er» allora in

Alia , come prima riieppe qnesla aciagnra della «na patria , arrestassi a mrzio il onrso delle me vittorie e ritorni a ca» ,

ove appena ginnae io tainpo per uivar i tuoi dall* nltimò>

•ecidio.

( 5) I Macedoni regnarono in Europa ec. E noto come Fi­lippo dopo la ballagli? di Chemnea assoggettò la Grecia ta tti/

e còme il figlio di Ini Aleasandro , rotte cb' ebbe le forse di

Dario al Granico e presso Arbela ai fece strada al dominio detl* Aria.

(6 ) Fino al fiume litro. La Macedonia propria' estendeva*! in latitudine dal mar Egeo all’ Adriatico. ( V. d over. intro-

durt. io unir. Geogr. p. 3^0 ). Mh Filippo avea conquidala

la Traaia, ad esteso il s d o dominio sino all' litro , che Po­libio d i per conGoe a’ possedimenti de’ Macedoni in Europa ,

e che seooodo Strabono ( Kb. v ii , pag. 3o6 ) è la parto in»

feriore del Danubio , la quale poi territorio de* G eli, popolo'’

della Sciita, corre al Ponto Basino.

(?) ^ genere di ttoria che a* fa tti r i attiene. Il testo bar » 7fr irrtflm t I f i wt f , eh’ i quanto dire il ge­

nere prammatico della storia. La spiagasiooe di qaesia fra»

ripetersi dee da ciò cbe scrive Polibio medesimo nel iz libra

di quest'opera. « I) genere genealogico (sono sne parole) attrae

il curioso ; quello che tratta delle colonie , delle edificazioni

delle città, e delle affinili de' popoli iDieresi* chi am» la

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moltiplica erudizione, e quello che aggirati intorno alle getta-

delle nazioni , delle oitti , e de’ principi alletta 1* nomo poli*

tioo. Qoetl*ultimo ) al certo il genere prammatico, qui eaal-

tato ; dappoiohft 1’ etprettione rfiy/tm rm (petto prendati per

maneggi politici, e wfmyftmltmtt tigni Goa na nomo che ai occupa di MlTatti maneggi. Vedi lo Sohweighàoter nella nota

a qnetto patto, e il vocabolario Polibiano del medeaiino alla voce

(8) Arato da Sicione. Le oiroottanze p»4 memorabili della

«ita di qnfttt' nomo intigne trovami riferite da Polibio in di*

veni libri della preaeote ttoria , tingolarmente nel n , ir , v, v i i , vm . Le memorie da Ini latoiale, che qui oita il Mitro,

erano , tocondoohè ri fenice Plntaroo nella tna vita , toritta

oon eleganza , tebbene concepnte le avene in fratta , e oon

parole non illudiate. Nulla di ette a noi pervenne.(g) Una storia univenale. Nel tento qui etpreuo dall* autore

ara qnetta invero a’ anoi tempi nn bitogno , dappoiché i Ro­

mani et te so avean il lor impero a quati tutte le regioni della

terra allor conotciuU. Per la qual oota il paragone da lui

addotto per dimeitrare quanto fottero manchevoli e poco

ktruttive le ttorie parziali ohe andavano pelle mani de’ tuoi contemporanei, non i a dirti quanto fotta «aliante. Ma

«cioltati quella mole enorme dello atato Romano, e riprodotto

avendo ciatobednna naiione che il componeva nna propria

favella, proprii cottami e proprie leggi, la ttoria generale

riluttar più non potea che dal oompletto delle ttorie partico­lari. È pertanto da diatinguerai la ttoria univertale ohe com­

prende gli avvenimenti di tolte le nazioni da* tempi pi& remoti onde v'ha memoria, da quella di cui ragiona Polibio, e che

a* toli tempi dello tcrittore è limitata. Della prima ci offroa

etenpii tra gli antichi la biblioteoa atorica di Diodoro Siculo,

e l'epitome ohe della atoria di Trago Pompeo fece Grattino,( io ) Timeo, da Tanromenio in Sicilia, viete tolto Agaloclq

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e «enne la storia di Sicilia 0 la guerra di Pirro in Italia, accadala a’ «noi giorni. Cicerone (de Oratore 11, i£ ) loda

la tna erodisione ed eloqnensa. Tuttavia Snida il chiama

vecchia mzzolatrice dall’ affastellar eh* egli fece nelle sm

storie ogni oosa sema distùnionei ed invidioso e calunniatore’

il dice Artemidoro presso Strabono ( lib. xrv , pag. 6£o ) ,

e Diodoro Sionlo ( lib. xiu ) , forte il riprende dell’ acer­

bità sna verso gli scrittori ohe 1’ han preceduto, mentreoht

egli medesimo d i in ciimpanelit colà apponto ove si protesta

verace ed esatto, e Longino nel trattato della sublimiti as­

serisce esser egli sovente freddo e oader in pneriliti , e Po­libio finalmente il coglie in pareochie meniogne ( l i , 16 ,

xii , 3 ) , e il taocia di maldicema e leggeressa ( xll t 3^ ) .

Agatoole lo cacciò in esilio , ed egli vendioossi scrivendo di Ini il maggior male possibile ( talvolta in onta alla storica

veri ti.(11) La pace coti detta Antalcida. I Lacedemoni, stanchi

della guerra che sostenevano contra i Persiani ed insieme

oontra gli altri Greci, mandarono A.ntaloida comandante delle

loro forse navali ad Artaserse per far la pace. Il re gliel’ao*

cordò a cendisione , che le oitli Greche dell’ Asia, e 1* isola

di Cipro a lai appartenessero , ed alle altre lotte restituite

fossero le proprie leggi, minacciando di moover guerra, unito

a quelli che vi acsonsentivano , a coloro che si sarebbon op» posti ( V. Xeooph. Hellenic. 1. v , Diod. Sio. Bibliot. I. xiv ) .

Pace infame , siccome egregiamente osserva il Casaubono a

qnesto Inogo, che manifestò i Lacedemoni perfidi verso i loro

alleati , e stolti i Greci tatti. Imperciocché quegli stessi che

concordi riportati aveano trionfi nobilissimi sovra il più po­

tente de' re di Persia, fecero i comandamenti d’ un re ibfin-

gardo , da concubine circondalo.

(12) E Dionigi il vecchio vinti ch'ebbe ec. La descri­

zione minala di qnesla battaglia leggeti in Diodoro ( lib. x iv)

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Page 160: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

In e w quel cradelittimo tiranno fece la più bell* azione di •da vita. Cadalo il oapiuno degli avversar» , e trocidato il ■maggior aaniero de' faldati, i rimanenti eraoti rifuggi li sofra

•n oolle t forte di «ito , ma privo d’ aoqna. Attediali colà

dalla gente di Diodigi con tomma vigilanza tatto quel giorno• la notte appretto, i miteri che tentivanti morire dall’ ardor

« dalla tete , trattarono d‘ arrenderti. Il re ordinò che depo-

dettero le armi, e ti dettero a ditcreiione del vincitore. SenW

bri» a quelli duro il partito , f avrebbon volato durarla an­

cora | ina oppreiai da’ patimenti alla fine a’ arrendettero. Dio­nigi, preso un battooe, percosse il colle e ai mite a numerar

i prigioni ohe ne discendevano , e che tomma va no più di

dieci mila. Aipeltavanii tatti il trattamento più atroce; ma il oontrario avveone. Imperciocché licemiolli il re tenia riscatto

e bolle loro cittì fece pace. ed accordò loro le proprie leggi:

I beneficali gliene ebbero tanto g tid o , cbe con corone d’ oro

U rimeritarono.

( | 5) Indi èo‘ Celti. Q netti tono i Galli cbe da tempi re

alatissimi , latoiata 1’ antioa loro patria , cbe non battava ai bisogni d’ana immensa popolazione, oocaparono tutto il tratto

d’ Italia cbe t’ estende dalle Alpi all’ Btraria ed al Piceno, e

ohe dittinguevati col nome di Gallia Cisalpina. Il nottro ne

ragiona di proposito nel fecondo libro. Del retto chiaraavansi Celti conforme riferisca Cesare (de bel. Gali. 1. n ) qae’po­

poli nella loro propria lingua , e te premiam fedo a Diodoro

(lib . ▼ ) ebbero da Galale , figlio d'Èrcole e d’ nna prio-t oipett* indigena il nome di Calati d’onde i Romanifeoero Galli. Lo tletto Diodoro pertanto ( ibid. ) di-

ttiagne i Celti da’ Galli ì dicendo cbe i primi abitano le

parti mediterranee aovra Manìglia, circa le A lpi, e di qoa

de’ Pirenei , e gli altri occopano le oontrade inferiori alla

Celtica, verso mezzodì toccano 1’ Oceano e il monte Erci-

nio, ed estendenti tino alla Soizia il quale spazio comprenda

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h Spagna, la Gallia Cisalpina , e la Pannooia, ove quella

nasione mandò colonie. - A della di Strattone ( ìv , p. iftg ) eran anticamente drnominati Celti quelli soltanto che abita­vano la Narbona, e da msì ebbero lo eteaao none i Galli

tatti. Finalmente giusta Cesare (I. o.) Galli appellavansl prò*

priamente le nasioni che avean sede nella Oallia Lngdnnfcse

e Narbonese. « I Galli, scrìve quest* aolore divide dagli Aqui­lani il fi a me Garonna , da' Belgi la Matrona e la Seqaana ■ ( Marna e Senna ).

( ■ 4) Dappoi oo‘ Sanniti. I commentatori si sono heooati il

cervello per ispiegare in qual guisa i Latioi confinassero a

settentrione co'Sanniti cootra l'astersione de’ Geografi, ■ i quali non parlano che di confini orientali. Io adotto l'opinione del

Grouovio, il quale peli* espressione ad oriente e settentrione

intende la regione di masso fra questi doe ponti, che oorri- iponde al nostro Nord-Est. Cib didatti a* accorila cella posi*

sione del Sannio , per rispetto al Lasio , singolarmente m a quello s’ aggiungono i paesi de’Peligni, de* Testini, de'Marei, de* Marruoini e de* Terentaoi, i di oqi popoli sovente univa ne

le lore armi a quelle de* Sanniti , ed in parte erano della

medesima schiatta (V. Tito Livio vili, 19, Strab. v. p. 1 ).

(1 5) De* Latini. Il Lasio, dapprima tra angasti limili oòm-

preso, estendevasi dall* Anione e dal Tebro aino al prombn-r

torio Circeo , -ora Circelli. Ma p o i, ebe vi fa aggiunto i

territorio degli B q oi, de* Volsci , degli Brnici, de* Rotuli , e

degli Ansonii il sao confioe meridionale fa il Rime Liri.(16) L'anno prima ohe i Galli astaltoittro la Grècia. I

Galli, cent! anni circa dopo oh* eransi ritirati da Roma, con­

dotti da nn altro Brenno , tragittare*! in Grecia , e rinforzati da’ loro nazionali di Pannonia , parte avviarouti a D elfo, ove

soggiacquero al furore degli elen\enti , ed all* entusiasmo dei difensori , parte varcata la Macedonia, cbe devastarono , oc-»

ridendo in battaglia il re Tolemeo , giunsero nel paese dei

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Dardi ni. Cott itaccironii da Brenne Tenti mila nomi ai t lotto i regoli Leonorio e LaUiio pillarono io Tracia, donde

tragittati in Alia ajatarono Rioomede a ricuperar la Bitinia ,

e di l i inooltratiii li itabilirono u lta coita dell* Ellesponto, nell* Eolia e nella Gionia, e ti rendettero tributarli tatti i popoli di qua del Tanro , non eccettuati i re di Siria. ( V.

Tito Livio , Diodoro Sicalo, Giaitioo ).(t<7) Cacciarono fimabmente £ Italia P im .. Fa Cario che

diifece Pirro , il quale co* tuoi elefanti , innanii a lui noa

mai vedati in Italia , « e a dapprima meno tanto terrore nei

Romani. Dopo la rotta ricoveroui a Tarento con poobi o*- valli, e cela imbarcatoli ritornò in Epiro ( V. Plutarco nella

ina vita).

(18) 1 Campani a l tolda d’Jgaioole. Diodoro Siculo, I. m

•dog. i 3 , racconta la faooenda nel leguente modo. Mori»

Agatoole, Siraonaa ritornò al governo democratico. Ma aicoome

nell'eleiione de’Maeitrati fu ipogliata de’ tuoi onori la militi*

mercenaria, oh* era «tata guardia del tiranno e miniitra della

■aa orudeltà , coki nacque disoordia tra quella e i oittadini »

e ai venne all* armi. I veoohi, lattili mediatori , ohetarono a

atento il tumulto dopo molte preghiere, e pattuirono ohe i mercenarii dentro un tempo itabilito rendettero le loro poi-

aeMioni, e niciaiero della Sicilia. Fu aocettata la proposizione, e gli itranieri, gimta l’aooordo, L asciarono Siracuia, e giunti allo itretto furono ricevuti da'Menineii come amici ed alleati

ed alloggiati certamente nelle oaae de* oittadini. Ma ooiloro di notte tempo oooiiero i loro oipiti, li presero le mogli di

quelli, e tennero la oittà, ohe chiamarono Mamertina da

Mamerte, nome cbe nella loro lingoa danno a Marte (a). Del

(a) Lo Schweighaaser cita lo steno lei lo di Diodoro, aa molto arbitrariamente T o l ta lo . Fra le altre cose riferisce egli esserti i mer— cenarli so ilo Agatocle arragaio il diritto di crear i maestrali, tocckè

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retto erano i Campani ( dice il Casaubono ) anticamente do*

biìdÌ di spirito militar», e pattati d'Italia io Sicilia dannai

in aerviaio , ora a* Cartaginesi , ora a* nemici di qnesti i anai, a detta di Diodoro, ( x iv , | 5 ) avean essi aino da’ tempi diDionigi il vecchio in lor potere alcune cittì della 8icilia, aio»

com e Catanea ed Eulella .

(19) Imperciocché i Regini. Di questo latto ancora dà oon*

tezza Diodoro , ( ecl. xxii , 2 ) secondo il quale i soldati .en­

t ra t i in Regio erano Campani, ed il loro comandante., da la

chiamato Decio , t ribuno Romano, per avere dopo la strage

d e ’ Regini mal distribuiti i danari degl' infelici , fa dalla pro­pria gente cacciato in bando. Tito Lirio lo appalla Decio J li­

belli 0 , e dice egualmente essere stata la miliaia che oooapò Regio una legione C am pana (Epit. lib. z ì i) Valerio M w im o

( lib. 11 , cap. 7 , 15 ) il noma semplnemente Jobellio , e

narra , che morto lui , cd eletto a dace il suo segretario M. Cesio, il Senato fece dopo la presa di Regio tatti incarcerare,

c sebbene M. Fulvio t r ib u n o della plebe si opponesse al lor*

supplizio , come contrario al costarne de’ maggiori, aaaendo

essi cit tadini Romani , ciò non pertanto ebbe Inogo 1' esecu­

zione. M a , affinchè meno odio a'Padri ne derivasse, ne fu-

ro n ogni giorno giustiziati cinquecento » e proibito di seppel­

lire i loro c ad a v e r i , e di pianger la loro morte. - Da questa

relazione parrebbe che i mentovati usurpatori non fossero al*

tri menti C ampani. Ma è da considerarsi, ohe sino dall’ anno

{ 1 ■) di Roma i Campani arean ottenuta pe* loro meriti la

cit tadinanza Rom ana (V. L ir . v in , i 4) s laddove lo sterminio

non trovasi nel testo, ove si legge soltanto ri? Jt fitr&tpifmi 1» 7«7f : cioà a dire, essendo i mer­

cenari i stati disonorati nell* elettone de’ maestrali, che il Aodomano egregiamente traduce : honore tuo fraudarcntiv-, la quale espressione più probabilmente significa cbe que’soldfli stranieri non furon eletti aUe cariche che coprivano vivente il tiranno.

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della legione Campana sndiletla , strenne nel {83 dell' era

medesima. Il numera de’ delinquenti poniti , che Fronlioo

pare ( Stratagem. iv , i ) ascender £» a quattro mila , il nostro con molta maggiore probabilità il riduce a trecento ,

non potendosi credere , ohe tanta moltitudine d'armali , in

una forte città rinchiusi, si fosse lasciata conio pecore pigliare

e trascinar al macello.

( lo ) Mrrgara. Il Caaaubone dica d'aver invano cercata

questa etiti nelle vicinanze di Siraonaa. Noi abbiamo ri otri o-

oiata in tatti gli autori di lai aitati la città marittima di Si- oilia , oh* egli crede corrispondere alla Mergara di Polibio, ed

abbiam Uovato in Cicerone ed in Plinio Murgrntia ( Mur-. gentinos ager, Murgentini ) , in T. Livio Murgauiia, in Stra­bono Morgontia, in Tucidide e Diodoro Margottino. Ov'A da

notarsi, primieramente, ohe gli autori Greci hanno costante-*

mente I’ o in luogo dell* u de* Latini, e aio con lauto mag-»

£Ìor fondamento , qaaotochà giusta Straboue ( v i , p. i 5 ) H

nome di qaest* città derivava a parer d'alcuni da quello dei

Horgeti , i quali, scacciati d’ Italia dagli Baotrii, paiMron in

Sioilia e la fabbricarono: In secondo lnogo reca maraviglia, come Plinio ponga Margenzia , fra le città interne della Sici­lia , quando secondo latti era porto di mare. In terzo luogo

t oosa siugolare come la Uorgantina di Tucidide i dalC an-.

lico Suolaste (L ìv , p. ag5 edit. Aemil. Porli) qaaliCcata

«»*iA* « i , piccola città di Sicilia, laddove Diodorointitola la saa Morganlina «<A«> « £ i « A • y i r, città di gran copta ( L zi ). Le due olii me osservazioni indurrebbooo

a credere che due città dello stesso nome v’ avesse, 1* una

marittima, l’ altra mediterranea, I* una ragguardevole , l’al­

tra di poca considerazione. Sebbene un passo di Sinbone

ci autorizza a supporre che la stessa città an dì grande a

(ungo ppco notabile possa essere stata ridotta , forse da qod

Deuiezio re di S itili* , che dppo aver fabbri^lo Miueo la

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espugnò (T . Diodoro 1. 1). probabil t , ilice il citato geografo

( L v i , p. 370 ) cbe Morganzio sia stata fabbricata da* Mor­

seti. Era deua città, ora non lo ì più (a). L* Holstenio stima

non differire da lei la città ohe , conforme asserisce Stefano

Bisantino a qaesta voce , Filisto storico Siciliano chiama Mar­gina , donde per avviso dello Sohweighiuser tarassi fallo Mar- gana , • poscia Mergaoa. Il Claverio pertanto matte Morgina

molto lungi da Morganxia nell* interno della Sicilia ani finme

Imera.

(21) E giovi* era ancor molto. Il Casaubono dimostra ad

avidensa ohe Gerooe avaa allora trenta tri a n o i, sebbene Po­

libio dice ohe fosae assai giovine , dappoiché secondo i Ro­

mani la giovinola dorava da* trenta, termine dell’adolasoenia, «no a* qnaranta oinqae anni oompioti ( non sino al* qairsnta

oome pretende il Casanbooo ) . Delle età presso i Romani veg-' gasi Ani. Geli. noe. Att. lib. 1 , 3 8 » Yarrone presso Genso­rino de die natali, c. i { . —• Discendeva Cerone da G*- Ione tiranno di Siraonaa ( coi fa erede nel regno 1* antioo Ge- rone celebrato nelle odi di Pindaro. Y. Diodoro 1. zi.), ma

•na madre era di vilissima stirpe. Il percbì fn egli esposto

dal padre, che stimava la propria nobiltà da Ini disonorata., ma ben tosto dal medesimo ripreso e ad alte sperarne edneato»

come riseppe ohe, dagli nomini abbandonato , era alato d ii-

drifa» dalle ap i, cbe avean intorno a Ini raccolto del mele ¥ onde gli «raspici interrogati ebbero al fanoinllo pronosticato

il regno. (Y . Jostia. I. z* iu , c. 4).

(a) w»Xét t »»* f i * «fri loaole parole ilei lestoJ cbe il Xilandro interpreti 1 u qtute urbi hodie non *xilai ; • V a­lichi distrutta fesse a' (empi di Slraboue. Eppure Pliuio poaieriora a questo Geografo P annovera fra I* eiuà di Sicilia eba ai' suoi giorni eiislcvauo.

roLim o , tom o 1. 11

i 6 i

Page 166: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

(22) Prete a l tuo soldo. La militi a atraniera era tempre

lo itrameoto, eoo coi i tiranni’ presso i Greci prooaravansi

ubbiditola da’ sudditi, e formava la loro gaardia. Gerone che

da molto tempo aspirara alla dignità reale, non neglesse que­sto valido messo al coosegoi meato del soo ditegao. Ha per

pogoare co’ nemici esterni si valse delle sole forse orbane a

fine d’ averle favorevoli dopo la vittoria, e perchè conosceva,

ohe ispirati da amor patrio meglio delle merocoarie avrebbooo

combattalo.( 23) E data loro una grande sconfitta. Diodoro racconta il

fatto alqoanto diversamente (Eclog. 1111, i 5 ). A. detta sna

Gerone colse per assaltar Messina, il momento d* nna spedi- cioue fatta da’ Mamerlini, i qoali erano già divenuti potenti •d aveao prese molte castella. Volaron essi a soccorrerla , a

Gerone, abbandonato il territorio nemico, espugnò Milo, po­

scia Amesalo che distrasse, e ne distri bai la campagna a

quelli d' Agiro e di Gentoripa, fra ooi quel castello giaceva. Secondo qaesta reiasione Gerone sarebbe alato vincitore nello

•tesso sito, ove secondo Polibio lasoiò battere i proprii mer-

oenarii , mentrech’ egli ritiravasi 00’ snidali urbani alla volta

di Siracusa. Parla poi Diodoro di an'altra più grossa spedi­sen e fatta ds Gerone contro i Mamertini, nella quale prese

Alefa, Abacena, e Tindaride , e ridotti i nemici in angusto

apasio li ruppe presso il finn» Loitaoo (che sarà il Longaoo

del nostro) e fece prigiooe il lor oapitaoo Ciò. Tuttavia non

periron allora del tutto i Mamertini, perciocché Annibaie ca­

pitano de’ Cartaginesi , udita la loro rotta, recossi tosto a

Gerone sotto speoie di congratularsi seco ; ma realmente per

tenerlo a bada , poscia andò a Messina , quando i Mamerlini

ne trattavano già la resa, e ne li distolse , facendoseli amici.(24) Da tutti ì tocii. Cioè a dire, da’Siracusani e da’ loro

alleati.

‘ ( : 5) Che alla medesima gente appartenevano. Sebbene fos-»

i6a

Page 167: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

uro Campani, lottarla Romani erano per ciò ohe tpetta alla

loro gente, non altrimenti che Greoi erano gli Achei , gU

Etoli> i Macedoni ec. , e Galli gl’ losabri , i Ceoomani , i

Boi ec. E dunque il vocabolo greco e l’ italiano gente1' espressione generica di popoli, eh 'e guai favella ed egnali cottami unisoono , e oiaacheJano di qneiti pvpoli ohe ooiti-

tuisoono le tpecie di quel genere, distingaomi italianamente

ool nome di nazione, ed in lingua greca colla voce •$>•«.

Cod dirassi gente Italiana, Francale, Alemanna, e Razione

Lombarda , Piemontese , Toscana , Austriaca , Bavara , Sas­sone eo. - In questo senso dice il nostro nel lib. vi , i g che

i soldati d’ Annibaie , non che fossero della stessa nazione ,

non eran neppure della stessa gente ; dappoiché v’ avsa fra

loro Afrioani, Spagauoli. Liguri, Galli, Cartaginesi, Italiani, Greci. - Ciò non pertanto trovami questi vocaboli promiscua-

mente osati presso i Classioi, cosi Greoi , come Latini. In

Senofonte ( Agesil. v i i ) leggasi: ì t m 7 i m w trr in la j

15 ntpm , o te qualche nazione t i ribelatte dal re di Persia ove piA«r età per semplice nazione. Tacito dopo aver scritto

de' Germani ( o. 2 ) Ita tvlùonis nomen, non gentit evaluisse

paullatim, nell' Agricola chiama gentee quelle che poco prima

avea denominate naùonet ( Y. Porcellini Lezio, lo tini latinitat.

alla voce . gent ) (a). Coe\ hanno sovente i sinonimi un sensp

vago , quando sona isolati, e un determinato , quando pon­gono a confronto per far risaltare le moilifioaiioni dell’oggetto

che esprimono.(26) 1 Romani ec. Memorabil esempio d’ onestà In nn sa­

premo Maestrsto , il qnale, mentrecliè costretto 4 a ceder all’impeto di nn’avara moltitudine, non coglie di buon grado

i parlili utili anziché i giusti. Il Senato molto bene conosceva

(a ) Siagolar è 1’ É*$F»r adoperalo da Senofonle (Cyropaed. iv }

per sesso , e la natio optimatum presso Ciccione (prò S a lo , ^ jm* ottiine senatorio.

i63

Page 168: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

il pericolo e ie all' Italia e a Roma aovrattara da* Cartaginesi

dominatori del mare, e deiiderato avrebbe , che motivo piò

ragionevole d’ assaltarli gli ai foau offerto ; ma il volgo a oc*»

cato dalla iperania di guadagno e stimolato daU‘ambuione di

«Ianni Grandi ruppe ogni freno.

(i>j) IL Settato pertanto non funzioni ec. Lo Scbweighàaaer

oon argomenti atiraccbiati, anxi cbe no, •' a ftalica a coociliare

Polibio oon Litio, il qnale (E p ib lib* ) dloe teiere (tato

oon decreto del Senato rìtololo di prestar aoooorto a* Hi*

mertini , eaaendo i pareri sa ciò divisi. Ha non A qneeta U

prima volta cbe i mentovati due dorici trovanri tra loro i«

oontraddiaione, e noi Tedremo in appreuo con tutta evidenx*

trionfar la veracità del noatro astore appetto a quella di Li*

t ì» ! eiiindio nelle cose Romane. Per la qnal cow , sena*

molto itrologare, ai potrebbe rifiatar come poop esatta 1’ «•-»

aenione di Livio, tanto pi& che noq ne rimane te non «e nq

oenno breviaiimo.(a 8) Peli' utilità che a l pubblico eo. Grande bottibo ape»

ravano ì Romani dalla Sicilia, tapU» oelebrata pella ina I»»

tjlità. Diodoro ( eolog. x;*ip, 1 ) coti ne parla 1 « La Sicilia

i fra le isple la piò bella , e molto può oootribaire all* ig-»

grandjmento d’ nn Impero.

(jq ) E g li oontegnarono la oitti. Otterrà bene lo Sobwew gbiuser, cbe non gliela poterono allora con tignare , ma dia

indettaronti di farlo.(So) Sufia. Luogo dentro a terra ne* diotorni di Messina,

obe tembra etaere ttato di poca contjderaaioqe, dappoiché

n«nano scrittore ne parla. ’

(3 l ) Appio pattò di notte ec. L’ Autore del libro de Firis illuitribus narra aver Appio Claudio pestato di potte lo stretto

in noa barca pesobereccia, oon animo di riooooacere i nemici e trattar col comandante Cartagjaese , cbe asciate col presidio

della rocca di Meuina. Ma te i Maaiertiui avean già cotlieub

164

Page 169: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

il comandante Cartaginese a partirtene avanti di chiamar

Claodio , il tragitto del coniole Romano non potea aver per

ùcopo di trattar col ptentovato comandante. Nè tampoco 4

vero aver Appio eoo noa barca petchereocià fatto il primo

passaggio , giacchi egli area «eoo totta la sua gente , n i •

fine d'esplorar i nemici, ma p e r ooonpar la n i oca di .Messina,

gioita I* accordo p re io co’ Mamertini, e p e r combatte re ove

fotte d’ uopo. Del resto I* temerità di Claodio in oiò conti*

itera eh ' egli oon legni tanto deboli traghettò il ino esercito ,

nofi aiendo per anche i Romani navi da guerra, ed e (Mode

questa la prima volta che passarono lo stretto. Quindi ebb’egli

il nome di Caudex > Con osi i Romani denotavano le barche

per navigare ne* GdmL Vedi Svetonio in Tiber. oep. i l , e

Seneca de breviL vit. oap. u n , ove alla parola di Caudex leggerai l’ erudita nota di G. Lipiio.

(3 a ) A chi contemplar vuole l'apice eo. Il tolto ha 7*

. . . r v t ^ i r ^ a r , ch’i quanto dire raccoglier cogli occhi

la tomaia. Siccome pertanto la io tu ma de’ particolari dà per

risultamento 1* apice , o dir vogliamo la perfetione a cui e iti

tendono nell’ unirsi, coi) mi pare che il Casaubono non abbia

mal reodoto per Guiigium il a<?4A«i«f dell* originale, ed io

ho oredato bene di cootervar questo senio iella mia versione.

L ’Origo dello Schweighiuser mi um bra al tntto leoia fonda­

mento , ed egli Messo pare cbe ae ne peata nella nota a

qnesto luogo.

( 35) Perduta ebbero l i patria. Allorquando i Galli occu­

parono Roma.

(3 {} ì k m ufficienti fortune e fo n e eguaC. Hoko mi per*

enade il ragionamento del Gronovio a queeto luogo , il qoale

v o i che il fttìftm l ì Tuie abbiasi a tradurre, taffdentidi fortune. I Cartaginesi t padroni dall’ Afrioa , d ‘ una parte

della Spagna , di quasi tutta la Sicilia, delle isole tutte del

165

Page 170: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

mar Sardo e T irreno , e i Romani padroni dell' Italia nott

potean al certo dirai mediocri di fortnna. Che se al Cazau-

1>odo aembra doverti cotal mediocrità applicare a’ Romani e

non a’ Cartagineii eh ' erano al colmo della loro grandezza ,

non diremo gii che i Romani allora pottedettero mezzane

fortune , perciocché qneata crebbe in appretto a dismisura.

Sibbene te eguali erano, conforme asserisce Polibio le forze

d* amendue i popoli , e sufficienti quelle de* Cariagineti, me­

diocri non erano certamente nè le forse nè le fortune dei

Romani. Non è dnnqne da ritenerti I* interpretazione del Ca-

taubono conservata dallo Schweighànser.

( 35) Filino e Fabio. Filino , tecoodochè riferite* Diodora

( eclog. x x i i , 8 ) era da Agrigento in Sicilia, e tcritae la

prima guerra P unica, a oui era contemporaneo. Siccome i

Romani eranti impottettali di quella città dopo nn lungo a n

tedio e ne aveano maltrattati gli abitanti, coti non è da

maravigliarti te Filino non fu loro favorevole nelle tae me­

morie. - Fabio fu Quinto Fabio P itto re , da Tito Livio dell*

storico antichissimo ( li , 4 ° ) > discendente da quel Fabio, cbe dipinte a Roma il tempio della Salute e ne tratte il no*

me. Fiori egli a* tempi della seconda guerra Punica conforme

dice Livio ( x x i i , ^ ) , il quale ti è a lui particolarmente

attenuto nella detcrizione di qoella guerra.

(3G) A bello studio mentilo ec. Cioè a dire non credo ia

già ch 'e tti spacciate abbiano cote atturde con animo d 'in ­

gannare , dappoiché furou nomini probi e menarono vita

onetta. Sibbene convinto tono cbe I’ ardente amore cbe por*

tarano alla patria gli accecò e sedotte a cosi oprare. - Qofl

de industria yuidem vero aberrasse, con oui lo Schweighiuaer

nella nota corregge quaai la propria traduzione, che ha men­tito , non mi aembra troppo felice, perciocché comprendo

bensì , come uno posta a bello studio mentire, non già come

potsa scientemente errare, la scienza e l’ errore deludendosi

16 6

Page 171: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

vicendevolmente. - Del recto * / f i n t , che ho qui rendalo per

matsimo, deriva da i t f •» . io scelgo, • lignifica , ooil in

haooa come io mala parte il complesso de’ principii m orali, ohe eleggonii a norma della propria condotta. Secondo il

Csiaubouo ogni partito, cbe abbracciato noa volta, tenghiamo

fermamente, i Greci chiamano eresi, i Latini tetta , e qui

ereti denota parzialità assoluta in favore della patria.

(37) Siffatta equità non i da riprovarti. E (‘ equità fe­

condo Ariitotile ( Nioomach. lib. v , cu 14 ) quella parte della

giottixia che benignamente interpreta la legge. Lo itorico per­

tanto , dovendo fare l’ ufficio di giudice, i meitieri che si

armi di tutto il rigor della legge, n i interpreti nennn* aliene

secondo gl* impuUi del proprio cuore , ma prefiggendoti per

unico scopo la verità a questa immoli tutti i tuoi a fletti. Dif-

fioil impresa per chi acrive la ttoria de* proprii tempi, quando

fresca i ancor la memoria delle beneficenze e delle offese

ricevute. Cosi abbiam veduto Timeo mendace, ove parla di

Agatocle che 1* avea etiliato ; coti 4 qui Filino per riipetto

a* Romani , coti Fabio relativamente a’ Cartaginesi. C o ti, per

recar in m eno qualch* esempio di ttorioi moderni, lo Segni

nelle storie Fiorentine non ti lascia sfuggir occasione alouna

di denigrare Carlo V , il quale tpente la libertà della sua

patria ; coti il Cardinale Bentivoglio non fa al certo le parti

di itorico imparziale tenendo nella ttoria delle guerre di

Fiandra 1A1 pompoio elogio 'a Filippo I I . - Sebbene neppur

nella descrizione. di fatti remoti abbiano gli iterici tempre

oitervata quella rigorota giustizia di cui ragioniamo, ove della

propria gente favellarono. Da quelli aitai diverto ti moitra

Polibio, fedele alla maliime ch’egli ha qui inculcate. Nel tetto

libro di queite storie asserite* egli lenza riguardo alcono, non

poter i Greci pella loro indifferenza in fatto di religione ma­

neggiar con onestà i pubblici danari, a malgrado di molti

1 6 7

Page 172: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

mallevadori o teitimonì : laddove i Romani legati dal solo

giuramento non mancano al dovere. Nè credaai aver egli ciò

detto per adular i Romani auoi Signori e benefattori : che

non la risparmia nrppar a qoeati, coi rinfaccia l ' irragionerol

ostinazione con che inaiatono nell* im prese, e pella qnale

sovente toccano grandi aconlìtte ( lib . i , cap. 3 “j ) e 1’ aver

recati in patria gli ornamenti delle etili prete, (lib. s ,) meri­

tandoli per tal gniaa I* odio de’ roiaeri che ne furono spogliati.

( 38) Biasimare gli amici. Un eaempio memorando dell' e- ■eoniione di qneato precetto , dice il Casaubono, ne da Po­

libio ateaao nell* ambasceria s u , Of* espone an errore qaaai

ridicolo coaimeaao da Filopemene e da Lirorta ano padre in

vb gravissimo afTare , noa altrimenti ohe se parlasse di per­

sone a aè del tatto ignote. E nel principio del tv libro ar­

cata egli francamente Arato , la memoria del qnale era aacra

presso tutti gK A chei, di tarditi ne’ contigli, e di timidexxa

nell’ operare , quando ascivi in campagna eoli’ esercito.

( 3n) Ad attediar Siracuta e a stringerla. Il tetto ha rpte- iwtfimWtrBmi , mèXttfutlt, che letteralmente

■aonerebbe : t astidessen doppietto, e prendettero ad aecer- cium-la. Considerando pertanto che l’ asione «li atabilirai da­

tan ti ad ona forteua preceder dtbbe quella di circondarla ,

io ho espressa la prima col vocabolo di attediare , eh’ è il latino obtidere , e pressamente il greco n f n m $ t f n r , e la

feconda oon stringere ch e , se non vo errato , assai pià cor­

risponde al «iJ*. 7«> »«>♦* t i f y i i t , chiuder a IT intoni»

ia c ittì , che non il per vin oj>pu*nare del Casa abone e

dello Sahweighinser. ^

({o) Ed Echetla ancora. Era E niella eitli forte nell’ in­

terno della Sicilia ani fiume Achate (V. Cluver. Sicil. Antiq.)

Qui non apparisce a obi cnteata cittì allora apparteneste. Ai

tempi di Agatocle pare eh’ eata ai reggeste a repubblica po­

polare , sendochi Diodoro ( lib. n ) narra che gli Agrigentini

16 8

Page 173: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

h ripre«oro a’ Siracusani, d ie te n* erano impoueMati, c le

restituirono il governo democratico.

( 4 0 Hanno i Romani in. tutto quattro legioni. Molto aooon-

riamente otterrà il Cataobonoj essere qnetto ttato il cottume

antieo «le1 Romani innanti che ponessero piede fuori.d 'Italia:

che in appretto , tecondo cbe rilevati da vani loogbi di Tito Livio tino alle ventitré a* accrebbe il nomero delle legioni

Tuttavia , acconto Polibio parla di qoetl i coscrizione, oome

d* nn d io de* n o i giorni, coM i da crederli che gli eserciti

coDiolari continuassero tempre ad essere formati di quattro

legioni, ohe ogni anno arrotava nei mbito dopo 1‘ eleiione dei

contoli ; ma che potoia, tecondo il biiognow maggiore o minor

numero ne aggiugneuero.

( 4a) Ribellamui pressoché tutte le città ec. Settanta Mtte

fnrono , gì nata Diodoro , ( Eclog. m u ) le città che dopo la

rotta di Cerone e de’ Cartagineii, aggiunterò le loro forse a

quelle de* vincitori. Laonde G erone, vedendoti vanir addotto tanta tempesta, (eoe per quattordici anni paoe 00' Rom ani, alle coodisioni qni caprette. Frattanto era giunto Annibaie

oon una Botta pretto al porto di Sifonia con soccorsi per

Gerone; ma informata di quanto era avvenato, te ne ritornò.

(45 ) Cerone osservando ec. a Due Tarano , per avvilo di

Polibio le cagioni che indosserò Gerone a preferire l'alleansa

de* Romani a quella de’ Cartagineii, il timore de' Siciliani, «

l ’ ammirasiooe delle imponenti forze de* Romani. Pautania

(v i* , l a ) ne rammenta una te rsa : la maggior costanza dei

Romani nell’ amicizia. DilTatti , a chi non 4 nota la Punioa

perfidia? r> Casauò.

({{) Di vigor piene. Lo Scbweighàuier, sebbene nella tra­

duzione ritiene 1* armaturoe fondere terribilet del Catanbono, nelle note giallamente riflette , che il del tetto debba

iulendeni della forza e robaitezza delle legioni Romane, an­

tichi del peto della loro armadura.

1 6 9

Page 174: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

(45) Dappoiché l» legioni difettato optano ec. F a l ' etpe*

rienia del pattato ohe temer fece i Romani, non il loro eser­

cito , tenia l’ annoisi* di G erone, mancane di vettovaglie.

Inopportuna dnnque A la difficolti motta dal Reitke , che i

R om ani, padroni, tiooom’ è detto di top ra , della campagna,

non potean estere ridotti a rittrettessa di viveri. Gerooe ne­

mico avrebbe loro impedito l’ accetto d* ogni cota p ii necet-

taria, per quanto ti fossero lottenati ne*luoghi aperti; • ben

lo provarono nell' attedio d ' Agrigento, come tolto vedremo ,

quanto folte loro utile 1’ amioisia del re di Siraouss.

(jG) Amante dell» loro co ro» e delle loro lodi. Grande fu

in molti incontri la munificenia di qoetto Principe. I Rodu ,

cui un terremoto roveiciato avea il Colono, e diitrutte parto

delle dartene ; ebbero da Ini rioohittimi doni, e franchigia

pe'naviganti ( Polib. v , 8 8 ). k Dolio consacrò nn tripode e

una vittoria d’ o ro , ( Ateneo Deipaoaoph. vi , p. l 3 o ) e il

poeta Simonide trattò con regia liberalità tutto il tempo ohe

dimorò in Siraouta ( Id. x iv , p, G56 )• Un elogio piò esteso

gli tene il ncitro dopo aver parlato detta morte di Geronimo

tuo loccestore ( v ii , 8 ). — Del reato era la co ro sa , e

pretto i G reci, e pretto i Rom ani, non come nei tempi

posteriori 1’ insegna della reai dignità, ( il di coi distintivo

era il diadema , o dir vogliamo la benda frontale ) ma il

premio che pubblicamente datati per ogni prode asione. Coti

intignivanti di corone i vincitori ne’ gioochi O lim pici, coti

rimnneravasi il valore de’ ioldati Romani-oolle corone civiche ,

m urali, navali, èoo.

(47) Nettuno godette maggior tempo. Vii*’ egli oltre no-

vant’ anni , con forme narra Polibio nel loogo te tti citato.

(48) E considerando che Agrigento ec. Dell’opportuno sito

di questa città vedi il nostro i x , 17.

C4 q) Sede principale della guerra. Nel tetto leggeti à fp e V -

1 7 0

Page 175: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

«f/»»r7«f % (ìr$ai, Talli 7J s-Jaij « fa r 7'»» wlXi/t*r, let­

teralmente : dice ritolteli do di valerti di quitta città , come «f un luogo , donde fa r impeto per quella guerra , derivando

da , luche con impeto. Difficil 4 a render

«•attamente in nna ioli parola Italiana q netta vóce nata dalla

eomplicasione di parecchie idee. Io ho preferito di rilevarne

la ciroottania piò importante, qnal si i la perpetuiti delle

•pensioni militari , a oui era qnel Inogo dettinato.

(50) Fermerò in Sicilia colle legioni. Riflette opportnna-

menta il Catanbono , cbe avendo poo’ ansi riferito Polibio,

come era intendimento da* Romani di mandar in Sioilia dna

•ole legioni, il nàrrar o ra , obe amendne i Contoli eranviti

recati colle legioni, fa conoscere, ohe il Senato mntaue

opinione in vergendo gl' imponenti apparecchi che facevano i

Cartagineii.

( 5 1) AweuUmnti, chi tugii alloggiamenti eo. Fallato avean

in qneito incontro, non meno i Romani, ohe i Cartagineii) quelli ntcendo troppo temerariamente per foraggiare, qneiti

correndo alla rapina innanii d’ aver ditfatti gli avversarti. Ma

i Romani aveano per tè la tevera disciplina, che col timore

d ’nna morte ignominioaa prodnceva il ditpretao detla propria

v ita , e merci della qoale di leggeri correuero la prima im­

prudenza : laddove i Cartagineii, per difetto della ateua di­

sciplina j nel preoipitani con avidità, a intempestivamente

•alla preda , perdettero tatto il fratto della loro impreta.

( 52) Eraclea. Cioè Eraclea M boa, conforme la noma poco

appretto Polibio; città marittima pooo Inngi d* Agrigento, coti

appellata, tecondo Diodoro ( i v i , p. 5 15 ) da Min oste re

di C reta , il quale la fabbricò, qnando attendo in traccia di

Dedalo , fa otpite di Cocalo re de' Sioani, che primi abita­

rono la Sicilia, e le died ero il nome.

( 53) Anni baie. « Era qnetti , tecondo Zonara , figlio di

Getcone. Orotio , per diatragnerlo da Annibaie figlio d* AmiU

r 7 i

Page 176: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

•a re , lo d iurna il vecchio. Co«ì cliiama Diotloro (eoi. n i f i ,

8 ) Annone il vecchio quelli eh’ i qui nominato, perciocché

vi fu altro .chiaro capitano «he così appellavaai . Cataub.( 5 { ) E prete dapprima Erbetto. Secondo il Polard la presa

d' E rbesso , ove i Romani acoamuUti aveano i loro viveri t fa cagione che il Generale Cartaginese , credendo di ridurli

a renderai pella fam e, noli’ altro oontra di loro imprendesse.

Donde avvenne , ohe , essendo quelli d* Agrigento non meno

dalla fame opprewi , od i Romani ostinali a tatto p a tire ,

ansichè cedere , vinse la oostansa di qu es ti, e la sviata di

non asaiourarm dello vettovaglie tornò tot essi ia profitto t mentrechi a' Cartaginesi riuscì rovinoso il felice evento di

Erbesso.

( 55) Il eolie denominato Toro. Di qoesto colle Polibio solo

fa meniione. Il oolle Taoro , di oui parla Diodoro ( s v i , p*

5 l J ) , e donde trasse il nome la città di Tauromenio , non

ba nulla ohe faro oon qaesto , e n ' 4 molto distante.

( 56) Seat» che i nemici l ’osservane ro. Zoaara al contrario

n a rra , ohe Annibaie solo sfoggi alla vigilanaa <W>’ Romani «

ma ohe il ano esercito fa da qoetti o dagli Agrigentini ve­

duto , « da amendue mal concio. La qaal 00sa aon ba ■ es­

sa na verisimigliansa, oltreohè l'autorità di Polibio è di gran

langa saperi ora a qnalla dello storico Biaantino.

( 5) ) Inchinarti da bilancia della guerra. Rei testo f t t ì t t , clie significa propriamenU 1’ wclinaaiftne cbe

prende la bilancia p e r soverchio peso. lo b o creduto di poter'

conservare nell* Italiano questa immagine molto acooncia, a

coi il Casanbono e lo Schveigbioser hanno tettatali lo il pie»

garsi che fa in parti opposte la-palma della vittoria.

( 58) Navi da cinque ordini e da tre. Per ordini £ facile a

vedersi , che qui intendo ordini di remi. Eran questi ordini

1’. ano all* altro sovrapposti per m odo, ohe i superiori, quasi

a gradini, sempre più in fuori sporgevano, affiochì i remi

1 7 3

Page 177: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Bel uiaoveriì non s’ impacciassero rooiprocamente. La navi ,

di cgi sérvivansi in battaglia , eran appaoto queste da tra •

da einque palchi, perciocché ad aoa sufficiente agilità a (scop­

piavano solidità di ooatrniione, e oapacità di spazio pe' com­

battimenti. Ha quelle c h e , pià impor dovendo oolla m ole,

destinate non erano a solleciti rivolgimenti , • aovraltntto le

Capitane, avean tei e piò ordini. I vascelli oh*ebbe Antonioì

pella battaglia d'Asio eran da sei a nove ordini (Fior. L iv,

c. 11 ) e questa fu la oagion principale , della a iva disfatta,

dappoiohl quelli d’ Ottaviano , non inferiori a tre j e non

superiori a sei, eran molto più atte a qualsivoglia movimento.

La nave p ii enorme pertanto , che siasi dagli antichi fabbri­

cata , fo quella di Tolemeo Filopatore , la quale sorgeva oon

quarant' ordiui , .era lunga (• ) 420 piedi, ed alta settantadno

sino alla sommità della poppa , conteneva quattromila rema­

tori , e da trerajl* uomiai armati ( V. Piotare® nel Demetrio

c; 5} , Ateneo v , o. I , Plinio Jst. Nat. v ii, ì j ) . Il Battio

ueU’ opera de re navali vile rum sostiene ohe gli ordini dei

remi non crescevano in alleata, ma è Contraddetto dello Sca­

ligero. Noi non pretendiamo d ' erigerci in - giudici fra questi

due valenti investigatori, dell' antiohità ; pia non posaiam a

pieno di riflettere, ohe, rassomigliando tatti i palchi nniti ai

gradini d ' nn anfiteatro , sebbene posti in linea re tta , • in­

clinati verso la base in aogolo sento, necessaria non era nna

smisurata allessa per un numero discreto d ’ ordini. Quindi

potè bastare I' allessa di aettantadoe piedi alla nave di Tolo­

meo per dar luogo a quaranta o rd in i, come nell* arena di

Verona ( V. Soip. M alia degli Antiteatri lib. a , o. ? ) 1* eie»

(a) In Platareo leggisi a8o cobiti (v * £ i7»). 11 cubilo b la il istanza

dalla piegatura del gomito all1 estremiti delle dila , ed equivale a mesto braccio, o a un piede e metto, un braccio estendo eguale a tre piedi. (V. Herudot. Euterpe c. lfo, ove il cubito è computato Sei palmi, e il piede’ quattro).

*73

Page 178: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

razione dal «nolo di oltantasei piedi acorgeii sufficiente per

quarantacinque gradini : proporzione a un di preseo eguale

alla testi citata. Farebbe anoora qaalohe difficoltà la imodata

lunghezza de’ remi discendenti dagli ordini superiori, cbe due

•ole braccia, per quanto fossero robuste, non arrebbon po­

tato maneggiare. Oltre a oiò, dovendo cadann ordine di remi

ferir l'acqua a tanto maggior dii tanta quanto più dalla baie

del vascello ■ ’ innalia ti aeoretoe per tal conto eaiandio la

mentovata lunghezza , a non dir nulla di quanto perde la

fona del rematore applicata a an etlremitii della leva , ia

ragione dell* aumentata distanza della rssistenaa, eh* è all* altra

estremità nell'aoqua, dal ponto d'appoggio vicinittimo alla

mano ohe regge il remo. Convien pertanto credere , che sif-

iatti oon lievi ottaooli ti vinoettero col mettere a ciatohedun

remo , degli ordini pià alti , parecchi nomini toelli fra i p i i

nerboruti Tuttavia il vascello di Tolemeo, al riferire di Plu­

tarco , non moveaii senza grande fatica e periodo , laddove

quelli che costruir fece Demetrio di qoindioi e tedici ordini,

ohe ristrignevansi nel sorger* da baie quadrata, erano agili e

di siooro maneggio.

(5 q ) Non pouedevan neppure eo. Qui è T . Livio in con­

traddizione ool nostro. Secondo il primo ( v il i , l i ) avean i

Romani già nel £16 tolte agli Ansiati le navi lunghe, e parte

d* esse oondotte nella darsena di Roma , e poohi anni- avanti

il fatto preaente, cioè a dire nel (^ 1 , eran e ts i, a delta

d* Appiano, andati a Taranto con dieoi navi coperte. Io non

imprenderò a conciliare quetti sorittori, ed osserverò soltanto,

che delle navi lunghe degli Anziati non è detto cbe li vales-

•ero , e per ciò che ipetta a*vascelli andati a T aran to , non

è imponibile che Polibio più vicino a qne’ tempi meglio in­

formato ne fosse che non Oppiano.

(60) A lasciarti cader indietro - ed a chinarti - ianmù ec.

Il testo ha pella prima frase i r a w M u t , verbo oh» vivamente

Page 179: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

dipinge, e d ie io mi *oao ingegnato di rendere con preci­

sione, non meno che il «f»»!»•<», vocabolo egualmente ener­

gico. Erano quelle voci appartenenti alla nantica , e gii «e

n* era «alato Senofonte nell' Economico ( v il i, 8 ) lodato per­

ciò da Ateneo ( I , p. z 3 ) .

(61) Gneo Cornelio. E ra quelli Gneo Cornelio Scipione

N atica, console nel 4 q4 con Cajo Doillio.

(62) Pratiche eolia città di Lipari. Polieno (Stratagem. t ,

iG , 5 ) raoconta l'avvenimento in qaetta goita. I Cartagineii,

sapendo, che le forse navali de'Romani in Sicilia erano au-

periori alle lo ro , indntaero alcuni tra i proprii cittadini a

ditertare. I quali, presentatisi a Gneo Cornelio , gli promisero

di dargli per tradimento 1* itola di Lipari. Costai preitò fede

alle loro parole, e colla metà dell’ armata navigò a quella

volli. Come i Romani furono alla v i t t i , i Cartagineii eh* e-

rano nell* isola mandaroa a Cornelio ambatoiadori, cbe il pre­

gate ero d ’ entrar in ana loro nave, affinché , etsendo il co­

mandante Cartaginese gravemente inferm o, potettero in terra

piò comodamente trattar la pace. Si lasciò persuader il con­

sole , ma oome l’ ebbero in lor potere, assaltarono oon tutte

le nati 1’ annata Rom ana, e di leggeri la vinsero.

(G3) La punta d’Italia. Il ReisLe pretende ohe questa puma

folle il promontorio Soilleo, situato dirimpetto al F elo ro ,

troppo vaga, sembrandogli la denomioaiione della punta d ’I ­

talia. Ma con ragione sostiene lo Scbweigh. doversi qui inten­

dere quel promontorio cbe da Ipponio ti ettende verso la

porta d’Èrcole, • i coti delti trofei, e cbe dagli abitanti della

Sicilia occidentale polea comodamente chiamarsi promontorio

d’ Italia. .Difratti era Annibaie utoito di Palermo per andar

incontro all’ armata Romana , che approttimavasi coateggiando

l’ Ita lia , e H primo promontorio , a cui risalendo quella costa

dovea abbatterti, non potevi ettere te non te il testà citalo.

(64) Quelli che fonia denominarono corvi. Oltre al corvo

i ^5

Page 180: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

di Duillio vani linimenti bellioi di qoeato nome eran in o ió

preiio gli antichi. Quello che Vitrnvio ( i , i g ) chiama corvo

demolitore aerviva per abbattere le mura. V* avean di qnelli

ohe lanoiavanti per afferrar i aoldati nem ici, e di repente r i-

traevanii, qnali narra Dindoro (x v ii, ) che adoperaron i

Tirii difendendo la loro cittì nontr’ Alessandro. Non debbouii

pertanto oonfondere i corri oolle mani di farro, qnantanqnO

Frontino ( Stralagem. l i , 3 , ) ooiì chiami i oorvi di Duil­

lio. Diodoro (I. c . ) e Q. C an io ( iv , g ) manifestameli te U

diitinguono. D ireni poi da amendne erano gli arpagoni ie>

condo PKoio ( v ii, S7 ) inventati da Periole Ateniese, il qaalo

fn por astore dello mani di ferro, e da Vegeaio (11, i 5 )

chiamati lupi, che eran aerti Falcioni attaooati al corpo dello

n a r i , oon cui abbraoolavadii e laceraraoii i raaoelli nemici

(V . Appian. A I» . B. C. Roman. L v. ) — L’ effigie ohe d i

il Folard del oorro di Daillio i molto (antastioa, oonfonne ha

gii oaservato lo Sohweigh. Ralla dioe Polibio de’dao anoini obe

in quella veggonsi lateralmente alla baie del pestello, n i leg-

geai in Ini tampooo di nna pertica che ginva «ovra nn psroo,

n i d ’ nna oatena di fe r ra , oon oni aUongarati la fané. Ver»

egli è , che dalla deaoritione ohe fa il noitpo di ooteata «uo-

china non i facile formaraene nu ' idaa ben diatinta : ma non

perciò è lecito di tappi irvi ooll* iaunaginaaione.

( 65) Lunga ventiquattro piedi. QaaUro orgia dioe il tetto.

Ora equivale l’ orgia allo spazio d* nube le braccia diale*»

( V. Eiiohio alla voce ifyvf* , e Poli noe 11, 5 8 ) , e aecondo

Erodoto ( Euterpe 1 {g ) a aoi piedi ; quindi qoattr’ orgjc ag-

gnagliano ventiquattro piedi.

(66) Larga nel diametro tre palmi. A detta d* Bsichio il

palmo, n A s / c n , i la mitnra di quattro dita.

(G7) Una scala fatta di tavole trasversali. Piò & rapii demente

la chiama Frontino (L c. ) nn ponte ; aendochè, afferrata

fj6

Page 181: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

la nave nemioa col pestello, oalavano quel tavolato , è vi en­

travano.

(68) Ad una macchina di pittore. Consiste»! questa mac­

china in nn pestello (di legno secondo Esichio, ohe yi/mitt, g ru e , l ' appella ) il qnale sospeso da ona leva , aiu tasi ed ab-

bassavasi a vioenda per «o iaoc ir il fr omento nel morta jo.

( V. Pollnoe vii , io ).

(69) Mentre che girando dappresso ec. Lo Schweigh. spiega

questo giramento nel seguente modo. Quando la nave ostile

ora in sul punto di conficcar il rostro nella nave Romana ,

questa , fatta una piccola giravolta , causava 1' attacco, e riu­

sciva al fianco di quella. Allora la nave Rom ana, passando

davanti alla nemica, ne impacciava , o rompeva i rem i, e la

Iacea piombar addosso il corvo.

(70) Egeita. Strabone (v i, aGG, 373 ) rammenta l’emporio

degli Egestei, Segestani di Plinio ( i l i , i£ ) cbe a* suoi tempi

non fa di gran conto. E)gesta poi dentro a terra f u , secondo

lu i , fabbricala da quelli ohe con Filottete vennero nel terri­

torio di Crotnna, e mandali furono in Sicilia eoo E gesta Tro-

jaito. Due fiumicelli , ohe le correan aocaoto , ebbero, a piè

«iva memoria della prima infelice patria , i nomi di Simoente

o di SoMiandro.

(71) Manila. Non trovasi presso Strabone; ma Dione Cas­

sio ne' frammenti Peiresc. t ■ , p. {3 , la ohiama

• • i f s ì i , piociola terra ben fortificata. Sarebb* esaa Magella

(Magellini) di Plinio ( I . 0. ) , ch’ era luogo ■ mediterraneo ?

(73) Paropo. C ittì interna pure giusta Plinio ( I. 0. ) .

(73) Terme <t Intera. (Termine d 'oggidì ) Cosi Strabone

come Plinio parlano d’ Imera, ma non delle sne terme. Quelle

ehe rammenta il naturalista Romano appartengono a Selinunte,

e sono situate sul mar d* Africa , laddove quelle d’ Inaerà guar­

dano il mar Tirreno. Strabone sembra oon fondere queste due

POLIBIO, tomo 1. 1 a

i 77

Page 182: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

c i t t ì , dicendo ( v i , p. 2 j j ) che le terme di Selinnnte preMo

Imera tono salse. Ma in errore tanto grossolano non può esser

caduto geografo cosi insigne. Il perohi io credo che dopo

XiXiti tha sia stata dimenticata la copula • ■ ! , per modo che

drbbasi leggere 7ì» f tt ’ XtXnurh» aa ì 7ì» ««7à (quelle

di Selinnnte e quelle presso Imera. Può darsi anoo ohe Se-

linunzie per isbaglio di qualche copisti sia stato -sostituito a

Sohtntie da Solunte ( oggidì Solante ) , città molto vicina ad

Imera. N i dicasi che. Strabano abbia in quel lnogo parlato,

dell' altro fiume Imera , ( Salso de' moderni ) il q ial* taglia la.

Sicilia in dne parti pressoché eguali ( V. Polib. n t , 4 ) •

oorre verso meaaogioruo in diresione opposta al primo, dap»

poiché, sebben Selinnnte giace pare sulla oosta meridionale

dell* isola, i dessa tuttavia troppo distante dal mentovato fiume,

essendovi frapposto Agrigento con tutto il sue territorio. Dio­

doro ( lih lv , ) rammenta amendue queste terme. ■ Èr­

cole , tono tue parole, volendo girare totta la Sicilia, jv-

viossi dal Peloro ad Brine , e viaggiando sul lido del mare,

favoleggiano cbe le Ninfe gli apersero de* bagni oaldi per ri­

crearlo della stanoheasa del viaggio. Due furono coleste terme,

che da’luoghi denominarono, le noe Imene, le altre Egettee »

Ove non v’ha dubbio che dell’ Imera settentrionale si parli,

come quella ehe non meno eh’ Egesta, giace tra Peloro ed

Brice. Laonde io scn indotto a credere, che Straboae ancora

il quale mentovando ( l. c. ) le acque d* Imera ricorda pare

quelle d* Egesta , ragionasse delle terme che sono poco lungi

da Solunb*. Le terme poi di Selinunte a detta dello stesso

Diodoro, furon acconciate dal celebre artefice Dedalo in una

spelonca, ove raccoglievate un caldo e piacevole vapore.

(■}{) Ipana. Kon trovo questa oilti nò in P lin io , dì in Strabone, ni. in Diodoro. Sospetto eh*essa sia l’Ichana (Ioba-

nenses ) di Plinio. Stefano Bizantino, o il suo epitomatore , lodando Polibio , la scambia con Ippona presso a CarDgiqe.

1 7 8

Page 183: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

( j5) Hhtulmto. Pioqola. c iu i interna lo l finm«: Aletoa Ma­l l i ir tto di P lip io.

(96) Camerino. C ilii meridionale dalla Sicilia, non molto

lontana dal promontorio Pachino > colonia de' fiirsctitani ( V. Slrab. 1. c .) . Pret*o ad «Ma era una pelode-che nn oraoolo

d ' Apollo TieltT» di (««caro, quantunque etalatta nn miatnia

pornicMMHHmo a ’cittadini. Areodola pertanto gli abitanti atei Do­

gata , a malgrado delia proibiaivoe dell' oraoolo, do tiaoque

maggior m alo, paiw cob) i nomici.por quella ontrarono in

città e la pr—ir».

(99) Ernia. QOaai nel 0entro della Sicilia «opra un ooHe

dirupato , appiè del quale ara nn lago , ed amaoi botchm i

oon n prato, ore correrà rooe die Proeorpioa co gliene fiori

quando Plutone atei d ’ nna ipelOnoa rtoioà col «no . carro e

la rapi.

(78) Tindarida. Di rinooatro atto itole Liparea. Il mare qa

ha aommeraa la moti ■ oonforme ri/eriace Plinio ( 11 , ).

(79) Itole Itiparee. Goal dette da Liparo , ohe aaccedetta

ad Volo , dal quale vengo* eziandio denominate Eolit. Cbia-

m anale anoora j Greoi E ftitiadi, oh’ è quanto Volaloie, e

per tal nome appunto lo dittiagaeraa aloona fiata i Romani.

Plinio ( ili , ) o Strabono ( vi , p. 37I ) ne annorerano

•etto. 1.q Lìpanj, eh’è la maggiore, e prima appeUaraii Meli* gmidA, colonia do' Coidii ; *.° Gora pria Teraiia e Tarmiate

fra quotta e la 9 i«ilia, 3.° Sfrangile. ore gii regnò B olo , ha

nn Vuloano (a), dal (am a del quale gli abitasti predicono i

venti alenai giorni prim a; cogniaiooo, che aecotado Spallane

sani ( Viag. alla duo Sioil. oap. 4 ) ti mantiene iottaria Ira

quegl’ iaolaai : onde fa ofedalo cbe i reati ubbitli itero ad

(a) Polibio in ao frammento terhatoci da S trabono, e che Icggo-

n t i i fra gli aren ii del libro vxxiy d i eia ili conicità delle rarie

diretioni che prende il fumo di - Stroipboli, e donde li pronoitiea il

«•■(iam ealp del tempo.

Page 184: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Eolo. 4 *° Didime. 5 .° Bricusa. G.° Feniousa. Evonimo.

Oggidì hanno esse li seguenti a orni, Lipari, Vulcano ( Ocra ),

Stromboli ( Stroagile ), Salina ( Didime ) , Alienila ( Erioasi ),

Felieada (F en io u sa), Panaria (Evònimo).

(80) Ecnamo. Forte oMtello sovra an monte nel territorio degli Agrigentini, ove il tiranno Falaride (erbari il funaio

toro di b rom o , nel qnale martoriavanai I condannati, facen­

dovi metter (otto del fnoco. Quindi ebbe quel luogo il nome,

cbe mona tcellerato ( V. Diodoro xix verso la fine ).

(81) Lilibeo. Ora Marsala, oittà nel promontorio dello alene

I M » , la pih forte di tutta Sicilia, cbe nella guerra qni de­

aeriti! sostenne un «nedio di dieci a n n i, e che Dionigi il

vecchio in vano tentalo,avea d’espugnare. Il Olnrerio (Introd.

in unir. Geogr. lib. u i , o. » 3 ) pretende eh’essa fosse no

giorno celebre per lettere, ma non io dond'egli abbia tratta

questa notbia. Tarò A che Cicerone ( Divinai, in Terr. 1 2 )

rinfaccia a Q. Cecilio d* aver ttudiate lettere greche in Li/i*

beo, e non in Atene. Siccome pertanto egli soggiugne, e la­tine in Sicilia e non a Soma, cosi sembra eh* egli abbia

posto Lilibeo per qualsivoglia cittì di Sicilia, volendo indicare

là meschinità di Cecilio in fatto di le ttere, da lai attinte in

Sicilia, ove a qne’ tempi nessuna delle doe lingne beae si

osava, conforme osserva nel commento a quello luogo A «co­

nio Pediane , il quale nulla vi dice della celebrità di Lilibeo

nel particolare degli studii.(81) La quarta prete un terrò nome m w n , quello $ trio­

ni. Il Casaub. sulla fede di due codici regii lorive : La quarta non prete denominazione alcuna, perciocché chiamavanti m o­

r i i , e il Lipsio d ice , che la quarta e la terza non avean no­me , ma chiamavano triarii. Amendne errarono, e lo Schweigh.,

per quanto posso giudicare, ristabilì la vera lesione , non ri­

gettando , siccome fece il primo , le parole s a i Iftìnt ( un

terso ancora ) , e omettendo la particella negativa che il so»

i8o

Page 185: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Modo m i rito Data. Diflatti pooo ippreiio troviamo nominate

• la te rsi legione , e la quarta armala.( 83) L’ ampima. Il tei lo ha , oioA a d ire ,

g randina che risulta da moltiplicilì e vasta eilenaiane di

parli « «incoine 4 appuoto quella di un potente alato. In Ita­

liano non mi pare che abbiamo un vocabolo equivalente ; quindi

mi aon attenuto all' saprei aio ne generale d ’ am pieiu. Magni- Jicetiz i , ohe talvolta aignifioa quella voce (V. Ellobio in

nella no ta , edia. dell' Alberti ) qui non sarebbeconvenuta.

(B£) E teguivanti i legni uno prem d i ' altro, vale a dire

avean i lati preaaacht I’ uno all’ altro applicati, «ebbene cia-

«oheduno «lava un pooo più indietro del vicino, e tutti in­

sieme (ormavano quasi uno scaglione.( 85) Una tela /ila di fronte. Non comprendo come lo

Sohweigh. abbia potato interpretare iv i 7a77iT» 7àr r ,

collooare le n*vi in ordine lungo, e lo ttile, l ’ una dietro l ’al­

tra , pondevi imlim/i I r ) /«/ai , che file diitender le

nevi per lirgo e in fronte 1’ un i preiio i l i ’ altra. Quell’ or­

dine lungo di navi non avrebbe ponto oompioto il triangolo,

oonforme dioe il noitro. Adnnqne lignifica qoi iv i /*/«» in

nn tol ordine , in un i io li fila disleu in largo, e coil • «2

eit , ( r i 7irrifut vorrà dire in d n e , in qu ittro file. Nel di-

sionario pertanto corregge il meJesimo lifTatlo errore.

( 80) Cuneo, rostrum è nella versione latina. Ora siccome

il rostro , o becco, che dir vogliamo, non trovasi fra gli or­

dini militari degli antichi , libbeoe il cnneo, nppresentilo

dalla figura qui deicriita , e cbe pub definirsi uoo strumento

alto ad insinuarsi in qualche corpo cbe offre una graude re­siste nsa , locchd esprime eaiandio l ' tpi/ltXir del testo da

•>/»« AAa ( introdurre con forsa) ; così ho preferito cuneo al

meno proprio rostro.

(87) La figura di forbice. Vi son attenuto alli interpro-

1 8 1

Page 186: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Uiioae del Casaub. ansichè a quella dello Sobweigh. com i-

dorando aver dello Polibio poc'ansi cbe i Carteginesi , Offer­valo V ordine «fc* nemid , acconciami ad etto le loro ditpo- titioni. Ora eranti i Romani lohierali in ferma di cuneo, con-

tr ‘ al quale niente havvi di piti efficace, fecondo Yegesio

(D a re milit. I. >11, o. ig ) della forbice, compoi la di due

ounei cbe toccanti oolla punta , de' quali il superiore, rice­

vuto che ha il cuneo nemioo, ti chiude , e oppone la rew-

steuxa del proprio inferiore. Se non c h e , in luogo del trian­

golo superiore avean i Cartaginesi formata al fianco destro

una sola linea, lunga abbaslansa per p^tler circondare il ne­

mico e «trigoerlo con tanto maggior fona, quanto ohe da

lutti i lati I* avrebbe ointo, e , invece del triangolo inferiore^

una linea pure diressero verso terra , in angolo retto o otto io

oolla prima maggiore, pronti a volgerla verso l'alto mare,

per Tarla combaciare coll* altra , e chiuder al tutto i nemici.

Cosi da due linea emergeva la figura di messa forbice, la

quale insieme oo’ movimenti , a oui era destinata , può rap­

presentarsi in questa guisa :

fg Carvaiura del- I* ala destra Pu­nica per circon­dare il Cuneo Romano,

cfi Rivolgimento del­l’ala sinistra Pu­nica pello stesso effetto.

i8a

aie Cuneo Romano. # de Ala destra dei g*

Cartaginesi. dk Ala sinistra dei

Cartaginesi.

I Romani , accortisi dell' intensione del nemico, gittaronsi sul

centro della linea maggiore avversaria, affine di romperla e

di renderle impossibile il circondarli. Allora Annone, ebe co­

mandava , non solo I* ala sinistra , quattro volle minore dilla

Page 187: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

destra, ma eziandio il centro, vedewdo andato a vaoto il

primo disegno, appiglio».allo stratagemma qui eepoeto.

( 89) Novi n ttn le . Goti traduce il Cauobw oon felice coo-

gfciellnra I’ Jw W am , eh’ rgti deriva da iart#A«7» navigare con impeto addotto il nemìeo. Loecfai 4 proprio delle nari ro­

strate.

(89) Suo dalla prima disposinone. Il centro de*Cartagiaeai

amfTavasi oolle dae prime armate1 de* Rom ani, ohe ferma»

vano i lati del triangolo; l'ala destra era alle prete 00’ iriarii,

e la linittra combàtterà co'rimnrobii delle n a r i, che oonda*

oeran i cavalli. Ma , rotto H dentro G artigiiiete , poti una

parte dell* armata vittoriosa soccorrer i triarii, e le nari dei

cavalli, abbandonate da' loro rim nrohii, attaccati amando*

dall’ala destra Panica , e riuscire per tal gniea a tergo dei

nem ici, i qoali ad an tempo eran da fronte nojati da ' Inan i

d ie ripigliate aveano le offese.

(go) Che i primi ad incominciar la pugna. Il Gtodotìo e

Il Reiske, e con e tti lo Schweigfa. Scorgono qui nna piceiela

laguna ; non cosi il Caaanbooo. E 1’ u n o , e gli altri poetono

aver ragione; pefcioochè, tanto corre : che i primi decisero f t

pugna, quanto : che i primi ad incominciar la pugnif furono i primi a deciderla. La maggior ohiarezaa del eeoondo modo mel

fece adottare.

(91) Frattanto Manlio eo. Attilio, foga lo ch 'ebbe il cen­

tro , soccorsi i triarii, e coll* opera di qaeeti circondata l 'a la destra, era giunto a salvar le navi de' cavalli. Ora rettava la

terza armala, che , avendo dapprima fatto I' officio di rimar*

ohii , come ai vide addosso 1’ ala sinistra de* nemici, lasciò

andar le fo n i, per combattere con miglior agio , ed era per

toocomber alla tuperiorità de’ Cartaginesi, quando topragginn-

tero amendae i Consoli, e fecero grande strage di quest’ ul­

tima parte dell’ armala nemica , rendendo coti compiala la vit­toria de’ Romani.

i 83

Page 188: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

(ga) A l Capo Ermea, cioè di M ercurio, Berme de’ Gre­

ci , oggidì Capo B on , e io Arabo Ra»>Addar.

(q3 ) Affittile. l a greco significa «cado , doode i Latini tras-

tero il oome di Clopea , ( Clypca ) eoo coi questa città tra­

vati legnila pretto Flioio ( v , 3 ). Strabono pertanto ( v i ,

p. 2 7 7 ) , ameodae questi oomi le attribnitee , oon meno cbe

Solino ( P o i/, hiator. c. S o ) , • detta del quale i Siciliani

P bau fabbricata, e dapprima chiamata Atpide.Mandami w Eraclea od Amilcare. Questi idunqne

non arasi recato io Africa coll' avaoso dell* armata | aibbeoe

dopo «nere italo sconfitto, e meatreobè fervei la pogna cogli

altri v iicelli, ritornò pella piò breve io E rac lia , dond* era

■ pria oscita .1* armata Cirtagineie.

(9 5) A d i , c ittì non spregevole. È ben tingolare cbe pre»o

netsa□ altra trovali latta menaione di qneita cittì. Tolemeo

solo ( iv , c. i 3 ) , facendo di Clopea e d ’ Aspide due città

distinte, pare 'cbe prendeste Adi per Atpide. Ciò i unto piò

probabile, qoanto cbe egli ^colloca Clopea nel promontori*

E rm ea, non già Aspide , loccbà non poò inteoderai dell'Aapide

di Polibio, n i degli altri a ittioli cbe n« parlaoo.

(gG) Si rinchiiuen uè' luoghi Jorti. Il terrore cbe metto

ave* 0 0 ne* Cartagineii lo rotte toflerte (eoe s i , eh*, diflidaodo

del proprio valore , procurarono d* avvaotaggiini coll’ oppor-

tooità del s ito , e rinoosiarono i l profitto cbe trar poleaoo

dalla aoperiorità de* cavalli e degli elefaoli. Onde Polibio in

qOeito fatto meco esalta l’ ingegno de’ Romani di quello eba

biasima la iciooobezaa de’ Cartagioesi.

(97) Tuoeti. Secondo T . Livio ( i n , g ) loogo forte per

arte e p e r natura , distante da Cartagine quindici mille pasii,

e poteaii da qoeita vedere, liccome esso offeriva il proipetlo

della cipitale e del mare cbe le gira dintorno. Da Cartagioe la

•e p in il fiomicello C ira d i, e ila Utica il fiume Bagrada

( oggi Mejerda ). È forse la Castra Coroelia di Plinio e di T o -

1 84

Page 189: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

leitteo, ohe pongono quella cittì i d (ila di T aae ti da loro

non Dominala. Sìocoom giace di là di Cartagine , oo»i i facile

d'accorgerai, ohe colla « a 0000 pallone Regolo avea gii per

terra oircoodala Cartagine.

(98) Temendo non il citatole ec. Ecco come Polihio ti fa

ttrada a metter in piena luce la cattiva condotta di Regolo,

Fn invidia che lo apinte a volir finire la guerra p«r trattati,

ed il timore che an altro, gli rapine il vanto d* aver domala

Cartagine. Poacia trattò i nem ici, ohe venir voletno ad na

accomodamento lon vergognoto, colla piò infoiente alterigia ,

imponendo loro condii ioni, oh* equivalevano , ansi erano da

p re (a r in i all* ultimo eccidio 1 qoantnnqae il noilro non etponga

in ohe coatitleuero.{])) Il Sento de'Carmginoti. Bell'etempio j cerne ne' Tran*

genti ditperali i partili coraggio* aono ad d b tempo i piò olili

ed i piò onorali. Chi cerea la eoa aaWexsa nel ceder vilmente

ai fabbrica le proprie oatene ; ma chi tin all'ettremo fiato lolla

coll’ avverta fortuna , e colia violenta degli opp retto r i , o gia­

guari a fiaccar le forte de’ tuoi nemici , e a riatorar le tp e -

ranse perdale , o perirl almeno oon gloria , ammirato e com­

pùnto.

(100) Santippo Lacedemone. Secondo Floro (11, 2 ) eranai

i Cartagineii nrlle loro aciagnre rivolti alletterò per a jn li, e

i Lacedemoni avean mandato loro per capitano Santippo, uomo, a detta aua , penùltim o nella miliiia. Orotio (ìv , 9 ) icrive

cbe ooleato Santippo era re di S parta , e ohe chiamato venne

a Cartagine oon ajuti. Ma bene enerva il Freinthem ioj non

•n e re italo tale il coti n oie de* Lacedemoni, i quali, ricbietli

d i toccon i, tolevano tpedire qualche condottiero lenza più*

aiocome fecero co* S iracntani, cui mandarono Gilippo tolo

( Giutlin. ìv , i ) e co’ Tarantini eh* ebbero da loro A r-

chidamo.

(101) Come accader dovea in quel frangente. Il tetto b a /<«

185

Page 190: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

7i* vtf irrmnr, che r ii* per cagione della citoMante ; ofoà ■

dire, che la triit» sitoatione de' Cartagineti faoea rapidaaeote

dilToader' tra il Tòlgo ogni rofflore ohe apportava qualche •pera nia.

(102) Ma come condutte Votte ec; Da qoetto racconto chia-

rameote apparisce, quanto era grande I* imperiiia de* duci Car­

tagineii , se 00 greco, oni Polibio attribuisse aoltaoto tuffici ernie pratica osile cote di guerra, «piegò appetto a quelli abiliti

coti mararlgliosa nelle operaiioni militari. Convien d ire , ohe

avanti Amilcarer Barca , padre di qoel Annibale che fa

tanto formidabile a* Romani nella feconda guerra Pom e*,

i Cartagineti non avessero pelle fotte di terra coadonieri di

vaglia. Ma Amilcare era allor molto giovine, e appena ne Ma

guerra civile che Cartagine sotftennt cootra gli Africani e i

mercenari!, e che ta ri narrata diariamente alla fine di que­llo libro, iaeominclò a dar Mggio non comune di ingegno guer­

riero.

(103) l lahciatori. Male ha renduto il Caaaob.

p«r velili, miliiia cbe più tardi aitai fu inventata da’ Romrai nella gtierr» contro i Cam pani, se ce « lo ch i scorge* da T. Li­

vio (xxvi, 4 ) e da Valerio Massimo ( 11, 3 , 3 .) Lo Schweigh.,

qnantunqae ritenga veliti nella tradoxfone , riconosce ne'eon-

menti l ’ incoovenienza di qoetto vocabolo, e ti «onta dicendo,

non eiiere silTatto aoacronilmo iniòtito pretto gli aotiotil , ed averlo eziandio T . Livio commetto per rbpetlo agli M en a

peliti, ch’ egli nomina gii nel libra s u , 55 . Noi pertanto

non trovando nell’ espressione greca nulla cbe «i ooofortni

all’ idea de' ve liti, i quali, giuata i te tti oilati autori, pugna­

vano a piedi e a cavallo , e considerando, che Polibio, ove

detcrive la milizia Rom ana, e fa mentione de*

( v i , 3 3 ) , non parla punto del mentovato nflìeio de 've liti,

abbiam credalo convenirli meglio • cotali combalteoti il noma

di laociatori, dappoiché ypiriptt è nna specie di landa più leg-

i86

Page 191: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

g tn dell’ «il*. Ohe 10 alcun opponesse , n n rammentare nep-

par T. Lìtio l’ eierei «io cavalleresco de* Teliti, 0 / e* pone U

loro armatore ( x x x i , 35. i n n o , 4 ); » risponderò, che

l’ armatora leggera de 'fantì, quale incontrali in T . L irio , era

ben più antica istitaròn* di qaella de' Teliti t ma cbe dap­

principio limilaTansi a ghtar le lance, di cui eran provveduti,

• di a tr ig n e rall' uopo la breve (pada ipagnnola, e cbe nella

guerra Campana soltanto inoominciaron a saltar lo groppa ai

caralli, ohe g ii portavan <m soldaU , e a discenderne con t**

lociti secondo l’oocorrenaa.

(1 0 4 ) Insegne corrisponde esattamente al greco e al

latino Texillom, cbe lignificano cosi la bandiera m inore ,

ohe precede ad onà oea ipagnia d i soldati * oonie la oompaguia

stessa.

(105) Ballerino le ermi. Nell' atto d'affrontarsi c*’ nem ici,

i Romani solevano percuotere le armi sullo «ondo, confata»*

A chiaro da Tatti luoghi di T . Lirio ( t i , ì 3 , xxviii , 1 ) ) .

Ma 1’ incominciar la pugna con alle vociferazioni non era toro

eoaeuetadine, e sembra ebe qui il . facessero per inanimirsi

tì* maggiormente ad nna lotta, che prevederano esser per riu­

scire loro molto pericolosa.

( i * 6 ) I fanti eh'erano n e lt a lt tinitlra. Frontino ( n , 5 )

racconta, ohe Santippo arera collooata 1’ armadnra leggera m er­

cenaria nella prima battaglia, • alle riscosse il nerbo dell'eser­

cito , poscia 00mandato agli ansiliarii, c b e , scoccate le (V*cce,

cedessero, e ritiratisi nelle file de’ sno i, tosto scorressero nei

fianchi, e dalle ale di bel nuoro sboccassero, e circondassero

essi pure il nem ico, gii investito da'più forti. A dunque, stan­

do alla relazione di F rontino , gli ausiliarii, o mercenarii d ie

vogliamo chiamarli, non si ridussero altrimenti al cam po, ma

ritornarono in battaglia e si sparsero pelle a le , donde insieme

co ' cavalli corsero ad accerchiar i Romani.

(107) Ma poiché le schiere etlreme ec. È manifesto d ie i

1 8 7

Page 192: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Cartaginesi dovettero la vittoria alla numerosa loro cavalleria,

la quale, fugala oh’ ebbe la cavalleria avversaria, poli riuieir

alte (palle del corpo destinato a romper l’impelo degli elefanti,

e dittraroe una gran parte per seco combattere.

(108) In questa emergenza. Nessuno tra i molti scrittori Ro­

mani , che ragionarono di Regolo, — e furon essi non solo

storioi , coinè T . L itio , Floro , Valer. M inimo , Tnberone e

Tudilaoo presso A. Gelilo, ma esiandio Oratori, come Cioe-

rooe, ( OfGo. 1 , i 5 , Seneot. l o , in Fison. 1 9 ) , filosofi, come

Seneca (D e benefic. v , 3 , tranquilL anim. 1, i 5, ad Laoil.

epiit. 98, providenl. 3 ) , poeti, come Orasio ( n i , ad. 5 ) —

Nessuno dissi Ira i mentovali scrittori biasimò la superbia,

con cui quel dooe Romano trattò i vinti Cartaginesi (a), n i

riferisce tampoco, cbe vi fossero stale tra loro pratiche d ’ao-

comodamento , oonforme leggMÌ in Polibio. All’ opposilo nes-

sm w , da Polibio in fuo ri, tace il magnanimo suo dispresso

della morte e de’ pi& crudeli supplicii a prò della patria. Tao-

ciar di mensogoeri e vanagloriosi tanti illustri ingegni, cbe

qaal oggetto d* orgoglio nazionale celebrarono l ' eroica virtù

di Regolo, sarebbe cosa non meno ingiosta, che voler ripren­

der il nostro d ’ invidia o d’ altro basso afTetto, ohe indotto

l’ avesse ad oscurar la fama di U nto Capitano. Ma rammen­

tiamoci cbe Polibio non nna desorisione circostaniiata della

prima guerra Puoioa ci volle lasciare, tibbeoe un transunto

de’ fatti d’armi priooipali cbe in quella accaddero. O ra, il ge­

nerato sacri Gaio che Regolo fece di sì stesso alla patria, non

(a) Eutropio s o lo , scrittore di molto posteriore a qua’citati storici

latin i, come quegli cbe militò lotto C iuliaoo, t i t aueunlo a Poli­bio nella lelaiione di quello fatto, u I violi Cartagineii, lono aue

parole ( t l . a i) ch in e rò pace a 'R o m aa i, la quale non roleodo loro d a r Regolo , ae non ie a condizioni dw ittim e ec. » Disdoro pure tra i Greci ( e t log. i m i , 3 ) vitupera altamente 1* orgoglio <K

Regolo , eiprim endo quaai gli sleu i concetti di Polibio.

i88

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eddie
Typewritten Text
Nota: Le pagg. 190-191 erano mancanti nello scan originale
Page 194: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

i , a parlar rigorosamente, in ootali fitti compreso) quindi 1’ averlo paaaato «otto silensio non può essergli aacritto a man­

catila. Non eoa) dovea egli condannar all' obblio 1’ errare in

che cadde il dace Romano, e che fa canta dalla t u scia­

gura , comeohì gli storici Romani, ohe in Regolo rappresen­

tar non voleano se non n nn modello d* altissima v i r t i , di

qneato particolare non fanno moto. — Titrottiva poi al sommo

) T ammonizione oh' egli quindi trae t e cbe non solo a* do­

veri dell* uomo d i guerra, ma a tatti gli afGoii della vita ai

estende. Concioasiaehè la volubilità delle umane vicende ne

appariamo , e come agli nomini del più alto ingegno e de’pià

aeverì principii morali riesca talvolta malagevole il reggersi

sull' apice della lortnoa.

( lo g ) Vince un savio consiglio eo. « Verso tolto dall* An­

tiopa , tragedia perdala d‘ Euripide, aecondoobi scorgesi da

Stobeo (Seno . M i) , ave leggonsi i due versi antecedenti, e

si compie I’ ultim o, del quale qui non abbiamo che la priiua

parola : eocoli tatti :

r»«/ii| ymf ifSf'.f i tft'u t t t i r i s i r iA i i f

’ev iP•<*•(. u t «T *i wtXtfttt ir%vu ftiym.Xtfitf y*f it f i t i x 7ìir v<AA«r

NJ«« ri■ i j f A m S ' i f k a ^ l » , v-Attr •■««>.

« Dell* aom I* ingegno la che le cittadi,Fa che le ease sien ben abitate ,

B grandemente ancor vai esso in goerra.

Vince nn aavio consiglio molte m ani;

Ha il peggior mal è. il volgo e 1* ignoranaa »

L* stessa sentenaa, qoal* & riferita da Polibio, fu trovala in-

scritla in un dipinto d’ Ercolano. Schweighduter.(108), Imperciocchi le gesta illustri. Non so quanto Polibio

a’ apponga qai al vero. Non di rado gli nomini pià beneme-

1 8 9

Page 195: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

«igoameoM icoolti , e riitorati di vettovaglia, a d ’ognì oota

necettaria provveduti, poicia fatti talvi acoompignare «ino a

Metaina.

( i l 5) Dallato ertemo della Stólta ec. Tatta qneita «piag­

gia i soggetta al furor del vento , ohe noo di rado lem pe­

tto to spira dalle coite d’Africa , e talvolta mena stragi ezian­

dio nelle marioe d’ Italia meno riparate , sio all* attimo seno

dell’ Adriatico. Liieccìo è nomato ne* porti del medi terraneo,

dal Lykicus, con ohe gli antichi denotavano la tna origine ;

il perchè chiamavanlo ancor Afrieus. I Venetiani 1* appellano

Garbino (V. la Crusca alle voci Garbino e Gherbino traendo

questo nom e, per quaoto ho sentito dire dall* Algaròia, pro­

vincia del Portogallo, che giace di rincontra al lud-oueit del-

1*Italia , ove preteudono che abbia i tuoi natali. — Che te

seguito avessero il oensiglio de*timonieri, e navigato lungo il

mar T irreoo , eh’ ì al ooperto dalle procelle d ' Africa, p ro-

babil ft ohe abbattuti non si fostero a cotanta toiagnra. — E-

■ terno poi è dello qneito lato della Sicilia, forse perchè i voltato ad altra parte dell’orbe, qual è I’ Africa , laddove gli

altri dne fianchi han in proipetto regioni europee.

( n 6) Va segno celeste. Fui lungamente in fone, se render

dovesti I* < v i n f a n a del letto per legno o per coitellaiione.

Dall’ un canto rifletteva, ohe l’ equivalente della voce greca «

derivata dalla eredensa dell’ influito degli attri sol noitro globo,

) italo negl*idiomi moderni applioato alle iole ooitellazioni del

Zodiaco, e che le eotlellacisni qui uominate non tono in

quello numero. Dall’altra parte considerava , cbe il Cane estendo

eostellasione compagna nel torgere ( ) del Can­

oro , e Orione del Leone , potevano aooonciamente, coti la

nne , come le a ltre , qualificarli colla itessa denominazione.

Finalmente mi determinai all’ ottimo partito , dettato dal do­

vere < secondo me irremitiibile n chi traduoe , di render fe­

delmente il tento del ino autore, per q u o to poaaa euer b a ­

*9a

Page 196: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

dato r a lalee noiiooi. Solo per maggior ch iare lla aggiorni al

sostantivo «egro 1* epiteto celetle.

(n < j) Fra io spuntar d’Orione e del Cane. T ra lo torgere

di quella due eoeleUaaioai cada il to ltlu io etlivo ; epoca , in

cu i, eiocomo nel aolalisio d ’ invento e negli eqniooiii, tuolii

gravemente (orbar I* atm osfera, per cagione delle convenuto!

aolari che io eaai hao loogo , e che ntodifioano l’ attrazione

doli* aatro maggiore vano il noitro ambiente. La vicinansa di

colai pool* critico è eoo latta praeiiiooe tigniSeata da Polibio

pali* cirooilaota, ohe uoa eoatellaaione oou era per anche al

tolto pattala, e l’aJlra a «puntar proanm a; perciocché il Cane

era già per iauecarai da* raggi aolari, e Orione, in tanto mal

grido pretto gli antichi pelle procelle che credeva»! eccitare,

fra pochi di dovea io on ool iole tal ir ta li’ orìatonte.

( n 8) Si spinsero nel mar d i fuori. Lo Sohweigh., accor­

toli cbe t(m wtXmytn ( trovaronli teosa Mperlo fuori

■a l l1 alto mare ) non pnlea t u r e , leodochè a bello ttsidia

e non a caie erami a quella parte recati, conghiettnrò cbe

foaae da leggersi i ) « a i o i*am i> ( ti tpiotero ) da Ì A t i ia ,

otalo da Ttwidide per navigare. Ma per qoanto tia ragiooe-

vole qnetla oorreaione, io non credo che con eiaa il p re tenta

loogo rimanga al tatto taoalo Imperoiocohà, te cono avei-

aero il mare a grand* dittanaa dalle ovate ( eoo forme indica

quell* « iX a y m ) come potevano, tiooome dice il notlro

poco appretto, fare tpaveolota mottra di t i allo oiltà marit­

time che detideravano di cooquittare ? Quindi a me pare che

v tA ay o i abbia a eonverlirti io , onde ( 7» ) 9 tXmy»t verrebbe a lignificare il mar etlerao , cioè a dire

quello che bagna la cotta della Sioilia voltata all'A lrioa , da

Pelibio poo* ansi denominala alterna. Ciò po llo , non ritolte^

tebbe un u n to più asconcio ove ai Ipggette irT 7«

w t \ m y t . vennero nel mar di fio ri ?

f o l i n o tomo j. i 3

1q3

Page 197: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

( i l q) Desiderosi d* insignorirsi di qualche oliti, f i non vi

•rea nell* altro fiauco della Sioilia , bagnato dal mar Tirreno,

•officienti città da trar per tal gnisa nel loro partito? Ne

tfrea ri ; m a, «iccorne eran pressoché lotte provvedute di porti,

e per ooniegueute atte a resistere , lo «parento solo non gli

avrebbe indotti a rendersi, come le città dell' altro Lato , ii~

(nate sopra «piagge indifese.

(120) Generalmente i Romani ec. Quanto è il nobil ardi­

mento , che dettò questa leale ammonizione , lontano dalj’ado-

fazione cortigianesca, con ooi nom ini, intenti piò alla pro­

pria u tilità, che non al bene di chi si pompeggiano d 'am ar

e di venerare, magnifioano ogni piò pernicioso difetto de*loro

protettori ! Stimava altamente Polibio i Romani , pelle virtù

civili non m eno, che pel valor militar», ohe la prima oasione

del mondo gli avean rendati, e con animo siooero gli amava

come benefattori suoi, e per mezzo suo della Grecia ancora |

t cottiti «entimenti appunto il mossero a rinfacciar loro fran­

camente i loro vizii, affinchè ai correggessero e a sempre mag­

gior gloria salissero ( V. sopra la nota 3 <j ) ,

(121) Afa non consultando punto ec. Par mio avviso , nè il

Casaub. n i lo Schweigh. colsero qni nel segno. Il primo so­

stituì arbitrariamente fiuxi/tittt ( non volendo oedere ) a

Iv A fw u ix i ( deliberando di non ec. ); il secondo altrìbaboe »

nn senso eh*esso non b a , perciocché significa

bensì consultare, ma non risolvere. Il testo di Senofonte ( Cyrop. 1. ìv , 17 ) da Ini citato non prova noli* , perchè ,

■ebbene si parla colà di risoluzione , non è esolnsa 1* idea di

consultare, per modo che lo Sohweigh. stesso interpreta col

Zennio quel tfiuxivmr* re deliberata statuerunt. Olir» a ciò

fa egli nasoere nna durissima trasposizione di parole, staccan­

do violentemente la partioella nogativa dal suo verbo, che se­

condo lui é i!*i» (cedere). Io ho lasoiato a il si-»

gnificato naturale, e vi ho applicata la negativa.

194

Page 198: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

(121) Nuovi v(libelli. H teito b t t« Jpu*%»», che u reb lit

quante di^e *t£ recipienti di’ roveri, da Sf»s ( rovere) e <£«

( ho , tengo ) . H a liocorno non »’ ha in ita lin o un nomo prò­

prio per eaprimere i pali, che «errano di «oitegno alle nari

che ti ooitrniacono, ootl mi «ono piò attaccato all* idea pritH

cipale, che i quella dell' appodu lib b ria iio n r . — L a eco*

iiaete d ’Omero all'Odiaiea U t , dine S(wl%ut muflmi U t w**ruÀMt, ip'mt Hi Ipiwit «rrart Imt mattnfìra/titttt itmt ( propri ansa te i baitoni , «a bai pongono, l i catana dei va-

•celli che Tengono nuovamente cottraiti ).

( i a 3) Entrali nella strtUo. Lo Schweigh. dopo arer seguitò

nel trito il Caunb* , ohe traduoe qneito lnogo tra/ecio freto t il riprende di qneita interpretaaiotie ne ' oommentarii, e t o n

rebbe che «i dice Ite pottqtun per fretum navigattent ( poiohA

ebbero navigato pello «fretto. Ora «ebbene qni non po i euev

diacono di trag itto , eh’è il paiaaggio dall'ona all’ altra «pon*

d a , tuttaria quel aempUce mavigttr .pello itretto mi i sembrato

troppo vago per lignificar narigaaione che abbia il «do acopo

nello tiretto medeaimo, aiooome 1* ebbero allora i (tomoli, i

qnali toraaron addietro oolle rio opera le nari lenza proiegui#

pello «tratto.

( ia { ) In Palermo di Sicilia. O tterrà lo Schweigh. ohe l’agw

ginnla di Sicilia non i oaiosa , dappoiché r ’ area nn altro

Panormo uel Pelopenneio di rincontro a Haopalto, e ano

eh ' era il porlo di Ciaico, gioita Stefano Biiaolino da Ini

aitato.

( 125) Lotofagi. Mangiatori del fratto, che prodoce il lotoi

la qnal pianta cresce spontaneamente in Egitto ne'campi inon­

dati dal Nilo, ed altre»! ne' dintorni d* amendae le Sirti. La

dolcezia di cottalo fratto fa molto decantata dagli antichi, e , «•

crediamo ad Omero ( 1, v. 87 e ieg. ) tanto allettò i oonw

pagni d ' C lisie, che dimenticarono il ritorno alle navi, e ri

dovettero colia la n a ei^er condotti e legati. Erodoto (iv , 117)

*95

Page 199: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

riferisce ohe il sno up o re è simile a qaello de’datterr , e cbe

g« abitanti ne (anno aoohc del t ì d o . Laonde non è Terminile

ciò che di loro narra Strabono, ( i n , p. 1 3 7 ) , cbe , cam­

pando eflii dell* erba e della radice della meotovau pianta,

non bcono n n lla , perciocché hanno mancaosa d ’ acqaa. E

cresce 1* improbabilità di siflaUa assenions , ore li consideri, ohe lo stesso geografo esteode le contrade de’Latofagi sin so­

pra Girane, cbe oon tatto il paese *ioino tanto abbonda d’acqao

potabili. Del res to , secondocbè scorgasi da Dioscoriile ( iv ,

lo g ) Galeno ( SimpL medicato. t u ) e Plinì>> ( i d i , 28) gli

Egiaii faoevan nn pane molto uporito e u lab re de’ semi ac­

ciaccati del loto, rauomiglianti al miglio, ed il naturalista Ro­

mano testé citato assicura cbe obi r i rea di questo pane non

era soggetto alla disenleria — I Botanici do* nostri giorni de*

scrivono un genere di piante, cui impongono il nome di lotta,

e fra Io molte specie che vi annoverano trovasi una mange­

reccia ( lotns edalis ). (V . Penoon Sjnops. piantar, tom. li ,

p. 355 — Diction. d’ hist. uaL par noe Soc. de Naturai, et

d ’Agricnlt. t. x u i , p. 3£o ) ; ma quantunque la polpa del suo

frutto sia di grato upore , Don è desso il lotus ; perciocché

la sua patria è il meszodl dell’ Europa , e leguminoso n ’ è il

frutto : laddove Africano è 1* a ltro , ed ba il frutto preuochè

rotondo. Piò s'accosta a quello il J t i n u i» che D hIoo-

taines rinvenne indigeno in Barberla 1 e Mango Park nell*in­

terno dell* Africa, ed il di coi fru tto , ameno al palato , è di

forma quasi sferica. — Varie furono le opinioni de’ dotti circa

la situazione delle terre occupate da’ Lotofagi. Erodoto al luogo

di aopra sitato assegna loro la costa de* Gindani , confinanti

00* M aei, per il territorio de’quali paauva il fiume Cinia-

ao ( Ciuyps, Ouadi Quaam degli odierni abitanti). Cotesta

oosU, a detta dello stesso storico, sporge fuori nel mare ;

quindi è ohiaro ch'era desia l’estremità occidentale della Sirti maggiore , corrispondente all’ odierna provincia di Mei or ale >

i q6

Page 200: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

fe non ao roprendocom a il dotL. della C a lla , che nel 1817

visitò quelle contrade ( V. Kouv. Annal. de la Geogr- elo. ,

par Egrijs et Maltebran. tom. x t i i , p . 55 o , • la carta geo­

grafica al principio del t. sv ili ) po ti trasportar i Cindani

all’ altra estremila della Sirti , ov’ è Cirene , affermando che

dal Cioisso in poi altra cotta non v’ ha in quelle parti ohe

«porga nel mare. S trabo» ( 1. 0. ) dà loro per abitazione

tutia la (piaggia della Sirti maggiore, ed a Ini precipuamente

• ’ appoggia il te d i mentovato viaggia lor italiano ; ma e ' «ambra

ohe gli aitimi Lotofagi del geografo greco fo««ero i Maelii,

vicini di quelli , di oni dioe Erodoto ( iv , 138) ch’esai bensì

facean n«o del loto , ma meno de’ Lotofagi pròpriamente coA delti.

(126) Navigando -peli’ alto mare. Per giqgaer più pretto a

ca ia , i Romani, (ebbene poco e(perti ancora nell'arte di na­

vigare , e dopo una 'coki recente (trage, arriachiaronsi tuttavia

d ’ attraverur 1‘ alto m are, antichi di far no viaggio più lungo,

attenendosi alle cotte. — Il wtf t t del tetto tignifioa nn tra*

gitlo qualunque, con cni «i acoorcia la v ia , ed emendo ne]

cato qui accennato la via piò breve appunto quella dell* alto

mare, il mentovalo vocabolo non potea aver ahro tento.

(127) Le Terme e Lipari. Quantnnqoe non dica Polibio *

te qoette fottero le terme d’ Imera o di Selinunte, ciò non

pertanto io oredo cbe ti trattane delle feconde, etaendou,

coma vedemmo poc'anzi, ritrovato a que’tempi presto Selinunte

un esercito Romano. Che poi abbian allora espugnata Lipari,

sebbene non avean fbrae marittime, non dee reoar maraviglia,

possibil essendo che in tempi anteriori oooupafe svetterò l’ito­

la , ed ora si fossero impossessati della oittà sua prinoipale.

Hanno dunque , per quanto io stlmOj pooo fondamento li dub-

bii dello Sehweigh. relativamente a qaeati fatti.

(128) D^gti alitati. È degno da notarti (e non t kfaggita

questa particolarità alla perspieaoia deHo Sohweigh.), ohe i Ro­

*9?

Page 201: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

mani. obiamavano alleati e non sudditi ta lli quelli eh ' eranst

loro .spontaneamente a rresi, come avean fallo i Palermitani.

(l2Q) Agli artigiani. Sebbene eecondo la Crnica artigiani, artieri, artisti e artefici significano la aletta co ta, toglionn

tatlavia le (fne ultime denominazioni applicai* a chi esercita

arli nobili, quantunque mecoanicbe, e le due prime a coloro

ohe »’ impiegano in mettieri vili. Egli è perciò che io ho in­

terpretato fi a m i m i , agli artigiani, quali tarebbono i fabbri,

carradori , falegnami, macellai, ec. di cui ha bisogno an cam­

po , e cbe negli eiercili Romani avean il loro recapito nel

mercato. I traduttori latini di Polibio ne han fallo tellularii,

oh* 4 qnanlo sedentari!, e che T. Livio ( m i , a o ) chiama

opifìcum vulgut — minime militiae idoneum genùs. Ma questa

loco, sembrami etprinver meno della voce greca i dappoiché

v ' ha, arti illiberali, che non, sono ponto sedentarie , siccome

qnella del facchino, del beocajo eo.( l 5o) Della fanteria leggera r th ha il

testo , cioè a quelli che giugno da lungi. Ha questi eran ap­

punto la mano di gente spedita collocata innami al muro e

•Ho steccato, poo* anzi mentovai». Quindi mi è paruta pià

calzante 1’ espressione di fanti leggeri che non il velitantibus degli interpreti latini.

( i 3 1) Co'mori che li reggevano. Polibio li chiama uS it nome

phe lo Schweigb. pretende non esser gentilizio, ma appella­

tivo. Eiichio definisce l><f»* l’Etiope ( i l moro) che conduce

1’ elefante , ond’ egli sembra , che oltre a’ veri Ind ian i, i quali

trattavano qneete belve nel proprio paese, e cbe secondo Cur­

zio ( v i l i , ) eran nell’eseroito del re P oro, e ginsta il

primo de* Maccabei ( 0 , 3 <j ) fra le schiere d ’ Antioco fiupa*

tore re di Siria , abnsivaptenle ai addimaadissero oosl i Morì

ancora, cbe in. A frica, patria essa pare degli elefanti • in­

sieme <le’ morì , aveano la medesima incombenza. —■ Del resto

apparisce da nn luogo di Cicerone ne’testé rinvenuti libri della.

*98

Page 202: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

repubblica ( u , 4 ° ) che i rettori degli elefanti, preuo i Car­

ta gineai non erano soltanto Etiopi, ma indigeni aooora. « Ergo, dice ivi Scipione, ille India aut Poenut unam coercet beluam etc. »

( i 3a) L iliieo , cioè 'al promontorio di questo nome cbe

debb* essere diatioto dalla oittà di Lilibeo preaso a qaello at­

tuata»( i 35) Stazione forte. Il greco vocabolo che ho

ood volgariztalo, • che propriameote (iguifica occasione , op­portunità , fu molto bene dal Caiaob. considerato come sino­

nimo di i f i t r , che di (opra bo rendoto per tede prinr cipale della guerra. Lo Sohweigh. cita a questo proposito up

passo di Tucidide ( 1 , 90 ) che autorizza alla mentovata inp

terpretaxione, e cbe mi suggerì eziandio l* espressione italiana

ohe ho qni nu la . Ecco le parole di quell' in(igne storie»:

» mt l i fiapfiip» , ài tfvSif , Sm i t• va > % v f i T t S t r , i m f t Z t it t £1 r i i 7i

wiXtwitnr t t v i n i Ìp*rui mtm%mp*Tu r i kc< a<p{pptm U i i i i inmi y>. Non aveudo il Barbaro, ove ritornasse, altro

luogo forte, donde fa r sortile , siccome ora da Tebe, ed il

Peloponneso dicevano esser per tatti an acconcio ritiro , e

loogo di sicurezza. Lo Scoliaste spiega •ptpptìn, h n i j t'k iffimptittt n i rm£trmt , ore alcouo fallo avendone sortita, si

ricovfra.

( i 3{) Il Jramezto. Parrai ch’esprima meglio il fttrm{« 7Swtr del testo t . che non la doppia denominazione di itlhmut e fre ­turn de’ traduttori latini. E tramezzo , secondo la Cruaca, a. ci£>

che tra I’ una cosa e l'a ltra è posto di mezzo per dividere, e questo peli’ appunto i , cosi lo stretto di te rra , come quello

di m are , cbe dae pacai tra loro separa»

( l 55 ) È voltalo alC occidente vernale. Le regioni sitaate fra

i quattro punti cardinali della afera cele a te avean preaao gli

antichi le loro denominazioni dalle stagioni in cui vi ai ritrova

il sole. Corrisponde adunque la regione qui indicata al |n d r

-1"

Page 203: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

noeti -de*moderni, 1" occidente Mtivo «1 tiercVooMl , I’ orienta

vernale «I sud-est, e I' oriente estive al nord-Mt.

13 f'ij Tuttt od un tempo. Nelle note lo Sohweigh, resùniace

a qnesto passo 1* mftm , eh* egli e il Cssaub. avean c dm so­

lo I’ ho por* accolto nella mia versione, giacché appunto dal

martellar contemporaneo di latte le torri derivar dovea il con­

tinuo crollar • rovinar delle medenime, conforme aooetwa

I* autore.

(i 3 Rifabbricando g li edifizii caduti e lavando mine. Quelli

escludevano le opere de* Romani , cbe sempre più avaniavansi

nell* interno della città , queste scavavansi per diatrogger h

macchine dò* nemici. Del resto non pare cbe le ahimè fossero

contromine, dappoiché non è detto ehe i Romani «ressero

scavate mine: quindi dal l ’ del testo soderebbe

tolta la preposiiione, siccome ha gii osservato lo Schweigh.

ne* commentarii.

( i 38) L’Acheo Alettone che fu cagione di salvezza agK Agri­

gentini. Di qaesto avvenimento non parli il nostro ove riferisce i

particolari dell* assedio d* Agrigento , ma vi ritorna nel I. i l ,

c. i) , ragionando della perfidia de' Galli , che in nomero di

tre mila trovavansi di presidio in quella città, è macchinavano

di spogliaria. Galli eran eziandio tra i mercenari! di Lilibeo,

e quelli d* Agrigento pure eran al soldo de'Cartaginesi , con­

forme significa Polibio al luogo citato , non già de’ Siracu­

sani , come qni asserisce : salvo che non vi fossero «tati man­

dati da quelli di Siraoosa , allorquando parteggiavano co'Car­

taginesi.

( 15 q) E d intimo amico d’ Aderbale. Non era Unto poco

importante , siccome stima lo Schweigh., il saperti che questo

Annibale era strettamente legalo io amicizia con Aderhale.

Dopo Lilibeo era il porto di Trapani della maggior contea

gnenza pe’ Cartaginesi, e la buona inlelligenea di chi vi co»

mandava col dace che tpedivan re soccorsogli assediati, p*-

20Ò

Page 204: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

I n i partorir ba*nì tfleilL Ciò non pertanto m 1 necessa*-

rio di Mrpparre, giusta il parere dello Mnm oorome statore,

cbe Jknoibale fo tte prefetto delle «riremi «otto gli ordini di

Aderbale: ohe in tal cito egli non sarebbe rimato in Carta­

gine sensa impiego «ioo a quel momento. Il perchè, io non

«dottai la «na corranone, e poti il 7 in Mnao atto -

luto per comandante delle galee , subalterno al navarco, cbe

«ra Demandante supremo della flotta.

( i^ o ) Alle itole Egmte, ohe giaccion* ira Lilibeo e Car­tagine. Ma p tt presso a l i l ib e o , e propriamente tra Lilibeo

• Trapani. Chiamnnsi anoor Egadi, e le principali anno :

Egusa, aecondo alenai Elusa , oggidì Favignana, la piò prot-

•sima • U Ebeo, donde le ahre traasero il nome) Buccina, o For- Àanzia, ora Levante , Terrtmeso, o Marittima, M ontino odierno.

(>{ ì ) Non peramche toemato. Stando rigo rotato ente al tetto

«onverrebbe tradurre in tie ro ,- in ta tto ,'p o ro , cbe tal «nona

j ma l’ indole dell* idioma italiano non soflre alcuno

di qaeati vocaboli in coogiootione col sostantivo impeto. Il

-perchè mi fn giuoco fo n a rinam iare alla balla templi ci t i del

greco ed uaar nna oirootoruione*

( i^ a ) Quelli di fuori. Cioè i Rom ani, i quali aeoondo Dio­

doro ( eclog. xxiv , 3 ) attediavano Lilibeo oon aessaati mila

nomini , e in tutta ne avean orni lo venti mila. Gli ajuli ohe ri­

cevettero i Cartagineii £t lo ateaao autore ascender a quattro

mila soltanto , e non a dieci come il nostro ; ma le nnmera-

aioni ehe trovami presto Diodo*» , siagolarmeoto nelle e d o -

-ghe , che sono tquaroi informi ansiahè no , mi um bra no qoaai

«atte alterate.

( i ( ó ) T rafani è i l ano nome graco , ohe tignifioa

falce , e che gli fu dato peHa forma ourva della costa sa oai

•è fabbricata. Io le lascio il eoo nome moderno, siccome fac­

cio nel corso di tutta qaeata storia colle oittà cbe sono og­

gidì ancora di qualche considerazione, e perciò si riconoscono

2 0 1

Page 205: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

meglio dal nome che i moderni loro imposero* Sebbene non

spingo questa licenza tant'oltre che fece qualche volgarizza­

tore del trecento e del cinquecento p a re , che Inghilterra ap­

pellò la Britannia , Francia la Gallia , Tedeschi i G erm ani,

ed altri simili.

Gli uni eran rinchiusi : quelli di Lilibeo, gli altri ge­losamente guardati: quelli di T rapani, che da'm oderni si di-

rebbono bloccali. Quindi rendesi Teritimile ohe grandi fossero

le fone terrestri e marittime de' Romani arendo essi potato

per terra e per mare torre la com unicatone fra amendue le

cittì | mentre con tanto vigor» spiogtvan l’ assedio d 'u n a

di esse.

( i £5) Annibale toprannomalo Rodio. Non perchè fotte in­

nondo da Rodi cosi chiamavasi, come vuole il Gasaub., ma,

conforme giustamente riflette lo Schweigh. erasi egli acquistato

questo nome per qualche altra singolarità, o perchè acciden­

talmente nascesse a Rodi da padre Punico , o perchè colti­

vasse relazioni di commercio co’ Rodii.

( i£G ) Intorno all’ora quarta a’ intende del giorno; percioc­

ché i Romani calcolavano le ore diurne dallo spuntar del sole:

onde l’ora quarta , correndo allora la stagion estiva, avrà cor­

risposto alle nove circa antimeridiane.

( 14^) Co3 remi alzati. Il vocabolo greco iwìtfmmtlmi , che

rende questa idea , è pittoresco, avendo le due file di remi,

ohe da' due fianchi della nave alzavano ad angolo quasi retto

col corpo di quella, la figura di due ali spiegate , che appa­

recchiansi al volo. Ma siffatto giojello non ti è potuto inca­

stonare nella traduzione , perciocché ne sarebbe risultalo un

senso oscuro e affettato. Non eoa) nel greco , che trae quel

participio da wltftvt di cui poco appresso si vale Polibio, e

che giusta Esichio significa anche semplicemente e senza me­

tafora altare.(1 {8) Co'remi in aria. Il testo ha wltfmemt 7ir i»»i . che

3 0 2

Page 206: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

yak quanto, appibcando le àli alla 'Aave. Balla proprietà della

qual frale mi riferisco alla nota antecedente.

( i 4g) Ne rettavan adombrate. C o ti, attenendomi alla spie­

gazione di S u ida, bo creduto d’ interpretar acoonciament»

1' iwiwftr&ùt, cbe dopo molte dotte discussioni stabilisce lo

Sohweighiuser che debbasi leggere. Entrava il Rodio in porto

dalla parte d’ Italia, opposta a' quella cbe guarda 1* Africa ;

onde le to r r i , che a questa eran voltate , trovandosi nella

s ta sa dirittura della torre più vioina al mare da quel lato ,

dovean dalla testi accennata esser coperte, e come «eclissate,

0 adombrate che dir vogliamo.

( i5 o ) L‘ imboccatura .del porto. Diodoro ( eclog. i m i , i )

dioe , che i Romani empieron anche il fosso della città , cbe

era - hingo trenta braccia , e profondo venti, e riferito# pa­

recchie altre circostanze relative a quest’ assedio, che non

sono rammentate dal nostro : cosi narra egli, che avendo già

1 Romani scalate le mora , il dace Cartaginese assaltatili, n«

oociae dieoi mila e gli altri mise in fuga ; che i Romani pel-

l ' incendio delle macchine , e pella somma penuria di viveri

ridotti erano io somma angustia , e che nn morbo pestilen-

■iale tra loro dilTuso ne consnnse dieci mili , a ta le, cbe se

Gerone non li • occorreva delle cose necessarie, essi avrebbon

abbandonato l ’ assedio.

( »5 1 ) La quadrireme eh* era teco Ini utetia. Il Casaob.,

il Gronovio e il Reishe si perdettero in vane conghietture su

«putto, luogo, sedotti da nna falsa lezione. Ma il Xilandro

nella sua versione allemanna di Polibio , e rasi avanti di loro

appigliato a una lesione più ragionevole • convertendo ■*

MmlmjtXii, ohe in qualsivoglia guisa interpretato qui stava a

pigione, in « ■ n»r»e»xtf , frase famigliarissima al nostro per

indicare l’atto del voltarsi. Lo Schweighiuter tenne dietro al

Xilaodro, osservando molto opportu namente, che il Rodio

io3

Page 207: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

«tra «olito a ciò far* , allorquando utctva del porto • «lutava

i Romani.

( iS a ) La nove avvertano era ben fornita di relatori. In

volgarizzando questo patta mi to t allontanala dall* opinione

di tatti i commentatori. Eooo le mie ragioni. Io primo luogo

corritponde i t r t n i f ì a costruzione , apparato , fornimento ,

mttitnsione, disciplina, ma giammai a eccellcnsa, abilità singolare

•orlila dalla nalora, o acquistata coll’arte , ticcome vorrebbe lo

S 'hw eigh., « gli altri tetti pell’apponlo di Polibio da Ini citati

provano contro di Ini. Rei libro zi , o. 8 , legge» rmt imtftmftirmt s a i ri i t* t » v t m f vèr , loccbè non voi

dir altro te non te per via .delle ttoi ie o dell* istruzione che

•e ne trae. E al 1. xxiv, aap. 7 , • i t n i prtvt . . . ■*&»«-■ fSt r i atfilfit *»'< 'li c e r a r s ivii, che vale: Pcrteo inferiore al

fratello pei doni di natura e per istruzione. Secondariamente

non è probabile .che i rimatori Romani toperauero in de­

strezza i Cartagineii, a coi erano tanto inferiori nell* arte di

navigare , e che il Rodio eoa ti fo tte provvedalo de* migliori.

Per aitino i da riflettersi, che k nave , con coi i Romani in-

tegnivan il Rodio , era ona quadrireme , la qnale ricevuto avrà

maggior namnro di rematori che non 1* altra , che qn tnlon-

que chiamata tia dal nottfo templioetnenle nave, era verititniU

mente una trireme , o di minor portata ancora , dappoiché non

vi è tpecificala come in quella la quantità degli ordini. Laonde

pnb la qaadrireme aver avanzala l'a ltra in .velocità, pel mag­

gior numero o pella maggior robustezza de* rem atori, senza

che nei marinai Romani fotte maggior d e l i r a ta di navigare.

( i 55 ) Ma rimasto inferiore a'soldati navali. P er quanto a

me pare qni non lignifica m perato , tro ­

vandosi tubilo .dopo cadde in nano degli avversarli, loocht

t«r°bbe inutil ripetizione : libbene è il tento di qnetto voca­

bolo, te non m’inganno, oc me l’ ho capretto , il verbo a o si

S 04

Page 208: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

appartiene essendo il contrario di r p m l t f l t i t , primeggiare,

restar supcriore.( i 5 {) Un vento. I\ letto hà mtifta f r i t t i , ani aenao della qual

frase i commentatori e lessicografi o«n aono d’aocordo. En­

rico Stefana dietro Snida crede cbe rrmnr qai significhi rivolti)

(edizione', e lo Sohweigh. pretende , cbe denoti lo (tato e la

posisione del vento. 0 I’ ona o 1’ altra di qaeste opinioni (ìa

la pik gioita , io s iim i cbe il ritener nel volgare la semplice

parola di vento non fede ponto per naooer alla ebiareaaa

del ledo , dappoiché W qualità di cotesto- vento è tolto de­

scritta ne’ anoi «(Ietti-.

( 155) Resistette airaccostamento ielle macchine. M ale, aensk

dubbio , ha l’Brnesti interpretato r*> r nfrraytt-, le baai « i sostegni an oni faceanai camminar le mac­

chine; ma niente meglio, per mio avviso , lo Scbweigh., il

quale dopo aver nella traduxiooe ritenuto il concetto dell’E r-

n esù , ai rierede nelle note, e Cucendo il sostantivo mfttmymymt equivalente al participio Wfttmyiftt > ■ , propone la («gnente

epiegmione : il vento assali eoo grande impeto e violenta le

macchine ohe si accostavano quasi xm /t w^atifucvn w f n y i / t10 porto opinione , che senza far violenta al teilo wftimyymi

debba lasciarsi nel ano seneo naturale d ’accostamento, e mo­

dificai soltanto 1’ idea dell’ impeto recato oootra cotal accosta-

n a n t o , in qaello di reiistenaa opposta al medesimo , per non

o o u a re colla proprietà del nostro idioma.

( i 5G) Le gallerie. Eran queste pergolati contesti di tavole

c di gratioci, sotto a* q aali i soldati «caravan al aienro le fon*

dam euta delle mora , la coi esatta descrisione leggeii in Ve*

geiio ( iv , 15 ) Finets chiamavaoli i Romani e porticus an-

e o r a , conforme scorgasi da Cesare ( Bel. Ci*, i l , s ) e cosi

11 denomina qai pare il nostro. Io non ho creduto di dover

conservare questa toc* nel volgare, come quella ohe non i r i ­

c e ra ta nel disionario militare ; ma mi sono studiato di sosti-

ao5

Page 209: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

inirle alcun» clie nella modèrna (attica etprimewe nn ingegno

tintile a quelle macchine de' Romani. Onde comiderando oht

fc) gallerie d ' oggidì hanno in ciò qualche analogia co* portici

degli an tich i, ohe amendne tono ripari coperti per infunarti

•otto le fortiGoasieni del nemico e per danneggiarle, ho pre­

ferito «inatto vocabolo (V . Gratti Diaion. milit. agli articoli

■Galleria , Mimi ).(157) Stona dappreuo.W p ia » la correzione dello SoLweigh.

che legga "(** in loogo di wptmilpma* (itavancr dioaoB).

-DilTatli te le gallerie , mobili aooh' M ie come la to rri, a 000-

ttavanti alle mora per itcavarle, come rimaneva luogp pelle

torri davanti alle medesime ?

(1 58) Le tran degli arieti II Cataob. , ohe in reoe di

Iw n ( tronoo, grotto legno) leggeva rv+i da rirrm (battere)

tradotte quetta voce acumina arielum, cioè a d ire , le eatre-

mità di quette macobine, oon coi battevaoai le m n ra , loco h i

oltre all’ improprietà dell* eeprettione, che tcambia il tuono col corpo cbe lo prodooe, raocbinde nn’ a tta rd ili di fatto,

ettendo la ponte degli arieti di metallo darittim o, cni poco

danno potea recar il fuoco : tibbene ne doveano «offerire le

tra v i, a coi I1 eitremità metallica era congegnata. Cornatane

tanto felice fa , a detta dello Scbweigh., oonghiettnra dello Sea>

ligero.

(159) Che la itesto eseguisse. Cioè c h e ti collooaue accanto

a quella eh* era prima di lei arrivata, • ohe voltatte la prora

* ' nemici.

(160) I Cariagineti divennero superiori. Da due cagioni de»

rìvàva l'inferiorità de'Romani in quetta pugna navale ; dal­

l'impacciata loro potutone vicino a te rra , p«r cni non avean

libero tpaxio o i di ritirarti qnando eran integuiti, nò di aoo-

correr i oompagni pericolanti, e dalla qualità delle loro n av i

e delle loro oiurme, le noe di gofla cotlrniione e mal a tta

al maneggio, le altra novelle e p«oo ctperte.

ao6

Page 210: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

1 ( i f i i ) Afa Publio venne in biatinu ec. La cim a principale

per coi condannarono Claudio fa 1* aver egli dispreizati gli

empicii j dicendo per ischerno, che i polli estratti pel prò-

□ottico dalla gabbia , ai gittaiMro in aoqoa , affinchè beasse­

ro , giacchi non roteai) becoare, conforme riferiscono T . Livio

Epit. 1. xix i Val. Masi. I , 4 , 3 » Cioer. de Nat. Deor. il ,

3 , Fior, n , 2 , 2g , l’ altimo de'qaali per via maggiormente

dimostrar la certezza della punizione diviaa , osserva che l’acqua'

appunto, ove per sno comando avean ad esser immersi i polli,,

divenne a lai funesta. Polibio, che non applaudiva alle saper*1

stizio ni de* Romani, tatta la sciagura attribuisce all’avventataggtne

del capitano, dalla qaale oon i dabbio che derivasse ancor il

•no dilrgio per nn uso aanaionato dalla pubblica credenza.

(162) Lucio Giugno. I fasti consolari, e gli scrittori Ro­

mani tutti fbnno L. Giugno collega di P. Claudio e non al­

trimenti console nell* anno susseguente, siccome asserisce il

nostro. Ma non i da supporsi o h e . conforme osserva la

Scbweigh. Polibio abbia commesso errore così massiccio nel

riferire avvenimenti più vicini a* tempi di lui che di qaalstvo^

glia altro autore ohe ne parla. Ciò non pertanto non mi ap»

paga qaanto il medesimo commentatore eddnne per appianar

la mentovata difficoltà. Vuol egli che L. Giaguo andasse a

Roma pe’ com izii, e che, gionta la naova della disfatta di

Claudio, lo stesso Giugno, forniti i comizii, ritornasse^tosto in

Sicilia. Ma quand’ anche a quell’ epooa egli fosse stato fuori

di Roma, locchè non ai trova accennato, Polibio dioe esprefr*

•am ente, che eletti i nuovi contoli, mondarono Fano di loro L . Giugno con vettovaglie ; sicché Giagno era nuovo consoli

« non collega di Claudio. Se perita non fosse la seconda de^

eade de* libri di T . Livio, io son persuaso che di leggeri ootal

«odo si scioglierebbe. Per quanto apparisce dall’ epitome del li­

bro x tx , Claudio dopo la sua sconfitta richiamato dal Senato*

ebbe il comando di nominar Un dittatore. Elesse egli certo

2c>7

Page 211: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Claudi* Glicia , nono delta piò b a tti h I t i im i» | il quale fa

coartilo ad abdicarsi. GK Teano M i l i t a t o Atilio Colatilo a

mandato con nn eiercito fuor d* Italia. Bi ■ —Ux*t d o aq o e ,

ohe d ì Appio, nè Giugno rir—nene quell' anno pili in fun­

zione , dappoiché era alalo crealo ao dittatore, • ohe Giugno

era partito colle nari avanti la avèolara di Claudio , e poco

dopo quell’ avvenimento Ini fa tte coti mal concio da Carta-

lane; onda il Senato dovette ameadua totpeadere da’ loro of­

fici! i ow etM teote, te Giugno fn oootolo 1* aoan appretto ,

C laadb , che tolo 4 nominato fra i contali dell’ anno antece­

dente , avette an altro collega.

( i 63 ) CV era alla guardia di Litiòte. Il te ilo La • r»

AiKifimut 7* f« i (che cntlodiva Lilibeo). Io mi M a ingegnata

d ’ accollarmi alla frate grcoa, la q n a la , olire al vernando

top remo che area io quella città il oo manda ole Cartagine te *

esprima la ina vigilane» m erci dalla quale egli bene fecondò

l’ impreia di- Cariatone.

( i6 £ ) Di pothi vascelli. Stemma non intenderà allor C ar­

la Ione di entrar calla preda latta ia qualoha porto , ma di

metterai in ailuaxione favorevole per impadire l’arrivo de’too-

«orti a’ Rom ani, coti non volle egli inibirà* aarsi oon melò

«stesili nemici . e ruppe una parte di quelli che avea prati.

(iG 5) I provveditori. E ran quelli, negli eatroiti, coti di

te rra , eome di mare , pretto i Romani ooloro ohe facevano •

pagamenti , e di ogni cola necsataria provvedeano i toldaù.

Denomiuavanti quaest.on* , de’ «arii uTCoii de* quaK oontalliti

U Kipplug» ( AntiquiU Romanar. Lugd. Bai. 1^ 13, p. 3{q ).

Il loro pnito negli accampaninoli era dietro le tende de* tri­

buni dall* altra, parta del Foro ( PoILh. v i , 3 l ). Quelli ohe

addetti erano alle fono di m are , seguivano, aecondochè è

chiaro da quatto luogo , le navi esploratrici per attere infor­

mati d’ ogni emergerne.

(iGG) Cale e proniaci't;. Cala i giusta, la Crotea it pio-»

ao8

Page 212: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

colo u n o di mare , ove posta con s icare tta trattenerti a lo un

lampo qualche naviglio, n £«A *r, a d ir vero , tignilina qai ,

conforme spiega 1’ E n te l l i , nn luogo d ’ acqua profonda , ove

le nari possono tta r all’ ancora ( comrehè il tento proprio di

qorsto vocabolo sia agitazione delle acque marine e per me­

tafora anche dell’ animo ) ; ma le prom inente che cignevaao

coleste t la i io n i, le cangiavano in seni. Male , a mio credere,

interpretò lo Scbwéigh. il wtft*Xnir*tj qua e medium spatium opportune claudebant, quasiché quelle prominente formassero

no tetto sopra il naviglio , che sotto ad ette ricoverava , e

chiodeisero lo spazio fra quelle ed il mare sottoposto. O ltre­

ché sarebbe questo nn ricovero molto s tra n o , l'accennato

vocabolo nou ha il tento che lo Sohweigh. gli attribnitee |

libbene vai esso c igner, chiuder in to rno , circondare.

(1G7) «* Tutto il lato della S icilia , dice lo Schweigh. voi*

tato all’ Africa, è importuoso ed aspro ». Che importuoso

foste, il disse Polibio, ma dell'asprezza non fece motto. D ia­

fani vedemmo poo' anzi , che una parte dell’ armata Romana

erasi ritirata sotto nna c ittà , ove potea tiare con aiooreaia,

loccbè al certo non avrebbe potato fare se a sp ro , cioè a dire,

pieno di scogli fosse stato qael lido.

(1C8) Ed il mare minacciava sommo pericolo. Fundi , tur- hatum ili mare ( il mare era per tconvolgersi dal fondo ) tra­

duce col Casaub. lo Scbweigh. Cib non panni cbe dica Po­

libio, le cui parole sono « *»< w t f t r r in i t 1* r i wixAyut i\trxnptTTiptf, letteralmente: ed apparendo imminente dal mare grandissima sciagura : cbe wtf/rrartf non

istà qui per costituaione procellosa del m are , sibbene per ca­

lamità o pericolo ohe dal tuo turbamento sovrastava. Nel vo­

cabolario pertanto è questo patto dal medetimo plauaibilmenta

interpretato.

(iC ij) Ala gli uni per terra eo. I R om ani, rovinati per

rovin io , toma 1. 1 \

2 0 9

Page 213: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

m are , non poteano piò spedir annate oon vettovaglie a Lili­

beo , ma oontentarsi doveaoo di farle gingner colà a grande

stento per te r ra , dopo aver passato lo stretto. Tattavia non

sarebbtsi tanta gen te , che intorno a quella città stansiava,

salvata dalla fame , ove Gerone dalla parte di Siracusa non

gli avesse provvedati di viveri. La qaal circostansa, non ac­

cennata dal nostro, si rende manifesta per nn luogo di Dio­

doro , che abbiam di sopra citato.

(170) Giugno ondalo all’ esercito ec. A malgrado della

bnoua riuscita dell'im presa d 'E r ic e , Giogoo c h e , non altri­

menti che C laudio , scherniti aveva gh anspicii, spaventato

dall* esempio di questi , non volle rito rnar a R o m a, e pre­

venne oon morte volontaria l’ignominia della sna òondanna,

(V. Cicerone e Val. Mass, a 'luogh i citati). Il qual arvenw

mento mi oonferma nell’ opinione, che Giugno fosse collega

di C landio, e che appena dopo la presa d* Erioe rioevesse

la trista novella della sua pnniiione ; ond* egli si condusse

per disperaaione a passo tanto violento. Che se prima d ’ogui

cosa fosse stato instrutto , non avrebb* egli tentato di far am­

menda al suo errore con nna nuova impresa. I l perchè io

credo , che Polibio attignesse le notiaie eh ' egli ebbe dei

fatti di Roma a fonti diverse da q u e lle , onde le trassero gli

storici Romani. E se riflettiamo che per favore di Scipione

Emiliano egli po li valersi de’ fasti capitolini, e che a uesaana

passione giammai egli sacrificò la verità , di leggeri ci penna*

derem o, meritar lai assai più fede degli stessi scrittori R o­

mani , i q u a l i , o per non aver potato consultare documenti

tanto autorevoli, o per non sapersi elevare sopra i pregiudizii

della propria naz ione , o per desiderio d* adularla , furono

mendaci. Taccio del giudizio che dà Cicerone stesso circa la

sna esattezza somma in fatto di cronologia n e ’ libri della re*

pubblica ( V. il nostro trattato della vita e degli soritti di

Polibio premesso a questo volgarizzamento ) .

210

Page 214: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

(1 7 1) Quasi contìguo a Trapani. Ora ohiamasi monto di

T rapan i, e il luogo dell*antica città è occupato da s. Giuliano.

(172) I l tempio di Venere Erìcina. L ’ orìgine di questo

magnifico edilizio ai perde ne* tempi favolosi. Secondo Virgilio

(A eneid . ▼ , r . >j58 ) fa esso eretto da E n e a , innanzi che

laiciaase la Sicilia per venire in Italia. Diodoro ( lib. ìv )

vuole cbe Erice figlio di Venere e di Buia , certo Regolo del

paese, ne aia stato il fondatore , e eh* Enea , figlio ancor egli

di V enere , 1* abbia soltanto di molti doni arricchito. Non h a d irs i, in quanta venerazione esso fosse non solo presso i

popoli indigeni della Sicilia , ma eziandio presso i Cartagi­

nesi , quando signoreggiavano parte di quell* isola , e singo­

larmente presso i R om ani, poichi tutta 1* ebbero conquistata.

Questi , riferendo la loro stirpe alla Dea che vi era adorata ,

non lasciarono di tributarle coli ogni maniera d* onori. I se­

natori p i i g rav i, allorquando vi andavano a farle omaggio

della loro divozione , deponevan ogni severità, e per rendersi

a lei grati intertenevansi col bel sesso in ischerai e in pia­

cevoli oolloqaii. Diciassette c i tti di Sicilia, delle p i i fedeli

a ’ Romani dovettero dotar quel tempio d* una ragguardevole

somma d* oro , « la sua custodia era affidata a an presidio di

dageoto soldati. Caduto per vecchiezza, l ' imperatore Claodio il

fece rifabbricare a spese del pubblico erario ( V. Sveton. in

Cland. c. i 5 ). Area pertanto Venere Ericina an tempio in

Rama ancora fuori di porta Collatina (V . Ovid. fast, i t ,

▼ . 871. — Strab. ìv, p. 373 ) e un altro nello stesso Capitolio,

dedicato da Fabio Massimo (V . T . Livio xx iu , 3 i ). Vene­

ra ta ti pu r Venere sotto il nome d 'Ericina a Profida in Arcad.

( V. Faus. Arcad. c. a { ) . Delle anagogie e oatagogie, festi­

vità che celebravansi in onor di quella Dea ( V. Ateneo U ,

p. 3g£ e Aelian. Histor. animai, x , 58. )

(173) Per cui vi si ascende da Trapani. Ho accolta la cor­

rezione proposta dallo Schweigh, il quale oon ragione trova

211

Page 215: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

• n a rd o che (i legga t ì» i '* ì wfirflant ( l a «alita

verso T ra p a n i) , mentrechè Lipari era nel p iano, e quindi

•oslituisce r i» i f i n i f i .

Afa la salita maggiormente. An^he io qn*»to luogo ,

che da’ copisti, non meno cbe dag l 'in te rp re ti , e 'la qualche

critico ancora i stato m almenalo, attenuto mi tono al prelo­

dato commentatore.

(l^S ) De' Locri e de’ Bruzii. I Locri eran chiamati Epite ­

li rii dal promontorio Zelirio , ov’ era dapprima fabbricala la

loro c i ttà , per distingurrli d a 'L o c ri Epicoemidii e da ' Locri

Ozolei , popolazioni dell’ Eliade. Oggidì vi è Gerace. Preten­

de» che preuo di loro si facesse il primo uso delle leggi

■c r i t le , che dettb Zaleuco. - I Bruiii traevan origine da' Lu­

cani , di coi erano siiti pastori, ed abitavano 1* ultimo angolo

dell’ Italia. Separavanli dalla Lucania ì Homi Sibari e Lao ,

cbe sono gli odierni Crali e Trrccbina, l'uno de’ quali inette

foce nel golfo di Taranto , I' altro in quello di Policaslro ;

onde vedeii che il loro paese comprendeva uoo solo J a Cala­

bria u lte rio re , conforme comunemente si crede , ma eziandio

la citeriore.

(176) Sul Carcere. È la preciia interpretazione di lìc lìfmlir. Una montagna tott’ attorno dirupata può opportuna­

mente paragonarsi ad un carcere per rispetto a chi sopra vi

d im o ra , e che rimane chiuso come da nn altissimo muro.

Diodoro (eclog. xxn , i £ ) chiama questo luogo 7«r ,

• x x li l , l 4 7ì r • f i l i , ove dice che i Romani inanimente

l ’ assediarono con quarantamila fanti, e mille cavalli Ora

questo monte i denominalo s. Pellegrino.

(179) Tra Erice e Palermo. Ma assai pih vicino a Paler­

mo , innanzi alla qoal città essendosi accampali i Romani ,

siccome tosto vedremo , erano dal medesimo distanti soli eia*

que stadii.

(178) Alle brezze del mare ottimamente esposto. Ho preferito

a i a

Page 216: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

alle altre l ' interpretazione del P fro lli : maritimis auris prae~ elare expositum. E cotesia esposizione appunto alle anre fre—

•che di settentrione e di levante , temperando 1* atmosfera di

quella calda regione, non vi lascia pervenire animali pettiferi

siccome bene osserva lo Scbweigh.

( l'J fi) Pugili. Nel pu g ile , il più pericoloso di ta tti gli

esercizi! ginnastici che nsavauti presso i G reci, il vincitore

nou a rra diritto alla palma, se l’avversario non ai dichiarava

vinto j onde avveniva, che taluno periva sotto i co lp i, ansi

che confessare la propria vergogna. ( F. Voyage da Jean*

Anacliara. c. 3 8 , e Luciano nell’- Anacharsi, o de* Ginnasti ).

(180 ) Prr generoso ardir o per robustetxa ec. Io ho pre­

ferita l’ interpretazione del Casaub. il quale y t t ta i f lm , »«1

tradace animi corporitque rotore, a quella dello

Scbweig. che ha fortitudine dexteritateque. Imperciocché, ooaì

forza come d ts ir-zsa sono qualità del co rp o , 1’ una conge­

nita , 1’ altra acquistata , ma qui manifestamente s* hanno a

combinare le doti dell'anim o a quelle del corpo, cbe richieg*

gonsi pe’ ginnastici esercizi!. Se non cbe m* è sembrato ohe

generoso aidire meglio renderebbe il yt tm i t lm del testo ohe

non la robustezza d ’ animo del Casaubono.

(1 8 1 ) Ite'duci de' quali ora parliamo. Il capitano Cartagi­

nese , nel corso di lutti i tre a n n i , era Amilcare , ma il

Romano non fu al certo sempre Giugno. Imperciocché, quan-

d* anche non fosse vero , eh ’ egli dopo I* infelice successo di

T ra p a n i, si fosse data la m o rte , è ben noto che i Romani

mandavan a comandare gli eserciti i consoli di ciaschednn

anno , e ben di rado prorogavano ad nno il sapremo poter

militare.

( i 8 z ) Gli stratagemmi che traggonsi dalle storie. Sono

questi le astuzie di guerra cbe apparansi da' libri, o dal con­

versare non uomini periti dell* arte militare. I ritrovamenti ,

ispirati dall’ a rgen ta de* ca s i , debbonsl al ooraggio e alla

ai3

Page 217: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

gacità dell’ intelletto , che prontamente •’ appiglia agli oppor­

tuni rip ieghi, e i partiti temerarii cono figli della r is o la to la

e della penetrazione , m erci delle qoali preveggenti i runIta-

menti delle operasioni e con imperturbabile costanxa li ese­

guiscono. Donde irg a ir si possono le qualità d* un buon ca­

pitano , il qoale all’ in ttra iione nella propria arte unir dee

l’intrepidessa • la perseveram i nel l'esecuzione delle imprete.

( i 83) Perivano - quelli che cadevan combattendo, vale a

dira , che non rimaneva ucciso ne ttuno di ooloro eh ’ eranii

dati alla fuga , tiecome accader taole nelle altre pngne i p e r­

ciocché appena eranti sottratti alle armi degli avversari i , che

riooveravanti sotto la protezione delle proprie Cortesie.

( ì 84) Un egregio ditpentator di premii. N i il Catanb. n i

Io Schweigh. han latto latino il ty a /8i«7«r del testo; ma ne

modificarono to ltin to l i desinensa, rìducendolo a brabeuta.

Siccome pertanto questo vocabolo significa il giudice che nei

oombattimenti ginnastici dispensava i premii a* vincitori, così

ho creduto bene di circoscrìver io tiflalto senso la mentovata

espressione greca , che non può aver il termine equivalente

■e l la lingua d ’ un popolo, il quale non ne ha 1’ oggetto. Ora

coletto brabeuta avea la facoltà di costrìngere i combattenti ad

nn genera di pugni pi& pericoloso, ove scorgeva, che egoal

era il successo in amendue le p a r t i , e che la vittoria non si

deoideva per nessono ; ( V. Luciano 1. c. ) siccome qa i il ci­

mento fu trasportilo dal Carcera ad Erice.

( i 85) Fecero pari. P o l ib io , sempre attaccato all’ allegoria

delle tem oni ginnastiche, d i i qui nna Craae che gl’ interpreti

latini bensì hanno conservata, ma che in italiano non soiTe-

riva il senso traslato. E ra dunque costume ne’mentovati giuo-

o h i , che il vincitore Cosa* coronato, ma quando ambigua era

la vittoria, oonsecravisi la corona al D io , cui era contecrala

la festa, conforme soorgesi da A. Gellio ( Noci. A IL xvm, s ).

Quindi dice il nostro cbe im endue Uf •* ira i«m >7i »

2 14

Page 218: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

fecero tocro la corona. Un* espressione limile trovasi in Se­

neca ( epist. P3 ) u qnomotlo tamen ( scrive questo filosofo

•1 sno Lucilio ) hodiernum certamen nobis oesserit, qnaeris ?

Quod raro cursoribns even it, hieram fecimiu. P e r avviso di

Giasto Lipsio «1 hieram s* avrebbe a sottintendere coronai», ma a me sembra cbe cotesto aggettivo supponga il sostantivo

yp*Hfiì», linea Hi m eno dello s tad io , donde ingegnavanti di

non nsnire i corridori, dappoiché di questi ( qnod raro cnrso-

ribus evenit ) qni ai parla. Cosi itpàt non fa r i più djtcor-

danaa col suo sostantivo, siccome 1* avrebbe fatta se foste

stata relativa a t n f m t i t .

(186) Simili a generosi galli. Dopo vinti i Persiani fa

fatta legge io Atene cbe si desse ogni anno in teatro lo spet­

tacolo di galli cbe s’ azzuffano. La qual legge ebbe 1’ origine

tegnente. Temistocle , condocendo l’ esercito patrio contro

Serse , vide due galli cbe combattevano. Ne volle egli trar

partito per incoraggiar i t n o i , e fece loro ot serva re , come

qne tti animali non pugnavano pella patria , n i pe’ figli, n i

pella gloria, ma solo per non ceder l 'o n all*altro; onde mi­

rabilmente acceee I’ animo di totti, e grande stimolo aggiunte

al loro valore ( V. Aelian. var. h itt. li, 28 ). Anche a Perga­

m o, secondochè riferisce Plinio, era in certo giorno dell’ anno

pubblico combattimento di ga lli, e a ’ di nottri in Inghilterra

e in Itpagoa molto dilettati il volgo di quetto tpettacolo.

Coll’ aipetto di siffatta pugna narrati che Socrate inanimiva

Ificrate alla g u e rra , e Critippo nel libro della giutlixia la

pronoie ad etempio di ooraggio. I Galli , dice Filone ( nel

libro che ogni probo ì libero ) sogliono combattere con tanto

a rd o re , che per non ceder e darsi v in ti, sebbene spossati di

fo rte , non perdono l’ audacia., e stanno saldi sino alla morte.

(1 R-j) Perdute per debolezza le ali. Perduta qui non i qnanlo esser rimasi sen i’ ale , ma significa averne per iapos-

aatezsa perduto l ' u so , oome si direbbe d* ano che fa colpito

Page 219: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

di paralisi» in qualche membro , egli ba perduto il braccio ,

la gamba. Quindi I’ ampliazione fatta dallo Scbweigb. utum alarum amiserunt era tanto meno necessaria , qoaotochè egli

•tetto nella nota a questo loogo addace da Petronio e da

T eren iio due patti che fanno conoscere , poterti dire latina­

mente ancora , perder alcuna parte del corpo per restar privi

dell’ oso di quella.

(188 ) Sospendo/i alcun poco i colpi. L ’etaorimento delle forte

non pnò a meno di produrre nna toipentione delle otlilili: che

il coraggio p i i invitto langue tolto il peto deU’oppretta natura.

Ma come prima gli animi generati de* combattenti han ripi­

gliato nn pooo di le n a , la pogna rionnovati più feroce di

prima , e non liaitce che colla morte d ’ uoo di etti. Io ho

tratto profitto dalle corrasioni e giuditiote riflettioni dello

Schweigh. , te n ta le quali qaetto periodo tarebbe avvolto in

grande otcnrità , ehe non ginntero a diradare la penetrazione

d ’ I t . C a ian b ., nè le acute conghietture di Merico tao figlio,

n i quelle del Gronovio e del Reiike.

(189) Eppure i Romani. Lo Schw eigh., pretende che qui

incominci la feconda parte del paragone , e che per conse­

guente in luogo di 'Of**r ( tuttavia ) debbati leggere Opt/mt ( c o t i ) . Ma è facile avvederti, che p i i «opra è il principio

della conclotioae , ove dice il notlro ohe i Romani e i Car­

tagineii erano ttanchi e giunti all’eilrema ditperatione. Il per­

chè io bo coli traiportata la copnla della similitudine e qui

ho ritenuto 1’ avverbio d* eccezione, continuandoti il confronto

col d ire , che i R om ani, a malgrado de’ loro d i ta i t r i , non

eranii avviliti , ticcome i g.Hi non cadono d ’ animo , sebbene

tono indeboliti e paralizzati delle ale.

(1 qo) Da questi cinque anni. Tanto tempo appnnlo era

traicorto fra il naufragio , di Giugno accaduto l’ anno 5oG di

R om a, (tecondo gli altri antori il 5o 5 ) e la battaglia navale

vinta da Lntatio , che avvenne nel 5 11. Diflatti ditte di trp ra

2 l 6

Page 220: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Polibio , che i Romani tre io n i stanziarono dinanzi a Paler­

mo , e cbe due auai pugnarono pretao Erice.

( i q i ) Cedendo a' coti della fortuna , cioè a* due successivi

naufragi cbe toffortero negli anni 400 6 5° ° Roma. Del

retto era savio accorgimento de’Romani il perteverare nel com­

batter i Cariagineti per m are, ove qacati erano piii p o te n ti ,

dappoiohè non potevano tperar di vincere per terra Amilcare ,

che avea loro cinqae anni valorotamenta resistito. Coti il luogo

etercitio avea gli uni e gli a ltri reoduti formidabili nel genere

di guerra ap p u n to , in cui dapprima poco valeano ; i Carta*

gineti ne’ oombattimenti terrestri e i Romani nelle pugne n a ­

vali , e quella parte vincer dovea di necessità, la quale avrebbe

1’ altra tuperata colle armi avvertane. Q u in d i, tic come rima­

le ro aoccombenti i Cariagineti perchè furono tcon fitti per

mare , coti tarebbon etti stati - v itto rio ii, te ro tte avettero le

forze di terra de’ Romani.

( i q i ) I l disperato ardire. Non bo trovata fra te italiana pili

atta ad etprimere la voce del tetto , che fecondo

lo Schw eigh., lignifica il combattere to t tenuto più dalla ferma

volontà e dalla forza dell* animo , che n o n da quella del cor­

po , come chi dicette : combattimento fatto coll‘ anim o. L ’E r -

netti nel tuo vocabolario la defiaitce pugna protratta tino all'ul­

timo retpiro , o dir vogliamo pugna pella vita. A m endue que­

lle tpiegazioni itanno qui b e n e , e te non m* inganno, la

mia interpretazione può a ciascheduna d ’ e tte adattarti .

( i f)5) Dugento vascelli da cinque palchi. Giulia Orotio (ìv , io )

ed Eutropio ( i l , 2 7 ) avean allora i Romani trecento n a v i ,

per modo ohe e’ aembra che le qui annoverate fossero le

nuove tollanto costrutte a apese de’ privati in i modello della

nave del R o d io , coi è veritimile che tieno tlate aggiunte di

pubblica ragione cento delle vecchie.

( i q { ) All'isola chiamata Cera. C oti la chiam a p u re To-

2 1 ^

Page 221: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

lem eo , ma Plinio 1* appella ' Hieronnetut, che Tale itola tacra.

E desta la più dittante da Lilibeo, e non da confonderti colla

Gera Vulcani» delle Eolie.

( i g 5) E co' vascelli ancora carichi. Accetto la corrasione

desiderata dallo Schw eigh., il quale scriver vorrebbe * { « i n

yiftttrm , ancora carichi ia luogo di w f n n ( innoltre coi

vatcelli cariohi): sendochì tta meglio il w f t t ripetuto la tersa

Tolta , W(»t A n i t a , B a i » { • » nvrns Imt »a»7i * à r fvii/ttit,

• a ) w fì i 771 la yift trr» e*ap» , t t a , d ioo , meglio q n e tti ri­

pe tisene | cbe non sottintendere wgts innansi al trfrirt .

(19C) Ciò dissi riflettendo ec. Po lib io , dopo aver frapposte

al primo é all* ultimo membro del periodo una lunga serie di

circostanse, attacca la conclusione al rimanente colla particella

Stiw*f , quindi, in loogo della quale h o usata la ripetisione

del primo verbo , famigliare agli scrittori Italiani in siffatti

lunghi periodi.

(19?) Rompevan il flotto a t a f i f t » Ti» mxiitia è la fras»

greca , che tecondo lo Schweigh. sarebbe letteralmente tollerar ronda agitata. Ma il Reiske vorrebbe che s’ intendesse !*•»•-

f i f t u dello spingere che si fa 1* onda co* rem i , e per ap­

poggiar questa tpiegazione adduce testi di Tucidide e d* Aria­

no. Io ho seguila quest'u ltim a idea, che mi son ingegnato

d* adattar alle orecchie italiane.

(198) Mercè della loro robustezza. Lo Schweigh. crede di

poter ad •» ■{ /« applicare il significato di destrezsa, e coti

sente ancor 1* Ernesti uel vocabolario. Ma fatto s ta , che que­

sta voce non ha altro senso se non se di buona salute e di

robusta coniplestione, conforme può vedersi in E sich io , e

nell'econom ia d* Ippocrate del Foesio alla stessa parola. E v’ha

forse più mestieri di dolcezsa che di nerboruta braccia per

vincer la resistensa d ' un mare sollevato ?

( ■9 9 ) Tagliata la strada 7«* iulmt ,

2 l 8

Page 222: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

dice Polibio, cioi avean loro preoccupato il passaggio, toc­

che torna al lento della frate da noi adoperata.

(100) Cangiata la guita ec. Lo Schw eigh., leggendo nel tetto

con ta tti gli altri 7t» 7i • • v w y /a * B arnA ii'pintr, traduce tirlem construendi naves nunc perceplam habebant (avean allor compresa

1* arte di cottrnir navi ) ; ma ne' commentar» suggerisce in

luogo del mentovato verbo / t i7i<A«pirmi ( cangiarono la co­

struzione ) . Ognuna di quatte tpiegazioni potrebbe ado ttarti,

ma sembra più accordarti col fatto la teconda : che compren­

der l ’ arte tarebbe ttato poco, te non l’ avetsero eteguita , o

riformato il modo di fabbricar i vascelli.

(101 ) Esercitati all'accordo, cioè ad accordarsi ne'loro mo­

vimenti, tovra tutto nel maneggiar i remi, non altrimenti che

diversi istrnmenti musicali, che tra loro armonizzano. Questa

è peli* appunto la forza dèi vocabolo greco

( V. 1* erudita n rta dello Schw eigh., a questo pasto.

(202) Fiaccati I tT fv f t t t t i t , quasi tritali e sminuzzati, che

in volgare , per quanto io credo , non pnò renderti meglio

che col verbo te ttè accennato.

( 2 o 5 ) E disteso il seguente trattato. P iù d iru tam ente è de-

soritto questo trattato nel libro 111 , c. 27 di q a e t t ' opera, ove

sono aggiunte le modificazioni fatte al medetirao da* eommissarii

del popolo.

(20^) Talenti Euboici d ’argento. Il talento Eaboico teoondo

P e tto valea sette mila cinquecento Cislofori ( moneta d’ Asia,

su coi ara scolpita I* immagine della ceata arcana di Cerere e

di Bacco ) e il Cisto foro corrispondeva a otto atti Romani. A -

dunque il talento Enboico era egnale a 60,000 assi o a z{,ooo se­

sie rii i , e i mille dugento talenti che obbligaronti i Cartagineii

di pagare a* Romani sommavano 28,800,000 setteriii, che nella

lingua dell' antica Roma ti farebbero espressi con bit centies, octogies, oclies. In moneta fran ce te , ta l ragguaglio di cento

lire per mille seaterzii, la mentovata tomma rìduceti t2 ,880,000 lire.

219

Page 223: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Perchè poi i Romani abbiano «cello attori la valatasione in mo­

neta d ’Eubea non è facile a dirai. Forte converti Polibio la

aomma pagati in danari greci , a maggior lame de’ «aoi com­

patrioti , coi avei precipuamente detti nata qoeita «toria , e p e r

avventura il talento Euboico ta r i «tato nell* Achea p ii cono­

sciuto di qnaliivoglia altro talento.

<2oi) Battaglie ed apparecchi!. Per quelli iotendonii i com­

battimenti di terra e gli atirdii.

(206) Una volta - con meglio di cinquecento vascelli. F a

qneita I’ altima battaglia navale presto all’ ito li E guta , in c o i

Lntaiio ruppe Annone. I Romani vi iveano trecento vatcelli, e i Cartagineti non meno al cerio di dogento , dappoiché fra

tom merli e p reti ne perdettero cento venti.

(207) E l'altra con poco meno di settecento. Nella batta­

glia d ’ Eonom o, ove farono egualmente vittorioii i Romani , ed ebbe ro trecento trenta nivi , coi i Cartagineti ne oppotero

trecencinqaanta.

(208) Perdettero i Romani - da settecento ec. i Carta­ginesi da cinque cento. Maggiore fa la perditi de' Romani per

cagione de’ ripetati naufragi che tofferiero, nel primo de’ quali

di trecenieitanta quattro navi ne rimaiero loro mie ottanta.

Nel tecondo pare che tutte le navi p e r iu e ro , m i Polibio non

ne indici il numero.

(209) Di Antigono , di Tolemeo e di Demetrio. Antigono •

tao Gglio Demetrio erano re di M acedonil, e celebri furono

i loro apparecchi navali, lingolarmente qaello che fece De­

metrio contra Tolemeo F ilopatore , m i pià pella mole delle

navi che pel loro num ero , conforme abbiamo g ii accennato

di topra uelli nota 58.

(2 1 0 ) 1 Persiani contra i Greci. Con mille dagento trire­

mi , non comprete le navi d i cirico , i P e n im i attillarono

I l G recil , tecondochi riferitoono Etchilo cbe militò in quella

g u e rra , Erodoto, Iiocrate, Diodoro, Cornelio Nepote e Giutlino.

3 2 0

Page 224: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

( i n ) Gli Ateniesi e i Lacedemoni. Allorquando gli Ate­

niesi rntrarnn io guerra co’ Lacedernooi, avean essi , per re ­

lazione trecento tr irem i, e gli Spartani, sebbene in mare fu­

rono inferiori agli Ateniesi, tuttavia , siccome eran allora si­

gnori di due quinti del Peloponneso, e disponevano di tutte

le sue forze non solo , ma eziandio di qoelle di molti esteri

loro alleati, così poterono cogli Ateniesi gareggiare, e supe­

rarli ancor talvolta per numero di navi.

( 2 1 1) Ad espone la costituzione del loro governo. E que­

sta descritta nel testo libro , ma , come osserva lo Schw eigh.,

non trovasi negli avanzi che ne abbiamo discussa la qnistiooe

di cui parlasi nel testo.

(215) La guerra domestica i f tp ix i t f sigui(\pa , a

d ir vero , guerra civile ; ma nessuna delle due qui mentovale

era ta le , perciocché non una parte de’ cittadini era contro

1* altra armata ; sibbene ribellarnusi i sudditi da' loro domina­

tori Il perché io ho abbandonata l’interpretazione dello Schweigh.

da lui medesimo condannata ne’ suoi commentarli.

(214) Della guerra che chiamasi senta fede arwnStt r tXtfi tt l ’ appella Polibio , eh’ é quanto dire, guerra ia cui non si co ­

nosce fede di tra tta ti, e violato è ogni dritto umano , quali

son appunto le guerre c iv ili, e quelle a cui condace la r i­

bellione. Lo Snbweigh. nella traduzione la chiama hellum inespiabile , nel vocabolario implacabile, Esichio definisce

« 1 1 1 /1 1 , i h , , s a i p i fH i f t i t t v iT i t tpiXi'mt

i ùSiib \**ln . u Selvaggi, nem ic i, cbe non ricor-

dansi d* amicizia o di patti ; implacabili **.

(2 1 5) Le cause della guerra che sotto Annibaie ec. Come

dalla relazioue di qaesta guerra possa conoscersi la genuina

cagione di quella cbe fece Annibaie a* Romani non é facile a

comprendersi. Vero è , che nella Gne del libro Polibio alcun

poco ne ragion?, ma non a proposito della^ribellione de’m er-

cenavii e degli Africani. Forse fu una delle cause che indù*-

221

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•ero i Cartagineti a rinnovar la g u e rra , la necessità di occu­

pare fnori di caca la turbolenta e mescolala milisia onde va-

levan ti, e della quale didatti tappiamo oh’ era oompoito 1’ e -

seroito d* Annibaie.

(21G) Dagli stipendii loro dovuti. Dne vocaboli qoi ota Po ­

libio per lignificare gli stipendii , o ta la r i i, o soldo che d ir

vogliamo delle milizie. L 'ano A n n ^ / < i , secondo E tich io la

tpeta stabilita pe’ talari! , • deriva da »/r«r framento , adan-

qne quati provvigione di fram ento: l’ altro , di coi

dice Fozio Lex. H S. r* wìtf i f t ' t i d i l l i (tira ti xiytrt « a i r i n v i n o , cioi a dire , mercede e paoaggio , cb’ 4 la

quantità di framento , cbe memaalmente dittribnivaii a* so l-

dati. Ma sicorae coletta ditlribazione è p i i tolto chiamata

nrè ft te f fa , coti ho prese le mentovate dae voci nel ten to

più etteto pegli ttipendii ohe pagavanti all’ esercito.

(117) La qual cosa minimamente si conviene asoldati stra­

nieri. C otto ro , non punto animati da patrio am ore , ed avendo

il guadagno per tolo scopo della loro profeuione , hanno bi­

sogno di continua occupazione, e come prima veggonti all’oiio

abbandonati, meditano violenze e tumulti con anima di pro­

cacciar naova etoa alla loro avidità. I Romani lunga pezza

•chivarono quetta pette col bellissimo costarne di far loro socii

i popoli conquistati, donde avvenne, che , te n ta ricorrer ad

infedeli milizie straniere, valevanti oon ogni Ginoia delle armi

de* nuovi alleati. I primi soldati mercenari! che presero al loro

servizio farono i Celtiberi nella seconda gaerra Panica ( Vedi

T . Livio xxiv t 49 )•

(218 ) Le promesse ec. Di queste abbiam veduto nn esem­

p io , allorquando i mercenarii tentarono di tradir Lilibeo ai

Romani.

(219) Di confuse favelle. Questo bo credalo essere, se non

il preciso sen to , almeno il motivo d e i r à /v i g / a , che denota

m ancanza, o difficoltà di comunicazione f r i popoli, i quali

3 2 2

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pella d iren ili delle lingue non intendevanti. Il Catanb. in tra»

ducendo separata consilia, espose 1’ effetto di ciò eh’ è indi­

cato dal testo.(aao) E turbamento ■« ) r ii Xtypiimr ripfiit dice Poli­

bio ( e di cosi detto turbamento ) ; quasi che lìpfin , donde i

Latini derivarono turba, fosse ona specie particolare di confu­

sione. Io pertanto la trovo presso i Lessicografi sinonimo di

rapaci , rapm^tt. Vedi Erodano raccolta delle lezioni d lppo-

c ra te , Esìchio alla voce rip)9« ; lo Scoliaste d“Aristojane nelle

vespe, ove rippigu* è spiegato rapirritt, Fozio Lei. M S.,

Enrico Stefano , Etimologico Magno ed altri. Nello stesso si­

gnificato di confusione fa questa voce presa da Galeno nella

parola composta di wXtTipfin (quasi confusione di cosce)

delioita da lui paralisi delle estremità inferiori, per cui ora

il fianco destro è portato a sinistra, ora il sinistro a destra.

(231) Tunesi distante da Cartagine circa 120 stadii. Se­

condo T . Livio è quetta distanza di quindici mila pasti. Ora

agguaglia lo stadio seicento piedi, che tono 120 passi geome­

trici 1 adunque ] 5,ooo pasti corritpondono a 12( stadii, spazio

■ un di presto indicato da Polibio.

(222) Nessuna speranza potendo riporre nelle armi urbane.I Cartaginesi, nella loro origine una picciola colonia di Firo,

ammansarono tant’ oro per via del commercio , che poteron

assoldare molta gente straniera, e con questa grandemente

dilatar il loro impero. Ma i cittadini poco erano nelle armi

esercitati, e i capitani stesti, avanti Amilcare B arca, non

furono ra n fatto uomini di vaglia. I Romani al contrario da

poveri principii salirono col proprio valore a quell' altesxa ,

donde dominarono la terra, e dopo un Inngo corto di vittorie

a quelle dovizie pervennero, da cui i Cartaginesi avean prese

le mosse. La disciplina , tanto difficile a conservarti, massi­

mamente nelle avversità , fra una soldatetca mercenaria e di

«variate nazioni compost* , quale si fu quella de’ Cartaginesi,

aa3

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era l'anima dalla operaiioui militari pretto i Rom ani, cbe

ardenti di patrio am ore, pel patrio molo combattevano. Il

percliì non è da maravigliarti , se in tutte e tre le guerre

Puniche fu superiore tempre lo «obietto valore all' arte raffi­

nata, l’ animosa povertà agli aforsi della riochesia, e il tante

affetto del natio paeae all* aridità del guadagno.

(223) Ed estendevano il pagamento all' impossibile. Io ho

■limato di potermi nell* idioma italiano accoatar pi fi alla frate

greca , che non fecero gl' interpreti latini. Nel teato leggeri

t/c aJvi«7<i icd aA o /if 7i i StaXvnt ( nell’ impoatibile riget­

tando la pace ) cbe il Caaaab. e dietro a lui lo Schweigh.

traducono : per conditiones , quae fe r i non poteranl, pacem impedientts. Il Reiske pretende obe qui abbia il

tento di prorogare , differire la pace con far torger sempre

nuove difficoltà , ma lo Schireigh. ama meglio di spiegarlo

rigettare, ripudiare. Il Gronovio propone di volur questo

patto coti : extrndentes solutionem in eam summam qua e solvi non poterai, dimostrando con tre luoghi ne* tusseguenti capi­

toli , obe per S itxh tt intese Polibio pagare gli ttipendii ar­

retrati. Dìffatii qui trattavasi di stabilire la somma da esbor­

sarti tgli amitiutinati, più che di far nn trattato di pace, ma

con questo senso non acoordati n i il differire , n i il riget­tare , tihbene P estendere tuggerito dal Grooovio.

(22^) Prese - in disparte. Quello sembrami preciiamente

il lignificato della frate lue n y t f t i f i , la quale

non esprime il semplice abboccarsi , conforme la rendettero

gl’ interpreti latini - cum ducibtis colloqui tur - ma il far ciò

privatamente staccando dalla moltitudine la persona con cui

ti brama di parlare. Lo iteno modo di dire occorre di bel

nuovo dopo pochi periodi, ma per itfuggir nna nojosa' ri pe­

nsione l’ ho voltato oon altre equivalenti parole.

(2 25) Spendio - Mato. Coitoro , falliti capi della ribel­lione , tanto poterono colle loro arti , ohe maodaroo a vuoto

2^4

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ogni trattato ili riconciliazione. Per tal gatta in tutti i politici

sconvolgimenti I’ ambiiioae , I’ odio , la disperatane di pochi

faoiaoroti tratciaaao oel vortice dell* aoarobia e delle guerre

civili iutiere nasinni, affascinate dal falso splendore della gloria e de* vantaci.

(22<t) Dògli BaXXt ha il te tto , eh’ i quanto gi/ta (cioè

•atti). Io latioo oe fa fatto feri (ferisoi). Nella notlra favella

Jart per percuotere ha an'energia singolare, siccome tcorgeti

dagli e tempii recati dalla Crusca al § iv di questo verbo.

(227) Lo iconvolgimenlo. Voce italiana, per quanto io cre­

do , d’ egdal valore della greca , eli’ è quati la

aegauone di « •7« « r# w , cioè di regolamento , ordine. Il tw- multa* dello Sjhvreigh. non rende esattamente il mentovato

•euto.

(338) Cimento**!. Il verbo greco , qui osato

da Polibio, tigoiGca propriamente cimentarsi in guerra. I

traduttori latini fiaccano il termine con ana lunga circoscri-

sione : caput tuoni periculo objectan*.(32 r)) Utica. Giaceva oon lungi dal aito ove il fiume Ba-

grada mette foce nel mare. Alenai credono che oggidì coli

aia Biaerta , ma vanno errati , cbe troppo i quetta città di­

ttante dallo sbocco ‘dell* antidetto fiuiue. Piutloito i da sop­

porti ohe nel «do luogo tia presentemeute il Porto Farina.

( s 3o) l/ipone Diarrifo. Due Ippooi v’ ebbe , amendue ma­

rittime; I' una era Ippoue regia fra Afro disio e Tabraca (Ta-

barra de’ nostri tempi ) , I’ odierna Bona ; l’ altra, della qaale

qui parla Polibio, Ira Tabarca e Utica. Diarrhyton chiamaron

l’ ultima i Greoi pelle acqne abbondatiti oud’ì i l t u o territorio

irrigato, e i Romani l’ appellarono Ipponem dirutum per cor­

ruzione, non perchè fotte rovinata (V. Plio. Hut. n*l. v , 3 )

Stefano Biaantino la noma ( rocca d ’ Ippone ) e i

suoi abitanti , che Dtodoro chiama .

P o l i b i o , tonto 1 . i 5

2l 5

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Non A improbabile , cbe questa eia la Bnerta moderna, la

quale corrisponde alla città testé mentovata per (ito e per

ridondanca d ' acque.

( 2 3 1) Provvigioni di vettovaglie 0 di danari. Colla «ola

parola esprime ameodoe questi oggetti il nostro

autore. Lo Schweigh. nel dizionario Polibiano vorrebbe che

le vettovaglie sole vi fossero com prete, «ebbene nella tradu­

zione aggiagoe eziandio il danaro- A niS ir» p o i, che ho voli

tato provvigioni , ‘lignifica in qaetto laogo lo stato de* viveri

• della moneta tufTioiente per mantener 1' esercito- Laonde il

Catanb. che traduase, ted nec alendi exercittu ulta suppetebat faculiat ( n i avean etti alcuna facoltà di nntrir I’ eieroito )

p i i acconciamente ti etprette dello Schweigh,, il qnale 00»

toverchie parole dice : ted nec annonae copia parata erat in horreis publicis , nec pecimiae in aerano.

(232) Dalla campagna pigliavano ec. Nel tetto, a dir vero

leggeti /ttt 7St mXXmt m-itlmt ( da tolti gli

altri pigliavano ). Ma siccome a qnetti altri oppongomi poteia

le città , e da’ primi dicati che pigliavano metà de’ prodotti

della terra 7«» ìf i/r u t, mentrechi da'teoondi pren­

devano I r ib n ti, coi) ho stimato di qualificar gli ani , come

lo tono gli a ltr i, e di tottitair all’ etprettione generale, aiata

da Polibio e conservata da’ tuoi interpreti latini, la p ii de­

terminata di campagna.(233) I paesani. Il Catanb. avea vallalo 7ic **7ì> 7ì»

hominet agrestes ac rusticos, e lo Schweigh. I' ha copiato, ma

finitamente otterva il Gronnvio che ciò dovea intenderti dì

tatti gli abitatori di quelle contrade. Diffatti non ligni­

fica attoluUmonte campagna , tibbene paese , contrada , terri­torio ; oltrechi non ti comprende per qual motivo qne* go­

vernatori, rapaci rìiparmiate avettero le città.

( 234) Tanto chi appigliarsi vuole eo. Queita ten Lenza mo­

rale i relativa a’ Cartagineii, i quali , non pemaodo all* ay-

aa6

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aa-jyeuire , ma riguardaudo toio alla preiente utilità, alienarono

da *i gli animi da’ popoli a loro «oggetti coll’ impor loro

integrabili gravesze , e con incoraggiare i governatori delle

provincia a far di qnelli il maggiore strasio possibile.

( 235) Centoporte. Non è quella g ii la Tebe dalle cento

porte nell' alto Egitto, e molto meno la capitale della Partia,

cbe tecondo Strab. ( x i , p. 5 14- ) area lo itetio nome. Dio­

doro, negli eatratti Valeiiani lib. x x i t , pania di qneita impreia

di Annone , e dioe oh’ egli ebbe dalla mentovata città tre mila tlatiabi.

( j 3C) Giace la eittà di Cartagine. Una inocinta descrizione

di qaetla metropoli trovMÌ in Strabone ( xvii, p. 83a ) ; ma

chi desidera conteaxa esatta del luogo ove fa la Cartagine

Tiria , e qnella che lorra parte delle aae raine fabbricarono

poicia i Rom ani, legga la erndita memoria del lig. Estrup

ne’ convelle* annalei dea voyagei par Màltebrun eo. E y rie s ,

Jain 1821 , ov'è determinata ancora la vera poiisione del-

l’ antica Utica , e lo italo preiente di tutta quella coita , e

della foce del Bagrada.

( 23 ^) Lo tiretto che all* Africa la unitee. Cartagine , 00-

lonia Fenioia , non era considerata come parte dell’ Afrioa ,

da on i, non meno ohe per origine, diitinguevati per (avella e

per costumi.

( a 38) È largo venticinque stadii. Secondo Strabone ba

qneito tiretto la lunghesza di sellanti itadii. Era dono oinlo

di muro , e i Cartaginesi vi aveano le stalle degli elefanti.( 23g) Annone adoperavate Lo iteiio a uà di presto narra

Polibio di Arato ( V. il nostro trattato della vita e degli

■crilti di Polibio ).(2 (0 ) Fatte recar da Cartagine. Polibio dioendo che An­

none fece venir dalla città gli apparecchi di guerra, e poscia

obe accampoui dinansi alla città, non lascia ben compren­

dere , se in amendue d' Utica so la , oweranieute uella prima

Page 231: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

di Cartagine ragioni ) looohi indoli* io errore lo Sohweigh. ,

coi terabrò ohe Utica fotte la d i t i , donde il oa pi tino

Cartaginese (eoe *itoir il bellioo apparato. Ma come poteva

Annone ciò fare , ie i ribelli la attignevano d ' attedio : Il

Caiaub. pertanto don ai laiciò illudere da cotal ambiguità , •

tradotte i catapultii Cartilagine afTerre ju i i l i , et ad oppidum

Uiicam oaitrii looitit.

(2 (1 ) Ed entrato im etili. Gioì in Utica , d a 'cu i dintorni

i nemici erano foggili.

(2(1) Tulli sommavano direi npltt. A qual meicbinilà di

ione eranii allora ridotti i Cartagineii te tti al potenti ! Ciò

oon di meno il valore , la tagacità , e la coitansa del capi­

tano, oui quelli trilli avaoai d’ un grand’eieroilo eran affidati,

seppero alla fine trionfai di avverta rii cotanto numerati ed

audaci.

(2 {3) Il fum é Bacara. I oodioi manninritti hanno tutti

Macara , o Macarot, o Macroi ; ma lo Schweigh., oon ti do­

rando che i Romani ne avean fatto Bagradat , e che Snida

1* appella |B uaara , ha dapprincipio giudicato che il nome

Panico ti tm vette colla lettera initiale B. Ma avendo poioia

riflettuto , che gli Arabi chiamaron il mentovato fiume Ma-

gierda , e Megierda ( am i Mejerda , e Mej*rdad ) gli piaoque

di rimettere l’iniziale M, la quale non era appoggiata ili’au­

toriti di nenoD codice, e, te ti eccettui la lezione di Snida,

eh’ è forte viciala, non avea per tè che l’ analogia col nome

Romano , nel quale , a 100 parere , può pen affinità di pro­

nomi* una labiale estere (tata scambiala coll’altra.

(2{{) E fabbricò dappresso una città. <11 Caiaub. ti mara­

viglia, oome potettero cosi pretto fabbricar qua città, quindi

vorrebbe a *•*«» toililuire (rocca); quaiicbè fowe

più facile di coitruir in breve tempo un coltello ben afTur-

sa to , che un ammalio di catucce , oui ti darebbe il nome di città.

2 2 8

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( i { 5) Osservando ohe il fiume suddetto. P e r , comprender

bene questo stratagemma ì d i (apersi , cbe la Matura sfcoooa

nel mare alla sinistra di Cartagine ( ohi volge la (accia al

nord ) ooo longi d* Utica ; onde Amiloare, varcato lo spaaio

paludoso, su coi col favore di oerti reati forma*a*i no goado

pella «abbia che ri «i afloUara, riuscir doveva al fiume , «

tragittato quello alla campagoa , senta pascar l’ istmo.

(a(G) Furali a contatto. E piò che appropinquasse/ti, «r-

vieinaronii, e meglio , secondochè io itimo » esprime I* tìt rilutti*t del teito.

(2Ì7) L'un ¥ altro esortava confortandosi< Gl'interpreti non

«ono tra loro d ’ aocordo la i vero senso di qaétto luogo. Il

Casanb. rende ru fn y y iit per mandata dare , e lo Sohwetgh»

ritiene quella versione, e nelle note la difende, diaendo ohe

wmftyyvlt qni vale passar gli ordini dall*on» all’ altro , lio»

oome primitivamente questo verbo significa panar alcuna oou

di mano in mano. Il Reiike pretende che wmpnyylmt stia per

esortarsi, mentre w*pt»ixvr suona aemplioemedte diramarsi

1* nn 1* altro. Il Gronovio volta ir<^yyi»> appropinquabont , e 1' Erneiti impetum faoiebant. Ora in senso di oomaodare o

dar ordini, come fa no capitano a’ouoi soldati, trovasi questa

vooe più d’ noa volta presso Senofonte ( Cyropaed. m , a ,

8-iv , i ) , ma nel presente caso avrebbooo tutti 1* uno a l-

1* altro tamnlluarìamente comandato ; lòoohi non è credibile.

P er la qnal cosa io credo ohe il mentovalo verbo abbia qui

forza d* esortare, ciò convenendosi apponlo a individui che

formano una moltitudine. N i per ciò potrà euer Polibio in-

oolpato di ridondanza ; dappoiobì lignifica a l-

qnanlo più che lemplicemeote esortare , o dir vogliamo ri­

cordare , ammonire ; che il ano vero valore è confortare,

inspirar coraggio , ecoitare , spigner all’ azione, provocare.

Nel qual senso Senofonte nell* opera citata ( v i i , 5 ) disse

r«fa««Ai7 tym , eccita gran fiamma*

3*9

Page 233: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

(2^8) Progredir fjaant’ etti. Il greco m tltw u fiy iìtt ha

una forza singolare, denotando ad on. tempo due movimenti,

l 'uno di rincontro, ÀtVt, l 'a ltro nella stessa direzione, e

come dicesi parallelo ,• wmfìt. Il Casanb. e lo Schweigh. haa-

circoscritto questo concetto oon troppe parole.

( 249) Luogo diffcile. L* cornane lesione ( d i

difficoltà ) non piacque al Casanb. n i al Reiske, i quali r i

sostituirono r (luogo di difficile passaggio). A me

pare sembra questa lesione più ragionevole, troppo indeter­

minata essendo l ' espressione di difficolti. Didatti poco ap-.

presso è detto , oome ginnto Amilcare a qnalche silo circon­

dato da m on ti, ( per conseguente ristretto ) i nemici gli eran

addosso.

(250) Che gli altri ( merceria rii ) eran disertali e pattati da' /ternani. Qui Polibio smentirebbe di bel nnovo T . Livio ,

il qtiale , conforme accennammo di sopra, na rra , ohe i Ro­

m ici assoldarono i primi mercenarii nella seoonda guerra

Panica. Ha fatto sta che cotesti Galli, non si tosto recaronsi

presso i Romani, che spogliaron il tempio di Yenere Ericina ;

i l perchè , finita poco tempo appresso la gnerra co' Cartagi­

nesi , essi gli spedirono foori d ’ Italia.

( 2 5 1) Pieno d’ impeto guerriero. L’ Aretino e il Perotti

voltarono poco felicemente, in primis manti promlut ; meglio

il Casaob. militari animo juvenis. Io ho creduto ohe mal

non tornerebbe in volgare la traduzione a parola a parola di

(252) Coltivando V affezione che loro portava suo padre. Chi volesse render sonipolosamcnle ogni parola del testo di­

rebbe, avendo la congiunzione ( rv r r« r ii ) paterna. Il Casaob.

e lo Schweigh. convertono qnesto legame in nolitiam tptae patri illiut cum ipsis intercesserot; ma ciò mi è parato poco ,

nna semplice couoscenza non importando amiciiia e con- gioDzione.

a3o

Page 234: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

( i55) Con ànimo di teco lui riconciliarti, ih ipà conci- liarelur hanno il Cataub. e lo S>:hweighiuaer, ri ferendo il

ttrrmSnriftiktt à nrr*n$. Il tecondo però n e lle note ò d’ av­

vito, o he p iù quadrerebbe arma cimi ilio eontociaiurut. Sic­

come pertanto Narra dice «obito appresto oh* egli volea as­

socim i ad ogni opera e consiglio d’ Amilcare , cosi parrai

assai più naturale j che io loogo di ripeter inotilmeote la

stesta cosa , egli iooaoai d ' Esternar il detiderio di ttringei'e

Con l a i società, abbia esposta la sua infestione di riconciliarsi*

( 2 5{) Bòstaro comandante degli aiuti. Cotetti ajuti erano i

meroeoarii medetimi sotto agli ortlini del oapitaoo Cartaginese,

(255) Stravaganti tupplicii. Ho accettata la correzione pro­

posta dal Casaub., e approvata dallo Schweigh. ne’ comndfco-

tarii, p leggo io Vece di n ^ « > iA i 7 i > « , ometti , itala-

tei a t i , che non sema stiracchiatura il Reitke «piega i top*

plicii ometti uè’ tempi andati, leggo» d it t i , wapnXXayftttat, ttraordìnarii, inusitati.

( 2 56 ) Invitando e persuadendo. Storiare con a e re r itì , e

quali imporre ò ben diverso dal blando ecoitar che fa chi la

persuasione e le preghiere usar debbe co* sobalteroi per ese­

guir il tuo intento. Quindi Polibio li vale qui del verbo

M / t / i n i , eh’ è quanto iutinuarti nell’ animo per via di

lodi, e cui ho creduto corrisponder I' invitare nella nottra

favella.

( 25^) In qualche modo dilettavanti. Polibio adopera qui

vocabolo tale , cbe molto felicemente te oon m* inganno, può

trasportarli in italiano, «ebbene nel sento trailato. Quando

alonno , teoza esser consumato in qualche teienta , o a r te ,

«e ne occupa per «olo diporto , diciamo eh’ egli di siffatto,

studip dilettati. Così nell’ idioma greco, meotrechè

denota propriamente quel accareitare che fanno i cani agi­

tando la coda, e talvolta adulare, trovati presto ottimi autori

per godere, compiacerti. Pindaro Olimp. iv, 7, i m o rptt «y-

a3i

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yXtmiìmf (godettero della dolce noo*a ) , ed Enripide

nel Reto v. 55 r a /m pttttì%vf (mi diletta la

notturna fao») e nell* Jone v. fi85 • » y»f ftt rm/'tt Oirfxl*( che non mi piacoiono gli oracoli ). Adunque "isoli m ti- r»/ièil» t i /«A i«7» molto acconciamente tradtrvaMÌ , gode­vano , compiacevonsi, dilettavnnsi di questa lingua, e nella

otta la composizione del verbo, cbe am i gli dà maggior

f o n a , esprimendo la famigliarità contratta da quella gente

colia lingua ponica.

( 258 ) Tagliarono agli infelici nato e orecchie. Con nna

parola esprime Polibio oiò che realmente significa 'troncar le

parti estreme ila , estremità. Ora ticoome gli arti

superiori e inferiori ( mani e piedi ) , per cui intendonai

comunemente le estremità del corpo umano , furono poscia

«paratamente motilate , così non rimanevano che naso e

orecchie, altre estremità , che ancora presso qaalnhe barbara

nazione vengono recise io punizione di certi delitti.

(2 5 9) Incrudeliscono. Ho preferito qaetto verbo ad altri che

la stessa cosa avrebbon espresso, onine inciprignire, inasprirsi, per poterlo applicare alle magagne del corpo, non meno che

a quelle dell’ animo. Così osò Polibio » che vale

inferocire, ma i ad nn tempo vocabolo medico , con coi si

dinota il malignarsi delle piaghe, e donde deriva al*

cera d'estrema malignità, descritta da Celso ( de medicina * ,

c. 28 , Sect. 3 ) o I ' aggettivo OifimSic, ferino , applicalo da

fppocrnfe alla tosse maligna ( Apbmis. 11 , sert. 2. — Epid. vi )

e da Areteo ( De caos, et sign. acuì. morb. 11, 9 ) all* au­

tunno apportatore di gravissime malattie. Quindi fu Iti cancro

apposto il nome (fi , fiera, conforme riferisci Esirhio.

(2Gì ) Serpeggiano divorando. Il testo ha x«n ìr« i +*> »*/*<>,

fanno il pasto, locchè direhbesi in latino d-pascunt, verbo con

coi i*i esprime appunto il dilatarsi che Fauno le nfnere distrut­

tric i, le quali perciò acconciamente chiamate sono da* medici

a3a

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alcuni d^pntetnbo. Lo Sohweigh. traduce, intìiim — scrfKl vefociiit ; ma io ho creduto di non dover omell*re U circo-:

■Unza della distrniione conginnta col lerpeggiare.

(a f ii) Annrrnm'nti e putredini. Fidi"inut quondam ingtnc- Tantur , oc tabet volt» lo Schweigh» Ma nè I* uno nè I' allro

•Ostanti»© rappresenta oiò olle diate Polibio. Imperciocché fu - Ifgù non ha mai significato in medicina l 'a tpelto negro di

parti corrotte , ticcome la voce qui adoperata dal

nostro , eqoivalente al pi'tXer/tm d’ Ippocrale , ( V edi, Poe*.’

OEoonom. Hipporr. a questa voce) il qnale per /tiìmeft» *(</•/»»

intete ulcere maligne e negre delle parti genitali, non altri»

menti che Celso ( i l , ! ) ditte nigritiem in ulceribui. Tabet poi

•nona liqnefasione e consunzione lenta, indipendente dallo

«ruggenti di qualche vincere in umor marcioto, siccome ao-

eade nell* tabe domale e nel marasino teoile. Laonde *

o r i / o i r molto meglio «arebbeti adattato putredinet, e nigrorr» a ft

(2G2) È pertanto da crrd*rti. Siccome nelle malattie del

oorpo dislingtinnsi le canae predisponenti , che hanno tede

nell’ individuo infermo, dalle occasionali che inno Tauri di lui,

e fatinoti operative in forza delia mala dispotizione delle parti

in cni ifiduisnono, coti Polibio molto taviamente tepara le cagioni

delle politiche infermiti cbe albergano negli animi, da quelle

ohe procedono da esterne- violenze. Ora la medicina radicale in

amendue è meno la distruzione de* viiii adulti e confermati —

ardua impresa , per non dir imponibile ! -— cbe I* oppoiiaione

efficace al loro sviluppo. Il perchè fanno gran senno qnr’Re-

gnanti, ohe per mezio d* uun'acconcia educazione procacciano

di piantar genni di virt!i ne*cuori de’ loro sudditi , innatnri

ohe le paasioni stabilito vi abbian atsolnio dominio. Ma le in*

fluense nocive, che derivano dall’arbitrin de’inaestrati, vanno

egualmente evitate. Che, sebbene, ove trovano docilità e onetti

MDtimenti, bod ingenerano pericolose resistenze, a fungo aa-

*33

Page 237: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

dare corrompono i coitami pl& uni, oon altrimenti ohe 1* abi­tuale dimora in un* aria appestala guasta la salute de'corpi più robusti.

(a 63) Gli Emporii. Riferisce Strabono ( xrv, p. 835 ) che

in fondo alla Sirti minore ▼ ’ area un grandissimo emporio

( piazka da mercato ) , e che in quel seoo giItasi un Game.

Qui pertanto Emporio è nome proprio, e nel namero di p i i ,

forse pella vastità del luogo, quasi che da molti emporii fosse

composto. Del resto altre città ancora portavano qoesto nome,

come 1* Emporio di Spagna eretto da'Marsigliesi, e quello dei

Locri alla foce del Metanro ( V. Strab. n i , p. i 5 g , iGo).

(2G4) litica ed Impone. Vero è , conforme narra Diodoro

( ix , 5{), ohe queste due città fecero valorosa e ostinata re­

sistenza ad Agatocle , ma finalmente egli le prese. Ma i Ro­

mani , quando, condotti da Regolo, impossessaronsi di tulle

le città intorno a Cartagine , non le poterono soggiogare.'

(263) Agli Siali alleati. Roma e Siracasa eh’ eraosi testi

con loro pacificate. n«Aii(, che qui leggesi nel testo, non si­

gnifica soltanto c ittà , ma eziandio governi , stati , conforma

avverte il Reitke.

(26G) Che siffatte cote ec. Importante leziooe dà qui Poli­

bio a* Regnanti, facendo loro conoscere, oome pella propria

sicurezza e pella felicità de* loro popoli non debban essi fa­

vorire giammai presso qualsivoglia nazione attentati che par­

tono da ammutinamento , sovrattutto d* una feroce soldatesca ,

quand’anche fosse per ridondarle loro qualche vantaggio.

Così Gerone, come i Romani eraDO stati nemici acerrimi dei

Cartaginesi, e l’ abbassamento di questi non sarebbe loro forse

dispiaciuto , se derivato fosse da qualche legittima guerra. Ma

consideraron essi , che la ribellione i troppo pessimo esem­

pio, e che ben lungi dal dover essere con aperte o segrete

pratiche sostenuta da esteri potentati , egli è comune interesse

di tutti, che venga efficaineute repressa ed estinta*

a34

Page 238: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

( a C7) Nè debbeti ad alcuno eo. Ogni Ordine nello st«to, qua­

lunque ne eia la ooatituaione, neceuario i che abbia i «noi

diritti limitati e oirooicrilli a legno , che aatc^r non poiuno

oonfliui perìcoloai alla salvesza dell' nDirenale. Quindi iniur-

•ero nella repnbblica Romana Unti tnm alti pelle Ifggi agra­

r ie , ohe troppo allargavano la libertà del -popolo; qoiodi lo

soverchie conceuiooi fatte a Grandi ambiziosi, accelero le guer­

re civili.

(168) Marciando alla sfiata. Ho volgarizzato 00il qoeata

volta 1' àtTiMmfiytit, eh' à di mpra più fiate occono , per-

cioccchè gli Africani, attenendoli a ’ luoghi itretti e montoosi,

romper doveano le file t e marciar a pochi a pochi. Militar­

mente il verbo sfilare non è ammencì dalla Grnica »e non *e

in senio di sbandarsi; ma il Graisi (Dii. milit. It. t> : , p. 127)

vorrebbe cbe con elio • ’ ind icane, quel movimento, che

fanno le troppe in cammino , qua odo incontrando an otta­

ccio tono coitrette a diminnir la fronte , e a diichierarii per

panare nno itretto ».

(a6g) Allora poteasi veder eo. Queita iteua sentenza con

poca variazione trovali in Diodoro ( « v , 1 ) , o*‘ è riferito

il medeiimo avvenimento. Il Weatelingio propone colà di 10?

ititnir in Polibio r iu n ì a , più calcante lembrandogli

intelligenza cbe forza strategica. Ma con ragione rifiata lo

Schweigh. quella correaione, facendo vedere che /•»</»* sta

qui per facoltà , v irtù , ingegno.

(270) Molti in avvisaglie ec. Ha già onervato lo Schweigh.,

che queita ipoiitione è nn poco confala, appartenendo gli

agguati, e gli analti improvvisi diurni e notturni a fazioni

parziali, anziché a combattimenti generali

Ma non lerabra che qui Polibio avesse in mente la generalità

• parzialità delle snffe ,• per ciò che ipetla al numero de’ iol-

dati ; libbene egli è probabile che mirane all’ uuità o raulti-

plicità’ de* liti , in cni accadevano gli scontri. Laonde , allor­

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Page 239: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

quando Amilcare tagliava i patai a ' nemici , e li batteva, coma

li «noi dire con frase straniera , in dettaglio , aoeerchiandoli

in varii luoghi, erano le tue pugne paniali : laddove la fa*

sione era generale, quando con incamiciate e sorprese tutto

1* esercito, o parte di quello in an sol Inogo raccolto, met­

teva in pericolo. — Il traduttor francese òhe fu scorta al

Folard leggendo nell* edizione del Casaubono Ut i't n i»

iX tniptri , mnifiim , voltò faitanl semblant d“en voulair 4

tonte fannie ; ma in questo seoso avrebbe scritto Polibio • (

Si rv» ix tit xirSvt'tvmt ; o lasciando il testo intatto avrebbe

dovuto dire l'interprete francese: camme s'il s’eùt agi d'ime affaire ginirale.

(271 ) La sega pella somiglianza ec. Appiano ( Hist. I l l j r .

c. *5 ) dice d’ an luogo montuoso dell’ Illiria j ch’era oirooo-

dato da colline appuntate, come seghe,(172) Mato pertanto ec. Ecco novella prova, cbe da Amil­

care io fuori, non avean in quel tempo i Cartaginesi capi­

tani di vaglia. Quanto mille pugnasse Annone abbiam di so­

pra veduto. Ora ci si presenta Annibale, che con istolta fìdnoia

nulle proprie forse neglige i primi doveri d’ an baon condot­

tiero , ed è colla soa gente miseramente disfatto.

(273) Lo stesso capitano ec. Lo Schweigb. ba notato il

granchio pigliato dal Casaub. , che interpretò questo passo s

ducem qui jam antea ad bellum exierat. Egli adotta la corra­

sione del Reiike, ducem, qui antea decessemi, e 1* amplifica a questo modo ; Hannonrm qui antea imperium deponere faerat coactus ; ma io la ritenni intatta , sembrandomi cbe cosi più

s' accordi col testo.

(*TÌ) Quasi per correr lo stesso aringo. E aringo lo spa­

zio io cni si gioitra, e è quella linea nello stadio,

sa cui vanno i corridori, secondo cbe ne insegna Esicbio. Il

perchè io ho credalo di non poter rendere ri» im a m t

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Page 240: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

eoi li sottintende yfmpftit, oon un' immagine p it caliante e p ii italiana di quella cbe ho naata.

( i j S ) Lepri. Due città di quello noma »’ area mila coita

d* Africa , la ona preuo la Sirli minore p ii viciua a Carta­

gine , e di qoeiu parla qui Polibio, l'altra oon Inngi dalla

Sirti maggiore, ov’è la Lebda odierna, ne*dintorni della qual*

veggonti le vaile roiue dell’ antica Lepti.

<jC) Arrischiar tutto a i un giaoco i il tignw

ficantiaiimo verbo greco, coi corritpoude queita fra te , e che

oon somma preciiione è rendala dal latino , de somma renna aleam jaeturi.

(279) Tanto importa ec. Quetta tenlenta ancora fn pres­

soché colle itette parole di Polibio riprodotta da Diodoro

( eolog. xxv, 1 ) — Coti da questo p a n o , come dall’ am-

moniiione riportata di topra In occatione della iconfitta di

Regolo, appariice quanto folte l'autor nostro inesorabile con­

tra coloro cbe non la perdonano a* v in ti, e l’ imbecille loro

rabbia tfogano mi m iteri, oui tolto è ogni m eno di difeta.

D ifetti nulla p ii onora 1’ eroe che la generalità aiata veno

di quelli che la torte delle armi ha al tuo potere anoggettati.

Alettandro fu forse p ii grande pe’ riguardi , con coi dopo la

battaglia da Arbela trattò la famiglia del debellato e morto Da­

rio , che pella vittoria cbe il rendette padrooe dell’Asia ; e il

primo Africano (Polib. x , i j ) ebbe con minor gloria dalla

magnanimità e continensa , di coi diede in Ispsgna tanti belli

esempli, che dalla sua fortuna Delle imprese di guerra. — Ma

la vendetta esercitata sopra awersarii umiliati è ferocia piò

ohe bestiale , e viltà d* animo inferiore ad ogni piò basto e

odierole tentimento.

(278) Circa quel tempo ec. Lo Schweigh. li maraviglia

come Polibio coll brevemente ipacri questa faccenda, della

quale egli nel libro teno cap. 10, dice d'aver già trattato piò

difTutamente , e rnppone che alcunp cote aieno qui Hate

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Page 241: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

omesse, o che qaalche epitomato™ abbia ristretta la narrazione.

Ma qael pià diffusamente io noi trovo oelle parole del noatto

al laogo testi «italo, ove leggesi » m $ i n p •« ruit w p * n i n i

« i^ ì n ( r » i , conforma abbiam espostotu ciò ne' libri antecedenti. Laonde la oooghiettnra del dotto

commentatore ha debole appoggio , e il cenno che qui dà l'ao- tore di quell’ avvenimento i sofGoieote per fame coDosoere U

circoliamo principali.

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FIKE DELL* ANNOTAZIONI DEI, PRIMO L IM O .

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DELLE STORIE

DI POLIBIO DA MEGALOPOLI.

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L I B R O SE CO NDO .

.1. I N e l libro a questo antecedente abbiam esposto, A. dì fi. quando i Romani, assettate le cose d*Italia, agli affari esterni incominciarono ad appigliarsi ; poscia come tra- gittaron in Sicilia , e per quali cagioni mossero guerra a’ Cartaginesi per quell’ isola ; in appresso come princi­piarono ad allestir forze navali, e quanto avvenne ad amendue in cotesta guerra sino alla fine ; nella quale i

'Cartaginesi sgomberarono tutta la Sicilia, e i Romani impadronironsi dell’ isola tutta, se si eccettui la parte soggetta a Gerone. Indi prendemmo a d ire , come i mercenari!, ribellatisi da’ Cartaginesi, accesero la guerra cosi detta Africana , ed a qual seguo giunsero le em­pietà in quella commesse , e qual fu 1' esito di cotesti orrendi fatti sino al termine ed alla vittoria de’ Carta­ginesi. Ora c ingegneremo di palesar sommariamente le vicepde che a queste tennero dietro, (j) toccando eia-»

Page 243: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

A. &R. scbeduna, secondo il nostro divisamente. I Cartaginesi, 5 ty • come prima ebbero accomodate le cose d' Africa , a o

5a5 cozzaron nn esercito , e (a) spedirono Amilcare nelle contrade di Spagna. Questi prese Toste, ed insieme il figl io Annibaie, che allor avea nove aooi, e fatto il tragitto alle colonne d’ Ercole, (3) ristabilì in (spagna gli affari de’ Cartaginesi. Soggiornò in questi luoghi quasi nove anni, e poiché ebbe molti di qne’ popoli assoggettati a Cartagine , quali colle arme , quali colla persuasione , lasciò la vita condegnamente alle anteriori sue gesta. Imperciocché venuto a battaglia con nemici valorosissimi e potentissimi, ed esposto avendo té stesso colla maggior audacia nel fervor della mischia, mori da forte. I Cartaginesi diedero il capitanato ad ^sdru- bale (4) suo parente e comandante delle sue galee.

5a3 IL In que’ tempi impresero i Romaoi a far il primo tragitto con un esercito nell’ llliria (5) ed in coleste parti d’ Europa. Le quali cose non di volo, ma con attenzione considerar dee chi conoscer vuole in realtà il nostro proponimento , e come crebbe e si formò il RouMino impero. Deliberaron essi pertanto di tragittare pelle seguenti cagioni. Acrone re degl’ ilJirii, figlio <li Pleurato, avea torse di terra e di mare molto maggiori che non alcuno de’ suoi antecessori. Costui , sedotto dall’ oro di Demetrio figlio di Filippo, promise di soc­correr i (6) Medionii assediati dagli Etoli. Imperciocché non potendo gli Etoli in alcun modo persuadere a’ Me*, dionii di unirsi alla loro repubblica, pensarono di farli suoi colla (orza. Raccolto adunque un est rei Lo da tutti i loro popoli , posero il campo intorno alla loro città »

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e (7) la strìnsero d’assedio senza interruzione, appli- A.diR. candovi ogni sfono ed industria. Ma essendo già pros­simo il tempo di elegger i maestrati, e dovendosi sce­glier un altro pretore , mentre che gli assediati erano già ridotti al verde, e sembrava che ogni giorno fossero per arrendersi, il pretore antico aringò gli Etoli di­cendo , dappoiché egli sostenuti avea i patimenti ed i perìcoli dell’ assedio, giusto essere che, come presa sa­rebbe la città, l’amministrazione della preda e T inscri­zione (8) delle armi fossero a lui concedute. Ma sic­come alcuni, massimamente quelli che (g) recavansi in­nanzi pella suprema potestà, contraddicevano a questi detti, ed esortavano la moltitudine a non precipitar i loro giudizii, ma a lasciar il partito indeciso, chiunque si fosse quegli cui la fortuna cigner volesse siffatta co­rona ; cosi parve agli Etoli di decretare , che , qualsi­voglia pretore novellamente creato s’ impossessasse della città , accomunasse col predecessore 1’ amministrazione delle spoglie e l’ inscrizione delle arme.

III. Presa questa risoluzione doveasi il giorno vegnente far 1’ elezione e la consegna del supremo maestrato, conforme è costume degli Etoli. Ma nella notte accosta- ronsi cento barche alla (10) Medionia, radendo i luoghi più vicini alla città, con entro cinquemila Illirii, e dato fondo nel porto , allo spuntar del di prestamente e di soppiatto discesero in terra, e (11) schierati all’ uso loro andarono a branchi verso il campo degli Etoli. I quali, di ciò accortisi, rimasero attoniti dell'avvenimento inaspettato e dell’ audacia degl’ Illirii, ma altieri com’ e* rjno da lungo tempo ed affidati nelle proprie forze,

p o l i b io t tomo 1. 16

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A. diR. ponto non si smarrirono. Anelarono dunque la tamg-l gior parte della grave armadura e de* cavalli innanzi al campo nel piano, e con parte della cavalleria e co’fanti leggeri occuparono le eminenze ed i luoghi opportuna­mente situati davanti allo steccato. Gl’ Illirii piombati sulla milizia leggera la respinsero al primo affronto , come quelli eh’ erano superiori di numero ed aveano più poderose masse ; i cavalli poi , che a quella eransi uniti, costrinsero a retrocedere verso la grave armadura. Poscia assaltati da sito superiore quelli che schierali erano nel piano , li misero tosto in fuga , uscendo ad un tempo i Medionii pure fuori della città addosso agli Etoli. Molti ne uccisero , più ancora ne presero , delle arme e delle salmerle tutte s’ impossessarono. Gl’ Illirii pertanto, poich' ebbero eseguiti i comandamenti del re, e recata la preda e le altre robe alle navi, salparono incontanente, facendo vela pella patria.

IV. I Medionii, salvati contro la loro speranza , ra- gunaronsi a parlamento e deliberarono intorno all’ in­scrizione delle arm i, ed alle altre faccende. Piacque loro di far l’ inscrizione comune, a nome di quelli che governava allora, e di chi ( i a) si trarrebbe innanzi nella futura elezione , non altrimenti che piaciuto era agli Etoli. E ben sembrava egli che la fortuna con quanto avvenne a’ Medionii a bello studio mostrar vo­lesse la sua forza agli altri uomini ancora; mercecchi le medesime sciagure che già aspettavansi da’ nemici, essi riversarono su questi in brevissimo tempo. E gli Etoli da cotesta improvvisa sventura trassero 1’ ammae­stramento di non far conto dell’ avvenire , come se gii

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fosse accaduto, e di non anticipar le loro speranze, J.diR. confidando io ciò che possibil è , che riesca diversa- mente , ma di ascriver gran parte degli eventi al caso, massimamente nelle cose di guerra , dappoiché uomini sono. Il re Agrone, ritornate che furono le barche, e sentito da’ duci ciò eh’ era stato operato in quella spe­dizione , fu oltremodo lieto d’ aver vinti gli Etoli tanto superbi e tron6i, si diede all’ ubbriachezza e ad altre siffatte gozzoviglie , e cadde in una k>6ammazione di petto, della quale fra pochi giorni mori. Gli (>3) suc­cedette nel regno la moglie Teuta , la quale nella par­ti colar amministrazione degli affari giovavasi della fede degli amici. Costei (i/f) governandosi da donna, ed af­fidando solo la recente vittoria, senza volger lo sguardo alle cose di fuori, permise primieramente a’ suoi di predare chiunque navigando riscontrassero } in secondo luogo allestì un’ armata ed un esercito non minore del 5 i^ primo , e spedigli, imponendo a' duci di trattar ogni terra come nemica.

V. Costoro partitisi, fecero la prima invasione nel territorio di Elea e di Messene ; che queste contrade soleano gl’ Illirii sempre guastare , per esser le loro coste molto estese, e le città dominanti dentro a terra, onde lontani e tardi eran i soccorsi che ad esse giù- gnevano contro le discese degl’ Illirii. Il perchè impu­nemente correvano e spogliavano coleste regioni. Tut­tavia allora , innoltratisi sino a Fenice d* Epiro per vettovagliarsi, vi si abboccarono con certi Galli eh’eran al soldo degli Epiroti, e dimoravano a Fenice, in nu­mero ù* ottocento. Co* quali introdussero pratiche di

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A. diR. farsi consegnar a tradimento la città , e sbarcati impa- dronironsi al primo assalto di quella e di quinti v'avea dentro, ajatati da’ Galli che vi si trovavano. Gli Epi­ro ti , adito il oaso , accorsero in fretta , con tutte le loro fo n e , e giunti a Fenice , e trinceratisi dietro il fiume che corre presso alla città, vi posero il campo, e levarono per maggior sicurezza le tavole del' ponte su quello costruito. Ma come fu lor annunciato che ar­rivava ( i5) Scerdilaida con cinque mila Illirii dalla parte di terra per le strette cP Antigonea, spedirono porzione de’ suoi a presidiar Antigonea , ma poco al rimanente badarono , godendosi a sazietà il paese, e negligendo le guardie e le stazioni. Gl’ Illirii, risaputa la loro di­visione e la neghittosa loro condotta, si misero in cam­mino di nottetempo , e poste tavole sol ponte , passa­rono il fiume a salvamento, ed occupato un luogo forte , vi stettero il resto della notte. Sopraggiunto il d i , e schieratisi amendue dinanzi alla città, (16) gli Epiroti furono vinti , e molti di loro caddero ; mag­gior numero ne fu preso , e gli altri fuggirono verso Atintania.

YL Da tanta sciagura colpiti, e perduta ogni spe­ranza in sé stessi, mandarono ambasciadori agli Etoli ed alla nazione Achea, richiedendoli supplici d’ ajnto. Questi ebbero pietà delle loro disgrazie, e condiscesero a’ prieghi che porgevano, e poco stante vennero coi soccorsi ad Elicrano. Quelli che occupavan Fenice, ridottisi dapprima con Scerdilaida in nn luogo, a cam ­pa ronsi presso agli ajuti con animo di combattere ; ma furon impediti dalla di (lì colta de* s iti, e perchè eran

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venate lettere da Tenta che imponevan loro di ritornar A. di R. subito a casa , essendosi alcuni Olirti ribellati a favore de'Dardani. Laonde depredato ch’ebbero l’Epiro, fecero tregua cogli Epiroti, mercè della quale restituirono per danari i corpi liberi e la città, e gli schiavi e 1’ altra suppellettile caricarono nelle barche e se ne andarono. Scerdilaida co'suoi ritornò per terra passando le strette d’ Antigonea. Grande terrore mise cotesto avvenimento a1 Greci che abitano la marina ; imperocché veggendo la più forte e potente città dell’ Epiro ridotta fuor di ogni opinione per tal guisa in ischiavitù, non temevano già, siccome in addietro, pel loro contado, sibbene per sé stessi e pelle loro città. Gli Epiroti inaspettatamente salvati} tanto furon lungi dal tentar di punire i lor offensori, e di render grazia a chi gli avea sovvenuti , che al contrario mandaron ambasciadorì a T enta, e strinsero alleanza cogl’ Illirii e cogli Acamani, secondo la quale ne’ tempi appresso con questi patteggiarono, e gli Achei e gli Etoli trattaron. ostilmente. Donde si fece manifesto il loro pessimo consiglio nel rimeritar i loro benefattori, ed insieme 1’ imprudenza , con cui sin dapprincipio reggevansi ne’ proprii affari.

VII. Conciossiachè , quando alcun mortale cade in qualche sciagura contro ragione , colpa non è di chi soffre, ma della fortuna, e di chi offende ; ma ove chiaramente per difetto di giudizio s' avviene ne* mag­giori infortunii, egli è fuor di dubbio, che il soccom­bente ne debbe esser accagionato. Quindi a colui cb’è vittima della fortuna , gli tengon dietro pietà con in­dulgenza e soccorso , ma chi lo è della propria incon-

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J.difl. sideratezza , vergogna e biasimo gliene deriva da’ Savn. Locché allora da’ Greci meritamente conseguirono gli Epiroti. Imperciocché, primieramente , chi non a tr i in sospetto i Galli, per la fama in che sono comunemente, e non temerà di consegnar loro nna città prosperosa, e che offre molte opportunità al • tradimento ? In se­condo laogo dii non si sarebbe guardato da’ consigli d’ nua masnada, formata d’ uomini, i quali dapprincipio cacciati dalla patria a furia di popolo, perciocché traditi aveano i loro famigliari e congiunti, ed accolti da’Car­taginesi nelle angustie della guerra, còme prima nacque contesa fra i capitani ed i soldati pe’ salarii, presero a saccheggiar Agrigento, ove erano stati posti per guarni­gione, in numero allora d’oltre tremila; poscia (17) con­dotti ad Erice pella stessa bisogna , allorquando i Ro­mani l’ assediavano, argomentaronsi di tradir la città e tutti quelli che insieme con loro eran assediati, ed es­sendo la pratica riuscita vana , ricoverarono presso i nemici, e come questi presero di loro Gdanza , spo- gliaron ancora il tempio di Venere Ericina. Il perchè i Romani conosciuta appieno la loro empietà , non s) tosto fecero pace co’ Cartaginesi, che con ogni maggior premura si diedero a disarmarli, ad imbarcarli , e a metterli fuori di tutta l'Italia. Costoro avendo gli Epi­roti fatti custodi della repubblica e delle leggi , e con­segnata loro una ricchissima città, come non sarebbono meritamente reputati gli autori de’ mali loro accadoti ? Tanto ho giudicato di dovermi intertenere sulla stol­tezza degli Epiroti , e sull’ inconvenienza di giammai introdur nelle città guernigioni troppo grosse, singo­larmente di Barbari.

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Vili. Gl'Illirii eziandio ne’ tempi anteriori oltraggia^ A. <fi R. vano le navi che per trafGco venivano d1 I t a l i a e quando soggiornavano a Fenice, parecchi di loro, stac­catisi dall’ annata , molti mercatanti italiani parte spo­gliarono , parte uccisero, e non pochi ne menarono prigioni. I Romani , che non aveano in addietro dato ascolto alle accuse contro gl’ Illirii, essendone allora di molte giunte al Senato, elessero ad ambasciadori pel- rilliria, a fine di esaminar le cose anzidetto, (18) Cajo e Lucio Coruncanii. Tenta , come ritomaron a lei le barche dall’ Epiro , stupefatta della moltitudine e della bellezza delle robe condotte ( che F enice allora molto avanzava in prosperità le altre città dell’ Epiro ) da du­plicato coraggio si senti stimolata alle offese de* Greci Tuttavia allora se ne rimase per cagion delle turbolenze iutestine, ma acconciati prestamente gli affari degl* Illirii ribellati , assediò (19) Issa, che sola non le ubbidiva ancora. Frattanto arrivarono gli ambasciadori Romani, i quali, ammessi che furono all’ udienza r lagnarci osi delle ingiurie ricevute. Teuta , finché parlarono, a scoi- tolli con ferocia e superbia somma. Poich’ebbero finito, disse pubblicamente, voler essa procacciare cbe i Ro­mani offesi non fossero dagl’ Illirii, ma privatamente, non esser costume de’ re Illirii di vietar a’ loro popoli il (10) vantaggiarsi col far prede in mare. A cotali detti il più giovine degli ambasciadori montato in collera, rispose con franchezza conveniente bensì, ma non ponto a tempo. Or sappi, o Teuta , che i Romani hanno il bellissimo costume di vendicar pohblicamente le inginrie private, e di soccorrer gli offesi. E npi, se a Dio pia-

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A. HRr cerà, vedrem modo di costringerli a corregger di buon grado e sollecitamente gli statuti regii a prò degl’ Illirii. Accolse colei con (ai) ira femminile e forsennatamente siffatta franchezza, ed • quelle parole in tanta collera montò che, disprezzando i diritti tra gli uomini tubi­li ti , poiché aveano salpato , mandò lor dietro alcuni per uccidere l’ambasciadore che avea si liberamente fa­vellato. Come ne giunse la notizia a Roma, irritati dalla perfidia ideila femmina, incontanente si diedero a far apparecchi di guerra, e conscrissero legioni, e raccol­sero un’ ^Manata.

5 a5 IX, Teuta, giunta la primavera , allestì più barche dtpriAia , e le spedi di bel nuovo in Grecia. Delle qualificane ( la ) tragittarono direttamente a Cortira, le altre afferraron al porto di Durazzo, sotto pretesto di far acqua e di vettovagliarsi, ma in effetto per tra­mar insidie ed occulte pratiche contro la città. Que’ di Dùraxzo , avendoli ricevali (a3) senza malizia, e non badando più iu là , vennero essi in semplice farsetto còme per attigner acqua , ma colle spade ne’ secchii, ed uccise le guardie della porta impossessaronsi tosto (a4) dell’ edifizio. Sopraggianse poi prestamente , se­condo 1’ accordo, un rinforzo dalle navi, col quale ùnironsi , ed occuparono di leggeri la maggior parte delle mora. I cittadini , sebbene non preparati, come quelli eh’ erano stati sorpresi, accorsero pure e combat* tarano animosamente. Gl’ Illirii baona pezza resistettero ma Gnalmente furono cacciati dalla città. I Durezze» Hi questo fatto per negligenza vennero in pericolo dì perdere la patria , ria il loro valore fu cagione che

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lenza danno si ammaestrassero peli’ avvenire. I duci J.diR. degl’ Illirii fecero subitamente vela , e , raggiunti quelli che innanzi navigavano, approdarono a Corcira , ove nella discesa sparsero grande terrore, e si accinsero ad assediar la città. I Corei resi ridotti in angustie, ed al tutto disperati de’fatti loro, mandaron ambasciadori agli

Achei ed agli Etoli. Vennero ad un tempo gli Apollo- niati ed i Durazzesi chiedendo sollecito soccorso, e pregando che non li lasciassero (a5) disertare dagl’Illirii.Quelli prestato ascolto agli ambasciadori, e benigna­mente accolti i loro discorsi, (16) armarono in comune le dieci navi coperte degli Achei, ed allestitele in pochi giorni andarono alla volta di Corcira, sperando di le­vare 1* assedio.

X. Gl’Illirii, prese seco sette navi coperte, date loro dagli Acarnani per patto d’ alleanza, affronta ronai coi vascelli degli Achei presso Paxo. Gli Acarnani, e le navi Acliee eh’ eran ad essi schierate di fronte, com­batterono con pari fortuna, ed illesi rimasero nello scontro , se si eccettuino le ferite riportate dalla gente.Ma gl' Illirii, legate insieme le loro (27) barche a quattro a quattro , attaccarono i nemici, e poco ba­dando a’ proprii legni, e andando a (28) sghimbescio , cooperarono all’ impressione degli avversarti. Ma po i, che i vascelli nemici, toccate avendo le barche, furonsi ad esse attaccati, ed impacciaronsi penzolando da’ loro rostri le barche unite, gl’ Illirii saltarono sulle coperto delle navi Achee, e le soverchiarono pella moltitudine de’ loro soldati navali. Per tal modo insignorironsi di quattro navi da quattr’ ordini, ed nna da cinque som-

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A.diR. inersero in un colla gente, nella quale navigava Marco da Cerine , uomo che sino a quella catastrofe prestato avea alla repubblica degli Achei ogni più- segnalato servigio. Quelli che pugnavauo cogli Acarnani, come conobbero la vittoria degl’ Illirii , diedero de’ remi nd - l’ acqua , e secondati dal vento ritiraronsi salvi a casa. Facile riuscì poi l’ assedio agl’ Illirii, che , di tal vit­toria superbi, facevano a fidanza. I Corciresi trovandosi per siffatto avvenimento fuori d’ ogni speranza , soste­nuto alcun poco 1’ assedio , fecero accordo cogl’ Illirii, e ricevettero guernigione, e con essa (ag) Demetrio Fario. Ciò fatto , i duci degl’ Illirii incontanente salpa­rono , ed approdati a (3o) Durazzo, presero nuova­mente ad assediar questa città.

XI. Circa quel tempo il console Gneo Fulvio si parti da Roma con dugento navi , ed Aulo Postumio mosse colle forze di terra. Era il primo divisamento di Fulvio di navigar a Corcira , supponendo di trovare 1’ assedio non per anche deciso ; e sebbene egli avesse tardato , ciò non di meno accostossi all’ isola , con animo di co­noscer dappresso ciò eh’ era accaduto alla città, e per chiarirsi di quanto da parte di Demetrio gli era stato annunziato. Imperciocché Demetrio accusato essendo presso Teuta, per timore di lei mandato avea dicendo a’ Romani , che consegnerebbe loro la città ed ogni altra cosa eh' era in suo [>oteee. I Coreiresi veggendo con piacere la venuta de’ Romani , diedero lo ro , per consiglio di Demetrio, la guernigione degl’ Illirii, ed essi, d’ unanime consenso si arrèndettero, (3 i) recipro­camente esortandosi, alla discrezione de’ Romani, re—

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potando questa loro unica salvezza in avvenire contro A. £ 11. la perfidia degl’ Illirii. I Romani , accettati i Corei resi per amici , navigarono alla volta (3a) d’ Apollonia , avendo seco Demetrio per condottiero nelle altre spe­dizioni. In quello Postumio ancora traghettò da Brindisi le forze di terre, da venti mila fanti, e circa due mila cavalli. Amendue gli eserciti approdarono insieme ad Apollonia, ed avendoli gli abitanti egualmente accolti, e datisi al loro arbitrio, salparon tosto nuovamente, sen­tendo esser assediata Durazzo. Gl' Illirii, come s’ avvi­dero che giugnevano i Romani, si tolsero dall’ assedio, ed in disordine fuggirono. I Romani ricevettero i Du­ra zzesi ancora sotto la loro protezione , e proseguirono ne’luoghi interni dell’Il liria, assoggettando nel passaggio gli (33) Ardiei. Furono a loro ambasciadori di molti popoli, fra cui (34) de’ Partin i, che vennero a farli arbitri di tutte le loro cose. Accordata a questi la loro amicizia , e similmente a quelli che da parte degli A- tintani, eran venuti, avanzaronsi verso Issa, perciocché questa città ancora assediata era dagl* Illirii. Arrivati colà fu levato l’assedio, e gl’Issei ricevuti sotto la protezione d«’ Romani. Presero ancora d’ assalto alcune città Illiri­che nel navigare lungo la costa, fra le quali Nutria , ove perdettero non solo molti soldati, ma eziandio qualche tribuno ed il questore. Impadronironsi pure di venti barche, che trasportavano le prede fatte in quelle contrade. Tra quelli che assediavano Issa i Farii in grazia di Demetrio non furono danneggiati, gli altri tutti sparpagliaronsi e fuggirono in Abrona. Tenta con pochissima gente salvossi a Rizona , piccola città ben

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A.diR. afforzata, lontana dal mare, e situata proprio sai fiume Rizone. Dopo questi fatti i Romani assoggettarono a Demetrio la maggior parte degl’ Illirii, e gli diedero grande Signoria ; poscia ritornarono coll’ armata e col- 1’ esercito di terra a Durazzo.

526 XII. Gneo Fulvio pertanto se n’ andò a Roma colla maggior parte delle forze navali e terrestri. Postumio fu (35) lasciato con quaranta vascelli, e raccolto ch’ebbe un esercito dalle città aggiacenti, andò alle stante in­vigilando sulla nazione degli Ardiei, e su gli altri die eraosi arresi. In sull’ incominciar della primavera Tenta mandò un’ ambasceria a* Romani, e fece una conven­zione, in cui fu stabilito, eh’essa pagherebbe i tributi che le sarebbero imposti, si ritrarebbe da tutta l' II- liria ^fuorché da pochi luoghi, e ( il (36) qual arti­colo massimamente apparteneva a' Greci ) non navighe­rebbe oltre Lisso con più. di due barche , e queste disarmate. Ciò esaurito, Postumio spedi ambasciadori agli Etoli ed alla nazione Achea, i quali primieramente rendettero conto delle cause della guerra e del tragitto, indi narrarono le loro gesta , e lessero gli accordi che fermarono cogl’ Illirii. Trattati da amendue le nazioni colla dovuta cordialità ritornarono a Corcira, liberati avendo i Greci da non picciol tim ore, mercè della convenzione anzidetta : che non d’ alcuni ma di tutti eran gl’ Illirii allora comuni nemici. Il primo passaggio de’ Romani con un esercito nell’Illiria e in quelle parti d ’ Europa, e la prima relazione eh’ ebbero colla Grecia per vìa d’ ambasciata , furon ta li, e per tali motivi avvennero. Dopo questo principio i Romani mandarono

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tosto ambasciadori a’Corintii ed agli Atenieii; e questa A. di R. fu la prima volta che i (3 7) Corinti! ammisero i jlomani a’ giuochi Istmici.

XIIL A que’ tempi Asdrubale, ( che qui abbiamo lasciati gli avvenimenti di Spagna) governando gli affari con prudenza ed assiduità, grandi progressi faceva nel- T universale , e singolarmente fabbricando la città, che alcuni chiamano Cartagine, altri Città nuova, (38) con­tribuì grandemente alla potenza de’ Cartaginesi, e so- vrattutto peli’ opportunità del sito , relativamente alle bisogne, cosi di Spagna, come d’Africa. Della cui po­sizione, e del vantaggio eh’essa può recar ad amendue le mentovate contrade, noi discorreremo cogliendo 0 0 castone più acconcia. I Romani, veggendo costoro saliti a grande e formidabile signoria, si misero con ardore alle imprese di Spagna. £ trovando che per essersi essi addormentati ne’ tempi addietro, e per aver tutto ne­gletto , i Cartaginesi eransi cotanto aggranditi, fecero ogni sforzo per emendare il loro fallo. Ma non osavan subito d’ imporre a’ Cartaginesi e di far loro guerra, per timore de’ Galli cbe ad essi sovrastavano, e da cut di giorno in giorno aspettavansi d’essere assaltati. Risol­verono adunque di palpare ed accarezzar Asdrubale , a fine di attaccar i Galli, e venire seco loro a battaglia, stimando non potere giammai, non che dominar l’ Ita­lia , abitare sicuri nella propria patria , avendo questa gente alle spalle. Il perchè, fatto eh’ ebbero per mezzo di ambasciadori un accordo con Asdrubale, in cui,(39) tacendo del resto della Spagna, obbligaronsi i Car­taginesi a non passare il fiume Ebro con mire ostili, ruppero tostamente guerra a’ Galli d’ Italia.

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A .£R . XIV. Di cotesti Galli ntil cosa mi sembra il dare tini notizia sommaria, affinché serbiamo il tenore pro­prio di questa preparazione, a aorma del primo nostro divisamento. Ma risaliremo alquanto a1 tempi in cui co­minciarono i mentovati popoli ad occupar quelle con­trade ; dappoiché io credo la loro storia oon solo de­gù* d’ essere conosciuta e rammentata, ma eziandio al tutto' necessaria, per apprendere , in qual gente ed in qual paese Annibaie affidossi prendendo a distruggere la potenza de’ Romani. Dapprima dunque è da parlarsi del paese, qual esso sia , e come situato (4o) Terso il resto dell’ Italia: che meglio sì comprenderanno le cose più osservabili intorno a’ fatti che esporremo, ove la natura de’Iuoghi e del terreno fia descritta. Triangolare com’ è la forma di tutta l’ Italia , quel suo fianco che guarda ad oriente ha per confine (40 il mare Ionio ed il seno Adriatico contiguo ; quello eh* è volto a

mezzodì ed occidente, il mare Siculo e Tirreno. Questi fianchi unendosi fanno la cima del triangolo , che è il promontorio d’Italia verso mezzodì denominato Cocinto, il quale separa il mare Ionio dal Siculo. Il rimanente, che si estende verso settentrione e le contrade medi* terranee, confinato é senza interruzione <42) da’ gioghi Alpini, che incominciano da (43) Marsiglia e da’luoghi situati sopra il mar di Sardegna , e proseguono conti­nuamente sino all’ ultimo recesso del mar Adriatico ; se non che finiscono (44) poco prima di toccarlo. Sotto T anzidetta giogaja , che considerarsi debbe come base del triangolo , ed a mezzogiorno d’ essa giacciono gli ultimi campi di tutta la parte sellentriouale d’ Italia di

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cui ragioniamo, per fertilità ed estensione i più rag- A.dìB. guardevoli d' Europa, e di quanti si rammentano nella nostra storia. Ed £ la figura e circonferenza di cotesto piano triangolare , avendo per vertice la riunione dei monti così detti Appennini , e delle Alpi , non lungi dal mar Sardo, sovra Marsiglia. Al fianco settentrionale ergossi, conforme dicemmo di sopra, le Alpi pel tratto di due mila dugento stadii, ed ài meridionale gli Appen­nini pello spazio di tre mila seicento. Forma di base prende la spiaggia del golfo Adriatico , dalla città di Senigaglia sino all’ ultimo suo seno, 1’ estensione della quale supera due mila cinquecento stadii. A tale che tutto il circuito del mentovato piano per poco non gingne a dieci mila stadii.

XV. Non è facile a dirsi (45) qual sia la virtù di coteste terre ; perocché il grano tanto vi abbonda, che a’ nostri giorni vendesi sovente il (46) moggio siciliano di frumento per quattr’ oboli, e quello d’orzo per due; nna misura di vino si cambia con eguale d’ orzo, e il panico e il miglio oltre ogni modo soperchiano. La copia delle ghiande che traggonsi da’ querceti, sparsi pelle campagne a varie distanze, può quindi arguirsi.(47) Moltissimi animali porcini vengono uccisi in Italia, per esser mangiati, e per riporsi ad uso degli eserciti , e quelle pianure foraiscon loro tutto il bisognevole nu­trimento. Ma ciò cbe più esattamente fa conoscere qual sia la viltà e la ridondanza delle cose al vitto apparte­nenti si è , che , chi viaggia in quel paese, negli al­berghi non si accorda del prezzo d’ ogni cosa in par­ticolare , ma chiede a quanto si alloggia la persona ;

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'A. di fi- ove comunemente i locandieri ricoverano gli ospiti, e li proveggono di tutto 1* occorrevole per (48) mezzo asse, eh’ è la quarta parte d’ rin obolo , e ben di rado questo prezzo sorpassano. La moltitudine degli uomini, e la grandezza e la bellezza de’ loro corpi, siccome il lor coraggio in guerra , le gesta loro appieno manife­stano. Da amendue i lati delle A lpi, così da quello che guarda il fiume Rodano, come dall' altro che do­mina il piano anzidetto, abitano i colli ed i luoghi pii bassi , verso il Rodano ed a settentrione, i Galli chia­mati Transalpini, e verso il piano i (49) Taurisci, gli (5o) Agoni e molte altre genie di Barbari. I Transal­pini pertanto sono denominati non dalla lor origine ; sibbene dalla differenza de’ luoghi. Imperciocché trans significa oltre; quindi appellano Transalpini coloro che sono di li delle Alpi. Le sommità per essere scoscese, e piene di perpetua neve , sono fin ad ora disabitate.

XVI. L’ Appennino, da dove incomincia sovra Mar­siglia , ed alla sua riunione colle A lpi, tengono (51) i L iguri, cosi la parte d’ esso che scende verso il mar Tirreno, come quella che sovrasta al mentovato piano: lungo la marina sino a (5a) Pisa, prima città d’Etruria a ponente, e dentro a terra sino al contado (53) d’ A- rezzo. Seguono (54) i Tirreni, ed a questi contigui gli (55) U m bri, che abitano amendue le falde de’ monti anzidetli. Il resto dell’ Appennino, distante da cinque­cento stadii dal mar Adriatico, lasciato il piano, volgesi a destra, e per mezzo il rimanente dell’Italia si estende sino al mare di Sicilia. La parte piana che da questa banda è lasciata giugne al mare sino alla città di Se-

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rigaglia. Il fiume (56) Pò , celebrato da' poeti sotto il A.diR. nome di Eridano, ha le me sorgenti dalle A lpi, ove a un di presso trovasi il vertice della suddescritta fi­gura ; indi si divalla ne* campi, (5 7) dirigendo il corso verso mezzogiorno, ed arrivato a’ luoghi piani torce la corrente, e per quelli progredisce a levante , poscia con due bocche mette foce nel golfo Adriatico. Taglia esso pertanto la pianura per modo , che la maggior parte di lei giace tra le Alpi ed il mar d’ Adria. Tao* t’ acqua mena, quanta nessun altro fiume d’ Italia, per­ciocché tutti i (58) rivi che cadon nel piano , e dalle A lpi, e da’ monti Appennini, sgorgan in quello da ogni parte. La maggior piena ed il più bel cono ha desso intorno allo (5g) spuntar delle canicole, quando cresce pella quantità delle nevi che struggonsi nelle suddette montagne. È navigabile dal mare per la bocca chiamata (60) Olana nell’ estensione di circa due mila stadii : che il suo primo letto dalle sorgenti è semplice, ma a’cosi delti (61) Trigaboli in due bocche si divide, l’una delle quali è denominata Padusa , l’ altra Olana , ov* è un porto, il quale non meno che qualsivoglia altro porto dell’ Adriatico offre sicurezza a chi vi afferra. Dagl’ in­digeni il fiume è chiamato (6a) Bodenco. Le altre cose che intorno al medesimo spacciano i Greci, cioè a dire la novella di Faetonte e della sua caduta, le lagrime de’ pioppi , e la gente abbrunala che abita presso a questo fiume, la quale dicono che porti tuttavia siffatte vestiti pel lutto di Faetonte, e tutta la materia tragica a ciò relativa , al presente sorpassiamo, dappoiché non appartiene gran fatto ad no trattato preliminare l’entrar

fo lib jo , tomo 1. 17

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A. diR. in minale ricerche di qaesta sorta : ribbene coglieremo nn’ occasione più acconcia per farne conveuevol men­zione , indotti a ciò precipuamente dall’ ignoranza di Timeo circa gli anzidetti luoghi.

XYIL Del resto era questa pianura anticamente abi­tata da’Tirreni, allorquando possedevan eziandio i campi chiamati Flegrei intorno a Capua ed a Nola, i quali per esftre frequentati e conosciuti d annoiti, vennero in gran fama di fertilità. Per la qual cosa chi legge le storie delle Signorìe de’Tirreni, riguardar non debbe al paese che occupan ora , ma (63) agli anzidetti campi ed alle ricchezze che da quelli traevano. Bazzicavanli i Galli per occasione di vicinanza , e posti gli occhi addosso alla bellezza della contrada , per lieve pretesto gli as­saltarono di repente con uu grosso esercito , gli scac­ciarono dalle campagne intorno al P ò , ed occuparono il loro territorio. Le prime terre aduuque che giacciono (64) circa le sorgenti del Pò tennero i (65) Lai ed i (66) Lebeci. Appresso a questi gli (67) Insubri, la più grande di queste nazioni ; indi vicino al fiume i (68) Cenomani. La parte che rimane sino al mar A- driatico occupò un’altra antichissima schiatta, che ha il nome di (6y) Feneti, e di costumi e foggia di vesti­menti è poco diversa da’ Galli, ma usa un’ altra favella. Di là del Pò. circa gli Appennini stabiliti sono dapprima gli (70) A n a n i, poscia i (71) Boii, dopo questi verso r Adriatico i (72) Lingotti, e fioalmeote presso al mare i (73) Senoni. Queste sono le più illustri nazioni che occupano le anzidette provincie. Abitano (74* .costoro villaggi non murati , e non posseggono che (7^ po-

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chissima suppellettile ; come quelli che dormono sulla A. di tì. (j6) terra, e campano pressoché di sole carni, uè altro praticano fuorché la guerra e 1’ agricoltura, menando semplice vita. Non conoscono nè scienza nè arte alcu­na, e le sostanze di ciascheduno sono bestiame ed oro, perciocché queste sole possono in ogni emergenza più facilmente portar dappertutto, e traslocar a piaci mento.Le amicizie coltivauo cou grande zelo ; perciocché più temuto e potente è presso loro chi si trae dietro mag­gior codazzo di dienti che lo servono.

XVIH. Dapprincipio impossessaronsi non solo del 3Q3 mentovato paese , ma ridussero ancor molti vicini al- T ubbidienza , spaventatili colla loro audacia. Alquauto dopo, (77) vinti avendo in battaglia i Romani, (78) e quelli die combattevano nelle loro file , ed inseguiti i fuggitivi, tre giorni appresso la pugna occuparono Ro­ma , tranne il Campidoglio. Ma richiamati a casa daU 1’ irruzione (79) che i Veneti fatta aveano nelle loro terre , accordaronsi co’ Romani, e restituita la città si ripntriarono. Poscia travagliati furon da guerre civili.Alcuni pojKtli ancora abitanti delle Alpi gli assaltavano, e spesso uuivansi contro di loro , ponendo a confronto il proprio slato colla prosperità di quelli. Frattauto i Romani ripresero forza , ed acconciarono gli affari coi Latini. Giunti di bel nuovo i (80) Galli in Alb^ con un grosso esercito, trent’ anni dopo che avean presa Roma, non arrischiaronsi i Romani di farsi loro in­contro colle legioui , perciocché i Galli colti gli ebbero alla sprovvista e furate loro le mosse , nè lasciato loro tempo di raccoglier le forze degli alleati. Paisati «itri 4°4

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jt.&R. (81) undici anni fecero contra i Romani nna onora spedizione con oste numerosa , m a , avendone questi avnto sentore, raccolsero gli alleati ed animosi anda­rono a riscontrarli, bramando di combattere e di venir ad nn cimento universale. I Galli , sbigottiti del loro arrivo , e venuti tra loro a contesa, giunta la notte ritiraronsi a casa non altrimenti cbe se fuggissero. Dopo questo tumulto si stettero tredici anni cheti. Ma poscia, come videro crescer la potenia de' Romani , fecero te coloro pace ed accordi.

455 XIX. (8a) I quali poich’ebbero serbati costantemente tren tann i, essendosi mossi a’ loro danni i Transalpini, e temendo essi non fosse per suscitarsi loro addosso gravissima guerra, allontanarono da si la tempesta con doni (83) e col produrre in mezzo la comune origine, ed aizzarono gl1 insarti contro i Romani, prendendo parte alla spedizione. Fatta l’ invasione pel territorio degli Etruschi, i quali eransi ad essi uniti, ed ammas­sata avendo molta preda, impunemente uscirono dal dominio de’ Romani. Ma giunti a casa, e sollevatisi per avidità delle robe prese , perdettero la maggior parte del lor esercito e del bottino. Famigliar è siffatta con­dotta a* Galli, poiché sonosi appropriate le altrui so­stanze , e segnatamente quando, empiutisi di vino e di

458 cibo, hanno smarrita la ragione. (84) Dopo tre ann i, i Sanniti ed i Galli accordatisi, diedero battaglia a'Ro- mani nella campagna di Camerte, e molti di loro ne uccisero. I Romani irritati vie maggiormente da questa rotta, pochi giorni appresso uscirono e con tutte le le­gioni attaccarono i suddetti nella campagna di Seminate,

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e la maggior parte di loro ammazzarono, gli altri co- A.diR- strinsero a fuggir precipitosamente , ciascheduno a casa sua. (85) Passarono nuovamente dieci anni, ed eccoti i 471 Galli con un grand’ esercito assediar Arezzo. I Romani accorsi, in ajulo ed azzuffatisi dinanzi alla città, furono sconfitti.' Io questa battaglia, essendo morto il pretore Lucio Cecilio, fu in luogo di lui creato Mario Corio.Il quale mandati avendo ambasciadori in Gallia per il cambio de’ prigioni , furon quelli a tradimento uccisi. [ Romani (86) nel bollore dell’ ira , incontanente andaron a oste contro di lo ro , e venuti loro incontro i Galli chiamati Senoni, incontratili con essi affrontaronsi. Ri­masero i Romani superiori nella battaglia , e ne ucci­sero la maggior parte, gli altri cacciarono del paese, che tutto ridussero iu loro potere. Indi mandarono la prima colonia in Gallia, che Senigaglia fu appellata dal nome de’ suoi primi abitanti; della quale facemmo di sopra menzione, e dicemmo eh’ essa giace sul mare di Adria, all’ estremità della pianura che bagna il Pò.

XX. 1 Boii, veggendo i Senoni espulsi dalla patria ; e temendo non sovrastasse la medesima sorte a ai ed al loro paese , andarono con tutta la loro gente contro i Romani, e chiamarono in società i Tirreni. Unitisi al lago di Vadimone , affrontaronsi co’ Romani. In questa battaglia perirono quasi tutti i T irreni, e de’ Boii po­chissimi scamparono. Tuttavia nel prossimo anno, in- 4ya dettatisi di bel nuovo i mentovati popoli, armarono la loro più fresca gioventù, ed uscirono in campo contro i Romani ; ma toccata una grande rotta , a malincuore deposero la loro fierezza, e mandati ambasciadori per

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A.diR. trottar la pace, fecero accordo co'Romani. Questi av­venimenti succedettero (87) tre anni avanti il passaggio di Pirro in Italia, e cinque innanzi alla strage de’Galli a Delfo : che a que’ tempi la fortuna aveva introdotta tra i Galli quasi un’ influenza maligna di guerra^ Dai succitati combattimenti due bellissimi vantaggi deriva­rono a' Romani. Imperciocché avvezzi alle sconfitte che davan loro i Galli, nulla di più terribile potean poscia veder, o aspettarsi, di quello che costoro ebber ope­rato. Laonde atleti compiuti ne uscirono nella lotta con­tro P irro, e fiaccata opportunamente l'audacia de’GaJli, cowb-itterono dapprima senza ostacolo con Pirro pel dominio dell’ Italia , poscia co’ Cartaginesi pel principato di Sicilia.

5 1 7 XXI. I Galli dopo le mentovate rotte (88) si stettero cheli quaranta cinque anui , e co’ Romani vissero in pace. Ma poiché in processo di tempo moriron coloro che co’ proprii occhi avean vedute le passate sciagure , e sopravvennero i giovani, pieni di sconsiglialo ardire, senza esperienza alcuna di mali e delle vicende della fortuna, incominciarono nuovamente conforme è natura degli uomini, a muover lo stato tranquillo delle cose, ad inasprirsi per lievi cagioni contro i Romani , ed a trarre nel loro partito i Galli abitatori delle Alpi. Dap­principio i soli duci separatamente dal volgo teneaa coleste segrete pratiche. Il perchè giunta essendo l’oste de’ Transalpini sino a Rimini, la plebe de’ Boii non si fidando de’ capi e sollevatisi contra loro e contra quelli eh’ erano arrivati, uccisero i propri re Ati e Calato, e trucidaronsi reciprocamente, venuti a battaglia. I

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Romani, paventando la loro invasione, uscirono con A.diR. nn esercito, ma conosciuta la strage che i Galli aveano fatta di sé stessi, ritornarono a casa. (89) 11 quinto 5a i anno dopo questo tumulto, lotto il consolato di Marco Lepido, i Romani distribuirono in Gallia a* soldati la campagna Picentiua, donde espulsi aveano i vinti Se­noni. (90) Cajo Flaminio con animo di procacciarsi il favor della plebe , fu autore di questa legge, e questa divenne, a dir vero, il motivo della mutazione in peg­gio che fece il popolo di Roma, e poscia la causa delle guerre cbe insursero tra i Romani e le anzidette nazioni. Imperciocché molti popoli Galli assoggettaronsi a quest' impresa e massimamente i Boii , come quelli che confinavano col territorio Romano, 0 stimavano, che non per il primato e la Signorìa i Romani movean loro guerra, aibbene per {sterminarli al tutto e per spegnerli.

XXII. Per la qual cosa, senza por tempo in mezzo, 5a3 i più potenti di que’ popoli, gl’ Insubri ed i Boii, ac­cordatisi mandarono ambasciadori a' Galli abitanti delle Alpi e delle sponde del Rodano , i quali , perciocché militavan a soldo, chiaraansi Gesati (91); locchè signi* fica propriamente questa voce. A1 loro re Concolitano ed (91) Anerocsto offerirono nelT istante molt’ oro , e peli’ avvenire moslraron loro la grande prosperiti dei Romani , e gl’ immensi beni che loro frutterebbe la vit­toria. Per tal modo gli esortavano e stimolavano a> (ir guerra a'Rom ani, e di leggeri ve l’ indussero, dando loro insieme parole di farsi socii all'impresa. Rammen­tar on loro pure le gesta de' propri! maggiori, i quali

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A.diR. *n un* w*m^e spedizione non colo Tinsero in battaglia i Romani, ma dopo la pugna presero Roiria di assalto, e divenuti padroni d’ ogni cosa, ebbero in loro potere sette mesi la c it t ì , ed alla fine spontaneamente e per favore la restituirono, a casa ritornando con tutta la preda illesi e senza oltraggio. I loro eapi udite queste parole con tasto fervore mossero all’impresa, che giam­mai né più numerosa , né più eccellente, né più ag­guerrita gente usci da quel tratto delle Gallie. Frattanto i Romani, parte per ciò che sentivano , pArte pel pre­sentimento che aveano dell’ avvenire , eran in continuo timore e turbamento , a tale che ora coscriveano legio­ni , e facean provvigione di vettovaglie e d’ altre cose necessarie , ora conduceaao 1’ esercito al confine , come se gii entrassero nel paese i nemici, i quali non ertasi per anche mossi di casa. Non poco- fu giovevole ■ ’Car­taginesi cotesto movimento per accomodare con sicurezza gli afTari di Spagna. Imperciocché i Romani, conforme abbiam gii detto diansi, giudicando questa bisogna più urgente (g3) , dappoiché avean il nemico a ' fianchi, co­stretti furono a negligere gli aflàri di Spagna, ed a stu­diarsi prima di porre le loro cose in salvo da’ Galli. Quindi assicurata la pace co’ Cartaginesi per mezzo degli accordi con Asdrubale, di cui abbiam testé p i l ­lato , di unanime consenso rivolsero in qnel tempo ogni loro pensiero all* avversario presente, credendo partito vantaggioso il cimentarsi con lui ad una battaglia de­cisiva.

5ag XXIIL I Galli Gesati con un esercito ben fornito e poderoso passarono le Alpi, e vennero al fiume P ò ,

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otto «nai dopo eh’ erano alate divise le terre de* Se- R. noni. Le naiioni pertanto degf Insubri e de’Boii perse­verarono generosamente ne1 primi disegni, ma i Veneti ed i Cenomani, ricevuta un ambasceria da* Romani, preferirono F alleanza di questi : il perchè i re de’ Galli costretti furono a lasciar una parte delle loro forze a guardia del pese , temendo di costoro. Essi poi col grosso delT esercito francamente si fecero innanzi, mar* dando peU’ Elruria, ed aveano da (g4) cinquanta mila fanti, e circa (g5) venti mila cavalieri e cocchii. I Ro­mani , come prima sentirono aver i Galli passate le Alpi , spedirono il console Lucio Emilio con un eser­cito alla (96) volta di Rimini, per aspettare coll T ar­rivo de' nemici, ed uno de’ pretori in Etruria : che 1’ altro console Cajo Attilio era per avventura andato prima in Sardegna colle legioni. A Roma eran tolti in ùpavento, stimando che grande pericolo loro sovra­stasse : e n’ avean ben donde, come quelli che porta­vano tuttavia impresso negli animi 1' antico terrore dei Galli. Q uindi, a cotal pensiero solo intenti , raccoglie­vano le legioni, e nuove ne coscrtveano, ed a’ Sodi ordinavano ohe si tenessero pronti. Imposero eziandio a' subalterni di recar i roli di tolta la gioventù atta alle arm i, ingegnandosi di conoscere tutta la quantità delle forze «he possedevano. Co’ consoli fecero nsoire la mag­gior e miglior parte delT oste, e di vettovaglie, di dardi, e di altre cose alla guerra necessarie fecero tal provvigione, quale innanzi que’ di a nessuno ricordava.Tutti e da ogni parte sollecitamente l’ opera loro pre­stavano : che gli abitanti d’ Italia paventavano l’irru-

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A.JM. zione de’ Galli, e non stimavano già di combattere co­me alleati de’ Romani, n i cbe per procacciar a questi il dominio la gnerra si facesse ; sibbene erano persuasi cbe il perìcolo loro medesimo, le loro città e le loro contrade minacciava ; quindi ubbidivano di buon grado a quanto era loro comandato.

XXIV. Ma affinchè sia chiaro pe’fatti stessi con quali forze osasse poscia Annibale d’affrontarsi, ed a qual potenza egli temerariamente mostrasse il viso, conse­guendo il suo proponimento a segno di avvolger i Ro­mani in gravissime sciagure, è da esporsi l’ apparato che fecero , e la grandezza dell’ esercito cbe allor avea­no. Uscirono adunque co consoli quattro legioni Roma­ne , (qj) ciascheduna di cinque mila dugento fanti, e trecento cavalli. Gli alleati d’ amendue i consoli som­mavano trenta mila fanti e due mila cavalli. Di Sabini ed Etruschi, venuti opportunamente in soccorso a Ro­ma , v* avea da quattro mila cavalli, e meglio che cin­quanta mila fanti : i quali unirono, e stanziaron al- l’ ingresso dell’ Etiuria, dandp loro a capitano nn pretore. Gli Umbri (98) ed i Sarsinati , che abitao 1’ Appennino, si raccolsero in numero di venti mila, ed i Veneti e Ceno ma ni furono pur venti mila. Questi collocarono a’ confini della Gallia , affinchè, invadendo il territorio de’ Boii, ritraessero quelli eh’ eran usciti. Tali furono gli eserciti posti alle estremità del paese. A Roma sta- vansi pronti in riserva, pe’ casi fortuiti della guerra, de* Romani venti mila fanti, e mille cinquecento ca­valli , de’ socii trenta mila fanti e due mila cavalli. Nel rolo furon iscrìtti : Latini ottanta mila fanti, ciò-;

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que mila cavalli; Sanniti settanta mila fanti , sette A. diR. mila cavalli ; Lucani trenta mila fanti, tre mila ca­valli ; Morsi, Marrucini, Ferentani e Ventini venti mila fanti, quattro mila cavalli. Oltre a ciò fu lasciata in Sicilia ed a Taranto una riserva di due legioni , eia» schettina di quattro mila dngento fanti, e dugento ca­valli. Della (99) plebe Romana e Campana foron arro- lati dugento cinquanta mila fanti, e ventitré mila ca­valli. Per (100) modo che le forze poste a difesa di Roma ascendevano tutte insieme a meglio di cenqua- ranta mila fanti, e circa otto mila cavalli, e tu Ita la massa abile a portar armi , cosi Romani come alleali, sommava oltre settecento mila fanti, e da se li anta mila cavalli. Appetto a queste forze osò Annibaie con meno di venti mila uomini d’ invader l’ Italia. Ma intorno a questo argomento, quanto direm in appresso darà mag­gior luce.

XXV. I Galli pertanto, entrati in Gtruria, corsero la campagna, guastandola impunemente, e non oppo­nendosi loro alcuno, mossero alla fine contro Roma stessa , ed essendo gii presso Chiusi , città distante da Roma tre giornate , ebbero avviso che alle loro spalle seguivano ed erano per raggiugnerli le forze de’Romani stanziate a’ confini dell’ Etruria. A questa novella volta- ronsi e si fecero lor incontro, affrettandosi di combat­tere. Ed essendosi fra loro avvicinati in sol tramontar del sole, accamparonsi in picciola distanza , e colà per­nottarono. Fattosi bujo , i Galli accesero fuochi, e la- ■ciaron addietro i cavalli , ordinando loro, chc in sul far del giorno , fattisi vedere da’ nemici, a bell’ agio

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A.&R. retrocedessero solle stesse tracce. Poscia andarono per oc* culte vie alla volta di Fiesole , ed ivi ( i o i ) altelaronsi col divisamente di ricever i loro cavalli , e di opporsi im­provvisamente all’ invasione de’ nemici. I Romani, ve­dendo allo spuntar del giorno i cavalli soli, stimarono i Galli andati in volta , e si misero ad inseguir fervi­damente la cavalleria che si ritirava, ma come furono vicini a* nemici, balzaroa fuora i Galli, e gli assalta­rono. Fu dapprincipio la zuffa violenta da ambe le parti, ma finalmente essendo i Galli superiori d’audacia e di numero , i Romani, lasciati sul campo non meno di sei mila morti, fuggirono. La maggior parte di loro ricoverò in un luogo forte , e vi rimase. 11 quale i Galli presero dapprima ad assediare, ma mal conci come erano dal viaggio e della notte antecedente, da' pati­menti e dalle fatiche, andaron a riposare ed a rinfre­scarsi , lasciando parte de* loro cavalli a guardia intorno al colle, con animo di assediare il giorno vegnente quelli che eransi coli rifuggiti, ove di buon grado non si fossero arresi.

XXVI. Frattanto Lucio Emilio , ch’era stanziato sulla costa dell* Adriatico, come riseppe che i Galli, tra­passata 1* Etruria , appressavansi a Roma, avventurosa­mente, quando più n’ era bisogno, giunse sollecito a

recar soccorso. E posto il campo vicino a’nemici, quelli eh’ eransi rifuggiti sul colle veggendo i fuochi, ed ac­cortisi di ciò eh’ era accaduto , ripresero animo incon­tanente , e spedirono di nottetempo alcuni de’ loro di­sarmati pel bosco (ioa), a fine di annunziar l’avveni­mento al console. Questi, sentito l’alfare, e considerando

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che appena gli rimaneva tempo di pigliar nn partito A.£B. nell1 emergenza , ordinò a’ tribuni di nscir co' fanti al primo apparir del giorno, ed egli stesso co’ cavalli in- camminossi verso l’ anzidetta altura. I condottieri dei G alli, osservando i fuochi notturni , ne arguirono la presenza de’ nemici , e si ridussero a consiglio. Ove il re Aneroeste espose co tal sen tenza : dover essi dappoi­ché di tanta preda eransi impossessati ( ed era la quan­tità d’uomini, di bestiame , e di robe , che aveano, indicibile), cansar la battaglia , e non porre ogni cosa a cimento, ma ritornare salvi in patria. Deposto il loro carico, poter essi più spediti, quando lor cosi piaceste, riprendere le ostilità contro i Romani. Approvarono tatti il parere di Aneroeste, ed essendosi tenuto questo consiglio di notte, partironsi innanzi giorno, e prose­guirono lungo il mare per il territorio Etrusco. Lucio unita alle sue forze la parte dell’ esercito eh* erasi sal­vata sulF eminenza, non giudicò conveniente di tentar una battaglia campale, sibbene di seguitàr il nemico, attendendo a’ luoghi ed a' tempi opportuni per recargli ove fosse possibile, qualche danno e per torgli parte della preda.

XXVII. Circa quel tempo il console Cajo Attilio ve­nuto dalla Sardegna a Pisa colle sue legioni, prose­guiva il cammino verso Rom a, in direzione contraria a quella de’ nemici. Erano già i Galli presso a Telamone d’ Etruria , quando i loro foraggiatori , abbattutisi alla vanguardia di Cajo, furono presi. Interrogati dal Con­sole gli appalesarono i fatti preceduti, ed annunziarono l’arrivo d ’ amendue gli eserciti, del Gallico eh’ era vi-

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A.&R. ciniuimo, e di quello di Lucio cbe gli tenera dietro. Egli parte maravigliato di cotali nuove , parte venuto nella speranza di pigliar in mezzo i Galli , comandò ai tribuni di schierar le legioni, e d’ andar innanzi a pic­ciolo passo colla fronte spiegata, per quanto i luoghi il permettessero. Osservato poi un colle opportunamente situato sovra la strada , per cui passar doveano i Galli, mosse in fretta co* cavalli per occuparne la sommità ed esser il primo ad appiccar la zufla; persuaso cbe cosi la maggior parte del buoa esito a Ini sarebbe ascritta. I Galli dapprincipio ignoravano l’ arrivo di Attilio, ma da ciò ch’ era avvenuto conghielluravano che Emilio avesse girato di notte colla cavalleria, e preoccupati qne* luoghi ; quindi mandarono tosto i loro cavalli ed alcuni fauti leggeri per prender a’ Romani cotesta al­tura , ma conosciuta presto da alcuni prigioni la venuta di Cajo, altelarono in (retta i fanti, facendo la sclùera da amendue le facce, cosi da tergo , come da .fronte : che sapeau essi seguir gli uni le loro tracce, e gli altri aspettavano di riscontrare a viso a viso ; ciò deducendo da quanto veniva loro riferito, e da quanto allor a o cadeva.

XXVIU. Emilio, sentito l'approdo delle legioni a Pisa, ma non aspettando per anche che si avvicinassero^ conobbe chiaro dui combattimento che facevasi intorno al colle , essere 1’ altro esercito de’ suoi già prossimo; il percliù mandò subito i suoi cavalli in ajuto di quelli che sul colle pugaavano, ed egli, disposti i suoi fanti cuuloi'me praticano i Romani, ondò incoutro a’ uemicLI Galli schierati aveano i cosi delti Gesali delle Alpi

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alla coda, ove aspettavano Emilio, e dietro a questi A.&R. gl’ Insubri, [n fronte attelarono i Taurisci, ed i Boii che abitano di qua del P ò , in posizione contraria agli anzidelti, guardando la parte ove avanzavansi le legioni di Cajo. I carri ed i cocchi posero di fuori alido ad amendue le ale, e la preda ridussero in uno de’ monti aggiacenti, mettendoci attorno delle guardie. L’ esercito de' Galli adunque in due fronti schierato, riuscì non solo di terribil aspetto, ma eziandio di molta efficacia.Gl’ Insubri ed i Boii sphieraronsi in brache, e eoa leggeri saj in dosso; i Cesati per vanità e fidanza git— taion via questi vestiti, e iguuJi colle armi si posero nelle prime file, stimando d’essere così ( io 3) più alti alla pugna, perciocché i prunai eh’ erano in alcuni siti avviluppavausi agli abiti , ed impedivano 1’ uso delle armi. La prima xufla fu sul colle , al cospetto di tutti, tendoché grande moltitudine di cavalli, concorsa da ciaschedun esercito, affrontata erasi colà alla mescolata.Allora il console Cajo, combattendo con soverchio ar­dire, mori nella mischia, e la sua testa fu portata al re de’ Galli. Ma la cavalleria Romana valorosamente pu­gnando superò alla Gne il luogo e gli avversarti. Po­scia , essendosi la fanterìa già avvicinata, v’ ebbe ano spettacolo singolare e maraviglioso, non solo per chi era in quell’ occasione presente , ma per coloro pure che in appresso per via di relazione formarsi possono un’ idea dell’ accaduto.

XXIX. Primieramente siccome la battaglia composta era di tre eserciti, così egli è ma ni fusto che stiano ed iusolilo apparir dovea l’ aspetto ed il genera del con-

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a'jnA. £ R. flitto. In secondo luogo , chi o al presente, o a qnel

tempo non avrebbe dubitato se più pericolosa fosse la posizione de’ Galli, cui da amendue le parti stringevano i nemici, o all’ opposto più acconcia all» vittoria, mer- cecbé combattevano ad un’ ora con amendue gli eser­citi , ed insieme sahravansi le spalle dalle aggressioni di ciascheduno ? Ma ciò che più monta si è , che chinsa era loro ogni via (io4) alla ritirata cosi in avanti, co­me indietro, e tolto ogni scampo ove fossero vinti : che tal proprietà ha 1’ uso d'ilo schieramento a dae fronti. A’ Romani dava animo 1’ aver presi i nemici in mezzo e circondati da ogni parte ; ma dall’altro canto gli sbigottiva l'appariscenza ed il tumulto dell’esercito de’ Galli; perciocché innnmerevol era la molliladine delle trombe e delle corna, ed oltre a ciò , salmeggiando tutta l’oste in coro, tale e tanto schiamazzo ne nasce­va , che la voce sembrava venir non solo dagli stru­menti da fiato e da’ soldati, ma eziandio da’ luoghi vi­cini che rimbombavano. Tremendo era pure 1’ aspetto e il movimento degli nomini ignudi, cospicui per fior d’ età e per forma. Tutti quelli eh’erano nelle prime insegne andavan ornati di ( io 5) collane e di smaniglie d’oro , le quali guardando i Romani parte stupivano, parte adescati dalla speranza del guadagno erano dop­piamente stimolati alla pugna.

XXX. Del resto, come prima i Linciatori Romani si fecero innanzi, e secondo il loro costume con sicura mano awentaton un nugolo di frecce; a’ Galli che sta­vano in dietro molto venivan in acconcio i si; e le brache ; ma ai Cesati, eh’ erano nelle prime file, co—

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testo inaspettato avvenimento arrecò ali* opposto molto A. diR. incomodo ed imbarazzo. Imperciocché, siccome lo scudo gallico non può coprir tutta la persona , cosi quanto più ignudi e grandi erano i corpi, tanto maggiormente vi si appigliavano le frecce. Alla fine non si potendo difendere da’ lanciatori, per cagione della distanza e della moltitudine delle saette che piovevano , vinti dal male e disperati, parte precipitavansi nelle (ile de’ ne­mici furibondi e forsennati, ed abbandonati sé stessi , incontravano spontaneamente la m orte, parte ritiravansi a poco a poco fra i suoi, e manifestando il proprio avvilimento, mettevano la costernazione in quelli di dietro (107). Per tal modo adunque i lanciatori Romani abbatterono la fierezza de’ Gesati. Ma la massa degl’in­subri , de’ Boii e de’ Taurisci, non si tosto i Romani ebbero ritirati.i lanciatori, e mandaron loro addosso le insegne, che attaccati i nemici dappresso fecero aspra battaglia, e per quanto fossero tagliati (108), resistevano con egual ardore, nell’ apparato solo delle arm i, cosi uniti, come a corpo a corpo, inferiori a'Romani ((09), gli scudi de’ quali pella sicurezza e le sciabole peli’ a- zione sono di gran lunga più eccellenti ; laddove quelle de’ Galli sono soltanto da taglio. Poiché la cavalleria dei Romani, discendendo dal colle, fece impressione da luogo superiore e per fianco , e valorosamente pugnò , i fanti de’ Galli furono trucidati ne’loro posti, e la cavalleria andò in volta.

XXXI. Perirono de’ Galli da quaranta mila ; e non meno di dieci mila ne furono presi, fra cui il re Copcolitano. L’ altro Aneroeste fuggi .con pochi in un

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A. di R. lU0g0 t OTe tolx li vita a si e J a’ suoi più prossimi.

11 capitano de’ Romani raccolse le ipoglie e mandol/e a Roma ; ma la preda restituì a chi apparteneva. Egli colle legioni, varcato il territorio de’ Liguri, fece im­pressione nella campagna de’ Boii, e saziata di rapina 1' anditi de' soldati, fra pochi giorni ritornò a Roma coll’ esercito, ed ornò il Campidoglio colle insegae e colle (n o ) maniache tolte a*nemici (eran queste cerchi di o ro , che i Galli portano intorno al collo ). Le altre •poglie aerbò per fregiarne il suo ingresso trionfale. Per tal modo tornò vana la più poderosa spedizione dei GalK , che a tutti gl’ Italiani, e massimamente a*Romani

530 minacciata avea la più grande e spaventosa mina. Dopo questa vittoria, sperando i Romani, di poter scacciare al tutto i Galli da' paesi intorno al P ò , mandarono amendoe i consoli Quinto Fulvio e Tito Manlio no­vellamente creati, con un esercito e con grande ap­parecchio contro i Galli. I quali assaltati d'improvviso i Boii, spaventarongli a tale, cbe si rimisero all’ ar­bitrio de’ Romani. Ma sopraggiante essendo pioggie di­rotte ed una costituzione pestilenziale, alla fine niente si fece.

531 XXXIL I consoli dopo questi eletti, PuMio Furio e Cajo Flaminio, invasero nuovamente la Gallia per il paese ( i n ) degli Anani, i quali dimorano poco lungi da Piacenza (Marsiglia) (n a ) . Questi si fecero amici, e passarono nel territorio degl’ Insubri al confluente dell’ Adda e del Pò. Ma essendo stati sconfitti al passo, e mentre che fi’ accampavano, tosto arrestarons: , poscia fcrmarou un trattato, e accordatisi sgombera roa quei

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luoghi. Iodi più giorni per qnelle parti aggiraronsi , e A.&B* tragittato il fiume ( 113) Chieae vennero nel dominio de' Cenomani, i quali avendo presi a compagni, per­ciocché erano alleati, invalero an’ altra volta dalle re­gioni Subalpine il piano degl’ Insubri, ed anero 1* cam­pagna , e devastarmi le abitazioni. I capi degl* Insubri, veggendo eiaer invariabili verso di loro gli animi dei Romani, determinarono di darsi in balla della fortuna, e di venir ad una fazione decisiva. Raccolsero adunque tutte (114) le insegna , levando eziandio dal (i 15) tem­pio di Minerva quelle che cbiaman immobili, e fecero ogni altra provvigione necessaria : poscia arditi e mi­nacciosi accamperò osi di rincontro a’nemici, in numero di cinquanta mila. I Romani, parte scorgendo sé stessi molto inferiori agli avversarli, volevano giovarsi delle forze de* Galli loro alleati ; parte considerando l’ infe­deltà di costoro, e che avrebbono dovuto combattere con nomini della stessa schiatta, temerono di associarsi sifFatta gente in co tal occasione e in tanta impresa. Fi­nalmente rimasero di qua del fiume , ed i Galli eh' e- rano in loro compagnia fecero passare sull’ altra riva ; poi staccarono i ponti d’ in sulla corrente. Cosi guaren- limosi da quelli, ed insieme lasciarono a sé l’ unica speranza di salvezza nella vittoria, non essendo guazza- bile T anzidetto fiume, che avean alle spalle. G ò latto s’ accinsero alla pugna.

XXXUI. Vantasi 1' accorgimento de* Romani in co- testa battaglia , ove instatiti furono da’ tribuni come , e in comune , e ciascheduno per si avessero a com­battere. Imperciocché, conosciuto avendo da’ passati ci-

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A.dill. menti, essere tutta la gente Gallica formidabilissima e fervida nel primo impeto, finattanto eh* è intatta , e le sue sciabole , conforme dicemmo di 6opra , pella loro costruzione non tagliare se non se calato il primo fen­dente, e poscia rintuzzarsi tosto ed incurvarsi^ per lungo e per largo , a tale, che non dando tempo a chi se ne ha a valere di puntarle in terra per dirizzarle col piede, non è possibile d’ assestar con esse il secondo colpo : ciò, dico, conoscendo i tribuni , distribuirono le aste de’ triarii collocati nelle ultime file (116) alle prime coorti, ed imposero loro di adoperar dopo queste le spade. Indi attaccarono di fronte i Galli, le cni sciabole, come prima ebbero calati i primi colpi alle aste, si rendettero inutili. Allora (117) corsero loro alla viU, e tolsero a’ nemici ogni facoltà di (118) battagliare menando in distanza colpi dall’ alto, siccome è . costume de’ Galli , le spade de’ quali sono al tutto senta punta. Ma i Romani nen tagliando, sibbene i ferri diritti aventi acuta punta , (rig ) spingendo per modo , che non poteansi cansare , percuotevano con reiterati colpi i petti e le fecce degli avversarli, e la maggior parte ne trucidavano, mercè della provvidenza de’ tribuni. Imperciocché il console Flaminio non sembra «seni bene diportato in quell’ affronto avendo schierato 1’ e- sercito sul ciglione del fiume , e guastato ciò che ha di proprio la battaglia Romana, non lasciando luogo alle coorti per ritirarsi a lento passo. Che per poco che i soldati nella pugna avessero piegato, doveaasì gittare nel fiume peli’ inconsideratezza del capitano. Tuttavia riportarono segnalata vittoria col proprio va-«

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tare , conforme dissi , e pieni di preda, e di non po- A. che spoglie impossessatisi, ritornarono a Roma.

XXXIV. La state seguente mandarono i Galli am- 53 basciadori a chièder pace , promettendo che tutto fa- rebbono ; ma i consoli di quell* anno , Marco Claudio,« Gneo Cornelio , procacciarono che la pace non fosse loro accordata. Ributtati adunque, risolverono di ci­mentar 1’ ultima speranza, e di bel nuovo si volsero a stipendiare i Galli Gesati , che abitano presso al Ro­llano , de’<juaK presero trenta mila, e li tennero pronti, aspettando l’ invasione de* nemici. I consoli, giunta la ‘primavera, condussero l’ esercito nella campagna degli Insubri, e venuti ' presso (110) Acerra, situata tra il Pò e gli Appennini , vi si alloggiarono, ed assediarono questa città. Gl’ Insubri non potevano soccorrerla, es­sendo da’Romani stati occupati i luoghi più opportuni; ma bramosi di levarne 1’ assedio , trsgittaron il Pò con una parte delle loro forze ed entrati nelle torre degli Anani assediarono (111) Clastidio. Venutane la nuova a’ consoli , Marco Claudio co’ cavalli e con (112) buon numero di iànti accorse in ajuto degli assediati. I Galli, sentito 1’ arrivo degli avversarli, si tolsero dall* assedio, ed andati lor incontro si misero in ordinanza. I Ro­mani , càricaronli arditamente colla cavalleria, ed essi dapprincipio facevano testa; ma circondati poscia alle spalle ed a’ fianchi, scompigliaronsi e furono messi jn fuga dalla stessa cavalleria. Molti di loro caddero nel fiume e perirono ne’ suoi gorghi ; i più furono tagliati da’ nemici. Presero i Romani eziandio Acerra, piena <li vettovaglia, ed i Galli ricoveraron a Milano , luogo

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J.&B. principale del paese degl'insubri. Gneo gl’insega) senza posa, e in men cbe non •’ avvide fu presso a Milano.I Galli dapprincipio non si mossero, ma come il con­sole riprese la via d’ Acerra, sortirono ed audacemente nojarono il retroguardo, ed aveudone morti non pochi, parte degli altri costrinsero a fuggire. Gneo richiamata la vanguardia , le ordinò di fermarvi e d'affrontarsi coi nemici. I Romani ubbidiron al console, e gagliarda* mente combatterono co’Galli cbe gl* incalzavano. Questi, animosi pella vittoria che tenean in mano, alcun poco stettero saldi, ma fra poco andaron in volta, e si ri­dussero alle montagne aggiacenti. Gneo inseguii!!, guastò la loro campagna , e prese Milano colla fona.

XXXV. Dopo questo avvenimento ì capi degl’ Insu­bri , abbandonala qualunque speranza di salvezza , ri­misero ogni loro cosa all’ arbitrio de’ Romani. Colai fine ebbe la guerra co’ Galli : guerra che , ove si ri» guardi al furore, ed all’ audacia de’ combattenti, non meno che al numero delle battaglie ed alla moltitudine degli uomini cbe in esse pugnarono e perirono, a ne* sona delle pià conte è inferiore; ma per ciò che spetta al genere delle imprese, e allo sciocco maneggio dei particolari é aflallo spregevole, sendochì i Galli non nella maggior parte , ma in tutti i loro aflàri reggonsi più ( ia 3) coir impeto che col consiglio. I quali osser­vando noi poco appresso (11^) discacciati dal piano del Pò , eccetlocbè da pochi luoghi che giacciono sotto le A lp i, non abbiam creduto dover passare sotto silenzio la loro prima venuta, nè i falli che di poi seguirono, né ( ia 5) come l’ultima volta insursero. Cbe ufficio della

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storia stimiamo esser il rammentare e descriver a’ posteri A. di R. sifòtlì (ia6) episodii delta fortuna; affinchè coloro che dopo noi verranno , ignari di cotesti avvenimenti, non si sgomentino delle repentine e temerarie irrazioni dei Barbari, ma alquanto rechinsi alla mente, che cotal genia in breve tempo e di leggeri può esser distrutta da chi dura nel far loro resistenza , e quindi nulla la­scino intentato, anziché ceder loro qualsivoglia cosa ne­cessaria. E , a dir vero , quelli che a noi propagarono la memoria dell* impressione che i Persiani fecero in Grecia ed i Galli ia Delfo, mollissimo contribuirono ai combattimenti che impresi furono pella comune libertà della Grecia. Imperciocché nessuno lascerassi sbigottir dagli apparati, dalle armi ,■ dalla moltitudine di gente , e rinunzierà all’ ultima speranza in combattendo pella propria contrada e pella patria, ove si porri innanzi, agli occhi le maravigliose gesta di que’ tempi, e si rammenterà quante migliaja il’ uomini, e quali ardimenti, e quali apparecchi ridusse a nuHa la forza guidata nei cimenti dal raziocinio. Il terrore pertanto de’ Galli ba già spesso , non solo anticamente , ma a’ nostri giorni ancora colpiti i Greci. Il perchè io mi sono tanto mag­giormente indotto a tessere la loro storia sommaria­mente, facendomi da tempi più remoti.

XXXVI. Asdrubale, capitano de’ Cartaginesi, ( che 533 di qui si è dipartita la nostra narrazione ) poich’ ebbe amministrati oti'anni gli affari di Spagna, (127) mori ucciso a tradimento nel suo albergo da certo Gallo in vendetta d’ingiurie private. Qoesti grande aumento avea recato alla potenza de* Cartaginesi, non tanto colle opere

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J.di/i. di guerra, che coll’ afTabilitA verso i Signori del paese.I Cartaginesi conferirono il capitanato di Spagna ad Annibaie (ia8) ancor giovine, per cagione della perspi­cacia e del coraggio che nelle sue azioni apparivano. Il quale, come prima assunse il sapremo potere, traspirar fece da’suoi consigli che portata avrebbe la guerra ai Rotnani ; locchè eziandio finalmente esegui, mettendo pochissimo tempo in mezzo. Erano gii -sin d’ allora i Romani ed i Cartaginesi in reciprochi sospetti, (129) e aizzamenti ; dappoiché quelli bramosi di vendicar le rotte sofferte in Sicilia, mulinavano nuove imprese, ed i Romani, osservando le loro macchinazioni, diffidavano. Ond’ era chiaro a chi diritto 'estimava, die fra poco sarebbonsi fatta la guerra.

XXXVII. Intorno allo stesso tempo, gli Achei ed il re Filippo, insieme cogli altri alleati, impresero contro agli Etoli la guerra chiamata Sociale. Noi pertanto , poiché, narrali avendo i fatti di Sicilia e d’Africa, e gli altri a questi successivi, secondo che richiedea la serie continuata della nostra preparazione , pervenuti siamo all’ incominciamento di questa guerra Sodale , e della seconda cbe insurse tra i Romani ed i Cartagi­nesi , che i più chiamano Annibalica, da* quali tempi sin da principio divisammo e promettemmo di condurre il filo della nostra storia ; stimiamo conveniente di la­sciar ( t3o) cotesta materia e di passar agli avvenimenti della Grecia, affinchè, agguagliala ogni parte del nostro lavoro preliminare , e recata a’ medesimi tempi, inco­minciar possiamo la propria storia, che intendiamo di trattar ( i3 i) dimostrativamente. Imperciocché , siccome

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■o u alenai fa tti, cooforme fecero gli scrittori innanzi A .H it.

a no i, quali sarebbono quelli de’ Greci e de* Persiani ; sibbene quelli di tutte le- parti note della terra pren­demmo a descrivere , al qual subbietto singolari mezzi forniscono i nostri tempi, su che altrove più chiaro ci spiegheremo ; così sarà mestieri di toccar alcun poco, avanti d’ entrar ( i3a) nell’ argomento stesso, le nazioni ed i luoghi più conoscimi dell’ orbe abitato» Degli Asiani e degli Egizii basterà far menzione incominciando da’ tempi ora discorsi : che la storia de’ loro antenati ia da molti pubblicala, ed a tutti è nota, e a' nostri tempi la fortuna non fece incontrar loro nessuna straor­dinaria mutazione, sicché fia d’ uopo rammentar le vi­cende de’ loro maggiori. Ma intorno la nazione degli Achei, e la casa di Macedonia cadrà in acconcio di risalir brevemente a tempi anteriori ; dappoiché questa è ài tutto disfatta, laddove gli Achei, (133) siccome accenammo di sopra , prosperan oggidì maravigliosa­mente mercé della loro concordia. M olli, a dir vero, tentaron in addietro d’ indurre i Peloponnesi a cotal utile unione , ma nessuno vi potè riuscire , sendochi ciascheduno per la propria Signorìa si affaticava, e non a prò della comune libertà. La qual cosa tale e tanto incremento e perfezione consegui a* nostri giorni , che non solo amicizia eri alleanza strinsero tra loro , ma nsan ancora le stesse leggi , gli stessi pesi, misure e monete, ed oltre a ciò hanno i medesimi maestrali , senatori e giudici. In somma, nulla manca al Pelopbn- neso perchè abbia la forma d’una sola città, fuorché 1' esser i suoi abitanti cinti dalle stesse mura. Le altre

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J,diR. cose tu lle , coti in comune} come nelle singole d u i ,1 sono eguali»

XXXVIII. (134) Primieramente non sarà inutile ap­prender , come e per qual guisa il nome di Achei prevalse presso tulli i Peloponuesi : che coloro i qutli dapprincipio ebbero questa patria denominatone , non erano ragguardevoli per estensione di terreno , nè per moltitudine di città , nè in ricchezza, nè in valore gli altri avanzavano, essendo la nazione degli Aroadi, e similmente quella de'Lacedemoni, per numero di gente, e vastità di dominio, di gran lunga a quelli superiori, e la palma del valore non avendo i mentovati popoli ceduta giammai ad alcuno de* Greci. Come adunque e perchè questi, e tutti gli altri Peloponnesi, il governo degli Achei e la loro denominazione ( i35) di buon grado assunsero ? Dire che fosse opera della fortuna non couvieoe in alcun modo : che frivolezza sarebbe. Sibbene cercar ne dobbiam più tosto la causa , senza cui nè le cose conforai alla ragione, nè quelle che ne sembrano esser aliene , possono aver effetto. La qnal causa è , per mio avviso , questa. Non troverà alcuno sistema più sincero di uguaglianza e di franchigia, e di ogn’ istituto che appartiene a vero governo popolare, di quello ch’esiste presso gli Achei. Alcuni Peloponnesi abbracciaronlo spontaneamente; molli vi furon indotti colla persuasione e col ragionamento , ed alcuni che per congiuntura il ricevettero forzati, tosto 1’ ebbero a grado. Imperciocché non essendo rimasto a’ primi fon­datori privilegio alcuno , ed accordandosi eguali diritti a quelli che audavansi accettando , giunse colesta re-

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pubblica ben presto al suo intento, per m euo di dne A.diR. cooperatori potentissimi , dell* eguaglianza , e della be­nevolenza. Quetta è dunque da reputarsi U prima e genuina causa della concordia, per cui i .Peloponnesi conseguirono la presente felicità. Le massime pertanto e la forma di governo testé addotte , vigevan eziandio in addietro tra gli Achei ; locche è manifesto per molti documenti, de’ quali basterà al presente, per aggiugner fede a’ nostri de tti, addurne uno o due.

XXXIX. Allorquando nella parte d* Italia eh' era appellata Magna Grecia, ( i36) ani furono i collegii de’ Pkagorei, insorse tosto un movimento universale negli'stati, confórme accader dovea, poiché cosi ina­spettatamente eran periti gli uomini principali di cia­scheduna città. Laonde empieronsi tutte le città greche in quelle contrade d'assassinii, di ribellione, e d’ogni maniera di scompiglio. A’ quali tempi essendo da quasi tutte le parti della Grecia mandati ambasciadori per procurar un' accomodamento, a’ soli Achei ed alla fede loro si rimisero per liberani da’mali che li stringevano.Né allora approvarono soltanto la costituzione degli Achei, ma dopo qualche tempo al tutto si diedero ad imitare la loro forma di governo, ed esortandosi tra loro ed accordandosi i Crotoniati,. i Sibariti, ed i Cauloniali, stabilirono dapprima un comune sacrario a ( 137) Giove Accordatore, ed un luogo in cui tene­vano le ragunanze ed i consigli ; poscia si presero i costumi e le leggi degli Achei , e se ne valsero nel- 1* amministrazione della repubblica ; ma dal dominio di Dionigi Siracusano, e dalla prepotenza de’ Barbari che

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A. di R. abitavan loro dintorno Impediti furono d’ eseguirli, ed a mal grado loro e per necessità li lasciarono. In ap­presso essendo i Lacedemoni inaspettatamente stali scoti» fitti ( 138) nella battaglia di Leuttra, ed i Tebani contra ogni speranza ottenuto avendo il principato della Gre­cia , gran turbamento nacque fra tutti i. G reci, e mas* ■imamente fra gli anzidétti, dappoiché gli (139) uni non si confessavano vinti, gli altri non credevano d’aver riportata vittoria. Tuttavia e Tebani e Lacedemoni fe­cero arbitri delle lóro contese 1 soli Achei fra tutti i Greci, non riguardando alla loro potenza, come quelli che allora in Grecia eran i meno possenti, ma più presto alla loro fede ed onesti: che tal era allora l’ o­pinione cbe tutti sema contrasto aveano degli Achei. Sebbene a quel tempo non avean essi che la nuda vo­lontà, e nessun effetto o alto memorabile, appartenente all’ accrescimento del loro stato , ne conseguitava ; sen- doché surger non poteva un capo degno de’ loro con­sigli. Che se pur talvolta se ne mostrava alcuno, offu­scato egli era ed impedito , quando dal principato dei Lacedemoni, quando , e ciò più sovente , da quello de* Macedoni.

XL. Ma poiché trovarono, finalmente capi di vaglia, fecero ben presto manifesta la loro possanza, recando a compimento un’ opera bellissima , la concordia dei Peloponnesi. Della qual impresa tutta é da stimarsi autor e duce Aralo da Sicione , promotore e consumatore Filopemene da Megalopoli ; ma (rzfo) stabile alquanto la rendette Licorta e quelli eh’erano della sua sentenza. Ma ciò che ciascheduno fece, e come , e quando,

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e’ ingegneremo d’ esporre ( 14 1 ) secondochè sarà con- A. £ B. veniente alla nostra ragione di scrivere. Le cose pertanto amministrate da Arato , ed ora e poi rammenteremo sommariamente, avendo egli intorno alle proprie gesta ( i4>) composte memorie con Inolia verità e chiarezza.Quelle che ad altri ‘appartengono narreremo con mag­gior accuratezza ed estensione. E sembrami che più fa» cìle sarà per riuscir a mè la sposizione, ed a’ leggitori più spedila 1’ intelligenza, se incominceremo da quei tempi p in cui essendo state da’ re di Macedonia divise le città della nazione Achea, ebbe nuovamente principio il mutuo consenso delle stesse città, donde avvenne che la nazione andò sempre crescendo , finché giunse al- l’ apice ov’ è a’ nostri giorni, del quale abbiamo testi 043 ) alcun pòco discorso.

XLI. Volgeva l’Olimpiade centesima vigesima quarta, Olim. quando i Pairei ed i Dimei incominciarono ad esser CUI¥ concordi, a’ tempi in cui passarono di questa vita To- lemeo di Lago, Lisimaco, Seleuco e Tolemeo Cerauno, i quali tutti morirono circa 1’ Olimpiade anzidetta. Nel*1’ età a questa anteriore tal era la situazione della na- zion Achea. Da ( i44) Tisamene, ch’era figlio d’Oreste, ed al ritorno degli Eradidi scaccialo di Sparta occupò le terre d’ Achea,'continuò una discendenza non inter­rotta di regnanti sino ad ( i45)Ogige. Da’ figli del qnale alienatisi poscia, perchè non colle leggi ma coll’arbitrio li governavano, mutarono il lor reggimento in Signoria popolare. Ne’ tempi appresso sino a* regni di Alessandro e di Filippo, variarono le loro vicende secondo le cir­costanze : tuttavia ingegnarono sempre di conservar

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A,diR. nella loro repubblica, conforme dicemmo, lo ciato po­polare. Era la loro democrazia composta di dodici d u i , cbe vi durano ancora , tranne ( i 46) 01 eoo, 0 4 ?) ed Elice, cbe fu ingojata dal mare pooo avanti la battaglia di Lettura. Queste ciui sono, Patta , D im e, F a ra , Tritea, Leonzio, Egira, Pellene, Egio, 048) Bnra, Ce- rinea, Oleno ed Elice. Dopo la morte d’Alessandro, ed innanzi all’ Olimpiade testé mentovata, vennero in tanta discordia e mal umore, massimamente per opera de’re di Macedonia, cbe lotte le d u i , l’ Una dall* all» se­parala reggevansi in modo contrario alla vicendevole loro utilità. Donde avvenne die Demetrio e C aynJro, e poscia Antigono Gonata in alcune d’ esw posero guerntgione, ed altre governate farono da tiranni. Il qual Antigono sembra cbe molte Signorie assolate in-

470 traducesse fra i Greci. Circa la centesima vigesima quarta Olimpiade, siccome dissi di sopra , pentitisi incomin­ciarono un’ altra fiata a concordare ; e dò avvenne quando Pirro tragittò in Italia. I primi ad unirai furon quelli di Dima, di Patra , di Tritea, di Far» ; qui odi é cbe non (i4g) esiste neppur una colonna, la quale alleati il oomun governo di queste d u i. Dopo cin­que anni arca gli Egiei espulsero il loro presidio , e farono ricevuti nella lega ; appresso questi i B orii, poich’ ebber acci10 il loro tiranno. Insieme con essi repristinaronsi i Cerind; perciocché reggendo Isea die a quel tempo era di Cerinea tiranno , cacciato fnor di Egio il presidio, morto per Marco e per gli Achei il Signore di Bura , e sè stesso prossimo ad aver guerra da ogni lato , depose l’ impero, e preso salvo condotto dagli Achei, aggiunse la città alla loro unione.

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XLII. Ora in grazia di cbe con io risalito a quéi A.&R. tempi ? Primieramente afGnchè fia manifesto, come, e quando, e quali fra gli antichi Achei furon i primi a rimetter il presente stato. In secondo luogo, perchi quanto dicemmo delle loro istituzioni fede acquisti, non dall* asserzione nostra,' ma da’ feti! stessi, essere, cioè,•tata sempre la massima fondamentale degli Achei di offerir a tutti 1’ eguaglianza e la liberti eh’ è tra loro, e di ‘far guerra e combattere di continuo con quelli che colle proprie forze o ajutati da qualche re ridneon ( i5o) in servaggio le loro patrie. La qnal opera in colai guisa e con tale intendimento compierono , parie da sè, parte col soccorso degli alleati. Imperciocché i (esaltamenti conseguiti coll’ assistenza di quelli in lai particolare ne’ tempi posteriori, riferirsi debbono alla costituzione degli Achei , i quali, avendo prestata la lor opera a m olti, e singolarmente a' Romani in ben molte e bellissime fazioni, non desiderarono giammai per sè emolumento alcuno nelle vittorie, ma in premio di tutto l’ impegno , con coi aveano serviti gli alleati, riserbavansi la libertà di ciascheduno e la comune con­cordia de’ Peloponnesi. Queste cose pertanto meglio si comprenderanno dalle stesse gesta.

XLUL Venticinque anni si ressero in comune- le cxxxi o t t i mentovate, eleggendo in giro un segretario gene- **°° rale e due Pretori. Poscia parve loro di crearne nn aolo , ed affidar a lui tutti gli affari , ed il primo cni toccò quest'onore fu Marco da Cerinea. ( 151) Quattro anni dopo la cosini pretura, Arato da Sicione in eli di vent’ anni, liberala avendo la patria dalla tirannide

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J.dìR. col suo valore ed ardimento, collegolla con la repnb- 5o4 blica degli Achei, della costiamone de’ quali egli fino

da' primi sooi anni era invaghito. Eletto pretore la se­conda volta, e presa per via di segrete pratiche la rocca di Corinto, presidiata dà Antigono , francò da grande timore gli abitanti del Peloponneso, e liberò i Corìnti!,

cxxxiv che aggiunse alla lega Achea. Nella stessa magistratura 5 i l ( i5a) ebbe per maneggi la città di Megara, e la diede

agli Achei. Ciò avvenne 1’ anno innanzi alla rotta dei Cartaginesi, per coi, sgomberata latta la Sicilia, ridótti furono la prima volta a pagar tribaio a’ Romani. Arato dunque, avendo in breve tempo fatti grandi progressi, ( i53) continuò del resto a governare i popoli Achei per modo, che tatti i suoi disegni e latte le sue azioni ad un fine solo diresse , il qual era, di scacciar i Ma­cedoni dal Peloponneso, di disfere le Monarchie , e di assodar a ciascheduno la cornane e patria libertà. Men- trechè vivea Antigono Gonata , egli, opponendosi alle sue mene ed all* avidità degli E loli, amministrava tatto con ottimo saccesso : sebbene a unto giunse l’ iniquità e 1* audacia d’ amendue, che fermaron tra loro trattata di dividere le popolazioni Achee.

XL1V. Morto Antigono, e confederatisi gli Achei cogli Etoli, coi prestarono valorosa assistenza nella guerra contro Demetrio, cessate per allora le avversioni e gli sdegni, insinuarono tra loro sociabili ed amiche disposizioni. Ma regnalo avendo Demetrio soli dieci anni ed essendo morto circa ( i54) il tempo in cui i Romani fecero il primo tragitto nell’ Illiria, un corso di felici eventi secondò gli antichi disegui degli Aclie*.

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Imperciocché i tiranni del Peloponneso , perduta ogni A. di R. speranza pella morte d’ Antigono , che forniva loro (pese e soldo, e minacciati da Arato, il quale sapevano 5a i e che cessar volea le Signorie, ed a quelli che ì avrebbon seg* ubbidito offeriva grandi premii ed onori, ma « chi cxxxvi non gli badava maggiori mali e pericoli sovrastar f^cea dagli Achei, i mentovati tiranni, dico, presero il par­tilo di deporre le Joro Signorie, di liberar le proprie patrie e di farsi partecipi del governo degli Achei. Li- diada da Megalppoli pertanto, vivente ancora Demetrio, di propria elezione, da quell’uomo sperimentalo e pru­dente eh’ egli era, rinunziò alla tirannide ed entrò nella lega nazionale._Poscia Aristomaco tiranno d’Argo, Se- none di Ermiona, e Cleonimo di Fliasia, deposero il dominio assoluto e furono incorporati colla democrazia degli Achei.

XLV. Essendosi per siffatti accrescimenti molto ag­grandita la nazione degli Achei, gli Etoli che peli’ im­probità ed avarizia loro innata portavan a quelli invidia, ma sovrattutto nella speranza di dividere le città , ric- come avean un di divise <i 55) con Alessandro le città d ’ Acarnania, e quelle degli Achei tentalo ebbero di darle ad Antigono Gonata; gli Etoli, dissi, allora pure, di simile speranza gonfìi, osarono di associarsi ed unir le loro forze con ( i56) Antigono, che a que’ tempi governava i Macedoni, qnal tutore di Filippo ancor fanciullo, e con Cleomene re di Sparla. Imperocché veggendo essi che Antigono signoreggiava la Macedonia sicuramente , e peli’ affare della rocca di Corinto era indubitato e manifèsto nemico degli Achei, credevano

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A.àift. che, ove associati avessero i Lacedemoni alla loro im­presa , ed indouili ( i 5 j ) ad iuimicar anticipatamente quella nazione, più agevolmente l'avrebbooo debellila, assaltandola a tempo opportuno, e traendo loro la guerra addosso da tutte le parti. Locchè probabilmente avrebbono in breve eseguito, se omessa non avessero la principal avvertenza; non cadendo loro neppure nel- 1’ animo di dover lottare con Arato , uomo capace di rendersi propizia ogni circostanza. Laoude incominciando a rimestare ed a muover armi ingiuste, non che otte* nesiero I* intento, avvenne loro il contrario, e crebbero forza ad Arato eh' era allora capo dello slato, ed alia nazione stessa : cbe quelli con ogni maggior industria traeva le cose a suo vantaggio , e guastava i loro di- aegni. E come egli la somma degli affari amministrasse sarà manifesto per ciò che diremo.

XLVI. Considerando Arato che gli Eloli vergogna­t a c i di far apertamente la guerra agli Achei, troppo recenti essendo i beneficii cbe da loro aveano ricevuti nella guerra con Demetrio; ma che consigliavansi coi Lacedemoni , ed a tal giugnea 1’ invidia che portavano agli Achei, che avendo Cleomene tolte loro per frode ( i58) Tegea, Mentine» ed Orcomeno, città non solo alleate degli Eloli, ma eziandio parte della loro repub­blica , essi non che ne fossero irritati, gliene confer­marono il possesso , e che coloro i quali in addietro, valendosi d’ ogni pretesto, facean per avarìzia la guerra anche a chi non gli avea punto offesi, allora lasciavansi mancar di fede , e di buon grado perdevano le pià grandi città solo per render Cleomene rivale degli Achei

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più «officiente; ciò considerando, egli, ed insieme tolti A.diR. i capi della repubblica Achea, determinarono di non muuver le armi conica nessuno , sibbene di opporsi ai disegni de'Lacedemoni. Questi furooo i loro primi peu- aieri, ma come poscia osservarono che Cleomene auda-< cernente fabbricava il cosi detto ( i5g) Ateneo nel ter- riiorìo de’ Megalopolitani, dichiarandosi loro manifesto ed acerbo nemico, convocali gli Aobei a ragunanza , presero di spiegar a’ Lacedemoni aperta inimicizia. Tal

fa il principio della guerra Cleomenica, ed a que’tempi 5ag avvenne. cxxux

XLVII. Dapprima gli Achei, opposero a’Lacedemoni le proprie forze, stimando bellissima cosa non riceverà da altri la salvezza, ma da sé salvar le ci Iti e la cam­pagna , e voleudo insieme (160) conservarsi amici di Tolemeo pe’ beneficai da lui ottenuti, e non apparire di stender altrui la mano. Ma avendo nel progresso della guerra Cleomene abolita in patria 1’ antica forma di governo , e cangiata in tirannide la legittima potesti regia , e guerreggiando egli con accortezza ed insisten­za , A m o preveggendo l’avvenire e temendo 1’ astuzia e 1’ ardire degli Etoli , risolvette prima d’ ogni cosa di render vani i loro disegoi. Conoscendo Antigono uomo (161) attivo ed intelligente , e tenace di fede, ma sa­pendo aluesl bene, come (i6a) i re per natura non reputan nessuno n i inimico ni amico, ma l’ militi hanno sempre per misura delle loro nimicizie ed ami­cizie , prese ad abboccarsi col mentovato re , e ad in­trodurre seco lui pratiche, facendogli vedere l’ esito che avrebbono questa faccende. ■ Ma di operar ciò pale-

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R. semente credeva egli non convenirsi per più ragioni. Imperciocché Cleomene e gli Eloli sarebbesi procacciati rivali a’ suoi disegni, ed il volgo degli Achei avrebbe disanimato ricorrendo a’ nemici, e sembrando al tatto disperar delle proprie forze, locchè a nessun patto aver volea voce di fare. D perchè intendeva egli di maneg­giar ciò che proponevasi segretamente. Donde avvenne che fh costretto a dir e a fare molte cose in pubblico conlro alla propria opinione, e di nascondere quanto macchinava. Pe’ quali riguardi egli qualcuno di questi sifari non inserì nelle sue memorie.

XLVIU. Sapeva egli che i Megalopolitani molto sof­ferivano nella guerra, perciocché confinavano colia La­cerna , e più degli altri esposti erano alle ostilità , e che non riceveano la dovala assistenza dagli Achei, l quali oppressi Irovavansi dalle circostanze ; conosceva inoltre esser essi affezionati alla casa di Macedonia, sino da’tempi in cut ( 163) beneficali furono da Filippo figlio di Aminla. Quindi arguì, che stretti da Cleomene ricorsi sarebbono ad Antigono, ed ogni speranza avreb* bon riposta ne’ Macedoni. Comunicò adunque segreta­mente tulio il suo disegno a Nicofàne e Cercida Me­galopolitani , eh’ erano suoi ospiti paterni, ed acconcii all' opera da lui meditala. Per mezzo di questi facil­mente ottenne da’ Megalopolitani di mandar un’ amba­sceria agli Achei per esortarli a procacciare soccorsi da Antigono. Elessero pertanto quelli da Megalopoli Nico- fane e Cercida ad ambasciadori presso gli A chei, e di li tosto presso Antigono , ove la nazione fosse per ac­consentire. Gli Achei accordarono a’ Megalopolitani di

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mandar ambasciadori, e Nicofane col collega non in- A. di dugiò di recarsi al re , cui intorno alla su* patria dis­sero brevemente ed in succinto quant’ era. necessario ; ma circa la somma degli affari ragionarono molto se­condo le incumbenze e le insinuazioni di Arato.

XLIX. Le quali erano , di porre sott’ occhio al re F intelligenza degli Etoli e di Cleomene, qual forza avesse ed a che mirasse ; d’ esporgli, come i primi a temerne avrebbon ad essere gli Achei , e dopo questi Antigono ancor maggiormente. Imperciocché, come non possano gli Achei resistere alla guerra mossa da amen- due , facil cosa esser a comprendersi ; ma come gli Etoli e Cleomene, soggiogati quelli, non sarebbono contenti nè arreslerebbonsi nel corsp della vittoria , es­ser , a chi vi pone mente, più agevol ancora a cono­scere. Che 1’ avarizia degli Etoli non che il Pelopon­neso , i confini della Grecia non sazierebbono, e 1’ am­bizione di Cleomene ed ogni suo disegno tender al presente al dominio del Peloponneso, ma ove ciò con* seguisse, incontanente agognerebbe alla sovranità di tutta la Grecia, a cui giugner non potrebbe senza pria disfare il regno di Macedonia. II pregaron adunque

considerasse, volgendo Io sguardo all’ avvenire , se più util sarebbe a* suoi aiiàri di guerreggiar (i64) insieme cogli Achei e co’ Beozii nel Pelopooneso contro Cleo­mene , pel principato della Grecia , ovveramente di ne­gligere una tanta nazione, e combatter in Tessaglia cogli Etoli e co’Beozii, ed oltre a ciò cogli Acbei e co’La­cedemoni peli’ impero di .Macedonia. Che se gli Etoli, compunti di vergogna pella benevolenza dimostrata loro

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A. din. dagli Achei <i65) a’ tempi di Depiètrio , sr infingessero di star cheli, siccome fan ora, gli Achei eoo Cleomene solo pugnert-bbono , e ove la fortuna li secondasse me* sii eri non avrebbono di soccorsi ., e se loro fosse con­traria , e gli Eloli pure gli attaccassero, esortaronlo , badasse a quanto facevasi , e non ai lasciasse fuggir 1' occasione di salvar i Peloponnesi, finaltantocbè pos- sibil fosse. Della lor fede e gratitudine dover egli viver sicuro, dappoiché al momento dell’ esecuzione avrebbe Arato trovate guarentigie tali, che ad amendue sareb- booo piaciute, ed avrebb’ egli eziandio significalo il tempo opportuno per mandar i soccorsi.

L. Antigono, sentite queste cose , e sembrandogli (166) vere ed importanti le indicazioni di Arato , si diede in appresso ad osservar attentamente ciò che ope- ravasi. Scrisse pnr a’ Megalopolitani , promettendo loro ajuli, quando gli Achei gli avessero voluti. Nicofane e Cercida , rito l'ha ti a casa , consegnarono la lettera del r e , ed esposero la benevolenza e I1 animo propenso di lui: onde i Megalopolitani erano tulli confortali, e parca a loro mill’ anni di andare al congresso degli Achei é di esortarli a chiamar Antigono, ed a mettere solleci­tamente gli affari nelle sue m ani. A ralo, informalo privatamente da Nicofane dell’ intenzione del re , verso degli Achei e verso di lui, nou é a dirsi se fosse lieto che non eragli riuscito vano il suo ritrovamento, e che Antigono al postutto non si scorgesse da lui alieno, sccondochè gli Eloli lo speravano. Mollo a proposito stimava egli che i Megalopolitani pronti si dimostrassero a far capo ad Anligo&o col mezzo degli Achei, massi-

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Blamente perchè, siccome «Essi di sopra , Codiava si di A. AH, non Abbisognar 4* ajulL Chè se fosse slato costretto a ricorrervi, non voleva egli ohe la chiamata venisse, d^■è solo , sibbene ancor più da tatti gli Achei. Imper­ciocché temeva, non il re , ove dopo il suo arrivo sog­giogali avesse Cleomene ed i Lacedemoni, meditasse alla fine qualche cosa contro alla loro repubbliaa , ed egli dalla comun opinione accagionato fosse di celai avvenimento { dappoiché a buon dritto sembrerebbe Antigono aver ciò fatto , pella grave offesa da Arato derivata alla casa di Macedonia nella presa della rocca di Corinto. Laonde venuti i Megalopolilani al comune consiglio degli Achei , e mostrata a questi la lettera che avean ricevuta, edr esposta loro tutta la benevolenza del r e , ed avendo inoltre chiesto che si chiamasse Antigono prestissimamenie , concorrendo in questo de­siderio la maggior parte degli Achei : Arato si fece innanzi, e commendata la benignità del r e , gli esortò con molle parole a far ogni sforzo per salvare da sè le città e la campagna : che nulla v’ avrebbe di più bello e di più vantaggioso. Che se la fortuna in ciò fosse loro avversa , dover essi, disse , pria esaurir lutti i proprii mezzi, poscia ricorrer agli ajuli degli amici.

LI. Poiché la moltitudine ebbe significata la sua ap­provazione ? fu decretato di non mutar nulla , e che gli Achei da sé eseguirebbòno la presente guerra. Ma poscia che Tolemeo, ( 167) lasciando per disperata la nazione Achea, incomiuciò a somministrar 1’ occorrente a Cleomene, con animo <f incitarlo conir' Antigono ( perciocché più speranza collocava se* Lacedemoni, che

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A.diR. non negli Achei per impedir i disegni de’ re di Mace­donia ) ed essendo dapprincipio gli Achei suti sconfitti presso al (168) Liceo in un combattimento con Cleo­mene in cui eransi per via avvenuti, e la seconda volta superati in una battaglia campale a (169) Ladocea di Megalopoli, ove cadde pur (170) Lidiada , e la terza al tutto rotti nel territorio di Dime presso Ecatombe*), ove pugnato aveano con tutte le forze , non permet­tendo gii dilazione lo stalo delle cose, costretti furono a ricorrer d'unanime consenso ad Antigono. Allora dunque mandò Arato suo figlio per ambasciadore ad Antigono , e fermò il trattato intorno agli ajuti. Ma recava somma difficolti ed imbarazzo il credere che il re non avrebbe prestati soccorsi, se pria non avesse ricuperata la rocca di Corinto, e formalo della città di Corinto il porto della guerra. Ni osavano gli Achei di consegnar Corinto a’ Macedoni contra la volontà degli abitanti. Il perchi fu dapprima differita questa delibe* razione , a fine di provveder alle guarentigie.

LII. Cleomene, spargendo terrore colle anzidette vit­torie , impunemente scorreva pelle città , prendeudo le une colla persuasione, le altre colle minacce. Per tal guisa ebbe Calila , Pellene, Fereo , A rgo, Fliunte, Cleone, Epidauro, Ermione, Trezene, e finalmente Corinto: indi accampossi presso a Sicione, e liberò gli Achei del maggior impaccio. Imperciocché avendo i Corinti! intimato agli Achei e ad Arato lor pretore di sgomberar la città e mandato a chiamar Cleomene, fu data agli Achei opportunità di addurre ragionevole pre­testo, del quale valulosi Aralo (171) data ad Antigono

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la rocca di Corinto, che allora tenevano gli Achei, J .& 1L cancellò il torto fatto alla sna casa, e gli forni un s«£- fidente pegno di fedeje sodetA peli’ avvenire , e , c& che più montava , preparò ad Antigono no punto forte per far la guerra a’ Lacedemoni. Cleomene, conosciuto il trattato che fecero gli Achei con Antigono, si tolse da Sidone ; e trasportò il campo all’ Istmo, chiudendo con steccato e fossa tutto Io spazio compreso tra la rocca di Corinto (172) ed i monti Onei : e giA ab­bracciava egli con ferma speranza il prindpato del Pe­loponneso. Antigono, che da lungo tempo era preparato, e stava in aspettazione degli avvenimenti, conforme fu da Arato ammonito, giudicando allora dalle nuove che gli giugneano , dover poco stante (173) Cleomene coll’ e- serdto penetrar in Tessaglia, mandò dicendo ad Arato e agli Achei che attenessero i patti, e venne colle sue forze (1 peli'Eubea nell’ Istmo : che gli E loti scal­triti dal passalo, volendo allora pure impedir che An­tigono non spedisse a ju ti, aveangli negato l’ entrata coll’ esercito nelle P orte , minacdandogli che altrimenti gli avrebbono colle anni vietato il passaggio. Antigono pertanto e Cleomene accamparonsi l’uno di rincontro all’ altro; quegli ingegnandosi d’ entrar nel Peloponneso, questi d 'im pedir ad Antigono l’ icgresso.

LUI. Gli Achei, sebbene non poco nella somma delle cose abbattuti, non desistettero tuttavia dal loro pro­ponimento, n i rinuuziarono ad ogni speranza. Ma come prima Aristotele Argivo insurse contra i Cleomenisii, vi accorsero, e col Pretore (175) Timosseno, entra­rono di soppiatto in Argo e la presero. Dal qual av-

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a . £ h. venimento é da credersi che derivasse principalmente, il ristabilimento de’loro affari, perciocché ne fi) ralle­nulo 1* impeto di Cleomene, ed avviliti gli animi dei aoldati, conforme da’ fatti «lessi apparve. Conciossiaché, quantunque egli occupasse i luoghi più opportuni, e più che Antigono abbondasse di provvigioni, e con maggior audacia ed ardor di gloria si foste spinto in­sanii (176); non si tosto riseppe egli aver gli Achei preso Argo, che, levatosi di repente , lasciò i van­taggi testé indicali, e ri li rossi quasiché andasse in volta, temendo non da ogni lato gli fossero attorno i nemici. Giltatosi in Argo , alcun poco vi si sostenne, ma fii poscia valorosamente scacciato dagli Achei, e dagli A r­givi ancora , che il pentimento stimolava ; onde lasciò questa impresa, e per la strada di Manlinea si ridusse a Sparta.

LIV. Antigono pertanto entrò a salvamento nel Pe- loponoeto , e ricevette la rocca di Corinto, ma non vi si trattenne punto , e seguitando il corso degli avvenimenti venne ad Argo, donde lodati i cittadini, e dato ordina a’ pubblici affari, mosse tostamente alla volta di Arca­dia. Espulse i presidi» dalle castella fabbricale da Cleo­mene nel territorio (177) Egitico e Beiminate, e con* segnali que’ luoghi V Megalopolilani andò al congresso degli Achei in Egio. Colà rendette ragione delle sue gesta, e deliberato eh’ ebbe su ciò che restava a farsi, fu eletto a duce di tulli gli alleati ; poscia andò alle stanze, e soggiornò qualche tempo a Sicione ed a Co-

cnx ix l'imo. In sull’ incominciar della primavera si parli di lù 53o coll' esercito , e arrivato in tre giorni a Tegea, ove gli

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vennero incontro gK Achei, vi pose attorno'il campo, J . i£JL e principiò ad assediarla. I Macedoni usavan asudoa- tnente ogni arte nell’ assedio, e scavavano mine, per modo che i Tegeati perdettero tosto la speranza di tal» varai e si arrendettero. Antigono, afforzata la d iti , continuò l’ impresa, e prosegui io fretta verso là La» conia. Come fn vicino a Cleomene, ch^erasi stanziato a’ confini del suo territorio, andava tastando, ed ap> piccava qualche scaramuccia; ma avvisato dagli espio» ratori che i soldati d’ Orcomeno (176) eran venuti in •occorso di Cleomene, levò subito le tende , ed avviossi a quella città che prese d’ assalto. Accampatosi poscia nei dintorni di Man linea -vi pose l’assedio. Questa pure, sbigottita de’Macedoni, si diede in suo potere; ond’egli levatosene, progredì verso Erea e Telfusa. E prese quesie città ancora , gli abitami delle quali spontanea* mente a lui si accostarono ( 179), essendo già vicino il verno, fu in Egio al congresso degli Achei. I Mace­doni mandò tutti a svernar in patria, ed egli iuterte- sevasi cogli Achei, e seco loro si consigliava circa gli imminenti affari.

LV. Frattanto veggendo Cleomene che I’ eserdto era licenzialo e che Antigono soggiornava co’ mercenarii in Egio, Ire giornate sole distante da Megalopoli, la qnal duà sapeva eh’ era difficile a guardarsi pella sna va­stità e solitudine , ed allora con negligenza cuslodivasi per cagione, della presenza d’Antigono , e conoscendo altresì, locchè maggiormente importava, come perita era quasi lutta la gioventù nella battaglia del Liceo , e poscia in quella di Ladocea ; valuto si dell’ opera di al-

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A. diR. cani ( 180) fuoruscili di Messene che dimoravano a Me- galopoli, per mezzo -di loro clandestinamente di notte­tempo vi s’ introdusse. Venuto il giorno poco mancò, che non solo fosse scacciato, ma che al tutto rimaneste sconfitto pel coraggio de' Megalopolitani, non, altrimenti che gli era accaduto tre mesi addietro , quando entrò segretamente nel luogo (181) della città denominato alla spelonca; ma allora pella moltitudine de’ soldati, e per* chè avea preoccupati i siti più opportuni, gli riuscì l’ impresa , ed alla fine , espulsi gli abitanti, tenne la città. Fattosene signore, tanto crudelmente la guastò, che nessuno sperava poter essa uu1 altra volta abitarsi. La qual cosa, secondochè io credo , egli fece , perché in qualsivoglia più dura circostanza, nè tra (18») i Me* galopo!itani, nè tra gli Stinfalii, potè procurarsi ano che favorisse la sua fazione, o partecipasse le sue spe­ranze , o gli tradisse la patria. Che i generosi e libe­rali Clitorii un uomo solo vituperò colla sua scellera­tezza; Tearce, che i Clitorii meritamente negano esser nato tra loro, ma dicono supposto figlio di certo sol­dato veuulo da Orcomeno.

LVI. Ma dappoiché v’ ha taluno che intorno agli avvenimenti di que’ tempi, descritti da Arato, stima di maggior fede meritevole Filarco ( 183), il quale in molte cose è di parere diverso , e riferisce il contrario ; sarà utile, anzi necessario , che no i, come quelli che nella sposinone delle gesta di Cleomene abbiam preferito di seguir Arato, non omettiamo di discutere cotesto par­ticolare (i84), affinchè per la nostra omissione non avvenga che la menzogna e la verità icaggan egual fona

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dalle scrittore. È da sapersi adunque, come Filarco in A. di R. (aita la sua storia moke cose asserì temerariamente e a caso. Se non che circa gli altri fatti non accade ora censurarlo, n i far minuta disamina ; ma tutto ciò che s’ abbatte a’ tempi di cui scriviamo, cioè a dire a’ tempi della guerra Cleomenica, è d’ uopo che di proposito investighiamo. Locchè basterà per far conoscere tuttolo ( i85) spirito ed il valore della sua storia. Volendo Filarco far chiara la crudeltà di Antigono e de' Mace­doni , ed insieme quella di Aralo e degli Achei, dioe come i Mantinesi, venuti in potere de’ nemici, caddero in grandi sciagure, e come la città più ricca e più grande di tutta l’Arcadia fu da tali disgrazie sbattuta, che tutti i Greei posti ne furono (186) in agitazione e tratti a lagrime. Ed ingegnandosi di muover a pietà i leggi­tori , e d’ intenerirli colla sua relazione , introduce ab­bracciamenti di donne, e capelli stracciati, ed ignuda mammelle, oltre a ciò lagrime e lamenti d‘ uomini e di donne, che promiscuamente co’ figli e co* vecchi ge­nitori vengono via menati. E ciò fk egli per tutta la storia , studiandosi sempre di porre sott’ occhio quanto v’ ha di più spaventoso. Lascio ciò che siffatto stile ha di abbietto e di femminesco, ed esamino soltanto la parte propria ed utile della storia. Dee pertanto lo sto* ri co , non colpir i leggitori col sciorinar fatti miraco* losi, nè ricercar discorsi probabilmente tenuti, e anno- ■ veiar ogni conseguenza degli avvenimenti che trattansi, conforme £mpo i compositori di tragedie; sibbene ha egli a rammentar i fatti e i detti secondo la verità, quand’anche per avventura sieno al tutto (187) comuni.

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A.iiM. Imperciocché non hanno Moria e tragedia il medesimo scopo. Questa eoa ragionamenti al sommo probabili desta di presente negli uditori maraviglia e diletto; quella per via d’ azioni e di discorsi veri ammaestra e persuade i curiosi per tutti i secoli avvenire ; dappoiché nella tragedia regna il verosimile , quantunqne aia meo- ■oguero (i8N), a fine d’ aggirare gli spettatori: laddove nella storia ha il vanto la verità, affinché cLi brama d ’ istruirsi ne tragga profitto. Oltreché quella espone le maggiori vicende, e non soggingne la causa ed'il modo dell' avvenuto, senza cui né impietosir con ra­gion e , né convenevolmente sdegnarsi può alcuno di qualsivoglia avvenimento. E chi è colui che non freme degli stracii d’uomini liberi t Tuttavia ove patisca tale che fu autor d’offese, ciascheduno gùvlica che bene gli stà. E se ciò mira a correzione ed ammaestramento, quelli che straziano siffatti uomini liberi «on eziandio reputati degni d’onore e di riconoscenza. Ora massimo delitto è stimato uccider i cittadini, e meritevole dei maggiori snpplizii, comechè chi uccide un ladro o nn adultero sia manifestamente dalla pena assolto, e chi punisce un traditore o un tiranno oitenga presso tutti i primi onori. Cosi in ogni cosa la fine del giudizio su ciò che (189) lode o biasimo si merita non dipende già da’ fatti stessi, ma dalle cause e delle intenzioni di chi li commette, e dalle loro differenze.

LYLL 1 Mantinesi adunque dapprima spontaneamente rinunziarono alla repubblica degli A c h e i e diedero sé e la loro patria agli E toli, poi a Cleomene. Abbrac-* ciato eh’ ebbero questo partito, e facendo^ià parte delio

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«tato de' Lacedemoni, quattro anni avanti 1’ arrivo di A.dilt. Antigono espugnati furono dagli Achei, avendo Arato tenute pratiche uella città. Nel qual tempo furono tanto lungi dall’ essere severamente puuiti del delitto lummen* tovato, che anzi andava per le bocche la repentina mutazione di volontà in amendue. Imperciocché non ai tosto ebbe Arato occupala la città, che ordinò a’ auoi di non toccar nulla della roba altrui; poscia ragunò i Manliuesi, e confortolli a non temere e ad attender ai proprìi affari : che sicuri vivrebbono in società di go­verno cogli Achei. I Mantinesi, cui surse impensata e tnaravigliosa speranza, tutti netl'istante si ridussero a sentenza contraria, e gli atessi, che non ha guari, pu­gnando cogli Achei, erausi (190) veduti (191) perite dinanzi molti de' loro consanguinei, e non pochi cadere gravemente • feriti , introducevano quelli nelle proprie case, e facevanli commensali di sé e della famiglia , e nessun atto di benevolenza verso di loro omettevano.£ ben a dritto ciò fecero. Cbe io non sò , a chi tra gli uomiui sieno toccati nemici di miglior animo, nè se mai alcuno lottasse coti minor danno contro le più gravi sciagure di quello che avvenne a’ Mantinesi, mercè dell’ umanità che loro usarono Arato e gli Achei.

LVI1I. In appresso , avendo sentore di qualche mo­vi*- nto intestino, e delle macchinazioni degli Eloli e d ° rS icedemoni, mandarono per ambasciadori chiedendo un presidio agli Achei. I quali avendo loro compiaciu* to , trassero a sorte trecento de’ suoi, che lasciala la patria e le fortune si partirono e dimorarono in M:in«

linea a guardia della libertà e della salvezza de’citta-

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J. £B . din!. Con esii spedirono pare dugento mercenarii, i quali insieme cogli Achei conservarono l’ ordine vigente. Ma non molto dopo, sollevatisi i Mantinesi, chiamarono i Lacedemoni, e consegnaron loro la città, trucidando gli Achei che tra loro soggiornavano: sceilerateua, della quale più grande e più terribile non è fàcile a

dini ; dappoiché, per quanto avessero risoluto di an­nullar ogni amicizia e riconoscenza verso quella (ia­sione , dovean essi non pertanto risparmiar la mento­vata gente, e lasciarla tutta andare sotto la fede dei trattati: la qual cosa è costume di accordar perfino ai nemici, secondo il diritto comune delle genti. Ma essi per dar un sufficiente pegno della loro fede a Cleo- mene e a’ Lacedemoni nell’ impresa che meditavano, trasgredirono le leggi dell' umanità, ed il più orrendo misfatto eseguirono di proprio mòto. Ora di qnal indi­gnazione non sono meritevoli coloro i quali barbara­mente micidiali divennero di quegli stessi, che presi avendoli in addietro colla fona diedero loro impunità, ed allora custodivano la loro libertà e salvezza f Qnal supplizio stato sarebbe condegno a tanta colpa f D iri forse taluno: (iga) venduti esser dovevano co’ figliuoli e colle donne, poiché furono debellati. M a, secondo le leggi della gnerra, soggetti sono a ciò sofferire ezian­dio quelli che nessuna empietà hanno commessa. Adun­que si meritaron essi ben più grande e segnalata f ii- zione , per modo che, quand’ anche avessero patite quelle cose che narra Filarco, nessuna compassione conseguir dovrebbono da’ G reci, i quali auzi più presto lode ed approvazione tributata avrebbono a’ vendicatori

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unta scelleratezza. Ciò non di meno, altra disgrazia A. dì ft. non tessendo seguita a’ Mantinesi, fuorché d’essere state rapite le loro sostanze, e vendute le persone liberei quello scrittore', spacdator ili miracoli, non solo affa­stellò mere bugie » ma bugie incredibili ancora, e per eccesso d’ ignoranza non ha saputo quanl’ era più ov­vio; come gli stessi Achèi insignoritisi nel medesimo tempo per forza di Tegea, nulla fecero di simile. Ma se la vera causa di que’ fatti stala fosse la loro cru­deltà , ragion voleva che questi pure, cadnti nell’ epoca stessa , sofferte avessero eguali pene. Ora , avendo essi fatta colai distinzione ne’ Mantinèsi soltanto , manifesto egli è cbe la causa dell’ ira coatra di loi o fu molto grave.

LIX. Oltre a ciò, dice il medesimo, come (193) Aristo- maco argivo, uomo di' nobilissima casa , che1 fu già ti­ranno d’Argo * e discendeva da .tiranni, caduto nelle mani d’ Antigono e degli Achei, fa menato a (<94) Ven­erea , e morto con tormenti : terribile a detta sua , e ingiustissimo attentatò tra quanti mai ne furono com­messi. E serbando qui pure lo stile a lui proprio, finge egli certe voci del tormentato <193) nel silenzio della notte , venqle alle orecchie di quelli cbe abitavan da presa*, e che patte attoniti di tanta empietà , parte perchè non credevano, parte perchè n’ erano sdegnati, corsero a quella casa. Ma lasciarti oramai siffatta tragica

ostentazione ; che abbastanza già ne abbiam parlato. Io, a dir vero , giudico Aristomaco, quand’anche non fosse stato reo d’ altro delitto contra gli Achei, per II tenor della sua vita , e per la sua perfidia verso della patria,

pouBio , tomo 1. ao

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A. £ tt. degno del maggior supplivo. Sebbene F astore, eoa animo d’accrescere là sua reputazione, e muover vie più a sdegno i leggitori per ciò cbe «offerse, dica esser lui stato non solo tiranno, ma eziandio da tiranni di­sceso : accusa délk quale maggiore o più acerba fadl non £ die alcuno possa pronunziare, dappoiché lo stern nome di tiranno suona empietà , e abbraccia quanto v’ha fra gli uomini d’ ingiusto • di scellerato. Che se Ari- stomaoo sostenne, conforme dice costui, i più atroci supplici! f non iscontò egli tuttavia qnel solo giorno, in cui Arato entrato nascostamente nella città oon una mano d’ Achei, e combattendo pella libertà degli Argivi, a gnodi perìcoli s’ espose , e ne iu finalmente scaccialo per non essersi in quella mossi i congiurati, che te- mevan il tiranno. Aristomaco, giovatosi di qtìesla occa­sione e del pretesto che alcuni erano iotesi dell’ ingresso degli Achei, ottanta de’ primi cittadini, al tutto inno­centi , fece martoriar e sgpszare al cospetto de’ loro eonsanguinei. Tralascio le altre scelleratezze, commesse da lui nel corso della sua vita, e da’ suoi antenati : che lungo sarebbe il narrarle.

LX. 11 perchè non è da reputarsi cosa indegna se gli fu renduta la pariglia ; sibbene molto più indegno sarebbe , se costui, senza provare siffatti guai, morto fosse impunito. Nè debbonsi Antigono ed Arato incol­par di perfidia, se , preso avendo il tiranno per diritto di guerra, 1’ uccisero con tormenti ; perciocché in tempo di pace ancora chi toglie di mezzo un tale ed il mar­toria , lode ed onor conseguisce da ciascheduno che giusto estinta. Ora s e , oltre a dò che dicemmo, egli

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violò la fede agli Achei, qnale strazio si è meritato f A.di R- Che non molto prima area egli deposta la tirannide , ridotto in angustie dalle circostanze (196) pella morte di Demetrio, e contro ogni speranza fu salvo, protetto dalla moderazione ed onestà degli Achei, i quali non solo esente il fecero dalla punizione conveniente alle scelleratezze eseguite nella sua tirannide, ma assodatolo alla loro repubblica, lo insignirono del più grande onore, eleggendolo a loro dace e pretore. Mu egli, ben tosto dimenticatosi di tanta amorevolezza, poiché incominciarono a , rifiorir le sue speranze in Cleomene, separò la patria e 1’ animo dagli Achei ne* tempi più difficili, ed unissi a’ loro nemici. Costui, come fu preso ( non dovea già morir martoriato in Cencrea nel silenaio della notte, siccome riferisce Filaroo , «sa condotto per tulio il Peloponneso, e ad esempio mostrato fra tor« menti spirare. E tuttavia no colai mostro non ebbe a patir altro, se non se d’ esser sommerso (197) per co» loro cbe n'ebbero l’ incarico in Cencrea.

LXI. Senza che Filarco ne narra le sciagure de’Man* traesi con esagerazione e grande apparalo di parole, supponendo, per quanto apparisce, esser dovere dello storico di rilevare le azioni scellerate. (198) Ma della generosità che a que’ tempi esercitarono i Megalopolrtani egli non fa punto menzione : quasi che 1’ annoverar L delitti sia più famigliare alla storia, che l'additar le opere belle e giuste, o meno corregga i leggitori la re*> lazicne di pratiche buone e commendabili, che nata quella di azioni empie ed abbominevoli. Come adunque Cleomene prendesse la città, e come intatta la costo*

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J.& ti. disfle, e mandaste tòno lettera a'Megalopolitani eh’e* raso in Messene, invitandoli a ripigliar illea la patria, e -ad associar la loro causa colla sna, ciò ne espóse egli bene, con intendimento di farci conoscere la ge­nerosità e la moderazione di Cleomene verso i nemici ; cosi ancora come i Megalopolitani non lasciarono cbe ti finisse di legger la lettera , e per poco non lapida­rono i corrieri cbe l’aveano portata. Fin qui giugne la sna sposizione ; ma omette egli ciò che segne, e che propriamente alla storia appartiene : vale a d ire , la lode di que’ da Megalopoli, e la menzione della magnanima loro volontà ne' buoni proponimenti; sebbene egli avea queste còse fra mano. Imperciocché se reputiamo uomini virtuosi coloro, che colla parola e colla risoluzione sol­tanto sostengono una guerra pegli amici e gli alleati, e a quelli cbe assoggettanti al guasto delle campagne ed all’ assedio , non solo lode, ma la maggio* ricono­scenza ed i più splendidi doni tributiamo ; qual opi­nione avremo noi de’ Megalopolitani ? Non diremo che ottimi iurono e di vaglia f Essi che abbandonarono pri­mièramente a Cleomene le loro oampagne, poscia per» dettero al tutto la patria, perchè parteggiavano cagli Achei, e finalmente essendo loro inaspettatamente e oltre ogni speranza data la facoltà di riacquistarla senza danno, preferirono di privarsi delle terre, de’sepolcri, de’ tem pli, della patria, delle sostanze , in somma di quanto ha Fuorno di più caro, anziché tradir la fede data agli alleati. Di siffatta azione qual fu o sarà mai più bella ? A che cosa rivolgerà uno storico maggior» mente l’attenzione de' suoi leggitori ? e oon qual esem-

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pio potrà egli maggiormente eccitare a serbar la fede -, A. UH. e a contrar società con (199) sincere e ben fondate repubbliche ? Delle quali cose Filareo non. fece men­zione alcuna , cieco, per- quanto mi sembra, alle opere più egregie, e cbe precipuamente allo storico appar­tengono.

LXII. Prosegue egli dicendo, che delle spoglie di Me­galopoli i Lacedemoni toccarono sei (200) mila talenti, de’ quali, secondo il costume , due mila furono dati a Cleomene. Chi non istrabilierà qui dell* imperizia e ignoranza eh* ebbe costui di ciò che tutti sanno in- torno al peculio ed alle facoltà degli stali della Gre­cia ?. La qual cognizione procacciarsi debbe sovra ogni altro chi scrive storie. Ora io sostengo , che non già a que’ tempi, in cui le guerre co* re di Macedonia, e le continue intestine contese ridotto aveano il Peloponneso a pessimo partito, ma (201) a’ nostri giorni ancora, ne’ quali tutti hanno un sol volere, e goder sembrano della maggior prosperità , dulie .suppellettili di tutto il Peloponneso, senza le persone , accozzar non si po­trebbe tanta copia di danaro. G che noi non asseriamo ciò temerariamente, ma a buona ragione appqggiati , quindi fia palese. Ch'i è colui che legge storie e non sa , come allorquando gli Ateniesi insieme co’ Tebani andaron a campo conira i Lacedemoni, e spedirono dieci mila soldati, ed allestirono cento galee, avendo determinato di levar le spese della guerra dal censo dei cittadini , stimarono tutto il territorio dell’ Attica , e le case, ed ogni loro sostanza, e ciò nondimeno tutta la stima non giunse a sei mila talenti, da cui mancavano

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A.iiB. dugenlo cinquanta? Donde appariice non esser inverisi- mile ciò che ho testé asserito per rispetto a' Pelopon­nesi. Ma che a que’ tempi siensi cavati da Megalopoli oltre trecento talenti, nettano oserà d' affermare , per quanto esagerar vaglia; dappoiché è noto che quasi tutti, cosi liberi, come schiavi fnggiron a Messene. Il maggior documento pertanto della verità di ciò che di» cemmo si è , che i Mantinesi, agli altri Arcadi non punto inferiori di potenza e di ricchezza, conforme egli stesso*dice, allorquando presi per assedio si arren­dettero , per modo che nessuno potè agevolmente fug­gire , o trafugare qualch* effetto , non furmaron allora insieme colle persone una preda di trecento talenti.

LXIII. E ciò che il medesimo soggiugne a chi non recherà stupore ? Imperciocché dopo quelle asserzioni, die’ egli, che dieoi giorni circa avanti la battaglia venne da (aoa) Tolemeo un ambasciadore, il quale annunziò a Cleomene , come Tolemeo non volea più sommini­strar le spese, ma lo esortava a riconciliarsi con Anti­gono : locchè udendo, egli risolvette di avventurarsi a nn fatto generale, innanzi che 1’ esercito risapesse cotal notizia, non avendo egli speranza alcuna di pagare del proprio gli stipendii a’ soldati. Ma se intorno allo stesso tempo divenne padrone dì sei mila talenti, poteva egli superar eziandio Tolemeo nella facoltà dispendere, e se combattendo con Antigono ne avesse posseduti soli trecento, sufficiente sarebbe stato a prolungare la guerra oon sicurezza. Ma asserire che tutte le speranze di Cleomene riposte erano in Tolemeo per cagione delle spese, e dir ad nn tempo eh’ egli allor appunto s’ ini-

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possessò di tanti danari, come non A ciò prova della A. di R. più grande pania e sconsideratezza ? Molte altre cose limili riferisce cotesto autore, appartenenti cosi « quei tempi, come alla storia in generale, di cui suppongo cbe basterà al nostro proponimento dò che pur ora ne ho detto.

LXIV. Dopo la presa di Megalopoli, svernando An­tigono in Argo, Cleomene all’ avvicinarsi della prima­vera fece ragù nati di gente, ed avendola aringata, se» condocbè richiedeva la circostanza, nsd coll' oste ed invase il territorio degli Argivi: impresa, secondochè sembrava alla moltitudine temeraria e audace, per ca­gione della fortezza de’ luoghi che vi danno accesso j m a, (ao3) giusta il parere di chi diritto argomentava , si­cura e prudente. Imperciocché veggendo che Antigono congedate avea le sue forze, sapeva egli bene, che pri­mieramente la sua invasione sarebbe senza pericolo , in secondo luogo, che essendo la campagna guastata sino alle m ura, gli Argivi necessariamente a cotale spetta­colo sarebbonsi doluti, e ne avrebbono biasimato An­tigono. Che se egli per avventura non avèsse potuti sopportar (ao4) gli strazii del volgo ; ed uscito in campo si fosse cimentato colle forze che avea, per fermo te­neva Cleomene, che fàcilmente a sè toccata sarebbe la vittoria. Ma se saldo nella sua sentenza, si fosse ripo­sato , atterrendo gli avversari!, e colle proprie forze ispirando fiduda a' suoi, credeva egli che salvo si sa­rebbe ridotto a casa. La qual cosa eziandio avvenne c c i n t i che come guastavasi la campagna, il volgo facea eroe- S'it ch i, e svillaneggiava Antigono, il quale, da grande

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diR. capitano c re , slavasi cheto (ao5) , non avendo mag­gior cura che di render a sè Steno conto de’ saot fatti. Cleomene p«rtanto, avendo secondo il suo primo di­visamente , devastala la campagna, spaventati gli wver- sarii, e rinfrancati i suoi contro l’ imminente pericolo f ritornò salvo a casa.

LXV. Ma come si appressò la stato, ed i Macedoni e gli Achei uscirono delle stanze, Antigono, ripresa la spedizione, andò cogli alleati nella Laconia. Avea egli, Macedoni, dieci mila, che componevano la falange, tre mila d’ armadura leggera, e trecento cavalli ; inoltre mille (206) Agriani, e Galli altrettanti; (aoj) mercenari! in tutto tre mila fanti e trecento cavalli, Achei scelti, tre mila fanti, trecento cavalli; Megalopolitani mille, ar­mati alla Macedonica , che conduoeva Cercida da Me­galopoli ; di alleali, Beozii due mila fanti, dugenlo ca­valli ; Epiroti mille fanti, cinquanta cavalli, Acarnani altrettanti ; Illirii mille seicento sotto Demetrio da Fara. (ao8) Per modo che tutte le forze sommavano veni’ol­io mile fanti, e mille dugento cavalli. Cleomene , aspet­tando 1’ attacco, afforzò gli accessi al paese con pre- sidii, con fossi, e con tagliate d’ alberi, ed accampossi presso Sellasia con un esercito di venti mila uomini, conghietlurando che i nemici da quella parte fàrebbono impressione; locchè avvenne. Due colli formano quel­l’ingresso di cui l’uno è chiamato Èva, l’altro Olimpo. In mezzo a questi , lungo il fiume Enunte, passa la strada che conduce a Sparla. Cleomene tirò dinanzi ai mentovati monti fosso e steccato, e schierò sull’ Èva le milizie de’ sudditi (209) vicini e degli alleati , a cui

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prepose il fratello Euclida, ed egli ocitipà 1’ Olimpo A-d i fi­co Lacedemoni e co’ mercenarii. Nel piano , sulla riva del fiutne , da amendue i la li della strada, al telò là cavalleria con parte de’ mercenarii. Antigono, come venne e osservi la fortezza de’luoghi, e che Cleomene presi avea i siti opportuni con tntte le parli dell’ e*eid­eilo , tanto acconciamente , che : il complesso rappresen­tava un accampamento di buoni (aio) armeggiatoli in posizione d’ avventare ( perciocché nulla mancava di ciò che appartiene all’attacco e alla difesa, ma era Tot* dinanza imponente ed insieme l’alloggiamento di dilBcil accesso): ciò, dissi, osservando, non volle tentar l'as­salto e temerariamente affrontarsi.

LXVI. Accampatosi in poca distanza, e messosi da­vanti il fiume (a n ) Gorgilo, vi rimase alcuni giorni, per spiare la qualità de’ luoghi e l ' indole delle forze, e facendo talvolta vista d’assaltare , provocava gli av­versarli a discoprire le lóro intenzioni. Ma non potendo trovar nulla che non fosse ben custodito ed armato , giacché Cleomene, a lutto apparecchiato, l’ avea preve­nuto, abbandonò cotesto consiglio. Finalmente di motno accordo divisarono di decidere con nna battaglia tolto l’affare : che egregii al tutto e simili capitani avea in costoro la fortuna fatti venir insieme al paragone del—I’ armi. Schierò dunque Antigono di rincontrò a quelli eh’ erano sulf Èva i Macèdoni che portavano lo scudo di bronzo, e gl’ Illirii alternatamente per compagnie, e prepose loro (aia) Alessandro figlio d’ Acmelo e De­metrio da Fara. Dietro a questi venivano gli Acarnani ed i Cretesi , e alle loro spalle erano due mila Achei

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diR. per riscossa. I cavalli collocò presso il fium^Ennoto rimpetto alla cavalleria nemica, dando loro per duce Alessandro, ed a' fianchi d’ essi pose mille Achei e al­tre t Un ti Megalopolitani. Egli avendo seco i mercenari! ed i Macedoni risolvette di combattere con quelli ch’e- rano sull’ Olimpo intorno a Cleomene. Messi adunqoe i mercenari! nella prima schiera, vi pose dietro la fa­lange de’ Macedoni (a i3) divisa in due parti che di presso seguiva»!, obbligato a ciò fare dalla strettezza de’ luoghi. Il segnale convenuto cogl’ Illirii per ine»* minciare 1’ assalto > era quando avrebbon veduto alzarsi hu punnolino dalle vicinanze dell’ Olimpo ( che eransi (a i4) costoro appiattati di notte tempo nel fiume Gor- gilb , e stretti alle falde della collina ). Co’ Megalopoli- Uni e colla cavalleria fa accordato, che facessero lo stesso, poiché il re sventolato avesse un drappo di porpora.

LXVII. Venuto il tempo della ( a i5) fazione, come fu dato il segno agl’ Illirii , quelli, cui ciò era com­messo, comunicarono gli ordini convenienti: (a i6) ecco subitamente tutti mostrarsi, ed incominciar l ' attacco dell’ altura. Allora (a 17) l’armadura leggera di Cleo­mene, schierata dapprincipio colla cavallerìa, veggendo le insegne degli Aeh<;i da tergo ignude, assaltò le ul­time file , e trasse iti gravissimo perìcolo quelli che sforzavansi di superar il colle, sendochè Euclida loro sovrastava dall’alio di fronte, e i mercenarii alle spalle gl’ incalzavano , e forte menavano le mani. In quello accortosi dell’ affare il Megalopolila (a 18) Filopemene , preveggeudo ciò eh’ era per avvenire , prese primiera-

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■lente ad avvertirne i caporali; ma siccóme nessuno gli A. dì R. dava retta , perciocché non avea egli mai comandato in campo, ed era molto giovine , così aringati i suoi con* cittadini, attaccò i nemici arditamente. Frattanto i mer­cenari! , che premevan alle spalle qnelfi che salivano , udite le grida , e veduto 1’ azzuffamento de* cavalli , la­sciata 1’ impresa, corsero alle prime stazioni in ajnto de’proprii cavalli. Per tale avvenimento spacciati essendo da ogni ostacolo gl* Illirii, i Macedoni e tutta la mol­titudine che con essi montava , con veemenza e corag­gio andaron addosso agli avversa rii. Donde poscia fu manifesto essere stalo Filopemene cagione della vittoria riportata sovra Euclida.

LXVIII. Q uindi, dicesi , avere di poi Antigono ta­stato Alessandro , Generale della cavalleria , chiedendo­gli , perchè egli avesse incominciata la battaglia , pria che fosse stato dato il segno ? Il quale negando d’ aver ciò fatto, e dicendo come un giovinetto Megalopolitano contro il suo parere anticipato avesse 1' attacco, Anti­gono replicò , quel giovinetto aver fatto l’ ufficio di buon capitano, conoscendo il tempo opportuno, e Ini,

sebbene capitano, essersi diportato da giovinetto grega­rio. Euclida pertanto, veggendo salir le insegne, lasciò di valersi delle buone posizioni. (219) Doveva egli an­dare da lungi incontro al nemico, gì tursi nelle sue file, scombuiarle , e romperle , poscia ritirarsi, a poco a poco, e ricoverarsi a salvamento ne’ sili più alti: che cosi, disordinati gli avversarli, e renduta inefficace la proprietà dell’armadura e dello sdiieramenlo, gli avrebbe agevolmente messi in fuga peli’ opportunità de' luoghi.

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A. diR. Ma non ne fece nulla ; anzi quasiché avesse la vittoria in pugno, opero tutto il contrario. Imperciocché rimase nella prima stazione sulla vetta del colle , come per prendere colà i nemici che tendevano alla sommità , affinchè la lor fuga succedesse per luoghi molto precipi­tosi e scoscesi. Ma avvenne, conforme era ragionevole, 1’ opposto : che non avendo lasciato alcuno spazio alla ritirata, e ricevendo l’ impeto delle insegne intatte e ad un tempo serrate, fu egli ridotto a tanta angustia, che (aao) lungo la stessa cima dovette pugnare con quelli che innanzi spingevanii. Oppressi adunque nell’ istante dalla mole dell’ armadura e delle schiere dense, presero gl’ Illirii tosto la posizione che occupava la sua gente, (aai) e questa prese la più bassi, perchè non le era rimasto luogo sufficiente per ritirarsi e per cangiare sito. Donde avvenne che andò presto in volta con grande ruiua , facendo la ritirata per luoghi dirupati e impraticabili.

LXIX. Mentre che ciò succedeva s'accese la mischia fra la cavalleria , facendo grandi prove di valore i ca­valieri Achei, e singolarmente Filopemene, perciocché tutto il combattimento era pella loro libertà. Ove per avventura cadde a Filopemene il cavallo mortalmente percosso, ed egli pugnando a piedi fu con grave ferita trafitto in (aaa) amendue le cosce. I re affrontaronsi dapprima presso all’ Olimpo col mezzo de’ fauti leggeri e de’mercenarii, i quali da una parte e dall’altra erano circa cinque mila, e quando partitamenle , quando tutti insieme urtandosi faceano aspra battaglia , combattendo essi al cospetto de’ re e degli eserciti : onde gareggia-

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vano iìra loro di.ardore, cosi ì singoli uomini, coma A,diR. le schiere* Cleomene vergendo il fratello che. fuggiva j e ' n$l piano la cavalleria prossima a piegare , temendo forte , d o d i nemici da ogni lato gli fossero addosso, in costretto a distruggere le fortificazioni che coprivano; il cim po, e a uscir con tutto 1’ esercito in fronte da on solò lato degli alloggiamenti. Indi furono da amen- due le parti richiamate colle trombe le milizie lèggere dallo, spaio di mezzo, e le falangi , alto gridando, e (aa3) abbassando le aste, attaccarono. Succedette una lotta gagliarda , e ora arrelravansi • i Macedoni, sopraf* falli dal valore degli Spartani, ora erano questi respinti dalla poderosa ordinanza de’Macedoni. Finalmente quelli di Antigono , serrale le aste , e giovandosi del vantag4 gk> (aa4) proprio allà falange addossala , cacciaronsi innanzi oon impeto , e buttarono i Lacedemoni fuori de' ripari. Allora il grosso dell’ esercito tagliato andò io ro lla, e Cleomene con seco pochi cavalli si ritirò in salvo a Sparla. Sopraggiunta la notte , discese a Gaio t ove da molto tempo gli stava preparato quanto occorreva alla navigazione, per tutto ciò che potesse accadere , e eoi suoi amioi si parti per Alessandria.

LXX. Antigono , impossessatosi di Sparta al primo (aa5) arrivo ,■ trattò del resto i Lacedemoni generosa- mente e con umanità , e (aa6) ristabilito il loro antico governo , dopo pochi giorni levossi coll’ esercito dalla città, essendogli stato annunziato che gl’ Illirii erano entrati in Macedonia , e guastavano la campagna. Cosi suol sempre la fortuna terminar in modo inaspettato le più grandi imprese. Imperciocché, se Cleomene difle-

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A.dit. riva la battaglia di qualche giorno, oweramente , a e , ritiratosi dalla pugna ia d i t i , egli alena paco traeva (a a 7) partilo dalle occasioni, riteauto avrebbe il regno. Antigono pertanto veaoe a Tegea, e ritornato a questa pure il patrio governo, re coesi il secondo giorno di li ad Argo , al tempo appunto de’ giuochi Nemei. Colà ottenne, cosi dal comune degli Achei, come da ogni città in particolare, quanto conferir prassi a chi si i meritato gloria ed oaor immortale , e sollecitamente ■ ridusse in Macedonia. Trovati gl’ Illirii nel ano territo­rio , e data loro battaglia , rimase superiore ; ma per­ciocché , ■ animando i soldati alla pugna , gridò a tutto potere, (aa8) incominciò a sputar sangue, e ne cadde <239) in tal infermità , che poco atonte, usci di vita. Avea egli fatte concepir a’ Greci le p ii belle speranze , non solo pella sua valentìa in campo, ma più ancora per tutto il tenor della sua vita, e pella sua probità.Il reame di Macedonia lasciò a Filippo figlio di De- Dietrio.

LXXI. Ma per qual cagione abbiamo noi cosi disle­samente fatta menzione di questa guerra ? Perchè es­sendo questi tempi annessi a quelli, di cui tesseremo la storia, ei sembra, non che ulile , necessario , giustail primo nostro divisamento di far palese e nota a tatù la sanazione, in cui eran allora i Greci e la Macedo­nia. (a3o) Intorno allo stesso tempo mori pur Tolemeo (a3 i) di sua malattia, e Tolemeo , denominato Filop»-' to ré , gli succedette nel regno. Morì eziandio Seleuco figlio di quel Seleuco , eh’ ebbe i sovrannomi di Cal- linice e di Pogone , e suo fratello Antioco gli fa suo-

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cessore nel reame di Siria. Avenne a questi pressoché A. di /!.lo atesso eh» accadde a* prim i, i quali dopo la morte di Alessandro occuparono quegli siati, dico a Seleuco, Tolemeo e Lisimaco. Imperciocché essi tutti morirono circa la centesima vigesima quarta Olimpiade, conforme riferimmo di sopra , e gli altri intorno alla trigesima nona. Ma noi, poiché compiuta abbiamo T introduzione e la preparazione di tutta la storia, per cui è manife­sto , quando , e come, e per quali motivi i Romani, soggiogali i popoli d’ Italia ; fecero le prime imprese esterne, e cimentaronsi la prima volta in mare co’Car­taginesi , e poiché esposta abbiamo la situazione in cbe eran allora i Greci, 1 Macedoni , e i Cartaginesi an­cora ; giunti a’ tem pi, di cui sin da principio destinato abbiamo di trattare, ne’ quali i Greci apparecchiavano la guerra Sociale, i Romani l’Annibalica, e i re d’Asia la Celesiriaca, terminalo avremo acconciamente il pre­sente libro colla descrizione degli affari antecedenti, e colla morte de’ Sovrani che n’ ebbero il maneggio.

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FINE DEL LIBRO SECO»DO.

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SOMMARIO320

D E L S E C O N D O L I B R O .

Connessione to 'fatti antecedenti — Amilcare in Ispagaa —

Asdrubale succede ad Amilcare ( § I . ) — Agrone re degt li­ti rii — Qli Etoli attediano Mediane — Lite fru i pretori degli Etoli circa F intitolatone delle spoglie ( § II . ) ■—

Agrone soccorre i Medionei — Sconfina degli Etoli pretto Medione ( § III. ) — La fortuna torce i consigli degli E toli contra loro medesimi — Morte <? Agrone — Teuia regine

degl' Illirii — Infesta i mari ( § IV. ) — Fenice è data per tradimento agl’ Illirii da’ Calli mercenarii — Scerdilaida ca­pitano degV Illirii — GV Illirii vincono in battaglia gli Epi- roti ( § V. ) — Gli Etoli e gli Achei in soccorso degli Epi- roti — Elierano — Tregua degli Epiroti cogl" Illirii — Gli Epiroti e gli Acamani fanno lega cogl" Illirii — Imprudenza, degli Epiroti (§ VI. ) — Perfidia de'Galli mercenarii (§ V I I ) —

Teuta riempie il mare di Corsali — Assedia Issa — Cajo e Lucio CorUncanii ambateiadori a Teuta — Vno degli amba-

teiadori è ucciso ( § V il i . ) — G f Illirii prendono Durazs» per inganno — E ne tono totalmente espulti — Gl" Illirii attediano Corcira ( § I X . ) — Battono formata ausiliare degli Achei presso V isola di Paxo — Marco da Cerinea —

Corcira si arrende agl' Illirii ( § X. ) — Demetrio da Fara e i Corciresi si danno a‘ Romani — Indi Apollonia e Durazxo —

Gli Artici soggiogati — I Portoni, gli Atintani, gl’ Issei

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ricevuti per amici — Danna •offerto pretto Nutria — Arbo città — Riione, città e fium e— Demetrio i da’ Romani fatta governatore dell' Illirico ( § X I .) — Pace data agf Illirii —.

Ambasceria Romana a'Greci per gli affari del? Illirico — 1

Romani f i t t i partecipi de’ giuochi Ittmici ( § X IL ) — Abbu­iale fa ttr ic i Cartagine nuova — Trattato de* Romani com Atdrubale (§ X I I I . ) — Gallia Cisalpina — Figura triango* lare dell Italia — Figura e confini della Gallia Citai pina ( $ XIV, ) — Fertilità della Gallia Citalpina — Galli A l­pini — Galli Trantalpioi (§ X V .) — Monte Appennino —

Fiume Pò ( § XVI. ) — Gli E tm ohi tacciati di'Calli fuori delT Italia tuperion Galli Transpadani — Galli Cispa­dani — Modo di vivere de' Galli Cisalpini ( $ X VII. ) — Ir­aniane de' Galli nel territorio romani ( $ XVUI< ) — I Galli •configgano i Romani nella campagna di Cime n it — E tono vicendevolmente da loro sconfitti — Il pretore Lucia Cecilia cade nella pugna — I Galli Senoni sterminati — Strigagli* colonia ( § XIX. ) — Rotta de' Boii e degli Etruschi al lago Fadimone — Battuti di bel nuovo chieggono pace — Per vi«

delle guerre galliche i Romani t" addestrano ad altre guerre (S X X .) —. Nuovi movimenti de' Galli — I Boii uccidono i loro re — Legge agraria di Caji Flaminio — É- origine di grave guerra ( $ X X I.) — GF Intubi* ed i Boii fanno in~ sorger i Gitati — I Romani in timore ( § X X II, ) — I Fe*> ned ed i Cenomani favorevoli a’ Romani — Lucio Emilio con­sole — Grandi apparecchi de' Romani ( § X X IIL ) — Forte de' Romani e degli Meati — Legione Romana ( § XXIV. ) —

I Galli guattana F Etruria — I Romani sconfitti pretto Fiey sole ( § XXV. ) — L. Emilio viene in soccorso e salva i ri­manenti — 1 GalU ritornino a caia ($ X X V I .) — Ed avven­gami cammin facendo nel console L . Attilio che ritorna dalbf Sardegna — I Galli fra due otti — Schiem a due fronti dii Galli ( § XXYJI. ) —. / Gelati combattono ignudi t - Cade

roLiBio | tomo f, 91

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C. Attilio nella pugna equestre — Battaglia di Telamone ( § XXVIII. ) — Incomodi e comodi della schiera bifronte — Grida guerresche de' Galli •— Braccialetti ( § XXIX. ) — / Gesati oppressi da' saettatori Romani — I l rimanente esercito de' Galli soccombe pella qualità dell" annodare ( § XXX. ) — Numero de' morti e de'prigioni — L . Emi Ih trae partito dilla vittoria — I Boii arrendotisi a' nuovi consoli (§ XXXI.) — A iuti de' Cenomani sospetti a’ Romani ( § X X X II.) — Spade de'Galli mal atte alla pugna — Temerità di Flaminio (§ XXXIII)— È negata la pace agl'insubri — / consoli assediano Acerra — Marcello vincitore nella battaglia di Clastidio — Gneo Sci­pione prende Acerra e Milano ( § XXXIV.) — La ren degli Ìnsubri finisce la guerra gallico — Giuoco wuwiombile delta fortuna — Nelle irruzioni de' Barbari non i da disperarsi ( § XXXV. ) — In Ispagna Annibaie succede ad Asdrubale

( § XXXVI. ) — Passaggio a lt altra parte della prepara­zione — Divisamente d e lf autore — Affari degli Achei, a loro lega (§ XXXVII) — Nome degli Aehei — Antica costi­tuzione A gli Achei ( § XXXVIII. ) — / Greci d'Italia adottano la costitHiiona degli Achei — I Lacedemoni e i Tebani li

funno arbitri delle loro contese ( § XXXIX. ) — Autori della lega aohea rinnovata — Arato — Filopcmene — Licorta ( § XL. ) Lega primitiva — Dodici d u i confederate — Con­

federazione se:olta da'Macedoni — Principio della ristaurc- zione ( § XLI. ) — Lode degli Achei ( § XLII. ) — Marco da Cerùlea pretore degli Achei — Arato unisce Sicione alla confederazione Achea — E Corinto a Me gara — Arato pre­tore degli Aehei resiste a' Macedoni e agli E toli — Antigono Gorata fe de'Macedoni ( $ XLIII. ) — G ii Achei alleati degfi Etoli contra Demetrio — Tiranni che deposto il poter asso­luto si congiungono cogli Achei — Lidiada tiranno di Mega> hpoli ( § XLIV. ) — Gli E toli favoriscono Antigono Datone

* Cleomena cantra gli Achei — Arato towertisca i disegni

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degli E toli ( f XLV.) — Cleome»* re £ Sparla prende*pa- vecchie città degli Àbhei ( § XLVI. ) — Aralo titubati £ fa r alleanza eoa Antigono Dotane (XLYH. ) — E d a lai effetto ti vale dell’ open de' Megalopolitani — Nicofane e Cercida da Megalopoli — Ambasciadori ad Antigono ($ XLVLII.) — Ordini dati agli amiateiodori ($ XLIX. ) — Antigono pro­mette F alleanza ( § L.) — Gli Achei imprendono eoli la guerra, condotti da Arato — f i tono sconfitti pretto a l l i ­

ceo , a Ladocea, ad Ecatombeo — Arato e gU Achei- chim~ man Antigono ($ L I.) — -Cleomene prende ancor altre città degli Achei — Gli t i arrendono i Corintii — . Arato offre ad

Antigono la rooca £ Corinto — Arrivo <f Antigono nel Pe- loponneto ( § LTI. ) — Gli kchei occupano Argo — Invaso tenta Citamene £ riprenderla ($ D I I . ) — Antigono occupa la rocca £ Corinto — Scaccia le guemigioni £ Cleomene — Gli toglie parecchie città — l'egea — Orcomono — Manti- nea — Erea e Telfuta ( § LIV. ) — Cleomene invade Mega­lopoli — Incrudelitce contro i Megalopolitani. — Tearce da Clitorio ( § LV. ) — Filarco itterico i contrario ad krato — Etagera i tristi avvenimenti: per e tempio in cib che narra £ Mantìnea — Altro i tragedia, altro tloria — la £ vertiti delle caute rende vani g li oggetti (§ LVI. ) — Mantìnea e n ti arm a a Cleomene — Ricuperata da Arato fu benigna­mente trattata — Grata riconobbe F umanità degli Achei (§ L V II.)— Ma perfida t i diede nuovamente a Cleomene — E d uccise il preti£o degli Achei — Fu la loro perfidia me­ritevole £ gravittimo castigo — Scene tragiche inventate da Filarco circa i Mantineti ( § LV1II. ) — E circa Arittomaco tiranno t Argo ( § LIX. ) — Arittomaco fu degno del supplizio che tofferl ( § LX. ) — Lo ttorico narrar dee non tolo i fa tti iniqui, ma eziandio gF illustri — 1 Megalopolitani gene- m i rifiutano i beneficii £ Cleomene — Filarco patta tolto

silenzio la virtù de‘ Megalopolitani (§ LXI. ) — Etagera la

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preda tolta m'medesimi — Sears» facoltà de' Pelopennesii l § LXII. ) — Filano sorive cose che si caatraddicotia (S LX III.) — Cleomene guasta il territorio Argivo (§ LXIV) — Antigono va eoli’ esercito sella Laconia — C leu mene mette ti campo a Sellasia — Èva e Olimpo monti — E n o fu m t — Confitenti degli -Spartani ( § LXV. ) — Campo d ’Anligano tulle rive del fa m e Gorgilo — Sohieramento d Antigone e di Cleomene ( § L IV I. ) — Battaglia t Antigono con Cleome- M — Consiglio prudente di Filopemene ( § ULVIL ) Antigono loda Filopemene —*■ Imperizia <T Euélida fratello <£ Cleomene — Ette lido messo in fuga ( | LXVIII-) — Falere di Filopemene — Pugna fra i due re — I Lacedemoni ioni battuti — Cleomene fugge in Alessandria ( $ LXIX. ) — An­tigone s'impossessa di Sparta — Ritorna tosto a casa — Ì£ colmato d onori da' Greci Muore ( § LXX.) —» Divisamente dell' autore —• Muojono più re intono allò stesso tempo —» Connessione del libro primo e secondo co’ legusgti ( L U L )

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ANNOTAZIONI

AL L I B R O SE CO N D O .

( i) J. oceanit ciaschaduna «i. Non ho credalo di dover lare altra ni aggiunta alla prima di questa parole , come sarebbe leg* gemente, mperfeiabnente, prendendo oollo Bohaweigh. i •*- g i t i l i per ir l uf«Xa/«> f io tt i | dappoiché ha gii detto il nostro pooo prima ntQmXmtmSmt { espor sommaria-mente ). Oltreché eoo è vero obe Polibio tanto di volo parla in questo libro degli avvenimenti qui aocenoatL Per la qnal oote io aliato 1* ir) al tatto pleonastica, e no* indicante ponto maggior toperfwialilà di qaello cbe indioa il verbo aempliae eoi eteo va unito.

(2) E spedirono Amilcare. La morte d'Amilcara narra Dio* doro (eólog. kxv, a ) ad avguente modo. Attediando egli la città dUliee , e mandata avendo la maggior parie deU'eaei* oito cogli elefanti a svernare in Koccabianca, città da Ini fab­bricala , rimate colà col retto delle Torse. Venne allora certo, re Oristo in toccorto degli attediati ( tebbene tolto falao »em- biante d'amicizia , qaati cbe ajular volette Amilcare ) e mite in foga il dace Cartaginese. In foggendo prooaooii) talveiza ad Annibaie e ad Atdrobale cbe ritiraronti in Roccabianca ; ma

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egli svoltato per un’ altra strada, antro ia tu gran Come col cavallo, dal qnale sballato mori sotto le onde.

(3) Rittabill in Itpagna eo. Durante le guerre coHomani • oo’ mercenarii avean i Cartaginesi neglette le cose di Spagna ; onde dopo la pace fa lor primo pensiero di rie operare quanto vi avean perduto. — Del resto» porse a' Cartaginesi, avanti l’ epoca presente, la prima ocoaaìooe di portar le armi in Ispagna > il so eoo rio ohe avean recato a’ Gaditani loro oonaan- gninei ( perciocché derivavan amendue da Tiro), i quali eran» stali assaltati da* vioini popoli, che portavaa invidia alla pro­speriti dalla oitti nascente ( V. Jnstio. x u v , 5 )s

(4) Suo parente e comandante delle tue galee. Opportu­namente osserva lo Schweigh. ohe sembra presto i Cartami— nesi essere «tato in arbitrio del capitano supremo di scegliersi fra ì snei amioi quegli ohe lotto di lai comandar dovea le galee ; siooome abbiam veduto nel pria» libro u Anaihils t riera reo egualmente ed amico d'Aderbale.

( 5) llliria. IXìipie ( llltride italiaoameote ) è il nome Greco di questo regno. I Romani il ohiamavan lUiricum. Sipoame pertanto lXXipim ( Uljria ) anoor l’appellavano i Greci oon «k- sineasa conforme all’ uso del nostro idioma, cosi ho preferita questa denominasione, rigettando qaella d’ Illirico- che p ii ao- ooooiamente là,le ftmaioni d’ aggettivo, e serbando IUirio per esprimer il patronimico. Laonde diremo regno Illirico , e gli Illirii. Estendevasi questo reame in langhessa dall'Arsia, ulti­mo termine deN’ Italia «ino al Drileme ( Dritta nera ) , cioè a dire dall’ Istria sino alla Macedonia , e conteneva la Libumìm ( Croasia marittima d’ oggidì ) la Dalmazia , e parte dell* A l­bania presente. A messodl avea per confine il mar Adriatico,• a settentrione una oatena d i montagne la separava dalla Pannonic inferiore (Ungheria odierna). Qoed'era l’ l l l i r i a prò- prjàmente detta , ma in senso più esteso erano «Rondo Fedo Rufo ( Breviar, rer. geat. pop. rom. )- dicia saette provincie oon

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qntsto i Mn diflint*, Ira «ai dbe Noriói, da» Pannante, Dal- masia , Mésia , due Dafcie , Maoedcnia, Tessagli* , Ache* (*), dne Epirì. A detta del Boohart • i Fenioii ?i fabbricarono al-, oooe città maritiime.

(6) Medionii. Era Medione città dell* Acarnania, la qaal provincia fa pressoché ««capre in goerra cogli Etoli, coi non avrebbe potato resistere sema i soccorsi de* re di. Macedonia. T. Livio ne fa mensione nel libro x u n , c. i l , e segg., ove nitrisce gli avvenimenti relativi a quella città, tratteti dal no­atro sei libro iv m , Tacidide ( ili , 106 ) la chiami Mede»» n e , e la colloca negli aitimi confini dell’Aoarnania presso il territòrio degli Agrei cbe appartengon all’Etolia. Stefano Bi- santmo rammenta nna Medeone città dell’ Epiro t loochè sarà ano de' suoi soliti abbagli. Nè posso collo Schweigh. menar bnona al Palmieri ( Grsec- Antiq. m , 5 ) la congettura, che la Medeone di Stefano non sarà stata diversa da quella di Tacidide e di Polibio , avendo 1* Epiro avnti in diversi teaipi diversi confini. Non sarebbe ciò impossibile, se co testa città fosse alata situata a' contini dell’ Epiro ; ma giaceva essa all’.oppo- sta estremità , ove incominciava il territorio degli Etoli ; ondo oon poteva giammai appartenere all’ Epiro ; chi non sapponesse, esser in alcnn tempo Epiro ed Acarnania stato lo stesso paese, a che contraddice espressamente Strabono ( x , p. 4 6 1 ).

(7) Sema internatone. Cosi m* è sembrato di dover tradurre col Casanb. »«rJi r« r a tig ir , cbe significa continnasione, • non celerità , come vorrebbe lo Schweigh. il qosle l’ interpreta.

(*) Non la propria , ma quella clic comprendeva l 'A ttica , la M egaride, la Beusia, la Focide, la L ocride, la Doride, l’ Elolia e

chiamavati ancor E ttade ed oggidì fc denominata Livadia. 8arehbe mai il nome d1 Illiria stato applicato a tante diverse provincia, per­

chè la lingua Illirica a tulle era per avventura famigliare ( A* nostri

giorni almeno molti di <joe’ popoli parlano l ' Illirico, sebbene j j i

differenti dialetti.

3a7

Page 331: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

ttatìm . 11 R eisle, applicando la omitfoailà alte tptmia, apiega qnetlo luogo coti t corona cmxenmt uròem pemtui, ita ni lu t poterei hiatus, per quetn obietti elaberentnr. Ma qoMla t pratioa cornane a tolti gli a ite dii, nè faeea mea litri «F indi-»

«aria.(8) V intenzione ie lle ermi. « Solevano i capitani w rnert

angli scodi, o ani m ia della preda eh* arcati tolta a* nemici, per dedicarti ne'(empii degli Dei , » /•<•« n t x h ì t i mwr* r i i ittrm (sottintendasi «irilAafr»*, o altro verbo limite),il tale dedica agli Dei queste cote terribili, prete * coloro che gravi mali intentavano ». - Coi) il Reiake - Dapprincipio, aaoondo ohe rileritoe Snida, boevanai 1» inicriaioni a none della oiltà t Iterale fn il primo ohe r i firn menatone del ca­pitano.

(9) Reeavanti innarti pella potetti. l o avventurato di ri­tenere la fraae grto» : r S t w p u i t r» r i I V t J i « f f c ì » * che mi i

aembrata non aliena dalla conaoetndine italiana. Lo Scaligero a l'Bejrne leggono wptrtitrmt, accedeniium (che aocotlavanti)j k |ione( a dir vero, niente asaurda«

(10) Alla Medionia. Cioè a dira al territorio dr Medio ne. Goal Meaaene ool aoo circondario addimandavasi la M ettente, 8ioione ool n o la Sicionia, Fliunle ool ano la Ftiotia, ed al­tri aimill : quasiché le proprie leggi oolle quali reggevansi co* adtaile le avettero provinole, per qnanto fotte riatretto il loro dominio, il quale sovente non conteneva che nna sola città «olle tue dipenderne.

(11) Schierati a lt uso loro. Cottalo tuo è tpiegato da cii che aegue : andaron a bronchi, e in questo stesso libro al cip. 66 t dal nostro di bel nuovo mentovalo. II Cataub. tra* dntae aarà ewtlpmt per cohortet, ma quello ordine di miliua non era conotoinlo le non da* Romani , pretao i quali ogni legione di cinque a tei mila nomini era diviaa in dieci coorti. Ma m /jw , che propriamente lignifica linea tpirale, corrùponde

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pì& pretto al glo&ut milition do* Romani, ohe in (u lan o di­rebbe li attroppamento , e oon tooe p ii miliuro e «trenta n u l i dal Monteouooli trance. (V. Gratti Di*, milit. lu i.) lo Schweigh.

ha manipnlatim, e più del Casanb. s'avvicina all’ etprettione Greca.

(is) S i trarrelbe binanti. Qai ancora, tlocooae nel capitolo antecedente ho oredato di poter eontertaro nel volgarizzamento la frase del testo.

( t 3) Gii BiccedeUe nel regno la moglie Teuta. Per quanto U rrà Appiano , ( Illyr. eap. >j ). Agrone laaoiò nn bucinilo nominato Pineo, e Tenta , tebben era sna matrignay ammi­nistrò il regno in qualità di tutrioe.

( l i ) Gavernanéati da Janna. Qui pare cbe Polibio attribuisca al tesso femminile « la veduta corta d* nna spanna ■ » mero* della quale al presente tolo riguardano, nè gran latin curanti di ciò cbe sotto i lor ocobi non cade. Ora « sebbene non man­cano fra le donne esempli d'avvedutezza e di eireospesione, e che in ogni tempo sonoti vedute femmine regger Imperi con non minor sagacità e formella di qaello obe faccian gli nomini, non pub tntUvia dirai in generale H setto debole atto a maneggi, che richieggono matura riflessione nel concepi­mento de*disegni, e inconcussa riiohiteaea nella loro etern­atone. Irritabile com' ì al sommo la loro Sbra e mobile a' p ii lievi impulti, tono ette leggere , volubili, incomegoenti, e' il pretente eoo UnU fona le scnote , che non rammentano il passato , nè preveggono 1’ avvenire^ Fu adunque savio consi­glio de* Romani il rimuover le donne da ogni pubblico afTare, quantunque le loro Clelie, Vetnrir, Cornelie non la cedettero in eroiimo e in altre maachie virtà a qualsivoglia nomo (V. T it Liv. v in , 181 Tscit. Annal. in, 53 ; Valer. Haas. li, 5, 3). Io Grecia, a dir vero , v* ebbe qualche cortigiana di straordinario ingegno che sn'regittori delle repubbliche eterciUva non lieve influenza,

aiooome l’ esercitò Aspasia sovra Pericle ; oiò non di meno

3ag

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erano generilmente prm o di Idra le mogli eòo maggior r i­gore ohe noo fra i Romani confinato dentro alla ifera dell» domeitiohe oooapaiioni, ore tolte rivean intenta al minuterò dell’ economia e dell’ edocasiooe della prole, coi u lan i de— •tinolle, dando loro fragil oompleuione e spirito di poca ele- rixione oapace. La qnal pauiva condì* ione del leuo femmi- nile troviti mirabilmente eipreiia nella gravissima H n lm u di Tuoidide, ( il , p. 118 ) x che il non peggiorar dalla propria Naturi ì gran vanto delle donne, e che quello godono la mag­gior gloria, delle coi rirtà e maooanae gli Domini parlano n e d o » .

( i 5) ScrrdUaida. Lo Sohweigh. ioitiene con buone r>. gtóei auer questi il medesimo cbe T. Lirio Doma Scerdiloedtu. Fratello d’ Agteoe comandava egli ,iollo Tenta l’esercito Illi- rioo, mi poiohè qvolla ebbe riauniiato al trono, divenne tu­tore del fancinllo Fineo • amministratore del regno insieme oon Demetrio Faro. Che Pineo poi, giunto a età idonea, le­sene lo loettro dell* Illiria, non ì a dabilarpt, dappoiché T . Livio ( m i , 33 ) il chiama Re. Tattavia sembra il ino regno ette re stato di breve dorata, leggendoli ne’ libri poste­riori del owntorato storico ( u r i , l i - 1 i r i l i , 5) che suo aio Scerdilaida unitamente al figlio Pleosoto eran insigniti della potesti suprema.

( ■6 ) Gli Epiroti. A* tempi, di cni Polibio qui parla, ei si pare che qnesta nasione non folle piò goreraata da re, ma ohe le ane citti , o ciaiohedona di per sì s i, reggesse, o unite si fossero in confederaaione , non altrimenti che qaelle degli Achei, degli Aoarnani, e degli Etoli loro rioini. DifTatti, morta Olimpia, figlia del re P irro , chearea oombattnto in Italia coi Romani, non rimile della stirpe regia che doe fanciulle, Ni- reide , che li maritò a Gelone figlio del re di Siraouia , e Lia- damia , che in nn tumulto a furia di popolo fa acciia (Vedi G * tm . xxvni, 3 ). Dopo quest* epoca non trovasi pii nella

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storia Tatù menzione di re d* Epiro? — Mentre ohe in Epiro cotesti'fatti acoadevaoo, morii a «letta di Giustino, Demetrio padre di Filippo, cni laaoiò a tutore Antigono Dosone) loochè avvenne 1* anno 5 18 di Roma ( V. Cataub. Sjnop*. Chronol. ad Poljb. ) , e gli Epiroti furono rotti daglUlirii 1' anno 5a4, qoando spento era gii in Epiro il seme reale. L'iogratitndine pertanto con che trattarono gli Aohei » e gli Etoli loro libe­ratori , e Talleansa ohe strinsero cogl’ Illirii, i qnali aveaoli ingiù stameote assaltati, indnoon a credere che alla monarqhu ancoednta fosse in quel paese una forma di governo molto irregolare, e che vivessero poco meno cbe in anarchia. De­mocrazia fn dessa seooudo il nostro nel seguente capitolo.

(19) Condotti ad E nee ec. Nel libro anteoedente (c . £3 ) narrasi che fra ooloro, i qnali macchinavano di tradir Lilibeo v* avea Galli, e ( c. j j ) che parte de* Galli, cbe militavano •otto Autarito ricovrarono presso i Romani, quando questi eran a campo intorno Erice.

(18) Cajo e Lucio Coruncanu. Plinio (xxxv i, 6 ) chiama gli ambasciadori a Tenta P. Giugno e Tito Cornncanio, e dico ohe fnron «coiai amendue per ordine di Teuta. Floro l i , 5 , aens* additar il loro nome, noconta ohe a guisa di vittime percossi forano colla acare, e i comandanti delle navi arsi nelle fiamme. T. Livio (E piu I. 1 1 ) s'aooor^a col nostro. Secondo Dione alcuni furono legati, altri uccisi.

(19) ltta . Oggidì Litsa. Quest*isola, a detta di Dione, erasi ribellata dagl' Illirii e unita a* Romani vivente ancor Agrone.

(20) Vantaggiarti col fa r prede. 'O p ta i•• significa vera­mente utilità ; ma sicoomo qui trattasi di preda , così ho vo­luto in volgarizzando riunir amendue i conoetti.

(21) Con ira femminile. Iraconde, qui mot t t t mulierum ( con iracondia conforme è costume delle donne ) volta lo Schweigh. la tanto espressiva voce greoa : male,

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per mio avvito > dappoiché 1* iracondia non i O tAatin corta­

me del tesso debole | sibbene era l’ ira di Tenta non ira co­rnane , ma di femmina , cioè sfrenata e vendicativa.

(sa ) Tragittarono direttamente. Il tetto ha Jjìi r i f * , eh* ■ qoanto dire peli* alto m are , opposto al costeggiare. Io a i ton altennto allo Sohweigh. che tradace reeta.

( l 3) Senti malizia 4 precisamente 1 ' di Polibio, chegl'interpreti lattai non bla potato rendere ooll* esattesaa che ammette l'idioma Italiano. Securi , e t m i tale ntpreawirt diate oon lunga perifrasi il Perotti, e mihil asali saspeotantes lo

Schweigh.(s£ ) D elFediftia, Ho stimato necettario di far distinzione

tra W ai e t f k s i , quantunque lo Schweigh. amendoe deno­mini porta. Il perchè ho aegaita la definiaione del Reiske, eh* scrive « vtAi est porta ipsa, ( la porta stessa) tofanasediGciom in qno snnt portae » (ta tto l 'edificio, in coi sono le porte ).

( i 5) Disertare « i r n m jrttifti>at legge*! in Polibio, cheIo Schweigh. dietro al Casanb. voltò sedibus suis pelli. Ma con ragione osserva il Gronovio, che ciò è troppo, ooraechè in altri luoghi del nostro trovisi la medesima frase per distrug- gere le c ittì, guastar le campagne. Quindi suppone egli che qui valga essa soltanto spogliare , privar delle fortune, se non vn errato, il verbo italiano da me scelto rende sufficiente tnente quest'ultimo senso.

(2C) Armarono di nomini, oorrisponde a i»Aifurmt, em­pierono , donde rXnfm/tu la ciurma — Allestirono d'ogni altra cou necessaria, equivale a , che non denota g ii,come pretende il Reiske , provvedere di soldati navali.

(37) Barche ì i p f i t t , da'Romani pare chiamati lembi eran piccioli legni e veloci ( V. Forcellini Leiic. tot. LatiniU ) quii appunto convenivansi ad una naiione cbe come gl’ Illirii eser- citavano la piraterìa.

33a

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(*8) Andando o tgkvHbetcio eo. D m vantaggi ottennero gli Illirii lasciandosi andar obliquamente adilossw a* nemici In primo luogo erano siònri, cbe i rostri dalle navi avversarie non doveano colpirle; poscia era neoeuario che per tal guisa •nooedesse l'orto e il aoafiocatnento a fianchi, e, merci dell’estesa superficie, avessero i marinai maggior comodo di saltar nell* nari Achee.

(15) Btm etno Fono. Era eostui signore dell' isola di Faro, ( oggidì Lesina ) e ad an tempo in DIiria prossimo d‘autorità alla famiglia reale. Ma Tenta , che il - temeva , diede a*oolto alle calunnie mosse 000tra «ti Ini, ood* egli s’ indusse, a tra­d ir b patria, e Ace caro (coniar alla regina le perseoaaioni •offerte. I Romani 3 preposero a'popoli Illirici cbe aveano •oggiogati, siocome tolto vedremo, ma egli affidato ne* re di Macedonia, si ribellò daHomani, spogliò le città Illiriche, e •e ne (eoe signore ( Polyb. n i , 6 ). Accordatosi oon Scerdi­laida fece alleanza oogli Etoli, e guastò con nn'armata le coste degli Aohei ( 14- ìv , 16 )• Ma pooo alante nnisai oogli Aohei a danno degli Etoli ( iv , 19) e fu a Filippo autore di toelta­rati consigli nella guerra che questi moeae alla stessa nazione (v , 11)1 «ebbene in appreuo lo esortò a far pace con essa, e a tragltar m Italia , allettati ohe avrebbe gli afTari dell'IlUria, al qual efTetto entrò nel trattato ohe fermò Fi­lippo oon Annibale ( v i i , 9 ) . Vinto da* Romani li rifaggi presto Filippo, dal quale fu benignamente acoolto ( u t , 18 - ìv, S j , 66 ). Finalmente qaest* nomo andaoe e inquieto, assal­tando per ordine di Filippo U oittà di Messene , fu nooiso

combattendo ( i n , i g ) .(So) Durazzo , città de’ Taulaniii, popoli dalla Macedonia,

l ’ antico ano nome era E p itim o ; m i , se orediamo a Vom- ponlo Mela, i Romani, perché'cotesto nome loro sembrava di cattivo angario ( q u i i cbe aignifioMse •*< damnum, sudar a danno ) il cangiarono in Dyrrachiun, dalla peniiola sa cni

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è M inata ; donde i moderni fecero Doraaso. Qni loleta appro­dare cbi d’ Italia tragittava in Grecia.

( 3 i) Reciprocamente enfiandoli. Lo Schweigh. aembnmi aver ool lo nel legno, voltando in quella «enteosa «e rigettando come amnrdo il «enao ohe a colai voce apponeil Caianb. in tradnoendo t Romanorum /tortai*.

( 3a) Apollonia «ol Some Avo, aeoondo Strabono, ( v i i , p. 3 i 6 ) «cManta «tadii diataate dal mare, oelebr* pelle olu­me «ne leggi, • po' «noi «tndii, vivente Gì olio Ceaare, D q iab vi mandò Ottavio per coltivarli selle lettere.

(33) Ardiri. Lo Schweigh. ba preio un abbaglio circa quarta nasione ; impe rei occhi la egli dir a Strabone, che in program* di tempo furono denominati Vardei, laddove Tarali gli ap­pella questo geografo, • Plinio ( m , a5) e Tolemeo ( u , 17) gli chiamano Vardei. Avean costoro, nn giorno, a detta del na­turai Liti Romano, corsa ostilmente l’ Italia, ma a* suoi di ri­dotti erano a «ole venti deourie.

( 34) Partini-Atintani cono da Strabone (v i i , p» 3 iC ) no­minati fra i popoli dell’ Epiro , i qnali erano mescolati cogli Illirii, e in parte toccavano il mar di Macedonia. Quindi 4

nata la confaliooe presso i geografi, ohe ora ad uno ora all’ altro di quo' paesi gli atlriboisoono. Plinio ( I. c. ) chiama i primi P a rte» , ma non rammenta gli Atinlani, cbe (arse ai

suoi tempi erano spenti, «iccome molti altri di que’ popoli, de’ quali Varrone annoverava ottantatri , mentre Plinio non parla che di tredici.

(35) Fu lasciato con quaranta vascelli. Nel teak» leggeai I w tX u w i fu n t virrmpmmtiT* n i f t Non 0reile eoi Retala che la fona £ coletta fraie aia, cum t i l t curauet a collega relinquì qimdraginta mtvet; ma «oppongo cbe dopo iwXitw if t t - »•» sia per iavàla alato omeaao , vocabolo sovente nulo da Polibio per indicar la pretensa delle forse terrestri e marit­time ohe un dace ha «eco.

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( 3C) Il qual articolo. Nel letto sa ) r i ì ftmXtr+m,propriamente : e ciò- che segue, tocchi massimamente. Lo

Schweigh. etpone , et (quo continetnr id ec. ) ; interpretazione

da non rigettarti. La rooe italiana , di cui mi tono ra ln to , credo oh* «sprinta amendne quelle idee.

( 39) 1 Corintii ammisero i Romani ec. puri^mTttftm/ai, letteralmente , accolsero i Romani, ajfnchi parteci­passero. Lo Schweigh. troppo arbitrariamente tradace decreto* e s t , ut participet Romani fierent. Più a’aocotta alla tentenni

dell* aotore il Reitke, che tpiega : « Admittebant, approba-

boni, consentielant, sibi patiebantur approbari ». E non ten ta

probabilità credo io ohe i Corintii erano itati di ciò ricbieati

da' Romani. — Del retto celebraranti i ginoohi itknioi, coti

detti dalllitm o in coi era fabbricato Corinto , ogni dae anni,

conforme toorgtti da Giuliano ( epitt. 3 5 ) , in onore di Net­

tano , che colà area nn tempio. Il loro principio cade nell* olim- piade lu x .

(58) Contribuì grandemente. È da otterrarti il modo di dire

pi eo Dittico •» t* (non poco ma molto), d ie

tpetto ritcon trn i nel no ttro , ma cbe anche ad altri - toritlori è

famigliare' ( V. Fiatone nel dùlogo intitolato Crilooe, c. 5. ) .

(3 9) Tacendo del retto della Spagna. Non è T . Lirio (m i , a)

in oppotitione a quanto qai dice Polibio, tecondochè credo

lo Schweigh. , arendo quegli alterilo che pattuirono la libertà

de’ Saguntini ; dappoiché 0 0 storo , titnati fra- le potieuioni dei

Romani e de* Cartagineti , non poteano contiderarti apparte­

nere ad alouno di due , e formarano , come ti direbbe oggi,

nna popolatione neutrale. Quetla concetiiooe pertanto era à

vantaggio de* Cartagineti antichi de* Rojnani : ohe , come ve-

drem appretto ( u i , 3o ) i Saguntini erano itati tempre«otto

la protetione de*Romani, ed ogni loro difTerenta in etti ri-»

metterano. Tnttaria direnne qoella città-il pomo della' ditoerdia

tra le do t nasion i, per coi ai toeett la aooonda guerra fonica.

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(10) Ferro il retto del? Iu lit. È da notar*! obe la d ae

•eaii prendeva*! l’ Italia. Nel pih cateto, aòndoraie qai la de­

scrive Polibio, vi era compre** la Gatlia Cisalpina ; e le A lpi

eran a telieotrione i tnoi oon Gai i nel pik ristretto inoom ia-

cava etta al Rubicone in inll’ ing rato delle te ira de' Sornio­

ni. Oude Giulio Cewre ohe dal popolo Romano tenea la prò-

«india della Gallia Cisalpina , della quale te n ia ordine naa

gli *ra permeato d 'ntcir* ginnlo al memorato fiume eoo

animo d’eoonpar Roma, riflettendo alla grandeaaa della eoa

impresa, pronunciò quatte memorabili parole. «* Poasiam ai*<

cor* retrocederei ohe ae varcato arreni qaetto ponticello, d

sari forsa tpaooiar ogni ooia oolle armi ■ ( V. Sveton. in

Ja l. Caefar. o. xxsi ) .(11) I l mare ionio od il tono Adriatico cottigli* - il ma m

Siculo e Tirreno. Grande con fa «io ne regna tra gli antichi circa

la denominazione di qnetti a a r i. Seooodo il nostro aotore

quella parte del mar Adriatioo che guarda a settentrione ì il

seno Adriatico , e la meridionale ohe gingne al promontorio

di Corinto ( ov’4 ora Caatelretere ) t il tRar Jonio. Qnivi in-

oominoia il mare Siculo, il quale girata la pnnta meridionale

ti anitee ool m ar Tirreno, obe batte il fianoo occidentale d d -

P Italia. A delta di Strabono ( v a , p. 3 (6 ) Tarmano i monti

Ceraunil ( Chinerei d ’ oggidì ) la boopa ore ceau il mare

Adriatioo, e ha prinoipio il Jo n io , tebbene aqiendoe i mari

topo da lai u ren te col nome d'Adriatico denotati. Il mare Sh

co lo , ginata il medeiimo ( u , [*. n S ) » eStendesi da Loori,

Regio , Siraonta e Pachino tino a ’ promontorii di Creta ; ooli

acquieta il nome di Cretioo, bagna la maggior parto del Pe-

loponneto , • a settentrione raggingne il promontorio Iapigi*,

( e. di Leuoa ) la boooa del mar Jo n io , la parte meridionale

dell’ Epiro tino al seno d’ Ambraoia, e la oontigna cotta tino

al teno di Corinto — Tolemeo adotta, eome Polibio, an w m

Adriatioo, e un mare Jooio , ma chiama.mar Adrialioo quella

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obe dal nostro è appellalo 8ioulo. — A* Romani era mar ta ­

pe riore il T irreno, e inferiore 1’ Adriarioo. — L* intervallo tra

Idrante (O iran to ) e Apollonia i fecondo Plinio ( i l i . 16 *) il

oonfine del mar Jonio e dell’ Adriatico, e dal promontorio Japigio «ino all’ ultima punta dell'Italia giogo e il mar Sienlo,

dallo stesso autore denominato Ausonio , perciocché gli - An­

toni! erano i primi obe abitavano le m sponde. Esiobio as­

serisce essere la stessa còsa il mar Jonio e I* Adriatico, • di

proposito sostiene questa opinione il Boohart (Chan. i , *6 ) ,

più acoonoiamente Agatemero ( Geogr. 1 , 3 ) definisce il

mar Jonio la bocoa dell*Adriatico, e oosl la intesa il no­

stro anoora chiamandolo m-ipti , quasi tragitto dall* Italia

nella Grecia. Secondo i moderni Geografi é mar Adrìatioo il

■•ano Adriatico e il Jonio degli antichi, e Jooio è il mar 8 i-

oolo i ma forma parte del mediterraneo non altrimenti obe il

^Tirreno. — Il nome del mar Adriatico secondo Livio », 33.

Plinio 111, 1 6 , l o , e Strabone v , p. t i { derivada Adria o

Atria colonia E tn isca, ora piooiolo luogo dentro a te rra , ma

anticamente nobile porto, sebbene gii molto decaduto a* tempi

di Strabone. L*espressione di Polibio, t i r i s r l i ri» ' K$pUi a la r i» , sembra, a dir vero, favorire l'opinione dello Schweigh.

che un* altra origine abbia ootesta denom inatone, forse il fiuma

A dria, di oui parla Stefano Biiantino. Ma oltreoht nessun al­

tro fa mansione di questo fiume, e , conforme abbiam plh

'fiate veduto , grossi errori si riscontrano nel dizionario d ie

porta il nome d i quel geografo, derivati probabilmente dal-

l'ignoranza dal ano oompendiatore 1 oltre a cii», d in i , tro­

vasi in parecchi luoghi di Strabone *A fpimt ooll* articolo ma­

scolino ,. ove manifestamente trattasi del mare e non di nn

-fiume (Vedi 1, p. £ 7 , 11, p. io 5 , y , p. a i o , 1 1 1 , v i i , p. 516 ) . 'Nella stessa guisa dicevano 3 •<>•«, • A iya/<r

YEusino, l‘Egeo, sottintendendo w hrtt mare. I Romani stessi

P o l i b i o , tomo 1. a a

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chiamavano talvolta il mar Adriatico templi cena ente Buina io

gm ew mascolino, aiccome Orano ( 1. i h , Od* 3 , v. 6 ) .

a Dax inquieti torbido* Hadriae. — Il m ire Jonio, età V ir ­

gilio in , v. 210 dà l’ epiuto <S stagnasi, estendeai tecondo

Senrio dalla Jonia tino alla Sicilia, • le aae parti aono l’Adria­

tico, P Achaioo, l’ Bpirotico; perciocché, dice qoel coramen­

ta tore, i mari traggono il loro nome dalle provinole, dalle itolo

0 dalle città. Secondo il medesimo ( I . c. ) e Igino (F a b .i£ 5 )

fn eiao ooa) denominato da lo figlia d 'Inaòo che vuoiti lo

pattane a nuoto ; altri lo deducono da nn naufragio ohe vi

aoflersero gli Joni, o da Jone Italiano, padre d’ Adria, o da

Jonio Illirioo, o da altro dello stesso n o ae figlio di Dirraobio,

di* Broole, avendolo iaavvertenteinente oocito, g iu i in questo

mare» Secondo Solino ( P o ljhuL o. >3 ) i Greoi e l ia iu n a

Jonio eaiandio il mar Tirreno.

(£*) Da’gioghi Alpini eo. Gioverà toocar brevemente, a

maggior intelligensa delle cote qni trattate , tutto il cono delle

Alpi. Incomincia questa terie imponente di montagne dala

sorgente del Varo, e finitoe presto al seno Flanatioo (Qaarnaro),

ohiamato dal nostro uliimo recesio dell'Adriatico. Dalla men­

tovata aorgente aino a* guadi Sabaaii ( Savona ) sono la Alpi marittime ; da queste a Segutio ( Saia ) le Alpi Cotte ; di

qui sino al S. Bernardo piccolo le Alpi Grufe, ood denotai-

nate dal preteso passaggio d ’ Ercole pella medesime. Seguono

le Alpi Lepontine sino alla sorgente dal T ioino, le Resse , di

001 lanno parte le Brenne e le Tridentine tino alla Piave ; indi

sopra al Tagtiamento sino alla fonte dalla Sava le Nonché,

donde diramanai le Pmnoniche. Le ultime sono le Carmidke,

cbe giungono sin alla sorgente della Colepi (Cnlpa). Le Alpi

Giulie non trovanti in Strabono, nè tampoco in Tolemeo, Pli­

nio e Mela, e non farono giammai nna divitione delle Alpi,

ma occorrono toltanto negl’ itinerarii, oro polle vennero in

onore di Giulio C elare, e da’ quali pattarono nelle moderne

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geografe. Fa pertanto il noa* di Gioite non tempre a* me- dedmi tratti delle Alpi M*eguato. Ora lo ti cppote alla paio più oooidentale delle Alpi Reaie, confinanti oolle Loponaio, ora a quelle che topratlanno al Tagliamento fra le Reaie e le Nonché, ora alle Cantiche. Scambio iti eaiaodio talvolta la de­nominai» ne di Noricbe con qnella di Garoiohe, e vioerer- aa. - Il ninne di Alpi deriva fecondo Strabono (vii, p. 514) da Albio, monte altiuimo, ov'eate finiaoono. Al dire di Feato 1 la loro etimologia Alpum, voce Sabina, ohe a nona in 1»* tino, album, bianco, dalle perpetue nevi ohe le imbianoapo. Iiidoro è di avriao ( Hiap. orig. xiv, 8 ) ohe Alpi in lingna Gallica equivalga a montagne alte.

({3) Da Maniglia. Sembra Polibio aver fra qneale monta­

gne annoverale quelle de* Salii, ohe tono tra la mentovala

«itti e il Game V aro, conforme otterrà il Caaanb. nello nota

a Strabone ( iv , p. 198 ).

((4) Fìnitcon poco prima di toccarla. Strabene (iv, p. so l)

laaciò ic ritto , che il monte il qnale forma 1’ ultima eitrem iti

delle Alpi chiamavaai a’ tuoi giorni Albio, e ( vii, p. 3 i 4 )

che la parte più batta delle medesime , denominata Oon ai

ettende da* Reaii alli Japodi, pretao i quali ergenti eate di bel

nnovo e addimandanti monti AlòiL Havvi dnnqne in aerto

modo nna interraaione nel loro co rto , cottitnita dalle emi­

nente , obe formano il Carro d oggidì, il qnale, lituato oom’4

fra i detti M. Albii e il m are , là tl che le Alpi finitoano in­

nanzi di gingner all* Adriatico. A qnali montagne d* oggidì

corritpondano gli Albii degli antiohi non A Creile a dirti. Pro»

babilmente tono etti la catena che dalla valle d’ Idria acom

per Cirknit* , L a i , e Gottaobe aino a* oonfini della Croaaia,

ove peli* appunto aorge la Gnlpa. Tolemeo la ohiama Cena*

vw eat, e 1* Ocra CanuaHo, donde pare ohe per contrtsiooe

tiaii fatto Carte.

(45) Qual tia la virtù di queste torre. Anohe Strabo ita

339

Page 343: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

( v , p. 2 1 0 ) parla molto della fsrtilità della Gallia Cisalpina,

e narra fra le altre co le , la oopia de* vini ohe colà li fanno

«Mere tanta , ohe vi ti veggono botti più grandi delle aaae ;

abbondarvi la peoe e la lan a , di cui la più fina ai raccoglieva

nel Modoneae, la meizana nel Padovano, e la più ordinaria

nella Liguria ; non «carteggiar qnel paete di miniere , è preaao

Vercelli cavarti dell’o ro , aebbeoe a* «noi tempi ai negligevano,

pella rendita maggiore di quelle dqlla GaUia Tram ai pina e

della Spagna,( 4G) Il mùgpo Siciliano. Il medimno ( che tradnui moggio,

peroiooobi Eiichio ( V. in A’ fttM ptiti non fa difTerenia Ira

quei te due mirare , e Corn. Nepot. in Attioo dice - tex rnodH qni modaa m entono medimau* Athenia appellatnr) forma as­

condo P. Bembo ( Litter. voi. a, 1. 3 ad Rhamoni. ) due le n i

di itajo veneto, e giusta il Meibomi* è il «no peto 8 i libbre.

A* tempi di Cicerone (in Verr. 1. m , a 7 5) era «tato ili mato

in nn anno di grande abbondanza il medimno Ia le tte m i.

Ora,, equivalendo 4 oboli a BS 1 2 ’ e il scatenio oorriipon- 1 ^

dendo a dne ioidi di Francia, ne legne che lo itajo Siciliano,

ovveramente dne le n i dello itajo Veneto valeano nella Gallia

Ciislpina ioidi 5 — , e lo llajo Veneto intiero >} ioidi Fran­

cesi circa, quando nell’ età di Cicerone il più vii presso di

qnello era 3a ioidi di Francia.

(£7) Animali porcini. Ba già notato il Cataub. ( ad Atheoaenm

1. 1, p. 3 ^ ) che lift/» (animali sacri) erano detti dai Greci

non solo gli animali destinati a vittime, ma eziandio quelli

.che nccidevami per mangiare , lendoehà ne’ primi tempi gli

«omini non cibavansi di carn i, ma immolavano soltanto vitti­

me agli Dei.(48) Per mezzo atte. L ’ aste non ebbe tempre preuo i Ro­

mani lo 1 testo valore. Ne’ primi tempi era cuo nn pezzo di

,34o

Page 344: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

fama o dì bfonao dal péto d ' an i libbra. Sefrio Tallio il ri*

dotta td ana forma determinata, a v’ impresta la figura d’on

animale ( pecut ) , forte per indicare 1' oso primitivo di fara

i pagamenti eoa certo numero di bestiame, innansi eh’ esi­

stesse la moneta. Quindi il nome di pecunia. Nella prima

guerra Panica ne fa diminuito il peto a doe once e cangiala

I*impronta, rappresentandovi da nna parte oa G ianobifronte,

e dall*altra on.rostro di nfcve, simboli della guerra e della

pace, qnali si convenivano ad ana nasione gì4 divenuta belli­

cosa. Finalmente nella aeconda guerra Panica, sotto la Ditta»

tara di Q. Fabio Massimo fa Caste ridotto a o d ' onoia, e i l

danaro d'argento cbe prima valea dieci asti ■ talk a sedici -, sebbene gli ttipendii militari' continnavanti a pagare in ra­

gione di dieci atti per danaro ( V. P lin io , Bitlor. Nator.

xxxm , 13 ). Ora essendo l ' obolo la setta parte del da*

■laro, o dir vogliamo di. sadici a t t i , ne segne cbe la qaarta

parte d 'u n obolo equivale a messo asse ed once dne. Il qnal computo distratta odo si per nna minusia dal vero stipen­

dio dato alle trnppe , conforme opportunamente osserva Gioì

Federico Gronovio (d e sestertiis lib. i u t c. l ) , non aivri

ratenato Polibio, a fine di schivar nna fra*ione imbaraa-

•ante, dall'additir a'Greci, per cni sorivea, il valore di messo

asse.

(4q) Tauritei. Sono gli atessi cbe il nostro nel libro n i,

c. Co denomina Taurini. Abitavano costoro fra la ainistra

sponda del P ò , le radici delle Alpi, a il fiame Orgo ( Orca )i a la loro capitale chiamavaii Tour in am ( Torino ) espugnata

da Annibaia lotto dopo la sna disoesi dalle Alpi. Strabono

( iv, p . I o 6 - v , p. 2 i 3 ) e Plinio ( ih , IQ , 2 5 ) pongono i

Tanrisci nella Pannonia presso a’ Carni -fra la Sava . e . il Da­

nubio , tratto cbe corrisponderebbe alla Carintia, a parte della

Carni ola , alla S tìria, e a parte drll’Arciducato d* Austria , e

Polibio lisi so ( xsxiv. lo ) rammenta i Norioi Taurisci sitwUÌ

3 4 1

Page 345: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

•opra Aqnileja. Quindi egli sembra cbe io tempi rmloOiiiml

i T annici Celtici abbiano latta ima ipe dizione net Norioo ,

• vi si sieno stabiliti, passando eziandio nna parte di loro ia

Pannonia. Ansi stando a Plinio ( tu , 2^) i Borici anno anti­

camente denominati Taariaoi. Circa l ' origine Celtica de* fio­

rici vedi 1* eruditissima dissertasione del prof. H oahart : das

altceltishe Horicum, oder Urgeschicbte von d ? i terrei eh, Stey er­

ma rk , Sslsburg , Ksrntben , nnd Krain , cioè : l’antioo Ronco

Celtico, ossia la Storia primitiva dell* A astria , della S d rìa , di

Sai isbà r^o , della Carintia e del C ragno nel giornale intito­

lato : Stryemàrkuhe Zeiuehrift, giorn. di S tiria , Gratta

i l » .^ 5o) Agoni. Qoesto nom e, obe non trovili presso nessun

altro scrittore, con ragione sospetta Io Schweigh. che debba

esser mntato in Enganei, i qnali avendo ( secondo che T . Li­

vio I , i racconta dietro nn ’ antica voce ) abitato dapprima

tra il mar Tirreno e le Alpi , furono dagli Eneti o Veneti,

soaooiati, e si ridussero p ii presto alle Alpi tra 1’ Adige e il

lago di Como (V. Cluver. Iiitrod. in nniv. Geogr. (. in , o.

Del resto pretende Plinio ( i n , ) ohe fottero d'origine

greca, conforme lo indioa il loro nom e, eh’ è quanto ioymtilto iry trù t, di generosa stirpe.

(5 1) 1 Liguri. Eslendevansi questi dal V iro slls M sgra, e

dal mar Ligure e dal Pò sino a Piacensa. La loro ospitale e

principal emporio ers Genua , che in tempi posteriori fu chia­

mata Janua, quasiché da Jin o fosse fabbricata.

( 5i ) Pisa prima ciltà rf* Etmria. Secondo Tolemeo (in , i)

e Plinio (n i, 18) non P isa , ma Lana sulla riva sinistra della

Magra nelle vioinanze dell' odierna S an jn s era la priiaa

©itti dell’ E truris. Strabono ( v, pag. 2 2 2 ) dice,- che per

avviso di molti scrittóri il oonfine de'L igori o degli Etruschi

ò nn picciol Inogo fra Luna e Pila denominato Macra, seb­

bene egli pure pone Luna all'estremità dell’ Elrnria. Tuttavia

34a

Page 346: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

era il trailo «fi paese fra P iù e la Maora an ti aamante abitata da una popolasione Ligure, che T. Lirio ohiama Apuani, o

oha l’ anno 5<]a «li Roma fu lotta trasportata nel Sannio (V .

T . L ino n . , 38 ).

(53} SU al contado £ Aretto, p o ti la c ittà , aitaata nelle

viscere dell* Etruria , non pare che formar potesse il oonfiue

mediterraneo de’ Liguri colla medesima. Quindi è che l’Olate-

nio alla voce di S teboo Biiantiao propose di legger

ia luogo di A {{»r/m i. Ma da quanto dice Polibio ap-

parìice, che non i Liguri, aibbene gli Anani e i Boii abitavano la

pianura Ora gli Appennini e il P ò , ore peli’ appunto trovati

Regio. Dall’ altro canto noo è impoaaibile, che gli iteiii Li­

guri A puani, il cui paese dalla parte del maro giugo e «a «ino

a P isa , occupaaaero tutto il tratto degli Appennini aOpra P i-

stoja e Fieaole sino ad A reno .

( 5 | ) Tirreni. Fnron r u i cosi denominati da Tirreno figlio

d ’ A ti, il quale > spiato dalla b u ie , venne dalla Lidia in Ita­

lia oon molta gente. Costoro , stabilitisi dapprincipio di là

dall’ Appennino aovr’ amandoa le rive del P ò , ma poacia , ■oaociati da’ G alli, fissarnnsi fra 1’ Appeonioo , la Magra e il

Tebro. In appresso vi giuose una colonia di Pelasgi dalla Tes­

saglia , e fabbricò la città di Cere , chiamata da’Greci Argilla.

( 55) Umbri. Secondo Strabone ( L e . ) eran essi situati

fra i Tirreni e i Sabini., e passali i monti giugoevano alla mari*

na di Rimini e di Ravenna. Ne’primi tempi estendevano sode

ooste d ’ amendue i mari ; ma diacacciati dal mare di sotto pei

T irren i, e da qnello di sopra pe’ Galli Senoni, a molto an­

gusto spaaio. forano ridotti. Se non cbe , sterminali i Senooi

«la* Romani, rioccuparon essi la parte dell* antico loro territo­

rio che verso l’ Adriatico si prolungava.( 56) Il fiume Pò. Ha desso le sue sorgenti sol anopte Viso,

( Vernlo degli antichi ) Alpe attissima tra la Francia e l’ Ita­

l ia , non già precisamente ore uuiscousi le Alpi cogli Appen­

343

Page 347: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

n in i, il q u i. (ito Polibio addita peli*apice del triangolo, (o tto

coi rappresenta la Gallia Cisalpina; a u pooo Ino gì di co li.

Onde io tradoui ( tiA»»» a un dipretto t legnendo il Reiika.

( 51]) Dirigendo il corto verto mezzogiorno. Ciò è da com­

prenderti nel tegnente modo. Finattantocbè queito fiume lootre

fra montagne ( (i divalla ) è il io» progredimento re n o m w -

■odl j ma oome prime dopo piociol tratto giogne al piano al

nord-ett di Salnaao , la tna corrente volgati a Mttentrione.

Ricevati a Torino la Dora , t* inolina etto notabilmente verto

levante, e lotto Chivaaio al tatto ti volge a quella p arto , .e

protegue nella aletta direiione, leggermente piegando al rad

(ine alla tua imbocoatura nell' Adriatico.

( 58) Tutti i rivi. Secondo Plinio ( m , iG , ao ) trenta

(odo i fiumi che il Pò mena (eoo nell* Adriatico, oltte agli-

immemi laghi cbe in etto ti tgravano. Tutti qnetti fiumi vi hanno

nel oorso de* teooli recata tanta ubbia e ghiara , ohe il tuo

alveo ti i a* noitri giorni di molto a lia to , e ha renduta ne*

cetwria la coitrnxione d* imponenti argini , a ' -quali tuttavia la

acherno alcuna fiata , con grave danno delle viaine campagne,

1* im m enu piena prodotta dille piogge dirotte dell' autunno,

e loitenuta da* venti anatrali, che ne ritardano lo toarieo nel mare.

(5 9) Allo tpuntar delle canicole. Lo tteuo dice Plinto

( 1* c * )•

(Co) Olana. Plinio la chiama Volane, e dice obe Olone ad-*

dimandava» pria. Oggi è il porto di Volana ove mette in mare

il Pò di Ferrara.

(61) Trigaboli. Questo è il lito ove fu poscia fabbricata

Ferrara , e ove il Pò li divide in Pò di Volana, di cni teitè

parlammo, e in Pò di Primaro , eh’è la bocca Padoa del

noafro, o Paduia , ticcome la denomina Plinio, e dietro a 'lai

Cellario ( Orb. antiq. 11, p. GgG ).

(62) Bodenco. Plinio icrive cbe Bodinco il ohiamavino gK

344

Page 348: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Indigeni, loodhè u l t i loro lingua lignificava tenia fondo. L ’Ar-

dnino a qtiMlo luogo di Plinio scriv» ohe ine in lingua Gel*

tioa vado senza, e Bod fine , fondo, estremiti , onde i F rin ­

omi ban fatto boat. Nell* idioma Tedesco <Boden è general­

mente l'infima parte d* ogni coaa ( V. Adelnag’t gnmmatitoh

Kritisohe* Woerterbuch) e bodenloi è senta fondo» — Avreb­

bero mai le lingat del Nord arnia nna madre cornane, sio-

o m vuoisi obe le Orientali 1* arcai ero nella Semitica f

( 63) Gii antidetti campi, cròi a dire quelli della Campa­

nia , e quelli singolarmente della Gallia Cisalpina.

(64) Cina le sorgenti del Pò. 11 Gaiaub. ha tradotto anp)

t ì i i i i a n x ì i f «fi n iS t, ad Podi ripam quae soli* ortam spe- rtat, ,nott considerando ohe la parto orientale del Pò è la ana

fooe, non la ana eorgente , o «he •»»«*A* significa propri»*

mente orìgine, luogo donde ilo nna coaa aorge , la qnal espres­

sione fu poscia trasportata al aito del oielo, da cui appara»

temente emergono gli aatri. Lo Sohweigh. ha corretto qoetto

errore nella ana versione, ma nelle note 1’ ha torpaaaato.

(05) Lai. Leri ( Laevi ) li ohiamano T . Livio e.Plinio. La

loro capitale era Ticino.

(66) Lebeei. Libici appellali aono da Plinio ( m , 1 7 , l i )

e da Tolemeo (111, 1 ) . I l perchè, oome già otterrò lo

Sohweigh. erronea è la acrittura d i‘Libai ohe leggeti in rarii

luoghi di T . Livio. Che se Polibio scambiò il jota coll’e , oiò,

a detta del testi citato commentatore è famigliare a* nomi pro­

pri! che di latino recanti in Greoo , come fLbwtrmX.itt per Ko*

aiir«Ai<>, Sfirmitim per l ^ i r a m l . U luogo principale di

questo popolo era 'Norara.

(67). Jusuiri. Oltre a Mediolano loro Capitale erano nel lor

territorio celebri, Laot Pompe» ( Lodi ) fabbricata da’ Boii,

oome prima.' rannero in Italia. Forum Diugnotorum ora Cre­

ma , Modicia, ora Monza. — Non facendo Polibio meniioae

degli Orobii, le cui oilti più ragguarderoli eran Comode Ber­

345

Page 349: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

gam o, e*ti para , cbe ptrto fra gl’ I o m b ri, parte fra i C o-

Domani gli annoverane. Di latti Plinio aolo ( io , i l i 19) d i

Msi parla , seguendo Ottona ohe li n ò di atirpa graca, con­

forme indica il loro nome, che «nona abitatori di montagne, ni tono ponto mentovati da Strabene • da Tolomeo , 1‘ ot­

timo de* qoali fa Como città Inaubre , e Bergamo luogo dei

CenomanL(C8) Cenomani. Genomani li chiama il aotlro, diveraaraante

da tutti gli altri autori. Le loro città furono e Bretcia , oapi-

tale , Cremona, Manina fabbricata dagli Btraachi , e gioita

Tolemeo ( m , 1 ) oltre Bergamo e L od i, T rento ancora e Verona.

(69) Veneti. Q ueiti, per retatone di T . Livio Bneti ( He-

aeti ) dapprima appellati, espulsi in aita lediaiooa dalla Pa­

tagonia , poiob* ebbero perduto il loro re all'atiedio di T roja,

andaron in traccia d* una nuova patria • d* un dnoe , e fatto

o«po ad Antenore, con lui vennero a ctabilirti nell* intimo

teno dell’ Adnatico, donde loaoaiarono gli Euganai. Sembra

pertanto cbe lo itorico Patavino, per nobilitare l'origine della

ma patria , abbia voluto crescer fede a ootal favola , « p ii

probabile & I’ opinione di quelli che diicender fanno i Veneti

d ag l'I llirii, i quali Antenore, profugo da T ro ja, nel paatag*

gio pel loro pae ie , indusse a mutar aedo. Seoo odo Servio (ad

S neid . I. 1, v. 2^2 ) venne dall’ llliria c-rto Eneto a regnar

ia quali» oon Ira da , ed impose laro il nome d’£arzÙ7, donde

i poiteri fecero f'euaia. Padova , Vioensa , Este , Adria , Bei-

Inno , Opilergio ( Uderzo ) A b ino , furono le loro città piò in­

tigni. Plinio ( n i , 22 , 15 ) mette h-Veneaia fra Aitino e

Aquileja , tratto ohe 00[-risponda a un di premo all’ odierno

Friuli.

(70) AnanL Confinanti 00* Liguri: Piaccaaa fu la principale loro oiità.

(71) Boii. Dopo gl* Intuhri i più potentiTra i Galli Citai-

346

Page 350: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

pini. Bologna è additata pèr loro capitale, ohe chiam am i Pat­

tina , qntnda era la tede principale degli Etrnaohi.

(<jt) Litigoni. Preaao neaann aorittore trovaci queato popolo

deaeri Ito fra i Galli Giapadani ; aibbene fra gli abitanti della

Gallia Transalpina (Francia d'oggidì) Strabono ( iv , p. ig3 ,

2 0 8 ) d ice , ohe passato il monte Ja ra ai gingneva a’Sequani,

poscia a’ Lingotti , e Tolemeo, che li denomina Longoni, K

oolloca fra 1' Arati e il Dnbio ( Saone et Dooba ) T . Livio

pertanto ( v , 35 ) narra cbe i Lingoni insieme co' Boii, van-

cali ch'ebbero i m onti, trovando tatto Io • pai io fra il Pò e

le Alpi gii ooenpatD, tragittaron il P ò , e acacciati gli E tro-

achi e gli Ombri , occuparono le loro aedi, ma non aceaera

dagli Appennini. Sembra tuttavia , che non diaoacciaaaero del

tutto gli antichi ab itan ti, ma oon eaaoloro ai miaohiauero,

adottando eaiaudio il loro nom e, aiocome fecero i Goti cogli

Italiani, e i Tartari co* Cineai, dappoiché i popoli di quelle

contrade non perdettero giammai la denominaaione d* Umbri.

Ceaena , Urbino , Jesi , Camerino erano d* eaai abitate.

(^ 5) Semiti. Venuti eoa toro pure dalla Gallia Tranaalpìna,

impoaieaaaronii delle regioni marittime, ed ebbero fra le loro

c ittì Ravenna, R im ìni, Pesaro , Fano , Sinigaglia ( Sena Gal­

lica ).

("}{) Abitan villaggi non munii. A detta pure di Strabone,

( v , p. 213 ) tutti i Inoghi teatì mentovati non erano ae non

ae villaggi, avanti che se ne inaignoriaaero i Romani.

(75) Poehiuima tuppelleuile. Il Casanb. e lo Sohweigh. r?r «<n<ni>ii( i f i t i f i maBttvSrtt, ncque tuppelleeti-lit ullum usum norant, aebbene il aecondo nelle note apiega

A n sff auppellectiln reliquae , id e s t, qua-alii utqntur popoli

cnltiores ; vel reliquie praeter eam quae pertinet ad id , quod

mex deinde dicit. Io ho creduto obe troppo foaae il dire neg­

ano* suppellettile, ma non ho voluto introdurre nel testo una

circoscrizione inopportuna.

347

Page 351: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

(96) Domano tutta terra e a. Lo Schweigh. appoggia queste

usen ion i d’ Ateneo ( i r , p. 15 1 ) e di Diodoro ( » , ì S ) ,

degni d ’ esser letti. Io rifletterò ohe cotesti popoli, nè bene

Nomadi, perchè agricoltori, nè bene stabili, perchè sovente

emigravano, rassomiglian non poco alle naiioni Etiopiche,

che abitano le sponde del Senegal e del Viger, le quali coW

tirano bend le loro terre , hanno grande cara del bestiame,

abbondano d 'o ro , die loro fornisce la ubbia de* loro Gami,

e rom m ente esercitano le erti pifa neoessarie, ma vivono fra

loro in perpetua guerra, e non di rado lasciano il paese natta

per isoaccia re popoli p ii deboli, confórme ci riferiscono i

viaggiatori p ii reoenti cbe si sono internati in quelle iaospki

contrade , singolarmente l’ infelice Mango-Park.

(79) Vind avendo - i Romani nella battaglia dell’ Alila.

(98) S quelli ohe combattevano nelle loro file, Eran questi

gli E trnsohi, e specialmente i Chiusini, oh* areangti chiamati

in ajato ( V. T . Livio, v , 36 ).

(99) DalF irruzione che i Veneti, ec. Nulla dicono di que­

st’ avvenimento gli ito noi Rom ani, e T . Lirio ( r , ^9 ) «e-

strisce aver Camillo sconfitti i Galli, dapprima sulle mine

stesse di Roma p r e u , poscia nella via Gabinia, otto miglia

dalla città. Qaindi ben a dritto osserva Plutarco ( de fortuna

Romanor. Opp. t. a , p. 326 ) che , se vero è oiò che narra

qui Polibio della ritirata de’ G alli, non può contrastarsi , obe

i Romani dovettero allora la propria ulvessa alla fortuna, la

quale trasse altrove i nemici inaspettatamente.

. (80) I Galli in Alba- Neppur qui s’ aooorda Polibio con

T . Livio, dappoiché questi ( v i , 4* ) ben lungi dall’ affer­

mare , siccome sorive il nostro, ohe i Romani non arri schia­

ro mi di farsi incontro a' Galli, rase onta che la vittoria dei

Romani non fu nè dubbia, nè difficile, e ohe a Camillo,

allor Dittatore, i Padri e la Plebe decrelaron un trionfo. An­

che nel novero degli an n i, corsi fra le due guerre, differì-

348

Page 352: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

•cono Polibio mettendovi l ’ intervallo di trent’ anni, e Livio di

ventiquattro , cioè dall’anno di Roma 365 all'anno 3 89 ) .

(81) Pattati altri undici anni ec. Dae tamalti Gallici v'ebbe

negli anni 5g5 e 3g<] , nel primo de’ qnali T. Manlio oh’ ebbe poscia il nome di Torquato , uociae in aiogolar tenzone lo

aniiaarato Gallo che l’ avea provocato ; onde teato ai diedero

talli a preeipitoaa foga (V. T . Liv. ro , 9 , 10). Altra guerra

colla mtdeaima nazione aoalennero i Romani a detta di Li­

vio (vii , 2^1 2 5 ) l'anno 4°6 # e nel £16 d ’noa nuova in­c o ra lo ne de’ Galli parla lo ateaao antere ( v i l i , 20 ). Adun­

que gioita Polibio guerreggiaroo i Romani co*Galli 55. anni

in quattro volte , e aecondo T . Livio lei volte in 61 anni.

(82) / quali ec. Queata aoorrerìa de’Gaili è poata da T . Lì­

tio (x, 10) nell’anno di Roma 454; adunque 28 anni dopo l’ul­

tima mentovata nel precedente capitolo. Quindi io non com­

prendo, perchè il Reitke e lo Sohweigh. a trent’anni vorreb­bero qui aoaiituir quaranta.

( 85) Con doni. D ine già Polibio ohe i Galli Ciealpini ab­

bondavano d ’ oro. Non è perciò maraviglia a* .oolT offerta di

queato metallo poterono aalvani dall* aggreaaione de’ loro na­

zionali cbe abitavano di U dell’ Alpi.

( 84) Dopo tre anni. Erano quelli, gioita Livio ( v, 29 )

i Galli Senoni ohe nel 458 unitiai a’Sanniti diifecero una le­gione Romana preaao Chinai, aulicamente denominata Camerte.

( 85) Postarono nuovamente dieci anni. Di qoeaU guerra ao-

cadota l’anno di Roma 468 trova*! fatta mensione nell’epitome

del libro 111 della atoria Liviana. Ma nulla vi ai legge dello

aterminio de’ Galli Senoni, e della Coloaia che mandaron i

Romani nel loro paeae. Coli non vi ai fa motto delle altra

due guerre che euoeeaaif amento impresero i Boii imieme. cogli

Etruaohi contra i Rom ani, o che eaaendo precedala immedia­

te stente «I tragitto di P irro in Iu lia , dovettero eaaer avvenute

negli anni di Roma 4 ^9-4 ?3.

349

Page 353: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

(86) Nel bollore delC in . Lo Sabw«tgh. oon molli aooomoi «em p ii, tratti dal noatro autore « da a h r i, dimostra oba la

[rase i r i r i i 3p / i h vale nel momento del p ii alto «degno,

nell’ atto della maggior collera, e non ammetto la oorraiooo del Casanb. • dello Saaligero , i quali le«Mro b ri t i pree in (dada rabbia ) .

(89) Tre ami avmd il patteggio £ Pòro ec. P a n i Pirro

in Italia l’anno di Roma • qoaltr’aani appreaao , nel ( iS ,

fnron > Galli «oonfitti a DeUo. O ra , ùecom» la rotta oba toc­

carono da Camillo, dopo arer presa Roma , «accedette nel

365 , cori è ohiaro, obe da quest’ epoca a lf impresa di Dello

e al passaggio de* Galli in Alia «oon* oltre «a «ecoto. Non

debbo ’ adito qua confoodor m quatto calcolo il nome di Bren­

do obe riscontrasi in amendae k tpediaionl, qnatiabA fotao

il medesimo dace d io le d iraae , e ohe da Roma i Galli lo­

tto ai reoaltero in Grecia,

( 88) S i stettero ched quarantacinque anni. V unioo clorico,

(he, a detta dello Schweigh,, abbia «erbata memoria più estesa

di qneati fatti, ti fn Zonara, il quale nel libro *111, aap. 18

poae il principio di qneiti movimenti Bell'anno 6 1 6 , tra anni

dopo finita la prima gnerr» Panica , e la ribellione de’ Galli

conira i propri! re nel 5 i 8 . Breve ricordo di questi p iena

fa T . Livio nell' epitome del libro u .

( Ig ) Il quinto anno dopo questo tumulto, oioè a diro l’io*

no 532 di Roma nel oonaolato di M. Emilio Lepido, o di M. Po-

plieio.

(90) C. Flaminio. Q netti, teooodocbè riferitoe Cicerone, ( Aoadem. i r , 5 ) fece la legge agraria, di oni parla Polibio,

quando era tribono della plebe, contro la volontà del St> n a to , alcuni anni avanti la teconda guerra Punica. Fn posata

cen iore, e dne volte console, e peri nella battaglia al Tra»

aimeno. Del retto dioe T . Livio ( 11, 44 ) cbe la legge agra­

ri» , promulgata la prima volta l'anno 368 di Rom a, non fa

35o

Page 354: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

mai «filata seosa grandiasimi movimenti. V ebbe od altro

C. Flaminio , cbe pervenne al oonialalo 1* anno 5G5 , e fa

njH> de'triamviri obe condussero la coloni» in Aquileja ( V. T . Li»

rio l u m i , 4* e i m i , 55 ).

(91) Ge,m a '. Il Hcitke dioe m e re questo nome il Gaerte de’ Tedeschi, ohe lignifica amici •tranieri. e singolarmente in ­

vitati e ooodolti con mercede. Altri ripetono questo vocabolo

da gum m , «peoie d’asta seooado Esicbio e Polluce (v u 35)

tutta di ferro , Slfv , d ie vuoiti euere alata arma

propria de’Galli. Ma T . Livio (v ili, 8) la distingue dall’asta,

• Festa la obiama grave jaculum.. S’ inganna pertanto , a mio

parere lo Schweigh. credendo, cha nessuno degli antichi abbia

detto essere gaetum nome Gallico, e arma propria de’ Galli ;

dappoiché trovasi in Virgilio ( fineid. vili 6 6 1 -2 ) Alpina co-

rnscant gatta m ann, parlando de* Galli d ie presaro Rom a, al

qual luogo Servio nota , per indicar 1* origine Gallica di que­

sta vooe ; viros fortes Galli gaetot vocant, ( i Galli chiaman

Gesi gli nomini valorosi. — Ma la spiegasione che ne dà Po*

libio favorisce 1* etimologia additata dal Reiske. — Quella che

spaccia. E ostano ( H. B. v. 1 8 8 ) r i y ìt £*r<7> ( dal

cercar terra ) i troppo frivola.

( g l ) Alienato. Ariovisto 1’ appella Floro ( 11, 4 )• Amen-

due , se crediamo al Claverio (Germ. Antiq. I. 1 , c. 6) sono

tus medesimo nom e, e d1 orìgine Celtioa. Un altro Ariovisto,

re de' Germani, e oppressore de* Galli Sequani, fu sconfitto

da Cesare ( B. Gali. 1 , 3 i ).

(g3) Dappoiché avean il nemico fa tich i Meta imminen-

tis e praiiato hostis interpreta lo Schweigh. , ma io ho sti­

mato , ohe con maggior elegania e proprietà mi sarei attenuto

all* espressiva Crase del testo , Jtk r* wptt raìt irtotpmìt in -rmt iw m fxuf,

( g i) Ed aveano da cinquanta mila fin ti ec. Diodoro (edog.

i i v , 3 ) narra ohe i Galli aveano allor racoolto nn esercito

351

Page 355: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

di dugento mila aomiDLQoìndi gioitunsnte arguito* lo Sobwei^b., ohe a questo D a m e r ò ascendevano le forte unita de' Gesati e

de' Giaalpini. Ma i Romani ancora, dioe Diodoro, arcano •Set­

tecento mila fanti e ietunta mila cavilli) tocchi •’ intende per»

Unto del namero degli arrotati, capaci di portar arm e, ed io osò

i dne dorici ranno d* accordo. T . Livio ( Bpit. I. xx ) rifo-

ritoe , ohe i Romani arean in quella guerra trecento olila a r ­

m ati, laddove il noetre b ammontare i loro combattenti a

oenòinqnanta mila fanti e »ei (?) mila cavalli.

( j 5) Venti mila Ira cavalieri « cocchiì. Diodoro ( v , i g )

n a rra , ohe i Galli tervivanti in guerra di ooochii, che por­

tavano un co echi* re e nn soldato , il quale dopo aver vibrala

la ma lanoia nel cavaliere a cui eraà abbattuto, discendeva

e pugnava oolla «pada.

(96) Alla volta di Rimini. Dopo 1* ei pollili ne de* Senoni

'era questi il confine dell* Italia colla Gallia Ciulpina.

(y)) Ciascheduna ( legione ) di cinque mila dugento fanti. Diverto f u , conforme bene o tterrà lo Sohm igh. il numero

de* soldati, che non tolo in diverti tempi , ma enandio nel

medesimo tempo in varii luoghi componevano la legione Ro­

mana Coti pooo appreuo in quetto tteuo capitolo leggeti oh*

a Taranto e in Sicilia ttaniiarano due legioni, ognuna della

quali avea quattro mila fanti e dngento cavalli ( V. Polib. 'in ,

io j - vi v so ). A detta di Plutaroo nella vita di Romolo, com­

prenderà la legione ne* primi tempi tre mila - fanti e trecento

cavalieri; ma dopo l’ unione de'Sabini co’Romani fa e o i

recata al doppio. Tuttavia osservali da quanto riferace il -no­

li ro , cbe in tempi posteriori non fu tempre cctanto nume­

rosa. Scipione maggiore pertanto, imbarcandoti peli‘Africa, com­

pose le tu» legioni di tei mila fanti e treoento cavalli (V. Tito

Livio xm ix , 24 ) e nella guerra Macedonica furono conce­dati al contole che andava in Maoedonia per cadauna legione

tei mila fanti e treoento cavalli, mentre in quelle oh*ebb«

35a

Page 356: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

seoo l’ altro console erano soltanto secondo l’antico costume,

cinque mila fanti e dugento cavalli ( V. T . Livio s u i , 3 1 ).

Laonde scorgeii esser falso ciò che dietro Feslo riferisce Paolo,

aver Cajo Mario il primo portata la legione a sei mila du­

gento fanti, qoando peli’ addietro non ne avea oltre quattro

mila, nel qnal caso chiamavasi quadrata. A’ tempi di Vtgezio

( de re milit. i l , 2 ) era la legione formata di sei mila du­

gento fanti, e 926 cavalieri, oonteDendo la prima coorte

H o 5 fanti, i 32 cavalli, • le altre nove ciasoheduna 555

fanti e 66 cavalli. Del resto deriva il oome di legione, giusta

Vairone (d e ling. lat. iv , p. 2 4 , edit. Gryph. i 535 ) da

legtre, scegliere , perciocché nella cos<A-iiione i soldati veni*

vano scelti, quod leguntur militet in delectu ; ma è in errore

il Forcellini, ( Leiic. tot. latinità alla voce legìo ) che , se­

condo 1’ opinione d* alenili, riportata dallo stesso astore, vi

ebbe tre legioni di mille soldati l ' a n a , sendochè Vairone

( 1. c. p. 25 ) dice solamente, ohe, a formar la legione di tre mila soldati, contribuiva mille nomini ciaschednoa d'elle

tre tribù , in cni allora era diviso il popolo Romano.(98) Sorridati. Sartina è da Sjrabone ( v , p. 227 ) anno­

verata fra le città dell’ Umbria, ma deve aver avuto territo­

rio ragguardevole / e abitanti valorosi, dappoiché Polibio li

nomina qui separatamente. Sembra pertanto che » qoesto ar­

mamento odo prendessero parte gli U m bri, che abitarono la

-costa dell’ Adriatico-

( 99) Della plebe Romana e Campana. I Campani non faron

uniti a 'S ooii, ma a* Romani, perciocché l’anno 446 di Roma,

peloro >meriti nell’ultima guerra Latina, ebbero la cittadinanza

Romana (V . Liv. v m , l i ) : sebbene poscia nella guerra

d’ Annibaie, per essersi da’ Romani ribellati, la perdettero

non «c!o, ma furono ancora gravemente paniti.

(190) Per moda che le forze ec. La somma, coti de* fanti,

POLIQIO , tomo 1. s i

353

Page 357: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

come de* san ili qni indicata da Polibio, non ri tolta altrimenti

dall’ unione delle parti. Eocooe il prua petto.

tonti.

Quattro legioni Romane di 5 ,aoo Curii per cadaana Jo .Io o

354

Alleati . 30,00»

Sabini ed Etrusohi 5o,ooo

Umbri e Saninati . 30,000

Veneti o Cenocnani ao.ooo

Somma 1 <0,800

Cavalli.

l a quattro legioni 1,100

Alleati 3,000

Sabini ed Etraaohi . fot00

Somma 7,100

Y*ba dnnqae fra le dne aomme nna discrepanza di oirca

dieci aaila Canti, e mille dugento cavalli : i primi in avanao ,

i isooodi in difetto. Qoanto £ al aoperohio de'fanti, può eoo

derivare dalle migliaja , che nel contingente di aaacbe-

dnno oltrepaaaato avranno il nnmero rotondo, e de’ qnali il no-

atro non Icone conto. Non co«l oooprendeai, p e re ti meno

cavalli egli abbia annoverati di quelli che forono realmente ,

ohi non opinasse collo Schweigh. che in luogo di 1 {«■«*-

X<A/ar ( d a lei m ila) abbiali a leggere wp'tt ( da otto mila ) — Per ciò che ipetta al nnmero degli nomici

atti alle arm i, U somma delle parti oorriiponde a nn di presto

a qaella che addita Polibio. — Lo storico Fabio pertanto,

Page 358: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

che fu presente a quella guerra, secondochè riferisce Eutro­

pio ( ili i 5 ) , dice , essere stati pronti a combattere ottocento

mila nomini, e se vi comprese i cavalli non andò langi dal

vero. Ma PKnio ( i n , so,, > ( ) esagerò di troppo, ponendo

ottocento mila fanti e ottanta mila cavalli, ed escludendo per

giunta i Transpadani ( Veneti e Cenomani ) ohe militarono

eo’ Romani: Orosio (i t , i 3 ) asserisce , ohe i Romani e Cam­

pani arrotati furono treoenqoaranta otto mila fanti, rendaci

""••a aei oento cavalli, il qoal nnmero non s'aooorda con quello

di dugento settanta mila cittadini, rilevato nel prossimo censo,

siccome apparisoe da T . Livio (Epit. I. » ) j sibbene con qoetto

che qni adduce Polibio.

(101) Attelaronii ttaptrtfimXtt ha il testo , e non ao come

il Caaanb. e Io Schweigh. siensi indotti ad interpretare Mitra locami, quantunque I’ ultimo avvedutosi dell’ erro re , uè’com­

mentarli d ica, che meglio sarebbe acìcm intim ati ; percioc­

ché non avanzava tempo di fare nn accampamento, ma doveano

schierati aspettarsi il nemico eh* era tosto per inseguirli.

(102) Ditarmali pel bosco. Dne precauzioni necessarie,

pnchè i messi giugnessero salvi presso il console.

(1 o3) Più alii alla pugna. Mi son attenuto alla lesione di

Snida che ha comparativo in Inogo di

a a r a r t i superlativo , dappoiché manifesta è qui la compara­

zione de’ Boii e degl’ Insubri che combattevano vestiti, e per

conseguente meno leggeri, oo’Gesati che pugnavano ignudi,

quindi piò spediti. Senza che non suona expedtlut,conforme tradusse lo Schweigh., sibbene efficace, attivo, ben ditpotlo.

(io4) Alla ritirata tir rtv/twptr&tt ( alla ri­

tirata in avanti) hanno tatti i lib ri, locchè tir ra tà rir^ ir

( indietro ) convertì il Reiske, coi sembrò assordo un movi­

mento di ritirata in progressione. Ma io credo , che amendue

debban essere ritenuti, e porsi tir Itiptw-ptr^n u*\ ravv i-

355

Page 359: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

rS ti , cioè a d ire , alla ritirata io avaoti e in­

dietro. Imperciocché, bifronte cem’ era lo tchieraoMnto dei

G alli, non potea l’ eteroito da nna parte ritirarsi senza cbe progrediate dall* a ltra , e nell* emergerne d* una foga gli ai

trovava chioao il patto io doe direzioni opposte, 1* una delle

quali portaodo in u m i , l’ altra dovea condor indietro.

(t o5) Di collane t di maniglie <? oro. Lo Sohweigh. nel-

l'interpreUiM ne latin» non ha tradotta la rooe Greca ^ * im -

•m ti, e nel dizionario ha capotto . , armili*. Ora

per qoanto toorgeti da Etichio , erano le /»•>««&■ < ornamenti

ohe ponefaati intorno al oollo, che anche chiamavansi

utt (looette). Quindi è chiaro, ohe ftanàim i significa, non

gii armiUai, tot oollane , latinamente tartfUet, quali appunto

portavano i Galli, e donde Maolio, uocisor di qael soperbo

G allo, ebbe il nome di Torquato. C h t poi np)%tip*t iotaero

«maniglie , abbaiLaoza lo iodioa la oomposicione di qoetto vo­

cabolo di wtf) ( intorno ) e %tìp ( mano ).

(106) J laudatori. Qoeata voco italiana ho credala la pià

atta ad esprimer 1' «*«»Wrr«< del tetto , i quali erano soldati

armati alla leggera, che vibravano 1’ •* •» « •> , da Etichio

apiegato Jtpéhèt, fu*p£ xly%n , picciola lancia.

( lo 1}) Per tal modo i lanciatoli. Lo Schweigh. adotta l'in ­

terpretazione del Cataob. il quale legge 75» m <i7i>t«»,

non 7«7r »Ktihrr*7tM come hanno tolti i codici, evolta: Ita Romani jaculatores Gaetatarum ferocet animot dejecerunt. Ma

nelle n o te , osservando che nmpk cottroilo col terzo cato non

h a altro temo che opud, penes ( pretto ) , vorrebb’ egli che

la frase accennata foste elittica, e che ampliata tuonasse coti :

dtwi adhuc penes jaculatores et levem armaturawi rei erat. Siccome pertanto non poteasi in volgarizzando esprimere questa

modificazione, cosi ho ritenuta la versione del Casaub., che

eoo sufficiente chiarezza espooe il concetto di Polibio.

(108) Rcsistevan con eguale ardore. 11 testo ha

356

Page 360: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

«« i n i (duravano egualmente-) , ore oon buone ragioni di­

sputa io Schweigh. contro il R eiike, deverei leggere oos) , a

non 1*1 r ì m (alquanto ) : obe non na poco, ma lnnga peiaa

resistettero i Galli alla fanteria Romana , né furono vinti sa

non «e sopraggiunta la cavalleria de* nemici.

(rog) Gli tondi de’ qùati pella sicurezza. Qui-- è nel tasto nna ragguardevole lagena, coi lo Schweigh. supplisca neUs

note in questa guisa. Gli tendi pertanto de* Romani hanno pella sicurezza e le loro tpade pelt asiane an gronde vantag­gia , peniocckè lo feudo di (fuetti copre luti» il corpo, e quello de" Galli è pià è reve, e perciocché la tpmda Romana ha un3eccellente punta e il taglio acuto da amendue le parti, laddove la Celtica ha un taglio telo. Per quanto cotesto sup­

plì meo lo sia felice, io non n i son armchiato d’ inserirlo

nella i tradusione, siccome noi fece neppur lo Sobweigh. con­

tentandosi- di oarar da ciò ohe rimane un senso ragionevole. —

Dal resto era la spada che usavao i Romani la Spagnnola, corta , da dne tagli, larga, salda, e appuntata, che Saetonio

( in Claad. c. r 5 ) chiama machaerm, e non solo iti lapagna,

n a emiandio in Oriente era comune, eoo forme 1» indica la

denominatone ebraica somigliante alU Greca. (V. Baxtorf.i

Laxia. Tbalm nd, pp. lo à 3 , ia « ( . — Goccejns Lexic. et

oommeot. seno. Bebr. ‘et ChalfL p. 455 ) . Spagnvola pertanto

addimandavaà questa spada, forse pecchi divenne comune

lira..i Romani* allorquando incominciarono a guerreggiare in

Ispagna , sebbene, anche prima la conoscessero ; dappoiché quel

Manlio , che accettò la disfida del presuntuoso G allo , era di

quplU cin to , conforme, presso A. Gellio ( l* , i 3 ) narra

Q. Claudio Quadrigario.

( n o ) Colle maniache. Di sopra avea Polibio distinte le

maniache dalle sm?niglie ; il perché ragion volea che le prime

■'interpretassero collane. Ma qni comprese sono amendae sotto

357

Page 361: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

il noma di maniache, quindi non ai i potato applicar all*

feconde la medeiima dtnominasione. Io pertanto (oppongo F

d ie la tpiegaaione agginnta sia nna gleata marginale, ptll’ i -

gaoranaa di qualche copiata introdotta nel tetto ; altrimente

converrebbe creder Polibio in contraddicono con t i attuo.

Non t poi véro ciò cbe per convalidar il doppio aenao di

^ ( • 4 * w , ateeriioe lo 8obweigh. denotare ooal armilakm , come M rfom eoliarti*. Strabono ( iv , p. 199 ) , da Ini

eitato in appoggio dalla ina «antenna, gli è contrario, dappoi­

ché , parlando degli «rnaoieaii do' Galli , dittingue rvftmT», che

portavano intorno al eolio, m»f) I tit , da

oh* aveano circa le braccia a i poi a i , n p ) 7*7t » )

7««r mipmut. P i i mi piac* il ano primo «capetto, cbe U

parole Tmt z*tp)u a e ì ( lo mani e ) , ohe non trovanti ne‘ co­

dici Urbin., Y ltie., Fiorent., Angnat., Regio primo, ed il Pe­

rotti ignorava , aicno «tate importunamente interi!* nel codice

Bavaro, donde gli altri le tollero. Qniodi io pare le bo

ornane.

(111) Il patte degli Anaai. Coti leggo con Leonardo Are­

tino , e col P ero tti, • con Polibio aleaao, ova annovera i

popoli Ciroopadani ; non gii Anamari o A ramini , ntaione cbe

non rincontrali altrove mentovala.

(112) Poco lungi da Maniglia. C iò , come ha g ii oater-

vato lo Schweigh. dietro il C laverio, non paò (tare : d ie

troppo era qne*ta città lootana dal Pò e dagl* Inaobri. S ib-

bene i probabile , che , conforme corre*aero i anmmentovati,

Polibio abbia acritto n > i ( i i 7/ a r , Piatente, oh*era appunto

in quella vicinarne, e non molto dittante dal eonfloente del-

I* Adda e del Pò , pittato il quale, i Romani furono nel

territorio degl* Intubri.

(113) Chiese, u x iru » ; fiume del Mantovano che

■bocca nell* Oglio. Donde ti comprende che a’ Cenomaui ip -

358

Page 362: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

partenera bensì Mantova, ma non Cremona, oon forme con

Toltmeo opina il Cluvèrio.

( n 4 ) Itele le insegne. I vessilli che còndaoonti innansi alle compagnie, e che significano ancora le compagnie stesse,

non altrimenti cbe vexillum presso i Romani e *• /**(* presso

> Greci avean amendue questi sensi.

( n 5) Dal tempio di Minerva.- Cesare (B ell. Gali, v», i«j )

annovera Minerva fra le Diviniti adorate da'G alli, e dice ohe

da lei ripètevano i principii de1 lavori e degli artifioii. Questa

Dea sembra pertanto aver presso gl'insubri presieduto esiandio

alla guerra, dappoiohi era custode de’ saori vetsiHi, ohe non

era lecito di muovere se non se uè’ maggiori pericoli. Codi

serbavan i Trojsni con somma gelosia il Palladio, piooiolo

simulacro di Pallade , ■ caduto , conforme avean io tradisioqs,

dal cielo, e dalla soa cooservacione credevano dipendesse la

loro aaWeiza | onde fa nedesaario eh» Ulisse con asturia il

trafugasse , perchè i Greci impossessarsi potessero di quella

«itti. Cosi avea il fato attaccalo il dominio di Roma all’ in*

tegrilA de* saorì sondi detti ancili, d* origine essi par celeste *

che moveansi , ciòi a d ire, portavano in"processione ogni annò

per trent* giorni da'sacerdoti di Marte, durante il qual tempo era vietato di vacare a qualsivoglia pubblico affare , coti ci­

vile , ootUe d‘ armi.

(116) Alle prime titorti. $ran i foldati di queste armati

alla leggera, e stbbem chiamavansi bastati, tattavia nelle

epoohe posteriori impugnavano il pilum , as ta1 lunga e sottile,

ohe troppo poco' avrebbe resistilo a’ colpi delle sciabole Gal*

liche per incurvarle. Quindi accortamente i tribuni lecer loro

cedere da’ triarii le atte massicce di chfe eran questi armati.

(i 17) Corsero loro alla vita. Il testo ha m ifm /titìtt tir 7 i r £1 Ipmt (correndo loro nelle m a n i), cioè, accostandosi

loro tanto , che avrebbon potato vicendevolmente mettersi le

inaui addosso , conte si direbbe iu Latino manus conserere,

359

Page 363: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

6 ip GttCO. ancora ni tarlar i<( la t %ii(at, i ìt xù fa t inai (toccarti nelle mani, venir alle m ani). Ma il svaifaptiìis . «prim euto la yiolenz» dell' a iion f, richiedeva Irate luliaaa

pii, e dica ce , qnale iq mi 1 mingo d ' aver aiata.(118) Mai tagliare, menando colpi dal? alto. Diflicil era ren­

der accoratamente in volgare la frate Greca cb’eaprime qu«4to

Concetto. Lo Schweigh. Iridata»* facahate ahlau gladio» ad e*ttim feriendvtt attollendi ( di a ita i le tp#de ptr ferire a

tagli»). Ma ** M /n i t n o n p o o ù w l’idea, di f a i r a taglio,

tibbeoe qaella d’ aitar 1* arma a. qualche d ù la o u , e /••£* ■ »

Jtàfnttt tigni fio» propriamente poga*,, ni cqi cado» i colpi

dall’arma e h 'è Mala pria a eeft» d ittan ti aitata. A quatti ptrtiooW i io mi tot) ingegnato U’approMimanui « per quanto

|a proprietà della fav«Ua IlnUfo» il pernieUov».

{119) Spingendo, per modo oAei «00 pofati cantare. Il tetto ha 1* Jiaxi'l’t t tt , altro tem ine teooioì «ppoalp * t>

tllr f . nell» ttatia goit» «he la. direzione óriionule opposta

i alla pcrpiodicolare. Deriva atto da Jtaìaftfla i* , secondo

P*iobk>< vocf! della paleitt-a, che a giudicar* dalle p»rji che

kicom pongono, sigoìtuaiatorortU r r«vvenario a («le, oh’egli

non pota» «causare il colpo che’ gli ro c h à u o ( loqefeà doyea

peli’ apporto accadere nell’attitudine preM da' R im ani. «ha

da grande vicinanza ferivano i Galli a pool» di tetto a’ brevi

toudi , ond 'pra copula picciola parto .della perton», Lo S«bw.

per :estrr« a f>è conscguente iolcrpreU» 1U 'pretento frate pun- cft'w in oppotitione, 4 caesim t in -coi avea voltata I’ antece­

dente. Io ho amato meglio d 'u ia r nna circotcmidoe che di tpiegamii con poca esattezza.

(120) Acerra. Il Clnverio ( h a i antiq. p . i { ( ) pretende

chc queato loogo «ia «ggi appellato Gherr» | ma io credo che

«a Voghera, città > forte tuttavia , stilata. appunto come qui

là dtscrive Polibio, £r* il Pò e le Alpi, e a dir meglio ira

36o

Page 364: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

il.Pò « gli' Appennini, essendoti di-leggeri palato soambiare U t Awttntmt « fi» in 7i» ’AAitiitS» «/«».

(121) Clattidio de*’ ««sere alata altra forteira fra Voghera

e P iacenia, dappoiché era nel territorio degli A n n i: 'd ie

>>*>«1 a*ha qui a- leggere - ool Grommo, • non "AtSfmr ( d * l i nom ini'), conforme vuole il C aunbono, : il qnale con

soverchia aotdglieasa traduce Bomanorwn — Sarebbe quello

laogo 1’ odierno Catteggio ?( 111) Cta buon moneto £ fanti. Il testo ha U t wtfr*3t

■cotanto, ove non avrei diftoolti diaottin tender p if« r (parte)

contri l’ opinione dello Schweigh, 0 vogliali considerar 1‘ e -

t pressione cOm’ eliltioa, o credere che questaparola sia stata

omelia per inarvertenaah Fu|vio Or«ai. e lo Scaligero prefe­

riscono 7* 1ri£j*<» ; nta allora avrebbe detto Polibio d ie

Mar«ello erati partito <da A oem oon tutta la fanteria, locohè

è oon tra rio alla storia , fioco me toorgeei da Plntarco , il qnale

nella vita dì Marcello ( p. 3 00 ) narra oV egli non prete taoo

in questa apediaione Mi non «e sei oento fariji <UJ pià f e ­

d iti* ed aggingne ( p . ' 3 o i ) , ohe s i pria n i poi eoa) poohi

fanti, e cavalli vieterò nnmero tanto grande d* amendue.

( ia 3) Più colf impeto che col configlio. Ciò ricorda la bella

eefttenia d ’ Orano

» f i t confilu erpert mole ruti tua •»Forza sansa conaiglio

Oppressa cade sotto al proprio peso.

( ia 4) Difcacciali dal piano del Pò ec. Molto ntilc all'in ­

telligenza di qneato pauo è la nota tegnente, che qui aggio­

ga e lo Sohiveigh. « Che gl’ Insubri e i B oii, dice questo

erqditiaeimo commentatore, poiché nel bel principio di queata

guerra ridotti furono ad arrenderai, foatero spogliati d* una

parte del suo territorio , ai conoice da Polibio (111, 4»*) ove

riferisce esservi state l’ anoo 5 iG di Roma condotte due co*

Ionie,. 1’ una a Piacenza di qua l ’ altra a Cremona di l ì del

3Gi

Page 365: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Pi>. Ma i Boii, • allora « • molto tempo appnam , tannerò

la loro tedi di qoa del Fè ( cioè al meuogiorao di qsetto

fiume ), e itancarono tovente i Romani owt gravi guerre, too-

oaado etti po r acerbe rotte. E perita la patte della itaria

Polibiaoa in eoi eipotte tono le vicende potteriori de'Boii. A

detta di T . Livio ( i n v i , 3g ) il co mole P . Cornelio vinte

i Boii in naa battaglia in tigne, « tolto loro circa la metà del

territorio. E quetta è I’ ultima meniione ohe da’ Boii troiai

pretto T . Lirio. Che potoia i Boii fotiero al ta tto eapolii

dall* Ita lia , e li recaaaero aU’latro , ce lo narra Strabone

( v , p. j i 3 ) , tu ch e , te intiera aveaaimo la atoria di Poli­

bio , ndir potremmo la tua pròpria tpotisione. Degl* latubri

non ti riaoantn pio men tiene pretto T . Livio dopo 1*anno

di R om a'56o (x x n v , £6). Milano pertanto, obe in addietro

era (lato preio da MarceHo, mt> reitituito agli abitanti verto

atatichi, gli tteu i Intóbri a quel tempo ancora poatedevano :

ma non bo trovato pretto nettun altro autore, che ne fouero

itati cacciata- Quetta città , dice S trabane, è r i»

Ttlt ‘'A kw in , contigua ia certo meda atte Alpi, looofai •’ ae-

corda con ciò ohe qui tori ve Polibio, «ooettocbè da pocài

luoghi che giacciono lotto le Alpi. — La oampagna degl* In*

tu b ri, dal lato che guardava il P 6 , è da crederti che dm a

fotte fra i coloni Romani, conforme qni indica Polibio. Del

retto dice lo netto Strahone ( 1. c.) che il nomo d* Inaubii

era rimatto tio alla tua e li nella Gallia Cisalpina. »

( i25) Come V ultima volta iaturterò. Non fu q u e tta , a dir

vero » 1' oltima guerra cbe i Romani aottennero contro i Galli

in Italia, nè Polibio parla della medetioia, ma di altra da lai

detcritta io uno dtf potteriori libri a noi non intieramente

pervenuti. Gl' Iu tu b ri, poiché M arnilo ebbe loro reatitnito

M ilano, unirooti l 'a m o 55q di Rema oo* Boii e aaaaltarono i

Rom aui, ma furono aconfitti dal conaole L. Valerio Fiacco ,

e Tanno appretto dal co ha. T . Sempronio ( Li», x u iv , 4 6 » 4 ") )

36a

Page 366: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

dopo il qnal tempo non aliarono p ii capo. I Boii fecero l'at­

timo loro sferzo tre anni di p o i, nel qnale farono tante in­

telici , che preiero il partito di sgomberar l'Ita lia ( V. la nota

antecedente ) . <

(126) Episodii della fortuna. Ariitotile (de arte poet. o. i a )

definisoe 1' episodio nna parte intiera della tragedia ch’è posta

fra i canti, intieri del coro; onde Melai tasto, ohe l’ interpreta

aggiunta , ( estratto detta poet. d’ Ariatot. c. 1 » ) credette esser

episodio secondo il medesimo tatto il dramma. Ma lo ateieo

Aristotile (op. a cip. 19 ) qualifica episodio nell'Ifigenia in

Tauride il furore d’ O reste, per oni fo scoperto e preso ,

sebbene colai arrenimeoto non è ponto straniero all' azione

della favola ; chiama pertanto episodica la tragedia , in coi senaa vertsimiglianza introdotte sono 1* nna dopo 1’ altra pa­

recchie asioni. Adunque le guerre de' G alli, chiamate da Po­

libio episodii che introdusse la fortuna nella storia de' Roma»

ni t non debbon allrimeati considerarsi come giaoahi , con­forme 00testa voce Greca tradusse il Casaub., ma oome parti

non aliene dal tatto) Siffatti avendosi il nostro autore propo­

eto di narrar compendiosamente ne* dae primi libri le gesta

principali de' Romani dalla prima guerra Punica sino a* suoi

tempi, non poteva egli tacere i periooli in queU'epoca da loro

corsi pelle frequenti irruzioni de’Galli; Senza chè egli stesso dice

di sopra (c . u t ) esser al tutto necessaria la cognizione^ di

questa storia per conoscere , in qaal gente e in quali luoghi

affidato Annibale imprendesse ad abbattere l’ impero de’ Ro­

mani. Errò quindi, per mio avviso, lo Sohweigh. in soste­

nendo òhe la (posizione delle cose Galliehe non apparteneva

qui gran fatto. Nè poteva si spacciar Polibio, siccom1 egli crede,

oon poche parole per dimostrare l'influenza eh' ebbero cote­

sti affari nella guerra Annibalica j dappoiché dovea il nostro

storico far conoscere la gente e i luoghi che tanta fiducia inspi­

rarono al capitano Cartaginese. — Concludiamo ohe 1* epiio-

363

Page 367: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

dico di q netti narrai ione no* cornine gii B ella strsnem di

nife ohe in c u i si tratta dal soggetto principale, ma nell* in­

teresse secondario ohe. ne dativa , oome quella che grandemente

beasi contribuisce a comprendere tatto l’ intreccio de’ precipui

avvenimenti » ma di per sé non è scopo dell'opera , siccome

nell* Ifigenia in Tauride il furore. d ’ Orerta è mezzo beceesario

a sviluppar 1* r io n e , ma non la meta a coi questa tende.

( l i 1)} Decito a tradimento ec. 'T . Litio ( x x i, a ) narra,

ohe tm B arbaro, adirato dell*avergli Asdrubale latto m oririi

padrone," pdbblioameate il trucidò , e prato da quelK che gli

alavano d ’attorno e da tonnend lacerati, non altrimenti obe

se aalvato si- fosse, tal era in volto cbe manifestamente la gioj* ■operava il dolore*

(128) Annibale amoor giovine. Avea egli allora veniei «irti,

eeriflodhè in età di nove anni venne ip lasagna col padre

Amilcare; questi vi soggiornò altri nave anni, edotto vi oon*

samò Asdrubale.

(129) Aizzamenti. Il testa ba w»farf/fimn , che frropra-

mente signiGea frequenti confricazioni, e qai vale quelle iodi­

rette offese cbe fannoai vicendevolmente còlerò, i quali covano

lì nn verso 1’ altro odio scorato , donde procedono a mani-

lesti oltraggi e a guerra aperta.

( i 3o) Lasciar caletta materia, cioè la guerra sociale e l'Aa-

nlbalioa cbe formeranno parte della storia propria d a I rat tara

ne’ libri seguenti. Sicohè non fo divi samento dell’ autore di

progredir oltre , come dice lo Sohweigh., ma all’ opposto dì

retrocedere, narrando gesta anteriori.

( i 3 i ) Dimostrativamente. Esponendo ogni cosa con chiare»!,

e addaoendo le cause degli avvenimenti, e le loro consegaense

più importanti, e i consigli dond’emanarono le imprese , per

modo che non lasci luogo a dubbiesse, e contenga utili lesioni

pella vita.

( i 3s) IVeirargomento stesso • /» r f i aa r« m v « r, aranti di

364

Page 368: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

entrar nelt apparato , dice Polibio, così cbuntando la «torà

propria e da lui scritta di proposito, avendo appellata wp**m- r w i i t ì la preparazione a questa storia.

( | 33) Siccome accennammo di sopra. Noo trovasi che Po­

libio abbia fin qni parlato della conoordia e della prosperità

de* Peloponneai ; ond’ i da supporsi che nelle cose anzidetto

v’ abbia qualche lacuna, o ohe 1’ autore si riferisca ad altra

opera avanti la presente pubblicata, nella qnale ragionasse di

questa materia, sebbene 1* ■ r im ( di sopra ) non può esser

relativo se non se a questa stessa «pera*

( i 3£) Primieramente ec. In tutto questo capitolo Polibio,

caldo di patrio amore > tesse 1* elogio della soa nazione pre­

sentandola siccome modello della vera democrazia. Tuttavia non

possiamo dissimularci, cerne la oonoordia delle repubbliche,

cbe la lega Achea componevano , era opera degli uomini sommi

che in tempi successivi la diressero, ansiohi - della oatura del governo popolare , t l qnale sempre degenera in lioensa e anar­

chia , ove l'autorità d’ un capo virtuoso non freni l’audacja

del volgo, e comprima 1* ambisione de' potenti. Così per con­

fessione dello stesso Polibio nel capitolo susseguente dovettero

i Peloponnesi la loro ieb'cità . dapprima ad A rato, poscia a

Filopemente, a Licorta, cbe 1' un dopo l'a ltro ressero quello

stato. Che se Polibio, in luogo di seguire la gloria di Sci­

pione , ritornato fosse in patria e prese avesse le redini del

governo. teoole già ,da eoo padre oon tant* onore , egli è as­

i l i probabile cbe dopo la oaduta di Péraea la fazione de'mal-

▼agi non avrebbe alsato il oapo, e provocando 1* ira da'Rat-

mani precipitato il Peloponneso bell* ultima mina. Del resto

osserva bene' lo Schweigh., che quando Polibio scrive* que­

ste cose, non era per anche distrutta Corinto, e sciolta la

confederazione Achea , conciosiiachà egli qui psrli della sua

prosperità e floridezza.

( i 35) Di buon grado assumerò. Lo Schweigh. interpreta <w-

365

Page 369: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

/ ■ i m i , bene teeumacttm putant, riferendo 1 ’ «**»/ 7» (qvesti)

agli Araldi e a’ Laoedemoni, laddove il Casaob. tradotto area fa ­noni obiinent, e 1’ «v7«/ 7i riportato agli Achei. A. dir v e ro ,

siguifici non meno laudare , approvar*, compiacerti,

ohe goder fama, esaer in grido ; ma «iooome Polibio intendeva

qui d* esaltar gli Achei appetto alle altre repubbliche del Pe­

loponneso , cosi non poteva egli impartir a tutte e guai grada

di gloria , dicendo oome gli £a dir il Catanb.: « Qui igitor

factum est — ut et Achaei, et qui in iUoram reip. so no­

mini* sooietate coaluere oaeteri Peloponnesii, adeo aecundaa

hodie famam obtineant? ( come andò la iàooenda» ohe e gli'Adiri

e gli altri Peloponnesi, che adottarono il loro nome e il lor*.

governo, siano oggi in cori favorevole grido ? ) »

( i 36) Arti furori i cu Ile gii degli Achei Le perseoosioni

de* Pitagorei sembra che incominoiassero g i i , meatreohè il

loro maestro era ancora in vita. — Pitagora, ritornato da*lun­

ghi viaggi ohe per instrnirsi ave* la tti, e trovata Samo ra t

patria oppressa dal tiranno Policrate, reoossi a Crotoea nella

Magna Grecia , ove per meaao de’sooi ammaestramenti ritrassi

i cittadini dall' estrema Inttoria alla virtù, e oon trecento di­

scepoli amministrava la giostiiia , formando nn governo ari-

atooratico. Ma i Cro tenia ti sospettando, non qne' trecento,

che vedeano collegati in secreta società, macchinassero coatti

d i s i qualche congiura, tentarono d ’ abbruoiar la oaaa in «a

essi raguoavansi. Perirono in quel tumulto da sessanta, e gli

altri andaron in bando. Pitagora dopo esaer rimaso vent’ aaa

a Crotona, si trasportò a M etaponto, ove mori. Frattanto

faron espulse le società de’Pitagorei da tutte le c ittì d ’ Itali*

par opera della Cuione di Cilooe , e ridottisi quelli obe re­

stavano a Metaponto, i loro nemici poserp il fuoco al oolie-

gio in cui eransi raooolti, e tutti gli oooisero, tranne doe ,

che merci della loro fona ed agilità soamparono dalie fiam­

me. (V. Diogen. Lari. in Pjthag. — Justio. Epit. 1. u t, c. 4 —

366

Page 370: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Plotaroh. de Genio Socratis — Opp. t. 2, p. 583. — Iamblich,

Vita Pjlhag. 0. 35 — Porphyr. vita Pythag. teot. 55 ) .

(r3>7) Giove accordatore. Lo Schweigh. erede ohe, non

leggendoti i/ttpft» te non se nel codioe Bavaro , debhaai

preferire la (elione mll* autorità degli altri manotoritri,

la qual voce è tecoodo lai l ' abbreviatura di ipayvp/», nome

appoato a Giove , coi Agamennone erette in Egio ( città del-

l ' Achea, ove tempre per legge tenevaii il congreuo degli

A chei) nn tempio, nel qnale ridnoevi a contiglio i principi

G reci, che «eoo lai andarono con tra Troja ( V. Pana. Arcad.

e. 2^). Ha qoell’ abbreviatura non a i garba, e sembra più

ragionevole l ' altra opinione dal medetimo ennnaiata, che poita

derivare ti d itta denominazione da i/in fiit in dialetto Pelo-

poonesiaoo ì/im ftit, che ginita Etichio lignifica eiter concordi.

La qaal oow ha tanto maggior probabilità, quanto che pooo

prima dice Polibio aver le quattro città eunnoainate fatto ciò

di cornuti contento. Per tal modo, continua il mentovato com­

mentatore , aveano le città della- Magna Greoia itabilito , ad

inutasione degli A chei, un tempio a Giove Omario, cioè al

preaide de* congregai • della concordia. L* ipttpiu (confinante)

A al tutto, per quanto io stimo, da rigettarti, dappoiché non

solo ha debole appoggio n«* codici, ma non è al prò potilo

nel cn o preiente» ove le città di cui ragionati non disputa­

vano già pe’ loro confini, ma erano in iicompiglio pelle in­

terne discordie e turbolente.

( i 38) Nella battaglia di Leuttn. Non puoni menar bnona

allo Schweigh. la ragione da lai addotta per itouiar Polibio

del non aver egli qni nominata la battaglia di Mantinea. Pooo,

dio’ egli, era questa battaglia conosciuta a’ Greci. Ma sebbene

fa d’ esito ambiguo avea tnttavolta messa la Greoia nella

maggior confusione, conforme narra Senofonte ( Hist, Graec. vii

verso la fine ) ; locchò non era al certo avvenimento di lieve

importanca. Io credo pertanto , che alcuna parola sia stata

3 67

Page 371: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

ometta nel tetto , U quale ricordar» il - LUt di Maotwea :

quantunque ti* «stai difficile il oon gettar* re quali fottero co­

terie parole, e dorè fottero ooNocate. Forte dopo ri» 'E>a«wi

iy t/ttt/a t leggerai! ■»< « « r i i « I I I »

tt Munii * ( ed avendo etti poecia eoa dabbio saccenti com­

battuto in Mantioea).

(139) Gli ani ntm « confettavano vinti eo. Amendue, u -

oondoehi racconti00 Diodoro ( * t , p. 5o3 ) e Stnofoote

( 1. c. ) attribuirono la vittoria e potero trofei, oomeohè D et­

tano , come te fottero stati v is ti, all’ altro dì ciò far impaciate.

Polibio pertanto prende la ooea per nn altro veno, dicendo dia

gli nni ( cioè i Lacedemoni ) non ti confettavano viali, e gli

altri ( i Tebani ) credevano d’aver vinto , perciooobé tebbtnt

gli Spartani foggirono, tuttavia i Tebani tbigottiti della morte

d ’ Epaminonda , ben lungi dall’ inseguirli , trepidando, non al­trimenti che ae fottero taonfitti, dilegna ronti alla m et colata

■co* nemici che andavano in volta (V . Senofonte 1. c. ).

( i 4d) Stabile alquanto. Allorquando Polibio tcrivea qoette .co te , finita era la guerra con Perteo, -e gli affari dalla coti-

federazione Acbaioa cominciavano a intorbidarti. Lioorta, i

quale dorante quella guerra avea uviameote portato parete

ohe gli Achei ai ttetterò di metto ( Polyb. xxvu. 5-G)

era venuto in eotpetlo a’ Romàni, e morto lui il partito 1

quelli favorevole retti» tuperiore,. tingolanneote dopo <k

le acca te di Callicrate ebbero latto p a tu r a Rom a in a

oon Polibio il fiore della gioventù Acbea. Onde il noatro au­

tore , cbe gli animi de' tuoi conoittadini vedeva ioaepriti, ai

-avea già un pretenti mento delle funette vicende oh» alla Gre­

cia toprattavano, non oeò di dichiarar aaaolntaanento itabfc

la aitoazione in che Lioorta arati ingegnato di collocar b re­

pubblica Achea.

( i 4 i ) Secondochè tara conveniente e c ., cioè a d in , coi»-

368

Page 372: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

forme (piega lo Schweigh., succintamente nella p reparatone,

più diffusamente o distintamente nella storia ulteriore.

( s ii) Composte motorie. Intorno alla storia ohe acrisie

Arato vedi la nostra nota al libro i , cap. 3.

( ■43) Alcun poco parlato. Qoi si riferisce Polibio a cib ohe

ogli nel cap. 3 7 di questo libro disse sulla concordia detli di­

versi stali del Peloponneso.

( i ( ( ) Tifamene eo. Oreste regnò in Argo e in Sparta,

sposata avendo Erm ione, figlia d’ Elena e di Menelao, con

coi generò Tifamene. Questi scacciato dagli Eraolidi sessanta

anni dopo la distrazione di T ro ja , recossi co’ suoi figli e colle

sue forse in quella parte del Peloponneso che chiamavasi

Egiolea , ed era abitata da' Jo n ii, a’ Principi de* qnali propose

di stabilirsi fra loro. Ma temendo essi il suo valore e 1’ auto­

rità che procacciarsi potea fra il popolò merci dell* illustre

sua discendenza, non gli accordarono la richiesta ; onde ven­

nero tra loro a battaglia , nella qnale mori Tisamene , ma

vinsero i suoi, e il regno rimase alla sna stirpe ( V. Pansan.

Achaic. cap. 1. - Strab. v il i , p. 383 ). Allora prese quella

oontrada il nome d'Achea dalla naaione che la conquistò, e

che in origine venuta era da Ftio ad abitare Sparta, oondotta

da Aoheo , il quale uccisi avea involontariamente i figli di Xuto

cbe regnava in Attica (V. Stràb. L e . ) .

( i £ 5) Ogige. Di questo re non ho trovata contezza in alcun

altro autore.

( i£ 6 ) Oleno. Questa città , giusta Strabone ( I . c.) non

volle unirti alla confederazione Achea. Al tempo del mento­

vato geografo era essa distrutta, e non rimaneva di lei che

un nobile tempio d ’ Esco lapio ( i i , p. 386 ).

(147) Elice cadde nel m are , a detta di Strabone ( i x ,

p. 384 ) due anni innanzi alla battaglia di Leuttra per ven­

detta di Nettuno , perciocché i suoi abitanti non vollero dare

roL in io } tòmo 1. >4

369

Page 373: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

il simulacro di questo Rama aè il modello del ano tempio ■*

Jonii eh ' arano «tati di 00là soaooiati. Diodoro ( x v , p. 384 )

d ice, che per an terreawto sopraggiunta di notte Elice, avanti

qneiia catailrofe la prima città dell’ Aohaa , fu ingojsta dal

mare , sebbene era dodici stadii da quello dittante. La cagione

di siffatta soiagura ripone egli non tolo nell'ira degli Dei, ma

eiiandio in oerte aotterranee caviti , ove molta acque raccol­

tom i , e la cui eaiitenaa nel Pelopoftnato i per n o arriso

dimostrata dal precipitarti cbe fanno (otterrà due de* antri

fio m i, 1J ano de* qnali al latto sparisce, l* altro risorge dopo

aver peroerso al coperto lo spazio di dugento stadii. — Ao-

oadde cotal subistamento 1' anno quarto dell* olimpiade a .( ■ 48) Bura. Questa cittì pure, longi dal mare 4o stadii, fn

assorta dalla te rra , quando Elice rimate sotto le onde sepolta

( V. Strab. 1. 0. ) . Se non che l ' ultima peri con tatti i saoi

abitanti , al terremoto essendo preceduta un* inondazione ; lad­

dove la prima fa rifabbrioata da nna parte de’ soci cittadini,

che per avventare trovatasi assenta.

( i 4g) Non etitte neppure una colonna. AlGronovio é sem­

brata cosa assorda, che non fossa esistito -un segno del go­

verno oomane delle quattro città, cbe sono qui mentovate, a

perciò egli ha traslocate queste parole dopo qaelle , ove dioe

Polibio cbe Antigono Gonata introdusse molte Signorie f n i G rec i, quasi eh’ egli avesse distrutto ogni memoria di libertà ,

abbattendo quelle colonne. Ma opportunamente riflette il Reiske,

cbe 1’ erezione d ' un monumento nelle r i t t i , le quali di co­

mune consenso ristabilito avean 1’ antico governo, e per con­

seguente come nna tola poteano considerarti, aarebbe stata eu-

parflaa ; sibbene conveniva di farlo, quando ad esse riunrrasi

qualche nnova oittà.

( i 5o) Riducon in servaggio. L ’ambinone de’ re di Macedo­

nia, i quali eziandio dopo la morte di Alessandro fomentavano

discordie fra i G reci, affine di soggiogarli più facilmente, (a

3 7 0

Page 374: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

la principal « u n per coi le oittà A che* eo llep n n ij in li­bar* ooatitosione. l a progresso di tempo «tuoiuronii ** Mace­

doni fieri rivali ne’ re di Sparta , ov' era cessato il governo

da Licurgo. Ora , sioootne gli. Achei , poiti fra gli

Etoli Minici loro implacabili, e la Laoonia, ai ridussero a

sommo perìcolo, eod riconciliaronai colla caaa di Macedonia,

e sostennero per tal guisa la loro p re ponderane* nel Pelo­

ponneso. Ond’ è da crederai, che , olire alla lodevol inclina­

to n e dì beneficar altru i, il desiderio di oonaervare la propria

potenza destasse loro la condotta ohe tenaero veno gli altri

•tati vicini.

( i 5 t ) Quattro anni dopo ec. Plutarco iella vita di Arato

( O p p . l i , p . io 33 ) riferisoe, che questi, poiché nnl Si­

done alla oonfederazione Achea , tolto militò nella .cavallerìa,

e , «ebbene ooll’aggiunta di tanta cittì, non pooo crebbe la pe­te n ti degli Achei, servi qual gregario l’annuo duce,di qualsivo-

gU*. eziandio la pià picciola aiti! egli foste. Dond’ è chiaro,

ebe Polibio qni non parla della prima pretura d’ Aralo , la

quale gli dabb' essere stata oonferita pareochi anni dopo che

egli passò oolla sua patria nella lega Achea. Che se il nostro

soltanto della seconda pretura di lui Da menzione, e‘sembra,

ooft forme riflette lo Sohweigh,, cbe nella prima nnlla d* im­

portante avvenisse per rispetto a’progressi della mentovata oon-

Cederaaione. Del resto , stando a Panaania ( Acbaio. 8 ) , le

parole del nostro potrebbon intendersi per modo . che Arate

in e li di vent’ anni fosse fatto la prima volta P re to re , dap­

poiché secondo queU’autors egli pervenne a colli dignità subito

dopo aver liberata la patria. Ma osserva egregiamente lo stesso

Schweigh. , come oltre all’ improbabilità che uii giovinetto co«i

tenero , appena nnita la città sua agli A chei, fosse innalzato

al maestrato sapremo, Paasania stripse in pochi detti le ge­

sta d’ A rato, laddove Plutarco ne trattò di proposito e eoa

tu tu precisione.

3 7!

Page 375: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

( i 5a) Ebbe per teoreti maneggi ha il tester,

e il Catanb. tradooe atta in petestatem reduxit ( li ridane

con aitnzia in ino potere) . Lo Sehweigb. ritiene questa in -

terpretasione, ma nelle note pretende, che in quell* acquino

non v‘ ebbe tegrete pratiche, peroiooché neòiun altro lorittore

ne parla.

( i 53) Continui a governare. Scrive Plutarco ( p. io 58 )

aver tanto potato Arato preno gli Aohei, che ogni altro anno

il crearono pretore, dappoiché permeilo non era d ’ eleggerlo

ogni anno a si riatta dignità ; ma che io realtà e col consiglio

tempre regnava. Laonde /n riA ii wf»rr»rrSt significa, comandi perpetuamente, e bene otterrà lo Sohweigh. nel disionario

Polibiano , che iim rtxùt costrutto co’ ptrticrpii denota tempre

continuazione. Coti nell* in gretto dell* orasione di Demostene

pella corona ivm » t JtmvtXm ri r i wtXti ralc;

qnal benerolema io porto incettante/nenie alla città.

( 154) Circa il tempo in cui i Romani fecero il pròno tra­gitto neirniirìa. Sebbene Demetrio padre di Filippo mori l'anno

di Roma G ai, e i Romani tragittarono la prima volta ne)l*Illi-

ria 1* anno 52^ , io non credo cbe dopo le parole ed estendo morto abbiali a separare il dùcono, e riferir le prossime circa il tempo eo. a quelle cbe tegnono, conforme opina lo Schweigh. ;

dappoiché il circa giaitifioa in nna itoria compendiata 1‘ intera

▼allo di tre anni, c la coltratone del dùcono secondo il

mentovato commentatore rimltar farebbe np tento , quasi cho

d im , ridicolo, dovendoti scriver il periodo in quetta forma.

Ma regnato avendo Demetrio dieci anni, ed estendo morto ■( puerile aggiunta ) , circa il tempo in cui i Romani fecero il primo tragitto in lllina, un corto di felici avvenimenti secondò ec.

( l 55) Divise con Alessandro ec. Debb* estere stato oottni

nn solennissimo ingrato, avendo per tal gnisa rimeritati gK

Acarnani, che , per quanto riferisce Giratino ( xXTi, 5 ) l’a-

veano ristabilito nel regno d’Epiro, del quale Antigono re di Mi-

3^2

Page 376: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

ccdoaia lo a rea «pogliato. — Così egli oome tuo padre F irro la­

sciarono scritti sull'arte della guerra, lodati da Arriano e da Bliaoo.

( i 5C) Con Antigono. F a questi Antigono soprannomato Do­

so oc , altimo di questo nome che regnò in Macedonia.

(159) Indottili ad inimicar anticipatamente. Hi sono studiato

d’ esprimere oolla maggior esattezsa che per me si & potato

quel ile 7«> di cui Io Schweigh.

nella traduzione non tenne, oonto , quantaoqoe nelle note vi

rivolga la u à attenzione. Credevano gli Etoli di metter in

vie maggior imbarazzo la nazione Aohea, ove 1’ avessero prima (atta M ultare da’ Lacedemoni, indi fossero essi medesimi an­

dati loro addosso.

( 158) Tegea, Msnt'utea ed Orcomeno. Coteste città, sebben

erano nel Pelopponeao, appartenevano tuttavia ana confedera­

zione degli Etoli. Cosi vedemmo di sopra che Megara, qaan-

tunqna fuori dell' Istmo era stata da Arato procacciala alla na­zione Achea.

*

( 15 q) Ateneo. Era questo secondo Plutarco ( vita di Cleo-

mcne p. 806 ) il tempio di Minerva presso Belbina, luogo

all' ingresso della Laoonia.

(1G0) Amici di Tolemeo ec. L ’ amicizia d ’ Arato con To-

leineo ebbe questa origink. Fioriva in Sicione sua patria , una

celebre scuola di p ittura, eh’ era stata frequentata eziandio

da Apelle. A rato, cni era nota la liberalità di Tolemeo ed

insieme l ' affezione eh’ egli portava alle, belle a r t i , gli man­

dava sovente dipinti di que' migliori maestri , e n ’ era genero­

samente ricompensato. Ora , essendo dopo l’abolizione della ti­

rannide in Sicione, nate gravi contese fra gli esuli eh’ erano

stati rimessi e i cittadini che i loro beni possedevano , Arato

navigò alla volta xT Egitto , recando seco parecchie delle piò

eccellenti tavole, ch’ egli offerì al re. Questi, cui Arato era

già caro , poiché il conobbe di persona, gli si affezionò

maggiormente, e gli diede pelle dipinture offertegli cenein-

373

Page 377: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

quanta latenti, i quali tolti Aralo impiegò al nobfl oggetto di

riconciliare nulla sua patria i poveri co* ricchi ( V. Platarco in

A rato, p. io 3 l -33 ).

(1G1) Attivo e i intelligente. Doe sono le principali qnatiti

ohe richieggonti nell1 nomo d’affari. In primo luogo debb'egli

esser initanoabile ne’ lavori, e non Iasciarti ribaltare da dif­

ficolti e pericoli; poacia è necessario ch'egli iia avvedalo, «appia trar partito dalle circo sta rne , e preveder il futuro. C hi

la prima sola possiede sari avventato nelle imprese, che di

rado gli rinsoiranno a buon fine: ohi unicamente alla seconda

• ' appoggia, per soverchia cautela • circospesione li lasceri

sfuggir le migliori occasioni d’ operare. Chiamaron i Greci la

prima di qoeste virtù wfmfte, qoasi facolti operativa, I' altra

r ittr u , quasi facolti intellettivo. Il Reisfce dice, esser wflf ir una prodensa astuta, combinata oon agilità e industria, qual*

può trovarsi anco nel malvagio, e r i u n ì spiega egli una ri­

posata previdenza dell'avvenire, che adatta i messi al fina pre­

fisso , ed 4 congiunta con gravili , dignità • probità. Ma chi

non vede che siffatte qualità , essendo fra loro opposta , non

possono cadere nella stessa persona, oocne qni attribuita sono

da Polibio ad Antigono ?

(1G2) Come i re per natura ec. Il lodevole «oopo ah’ avean

proposto A rato, di rassodare co’ legami della giustizia la fe­

licità delle repubbliche entrate nella confederasione Aohea, ab-

borrir gli fscea l’ ambizione che «limolava i re de’sooi tempi

( per qaanto del resto alcuni d ’essi governassero i sudditi eoa

dolcezza ) ad inquietar i popoli vicini, oon animo di render­

sene signori. Eppure gli Etoli , oomecbi si reggessero a de»

monrazia, erano di gran lunga più per6di ed avidi di con-

qniste, che qualsivoglia re ohe allora in Grecia dominsva,

tranne Cleomene tiranno di Sparta, oon coi erano ben degni

di stringer alleanza. Tanto è vti-o cbe l’ onestà in politica a

nessnna forma di governo è legata, e cb e , così nelle monir-

374

Page 378: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

cbie su o la ta , come nel reggimento popolare, la cornane fe­

liciti dipende dal carattere di ohi. esercita la suprema autorità,

il volgo non essendo mai altro ohe nna matta in e rte , la qnal

saga* 1* impulso datagli da ana Corsa superiore.

(iG 3) Beneficati furono da Filippo eo. Di ootesti benefici!

di Filippo r«no i Megalopolitani. non trovasi latta menàone

presso altri attori. Pauaania ( v i l i , 29 ) a dir vero , riferito*

ohe Filippo ebbe nella battaglia di Cheronea un grande van­

taggio , ohe gli Ama di e quelli d i Megalopoli non vi combat­

terono. Ma lo stesso Paotania, conforme osserva lo Sohweigh.,

d ioe, cbe non vi poterono intervenire, perché avean guerra

co’ Lacedemoni. E pertanto da credersi, ohe avendo riousato

dopo quella battaglia gli Arcadi soli fra i Greoi di rioonoaoer

Filippo per duce, secondoché narra Diodoro ( xvu, p. 586 ) ,

i Megalopolitani, quantunque fottero Aroadi, ae facestero ec-

oesionet onde Filippo gliene avrà largamente ricompensati.

E qaesta fedeltà verso la casa di Macedonia la dimostrarono

pure ad Alessandro, quando fece la spedisione contro Dario.

Imperoiooché, mentre gli Arcadi non vollero per lui parteg­

giare , e i Lacedemoni da Ini ti ribellarono , sostennero essi

nn gravissimo assedio, di oni a stento liberolli Antipatro ge­

nerale d* Alessandro, poich'ebbe sconfitti gli Spartani ( Y. Dio­

doro I. 0. - Q. C onio I. vi nel principio, - Etchioe Orazione

ooptra Ctesifonte ) - Per ciò ohe spetta a{l’ intelligenza d ’ A-

rato col re di Macedonia , Plutarco ( in Arato p. io£5 ) non

approva la sua risolusione ; dappoiché , dio’ eg li, per quanto

fossa Cleomene scellerato e tiranno, avea detto per antenati

gli E raolidi, e per patria Sparta, il oui pià vii cittadino me­

ritava d* esser latto duce da ohi tiene in qualche conto la

Greca nobiltà, anziché il primo tra i Macedoni u. Ma non

rifletté Plutarooj ohe Cleomene, sovvertitore delle patrie leg­

gi , ed agognante alla tirannia del Peloponneso, congiuralo

avea aogli Etoli, perfidissima a rapacissima gen te , a dan­

375

Page 379: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

no della nazione Achea , c clip, per quanto (calerti splen­

dide le sae promene alle città cbe sarebbono per favorirlo,

egli non le avrebbe al certo trattate meglio del proprio pane :

laddove in Antigouo era lealtà e forza di mandar a vuoto gli

ambiziosi disegni del re Spartano. - Che le Arato neglette

T amicizia di Tolemeo, e non ricorse a Ini per ajo ti, ciò

forte dipendeva dalla aoa pendanone , che ooo molto giova­

mento gli avrebbono recato le forse di Tolemeo contro quelle

de’ Lacedemoni ed Eloli rioni t i , siccome ha già osaervato lo

Schweigh.

( 164) Insieme cogli Achei e co’ Beozii. I Beoni, sebbene

umiliati dopo che Alessandro distrusse Tebe loro capitale ,

oovavano sempre 1’ antica ininricitia verso Sparta, di cni erano

«tati on giorno felici m ali. Il perchè non è da maravigliarsi se allora collrgaronsi cogli Achei contro Cleomene. Antigono

adanque, alleato degli Achei, avrebbe quelli ancora avali

per sooii.

(iG 5) A’ tempi di Demetrio. Oli Achei avean efficaoemente

assistiti gli Etoli nella guerra che questi fecero a Demetrio.

( V. di aopra c. 44 > 46 )•

(16G) Fere ed importanti. Le parole delicato tono «AaS*- t i i s a i xfmy/taTuùf 'è v ii / i ia tl ia i v ìi 'Aparti aver Arato indicato con verità e in quella guisa che ti conviene ad uomo

pratico de“puòilici affari, conforme interpetra lo Schweigh. nel

ditionario la voce wp*y(t*rt*£t. Se non m’ illudo, l'espres­

sione da me osata racchiude tutte le accennale idee, non po­

tendo esser importante ciò cbe da pari too significa chi con

destrezza • cognizione maneggia le faccende di stalo.

(1G9) Lasciando per disperata la navone Achea. Polibio

scrive qui à*»yi*ìt Te « e il Casaub. c lo Schweigh. inter­

pretano : desperans retinere se poste in amicitia sua genten Achaeonan ( disperando ilì potersi conservar amica la nazione

degli Achei ). Ma qnali olTcse eran corse fra am endae, che

3,6

Page 380: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Tolemeo ridotto folte a colai ditperasiooe ? Hi Utnpooo po i

ammetterti l'a ltra spiegazione propotU dallo Sohweigh. nello

note tpreti», abjectit, omitii» Achei» ; ohe tenia motivo non

avrebbe qoel re da t i ribotta la ana naaione( il di coi capo gli

era tanto oiro. Non sarebb’egli più ragionevole il credere obe

Tolemeo, non oonotcendo le praliolie introdotte da Aralo ooa

Antigono, il quale sapeva eeter contro di Ini irritalo pel tra­

dimento della rocca di Corinlo, e reggendo che Arato non

V avea richiesto di toccorto , stimasse perdala la nazione Aohea,

assaltata ad nn tempo da Cleomene e dagli E toli, e nemioa

de’ Macedoni ; onde aeuooa speranza poteva egli collocare nei

loro ajnti contra i dilegui d* Antigono, ed abbandonatili al

Uro declino , ci feoe a ria fonar Cleomene, il qaale, tiocome

pooo appretto dice Polibio , pareagli piè allo che non gli Aohei

a frenar i re di Macedonia,

(168) Lieto- Alta montagna neU’Aroadia, donde ti tcopre

pressoché tutto il Peloponneto. V* avea tn quella nn tempio

•acro al Dio P a n , e vi ci celebravano certi giaoohi bacivi,

ohe te rv ivano poscia a* Romani di modello ae ’ loro Lo per aali.

Bolla vetta ara «n tempio di Giove, in cni qoetta divinità ad»*

ravaai oon onlto mgreto. Altre particolarità favolose narranti di

qaetto monte , ohe trovanti descritte in Paatao. Aroad. c, )g ,

3 8 -S lrab . m i , p. 388 - Plin. xv, io.

(iC<)) Ladocea. Loogo snborbano ionanai Megalopoli calla

tlrada che oondaoe a Tegea (V . Paotan. Aroad. c. 4 4 )"

(170) Era quelli già ciato tiranno di Megalopoli, ed avea,

secondo ohe vedemmo di sopra (0 . 44 ) spontaneamente la­

sciata la signoria. C ostai, a della di Plutarco ( in Cleomene

p. 809 ) inoltratosi dopò la ritirala d ’ Arato oon soverchio

ardire in nn luogo impaooialo di v it i , d i 'f o t t i e di macie,

f|i oocito oombatleudo valorotamenle, e Cleomene, fattosi

recar il suo cadavere, il fregiò di porpora , gli feoe por ta l

oapo nna corona e maqdolla all) porta di Megalopoli

POLIHIO , tomo /. *24

377

Page 381: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

(171) E data ad Atdgom te. vp th /ta t i ael t a t o , il

qaal verbo, secondo li n i componi ione, Bonifici stender

ad alca no qualche con , perché la riceva. Ora S òda apiega

w ptltittu , JmptìrSuì ( donare) tdB iicb io »^i7i / h 7«i, illm n (eg li d i) . Quindi n ' i sembrato troppo poco /* offerire, che

al postutto non vale più che promettere, proporre, a cbe im i

ri limitò certamente A rato, avendo ad Antigono seoaa indugio

oonaegnata la racca di Corinto. P er la qnal oovi lo Schweigh.

in laego di obìatixja» ( Acrocorintho ) avrebbe meglio delta

tndùoquè.(191) Mond Oaet. Qaaai asinioi da », sfatati fra la Beo-

aia e l'istm o di Corinto , incominciano dalle rocce di S i-

ciane, e pella itrada che da queste condaoe nell'A ttica , at­

traversano la Uegaride , ed estendonsi ren o ponente ano al Bontà Citerone. (V . Slrab. v iti, p. 38o ). Platarco ( in Cleo-

■m m p. 1 15 ) ri feri »ce , che Cleomeoe avea richiesto Aralo

di laaciar custodire la rocca di Corinto dagli Achei e da’L a-

cedemeoi u n iti, promettendogli separatamente ia compenso di

d i la doppia pendone ch'egli rìcevea da Tolemeo; ma che

Arato oolla ne volle sapere, e che mandò il figlio con altri

•tatichi ad Antigono, e pennate gli Achei che detaero a

qaesti la roooa di Corinto: che allora Cleomene guaiti» il

territorio di Sicione, ai pr^fe il danaro ohe i Corinti aveaa

decretato da donani ad A rato, e cinse i monti Oaei di m ara

e di fosso per impedire la discesa de’ Macedoni.

( i ^ 3) Cleomene — pmetrur in Testaglia. Antigono , sen­

tito ch’ ebbe, aver Cleomene passato l ’istm o, ragionevolmente

temea ch’egli fosse per passar in Tessaglia, oomechi l’ inten­

sione di qaesti, conforme vedemmo fosse da ciò ben diversa.

( l^ 4) Cranio Antigono alle Term opile; (cb e queste sono

le porte di oai tosto si parla ) gli Etoli nemioi degli Aohei,

«he occupate già aveano quelle sire Ile tanto famose, per cui

dalla Tessaglia si passa in fieosia , il costrinsero ad im bir-

378

Page 382: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

cani nel u n o Maliaco per tragittar nell’ itola d ’E ab ea , e at­

traversata nna parte di quella recarti in Attica pel ponte oo-

itratto «oli* Eurìpo. Varcata 1* Attica e la Megaride , egli tolto

entrava upll* Istmo.

(195) Col pretore Timotseno. Lo Sohweigh., Mgaendo il

Ciiaabono , area tradotto duce Timoxeao. Ma arredatosi che

Platarco scrive , essere ilato pretore degli Acbei T im oueno,

allorquando fecero 1* impresa d’ Argo , li ritrattò nelle no te,

e a duce sostituì pretore.(196) Non sì tosto riseppe. Non fu già l'entrata degli Achei

in Argo cbe induiae Cleomene a ritirarli,, ma libbene l ’a r­

ri ro d* Antigono ooll* eiercito , conforme riferisce Plntarco ( in

Arato p. 8 i£ ) . Imperciocché , arata onora della ribellione dì

Argo , ri «pedi incontanente degli ajnti. Va giunto coli T i-

mosseno da Sicione con mille cinquecento A chei, ebbero i

inoi la peggio : onde ri andò egli i te iio , e già ne avea sca­

late le mora , quando ride mila vetta de* monti Antigono,

ohe icendea nel piano colla falange. Allora temendo, non i

Maoedoni scorressero impunemente lino a S parta, in (retta li

ritraile.

(199) Nel territorio Egide» e Beiminate. Era l'Egitide nn

distretto della Laoonia , confinante col territorio di Megalo­

poli , e traeva il ino nome dalla città , Acgys. Cosi

era denominata la Belminatide dalla città di Belmina, che in

T . Livio e Platarco trovasi chiamata Belbira, forse pella fre­

quente reciproca mntasione delle labiali B e M.

‘ (198) Orcomeno. Era queita Orcoiueno d’Arcadia, appellata

da Omero »•*»/«*A«» , abbondante di pecore , per distinguerla

da Orcomeno di Beosia, ch’ egli chiama M n in t t . Minieo

( V. Strab. v ili, p. 538 , 3^9 ). Apparteneva cotesta città alla

confederazione degli Etoli ; quindi non è da maravigliarsi se

era alleata di Cleomene.

(199) Essendo già vicino il verno. Il Reiske copialo dallo

379

Page 383: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Sehweigh., t e m i il Catanb. d 'avere nel prospetta cronotcv

gioo ad nn anno solo ridotta la guerra Cleoeeemea, che dorò

ben tre an n i, e pretende di dimostrarlo recapitolando gli av­

venimenti principali della medesima. Ha i* inganna egli a par­

tito , dappoiohi il CaMab. all’anno 5 3 1 di Roma scrive a Clto-

(nenicum bellam , eodem geslum tempora oam Gallico, finitoli

est hoo anno ». Ove aono da notarti doe cose. Priasieraaaunte

i detto ohe la gnerra Cletnneuioa eadde nel tempo appunto

della Gallica, e questa nello stesso prospetto troviamo ram­

mentata negli anni 5l g , 53o, 531. In secondo loogo » fini­

toci est hoo aono *» dico il Casaob. loooM t ben diverto da

gestum, siccome avrebbe dovuto dire se vera fosse I’ accusa

del Reiske.(1B0) Alcuni fuoruscili di Mestane. I Hessenii, siccome

erano nemici naturali de* Lacedemoni, oosi coltivavano l’ann­

oiata degli Arcadi. Quindi fu cbe nelle loro aciagure recipro­

cam ente s* assistevano, ed i fuorusciti d* nn paese nell’ altro

rifnggivanai. Coti veggism ora gli eeali di Hetaene in Mega­

lopoli, e tosto ( csp. 6 l ) vedremo i Megalopolitani, da Cleo­

mene scacciati, ricoverar in Messene. Ma non furono sempre

i Mestoni! di buona fede verso i loro benefattori, siccome

apparisce da faiolti luoghi di questa storia ( • qui ne abbiamo

nn insigne esempio.

(181) Alla spelonca. Lo Sohtveigh. osserva che nel libro i i ,

c. 18 , ove dello stesso fatto si parla , in tutti i codici leg­

ge» in vece di ( « A s / i r , e o a ’ i qui scritto, tranne nn solo che ha f s X u > , e cbe colà il Casanb. interpreta a i tpehmoam. 8u queste tracce io ho qui pare adottata la ver­

sione del Casanb.

(182) S i tra i Megalopolitani, ni tra gli Stinfaliti. Quindi

è chiaro che in totte le altre cittì dell* Arcadia, non appai*

tenenti esiandio alla confederazione Etolica , Cleomene ebbe

partigiani t i quali gli agevolarono la conquista di questo paese.

38o

Page 384: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Hé eccettui Polibio i Clitorii anoora, d ie traditi furono dalla

scelleratezza d’ an Orcomeoio, <na fedeli agli Acbei respio-

•ero poscia valorosamente gli Etoli ohe li m ed iaran o , ( V.

Polib. i t , 18 — ix , 3 8 ).

( i 83) Filareo. Plutarco ancora ( in Arato p. io {5 ) non

fa nesann oooto delle relazioni di coitoi , ove ragiona di Cleo-

mene. m Imperciocché, dio’ egli, tanta è la benevolensa che

gli p ro feua , che rapito è da entusiasmo quando le ine oose

tocca, e nella storia, quasi che fosse in gindicio, qaelli

(A rato) tempre attacca, questi (C leom ene) difende.

( i8 { ) Affinchè per la notira omiuiont eo. Cioè a d ire:

affinché, ae omettiamo di confatar F ilarco , non ai pretti

e guai fede alla verità e alle menaogne di questo storioo-

( • 85) Lo rpirito della tua storia ec. Il testo ha l ì t rftm i- ftnw. Qaesto vocabolo, che spesso riscontrasi in Polibio, se­

condo la ana etimologia significa protezione, o dir vogliamo

la preferenti che dassi nello aoegliere ad nna cosa am ichi a

tra altra ; ma nell' applicasene a ' rapporti sociali denota essa

partito, matthna, tenor di vita , ohe sovra ogni altro alonno

abbraccia. Qni ho creduto ohe convenga d ’ interpretarla tpi- rito, voce aoconciamente trasportata dall’ idioma francese net-

l ' italiano per indicar il carattere e quasi i vivi lineamenti di

ana produzione, donde tralnoono i sentimenti del ano antore.

Lo Schweighauser volta qaesto passo così: quo ille animo ad

aoribendam historiam accesserit ; tradottane che , per mio av«

viso con molte parole poca esattesaa oombioa.

( 18C) In agitazione. Lo Schweigh. dopo aver letto nel testo

•le ««rlmnt, e tradotto di conformiti in ttaparrm, nelle noto

ae ne dichiara pentito , e vnò che col codice Vatioano ai • •a *

■ i r i f / r S m metter in agitazione e cura. Io sono al

tatto ecco lai d’accordo, dappoiché Ì»r7mnt (e s ta s i) denota

maraviglia con istapore, e indifferenza, o 1* apatia che noce

381

Page 385: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

da nn «gmsso di dolore, anaiohè quel oommovimento d 'a n i ­

mo , che ia lagrime prorompe.

(167) Commi. Opposti a’ latti miracoloni, che nel princi­

pio del periodo Polibio assegna a ' facitori di tragedie. Etiawtfì mediocria tini volta il P ero tti, e a mio parere pi& s* accosta

•1 testo ut (meglio • ' mt, sebbene) r i ta p i7f«a 7»>^ar»n>

•tlm, che non lo Schweigli. il qnale scrive, edavui parwm mirabilia fuerinl. Imperciocché il fttlfém sta qui assolalo per

denotar il oontrsrio di hfah t i /n t t i , e non nna modifica—

sione d* esso. Il wmtv pertanto non andava negletto , ed io

mi son ingegnalo di renderlo adeguatamente al senso de l-

l ' autore.

(188) Aggirare. Lo Sohweigh. pretende che i n r i non si­

gnifichi precisamente inganno , ma quell’ illusione ohe amiamo ci sia fatta con lusioghe e attrattive. Trovo pertanto in E si-

chio : im i7*. mxirn, cioè a dire errore , e io un altro gram­

matico citato dallo Schweigh. leggesi pure : à r « 7«,

m»f ATlimtlt (presso gli A ttici). Sembra dunque che il senso

più naturale di questa voce sia aggiramento, ossia quell’ in­

ganno in cui alcuno cade lasciandosi condurre per vie piace­

voli. Donde avviene che trovasi tir*7» talvolta accoppiato con

Tifali ( diletto ) , siccome in Gins. Flavio Antiq. lud. v u i , 2,

i sinonimo ancora del medesimo , oome nel grammatico Moe-

ris : a r il i f i i 7i nìtf’ VEAA«r«>.

(189) Su ciò che lode 0 biasimo si merita. Molto felice­

mente ha lo Sohweigh. ne’ commentarli empiuta una lacuna,

che qui esiste nel testo , ove leggesi: orif 7i 7i r •«« •>

7»7i l ikwftistH (sovra li *** non delle cose eseguite)., pó­

nendovi Jiutfmi m 'i ISi mSiKmlmt ^ a ^ i 7«> (fatti ginsti

e ingiusti ; ma nella traduzione I* ha egli saltata a piè pari.

Io ho supplito un poco diversamente, supponendo perdute

queste parole : i 'm /m w l yj/tytr *{/»*.

(igo) Eransi veduti dinanzi. Seoondo lo Schweigh. 1‘ •»«

38 a

Page 386: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

qni preposto «11' ttim ri aggio gn e fona | ed eqnirale allo ttar

dappreato all’ oggetto redolo.

(191) Cadere gravemente feriti. Leggo col R e tile IfA^ptmn in loogo dì wfi'yftmn, eiseodo /Sia/«ir r pmtptmTi w$p)wMttr ( rader io grari ferito ) frase aiata altra rolla da Polibio per

riportar ferite : laddore fiia/»ir wpmyftmrt wipivMuw ( ca­

der ia violenti sciagure), oltreobé non ) frate Polibiana, ha

nn non to che di rago e indeterminato, ohe taona male dopo

quel preoito : ennti veduti perir dinanzi.( ■ ) : ) Venduti etter dovevano. Barbaro ontlume, eoo oui

ditonorarónti le naaioni più incirilite dell* an tich ili, ti era

quello di rendere gli abitanti d 'u n a oittl renota oollà fona

in potere del nemico, qaaod’ anche alla medeaima nazione

amendue appartenessero : cottone delirato dalla neceuiti di

precacciani tchiari che etercilataero i metlieri più rili e fa-

tico ii, a coi oon attoggettarioii i oittadini liberi. Non altri­

menti gli odierni popoli della colta Earopa ralgonti degli

tchiari compri lolla coita d’ A frica, per dittodar i terreni

e corar i prodotti del onoro coatinente in nn aria pregna

di peatifer) efQnrii, e tolto la tlerza d’ nn cocente aole,

a fine di non etporre a grari itenti i proprii cittadini. Se

non ohe gli tle tti motivi che' fecero oettar il tervaggio £ra

le nationi d ‘ E aropa, incomincia gii a diminuirlo in Ame­

rica. « Non r ’ ha clima mila te rra , dice il profondo Mon- tetqnieo (E tp rit dei Loix I. xv , c. 8 ) ore non ti poetano

obbligar al laroro gli nomini liberi. Perché le leggi erano mal

falle, ti tono trovati nomini pigri ; perché qnetli nomini erano

pigri, faron etti ridotti in ischiavità.

( i g 3) Arittomaco. Plotarco nella vita d’ Arato narra ohe

cotlai, eicendo nella maggior grazia pretto gli A chei, avea

chiamato Arato d’ Atene, perché l’aooompagoatie nella tpe-

dizione che meditava di fare nella Colonia. Aralo dapprincipio

eragliai oppotlo , temendo l’ andaoia e il cretcente favore di

383

Page 387: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

Cleomene, dii all* fine cedette e a tri onlaei. T a llir li im­

pedì Aritlomsoo d* affrontarsi con CUemene, il quale preaao

Pallaoxio gli li era presentato , quantunque egli stesso poscia

eoo Ini combattane ani Liceo, ore toccò ana rotta. Che poi

Aneto ma oo divenisse traditore degli A abei • oongiogneaie lo

eoe armi oon quelle di Cleomene^ e tante crudeli! commet­

teste , oonforme allento* Polibio, Plutarco noi dioe; libitene

oon dissonala eg li, e ite r Arato venuto in pesaioia fama per

aver fatto nocider eoo tormenti Aristomaoo, uomto am cattivo, cfa* era stato aoo famigliar*, e oh’ egli avea iodotto a dar la

u à citti agli Aohei. Laoode è da sapponi che tatto il torto

noo fosse dall* parto d* Ariilomaoo, * che, quand' aoch* egli

•vesso rubbraooiato il partito di Cleomene, A rato, da’ eoa»-.

alari i del quale Polibio oonfeaaa d’ aver trailo queste rela-

■ io n i, ve lo abbia io certo modo spioto ; dimostrandosi veno

di lai diffidente ed invidioso.

( ig i) Cenemi. Porto di Corinto sai golfo Sarooloo dalla

parte dell’ Attica.

( i q 5) Nel silenti» della notte. Polibio soriveodo A i 7««

non ha semplicemente volato significar il tempo della

no tte , cbe più aoconciameote avrebb’ espresso per timlmf, o

7J» ti*lm | ma era suo inteodimeoto d1 iodicar on oon so oh*

di terrore prolungato nelle tenebre , qoali aon appunto le

grida d’ on tormentato in mesto all1 uni versai ailensio.

(igC ) Pella morie di Demetrio. Q ueati, oonforme dioe Po*

Ebio nel c. 4 f di questo lib ro , avea al ano soldo ta tù i si»

gnorotti del Peloponneso ; ma morto lu i , 1* acoortosàa di Arato

tolse loro ogni speraasa di soitegno.

( ' 9?) Sommerso per coloro eo. h a U t s’» l 7mlt IC iy^ t-,

#7» rtrfayfétt* ■ leggeva il C auub. e tradusse pnpter non­nulla quae Cenchreis fecerat ( per alom e cose cbe fece ia

Cencrea). Lo Schweigh. il copiò, ma avvedutosi del sento

assordo che ne risaltava, propoie ae’commeotarii di cangiar

384

Page 388: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 1

H rtrfmyfitti t in e Hi voltar qaesto passo cosi :

per eos quibus hoc negotium Cenchrtis mandatimi est, con­

f o r m o 1’ abbiamo noi interpretato. — Cotesto genere di morto

pertanto in an sito remoto la conoscere, obe Arilo sacrificò

A ristomaco alla ina privata vendetta, anziché al bene cornane.

(iq8) Ma della generosità ec. Qui Polibio, a dir vero,

< soverchie lodi tribola a* Megalopolitani per aver eisi rifiatato

1* invito di Cleomene, che a caia li ricbiaaiara, offerendo

loro salvezza , ore abbandonato aressero il partito degli Achei.

Troppo e r m i deisi dimoilrati nemici di Cleomene, avanti

cbe fossero cacciati dalla patria, peribè creder potessero alle

astate promesse di qnel tiranno, la cui mala fede aveano già

provata gli Argivi, che poro gli erano stati favorevoli. QainJi

pià a timore che a virtù ascriversi debbe siffatta asione, da

Polibio a cielo innalzala , ed ebbe ragion Filopemene a di­

storre i suoi concittadini dall* aooetUr quelle perfide proposte ;

rappresentando lo ro , come Cleomene area meno a coore di

restituir loro la patria, che di accrescer il nomero de'suoi

saddili (V. Plutarco in Cleoni, p. 8 1 6 ).

(199) £°n sincere e ben fondate repubbliche. Il testo bawpmyptmléir s a i fiifim/éit utumi/* ? , letteral­

mente alla comunità d* affari veri e saldi, eh* è quanto dire ,

a far comunità ( società ) con persone o repubbliche, cbe

occupansi di affari sinceri, e che hanno buon fondamento.

(200) Sei mila — due mila. Plotarco non parla che di

seicento e di dngento ; onde io quasi quasi sospetterei , che

Polibio, acceio d’ odio contra Filarco , abbia eiagerato il rao-

eonto di l a i , e Plutarco , aisai meno tenero di Arato, che

noi fa Polibio, siasi tenuto più vicino al vero. Ma che pretto

il nottro autore abbiami a leggere le memorato somme coti

diminuite, conforme vuole il R eiike, non può adottarsi; per­

ciocché , ticcome egregiamente ouerva lo Schweigh. con tei-

385

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Moto talenti era por aaaurda oou il d ir e , cbe Cleomene s u ­

perato avrebbe Tolemeo nella faoolti di «pendere, seoondoohA

reggiamo nel proaaimo capitolo. Oltreché non avrebbe catasto

H paragone colla stima dell* Attioa, la quale , per quanto r i ­

feriate Demottene nell’ orazione in fi n / t p u f t ì i , aaeeae a

aei mila taleuti, nè era ragionevole il creder che il valore di

tutti gli effetti «nobili nel Peloponneso non avesse annotato

meglio di (Clorato talenti

(201) Ma a'nostri giorni amora. « Parla qui Pelibio d i

quel tem po, in osi dall'anno di Roma 5^3 sin verso l 'an n o

606 (Confronta PoL 111, S e 5 , e u r , 1) tu tti ipopoli del Peloponneso, e fra questi i Mesaenii incora e i La otti emoni

furono asoriui alla oonfederaiione Achea. Allora dipeudevaa

essi, a dir varo , in molli modi dal cenno e dall* arbitrio dei

Rom ani, e poscia dopo la guerra di Perseo molti eaiaudio

de* piò nobili Achei, chiamati a Roma, dimoravan io Ita lia

fra ceppi: tuttavia viveano gli Achei nel Peloponneso colle

proprie leggi ed istituaiom, e nessun tributo pagavano a* Ro­

mani , e del resto eran le loro cose in cosi lieto e florido

stato , obe i fratelli Totemei, re d 'E g itto , l'anno 586 ( V.

Poi. n i x , 8 ) e i R odii, e i Cretesi implorarono il loro

aoccorso 1' aono 601 ( i x i m , i 5 ) . II perché Polibio in pa­

recchi luoghi della sua storia mira ad esortar i anoi nazionali

alla tranquillità e ad ana ferma concordia , t li oonsiglia di

contentarsi della loro sorte , e di sopportar paaientemente e

di riverire la ormai troppo possente autorità de' Romani ( iv ,

i l , 111, ( t 9 ) » Schweigbauser.

(202) Tolemeo. E ra questi sovrannomalo Evergete, ( bene­

ficato™ ) splendidissimo prinoipe , osi il padre Filadelfo la­

sciate aveva immense ricobeiae e un regno floridissimo.

(ao5) Ma giusta il parere eo. Platarco (in Cleom. p. 816)

citando Polibio, loda questo oonsiglio di Cleomene.

(2o4) Gli straùi eo. Questo vocabolo mi è sembrato espri-

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m tr meglio d ’ ogni altro di moio analogo l ' l n / / a n ^ i W dal

torto, il eoi verbo iwipfmvJ^m 1* Em etti molto acconciamente

definboe: reprefcendo , qaati tacili il penutiendo, da p»wlt, ▼erga. Lo fletto (nona il latino oon viciil proseiudere ; quindi

lo 8chweigh. si i eoa ragione appigliato alla vooe oon vieta.(*o5) Non avanb maggior cura eo. Con p i i parole et pone

Plutarco (Gleom. p. 817 ) ciò obe Polibio qui brevemente

aocenna. u A itti gn no ( sono tue parole) itim ando, oon iorme

.ti oonviene a capitano prudente, vitoperevol coi» il combat­

tere a m a ragione, e Negliger il partito rimiro, non gii il

venir in oattiva fama pretto gli ttran ieri, non atei al oimento,

ma perteverb ne’ taoi contigli. »

(106) Agriani. Popoli deHa Traoia obe abitavano intorno

al monte Bmo. Eran etti n e tta to ri, armati alla leggera, ed

attitaimi alle aorprete. Hella guerra d ’ Alettandro oontra Dario prettarono grandittimi servigi, e andavano comunemente uniti

a’ C re te li, abiliuimi etti pare nel vibrar dardi ( V. Q. Cur­

ilo in , 23 — iv , 5s — v, 10 — vili, 10).(307) Mercenarii. Otterva lo Scbweigh. obe quelli dovean

e itere componi di varie nazioni, potcltcbè gli Agriant e I

Galli eran mercenarii e tti pare.

(108) Tutte le fané sommavano. Quanto è da crederti che

temati fottero gli Spartani, aebbene dall* antioo valore non

poco degradati , e in quanta riputazione dee tlimarti «he fotte

Cleomene, ettendoti tanta cotpiraiione di Maoedoni, Achei*

Beosii, Epiroti , Acarnani e Illirii conira di loro (ormata ! B

ti difetero etti (la fo rti, n i tarebbono itati ro tti. te lottato

non svetterò con forze laperiori.

(109) Sudditi vicini, n i ( Perìeci ) ohiama Polibio i

popoli aoggetti a S parta, che circondavano il territorio di

quella città. Il Caiaob. orede ohe fotte nome p roprio , ma

non oonita eh’ eiiiteiae naiione, la qnale portava qneito nome.

(aio) 'Buoni ormeggiatori in posizione avventare. Non m 'i

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riuscito facile’ di trovar in italiano nna fraae ch^eùttam ente

rendesse il rptfliXì i r del'.te tto , e confesso ch e

oon tono appiano contento di quella ;cha ho osata. Lo scopo

di questa wftfitXì ( proiezione) è anCfioientemente spiegato

nella parentesi cbe segue ; ina la posiziooe sembra che con—

sisUtse nello spìnger in Danzi tutta la persona , e piè ancora

lo sondo e la lancia, o la spada , siccome la peli' appunto

ohi si avventa per vibrar oolpi , e per difenderti ad nn tempo

da qnelli che gli vengono assettati.(zn)-G trgilo. Piociol toi+eate dafcb' esaor itato cotesto,

dappoiché, come ti legge in fine del presenta capitolo, gli

Illirii dentro al medetimo si rimpiattarono. Qnindi non è ma­

raviglia se netann altro autore ne fa menzione.

(a n ) Alessandro figlio d‘ Acmelo. Era qaetto diverto dal­

l'Alessandro mentovalo di poi tenia nome di padre, coman­

dante della cavalleria , quantunque il Reiake oredette ohe foste

la medesima persona.

(2 13) La falange de‘ Macedoni divisa in due parli ec.

Polibio con una parola l’ appella Ji^sA ayy/W r, duplice fa­

lange! >na io non'ho voluto lignificarla con questa espres­

sione , affinché non ti creda che di dne falangi unite qui si

tratti. Del resto divideasi la falaoge in due ed anche in tre

p a rti, non solo per farle 1’ una all’ altra succedere, ove an­

gusto era lo spazio per cui marciava, ma eaiandio per iscliie-

rarle di fronte in campo aperto. ( V. Polib. v i, ' o ) . I Ro­

mani chiam ano coletto schieramento duplicem, triplicem aciem.( a i 4) Eransi appiattali - alle falde della collina. Siccome

il rivo Gorgilo tcorrea appiè del monte Èva , cosi la gente

d‘A.bligono, eh’orati nel suo alveo nascosta, e stretta tenevasi

alle radici del colle, era veduta da coloro che sul monte stesso

eran alloggiati.

( a i 5) Fazione £/■/<* i il termine universale, che usa qui

il noatro, e cbe Italianamente ai direbbe bisogna ; ma piò con­

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veniente m’ è panilo fattone, eh’ è «oce militare equivalente a

fatto d ’ armi. ( V. Grassi Dizion. mitit. )

(a iC ) Ecco tubitamente tutti mostrarsi. Cioè a dire balzar

fuori delle insidie , steccandoli dalla radice del monte che gli

avea coperti.

( a i 7) Lf armadura leggera. Ev£<*>»i , i soldati spediti , gli

stesti òhe oel c. G5 avea chiamati mercenarii, e obe insieme

colla cavalleria degli Achei erano schierati Del piano.

(a iB ) Filopemene. Era questi nella cavalleria degli Achei ,

opposta nel piano alla cavalleria de’ Lacedemoni <c Schweigh.

(•1 9 ) Doveva egli. Il testo ba 7»»7» i' «># ( ciò era ) re­

lativo al 7 t i & ir Siti Imtt 7?» lltrmt (valersi del­

l'opportunità da’ luoghi), non altrimenti cbe se avesse detto :

il qoal valerti consisteva in andare da longi ec. Lo Schveigb.

interpretò , partet autem periti dacis fueranl | concetto che

non ba espresso Polibio. - Avea Euclida in ciò e rra to , ch e ,

dandogli la sua posizione dalla cima della montagna il miglior

comodo di offender il nemico che ascendeva, egli erasi con­

tenuto come chi sta sulle difese, affidato unicamente nella su­

periorità delle sue forse.

(a io ) Lungo la stessa cima. ee. Lo Schweigh. nelle noie

■piega quel it mJnr 7J» 7»» A«p,p * t ( t f i t tecundum ipstan verticem, sembrandogli che Jia significhi qui estensione di

spazio. Nello stesso modo vedemmo di sopra (e . 5] ) Aìi 7i t

firnIte indicar estensione di tempo.

( a a i ) E quetta prete la più basta. Sloggiali dalla vetta

dovettero essi trovarsi sul declivio del monte , opposto alla

salita per cni gl’ Illirii erano vernili , tocchi Polibio espresse

scrivendo t r i ró<f* in confronto J’iW wiim , obe significa

far la ritirata per luoghi piani.

(323) In amendue le. cotee. Narra Plutarco (in Pbilopoemen.

pag. 559) che irapassate da nna lancia, e quasi legate essen­

dogli amendoe le cosce , e non osando nessuno d’estrargUela,

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•gli fremendo d'ardore di combattere, ool movimento alterno

delle gamb« io allo di camminare ruppe 1* atta per m esso, •

làttici strappare i due tronconi, tgoaioò la spada e ti precipitò

addosso a'nemioi: onde grandemente inanimi i «noi alla pugna

e non pooo contribai alla TÌUorù.( l i j ) Abbottando lo Mie. Il verbo greoo, ohe qui uia il

■o s tro , denota veramente cangiar la posizione, loochè p e t

1* appunto ^accedeva in in i principio della pogna, qoandrf

l'aata che dapprima ponra colla ipalla del soldato, dirigeva*!

contro il nemico. Ha pi&t proprio ecaendo dell'idioma italiano

io queato cento il termine abbottare, io mi aono d’ecco vaiato,

quantunque umlmSÓÀÀiir oiò esprima anziché

(aa£ ) Pantaggio proprio òlla falange addottala. La profon­

d iti della falange eemplioe era di cedioi nomini ( Polib. xy iii,

i 3 ) e tal era la ana forca, ohe niente ri polca m ieterò .

Qaanto maggior adunque dove» eater 1* impeto della falange

doppia , io oui le coorti ( 74 A» ) , di eoi oomponevaci erano

oollooate l’ una dietro l'altra. Il Gaaaub. rende 7;* traAAcAe

Q»\*yytr per geminatae phalangit, e eoa ragione V Ernecti

e il Reiike disapprovano questa interpretazione ; ohecché dica

in contrario lo Sohweigh. Imperciocobè geminare equivale al­

l’italiano doppiar* j crescere dal doppio, e non a piegar in

doe p a rti, 1' nna potta dietro 1’ altra. A me A sembrato an­

dar meno langi dal valore dell’ espressione Greca il neatre

addotta re nel aenso che 1' adopera D ante, Purgai. 5.

E cib che fa la prima e f altre fanno.

Addogandoti a le i, c’ ella c' arresta.

( « 5) Al primo arrivo. Sstendo Sparta oittA aperta non

poteva essa oppor resistenze a nn nemico vittorioso. E g ii

l’ ebbero corsa i Tebani sena* oilaoolo dopo la battaglia d i Lenttra.

(saC) Ristabilito il lor antico governo. Antigono, presa la

3po

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«itti di primo impeto , e trattati i Lacedemoni oon benevo-

lenaa , non avvili la digititi di S parta , n i le lece o n ta , ma

reatitnille leggi e governo, e poich'ebbe sacrificato agli D ei,

ai ritirò il teno giorno, eo. Plutarco in Cleom. p. 819.

(227) Traeva partito dalle occasioni 7S» mmifmt «»7ir tii- n>7t scrisse Polibio, cbe .lo Schweigh. aeguitando il Casaub.

rendette per occasionem expectasset ; ma nelle note ritrattoMÌ

e p o tè , li paullisper uri conatus esset opportunitatibus ( m

alquanto ingegnato ai fona di valerli delle opportunità ). Ciò

tuttavia non gli sarebbe bastato per conaervargli il regno ; il

perchi io credo che «>7in < i7r}« i abbia qni forza di Vindicare sibi, appropriarli, render m a alcuna coia a tale, che li .pom

trarne ogoi possibile vantaggio, e in conformità di quello

senio ho volgariasata la mentovata frate. — Del reato quanta

utilità emerger possa dal non disperare negli estrani infortn-

n i i , per molti esempi) coti antichi come reoenti ai rende ma­

nifesto. Cosi scampò la repubblica Romana dopo la battaglia

di Canne l'intrepideaaa del console C. Terenzio ( V. T . Li­

vio x i n , 61)1 coll fu di salvezza agli Americani l’ impertur­

babile ooitania del generale W ashington, quando le loro spe­

ranze erano preuoohi in fondo ( V. Botta stor. del. guer.

dell' indipend. degli Stati Uniti d’ Amer. Tom. 11, cap. 7 ,

p. 43a « « g g -) '(a a 8) incominciò a sputar sangue. Secondo Plutarco ( in

Cleom. p. 819) inclinava «gli già pria alla tis i, ma serbarsi

volea a morir con gloria, vincendo « facendo strage de’ ne­

mici. A detta di Filarco , cui acconsente lo storico le tti ci­

ta to , mentroohi egli dopo la battaglia, ove avea molto gri­

dato , esclamava dalla gieja : 0 bel giorno ! sputò nn torrente

di tangue, e cadde in una febbre violenta , di coi morì.

(a a 9) Infermità Jimthrir ba il testo , cbe non solo significa

disposinone ad ammalarsi, ma esiandio inferma costituzione

già conformata di tutto il oorpo , quale li fa quella che eoo-

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dosso Antigono a morte dopo ub abbondante sputo d i san

( V. F o n . OecoDom. Hippocr. alla voce J iU h n i ).

(1 30) Intorno allo fletto tempo ec. Giastino ( i x i ^ ,

racconta, cbe nella medesima epoca molti regai passar

nelle mani di Sovrani pressoché bucin ili, i q u a li, eebfc

diretti non farono da nomini più vecchi, calcando le tr t

de’ loro maggiori, risplendettero di grandi virtù. Ad A ntig

•accedette Filippo in età di quattordici anni ; in Siria a

leuco ucciso Antioco fa nei allo i io Cappadooia avea ad Ai

• rate ancor tenero d’ anni il proprio padre consegnato il

gno, ed allora pare Annibale molto giovine ottenne il supre

comando dell’esercito Cartaginese.

(1 3 1) Morì pur Tolemeo di tua malattìa. Da questo pa

giova arguire, che Tolemeo E vergale non fa altrimenti 1

ciso dal figlio , conforme riferisce Giustino al luogo citat

dal qaal atrooe delitto vuoisi che » « T ( p e r c

boon nome a cosa oattiva ) questi fosse sovrannominato Fi

patore (amioo del padre) Polibio ( v , 3 4 , 36 — xv , 2l

asserisce bensì ch’ egli fece morir il fratello Maga e la mai'

Berenice, ma non la motto dell’ altro suo attentalo oontra

genitore. Tuttavia sembra che a’ giorni del nostro autore co

resse si (latta voce, dappoiché egli volle rilevar la circostani

che quel re mori di malattia , quasi per ismentire chi il coi

trario sosteàeva.

3 9 2

FINE DELLE ANNOTAZIONI DEL SBCONDO LIBRO

E DEL PRIMO TOMO.