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  PIERLUIGI CASALINO VERSO LA PRIMAVERA ISLAMICA Futurist Editions Sommario: Prologo-Islam Prossimo Ventur o-Umanesimo Arabo-Arte e Poesia in Eurabia-  Ad Futurum  Prologo:  LA SECONDA RINASCIT A ARABA  I moti democratici, che attraversano il mondo arabo, sono appena incominciati. Noi ass istiamo a una generale e irr esistibile rinascita del mondo arabo, alla vittori a di una generazio ne decisa a ripre nde re in mano il pr oprio des tino. E que sta mod erna rinascita porta con se l`a nsi a del le  promesse incompiute e l`energia emancipatrice della prima rinascita, conosciuta come la Nahada, che si aprì con la spedizione di Bona parte in Egitto e si concluse con la seconda gu erra mondiale. Quest a et à li berale del pensiero arabo fu la ri sposta poli tica e intelle ttu ale al l`irruzi one occidentale, ma anche all`aggr essione militare e alla sfida di civiltà. La rinascita araba, liberatasi dell`ip oteca imperia lista che aveva minato la prima Naha da, rivendica l`unive rsalità dei valori della rivoluz ione america na, di quell a francese e oggi di quella araba. Quest a la posta in gioco della nuova stagione di libertà araba. Casalino Pier luigi, 01.06.2011.   ISLAM PROSS IMO VENTURO 2011 LA RIVOLUZIONE ARABA I discorsi sui conflitti di civiltà sono stati colti di sorpresa. L’Islamofobia agitata per nascondere le difficoltà economiche dell’Occidente nella globalizzazione si fondava sull’idea che i paesi a maggioranza musulmana fossero incapaci di modernizzazione, l’ideologia su cui si basava l’assetto

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PIERLUIGI CASALINO

VERSO LA PRIMAVERA ISLAMICA

Futurist Editions

Sommario: Prologo-Islam Prossimo Venturo-Umanesimo Arabo-Arte e Poesia in

Eurabia- Ad Futurum

 Prologo: LA SECONDA RINASCITA ARABA

 I moti democratici, che attraversano il mondo arabo, sono appena incominciati. Noi assistiamo a

una generale e irresistibile rinascita del mondo arabo, alla vittoria di una generazione decisa a

riprendere in mano il proprio destino. E questa moderna rinascita porta con se l`ansia delle

 promesse incompiute e l`energia emancipatrice della prima rinascita, conosciuta come la Nahada,

che si aprì con la spedizione di Bonaparte in Egitto e si concluse con la seconda guerra mondiale.

Questa età liberale del pensiero arabo fu la risposta politica e intellettuale all`irruzione

occidentale, ma anche all`aggressione militare e alla sfida di civiltà. La rinascita araba, liberatasi

dell`ipoteca imperialista che aveva minato la prima Nahada, rivendica l`universalità dei valori

della rivoluzione americana, di quella francese e oggi di quella araba. Questa la posta in giocodella nuova stagione di libertà araba.

Casalino Pierluigi, 01.06.2011.

 

 ISLAM PROSSIMO VENTURO

2011 LA RIVOLUZIONE ARABA

I discorsi sui conflitti di civiltà sono stati colti di sorpresa. L’Islamofobia agitata per nascondere le

difficoltà economiche dell’Occidente nella globalizzazione si fondava sull’idea che i paesi a

maggioranza musulmana fossero incapaci di modernizzazione, l’ideologia su cui si basava l’assetto

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ideologico del Medio Oriente era legata ad una stabilità apparente, artificiosa, incapace di concepire

le dinamiche del progresso. Chi conosce, non in superficialità, il mondo arabo, non è stato preso in

contropiede dagli eventi di questi giorni. I segnali vi erano da tempo ed erano significativi. Ibn

Khaldun, storico e sociologo arabo del XV secolo, scriveva nelle sue Muqaddima (Introduzione)

che “non c’è un popolo che non ami essere sottomesso più di quello arabo”. Si riapre la questione

dell’universalità della democrazia, già posta all’epoca della rinascita araba alla fine del XIX secolo

e soprattutto tra gli Anni Trenta e Cinquanta del XX secolo. Il crollo della natalità e la crescentealfabetizzazione hanno fatto il resto. Lo stesso fenomeno emigratorio, pur con i limiti di una ricerca

inconscia dell’appartenenza lontano dal’ambiente originario, ha rappresentato un elemento di

spinta. Paradossalmente l’esigenza del nuovo viene dalla riaffermazione di principi che la civiltà

liberale europea ebbe modo di trasmettere alle società arabe proprio nel periodo coloniale. Il

congresso panarabo di Bruxelles del 1938, convocato su iniziativa di arabi cristiani nel nome delle

idee di libertà e democrazia, restò un capitolo incompiuto. Lo spirito di libertà e di giustizia sembra

oggi tornare a soffiare. Questo è il senso dell’attuale rivoluzione araba.

Casalino Pierluigi, 9.03.2011.

ISLAM E OCCIDENTE

Mondi occidentali e mondi islamici sono sempre più in correlazione, confermando quanto queste

due realtà, pur diverse, non siano necessariamente separate. E sullo stesso diverso molte certezze

vengono meno, a causa dell’omogeneizzarsi di costumi e comportamenti. Immigrati, manager,

studenti e lavoratori circolano al ritmo delle merci sotto l’incessante impulso della modernizzazione

e della globalizzazione. Istituzioni e nazioni si scontrano. Le televisioni e gli altri media si

incontrano e si scontrano, in una simbiosi ideale, nuova frontiera, anzi ritrovata frontiera, di un

 passato non meno interattivo, e certo non meno globale. Le cause della globalizzazione planetaria

odierna, peraltro, partono da lontano e presentano limiti dalle conseguenze imprevedibili, fondate su

una ricerca totalizzante del mercato planetario, che finisce per ritorcersi contro chi lo ha ispirato. Ilvolto dell’Occidente è anche il volto dell’Islam, segnato dalla progressiva snaturalizzazione. Da ciò

originano movimenti perversi che richiamano il messaggio di Spengler sul tramonto dell’Occidente.

Un mix di segnali contrari ed opposti che smentiscono la deriva della nostra Civiltà, per coinvolgere

nella dinamica imprevedibile e confusa della Storia anche chi non si riconosce

nell’Occidentalizzazione. La spinta delle rivoluzioni del Mediterraneo mischia ancora le carte e ci

trova impreparati. Sfuggono dal mazzo molte carte che sembravano decisive. L’ondata di fuggitivi

dalla Tunisia che si abbatte sulle nostre coste non trova più nemmeno una ragione autentica. E

superficiale ed improprio interpretarla nella solita chiave del bisogno. Un tam tam di voci

incontrollate può ormai determinare fughe di massa, che non si spiegano neppure con le

conseguenze dei conflitti in atto. L’Occidente non sa più essere tale, né l’Islam è più tale, se si

intende per Islam un indistinto bagaglio di valori o di sentimenti. La turbolenta congiuntura in corso

ci invita a un’inedita riflessione su dove conduca il percorso dell’uomo. Ritorna d’attualità la

lezione di Tocqueville: dove vada la Storia è compito superiore alle nostre capacità intellettive.

Casalino Pierluigi, 29.03.2011.

IRAN E EBREI

 Nel 2007 il fortunato film di un regista iraniano, tra censura e coraggio, in un momento di isteria

antiebraica da parte della leadership di Teheran, ricordava gli sforzi compiuti dai diplomatici del suo

Paese in Europa per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista. Analogamente, all’indomani

dell’avvio dell’operazione “Barbarossa” da parte della Germania, Wladyslaw Sikorski, primo

ministro del governo polacco in esilio e l’ambasciatore della Russia sovietica a Londra, Ivan

Mayski (dopo una certa ambiguità nell’atteggiamento di Mosca nei confronti della popolazione

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ebraica) inserirono tra le clausole del trattato di alleanza tra le due parti anche la liberazione di

migliaia di prigionieri polacchi, in particolare ebrei) e il loro trasferimento in Iran. I mullah (clero

della confessione islamica shiita) si prodigarono nel prestare aiuto a questi disgraziati, invitando

dalle moschee i fedeli a fare altrettanto. Il clero shiita sottolineava il fatto che gli ebrei erano fratelli

degli iraniani, appartenendo alla stessa famiglia da almeno 2500 anni. Fu proprio Ciro il Grande, del

resto, a liberare gli ebrei dalla cattività babilonese e ad accoglierli in Persia. Non è infrequente

sentire dire dagli iraniani ancora oggi che gli ebrei sono parte del loro popolo. Considerazionianaloghe si colgono in Nord Africa, in Siria, in Libano, in Turchia, in Yemen e in altri paesi

musulmani, nonostante le polemiche legate alla questione palestinese.

Casalino Pierluigi, 18.04.2011.

GLI ARABI

L’indipendenza è il diritto ai problemi, un diritto di cui gli Arabi hanno generosamente fatto uso e

questo aspetto rappresenta una delle migliori opportunità del loro futuro. Del resto vedere gli Arabi

solo attraverso la dimensione mediterranea, significa sottovalutare una storia, la cui originalità si

esprime proprio nel coniugare tale realtà con le altre. Ma ancor di più non si riconoscerebbe

l’evoluzione che fa del pianeta un insieme multipolare, simile al dodecaedro con cui i saggi di

Bagdad rappresentavano il cosmo. Sbagliano i nemici degli Arabi quando affermano che essi si

fanno comprare. Spesso accade il contrario, considerata l’insistenza nel coltivare certi principi

ancestrali e perciò ineliminabili dalla loro forma mentale. Quando soprattutto dopo la Seconda

Guerra Mondiale, la delusione verso i loro leaders aumentò con il propagarsi delle idee di

democrazia che soffiavano nel mondo intero, questa congiunzione fece loro ritrovare uno dei loro

atteggiamenti tradizionali, interpretando tali sentimenti come un’autentica spinta rivoluzionaria, poi

 ben presto abortita nel contesto delle tensioni della guerra fredda. Circostanza, quest’ultima, che ha

 prodotto un ripiegamento degli Arabi verso i valori mai spenti di un ritorno ai fondamenti originari

della loro civiltà, rivelatisi peraltro inadeguati al desiderio di modernità e di rinnovamento checomunque pervade quelle società. Difficile dire se questa base di ragionamento sia trascendente o

 positivista, se non addirittura naturalistica, al punto da aprire un conflitto tra le due anime del

 pensiero arabo, come fu a suo tempo con il rivaleggiare della scuola di Averroè (Ibn Rushd) con

quella di al-Ghaza^li^. Vi è in tutto ciò il manifestarsi di un’ansia civile e morale che può portare a

cambiamenti epocali. La passione per la ragione è forte tra gli Arabi. Ad essi bisogna, dunque,

guardare come una parte di un mondo più vasto, alla difficile ricerca di un’unità. La rivoluzione che

attraversa in questi giorni l’universo arabo, con i suoi tormenti e le sue divisioni, ci invita ad una

riflessione in tal senso.

Casalino Pierluigi, 29.04.2011.

I CONFINI E LA STORIA (dopo l'11 9)

Con la nascita degli Stati nazionali, i confini diventano una categoria complessa e non scontata. Essi

 possono essere intesi in senso geografico e anche in senso etnico. In tal caso presentano problemi – 

e in alcuni casi drammi – di intere popolazioni collocate dove le loro origini non vorrebbero che si

trovassero o settori di esse spostati verso regioni o società diverse per tradizioni e sviluppo. Infine,

esistono dei confini di natura culturale, che si sedimentano nel tempo e che non hanno minor 

rilevanza di quelli fisici, nel contesto di un mondo comunque destinato a non avere più confini. Per 

questa ragione, i confini sono l’oggetto privilegiato del contenzioso internazionale, in particolare di

quello regolato attraverso le armi della politica, della diplomazia e persino della guerra. L’Europaesiste in un conflitto virtuale tra la nozione di confine fisico e di identità, alla ricerca, mai

seriamente perseguita, di una patria comune, come le stesse risorgenti contraddizioni

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 particolaristiche dell’oggi dimostrano. Per gli Stati Uniti d’America l’anomala auto

rappresentazione della propria essenza e del proprio ruolo è stata posta in crisi, dopo gli eventi

dell’11 settembre 2001, con conseguenze dirette e indirette sui confini degli altri. Infine

l’Occidente, nella sua generalità, di fronte all’impetuosa ondata della globalizzazione, sta perdendo

la propria identità, non prendendo coscienza dei mutamenti in atto con le rivoluzioni di questi mesi,

che segnano il crollo del vecchio concetto di confine e la riscoperta dell’immagine mobile dei

territori che resta alla base dell’eterno percorso della Storia.

Casalino Pierluigi, 21.05.2011.

ANIMISMO NEL MAGHREB

A margine delle abituali concezioni musulmane, il mondo maghrebino conserva tutta una serie di

credenze pagane, la cui dipendenza dall’animismo, è espressamente riconosciuta. Queste credenze

rinviano a una comunità invisibile di “ginn”, esseri tenebrosi, malefici in molti casi, strani e

originalissimi, dotati di poteri superiori a quelli umani. Per neutralizzare questi spiriti o dèmoni,

occorre conquistarne la simpatia, intrattenendosi con essi in determinate ore del giorno o deltramonto, talvolta anche di notte, ricorrendo a riti di propiziazione spesso arcani e drammatici. Una

sequela di invocazioni e riferimenti, quindi, tra il sublime, il cosmico e il reale, in un crescendo di

atmosfere dalle suggestioni e dalle intensità incontenibili, in vista e in preparazione degli eventi più

importanti della vita quotidiana. Si tratta di una realtà radicata nei costumi di tutto il Mondo Arabo,

soprattutto nel Maghreb. Non è un caso che la magia sia in genere identificata dagli altri Arabi con

l’ambiente maghrebino, mentre il termine “maghribi” definisce le pratiche esoteriche in senso lato.

Casalino Pierluigi, 25.05.2011

LA SESSUALITA’ NEL MAGHREB

Gli “zagharid (trilli delle donne arabe, in particolare del Maghreb) funzionano, nelle giovani donne

maghrebine come una strategia elaborata e complessa, che mira a segnalare al gruppo compatto dei

maschi, raggruppati nella cerchia“sociale” della casa, la raggiunta maturità sessuale. Di

conseguenza, del “canto” emesso è ora da considerare non tanto l’esecuzione di una partitura

innocente e di carattere meramente estetico, quanto invece, più in profondità; il simbolo di una

 potente energia, che governa un fortissimo istinto d’unione. Tuttavia, c’è qualcosa che va ad

aggiungersi al peso dei paradossi in cui sono sottoposti i tentativi di seduzione nel Maghreb, ed è il

fattoche, in permanenza, gli amanti dispongono di due coppe colme, nonostante il superamento che

evochiamo ogni volta che si tratta di seduzione, anzi di passione fatale. Qualsiasi donna che eccelle

nell’arte degli“zagharid” può influenzare l’uomo più profondamente delle altre, e circondarsi di

un’aura femminile molto inebriante. Al ritorno da qualche matrimonio fastoso, il loro nome èdivulgato, fino a che certi pensieri maschili vengono loro segretamente dedicati. Le ragazzine di

 pochi anni cercano di modulare lo “zagharid”, e anche nelle adulte si ritrovano prestazioni

individuali in questo campo. Al ritorno da qualche matrimonio fastoso, il loro nome è divulgato,

fino a che certi pensieri maschili vengono loro segretamente dedicati. Le ragazzini cercano di

modulare lo “zagharid”, e anche nelle adulte si ritrovano prestazioni individuali in questo campo.

Una donna, il cui grido, modulato più perfettamente, è più stridente e prolungato, è invitata in tutte

le circostanze in cui possa farsi sentire. Gli “zagharid” provocano sugli uomini che li ascoltano

affetti erotici, sviluppandoli fino all’acme della loro sensualità. L’eccitazione è evidente alla prima

occhiata, fino ad essere in pugno delle donne. Se si dovesse fornire ulteriori argomentazioni a

favore della natura erotico-sessuale degli “zagharid”, potremo ricordare la gelosia provata del

marito nei confronti dei trilli della moglie. In un simile contesto, la donna sposata che conduce una

vita sessuale equilibrata si abbandona solo raramente a questo genere di manifestazioni dopo il

matrimonio.

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Casalino Pierluigi, 4.06.2011.

AMORE E SESSUALITA’ NEL MAGHREB: OGGI E DOMANI.

Comunque orientiamo la nostra osservazione sul fenomeno della sessualità nel Maghreb e ne

tentiamo di svelare le ragioni e le simbologie profonde, constatiamo che, di fatto, il vero e proprio

dibattito si muove intorno ad un asse che collega il vietato e il proibito al permesso e al tollerato. Nel Maghreb l’antropologia sessuale e dell’amore sarebbe solo una semplice fraseologia se non si

indicasse le condizioni emergenti della situazione reale del corpo. Il corpo è messo in scena, come

in un teatro. Si fa vedere, si adorna, si trastulla, si trucca e si strucca. Può essere malizioso o

 perverso, assente, disincantato, livido e/o congestionato. Le apparenze corporali sono numerose.

Ora è un corpo della proibizione prima dell’ufficializzazione dell’unione matrimoniale delle coppie

maghrebine, ora è un corpo del puro godimento, tra simboli, posture e richiami. Tutto funziona

come se l’immagine del corpo suscitasse l’angoscia. Considerato che il corpo del partner spaventa

ed inquieta, quasi come un rito ancestrale, esso si offre in un fondamentale ermetismo. Il “velo”

educa lo sguardo maschile e lo attira su alcune zone del corpo femminile, che, all’inizio,

esaltanoraramente le aree erogene naturali. Lungi dal volerlo sopprimere, anche se tuttavia, non è

infrequente non vederlo più portato, almeno nelle città più grandi, perchè istituito e vissuto qualesenso di appartenenza, spinge molte donne ad istituzionalizzarne l’esistenza ai fini di una miglior 

conoscenza dell’altro, delle sue reazioni e delle sue pulsioni, pur esagerando la dimensione

voyeuristica dell’uomo. Quindi, se, da un lato, il “velo” assume un ruolo“segregazionista”, da un

altro ha un valore di seduzione ( e sotto certi aspetti di sfida e di affermazione d’identità).

Diametralmente opposta è, invece, la funzione degli “iuu” degli zagharid”,che, inizialmente,

delineano l’approccio sessuale, invitando ad esso, finendo per circoscriverne una certa visione

 privatistica da“serraglio”. In terra di Islam tutto si intreccia e si scioglie, secondo una concezione

trasversale del sacro e del teologale, in una prospettiva di sacralizzazione della sessualità. I costumi

mutano e la libertà femminile avanza inesorabilmente, ma proprio in tale direzione le donne

maghrebine rafforzano i momenti della sensualità e della ricerca della soddisfazione sessuale in un

contesto di movimento, favorito dalla nuova mentalità giuridica pubblica. La tradizionale

sostituzione“fallica” del padre con il marito e, in certi casi, anche con il partner, è accettata solo se

la donna è pervasa dal desiderio, circostanza questa, autenticamente rivoluzionaria, che tende oggi a

sprigionarsi in modo crescente dall’involucro dell’ambiguo mistero finora mantenuto per antico

costume. Tale posizione afferma la parità dei sessi e della loro dignità, quasi reinterpretando

l’atteggiamento del passato in chiave dinamica. Una svolta sociale che coniuga la volontà di essere

donna con l’aspirazione collettiva di liberazione di questa parte del mondo. Le rivoluzioni arabe,

 per concludere, si colorano soprattutto di rosa.

Casalino Pierluigi, 7.06.2011.

UMANESIMO ARABO

AVICENNA

Ibn Sina^, che gli scolastici latini conobbero con il nome di Avicenna, nacque intorno al 980 a

Bukhara, dove suo padre era governatore, e si spense ad Hamadan (Persia occidentale), nel 1037, al

termine di una vita intensa, sebbene minata nella salute. Considerato il secondo pilastro del pensiero

islamico, dopo il berbero-andaluso Ibn Rushd, l’Averroè dei latini, Ibn Sina^ è stato paragonato per 

la profondità e l’ampiezza della speculazione, a San Tommaso d’Aquino, anche se quest’ultimo subì

 principalmente l’influenza di Averroè. Di formazione araba e persiana, Avicenna fu

intellettualmente precoce. All’età di 16 anni insegnava medicina, dopo studi condotti da autodidatta.

E fu così celebre che i sovrani abbasidi lo nominarono medico di corte. Si misurò con un certo

successo con la poesia. Nominato wizir dall’emiro buwhailide di Hamadan, compose poi più di 100

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opere filosofiche e scientifiche in lingua araba e in lingua persiana, andate in gran parte perdute. In

Occidente la sua fama di medico superò quella del filosofo. La sua opera più importante, “La

guarigione”, tuttavia, fu di natura eminentemente filosofica. In essa, Avicenna coniugò

l’aristotelismo neoplatonico all’Islam. Un Islam più aperto all’originalità delle interpretazioni

teologiche, pur nell’ortodossia, rispetto a quello di altri pensatori arabi e musulmani. La fortuna di

Avicenna è legata, peraltro, a una straordinaria e moderna analisi dell’inconscio e delle ragioni

dell’essere.

Casalino Pierluigi, 07. 04.2009

AVERROE' - IMMAGINAZIONE E CONOSCENZA

L’Immaginazione è alla radice della conoscenza. La scoperta non è di oggi, ma risale all’alba

dell’uomo. Chi pensa immagina e conosce. Chi pensa, dunque? Prima ancora che la filosofia

apprendesse le ragioni dell’Io, cioè che l’Io è il soggetto di ogni pensiero, Averroè (l’Ibn Rushd

degli Arabi), pensatore arabo andaluso del XII secolo, aveva risolto, a suo modo, questo enigma

antico ed affascinante. Una soluzione che fa testo. Non vi sono, secondo il filosofo, tante menti

quanti sono le singole persone umane, ma una sola e unica mente per tutti gli uomini che sonovissuti, che vivono e che vivranno. Ogni uomo, quindi, si congiunge con questa mente, la cui natura

è in potenza, attraverso i propri fantasmi, ciò che riesce ad immaginare. E a conoscere. Questa

mente non è che il luogo principe in cui tutte le immaginazioni umane diventano finalmente

trasparenti, comprensibili, attingibili. L’averroismo che non ha mai smesso di esercitare il suo

straordinario fascino, da S.Tommaso d’Aquino a Dante, a numerosi altri tra storici e filosofi, ma

anche di suscitare condanne aspre, forse le più violente dell’interminabile vicenda del pensiero

umano, assume un rilievo senza pari. Averroè ha elaborato la prima grande filosofia

dell’immaginazione che la modernità abbia prodotto. Una finestra aperta sulla reale conoscenza.

Casalino Pierluigi, 14.04.2009

AVERROISMO

L’averroismo (detto anche aristotelismo radicale), sviluppatosi nel XIII secolo, è la tendenza del

 pensiero filosofico a interpretare i testi di Aristotele sulla base del celebre Commento di Averroè

(Ibn Rushd), accettando esplicitamente alcune conclusioni che appaiono in contrasto con la teologia

cristiana, come, ad esempio: il principio dell’eternità del mondo, tesi che risultava contraria al

dogma della creazione; la concezione dell’intelletto possibile, ritenuto unico per tutti gli uomini, e

quindi della mortalità dell’anima individuale; l’affermazione che solo la ragione può condurre alla

vera conoscenza; l’autonomia della ragione può condurre alla vera conoscenza; l’autonomia della

ragione, di per se sufficiente ad operare il bene e a praticare le virtù speculative e pratiche, nel cui

esercizio si realizza l’unica felicità possibile e realizzabile per l’uomo. Tutto ciò portò a quella chein seguito sarà chiamata la “teoria della doppia verità”, in base a cui l’ambito della ragione veniva

superato da quello della fede (una stessa proporzione poteva essere contemporaneamente ritenuta

falsa dal punto di vista della fede e vera dal punto di vista della ragione). Iniziatori di tale indirizzo

di pensiero (intorno al 1270 venne definito averroismo latino) furono soprattutto Sigieri di Brabante

e Boezio di dacia. Le dispute e le confutazioni intorno a questa corrente filosofica promosse dai

maestri francescani e domenicani non impedirono la diffusione delle tesi averroista, che

cominciarono a suscitare vive preoccupazioni presso le autorità ecclesiastiche. Dopo un primo

ammonimento di Papa Giovanni XXI ( il portoghese di nascita Pietro Ispano), il 7 marzo 1277 il

vescovo di Parigi Stefano Tempier condannò ufficialmente 219 proporzioni (molte delle quali non

tutte di provenienza averroista) anche questa condanna, tuttavia, non fu in grado comunque di

impedire la circolazione delle tesi averroiste nelle scuole, insieme ai commenti di Averroè (Ibn

Rushd) e agli scritti dei principali esponenti di tale filosofia, il più importante dei quali fu appunto

Sigieri di Brabante, che lo stesso Dante (che inclina anch’egli all’averroismo) pone in Paradiso, tra

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gli spiriti sapienti del cielo del Sole (Par. X, 136-138). In un certo senso anche figure della

scolastica quali Sant’Alberto Magno e lo stesso San Tommaso d’Aquino non furono immuni

dall’influenza del pensiero del filosofo arabo andaluso. Le considerazioni sull’importanza della

ragione, quale criterio di misura della verità resta, peraltro, uno dei temi più rilevanti del lascito

culturale di Averroè (Ibn Rushd). Un motivo ancora attuale di riflessione per gli intellettuali del

nostro tempo.

Casalino Pierluigi, 12.04.2011.

EUROPA E ISLAM: UNITA’ CULTURALE DEL MEDITERRANEO NEL MEDIOEVO

Quando si parla del’unità culturale del Mediterraneo si deve tenere conto di una serie di scambi tra

Oriente e Occidente, che si estende a tutti i rami della conoscenza. E così anche nel campo, per tanti

motivi, delicato dell’escatologia, delle credenze circa la vita ultraterrena, si può attingere ad

un’ampia documentazione dell’interesse con cui in Occidente si sono ricercate ed accolte notizie

della tradizione musulmana sul destino dell’anima umana nell’oltretomba. Tra i vari filoni

disponibili nel patrimonio dell’Europa Cristiana riscontriamo una tendenza, forse più limitata, ma

non meno rilevante: quella che si riferisce indirettamente (o direttamente) al Corano e seguel’interpretazione letterale dei gaudi del Paradiso e delle pene infernali, quali risultano per i

Musulmani dal loro libro sacro. Una seconda tendenza, certo più elaborata e meglio informata,

segue invece la visione di Maometto e quindi è rappresentata prima da parziali tradizioni e

successivamente, dal tempo di Alfonso il Savio in poi, dal “Libro della Scala” nelle sue varie

traduzioni e riassunti. Una terza tendenza che inizia appunto nel Duecento con Guglielmo di

alvernia(nel De Legibus), con i grandi Catalani (Ramòn Marti, Raimondo Lullo e altri) e con la

Scuola di Oxford (Tommaso di York e Ruggero Bacone), contrapponendo la filosofia di Avicenna

(Ibn Sina^) alla stretta ortodossia musulmana, attribuisce alle narrazioni islamiche dei gradi

 paradisiaci e le pene infernali un valore puramente allegorico. Ma questa interpretazione, ritenuta

avicenniana, venne poi condannata, nelle conseguenze che se ne volevano trarre nelle dispute

teologiche entro il Cristianesimo, dal famoso decreto di Stefano Tempier, Vescovo di Parigi, del1227; al punto che più tardi alla fine del Duecento, Richard of Middleton confutava

l’interpretazione avicenniana nel suo insegnamento filosofico. E’quindi possibile che, in tanto

affluire di notizie sull’escatologia musulmana in varietà di gradi culturali ed in tanto discutere e

disputarne, il solo Dante sia rimasto fuori da queste correnti culturali della sua epoca? Cerulli e la

Corti lo hanno escluso, rompendo una cortina di scetticismo da parte di molti studiosi di

orientalistica o di dantisti. Occorre a questo punto ricordare la scoperta, piuttosto recente, del

“Viaggio dell’anima”,un opuscolo latino di essenziale valore storico che, ispirandosi alla filosofia di

Avicenna (Ibn Sina^), descrive l’itinerario dell’anima umana verso la salvezza, attraverso i vari cieli

e le varie “miseriae” infernali. Una sorta di percorso simile ad analoghe opere occidentali. Essa

rappresenta già, nell’Europa Medioevale, una visione puramente filosofica, pur non mancando di

elementi spirituali, di un viaggio nei regni dell’oltretomba verso il Supremo Bene. E le sue

connessioni con il mondo arabo non sono dubbie.

Casalino Pierluigi, 18.04.2011.

L'ARCHETIPO MULTIETNICO DEL PARADISO

Il paradiso come termine di un destino senza tempo e senza spazio è una costante

nell’immaginazione umana. Un immaginario codificato dalla fantasia, dall’ansia di infinito e dal

desiderio di trovare o di ritrovare un angolo di universo dove l’effimero si sposa con l’eterno, e nel

quale ci si inoltra, attraverso un arcano percorso della mente e dell’anima, dell’arte inventiva e del

sogno. Religioni, rivoluzioni, fideismi e utopie ci hanno da sempre proposto l’idea di un viaggio

segreto verso una sorte ignota e misteriosa, che si apre su una geografia immaginata, dagli incerti

contorni, dai confini sfuggenti, come le dune del deserto mosse dal vento, oltre i limiti della

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ragione. Una follia a cui non posiamo rinunciare. Quella follia che Erasmo da Rotterdam e

Montaigne esaltavano come aspirazione ineliminabile dall’animo dell’uomo. E nulla è più vero di

questa nostra follia, nulla è più vero di ciò che immaginiamo. E’ così che inventiamo il nostro

futuro.

Casalino Pierluigi, 26.04.2011.

 ARTE E POESIA IN EURABIA

LO SPIRITO DEL NILO: UNGARETTI E L’EGITTO

Giuseppe Ungaretti, giornalista e poeta, nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1988 e si spegne a

Milano nel 1970. Di origini lucchesi, è uno dei più grandi intellettuali italiani del XX secolo.

Parlando di se dice:”la mia educazione fu francese, la mia lingua italiana; in fondo l’Egitto mi ha

lasciato soprattutto il senso dello spazio, dell’infinito, del deserto” Vive a lungo a Parigi, a contatto

con la più vivida civiltà poetica europea (Apollinaire, Claudet, Gide, Valeri, Picasso), studia alla

Sorbona; quindi partecipa alla prima guerra mondiale in Italia (Carso) e in Francia (Champagne), e,al termine, del conflitto, a tutti i movimenti letterari in Italia, in particolare all’ermetismo. Dopo

numerose esperienze all’estero, Ungaretti torna in Italia nel 1942. La sua opera, intrisa

d’avanguardia, interpreta da un lato un’inedita cultura nomade, quasi gitana, e dall’altro una

“vague” impressionista singolarissima,esprimendo qualche legame con la lirica leopardiana.

Pervaso da un acuto senso della pausa e del silenzio, Ungaretti manifesta la sua emotività stupita,

attraverso sensazioni intense che emergono dalle nascoste radici dell’essere e che rappresentano

tutta la sua anima di “poète maudit”, alla ricerca di un misterioso riscatto. Una poesia, quella di

Ungaretti, che mira all’essenziale, scavata nell’anima, a penetrare nelle linee maestre delle cose. Ed

è proprio quest’arte, tra simbolismo e postsimbolismo francese, non legata a versi, rime e metriche,

ma libera, spezzata, generata da un continuo colloquio con se stesso, che fa di Ungaretti il

 protagonista di un’autentica rivoluzione espressiva. Una rivoluzione che risente certamente di unachiara influenza futurista. Come non è estranea all’apertura intellettuale e allo slancio avveniristico

del giovane poeta l’irripetibile stagione egiziana. L’Egitto è allora un ambiente “internazionale e

cosmopolita”, ricca di elevata seduzione creativa. Ma l’Egitto influenza questo figlio di Alessandria

 per il suo paesaggio, per “quell’ottica del deserto” (Ungaretti la chiamerà “miraggio” nei suoi

versi), in cui, specie di notte, entrano i silenzi del deserto, le grida sparse di animali, i latrati dei

cani. Il deserto sconfinato e simile al “niente”, ogni creatura, dall’animale all’albero, all’oasi,

all’uomo, si staglia in una luce speciale che lo enuclea dal contesto intorno. Di qui l’essenzialità

dell’invenzione ungarettiana che ben si coniuga con l’Alessandria nativa, mare e sabbia, in un

vortice di divenire in cui tutto finisce e rinasce. Nello scenario di un paese, l’Egitto a cavallo del

XIX e del XX secolo, che vive in un’atmosfera già per vocazione, orientata all’avanguardia. Lo

spirito del Nilo, uno dei fiumi del poeta, continuerà a soffiare nella sua arte fino al suo ultimo

giorno.

Casalino Pierluigi, 9.02.2011.

LA SUPERDONNA FUTURISTA

Valentine de Saint-Point (1875-1953) fu personaggio originalissimo. Provocatrice, avanguardista e

femminista, ma anche il suo contrario, Valentine sfuggiva a ogni definizione, in costante confronto

con esperienze diverse e burrascose, che finivano per lasciarla insoddisfatta. Nipote del poetaLamartine, Valentine si sforzava di apparire un angelo decaduto. Bella e seducente, passò da un

matrimonio precoce e traumatizzante con uno squilibrato ad altra unione, non meno desolante, con

una persona giudicata troppo normale: l’insignificante uomo politico Charles Dumont. Dietro

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l’immagine aggressiva da virago trasgressiva e insaziabile, tuttavia, si celava una grande bontà

d’animo. Non interessata al successo, avida di sensazioni forti e dissacranti, Valentine godeva nel

concedersi o nel negarsi, incendiando gli animi, posando anche come modella, per un pittore,

 probabilmente suo amante. Maliarda, amante della vita audace e dissipata, in cerca di sentimenti

tenebrosi e perversi, appassionata di aviazione e di scherma, non amava gli uomini e non era amata

dalle donne. L’incontro con Marinetti, il fondatore del Futurismo, nel 1909, cambiò la sua vita.

Divenne amante e allieva del vate modernista, convertendosi lei stessa alla religione del movimentoe dello slancio vitalistico. La relazione tra i due fu travolgente e comunque difficile  e tormentata.

Inneggiando al Futurismo, Valentine lanciò nel 1912 il Manifesto della donna futurista e l’anno

dopo l’ancor più scandaloso manifesto della lussuria. Ebbra di sensualità e di idee forti, carnali,

odiava la massa e prediligeva le élites. La spregiudicata ondata futurista avrebbe, secondo

Valentine, aperto la via dell’emancipazione femminile. E l’erotismo ne sarebbe stata la condizione

essenziale di evoluzione. In questo quadro, la donna avrebbe ritrovato la propria natura istintiva e

dominatrice. Il contrasto con la misoginia di Martinetti, tuttavia, esplose con tutta la sua evidenza,

quando Valentine con un clamoroso voltafaccia si unì alle manifestazioni delle “suffraggette”

inglesi. Convinta, al pari di Nietzsche, che il mondo non si divida tra uomini e donne, ma tra forti e

deboli, si allontanò dal Futurismo, senza però rinnegarne il carattere e l’impostazione

rivoluzionaria. Creò, poi, un nuovo tipo di danza, la Métachorie, ispirandola a concetti astratti,decisamente moderni. L’influenza futurista non venne meno anche in quel caso, riconducendone

l’esperienza a un’autentica pantomima, simbolo e richiamo della musica. Nel solco del Futurismo,

Valentine sognava il sincretismo delle arti e dell’intelligenza. Ritiratasi in Corsica, lavorò al

 progetto di un centro internazionale di cultura, segnato dalla sua stessa eccentricità e del suo stile di

vita. Si trasferì in Egitto, dove abbracciò l’Islam. Entrò a far parte del circolo esoterico di Guénon,

assumendo un nome della tradizione musulmana: Nour el Dine. Nome che conserverà fino alla

morte, avvenuta nell’oblio generale e nella solitudine.

Casalino Pierluigi, 13.03.2009.

AVANGUARDIA A DUBAI...

La nascita della modernità è stata celebrata a Dubai dal 16 al 19 marzo 2011, con un viaggio a

ritroso nel futuro dell’arte sperimentale, recuperando il senso della creatività soprattutto nel campo

della gioielleria. L’occasione è venuta dalla V Edizione della Fiera dell’Arte Contemporanea

Internazionale tenutasi negli Emirati Arabi Uniti. Al centro di tale evento senza precedenti “Les

voyages extraordinaires” di Van Cleef & Arpels, ispirato alle opere di Jules Verne, di cui incarna

l’ansia futurista.

Casalino Pierluigi, 21.03.2011.

UNA FONTE ARABA DELLA DIVINA COMMEDIA

 Non tutte le“fonti” della Divina Commedia hanno uguale rilievo e incidenza sulla formazione della

massima opera dantesca. Si dovrà, infatti, distinguere, caso per caso, tra una generica assunzione di

notizie derivanti dalla cultura del tempo e di cui Dante potrebbe aver ignorato la fonte primaria. Un

rilievo nuovo, tra le “fonti” è andato assumendo nell’ultimo secolo l’eredità culturale araba, già

esaminata come utile punto di riferimento da molti studiosi. Del 1919 è la pubblicazione di un

importanetlibro di un arabista spagnolo, Miguel Asìn Palacios, “La escatologìa musulmana en la

divina Comedia”,in cui, attraverso una vasta e meticolosa indagine condotta in seno alla letteratura

mistica ed escatologica islamica del Medioevo, filtrata in Occidente, tramite traduzioni latineeseguite in spagna, si indicavano numerose corrispondenze possibili tra quei testi e la stessa

Commedia. Sulla stella linea, un trentennio più tardi, si mosse l’orientalista italiano Enrico Cerulli,

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che individuò una probabile e specifica“fonte” nel “Liber Scalae” di Maometto – racconto del

viaggio del Profeta del’Islam in paradiso e all’inferno, su per la scala di Giacobbe – in cui Cerulli

ritenne di riconoscere molti e particolari riscontri del Poema sacro. L’accoglienza della “dantistica”

ufficiale, almeno nel nostro Paese, com’è noto, fu generalmente negativa, se non polemica, e, solo

nei tempi recenti, c’è stato un risveglio di interesse per questo filone di ricerca, che ha portato alla

 prima traduzione italiana del libro di AsìnPalacios e auna serie di studi importantissimi, indirizzati

in quella direzione, di Maria Corti. Ed è proprio la scomparsa autrice italiana in suo celebreintervento sul tema“La Divina Commedia e la cultura araba”, ha indicato finalmente il “Libro della

Scala”(“Liber Scalae”) come “fonte primaria”dell’elaborazione dantesca della scenografia

dell’inferno ( vedi leMalebolge), con ripresa puntuale di immagini, situazioni, modalità di ene per i

 peccatori, mentre meno frequenti e calzanti risultano le riprese nel Paradiso, considerate le

differenze del paradiso islamico rispetto a quello cristiano.

Casalino Pierluigi, 23.03.2011.

 

DANTE E L’ISLAM: ANCORA UN CONFRONTO.

La cultura islamica è diffusa nell’Europa Medievale, come testimoniato anche nella Divina

Commedia. La civiltà europea nasce sicuramente dall’incontro tra il Cristianesimo e il lascito ideale

greco-romano, ma è, parimenti, pervasa dal pensiero arabo ed ebraico. Nell’epoca di Dante i

rapporti tra il mondo cristiano e quello islamico sono assai stretti, nonostante i conflitti in corso. Nel

XII secolo due figure rappresentano questo intreccio di civiltà: Federico II di Svevia, con la sua

corte modellata su quelle arabe, e Alfonso X il savio di Castiglia. Lo stesso dante cita molti spiriti di

formazione musulmana, dallo stesso Maometto, per condannarlo, tuttavia, all’Inferno come ereticoe

scissionista, a saladino, di cui tesse gli elogi per la sua umanità e magnanimità, ad Avicenna (Ibn

Sina^), ad Averroè (Ibn Rushd), a Brunetto Latini, che conobbe il Liber Scalae, a Pietro Ispano ad

altri, che ebbero con l’Islam familiarità. Le analogie tra la Commedia dantesca e il Viaggio

 Notturno del Profeta Maometto sono, dunque, impressionanti e sono messe in luce dallo spagnolo

Asìn Palacios e dall’italiana Maria Corti: Dante e Maometto narrano in prima persona il loroviaggio ultramondano, entrambi sono accompagnati da una guida e fermati da tre fiere. Le stesse

architetture dei due transiti nell’oltretomba presentano forti somiglianze, così come le categorie

delle pene per i dannati nell’Inferno. Egualmente il senso delle figure del gallo (in Maometto) e

del’aquila (in Dante). La Scala, che in Dante assume un rilievo fisico e simbolico, è essenziale nei

testi musulmani. L’elemento della luce, centrale nel Paradiso dantesco, ricorda gli studi dei filosofi

arabi sulla dimensione metafisica della luce, in particolare in Avicenna (Ibn Sina^. Nei rapporti tra

Dante e l’Islam non vanno certo viste ragioni di subalternità del Sommo Poeta al mondo

musulmano. La corrispondenza e le analogie della Divina Commedia con il Liber Scalae (cioè Il

Viaggio Notturno di Maometto) si spiegano, invece, con la capacità di trasmissione culturale di cui

l’Islam si fece portatore in Occidente. Per concludere, infine, la Divina Commedia senza la teoria di

Avicenna (Ibn Sina^) dell’individuazione delle anime dopo la morte, grazie a una sottile materiaspiriutuale. Il giovane Dante averroista (ispirato originariamente dall’averroismo latino di Sigieri di

Brabante) avrebbe avuto difficoltà, infatti, a presentare delle individualità sciolte da un corpo,

fossero Farinata degli Uberti o la stessa Beatrice, senza l’influenza di Avicenna (Ibn Sina^).

Casalino Pierluigi, 6.04.2011.

POESIA E' DONNA

La lirica è il genere letterario più importante del mondo arabo, una dimensione culturale e spirituale

che si esprime in una lingua dal lessico infinito e dalle straordinarie potenzialità fonetiche, ricco di

sfumature e di musicalità. La poesia araba nasce in epoca preislamica e risente dei suoni, dei

sussurri e delle sensuali atmosfere del deserto. Segue regole, ritmi e metri codificati e immutabili, per subire una rivoluzione di stile dagli anni Quaranta del XX secolo, grazie all’irachena Nazik al-

Malaika, che per prima infranse molti tabù. Al tentativo di ricerca di libertà e al desiderio di

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rompere con il passato si sono unite da allora numerose voci poetiche dell’anima araba. Le più

significative di esse appartengono a donne, che cantano nei loro versi temi attuali ed eterni, dove

l’amore assume un ruolo di una divinità, il corpo. Si tratta di rincorrersi di emozioni e di fantasie,

che fa dire ad Hamda Khamis, originaria del Baharain: “Ogni corpo è un essere vivente, ogni poesia

è femmina”.

Casalino Pierluigi, 11.04.2011.

L’ARTE CALLIGRAFICA ARABA

La cultura araba si distingue dalle sue origini per la ricchezza delle sue manifestazioni formali.

Anche nella lingua quotidiana un semplice buon giorno diventa un augurio di pace, a cui si

risponde, invocando la misericordia e la benedizione di Dio, mentre alla presenza di una bella

donna si dice che“i raggi del sole brillano più intensamente” questa forma di cordialità un po’

ampollosa nella sua eleganza ha nutrito anche l’arte della calligrafia, che esalta le capacità estetiche

ed espressive della scrittura araba, già in se unica nel suo genere per la bellezza e per la graziaarchitettonica dei suoi motivi. La calligrafia, in particolare, prende a prestito motti morali, proverbi,

formepoetiche, detti celebri del Profeta dell’Islam, Maometto, o simbologie della tradizione

 popolare musulmana, da quelle relative a Buraq, il cavallo alato che trasportò il Profeta in Paradiso,

secondo il racconto sacro, a quelle celebrate nella liturgia shiita, ad altre allegorie della fede

islamica. Molti di questi temi vengono raffigurati in stupende stampe, oggetto di culto e ricche di

un’inventiva straordinaria. Non bisogna dimenticare che per i musulmani il testo sacro è sempre una

derivazione della divinità: è lo stesso dio che si fa carta e scrittura. L’arte calligrafica islamica antica

e contemporanea rivivono oggi una stagione di eccezionale creatività e suggestione cromatica, oltre

che di espressionismo astratto, non lontano dai richiami dei modelli di altre culture.

Casalino Pierluigi, 19.04.2011.

 

 Ad Futurum

 DIALOGO E VENTI DI LIBERTA’ 

 Ebrei, cristiani e musulmani da millenni intrecciano le loro vicende nel Mediterraneo. E’ giunto il 

tempo – come ebbe a dire Giorgio La Pira, in occasione del celebre e storico convegno “Oriente ed 

Occidente”, tenutosi a Firenze, città i cui era sindaco, dal 27 maggio al 1° giugno 1956 – di

riunificare questi tre rami della famiglia di Abramo. Non basta più evitare i conflitti, non basta;

neppure che essi si ferino ad una coesistenza muta e sterile; è necessario ormai che avanzino verso

una convivenza feconda di culture in dialogo, perché la diversità di religione e di cultura diventi

ricchezza comune. Gli eventi di questi giorni a Sud del Mediterraneo testimoniano come sulla

tolleranza, come sulla libertà, occorra vegliare. La tolleranza, come la libertà i cui venti tornano a

 soffiare impetuosi, richiede ogni giorno disponibilità al dialogo, al compromesso, alla felice

commistione, senza inutili confusioni, alla prospettiva di una più consapevole stagione di civiltà.

Un modo per ricostruire la pace e per aprire nuovi orizzonti di democrazia e di progresso insieme

ai popoli del’africa Settentrionale e del Vicino Oriente, che stanno rivivendo un periodo di

 promettente e tormentata rinascita

Pierlugi Casalino, 01.06.2011

*http://casalinopierluigi.bloog.it/