P.L. Casalino Verso La Primavera Islamica eBook
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PIERLUIGI CASALINO
VERSO LA PRIMAVERA ISLAMICA
Futurist Editions
Sommario: Prologo-Islam Prossimo Venturo-Umanesimo Arabo-Arte e Poesia in
Eurabia- Ad Futurum
Prologo: LA SECONDA RINASCITA ARABA
I moti democratici, che attraversano il mondo arabo, sono appena incominciati. Noi assistiamo a
una generale e irresistibile rinascita del mondo arabo, alla vittoria di una generazione decisa a
riprendere in mano il proprio destino. E questa moderna rinascita porta con se l`ansia delle
promesse incompiute e l`energia emancipatrice della prima rinascita, conosciuta come la Nahada,
che si aprì con la spedizione di Bonaparte in Egitto e si concluse con la seconda guerra mondiale.
Questa età liberale del pensiero arabo fu la risposta politica e intellettuale all`irruzione
occidentale, ma anche all`aggressione militare e alla sfida di civiltà. La rinascita araba, liberatasi
dell`ipoteca imperialista che aveva minato la prima Nahada, rivendica l`universalità dei valori
della rivoluzione americana, di quella francese e oggi di quella araba. Questa la posta in giocodella nuova stagione di libertà araba.
Casalino Pierluigi, 01.06.2011.
ISLAM PROSSIMO VENTURO
2011 LA RIVOLUZIONE ARABA
I discorsi sui conflitti di civiltà sono stati colti di sorpresa. L’Islamofobia agitata per nascondere le
difficoltà economiche dell’Occidente nella globalizzazione si fondava sull’idea che i paesi a
maggioranza musulmana fossero incapaci di modernizzazione, l’ideologia su cui si basava l’assetto
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ideologico del Medio Oriente era legata ad una stabilità apparente, artificiosa, incapace di concepire
le dinamiche del progresso. Chi conosce, non in superficialità, il mondo arabo, non è stato preso in
contropiede dagli eventi di questi giorni. I segnali vi erano da tempo ed erano significativi. Ibn
Khaldun, storico e sociologo arabo del XV secolo, scriveva nelle sue Muqaddima (Introduzione)
che “non c’è un popolo che non ami essere sottomesso più di quello arabo”. Si riapre la questione
dell’universalità della democrazia, già posta all’epoca della rinascita araba alla fine del XIX secolo
e soprattutto tra gli Anni Trenta e Cinquanta del XX secolo. Il crollo della natalità e la crescentealfabetizzazione hanno fatto il resto. Lo stesso fenomeno emigratorio, pur con i limiti di una ricerca
inconscia dell’appartenenza lontano dal’ambiente originario, ha rappresentato un elemento di
spinta. Paradossalmente l’esigenza del nuovo viene dalla riaffermazione di principi che la civiltà
liberale europea ebbe modo di trasmettere alle società arabe proprio nel periodo coloniale. Il
congresso panarabo di Bruxelles del 1938, convocato su iniziativa di arabi cristiani nel nome delle
idee di libertà e democrazia, restò un capitolo incompiuto. Lo spirito di libertà e di giustizia sembra
oggi tornare a soffiare. Questo è il senso dell’attuale rivoluzione araba.
Casalino Pierluigi, 9.03.2011.
ISLAM E OCCIDENTE
Mondi occidentali e mondi islamici sono sempre più in correlazione, confermando quanto queste
due realtà, pur diverse, non siano necessariamente separate. E sullo stesso diverso molte certezze
vengono meno, a causa dell’omogeneizzarsi di costumi e comportamenti. Immigrati, manager,
studenti e lavoratori circolano al ritmo delle merci sotto l’incessante impulso della modernizzazione
e della globalizzazione. Istituzioni e nazioni si scontrano. Le televisioni e gli altri media si
incontrano e si scontrano, in una simbiosi ideale, nuova frontiera, anzi ritrovata frontiera, di un
passato non meno interattivo, e certo non meno globale. Le cause della globalizzazione planetaria
odierna, peraltro, partono da lontano e presentano limiti dalle conseguenze imprevedibili, fondate su
una ricerca totalizzante del mercato planetario, che finisce per ritorcersi contro chi lo ha ispirato. Ilvolto dell’Occidente è anche il volto dell’Islam, segnato dalla progressiva snaturalizzazione. Da ciò
originano movimenti perversi che richiamano il messaggio di Spengler sul tramonto dell’Occidente.
Un mix di segnali contrari ed opposti che smentiscono la deriva della nostra Civiltà, per coinvolgere
nella dinamica imprevedibile e confusa della Storia anche chi non si riconosce
nell’Occidentalizzazione. La spinta delle rivoluzioni del Mediterraneo mischia ancora le carte e ci
trova impreparati. Sfuggono dal mazzo molte carte che sembravano decisive. L’ondata di fuggitivi
dalla Tunisia che si abbatte sulle nostre coste non trova più nemmeno una ragione autentica. E
superficiale ed improprio interpretarla nella solita chiave del bisogno. Un tam tam di voci
incontrollate può ormai determinare fughe di massa, che non si spiegano neppure con le
conseguenze dei conflitti in atto. L’Occidente non sa più essere tale, né l’Islam è più tale, se si
intende per Islam un indistinto bagaglio di valori o di sentimenti. La turbolenta congiuntura in corso
ci invita a un’inedita riflessione su dove conduca il percorso dell’uomo. Ritorna d’attualità la
lezione di Tocqueville: dove vada la Storia è compito superiore alle nostre capacità intellettive.
Casalino Pierluigi, 29.03.2011.
IRAN E EBREI
Nel 2007 il fortunato film di un regista iraniano, tra censura e coraggio, in un momento di isteria
antiebraica da parte della leadership di Teheran, ricordava gli sforzi compiuti dai diplomatici del suo
Paese in Europa per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista. Analogamente, all’indomani
dell’avvio dell’operazione “Barbarossa” da parte della Germania, Wladyslaw Sikorski, primo
ministro del governo polacco in esilio e l’ambasciatore della Russia sovietica a Londra, Ivan
Mayski (dopo una certa ambiguità nell’atteggiamento di Mosca nei confronti della popolazione
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ebraica) inserirono tra le clausole del trattato di alleanza tra le due parti anche la liberazione di
migliaia di prigionieri polacchi, in particolare ebrei) e il loro trasferimento in Iran. I mullah (clero
della confessione islamica shiita) si prodigarono nel prestare aiuto a questi disgraziati, invitando
dalle moschee i fedeli a fare altrettanto. Il clero shiita sottolineava il fatto che gli ebrei erano fratelli
degli iraniani, appartenendo alla stessa famiglia da almeno 2500 anni. Fu proprio Ciro il Grande, del
resto, a liberare gli ebrei dalla cattività babilonese e ad accoglierli in Persia. Non è infrequente
sentire dire dagli iraniani ancora oggi che gli ebrei sono parte del loro popolo. Considerazionianaloghe si colgono in Nord Africa, in Siria, in Libano, in Turchia, in Yemen e in altri paesi
musulmani, nonostante le polemiche legate alla questione palestinese.
Casalino Pierluigi, 18.04.2011.
GLI ARABI
L’indipendenza è il diritto ai problemi, un diritto di cui gli Arabi hanno generosamente fatto uso e
questo aspetto rappresenta una delle migliori opportunità del loro futuro. Del resto vedere gli Arabi
solo attraverso la dimensione mediterranea, significa sottovalutare una storia, la cui originalità si
esprime proprio nel coniugare tale realtà con le altre. Ma ancor di più non si riconoscerebbe
l’evoluzione che fa del pianeta un insieme multipolare, simile al dodecaedro con cui i saggi di
Bagdad rappresentavano il cosmo. Sbagliano i nemici degli Arabi quando affermano che essi si
fanno comprare. Spesso accade il contrario, considerata l’insistenza nel coltivare certi principi
ancestrali e perciò ineliminabili dalla loro forma mentale. Quando soprattutto dopo la Seconda
Guerra Mondiale, la delusione verso i loro leaders aumentò con il propagarsi delle idee di
democrazia che soffiavano nel mondo intero, questa congiunzione fece loro ritrovare uno dei loro
atteggiamenti tradizionali, interpretando tali sentimenti come un’autentica spinta rivoluzionaria, poi
ben presto abortita nel contesto delle tensioni della guerra fredda. Circostanza, quest’ultima, che ha
prodotto un ripiegamento degli Arabi verso i valori mai spenti di un ritorno ai fondamenti originari
della loro civiltà, rivelatisi peraltro inadeguati al desiderio di modernità e di rinnovamento checomunque pervade quelle società. Difficile dire se questa base di ragionamento sia trascendente o
positivista, se non addirittura naturalistica, al punto da aprire un conflitto tra le due anime del
pensiero arabo, come fu a suo tempo con il rivaleggiare della scuola di Averroè (Ibn Rushd) con
quella di al-Ghaza^li^. Vi è in tutto ciò il manifestarsi di un’ansia civile e morale che può portare a
cambiamenti epocali. La passione per la ragione è forte tra gli Arabi. Ad essi bisogna, dunque,
guardare come una parte di un mondo più vasto, alla difficile ricerca di un’unità. La rivoluzione che
attraversa in questi giorni l’universo arabo, con i suoi tormenti e le sue divisioni, ci invita ad una
riflessione in tal senso.
Casalino Pierluigi, 29.04.2011.
I CONFINI E LA STORIA (dopo l'11 9)
Con la nascita degli Stati nazionali, i confini diventano una categoria complessa e non scontata. Essi
possono essere intesi in senso geografico e anche in senso etnico. In tal caso presentano problemi –
e in alcuni casi drammi – di intere popolazioni collocate dove le loro origini non vorrebbero che si
trovassero o settori di esse spostati verso regioni o società diverse per tradizioni e sviluppo. Infine,
esistono dei confini di natura culturale, che si sedimentano nel tempo e che non hanno minor
rilevanza di quelli fisici, nel contesto di un mondo comunque destinato a non avere più confini. Per
questa ragione, i confini sono l’oggetto privilegiato del contenzioso internazionale, in particolare di
quello regolato attraverso le armi della politica, della diplomazia e persino della guerra. L’Europaesiste in un conflitto virtuale tra la nozione di confine fisico e di identità, alla ricerca, mai
seriamente perseguita, di una patria comune, come le stesse risorgenti contraddizioni
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particolaristiche dell’oggi dimostrano. Per gli Stati Uniti d’America l’anomala auto
rappresentazione della propria essenza e del proprio ruolo è stata posta in crisi, dopo gli eventi
dell’11 settembre 2001, con conseguenze dirette e indirette sui confini degli altri. Infine
l’Occidente, nella sua generalità, di fronte all’impetuosa ondata della globalizzazione, sta perdendo
la propria identità, non prendendo coscienza dei mutamenti in atto con le rivoluzioni di questi mesi,
che segnano il crollo del vecchio concetto di confine e la riscoperta dell’immagine mobile dei
territori che resta alla base dell’eterno percorso della Storia.
Casalino Pierluigi, 21.05.2011.
ANIMISMO NEL MAGHREB
A margine delle abituali concezioni musulmane, il mondo maghrebino conserva tutta una serie di
credenze pagane, la cui dipendenza dall’animismo, è espressamente riconosciuta. Queste credenze
rinviano a una comunità invisibile di “ginn”, esseri tenebrosi, malefici in molti casi, strani e
originalissimi, dotati di poteri superiori a quelli umani. Per neutralizzare questi spiriti o dèmoni,
occorre conquistarne la simpatia, intrattenendosi con essi in determinate ore del giorno o deltramonto, talvolta anche di notte, ricorrendo a riti di propiziazione spesso arcani e drammatici. Una
sequela di invocazioni e riferimenti, quindi, tra il sublime, il cosmico e il reale, in un crescendo di
atmosfere dalle suggestioni e dalle intensità incontenibili, in vista e in preparazione degli eventi più
importanti della vita quotidiana. Si tratta di una realtà radicata nei costumi di tutto il Mondo Arabo,
soprattutto nel Maghreb. Non è un caso che la magia sia in genere identificata dagli altri Arabi con
l’ambiente maghrebino, mentre il termine “maghribi” definisce le pratiche esoteriche in senso lato.
Casalino Pierluigi, 25.05.2011
LA SESSUALITA’ NEL MAGHREB
Gli “zagharid (trilli delle donne arabe, in particolare del Maghreb) funzionano, nelle giovani donne
maghrebine come una strategia elaborata e complessa, che mira a segnalare al gruppo compatto dei
maschi, raggruppati nella cerchia“sociale” della casa, la raggiunta maturità sessuale. Di
conseguenza, del “canto” emesso è ora da considerare non tanto l’esecuzione di una partitura
innocente e di carattere meramente estetico, quanto invece, più in profondità; il simbolo di una
potente energia, che governa un fortissimo istinto d’unione. Tuttavia, c’è qualcosa che va ad
aggiungersi al peso dei paradossi in cui sono sottoposti i tentativi di seduzione nel Maghreb, ed è il
fattoche, in permanenza, gli amanti dispongono di due coppe colme, nonostante il superamento che
evochiamo ogni volta che si tratta di seduzione, anzi di passione fatale. Qualsiasi donna che eccelle
nell’arte degli“zagharid” può influenzare l’uomo più profondamente delle altre, e circondarsi di
un’aura femminile molto inebriante. Al ritorno da qualche matrimonio fastoso, il loro nome èdivulgato, fino a che certi pensieri maschili vengono loro segretamente dedicati. Le ragazzine di
pochi anni cercano di modulare lo “zagharid”, e anche nelle adulte si ritrovano prestazioni
individuali in questo campo. Al ritorno da qualche matrimonio fastoso, il loro nome è divulgato,
fino a che certi pensieri maschili vengono loro segretamente dedicati. Le ragazzini cercano di
modulare lo “zagharid”, e anche nelle adulte si ritrovano prestazioni individuali in questo campo.
Una donna, il cui grido, modulato più perfettamente, è più stridente e prolungato, è invitata in tutte
le circostanze in cui possa farsi sentire. Gli “zagharid” provocano sugli uomini che li ascoltano
affetti erotici, sviluppandoli fino all’acme della loro sensualità. L’eccitazione è evidente alla prima
occhiata, fino ad essere in pugno delle donne. Se si dovesse fornire ulteriori argomentazioni a
favore della natura erotico-sessuale degli “zagharid”, potremo ricordare la gelosia provata del
marito nei confronti dei trilli della moglie. In un simile contesto, la donna sposata che conduce una
vita sessuale equilibrata si abbandona solo raramente a questo genere di manifestazioni dopo il
matrimonio.
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Casalino Pierluigi, 4.06.2011.
AMORE E SESSUALITA’ NEL MAGHREB: OGGI E DOMANI.
Comunque orientiamo la nostra osservazione sul fenomeno della sessualità nel Maghreb e ne
tentiamo di svelare le ragioni e le simbologie profonde, constatiamo che, di fatto, il vero e proprio
dibattito si muove intorno ad un asse che collega il vietato e il proibito al permesso e al tollerato. Nel Maghreb l’antropologia sessuale e dell’amore sarebbe solo una semplice fraseologia se non si
indicasse le condizioni emergenti della situazione reale del corpo. Il corpo è messo in scena, come
in un teatro. Si fa vedere, si adorna, si trastulla, si trucca e si strucca. Può essere malizioso o
perverso, assente, disincantato, livido e/o congestionato. Le apparenze corporali sono numerose.
Ora è un corpo della proibizione prima dell’ufficializzazione dell’unione matrimoniale delle coppie
maghrebine, ora è un corpo del puro godimento, tra simboli, posture e richiami. Tutto funziona
come se l’immagine del corpo suscitasse l’angoscia. Considerato che il corpo del partner spaventa
ed inquieta, quasi come un rito ancestrale, esso si offre in un fondamentale ermetismo. Il “velo”
educa lo sguardo maschile e lo attira su alcune zone del corpo femminile, che, all’inizio,
esaltanoraramente le aree erogene naturali. Lungi dal volerlo sopprimere, anche se tuttavia, non è
infrequente non vederlo più portato, almeno nelle città più grandi, perchè istituito e vissuto qualesenso di appartenenza, spinge molte donne ad istituzionalizzarne l’esistenza ai fini di una miglior
conoscenza dell’altro, delle sue reazioni e delle sue pulsioni, pur esagerando la dimensione
voyeuristica dell’uomo. Quindi, se, da un lato, il “velo” assume un ruolo“segregazionista”, da un
altro ha un valore di seduzione ( e sotto certi aspetti di sfida e di affermazione d’identità).
Diametralmente opposta è, invece, la funzione degli “iuu” degli zagharid”,che, inizialmente,
delineano l’approccio sessuale, invitando ad esso, finendo per circoscriverne una certa visione
privatistica da“serraglio”. In terra di Islam tutto si intreccia e si scioglie, secondo una concezione
trasversale del sacro e del teologale, in una prospettiva di sacralizzazione della sessualità. I costumi
mutano e la libertà femminile avanza inesorabilmente, ma proprio in tale direzione le donne
maghrebine rafforzano i momenti della sensualità e della ricerca della soddisfazione sessuale in un
contesto di movimento, favorito dalla nuova mentalità giuridica pubblica. La tradizionale
sostituzione“fallica” del padre con il marito e, in certi casi, anche con il partner, è accettata solo se
la donna è pervasa dal desiderio, circostanza questa, autenticamente rivoluzionaria, che tende oggi a
sprigionarsi in modo crescente dall’involucro dell’ambiguo mistero finora mantenuto per antico
costume. Tale posizione afferma la parità dei sessi e della loro dignità, quasi reinterpretando
l’atteggiamento del passato in chiave dinamica. Una svolta sociale che coniuga la volontà di essere
donna con l’aspirazione collettiva di liberazione di questa parte del mondo. Le rivoluzioni arabe,
per concludere, si colorano soprattutto di rosa.
Casalino Pierluigi, 7.06.2011.
UMANESIMO ARABO
AVICENNA
Ibn Sina^, che gli scolastici latini conobbero con il nome di Avicenna, nacque intorno al 980 a
Bukhara, dove suo padre era governatore, e si spense ad Hamadan (Persia occidentale), nel 1037, al
termine di una vita intensa, sebbene minata nella salute. Considerato il secondo pilastro del pensiero
islamico, dopo il berbero-andaluso Ibn Rushd, l’Averroè dei latini, Ibn Sina^ è stato paragonato per
la profondità e l’ampiezza della speculazione, a San Tommaso d’Aquino, anche se quest’ultimo subì
principalmente l’influenza di Averroè. Di formazione araba e persiana, Avicenna fu
intellettualmente precoce. All’età di 16 anni insegnava medicina, dopo studi condotti da autodidatta.
E fu così celebre che i sovrani abbasidi lo nominarono medico di corte. Si misurò con un certo
successo con la poesia. Nominato wizir dall’emiro buwhailide di Hamadan, compose poi più di 100
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opere filosofiche e scientifiche in lingua araba e in lingua persiana, andate in gran parte perdute. In
Occidente la sua fama di medico superò quella del filosofo. La sua opera più importante, “La
guarigione”, tuttavia, fu di natura eminentemente filosofica. In essa, Avicenna coniugò
l’aristotelismo neoplatonico all’Islam. Un Islam più aperto all’originalità delle interpretazioni
teologiche, pur nell’ortodossia, rispetto a quello di altri pensatori arabi e musulmani. La fortuna di
Avicenna è legata, peraltro, a una straordinaria e moderna analisi dell’inconscio e delle ragioni
dell’essere.
Casalino Pierluigi, 07. 04.2009
AVERROE' - IMMAGINAZIONE E CONOSCENZA
L’Immaginazione è alla radice della conoscenza. La scoperta non è di oggi, ma risale all’alba
dell’uomo. Chi pensa immagina e conosce. Chi pensa, dunque? Prima ancora che la filosofia
apprendesse le ragioni dell’Io, cioè che l’Io è il soggetto di ogni pensiero, Averroè (l’Ibn Rushd
degli Arabi), pensatore arabo andaluso del XII secolo, aveva risolto, a suo modo, questo enigma
antico ed affascinante. Una soluzione che fa testo. Non vi sono, secondo il filosofo, tante menti
quanti sono le singole persone umane, ma una sola e unica mente per tutti gli uomini che sonovissuti, che vivono e che vivranno. Ogni uomo, quindi, si congiunge con questa mente, la cui natura
è in potenza, attraverso i propri fantasmi, ciò che riesce ad immaginare. E a conoscere. Questa
mente non è che il luogo principe in cui tutte le immaginazioni umane diventano finalmente
trasparenti, comprensibili, attingibili. L’averroismo che non ha mai smesso di esercitare il suo
straordinario fascino, da S.Tommaso d’Aquino a Dante, a numerosi altri tra storici e filosofi, ma
anche di suscitare condanne aspre, forse le più violente dell’interminabile vicenda del pensiero
umano, assume un rilievo senza pari. Averroè ha elaborato la prima grande filosofia
dell’immaginazione che la modernità abbia prodotto. Una finestra aperta sulla reale conoscenza.
Casalino Pierluigi, 14.04.2009
AVERROISMO
L’averroismo (detto anche aristotelismo radicale), sviluppatosi nel XIII secolo, è la tendenza del
pensiero filosofico a interpretare i testi di Aristotele sulla base del celebre Commento di Averroè
(Ibn Rushd), accettando esplicitamente alcune conclusioni che appaiono in contrasto con la teologia
cristiana, come, ad esempio: il principio dell’eternità del mondo, tesi che risultava contraria al
dogma della creazione; la concezione dell’intelletto possibile, ritenuto unico per tutti gli uomini, e
quindi della mortalità dell’anima individuale; l’affermazione che solo la ragione può condurre alla
vera conoscenza; l’autonomia della ragione può condurre alla vera conoscenza; l’autonomia della
ragione, di per se sufficiente ad operare il bene e a praticare le virtù speculative e pratiche, nel cui
esercizio si realizza l’unica felicità possibile e realizzabile per l’uomo. Tutto ciò portò a quella chein seguito sarà chiamata la “teoria della doppia verità”, in base a cui l’ambito della ragione veniva
superato da quello della fede (una stessa proporzione poteva essere contemporaneamente ritenuta
falsa dal punto di vista della fede e vera dal punto di vista della ragione). Iniziatori di tale indirizzo
di pensiero (intorno al 1270 venne definito averroismo latino) furono soprattutto Sigieri di Brabante
e Boezio di dacia. Le dispute e le confutazioni intorno a questa corrente filosofica promosse dai
maestri francescani e domenicani non impedirono la diffusione delle tesi averroista, che
cominciarono a suscitare vive preoccupazioni presso le autorità ecclesiastiche. Dopo un primo
ammonimento di Papa Giovanni XXI ( il portoghese di nascita Pietro Ispano), il 7 marzo 1277 il
vescovo di Parigi Stefano Tempier condannò ufficialmente 219 proporzioni (molte delle quali non
tutte di provenienza averroista) anche questa condanna, tuttavia, non fu in grado comunque di
impedire la circolazione delle tesi averroiste nelle scuole, insieme ai commenti di Averroè (Ibn
Rushd) e agli scritti dei principali esponenti di tale filosofia, il più importante dei quali fu appunto
Sigieri di Brabante, che lo stesso Dante (che inclina anch’egli all’averroismo) pone in Paradiso, tra
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gli spiriti sapienti del cielo del Sole (Par. X, 136-138). In un certo senso anche figure della
scolastica quali Sant’Alberto Magno e lo stesso San Tommaso d’Aquino non furono immuni
dall’influenza del pensiero del filosofo arabo andaluso. Le considerazioni sull’importanza della
ragione, quale criterio di misura della verità resta, peraltro, uno dei temi più rilevanti del lascito
culturale di Averroè (Ibn Rushd). Un motivo ancora attuale di riflessione per gli intellettuali del
nostro tempo.
Casalino Pierluigi, 12.04.2011.
EUROPA E ISLAM: UNITA’ CULTURALE DEL MEDITERRANEO NEL MEDIOEVO
Quando si parla del’unità culturale del Mediterraneo si deve tenere conto di una serie di scambi tra
Oriente e Occidente, che si estende a tutti i rami della conoscenza. E così anche nel campo, per tanti
motivi, delicato dell’escatologia, delle credenze circa la vita ultraterrena, si può attingere ad
un’ampia documentazione dell’interesse con cui in Occidente si sono ricercate ed accolte notizie
della tradizione musulmana sul destino dell’anima umana nell’oltretomba. Tra i vari filoni
disponibili nel patrimonio dell’Europa Cristiana riscontriamo una tendenza, forse più limitata, ma
non meno rilevante: quella che si riferisce indirettamente (o direttamente) al Corano e seguel’interpretazione letterale dei gaudi del Paradiso e delle pene infernali, quali risultano per i
Musulmani dal loro libro sacro. Una seconda tendenza, certo più elaborata e meglio informata,
segue invece la visione di Maometto e quindi è rappresentata prima da parziali tradizioni e
successivamente, dal tempo di Alfonso il Savio in poi, dal “Libro della Scala” nelle sue varie
traduzioni e riassunti. Una terza tendenza che inizia appunto nel Duecento con Guglielmo di
alvernia(nel De Legibus), con i grandi Catalani (Ramòn Marti, Raimondo Lullo e altri) e con la
Scuola di Oxford (Tommaso di York e Ruggero Bacone), contrapponendo la filosofia di Avicenna
(Ibn Sina^) alla stretta ortodossia musulmana, attribuisce alle narrazioni islamiche dei gradi
paradisiaci e le pene infernali un valore puramente allegorico. Ma questa interpretazione, ritenuta
avicenniana, venne poi condannata, nelle conseguenze che se ne volevano trarre nelle dispute
teologiche entro il Cristianesimo, dal famoso decreto di Stefano Tempier, Vescovo di Parigi, del1227; al punto che più tardi alla fine del Duecento, Richard of Middleton confutava
l’interpretazione avicenniana nel suo insegnamento filosofico. E’quindi possibile che, in tanto
affluire di notizie sull’escatologia musulmana in varietà di gradi culturali ed in tanto discutere e
disputarne, il solo Dante sia rimasto fuori da queste correnti culturali della sua epoca? Cerulli e la
Corti lo hanno escluso, rompendo una cortina di scetticismo da parte di molti studiosi di
orientalistica o di dantisti. Occorre a questo punto ricordare la scoperta, piuttosto recente, del
“Viaggio dell’anima”,un opuscolo latino di essenziale valore storico che, ispirandosi alla filosofia di
Avicenna (Ibn Sina^), descrive l’itinerario dell’anima umana verso la salvezza, attraverso i vari cieli
e le varie “miseriae” infernali. Una sorta di percorso simile ad analoghe opere occidentali. Essa
rappresenta già, nell’Europa Medioevale, una visione puramente filosofica, pur non mancando di
elementi spirituali, di un viaggio nei regni dell’oltretomba verso il Supremo Bene. E le sue
connessioni con il mondo arabo non sono dubbie.
Casalino Pierluigi, 18.04.2011.
L'ARCHETIPO MULTIETNICO DEL PARADISO
Il paradiso come termine di un destino senza tempo e senza spazio è una costante
nell’immaginazione umana. Un immaginario codificato dalla fantasia, dall’ansia di infinito e dal
desiderio di trovare o di ritrovare un angolo di universo dove l’effimero si sposa con l’eterno, e nel
quale ci si inoltra, attraverso un arcano percorso della mente e dell’anima, dell’arte inventiva e del
sogno. Religioni, rivoluzioni, fideismi e utopie ci hanno da sempre proposto l’idea di un viaggio
segreto verso una sorte ignota e misteriosa, che si apre su una geografia immaginata, dagli incerti
contorni, dai confini sfuggenti, come le dune del deserto mosse dal vento, oltre i limiti della
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ragione. Una follia a cui non posiamo rinunciare. Quella follia che Erasmo da Rotterdam e
Montaigne esaltavano come aspirazione ineliminabile dall’animo dell’uomo. E nulla è più vero di
questa nostra follia, nulla è più vero di ciò che immaginiamo. E’ così che inventiamo il nostro
futuro.
Casalino Pierluigi, 26.04.2011.
ARTE E POESIA IN EURABIA
LO SPIRITO DEL NILO: UNGARETTI E L’EGITTO
Giuseppe Ungaretti, giornalista e poeta, nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1988 e si spegne a
Milano nel 1970. Di origini lucchesi, è uno dei più grandi intellettuali italiani del XX secolo.
Parlando di se dice:”la mia educazione fu francese, la mia lingua italiana; in fondo l’Egitto mi ha
lasciato soprattutto il senso dello spazio, dell’infinito, del deserto” Vive a lungo a Parigi, a contatto
con la più vivida civiltà poetica europea (Apollinaire, Claudet, Gide, Valeri, Picasso), studia alla
Sorbona; quindi partecipa alla prima guerra mondiale in Italia (Carso) e in Francia (Champagne), e,al termine, del conflitto, a tutti i movimenti letterari in Italia, in particolare all’ermetismo. Dopo
numerose esperienze all’estero, Ungaretti torna in Italia nel 1942. La sua opera, intrisa
d’avanguardia, interpreta da un lato un’inedita cultura nomade, quasi gitana, e dall’altro una
“vague” impressionista singolarissima,esprimendo qualche legame con la lirica leopardiana.
Pervaso da un acuto senso della pausa e del silenzio, Ungaretti manifesta la sua emotività stupita,
attraverso sensazioni intense che emergono dalle nascoste radici dell’essere e che rappresentano
tutta la sua anima di “poète maudit”, alla ricerca di un misterioso riscatto. Una poesia, quella di
Ungaretti, che mira all’essenziale, scavata nell’anima, a penetrare nelle linee maestre delle cose. Ed
è proprio quest’arte, tra simbolismo e postsimbolismo francese, non legata a versi, rime e metriche,
ma libera, spezzata, generata da un continuo colloquio con se stesso, che fa di Ungaretti il
protagonista di un’autentica rivoluzione espressiva. Una rivoluzione che risente certamente di unachiara influenza futurista. Come non è estranea all’apertura intellettuale e allo slancio avveniristico
del giovane poeta l’irripetibile stagione egiziana. L’Egitto è allora un ambiente “internazionale e
cosmopolita”, ricca di elevata seduzione creativa. Ma l’Egitto influenza questo figlio di Alessandria
per il suo paesaggio, per “quell’ottica del deserto” (Ungaretti la chiamerà “miraggio” nei suoi
versi), in cui, specie di notte, entrano i silenzi del deserto, le grida sparse di animali, i latrati dei
cani. Il deserto sconfinato e simile al “niente”, ogni creatura, dall’animale all’albero, all’oasi,
all’uomo, si staglia in una luce speciale che lo enuclea dal contesto intorno. Di qui l’essenzialità
dell’invenzione ungarettiana che ben si coniuga con l’Alessandria nativa, mare e sabbia, in un
vortice di divenire in cui tutto finisce e rinasce. Nello scenario di un paese, l’Egitto a cavallo del
XIX e del XX secolo, che vive in un’atmosfera già per vocazione, orientata all’avanguardia. Lo
spirito del Nilo, uno dei fiumi del poeta, continuerà a soffiare nella sua arte fino al suo ultimo
giorno.
Casalino Pierluigi, 9.02.2011.
LA SUPERDONNA FUTURISTA
Valentine de Saint-Point (1875-1953) fu personaggio originalissimo. Provocatrice, avanguardista e
femminista, ma anche il suo contrario, Valentine sfuggiva a ogni definizione, in costante confronto
con esperienze diverse e burrascose, che finivano per lasciarla insoddisfatta. Nipote del poetaLamartine, Valentine si sforzava di apparire un angelo decaduto. Bella e seducente, passò da un
matrimonio precoce e traumatizzante con uno squilibrato ad altra unione, non meno desolante, con
una persona giudicata troppo normale: l’insignificante uomo politico Charles Dumont. Dietro
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l’immagine aggressiva da virago trasgressiva e insaziabile, tuttavia, si celava una grande bontà
d’animo. Non interessata al successo, avida di sensazioni forti e dissacranti, Valentine godeva nel
concedersi o nel negarsi, incendiando gli animi, posando anche come modella, per un pittore,
probabilmente suo amante. Maliarda, amante della vita audace e dissipata, in cerca di sentimenti
tenebrosi e perversi, appassionata di aviazione e di scherma, non amava gli uomini e non era amata
dalle donne. L’incontro con Marinetti, il fondatore del Futurismo, nel 1909, cambiò la sua vita.
Divenne amante e allieva del vate modernista, convertendosi lei stessa alla religione del movimentoe dello slancio vitalistico. La relazione tra i due fu travolgente e comunque difficile e tormentata.
Inneggiando al Futurismo, Valentine lanciò nel 1912 il Manifesto della donna futurista e l’anno
dopo l’ancor più scandaloso manifesto della lussuria. Ebbra di sensualità e di idee forti, carnali,
odiava la massa e prediligeva le élites. La spregiudicata ondata futurista avrebbe, secondo
Valentine, aperto la via dell’emancipazione femminile. E l’erotismo ne sarebbe stata la condizione
essenziale di evoluzione. In questo quadro, la donna avrebbe ritrovato la propria natura istintiva e
dominatrice. Il contrasto con la misoginia di Martinetti, tuttavia, esplose con tutta la sua evidenza,
quando Valentine con un clamoroso voltafaccia si unì alle manifestazioni delle “suffraggette”
inglesi. Convinta, al pari di Nietzsche, che il mondo non si divida tra uomini e donne, ma tra forti e
deboli, si allontanò dal Futurismo, senza però rinnegarne il carattere e l’impostazione
rivoluzionaria. Creò, poi, un nuovo tipo di danza, la Métachorie, ispirandola a concetti astratti,decisamente moderni. L’influenza futurista non venne meno anche in quel caso, riconducendone
l’esperienza a un’autentica pantomima, simbolo e richiamo della musica. Nel solco del Futurismo,
Valentine sognava il sincretismo delle arti e dell’intelligenza. Ritiratasi in Corsica, lavorò al
progetto di un centro internazionale di cultura, segnato dalla sua stessa eccentricità e del suo stile di
vita. Si trasferì in Egitto, dove abbracciò l’Islam. Entrò a far parte del circolo esoterico di Guénon,
assumendo un nome della tradizione musulmana: Nour el Dine. Nome che conserverà fino alla
morte, avvenuta nell’oblio generale e nella solitudine.
Casalino Pierluigi, 13.03.2009.
AVANGUARDIA A DUBAI...
La nascita della modernità è stata celebrata a Dubai dal 16 al 19 marzo 2011, con un viaggio a
ritroso nel futuro dell’arte sperimentale, recuperando il senso della creatività soprattutto nel campo
della gioielleria. L’occasione è venuta dalla V Edizione della Fiera dell’Arte Contemporanea
Internazionale tenutasi negli Emirati Arabi Uniti. Al centro di tale evento senza precedenti “Les
voyages extraordinaires” di Van Cleef & Arpels, ispirato alle opere di Jules Verne, di cui incarna
l’ansia futurista.
Casalino Pierluigi, 21.03.2011.
UNA FONTE ARABA DELLA DIVINA COMMEDIA
Non tutte le“fonti” della Divina Commedia hanno uguale rilievo e incidenza sulla formazione della
massima opera dantesca. Si dovrà, infatti, distinguere, caso per caso, tra una generica assunzione di
notizie derivanti dalla cultura del tempo e di cui Dante potrebbe aver ignorato la fonte primaria. Un
rilievo nuovo, tra le “fonti” è andato assumendo nell’ultimo secolo l’eredità culturale araba, già
esaminata come utile punto di riferimento da molti studiosi. Del 1919 è la pubblicazione di un
importanetlibro di un arabista spagnolo, Miguel Asìn Palacios, “La escatologìa musulmana en la
divina Comedia”,in cui, attraverso una vasta e meticolosa indagine condotta in seno alla letteratura
mistica ed escatologica islamica del Medioevo, filtrata in Occidente, tramite traduzioni latineeseguite in spagna, si indicavano numerose corrispondenze possibili tra quei testi e la stessa
Commedia. Sulla stella linea, un trentennio più tardi, si mosse l’orientalista italiano Enrico Cerulli,
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che individuò una probabile e specifica“fonte” nel “Liber Scalae” di Maometto – racconto del
viaggio del Profeta del’Islam in paradiso e all’inferno, su per la scala di Giacobbe – in cui Cerulli
ritenne di riconoscere molti e particolari riscontri del Poema sacro. L’accoglienza della “dantistica”
ufficiale, almeno nel nostro Paese, com’è noto, fu generalmente negativa, se non polemica, e, solo
nei tempi recenti, c’è stato un risveglio di interesse per questo filone di ricerca, che ha portato alla
prima traduzione italiana del libro di AsìnPalacios e auna serie di studi importantissimi, indirizzati
in quella direzione, di Maria Corti. Ed è proprio la scomparsa autrice italiana in suo celebreintervento sul tema“La Divina Commedia e la cultura araba”, ha indicato finalmente il “Libro della
Scala”(“Liber Scalae”) come “fonte primaria”dell’elaborazione dantesca della scenografia
dell’inferno ( vedi leMalebolge), con ripresa puntuale di immagini, situazioni, modalità di ene per i
peccatori, mentre meno frequenti e calzanti risultano le riprese nel Paradiso, considerate le
differenze del paradiso islamico rispetto a quello cristiano.
Casalino Pierluigi, 23.03.2011.
DANTE E L’ISLAM: ANCORA UN CONFRONTO.
La cultura islamica è diffusa nell’Europa Medievale, come testimoniato anche nella Divina
Commedia. La civiltà europea nasce sicuramente dall’incontro tra il Cristianesimo e il lascito ideale
greco-romano, ma è, parimenti, pervasa dal pensiero arabo ed ebraico. Nell’epoca di Dante i
rapporti tra il mondo cristiano e quello islamico sono assai stretti, nonostante i conflitti in corso. Nel
XII secolo due figure rappresentano questo intreccio di civiltà: Federico II di Svevia, con la sua
corte modellata su quelle arabe, e Alfonso X il savio di Castiglia. Lo stesso dante cita molti spiriti di
formazione musulmana, dallo stesso Maometto, per condannarlo, tuttavia, all’Inferno come ereticoe
scissionista, a saladino, di cui tesse gli elogi per la sua umanità e magnanimità, ad Avicenna (Ibn
Sina^), ad Averroè (Ibn Rushd), a Brunetto Latini, che conobbe il Liber Scalae, a Pietro Ispano ad
altri, che ebbero con l’Islam familiarità. Le analogie tra la Commedia dantesca e il Viaggio
Notturno del Profeta Maometto sono, dunque, impressionanti e sono messe in luce dallo spagnolo
Asìn Palacios e dall’italiana Maria Corti: Dante e Maometto narrano in prima persona il loroviaggio ultramondano, entrambi sono accompagnati da una guida e fermati da tre fiere. Le stesse
architetture dei due transiti nell’oltretomba presentano forti somiglianze, così come le categorie
delle pene per i dannati nell’Inferno. Egualmente il senso delle figure del gallo (in Maometto) e
del’aquila (in Dante). La Scala, che in Dante assume un rilievo fisico e simbolico, è essenziale nei
testi musulmani. L’elemento della luce, centrale nel Paradiso dantesco, ricorda gli studi dei filosofi
arabi sulla dimensione metafisica della luce, in particolare in Avicenna (Ibn Sina^. Nei rapporti tra
Dante e l’Islam non vanno certo viste ragioni di subalternità del Sommo Poeta al mondo
musulmano. La corrispondenza e le analogie della Divina Commedia con il Liber Scalae (cioè Il
Viaggio Notturno di Maometto) si spiegano, invece, con la capacità di trasmissione culturale di cui
l’Islam si fece portatore in Occidente. Per concludere, infine, la Divina Commedia senza la teoria di
Avicenna (Ibn Sina^) dell’individuazione delle anime dopo la morte, grazie a una sottile materiaspiriutuale. Il giovane Dante averroista (ispirato originariamente dall’averroismo latino di Sigieri di
Brabante) avrebbe avuto difficoltà, infatti, a presentare delle individualità sciolte da un corpo,
fossero Farinata degli Uberti o la stessa Beatrice, senza l’influenza di Avicenna (Ibn Sina^).
Casalino Pierluigi, 6.04.2011.
POESIA E' DONNA
La lirica è il genere letterario più importante del mondo arabo, una dimensione culturale e spirituale
che si esprime in una lingua dal lessico infinito e dalle straordinarie potenzialità fonetiche, ricco di
sfumature e di musicalità. La poesia araba nasce in epoca preislamica e risente dei suoni, dei
sussurri e delle sensuali atmosfere del deserto. Segue regole, ritmi e metri codificati e immutabili, per subire una rivoluzione di stile dagli anni Quaranta del XX secolo, grazie all’irachena Nazik al-
Malaika, che per prima infranse molti tabù. Al tentativo di ricerca di libertà e al desiderio di
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rompere con il passato si sono unite da allora numerose voci poetiche dell’anima araba. Le più
significative di esse appartengono a donne, che cantano nei loro versi temi attuali ed eterni, dove
l’amore assume un ruolo di una divinità, il corpo. Si tratta di rincorrersi di emozioni e di fantasie,
che fa dire ad Hamda Khamis, originaria del Baharain: “Ogni corpo è un essere vivente, ogni poesia
è femmina”.
Casalino Pierluigi, 11.04.2011.
L’ARTE CALLIGRAFICA ARABA
La cultura araba si distingue dalle sue origini per la ricchezza delle sue manifestazioni formali.
Anche nella lingua quotidiana un semplice buon giorno diventa un augurio di pace, a cui si
risponde, invocando la misericordia e la benedizione di Dio, mentre alla presenza di una bella
donna si dice che“i raggi del sole brillano più intensamente” questa forma di cordialità un po’
ampollosa nella sua eleganza ha nutrito anche l’arte della calligrafia, che esalta le capacità estetiche
ed espressive della scrittura araba, già in se unica nel suo genere per la bellezza e per la graziaarchitettonica dei suoi motivi. La calligrafia, in particolare, prende a prestito motti morali, proverbi,
formepoetiche, detti celebri del Profeta dell’Islam, Maometto, o simbologie della tradizione
popolare musulmana, da quelle relative a Buraq, il cavallo alato che trasportò il Profeta in Paradiso,
secondo il racconto sacro, a quelle celebrate nella liturgia shiita, ad altre allegorie della fede
islamica. Molti di questi temi vengono raffigurati in stupende stampe, oggetto di culto e ricche di
un’inventiva straordinaria. Non bisogna dimenticare che per i musulmani il testo sacro è sempre una
derivazione della divinità: è lo stesso dio che si fa carta e scrittura. L’arte calligrafica islamica antica
e contemporanea rivivono oggi una stagione di eccezionale creatività e suggestione cromatica, oltre
che di espressionismo astratto, non lontano dai richiami dei modelli di altre culture.
Casalino Pierluigi, 19.04.2011.
Ad Futurum
DIALOGO E VENTI DI LIBERTA’
Ebrei, cristiani e musulmani da millenni intrecciano le loro vicende nel Mediterraneo. E’ giunto il
tempo – come ebbe a dire Giorgio La Pira, in occasione del celebre e storico convegno “Oriente ed
Occidente”, tenutosi a Firenze, città i cui era sindaco, dal 27 maggio al 1° giugno 1956 – di
riunificare questi tre rami della famiglia di Abramo. Non basta più evitare i conflitti, non basta;
neppure che essi si ferino ad una coesistenza muta e sterile; è necessario ormai che avanzino verso
una convivenza feconda di culture in dialogo, perché la diversità di religione e di cultura diventi
ricchezza comune. Gli eventi di questi giorni a Sud del Mediterraneo testimoniano come sulla
tolleranza, come sulla libertà, occorra vegliare. La tolleranza, come la libertà i cui venti tornano a
soffiare impetuosi, richiede ogni giorno disponibilità al dialogo, al compromesso, alla felice
commistione, senza inutili confusioni, alla prospettiva di una più consapevole stagione di civiltà.
Un modo per ricostruire la pace e per aprire nuovi orizzonti di democrazia e di progresso insieme
ai popoli del’africa Settentrionale e del Vicino Oriente, che stanno rivivendo un periodo di
promettente e tormentata rinascita
Pierlugi Casalino, 01.06.2011
*http://casalinopierluigi.bloog.it/