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PK 32/1 ...in tasca ...in tasca Il tema di pedagogia... Tecniche di stesura Temi svolti con percorso compositivo ragionato Tracce ufficiali degli Esami di Stato degli ultimi anni Il tema di pedagogia... PER LA PROVA SCRITTA DI PEDAGOGIA DELL’ESAME DI STATO EDIZIONI E IMON S Gruppo Editoriale Esselibri - Simone Estratto della pubblicazione

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Tecniche di stesuraTemi svolti con percorso compositivoragionatoTracce ufficiali degli Esami di Statodegli ultimi anni

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PER LA PROVA SCRITTADI PEDAGOGIA DELL’ESAME DI STATO

EDIZIONIEIMONSGruppo Editoriale Esselibri - Simone

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Prima edizione: aprile 2011PK32/1ISBN 978-88-244-5948-8

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Questo volume è stato stampato pressoOfficina Grafica IrideVia Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)

Si ringrazia il prof. Gian Mario Quinto per i materiali forniti.

Per informazioni, suggerimenti, proposte: [email protected]

Grafica e copertina: Gianfranco De Angelis

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Presentazione

Questo volume propone un’ampia scelta di temi svolti per il supera-mento della seconda prova scritta di pedagogia dell’esame di maturità.

I componimenti, le cui tracce ricalcano la struttura di quelle ufficiali, consentono al candidato un ripasso del programma e, al tempo stesso, un utile esercizio di rielaborazione in forma scritta degli argomenti affrontati nel corso dell’anno scolastico.

In apertura del volumetto, lo studente troverà una breve ma in-dispensabile guida alla stesura del tema, una tipologia di scrittura che richiede alcune indispensabili abilità per il buon esito della prova.

Il testo si articola in due sezioni:

• la Parte prima è dedicata alla storia del pensiero pedagogico e tratta i principali autori e le teorie che hanno segnato il percorso dell’educazione occidentale e che, pertanto, possono costituire oggetto di esame: l’approccio romantico di Fröbel; la pedagogia scientifica di Herbart e Spencer; il positivismo; il comportamentismo di Skinner; le teorie psicosociali e dello sviluppo cognitivo; le neuroscienze; Bruner, Piaget, Vygotskij; i tipi di intelligenza postulati da Gardner; le scuole nuove e l’attivismo; John Dewey; il metodo Montessori; la pedagogia nel regime fascista con Giovanni Gentile; don Milani e la questione sociale; i contributi della psicoanalisi con Winnicott, Spitz ed Erikson;

• la Parte seconda approfondisce le più importanti tematiche delle scienze educative contemporanee: la scuola tra multicultura e intercultura; didattica e social media; ruolo e funzioni educative di famiglia, scuola, gruppo dei pari; il gioco come attività formativa; le professioni educative; modelli e prospettive della pedagogia oggi.

Lo svolgimento dei temi si sviluppa seguendo i diversi punti indicati dalla traccia, così come previsto dalle prove ufficiali, in modo da abi-tuare il candidato a rispettare un percorso guidato ed evitare rischiose e inutili divagazioni.

Chiude il volume un’Appendice che propone le tracce dei temi di pedagogia degli Esami di Stato degli ultimi anni.

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INTRODUZIONEIl tema di pedagogia

1. La seconda prova scritta dell’Esame di Stato

Il tema di pedagogia come seconda prova dell’esame di maturità richiede, per la preparazione teorica e la capacità di sintesi, un impe-gno particolare.

Il candidato è tenuto a svolgere, a sua scelta, due temi tra i quattro proposti dalla commissione.

Si tratta di una prova in cui si chiede di sviluppare una traccia ar-ticolata, in genere, su una citazione d’autore, seguita da tre o quattro «punti di riflessione» che fungono da scaletta per il candidato.

In alcuni casi non è presente il brano, ma le «questioni» su cui riflet-tere sono sempre fornite dalla traccia. È importante che la trattazione sia organica, lineare, rispondente alla traccia e della giusta dimensione (il cui limite è indicato in sede d’esame) e che al suo interno forma, contenuti e proporzioni contribuiscano a determinare il raggiungimento di un esito soddisfacente.

Viene proposta, di seguito, una sintetica guida alla stesura del tema particolarmente utile per raggiungere un buon risultato in sede d’esame.

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2. Indicazioni per il corretto svolgimento dell’elaborato

Il tema è una modalità di scrittura di uso prettamente scolastico. La scuola superiore avvia gli studenti alla composizione di temi di tipo espositivo (per verificarne le conoscenze in merito a specifici argomenti relativi ai programmi svolti) o argomentativo (per valutarne le capa-cità critiche). In entrambi i casi, si richiede di dimostrare il possesso di adeguate competenze linguistiche e la capacità di organizzare un testo. Com’è noto, il termine «tema» sta a designare sia l’argomento di composizione proposto sia la trattazione che, di tale argomento, si svolge. Il requisito richiesto però non cambia, e consiste nel rispetto delle coordinate fissate dalla traccia, senza inutili divagazioni e tenendo sempre ben saldo il «filo del discorso».

L’elaborato consiste in un enunciato di lunghezza variabile conte-nente idee organizzate che riguardano un argomento dato. L’elemento costitutivo della prova è rappresentato dalla traccia, che fornisce allo studente istruzioni e coordinate sul lavoro da svolgere. La traccia cam-bia, nella sua struttura, sulla base di numerose variabili: la disciplina su cui verte la trattazione (storia, letteratura, attualità, pedagogia, etc.) e la tipologia stessa di tema (traccia aperta, traccia strutturata, riflessione su una citazione, etc.).

A prescindere dal tipo di tema che ci si accinge a svolgere, è di fondamentale importanza leggere attentamente e comprendere chia-ramente la traccia prima di ogni altra fase della prova. Essa è, infatti, la chiave per il buon esito della prova stessa. La comprensione della traccia e la sua corretta interpretazione mette al riparo dal rischio di dar vita ad un elaborato che, seppur ricco di contenuti e accurato nell’esposizione, non raggiunge un livello di sufficienza perché non risponde alla domanda posta dalla prova.

È possibile individuare due macrocategorie di traccia: analitica e sintetica. La prima consiste in un enunciato di una certa lunghezza nel quale è contenuto l’intero percorso logico del tema, e in cui è possibile individuare tutte le idee e le correlazioni che lo studente è tenuto a sviluppare. La seconda è, in genere, più breve e si limita ad offrire una sommaria indicazione dell’argomento che il candidato deve

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trattare. Questo secondo tipo di traccia presenta un livello di difficoltà superiore proprio perché lascia ampia libertà allo studente, che si trova a dover delimitare il campo delle idee e degli argomenti e a definire l’intera struttura dell’elaborato.

Il secondo passo da compiere è quello di raccolta e organizzazione delle idee e pianificazione dei tempi, cui segue la stesura della «sca-letta» o schema da seguire nella fase di scrittura vera e propria. Nel caso del tema di pedagogia della seconda prova, questo passaggio va sostituito con la lettura e la comprensione delle «questioni» poste dalla traccia stessa che sostituiscono la scaletta. Lo schema è uno strumento importante che, se costruito correttamente, consente di dar vita ad un elaborato proporzionato, organico e omogeneo. La «scaletta» serve a non perdere mai di vista il filo complessivo della trattazione; aiuta ad esporre gli argomenti nel giusto ordine e consente di verificare conti-nuamente lo stato del lavoro.

Nella fase della stesura vera e propria, è importante tendere alla chiarezza, prediligendo i periodi brevi e non eccessivamente complessi. Se lo schema di partenza prevede l’esposizione di considerazioni per-sonali, è bene stare attenti a non ridurre l’intera trattazione, o la gran parte di essa, ad opinioni non argomentate e a non lasciarsi trascinare dalle proprie idee perdendo di vista le richieste della traccia. La stesura deve occupare una buona parte del tempo previsto per la prova ma è importante che si interrompa almeno mezz’ora prima della fine, per avere il tempo necessario per rileggere l’elaborato e correggere eventua-li errori grammaticali, sintattici, imprecisioni, squilibri o contraddizioni presenti nella trattazione.

Le caratteristiche di un buon tema possono essere così sintetizzate:

• esposizione logica e corretta. Le affermazioni, le premesse, le con-clusioni esposte devono avere chiari legami logici. La punteggiatura deve rendere agevole la lettura e chiara la struttura delle frasi;

• coerenza del pensiero. Lo sviluppo dei concetti esposti deve essere il più possibile graduale. Non si ammettono salti logici o afferma-zioni non legate al contesto. Tutti gli elementi del discorso devono essere intimamente collegati fra loro. È importante dare al tema un senso globale di unità;

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• organizzazione delle proprie conoscenze. Il candidato deve dare prova di aver assimilato e rielaborato le conoscenze acquisite in maniera personale e di essere in grado di riesporle in forma siste-matica e originale, secondo le proprie caratteristiche di pensiero e di scrittura;

• informazioni precise e approfondite. È di fondamentale importanza tendere a dimostrare di possedere informazioni desunte da fonti precise e attendibili;

• è bene evitare: la ripetizione meccanica di pagine di manuali o trattati; di voler esporre tutto quanto si conosce e si è studiato sull’ar-gomento (anche la capacità di selezione critica e quella di sintesi sono qualità fondamentali che saranno prese in considerazione in sede di valutazione); di abbandonarsi a divagazioni, interruzioni, inutili riprese e soprattutto noiose ripetizioni.

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PARTE PRIMAStoria del pensiero pedagogico

1. Burrhus Skinner e le «tecnologie didattiche»

«La legge dell’effetto è stata presa sul serio: abbiamo acquisito la certezza che gli effetti si manifestano veramente e che si manifestano in condizioni che rappresentano l’optimum per ottenere quei mutamenti che chiamiamo apprendimento».

B. SKINNER, La tecnologia dell’insegnamento, 1970

Il candidato inquadri le teorie di Skinner nel contesto storico e sociale del XX secolo, mettendo in evidenza:• il primo esempio di ricerca psicologica ispirata ai metodi scientifici di Alfred Binet;• l’approccio della corrente comportamentista di Skinner e la nascita della

tecnologia didattica;• il concetto di «istruzione programmata».

La psicologia scientifica e il metodo sperimentale cominciano ad avere, fin dalla prima metà del XX secolo, una forte influenza sugli orientamenti educativi e scolastici. La psicologia scientifica controlla la validità delle sue affermazioni per mezzo della rilevazione di dati empirici, cioè cerca riscontri nella realtà di fenomeni osservabili. Un primo esempio di ricerca psicologica ispirata a metodi scientifici e rivolta ai problemi educativi è da attribuire ad Alfred Binet. All’inizio del Novecento, su mandato del governo francese, egli elaborò i primi test di intelligenza atti a diagnosticare i punti deboli e di forza degli allievi, al fine di intervenire in maniera più puntuale ed efficace nella loro formazione. Per misurare il ritardo mentale, ad esempio, Binet utilizzava la semplice differenza tra l’età mentale del bambino e la sua età cronologica. Tale sistema era però poco pratico, perché non ren-deva bene l’idea dell’entità del ritardo. Infatti, un ritardo di due anni a un’età di cinque anni, indicava un limite intellettivo molto serio, mentre le stesso ritardo conteggiato, ad esempio, in un ragazzo di quattordici anni, rappresentava uno svantaggio molto più lieve.

«La legge dell’effetto è stata presa sul serio: abbiamo acquisito la certezzache gli effetti si manifestano veramente e che si manifestano in condizioni che rappresentano l’optimum per ottenere quei mutamenti che chiamiamo apprendimento».

B. SKINNER, La tecnologia dell’insegnamento, 1970

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Tale particolare attenzione nei riguardi del comportamento umano, ovvero degli aspetti dell’agire più facilmente osservabili e registrabili, ha caratterizzato la corrente «comportamentista» di Skinner.

Riguardo alla tecnologia didattica, il comportamentismo di Skinner aveva trovato la sua espressione più compiuta nel mastery learning, nel senso che i contenuti della disciplina venivano scomposti in sequenze (unità didattiche) che prevedevano con precisione metodi, mezzi, obiettivi e strumenti di verifica dell’apprendimento. Procedimenti di feedback, dunque, che promuovevano azioni di rinforzo e integrazione qualora gli obiettivi relativi non fossero stati raggiunti. Con tale metodo innovativo l’insegnamento risultava fortemente individualizzato.

La realizzazione della sua «istruzione programmata» si basa su alcuni step fondamentali. Ognuno di essi si articola in tre punti: la presentazione di una nuova conoscenza o di una nuova abilità; uno stimolo che solleciti una risposta che evidenzi se tale conoscenza o tale abilità sia stata acquisita; un rinforzo positivo, se la risposta può essere considerata valida.

In primo luogo bisogna individuare l’obiettivo da raggiungere in termini di comportamento osservabile e misurabile. In un momento successivo è possibile sottoporre l’allievo al percorso di step elemen-tari che lo porteranno progressivamente dal livello di conoscenza già acquisito all’obiettivo prefissato. Una condizione importante è data dalla relazione esistente tra il comportamento e le sue conseguenze. L’apprendimento ha luogo quando il comportamento viene «rinforzato». Elaborando le cosiddette contingenze di rinforzo è possibile provocare delle notevoli modifiche nel comportamento: nelle discussioni dell’in-segnante con i suoi studenti, ad esempio, nei libri che egli dà loro da leggere, nelle tabelle e nell’altro materiale che mostra, nelle domande che pone e nelle contingenze. L’analisi sperimentale chiarisce queste contingenze e suggerisce numerosi interventi finalizzati al consegui-mento di progressi nel processo di apprendimento.

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2. John Dewey e la didattica laboratoriale

«Là dove i giovani agiscono socialmente, essi devono riferire il loro modo di agire a ciò che fanno gli altri e farlo combinare con quello; il che dirige la loro azione a un risultato comune e crea la reciproca comprensione dei partecipanti».

J. DEWEY, Democrazia ed educazione, 1916

Il candidato esponga le sue riflessioni sulla didattica laboratoriale, soffermandosi in particolare su:• i presupposti teorici che hanno dato forma a questa tipologia di esperienza

didattica;• come si organizza un’attività laboratoriale;• le dinamiche del laboratorio come esperienza di apprendimento attraverso

l’interazione tra pari.

L’esperienza didattica del laboratorio si basa sulle dinamiche di apprendimento di gruppo. Il gruppo in cui si apprende non è una semplice aggregazione di individui, ma si caratterizza per la presenza di dinamiche particolari che facilitano l’organizzazione delle attività e contribuiscono a creare le condizioni per facilitare gli apprendimenti di ciascun individuo ad esso appartenente.

Le dinamiche relazionali che si sperimentano a scuola hanno, tra le altre, la funzione di importante strumento di lettura dei bisogni primari degli allievi, in modo da consentire ai docenti una «diagnosi» su even-tuali problemi o difficoltà individuali; attraverso attività comuni, inoltre, la scuola argina gli effetti dell’uso-abuso dei media e del computer ai quali sono spesso abituati gli allievi quando sono a casa.

Tale tipologia didattica educa a un modo collettivo di fare cultura, attraverso strumenti come la discussione, la costruzione, la verifica, che diventano occasione di confronto tra adulti e studenti e tra il gruppo dei pari. Il laboratorio si presenta, infatti, come luogo formativo nel quale alimentare la pratica della cooperazione, strumento necessario per la difesa dell’ideale di una «scuola del diritto di tutti allo studio e alla qualità dell’istruzione», contro i messaggi più aggressivi e compe-titivi di una parte della società che vorrebbe rendere la scuola il primo

«Là dove i giovani agiscono socialmente, essi devono riferire il loro modo di agire a ciò che fanno gli altri e farlo combinare con quello; il che dirigela loro azione a un risultato comune e crea la reciproca comprensione deipartecipanti».

J. DEWEY, Democrazia ed educazione, 1916

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spazio fisico e mentale della competitività. Cooperazione e solidarietà, dunque, da contrapporre, come ideali positivi, alla rivalità tra gli allievi e ai valori potenzialmente pericolosi dell’individualismo e dell’indiffe-renza nei confronti dell’altro.

La didattica che sta alla base del laboratorio si ispira ad alcune teorie sull’apprendimento e si basa su specifiche procedure metodologiche. Il modello teorico di riferimento è quello dell’apprendimento attraverso l’interazione tra pari.

Le metodologie adottate prevedono una serie di operazioni da svolgere all’interno del percorso didattico in una dimensione coo-perativa: assunzione, definizione e contestualizzazione dell’obiettivo didattico; realizzazione di operazioni pratiche e concrete; individua-zione di soluzioni possibili e funzionali; realizzazione di un prodotto visibile; controllo sia del processo che porta alla realizzazione del prodotto, sia del prodotto stesso, che deve essere funzionale alla risoluzione del problema definito al principio del percorso; con-cettualizzazione dei processi che hanno portato alla soluzione del problema; documentazione cartacea dei percorsi, dei processi attivati e dei risultati ottenuti.

Per avviare un’attività di laboratorio bisogna innanzitutto organizzare un gruppo; a prescindere dal compito e dalle modalità di svolgimento dei lavori, infatti, l’esperienza di laboratorio ha come obiettivo prin-cipale lo sviluppo dell’abilità di lavorare insieme, rispettare i ruoli e apprezzare il lavoro di ogni componente del gruppo.

Nella fase organizzativa dell’esperienza di laboratorio vanno de-finite le aree di responsabilità, individuati i nuclei operativi relativi a ciascun ambito di lavoro e distribuite le competenze tra i membri. Al termine della fase di preparazione, il gruppo entra nella fase operativa, partendo dal formulare una proposta metodologica condivisa; seguono poi puntuali riscontri dello stato dei lavori e discussioni su eventuali problemi non previsti e, infine, ci si confronta sui risultati ottenuti.

Dal punto di vista didattico, la risoluzione di eventuali conflitti all’interno del gruppo assume una dimensione fondamentale. I giovani coinvolti nell’attività laboratoriale imparano infatti a «negoziare» per

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superare le divergenze, mettendo in atto vere e proprie strategie di conciliazione, quali, ad esempio, chiedere a ciascun componente del gruppo il suo parere rispetto al problema e ascoltare i diversi punti di vista; essere disposti a cambiare idea di fronte a fatti e opinioni inop-pugnabili; riconoscere differenze e similitudini tra i diversi approcci dei membri del gruppo; favorire infine l’empatia, cioè la reciproca comprensione e condivisione degli obiettivi comuni.

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3. La pedagogia scientifica di Herbart

«La riflessione pratica sull’intenzione che deve guidare l’educatore nella sua opera [...] costituisce la prima metà della pedagogia. Essa deve accompa-gnarsi ad una seconda metà, in cui la possibilità dell’educazione dovrebbe essere esposta teoreticamente e presentata come limitata in ragione della variabilità delle circostanze».

F. HERBART, Pedagogia generale (1806)

Il candidato esponga i problemi che Herbart affronta nella sua riflessione, con particolare attenzione alle seguenti questioni:• il rapporto con la cultura e le istituzioni educative del suo tempo;• la fondazione e la sistematizzazione scientifica della pedagogia;• la dimensione educativa dell’istruzione;• la teoria dell’interesse.

Herbart è ritenuto il fondatore della pedagogia scientifica. Egli orientò la sua riflessione in senso nettamente anti-idealistico, rifiutando l’identificazione della pedagogia con la filosofia e negò la riduzione della pedagogia a pratica empirica. La pedagogia è, per Herbart, scienza autonoma dell’educazione, anche se per raggiungere questo obiettivo ha bisogno di un metodo che le consenta di acquisire uno statuto disciplinare e che ne stabilisca le competenze. Ma autonomia non si-gnifica isolamento: al contrario la pedagogia è scienza interdisciplinare.

La pedagogia di Herbart intende dunque presentarsi come scienza, e vuol rispondere agli interrogativi di indole pratica e teorica inerenti al fenomeno educativo. Grazie ad Herbart si prende coscienza della valenza formativa delle singole discipline, per cui l’istruzione non si riduce a pura trasmissione di conoscenze, bensì a una vera e propria istruzione educativa.

Uno dei problemi più importanti all’epoca dello studioso era dare alla pedagogia il suo status accademico nell’ambito di un contesto sottoposto all’influenza di numerose correnti pedagogiche, tra cui il dominante romanticismo, che intendeva la formazione come percorso di crescita intellettuale basato sulla promozione del «bene e del bello», senza una dottrina pedagogica a monte del processo educativo. Tali

«La riflessione pratica sull’intenzione che deve guidare l’educatore nella suaopera [...] costituisce la prima metà della pedagogia. Essa deve accompa-gnarsi ad una seconda metà, in cui la possibilità dell’educazione dovrebbe essere esposta teoreticamente e presentata come limitata in ragione della variabilità delle circostanze».

F. HERBART, Pedagogia generale (1806)e

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correnti suscitarono in Herbart interrogativi e stimoli di riflessione, gli stessi che lo portarono alla definizione e sistematizzazione della sua ricerca.

Seguendo l’insegnamento di Kant, egli sostenne che la realtà è data dalla dinamica delle cose molteplici, che Herbart definisce «reali»; tali eventi entrano in rapporto con l’Io umano e generano una relazione specifica che si chiama «rappresentazione». Questa relazione costituisce l’oggetto di studio della psicologia. La stessa anima non è che uno dei tanti «reali» di cui è possibile conoscere l’esistenza solo mediante l’interazione con gli altri enti. La vera realtà è costituita dal complesso delle relazioni tra l’Io e le cose e può identificarsi con i meccanismi psichici del soggetto.

Herbart non identificò pedagogia e filosofia, come l’idealismo, e non accettò neanche una pedagogia puramente descrittiva che pretendesse di giustificarsi con la sola esperienza. L’insegnamento, per Herbart, ha lo scopo di suscitare l’attività del soggetto, la formazione di se stesso, il proprio perfezionamento e il raggiungimento della virtù.

L’istruzione è, per Herbart, un momento essenziale dell’educazione, che può avvenire attraverso influssi diversi nell’apprendimento, come l’esperienza e il contesto ambientale.

L’educazione, che va distinta dalla pedagogia, è arte: «l’arte di educare». Essa risulta da un complesso di abilità, che ha come scopo finale la formazione del soggetto. L’arte dell’educare si apprende con l’esercizio, in riferimento non ad un esercizio qualunque, come mera ripetitività, ma attraverso l’«azione» che fa riferimento ad una «teoria». In tal modo l’agire non si riduce ad un esercizio di routine da parte dell’insegnante, ma diventa esperienza significativa per tutti i soggetti coinvolti nel processo di apprendimento.

Lo stimolo e l’apertura ad una istruzione che sia veramente educa-tiva sono dati dall’interesse. Esso si forma, secondo Herbart, quando il soggetto apprende una molteplicità di oggetti che gli consentono di arricchire il suo patrimonio conoscitivo. In questo modo, si attua la necessaria fusione tra le nuove conoscenze – le «rappresentazioni» – e

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quelle già precedentemente possedute. La formazione dell’uomo di cultura richiede, dunque, un’apertura che presuppone una molteplicità dell’interesse.

Per il suo eclettismo e la novità di molte soluzioni elaborate, la riflessione psico-pedagogica di Herbart ebbe vasta influenza sia in Europa sia in America. In particolare l’approccio scientifico fece sì che essa riscuotesse ampi consensi nell’età del Positivismo, senza peraltro mancare di lasciare una traccia significativa anche in molti pensatori contemporanei.

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4. Cooperative learning: originistoriche e prospettive didattiche

«Non basta mettere insieme delle persone per ottenere un gruppo valido. Per promuovere il singolo individuo all’interno del gruppo, il gruppo deve esprimere determinate qualità. Tali qualità sono molto importanti non solo come punto di riferimento per l’interpretazione di eventuali difficoltà o in-sufficienze nel modo di procedere ma come meta orientativa di sviluppo del gruppo stesso. Il cooperative learning punta al miglioramento dei processi di apprendimento e socializzazione attraverso la mediazione del gruppo, i cui membri devono agire sentendosi positivamente interdipendenti tra di loro, in maniera tale che il successo di uno sia il successo di tutti»

M. COMOGLIO, M. A. CARDOSO, Insegnare e apprendere in gruppo,LAS, ROMA 1996

Il candidato esponga le sue riflessioni sull’argomento illustrando in particolare:• le caratteristiche dell’apprendimento cooperativo;• lo sviluppo dell’idea di lavoro di gruppo nella storia della pedagogia.

La didattica laboratoriale ha numerosi punti di contatto con la metodologia di insegnamento del cooperative learning: un metodo didattico in cui gli studenti lavorano insieme in piccoli gruppi per raggiungere obiettivi comuni, cercando di migliorare reciprocamente il loro apprendimento. Si distingue sia dall’apprendimento competitivo che dall’apprendimento individualistico e si presta ad essere applicato ad ogni compito, ad ogni disciplina, ad ogni curricolo. Il cooperative learning punta al miglioramento dei processi di apprendimento e so-cializzazione attraverso la mediazione del gruppo, i cui membri devono agire sentendosi positivamente interdipendenti tra di loro, in maniera tale che il successo di uno sia il successo di tutti.

Il cooperative learning può essere definito da due punti di vista diversi: come movimento educativo e come metodo di insegnamento-apprendimento in gruppo dotato di particolari principi e specifiche applicazioni che privilegia l’interazione tra gli allievi, stabilendo attor-no a tale relazione tutto il processo di acquisizione della conoscenza:

«Non basta mettere insieme delle persone per ottenere un gruppo valido. Per promuovere il singolo individuo all’interno del gruppo, il gruppo deve esprimere determinate qualità. Tali qualità sono molto importanti non solo come punto di riferimento per l’interpretazione di eventuali difficoltà o in-sufficienze nel modo di procedere ma come meta orientativa di sviluppo delgruppo stesso. Il cooperative learning punta al miglioramento dei processi gdi apprendimento e socializzazione attraverso la mediazione del gruppo, i cui membri devono agire sentendosi positivamente interdipendenti tra diloro, in maniera tale che il successo di uno sia il successo di tutti»

M. COMOGLIO, M. A. CARDOSO, Insegnare e apprendere in gruppo,LAS, ROMA 1996

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obiettivi didattici, ruolo dell’insegnante, organizzazione della classe, problemi di valutazione ecc. L’espressione cooperative learning include infatti diverse correnti educative che hanno la caratteristica comune di fornire suggerimenti su come lavorare in piccoli gruppi all’interno della classe al fine di migliorare sia il rendimento scolastico che l’acquisizione di abilità collaborative.

L’idea del lavoro di gruppo non è nuova nella storia dell’educa-zione: se ne trova traccia già in Comenio e numerosi sono i contributi relativamente più recenti in Europa e altrove. Il cooperative learning presenta molti punti in comune con le esperienze preesistenti di lavoro di gruppo ma anche numerose differenze che lo rendono totalmente innovativo rispetto al passato. Un impulso decisivo agli studi nel settore è partito agli inizi del Novecento ad opera di due scuole di pensiero, quella pedagogica di Dewey e quella psicologica di Lewin: entrambi gli studiosi sottolinearono l’importanza dell’interazione e della coope-razione nella scuola come mezzo di promozione umana e sociale. Le idee di Dewey sull’apprendimento cooperativo, unite agli studi condotti da Lewin e, in seguito, dai suoi allievi per l’elaborazione di metodi scientifici di raccolta di dati sulle funzioni e sui processi coinvolti nella cooperazione, costituiscono il corpus concettuale centrale che ha ispirato e ha continuato a sostenere gli studi sull’apprendimento cooperativo. Il quadro teorico di riferimento adottato da diversi studiosi del cooperative learning deriva anche dall’integrazione di vari filoni e principi teorici, che possono identificarsi nella psicologia costruttivista della conoscenza di Piaget, nella psicologia umanistica di Rogers e nella pedagogia di Freire.

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5. La pedagogia tra laicità e religione

«Se la religione non avesse presa un poco di cura della educazione sua, qual sarebbe mai questo popolo? Ma la religione può essere un efficace istru-mento di educazione, non già l’educazione istessa. È necessario che la legge le dia la norma, perché spetta alla legge, alla sola legge, il determinare qual debba essere la virtù del cittadino. È necessario che la filosofia le indichi i mezzi, perché la filosofia è quella cui spetta conoscere il cuore e la mente umana e le vie per insinuarvi le virtù e la saviezza. In quella città vi sarà educazione perfetta, in cui il legislatore, il ministro della religione, il filosofo vi concorreranno tutti egualmente e tutti saran di accordo; in quella città si otterrà ciò che di tutte le istituzioni civili deve esser il fine: la massima concordia tra le parti e la massima energia nel tutto».

V. CUOCO, Educazione e politica, 1925

Il candidato esponga le sue riflessioni sul ruolo della religione nell’educazione, illustrando in particolare:• il ruolo storico della religione nella pedagogia italiana;• principali differenze tra approccio laico e cattolico all’istruzione;• le nuove prospettive della convivenza interreligiosa.

La storia della pedagogia è stata costantemente caratterizzata dalla coesistenza e dalla prevalenza alternata di una corrente di stampo religioso e una di stampo laico. Correnti pedagogiche legate, a loro volta, a concezioni della vita, dell’uomo e della donna, della natura e dello spirito, della società. Nel nostro Paese, il pensiero religioso si è caratterizzato prevalentemente come cattolico.

Il dominare dell’una o dell’altra corrente genera una serie di con-seguenze nella formulazione del pensiero pedagogico, non solo nelle teorie particolari ma anche nel modo in cui si intendono la disciplina stessa e le sue finalità: ciascun orientamento privilegia, ad esempio, un ruolo da assegnare alla pedagogia.

È importante ricordare, però, che i primi progetti di educazione popolare si diffondono nel nostro Paese proprio per iniziativa eccle-siastica; è il sacerdote cremonese Ferrante Aporti che, nei primi anni dell’Ottocento, realizza nella sua provincia la prima scuola infantile

«Se la religione non avesse presa un poco di cura della educazione sua, qual sarebbe mai questo popolo? Ma la religione può essere un efficace istru-mento di educazione, non già l’educazione istessa. È necessario che la legge le dia la norma, perché spetta alla legge, alla sola legge, il determinare qualdebba essere la virtù del cittadino. È necessario che la filosofia le indichi i mezzi, perché la filosofia è quella cui spetta conoscere il cuore e la mente umana e le vie per insinuarvi le virtù e la saviezza. In quella città vi saràeducazione perfetta, in cui il legislatore, il ministro della religione, il filosofo vi concorreranno tutti egualmente e tutti saran di accordo; in quella città si otterrà ciò che di tutte le istituzioni civili deve esser il fine: la massima concordia tra le parti e la massima energia nel tutto».

V. CUOCO, Educazione e politica, 1925

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pubblica. Sarà poi Giovanni Bosco, qualche anno più tardi, a raccogliere la sua eredità, fondando l’oratorio, ovvero un ambiente protetto che riunisce la dimensione educativa con quella familiare.

In senso generale, la pedagogia di ispirazione cristiana riconosce un valore particolare alla fede e alla trascendenza, alla persona in quanto creazione divina, alla dimensione spirituale dell’individuo, al messaggio evangelico come fonte di guida per la definizione spirituale, etica e valoriale dell’educazione.

Le correnti laiche focalizzano, invece, l’attenzione sulle dimensioni più concrete dell’esperienza radicate nella storicità della vita sociale e culturale e riconoscono un ruolo di maggiore rilievo alla scienza nell’ambito della pedagogia.

Alcuni studiosi contemporanei hanno effettuato, a proposito della dimensione scientifica e di quella filosofica all’interno della pedagogia, un’ulteriore distinzione, sottolineato come la pedagogia personalista (di ispirazione cristiana) privilegi la dimensione filosofica, considerata più adatta al piano della coscienza, dell’attenzione alle istanze più intime e spi-rituali, in genere trascurate dalla scienza e dalle sue metodologie di analisi.

Al contrario, la pedagogia laica, pur riconoscendo alla filosofia un ruolo di rilevo, riserva ampio spazio all’analisi scientifica.

Il rapporto tra le due correnti pedagogiche è stato a lungo conflit-tuale ma dalla metà del XX secolo, a partire dal Concilio Vaticano II (1962-1965), grazie all’inversione di rotta della Chiesa cattolica, che ha avviato un’opera di “sdogmatizzazione” del proprio pensiero, è stato possibile porre le basi di un dialogo critico e costruttivo tra la pedagogia personalista e quella laica. Dialogo che ci si augura possa dar vita ad un progetto di integrazione in vista di obiettivi comuni universalmente riconosciuti come positivi, al di là delle fedi e delle ideologie. Questa apertura dovrebbe consentire all’istituzione scolastica un’autonomia quanto mai necessaria all’accoglienza dei sempre più numerosi studenti stranieri, portatori di valori, culture e credenze religiose differenti, che richiedono attenzione e rispetto.

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6. Il positivismo nella pedagogia italiana

Il positivismo ha offerto un contributo di rilievo allo sviluppo della peda-gogia come scienza. Tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del No-vecento, questa corrente di pensiero dominò la cultura europea in tutti i suoi aspetti, agendo sullo statuto epistemologico delle discipline in modo da introdurre cambiamenti che sarebbero sopravvissuti al superamento del positivismo stesso.

Il candidato esponga le ragioni per cui il positivismo riduce la pedagogia a scienza sperimentale, delineando:• i tratti fondamentali che caratterizzano il positivismo;• i punti in comune e le differenze del pensiero di Ardigò e Gabelli, studiosi che

hanno caratterizzato il positivismo in pedagogia;• i concetti di critica didattica e didattica critica di Lombardo Radice e il loro

reciproco rapporto;• le motivazioni che Gentile (massimo esponente del Neo-idealismo) addusse a

sostegno della teoria che identificava la filosofia e la pedagogia.

Il positivismo è una corrente di pensiero che dalla metà dell’Otto-cento fino al primo decennio del Novecento domina la cultura europea nei suoi vari aspetti: filosofici, politici, letterari, scientifici, religiosi, e pedagogici. Esso è caratterizzato dall’affermazione del primato della scienza e del suo metodo conoscitivo, dalla negazione di ogni realtà non osservabile e non sperimentabile, dall’applicazione del metodo induttivo a tutti i fenomeni naturali, culturali e sociali e, soprattutto, dalla nascita della sociologia e della psicologia come scienze. Per tali ragioni il positivismo definisce la pedagogia come scienza dell’edu-cazione. L’educazione, come tale, può essere studiata come qualsiasi altro evento della natura e se ne possono determinare le leggi. Si ha in questo modo la «riduzione» della pedagogia a scienza.

Tale processo evolutivo denota la difficoltà che incontra la pe-dagogia nel trovare il suo statuto epistemologico. I pedagogisti del positivismo come Ardigò e Gabelli sottolineano e accentuano gli

Il positivismo ha offerto un contributo di rilievo allo sviluppo della peda-gogia come scienza. Tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del No-vecento, questa corrente di pensiero dominò la cultura europea in tutti isuoi aspetti, agendo sullo statuto epistemologico delle discipline in modo da introdurre cambiamenti che sarebbero sopravvissuti al superamento del positivismo stesso.

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aspetti verificabili dell’educazione, focalizzando l’attenzione sul «metodo induttivo»; sulle lezioni sostanziate da «cose» e non da sole «parole»; sull’esperienza e sull’acquisizione di «abilità».

Più che di educazione, è il caso, in relazione ai pedagogisti citati, di parlare di «addestramento»: l’educazione è legata a leggi fisiologi-che, psicologiche e sociologiche che lasciano poco spazio alla libertà e creatività del soggetto. Per educare è necessario conoscere tali leggi appartenenti all’evoluzione dell’umanità, perchè il singolo le ripete nell’ambito del proprio sviluppo. Tuttavia Gabelli, scrupoloso osserva-tore della realtà scolastica, intuisce l’innata ricchezza di vita posseduta dal fanciullo, rompendo gli schemi e le leggi di una visione positivista. Egli, pur partendo dall’osservazione della realtà educativa e sociale, non si chiude in una visione puramente deterministica dell’educazione, bensì ne scopre l’aspetto spirituale.

Lombardo Radice rivendica la necessità di studiare e valutare il fatto educativo nei suoi soggetti, sia nell’educatore e nell’educando, sia nelle istituzioni. Con la sua «critica didattica», Lombardo Radice non ha la pretesa di dettare leggi e precetti dell’educazione, perché essa nasce dopo l’esperienza educativa. Per tali ragioni egli, partito dalla critica didattica, approda alla «didattica critica». La metodologia educativa di Radice si basa sull’elaborazione di una visione del processo educativo puramente filosofica. Egli individua un legame tra le presupposizioni te-oretiche dettate dalla filosofia e la concretezza dell’esperienza educativa, frutto della sua personale esperienza di allievo, di padre e di maestro.

L’idealismo, soprattutto con Giovanni Gentile, si colloca in una posizione contrapposta a quella del positivismo, identificando filoso-fia e pedagogia. Per Gentile, l’unica realtà esistente è il pensiero nel momento in cui si attua: il «pensiero pensante», che non è altro che il soggetto, l’«Io», che ha coscienza di sé, cioè l’uomo in quanto spirito. Dunque, se la pedagogia è scienza dell’educazione e questa è forma-zione dell’uomo secondo il suo concetto, risulta che la pedagogia è uguale alla filosofia. Per Gentile «essere» e «dover essere», «educatore» ed «educando»; «autorità e libertà»; «eteroeducazione» e «autoeducazione» sono tutte antinomie, ovvero contraddizioni dell’educazione, perché

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nella concezione idealistica i due spiriti (educatore-educando) si fon-dono nell’atto educativo, ossia nel momento in cui si fa educazione. A differenza di Lombardo Radice, per Gentile la riduzione della pedago-gia a filosofia è totale, per cui egli rifiuta il concetto di didattica come scienza e tecnica dell’insegnamento.

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7. Piaget e l’apprendimento per «stadi»

«Lo sviluppo psichico, che comincia con la nascita e termina con l’età adul-ta, è paragonabile alla crescita organica: come quest’ultima, consiste es-senzialmente in un cammino verso l’equilibrio. Infatti, così come il corpo è in evoluzione sino ad un livello relativamente stabile, caratterizzato dal compimento della crescita e la maturità degli organi, analogamente pos-siamo concepire la vita mentale come evolventesi in direzione di una forma di equilibrio finale rappresentata dalla mente adulta».

J. PIAGET, Lo sviluppo mentale del bambino, 1967

Il candidato esponga le sue riflessioni sul testo sopra riportato e si soffermi, in particolare, sulle seguenti questioni:• il rapporto tra crescita organica e sviluppo psichico secondo Piaget;• le «invarianti funzionali» dello sviluppo;• la teoria dello sviluppo per stadi.

Secondo lo psicologo svizzero Jean Piaget, ogni attività mentale pre-suppone una maturazione neuro-biologica che ne orienta lo sviluppo. Quest’ultimo non è dunque esclusivamente riducibile all’influenza di fattori esterni sociali e culturali sul bambino, come invece sostenevano, più o meno contemporaneamente a Piaget, i rappresentanti del comportamen-tismo. Lo sviluppo deve, in altri termini, tener conto anche e soprattutto dell’esistenza di un livello genetico alla base delle formazioni cognitive. L’ipotesi fondamentale di Piaget è, infatti, che ci sia un “parallelismo tra i progressi compiuti, l’organizzazione razionale e logica della conoscenza, e i corrispettivi processi psicologici formativi”.

Il bambino, ad esempio, cresce e potenzia le proprie capacità men-tali rispettando una sequenza determinata di variazioni e di mutamenti connessi a certi stadi della sua vita. Ogni stadio, che nello sviluppo co-gnitivo si differenzia da un altro, presuppone necessariamente lo stadio precedente. In senso stretto, nulla è innato, poiché ogni fase riflette e ha bisogno delle acquisizioni pregresse. Lo sviluppo avviene, così, mediante un’interazione molto complessa e stratificata tra individuo e ambiente; la mente stessa è come un organismo vivente che, in rapporto con l’esterno, si accresce e si sviluppa.

«Lo sviluppo psichico, che comincia con la nascita e termina con l’età adul-ta, è paragonabile alla crescita organica: come quest’ultima, consiste es-senzialmente in un cammino verso l’equilibrio. Infatti, così come il corpo è in evoluzione sino ad un livello relativamente stabile, caratterizzato dal compimento della crescita e la maturità degli organi, analogamente pos-siamo concepire la vita mentale come evolventesi in direzione di una forma di equilibrio finale rappresentata dalla mente adulta».

J. PIAGET, Lo sviluppo mentale del bambino, 1967

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