PITTORI DI PAESAGGI - Monoskop · 2019-08-15 · design sonoro e il breakbeat della scienza ritmica...

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PITTORI DI PAESAGGIELETTRONICIDentro a un labirinto di spazi, fuori dall’uniformità dei tempi e delle musiche correnti, nasce il progettoelettronico 2Blue. Lo scopo di questa avventura, a metà tra il mondo dell’arte e del suono, è discuotere le vecchie forme della musica urbana tracciando alcune linee mobili tra l’architettura, ildesign sonoro e il breakbeat della scienza ritmica contemporanea. Sospesi tra dancefloor, spazi urbanie gallerie d’arte, il duo dell’ elettronica turchese esordisce con la sonorizzazione del libro-catalogodelle opere di Andrea Chiesi, committente pittorico e specchio su tela del progetto aurale dei 2 Blue.In definitiva l’ambizione di 2 Blue è quella di fondere pensiero verticale e sonorità spaziali; di essereponte tra le diverse contemporaneità esplorate da realtà pulsanti come lo P.S.1 di New York, il Sonardi Barcellona e le gallerie d’avanguardia come la Laljeputin di Trieste. E’ arrivato il momentodell’advanced sound painting?

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Abbiamo rivolto alcune domande aEnrico Marani, spregiudicatoarchitetto e agitatore elettronico,portavoce dei 2 Blue, e LucaRoccatagliati – dj maffioso escienziato eterodosso del ritmo,sprofondati nelle ottomaneavvizzite del Chemical Lab…

Quali sono le motivazioni,musicali e non, dietro al pro-getto 2blue? In primis è unprogetto maturato intorno alMaffia, dove ci siamo conosciuti edabbiamo iniziato a discutere dimusica; poi molto lentamente èmaturata una identità che da unlato è debitrice della club culture edall’altro della musica eletronicache sconfina nella contemporanea.2blue cerca la propria dimensionein spazi alternativi ai club, come legallerie e i musei, collaborando conartisti, registi e altri “attori” dellepiù disparate “arti visive”. Nel XXIsecolo appare con evidenza, anostro avviso, come la parola nonsia più uno strumento sufficienteper “dire” dell’opera artistica. Lamusica può invece occuparsi diquesto ambito “non detto”. Lamotivazione principale del nostroagire sta nel fondare un progettoaperto, indirizzato verso l’elettroni-ca più sperimentale e di ricerca,cercando un’interazione con le artifigurative.

Quali difficoltà avete trovatonel lavorare su tematichepittoriche dato che la vostraopera è la colonna sonora dialcuni quadri di Andrea Chiesi?Nessuna difficoltà. Si è trattatosemplicemente di assumere unatteggiamento artistico aperto allesollecitazioni che giungevanodall’artista con cui stavamolavorando. Anzi, sono state propriole sue indicazioni che hannogenerato spesso il suono e lecomposizioni. Siamo stati onoratidi aver lavorato con Andrea,discutendo con lui e tenendodavanti agli occhi i suoi quadricome spartiti virtuali. Questadimensione di lavoro “a program-ma” pensiamo sarà la prospettivapreferenziale di 2blue.

Partendo dalle teorie estetichedi Klee, Kandinskj o Merleau-Ponty sull’astrattismo e sullavisione, quale influenza puòavere sul suono l’optometria?Essenzialmente si tratta di un’in-fluenza legata alla timbrica, aicromatismi del suono. Ne parlava-mo con Andrea, facendogli notarecome il blu metallizzato di moltesue opere ed il gelo che le pervadesi riverberi in suoni particolarmen-

te freddi, in frequenze metalliche,in un uso diffuso di stanze moltoampie in cui disperdere il suono. Iltimbro è l’aspetto in cui il pianopercettivo si intrinseca fra uditovero e proprio e visione. Crediamosia l’ambito in cui il suono “sivede”.

Per finire, cosa pensate dellascena elettronica italiana einternazionale? Ne sieterappresentanti in qualchemodo atipici…Abbiamo amato questa musica findalla più tenera età, dall’epoca deiKraftwerk a “Domenica In”. Lascena elettronica italiana è rappre-sentata da un manipolo di artisticon cui si potrebbe uscire a cenasenza occupare molti tavoli in unristorante... il pubblico magarioccuperebbe i posti rimasti liberi.Come dire siamo due gatti. Ameno di non considerare fenomenicome Albertino e company qualipossibili alfieri del suono elettroni-co. In sostanza non c’è una scenaelettronica italiana, che raccolgauno scambio fecondo. A partepoche eccezioni, regnano gelosie eripicche varie da retrobottega.Cosa che ci lascia sempre stupe-fatti. Un senso profondo dell’agireelettronico, ad esempio nellacomposizione, è legato infattiall’infezione fra artisti e al liberocircolare di suoni ed idee, vedi allavoce campionamento. Crediamomolto a questo aspetto e amiamoconsiderare i 2blue un progettoaperto: la collaborazione conAndrea Chiesi è esplicativa inproposito. Il medium elettronicorimanda inoltre ad una scenaglobale e non a dei confini nazio-nali. In ogni caso, allargando ildiscorso a una scala planetaria,crediamo si possa dire che moltimusicisti elettronici non riescono asuperare la soglia dei cinquealbum: mancano cioè di quellarobustezza artistica, di quelbisogno di dire, che vada oltre ilsound del momento. Mancal’elaborazione di un percorsoartistico o esistenziale che non siastrettamente legato alle esigenzedel dancefloor o del mercato. Perquesto motivo rispettiamo moltoAphex Twin o dei molossi come iKraftwerk.

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2 Blue - Fattore Sonorocd (Kom Fut Manifesto - Italia2003)Andrea Chiesi - Monografia(Lipanjepuntin)

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A COME HOUSE(Mario Caminita)

Bob Sinclar – The Beatgoes on (D vision) C’era da

aspettarselo che quanto prima ilpiù veloce se lo sarebbeaccaparrato.Un disco di sicuroeffetto sia in pista sia in radio. Ilsoggetto in questione non hasicuramente bisogno di troppepresentazioni. Dj e produttore daoltre 15 anni, Bob Sinclar ha direcente sfornato questo branodestinato a diventare una hitmondiale. Oggettivamente aldilà diogni possibile retorica, questobrano è un ulteriore conferma(casomai ce ne fosse ancorabisogno) che anche i dj’s più“fighi” sanno bene che sonoritàcreare se vogliono fare i soldini.Per l’occasione il bravo Bob haaffidato i remix a chi di dovere,come “Roger Sanchez” che senzadiscostarsi più di tanto dal temaoriginale si è limitato a“tribaleggiare” le ritmiche, con unrisultato non sconvolgente maefficace, e poi “Junior Jack” cheevidentemente non ha ancoravoglia di stupirci e non cambia diun rigo le soluzioni di arrangia-mento a lui (e Kid Creme) tantocare negli ultimi mesi, certo di unrisultato che non vi deluderà,soprattutto in pista.Anche quiprovare per credere.

Jolly Music - Talco Uno(Illustrious) Jolly Music, due

ragazzi romani ispirati dai suonielettrodance di fine 70 inizi 80,eche già da qualche anno manipo-lando i suoni elettronici sonoriusciti ad aprirsi un varco impor-tante nel mondo della danceinternazionale . “Talco uno” è unodi quei dischi che tiene alto il buonnome dei produttori italianiall’estero, non a caso è statoparecchio suonato da illustri dj’sinternazionali (tra gli eletti l’im-mancabile Pete “Mida’s touch”Tong) prima di essere ufficialmentepublicato con due versioni curateda altrettanti team vincenti, come“Tiefschwarze” , sempre fedeli alloro sound accativante con unalinea di basso iper trainante chesupporta un cantato maschilesicuramente originale . E poi c’è laversione dei “Mutiny” più minimalinella scelta dei suoni, semprefluttuando tra VCA e Oscillatori equindi rispettando la filologiaelettronica tanto cara ai Jollymusic, caratterizzando il tutto conalcuni interventi (campioni) ditromba non proprio definiti ma chetrovo ben calibrati nel contestogenerale.Se non avete avutoancora l’opportunità di ascoltarequeste tracce sappiate che aveteperso del tempo. Provare percredere.

Santos – Reset EP (MantraVibes ) Ancora un altro bel

colpo messo a segno da Santos unodei pochi produttori italiani capaci dirockare (passatemi il termine) ladance dei giovani di oggi, perchè inrealtà parliamo di musica giovanefatta per i giovani, che non storconoil naso all’ascolto di contaminazionidi varia estrazione, e che magarinon amano le catalogazioni, perchéin realtà sarebbe difficile catalogarelo stile di Santos, di una cosa potetestar certi, che quando c’è da darepotenza lui non è uno che si rispar-mia, e lo sanno bene soprattutto i djinternazionali, come Pete Tong oFatboy Slim o ancora tanti altri dj(purtroppo pochi italiani, Nemopropheta in patria), che amano ilsuo stile. E così dopo l’energiadistribuita con il suo dj set inoccasione dell’evento Reset svoltosia Bologna un paio di mesi fa, chevedeva anche la presenza di TimoMaas , X-Press 2 , Richard Scanty...ecco che pubblica un nuovo EPdedicato proprio a quelle atmosferedue traccie che tra l’altro suonò perla prima volta proprio in quellaoccasione, e che considerandol’effetto che hanno sortito , havoluto includerle in questo disco. NelLato A c’è “It’s Da House” in pienostile Santos, pattern ritmici possentiche si avvinghiano ai demoniacisinth costruiti per una configurazio-ne da rock elettronico dell’anno3000, e giù dritto nel più profondodelle coscienze di chi balla e nonvuole sentire menate su questo o suquello, pura energia rock dritta alloscopo. Non per essere ripetitivo matenendo in considerazione una certaesterofilia che contraddistinguebuona parte di noi italiani, ci terrei afarvi sapere che il disco già circolada un pò in Inghilterra e che iconsensi non hanno tardato adarrivare, piazzandosi immediata-mente tra le buzz charts proprio diPete Tong. Ma torniamo al disco sullato B ci sono due tracce “U#1” dovele ritmiche cavalcano tra il breakbeated il funk sostenendo una poderosalinea di basso (roba che se provate asuonarla con il giusto volumebuttate giù i palazzi) da urlo, e perchiudere l’ormai classico dj tools ,che per l’occasione si chiama “XPress Tool”, ovviamente ispiratosempre alla serata Reset e allementalizzazioni(?) del trio presenteall’evento. Insomma un Santos inpiena forma.

Gabriele D’Andrea & AndyFunk – Demorou (Di Più?)

Rimango in scia per segnalarviun’altra produzione italianatribaleggiante, o se preferitelatineggiante, se vogliamo essereprecisi si tratta di musicaafrocubana perfettamente adattatain chiave house, grazie a questoconnubio tra il Maestro Heraldo DaSilva & Rodrigo Amaral , postisi(virtualmente) nelle mani dei dueproduttori. E quindi un turbinio ditimbales e sax che giocanoalternandosi e groovando su unaritmica di tutto rispetto. Un’unicaversione da prendere seriamentein considerazione, le altre sincera-mente mi danno l’impressione diun esigenza per riempire il restodel vinile (Avranno fatto meglioGemolotto e Massimino?).

Drag ‘n’ Drop – BellaRumba (Stor Disco) Una

coppia già collaudata quella diGemolotto e Massimino ancoraaffascinati dalle sonoritàlatineggianti, ma niente a chevedere con il periodo di SuenoLatino. Qui siamo in pienabatucada, un groove indiscutibileed un riff di fiati che arriva alpunto giusto , proprio per nonrendere il tutto un po’ monotono.Ildisco è stampato su un solo lato(almeno quello che mi è capitatoper le mani) dovrei forse intender-lo come un test , o “poco tempo adisposizione per farne un’altraversione?”.

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Cenerentola è diventata reginasolo perché i rispettivi piedi diAnastasia e Genoveffa non poteva-no “semplicemente” entrare nellascarpetta di vetro “sposa principe”.Questo è quanto la tradizione oraletramanda per conciliare il sonnodei bambini. Ma nonostantel’opportuna mutilazione censoriacon cui da sempre è raccontata lafiaba, la “realtà” è un’altra. Lesorellastre si tagliarono un dito edun pezzo di calcagno e finalmentes’ infilarono la scarpa, il principeintese l’inganno dal sangue chesgorgava in rivoli sul suo cavallobianco e sposò infine la famigerataprotagonista. La stessa sprezzanteironia con cui Jacob e WilhelmGrimm macchiano di sangue ipastellati paradisi dell’infanzia, lasi ritrova magicamente nell’operadi Adriano Persiani.

Per una sua personale capacità dirivelazione di qualcosa d’altro dinotturno, micidiale e inquietante diquel perduto mondo tenerod’orsetti e di balocchi, dianimalucci imbalsamati e dilenzuolina infantili, AdrianoPersiani si dedica alla creazione disuppellettili tragicamente buffe,nelle quali, se da un lato sievidenzia una disarmante innocen-za e dolcezza di bambino cresciutoin fretta e furia, dall’altro sicomprende una sorta dipsicopatologia come di chi haprematuramente acquisito lapercezione feticista del suo internomolle (le feci e le urine, le budellae gli intestini, le lacrime e ilsangue, il vomito e la saliva). Con

ADRIANO PERSIANI“STRABILIA” E GIOCATTOLI NOTTURNI(ORSETTI, TASSIDERMIE E PICCOLE LENZUOLA)

Volgiti, volgiti, guarda: c’è sangue nella scarpa.Strettina è la scarpetta.La vera sposa è ancor nella casetta.(Jacob e Wilhelm Grimm)

Bomboniera - 16x16x10 cm(scatola chiusa) tecnica mista

“Sempre...” - 24x36x16 cm

(circa cad.) tecnica mista

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tali presupposti, vediamo dunquel’artista avventarsi con infinitadolcezza chirurgica sui balocchispelacchiati che tutti dimenticanonegli scatoloni impolverati delleproprie cantine, e, nel suo perso-nale istituto di medicina legale (incui l’atmosfera è come sempresoffusa di rosa confetto), lovediamo alle prese con straniesperimenti di anatomia in cui lecavie sottoposte sono proprioarruffati cagnolini e infeltriti orsetti(tra i quali la famosa icona popdell’ammorbidente Coccolino) chevengono di volta in volta sezionati,annegati, soffocati nel talco,mummificati e imbrattati di acidecolorazioni transgenetiche. Ma inquesto suo tentativo di rivelazionedi una drammatica presenzad’atroci fluidi corporali all’interno diquesti giocattoli (con quelle stesseintenzioni catartiche della Body Artperformativa dei tardi anni Settan-ta), il fine che emerge dalla suaopera è una sorta di scarto ironicoe leggerezza ludica (la stessa concui il “piccolo chimico” giocherellacon il gas “Zyklon B”), attraversola quale, è indicata la constatazio-ne e mostrazione di un rassicuran-te materiale di gommapiuma esoffice interno per cuscino.Avvenuta in questi modi ciò che sipotrebbe definire come unaspaesata riappropriazione consa-pevole del giocattolo così comedeve essere (senza carne, feci eurine, intestina e budella, lacrimee sangue, vomito e saliva), sidelinea chiaramente una praticaindicazione per la corretta fruizionedell’opera. In sostanza, dopo unaprima percezione di simulataatrocità verso quei piccoli corpicini,emerge una sensazione di delicatapiacevolezza e uno stuporefanciullesco capace di sollevare ealleggerire l’intensa peculiaritàconcettuale delle opere.

Gli appunti di tali esperimenti dimicrochirurgia sono presi a birorossa su lenzuola imbottite. Ildisegno regressivo (o di bambinorinchiuso in orfanotrofio), minimalee sofferto, descrive atrocimenomazioni d’antichi amiciorsetti. Il supporto tessile è intrisoe fiorato di quei fiorellini delleculle. Progressivamente, lelenzuola imbottite diventanosculture raffiguranti esanimi orsettiforse assassinati e gli gnomidecidono di appartenere al Ku KluxKlan. Un cranio di cane vienevestito come la Barbie e unospaventoso animaluccio ibridoviene idolatrato. Si crea il prototipodegli omaggi che Isabella D’Este (oLucrezia Borgia) distribuirà ilgiorno delle sue nozze. Di nuovo,

Adriano Persiani mette sangue nelmarzapane. Decide una sospensio-ne emotiva che sta tra il divertito el’impaurito, tra il senso di tenerez-za e l’istinto sadico, tra l’adorazio-ne e lo schifo, tra la maternità e lamorte. Il suo lavoro è volto infattialla ricontestualizzazione artisticadell’ingenuo e sereno mondoinfantile in termini tali da esaltarnele valenze ironiche esadomasochistiche, grazie allequali arriva a metterne in risaltol’irrimediabile assenza di vita.

Neanche a dirlo, l’altro principaleinteresse dell’artista è l’interventosu un quotidiano bestiario sottopo-sto all’arte della tassidermia.L’assenza di vita, o meglio, la vitadisidratata (ma pur sempreconservata e resa quasi eterna) digranchietti, fagiani, coccodrilli,piccioni e scoiattoli, viene per cosìdire enfatizzata e immessa dicalore attraverso deliziose collezio-ni haute couture memori dell’artesartoriale del mondo piccino di fatee gnomi. Adriano Persiani cuce eritaglia cappucci e mantelline,vestitini, mascherine e copricapirosa di pannolenci che, come inuna colta allucinazione onirica,vengono fatti indossare ai piccolicadaveri, denaturandone in questomodo le loro macabre eangoscianti caratteristiche. E’quindi possibile ravvisare unribaltamento percettivo per ilquale, allo spontaneo timore edisgusto per le “cose della morte”,si sostituisce candidamente unsorriso amaro e una vaga, nostal-gica allegrezza quasi circense.Così, a svelare il melanconicosense of humour del quale si servel’artista, si dispiega tutto unrepertorio neo-oggettuale estre-mamente chiassoso, pittoresco ekitsch che si rivela affine allesurreali naturalia dellewunderkammer secentesche.Piccoli cortigiani e mascheratepresenze funambole, incredibilicomparse del teatro elisabettiano eieratiche divinità zoomorfe assisesu cuscini di broccato, saturninevestizioni di feltro e carnevaleschi

demoni alle prese con pelucchi esfilacci similari alle interiora diqualche loro vittima. La “classifica-zione” potrebbe continuare oltre,ma l’esito strabiliante d’ogni operarimane immutato. Pertanto,incurante e disinteressato allametropolitana attualità del presen-te, ma anzi, come un inconsapevo-le frequentatore dell’entouragesurrealista del “Café de la PlaceBlanche” (specialmente quandoprendeva il caffè impellicciatol’amica e musa Meret Oppenheim),Adriano Persiani si diverte (o forseno) nella creazione di un desuetoneoreliquiario contemporaneo contanto di teche in vetro (oplexiglas). Lì dentro, protette eadorate, si susseguono le rareapparizioni fiabesche sopradescritte, che forse, proprio per laloro caustica e bizzarra bellezza,potrebbero avere ideale collocazio-ne tra i deliranti cadavres exquisisdi certe mostre parigine degli anniTrenta, nelle biblioteche di certevecchie case vittoriane e nellacameretta dei giochi di MercoledìAddams.

Meticoloso microchirurgo, giocatto-laio barocco e aristocratico sartodelle favole, Adriano Persiani tental’iconismo artistico di duetematiche “semplici”. Il gioco e lamorte. Il loro confondersi avicenda. Il dolce annientarsi l’unl’altro. Come se, il patologicosentimentalismo di quando si cullail proprio amico orsetto, fossecapace di distruggere l’orrore dellamorte. E viceversa.

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Nella notte c’era una voltauna realtà che soffriva d’insonniaAllora la fata matrigna venivae realmente la prese per manola re la re la realtà(Luis Aragon)

“Non ci posso pensare...”Mostra personale di Adriano Persiania cura di Marco Mango con intervista diDaniele Astrologo

prossimamente pressointerno&dumdumBologna, via S. Maria Maggiore 4info: 051.251557 – [email protected]

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Berlino, 2002. La città, dopo glistorici eventi che risalgono ormai apiù di dieci anni fa, ma dei qualitutti noi già portiamo un nitidoricordo “televisivo”, è ancora oggiun cantiere a cielo aperto. Profon-de trasformazioni ne stannoridisegnando il volto.A questi fermenti urbanistici siaccompagna un altrettanto intensonascere di locali, personaggi emovimenti che sembrano averetrovato la loro dimensione piùnaturale, in campo musicale,nell’elettronica e nelle sue formepiù ardite e sperimentali.Uno dei più interessanti personaggiberlinesi, anche se non originariodella città, è Stefan Betke, in arte

Pole, fondatore della Scape.Musicista attivo da tempo incampo elettronico, ha trovato ladimensione ideale disperimentatore e innovatoreproprio con la sua etichetta, nellaquale hanno spazio artisti che, alpari di quanto avviene in campopittorico, sembrano riconducibili adun unico canovaccio espressivo,tanto che non è azzardato parlaredi vero e proprio movimento,considerarlo una sorta di avan-guardia.Alcuni di questi artisti sono AndrewPekler, di origini californiane,autore dell’ottimo Station toStation (2002), una delle operemaggiori finora della Scape, Kit

ARTE ACCIAIO ARCHITETTURAL’etichetta berlinese Scape ha creato un connubio singolare ma efficace tra suono eterritorio. All’interno del suo catalogo ha ospitato artisti di tutto il mondo, dalcaliforniano Kit Clayton al cosmopolita russo-berlinese Andrew Pekler, tuttiaccomunati da una precisa identità stilistica. Il suono Scape coniuga infatti minimalisequenze di pieni e vuoti in movimento, schegge dub, romanticismo urbano; ildemiurgo Scape, Stefan Betke sembra aver fatto suo il motto dell’architetto tedescoMies van der Rohe: less is more.

Clayton e Burnt Friedman. La cifradi lavoro prodotta dall’etichetta,proprio per la sua recente appari-zione nell’attuale panoramamusicale tedesco, non è ancorarilevante dal punto di vistaquantitativo, tutt’altro invece daquello qualitativo (si contanocomunque già diverse raccolte elavori di remix collettivi). La stradaintrapresa, infatti, sembra essereben delineata: forme ritmicheassai leggere, appena accennate,forti influenze dub e jazzy (proprioPekler ha nel suo DNA musicaleuna forte impronta jazz) il tuttofiltrato dai computer e dallemacchine dalle quali Betke hapreso il nome (il Waldorf 4-Pole è

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un filtro da lui utilizzato).Per apprezzare al meglio il concet-to musicale espresso da Poleoccorre tuttavia una sorta disforzo: nessuno dei singoli suoniche formano i suoi pezzi (veri epropri incastri sonori) va recepitocome tale, bensì come elementoportante di un qualcosa in diveni-re. Come si diceva prima puòtrattarsi, ad esempio, dell’accennodi un ritmo. Si intuisce quale sia,lo si apprezza, anche se assai esilenella sua struttura. È l’astrattismodei suoni, a caratterizzare lamusica di Stefan Betke. Il risulta-to, soprattutto nel caso dei diversialbum di Pole, 1, 2, e in particolare3, uscito nel 2000, è l’espressionepiù concreta di quello che tradizio-nalmente viene definito dallacritica o dagli amanti dei generietichettati, minimalismo elettroni-co.Proprio il parallelo con la pittura e

le altre arti può aiutare a megliocomprendere il linguaggio musicaledella Scape.Nella pittura, effetti ottici di formee colori, bagliori e guizzi sulla tela,evocano paesaggi immaginari nellafantasia del pubblico, è il casodella cosiddetta optical art: lastruttura del quadro, o dellacomposizione musicale, come nelcaso degli artisti della Scape,funzione come progetto mentale,l’opera si riduce a forme elementa-ri e geometriche (particolarecurioso: l’importante esponenteitaliano dell’Op’Art, MassimoSalvadori, è egli stesso un musici-sta). Lo stesso si può dire nell’am-bito musicale degli artisti apparte-nenti all’etichetta tedesca: echidub, suoni sospesi, rumori di fondo(noise) che potrebbero esseretranquillamente estrapolati e isolatidai cantieri che contribuiscono allatrasformazione berlinese, sono la

struttura portante dei loro quadrimusicali.Si tratta quindi di qualcosa chestimola l’attenzione, qualcosa diintelligente che spinge l’ascoltatorea compiere quello sforzo, quelprocesso di elaborazione dell’im-magine o del suono, che si descri-veva in precedenza.Va ricordato infine che Betke, oltrea produrre ottime cose attraversol’etichetta, continua a portare ingiro i suoi personalissimi set per iclubs di tutti i paesi, accompagna-to di volta in volta dai vari artistiche fanno riferimento alla Scape.Sul sito dell’etichetta, dalla graficae dai contenuti naturalmenteminimal, si troverà l’indicazione ditutte le date dei prossimi mesi. Perora gli appassionati italiani dovran-no aspettare o dirigersi verso iluoghi mitteleuropei cuore diquesti suoni, quali Vienna eBerlino.

www.scape-records.comwww.scape-music.dewww.pole-music.com

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PREDESTINATOINCONTRO CON PHIL ASHER“La musica è veramente la mia vita: lavoro su di leitutto il giorno, lo studio è a casa mia. Ma anche miamoglie è nella stessa situzione, pure lei la ama (e lasuona pure). Quando vado in macchina l’autoradio èsempre accesa, quando sono fuori vado in posti dovec’è musica, quando vado a fare shopping entro semprein negozi di dischi…”

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Evidentemente ci sono davvero dellepersone predestinate. Phil Asher èuna di queste. Personaggio ormaiveterano della club culture inglese, èsempre rimasto in qualche modosotto traccia, senza raggiungere maiuna fama da stella della console edella produzione – eppure la suaattività continua infaticabile, la listadi dischi in cui ha messo il suo toccoeclettico è virtualmente infinita cosìcome non conosce sosta la suaattività di dj. Una curiosa contraddi-zione: ma questa intervista, fatta aMilano in occasione di un suo dj setai Magazzini Generali, svela i motividel perché di tutto ciò… ascoltate leparole e il piglio di Phil Asher (peraltro molto gentile e disponibile, connoi), e capirete. Partiamo dallapredestinazione: “Mio padre era ilmanager di un negozio che facevaparte di una catena commerciale: finda piccolo il negozio di dischi misembrava il posto più naturale, caldoe confortevole del mondo. Quandogironzolavo tra gli scaffali a nove,dieci anni, mi sentivo già un piccoloadulto completamente indipendente,ed era una sensazione meravigliosa.Non mi sono neanche accorto diquando ho cominciato davvero a farecollezione di dischi, tanto la cosa eranaturale ed inevitabile. A scuolaorganizzavo delle grandicompravendite di dischi, grazie anchea quello che mi passava mio padre.Ed è scuola che ho cominciato,appena possibile, a fare pratica comedj. Insomma, quando i parenti mifacevano la classica domanda delcosa volessi fare da grande, la miarisposta è sempre stata solo una:fare musica”.Per tutti i wannabe music makers glianni dell’acid house hanno rappre-sentato quello che per la generazioneprecedente è stato il punk: laconsapevolezza che le cose sipossono fare, non importa quantosiano nuove, quanto siano di rotturarispetto alla situazione contingente –anzi, proprio per questo motivodiventano ancora più travolgenti edemozionanti: “La rivoluzione dell’acidhouse è stata indubbiamente unarivoluzione per tutti. Personalmente,all’improvviso mi ritrovavo fra lemani dischi che suonavano in unamaniera incredibile, tipo, che so?, leprime cose di Todd Terry. Avevosempre amato ascoltare tutti i tipi dimusica, e quindi era doppiamenteemozionante ritrovarsi fra le maniqualcosa di completamente nuovo, eche era anche fruito dalla gente inmaniera completamente inedita.Sono contento di aver visto nascere ecrescere tutto questo. Prima nei clubfuroreggiava la scena del raregroove, ma lì se non eri un ballerinopiù che abile avevi meno occasioniper godere di tutta la faccenda.

L’avvento della house ha portatoad una sorta di democratizzazione,musica che tutti, anche i menocoordinati!, possono ballare”. Ora,a distanza di più di dieci anni, siparla placidamente di club culture,come se fosse qualcosa di scontatoe dato per acquisito, qualcosapenetrato a pieno titolo nellageografia sociale, alla pari di rock,classica, jazz. Eccesso di ottimi-smo, o realtà dei fatti? “Sì, la clubculture esiste, è qualcosa ditangibile; dal momento in cui inqualsiasi città c’è almeno un clubnel raggio di due chilometriquadrati, è evidente che sottodev’esserci per forza anche unacultura”. E di questa cultura, Asherè uno dei personaggi decisivi einfluenti? Almeno per anzianità diservizio, si potrebbe dire di sì…“No, non sono per intenderci unodi quelli che dà la direzione allecose… sono semplicemente unoche fa il suo. Ascolto tipi di musicadiversissimi, non ho un viaggio ouna missione. Al massimo possodire che mi interesse esseresempre fresco, tirare fuori coseche suonino bene, che siano vitali(per qualcuno lo sono, per altri no:ed è normale così). Ma non credodi essere uno che detta le coordi-nate dell’evoluzione della clubculture… 4 Hero, Daft Punk,Basement Jaxx, Bugz In The Attic:loro sì che sono dei personaggi chespostano il corso degli eventi”.E’ per vero che il giro di amici diPhil Asher, tutti quanti coinvolti nelteam di produzione Restless Soul,più alcuni sodali ad honorem comePatrick Forge o i 4 Hero, hannosignificato non poco all’internodella storia della musica da clubinglese, anche per una sceltaestetica fortemente connotata: uneclettismo che tende a privilegiareil capitale storico della black music,reinterpretandolo ora con freschez-za, ora con devozione, ora conironia. La “West London Scene”,come viene chiamata… “Ci consi-derano una “scena” più che altroperché non riescono a capirci. Noinon vogliamo escludere nessuno:ci limitiamo a incontrarci, a fare lanostra cosa, alcuni ci trovanointeressanti, altri no… sta tuttoqui. E’ vergognoso certo tratta-mento che abbiamo ricevuto,quando in realtà il problema erache certi giornalisti non capivanobene cosa stavamo facendo, enella loro ristrettezza mentalequesto li spaventava, e una voltaspaventati pensavano di stare piùal sicuro se ci attaccavano. E poisono ridicoli: per stroncare alcuneproduzioni del nostro giro dicono intono dispregiativo “Massì, sembrauna roba di Roy Ayers o di James

Brown”: ma questo è un maledettocomplimento, accidenti!! Ma nonper loro. Che gente…”. A questopunto Asher approfondisce ildiscorso; mena fendenti, fa nomi ecognomi: “In giornali come JockeySlut parlare male (a ufo) dellagente fa figo, perché dà l’idea chesei forte, che non hai paura dinessuno, che sei incorruttibile. Mail dato di fatto è che loro i dischispesso manco li ascoltano, partonogià col preconcetto, e con l’idea difarsi grossi stroncando di qua e dilà. Io ho deciso di non aver maipiù a che fare con iDJ e conMixmag, e mi sa tanto che a breveestendo questo embargo anche aJockey Slut”. Facile immaginare ilrisultato: “I giornalisti? A noi ciodiano. Noi chi? Diciamo la scenaWest London. Continuano a dirci“Ehi ragazzi, la scena broken beatè morta”, come se un altro agnellosacrificale fosse stato allegramentesgozzato, in attesa che ne passi unaltro. Bella roba, no? A noi nondanno fastidio le critiche, perchénoi per primi siamo critici fra di noie anche verso l’esterno, ma in certimodi si va oltre. E vorrei sottoline-are anche che un conto è esserecritici verso la musica, un conto èesserlo verso le persone facendofinta che sia invece solo unaquestione di musica”. A questopunto è d’obbligo spendere suquello che, dopo una decennalecarriera, è in realtà il debutto diPhil Asher con album a suo nome,il suo primo progetto sulla lungadurata, che esce su etichettaVersatile: “Andando di metafora:diciamo che “Focus” è come unometto un po’ strano, che va unpo’ di qua di là, che non sa beneda dove arriva e qual è la suameta, ma ha sempre presentedove sta e cosa sta facendo.Nell’album ci sono tracce felici,tracce malinconiche, tracceaggressive, tracce rilassanti. Nonc’è nulla di organico nel suocomplesso, ma ogni singoloepisodio vuole comunque suonarevivo e pulsante”. In mezzo a tuttiquesti stimoli, quale può essere ilpunto di riferimento per la bussoladell’ispirazione? La risposta arrivaimmediata: “La mia ispirazionearriva tutta dal mio bambino (diceproprio così, usando la parolaitaliana, NdI). Da mia moglie, e dalui: guardarlo, stare con lui,giocare con lui è una cosa meravi-gliosa. La cosa più bella che possaimmaginare”.

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Phil Asher - Focus (Versatile)www.versatilerecords.com

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Se ascoltate drum’n’bass, èimpossibile che non conosciate iBad Company. Anzi, se vi sieteavvicinati a questo genere solonegli ultimi anni è molto probabileche sia stato per colpa di uno deiloro pezzi. La loro storia è, inbreve, la seguente: i BadCompany, conosciuti anche come)EIB(, sono un quartetto natodall’unione del duo Future ForcesInc, composto da Maldini e D-Bridge, autori delle prime releasesdella ormai arcinota RenegadeHardware, con l’altro duo Fresh &Vegas, che faceva parte del rosterdell’etichetta Metro. Prima dicoalizzarsi erano solo dei produtto-ri come altri, ma quando nel 1998irruppero con “The Nine” venneroimmediatamente elevati al rangodi superstars. Il loro stile erasemplice e immediato: beatpotente e veloce, bassi invadenti ereece a fine battuta che scatenal’urlo del pubblico. Dopo “TheNine” non avevano nessunaintenzione di tornare nell’ombra epubblicarono in sequenza “ThePulse” sulla Prototype diGrooverider, l’EP “The Fear” masoprattutto il mastodontico LP“Inside The Machine” (1999) cheottenne un successo di critica epubblico paragonabile solo a pochialtri nell’ambito drum’n’bass. Nonpassò nemmeno un anno che già

BAD COMPANYLA POTENZA DELDRUM’N’BASS

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era pronto il secondo LP, “DigitalNation” (2000), nella quale eranopresenti i pezzi che tutti i maggioridjs spingevano da mesi, come“Son Of Nitrous”, “Crucafixion”, o“Breathe”. Il suono è sempreenergico, possente e senzafronzoli, ma inizia a prendere unpò di respiro con vocals e melodie,sintomo di una necessaria evolu-zione per evitare di diventare deicloni di sé stessi. La prolificità delquartetto è impressionante, anchese le produzioni erano ormaiaffidate quasi esclusivamente aDan ‘Fresh’ Stein, dopo pochi mesiincominciò la saga dei 3 EPs “BookOf The Bad”, nei quali l’evoluzionecontinua, l’atmosfera si distende eil suono diventa più festaiolo,come testimoniano “Dogs On TheMoon”, “Ladies Of Spain”, “Rodeo”e “Mindgames”, nonché il giàclassico “Planet Dust” che riuscivaad unire l’usuale potenza )EIB(all’allegria di un synth vorticoso. Eper finire in bellezza il 2001 cihanno dato la loro personaleinterpretazione dello swingbeatcon “Space Hopper” (RAMRecords). Arriviamo ad oggi epotremmo pensare che la venacreativa degli )EIB( si sia esaurita,dal momento che a loro nomehanno pubblicato solo un singolonel 2002, “Rush Hour”, ma inrealtà è già pronto e in attesa

dell’uscita ufficiale il terzo LP “ShotDown On Safari”. Anche sololeggendo il nome dell’album sicapisce che ormai i cattivi ragazzinon sono più tali, i dubplatesfirmati )EIB( spinti dai dj di spicconegli ultimi mesi rivelano che c’èancora tanta voglia di fare casinocon spaccapista che entrano intesta al primo ascolto, come “TheHornet” e “Torpedo”, ma che ancheil filone della d’n’b più musicale ehousey tanto in voga negli ultimimesi ha contaminato il loro sound,come testimoniano “Jelly Bean” e“Dr Schevago”. Per non parlare di“Start The Fire”, un putiferiosonoro scatenato da una selva dipercussioni devastanti e liricheragga a volontà manco fossimotornati nel 1992. Ma non è finitaqui: c’è già in cantiere un nuovosingolo per la Prototype nato dallafusione di “Planet Dust” e“Speedball” (e infatti è intitolato“Dustball”) la cui uscita è previstaper il 2003 e addirittura un altrosingolo per la RAM Records. E seeravate presenti al Reset 02 loavete sentito, perché Andy C hal’esclusiva di “Elm Street”, questofantastico pezzo trascinante oltreogni limite. In mezzo a questaimpressionante tabella di marcia,Fresh nell’inizio del 2001 ha avutoanche il tempo di contribuire allanascita di un forum, chiamatoDogs On Acid(www.dogsonacid.com), che inpochi mesi ha chiamato a raccoltamigliaia di membri da ogni partedel mondo (il sottoscritto è ilnumero 2620) diventato un puntodi riferimento per l’ambitodrum’n’bass e contribuendo allosviluppo della scena in mododeterminante.

Bad Company - Shot Down OnSafari (BC Recordings)www.dogsonacid.com

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In questo momento storico, dove lospasmodico bisogno di ritornaremusicalmente agli anni ottantasembra un imperativo, è assoluta-mente necessario fare luce su unodei padri della musica dance sinteti-ca: Arthur Baker. Salto temporale:1979 a New York, primi vagiti delrigurgito stradaiolo ‘all black’ chiama-to rap e divenuto nei successivivent’anni il maggior fenomenomusicale afroamericano dopo il jazz:Sugarhill Gang con ‘Rappers Delight’e GrandMaster Flash che impazzafacendo meraviglie con due giradischied un mixer. La Salsoul records, labelleader della disco fine ’70 vuolecavalcare l’onda commissionando aJoe Bataan un brano rap ‘Rap-O-Clap-O’, il quale si rivolge al biancoArthur Baker, già famoso nel circuitoper la produzione di due singoli perla Emergency records. Il successoporterà il Nostro ad entrare incontatto con l’appena nata TommyBoy records e a sperimentare l’alloranascente tecnologia sintetica musica-le componendo per Africa Bambaataauna manciata di singoli. Probabil-mente Arthur Baker non si accorseche stava originando un fenomenomusicale che sarebbe fermentatonegli anni a venire delineando varigeneri ora mainstream come laTechno, l’House e tutta la musicaelettronica attuale. Il pensiero fusemplicissimo, incrociare un classicodella musica elettronica europea deiKraftwerk come ‘Trans EuropeExpress’ con la funkyness tutta neraderivata da James Brown di AfricaBambaata… nacque così ‘PlanetRock’. L’intuizione però non fu fine a

se stessa perché fu il primo paleseincrocio tra la cultura tecnologicamusicale bianca con la musicaafroamericana, cioè il calore, lacultura ed il ritmo primordialedell’Africa che passa attraverso ilperfezionismo musicale antisetticoed inquadrato della civiltà bianca.Sull’entusiasmo Baker fonda la suaStreetwise records e crea un altroclassico ‘Walkin On The Sunshine’dei Rockers Revenge contempora-neamente a ‘Lookin for the perfectbeat’ per Bambaataa. Il suonoarriva così a Detroit spingendo talJuan Atkins a decontestualizzare ilsuono dalla scena rap, muovendocosì primi passi nella Techno con‘Clear’ dei suoi Cybotron. Nellostesso anno dall’Inghilterra i NewOrder commissionano a Baker diprodurre il loro singolo ‘Confusion’,il quale, dopo l’immediato succes-so, inaugurerà la proficua carrieradi Arthur come producer pergruppi e cantanti pop. Un annodopo, 1984, Baker crea un altroclassico senza tempo, cavallo dibattaglia dei breakdancers, inclusonella colonna sonora del film ‘BeatStreet’: è ‘Breakers Revenge’,riferimento assoluto per tutto ilbreakbeat degli ultimi anni. Ormaila musica sintetica e strumenticome la Roland TR606, o la TB303,sono tools necessari per crearebeats e bassi, giganti come HerbieHancock e Bill Laswell diventanotra i loro maggiori utilizzatori.Baker diventa così il producer piùrichiesto, lavorando con personag-gi come Diana Ross, Bob Dylan,Jeff Beck e Bruce Springsteen. Gli

ARTHUR BAKERUNA LEGGENDA VIVENTE

Rennie Pilgrem & Arthur Baker -Face It ‘Rennie Pilgrem’s NewYork Mix’ / from ‘Tribalizm’(RENN 3060)www.arthurbaker.net

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anni passano, i suoi ‘figli’ crescono,nascono così l’house e la techno, eBaker si immerge sempre piùnell’underground producendo peraltri, sfornando singoli di dubbiaqualità ed un’album ‘Give In ToThe Rhythm’ nel 1991.La sua maestosità doveva essereripresa da un suo quasi coetaneoinnamorato dall’electro e dalle sueinfinite potenzialità, l’ingleseRennie Pilgrem, il quale a metàanni ’90 avrebbe convocato ArthurBaker a Londra per una serie dicollaborazioni. In pieno fermentobreakbeat dall’etichetta TCR nascecosì un singolo, ‘Hey FunkyPeople’, che sarà ancora una volta,per merito di Baker, il capostipitedi un genere, il Nu skool breakz.La scena dance d’Albione si inchinaal Maestro e la Perfecto gli com-missiona un CD mixato ‘Breakin’, ePilgrem replica l’esperimento con‘Like No Other’, seguito da MeatKatie che ri-esegue in chiavebreakbeat-house ‘Walkin On TheSunshine’. A vent’anni di distanza,e a 47 anni suonati, Baker èancora sulla cresta dell’onda con ilsuono di oggi: mai una espressio-ne come ‘cult dj’ è stata tantoazzeccata, riferita a un artistacome Arthur Baker.

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Dj Spooky – ModernMantra (Shadow Records)

“Poi, con grande accuratezza, fecefuoco.” Così termina un racconto diBorges in “Finzioni”. Ma cosìpotrebbe iniziare il racconto di DjSpooky in “Modern Mantra”, unasuperba corsa a perdifiato tra isuoni assemblati negli annidall’etichetta newyorkese Shadow.L’etichetta in questione è stata permolto tempo una delle pocherealtà discografiche statunitensi apromovuore la “nuova” musicaelettronica negli States. A questoproposito basti sottolineare lapubblicazione di parecchi titolitargati Ninja Tune oppure di operefirmate da Dj Cam o Dj Krush oSharpshooters. Avrete già capitoche il “back catalogue” dellaShadow è ricolmo di prelibatezze“astratte”, di hip hop “contamina-to”, di elettronica a battuta“fumosa” (i famosi dope beats!).Un catalogo intelligente e innovati-vo, coraggioso e “futuribile” sesolo paragoniamo la qualità diqueste uscite alla media dellamusica “pop” statunitense. Lascelta poi del sedizioso Dj Spookycome detonatore del lotto èsemplicemente deliziosa. PaulMiller è bravissimo nel “dramma-tizzare” le asperità dei beats,poggiarsi su una rilettura molto“urbana” delle atmosfere e spal-mare una sottile pellicola “jazz”molto NY-style su tutta la track-list. Un’ecatombe quindi di hiphop, drum and bass, jazz e urbanbeats che determina alla fin fineuna misteriosa elegia alla nostracontemporaneità e all’atmosferacaotica e perturbata di una cittàcome New York, assai simile nellesue nevrosi a molte metropoli al diquà dell’Atlantico. Questo disco èun omaggio sentito alla cultura dei“beats” e alla loro rara “potenza”sovvertitrice. Un moderno mantra,come il titolo giustamente suggeri-sce.

ORB – Auntie Aubrey’sExcursions Beyond the Call

of Duty Part.2 (Deviant) Imegalitici Orb, più sfavillanti chemai, si lanciano in orbita con ziaAubrey, grazie a uno speziale OrbRemix Project, un cd doppio delladurata di due giorni. Incerto assainel tentare la traballante sorte, misono infine avventurato nelcoraggioso ascolto. Orb è un cu-cùdel passato, potrebbero pensare ipiù; e come dargli torto! Le ultimeprove orbiste sono esili, un po’fuori fuoco, con la formula“ambient” da aggiornare all’epocanostra. E invece no. (Meravigliadelle Meraviglie!) L’astronave eco-dub piena di remix funziona allagrande; perlomeno il primo cd. Ilsecondo meno. Ma il primo, che siapre con le note del Danubio Blu diStrass catturate dall’inno dei KLF 3AM Eternal e si chiude con laPenguin Cafè Orchestra delcompianto Simon Jeffes, è vera-mente vertiginoso, quasi geniale.Già dagli estremi avrete capito lacornucopia di situazioni ri-ciclate,anche perché rimescolati trovatepure i Primal Scream, RobbieWilliams, Art of Noise e TubewayArmy. L’olimpo pop inglese di undecennio almeno. L’irriverenza deldottor Alex Patterson ha trasfor-mato gli inni popular in un florile-gio di trovate sonore, bassi dubcaldissimi, girandole ritmiche,calembour elettronici da strapaese.E tutto, incredibilmente, funziona.Brani dal torpore giamaicano-astroidale, in un qualche modoextra-terreni, come I started ajoke di Robbie Williams vs Orb e Jothe waiter di Gary Numan sonomemorabili, se non eterni, nellaloro circolarità dub. Altrove, comenella ri-mescola di Primal ScreamHigher than the sun – un altroclassico sballato! – i risultati sonoenormi; insomma, tutte le traccedel primo disco compongono unatrama fitta di microcampioni, dierbe elettroniche, di funghi ritmici,di humus aurali tiepidi, dirumorismi celesti, di precipsichedeliche da galassia elettrica.Un’elettronica barocca, colma didettagli, di particelle estranee altutto ma che fanno radice, rizoma:ecco di che cos’è affollata labisaccia del dottore in orbita.Così come è strabiliante la primaparte, la seconda cade nelmanierismo; e questo

Rogall – In Session – NoZession/(Sonar Kollektiv)

Ecco il cyberatleta dell’offbeat piùsmisurato. Stefan Rogall è unadelle due menti di Atomhockey,forse il miglior segreto dellaBerlino elettronica odierna; ementre gli Atomhockey indugiano,imbrigliati nel proprio torporemitteleuropeo, Rogall porta avantida solo e con abnegazione totale,la propria visione artistica forte-mente influenzata dal be bopdigitale e dal funk espressionista.Popola così le proprie sessionradiofoniche e la propria etichettaNo Zession di jazz ortogonale, digirandole funky, di disco-bossasudata e radicale, di soul notturnocon bassi erranti e indolenziti. Iritmi folli, i bassi irrequieti, leimplicazioni drammatiche ecupamente vitaliste dei suoniassemblati da Stefan Rogallrisplendono nella notte oscura diBerlino, città di “santi suonatori”che non cessa mai di stupire. Daascoltare a futura memoria: Kasar,Karel Velebny, Rogall, Atomhockey,Eva Bè, Landslide. In modo arditoe strano, la cifra artistica del suonodi Stefan Rogall risulta del tutto“collaterale” alle produzioni post-jazz e breakstep del Maffia SoundSystem e di Zed Bias in versioneMaddslinky e Da Luq. Che stia pernascere una scuola? Nota finaleper il sito dove poter ascoltare le“late night session” di Rogall edEva Bè: www.dj-sets.com

DOWN IN THEBASSMENT(Paolo Davoli)

“ambientalizzare” – questa volta“technificando” alla lombarda ognisquarcio sonoro, ogni traccia dasottoporre a remix - è il loro limitemaggiore: li rende stucchevoli. Manoi, alla malia della prima parte, larigogliosa “giungla sonora” delRemix Project, proprio non voglia-mo rinunciare. Vorremmo esseresempre lì, in quel caffè extra-galassia dove compareskancheggiando Jo il cameriere...

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BREAKBEAT(Luca “Rocca” Roccatagliati)

Red Star - West London(10 Kilo) Danny Briottet, ex

Renegade Soundwave sforna ilsecondo singolo come Red Star incompagnia dell’MC Spee. Unclassico giamaicano da rude-boytrifolato in salsa breakbeat conquattro differenti versioni: l’origi-nale supa-ragga con Spee in rapseguita dall’Old Skool mix con solobeats grezzi, bassi e vocal. Sulretro il favoloso Break-Nexx mix,tutto diretto alla pista con superbassoni e breaks pesanti, quasi un2step d’assalto, con la voce raggain evidenza, e per finire il CriminalBeats mix sempre a cura di Danny.

Chase & Status - Like This(Vehicle) Quarta release per

questa ottima label con tutte lecaratteristiche del suono nugarage-breaks nata e cresciuta allaserata Forward. Dopo l’americanoDJ Abstract ed il favoloso‘Disturbed’ di Bogey Man, arrivaquesto nuovo duo di break-scientists. Basso molto, ma moltodark che si insinua tra i wooferaccompagnato da una voce in loopdopante, tale da darne unadimensione lisergica. Moltosomigliante ad un branodrum’n’bass a 135 bpm, ‘Like this’sottolinea l’attitudine breakbeatcome scienza versatile e adatta atutte le piste.

B.L.I.M. - Crazy Things(TCR) Uno dei maestri del nu

skool break, ed anche bravissimoproduttore di drum’n’bass, Blim èentrato a pieno titolo nella famigliadegli electro-breaks masters, comeMeat Katie, Rennie Pilgrem, DarkGlobe e Paul Daley. Secondosampler per l’uscita imminente delsuo album ‘Lost in Music’, sono quiriportate due bellissime tracce dimoderna musica elettronica dapista. ‘Crazy Things’ è un bell’ibri-do di electro funk e techno, con ilsample di Scorpio e voci estaticheimmerse. Il retro, ‘Coming to’, incompagnia di Meat Katie è un altrokillerfloor tech funk.

Agent X - Decoy (PublicDemand) Uscito già un anno

fa, questo ‘Decoy’ mantiene lafreschezza di brano spacca-woofercome allora. Per essere sicuri diarrecare molto danno, il brano èriproposto in versione ‘Triple BassBashment Remix’, cosi che, come ilValve Soundsystem di Dillinja per ildrum’n’bass, Agent X sottolinea lasua attitudine nel creare breaksshuffle con contorno di pericolosesubfrequenze. Stile electro ragga,la melodia rimane semplice, ma lavibrazione è assolutamentemicidiale. Sul retro l’originale.

Evil 9 - Flex(Botchit&Scarper)

Super pezzone da Evil Nine,talento di casa Marine Parade sullarampa di lancio per diventare unanuova star del breakbeat.Killerfloor da dieci e lode, pieno difunk, techno e ragga, questo ‘Flex’,adatto all’ora di punta per qualsiasidancefloor adrenalinico. Il retro,‘Brainscan’, a cura di Funk Monsterè uno di quei brani breakbeat chefanno il verso alle colonne sonore,in altre parole con una lineamelodica malinconica e affascinan-te, ma creata da synth acidissimi esostenuta da breaks sincopatimagistrali.

Jammin - Tug Of War /Tonka (Bingo) Per gli

appassionati del breakbeat,sicuramente non sarà passatoinosservato questo artista a nomeJammin, che altro non è che Zincin veste breakstep. Ora, sempreper la sua mitica Bingo recordsarriva un altro gioiellino giàpresente nella super compila‘Bingo Beats vol.2’ della scorsaestate. ‘Tug Of War’ è un break coltema un po’ sciocco, quasi unamelodia da circo, ma la sciocchez-za sparisce in un secondo, quandoparte il treno di breaks e i vocalsfemminili. Bellissimo anche ‘Tonka’,un po’ più ragga, ma devastante.

Tim Deluxe feat. SamObernick - It Just Won’t

Do ‘Stanton Warriors Edit’(Underwater) Questo classicoestivo, quello con il video dellepallavoliste da svenimento, hafatto il giro di tutti i club commer-ciali e no. Il caro Darren Emerson,padrone dell’etichetta, commissio-na agli Stanton Warriors unarielaborazione che ne produce unbrano nuovo. Il cantato è ridotto,ma sottolineato da un breakbeatelectro di tutto rispetto. Quasi unmovimento afro, per un drumprogramming veramente serio,supportato da un basso tech edun’arrangiamento sotto il vocaloriginale molto spacey jazz.

Goldspot Production -Sonybeat /Thershold’

(Runnin’) Questo team nu-yorkese si sta facendo notare nelcampo del breaks che mischia 2step, D’n’B e techno. Dopo il loro‘Party’ per la Vehicle approdanosulla sub label della Bingo con lescarpe da ginnastica con un doppioA side, vale a dire buono daentrambe i lati. Già ‘Threshold’ suBingo Beats vol.2 faceva la suabella figura di Tech funk pieno dibassoni e ritmo steppato, maanche il nuovo ‘Sonybeat’ è unarandellata di dopa tech’n’bass a135 bpm.

Mark One - Turn It Up(Texture) Quarto singolo per

l’etichetta del grande Oris Jay, equarto centro per la scenabreakstep. Incalzante drumprogramming, che accompagna labassline grassa e malvagia pertutto il brano meravigliosamentearrangiato. Melodie da soundtrack,leggermente jazzate con synthinsistente e vocals nei breaks su‘Turn it Up’, mentre cassa drittaper ‘Equalizer’ su B side e atmo-sfere ultra dark per il terzo branodel singolo ‘Tribesman’.

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Qualche anno fa, quell’assurdotizio che è Adamski segnò il suoritorno alle scene (dopo varieperipezie, anzi, odissee personali)con un album dal titolo “MutantPop”: un modo di rivendicareorgogliosamente la voglia di fareuna musica che sia pop, che nonabbia nulla della nicchia altera, mache al tempo stesso possa permet-tersi di usare linguaggi nonconvenzionali. Ecco: forse unaragionevole (e raggiungibile?)

CIMAROSA COLLECTIVEMUTAMENTI RASSICURANTI

utopia per questo nuovo millenniopuò essere proprio questa. Untentativo che vale la pena diessere percorso – coniugareascoltabilità e voglia di utilizzarealcune soluzioni sonore che hannoportato grosse innovazioni. Unacosa che negli anni ’70 era sconta-ta, ma che già nel decenniosuccessivo è diventata improponi-bile. Gli anni ’90 hanno portato adei primi, pallidi tentativi diricomposizione. E ora?

Dare un’occhiata a cosa provienedalla piccola, placida Rovereto dàsoddisfazione. Abbiamo già parlatodel Summer Sessions, festivalestivo che dà a gruppi non proprioda top 10 la possibilità di esibirsi difronte a grossi pubblici con prezzid’ingresso popolari. Sempre daquelle zone arriva ora il CimarosaCollective. Senza velleità dispaccare il mondo in due (vedi lafrase che apre questo articolo),senza la pretesa di aver scoperto

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chissà cosa, Stefano Raffaelli eMarcello De Angelis si sonorimboccati le maniche e hannoprovato a fare qualcosa. Nelleparole di Raffaelli: “Effettivamentesiamo consci del fatto che èdifficile catalogare il disco all’inter-no di un genere specifico, maquesto è il risultato della formazio-ne musicale di ognuno di noi. Ioprovengo da un’area principalmen-te jazzistica, ma ho sempreascoltato le cose più disparate:dalla classica al funk. Inoltre, holavorato nell’ambiente discograficoanche in ambito pop, ed ultima-mente ho realizzato parecchiproduzioni world music e chill outper la Halidon Records”. DeAngelis: “Io invece ho ascoltatorock per anni, poi – durante unamia permanenza a Londra – sonorimasto folgorato dalladrum’n’bass: le prime produzionidella V Recordings, la MovingShadow… c’era un fermentoincredibile, era impossibile nonrestare affascinati. Da lì ho iniziatoad appassionarmi all’elettronica insenso lato, ascolto breakbeat cosìcome le cose della Warp o dellaRephlex”. Cosa succede quando simettono insieme tutte questeattitudini? Succede, che moltointelligentemente, si cerca diallargare il timbro espressivo, diformare qualcosa che “respiri”attraverso la contaminazione disensibilità musicali diverse: “Ilnome del progetto proviene daDomenico Cimarosa, clavicembali-sta e compositore del ‘700.Volevamo infatti dare al progettouna connotazione italiana, da lìquesta scelta per il nome. Ma altempo stesso abbiamo scelto sindall’inizio di far girare attorno a noidue musicisti diversi a secondadelle esigenze espressive. Nelnostro lavoro d’esordio hannocollaborato Arup Kanti Das, tablistaindiano, Gilson Silveira,percussionista brasiliano, lacantante Elisa Amistadi, iltrombettista jazz Walter Civettini;così come su tre brani ci siamoavvalsi del contributo di unquartetto d’archi provenientedall’Orchestra Haydn di Bolzano. Cisiamo divertiti un sacco in studio,anche perché alcune cose sononate da improvvisazioniestemporanee. Un apporto prezio-so in termini creativi è stato datoanche dal nostro fonico Fabio DePretis”. La risultante di tuttequeste forze (sembra quasi distare sui manuali di Fisica allesuperiori) è giocoforza un insiemedi equilibri contrapposti. Nessunaestremizzazione, nessuna sceltache vada in una direzione precisarifiutandone altre: in questi casi il

segreto è evitare le paludi di unafredda accademicità. Tentativosostanzialmente riuscito. Ancheperché si partiva avendo in mentepunti di riferimento molto interes-santi: “Stimiamo molto gruppicome Fun>Da>Mental eTransglobal Underground, cosìcome Badmarsh & Shri, gente cheè riuscita a creare uno stilepersonalissimo fondendo ritmichebreakbeat con sonorità etniche. Liabbiamo visti più volte dal vivo esiamo rimasti davvero impressio-nati dalla qualità del suono e dallachiarezza della direzione”. E’significativo questo focalizzarsisulla “chiarezza della direzione”:anche perché essa non limita, anziaiuta la possibilità di muoversipartendo da territori musicalmentemolto vasti: “La ricchezza dicontenuti dell’ethno modalefornisce a noi musicisti stimolisempre nuovi nel cercare unarelazione trasversale tra Oriente eOccidente. Così come nella musicaelettronica sono presenti i volti piùdiversi: chi ha bisogno di comuni-care con la forma-canzone (anchese pensiamo che essa si stia un po’destrutturando), chi invece lavoraesclusivamente sul groove.Dipende sempre dal brano, dalmodo in cui lo si vuole sviluppare,non c’è una regola fissa in parten-za”. Ecco che quindi in questoalbum dei Cimarosa si ritrovanomomenti che fanno venire allamente la tromba jazz-futurista diNils Petter Molvaer (gli impastisofficemente drum’n’bass di“Nubes De Priza” e “Dayz Go By”),schegge del tipico suono-Doradodei tempi belli, ci riferiamo adOutside e D*Note, ovvero armoniemodali, bassi corposi ed ossaturebreakbeat (“Floor 5”, “Gare DesEtrangers”), esotismi elettronicioccidentalizzati ma non stucchevoliin cui affiora addirittura una cassain quattro downtempo (“Plaza DeMayo”). Ma ci sono anche alcunipezzi che richiamano fortementealla mente Elisa, quando puòpermettersi di fare cose nonbanalmente commercialoidi(soprattutto in “Where Life Hides”,dove la prestazione vocale di ElisaAmistadi è davvero ottima: saràuna questione di nome?). Insom-ma, musica che si ascolta volentie-ri, e che può parlare a molti – ladefinizione di musica pop, no?Senza però cedere alla castrantetendenza di bilanciare col misurinoi suoni più annacquati, rassicurantie radiofonici, ma anzi, venendoanimati dalla voglia di mettere inpiazza le proprie passioni musicali.Un’attitudine positiva, un’attitudineche può fare bene.

Il sound è quello chevolevamo ottenere perquesto primo lavoro,quindi ci riteniamo sod-disfatti… Siamo consa-pevoli di aver fatto soloun primo passo, adessoper noi la priorità è farciconoscere con dei liveset. Speriamo intantoche pubblico e critica siaccorgano dell’uscitadell’album. Poi si ve-drà…

Cimarosa Collective - CimarosaCollective (Halidon)www.halidononline.com

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Il dossier Ipercittà del numero scorso (#17),indagava il rapporto tra città, musica elettronicaed architettura. Buona parte dell’inserto erafocalizzato sulla figura del musicista-architettoIannis Xenakis. Ora l’Asphodel – etichettadall’orecchio assetato di San Francisco – coninaspettata celerità ci fornisce nuovo mate-riale per l’itinere della sinfonia“iperurbana” architettonica.

Zbigniew Karkowski, il curatore dell’operazione perl’etichetta californiana, riesuma un capitolo poco frequen-tato del compositore Xenakis dedicato a Parsa - chiama-ta dai greci Persepolis – la capitale dell’impero persianofondata nel VI secolo avanti Cristo. L’opera fu realizza-ta nel 1971 e venne commissionata dall’allora ShahMohammad Reza Palhavi per commemorare l’anni-versario della fondazione della città avvenuta 2500anni prima.Non furono solo motivi d’intrattenimento e dicelebrazione quelli che animarono il despotapersiano; non giocò certo un ruolo secondario lavolontà “abbronzante” dello Shah attraverso lariesumazione delle antiche gesta dei “Re dei Re”persiani quali furono Serse, Dario e Ciro, di cuiegli si considerava legittimo erede. Lo Shah RezaPahlavi commissionò dunque a Xenakis unapiece commemorativa dai tratti giganteschi,faraonici, con oltre seimila comparse coinvolte,da eseguirsi nel sito archeologico originariodella città morta, abbandonata da oltre 2000anni. Persepolis era ancora impregnata di quelfascino “funereo” che ammantava città antichecome Ebla o Pompei, grazie alle magistrali“rovine” che ne testimoniavano gli antichisplendori.Chissà quanto fu combattuto Xenakis, nell’ac-cettare il “peloso” compito sonorizzante.

Persepolis disco è una anabasiinterdisciplinare. E’ un mondo intero ad essereevocato, fitto di trame e rimandi profondi elontani; da Dario il Grande– il re dei Persianiche iniziò la costruzione di Persepolis nell’impo-nente altopiano iraniano del sud – ad Alessan-dro Magno – che la distrusse duecento annidopo; dall’imponderabile mondo mitico-politeista ellenico all’imperscrutabile mondo pre-monoteista della religione di Zarathustra; dall’Apadana – il gioiello architettonico di Persepolisutilizzato come sala delle udienze e in grado dicontenere oltre diecimila persone – all’agorà-stoà– la piazza e il portico delle antiche città greche;due concezioni dell’architettura che individuano eaccentuano le discontinuità tra i diversi “orizzonti”dello spazio urbano esperiti dall’uomo nell’antichità:il primo relativo alla polis e alla democrazia greca, ilsecondo alla capitale dell’Impero e al dispotismoorientale. Libertà e tirannia dunque a confronto in duemodelli socio-culturali antitetici e antagonisti: Grecia ePersia, archetipi d’Occidente e d’Oriente. Ed è ancorauna città, Persepolis, a riassumere, a dare forma, alpensiero di una civiltà e a essere il terreno in cui si

misura lo “scontro”: ma forse lo Shah scegliendo il

NELL’ANIMA TRAGICA DIUNA CITTA’ IMPERIALE

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compositore greco, non scelse solo ilcapace musicista, il “modernista”supremo che incontra le contraddi-zioni dei due mondi. Dietro le quinteci furono probabilmente più sottiliintendimenti: chiamare l’artistagreco, di formazione pitagorica efilosofica, a musicare la nascita dellacittà che simbolizzava il poterepersiano pre-islamico, rappresentavaanche una sfida laica di altissimolivello al montante mondo rivoluzio-nario sciita. A Xenakis, che fuarchitetto professionista, nonsfuggirono certo tutte le implicazionie le potenzialità, anchearchitettoniche, della committenzairaniana.

Xenakis, all’altezza dei suoi miglioriesperimenti musicali-ambientaliprecedenti, organizzò un eventodall’altissimo impatto emotivo espettacolare. Concentrò la propriaattenzione sul fatto che Persepolisfosse una capitale non solo politicama anche religiosa. Il culto riverito aitempi di Dario e Serse era quello diZarathustra, profeta (riformatore)del dio Mazda i cui templi avevano alcentro altari di fuoco. Zarathustracredeva nelle divinità luminose – gliangeli – e nella lotta perenne traluce e tenebre; molte delle sueprediche ruotavano intorno alconcetto di Dio incorporeo,onnipresente, costantemente“esternato” dalla luce sovrannaturaledello spirito santo, in eterna lottacontro il male – l’oscurità. Xenakisriprende il fattore luce e lo imponecome centrale nella sua performanceiraniana. Farà spettacolari giochiluminosi, attraverso fari nella notte,fuochi d’artificio dispiegatisull’altopiano desolato, torce lumino-se agitate in lontananza da centinaiadi bambini, nascosti sulle colline checircondano la città spettrale. Nonsolo, anche i laser avranno un ruoloimportante durante l’esecuzionedella piece persiana. Xenakis, oltrealla scenografia luminosa, dispiegòun ampio apparato fonico, distri-buendo squarcianti volumi di suonoattraverso 59 speakear posti a terratra il pubblico. La spazializzazionedel suono e della luce, il fascinodell’antica città imperiale immersanella notte e l’architettura evocantela grande civiltà persiana delleorigini, rese indubbiamente la miseen scene di Persepolis un eventodalla straordinaria efficacia.

Separiamo comunque l’inverarsidella piece dall’espressione del discovero e proprio. Registrata su unnastro a otto tracce, questa compo-sizione dura quasi sessanta minutied è stata curata dal maestro grecodirettamente negli studi parigini

dell’INA-GRAM, l’istituto nazionaleper l’acustica e la ricerca sonorafrancese. Il carattere della musica diXenakis esce esaltato dalla comme-morazione di Persepolis: rumorismoconcreto denso, stridente, implacabi-le. A tratti nell’opera emergono ampisquarci di sospensione grazie apercussioni lasciate sullo sfondo,lente, sepolcrali, mentre volteggianosciami di materia sonora, entranti epoi dileguanti con la stessa vaporosaefferatezza. In Persepolis s’incrocianocontinuamente traiettorie di suono,con masse che appaiono e scompaio-no sgretolandosi nel nulla, come asottolineare il caos incommensurabile- l’ambiente primigenio che cicirconda - e l’aleatorietà del processosonoro. Il granulare compostogenerato da macchine e onde sonoretaglia, incide, affonda nelle spiredella materia aurale. Un’orgia disibili, tonfi, stridori, acumi valvolari,sferragliamenti elettronici, golesurreali di suono puro, astratto,incontaminato, scavano solchi“tragici” nell’urbe iraniana. Devastan-te nonché affascinante per la sordalibertà espressa da questo suono,Persepolis rimane a lungo nellanostra memoria. Non c’è enfasi inquesta musica, ma solo dolore eferocia. O muto sgomento…

L’etichetta Asphodel non paga deisessanta minuti concreti di Xenakis,mette un secondo cd di omoninternazionali dediti alla deturpazionedel suono, nomi già noti nel jet setdel rumorismo elettronico-sperimen-tale. Cosa pretendere di ancor piùefferato della musica organizzata daXenakis? S’incaricano di noisizzare ilGrande Rumore Universale il polaccoKarkowski, il tedesco Langheinrich, lospagnolo Lopez, i nipponici Merzbow,Yoshihide, Ikeda e Construction Kit einfine gli americani Antimatter eLaminar. Una Internazionale delRumore che si dà da fare con laptop,feedback e Q-base a scorticare,brutalizzare, disossare, lapulviscolare musica di Xenakis.Rumore su rumore, sibilo dopo sibilo,ronzio contro ronzio, il disco si avviaalla mesta chiusura. Non prima peròdi potervi segnalare il remix piùcalzante, quello dell’americanoAntimatter, che impasta il brodosonoro in una cupa sotterraneitàminacciosa. Gli altri autori rimangonoimbrattati da una routine pocofantasiosa. Che aggiungere ancora?Meglio l’originale di Xenakis, ofcourse.

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Iannis Xenakis – Persepolis(Asphodel)

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Un uomo che ha sempre unavisione delle cose: impossibilenegare questo titolo a RichardMaguire. Una visione spiazzante,sapida, controcorrente, sfrontata,appassionante, disturbante. Nonpotrebbe essere altrimenti, peruno che nella sua identità “artisti-ca” si è cambiato il cognomeanagrafico passando da Maguire aFearless (“Senza paura”, latraduzione). Si può anche nonessere entusiasti di questo nuovo“Scorpio Rising”: un impasto dirock psichedelico anni ’70 (sì,avete letto bene), uncaravanserraglio di chitarreledzeppeliniane con poche (nessu-na?) concessione all’elettronica,una manciata di ospiti che viradecisa verso il brit-pop piùurticante (Hope Sandoval, DotAllison, Paul Weller, LiamGallagher). “Ho tenuto un classicoapproccio da songwriter, a questogiro. E no, non mi offendo se siparla di brit-pop per il nostrodisco... anzi. Un po’ ci sentiamo diappartenere a questa scena”;sentire questa cosa da uno dei djpiù celebrati della club culturebritannica, da colui che ha portatoin alto i fasti delle serate HeavenlySocial ricevendo il testimone daTom & Ed, ovvero i Fratelli Chimi-ci… “Se intendi la cosiddetta scena

della club culture, non credo poi difarne davvero parte. La questioneè molto più semplice: sono unoche ama la musica. Fin da ragazzi-no. Un fan, un fan di molte cose.Poi è vero che fare il dj è per mequalcosa di splendido e moltoimportante e anzi, nel mio essereartista fare il dj ed essere scrittoredi canzoni sono cose completa-mente coincidenti, una non puòfare a meno dell’altra. Così come tiposso dire che la mia vita è statasegnata dall’incontro con la musicadi Derrick May e Andy Weatherall,così come con quella diUnderground Resistance. Inoltre:ho un rispetto sacrale per il ruolodel dj, è per questo che io amo,fortissimamente amo le residenze,dove puoi costruirti un rapportocon la gente nel tempo, tu impari aconoscere loro e loro imparano aconoscere te. Se prendiamo tuttequeste premesse, allora sì, magarisi può dare che sono tutti segnalidi appartenenza alla club culture:ma la cosa mi interessa relativa-mente… così come trovo moltospesso stucchevoli i discorsi in cuila club culture si interroga su sestessa”.Vale la pena entrare nel mondo diRichard Fearless. Appunto, nonsolo un dj. Me nemmeno solo unmusicista. La carica iconoclasta dei

DEATH IN VEGASLA RIVINCITA DELLO SCORPIONE

“Con ‘Scorpio Rising’abbiamo voluto dare unabella sterzata. C’è unaprofonda differenza traquesto nuovo disco e“Contino Sessions”, unradicale cambiamento dirotta. Abbiamo lavoratoseguendo le classichetracce della forma-can-zone”.

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una visione unica sulle cose, diuna personalità senza pari: “Perme il passo fondamentale èriuscire a crearsi e a coltivarsi unproprio stile individuale. Chiunqueci riesca ha la mia incondizionatastima, al di là del risultato. Troppagente segue la massa. Rischiamodi morire di noia e diomologazione. Io so di non correrequesto rischio, nel bene e nelmale, e sono contento così – madel resto non mi pongo neppuretanto il problema”. Noia?Omologazione? Verrebbe da farciriflettere sui destini del big beat,termine ormai demodé (rischiosousarlo!), proprio per colpa diquesti due fattori, delle tanteimitazioni calligrafiche di unaformula che, a ben vedere, hacontrassegnato pesantemente glianni ’90. Entrare nel mondo diDeath In Vegas e di RichardFearless riporta a contatto col verospirito del big beat (o come voletechiamarlo adesso): furiaiconoclasta, voglia di accostareelementi distantissimi fra loro percreare miscele deflagranti. Alchi-mia della sfrontatezza sonora. Ed è

Death In Vegas (evidente fin dalnome), la pacchianeria sarcasticadei loro riferimenti stilistici (“DeadElvis”, titolo del primo albumdatato 1997, ha un nome che sicommenta da sé; “Scorpio Rising”è anche il titolo di uncontroversissimo cortometraggiodel 1964 di Kenneth Anger), hacreato nel tempo una cifra distinti-va non solo sonora che fluttua trail punk, Fatboy Slim e le asprezzedi Underground Resistance (pernon parlare degli zeppelismi diquesta ultima svolta…): qualcosadi unico. E comunque sapido, perqualcuno magari urticante, peraltri esaltante, e qualche voltaentrambe le cose assieme.L’artwork dei cd di Death In Vegase anche di tutto quello che riguar-da la galassia-Fearless, architetta-to in combutta col socio WillBeaven, ha sempre un che disordido. Siamo distanti, piuttostodistanti dalle levigatezze e dallavera e propria voglia di anonimatoche connota buona parte dellascena elettronica. Death In Vegasostenta beffardo. Siamo comunquealla presenza di un progetto, di

così che assume molto più senso“Scorpio Rising”: bisogna leggerlopiù nell’attitudine che nella forma.Ed è così che vi ritroverete, convostra grande sorpresa, voi,amanti dell’elettronica che col rockavete sempre avuto poco a chespartire, ad ascoltare una, due, trevolte i chitarrismi seventies (conderive tanto neworderiane, “HandsAround My Throat”, quanto hard-bollywoodiane, “Help Yourself”) diquesto ultimo lavoro di Fearless edel suo socio Tim Holmes… pianopiano, entrerete nel loro mondo…sabbie mobili infette… senzaneanche chiedervi se quello chestate facendo sia giusto o meno,se “Scorpio Rising” è effettivamen-te un gran disco o un velleitarioironico esercizio di stile. Sarcasticaindefinitezza. In tempi precisi,pulitini, avidi di rassicuranticategorizzazioni, tutto ciò èveramente salutare.

Death In Vegas - Scorpio Rising(BMG)www.continorooms.com

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LA PROFONDITA’E’ IL MESSAGGIOte

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Il giapponese Krush si è dimostrato – per l’ennesima volta – un artista magistrale: nella suaunica data italiana ha proposto un dj set dalle atmosfere magiche, poggiato su groove scom-posti e dilatati, elettroniche lunari e jazzerie sublimi. Un flusso di suoni che crea stupore ecoinvolge il pubblico nella propria dimensione “spirituale”. Il nuovo album “Shinso - Messageat the Depth” è la conferma di un’arte raffinata e completa, frutto di un’estetica implacabile.E’ un flusso, quello di Krush, che divora …

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Sarà la distanza che ci separa dalGiappone, ma la discografia di DjKrush è spesso un mistero carsico.Può andarci (abbastanza) benequando i dischi sono prodotti damajor o comunque da etichettebasate in Europa: pensiamo a‘Zen’ uscito per la Sony/Columbia,oppure a tutto il repertorio targatoMo’ Wax (l’lp ‘Strictly Turntablized’,tanto per citare il titolo). Poi cisono invece dischi che vagano,come degli autentici UFO, in pochecopie d’importazione che affioranonei posti più strani (a noi ècapitato di avvistare per puro casoil sublime mix-cd ‘Code 4109’ in unipermercato, stretto fra la Pausinie Ramazzotti, dopo averlo cercatoper un bel po’ in negozi specializ-zati). Ecco che quindi non c’è nulladi strano nella ridda di voci che noiappassionati krushiani ci siamoscambiati negli ultimi mesi: “Ma èuscita roba nuova?”, “Ha fatto unep?”, “E’ uscito qualcosa solo per ilmercato giapponese?” – tuttedomande senza risposta, perchéanche il sito ufficiale non è chiaris-simo sugli aggiornamenti piùrecenti. Puoi sì vedere un titolonuovo, ma resti col dubbio se sitratti di materiale inedito sfornatodal Maestro oppure più semplice-mente di un mix-cd (che per altrol’arte di Krush trasforma sempre inqualcosa di unico).Molti di voi che state leggendoqueste righe di UltraTomato saretevenuti alla bellissima serata del 2novembre, quando Krush hadispensato fra le pareti del Maffiasopraffina scienza turntablistica.Per noi è stata anche l’occasione discambiare qualche chiacchiera,tramite interprete, col cortesissimodj; chiacchiere che alla fine sonosfociate in un omaggio a dir pocoapprezzato, ovvero una copia diquello che è a tutti gli effetti ilnuovo lavoro ufficiale di Krush. Nelmomento in cui scriviamo nonsappiamo se e come sarà faciletrovare nei negozi italiani questo‘Message At The Depth’. Si trattaperò di un lavoro all’altezza dellasua fama, con anche collaborazionisfiziose con l’attuale avanguardiahip hop (Antipop Consortium,gente della Anticon…). E perinvogliarvi ancora di più a uncertosino lavoro di ricerca perriuscire a procurarvene una copia,abbiamo chiesto al valente DjRocca del Maffia Sound System(colui che materialmente si èaccapparrato il prezioso lp, ilmaledetto) di farvi una guidaall’ascolto…

IL MISTERO CARSICO

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L’astrattismo di Dj Krush è senzadubbio la sua peculiarità più eviden-te, peculiarità di cui è diventato unmaestro assoluto. L’artista giappo-nese è arrivato al nuovo album contutta la sua poetica visionaria efuturista in grado di interagire con ilinguaggi hip hop derivanti da tuttele scuole e deviazioni. L’album siapre con una suite intitolata ‘TheBlack Hole’, una vera e propriacomposizione dinamica, con chiari escuri, come un quadro in musica,una specie di sonorizzazionespaziale su beats plumbei e scorieritmiche. ‘The Black Hole’ trasportal’ascoltatore nello spazio più infinito,con il suo galleggiare su tappetiambientali alla Eno che riecheggianoda lontano, cercando spazio tral’apoteosi di ritmiche pigre talvoltaspigolose e pungenti, talvolta gravie rotolanti. Segue un’altra traccia dipura emozione in musica,‘Trihedron’, con anche questa voltadifferenti periodi all’interno dellostesso brano. L’atmosfera deep sidipana tra ritmiche cangianti cheaccompagnano differenti momenti diintrospezione acustica, tra situazionilisergiche e scurissime, sottolineateda un contrabbasso minaccioso emelodie devianti. La prima collabo-razione è nel brano ‘Supreme Team’,traccia registrata a New York con gliAntipop Consortium, musica compo-sta da Krush in attinenza con il nuhip hop beat alla Warp; liriche diHigh Priest e Sayyid: crunch beats,basso subacqueo e rime in acidotrasportano sempre più chi ascoltanel profondo mondodell’avanguardistica sperimentazionehip hop. Con il rapper nipponicoInden, Krush crea una traccia daltitolo illeggibile, naturalmente conideogrammi e non lettere, ma con ilsuono 100% elettronic-hop, moltovicino alle produzioni dei tedeschiChris De Luca e Peabird.Segue ‘The Lost Voices’, e l’astrona-ve partita da Tokyo atterra aKingston per fare salire Sly Dunbare Robbie Shakespeare, altra collabo-razione illustre. Una vera e propriatraccia di liquid dub, suonata live,con i delay scratch tipici di Krush, lab-line dal maternal bass di Robbie ela echo drum di Sly... da leccarsi ibaffi per chi ama il down beat diclasse. Ancora una traccia di hip hopmalato, ‘Song For John Walker’, conl’aiuto della cricca di Anticon allerime alias Dose One, Passage,Pedestrian, Sole e Why?. Registrataad Oakland con filosofia lo-fi, Krushsi avvale di una batteria elettronicae una Casio CZ-101 per una jammolto deep e creativa. L’amore per iljazz che ha sempre accompagnatola sua carriera affiora nella bellissi-

ma ‘But The World Moves On’, checome ai tempi della Mo’ Waxconiuga la funkyness conl’atrattismo e la profondità di unassolo di sax soprano e flauto acura di Masato Nakamura. Modernjazz come solo pochi riescono acreare. ‘Sanity Requiem’, altrobrano di sperimentazione, èancora una grande prova di quantopossa essere dark e profondamen-te angosciante l’elettronicaapplicata all’hip hop.Non poteva mancare la traccia dipop alla Krush, ‘Alephevo(Truthspeaking)’, con un magistra-le arrangiamento del cantato diAngelina Esparza, frammenti dichitarra acustica, arpeggiflamenco, nebbiosi tappeti ritmici edrones ultra deep. Una sorta dir&b ‘bastardo’, abbastanza diclasse da essere in linea con latematica della profondità. Ancoraun cantato, questa volta conAbijah, ed ancora un ibrido pop.Atmosfera dub reggae, ma dall’ot-tica nippo-spaziale tipo AudioActive, per una vera e propriacanzone pigra e leggermente

IL MESSAGGIO NELLA SUAPROFONDITA’

Dj Krush - Shinso - TheMessage At The Depth (Sony)www.mmjp.or.jp/sus/krush

malinconica. Chiude l’album lamicro traccia ‘D’You Hear That?’,ed il viaggio nelle profondità delbeat del maestro si interrompebruscamente per risvegliarel’ascoltatore dal lungo viaggio...

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il piano programmatico della serieblue (precedenti “masses” dispring heel jack, “nu bop” dimatthew shipp) è quello di fondereassieme dj culture e jazz. l’orec-chio assetato sa il fatto suo.occorre essere auralmente miopiper restare calmi e indifferenti difronte ad “optometry”, che(di)segna l’incontro tra quelpischello subliminale e artisti comematthew shipp, william parker, joemcphee e guillermo e brown, carlhancock rux, daniel bernardrouma, pauline oliveros, bill martin(medeski, martin & wood),napoleon (iswhat), daniel carter,high priest (anti-pop consortium).una squadra di calcio che haprodotto un disco da ascoltare congli occhi e vedere con l’uregia.creare il nuovo riciclando il vec-chio, familiare e innovativo dannoluogo ad una tensione semprestimolante nella metropoli delremix persistente. i nuovi linguaggidei vecchi media, rimediandofinché si può. vecchi suoni pernuovi padiglioni auricolari. il jazzdel secolo ventuno ha un bit alposto del cuore ed è cosa buona egiusta. optometry brilla senzastrafare, una conversazione audioche non comincia mai veramentema non finisce neppure, resta lìsospesa, tra obsoleto e high-tech.del resto la filosofia della serie bluedell’orecchio assetato assatanato èquello di proporre jazz agli elettro-nici e proporre gli elettronici aijazz, fa molto bay area, fa moltobroadband, fa molto lo-fi + wi-fi. ilnu bop che incontra betty boo, condj spooky che produce e guida ilcaravan, fa girare i piatti e cimette molto di suo, pure kalimba.

improvvisazioni ma in realtà sonocibo per la mente (spooky lochiama “jazz for the genre splicegeneration”), siamo tutti freaksand geeks. non c’è centro, néperiferia, ma solo suoni. fusione avolte confusa, ed è questo il bello,non parliamo di rivoluzione, nonparliamo e basta, ascoltiamo. per ilfree jazz avant-garde, hip hophurrà. rating: 4 pomodorini.

“Optometry, ascoltare con gli occhi”

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titoli avveniristici per un pubblicowired, “variation cybernetique:rhythmic pataphysic (part i)”, ilprimo vero colpo di scena dell’al-bum. e qui qualcuno lascia, altrimangiano catrame e spooky tirafuori dal cappellino kangol “asphalt(tome ii)”, pauline oliveros e carlhancock rux. manca solo paolinopaperino. molto sicuro di sé,decisamente metareferenziale,magari poteva durare un po’ dimeno (“rosemary”: perché?),d’accordi i graffi, ma i graffitivocali firmati duchamp no, quellino. breakbeat funky con un gocciodi trip hop qui e lì, tanto jazzlibero, ma sopratutto, loop prodottidal laptop. sembrano

DJ Spooky- Optometry (ThirstyEar Blue Series, 2002)www.djspooky.com

DJ SPOOKY,DUE PIATTI E UN COLTRANE

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La scena drum’n’bass, che pone lesue radici nei primi anni ’90, èarrivata ad ora 2002 ad essere lascena più forte nel clubbinglondinese e non solo. A discapitodegli jettatori che ne decretavano giàl’estinzione nel 1997, questa scena èrimasta nell’underground perforgiarsi al meglio come creatività,intelligenza e qualità. Naturalmente idj e produttori che ne hanno per-messo la longevità sono piccoli geniche col passare degli anni hannoacquistato rispetto e successo.Tuttora i migliori e più creativipersonaggi sono sempre gli stessiche ne hanno permesso la nascita,mi riferisco a quei Goldie, Hype,Grooverider, J Majik, Dillinja, RoniSize che hanno cresciuto unagenerazione a suon di batterie ebassi plagiati alla propria futuristicaattitudine di tradizione giamaicana,cioè fare musica e suonarla ‘per lagente’. Indiscutibile l’apporto dellafrangia di nome Ganja Kru, unapiccola ed artigianale industria dimusica drum’n’bass con un persona-le ed efficacissimo suono, fondata eportata al successo da tre bianchiinglesi con il pallino dell’hip hop,della musica giamaicana e della pistada ballo: Dj Hype, Pascal e Dj Zinc.Quest’ultimo in particolare è, a mio

parere, il più interessante e creativoproduttore/dj della ‘premiata ditta’ edell’intera scena. Formazionestandard nella cosiddetta primagenerazione del drum’n’bass (cioètutti i protagonisti del movimento dal1991), in poche parole, fascinazioneper i rave, amore per il djing, epassione sfrenata per l’hip hop e ilragga. Due anni di residenza al miticoclub Desire, e poi dritto in studio conl’amico produttore Swift. Primi singoliper le allora super undergroundlabels, come la Suburban Base, e laBrain Progression, per la qualeetichetta realizzò tra il ’92 ed il ’93una serie di compilation in compagniadegli allora sconosciuti Intalex e AndyC. La già in ascesa label di Hypeaccoglie a braccia aperte Dj Zinc cherealizza subito il brano che lo avrebbeconsacrato negli anni a venire, quelgeniale incrocio tra hip hop edrum’n’bass che è ‘Super SharpShooter’. La famiglia Ganja decide diaprire la sub label True Playaz e Zincsi fa in tre per sfornare bombe atutto spiano, come ‘Freestyles’ e‘Dope Skillz’, portando lo status dellanuova label a vendere addirittura15.000 copie del singolo di Dj Hype‘Peace, Love & Unity’. L’ecletticoalbum di Zinc ‘Beats By Design’ escenel 1999 e fa compiere un secondo

DJ Zinc - Free Note EP (TruePlayaz)www.true-playaz.co.uk

giro di boa alla sua carriera eall’intera scena dance undergroundcon il suo approccio rivoluzionario adun genere di gran moda al periodo, il2step. Semi nascosto e quasi passatainosservata nel suo album c’è unatraccia intitolata ‘138 Trek’ che comeun terremoto darà origine ad unanuova scena e ad un nuovo genere:il breakstep. Il successo porterà lafamiglia Ganja a fondare una nuovasub etichetta proprio per quelparticolare suono, la Bingo Beatsrecords, cosi che negli ultimi dueanni Zinc si è raddoppiato realizzan-do fantastiche produzioni d’n’b (consuccessi come ‘Casino Royale’) esuperbe operazioni breakstep anome Jammin e due compilationBingo Beats. I denominatori comunirimangono sempre la freschezza, lamatrice black funk e ragga e l’attitu-dine quasi maniacale per la pista…caratteristiche non da poco se sipensa che l’incremento della produt-tività non è sempre sinonimo diqualità!

DJ ZINCTRUE PLAYAZ FOR REAL!

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Syntax - Coming For YouEP (Reinforced) Come al

solito la Reinforced garantiscequalità, e questo doppio singolo neè l’assoluta conferma. Quattrotracce al fulmicotone, piene dimusica da pelle d’oca, come ora èil miglior drum’n’bass. La festa deisuoni incomincia con ‘Coming ForYou’, brano funky seventy caratte-rizzato da un riff di piano epercussioni, si continua con il deephouse d’n’b ‘So confused’, perarrivare al super jazz-rollin‘Breakout’, e concludere semprepiù avanti con un brano con lacassa in quattro che si trasforma inpuro rave d’n’b: ‘Back to the 4’.

DRUM’N’BASS(Luca “Rocca” Roccatagliati)

AaVv - Soul:ution Part.1(Soul:R) Dopo una manciata

di singoli d’altissima qualità,l’etichetta di Calibre ed Intalex, silancia nella release di tre volumidedicati alla produzione di primaclasse. Il primo doppio 12" siavvale di artisti come Intalexstesso con la giovanissima ebravissima Jenna G (‘Lover’), ibrasiliani Marky e XRS con ‘Closer’,Sonic con ‘Right Now’ e l’austriacoD-Kay con il suo ‘Balearic Dreams’.Sicuramente uno dei miglioriprodotti drum’n’bass del 2002.

DBD - Funky People(Musica)

Dietro questa nuova label, equesta dubbia sigla si cela un triodi produttori un tempo dediti aldrum’n’bass più cupo: Dylan, B-Key e Damage. La nuova guisa èper così dire opposta, cioè la triadeci delizia con una produzioneassolutamente funky solare, stile‘Love Is Not A Game’, con unasopraffina leggenda come TakaBoom alla voce per un branohousey da lacrimoni. Decisamenteper la pista, ma trascinante anchemelodicamente, questo ‘FunkyPeople’ ha sul retro la versionedub.

Shy FX - Wolf ‘DillinjaRemix’ (Ebony) Il nome più

caldo dell’attuale panoramadrum’n’bass sta riempiendo ilmercato con nuove produzioni perla massa e mantiene la suaoriginale attitudine undergroundcon CD mix stile radio pirata, nelfrattempo, però, con la suapersonale etichetta Ebony sfornaun ‘one side mix’ con la versionespacca-woofer del suo vecchio“Wolf”. Dillinja si appropria dellafunkyness contenuta nel branooriginale per farla riemergere asuon di subfrequenze e cassesuper compresse, con frammentidi voce qua e là a porre l’accentosul groove.

Shy FX & T Power - Don’tWanna Know (Positiva) La

super coppia campione di incassi, inostri paladini della riscossa deldrum’n’bass non potevano che fareun secondo centro. Dopo che illoro latino ‘Shake Your Body’ èarrivato nelle chart inglesi e nellevalige di tutti i dj drum’n’bass delglobo, il ‘timidone’ e Mr Rubini ciriprovano con DI e Mc Skibadee, ilmitico Mc dei Pressure Drop.Versione cantata ed acapella, edun super remix dopante connientemeno che la star del nuovoragga giamaicano Elephant Man.

High Contrast - Music IsEverything ‘Remixes’

(Hospital) Il giovane talento,testimonial della rinascita deldrum’n’bass tinto di soul, crescesempre di più in fama e riconosci-mento. Dal suo ottimo album, esceil primo singolo di remix allabellissima traccia vocale ‘Music isEverything’, a cura di altrettantidue remixer amanti del D&B che sitinge di R&B. Il bellissimo remix diDanny Byrd è già un classico, conun arrangiamento pieno di musicae di energia allo stesso tempo. Piùche necessario anche il remix diInflux Datum che utilizza gliaccordi di pianoforte e rilavora lavoce originale.

Dj Marky & XRS Land - LK‘M.I.S.T Remix, Scorpio

Remix’ (V Recordings) Già ilbrano originale è un successo digran classe, addirittura approdatonelle charts inglesi, uno di queiclassici che si possono suonaresempre… bene, per non usurarel’originale arrivano in aiuto duesingoli con niente meno cheMarcus Intalex & ST Files a farneun remix quasi balearic, e lacoppia Die+Roni a renderlogommoso come la Full Cycle ci haabituato. Sui reciproci retro unremix d’n’b addirittura di DaveAngel, ed un remix di D-Product alsuo ‘Faithless’ di qualche anno fa.Da avere entrambi. E-Z Rollers - Back To Love

(Moving Shadow) Tra icollettivi di produttori più longevidella scena, gli E-Z Rollers sonoarrivati con il loro terzo album perla sempreverde Moving Shadow.Due 12" differenti d’anticipo, ilprimo con ‘Back to Love’ remixatoda niente meno che Roni Size, e‘One crazy diva’ in versioneoriginale sul retro. Il secondosingolo ha gli stessi brani delprimo, ma con la versione originaledi ‘Back to love’, ed il remix deephouse di ‘One crazy diva’ a curadegli Amalgamation Of Soundz.

Drumsound & Simon‘Bassline’ Smith -

Freestyle Mambo (VRecording) Sulla scena già daqualche anno, questa coppia di DJ/producer, ha realizzato singoli diottimo profilo per la UrbanTakeover, e per la loro etichettaTechnique. I ‘don’ Brian Gee e JJFrost, dopo il lancio su scalamondiale del drum’n’bass brazil diLK, ed il loro album ‘V ForeverBaby’, ci deliziano ancora con duetracce di puro funk’n’bass tutto perla pista, per l’appunto ‘FreestyleMambo’, ed il bellissimo ‘Aquarias’.

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DUBITALSCRIGNO MAGICO?Se già gustare il minoxiano“Downworks” è stato gratificante,avere a che fare coi Dubital èdavvero esaltante. Parliamo di unprogetto nato ancora praticamentedieci anni fa, nel 1993, per operadi Raffaele Ferro e Matteo Magni.Progetto che ha mosso i primipassi con un’idea ben precisa:fornire una reinterpretazione dubai grandi classici dancehall. Non uncompito da poco, ma legato in ognicaso a filoni abbastanza tradiziona-li della musica giamaicana contem-poranea. Il vero salto di qualità siè avuto proprio entrando a pienotitolo nell’orbita di Suite Inc, cosache ha permesso ai prodidubitaliani di aprire il ventaglio diconoscenze e approcci. Nasconoprogetti collettivi come il B MovieShow (che li vede insieme a 4DKiller e Minox, questi ultimiresponsabili anche dei visuals), siaffina la loro arte di interagire intempo reale con strumentisti live,filtrandoli in una densa coltre dube destrutturandoli con scarti sonoriimprovvisi. Non solo: a benedire iDubital con la sua sapienza arrivaniente di meno che Mad Professor,una vera e propria istituzione deldub (colui che ha trasfigurato l’lp“Protection” dei Massive Attacknell’affascinante e ancora piùinquietante “No Protection”:questo tanto per dirne una, ma poici sono anche collaborazioni conSade, Beastie Boys, tutti i grandidel reaggae-dub giamaicano…). Ilmarchio del Professore Matto èvisibile in pezzi come “Ignoranza ECultura”, un classico del repertoriodei Dubital, o “Bass Dub”; mal’influenza è reciproca, cometestimoniato dalla traccia “X.traBoss”, in cui Mad Professor siritrova in orbite ambient per luiinusuali. Il frutto principale diquesto periodo artistico è l’abum“Lite”: sì un disco di dub, sì musicagiamaicana, ma filtrata attraversoun immaginario forse più ancorafantascientifico che futurista. Ungran disco (datato per la precisio-ne 1997). Gli anni successivivedono in cantiere varie collabora-

“Abbiamo già avuto modo di occuparci dei Minox, unpo’ di tempo fa. La composta eleganza di“Downworks”, il loro ultimo lavoro in formato lp, meri-tava senz’altro elogi e attenzione; ora è tempo di tor-nare a seguire da vicino le imprese dell’etichetta daloro creata, la Suite Inc.”

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zioni a progetti all’interno di SuiteInc., come la TechnophonicChamber Orchestra, “Sex &Crimes” di 4D Killer, remix a “UTurn”, l’opera congiunta di Minox edi quell’icona sotterranea edirregolare che è Lydia Lunch. C’èpoi la compila “The Dub Lab”,datata 2000; ma si arriva ai giorninostri con un lp, “Conversations”,davvero pieno di materiale di altaqualità. Se la title track segue ilfilone di un reaggae-dub abbastan-za tradizionale, già con “TheGhost’s Party” (col guest di ZionTrain) entrano in campo i marchi difabbrica: suoni inusuali, strutturacomposita, strati sonori e ritmiciche si riempiono e svuotano piùvolte nell’arco dello stesso brano,come un lungo respiro, da con-trapporre ad un’estetica che tendeal futurismo astratto. Nella tracciasuccessiva, “Mama Don’t Cry”, siocchieggia addirittura al 2 step,naturalmente in maniera filtrata eultragiamaicanizzata, mille miglialontano da facilità da dancefloor,con dentro elementi davverobizzarri di per sé e nel modo in cuivengono combinati (a partire dallavoce falsettata ed effettata). Cisono le profondità noir di “CompuDub”, il bricolage a metà tra lo-fi edigitale di “Bon Tempi Dub”, lospirito sottilmente electro di “I’veSeen”, la chiusura composita, contanto di insert di scratch, di“Dreada Dan Dread”. Su tutto, stilee qualità: i binari sono semprequelli del dub, in un’accezione digiamaicanità intellettualizzata; macon molte idee, e poca voglia diaccontentarsi della routine (cosache invece ogni tanto accade aiprodotti dub, come molti sanno).Già qui, insomma, c’è di cheessere soddisfatti. Ma se voletefare del bene al vostro stereo ealle vostre orecchie, vi consigliamodavvero di mettere le mani sulterzo capitolo di “Suitable”,compila curata dalla Suite Inc. (ilsecondo volume esplorava appuntoi territori del dub, per inciso). Ilsottotitolo è “The Downbeatniks”:non male come gioco di parole, facapire che si ha a che fare con unaraccolta che esplora i territori dellabattuta lenta e delle sonoritàirregolari. Ma si è davvero entusia-sti nello scoprire che questocompito è svolto in manieradavvero sapida; se già il dub èsoggetto a derive un po’ asettichee formali, per quanto riguarda ildownbeat non c’è nemmenobisogno di dire nulla, sommersicome siamo da Café Del Mar,

Buddha Bar, chill di qua, chill dilà… al tempo stesso, per evitare lesecche del cartolinaceo alcuniprogetti si collocano invece inluoghi ostentatamente impervi esperimentali (quelli che molte volteti suggeriscono l’effetto-Potemkinin Fantozzi remix, ovvero: quantevolte vi verrebbe da dire “maquesta roba è una boiata pazze-sca!” ma non avete il coraggio difarlo?). Bene, questo “Suitable #3”si colloca esattamente a metà fraquesti due estremi. Abbiamoanche già pronto un paragone:quello coi primi due leggendarivolumi di “Freezone”, lacompilation di “horizontal dancing”curata da Dj Morpheus. Musica difrontiera ma sempre in qualchemodo avvolgente, dolce, dilatatama intensa, saporita anche nellesue spigolosità, dal profondopotere ipnotico. Questa compila,supervisionata dai Minox (cheoffrono anche alcuni loro pezzi inversione remixata e, va detto,migliorata), va dalla sensualecantabilità di “Sometimes I’m SadFor A Few Seconds” di JustineElektra sorretta da Static, allelevigatezze di elettronica jazzata didue alfieri della Invisible, My SmallBrother e Pato M, al minimalismocinematico di Koji Marutani, al cut-up jazz-folk-methenyano di LoudTone Needle (alias l’ottimo toscanoDavid “Love” Calò), a varie altregemme. Al di là del valore deisingoli pezzi (comunque moltoalto), ciò che affascina è l’insieme,il flusso di musica mai scontata,sempre sorprendente, ma altempo stesso molto accogliente.Volendo, c’è anche un paradosso:l’unica delusione arriva da quelloche è il nome più noto all’internodi questa raccolta, ovveroNobukazu Takemura, a cui l’incon-tro con la scena post-rock diChicago ha fatto veramente male,già da un po’ di tempo dà l’idea diessere un artista in corto circuitodopo le gradevoli morbidezze diSilent Poets e “Child’s View” diqualche anno fa. Una piccolaimperfezione in una delle miglioricompile degli ultimi anni. Saràcapace la Suite Inc. di mantenerequesto altissimo standardqualitativo anche con le prossimeuscite? Fosse anche solo la metà…

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Dubital - Conversations (Suiteinc.)AaVv - Suitable 3 - Downbeatniks(Suite inc.)www.suiteinc.com/dubital

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E’ con una certa qual soddisfazioneche vi parliamo di alcune propostesonore provenienti dalle piùinsolite lande occidentali. Insolitein quanto non centrali rispettoall’egemonia pluri-decennale delmoloch anglo-sassone; insoliteeppure assai vicine a noi dato cheparleremo di un gruppo italiano, i2 Blue, di un artista messicano equindi latino, Murcof, e un gruppodanese, i System. Poichè lesemplificazioni sono sempredannose, così come le inutiliadunate, vi proponiamo il motivoper cui i tre gruppi vengono da noiaccomunati: l’eleganza delle loroastrazioni. Le opere prese inesame, infatti, possono essereraggruppate grazie al comunedenominatore sopra individuato –anche se assai diverse tra loro. Maesistono altre caratteristicheinsolite che li uniscono? E’ lecitorispondere di sì. Oltre all’eleganzadello stile, un’autorevolecompiutezza dei suoni, unanarratività “noir” – quasi à laHermann, il noto compositore dicolonne sonore utilizzato daHitchcock - e un’etica “minimale”.E di un’altra breve premessaabbisogna questo scritto: l’astrattodi cui qui si parla non lo si intendecome absentia di forma, ma diemersione dell’idea nella purezza.

IL MESSICO E IL SUONOMANGIANUVOLE

Di forte ascendenza cinematografi-ca è l’esordio del messicanoMurcof per l’inglese Leaf. Del suouniverso aurale, raffinatissimo,potentemente visivo, sottilmentesperimentale, infarcito di archi echeap beats dobbiamo dire ungran bene. Lynchiano eviscontiano allo stesso tempo,Murcof costruisce brevi episodimusicali proiettati in un universorarefatto, colmo di tensione. Allostesso tempo: terreno e marziano,classico e contemporaneo,

minimale e “corposo”, drammaticoe passionale - molto latino, invero- l’album di esordio “Martes” è daconsiderarsi un’opera di grandissi-ma levatura. Da sottolineare laprovenienza nortena del composi-tore Fernando Corona, questo ilnome del sud-californiano Murcof;Tijuana è la sua città d’origine (giàne parlammo in Ut n.12), Nor-tecè il collettivo di provenienza. Ed èincoraggiante vedere nuove“scuole” di suono proporsinell’agone mondiale dell’elettroni-ca. Quella messicana è tra le piùattive. La vicinanza geografica congli Usa non è rilevante nel progettoMurcof: questo sta a dimostrarequanto la cultura può diventareutile bastione all’imbarbarimento ealla colonizzazione da parte diciviltà “mediatiche” a torto consi-derate “superiori”. Periferico èbello, insomma. E la poeticamurcofiana è anche un buonbiglietto da visita per essere“latini” senza coniugare per forzaquesta “latinità” allo stereotipotanto in voga di congas, barrios emariachi che con tanta abnegazio-ne ci propone il meschino immagi-nario del cinema americano.

ELETTRONICA VITRUVIANA

Di architetture mobili, di austerivolumi spaziali, si nutrono gliitaliani 2 Blue. Allevati nel

caravanserraglio maffioso alservizio del breakbeat, non neportano – quasi - le “stimmate”.Anzi, nell’opera d’esordio, glieresiarchi 2 Blue si adoperano percartografare territori urbani conpasso crepuscolare e veementeindolenza. Costruiscono infattiaudio-buildings frammentati efantasiosi, ideali mappe d’incontrodi mondi distanti: l’elettronica delsound-design e il divenire breaksovvero i breaks “suonati” come una-solo sulla tastiera del computer.Onde soniche vibranti nello spazio,marcano il paesaggio di questaelettronica vitruviana, a suo agionei passages metropolitani cosìcome nei reticoli cerebrali dellesinapsi. Il pennello sonico dei 2Blue sembra a volte riecheggiarelo spazio frammentato del pittorecubista Delaunay o il razionalismopost-guerra di Kandinskij. Nonstupirà quindi che l’esordio a-schematico dei 2 Blue faccia dacontrappunto aurale alle operepittoriche di Andrea Chiesi (vedi Utn.17). I quadri del pittore modene-se ritratti nel libro-cd si esplicanoin architetture desolate, spettralidove non domina più l’uomo –scomparso dalla tela – ma bensì ilcupo geometrismo della Tecnica.Una geometria pagana “in nero”,“sdraiata fra le tenebre”, che faemergere il “divino” che èconnaturato all’ambiente dellefabbriche in disuso. Nella visioneda naturalismo apocalittico conminaccia incombente, come forsesolo gli espressionisti berlinesi frale due guerre mondiali del Nove-cento seppero fare, la sinestesiaartistica tra gli artisti Chiesi-2 Blueè ben riuscita e accattivante.L’architettura sonora dei 2 Blue èl’ideale accompagnamento di unacosì singolare poetica. Una men-zione particolare – per tornare alpuro suono - al fitto lavoriò dibreaks che imperlano e adornanola sottile linea che separa realtàinteriore e realtà esteriore nel

ELEGANZADELL’ASTRATTISMO

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L’astrattismo in elettronica non è più realtà isolata: si rinnova, in modo ampio eprofondo, di anno in anno nelle sterminate “periferie” dell’Impero. Il continuo evol-versi attraverso un suono “senza generi codificati” richiede all’astratto continuealleanze con alcune determinazioni del contemporaneo: l’orecchio cinematografico, ilrapporto con il territorio, il colore pittorico, l’eleganza della forma e l’equilibrio della“misura”.

“Nessuno vuole essere debitore dei suoi contemporanei”(Jorge Luis Borges)

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mondo dei 2 Blue. Come un’aquilache in alto vola e poi scende aprecipizio – così si muove latraiettoria aurale della coppiaMarani-Roccatagliati: e in quel suo“planare” plastico, in quel “discen-dere e ascendere” libero, al disopra di territori già esperiti, sta laforza del loro suono.

NORD EUROPA E DUB BOREALE

Il trio danese dei System opera alriparo della Zona Temporaneamen-te Autonoma di Stefan Betke, il cuimoniker è Pole. Come nei giardi-ni–labirinti rinascimentali, lamusica dei System è fitta di siepiinestricabili, di alti cespugligeometrici, di tranelli implacabili,d’improvvidi nascondigli. I System,tre oscuri gira-manopole nord-europei, intrecciano arabeschi dibeat e mollezze di microsuonidentro una materia sonora soffusae minimale. Questo intensodisegno, corroborato da infra-bassiabissali e penetranti, s’insinualento e circolare dentro intermina-bili labirinti sonori; va detto, senzaindugio, che l’ordito sistemico esistematico dell’opera è di unamaestria senza eguali. Iper-formalisti eccessivi, i System fannodi questo eccesso un capolavoro. Imicro tessuti musicali si generano

System

e si disgregano in continuazione,creando gorghi ora sorgivi, orasotterranei dove il suono,pacatamente, compare e scompa-re, scemando prodigioso nel nullaabissale. Eppure il ritmo è semprelì, il basso “esce” con la consuetaprofondità, il “bosco narrativo” èsempre ineffabile... Un continuonegarsi e superarsi, un ri-proporsiinfinito fa di quest’opera un piccologrande gioiello, cesellato coninfinita pazienza da moderniartigiani digitali. Buttate l’orecchioe ne rimarrete irretiti.

2 Blue – Fattore Sonoro (KFMItalia 2003)Murcof – Martes (Leaf Mexico2002)System – System (ScapeDanimarca 2002)

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E’ un viaggetto breve breve, kilometricamente risibile,già fatto migliaia di volte per concerti, turismo, cultura.Un viaggio contenuto in una rubrica “Maffia Traveller” incui lo spostamento preso in considerazione è comeminimo da uno stato all’altro. Avevo già scritto di unmio viaggio su UT in occasione della mia esperienza inNamibia tra i Boscimani ed ora sono qui a parlare di unanormale gitarella a Firenze. Che differenza! Mica tantodirei, perché anche stavolta mi sono ritrovato a fare iconti con me stesso: dalle savane ed i deserti sterminatiad un numero sterminato di anime, così come in Africaa Firenze ho capito da dove vengo e dove vado, hocapito che questa è la parte di umanità che mi interes-sa. Il viaggio comporta una precedente conoscenza deiluoghi che si andranno a visitare, l’informazione delineae compone nella nostra mente paesaggi e colori. E’comunque un viaggio che compiamo in avanscopertaprima di portarci fisicamente alla meta. Questa primaparte conoscitiva dell’esperienza fiorentina è iniziataattraverso i media ed è stata un’allucinazione, unabbaglio. Un Videodrome, un assemblaggio di voci edimmagini stridenti che si insinuano nelle coscienzeormai deprivate di senso critico. Ho visitato una impro-babile Firenze attraverso la televisione ed i suoi deliri,ho sentito paure ataviche ed irrazionali, ho visto bavache scendeva da bocche di politici ringhianti, ho vistol’effetto di un altro tipo di terrorismo, quello psicologico.Ho assistito incredulo a somatizzazioni causate daulcere infette, ho letto di esaurimenti nervosi con ampiospazio sui giornali, ho respirato rancori, accidiedantesche, vecchiaia mentale. Ho sentito pazzi eposseduti lanciare anatemi dai massimi pulpiti catodici.Personaggi squallidi ed in mala fede, le voci dellavincente ed imperante nuova cultura di destra: Fallaci,Zeffirelli, l’Excalibur di Socci, Ferrara & Consorte, BagetBozzo, il radicale (?) Capezzone. Dall’altra parte, dallamia (?) parte, con un certo dispiacere, ho mal sopporta-to le strategie ed i calcoli opportunistici sul dove stare,con chi ed in che momento (L’Ulivo non è la pianta dellapace?). Ho mal digerito i tatticismi legati ai ventiondivaghi dell’opinione pubblica che coinvolgonopersone, forze politiche che dovrebbero accogliere conentusiasmo i vari movimenti-girotondi-no-global etc.E’ una circumnavigazione che difficilmente approda adun porto sicuro e protetto, perché tutto si sposta dicontinuo, le coordinate geografiche cambiano repentina-mente, il territorio è in perenne metamorfosi. Informa-zione o propaganda? Informazione o disinformatia?Ricerca assoluta ed imprescindibile dello scoop, dellasensazione, alterazione e manipolazione dei fatti. Hoinsomma cercato di carpire qualche notizia tra i rumoridi fondo, tra l’inquinamento mediale, mi sono ridotto a

fare trashing nel cestino dei rifiuti televisivi.Questo è il bagaglio, ben filtrato e depurato, chemi sono preparato prima di intraprendere ilviaggio.Ed arriviamo al gradito invito dell’Arci (a proposi-to grazie a Edwyn, Stefano e Vincenzo): i RootsConnection (uno dei progetti musicali in cui sonocoinvolto) suonano al concerto di chiusura delSocial Forum Europeo. Eccoci dunque Sabato 9novembre in partenza verso la famosa cittàd’arte insidiata da un’orda di barbari. Noivolentieri ci aggiungiamo a loro, aggiungiamoutopie ad utopie, sogni ai sogni, voglia dicambiamenti etici e sociali, aggiungiamo il nostrodesiderio di giustizia, di diritti, di pari opportuni-tà. Siamo anche noi barbari armati di amore perl’ambiente e per il futuro. Forse ancora illusi inquella sincera ingenuità che è difficile trovare neipensieri macchiavellici di chi ha o di chi gestisceil potere. Qualcuno mancherà a questo appunta-mento, qualcuno prenderà distanza, qualcunoporrà dei distinguo, dei forse, dei chissà, qualcu-no in nome del realismo guarderà compatendoquesti giovani idealisti dimenticando di guardaredentro se stesso.Qualcuno verrà tratto in inganno. Come annun-ciato la campagna psico-terroristica ha contagia-to specialmente la categoria dei commercianti,dei bottegai, che hanno sbarrato, sigillato,fortificato ogni vetrina, ogni negozio per paura divandalismi, distruzioni, razzie. Molti di loro, colsenno di poi, si morderanno le mani per imancati affari... è un misero cruccio, ma è giàqualcosa! Sulle serrande a tenuta stagna,saldate, blindate stanno ora affissi volantini o sitrovano scritte : “chiuso per idiozia”, “chiuso perignoranza”, “chiuso perché fascisti”, “bottegaiovergognati”, “speriamo per sempre”, “ti è andatamale, potevi fare i soldi”, “sindrome da annulla-mento da abuso TV”.La prima impressione percorrendo le strade dellazona del concerto, Campo di Marte, VialeMaratona, Stadio, è quella di una città a Ferrago-sto. Ma qui tutti sembrano starsene chiusi incasa, le macchine sono sparite chissà dove,pochi passanti, qualcuno con il cane a passeggio(attenzione a non pisciare sui monumenti!). Inverità nell’aria non c’è elettricità, non c’è tensio-ne, gli stessi vigili, i cellulari e le camionettedella polizia paiono oggetti inanimati di unpaesaggio metafisico. Giungiamo al grande palcodel concerto senza particolari problemi o control-

FIRENZE:CRONACHE DAL MASSACRO(DI GIOIA) ANNUNCIATO

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li, iniziando a respirare l’evento, i primi dati sullapartecipazione alla manifestazione sono esaltanti. Ilcorteo partirà nel primo pomeriggio dalla Fortezza daBasso dove nei giorni precedenti si sono tenuti semina-ri, dibattiti, workshop e mille altre iniziative di cui imedia non hanno parlato intestardendosi sui problemidi ordine pubblico. Si parla già di centinaia di migliaia dipersone, numeri che si riveleranno ben piccola cosarispetto al milione che andrà ad ingrossare l’infinitoserpentone. Ma l’organizzazione pare buona, capace digestire la situazione, noi, dietro al palco, ancora lontanidal corteo cominciamo ad incontrare e conoscere i voltivisti qualche giorno prima nei talk-show, nei programmidi approfondimento, nei telegiornali, nelle fosse deileoni. Osserviamo quelli che si muovono dietro lequinte, volti che finalmente si fanno reali, consistenti,sensazioni che si fanno epidermiche. Tutti appaionoconvinti della riuscita dell’evento e della sua portatastorica, tutto è pronto per accogliere la lunga marcia.Tra il sound-check delle bands, un pasto frugale e lalettura dei quotidiani ci si avvicina all’ora d’inizio delcorteo, che come veniamo a sapere è stato anticipatoperché sta arrivando un mare di gente. Allo stessomodo si decide di anticipare il concerto. Nel frattempogli elicotteri sorvolano Firenze, le telecamere sono già allavoro, si sa di una diretta de La 7, l’unica emittenteche coprirà l’evento, mentre la RAI ha deciso di oscura-re il tutto proseguendo nella pratica ormai chiara dicancellare ed allontanare le voci dissenzienti chepossano infastidire il premier innominabile ed il suogoverno (a ruota Biagi, Luttazzi, Santoro, Blob, imovimenti, l’opposizione massimalista...). L’ex serviziopubblico può permettersi il lusso di snobbare unamanifestazione di un milione di persone e magari fareuna diretta della festa interceltica a cui partecipano unamanciata di leghisti vestiti da Asterix. Certo che ladiretta de La 7 sarà più che altro una performance del“cattivista” Ferrara che tra una pubblicità e l’altra faràcommenti acidi sul pacifismo e sull’antiamericanismo,ma perlomeno qualche immagine sarà pur arrivata agliocchi increduli di chi tifava contro e sperava in disordini,scene di guerriglia e devastazione. Ma torniamo al realevissuto, alle ore 16, quando appare da lontano la testadel corteo e sorpresa... tra emozione ed applausi, iprimi a giungere fin sotto il palco sono gli irriducibilidell’ANPI di Reggio Emilia. Dietro a loro una massaimpressionante di persone che composta pare appog-giarsi, per effetto ottico, sulle spalle degli ex-partigiani.Ora è come un unico essere vivente brulicante dienergia dal quale si innalzano striscioni, bandiere,cartelli, è un grande fiume a cui affluiscono giovani datutta Europa. E’ un oceano di sigle, associazioni, forze

politiche, nomi conosciuti ed altri del tutto nuovi:Rete Lilliput, Legambiente, Arci, Emergency, Gaye Lesbiche, Disobbedienti, Giovani Comunisti,Sinistra Giovanile, CGIL, Rifondazione, agricoltoribiologici, cattolici, anarchici, pacifisti, ognunocon esperienze, culture e tematiche diverse, matutti accomunati nel dire a no a questo tipo diglobalizzazione, al neoliberismo selvaggio, allostrapotere dell’economia sull’uomo e su tutto neldire a no alla guerra. Ci sono Cofferati, GinoStrada, delegazioni dei partiti del centrosinistra,alcuni spiccano per la loro assenza... peccato perloro. La cosa che subito si fa evidente è chel’ampio spazio adibito al concerto non puòcontenere tutta quella gente, tant’è che il corteorimane ingolfato tra la partenza e l’arrivo, motivoper cui la folla è costretta a refluire nelle vie enelle piazze limitrofe. Firenze piano piano rimettefuori la testa, applaude, si accorge del tranello incui è caduta, riapre porte e finestre, appendelenzuola bianche simbolo della pace, finalmentesi avvicina alla gente. Gente da tutta Europa,unita dal saluto degli interpreti volontari che intutte le lingue hanno espresso un unico concettodi pace e democrazia. Tante lingue, tanti idiomi,tanti accenti e una chiara negazione allo sfrutta-mento e alla violenza. Poi sale sul palcoattorniato dai gruppi musicali, il sindacoDomenici che dopo la scelta coraggiosa diospitare il SFE celebra insieme al milione dipersone una vittoria su chi in ogni modo avevaosteggiato la manifestazione.La situazione privilegiata del palco mi permettedi vedere il corteo che si alimenta incessante-mente e si espande paragonabile ad unabenefica piena dopo un lungo periodo di siccità.Certo è facile cadere nella retorica ma l’incontrocon altre persone che condividono stessi idealirafforza e rassicura, soprattutto in questi tempidi relativismo, di pensiero debole e di reazionarienostalgie. Neoliberismo selvaggio, capitalismosfrenato, brevetti e furti, OGM, diritti umani,terzo e quarto mondo, biodiversità, sono questealcune delle priorità che dovranno avere rispostain un nuovo modo di pensare il mondo e laglobalizzazione. La politica non ha fino ad oratrovato le giuste regole nel governare l’attualesistema mondiale. Dal basso e dalla coscienzadegli individui cresce la volontà di ridare dignitàe futuro al pianeta.

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Xenakis già nel 1955 parlava diuna sorta di “turbolenza sociale”che concorreva a formare la suastrategia creativa. L’estratto ditesto qui riproposto dà un’idea diquali forze spingessero questocompositore a creare un milieu nelquale matematica, musica escienza venivano miscelate inmaniera libera e sciolta ed assiemeconcorrevano a creare quella chepuò essere definita come una dellamusiche più ossessionanti delventesimo secolo.Xenakis venne a New York nel1997 e curò la supervisione dellaregistrazione di Kraanerg con il

maestro Charles Bornstein cheaveva lavorato con l’ ST-XEnsamble di New York. Kraanerg èun’ora e più di eroismo musicaleche rappresenta il culmine deipensieri e delle teorie di Xenakissulla musica registrata e sullacultura giovanile contemporanea; ilmio coinvolgimento nel progettooltre ad aver rappresentato ungrandissimo onore per me,dimostra che la musica classica ela dj culture sono legate in unmodo che visionari quali Xenakis,Erik Satie, Olly Wilson ed altriidealisti pare abbiano volutosegnalare nel corso del XX secolo.

L’opera voleva lanciare un pontetra le diverse comunità. VedoXenakis come il primo compositoreche costruisce in modo conscio econsapevole collegamenti tramulti-culturalismo, architettura econoscenza scientifica occidentaleo come l’uomo dal sentimentoidealista che tenta di costruire undialogo proficuo tra diversi gruppietnici e diverse generazioni. Unfenomeno, questo, che si riscontrapurtroppo molto raramente negliambiti letterari, artistici o musicaliin senso classico. Egli fu un veroeroe per me, e sono convinto checon la sua scomparsa il mondo

FLUID NEONBRIGHT SHADOWS:LA MUSICA DI IANNIS XENAKISC’è un momento di intensità nel lavoro di Iannis Xenakis che è sempre presentein ogni suo opera. Per Xenakis la musica è architettura e l’architettura musica.Non importa da quale “prospettiva” la si ascolti, dopotutto il suono ha sempre ache fare con la forma.

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abbia perso una grande voce nellaformazione di una culturaprogressista della musica. Questesono le note introduttive al CDKraanerg che la Asphodel Recordsha pubblicato nel 1997.“Nel 1954 creai una musica basatasul principio di indeterminismo,due anni dopo la nominai “musicastocastica”. La legge del calcolo edelle probabilità è entrata nellacomposizione come una necessitàmusicale, ma altri sentieri portanoad incroci stocastici, primi fra tuttigli eventi naturali come la collisio-ne della pioggia sulle superficirigide o il canto delle cicale neicampi estivi. Questi eventi sonicisono creati da migliaia di suoniisolati che visti come totalitàcreano a loro volta un nuovoevento sonico. Tale evento poiviene articolato fino a definire unaforma plastica del tempo che a suavolta segue altre aleatorie leggistocastiche. Per esempio: tuttiabbiamo assistito al fenomenosonico di centinaia di migliaia dipersone in un corteo politico. Ilfiume umano urla uno slogan conritmo uniforme. Poi un altro sloganesce dalla testa del corteo deidimostranti ed entra nella codadell’altro, sostituendosi ad esso.Un’onda di transizione quindipassa dalla testa alla coda. Ilclamore riempie la città e la forzadisinibita della voce e del ritmoraggiunge il culmine. E’ un eventodi grande forza e bellezza nella sua

ferocia. Poi di colpo arriva l’impat-to tra dimostranti e nemici: ilperfetto ritmo dell’ultimo sloganesplode in una immensa “cupola”di suoni caotici che se ne escenuovamente dalla coda. Immagi-niamo però che si aggiungano ifischi dei proiettili a questoeventuale disordine totale, dove lafolla viene rapidamente dispersa edove, dopo un inferno sonico evisivo, segue una calma detonantepiena di disperazione, polvere emorte. Le leggi statistiche di talieventi, separati da contesti politicio morali, sono le stesse cheregolano i suoni della pioggia odelle cicale. Esse sono le leggi delpassaggio dal completo ordine aldisordine totale in un modo altempo stesso continuo ed esplosi-vo. Sono cioè le leggi stocastiche.E qui tocchiamo uno dei grandiquesiti che hanno tormentato lamente dell’uomo fin dall’antichità:trasformazione continua odiscontinua.” (Iannis Xenakis“Formalized Music” 1955)A Iannis Xenakis va riconosciuto,tra i tanti meriti, anche quello diessere stato uno dei primi compo-sitori ad assumere la nozione dipolymath, cioè di intellettualesinestetico, e ad utilizzare talinozioni per rendere possibile unafruizione intrecciata di conoscenzee teorizzazioni di diverse professio-ni per fertilizzare ed accrescere lacapacità espressiva artistica. Percomprendere la musica di Iannis

Xenakis, occorre capire profonda-mente tale concetto, poiché tutto ilresto non è altro che larielaborazione di questo passaggiodi trascodifica dei codici atto arappresentare la struttura delpensiero attraverso diversi media ediversi sistemi di comunicazione.Xenakis assieme al fisico HermanHelmotz, Erik Satie (con la sua“music d’ameublement”) e EdgarVarese si è soffermato in modosignificativo sulla similitudine trafisicità e metafora, su suoniorganizzati, confinanti con il“rumore” e la loro traduzione insegni. La sua presentazione di“Metastasi” del 1954 fu il primoesempio reale in cui egli raggiunsel’effetto di massa attraverso l’usodi glissandi organizzati. Da quelmomento in poi incentrò il suointeresse dei mezzi sonori indiversi modi: orchestrale, electro-acustico (elettronico e concreto), enumerico (da computer digitale aconvertitore analogico). Gli piacedescrivere la sua musica comebasata su un “principio diindeterminismo”. Nel suo lavoro siritrovano i turbolenti effettipostumi dell’incontro con qualcosadi artisticamente nuovo e, alcontrario, gli echi di valori antichiquali elementi fondamentali dellasua tecnica compositiva: segninella musica, musica in formaconcreta, forma concreta inimpegno trascendente con ilcosmo. Il celebre filosofo Michel

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Serres chiese a Xenakis nella suaTesi di difesa “perché la fuga è unautoma?”. La sua risposta la dicelunga sulle implicazionicibernetiche che questo modo difare musica ha sull’inconscioumano. La loro conversazioneriassume il continuo dialogo sullanozione che musica e scienzaprocedono di pari passo in ciclo -per Xenakis la musica è sempreprecorritrice di altri sviluppiconcettuali che si manifestanonelle società. Ecco la loro conver-sazione:Michael Serres: Ancora una volta èla musica ad essere in prima linea.Cosa intendi quando affermi che lafuga è un automa, un automaastratto concepito due secoli primadella scienza automatizzata? Ionon credo che questo sia vero.Credo che coincidano, se nonaddirittura che la scienza appaiaprima.Xenakis: Oh no. Non la scienzaautomatizzata. Quella è apparsasolo nel ventesimo secolo.Serres: Non la scienzaautomatizzata ma la costruzionedegli automi.Xenakis: Ah allora è diverso.Perché l’uso degli automi risale aitempi alessandrini.Serres: Nelle Mille e una Notte adesempio c’erano le fontaneautomatiche, macchine ad acqua.Xenakis: Sì ma Mille e una Notte èdel dodicesimo secolo, l’uso degliautomi risale a molto prima. Neitempi Alessandrini si conoscevagià Erone ed il primo motore avapore.Serres: Sì anche la Colomba diArchitaXenakis: Sì però tutte queste sonoinvenzioni concrete. E’ la musicainvece che ne introduce l’astrazio-ne.Serres: Quindi perché la fugasarebbe un automa?Xeankis: Credo che corrispondapiù o meno alla definizione diautoma scientifico che venneproposta negli anni ’20, grazie aWiener e la cibernetica. Potrebbeessere riassunto così: un automa èuna rete di cause ed effetti chedetermina una catena di eventitemporali, eventualmente accop-piati o congiunti in diversi modiliberi. Un automa può esserecircoscritto in uno spazio chiuso. E’sufficiente immettere energia edesso lavora ciclicamente. Puòanche essere relativamenteaperto, completato con dati esternigrazie ad esempio all’uso dibottoni. Ogni volta che vengonoimmessi dati nuovi, un automapuò produrre risultati diversi,nonostante il rigore interno che lo

definisce.Serres: La sua sintassi è ripetitivama non la sua rappresentazioneXenakis: Sì la sua sintassi èripetitiva. Perché? Perché c’è unrigore strutturale interno.Serres: La sintassi della fuga èsempre stabile?Xenakis: La fuga non costituisceun automa assoluto: è un automarelativo, specialmente se parago-nato agli automi studiati dallascienza. Questa è relativamenterigorosa se applicata alla musica.Quando dico “automa musicale” ioconsidero per esempio anche ilminuetto come tale. Il valorespecifico della invenzione musicaleè che è stata la prima a creare unautoma astratto che non dovevaprodurre altro che musica.(Arte/Scienza: Elementi, La Tesi diDifesa di Iannis Xenakis, 1976)Apritevi al suono della “guerratotale”: non guerra intesa comerappresentazione fisica delledifferenze politiche tra le obsoletenazioni-stato, ma guerra comeimpegno verso l’accelerazionetecnologica. Guerra come riflessio-ne sulla condizione umana. Guerracome suoni di paure primordialiche si insinuano tra gli spazi vuotidella mente. (E’ stato detto che lamusica di Xenakis poteva esserecomposta solo da qualcuno feritonella carne dalla guerra e trafittodalla stupida presunzione di ungruppo sociale di prevaricare su unaltro). Guerra come numeri chesono al cuore dell’espressioneumana, una dissonanza binaria trapresenza e assenza, una espres-sione di metalinguaggio che tutticonosciamo ma che solo pochisanno pronunciare. Nella moltepli-cità dei suoni tutto è sciolto, libero,districato, nulla è decifrato: si puòcorrere, scivolare da un latoall’altro (come in una trama amaglia o nei glissandi dellestrutture stocastiche di Xenakis) enon c’è nulla sotto, lo spazio della

musica vaga ed essa non puòessere inchiodata in nessun luogospecifico; la musica posizionaincessantemente significati inquesta trama, per poi - altrettantoincessantemente – vaporizzarli,portando avanti così una sistemati-ca evanescenza. Suono e significa-to. Suono e il suo dispiegamentonello spazio. Questo tremolio delsegno che fende e ritarda ogni suosignificato… Xenakis ed il suobrillante costrutto matematico, isuoi suoni spezzati e fratturati: ilpensiero si dissolve in sogni,l’emozione si scioglie nello scintilliodegli algoritmi che usa per produr-re la musica… Questa musicavertiginosa è ciò che sta dietro lanarrazione convenzionale di cuiXenakis parla quando ci narra ladescrizione delle sue esperienzevissute durante la seconda guerramondiale. “Nella mia musica - egliscrisse molti anni orsono - c’è tuttal’angoscia della mia giovinezza,della resistenza (il movimentoanti-fascista greco) ed i problemiestetici ed etici che questa pose,assieme alle gigantesche manife-stazioni di strada, o dei radi,misteriosi rumori mortali dellefredde notti del dicembre del 1944ad Atene. E’ da qui che nasce lamia concezione di “massa” econseguentemente la mia musicastocastica”. Più tardi citando HenryNeville, il quale spiega il mondotramite i suoni che ci circondanocome principio causale le cui basiappoggiano sulla legge dei grandinumeri, Xenakis spiega ancora lesue leggi stocastiche. La musicastocastica (dalla parola greca“stochos”, bersaglio) è per ilcompositore un percorso che sistacca dall’ambito deterministicodel “neo-serialismo” cosìpreponderante nei lavori deicompositori del suo tempo. Diràinfatti nel 1955 in un articolointitolato “La crisi della musicaseriale”che si sentiva di doverrompere e fuggire da quellacultura ossificata del mondoclassico occidentale. Ecco comeXenakis in Kraanerg definisce conparole proprie il suo distacco datale cultura e delinea un’epocasempre sull’orlo di continuisovvertimenti culturali: “In circatre generazioni la popolazionemondiale avrà superato i 24miliardi di cui l’ottanta per centoavrà meno di 25 anni. Il risultatosaranno fantastici cambiamenti inogni territorio. Una lotta biologicatra generazioni che sovvertirà ogniprecostituita struttura politica,sociale, urbana, scientifica,artistica ed una frammentazione inscala mai accaduta e mai nemme-

Kraanerg cover

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no prevista dall’umanità. Questastraordinaria moltiplicazione diconflitti è attualmente delineatacome premonitrice negli attualimovimenti giovanili presenti intutto il mondo. Tali movimentirappresentano infatti l’iniziobiologico del tumulto che ciattende, irriverente per altro deimotivi ideologici che oggi lidominano. E’ questa l’incredibileprospettiva che sottende lacomposizione di Kraanerg.”L’implementazione meccanica diforme di testo sequenziali e nonsequenziali, la musica comereferente di altre aree di espres-sione umana, l’impegno culturalecome archivio collettivo, leasimmetrie di suoni che si traduco-no in significati culturali, lemetonimie aurali, i suoni dispiegaticon mezzi elettronici ed altrecaratteristiche, legano la strutturacompositiva sperimentale d’avan-guardia del XX secolo e l’arte deldeejaying. Perciò, se vista inquesta luce, il linguaggio classicodella dj culture ha assorbito lamaggior parte dei movimentiartistici del XX secolo. Kraanergevidenzia e dimostra le capacitàpresenti nel manipolare e utilizzaretesti elettronici ed elettromagneticie rappresenta come la dj culturepossa divenire metodologia ed

espressione di una nuova genera-zione per la quale, secondo leparole di Xenakis, il metodostocastico è ormai innato. Per ilcompositore Kraanerg rappresental’estensione delle sue idee siarelativamente alla propria musicasia alla cultura che ne emerge,senza menzionare inoltre il sensodi idealismo, di rottura di confiniobsoleti, di necessità di nuovi spaziartistici, che si respirano in tuttal’opera. Un’ultima nota: le porzio-ni registrate di Kraanerg proven-gono da registrazioni fatte verso lafine degli anni ’60 – in particolarequelle delle lotte di Parigi del ‘68,come richiamo mentale ecompositivo. Quelle registrazioniportano in modo inconscio ilriverbero e la performance di queltempo, tanto da percepirnenell’opera una ”bass presence”,una presenza inquietante disottofondo, in contrasto con lamusica “live”.Pertanto, prestate molta attenzio-ne perché state per ascoltare ilpassato immaginandone il futuro…

Iannis Xenakis - Kraanerg(Asphodel Records 1997, S.Francisco USA)

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E’ l’estate del 1973 e io mi trovo nella piazza di Marakeshin compagnia di anziani marocchini che mi offrono del kif.Il kif si fuma caricando una pipetta lunga col fornello diterracotta. Un tiro solo e poi si sputa il tutto il più lontanopossibile. E’ una gara, chi sputa più corto riempie le pipe.Di fronte a me un gruppo di musicisti nomadi suona unritmo molto potente, 3 percussioni e un sokhra (oboemarocchina), vanno avanti per ore.Qualche giorno dopo sono in Algeria, sulla via del ritorno,e continuo a sentire in testa quella musica. E’ un fenome-no curioso, quella musica si compone dentro la mia testa,senza che io faccia alcuno sforzo. “Bisogna che impari asuonare uno strumento” penso.E così ho cominciato a strimpellare la chitarra (era lostrumento piu’ a buon mercato dell’epoca), ho presolezioni da qualche amico e infine sono approdato, nel 78ad una scuola popolare di Jazz in una casa del popolofiorentina.Suonavo con un quintetto di allievi e ovviamente ascoltavomolto jazz e anche un po’ di disco music, che allora eraspesso imparentata col jazz. Il rock mi era venuto a noiagià dal 75. Il punk mi passò accanto senza sfiorarmi.

Era l’80, vivevo in casa con amici e dalla stanza di uno diquesti usciva un rumore terribile: “Che roba è?” domanda-vo. E mi faceva vedere la cover di “No New York” ilterribile manifesto della “No wave”. Così imparai aconoscere James White e i Contortions, i Suicide e altrecose amene dell’epoca. Non so perché ma incominciaronoa piacermi, inoltre mi colpirono molto i Kraftwerk cheavevo sentito in uno spettacolo dello Squat Theatre.Cominciai a sentire un’attrazione fatale per la musicaelettronica, che mi dura ancora oggi.Certo allora era molto dura per gli aspiranti elettronici, nonera come ora che con un semplice computer, ancheeconomico e un po’ di software abbiamo tutto questo bendi Dio a disposizione, allora i sintetizzatori costavano unafortuna e solo i figli di papà potevano permetterseli.Ma io non mi scoraggiai. Risparmiando col mio stipendioda impiegato riuscii a dotarmi di un’attrezzatura poverama molto espressiva: batteriucce elettroniche, tastierinecasio, e poi l’evolutissimo TB303, il mitico bass line.Era una macchinetta infernale, con un software cheassomigliava ad un cruciverba di Bartezzaghi. Ma riuscii adomarlo.

Nell’82 facevo concerti con un gruppo chiamato Avida.Definivamo la nostra musica: “dance cabaret” e inconcerto ci presentavamo con un Revox al centro dellascena che mandava le basi, io cantavo con un mood fraVianello e John Rotten, Stefano Fuochi manovrava Synthse monitors e Daniele Trambusti rullava sui rototoms. Eral’epoca della New Wave fiorentina e noi c’eravamo dentrofino al collo. Ma il mio vecchio amore (la disco) ogni tantosi rifaceva vivo. Un giorno incontro Giampiero Bigazzi diMateriali Sonori che mi propone di fare della disco, perfare un po’ di soldi. Mi metto al lavoro con la mia TR808, ilbass line e un synt Korg e scrivo una canzoncina infrancese (la mia lingua preferita all’epoca) in cui raccontole pene di amore di un robot. Si chiamava “Problèmesd’Amour” e per presentarla inventai il personaggio diAlexander Robotnick (Alessandro il lavoratore, in russo).Fu un successo, anche se “underground”, che è rimastoattuale in tutte le epoche dance che si sono succedute.Io però sono per carattere un artista impaziente e inquietoe mi stufai subito, anche perché “Problèmes d’Amour” nonmi aveva per niente cambiato la vita. Mi interessai diVideo Art e cominciai a lavorare con un gruppomultimediale, i “Giovanotti Mondani Meccanici” per i qualiho fatto musiche per teatro, video, videoinstallazioni. Poiho cominciato a lavorare nella moda fiorentina, facendoinstallazioni sonore per Pitti Filati e le musiche di mostrecome quella di Capucci a palazzo Strozzi e Missoni alteatro della Pergola. Un po’ di lavoro anche nel cinema ealcuni dischi per broadcasting televisivo.Insomma, per molti anni ho prodotto musica su richiesta,anche perché nel frattempo mi ero licenziato dal miolavoro di impiegato statale e dovevo guadagnare con lamusica, e non avevo fiducia di poterlo fare con i dischi, o

per lo meno non con i dischi che potevo produrre ioche ho sempre odiato il mainstream, soprattuttoquello italiano.E’ stato un periodo lungo e non troppo proficuo per lamia musica, anche per problemi, diciamo così,esistenziali.La voglia di ricominciare a produrre album musicalinon mi è tornata che nella seconda metà dei ’90.C’è una cosa importante da sapere su me, forsel’unica : dalle origini ad oggi non ho mai abbandonatoil mio amore per la World Music (buffo eh? Per unodegli inventori della techno!). All’inizio dei 90 giravocon un gruppo dal nome “Data From Africa” insiemea Niba (Camerun) e Aatif (Sudan), ma non siamomai riusciti a pubblicare nulla. Poi nel 94 incontro unindiano, Boliwar Miranda che mi introduce allo studiodei Raga. E’ un’esperienza bellissima che mi apre unanuova comprensione della musica. Produco due CDscon lui ed Ettore Bonafè, con il nome di Masala.Questi CDs sono stati pubblicati da Materiali Sonori,nel 98 e nel 2000.Contemporaneamente fondo insieme a Nazar(Kurdistan Irakeno), Smail Kouider (Algeria), RashmiBahtt (India) e Paolo Casu (Sardegna) “The ThirdPlanet”. Pubblichiamo due CDs per la CNI chevengono licenziati in numerosi paesi.

Gennaio 2001. E’ tempo di consuntivi, e non sonopiacevoli. 5 album pubblicati in tre anni e l’apparizio-ne in numerose compilations hanno prodotto solopochi spiccioli, miseria totale, non posso neanche fareil mio viaggio invernale in India. Provo addirittura acambiare lavoro, mi propongo come Web Editor mac’è la crisi della New Economy, niente da fare.Nella disperazione più nera ho un’idea. Una buonaidea? Ancora non lo so, ve lo saprò dire. Siccome giàda anni ho fornito alle labels dei CDs già pronti, soloda replicare, prodotti da me con il solo aiuto del miobuon PC, perché non fondare la mia Label? Tanto perprodurre non ho più bisogno di aiuto, la promozionenon me l’ha mai fatta nessuno…L’ho chiamata “Hot Elephant Music” e mi sono messoal lavoro con Ludus Pinsky, il mio amico-fratello dicomputer. Abbiamo fatto “Underwater Cafè”. Con altripoi ho prodotto E.A.S.Y. (Elephant Are SometimesYoung) e sono i primi 2 CDs della labels. Altri duesono in arrivo: Melt in Time di The Third Planet e “Ohno….Robotnick” un ironico ritorno di AlexanderRobotnick.

Produco molto, non meno di due o tre CDs l’anno. Edè tutta musica mia. Lavoro con gli altri dividendosempre i diritti d’autore, e questo mi ha semprelasciato in buoni rapporti con tanti musicisti. Producotutto sul mio PC sul quale ho il miglior studio diregistrazione (virtuale) che abbia mai desiderato.Questo mi avvantaggia molto, sia finanziariamente sianei tempi più snelli di produzione.C’è da dire però che avere tutta la responsabilità diun brano dalla composizione al missaggio è una cosadurissima, che può sottrarti tutto il tuo tempo. A volterimpiango l’epoca in cui il problema era trovare il“fonico bravo” e uno studio di registrazione chefunzionasse (difficile ma non impossibile). Maovviamente, non producendo musica commerciale,non ci sono più le risorse per “andare in studio”, conun esercito di giovani che ormai pretendono la musicagratis. Musica gratis? Certo, no problems, quella deglispot pubblicitari. E’ probabilmente l’unica musicanuova che le prossime generazioni ascolteranno.

Greve in ChiantiNovembre 11 novembre 2002Maurizio Dami (Alexander Robotnick)

www.robotnick.it

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Figura fondamentale, sia musical-mente, che ‘politicamente’ dellascena drum’n’bass, RaymondBingham, è principalmente un DJ,che incarna tutte le caratteristichenecessarie per fare di un manipolato-re di dischi un vero e proprio artistaa tutto tondo. Grandissimo conosci-tore e divoratore di musica, inizia asuonare hip hop, soul, rare groovedalla metà degli anni ottanta, perfinire abbagliato dalla rivoluzionehouse della seconda metà dellostesso decennio. Ben presto ‘Rider’scopre la propria dote, vale a dire lacapacità di cogliere in anticipo ciòche nella musica dance succederà dalì ad un anno, che lo accomunerà conil suo partner Fabio, e che lo porteràad avere successo in tutta l’UK e nelresto del mondo. Da giamaicano docdecide così di spargere il verbo dellabuona musica creando un soundsystem (Global Rhythm) scovandotra i produttori e le etichetteunderground brani non ancorastampati, si crea dub plate a propriouso e consumo. Arriva il 1987 escoppia il fenomeno Acid House intutta l’Inghilterra, Rider comincia cosìa suonare agli allora pionieristici ravee a trasmettere da una radio pirata(Phaze One). Conosce Fabio in radioe l’empatia è immediata e completa,tale che da lì in avanti il team diventaFabio&Grooverider, e sembra essereun’entità unica. Insieme suonanoHouse mischiandola alle cose più soul(Fabio) o più hardcore (Grooverider)nei locali del West End affermando laloro statura di DJ ‘guida’, spostandosempre più adepti, prima da Londrae poi da tutta l’Inghilterra, tanto dadividersi per portare il loro verbonelle più disparate località dell’isola.Nei primi anni novanta, sul fermentodella rivoluzione breakbeat/hardcore,

sempre insieme scelgo-no e rendono mitico illocale ‘dove nacque ildrum’n’bass’, cioèl’Heaven, nella loroserata settimanale‘The Rage’. Nella‘casa del drum’n’bass’grazie a Fabio e aGrooverider nasconopersonaggi comeGoldie, Doc Scott,Photek, Peshay, Dillinja,i quali tutti insieme creanouna specie di ‘rete’, che siallargherà negli anni, dove leregole sono qualità,sperimentazione e soprattutto maiagire in solitudine, come a direl’unione fa la forza. Fioriscono così levarie label di questo nuovo genereportato avanti dalla ‘famiglia’,ognuno crea la sua, Fabio la CreativeSource, Goldie la Metalheadz eGrooverider fonda la Prototype edecide di provare con un soundengineer a fare il suo primo branocome Codename John. Proprio nelmomento in cui questo generechiamato drum’n’bass si arricchiva diragga e hip hop, Rider decise diprendere sotto la sua ala giovaniproduttori abili nel mischiare aldrum’n’bass elementi di techno edacid house, sviluppando così unsottogenere chiamato Hardstep oTechstep. Impazzano così i vari EdRush, Matrix, Optical, John B i qualidal 1993 fino al 1996 creano classiciassoluti del genere, sfociando nellacompilation ‘The Prototype Years’ perla Sony. Contemporaneamente alleresidenze ‘Sunday MetalheadzSessions’ del Blue Note, Grooveriderpassa a Kiss FM (sempre con Fabio)con la trasmissione ‘Ruff Cutz’, doveincessante trasmette i classici a

venire, tanto daottenere nel giro didue anni la tra-smissione alla benpiù nota BBC One.

Nel 1998,momento storicoin cui sembravache il D’n’Bstesse perscoppiare,Grooverider,

aiutato da Optical,fa uscire il suo

monumentale ‘Mysteries OfFunk’, album proiettato a una

platea più vasta, ma sempre concaratteristiche ben poco accondiscen-denti.Da allora ai nostri giorni, tutta lascena D’n’B ha cercato di non farsiinquinare dall’industria discografica,grazie proprio a quel senso d’asso-ciazione che ha portato la scenaunita a sperimentare e a spingere ilgenere sempre più avanti, tanto daottenere risultati abbaglianti in ogniparte del globo, dal Brasile, allaNorvegia, e tali da portare la ‘fami-glia’ ad essere granitica nonostatel’ingresso nelle chart (vedi Shy FX &T Power). Alle soglie del 2003Grooverider è pronto, con il secondoalbum per la Columbia, a scalare leclassifiche grazie a un brano ed unvideo già in heavy rotation su MTV,tanto ‘per la gente’ quanto intransi-gente. Il Padrino è ancora lui.

GROOVERIDER “IL PADRINO”

AaVv - Fabriclive.06 Grooverider(Fabric)Grooverider feat. Lifford - WhatDo You Do 12’’ (Columbia)www.bbc.co.uk/radio1/urban/fabandgroovete

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RICETTE SEMPLICIINTERVISTA CON DAVID GUETTA

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“L’house non è l’hip hop:non ha in sé il gene dellasfida, dell’andare controil sistema. L’house primadi tutto è questione difar ballare la gente. Poiinsomma, pensiamo acome è nata… riciclandocioè le b-side dei pezzidisco anni ’70…”.

Candidamente semplice e sincero,il buon David Guetta, in questachiacchierata che abbiamo avuto inoccasione dell’uscita del suo primoalbum “Just A Little More Love”. E’sì un disco d’esordio, ma il perso-naggio in questione è un veteranodella scena house francese: “Comesono stati gli inizi? Beh, io c’ero dalprimo giorno. A fare cose stupide,come smazzare flyer, passare orea convincere gli amici che questanuova musica era qualcosa difantastico. C’ero io, al mio fiancoc’era Laurent Garnier… eravamoveramente in pochi, in quei giorni,fine anni ‘80! E poi ci guardavanoveramente male, all’inizio nessunoci prendeva sul serio e ci conside-ravano solo dei piccoli, fastidiosimitomani. Puoi immaginare quindila nostra soddisfazione quandoabbiamo visto tutto crescere pianopiano, fino all’esplosione che c’èstata nella seconda metà deglianni ‘90”. Il famoso french touch,insomma, di cui mille volte si èparlato e mille volte ancora siparlerà; naturalmente non possia-mo non sottoporre Guetta allacorvée di rispondere alla domandasul “cosa”, “come”, “perché” e“fino quando” del french touch: larisposta è comunque cortese, eper nulla infastidita… “Il frenchtouch nell’elettronica? Ebbene sì,esiste! O almeno così credo. Anzi,per essere più precisi: è esistito. E’esistito nei primi dischi dei DaftPunk, nelle cose di Etienne DeCrecy, poi potrei andare avanti coinomi. Ma a mio modo di vedere ildenominatore comune non eranemmeno una precisa cifraestetica: è piuttosto il fatto che silavorava in studi piccoli, con unarsenale di macchine in fondolimitato rispetto ai grandi studi chesi possono trovare, che so?, inInghilterra. Questa difficoltà dibase ha spinto tutti a lavorare perottenere veramente il massimodall’attrezzatura a propria disposi-zione, così come ad avere ideebrillanti che aiutassero a farsiriconoscere – nonostante non siprovenisse dall’Inghilterra odall’America, patrie della scenahouse e della club culture. Oggi,

non ha più molto senso parlare difrench touch. Tutti gli artisti sonocresciuti nel tempo, prendendouna propria direzione. Ognuno hail suo stile, ognuno si èautonomizzato. Al massimo potreidirti che c’è in effetti una tendenzanei nuovi producer francesi aguardare all’electro e alla newwave. Una cosa è certa: io, epenso nemmeno gli altri, nonsiamo infastiditi da tutto questohype che c’è stato e continua adesserci attorno a questo cosiddettofrench touch. Sì, è unacategorizzazione, in certi momentianche grossolana e spiacevole,però ha aiutato noi tutti a farciconoscere, ad andare all’estero, ad

avere rispettabilità ed esposizione.Davvero un’ottima cosa, che mettein secondo piano gli aspettinegativi che una generalizzazionesi porta sempre dietro con sé”. Alcontrario dei cugini Cassius, checon “Au Reve” hanno fatto unalbum molto ambizioso che peròsostanzialmente delude, Guetta èandato sul sicuro: in “Just A LittleMore Love” si sente un po’ di tutto,dall’house commerciale del singoloomonimo fino ad estremizzazioniquasi-techno (“133”, probabilmen-te il momento migliore dell’album),passando per vari gradi intermedi,dallo scherzo (“Distortion”) alfunkadelismo digitale (“AtomicFood”) fino ai momenti downtempo(“Lately”). Una collezione dimomenti diversi… quasi unaschietta, disimpegnata voglia diaccontentare un po’ tutti? “In

effetti questo è il mio primo album,e in quanto tale ho voluto chetestimoniasse un po’ tutti gliaspetti musicali che io possopercorrere mentre faccio il dj.Consideralo davvero come untributo alla bellezza della musicada club vista da tutti i suoi aspetti,era la cosa a cui tenevo di più,prima ancora di volermi imporre iocon una mia visione totalizzantedelle cose”. Un’umiltà che alla fineripaga, perché “Just A Little MoreLove” alla fine si fa ascoltarevolentieri, proprio nel suo esseresenza pretese (mentre appunto itentativi vuoi soul vuoirockeggianti degli ultimi Cassiuslasciano molto, molto perplessi…stessa cosa dicasi per iRinocerose; o magari per i recentidecadentismi anni ’80 degli Air, olo stucchevole citazionismo discodei Daft Punk di “Discovery”). “Lamusica house è la mia musica. Midivertiva quindi l’idea dievidenziarne i vari aspetti e lederivazioni che può prendere,quasi uno showcase delle trasfor-mazioni a cui può essere soggetta.Semplicemente questo. E non mivergogno assolutamente di direche in qualche caso, come adesempio il primo singolo, hotentato di far incontrare la housecol pop”. Voglia di successo, forse?“Nooo, macché, figurati! Io facciomusica veramente per hobby,voglio mantenere questo spirito.Certo, il pezzo in questione haavuto in Francia un successosmodato, io sono il primo adesserne sorpreso. Potrei azzardareuna spiegazione, cioè che è andatocosì bene proprio perché la genteha sentito che era una cosa fattaper il puro piacere di divertirsi, noncon l’idea di vendere più dischi. Epoi: perché dovrebbe importarmidi vendere più dischi? Io sono giàfelicissimo così! Fare il dj è diven-tato il mio lavoro; ma un lavoroche mi ha dato la libertà. Unprivilegio bellissimo. Essereproduttore, fare un disco, è solouno sfizio in più, un modo perdivertirsi e, spero, divertire un po’gli altri”. Compito riuscito. E alloraquindi ci si chiede: se la ricetta perrivitalizzare la scena francese(reduce, come dicevamo, da dischiun po’ troppo ambiziosi e velleita-ri) fosse per intanto questa soavesemplicità e disincanto che unDavid Guetta mette in pratica?

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David Guetta - Just A LittleMore Love (Virgin)www.davidguetta.com

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HOUSE(Valerio Tamagnini)

Jakatta feat. Seal – MyVision (Rulin) Ritorno sulla

terra per gli spaziali Layo &Bushwacka!: il remix per iltormentone dei Jakatta è fintroppo morbido e deep, per quantoassolutamente gradevole edelegante. Una pausa in un mo-mento eccellente.

Lorenzo LSP – Devil’s Child(Promo) Messosi in mostra

con il progetto Mondomusica, iltorinese Lorenzo LSP arriva con ilnuovissimo Devil’s Child, in attesadell’imminente e prestigiosotrattamento per Planet Funk.Entrambe le interpretazioni, fracassa pari, elettronica, accenniacid e finezze tribali, rendono assaibene: un deciso passo in avanti,complimenti !

Paul Oakenfold – StarryEyed Surprise / Josh Wink

re-interpretation (Perfecto /Mushrooms) Dopo il sublimelavoro di Layo & Bushwacka, ancheil mago Josh Wink si applica sull’hitdi Oakie: incalzante techno acidada spasmi, con finale in pompamagna. Conferma.

Dot Allison – We’re OnlyScience / Slam ‘remix’

(Promo) Spiace recensire concolpevole ritardo un prodotto ditale portata: la simpatica DotAllison è portata in un universoinquietante fra archi suntuosi,frustate ritmiche, tastiere oscureed impatto indicibile.Un autentico capolavoro, da fargirare a meno due e ribaltare lapista.

Automagic feat. Nashom –I’ll Be Here ‘Morales

Dark’n’Lovely mix’ (Definity)Riprendendo l’insipida originale,Dave Morales si ricorda di essereun mostro e disegna un viaggiotanto melodico quanto elettronicoda lacrime agli occhi. Emozionivere.

Lamb – Sweet ‘LeeCoombs remix’ (Promo) Se

per qualche minuto la canzone sitrascina dubbiosa, dall’ingressovocale in poi – pausa sublimecompresa – è un concentrato diemozioni, archi e talento cristalli-no. Lee Coombs in forma sma-gliante per un prodotto frabreakbeat house adatto aidancefloor più intelligenti. Sempli-cemente grande

FC Kahuna – Hayling‘Chicken Lips remix’ (City

Rockers) Spiace constatare comela magnifica melodia originale,ballata per eccellenza dell’ultimolavoro dei finti fratelli Kahuna, siatrasfigurata e banalizzata daimuscoli electro house propostidall’attivissimo trainer ChickenLips. Consigliato un po’ di riposo.

Passionate Muzik – GatDecoder ‘X-Press 2 mix’

(Promo) Inizia insipida la nuovaopera della macchina da guerra X-Press 2, fra ritmiche discutibili epoco fascino, ma è lo stop asublimare il tutto: il vigile Beedleintroduce orgasmi di tastiereeighties e melodie trashy per fareripartire l’autoscontro. Set YouFree Baby !

James Lavelle – Barcelona #023 (Global Underground)

Esula dal nostro presunto campo –ma è una segnalazione doverosa – laperla scovata nel triplo promozionaleper il nuovo capitolo di GlobalUnderground, firmata dal bossMo’Wax; fra Dj Shadow e Meat Katie,Layo & Bushwacka ! e Sotero,trovate questo magnifico inedito diUnkle che maneggiano There GoesThe Fear dei Doves. Un miracolo popda mani alzate e cuori spezzati.

Stylophonic – If EverybodyIn The World LovedEverybody In The World

(Prolifica / Promo) Dopol’intrigante Bizarre Mind, arriva unquadruplo promo (!) per il nuovosingolo del nostrano Stylophonic.Se l’original è una filastrocca tuttomiele e atmosfere natalizie che sail fatto suo, i remix alternano lesolite elegantezze di King Britt, levirate electro di Rob Mello –piacevole la dub – e un grandissi-mo Kevin Saunderson che sbalor-disce nel Summer Dream Dub.

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Una delle più sublimi (e tradite)utopie in cui musica e cinema sisiano mai azzardati è la brevestagione dell’astrattismo, tra glianni ’10 e gli anni ’30 dello scorsosecolo.La maggior parte dei cineastistrutturali che si sono occupatieroicamente di cinema astratto,hanno ronzato intorno all’analogiamusicale nel tessere le loroimmagini: Sinfonia diagonale diEggeling o Rythmus 21 di Richtererano visioni di geometrie inmovimento attraverso la lucentez-za della celluloide. Epperò, nonsolo le esperienze meramente‘astratte’, ma anche film comeBerlino, sinfonia di una grandecittà di Ruttmann, L’uomo con lamacchina da presa di Vertov,Entr’Acte di René Clair o le operedello stesso Ejzenštejn si sonotrastullate con ‘giocattoli visivi’vicini all’an-iconismo della musica.Se infatti il Kino-glaz di Vertovradicalizzò il rifiuto di tutto quelloche non faceva capo alla macchinada presa: attori, scenografia,illuminotecnica, set… introducendocoi trucchi, le dissolvenze, lesovrimpressioni, lo split screen,l’accelerato, il rallentato e con ilmovimento rovesciato, dimensioniinedite per la versificazione visiva,Clair e Picabia sbriciolarono lasequenza, Fischinger usò lapellicola direttamente per ‘dipin-gerci’ sopra, i mitici fratelliCorradini di Bologna realizzarono 4film ‘concreti’ (andati per disgraziaperduti), illustrando musiche diMendelssohn o poemi di Mallarmé.Erano quelli i tempi dell’avanguar-dia futurista, suprematista,

costruttivista, di Majakovskij, diMejerchol’d, del rigore delle‘costellazioni’ sonore di Webern,degli sperimentalismi poetici deicalligrammes di Apollinaire, dellozaum di Krucënich, degliideogrammi di Ezra Pound, dellostridulo dadaismo fonetico diHülsenbeck, di Hugo Ball, delteatro ‘crudele’ di Artaud. Erano itempi in cui il cinema pensava allamutazione, al ‘sogno’, all’‘oltre’. Itempi in cui lo snodo teoreticodella sinestesia e del gesamt-kunstwerk impegnava in feralipolemiche il fronte delle arti.

Alla radice delle intuizioni e delleinfiltrazioni sul gioco di rimbalzi econtro-risonanze di un ping-pongtra suono e contrappunto visivo,possiamo pescare Pitagora e la suateoria delle sfere connaturata allastruttura dell’ottava musicale deimodi greci e alle frequenze dellaluce. Una sorta di ideale pansoficoche s’intrufola nel Medioevo e nelRinascimento, giungendo aisimbolismi di Arcimboldo, allaMusurgia universalis di AthanasiusKircher, a Newton, per inauguraretutta una sequela di strumentimusicali ‘ottici’: il ‘cembalooculare’ del gesuita Castel, gliesperimenti di Telemann, fino alClavilux di Thomas Wilfred, alpiano optofonico di Hausmanns eal reostato di Mary HallockGreenewalt nel XIX secolo.Alla soglia della modernità ancheartisti come Skrjabin nel suoPrometeo, Kandinskij e altris’impossessano di questa tradizio-ne sincretica. Ma è in effetti con glistudî di Klee e con il cinema che il

mirifico mondo dell’augenmusikabbandona la ‘trascendenza’ e viradecisamente ad un’esplorazione ditipo ‘linguistico’.… polifonie visive, rarefazioniluministiche, collisioni morfiche,traslazioni sonore nel modellatodell’immagine… il cinema,sovvertendo le antiche mitologie,incentra lo scambio a-teleologicodelle forme sul piano della sensa-zione, eleggendo un novello‘sensismo’ a divinità del XX secolo.E una sensazione pura è lasupremazia di una forma liberata,di un «nulla liberato», come neiquadrati di Malevic.Davvero con questo ‘salto’ di scala,con questo sgarbo gnostico, ilcinema diventa il modo di pensare

L’idea centrale è l’impossibilità di ‘congelare’ un film.Il film è sempre in uno stato di flusso. Le immagini‘reali’ dell’origine si disintegrano progressivamente. Laculla di gelatina che contiene i prodotti chimici si dis-solve. Alla fine non resta che uno sconcatenarsi dielementi. (Jürgen Reble, 1989)

IL CINEMA ASTRATTO:IPOTESI DI UNADISPARITION

Piano Optofonico

Schema del piano optofonico di Hausmanns

Immagine dal film Ballet mécanique di Léger

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della modernità. Il ‘trovarobato’magico della settima arte detta idogmi di una nuova filosofia: sequindi l’antica sophia ardiva didescrivere l’eterno, l’universale,per contro il cinema è l’Hermes diun’altra sapienza, capace di unpensiero mobile, rivolto al singola-re, alla metamorfosi, alla variazio-ne continua, al divenire. Eccoallora l’idea del cinema-demonio inquanto forza del cambiamento, delcinema-onirismo di Epstein neisuoi Esprit du cinéma o ne Lecinéma du diable. Ecco le parole diGermaine Dulac: «Lo spostamentodi una linea, di un volume, in uncadenza mutevole, crea l’emozio-ne… »; ecco i suoi La coquille et leclergymen, Arabesques, Disque957, Thèmes et variations. Ecco ilcinema-divenire del Ruttmann deiLichtspiel Opus I-V, montatifotografando sequenzialmentecelluloide istoriata a mano,formazioni rotanti, specchî («Lapittura più il tempo è la giusta viadi mezzo fra pittura e musica»,diceva Ruttmann). Ecco Len Lyecon il suo Colour Box ‘pitturato’sulla stampante ottica, a metà trascultura cinetica, poesia erayogramma. Ecco Fishinger che,dal canto suo, manovra sullapellicola come su un telero dipapiro: cinematografando liste dicarta su cui ha disegnato linee eforme, trasmettendole attraversola cellula fotoelettrica ed estraen-dovi suoni e rumori, oppuregraffiando e scanalando l’emulsio-ne e numerando le sue serie distudî come pièces musicali… conquel suo senso della luce ad untempo costruttivista edecostruzionista, come provaanche l’invenzione del lumigrafo:un lenzuolo teso su una cornice(che racchiude gel colorati elampadine), sul quale premendocon le mani si possono creare‘fremiti’ luminosi. Ecco Brakhageche nelle sue Persian Series,inspirate alla calligrafiacuneiforme, muove batterie dilinee come una coreografia.

È questa già un’immagine scolpi-ta… è il trionfo della macchina-immagine che si consacra a sestessa.

Ma in effetti non soltanto il cinemadelle origini ha indagato questomateriale sorgivo. Leneoavanguardie americane edeuropee degli anni ’40 e ’50, conMaya Deren, con Kenneth Anger,con James Broughton, con RonRice, con Stan Brakhage, fino alcinema sperimentale-glamour-popdei ’60 di Jonas Mekas, di JackSmith, di Andy Warhol, fino aitentativi italiani con la CooperativaCinema Indipendente: Bacigalupo,Bargellini, De Bernardi, Leonardi;lungo le influenze della pitturainformale, del jazz, della musicaaleatoria cageana, hanno sfornato‘oggetti filmici’ dalla nuova metri-ca, dalla ritmica scoppiettante,dalla retorica e dalla gestualitàinaudite. Rischiandosi nel sabotag-gio delle convenzioni narrative, deicodici tradizionali della rappresen-tazione, dell’omologazione deiformati, quei film hanno lasciato losmeriglio splendente di una totaleri-configurazione della spazio-temporalità cinematografica.

Una ‘musica delle forme’ è iltheatrum mirabile di questasperimentazione. Almeno fino aIsidore Isou, quando in quell’indi-menticabile Traité de bave etd’éternité, manifesto cinematogra-fico del Lettrismo, il poeta rumenoannunciava nientemeno che la‘scomparsa’ dell’immagine. Ilcinema lettrista nasceva così sulloscorporamento e il conseguentespiazzamento di tutti gli elementitopici del linguaggio-cinema:l’alfabeto ‘concreto’ basava la suaviolenza iconoclasta sulla banda-suono, volta a scorticare il visivoattraverso fotografie trattate agrattage (in una ‘rasura dellacalligrafia’). L’annuncio di Isoudiventava ben presto urlo neisituazionismi di Debord(Hurlements en faveur de Sade),Wolman, Dufrêne, oltre i limitistrutturali del cinema, oltre i limiti‘fisiologici’ del supporto, nel lorofare film senza immagini. Qui dalla‘parola’ si passava alla ‘lettera’, inmodo che ogni inquadraturadiventasse il cut di se stessa.Tra effetti di flickering, ferocedisprezzo dello spettacolo cinema-tografico e glissandi sonori, illettrismo anticipava molte istanzecontemporanee.In Un film brûlé del 1984 lacineasta neo-lettrista Frédérique

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Le armonie digitali di John Whitney

Dziga Vertov, L’uomo con la macchina da presa

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Il Clavilux di Wilfred

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Sintetica filmografia di riferimento:

D. Vertov, L’uomo con la macchina da presa, 1929.A. Gance, La rosa sulla rotaia, 1922.V. Eggeling, Diagonale Symphonie, 1925.H. Richter, Rhythmus 21, 23, 25, 1924-26, Fantasmi del mattino, 1928.L. Lye, Colour box, 1928.W. Ruttmann, Lichtspiel Opus I, II, III, IV, V, 1923-26, Berlino, sinfonia di una grande città, 1927.F. Léger, Ballet mécanique, 1924.M. Duchamp, Anémic cinéma, 1926.

Bibliografia minima:

J. Mitry, Storia del cinema sperimentale, Milano, Mazzotta, 1977.G. Rondolino, Il cinema astratto, Torino, Tirrenia, 1977.V. Boarini, La neoavanguardia cinematografica, in Il cinema contemporaneo, Milano, Ellemmmeed., 1978.R. Mauvel, La nascita del cinema, Milano, Il Saggiatore, 1961.H. Ritcher, Nemici del cinema oggi, amici del cinema domani, Udine, Centro Espressioni Cinemato-grafiche, 1991.M. Verdone, Le avanguardie storiche del cinema, Torino, SEI, 1977.M. Verdone, Poemi e scenari cinematografici d’avanguardia, Roma, Officina, 1975.P. Bertetto, Il cinema d’avanguardia 1910-1930, Venezia, Marsilio, 1983.

Sul cinema astratto underground e non:

http://homepage.newschool.edu/~schlemoj/experimental_film_ring.htmlwww.animertedager.no/anasmus.htmlwww.lmu.edu/acad/personal/faculty/mmilicevic/pers/exp-film.htmlwww.mfj-online.org

Fischi, un grafismo cinematografico di Fischinger

Devaux giunge al clin d’œilmediante décadrage, poligonie divarî formati e crepitìi di foundfootage consumati. Jürgen Rebleinvece, incrementando‘dionisiacamente’ la dissoluzionedella materia-cinema in temporeale, con agenti chimici sulsupporto, ritrova una dimensioneoniroide quasi extra-cinematografi-ca. Mentre il pioniere del compu-ter-cinema John Whitney, capacedi utilizzare la musica seriale perquadrare le sue armonie digitali dicolori e forme o il giovane JostRekveld fautore di unmondrianismo ritmico e ripetitivo,superano addirittura l’immagineverso il diagramma, verso l’equa-zione grafica matematica.Siamo ai lavori contemporanei dicomputer-pittura di Bill Alves, agliologrammi polisemici e dadaisti,all’expanded cinema di StanVanderbeek, alle animazioni diAdriano Abbado, alle video-poesieprogrammate in java o in flash diBrian Kim Stefans, al movimentofree physics, mechanics andoptics, al ‘realismo’ virtuale.

Suoni e colori sono vuoti al vuoto.L’oscillazione-immagine non è piùquella che ci aspettavamo: la suaorigine è ambigua… marca, segnodi qualcos’altro o macchia serialedi algoritmi permutazionali, lavecchia, cara imago cicaleggia sulfilo del rasoio, sul punto di scom-parire davvero per sempre o diavviare ancora novelle

Scritture di Ruttmann per il film astratto Opus

Le Lumigrafie di Fischinger Lemaitre Un Soir au Cinéma

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IPERCITTA’Indaghiamo con questo secondo inserto di Ipercittà il lato piùelettronico del rapporto fra musica ed architettura. Due lefigure in particolare su cui si sofferma il dossier: DJ Spooky eIannis Xenakis, artisti collegati fra di loro da una comuneteoria sulla metropoli moderna resa esplicita da opere comeKraanerg, Persepolis ed Optometry. In appendice presentia-mo alcune realtà europee organiche ad un nuovo “sentire”urbano: la Scape di Berlino e dall’Italia i 2 Blue. L’astrattismourbano della nuova elettronica contemporanea chiude l’insertocon un breve panorama sui lavori di Murcof e System.

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Chuck Palahniuk è uno di quegliautori che leggiamo volentierianche se, da anni ormai, continuaa propinarci lo stesso romanzosotto differenti titolazioni. Giàperché Lullaby, il suo ultimolavoro, non è che una versioneimplosa di Fight Club (1996) e unariscrittura di Invisible Monsters(1999). Palahniuk ci piace ancheperché nella sua narrativa ritrovia-mo il presente (e il futuro prossi-mo) traslitterato. Opere comeFight Club e Survivor rientrano apieno diritto nella narrativad’anticipazione. Survivor (1999),in particolare, si apre con l’imma-gine di un leader di una settareligiosa, Tender Branson, che stadirottando un Boeing 747 per farloschiantare da qualche parte inAustralia. Branson (nome cherimanda ipertestualmente aCharles Bronson, Charles Mansone Marilyn Manson), infatti, è unl’unico membro della ChiesaCreedish: comunità di austericristiani che vivono rifiutando lelusinghe del mondo capitalistico.Branson ha infatti ordinato unsuicidio di massa che ha portatoalla completa scomparsa dellasetta. Non aggiungiamo altro...

Lullaby, il primo romanzo di unatrilogia horror che Palahniukprevede di completare entro il2004, è la storia di una filastroccamaledetta contenuta in un’antolo-gia intitolata Poems and RhymesAround the World. Come lavideocassetta di The Ring (HideoNakata, 1997, appena remixato aHollywood), la canzone africana hail potere di uccidere tutti coloroche la ascoltano. Il protagonistadella vicenda è Carl Streator, ungiornalista incaricato di scrivereuna serie di articoli sulla SuddenInfant Death Sindrome, la sindro-me della morte infantile improvvi-sa. Streator scopre presto chedietro ai misteriosi casi di mortedei neonati c’è proprio la filastroc-ca: basta pronunciare il pezzo,anche mentalmente, per uccidere.

LULLABY:ENJOY THE SILENCE“Words like violence break the silence come crashingin into my little world painful to me pierce rightthrough me”. Depeche Mode

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Lungi dal rinunciare al suo poteredevastante, il reporter si trasfor-merà presto in serial killer, provo-cando massacri a ripetizione. Lafaccenda si fa più complessaquando il nostro incontra un’agen-te immobiliare, Helen HooverBoyle, anch’essa a conoscenza delpotere malvagio della poesia. I duedecidono di partire per un viaggiocoast-to-coast, recuperare tutte lecopie del libro maledetto e bruciar-le prima che altri possano scopriregli effetti “collaterali” della fila-strocca. Prendono parte allamacabra spedizione anche Mona,un’apprendista strega nonchésegretaria di Helen e Oyster, unecoterrorista che sembra il fratellominore di Tyler Durden. Si noti chela struttura “on the road” diLullaby ricorda quella di Shannon eBrandy Alecander di InvisibileMonsters e quella, altrettantopicaresca, di Survivor.

“No one wants to admit we’readdicted to music. That’s just notpossible. No one’s addicted tomusic and television and radio. Wejust need more of it, morechannels, a lager screen, morevolume. We can’t bear to bewithout it, but no, nobody’saddicted.”(Chuck Palahniuk, Lullaby, p, 18)Il romanzo, stando allo stessoautore, è stato ispirato da duefatti. Il primo è la morte del padredi Palahniuk, ucciso, anzi giustizia-to, nel 1999 dal criminale DaleShackleford, in seguito catturato econdannato a morte. Lullabyrappresenta, per certi versi, lareazione dell’autore a quell’eventoterribile. Il secondo è una furiosalitigata con una vicina di casatroppo rumorosa. Non a caso, CarlStreator, l’alter ego di Palahniuk, sivendica uccidendo sistematica-mente tutti gli inquilini del suostabile, servendosi della potentefilastrocca. In questo senso,ricorda il protagonista di FightClub, che dava inizio a unacrociata anti-capitalistica perchésoffriva di insonnia (si pensi alTravis Bickle voleva seccare ilSenatore Pallantine in Taxi Driver).Streator, in particolare, detestatutti quelli che “parlano troppo” e“fanno troppo rumore per nulla”:uccide gli insopportabili deejaydelle radio, i suoi colleghi di lavoro,le persone che lo urtano per lastrada mandandolo a quel paese.In un certo senso, Lullaby realizzain forma finzionale una delle grandifantasie adolescenziali:l’onnipotenza distruttiva – leggi: lacapacità di eliminare chiunque conla forza del pensiero (la seconda,

che consiste nella possibilità dicontrollare il tempo, “congelando-lo” a proprio piacimento, è stataesplorata brillantemente daNicholson Baker, solipsismo monamour). La metafora è chiara: ilsilenzio della morte è preferibilealla cacofonia dei media. Megliomorti che ospiti di un talk show,dice Palahniuk. La parte miglioredel romanzo è quella iniziale, poi lanarrazione si frantuma progressi-vamente fino a sbriciolarsi deltutto nel finale. Di Fight Club,Lullaby ha conservato l’intentopolemico/politico, incarnato nellafigura di Oyster. Ritroviamo anchela critica feroce ai media, al centrodi Survivor, senza dimenticarel’ossessione di Palahniuk per iristoranti e i club intesi comeforme di discriminazione di classe(uno dei temi di Choke, 2001,appena uscito in Italia con il titoloSoffocare). Da sempre, Palahniukdescrive il mondo in terminimercantili: un costantesovrapporsi di feticci e di ossessio-ni consumistiche, un malestrompubblicitario malsano e corrosivo,una fiera di bisogni e aspirazionisuperficiali indotte dal grandefratello. In Invisibile Monsters, lamodella Shannon MacFarlandmutilata della mascella in seguito auna misteriosa fucilata dichiarava“we’re all products”: non siamoliberi di scegliere la nostra identi-tà: siamo piuttosto il risultato discelte di marketing. E ora unmessaggio dal nostro sponsor...“Big Brother isn’t watching. He’ssinging and dancing. He’s pullingrabbits put of a hat. Big Brother’sbusy holding your attention everymoment you’re awake. He’smaking sure you’re alwaysdistracted. He’s making sureyou’re full absorbed.”(Chuck Palahniuk, Lullaby, p, 18)

La prosa di Palahniuk non ècambiata rispetto ai precedentilavori: scarna, minimale,sloganistica, lapidaria. Pochi gliaggettivi, tanti i verbi. I personag-gi vengono introdotti in modoassolutamente sintetico, conl’equivalente letterario delleetichette nutrizionali: “The detailsabout Henderson are he’s gotblond hair combed across hisforehead,” oppure, “The detailsabout Nash are, he’s a big guy in awhite uniform.” Fine della storia.Quasi ellisiane le descrizioni deglioggetti: dell’abito di Helen, peresempio, ci viene detto che “‘It’sgreen, but not the green of a lime. . . more the green of avocadobisque topped with a paper-thinsliver of lemon, served ice cold in

a yellow Sevres soup plate.”Descrizioni di questo tipo punteg-giano l’intero romanzo e, a benvedere, costituiscono gli aspetti piùinteressanti di una storia chediventa presto monotona, per nondire noiosa. Un analogo espedienteera stato usato, per esempio, inInvisibile Monsters, dove Palahniukinseriva nella narrazione degliincisi in forma di istruzioni su comeeliminare dall’arredo tracce disangue e sperma, per rimediare aibuchi di pallottola sui vestiti o suimuri o cuocere alla perfezioneun’aragosta.

“White noise. Imagine a world ofsilence where any sound loudenough or long enough to harboura deadly poem would be banned.No more motorcycles, lawnmowers, jet planes, electricblenders, hair dryers. A worldwhere people are afraid to listen,afraid they’ll hear somethingbehind the din of traffic. Sometoxic words buried in the lousemusic playing next door. Imagine ahigher and higher resistance tolanguage. No one talks because noone dares to listen. The deaf shallinherit the earth”.(Chuck Palahniuk, Lullaby, p, 43)

Lullaby è una riflessione sul poteredistruttivo dei media, sulla lorocapacità di stordirci con terabyte diinformazioni inutili e superflue(come quelle che state leggendo inquesto momento), sul “rumorebianco” in cui siamo costantemen-te immersi. È anche una riflessionesulla pena di morte, sulla capacitàdell’uomo di pianificare la mortedei suoi simili. Dominano, comesempre in Palahniuk, il nichilismo ela distruzione, le ossessioni e leperversioni sessuali, il fascino perla morte, l’apocalissi (quel “Thedeaf shall inherit the earth”rimanda a “Quando non ci sarà piùspazio all’inferno, i morti cammi-neranno sulla terra” del buon zioRomero) . Thriller metafisico cheoscilla tra l’horror e la polemicaanticonsumistica, Lullaby insegnache gli strumenti di distruzione dimassa più efficaci sono in realtà glistrumenti di distrazione di massa.In altre parole, uccide più MaurizioCostanzo di Osama Bin Laden.

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Titolo: LullabyAutore: Chuck PalahniukEditore: Johnatan CapeData di uscita (Usa e America):Settembre 2002, Italiasometime in 2003

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Qualche giorno fa mi trovavo in unmegastore di Milano, come al solitocuriosavo tra gli scaffali dei dischi ea un certo punto l’ho visto, il nuovodisco di Miele, “Flux”. Si trovava nelreparto della musica italiana. Coltada un certo disappunto avrei volutodire al responsabile del reparto chequel disco avrebbe trovato unacollocazione più adatta tra i dischi dimusica elettronica (così è perSantos, OminoStanco, DiningRooms, etc.). Ok, si chiama Stefano

FLux: i suoni acidi del breakbeat d’oltremanica incontrano l’energiacreativa di Napoli e gli strumenti tradizionali della musica popolare delSud. Miele rivitalizza la canzone italiana ed è ulteriore conferma che nelnostro paese si produce un’elettronica avventurosa e interessante.

Miele, buona parte dei titoli sono initaliano (è anche un disco di canzonicon testi in italiano), ma i suoni di“Flux” hanno più a che vedere con isuoni d’oltremanica che con quellidel nostro paese. In realtà, a benpensarci, non è facile dargli unacollocazione esatta ed è qui che hocapito quanto sia coraggioso, oltreche bello, questo nuovo lavoro. Puressendo, infatti, genuino eimmediato, richiede comunque unascolto intelligente e soprattutto

libero da pregiudizi, sia da parte dichi generalmente ascolta musicaitaliana che da parte di chi segue lascena elettronica internazionale.

Allora Miele, credo tu siaconsapevole di aver fatto undisco non facilmenteetichettabile. Da una parte,canzoni, sì, italiane madecisamente poco convenzionali;dall’altra, tracce che sono veri epropri attrezzi da dj, breakbeat

MUSICANARKICANAPOLETANA

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circuiti istituzionali a renderlainteressante e nuova. Secondote può esserci un puntod’equilibrio? Sicuramente nuoveidee e fermenti nascono spesso daquel sottobosco di cui sopra ma nonpenso che sia deplorevole avere lapossibilità di salire di livello ed avereun’esposizione maggiore, bisognasolo stare attenti a non farsifagocitare dal sistema e continuarea mantenere una certa integritàartistica ma ti assicuro che non èfacile, potrei citarti decine di nomi digruppi molto validi che poi con lapopolarità hanno girato per lascorciatoia asfaltata lasciando adaltri la strada sterrata.

In “Flux” tradizione e presentes’informano a vicenda, suoni estrumenti popolari come leciaramelle e il flauto indiano sifondono con i suoni dellemacchine e i ritmi del breakbeat.Quanto hanno influito il sud,Napoli e il fatto di far giraredischi nei club? In manieramassiccia direi sia per il modo diconcepire le strutture, sia per ilmodo di scegliere i suoni e leatmosfere e sia per il modo dicrossoverare in modo spontaneo lediverse influenze. Il fatto diutilizzare certi suoni e certi stili dellamusica folk rientra comunque nelmio background culturale e lacontaminazione avviene in modomolto spontaneo.

Quando componi, in che modoprocedi? Cioè, passi molto temposui singoli suoni prima dimettere su un groove o partiavendo gia’ una visioned’insieme, un’idea precisa su ciòche vuoi ottenere? E’ molto stranoma avviene una strana alchimia tramente e microchip... sembra che gliinflussi fotoneuronici scorrano allavelocità della luce attraverso le viedel cervello per poi scaricarsinell’hard-disk del mio Mac ematerializzarsi improvvisamente inuna forma wave già mixata emasterizzata. Certe volte invece, lamaggior parte direi, con un’idea benprecisa in mente di ciò che vogliorealizzare, mi metto davanti allemacchine a “shbariare” per ore

finchè non ho raggiunto il risultatodesiderato.

Quali hardware e software usiper i tuoi suoni? RigorosamenteMac come computer, Logic Audiocome sequencer, Akai 950 e S3ooXLcome sampler e synth varisoprattutto di vecchio stampo tipo ilmio figlioletto preferito per creare ibassi e cioè l’SH101 della Roland...tutto l’outboard necessario per imissaggi lo trovo poi in studioquando vado a terminare laproduzione.Gli artisti che hanno collaboratoa questo disco hanno avuto unpeso importante dal momentoche sono autori dei testi e dellemelodie. Caparezza e SpeakerCenzou sono nomi noti, Ilainvece è stata, almeno per me,una delle piacevoli sorprese diquesto disco. Che puoi dirci dilei? Ila lavora da anni nel circuitomusicale napoletano e non solo, hafatto varie collaborazioni tra cuiDaniele Sepe, E’Zezi e SpeakerCenzou ed il suo rapporto con lamusica è stato sempre molto sinceroe viscerale, l’ho ascoltata per caso inun locale fumoso del centro storicoin una uggiosa serata dell’autunno didue anni fa e ne rimasi subitofolgorato... da allora abbiamoapprofondito prima di tutto la nostraamicizia e poi abbiamo cominciato acollaborare artisticamente trovandoda subito un feeling magico... poi ilresto è venuto da sè.

Se non ricordo male in un pezzodel primo album, “Flaconi DiDivertimento” c’è un sample da“Before You Leave” di PepeDeluxè. Negli ultimi 10 anni ilcampionamento è diventato unavera e propria arte, ma anche unabuso in certi casi. Qual’è ora iltuo approccio al sampling? Inrealtà quando ho deciso di usarequel sample la traccia si chiamava“Woman In Blue” ed era presentesulla prima versione del loro album“Supersound”, il disco era pieno dicampioni anche piuttosto conosciutiche però non erano stati dichiarati,pratica piuttosto comune tra iproduttori/dj, poi con il successodell’anno dopo sono stati costretti ate

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principalmente ma con un toccomediterraneo. Come definirestitu il tuo disco? Beh diciamo che lastoria dell’etichettare il mio lavorome la porto dietro dal primo discoche era legato in modo più evidentealle mie influenze musicali... neldisco nuovo invece queste influenzele ho assorbite, metabolizzate erigenerate creando questo mostrostrano che a volte ha un saporepiuttosto melodico, altre volte acidoe spigoloso altre volte invece“profuma di spezie”, come dice unmio caro amico, anche grazie allavoce di Ila.

Citando l’incipit di“Musicanarkica”, si fa un granparlare di libertà artistica, macome si può raggiungerla se chigiudica ti etichetta in fretta...? E’difficile oggi in Italia esserecoerenti con le proprie sceltestilistiche senza scendere acompromessi o nei tuoi circadieci anni di attività ti sembrache qualcosa sia cambiato inmeglio sia in relazione alle casediscografiche che al pubblico? Iotrovo invece che la situazione siapeggiorata, poiché se qualche annofa a chi decideva di fare un certotipo di musica toccavano le bricioleabbondanti di una torta piuttostoricca, oggi nemmeno quelle più sonoa disposizione perché il mercato è incrisi. Da ciò deriva anche poi undiscorso musicale teso alladegenerazione ed all’appiattimento eti assicuro che io sto pagando lespese in termini promozionali peraver composto un disco secondomolti ostico ed in controtendenza...bah... a me sembra più orecchiabiledegli Eiffel 65. Fortunatamente c’èanche molta gente intelligente checontribuisce alla sopravvivenza diuna flora sotterranea che si alimentaa fatica ma che non muore mai.

Ci sono persone che si danno ungran da fare perché la musicaelettronica, e artisti come te,abbiano più visibilità e più spazi.Questa è una cosa buona ma in“Musicanarkica”, il cui testo èuna sorta di manifesto musicale,si dice che è proprio il suoessere fuori dalle regole e dai

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cambiare alcune tracce per roblemidi clearence, inclusa “Woman...” che èdiventata “Before...” con un nuovocantato questa volta originale. Io coltempo ho sviluppato un rapporto piùmaturo col sampling, cerco di lavoraredi più il campione ed in molti casiriesco a renderlo irriconoscibile e quindiuna mia creazione.

So che tu hai fatto un gran belremix a “Don’t Stop ‘till You GetEnough” di M. Jackson. InInghilterra, e non solo, è ormaiuna prassi consolidata far girareremix illegali su white label. Sepoi il pezzo funziona bene, arrivaad essere pubblicato. A mesembra un modo moltodemocratico. Qui in Italia puo’

funzionare o sentiremo il tuoremix solo alle tue serate?Diciamo che il clearence delcampione che ho usatopotrebbe averlo giusto Puffye qualche altro grandone,in realtà mi sta bene che

giri anche sotto forma dibootleg perché è

sicuramente una cosache lo rende piùinteressante edunico e comunquenon lo suono soloio ma anche imiei amici djquindi ve ne

invio una copia al più presto...

Quando suoni come dj nei club, lamusica che spingi è soprattutto ilbreakbeat. Quali sono, in questogenere, gli artisti che stimi dipiù? Attualmente seguo con interesse

Miele - Flux (Planet Records)www.planetrecords.it

il lavoro della crew della TCR (Pilgrem,2sinners, Koma&Bones) e poi i variFreq Nasty, Terminalhead, Blim, DylanRhymes, che si è saputo rigenerare allagrande dopo l’ondata del big beat,Meat Katie... ce ne sono troppi dacitare ma cmq sono contento per ilgran fermento che gira attorno allascena breakbeat che sembrainossidabile!

Oltre che dj sei anche unproduttore e un appassionato dimusica. Potresti farmi almeno trenomi di artisti che hanno costituitoun punto di riferimentoinossidabile in questi anni?Impossibile non citare innanzituttoNorman Cook, che in passato è statoartefice di produzioni serissime anchese adesso mi sono un pò allontanatocome gusto dal suo stile, cito poiDr.Dre per il suo modo di produzioneoriginale e preciso ed infine i Leftfieldperchè hanno mantenuto invariato neltempo il loro concept musicalenonostante il grande successo. Ci sonopoi tutta una serie di artisti/produttorimeno conosciuti ma che meritanouguale rispetto.

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MONDO FRAGILEMODERN FASHION ILLUSTRATORS FROM JAPAN

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Tadahiro Uesugiuntitled - magazine cover art

Wakababirds - artist’s collection

Lo stile del futuro è targato Japan. Per guardare avantibisogna voltarsi verso est. Se il ventesimo secolo si èispirato agli Stati Uniti, il ventunesimo spia il Giappone,formidabile laboratorio di produzione di mode e culture,Nuovo Mondo contemporaneo, luogo di ogni estremo.Stili di vita nascono e si mescolano a Tokyo con quellidel resto del mondo. Ricreati, contaminati, in un ribolli-re di idee che sempre più affascina l’Occidente. Lo di-mostra la crescente nippomania della stampa interna-zionale. Per il magazine spagnolo “Big”, questo èl’Asian century, il secolo dell’Asia. Per “El Pais” “lacapitale mondiale della moda non è più New York néLondra, è Tokyo”. “Time” dedica una copertina agli“eroi asiatici”, “The Guardian” annuncia “The AsiansAre Coming”, arrivano gli asiatici, e fotografa il declinodell’industria cinematografica americana mentre decol-la quella giapponese. Un interesse collettivo che sitraduce nella miriade di mostre in tema.Giappone Mon Amour(Ambra Somaschini - L’Espresso settembre 2002)

Sai Tamiyaboy & girl in a toilet

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FRAGILE E’ IL MONDODELLA MODA

Basta semplicemente immergersinella fragranza delle immagini.Come un premio per l’occhio, leimmagini iniziano a danzaredavanti alla nostra retina, innocen-ti e leggere. Forse è più innocentel’occhio doppio (europeo) che le hascelte per noi, quello di GabrieleFantuzzi e Cristiana Valentini,calatisi con la grazia di una farfallanelle immaterialità della rete –l’oceanico mondo di Internet – perguardare, setacciare e poi propor-re attraverso questo libro, leimmagini dei nuovi graphic e webdesigner dell’Oriente contempora-neo. Compito arduo segmentare emappare un mondo a noi scono-sciuto: ma si sa, il Giappone, agliocchi dei contemporanei occidenta-li, è un calembour luccicante diimmagini, un affastellante detrito-mondo in technicolor, un caramelloiper-cromato che eccita per laglassa post-pop che tutto sommer-ge. Il retrogusto visivo che lascia-no le immagini dei vari TadahiroUesugi, Emma Mori, Haruka Ota,Hiroko Hasegawa – e molti altri –parlano di una fascinazione perl’Occidente che non c’è più, dadecor Vogue anni ‘60 e ‘70, con lesue fitte donnine italiche enipponiche allo stesso tempo, inuna trasparente e naif identifica-zione e assimilazione. E lo stileeuropeo, appreso attraverso ilglamour di giornali di moda escorpacciate di film e televisione,ci ritorna con un plusvalore dieleganza, incredibilmente candidoe puro, come se la Storia si fossefermata lì, in una qualcheinterzona temporale, prima delVietnam e dopo Berlusconi. Questomondo nipponico è così fresco,accattivante, morbidamentelanguido da rimanere comunquealtro: rimanda sempre a unpresente-futuro interrotto che ciparla più dell’Europa che delGiappone. E quando, alla fine dellibro, la sezione Italy meets Japan,incrocia le matite e i mouse deidue antipodi, non v’è differenzaalcuna, come se la ovatta delgiovane segno giapponese fosseriverbero di quella italiana.Questioni di stile, certo, ma anchedi cultura. L’eleganza e la semplici-tà del segno sono tratti comuni alledue culture. L’abbinamentocromatico, la femminilità infantile eteneramente asessuata, la metico-losità del dettaglio ci narrano unaquotidianità del segno pop diderivazione fumettistica-mangache non ha più frontiere, anche nelcampo della moda; e – last but notleast – questi giovani illustratori

giapponesi ci offrono una alternati-va “visiva” di alta qualità aglistereotipi ipersessualizzati delle“veline” in perenne plastic surgerydi tanto immaginario imperanteoggi. Mondofragile, anche comeantidoto a ciò, funziona benissimo.

Mondo FragileModern Fashion IllustratorsFrom Japan(selected by Delicatessen)Happy Books 2002www.mondofragile.com

Yuca Maedafragile - artist’s collection

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Photek arriva sul grande schermo, in questo periodo infatti è alleprese con la colonna sonora del nuovo film di Jet Li.

Settimanale ed itinerante, Nasha è la nuova serata ‘indiana’ aLondra: tra i primi ospiti, Nitin Sawhney (dj set), State of Bengal& Marque Gilmore (dj set & live percussion). Dj residenti: Ge-e eOsmani Soundz.

Il gruppo di DaLuq, dopo il successo del singlo ‘Supafine’ haremixato niente meno che Manuel Gottsching, in particolare il suobrano seminale del 1981 ‘E2E4’, brano campionato già da Carl Craigcome Paperclip People, e per il classico house ‘Sueno Latino’. Ilprogetto, a cura della etichetta Expanded, riguarda un tributo alcompositore tedesco che coinvolge altri remixatori del calibro diJ Walk, Ian Pooley, Santos, Bjiorn Torske...

Jonny L è tornato alle origini, dopo le divagazioni pop con ilprogetto Truesteppers assieme a Posh Spice, ha già fatto uscire deinuovi singoli drum’n’bass per la sua etichetta, Piranha, e per laMetalheadz di Goldie.

E’ uscito il nuovo singolo dei Groove Armada intitolato ‘PurpleHaze’ che precede di poco l’uscita l’album nuovo chiamato ‘LoveBox’.

Howie B e Hubert Noi hanno terminato leregistrazioni della colonna sonora per astronauticommissionata dalla Nasa. E’ un doppio Lp diambient astrale super-deep registrato in Islanda.

E’ ufficiale, Napster ha chiuso, i 42 dipendentirimasti sono stati licenziati nonostantel’acquisizione da parte di Bertelsman.

Trash è il nome del club più in voga in questo momento a Londra,tra poco sarà disponibile anche una sua compilation dal titolo ‘TrashCompanion #1’ su etichetta Palare / End Recordings.

Il gruppo electroclash dei Ladytron è uscito da poche settimane conil nuovo album ‘Light & Magic’ su Telstar. Visto il discreto successodel precedente ‘604’ la band conta di allargare ancora di più i suoifan.

Il collettivo californiano degli Anticon è uscito con il nuovo album diThemeselves ‘The No Music’ e di Sole con ‘Selling Live Water’’. Nel2003 usciranno anche i nuovi album di Why? e Odd Nosdam deiClouddead, l’album di Passage e un EP di Sage Francis.

Dopo una fase estiva di travaglio, vede la lucel’album ‘Make Your Peace’ di Maddslinky perl’etichetta Sirkus/Laws Of Motion, con branisuonati e prodotti da Zed Bias, DJ Rocca, WillWhite, Kaidi Tatham, Simba & Juiceman,Shereen, Kevin Robinson.

Claudio Coccoluto è al lavoro per il Ministerodella Pubblica Istruzione! Pare che il Ministero abbia chiesto al djnapoletano di comporre la colonna sonora di Circumlavorando, unprogetto guida per gli studenti universitari prossimi alle primeesperienze in campo lavorativo. Il CD è curato dallo stessoCoccoluto, Guglielmo Mascio e Raffaele Pallozzi. Il titolo è Soundsand Vibes from the Depth of Minds.

E’ praticamente ufficiale! I Terranova lasciano la !K7 e passano allaGigolo di Dj Hell. Prevista già per la prima metà del 2003 l’uscitasulla nuova etichetta. E a proposito di Dj Hell è appena nato unnuovo sodalizio con Adamsky: insieme i due stanno dando vitaall’etichetta Quasi Moda. Prima uscita prevista: Arthur Baker.

Il nuovo album del duo formato da Shy Fx & T Power, quelli di‘Shake Your Body’, sarà pronto tra pochissimo e si chiamerà ‘Set ItOff’.

Dopo il Pandemonio EP (che ha davvero creatoun pandemonio in tutta l’UK) la Mantra Breakslancia il nuovo Reset EP di Santos che veleggia– in crescita - in 13a posizione nella Buzz Chart diJudge Jules, notissimo dj della BBC 1! Indovinateil perché del titolo della facciata B Xpress Tool… Aivincitori un CD di Santos omaggio ed uno degliX-Press2 ([email protected]).

Un’altra piccola perla house è uscita in questi giorni sulla Environ diMorgan Geist, metà dei Metro Area: è ‘Audition EP’ di Kelley PolarQuartet.

Anti-Pop Consortium vs Matthew Shipp è il titolo dell’ultima BlueSeries dell’etichetta americana Thirsty Ear: è in uscita il 18 febbraioe contiene la (in)solita sfida tra jazz, elettronica e breakbeat. Da nonperdere, come i precedenti Spring Heel Jack (aMassed) e Dj Spooky(Optometry).

A proposito di Spooky: siete a Montecarlo il 12 dicembre? Se sì, viinvitiamo a non perdere il Monaco Dance Forum dove potreteammirare il danzatore Gaetan Morlotti del Ballets de MonteCarlocon i live-electronics di Dj Spooky. Titolo della piece: VariationsCybernetique.

Rimaniamo sul tema delle serate d’eccezione: David Shea eLorenzo Brusci musicheranno live ampi spezzoni tratti dai film diPierpaolo Pasolini. Il tutto si svolgerà il 29 novembre a Firenzeall’interno della manifestazione Musicus. Sarà la data di nascitadell’elettronica neo-realista?

Sempre Lorenzo Brusci: visitate il suo sito, www.timet.org, dovepotrete co-comporre musiche basandovi sulle tracce/fonti lasciate‘libere’ per manipolazioni ulteriori, re-mixing e ultra-sampling.Siamo nel campo dell’opera ‘aperta’ e della ‘composizionecollettiva’, pratica libertaria e illuminata della web-art. L’obiettivoprincipale di Brusci e di Timet è quello di sviluppare tecnichecompositive non lineari per la musica e il settore multimedia.Coraggio, fatevi avanti!

Il premio Costantin, l’equivalente francesedell’inglese Mercury Music Prize che quest’annoè di Ms Dynamite, è andato ad Avril per il suoalbum di debutto ‘That Horse Must Be Starving’.

Registrato tra Londra, la campagna del Sussexe le montagne del Trentino, il secondo Lp diLuca Fronza, aka Fifth Suite, è terminato.

L’album ha avuto la super-produzione di Will White deiPropellerheads e il cut-mixing definitivo con il tecnico del suonodel duo della Wall of Sound.

E’ indubbiamente il suo momento: già da tempo produttorestimato da tutti gli amanti della house minimale, sull’ondadell’ottimo ‘My Way’ Akufen infila un remix dietro l’altro. Cosìrecentemente il nostro ha rivestito del suo inconfondibile stile(voci tagliuzzate e ricucite a tempo di funk e microbeat) ‘PartyDay’ di Cosmo Vitelli, un classico dei Cabaret Voltaire ‘Nag NagNag’ , ‘Leaving Home’ degli International Pony e ‘One Of OurSubmarine’ di Thomas Dolby.

Volete provare emozioni forti? La città è Monaco di Baviera, ilposto è in Max Weber Platz, la data è il 5 dicembre. Lo spettacoloitinerante è basato su dei cani robot, un sound system a 26 canalie un live electronics in movimento di Weltklang. Partenza dallaU-Bahn Station alle 20.00: ci saranno tre momenti diversi,rispettivamente intitolati Moving Electronics in the Sub,Klangwanderung e Moving Electronics in the Tube. Non sifaranno prigionieri, pare...more news: www.weltklang-music.de

Fermento in casa Full Cycle, la neozelandeseMc Tali è in studio per terminare il suo primoalbum, Suv ha già pronto il seguito di ‘DesertRose’ e Roni Size assieme a Die sono lavoro sulnuovo materiale per il progetto Breakbeat Era.

Esce a gennaio 2003 per la Moving Targetolandese il secondo singolo del Maffia

Soundsystem dopo l’esordio su Sonar Kollektiv del ‘99. Due letracce scelte: Fact da Floor e Yes I Do.

I-Wolf presents the Electric Band. E’ un nuovo progetto diWolfgang Schlögel dei noti Sofa Surfers. ‘Hard To Buy’ primosingolo presenta ai vocals i Bauchklang, un ensemble acapellaautori dell’interessante album Jamzero.

Alex Neri dei Planet Funk e i Deep Dish sono entrati in studio percollaborare alla realizzazione di un nuovo singolo. Negli stessigiorni ‘Who Said’, il successo dei Planet Funk, viene remixato daltorinese Lorenzo LSP.

In arrivo Tunza Tunza, film/documentario televisivo edito daReadymade Films a cura di Daniele De Sanctis: un’odissea estivanel mondo della club culture italiana che verrà trasmessa viasatellite a partire dal 31 dicembre fino a febbraio 2003 in diversipaesi europei tra cui Germania, Spagna, Francia, Italia.

In fase di ultimazione il brano ‘Better Man’, prodotto da Dj Roccae Ian Simmonds (Juryman), incluso nel prossimo volume ‘IllicitSounds Of Maffia 3’.

L’etichetta Warp ha deciso di ristampare‘Twoism’, una delle prime produzioni deiBoards Of Canada, antecedente il successodel loro primo album di grande successointitolato ‘Music Has The Right To Children’.

J Majik uscirà con un nuovo singolodrum’n’bass per l’etichetta Defected che

promette di bissare il successo del precedente ‘Spaced Invader’; iltitolo sarà ‘24 Hours’.

Uscirà a febbraio l’esordio sulla lunga distanza di Stylophonic,pseudonimo di Stefano Fontana, con collaborazioni prestigiose,Digital Underground e Alex Neri fra gli altri, produzione assaicurata e, si mormora, una campagna promozionale degnadell’epocale “Homework” firmato Daft Punk!

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Mark Romanek è uno degli autoridi videoclip più originali ed innova-tivi. È il James Cameron deipromo. Ha firmato corti-kolossalcome “Scream” per Michael eJanet Jackson, il cui budget superai sette milioni di dollari, e “BedtimeStories” per Madonna, costatooltre quattro milioni di dollari. Havinto tutti i possibili premi ericonoscimenti, dagli MTV VideoAwards ai Grammy, dai Clio aiBillboard. L’estetica visionaria diRomanek ha nobilitato branimusicali eccezionalmente banalicome “Free your mind” di EnVogue o “Rain” di Madonna. Inaltre parole, Romanek ha elevato ilvideo musicale a forma artistica.Non è un caso che alcuni dei suoilavori più interessanti - “Closer”per Nine Inch Nails e “BedtimeStories” per Madonna - sianoesposti permanentemente alMuseo di Arte Moderna di NewYork. Romanek appartiene allanew wave di registi hollywoodianiallevati in vitro da MTV. Unagenerazione di artisti che hannointrodotto nuovi modi di vedere ilcinema: David Fincher (Se7en,Fight Club), Spike Jonze (EssereJohn Malkovich, Adaptation), AlexProyas (Il Corvo, Dark City),Roman Coppola (CQ) e JohnatanBlazer (Sexy Beast). Altri, comeMichael Gondry (Human Nature) eTarsem Singh (The Cell) nonhanno ancora pienamente convin-to. Ma c’è tempo. In attesa delcontroverso Spun di JonasAkerlund (quello di “Smack MyBitch Up” di Prodigy, un Baise-Moidella durata di cinque minuti),tocca Romanek effettuare ilpassaggio dal piccolo al grandeschermo. In realtà, non si tratta diun vero e proprio debutto: laddovela maggior parte dei registi divideoclip usa il cortometraggiomusicale come palestra prima dicimentarsi col cinema, Romanekha seguito l’iter opposto. Risaleinfatti al 1985 il suo primo film,Static, interpretato, tra gli altri, daAmanda Plummer, che ha tuttavia

sofferto di una distribuzioneestremamente limitata.One Hour Photo è la storia di uncommesso sottomesso, Sy Parrish,volto anonimo e banale con unavoce calda che cela una profondadisperazione. Di giorno Sy sviluppafoto, di notte si trasforma in unserial killer di immagini. Alienato eschizoide quanto lo scrittoreassassino di Insomnia e il presen-tatore televisivo di Death toSmoochy, Sy vive in modo vicario/precario la sua esistenza: collezio-na gli istanti della vita degli Yorkin.Rapisce le loro fotografie e lecrocifigge sulla parete del suospartano appartamento. Il collagedi scatti è un brulicante formicaioipercromatico che ricostruiscescene di felicità domestica, trafeste di compleanno, giochispensierati, viaggi sospesi nel-l’eterno presente della pellicola.“Collezionare fotografie significacollezionare il mondo” scriveva laSontag. Sy colleziona il mondo deialtri: come per il Travis Bickle di

Taxi Driver, l’appartamento di Sy èal tempo stesso una tana e unarchivio. Il suo unico compagno èun televisore. Il bancone delPhototek è il suo taxi, l’unicaopportunità di interazione con altriesseri umani. L’esistenza di Sy sisvolge per lo più nel non-luogo pereccellenza, il supermercato. Iparenti più prossimi del Sav-Martdi One Hour Photo sono, da unaparte la mall di Monroeville(Zombi, 1978), e, dall’altral’astronave Discovery (2001:Odissea nello Spazio, 1968).Memorabili le sequenze in cuiattraversa velocemente i corridoidel centro commerciale, corridoi diun bianco accecante, quasikubrickiano (il regista prediletto diRomanek, e si vede). Le merciimpilate sugli scaffali, il pavimentodi linoleum, le luci fluorescenti alneon. La fotografia, magistrale eipe-realista, è di Jeff Cronenweth(Fight Club). A ben vedere, gliYorkin, la famiglia suburbana cheSy elegge a modello di perfezione,

CHECK YOUR SMILE

Timido e solitario, Sy Parrishlavora nel laboratorio di sviluppofotografico di un centro commer-ciale. L’uomo è particolarmenteaffezionato alla famiglia Yorkin: ilfiglio Jake, di nove anni, il padreWill e Nina, la madre, che non glirifiuta mai un sorriso e qualcheparola gentile. Sy tuttavia non silimita a sviluppare le fotografiedegli Yorkin, ma le duplica e neconserva le copie, incollandolesulla parete del suo appartamento.In altre parole, per ovviare allamancanza di felicità che caratteriz-za la sua esistenza e per dimenti-care un passato segnato daldolore, Sy si costruisce il simulacrodi una famiglia ideale, modellando-

la sull’immaginario pubblicitario etelevisivo. Ma Sy entra in crisiquando, sviluppando un rullino –scopre che Will tradisce la moglieNina. È la fine delle illusioni: dainoffensivo voyeur, il commessopassa all’azione, inviando allamoglie una copia delle fotografieche lo ritraggono insieme adun’altra donna. A complicareulteriormente le cose, Sy vienelicenziato in tronco quando il suodatore di lavoro scopre che da annisottrae stampe al laboratorio eregala macchine fotografiche aiclienti. Fallito il tentativo di farimplodere il matrimonio Sy, rubaun coltello e raggiunge Will el’amante in un hotel. Dopo essereentrato in camera, li costringe aposare nudi e a simulare scene disesso, mentre lui li fotografa. Lapolizia interviene e Sy vienearrestato.

ONE OUR PHOTOdi Mark RomanekUSA 2002

“Fotografare significa appropriarsi della cosa fotogra-fata. Equivale a mettersi in una relazione di conoscen-za e, dunque, di potere, con il mondo.”(Susan Sontag, On photography, 1977)

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sono ancora più alienati dell’addet-to al foto sviluppo. Rappresentanol’incarnazione vivente di uno spotpubblicitario. La loro villa sembrauscita da una rivista di arredamen-to per interni. Non a caso, duranteuna lite, Will (Michael Warten)accusa la moglie Nina (ConnieNielsen) di “voler vivere come inun catalogo” (vedi Fight Club).One Hour Photo fotografa conocchio critico lo stato di assolutavacuità della provincia suburbanaamericana, mettendo in discussio-ne l’idea di benessere che definiscela façade sociale. Il film tematizzala distanza che sussiste tra esseree apparire: mentre gli Yorkin che sisforzano di mantenere le apparen-ze, Sy celebra la superficie,glorifica l’immagine, si crogiola conlo snapshot. L’immagine fotografi-ca lo allieta e lo inquieta al tempostesso, attesta un’assenza e gliricorda continuamente la suainadeguatezza sociale, il suo statusdi emarginato, la sua lacerantesolitudine. Sy inquieta e commuo-ve allo stesso tempo. Sembrauscito da una puntata diMillennium, geniale, ma sottovalu-tato serial di Chris Carter, da unracconto di A.H. Homes o da unromanzo di Eric Bogosian (si veda,in particolare, “Mall,” 2000, ineditoin Italia, ambientato, guarda caso,in un generico centro commercialee ha, tra i protagonisti, un perso-naggio ossessionato dalle modelledei cataloghi di vendita percorrispondenza). Sy inquietaperché, come un cecchino, colpiscele sue vittime a distanza, vigliacca-mente (a un certo punto affermache “secondo il dizionario diinglese Oxford, il termine scattoderiva dal linguaggio della cac-cia”). I suoi attentati iconici,tuttavia, non provocano alcun

spargimento di sangue: Sy incarnapiuttosto la suggestione dellaviolenza. E commuove perchésembra innocuo, congelato com’ècon in quel sorriso innaturale chelo rende simile al robot de L’Uomobicentenario, gli abiti di poliestere,la chioma giallastra incollata alcranio come Big Jim. Ad attestarelo stato di massima alienazione diSy, Romanek inserisce una scenain cui il commesso solitario passala serata in compagnia di unclassico della fantascienza, Ultima-tum alla Terra. Del resto, lo statusdi alieno di Robin Williams è cosanota (in questo senso, il telefilm“Mork & Mindy” ha fatto scuola).Il vero crimine di Sy è quello diessere un “control freak”, unmaniaco dell’ordine, un fanaticodella precisione. Non c’è nulla dipiù importante dell’accuratezza,

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spiega Sy al suo giovane collega.La calibratura della macchina perlo sviluppo è per lui più di un rito:è un’ossessione, che anzichéminimizzare, ostenta. Le suenemesi sono Larry, il tecnicodell’Agfa. Il direttore del Sav-Mart,Bill. Il marito infedele, Will.Personaggi che rifiutano di piegarsialla sua logica di dominio e dicontrollo. Figure che attestanol’ingresso dell’entropia a tutti ilivelli dell’esistenza, dal lavoro allafamiglia, dalla collettività allapsiche individuale. Quello cheimpressiona maggiormente del filmè l’estetica asettica e gelida chepermea ogni singola inquadratura.Come ha scritto acutamente ilcritico del New York Times, ElvisMitchell, Romanek è “riuscito aricreare in modo efficace laclaustrofobia degli spazi urbaniaperti.” Romanek lavora sullasottrazione e fa centro. Sono idettagli ad inquietare. La mano diSy appoggiata quasi casualmentesulla spalla del piccolo Jake, peresempio. Le scritte delirantipromozionali sul bancone delPhototek che normalizzano la folliadella società dello spettacolo (“Nonvorresti possedere queste memo-rie?” e “Se non ti appartengono,che cosa c’è che non va con te?”).Piccolo grande film (è costato“solo” 13 milioni di dollari), OneHour Photo è enigmatico. Come inPsycho, la diagnosi finale nonrestituisce minimamente affatto lanatura complessa di Sy, masemmai, la rende ancora piùinintelligibile. Difficile da classifica-re – a meno che non esista ilgenere dei “psico-drammi subur-bani”, chiederemo a Rick Altman –il film è prevalentemente giocatosulle immagini. Niente di nuovo: èil modus operandi di Romanek, icui video clip sono costruiti comedei rompicapo: lungi dal glorificarebanalmente la performancedell’artista, Romanek ama costrui-re situazioni criptiche e spiazzanti.Promo come “The Perfect Drug”(Nine Inch Nails) o “Devil’sHaircut” (Beck) lasciano lo spetta-tore del tutto interdetto. Sono unricettacolo di citazioni e di rimandiad un immaginario filmico, lettera-rio e fotografico tutt’altro chebanale. “The Perfect Drug”, peresempio, si ispira ai lavori diEdward Gorey, ma anche ad Alicenel Paese delle Meraviglie di LewisCarroll e alla narrativa di EdgarAllan Poe. Atmosfere malate,perverse, oniriche, labirintiche.Romanek dissemina in ogniinquadratura una serie di indizi,costringendo chi guarda a calarsinei panni del detective, propriocome il Van der Zee di One Hour

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Photo, che dello spettatore è l’alterego. Si pensi anche alla scelta delnome del personaggio interpretatoda Williams, Sy Parrish. Percominciare, il nome rimandaipertestualmente all’Alan Parrish diJumanji (1995), film interpretatodallo stesso Williams. Inoltre“Parish” (con una “s” sola) ininglese significa “parrocchia”: Sy,la cui tunica bianca lo rendemetonimicamente simile ad unsacerdote, si comporta comedifensore dei valori morali. Con-danna l’adulterio. È un censore atutti gli effetti. Come i personaggidi Il perito (1991) Atom Egoyan, èingordo di immagini proibite.Seymour si pronuncia come “seemore”, guarda di più. Ma “parish”fa rima con “perish”, perire: non acaso, il suo progetto etico èdestinato allo scacco. I suoi sforzidi ingraziarsi gli Yorkin (un altrogioco di parole: “kin” in inglesesignifica “parentela”, dunque“your-kin” suona come “parenta-do”) non avrà un esito positivo.Per loro, resterà sempre e comun-que “quello delle foto”. Il suosoprannome è Sy che rimanda a“sigh”, “sai”, sospiro rassegnato.Dal punto di vista diegetico, OneHour Photo rinvia ai I SolitiSospetti di Bryan Singer (1995):entrambi i film sono dei lunghiflashback che si aprono con ilprotagonista impegnato a ricostru-ire una storia tortuosa di fronte adun investigatore privato (in questocaso, Van der Zee, altro rimandoipertestuale a James Van Der Zee,uno dei massimi esponenti dellaHarlem Renaissance). Anche lamaggior parte dei video diRomanek si aprono in media res.Prima ancora che possa rendersiconto di quello che sta succeden-do, ed eventualmente tirarsiindietro, lo spettatore si ritrovaimmischiato in vicende permeateda una sensualità perversa(“Criminal” di Fiona Apple; “LittleTrouble Girl” di Sonic Youth). È

costretto a partecipare ai drammie alle frustrazioni di Michael Stipe,l’uomo e l’artista (“StrangeCurrencies”, R.E.M.) o a calarsinelle atmosfere stralunate di “IfYou Can’t Say No” di LennyKravitz, (interpretato da MillaJovovich). Ma l’opera più riuscita diRomanek resta il durissimo“Closer” (1994). Il video si aprivacon l’immagine di un cuore umanomontato sulla parte posteriore diuna sedia, un cuore che pulsa alritmo del dub del brano di NineInch Nails. Omaggio esplicito allafotografia barocca e grottesca diJoel-Peter Witkin e agli allucinantilavori di Jan Svankmajer.Senza,”Closer” prende a prestito lostile di Witkin – la pellicola invec-chiata artificialmente per crearel’estetica dell’antico e del consu-mato, toni color seppia cheevocano album di fotografie d’altritempi – per creare un mondocorrotto e perturbante. Romanekbanchetta con carne in scatolaputrefatta, ricicla l’immaginegoldinghiana della testa di unmaiale impalata, impala unascimmia, ricorre ad urticantiillustrazioni ginecologiche. Il tuttomentre Trent Reznor gracchia nelmicrofono frasi come “I want tofuck you like an animal”. One HourPhoto che, all’apparenza, si collocaagli antipodi di “Closet”, contieneuna scena che apre uno squarciosul medesimo universo putrido eviscerale. Ci riferiamo, chiaramen-te, alla scena in cui Sy “piange”sangue. Ma se le immagini di OneHour Photo tormentano, le parolerischiano spesso di annoiare. Lasceneggiatura, scritta in meno ditre settimane dallo stessoRomanek, è l’unico vero puntodebole del film, infarcita com’è diluoghi comuni sulla natura delmedium fotografico (“le fotografiesono il loro baluardo contro loscorrere del tempo, ” “tutto quelloche le fotografie hanno dire è:c’ero, sono esistito, sono stato

giovane, felice e qualcuno mivoleva bene al punto da scattarmiuna foto.” “nessuno scatta immagi-ni di cose che vogliono dimentica-re”, praticamente la versionebignami di Barthes). Le battute piùintelligenti sono quelle in apparen-za più banali. Ad un certo punto Syinvita Nina e Jakob a non acquista-re una macchina fotograficadigitale, perché se ciò avvenisse,“finirebbe per perdere il posto”.Ora, dato che il suo “vero” lavoroconsiste nel collezionare le fotodella famiglia Yorkin,nell’archiviare il loro passato e dicostruire una vera e proprianarrativa a partire dalle immagini,“perderlo” significherebbe cancel-lare, con un colpo di spugna, latradizione, il ricordo, la memoria. Èil rischio che corre il cinemaattuale, in bilico tra tradizione(pellicola) e innovazione (digitale),almeno secondo Jean-Luc Godard,secondo il quale “con il cinemadigitale, non c’è più passato.”One Hour Photo è stato paragona-to, a nostro avviso erroneamente,ad American Beauty. Ci pare,piuttosto, una riletturapostmoderna de L’occhio cheuccide di Michael Powell. Sy nonuccide materialmente le suevittime, ma la sua perversione èugualmente raggelante. Del resto,come osservava la Sontag, “Lemacchine fotografiche, come lepistole e le automobili, sonostrumenti fantastici che generanodipendenza. Tuttavia, nonostantele stravaganze del linguaggiocomune e della pubblicità, nonsono letali. Solo in guerra le pistoleuccidono più delle auto. La macchi-na fotografica/pistola è innocua, lametafora è un bluff” (1977).

NOTA: Questo saggio è apparso, in formaleggermente differente, su Cineforum 420. Siringrazia l’editore Alasca per averne concessola riproduzione sulle pagine di UltraTomato.

INFORMAZIONITitolo originale: One Our PhotoScritto e diretto da Mark RomanekCast: Robin Williams (Seymour Parrish),Connie Nielsen (Nina Yorkin), Michael Vartan(Will Yorkin), Gary Cole (Bill Owens), ErinDaniels (Maya Burson), Clark Gregg(Investigatore Paul Outerbridge), Nick Searcy(Tecnico Agfa), Dylan Smith (Jakob Yorkin) eEriq La Salle (Investigatore James Van DerZee).Fotografia: Jeff CronenwethMontaggio: Jeffrey FordMusica: Reinhold Heil e Johnny KlimekProdotto: da Christine Vachon, Pamela Kofflere Stan WlodkowskiDistribuito: Fox Searchlight Pictures.Durata: 98 minuti.Origini: USA

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Il nuovo film di Spike Jonze,Adaptation, debutterà suglischermi americani il prossimodicembre. Realizzato in collabora-zione con Charlie Kaufman, genialesceneggiatore di Essere JohnMalkovich, il film – una storiad’amore e di amicizia - è interpre-tato da Nicolas Cage. Spike Jonzeha anche completato il nuovovideo di Bjork, “It’s in our hands”,un nuovo singolo per i greatesthits dell’artista islandese, nonchéuno spot fenomenologico per Ikea(!). Nel commercial, una donna sidisfa della sua vecchia lampadarossa da tavola per acquistarneuna più moderna, Made in Ikea. Ilcommercial, girato interamente dalpunto di vista della lampada, è unacelebrazione dell’esteticaminimalista scandinava e dellasocietà dei consumi.Sofia Coppola, moglie di Spike,regista del surreale Il giardinodelle vergini suicide, ha appenacompletato Lost in translation.Girato interamente in Giappone, ilfilm ha come protagonisti BillyMurray, Scarlett Johansson,Giovanni Ribisi e Anna Faris e

video/premiere/madonna/).Il regista svedese JonasAkerlund (Madonna, Prodigy, U2,Cardigans) ha presentato il suoprimo film, Spun (http://www.spunthemovie.com), aToronto, Canada, nel corso delfestival interaizonale del cinema. Illungometraggio racconta i tregiorni di Ross (JasonSchwartzman) tra metamfetamine,pilloline di varia natura e sesso. Ilcast, ricchissimo (Mickey Rourke,John Leguizamo, Mena Suvari,Patrick Fugit e Peter Stormare), èimpreziosito dai cameo di DebbieHarry, Rob Halford e Billy Corgan(che ha realizzato la colonnasonora) e della porn star RonJeremy (il ciccione che fa lefotocopie nel video “We’re all madeof stars” di Moby). Spun vantaqualcosa come 5,454 tagli (siamodalle parti del capolavoro diAronofsky, Requiemfor a dream). Nei cinema ditutto il mondo in primavera...

racconta le vicende di una famigliaamericana a Tokyo. Coppola hascritto la sceneggiatura. La prima delfilm è prevista per il primo quarto del2003. Intanto, l’artista losangelinononché maestro dei promo DougAitken ha terminato una nuova seriedi opere che sono stati prontamenteesposte nella 303 Gallery(www.303gallery.com) dellamegalopoli californiana. Si tratta di“New Skin”, seguito ideale dellaraccolta “Electric Earth”. La ‘nuovapelle’ è proiettata simultaneamentesu quattro schermi e celebral’implosione/esplosione della memo-ria nell’era della moltiplicazione delleimmagini. L’installazione saràriproposta il mese prossimo a Parigi,al Centro Pompidou, nell’ambito dellarassegna “Sonic Process”. Restiamo aL.A. Traktor ha appena terminatoper riprese di “Die Another Day”, ilvideo di Madonna tratto dall’ennesi-mo, inutile, film di Bond. Madonna,che nel film ha un cameo comeinsegnante di scherma, appare nelvideo come un’agente specialesottoposta a tortura. Ottimi gli effettispeciali di MPC. Il controverso video,punteggiato da riferimenti allacultura ebraica e alla psicanalisi diFreud, ha debuttato su MTV a metàottobre (www.mtv.com/music/

NU DIRECTORSNEWS

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InizioE’ il 1980 o forse qualcosina dimeno o di più, sto assistendo adun concerto delle Slits gruppocomposto da sole donne, suonanosghembo ed obliquo, la battutanon cade mai dove te l’aspetti, nonsi capisce se volutamente o perimperizia ed è questo il bello. Lacantante Ari Up in occasione delledate italiane traduce e canta il lorohit : “…all’inizio c’era il ritmo,all’inizio c’era il ritmo…”.Nella stessa stagione all’exippodromo di Modena suonano iRip Rig & Panic ennesima filiazionedel Pop Group, sul palco, dove sigenera una miscela free-jazz-punk-funk, si dimena una cantantein avanzato stato di gravidanza: èNeneh figlia del trombettista DonCherry.E’ questo un periodo in cui lamemoria mi viene spesso in aiuto.Un periodo in cui mi ritrovo lepassate esperienze tra le gambe,mi capita così di incespicare eritrovarmi dove non credevo diessere più. Non sono un nostalgi-co, nè un patetico passatista, nème la sento di sfruttare la “cono-scenza” della materia per loschigiochetti. Potrei vestirmi “wave-post-punk” perché nel mio arma-dio ancora ci sono tracce di quelledivise e sarei perfettamenteattuale, potrei tagliarmi i capellispostando ciuffi asimmetricamenteo alzando la sfumatura dei capelli

ben oltre le tempie ritrovandosotto le ciocche più lunghe i segnie le impronte delle radicali erigorose sforbiciate. Potrei parlaredi arte di frontiera, post-moderno,esistenzialismo-noir, no-future,giunglismo, nevrosi e sarei vera-mente un saputello molto trendy,potrei arrischiarmi (schienapermettendo) ad interpretare laparte del ballerino di electricboogie giunto direttamente daNew York. Potrei estrarre dagliscaffali di dischi corrispondenti adun certo dato periodo (fine settan-ta inizi ottanta) un ellepi a caso eritrovarmelo un secondo dopo sulpiatto del DJ del momento. Tuttoquesto per precisare che sono/siamo coscienti di ciò che stiamovivendo, che sono/siamo vigilidello scarto temporale, che nonvoglio/vogliamo passare la nostravecchiaia a consolarci direvivalismo.Detto questo, mi risulta menopesante ed ambiguo descrivere edosannare la bellezza di un certosuono che scopro per la secondavolta. La cosa funziona ancora!

ALL’INIZIOC’ERA IL RITMO

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Anzi, alla luce di quello chemusicalmente è successo poinell’electronica e nelle nuovemusiche da ballo, è innegabilel’apporto di una serie di gruppicoraggiosi di punk evoluto chehanno senz’altro posto le basi peril futuro. A Certain Ratio, Gang ofFour, 23 Skidoo, The Slits, CabaretVoltaire, The Human League,Throbbing Gristle, Pop Group, ThisHeat... questi i nomi raccolti nellapreziosa compila “In The BeginningThere Was Rhythm” edita dallaSoul Jazz Records. Queste bands(ed altre) provenienti dalla scenapunk hanno precocemente ab-bracciato nuovi stili ed hannoanticipato le mosse della dancemusic alternativa e ciò nonsignifica che il tutto fosse assoluta-mente ballabile, ma che c’era unaforte tensione ritmica, una precisaidea di costruzione dei brani basatisu patterns, loops, sequenze. Perfare questo occorreva guardareoltre il rock ormai asfittico evisitare invece altri territori comequelli della black music, delReggae/Dub, del jazz e dell’elet-tronica. E’ stato un processo (edun Progresso) che ha investitoquella che per comodità giornalisti-ca fu successivamente denominata“new wave”. Anche i gruppi storicidel punk inglese lasciarono benpresto le sonorità più grezze perinventare nuove soluzioni: SexPistols e Clash sono due chiariesempi. Sciolti i Sex Pistols,Jhonny Rotten/Lydon formò iPublic Image Limited ed insieme ainuovi compagni Jah Wobble, KeithLevene e Martin Atkins creò unariuscita ibridazione tra Dub, kraut-rock alla Can e pulsioni disco.Anche i Clash subirono dall’inizio lefascinazioni per reggae e dub, maben presto il loro suono si andràad arricchire con ciò che provenivad’oltreoceano: funk, electro, rap(Grandmaster Flash & The FuriousFive, Phutura 2000, etc.).Tornando ai gruppi inseriti inquesta raccolta ognuno potrebbe

corrispondere ad un puntoper disegnare una

ipotetica mappatura,c’è una forte influenzageografica nel loroagire, perché l’urgen-za dei suoni e delleparole sono profonda-mente legati allasituazione storico-

The Slits

Throbbing Gristle

A Certain Ratio

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politico-sociale delle città. E’l’Inghilterra multi-culturale confusatra diffidenza ed arricchimento, èl’inghilterra del governo conserva-tore di Margaret Thatcher, unanazione dibattuta tra la tradizionebigotta ed i nuovi linguaggi chenascono nella Metropoli-Londradove l’immigrazione costantecambia volto continuamente. Sonogiorni in cui si fronteggiano lemarce fasciste del National Fronte quelle di nuove forzeprogressiste come l’Anti-NaziLeague e Rock Against Racism. Nelfrattempo il paesaggio, il disegnourbano cambia, trasfigura edinfluenza le sonorità che si ispiranoalle archeologie post-industriali di

Poster dei Pop Group

Sheffield e Leeds. Losmantellamentodell’industria pesanteormai obsoleta e lenuove conformazionisociali si concretizzanoin forme di dissensogiovanile e nuove formedi espressione nichilistesupportate da unprovvidenziale assegnodi disoccupazione. Artee comunicazione siinventano nuovi spazi enuove strategie,nascono etichetteindipendenti comeRough Trade, Factory,Fetish, Piano, Fast,Industrial Records.Parallelamente si creauna rete di distribuzioneed apposite charts perla musica indipendente,per la nuova scena èl’inizio di un feliceperiodo di alchimiesonore. Le cantine e lesale prove diventanorudimentali laboratoridove sperimentarenuove soluzioni, doveinventare nuovi modi di

fare e trattare gli strumenti. Nonsolo chitarre e batterie, ma tapeloops, drum machines, sintetizza-tori, fiati e percussioni assortite,effetti, rumori e drones. I ThisHeat, per esempio, fanno unpionieristico uso di HarmonizerEventide e attraverso la manipola-zione del pitch-shifts intervengonosulla tonalità e sul suono dellabatteria anticipando una tecnicatipica dei produttori Jungle. Lostesso modo di suonare gli stru-menti tradizionali cambia: ilcharleston è in levare, la cassa sifa dritta, il rullante si spezza ininfiniti controtempi, le chitarresono nervose e dissonanti, il bassosi fa avanti sfrontato, al plettro siaggiunge la tecnica “slap”. Latribalità ed un africanismo immagi-nario fioriscono nelle figureritmiche di congas, timbales, roto-toms, pad e claps elettronici.“In The Beginning…” individua dueprincipali correnti (anche se ciònon è così schematico) in questa

Gang of Four

ondata di primitiva dance musicwith punk spirit. Quellaprettamente elettronica di CabaretVoltaire, Human League eThrobbing Gristle e quella piùfunk- negroide di A Certain Ratio,Gang of Four, the Slits e PopGroup.I Cabaret Voltaire iniziano atrafficare con le macchine a metàdegli anni ’70 dichiarando già dalloro nome l’intento dadaista dellaloro sperimentazione, guardanoalla Germania di Kraftwerk e Neu!ed alle avanguardie di Cage,Stockhausen e Pierre Henry. Ilsingolo degli Human League“Being Boled” insieme a “WarmLeatherette” di The Normal è statoil primo brano completamenteelettronico realizzato in UK, laband prenderà successivamentestrade più dichiaratamente pop-dance (vedi anche l’ottimo proget-to “Heaven 17” dei fuoriusciti IanCraig Marsh e Martin Ware). IThrobbing Gristle con la loroIndustrial Records, tra transistorse provocazioni, tra generatori difrequenze e performances, sitroveranno invischiati in varievicende che si confondono tramusica industriale esoterica,electronic body music e acid-house. Questo uso minimale edintuitivo della tecnologia ispireràetichette come la Warp,isolazionismi vari e Detroit technoartists come Juan Atkins, KevinSaunderson e Carl Craig.L’altra corrente troverà valvola disfogo alla propria furia nella fisicitàdella musica black. Musicistibianchicci intenti a cercare tra ilsudore e l’ipnosi la loro radicenera. Il Pop Group sarà una bombapoliticizzata pronta ad esplodere inmille frammenti. Da quell’intransi-gente esperimento di jazz-funkisterico derivano nomi quali Rip Rig& Panic, Pigbag, Maximum Joy,Float Up C.P., Mark Stewart &Maffia. Il fatto che poi la loro cittàdi provenienza sia Bristol dovrebbedare ulteriori segnali e tracce…vedi alla voce Wild Bunch. Imarxisti Gang of Four innestaronole loro teorie su una strutturaritmica infallibile, drum & bassprima dell’avvento della program-mazione digitale, ma altrettanto

The SlitsA Certain Ratio

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scientifica e metronomica. I 23Skidoo sono già stati scoperti piùvolte recentemente, basta ricorda-re il campionamento da parte diChemical Brothers e la presenzadegli stessi brani (“coup” e “vegasel bandito”) nella compila “nineo’clock drop” di AndrewWeatherall. In verità è un po’forzato inserire i 23 Skidoo in unaunica corrente perché il loro è unsuono composito e sfuggente chesi basava su un basso funk, ma aquesto aggiungeva percussionietnico-rituali come la Gamelanmusic, noise industriale, artimarziali, tapes e radio voices.Qualcun altro invece puntavasfacciatamente allo status di funkband, ma qui occorre aprire unnuovo capitolo.

Throbbing Gristle

A Certain RatioGli A Certain Ratio si formano a Manchester nel 1978. La line-up inizialecomprende Simon Topping (voce), Martin Moscrop (chitarra e tromba), PeterTerrel (chitarra e noisebox), Jeremy Kerr (basso) a cui si aggiungerà ilbatterista di colore Donald Johnson. Sono tra i primi ad uscire per la neonataFactory Records la stessa etichetta di Joy Division a cui saranno in un primotempo paragonati. Si può certo dire che il gruppo risentiva allora delle stesseatmosfere dark e che la stessa produzione di Martin Hannett (definito PhilSpector del punk) distingueva ogni prodotto Factory dalle altre uscite delperiodo. Ma già il singolo “Shack Up” dimostra con il suo inquieto groove unapropria originalità ed un percorso che si andava nettamente differenziando.Sono gli stessi, nelle varie interviste, a ribadirlo: nessuna similitudine con JoyDivision, nessun ascolto di Iggy Pop o Velvet Underground (fonte d’ispirazio-ne di Ian Curtis e soci), ma piuttosto inaspettate dosi di Funkadelic,Parliament, Earth Wind & Fire. Un mix di urban funk, dub, northern soul cheperò manteneva qualcosa di sinistro. Intelletualismo mitteleuropeo o Africamistica? Colonialismo o possessione? Dance o Trance? La base ritmica simuove agile, il basso slappato vive in simbiosi con una batteria innamoratadelle sincopi e sotto un substrato oscuro e denso ondeggia, va e viene,portando con se la voce che si fa interiore mentre gli arti seguono il ritmocostante.Nel 1980 gli ACR raggiungono New York con il fido Hannett per registrare ilprimo album “To Each”. Sono il primo gruppo della wave inglese che guardae si ispira agli USA. D’altra parte, oltre ai nomi storici della funky/soul music,in America ed in particolare a New York stanno emergendo nuovi gruppi chesimilarmente sperimentano nuove forme ritmiche. Gruppi come Liquid Liquid,Material, Talking Heads, Contortions. Durante quella permanenza incontranole punk-funksters ESG, frequentano i clubs Paradise Garage e Danceteriadove terrano un concerto a cui seguirà la speciale partecipazione di Madonnanon ancora star planetaria. In quei luoghi si va codificando e nasce la scuoladei primi DJ newyorkesi. Tutti questi input, queste influenze ed esperienzeentrano prepotentemente nell’album d’esordio che rimane insieme al secon-do “Sextet” il migliore della prima parte della carriera degli ACR. Ora per ilbuon fiuto della Soul Jazz Records una parte del repertorio di ACR vieneriportato alla luce (anche se in verità è sempre rimasto ben luminoso) grazieal doppio CD antologico “Early” che spulcia nelle registrazioni tra il 1978 ed il1985 ed in più, oltre ai brani ufficiali troviamo b-sides, rarità ed altresessions. Per avere una visione completa è pure inclusa la traccia video“Tribeca” un minifilm di Michael Shamberg che documenta l’esperienza delgruppo a New York. Sono immagini di concerto che sfumano e si mescolanoad interviste e ad una jam informale tra le quattro mura di una stanza. E’una jam apparentemente distratta, qualcuno inizia a battere su un tamburo,poi piano piano si aggiungono altre percussioni, trombe e la massa ritmica sifa sempre più complessa ed intricata, il religioso silenzio permette di concen-trarsi ed entrare nel climax alla ricerca del groove perfetto. E’ comunqueconsigliabile andare oltre questa raccolta ed entrare nel dettaglio delladiscografia, per meglio seguire le evoluzioni e seguire album dopo album lamaturazione artistico- tecnica. Altri elementi andranno ad integrare il lorosound: musica brasiliana, salsa e jazz, afrobeat sino ad arrivare alle primevicende dell’Hacienda, lo storico locale di Manchester dove la dance music siimbastardiva con il rock alternativo (gli stessi New Order ed Happy Mondaysdevono qualcosa a questa band). Ecco dunque quello che può essere il filoconduttore della storia degli ACR: la febbrile esplorazione del ritmo e dellesue componenti, un percorso che trascende il lato semplicemente musicale eche diventa metafora del viaggio dell’uomo occidentale alla ricerca dellaistintualità dimenticata, della sua tribalità soffocata da strutture intellettuali.Quella ricerca che, trasposta all’odierno, coinvolge l’uso delle macchine edella programmazione e che attraverso la tecnologia è tesa a ricostruire ilbeat primordiale.

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AssoloMi accorgo ora di aver scritto preva-lentemente al passato. Vale la penaallora coniugare di nuovo al presente,per togliere quell’alone celebrativo enostalgico che, come già affermato, sivuole rifuggire. Infatti buona partedei personaggi e dei gruppi di cuiabbiamo parlato sono tutt’ora attivi,vegeti, impegnati in nuove avventure,con nuove denominazioni, magarinascosti sotto sigle e team di produ-zione. Molti di loro sono ancoracoinvolti nella creazione di musica incui il ritmo è il punto di partenza. Unodi questi è Richard H.Kirk, l’altràmetà insieme a Stephen Mallinder deiseminali Cabaret Voltaire. Dopo variprogetti e metamorfosi l’ultimaincarnazione di Kirk è il progettoSandoz di cui recentemente è statopubblicato il CD “Chant to Jah”(ancora per la Soul Jazz!). Il titolo ele foto di copertina (un vecchioregistratore a bobine della TEAC,oscillatori, minimoog) ci portano drittidritti tra le profonde spire del dubanalogico. Un dub alieno,spazializzato, una suggestivasoundtrack per una comune rastainsediata su una stazione orbitale alladeriva nello spazio. Canti lanciati aJah che viaggiano per migliaia d’anniprima di giungere a destinazione,intanto tra canne e piogge di asteroidi

i technorasta cercano di rallentare il tempo dilatando all’inverosimile il ritmo. Lalunga permanenza in condizioni di assenza di gravità induce visioni mistiche,apparizioni di terre promesse, scompensi cerebrali che ottenebrano i sensi. Lostesso computer di bordo si pianta, si inchioda, ma il tecnico in tuta spaziale elunghi dreadlocks pare fregarsene…… un disegno più grande di loro guiderà illoro “Exodus”. Da Sheffield alla Jamaica, dalla Jamaica alle stelle, tra rifrazioni ,riverberi cosmici, universi che si piegano, stelle che cantano, un solo unicocammino. Un cammino che unisce le prime mosse dei Cabaret Voltaire agliultimi episodi di Sandoz, rimane lo stesso gusto per la sovrapposizione, per lastruttura aperta delle composizioni, rimane la stessa attitudine nel dare vita adambientazioni. Certo in Sandoz c’è più disciplina, c’è meno caos, c’è menoestetica industriale e più vibrazione religiosa , ma rimane la pratica di prenderevoci dalle fonti più diverse per inserirle in un panoramo sonoro nuovo. Cambiala tecnologia: alle radio ed ai tapes si sostituiscono i campionatori anche se lagrana, la pasta del suono rimane sporca, grassa come l’erba. Space Echo anastro, vecchi effetti analogici, lavoro di taglia e incolla o programmi di simula-zione virtuale? Non importa perché tanto si ritorna ai solitikingtubbyleescratchperrymadprofessorthescientist ed alle loro tecniche dimanipolazione dei nastri. Si ritorna alle accelerazioni ed ai rallentamenti, siritorna a piste strumentali fuori sincrono, si ritorna a prestare attenzione a suoniche si allontanano sino a dare tridimensionalità alla musica, si ritorna alletextures della melodica, si ritorna al mistico biascicare rasta. Spiritual Vibe!

AaVv - In The Beginning There Was Rhythm (Soul Jazz Records)A Certain Ratio - Early (Soul Jazz Records)Sandoz - Chant To Jah (Soul Jazz Records)

23 Skidoo (www.aalto.co.uk/23skidoo)A Certain Ratio (www.acrmcr.com)Cabaret Voltaire (www.brainwashed.com/cv)Human League (www.andwedanced.com/1982/hlea482.htm)Pop Group (http://ccwf.cc.utexas.edu/~edge/pop_group)Slits (www.jungle-records.demon.co.uk/bands/slits.htm)Throbbing Gristle (www.brainwashed.com/tg)

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SALON SUITE(Minox)Con questo numero inizia la collaborazione con l’etichetta SuiteInc. dei Minox.

... dopo aver spolverato erassettato il salotto e raddrizza-

te le cornici.

MM: Un salotto, il salotto di casaSuite inc. ... varie voci, mille facce,un microcosmo che si diffonde sottoforma verbale, grafica, poetica.Qualche opinione, alcune idee,cazzeggi vari e il desiderio. Il deside-rio di proporre qualcosa a qualcuno,di mettere qualche pulce nell’orec-chio, magari anche - e perché no -uno scorpione nel collo. Dare ancheun pò fastidio ma non gratuitamente,con stile.

RA: Sunshine, il sole splende dallafinestra e la luce imbianca le pareti eil resto dell’ufficio. A dispetto di unmonitor pieno di riflessi, ma a favoredell’umore, di quel sentimentointimo, così intimo da chiamarloanimo. Finché dura così tutto bene,c’è da sperare sempre in un loopaltrimenti. Si, il loop dei momentipositivi, il loop del nastro tagliato epoi riappiccicato. Quando ancora nonesistevano editor informatici ocampionatori intergalattici ma solo lamanualità di un tecnico per dare ilvia ad una versione dub. Dubwiseanzi, con lo stesso brano, zoom suBasso e Batteria. Colla su nastro,derivato del petrolio, materia, colla,la colla della Rizla... chiuso lo spliff, siinizia a pensare e a ricordare mentrela musica scorre. Wackie’s la labeldi Giamaica, un capitolo ancoraoscuro per molti appassionati di dub,ma un personaggio quanto maiimportante per dipanare le magliedella favola Dub. Storia di Giamaica,storia di Bullwackie appunto. Rieditida EFA, due cd digipack, biancocartone strictly dubwise, mi soncapitati in mano via Audioglobe. Dueragazze in abito maschile, skafashion, sguardi seri e il leone diJudah che stringe la bandiera con ilvessillo Wackie’s. Il logo. La polverestratificata lascia spazio alla luminosalinea della selezione di “Love JoysShowcase”, voci femminili su unosplendido susseguirsi di brani loversrock ovvero la facciata passionale delreggae: “hey Rastaman what youseh?, gimme some of your sensi!”.Per passare poi di mano il secondodigipack, “African Roots act 3”“Strictly Dubwise”. Linee oblique nerein copertina avvolgono il contenutosintetizzato in due parole “rigorosa-mente dubwise”. La versione appun-to, le tracce dubbate, lo scheletro el’essenza del reggae, il Dub, proto-

elettronica, effetti sonori da macchi-ne analogiche. La saggezza del dubnelle mani del misterioso producer,giocoliere spesso a fianco delmaestro da baraccone, il re neltendone del dub Rainford HugePerry, già Lee Scratch Perry, Themighty Upsetter, Pipecock Jackson,etc... Fino ad ora solo un discoamericano metà anni 80 cheacquistai anni fa, “In Satan’s Dub”dove il nostro Bullwackie incontra ilmitico Scratch per confrontarsi e dinuovo sconfiggere Satana, è il miobagaglio circa il misteriosoBullwackie. Il Professore Pazzo deldub Neil Fraser da Londra non mi sadire di più che due note: il cognome“Barnes”, JA, NY e “Read peoplefunny boy for more details”... cercosu internet, ecco: riconosco il nomeLloyd Barnes, nelle sue più famoseproduzioni Horace Andy, MaxRomeo, Chalice e alcuni braniscaricati di pirateria, note cheparlano del suo studio nel Bronx.Wackie’s Records. Pietra miliaredegli anni 80. Ad oggi ancora non neso di più. Di certo è che dal mutarerepentino del tempo, pioggia e poisole, si vede la continua lotta, ilconfronto con gli agenti avversi. Ilmale, il demone sconfitto (?) dasconfiggere (?) in questi duesplendidi dischi. Il miele ed il lattescorrono nella terra dei sogni.Giamaica, l’oblio ed il sogno. Ilkumina. Adesso va meglio...

MM: E’ arrivato come spesso ad unacerta ora, Tennent’s in una mano eCamel nell’altra, Spin Boldak. Siaccomoda, studia l’ambiente, misurai dialoghi e poi sta per dire la suaquando qualcuno preme lo start e“How Much Are They” ferma iltempo, la drum machine lo scandi-sce nettamente (doveva essere unaCR 8000), Holger Czuckay, JahWobble e Jaki Liebzeit, quel piano,quel flicorno, quell’organazzo e ilbasso e la voce di Jah. Come spessola presenza di Spin Boldak riportaagli 80 nonostante la sua età e FullCirce scorre interamente comeniente, come tutto, breve, lungo,intenso o meno. E così la sua sceltasarà ponderata ma istintiva, infatti...

SB: “1000”: Future 3, drummachines appunto. A prima vistauna vetusta quanto curiosa apparec-chiatura. Un originale e affascinanteoggetto d’arredamento. Ma se sitiene presente che è stata ed èprotagonista di primo piano inbuona parte della musica prodotta

da una trentina d’anni a oggi, sicapisce subito che per alcuni essarappresenta un amore indissolubile.Sono innumerevoli gli artisti chehanno affidato alla drum machine laloro passione per la musica nei modipiù diversi. Da semplice metronomoa insostituibile partner di braniepocali e non. Nonostante l’anzianitàdi servizio delle varie 606, 808,Korg, Siel, Amtron, la musicaciclicamente ce la ripropone.

RA: ... il caffè di primomattino.Attacco la corrente... Outlook, Ting!Arriva un’email direttamente da Arci(aka Maurizo Arceri) che mi giraquest’ultima dal Piro. Le primeimpressioni di un gestoredjtuttologodel più improbabile lounge-electroclub in quel di Pistoia. Il suo messag-gio. Un ringraziamento, quasi undebito da estinguere, al più presto,con ancora l’odore di fumo sulmaglioncino...

Il Debito Verso I PazziVerso i pazzi, i punk sapienti, versochi sa che il mare si può accarezzaretutta la vita. ‘Fare a schianti’ aPistoia sta per ‘fare a cazzotti’, ma gliunici pugni tirati dai bellissimiChristina e Maurizio Krisma sonostati quelli ai benpensanti di vent’an-ni, agli ominidi italioti persi neltunnel schizofrenico del Tempo delLavoro\tempo libero.Ogni canzoneuno schianto, come veder piovere gliocchi-fulmine di Chris giù dal balconead ogni impennata vocale. Nonavessero fluttuato nel mare dei suonidell’Arcieri, le braccia avrebberoveramente colpito con violenza, legambe scalciato come in un pogo-country, suicide-karaoke, piano-barda postribolo, grandezza senzafondamento, lezione di vita ed’amore come un crash sull’autobahninvisibile che collega l’Italia allaSicilia e quindi al Mondo. Come quelloro bacio, fortissimo, un satellite. Iltempo è temporaneo, il denaro è lamerda che fu, cinque minuti,cinquecentomilalire, l’eterno ritornodello stesso, ascoltare immagini datutto il mondo e vedere sempre lostesso suono come asceti immersinel vuoto\pieno del Cocoricò.Al Pirobutirro... una macelleriadell’anima quella soffitta rossa,sottosuolo pieno di futuro dove i duesposini terribili ci insegnano l’amoredel cominciamento, della(ri)creazione. L’arte si fa pagare solodalla sua ombra.

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SHAKADELIC(Marco “Peedoo” Gallerani)

J-Walk – A Night On The Rocks(Pleasure Music / East West)Manchester + hip hop + northernsoul = il primo leggendario albumcapolavoro!

2 Many Djs – As Heard OnRadio Soulwax Part.2 (Piasrecordings) Mixato altamenteraccomandato! I 2 Many Djsstanno al Bastard Pop comeFatBoySlim al Big Beat.

The Streets – Has It Come toThis? (Locked on) Il remix drum& bass di High Contrast è unabomba, che ridicolizza il lavoro deiRoyksopp su “Weak becomesHeroes” . Drum & Bass is back! Bigtime, Rocca docet.

Manhead – Doop / What?(Relish Records) Nuovo singoloper il duo Headman sulla propriaetichetta: New wave + dub su unlato, Chicken Lips + Ivano Fossatidall’altro.

Blue Flame – From Kings CrossTo Walhalla (Bolshi Blue) LaLemonjellymania si sta diffonden-do velocemente… in questo casoperò, non solo cloni… well done!

Peven Everett – StudioConfessions (ABB Soul)

Non avrei mai pensato di recensireun disco “soul” (tanto più albumdel mese), che mi sia rincoglionitocompletamente ne ho da tempoqualche sospetto… ma vi assicuroche questo disco spacca!!!Studio Confessions è completa-mente scritto, suonato, arrangiatoe prodotto da Peven Everett , unartista di colore che a soli 27 annisorprende e convince, per lacompleta e irriverente conoscenzadi ben 11 strumenti differenti eche senza il minimo dubbio apparepredestinato a paragoni con genidel calibro di Stevie Wonder,Herbie Hancock e perché no Princegrazie al suo modo unico difondere soul (il singolo Testin Me),hip-hop (They So Cold) e deephouse di quella “spirituale” alla JoeClausell (Sankofa). Ascoltatelo efatemi sapere…

7x7

PEEDOO’S HOT TIPS

Murs And Slug - present Felt (ATribute To Christina Ricci)(Rhymesayers Entertainment)Se vi piace l’hip hop quello mala-ticcio e sovversivo, roba Def Jux oEl P per capirci, questo originaleed allo stesso tempo danzereccioalbum tributo fa per voi…

Basement Jaxx – Junction EP(Atlantic Jaxx) Hot news daBrixton: 4 nuove tracce cheseguono una vena acid-carnival-house, Skunkmuzic su tutte.

International Pony – LeavingHome (Skint) Arrivano dallaGermania… forse il pezzo piùshakadelico dell’estate appenapassata… attendiamo ora nuovimix per consacrarlo una Pandemo-nio Hit per il 2003.

Annie – I Will Get On (Loaded)Annie di nuovo su Loaded, dueversioni in più rispetto alla versio-ne chartata su 7x7, il tocco “SanFrancisco” di Joshua ed unarivisitazione electro degli svedesiLaid; come sempre succede inquesti casi l’originale rimaneimbattibile.

Magnet – I’ll Come Along‘Psychonauts Remix’ (UltimateDilemma) Sempre dalla Norvegiaarriva il rock acustico dei Magnet:piacevoli, ma ci vuole il tocco deiredivivi Psychonauts (a brevel’uscita del loro album su Mo’Wax)per raggiungere livelli di eccellentenu-pop.

Chef – Chef Killer (GrillRecords) House music con dosimassiccie di umorismo, dallaFrancia finalmente qualcosa di nonipnotico, non filtrato e fortunata-mente riconoscibile fra mille.

Substantial – If I Was Your M-I-C (HydeOut Recordings) C’ètanto buon hip hop indipendente ingiro, non conosco praticamentenulla di questo gruppo… è solo ilmio singolo preferito al momento…a me basta così.

Boomclick - Boomclick EP(Sunday Best Recordings)Nuovo shakadelico singolo sull’eti-chetta di Rob Da Bank, un riassun-to di tutte le influenze musicalidella generazione rave, con stile epersonalità.

1) Mr. Fitzpop - This CharmingSlim Shady (B’stardRecordings) Il miglior bootleg diEminem in circolazione!! SlimShady sopra The Smiths. Pleasestand up!

2) Tommy Guerrero - ComeTogether (Another Late Night)Another Late Night is conferma lamiglior “serie” nel suo genere ed ilmio skater preferito si cimenta suiBeatles, come solo lui può fare.

3) Frost - Half-Whole (FrostWorld Recordings) Co-prodottodai due Royksopp, Half Whole è ilb-side di Pharmacy, nuovo singoloper l’incantevole voce diFrost…pure nordic chill!

4) Ikon - Tricolour (JalapenoRecords) Nostalgico vinilinobianco fra J-Walk e Bebel Gilberto.Merita un ascolto.

5) Mekhanist - Whiste WhileWork (Nine2five Recordings)Dalla Finlandia uno spensieratomotivo da fischiettare all’infinito…

6) The Golden Virgins - I’veSeen The Light” (Rex Records)Nuova sensazione rock sull’etichet-ta che stampa Avalanches, e dapoco anche il “The BlueExperiment” dei nostri Yuppie Flu.

7) David Axelrod - HolyThursday (Stateside) Ristampaa 45 giri, tratto dal secondovolume antologico di mastroAxelrod, epico è poco…

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ELETTRONICAGENTILE A

BERLINOINTERVISTA AI TARWATER

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E’ davvero un piacere scambiareun po’ di chiacchiere con RonaldLippok. Già membro dei To RococoRot, insieme a Bernd Jestramporta avanti il progetto Tarwater,giunto ora al suo secondo album,“Dwellers On The Threshold”, dopoil celebrato “Animals, Suns &Atoms”. Un uomo cordiale edisincantato, capace di gentiliironie ed autoironie. Perché adesempio, se gli si chiede la diffe-renza tra Tarwater e To RococoRot, ipotizzando che il primoprogetto segue tinte un po’ piùscure ed impegnate, la risposta èsemplicemente questa: “Dici? Puòessere, può essere… ma la verità èche noi proprio non siamo strategi-ci quando facciamo le cose:vengono come vengono!”. Maancora più divertente è farsitratteggiare un breve ritratto deisuoi inizi musicali: “Suonavo in ungruppo punk rock, in quella cheall’epoca era ancora Berlino Est.Puro underground, eh: non si puòproprio dire che avessimo delleprospettive… non c’era certo unMalcolm McLaren che girava lecantine e che potesse all’improvvi-so miracolarci lanciandoci nel jetset musicale, soldi e successo; mala cosa divertente è che noi invecefacevamo finta che esistesse!Insomma, noi, le nostre cantinepuzzolenti, strumenti da quattrosoldi, prospettive zero, ma cicomportavamo come se fossel’esatto contrario. E ci si rideva digusto sopra. Ma al di là di questoaspetto, la cosa importante è chec’era ben presente un terrenocomune su cui incontrarsi, siparlava molto fra di noi, c’era unavera e propria piattaforma comunesu cui lavorare”. E Berlino oggi? “E’ancora una città sostenibile, unacittà in cui puoi vivere con poco estare bene. Non penso che sipossa dire lo stesso di Londra oParigi. Inoltre, resta un postomolto vivo culturalmente, di unacultura che viene dal basso.Berlino è ancora piena di club, diproposte diverse. Non so infatti sesi possa parlare di “una” identitàmusicale: se guardi ai gruppi e allepersone che sono venute fuoridalla città, trovi proposte musicalimolto diverse, dal dub dei Pole finoa cose più legate al songwritingcome quelle dei Mina. Poi c’è unocome Alec Empire: è un artistaimportante, lo rispetto, anche senon sono sempre d’accordo suquello che fa e dice”. Parlando diclub, il discorso non può nonscivolare in qualche considerazionesulla club culture e sul rapporto diRoland e soci con essa: “Amiamouscire fuori la sera! I club a Berlino

sono molti sia per numero che pertipologia, trovi davvero di tutto,dai posti di stretta osservanzatechno a quelli marcatamenterock. Noi preferiamo quelli checomunque hanno qualcosa dibizzarro, di fuori tempo o fuoricontesto, al di là della musica chefanno (questi club a Berlino liriconosci perché ci sono sempre unsacco di russi dentro…). Noi in ognicaso non siamo dei dj, la nostra èuna pura fruizione da clienti”.Tarwater è piccolo artigianatoelettronico, dove i confini fradigitalizzazioni e songwriting sonosempre sottili. Non ci sono effettispeciali, non ci sono toni urlati oacrobazie mai viste. Tutto è servitocon gusto, senza mai prosopopea.Certe volte sembra di risentireschegge di Velvet Underground(“Metal Flakes”, “ImperatorVictus”) riattualizzati in un conte-sto minimalista contemporaneo.C’è una cover degli Swan, “MiracleOf Love”, dal dolente incedere in

cui si canta come l’amore sia“suffering for nothing” (“Miasorella, studentessa di archeologia,va ancora oggi in discotechegothic. Confesso che fino a un po’di tempo fa proprio non capivoquesta sua passione. Ora dai, hofatto un po’ di passi avanti!”), mac’è anche “Phin”, che vede lapartecipazione del percussionistaNicholas Addo-Nettey, già al fiancodi Fela Kuti (“Era per noi una sfidainserire questo elemento diafricanicità nella nostra musica; ècomunque vero che abbiamomesso in loop quanto suonato daNicholas, adottando quindi unprocedimento tipico della musicaelettronica”). C’è il sorridenteipnotismo di “Dogs And LightTents”, il gioco proustiano di“1985”. E in futuro cosa ci sarà?“Stiamo lavorando ad un settepollici che dovrebbe uscire perNatale. Conterrà una cover diDavid Bowie”… ah, eccovi, nonpotevate sfuggire, voialtriberlinesi, all’icona-Bowie! “Eh beh,è vero! Ammettiamo le nostrecolpe! Ma chiedo clemenza: perchéun po’ una cover gliela dovevamo,dato che comunque ci ha ispiratomolto, e in ogni caso va detto chenon faremo una cover del suoperiodo berlinese, quindi insomma,un minimo il luogo comuneriusciamo ad evitarlo! Oltre aquesto, vogliamo continuare alavorare sui nostri progetti nonsolo discografici. Recentementeabbiamo musicato una piaceteatrale tratta da un film diFassbinder, ed è stata davvero unabella soddisfazione. Contiamo dicompletare altri progetti simili infuturo, così come ne abbiamo fattoparecchi in passato”.Multimedialità, quindi. “Sì, maattenzione, sempre in combuttacon altre realtà. Il progettoTarwater resta focalizzato sullamusica. Oddio, in questo tour perla prima volta ci saranno deivisuals, e per un po’ ci siamosentiti come se effettuassimo unfrivolo tradimento, pensa te! Comese volessimo forzare l’immagina-zione dell’ascoltatore, cose così.Ma a curare i visuals è un nostroamico, lui fa parte deiRechenzentrum: uno di cui cifidiamo e che ama improvvisare,non è che viene lì e ti impone unacosa, una e solo una. Quindi ecco,è perfetto! Sì, ci fa sentire moltomeno dei traditori…”.

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“Berlino? Certo chesentiamo la sua influen-za: è la nostra città,ancora oggi! Pensa cheio vivo ancora a casa deimiei nonni. Comunque,credo che ancora oggiBerlino abbia una perso-nalità tale da poter in-fluenzare gli artisti chela vivono, in maniera piùo meno diretta, più omeno visibile”.

Tarwater - Dwellers On TheThreshold (Kitty-Yo)www.kitty-yo.net

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A tre anni di distanza dall’album didebutto, “Close The Door”, tornanoi Terranova con un secondo lavoro,“Hitchhiking Non Stop With NoParticular Destination”, che è,sicuramente per molti, una grandesorpresa. Si può infatti ragionevol-mente immaginare che chi inquesti anni ha consumato qualchepuntina del suo giradischi conl’hip-hop astratto e dolce-amaro di“Close The Door” non sia affattopreparato al muro sonoro diquesta nuova prova in studio.Certo, il suono e i bpm si presen-tano come il cambiamento piùradicale e immediatamenteevidente, ma non sono l’unicanovità intervenuta in questi anni:Kaos ha ‘amichevolemente’lasciato Fetisch e Meister perdedicarsi ai suoi personali progettie il suo posto è stato occupato daShapemod e Dj Naughty; il nomeoriginario ha guadagnato un‘Edition’ e l’iniziale etichetta, laCopasetik, e’ un lontano ricordo(anche se continua a procurarequalche rogna). La vita degli artistiè un pò come quella dei vulcani,no? Può capitare che per annirimangano in silenzio, sembra nonsucceda più niente, apparente-mente non si scorgono segnali divita. Poi improvvisamente l’eruzio-ne. Ma così come non cessa mail’attività di un vulcano allo stessomodo la vita di un’artista non silimita all’uscita di un disco e avolte gli impegni e il lavoro che ne

conseguono possono portare agrandi rivoluzionamenti. E forse sesi considera quello che i Terranovahanno fatto in questo periodo diapparente silenzio si può capirecome siano arrivati alle nuovesonorità. “Close The Door” è undisco di indubbio valore, fruttodella passione di Fetisch per l’hip-hop scoperto in un viaggio a NewYork sul finire degli ’80; figlio eultimo vero tassello importante deltrip-hop di provenienza bristoliana.Da allora non c’è mai stata unapausa: le richieste di remix, i djset in giro per il mondo, le collabo-razioni (non ultima quella conManuel Goettsching), le serate al‘Pogo’, il club berlinese, le musichescritte per i film, i progetti paralleli(come quello a nome‘Interstellar’), e così via. E tutt’in-torno una scena musicale checambia, si evolve, si apre allacontaminazione con altri generi,recupera e rimette in circolo suonidel passato. Qualcosa di cui ognibravo artista fa tesoro. E proprioda quell’osservatorio particolareche dev’essere stato il club ‘Pogo’,i Terranova hanno cominciato atestare nuove sonorità, a imporreuna nuova identità musicale in cuila lentezza dell’hip-hop ha gradual-mente lasciato il posto al ritmoincalzante del breakbeat prove-niente dall’Inghilterra, all’electro-pop della Gigolo di Dj Hell (e forsenon è un caso che nel primosingolo dei Fisherspooner, “Emer-

ge”, compaia un remix deiTerranova), all’aggressività saturadi chitarre del punk e del rock.Questi, in sostanza, gli ingredientiprincipali del nuovo“Hitchhiking...”. Il suono è rimastoelettronico ma allo stesso tempoha fatto propria l’attitudine delpunk e del rock, com’è evidentenel pezzo di apertura dell’album,“Concepts”, o in “Good Bye TheFerrari” e “Running Away”; in“Breathe” e “Out Of My Head” èinvece la leggerezza dell’electro-pop a imporsi; e c’è lo spazio percimentarsi in un esercizio interes-sante di drum’n’tech (“WomenBeat Their Men”), mentre “Subli-me” e “Heroes”, grazie ancheall’intervento di Mike Ladd, sonouna buona sintesi di cio’ chepotrebbe essere visto come ilnuovo hip-hop dei Terranova. Uncalderone in cui si citano persinoBob Marley, Shuggie Otis eBauhaus. La passione, il coraggiodi rischiare e la sincerità sonorimaste immutate, il tempo e ilnostro gusto sapranno poi dire sequesto nuovo capitolo finirà tra i‘classici’ dei nostri scaffali o se sitratta di una tappa temporanea diun viaggio avventuroso, in piùdirezioni e senza una particolaredestinazione.

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GOOGLEFIGHT!

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Riprendiamo subito la navigazione di questa amatissima rubrica giuntala suo terzo appuntamento con il sito preferito. Questa volta sveloimmediatamente il motivo del titolo. Il sito e’ tanto geniale quantoinutile, su (www.googlefight.com), si inseriscono due nomi e si vedechi dei due è il vincitore. Il tutto si basa sul motore di ricerca Google,alla fine vince il nome che ha più risultati. Non è sicuramente un sitoche visiterete spesso ma la sfida tra Win e Mac stuzzica tutti. Perrestare sul tema del sito ‘bello ma inutile’ sicuramente andate su(www.crashbonsai.com). Il contenuto da visionare è molto bizzarro,sono una serie di incidenti in miniatura con macchinine che si scontranocontro alberelli bonsai. Se invece le vostre aspirazioni sono quelle didiventare un giornalista musicale allora segnatevi questo fantastico sito(www.allmusic.com). Se navigate in profondità potete trovare lebiografie e le discografie di quasi tutti i musicisti del mondo, siamovicini al 100% come completezza. Tanto per fare bella figura vi passoquesti siti di design, il primo della lista è (www.provokative.net),ogni mese un gruppo di designer dice la sua opinione in base ad unatraccia iniziale, (www.imoments.net) invece è il classico portfolio,relizzato con uno stile invecchiato e stropicciato, molto bello e particola-re. Il prossimo è (www.digitalartsworld.co.uk), una webzinededicata esclusivamente al design con interviste e utilissimi tutorial,mentre (www.eccentris.com) è il sito del fotografo Sacha DeanBiyan, tutto realizzato in flash con uno stile asettico. Se invece avetedel tempo da perdere, passate su (www.digital-architecture.com),se iniziate a vedere i lavori di questa agenzia dovrete per forza veder-veli tutti, tanto sono belli, il fatto è che sono molti e ci perderete delleore. Per ritornare un attimo alle cose ‘inutili’ vi segnalo questo diverten-tissimo sito dal nome (www.bunnysneezes.net/page16.htm). Inpratica avete a disposizione un sacco di accessori: scarpe, pantaloni,gonne, vestiti, tipi diversi di acconciature, il tutto per vestire la vostrabambola virtuale. Se invece siete ancora degli appassionati di Gameboye ancora adesso dopo anni non potete vivere senza, provate ad andaresu (www.littlesounddj.com), ci sono descritte cose insospettabili cheil vostro aggeggino può fare, come ad esempio della musica, diventa unvero e proprio sequencer. Se invece siete alla ricerca dell’anima gemellae come capita a molte persone siete attratte dalla gente che ha deiproblemi, vedi il carcere, provate (www.womenbehindbars.com).L’argomento non è proprio dei più felici però volevo comunque mettervial corrente dell’esistenza. Questo sito vi trova la vostra dolce metà nellecarceri americane! Dopo questo non ci sono più limiti e ritorno allegra-mente al design. Altra sequenza interessante: (www.plastickid.dk) èil sito personale del designer danese Jakob Printzlau, pedominanza dibianco e grigio, molto freddo e preciso nell'impaginazione,(www.hethe.com) invece appartiene a Hethe Srodawa, designercaliforniano con gallerie di disegni fatti sia a mano sia a computer,navigazione semplice e intuitiva, guardare la galleria illustrations chemerita. Ancora uno, (www.mikisraoul.com) sito personale conportfolio di Mikis Raoul Pattinama, impostazione molto spartana, fotoritoccate con Photoshop e molte immagini delle sue varie pubblicazioni.Per finire in bellezza ci mancava il personaggio con l’idea geniale. Seandate su (www.c71123.com/daily_photo) ogni giorno trovate unafoto nuova della stessa persona. Se si osserva la sequenza si notano icambiamenti di stile e dei tratti somatici. Come si può intuire non servea molto come sito, quello che conta è che si vede una persona checambia aspetto, molto adatto ai curiosi e a chi non ha di meglio da fare.Anche per questa volta siamo arrivati alla fine, vi ricordo il solitoavvertimento: i siti sono attivi nel momento in cui scrivo queste righe,non si garantisce restino tali nel tempo. Alla prossima.

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Xenakis: musicista, architetto,matematico… a zonzo lungo ilNovecento come un modernoPitagora avventuriero, che partecipaalla resistenza greca durante laguerra, si autoesilia volontariamentein Francia, conosce Le Corbusier, va ascuola da Messiaen, da Honegger,s’interfaccia con il genio di PierreSchaeffer, di Varèse, riceve labenedizione di Hermann Scherchen…Xenakis che tronca il cordoneombelicale della musica dalladodecafonia e dalla serialitàdarmstadtiana. Xenakis che non èfiglio di Webern e non è figlio diStravinskij, e per primo indica unanuova via che non vienegenealogicamente dal simbolismo nédall’espressionismo né dalrazionalismo ‘misticheggiante’stockhauseniano o bouleziano.Xenakis che si porta dietro la vee-menza ctonia dell’orizzonte ‘tragico’greco e l’eredità formalista dellematematiche di Hilbert e dellageometria di Klein… Xenakis che,insieme a Cage, avanza a grandifalcate verso il ‘caso’, versol’indeterminazione e l’aleatorietà,verso il mondo olistico del caos. Unmondo che ha ferree regole ‘auree’…In fin dei conti la conquista supremadi quest’uomo leonardesco e insieme‘atavico’, è la scoperta di quanto lamusica sia lontana da una‘quadratura’ settecentesca. Ma sefosse solo questo: anche Mozart c’eragià arrivato. Il punto è che Xenakisinaugura una perfezione ‘imperfetta’,una geometria non-euclidea dell’og-getto sonoro. La musica di Xenakis,come la matematica di Hilbert, sioccupa della totalità relazionale eindifferenziata degli oggetti astratti,postulabili in termini logico-assiomatici e se ne infischia se essipossano o meno esistere. La nostraesperienza non corrisponde conquesta musica logica e formalizzata:ci sono enti logici che non hannobisogno di esistere per esserepensati, ci sono suoni che non hannobisogno di esistere per essere‘suonati’. Non ha ragione una cono-scenza kantiana aprioristica dello

XENAKIS:UN BEETHOVEN ARMATO DI RAGGI LASERLa polifonia lineare distrugge se stessa con la sua estrema complessità; ciò che unoascolta è in realtà nient’altro che una massa di note in vari registri. L’enorme com-plessità impedisce all’ascoltatore di seguire l’intreccio delle linee e ha come effettomacroscopico un’irrazionale e fortuita dispersione dei suoni lungo l’intera estensionedella spettro sonoro. C’è perciò una contraddizione tra il sistema polifonico lineare eil risultato acustico, che è superficie o massa. (Xenakis,1971)

spazio e del tempo, non ècompletabile una conoscenza deisistemi formalizzati (come ci insegnaGödel), così come non si dà unatraiettoria deterministica del divenire‘musicale’.Ecco allora Pithoprakta (1956)1,basata sulla teoria dei gas diMaxwell-Boltzmann, ecco Duel(1959) e Stratégie (1962), incentra-te sulla teoria dei giochi di vonNeumann, ecco Evryali (1973)tessuta grazie alle ‘arborescenze’2,ecco Eridanos edificato su intervallilegati alla catena del DNA (gli atomidi idrogeno, ossigeno, carbonio efosforo della struttura nucleicaoccupano intervalli fissi mapermutabili anche nell’architetturacompositiva musicale), ecco l’algebradegli insiemi in Herma, ecco la teoriadei gruppi di trasformazione in Mikka‘S’, in Khoai, in Mists, in Akrata. È larivoluzione copernicana delcontrappunto che ci dona Xenakis: lamessa in opera di una variazione nonpiù lineare ma ‘distorta’ al mododelle doppie curvature delle sueopere architettoniche3. A suo tempoil musicista greco fece notare come itrucchi ‘classici degli specchidodecafonici’: retrogrado, inversione,inversione del retrogrado, fosserocasi particolari (i più semplici) dellemanipolazioni dei gruppi finiti nellageometria trasformazionale di Klein.Se in musica le grammatichecomposizionali si sono rese piùcomplesse, se è nata l’attualescrittura assistita dal calcolatore ocomplesse tipologie di scritturamanuale interpolate localmente daprocedure algoritmiche nelle fonti,nelle modulazioni, nelle classi dioggetti, lo si deve in massima parteall’opera pioneristica di Xenakis.Oggi i trucchi degli ‘specchi’ nonsono quelli di Webern, ma quelliereditati da Xenakis, quelli dellegeometrie di trasformazione di Klein,quelli delle topologie di Hilbert:iterativi, aperiodici, vettoriali,stocastici. Oggi il sincretismoarmonico (modalismi, diatonismi,cromatismi, infracromatismi, clustere gamme tonali non-ottavanti)

interseca la libertà stilistica annuncia-ta da Xenakis, oggi le maniecatalogatorie sono più vicine ai suoierbarî numerici che non ai capriccîastrologici di Stockhausen. Oggil’elettronica si palleggia i beatdovendo molto ai ‘calcoli’ binarî dipre-organizzazione del materiale diXenakis, alle sue macchine, alC.E.M.A.Mu. (Centre d’études demathématique et d’automatiquemusicales)… Oggi i poliritmi hanno ache fare di più con Xenakis che noncon il ramo serial-dadaista di Cage ocon quello minimalista di Reich oGlass. Non è né bene né male; è unfatto. Altezze, durate, dinamiche eperfino timbro della musica (ma nonsolo) contemporanea passano moltodi più attraverso il pensiero diXenakis che non attraverso quello diWebern4: è un fatto. Anche il timbro èpiù debitore alle manovre escogitatedal greco in materia di uso dei blocchiorchestrali e dei nastri magneticipiuttosto che alla torsione spettralista(a un Grisey ad esempio). Il lavoroorganizzato dal compositore franco-greco intorno alla teoria dei ‘cribles’5

sconfina addiritttura nello specularesuoni partoriti da numeri complessi(numeri reali estesi tramite unitàmatematiche immaginarie); quindioggetti già programmaticamente oltre

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Ricca

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il concetto stesso del ‘timbro’6.Xenakis mette insomma nero subianco un cosmo che assomiglia auno sciame fascicolare in caduta:una nuvola – come si sente spessodire a proposito della sua musica –o una macchia arborescente7 chesi modifica secondo norme infallibi-li: le leggi del caso. Ed è il ronziodi quello sciame che ci affascina:l’antico clinamen epicureo degliatomi che rotolano nel vuoto… ilrespiro del suono nei pezzi diXenakis, al di là dell’eterogeneitàcompositiva, è organico, tellurico,monumentale. Quella musica percui non si spreca davvero l’epiteto(oggigiorno abusato) di ‘materico’;quella grecità del drama, agonica,bruta, eschilea, quell’amore per laclassicità che non è revival ma cheaffiora come ‘mito della materia’appunto: in opere come Metastasisdalle ‘arcate’ soniche colossali, inPléiades dove le percussioniraggiungono una punta teticaassoluta, dove la ritmica è unoscuro battito metagnoseologico,in Nomos alpha in cui la teoria deigruppi produce microtonalità ecluster cangianti.Xenakis: musicista, architetto,matematico. O più semplicementeun Beethoven armato di raggîlaser!

Note1 - In questa partitura la legge dei grandinumeri di Bernoulli corregge la turbolenzaprobabilistica delle singole istanze (suonicalcolati come molecole di gas in un sistemainstabile) e permette di percepire una gestaltdentro il caos. I calcoli non-ricorsivi fanno sìche i glissandi degli archi, ad esempio (ifamosi glissandi xenakisiani), siano distribuitisu una griglia metrica temporale (quintine,quartine, terzine in tempi ‘irrazionali’ di 4/15,3/15, 5/15) nella quale sono completamenteirrelati l’uno dall’altro, così da produrreun’iridescenza di totale immobilità del tempo.2 - Nella teoria delle arborescenze il pezzo ètracciato graficamente su carta millimetrata:le linee verticali sono le altezze e le orizzontalile durate, in modo che una linea corta odobliqua risulti un glissando, una semplicemen-te orizzontale un pedale tenuto e una verticaleun aggregato accordale. Un procedimentoalquanto cageano… In seguito Xenakisinventerà l’UPIC, una macchina che traducequeste arborescenze su uno schermo e lesuona in tempo reale.3 - Per l’opera architettonica di Xenakis sirimanda all’ampia trattazione sul numero 17 diUT all’interno del dossier Ipercittà.4 - Un fondo solco è rigato tra la concezionedella musica di Xenakis e quella di Webern: daun lato la visione di un ‘fluido’, di un ciclopicolegato che tiene raggomitolata la melassa deisuoni in un denso elastico tensivo, dall’altro lapercezione dello staccato, dell’interstizio, deldiscontinuo, della costellazione a distanzasiderale. Un solco nel quale ci muoviamo tuttied entro il quale oscilliamo ancora e sempre.5 - ‘Crible’ è una parola quasi intraducibile:significa più o meno ‘setaccio’. Si tratta di unateoria geometrica, legata ai gruppi ditrasformazione di Klein, che, applicata allamusica, ‘seleziona’ il materiale sonoro dacontinua anche paradossali, creando delle‘scale’.

Il ‘pensiero’ dei gruppi di trasformazione è unodei fondamenti della matematica moderna:ogni geometria deve essere classificatatenendo conto delle proprietà delle figurespaziali che restano invariate rispetto ad uncerto gruppo di trasformazioni. La geometriaeuclidea ad esempio è lo studio di tutte quelleproprietà delle figure spaziali che restanoinvariate nei cambiamenti di scala delle figurestesse. Ma la molteplicità delle geometriepossibili è enorme perché si possono idearediversi tipi di trasformazioni (quindi lageometria euclidea è solo un ‘caso’ particola-re’). Se nella musica di Schönberg agisconotrasformazioni euclidee, nella musica diXenakis agiscono ‘trasformazioni’ complesse,moti kleiniani, riemanniani, vettori hilbertiani…In qualche maniera il mondo di Xenakis è più‘reale’, cioè più vicino alla verità‘indeterministica’ della natura che non ilmondo della serialità. Ciò non significa, nullase non che le due istanze: la musica diXenakis e la musica della serialità storica,siano entrambe meravigliosi episodi delpensiero e ascolti prelibati per chi sa tenderele orecchie.6 - Già sorpassata e ‘accademica’ appare tuttaquanta la polemica sul timbrismo nella ricercaodierna, a partire dagli esercizî ‘generativi’pre-compositivi di Xenakis: la ‘pressione’teorica matematica a cui è sottopostal’analitica dello spettro sonoro è ben piùfilosoficamente imponente in Xenakis che neglispettralisti; e addirittura qui si potrebbe‘dissennare’ un acrobatico parallelo conDebussy, il quale sosteneva che la «melodiafosse timbro», preconizzando cinquant’anniprima quella che sarà la dimostrazione‘concettuale’ del musicista greco.7 - Finanche scontata qui la vicinanza con ilgioco ‘nomadico’ delle radici e delle pianterizomatiche di Deleuze e Guattari.

06 DICEMBRE(dj set - breakbeat - UK)FINGER LICKIN’ NIGHT featLEE COOMBS

13 DICEMBRE(dj set - future funk, breakbeat - IT+UK)PANDEMONIO NIGHT featSANTOS, RICHARD SCANTY, PEEDOO

20 DICEMBRE(dj set - tech-house - FIN)F-COMMUNICATION NIGHT featJORI HULKKONEN (ZYNTHERIUS)

FRAME - Maffia Visits Bologna @ CovoOGNI VENERDI’ / OPEN 22.00 - 04.00

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