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Alla ricerca di una Scuolaper tutti e per ciascuno

Impianto istituzionale e modelli educativi

Atti del Convegno Internazionale SIRDRoma 13-14 giugno 2018

Pietro Lucisano

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irCollana SIRD

Studi e ricerche sui processi di apprendimento-insegnamento

diretta daPIETRO LUCISANO

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DirettorePietro Lucisano

(Sapienza Università di Roma)

Comitato scientifico Jean-Marie De Ketele (Université Catholique de Lovanio)Vitaly Valdimirovic Rubtzov (City University of Moscow)Maria Jose Martinez Segura (University of Murcia)Achille M. Notti (Università degli Studi di Salerno)Luciano Galliani (Università degli Studi di Padova)

Loredana Perla (Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”)Ettore Felisatti (Università degli Studi di Padova)

Giovanni Moretti (Università degli Studi di Roma Tre)Alessandra La Marca (Università degli Studi di Palermo)Roberto Trinchero (Università degli Studi di Torino)Loretta Fabbri (Università degli Studi di Siena)Ira Vannini (Università degli Studi di Bologna)

Antonio Marzano (Università degli Studi di Salerno)Maria Luisa Iavarone (Università degli Studi di Napoli “Parthenope”)

Giovanni Bonaiuti (Università degli Studi di Cagliari)Maria Lucia Giovannini (Università degli Studi di Bologna)Elisabetta Nigris (Università degli Studi di Milano-Bicocca)Patrizia Magnoler (Università degli Studi di Macerata)

Comitato di Redazione Rosa Vegliante (Università degli Studi di Salerno)Cristiana De Santis (Sapienza Università di Roma)Dania Malerba (Sapienza Università di Roma)

Collana soggetta a peer review

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Impianto istituzionale e modelli educativi

Atti del Convegno Internazionale SIRDRoma 13-14 giugno 2018

Pietro Lucisano

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ISBN volume 978-88-6760-641-2ISSN collana 2612-4971

FINITO DI STAMPARE MAGGIO 2019

2019 © Pensa MultiMedia Editore s.r.l.73100 Lecce • Via Arturo Maria Caprioli, 8 • Tel. 0832.23043525038 Rovato (BS) • Via Cesare Cantù, 25 • Tel. 030.5310994

www.pensamultimedia.it • [email protected]

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5 |Indice

INDICE

11 Prefazionedi Pietro Lucisano

Sessione 1: Scuola 0-6 anni

17 Leggere dal nido per prevenireFederico Batini

29 Autovalutazione dei nidi e delle scuole dell’infanzia del Comu-ne di RomaConcetta La Rocca, Valeria Biasi, Nazarena Patrizi, Gabriella Tassone

37 La consapevolezza metacognitiva degli insegnanti di scuoladell’infanzia nell’uso delle TICValeria Di Martino, Elif Gülbay

49 Teoria e pratica dell’educational embodied cognitive science(ECS) Paola Damiani, Filippo Gomez Paloma

59 Il digital storytelling nella scuola dell’infanzia: una ricerca sullepratiche verso la costruzione di linee guidaChiara Bertolini, Andrea Pagano

67 Dall’interno all’esterno e ritorno: l’ambiente educativo pensatoMariagiuseppina Basile, Rebecca Di Prete

75 Quale cultura educativa nei servizi per i bambini da zero a seianni? Riflettere, a partire dalle ricerche, sulle proposte attualiAgnese Infantino, Franca Zuccoli

83 Analisi comparativa dell’impatto della didattica destrutturatasulle abilità socio-comunicative in età prescolareLuisa Bonfiglio, Giulia Torregiani, Francesco Peluso Cassese

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Sessione 2: Scuola comprensiva e obbligo scolastico

93 Video-formarsi alla pratica insegnanteRosa Vegliante, Sergio Miranda, Antonio Marzano

103 Rileggere il Digital Storytelling alla luce dei Cognitive CulturalStudies: uno strumento per il consolidamento delle life skillsRoberta Silva

113 Via Bosio: una scuola laboratorioMariantonietta Ciarciaglini, Annalisa Di Credico

121 “La scuola è aperta a tutti”: la sfida di disabilità e migrazioneValeria Friso

129 Educazione di genere e Programma Operativo Nazionale:un’opportunità formativa per la valorizzazione e la motivazionedi studentesse e studentiDaniela Bagattini, Samuele Calzone, Valentina Pedani

137 Progetti di rete e teacher change: una combinazione possibile? Andrea Ciani

145 Didattica della comprensione del testo in ambiente collaborati-vo. Una ricerca quasi sperimentale.Roberta Cardarello, Andrea Pintus

153 Un curricolo per la scuola dell’obbligo a partire dal pensiero de-gli insegnantiMaila Pentucci

161 Multilateralità, qualità e quantità per una didattica inclusiva inEducazione Fisica nella scuola primariaAndrea Ceciliani

171 Gifted - alto potenziale cognitivo e valorizzazione dei talenti ascuolaLaura Sartori, Maria Cinque, Federico Bianchi di Castelbianco

179 Un Laboratorio sperimentale di intercultura. La scuola alC.A.R.AFabiana Capasso

191 Certificazione delle competenze e rubriche valutative: affidabi-lità e triangolazione dei risultati attraverso processi di “peer re-view”Davide Capperucci

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199 L’ansia da valutazione: riflessioni sull’apprendimento e sullaformazione insegnanteIrene Stanzione

209 Pratica didattica dei problemi matematici e testo delle indica-zioni nazionali nelle rappresentazioni degli insegnanti di scuolaprimariaAnnarita Monaco

219 Implementare capacità metacognitive attraverso la Zona di Svi-luppo Prossimale e condividere il processo di valutazione for-mativa con i discentiRaffaela Tore

231 Costruire alleanze fra scuola e territorio per la cittadinanza atti-va. Progetto Europeo STEP nella scuola dell’obbligoElisabetta Nigris

239 Quale didattica per l’educazione alla cittadinanza? I risultati diuna cross-case analysisBarbara Balconi

247 Le potenzialità della musica per promuovere l’inclusione nelcurricolo della scuola del primo ciclo: dati da una ricerca nazio-naleAmalia Lavinia Rizzo

261 Strategie di insegnamento-apprendimento per la costruzionedel metodo di studio nella prospettiva inclusiva. Alcuni dati diricercaMarianna Traversetti

269 Promuovere la comprensione del testo: una ricerca a sostegnodell’innovazione a scuola Chiara Bertolini

279 Interconnettere saperi, metodologie e modalità di valutazioneper promuovere la formazione critica dello studente in unascuola orientata alla sostenibilitàFrancesca De Giosa

291 La biblioteca scolastica come spazio di ricerca e attivazione diprocessi identitariClara Ligas

299 Valutazione autentica. Per la dignità delle persone e dei numeriDavide Tamagnini

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307 Musica d’insieme come attività di educazione alle emozioni nel-la scuola secondaria di primo grado: la figura del direttore-edu-catoreFrancesco C. Ugolini, Giuseppe Sellari

315 L’autoapprendimento in età evolutivaTiziano Battaggia

323 Una scuola per unità di lavoroGiancarlo Cavinato

Sessione 3: Scuola secondaria di secondo grado

331 L’alfabetizzazione mediale nella scuola multiculturale. Dallateoria alla pratica attraverso una didattica inclusivaMaria Ranieri, Francesco Fabbro, Andrea Nardi

339 Orientare dal liceo all’università: il progetto di ricerca-for-mazione «FOrP»Alessandro Di Vita

347 Sviluppare il pensiero critico attraverso la scrittura. Il pro-getto verba sequentur nella scuola secondaria superioreAntonella Poce

361 I titoli dei temi: come le tracce stimolano le pratiche di scrit-tura a scuolaMatteo Serpente

369 Percorsi blended per lo sviluppo professionaleSergio Miranda, Rosa Vegliante, Antonio Marzano

377 Per uno sviluppo del Critical Thinking ed dell’InformationLiteracy come competenze trasversali nella scuola secondariaCorrado Petrucco

385 La valutazione come esercizio di cittadinanza. Una risorsaper gli studenti della secondariaKatia Montalbetti

393 Proposta di una tipologia testuale ad uso didattico, valutati-vo e di ricercaEmilio Lastrucci

399 La corporeità come sfondo integratore: il caso dell’indirizzosportivo del Liceo Scientifico “Roiti” di Ferrara Antonio Borgogni

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407 Una ‘traccia’ di modello inclusivo scuola-territorio. L’espe-rienza del progetto “LabInclusion”Loredana Perla, Laura Sara Agrati, Elisabetta Scalera

423 L’autovalutazione delle competenze scientifiche per favorirel’autonomia degli studenti: un’indagine nella scuola secon-daria di secondo grado Liliana Silva

431 Quale matematica per quale scuolaEmanuela Botta

437 Risorsa o ancora problema? I Disturbi Specifici di Apprendi-mento nella percezione di insegnanti e studenti della Scuola Se-condaria di II grado. Una indagine esplorativa nell’ottica deiDisability StudiesFabio Bocci, Ines Guerini, Veronica Leopardi, Martina Marsano, Ales-sia Travaglini

445 La valutazione formativa nella pratica scolastica: una ricerca-azioneRosanna Tammaro, Annamaria Petolicchio

453 Risolvere problemi e collaborare: spartiacque di genereGiorgio Asquini

461 Promuovere lo sviluppo di competenze trasversali a scuola eall’università: riflessioni a partire da un’indagine empirica sullecompetenze in ingresso degli studenti universitariElisa Truffelli, Alessandra Rosa

Sessione 4: La formazione professionale e i percorsi post obbligo di istruzione

473 Dalla formazione professionale al lavoro. Politiche pubblicheper transizioni efficaciAnna Teselli, Patrizia Sposetti

481 Un progetto di Visiting Researcher in Ludopedagogia per la for-mazione iniziale e in servizio degli insegnantiMina De Santis, Ariel Castelo Scelza, Tina Nastasi, Lorella Lorenza Bianchi

491 Svantaggio linguistico e didattica inclusiva. Una necessità neicontesti di formazione professionale Patrizia Sposetti, Giordana Szpunar

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501 Analisi critica della letteratura europea sulla VET research conparticolare riferimento all’OECD Skills Strategy (2017)Giuditta Alessandrini, Valerio Massimo Marcone

513 L’approccio flipped: un’opportunità di innovazione didatticaper l’apprendimento inclusivoFabio Bocci, Martina De Castro, Daniela Olmetti Peja, Umberto Zona

521 Metafore valutative: implicazioni per la formazione degli insegnanti Debora Aquario, Elisabetta Ghedin

531 Significato e utilizzo del modello di certificazione delle competen-ze. Risultati preliminari di un progetto di ricerca-formazioneFranco Passalacqua

539 Dalle Lingue madri alla Lingua della scuolaGraziella Conte

Sessione 5: Scuola e lavoro

551 Sviluppo e valutazione delle soft skills in Alternanza Scuola-La-voro: il punto di vista degli insegnantiConcetta Tino, Valentina Grion

559 Lavoro e alternanza negli ultimi due anni di scuola secondariadi secondo grado. Indagine Teens’ Voice 2017Emiliane Rubat du Mérac

571 Alternanza formativa e identità professionale dei disabili diScuola Secondaria di II grado. Un’indagine esplorativa sui Do-centi Referenti e i Docenti Tutor dell’AslPaolina Mulè, Daniela Gulisano

581 Un modello di orientamento formativo per giovani immigratinei CPIAMassimo Margottini, Francesca Rossi

591 Valutare le competenze trasversali per l’imprenditorialità: esitidel progetto europeo SOCCESElena Luppi

603 Può il Service Learning aiutare gli studenti a maturare le SoftSkills da far valere in ambito lavorativo? Uno studio esplorativoOrlando De Pietro

613 Legge 107: la faccia feroce della società della conoscenza?Loredana La Vecchia

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11 |Prefazione

–––––––––––––––––Prefazione –––––––––––––––––Pietro Lucisano

Il volume propone una riflessione sull’attuale impianto istituzio-nale del sistema scolastico italiano frutto della collaborazione trala SIRD e le associazioni professionali degli insegnanti e dei for-matori (AIMC, CIDI, FNISM, MCE UCIIM e CIOFS).

La quantità dei contributi rende conto dell’impegno e dell’in-teresse per la tematica. Insegnanti e ricercatori insieme per inte-grare l’apporto della ricerca educativa con l’esperienza degli inse-gnanti e delle associazioni professionali della scuola e della for-mazione professionale. C’è necessità di lavorare insieme per ren-dere effettivi gli obiettivi fissati dalla Costituzione, ancora troppisono i limiti nei risultati del nostro lavoro, limiti legati spesso allecondizioni strutturali in cui si opera. Limiti legati ad una situa-zione dell’edilizia scolastica stabilmente degradata, da una poli-tica del reclutamento del personale che continua ad utilizzareampiamente il precariato, che non garantisce organici stabili allescuole e che non prevede un percorso qualificato per la forma-zione degli insegnanti in ingresso. Limiti ancora legati ad un cli-ma culturale nel quale alla scuola sono stati assegnati i compitipiù diversi, dalla customer satisfaction alla produzione di capitaleumano, un clima in cui la fiducia nell’Istituzione scuola e nellaprofessionalità degli insegnanti è stata minata fino ad immagina-re telecamere in classe per sorvegliare gli insegnanti, fino a pre-vedere algoritmi per l’assegnazione dei voti agli esami finali.

Lavorare insieme per trovare soluzioni percorribili dal puntodi vista didattico e metodologico non è tuttavia sufficiente, è ne-

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cessario dare al nostro impegno un respiro etico e politico e altempo stesso trovare una parlata nuova.

L’impegno etico politico deve far percepire ai genitori e allapopolazione tutta che c’è una questione morale nel trascurare inmodo così evidente i diritti dei bambini e dei ragazzi, che dallaqualità della loro istruzione e dall’implicito educativo che lascuola trasmette proviene tanto della qualità del nostro vivere so-ciale. Deve far percepite che la civiltà di un paese si misura dal li-vello di attenzione che dedica ai bambini e alle persone più fragilie non dai proclami.

C’è una questione morale nell’inserire nella scuola primariadocenti privi di qualsivoglia professionalità, aggirando la Costi-tuzione con concorsi “non selettivi”, c’è una questione moralenel mettere le poche iniziative di formazione a carico dei laureatie nel non prevedere percorsi di formazione iniziale coerenti perle scuole secondarie di primo e secondo grado. C’è inoltre la bef-fa della lamentazione postuma spesso condita da “ci vorrebbe piùpolso”, “la scuola non fa il suo dovere”. C’è una questione moralenel continuare ad indicare fini senza ragionare sui mezzi, nel par-lare dei compiti della scuola solo in termini di desideri e mai dipropositi.

L’impegno politico che si lega con il nostro lavoro di ricerca ènel valorizzare il tanto di buono che si è riusciti a realizzare nellascuola anche nelle condizioni date, grazie all’impegno civile dimolti insegnanti e al desiderio di apprendere di molti studenti.

Abbiamo l’impegno politico di valorizzare la nostra tradizio-ne di insegnamento e di non sottometterci ai modelli oltreocea-no dove invece i nostri studenti e i nostri laureati sono molto ap-prezzati, di valorizzare i contributi della Pedagogia italiana, dallaMontessori al Reggio Children fino ad un’università in cui pre-pariamo ricercatori per le maggiori università e centri di ricercadel mondo. E forse è un impegno politico far capire che i nostrigiovani continuano a rappresentare il migliore investimento peril nostro futuro.

Ma tutti questi impegni etici e politici rischiano di assumere

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Pietro Lucisano

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un tono predicatorio e sgradevole se non siamo in grado di ela-borare un nuovo linguaggio, una narrazione diversa, una parlatanuova in grado di opporsi al newspeak, in grado da un lato di co-stituire un argine all’elogio dell’ignoranza e del quanto è bello es-sere ignoranti, “basta con i professoroni che hanno sempre ragio-ne”. Bisogna che nella ricerca superiamo lo stile “accademico”imposto dalle riviste di classe A e dall’ANVUR, un linguaggioautoreferente che serve a fare contenti i refeeree, spesso unici let-tori di prodotti scritti per essere produttivi e non perché si abbiaqualcosa da dire.

Un linguaggio forte che non ha necessità di usare parole dif-ficili, che non si ritiene internazionale perché usa l’inglese, e cheha il coraggio di mettere in evidenza le questioni essenziali, cheè vero sono sempre le stesse - ad affrontare le questioni essenzialisi corre il rischio di non essere originali. Ma sono le questioni dicui parlavano De Amicis, Don Milani, Malaguzzi, il maestroManzi, Mario Lodi, e di cui parlavano la Montessori, Ferriere,Dewey e il mio Maestro Aldo Visalberghi.

Occorre una narrazione che porti ricercatori, insegnanti e ge-nitori ad usare le stesse categorie ed una stessa lingua, una narra-zione capace di far comprendere che le lotte di potere tra gruppi ecordate accademiche sono ridicole almeno in una situazione, qualequella che viviamo, che ci pone di fronte ad avversari che richie-dono tutta la nostra solidarietà per essere superati, che sembranomettere in discussione tutte le nostre conquiste democratiche.

Nella speranza che una narrativa realizzi un coro capace direalizzare accordi che riescano a raggiungere anche chi pensa dirappresentare la volontà collettiva e non si accorge di parlare dasolo, ringraziamo quanti hanno contribuito a questo lavoro co-mune, l’inizio di percorso.

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Pietro Lucisano

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Sessione 1: Scuola 0-6 anni

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abstract

Studi

I.1 –––––––––––––––––Leggere dal nido per prevenireReading from nursery school to prevent –––––––––––––––––Federico Batini Università degli Studi di Perugia

Molti studi in letteratura hanno messo in evidenza l’utilità dipratiche di lettura ad alta voce per lo sviluppo di diversi domi-ni cognitivi e di competenze di area emotiva nei bambini, dalnido e dalla scuola dell’infanzia sino alla secondaria di secondogrado. Queste pratiche hanno dimostrato di poter agire come“rinforzo” sullo sviluppo cognitivo e di poter contribuire allaregolazione emotiva e al riconoscimento/interiorizzazione del-le emozioni, nonché alle capacità di riconoscerle negli altri. L’“allenamento” prodotto da questi potenziamenti potrebbeessere legato ai processi di mentalizzazione, impersonificazionee di immaginazione che risultano fondamentali per la decodi-fica del materiale narrativo. Nel contributo analizzeremo unaserie di studi quasi-sperimentali che abbiamo realizzato attra-verso l’applicazione di training di lettura ad alta voce su gruppidi bambini di età differenti verificandone i risultati con diversistrumenti (orientati a rilevare diverse abilità/competenze). I ri-sultati hanno mostrato come, in seguito a tali training, i grup-pi sperimentali rispetto a quelli di controllo abbiano incre-mentato notevolmente le prestazioni. L’ipotesi che gli studi,letti con sguardo sinottico, consentono di formulare è quelladi una finestra temporale dove i benefici di training di questotipo sono maggiori. La recente attenzione allo 0-6 costituiscedunque un’occasione unica per sperimentare, in modo conti-nuativo, percorsi che siano in grado di garantire ai bambiniche provengono da situazioni di svantaggio socio-culturali edeconomiche di “recuperare” e di inserirsi alla scuola primariacon probabilità di successo formativo molto maggiori.

Many studies in literature have highlighted the usefulness ofreading aloud practices for the development of different cog-nitive domains and emotional area skills in children, from

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nursery and kindergarten to secondary school. These practiceshave shown that they can act as “reinforcement” on cognitivedevelopment and can contribute to emotional regulation andrecognition / internalization of emotions, as well as the abilityto recognize them in others.The “training” produced by these enhancements could belinked to the processes of mentalization, impersonation andimagination that are fundamental for the decoding of the nar-rative material. In the contribution we will analyze a series ofquasi-experimental studies that we have achieved through theapplication of reading training aloud on groups of children ofdifferent ages, verifying the results with different tools (orient-ed to detect different skills / competences). The results showedthat, as a result of these training, the experimental groupscompared to the control groups significantly increased theirperformance. The hypothesis that the studies, read with a syn-optic view, allow to formulate is that of a time window wherethe benefits of training of this type are greater. The recent at-tention to 0-6 is therefore a unique opportunity to experi-ment, on a continuous basis, paths that are able to guaranteechildren who come from socio-cultural and economic disad-vantages to “recover” and to enter primary school with muchgreater probability of formative success.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Lettura ad alta voce, Democrazia cognitiva, Ef-fetti cognitivi ed emotivi di training di lettura,Training letturaalta voce

Keywords: Reading aloud, cognitive Democracy, cognitive andemotional effects of reading training, reading aloud Training

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Federico Batini

1. Introduzione

La lettura ad alta voce costituisce, senza dubbio, una delle aree diricerca nelle quali, negli ultimi due decenni sono stati prodottirisultati che hanno spostato il focus di attenzione, rispetto aglianni precedenti. Se infatti storicamente le indagini relative allalettura si concentravano soprattutto sull’incrocio tra abitudini dilettura (dichiarate dai partecipanti) e qualche dimensione di in-teresse per l’indagine medesima, negli ultimi anni assistiamo aun incremento di ricerche sperimentali e quasi sperimentali cheverificano, sul campo, gli effetti di interventi più o meno inten-sivi di lettura. Oggetto di questo contributo vuole essere la rifles-sione sulla funzione “protettiva” della lettura ad alta voce, in par-ticolare nella fascia 0-6, rispetto alla quale si assiste a una rinno-vata attenzione. Risulta noto, infatti, come coloro che provengo-no da un ambiente socialmente, economicamente e cultural-mente svantaggiato abbiano maggiori probabilità di incorrere infallimenti nei percorsi formativi e, di conseguenza, di abbando-narli (Batini, Bartolucci, 2016a; Scierri, Bartolucci, Salvato,2018). La proposta di inserire attività sistematiche di lettura adalta voce nella fascia 0-6 ha dunque la finalità di ridurre lo svan-taggio dal quale sono colpiti alcuni bambini. Il contributo dun-que esplorerà, in estrema sintesi, alcuni dei principali effetti pro-vocati o facilitati dalla lettura ad alta voce, così come identificatidalla ricerca per testimoniarne l’utilità ai fini della prevenzionedell’insuccesso formativo.

2. Gli effetti di lettura

Le ricerche effettuate negli ultimi due decenni sul tema hannopermesso di registrare, a seguito di interventi intensivi di letturaad alta voce, un incremento in alcune aree particolarmente rile-vanti. Senza la pretesa di essere esaustivi possiamo elencare: pos-sesso del vocabolario e sviluppo di abilità di comprensione, di

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ascolto e di pre-lettura, memoria e utilizzi funzionali dei vari tipidi memoria, riconoscimento e gestione delle proprie emozioni ecomprensione delle emozioni altrui, possesso di una teoria dellamente assunzione del punto di vista e comprensione degli altri,capacità cognitive in termini generali.

Interventi di lettura ad alta voce hanno prodotto significativirafforzamenti sia sul vocabolario “attivo”, che comprende tutti itermini che usiamo quotidianamente, parlando, sia sul vocabo-lario “passivo”, ovvero tutti quei termini di cui ci è noto il signi-ficato, che siamo in grado di comprendere, quando li sentiamo,e che potremmo utilizzare correttamente in una frase (Duursma,Augustyn, Zuckerman, 2008). Molte indagini hanno attribuitoalla lettura il ruolo di strumento principale per favorire lo svilup-po lessicale già dalla primissima infanzia (Isbell, Sobol, Lindauer,Lowrance, 2004). Sembra esserci una relazione tra il numero diore che i genitori trascorrono leggendo ai propri figli e la succes-siva capacità dei bambini di leggere, di utilizzare frasi complesse,di comprendere significati letterali e inferenziali: queste abilitàrisulteranno poi di fondamentale importanza nell’esperienzascolastica perchè consentiranno di comprendere ciò che dicel’insegnante e ciò che c’è scritto nei libri di testo (Matthiessen,2013). In età scolare si hanno poi ripercussioni positive sullostesso piacere della lettura, l’ampliamento del vocabolario e la ca-pacità di fare inferenze (Emili, 2017). Le ricerche indicano chegià in età prescolare si possono ottenere benefici sull’attenzione,sulle capacità di ascolto e sulla comprensione del testo (Scierri,Bartolucci, Salvato, 2018), tutte dimensioni che hanno una re-lazione diretta con il successo formativo e costituiscono dunqueun potente antidoto alla dispersione scolastica.

Numerose ricerche hanno dimostrato la relazione esistentetra lettura e memoria, persino in soggetti con grave compromis-sione dei depositi di memoria come gli anziani con patologie de-mentigene. I primi effetti rilevati, a seguito di un training inten-sivo di lettura ad alta voce di 60 giorni, hanno riguardato un ef-fetto rilevante sulla memoria di prosa differita (memoria a lungo

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Federico Batini

termine) e un miglioramento generale dello stato cognitivo delsoggetto (Bartolucci, Batini, 2014; Toti, Batini, Bartolucci,2015a; 2015b). In un’altra ricerca, che ha utilizzato lo stesso me-todo di intervento, oltre a confermare i risultati relativi alla me-moria rilevati attraverso batteria neuropsicologica (CAS), si è ri-levata una capacità di utilizzo personale di questo guadagno. Pri-ma dell’inizio ed a conclusione dell’intervento a ogni soggetto èstato chiesto di raccontare un ricordo autobiografico felice aven-do a disposizione un tempo di tre minuti. La produzione verbalesi è incrementata del 60% tra la rilevazione iniziale e quella fina-le. La complessità dell’articolazione narrativa, la presenza di det-tagli e di connotazioni emotive sono risultate notevolmente in-crementate. (Batini, Toti, Bartolucci, 2016). Risulta rilevanteconsiderare come uno studio analogo, effettuato però con letturaad alta voce di materiale poetico, seppure abbia prodotto risultatiinteressanti in altri dominii, non ha prodotto risultati statistica-mente significativi (seppur in un andamento tendenziale positi-vo) per la memoria a breve e lungo termine (Batini, Bartolucci,2016b). Pare dunque che la lettura di fiction narrativa abbia unarelazione privilegiata con il potenziamento della memoria e conil suo successive utilizzo come studi successivi, anche con follow-up, hanno confermato (Batini, Bartolucci, 2018).

Immergendosi nelle storie, appassionandosi alle vicende vis-sute dai personaggi, i lettori, i bambini in particolare, sviluppanola propria empatia. Comprendono progressivamente e immagi-nano quadri di situazioni differenti e vedono come personaggidifferenti vi reagiscono, vivono esperienze ed emozioni lontanedalla propria vita quotidiana e allo stesso tempo simili ad essa,possono esprimere emozioni in modo mediato, protetto, posso-no osservare ed esperire in forma vicaria le emozioni di personag-gi molto diversi da sé e di personaggi più vicini, riflettere circa si-tuazioni, emozioni, reazioni, comportamenti (Batini, 2018). Al-cuni studi di Mar, Oatley e colleghi hanno mostrato come esistauna relazione diretta tra livelli di empatia e abitudine alla lettura.Nessuna correlazione sembra esservi invece per età, genere e ti-

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pologia di personalità, mentre la correlazione si è mostrata fortetra lettura, empatia e capacità di dare e ricevere supporto sociale(Mar, Oatley, Peterson, 2009; Mar, Oatley, Djikic, Mullin,2010). In termini generali la frequenza di lettura da parte dei ge-nitori pare associata a maggiori livelli di sviluppo di competenzeempatiche da parte dei figli (Aram, Shapira, 2012) ma un effettoanalogo si può produrre con training intensivi di lettura (Batini,Bartolucci, Timpone, 2018).

Possedere una teoria della mente significa attribuire agli altristati mentali dotati di un loro funzionamento e di una loro logicache possono essere diversi dai nostri. Il possesso di una teoria del-la mente risulta fondamentale per relazionarsi con gli altri e com-prenderli. Una serie di cinque studi proposti da Kidd e Castanoha mostrato l’associazione tra lettura e possesso della teoria dellamente: a un gruppo veniva assegnato un romanzo da leggere a unaltro gruppo veniva richiesto di non leggere. Dopo la lettura ve-nivano misurate le abilità relative alla teoria della mente dei duegruppi, mostrando maggiori abilità nei lettori. Un’ulteriore par-tizione del campione dei lettori di tre dei cinque studi ha eviden-ziato il maggior effetto della narrativa letteraria (i romanzi vinci-tori di alcuni premi letterari molto importanti) rispetto alla nar-rativa popolare. Il risultato è stato ancora più significativo in ra-gione del fatto che un’analisi statistica più approfondita ha esclu-so correlazioni tra i risultati e l’età, il genere o il livello di istru-zione (Kidd, Castano, 2013). Una correlazione è stata invece in-dividuata con la familiarità con la lettura, a confermarne e rin-forzarne il legame con la teoria della mente.

Un recente studio che abbiamo effettuato sulle scuole secon-darie di primo grado ha mostrato effetti importanti riguardo allecompetenze relative alla comprensione del testo (misurate utiliz-zando le prove dei test Invalsi) ma ci ha fornito un ulteriore ri-sultato di estremo interesse. Ciascun ragazzo e ragazza dei gruppisperimentali e di controllo è stato sottoposto, prima e dopo l’in-tervento intensivo di lettura, alla somministrazione di una batte-ria neuropsicologica individuale denominata CAS (Cognitive

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Assesment System). Questa batteria, basata sulla teoria di Lurjia,consente di misurare le quattro funzioni cognitive principali: at-tenzione, pianificazione, successione e simultaneità1. Lo studioha rilevato un trend di crescita in tutte e quattro le sottoscale el’incremento statisticamente significativo nella scala totale, men-tre il gruppo di controllo (che ha proseguito con le attività didat-tiche tradizionali) è rimasto stabile.

In estrema sintesi abbiamo evidenziato come la lettura agiscain modo rilevante in tutte le cinque aree individuate. Perché al-lora risulterebbe così prioritario un intervento precoce di letturaad alta voce?

3. Una “finestra” di particolare interesse

L’età 0-6, che abbiamo investigato negli ultimi anni, dopo averpreso inizialmente in considerazione soltanto le fasce di età 3-6e quelle successive, ci hanno consentito di individuare alcune ri-correnze. Alcuni interventi con disegno di ricerca quasi speri-mentale, realizzati sulla fascia di età 0-6 anni, mediante i test“Riordino di storie figurate”, TEC (Test of emotion comprhen-sion) e un test di creatività, ha potuto dimostrare come con soli40/50 giorni di lettura si possa raggiungere un incremento delleperformances statisticamente significativo, relative alla creativitàin generale, alla comprensione delle emozioni altrui e alla capa-cità di pianificazione sequenziale-logica (Batini, Bartolucci,Timpone, 2018). In ogni sperimentazione è stata prevista anchela presenza di gruppi di controllo che, come i gruppi sperimen-tali, partecipavano alla rilevazione iniziale e finale, tuttavia nonbeneficiavano dell’intervento intensivo di lettura proseguendo il

1 Si tratta di funzioni cognitive di base che permettono di rielaborare le in-formazioni che un soggetto riceve e sono strettamente associate alla lorogestione. La rielaborazione delle informazioni e la loro gestione risultastrettamente associata al successo nell’apprendimento.

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consueto percorso didattico. Nessuna delle dimensioni sollecita-te dalla lettura veniva potenziata anche dal normale percorso di-dattico, come hanno confermato anche gli studi relativi allascuola primaria e ai gradi successivi. I gruppi di controllo nonhanno mai mostrato variazioni significative tra le due rilevazioni.L’idea di una finestra privilegiata che rende possibile l’interventoè legato all’osservazione sinottica degli studi sulle diverse fasce dietà. Studi effettuati mediante i medesimi strumenti nelle fasce dietà successive hanno infatti mostrato come sebbene la lettura dis-pieghi i suoi effetti a tutte le età e in tutte le condizioni, la fasciadi età 0-6 rivesta un particolare interesse poiché in questa fase irisultati appaiono più immediati e con incrementi più rilevantirispetto alle età successive. Risulta inoltre evidente la funzione disurroga che un’esperienza intensiva di lettura al nido e alla scuoladell’infanzia possa rappresentare per tutti quei bambini che nonhanno la fortuna di avere genitori che riconoscono l’importanza,sono in grado, hanno tempo per proporgli un’esperienza quoti-diana di lettura.

4. Conclusioni: uno strumento equitativo

La lettura ad alta voce contribuisce, come abbiamo visto, in mo-do significativo al successo formativo e allo sviluppo di una seriedi pre-competenze (a partire da quelle legate alla lettura autono-ma) che saranno fondamentali per poter conseguire apprendi-menti nel proprio percorso scolastico e per prevenire l’insuccessoe l’abbandono dei percorsi formativi.

La lettura ad alta voce di fiction narrativa costituisce unostrumento prezioso a basso costo per permettere a tutti un realeaccesso ai percorsi di istruzione.

Ancora oggi, nel nostro paese, il percorso di istruzione si basasu una serie di impliciti. Gli impliciti producono una serie di at-tese con conseguenze molto reali. Dai bambini che arrivano ascuola ci si attende che sviluppino velocemente abilità di ascolto,

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di letto-scrittura, capacità di comprendere un testo, che impari-no a relazionarsi in un gruppo seguendo delle regole e molto,molto altro. Alcuni di questi apprendimenti sono legati alle abi-tudini familiari e al tipo di educazione ricevuta, altri hanno a chefare con lo sviluppo o meno di certe abilità. La lettura ad alta vo-ce, se utilizzata in maniera costante nel sistema di istruzione, nel-la fascia 0-6 (senza dimenticare le fasce successive) potrebbe co-stituire l’occasione per tradurre in realtà il concetto di diritto al-l’apprendimento.

Una lettura per fasce di età dei risultati relativi ai diversi trai-ning intensivi di lettura dispiegati e controllati negli ultimi annipermette di identificare in questa fascia di età una sorta di fine-stra ideale, di momento magico nella quale interventi quotidia-ni, realizzati attraverso la lettura ad alta voce, sono in grado diprodurre risultati importanti. L’estensione dei servizi alla primainfanzia e la maggiore attenzione che questi hanno ricevuto (an-che se ancora i servizi relativi alla fascia 0-3 riguardano una por-zione parzialissima della popolazione in età) fanno sì che sia pos-sibile pensare, senza indulgere a utopie a un programma nazio-nale di lettura intensiva che rappresenterebbe, nel rapporto tracosti e benefici, un piccolo investimento dal grandissimo rendi-mento.

La lettura ha quindi la caratteristica di uno strumento equi-tativo, capace cioè di rendere eque le opportunità e non far di-pendere il destino formativo (e lavorativo) dalla nascita.

Il futuro formativo e professionale di un soggetto appare an-cora oggi legato, come un tempo, alla situazione nella quale il de-stino ci ha fatto nascere. L’importanza di un intervento intensivodi lettura precoce, rivolto a tutti, indistintamente, consentirebbedi attenuare almeno la disuguaglianza di opportunità: fornendostrumenti e abilità concrete e utilizzabili, ampliando le possibili-tà, attraverso l’immaginazione e l’esplorazione dei tanti percorsi,scelte, azioni che i diversi personaggi fanno.

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Riferimenti bibliografici

Aram, D., & Shapira, R. (2012). Parent-Child Shared Book Readingand Children’s Language, Literacy, and Empathy Development.Rivista Italiana di Educazione Familiare, 2, 55-65.

Batini, F. (2018). Lettura e life skills (titolo provvisorio). Firenze: Giun-ti, in press.

Batini, F., & Bartolucci, M. (2018). The effects of a narrative interven-tion program in people living with dementia. Psychology and Neu-roscience.

Batini, F., Bartolucci, M., & Timpone, A. (2018). The effects of Rea-ding Aloud in the Primary School. Psychology and Education, 55 (Ie II), 111-122.

Batini, F., & Bartolucci, M. (2016a). Dispersione scolastica. Ascoltare iprotagonisti per comprenderla e prevenirla.Milano: FrancoAngeli.

Batini, F., & Bartolucci, M. (2016b). La lettura ad alta voce come stru-mento di riabilitazione in presenza di declino cognitivo. In V. Ala-stra (ed.), Alzheimer: un viaggio a piu voci (pp. 222-238). Milano:FrancoAngeli.

Batini, F., & Bartolucci, M. (2014). Lettura, memoria, declino cogni-tivo: uno studio pilota. reading, memory and dementia: a pilotstudy. CQIA RIVISTA-Formazione, Lavoro, Persona, I, 1-10.

Batini, F., Toti, G., & Bartolucci, M. (2016). Neuropsychological be-nefits of a narrative cognitive training program for people livingwith dementia: A pilot study. DEMENTIA & NEUROPSYCHO-LOGIA, 10 (2), 127-133.

Duursma, E., Augustyn, M., & Zuckerman, B. (2008). Reading aloudto children: the evidence. Arch Dis Child, 93, 554-557.

Emili, E.A. (2017). Tecniche per la promozione della lettura nellascuola primaria. Lifelong Lifewide Learning, 12, 29, 101-113.

Isbell, R., Sobol, J., Lindauer, L., & Lowrance, A. (2004). The e ectsof storytelling and story reading on the oral language complexityand story comprehension of young children. Early Childhood Edu-cation Journal, 32, 3.

Kidd, D.C., & Castano, E. (2013). Reading Literary Fiction ImprovesTheory of Mind. Science, 18, 377-380.

Mar, R.A., Oatley, K., & Peterson, J.B. (2009). Exploring the link bet-ween reading fiction and empathy: Ruling out individual differen-ces and examining outcomes. Communications 34, 407-428.

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Mar, R. A., Oatley, K., Djikic, M., & Mullin, J. (2010). Emotion andnarrative fiction: Interactive influences before, during, and afterreading. Cognition and Emotion, 25, 5, 818-833.

Scierri, D.M.I., Bartolucci, M., & Salvato, R. (eds.) (2018). Lettura edispersione. Milano: FrancoAngeli.

Toti, G., Batini, F., & Bartolucci, M. (2015a). Ageing population andthe current account of the Third Age. LLL Lifelong Lifewide Lear-ning, 26, 1.

Toti, G., Batini, F., & Bartolucci, M. (2015b). Lettura e decadimentocognitivo. Scienze e Ricerche, 6.

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Esperienze

I.2 –––––––––––––––––Autovalutazione dei nidi e delle scuole dell’infanzia del Comune di RomaPre-school (nursery- kindergarten) self-evaluation in the Municipality of Rome –––––––––––––––––Concetta La Rocca, Valeria BiasiNazarena Patrizi, Gabriella Tassone Università degli Studi Roma Tre

Negli ultimi anni si è assistito allo sviluppo della valutazione del-le strutture scolastiche di fascia 0-6. Come previsto dall’attualelegislazione, dal 2017/18, le scuole dell’infanzia saranno tenutealla pubblicazione del RAV (Rapporto di Auto Valutazione):l’ottica è di proporre uno strumento condiviso attraverso il qualemonitorare gli istituti scolastici per ricavare informazioni pub-bliche spendibili per azioni di miglioramento. Nel 2016/17 èstato promosso un Progetto di Formazione/Ricerca, sotto la re-sponsabilità scientifica di Gaetano Domenici, sul tema dell’au-tovalutazione dei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia del Comunedi Roma, che ha coinvolto 36 Responsabili di servizi educativi edipartimentali e 93 strutture educative. Questo lavoro riguardala descrizione dell’esperienza (blended), e i primi esiti. Lo scopoè stato la costruzione di un modello per il monitoraggio e la va-lutazione dei servizi capitolini utilizzando gli indicatori del RAV,con l’intento di promuovere una visione delle attività autovalu-tative come interazione tra le indicazioni del legislatore (top-down) e le esigenze territoriali (bottom-up), tenendo anche con-to della percezione della propria identità professionale e dell’ef-ficacia dell’organizzazione scolastica.

In the last few years we have witnessed the development of theevaluation of school structures in the 0-6 range. As foreseen bythe current legislation, from 2017/18, Italian pre-schools willbe required to publish the RAV (Self-Assessment Report): thegoal is to propose a tool through which to monitor the schoolsto obtain public information that can be used for improve-

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ment actions. In 2016/17 a Training / Research Project waspromoted, under the scientific responsibility of GaetanoDomenici, on the theme of the self-evaluation of the Nurseryand Kindergartens of the Municipality of Rome, which in-volved 36 Heads of educational and departmental services and93 educational facilities. This work concerns the descriptionof the experience (blended) and some results. The purposethat guided the intervention was the construction of a modelfor the monitoring and evaluation of the Capitol services us-ing the RAV indicators, with the aim of promoting a vision ofthe self-assessment activities as an interaction between the in-dications of the legislator (top -down) and the territorial needs(bottom-up), also taking into account the perception of theirprofessional identity and the effectiveness of the school organ-ization.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Auto-valutazione, RAV, Indicatori Top-down eBottom-up, Nidi, Scuole dell’Infanzia, Percezione dell’identi-tà e del contesto professionale.

Keywords: Self-assessment, Top-down and Bottom-up indi-cators, RAV, Nursery, Kindergarten, Perception of identityand professional context.

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Concetta La Rocca, Valeria Biasi, Nazarena Patrizi, Gabriella Tassone

1. Descrizione dell’intervento di formazione/ricerca

L’esigenza di porre in atto processi di autovalutazione nell’ambi-to 0/6 è oggi particolarmente sentita anche in relazione ai “prin-cipi e ai criteri direttivi per l’esercizio della delega riguardante ilsistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita finoa sei anni, (…) costituito dai servizi educativi per l’infanzia e dallescuole dell’infanzia, al fine di garantire ai bambini e alle bambinepari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gio-co, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche,etniche e culturali, nonché ai fini della conciliazione tra tempi divita, di cura e di lavoro dei genitori, della promozione della qua-lità dell’offerta educativa e della continuità tra i vari servizi edu-cativi e scolastici e la partecipazione delle famiglie” (Atto del Go-verno n.380 del 2017). Naturalmente, in Italia, ci si occupa datempo della valutazione dei servizi della prima infanzia, mante-nendo ferma l’istanza di attestare la qualità degli stessi secondol’adozione di specifici criteri e al contempo di salvaguardarne lapeculiarità territoriale e contestuale (Barberi et al, 2002; Ferrari,2003; Truffelli 2011).

Nel 2016/17 è stato promosso un Progetto di Formazione/Ri-cerca sull’autovalutazione dei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia delComune di Roma, rivolto a 36 Funzionari Educativi responsabilidel coordinamento delle scuole presenti nel proprio ambito terri-toriale. Si è proposto un percorso di autovalutazione che tenesseconto di criteri sia esterni, sia interni. Si è assunto come riferimen-to “esterno” gli indicatori contenuti nel RAV Infanzia1, articolatinelle dimensioni: “contesto e risorse”, “processi e pratiche educa-

1 Il RAV Infanzia è in corso di sperimentazione: Le scuole coinvoltesono circa 900 fra statali e non statali: 500 scuole sono state estratte dal-l’Invalsi; 400 possono auto candidarsi. La sperimentazione ha preso già ilvia con le scuole campione che devono confermare l’adesione tra maggio-giugno 2018 e con l’autocandidatura da parte delle altre scuole. La speri-mentazione proseguirà nel corso dell’a.s. 2018/19 e terminerà a giugno2019. (dal sito Orizzonte scuola – 4 giugno 2018).

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tive e didattiche”, “esiti degli allievi in termini di benessere, svilup-po e apprendimento”; ciascun indicatore è declinato in descrittoriper consentire una raccolta di informazioni effettivamente pun-tuale e rappresentativa. Potrebbe sembrare paradossale ritenereesterni i criteri del RAV, ma questa denominazione rispecchia il“sentire” degli attori scolastici della prima infanzia che non hannola consuetudine di confrontarsi con criteri di valutazione non ge-nerati dagli stessi contesti territoriali e che dunque tendono ad in-terpretare come “esterno” e “calato dall’alto” anche il RAV.

Si è poi proceduto presentando una griglia evolutiva per l’os-servazione sistematica nella quale sono stati inseriti in ordinatagli indicatori del RAV e in ascissa le colonne: elementi rilevati nelcontesto (stato attuale); indicazioni di miglioramento (vincoli eopportunità); interventi di miglioramento (azioni già effettuate);elementi rilevati nel contesto (futuro stato post-miglioramento). Ipartecipanti sono stati distribuiti in modo casuale in gruppi di4/5 persone e sono stati invitati a compilare le griglie osservativesia in incontri in presenza sia in modalità online, utilizzando unaapposita piattaforma gestita da un tutor. In seguito i partecipantisono stati sollecitati nell’inserimento di ulteriori descrittori indi-viduati autonomamente. Contemporaneamente, nel corso degliincontri in presenza, si è trattato della ricerca azione, per favorirela consapevolezza della dimensione della ricerca come compo-nente imprescindibile nella dirigenza dei servizi e sono stati pre-sentati alcuni strumenti per la raccolta di dati quantitativi e qua-litativi, al fine di sottolineare la necessità di inserire nelle grigliedati informativi validi ed attendibili. Il corso è stato monitoratoattraverso questionari volti a rilevare le opinioni sulla auto-valu-tazione di sistema e sulla efficacia dell’organizzazione.

I docenti del Corso2 hanno ritenuto di aver proposto un in-tervento formativo e di ricerca che potrà favorire un atteggia-mento positivo verso un uso formativo e trasformativo della va-

2 Gaetano Domenici, Valeria Biasi, Concetta La Rocca.

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Concetta La Rocca, Valeria Biasi, Nazarena Patrizi, Gabriella Tassone

lutazione. I dati raccolti, qualitativi e quantitativi, sono in corsodi analisi; nel paragrafo successivo ne viene presentata una primaelaborazione.

2. Percezione dell’identità e del contesto e processi di auto-va-lutazione

Per quanto concerne gli indicatori proposti dalle 38 Responsabilidi servizi territoriali e dipartimentali (POSES) ad integrazionedelle indicazioni ministeriali (top-down) del RAV, e quindi inmerito alle esigenze territoriali (bottom-up), si sono raccolti variesempi che evidenziano i ricorrenti errori metodologici da evita-re (Domenici, Lucisano, Biasi, 2017) attraverso una specificaformazione dei docenti e dei dirigenti. Tra gli errori più frequentisi delineano: Domande (o item) inducenti: laddove la domandainduce per esempio al consenso (per es. “Il servizio è attento allapromozione di un clima sociale orientato al benessere dei bam-bini?”). Domande ambigue: laddove la domanda esprime ungiudizio soggettivo imponderabile (per es. “Il clima di collabora-zione tra adulti offre un modello adeguato di relazione ai bam-bini?”); oppure item che sollecitano un effetto di desiderabilitàsociale (per es. “Il servizio promuove la costruzione del senso diappartenenza alla comunità educativa in bambini ed adulti”).

Altri effetti distorcenti hanno riguardato il problema degli In-dicatori molari versus molecolari e il grado di complessità deiDescrittori: si è assistito talvolta ad una sorta di “seriazione com-pulsiva” di copiosi elenchi di micro-indicatori non rispondentiin modo coerente gli obiettivi.

Si ricorda infatti che nell’ambito dei processi auto-valutativicondotti attraverso il RAV occorre avere uno sguardo di sistemache tenga conto non soltanto della fotografia dell’oggi, ma anchedelle motivazioni delle scelte del passato in modo da avere piùconsapevolezza in merito alle ragioni delle scelte da programma-re per il futuro prossimo.

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Per una più profonda comprensione dei processi di auto-va-lutazione medesimi, occorre a nostro avviso considerare come es-si possano essere connessi in modo biunivoco alla percezione del-la propria identità professionale e del contesto professionale.

Per quanto concerne la percezione della propria identità pro-fessionale le recenti indagini internazionali evidenziano una si-stematica sottovalutazione del ruolo sociale del docente. Schlei-cher (2018) illustra i livelli estremamente bassi delle percentualidi Docenti che si dichiarano “d’accordo” o “assolutamente d’ac-cordo” con l’affermazione “Penso che la professione di insegnan-te sia considerata adeguatamente nella società”. Tale effetto disvilimento e non riconoscimento del ruolo sociale può assumereun peso consistente anche se indiretto nell’ambito delle procedu-re di auto-valutazione.

La percezione del contesto professionale è stata indagata at-traverso la somministrazione del Questionario sull’Efficaciadell’Organizzazione Scolastica elaborato da Lawson negli anni’90 (cfr. Lawson, Doris Anderson, & Rudiger, 2016), tradotto eadattato alla popolazione italiana da Biasi e Bonaiuto (2008). Ilpunteggio totale attribuito dal gruppo intervistato (n= 23) è sta-to di 122.17 sul totale ottenibile di 225: ciò mette in luce unostato di appiattimento su livelli bassi e medio-bassi (una organiz-zazione con efficacia percepita per così dire nella media riceve in-fatti in genere un punteggio minimo pari a 170/225) di perce-zione dell’efficacia dell’istituzione di appartenenza, con vissuti dimancato supporto professionale nel rispondere alle reali esigenzedell’utenza. Si nota peraltro un atteggiamento oppositivo rinve-nibile in alcuni punteggi estremamente bassi (d.s.: 33.79; moda:149; mediana: 122).

3. Conclusioni

In sintesi, si evidenzia la necessità di un maggior riconoscimentoe sostegno professionale per le figure di dirigenti e responsabili

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educativi; i dati qui riassunti ci portano inoltre a sottolineare co-me, per una corretta costruzione degli strumenti ed una significa-tiva loro applicazione nelle procedure di Auto-valutazione occor-re assicurare, anche per la fascia 0-6, una migliore formazione dibase dei docenti e dei dirigenti scolastici in campo metodologico.

Riferimenti bibliografici

Atto del Governo 380 (2017). Istituzione del sistema integrato di edu-cazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni. http://www.came-ra.it/temiap/2017/11/22/OCD177-3202.pdf

Barberi, P., Bondioli, A., Galardini, A.L., Mantovani, S., & Perini, F.(2002). Linee guida per la qualità del servizio asilo nido. Provincia Au-tonoma di Trento.

Barzanò, G., Mosca, S., & Scheerens, J. (eds.) (2000). L’autoanalisi nellescuole.Milano: Mondadori.

Biasi, V., & Bonaiuto, P. (eds.) (2008). Questionario sull’Efficacia dell’Or-ganizzazione. Traduzione, revisione e adattamento italiano. Roma:Laboratorio di Didattica e Valutazione dell’Università Roma Tre.

EURYDICE (2016). La Valutazione delle scuole in Europa: politiche e ap-procci in alcuni paesi europei (si veda sito Eurydice).

Domenici, G. (1993). Manuale della valutazione scolastica. Bari: Laterza.Domenici, G., Lucisano, P., & Biasi, V. (2017). La Ricerca Empirica inEducazione. Elementi introduttivi. Roma: Armando.

Ferrari, M. (2003). Un approccio specifico alla valutazione della qualitàdi contesti educativi: la storia e le ragioni. Scuola e città, 4, 140-151.

Lawson, R.B., Doris Anderson, E., & Rudiger, L. (2016). Psychology andSystems at Work.New York: Routdledge.

Schleicher, A. (2018). World Class: How to build a 21st-century schoolsystem. Strong Performers and Successful Reformers in Education. Paris:OECD Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/4789264300002-en

Truffelli, E. (2011). La valutazione al nido non esiste… Un’indagine em-pirica tra le educatrici di Bologna. Infanzia, 4, 300-304.

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I.3 –––––––––––––––––La consapevolezza metacognitiva degli insegnanti discuola dell’infanzia nell’uso delle TICPre-school teachers’ metacognitive awareness in ICT use –––––––––––––––––Valeria Di Martino, Elif GülbayUniversità degli Studi di Palermo

La metacognizione assume un ruolo significativo nello sviluppoprofessionale dei docenti. La rilevazione della consapevolezzametacognitiva degli insegnanti nell’uso delle tecnologie didatti-che consente di riflettere sul senso e sull’efficacia delle scelte chesi operano e, soprattutto, sugli obiettivi che si perseguono. Ilpresente contributo si prefigge di indagare la consapevolezzametacognitiva degli insegnanti di scuola dell’infanzia durante larealizzazione di un prodotto multimediale. La ricerca è statacondotta nell’anno accademico 2017/18, coinvolgendo 115 in-seganti siciliani in servizio frequentanti un corso di formazioneriguardante le tecnologie didattiche, della durata complessiva di75 ore. Per rilevare la loro competenza metacognitiva è stata uti-lizzata una versione specificatamente adattata del MAI (Metaco-gnitive Awareness Inventory) (Schraw & Dennison, 1994; LaMarca, 2017). Dall’analisi dei dati raccolti emerge un buon li-vello di consapevolezza metacognitiva nella realizzazione di pro-poste didattiche multimediali, sia in termini di conoscenza deiprocessi cognitivi che di autoregolazione.

Metacognition plays a significant role in teachers’ professionaldevelopment. Measuring the metacognitive awareness ofteachers in the use of educational technologies allows us to re-

abstract

Ricerche

* Questo contributo è il risultato del lavoro congiunto dei due autori. Inparticolare V. Di Martino ha scritto i paragrafi 1, 2 e 5; E. Gülbay ha scrit-to 3, 4 e 6.

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flect on the meaning and effectiveness of the choices we makeand the objectives we follow. The study aims to investigate themetacognitive awareness of pre-school teachers during the cre-ation of a multimedia product. The research was carried out inacademic year 2017/18 and it involved 115 in-service Sicilianteachers attending to a totally 75-hour training course on ed-ucational technologies. To measure the level of their metacog-nitive competence, we used a specifically adapted version ofthe MAI (Metacognitive Awareness Inventory) (Schraw &Dennison, 1994; La Marca, 2017). The data analysis reveals agood level of metacognitive awareness in the creation of mul-timedia teaching, both in terms of knowledge of cognitiveprocesses and self-regulation.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Consapevolezza metacognitiva, TIC, Formazio-ne degli insegnanti, Scuola dell’infanzia, Competenze digitali.

Keywords: metacognitive awareness, ICT, teacher training,pre-school, digital skills.

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1. Introduzione

L’integrazione delle nuove tecnologie nella pratica didattica rap-presenta una delle grandi sfide che gli insegnanti del ventunesi-mo secolo sono chiamati a fronteggiare. Come delineato nel stu-dio OCSE (2015) sul rapporto tra competenze digitali e appren-dimenti degli studenti, un’importanza primaria ha la consapevo-lezza metacognitiva dei docenti nell’uso delle TIC a scuola.

Mentre esistono molte ricerche che hanno esaminato il ruolodelle tecnologie nella scuola primaria e secondaria, prendendo inconsiderazione anche le opinioni e gli atteggiamenti dei relativiinsegnanti (Jimoyiannis & Komis, 2007; Kiridis, Drossos &Tsakiridou, 2006), poche sono invece le ricerche che riguardanola scuola dell’infanzia e i relativi insegnanti, in formazione inizia-le (Angeli, 2004; Kiridis, Tsakiridou, askalis, & Golia, 2004;Laffey, 2004; Tsitouridou & Vryzas, 2001; Yelland, Grieshaber,& Stokes, 2000) o in servizio (Chen & Chang, 2006; Powell,1999; Tsitouridou & Vryzas, 2003, 2004).

In questo nuovo scenario anche gli insegnanti di scuola del-l’infanzia dispongono di nuovi strumenti e tecnologie per pro-porre attività, monitorare gli apprendimenti, supportare la mo-tivazione, favorire la concentrazione dei bambini, ma anche ri-spondere ai diversi bisogni e contribuire all’emergere della scuolacome ambiente “per tutti e per ciascuno”.

2. La consapevolezza metacognitiva

Nonostante esistano diverse definizioni di consapevolezza meta-cognitiva, molte ricerche (Schraw & Sperling-Dennison, 1994;Schraw & Moshman, 1995; Pintrich et al., 2002; Memnun &Akkaya, 2009) ne individuano due componenti di base:– conoscenza dei processi cognitivi: si riferisce alle conoscenze re-

lative alle proprie capacità mnestiche, alle proprie strategie diapprendimento (Sperling, Howard, Staley 2004) e, più in ge-

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nerale, la conoscenza relativa alla propria cognizione (Akın,Abacı e Cetin, 2007);

– autoregolazione: vale a dire la selezione delle strategie appro-priate, l’organizzazione delle risorse cognitive, l’identificazio-ne degli errori durante una performance, la valutazione del-l’efficacia delle strategie di apprendimento e il rifiuto dellestrategie che non sono appropriate (Schraw & Moshman,1995; Schraw & Sperling-Dennison, 1994; Zimmerman,1989).La consapevolezza metacognitiva consente dunque agli inse-

gnanti di prendere coscienza e regolare il proprio pensiero e ilprocesso decisionale, rende più facile per gli individui controllareil proprio apprendimento e supporta il pensiero riflessivo (Kui-per, 2002; Schraw & Graham, 1997; Hart, L. C., & Memnun,D. S. (2015). Essa può facilitare l’apprendimento degli studenti(Jiang et al., 2016) e costituisce una precondizione essenziale perfavorire la loro stessa competenza metacognitiva (Lee, Irving, Pa-pe, & Owens, 2015). Inoltre, influenza il processo di apprendi-mento individuale (Akın, Abacı e Çetin, 2007); ha un ruoloprincipale nell’autoregolamentazione, necessaria per avere suc-cesso nell’apprendimento (Lucangeli e Cornoldi, 1997) e inco-raggia il pensiero riflessivo, costruisce la fiducia in sè stessi perprendere decisioni rapidamente, facilita il pensiero critico e crea-tivo (Kuiper, 2002; Memnun, Akkaya, 2009).

Alcune ricerche (Kramarski e Michalsky, 2009; Fathima etal., 2014; Ben-David e Orion, 2013) evidenziano un ruolo signi-ficativo nel promuovere lo sviluppo professionale dei docenti(desiderio di continuare a migliorarsi) e nel consentire di impie-gare le strategie esistenti in modo efficace per ottenere miglioririsultati (Schraw & Graham, 1997).

3. L’uso delle nuove tecnologie nella scuola dell’infanzia

Akın, Abacı e Cetin (2007) mettono in evidenza come per aver

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Sessione 1

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successo bisognerebbe attivare la consapevolezza metacognitiva inconcomitanza con le attività di apprendimento e insegnamento.In questo studio si è deciso di rilevare la consapevolezza metaco-gnitiva degli insegnanti di scuola dell’infanzia durante la realizza-zione di un prodotto multimediale destinato ai propri allievi.

È risaputo che l’infanzia è una fase fondamentale per lo svilup-po dell’apprendimento di un bambino e che le esperienze positivefornite in questo stadio hanno un’influenza permanente. Per farein modo che l’apprendimento durante l’infanzia sia divertente,motivante e interattivo, gli insegnanti di scuola dell’infanzia pos-sono integrare le tecnologie nella loro pratica didattica.

La letteratura di riferimento sottolinea come l’uso delle Tec-nologie didattiche possa costituire una preziosa esperienza di ap-prendimento quando viene utilizzata in modo pedagogicamenteappropriato e integrato nell’ambiente di apprendimento (Hau-gland & Wright, 1997; McCarrick & Li, 2007; McKenney &Voogt, 2009; Stephen & Plowman, 2003).

Il rischio potrebbe però essere che il relativamente recente fer-vore sulla formazione degli insegnanti all’utilizzo delle TIC, siainterpretato come orientamento cogente ad adottarle, in modoanche acritico, pur di sentirsi in linea con le disposizioni mini-steriali (Calvani, Fini & Ranieri, 2009; Calvani & Menichetti,2013; Vayola, 2016).

4. metodologiaIndagando la consapevolezza metacognitiva durante la realizza-zione di un prodotto multimediale ci si propone di analizzare epotenziare la professionalità docente, per consentire una rifles-sione sul senso e sull’efficacia delle scelte che si operano e, soprat-tutto, sugli obiettivi che si perseguono.

A tal fine ci si è proposti di rilevare il livello di consapevolezzametacognitiva degli insegnanti di scuola dell’infanzia durante larealizzazione di un prodotto multimediale.

La ricerca è stata condotta nell’anno accademico 2017/18,

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coinvolgendo 115 inseganti siciliani in servizio frequentanti uncorso di formazione riguardante le tecnologie didattiche, delladurata complessiva di 75 ore.

Per rilevare la loro competenza metacognitiva è stata utilizza-ta una versione specificatamente adattata del MAI (Metacogni-tive Awareness Inventory) (Schraw & Dennison, 1994; La Mar-ca, 2017), composto da 8 scale.

Le prime tre scale (conoscenze dichiarative, conoscenze pro-cedurali, conoscenze condizionali) fanno riferimento alla cono-scenza dei processi cognitivi, che corrisponde a ciò che gli inse-gnanti conoscono di sé stessi, delle strategie e delle condizioni incui le strategie sono più utili. Le conoscenze dichiarative, proce-durali e condizionali possono essere considerate come le basi del-la conoscenza concettuale.

Le altre cinque scale (pianificazione, strategie di gestione e in-formazioni, comprensione del monitoraggio, strategie di corre-zione, valutazione) riguardano invece l’autoregolazione, che si ri-ferisce alla consapevolezza del modo attraverso cui gli insegnantipianificano, applicano le strategie, monitorano, correggono glierrori di comprensione e valutano i loro insegnamenti.

Le scale sono sufficientemente indipendenti e, nel campioneesaminato, restituiscono delle ottime stime di affidabilità, come sievince dai valori degli alfa di Cronbach riportati nella Tabella 1.

Tab. 1- Alpha di Cronbach

Alpha di Cronbach

N. di elementi

Generale ,971 52

Conoscenza processi cognitivi ,914 17

Autoregolazione ,960 35

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Sessione 1

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5. risultati

Dall’analisi dei dati raccolti (Tabella 2) emerge un buon livellodi consapevolezza metacognitiva nella realizzazione di propostedidattiche multimediali, sia in termini di conoscenza dei processicognitivi che di autoregolazione. I punteggi medi percentualidelle scale relative a quest’ultimo aspetto risultano complessiva-mente maggiori rispetto a quelli relativi ai processi cognitivi.

Tab. 2- –Punteggi medi percentuali relative alle varie scale del MAI

In particolare, analizzando nello specifico le scale relative aiprocessi cognitivi, si evidenzia un punteggio più alto nella scalarelativa alle conoscenze dichiarative (84,30), vale a dire rispettoalle conoscenze effettive sull’argomento e alle conoscenze relativealle proprie competenze, risorse intellettuali e abilità. Segue lascala relativa alle conoscenze condizionali (83,89), la conoscenzacioè di quando e del perché utilizzare determinate procedure diapprendimento a seconda di determinate condizioni.

È rispetto alle conoscenze procedurali che gli insegnanti delcampione esaminato mostrano di possedere un punteggio mediopercentuale inferiore (77,59). Risultano quindi leggermente ca-renti le conoscenze su come, quando e in quali situazioni imple-mentare le procedure di insegnamento/apprendimento. Ciò po-

N Minimo Massimo Media Deviazione std.

Processi Cognitivi 115 55,29 100,00 82,60 10,38

Conoscenze Procedurali 115 50,00 100,00 77,59 11,90

Conoscenze Dichiarative 115 55,00 100,00 84,30 10,26

Conoscenze Condizionali 115 52,00 100,00 83,89 12,38

Autoregolazione 115 59,43 100,00 84,87 10,22

Pianificazione 115 57,14 100,00 90,33 9,97

Comprensione Monitoraggio 115 60,00 100,00 84,86 11,72

Valutazione 115 53,33 100,00 81,37 11,43

Strategie di Gestione delle

Informazioni

115 56,00 100,00 82,63 10,54

Strategie di Correzione 115 56,00 100,00 85,93 12,82

!

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trebbe essere legato al fatto che il questionario sia stato sommi-nistrato agli insegnanti durante l’elaborazione del prodotto mul-timediale, piuttosto che durante o dopo la messa in atto nellapratica didattica.

Dall’analisi dei risultati delle scale relative all’autoregolazio-ne, si nota un punteggio medio percentuale maggiore nella scalarelativa alla pianificazione (90,33), seguita dai punteggi medi re-lativi alle scale di strategie di correzione (85,93) e di compren-sione del monitoraggio (84,86).

6. Conclusioni

In generale, dall’analisi dei risultati si evince un buon livello diconsapevolezza metacognitiva. Gli insegnanti sembrano avereuna buona conoscenza della cognizione, compresa la conoscenzaprocedurale, dichiarativa e condizionale, così come un buon li-vello di autoregolazione.

L’analisi della consapevolezza metacognitiva potrebbe dun-que svolgere un ruolo importante nell’aiutare gli insegnanti arealizzare i propri punti di forza e di debolezza durante l’elabo-razione di un prodotto multimediale, favorendo strategie di in-segnamento più riflessive. Ciò potrebbe anche avere delle impli-cazioni pratiche, nel rendere più specifica la formazione degli in-segnanti.

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Sessione 1

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I.4 –––––––––––––––––Teoria e pratica dell’educational embodied cognitivescience (ECS) Theory and practice of the educational embodied cogni-tive science (ecs) –––––––––––––––––Paola Damiani, Filippo Gomez PalomaUniversità di Torino

Le priorità educative ed evolutive emergenti mettono in lucela necessità di migliorare la qualità dei servizi educativi e sco-lastici per la realizzazione del diritto all’apprendimento, all’in-clusione e al benessere per tutti. Le recenti scoperte scientifi-che e le ricerche in campo educativo e didattico non sempregarantiscono cambiamenti validi e sistematici nelle pratichequotidiane di docenti ed educatori, in grado di migliorare au-tenticamente i processi di sviluppo e apprendimento dei bam-bini, anche in termini di prevenzione di alcuni disturbi e dis-agi. Per queste ragioni, è stata avviata una ricerca per l’elabora-zione di un modello di curriculo longitudinale (0-14 anni)fondato su presupposti culturali e scientifici forti e trasforma-tivi, a partire dal paradigma dell’ECS. Contestualmente all’e-laborazione del modello teorico e metodologico, sono statecondotte due esperienze pilota, pluriennali. I risultati ottenutisinora, sia in termini di prodotti della ricerca (framework con-cettuali e strumenti per la progettazione curriculare 0-14) siain termini di soddisfazione degli stakeholders (educatori e in-segnanti, studenti, famiglie), sono positivi. Nel prossimo annoscolastico, la sperimentazione sarà avviata, nel suo disegno de-finitivo, presso altre scuole.

Emerging educational and development priorities highlightthe need to improve the quality of educational and schoolservices for implementing the right to learning, inclusion andwell-being for all. Recent scientific discoveries and research ineducation and didactics do not always guarantee valid and sys-tematic changes in the daily practices of teachers and educa-

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Esperienze

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tors, able to authentically improve children’s development andlearning process, also in terms of prevention of certain disor-ders and discomforts. For these reasons, a research was under-taken for developing a longitudinal curriculum model (0-14years), based on strong and transformative cultural and scien-tific assumptions, starting from the ECS paradigm. Togetherwith the development of the theoretical and methodologicalmodel, two pilot, multi-year experiences were carried out. Theoutcomes obtained so far, both in terms of research products(conceptual frameworks and tools for 0-14 curricular plan-ning) and stakeholders’ satisfaction (educators and teachers,students, families), are positive. In the next school year, the ex-perimentation will be undertaken, in its final design, in otherschools.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Educational; Cognizione Incarnata; Capacità;Inclusione; Evidenze

Keywords: Educational; Embodied Cognition; Capability;Inclusion; Evidence Based Inclusion

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

Lo scenario complesso dell’Educational long-life e long-wide(Margiotta, 2018) pone nuove e continue sfide ai sistemi politi-ci, scolastici ed educativi e attiva cambiamenti radicali, forieri digrandi risorse e di altrettanto grandi criticità. Tra queste ultime,il rischio “povertà educativa” (Saraceno, 2017) coinvolge moltistudenti e futuri cittadini della società planetaria.

La scuola è chiamata a garantire il suo ruolo di promotore diprocessi formativi virtuosi e a realizzare il binomio Good Peda-gogy-Inclusive Pedagogy (UNESCO, 2000) in virtù del quale i di-ritti umani, le differenze individuali e la differenziazione didatti-ca sono alla base di politiche e pratiche precoci (Early ChilhoodEducation) e sistematiche (curriculi verticali e trasversali). Talecompito non è di facile realizzazione. Come aveva già evidenzia-to Sen (1980), paradossalmente, anche un’azione inclusiva puòtradursi in una situazione sfavorevole e passiva se non conducead assumersi la responsabilità di riconoscere, sostenere e amplia-re l’insieme personale e sociale delle capacità necessarie per vivereuna vita apprezzabile. Studi internazionali dimostrano la corre-lazione tra l’inserimento precoce in circuiti educativi di qualità,il successo scolastico e l’inclusione sociale e orientano le policiesnella direzione di un potenziamento dei servizi per i bambini piùpiccoli (OECD 2010; D.Lgs. 65/ 2017). Scuole e servizi perl’infanzia, da soli, non sempre sono in grado di realizzare al me-glio tutte le opportunità; i ricercatori possono accompagnare leIstituzioni verso il cambiamento per il miglioramento effettivonelle direzioni attese attraverso la problematizzazione di temicruciali, la valorizzazione delle risorse presenti, l’individuazionedi modelli e pratiche adeguate e di soluzioni sostenibili, alla lucedi framework robusti e scientificamente validi, coerenti con le fi-nalità delineate.

Il paradigma dell’Embodied Cognitive Science (ECS) (Clark,1999; Caruana e Borghi, 2013; Gomez Paloma, 2017) offre qua-dri teorici e modelli applicativi in linea con i recenti contributi

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scientifici e, pur se in fase embrionale, della ricerca educativa edidattica, tali da rappresentare, secondo la nostra prospettiva, unfecondo campo di studio e di sperimentazione in grado di sup-portare concretamente il lavoro di docenti ed educatori.

2. Verso un modello di “Educational ECS”

L’ECS può essere sinteticamente descritto come un paradigmascientifico composito, interdisciplinare, in costante evoluzionein campi differenti (dalla filosofia alle neuroscienze) convergentiattorno al riconoscimento di principi chiave, tra i quali il ruolodella corporeità e delle dimensioni implicite nello sviluppo e nel-l’apprendimento (Barsalou 2008, Glenberg 2008a; 2008b; Paase Sweller 2012; Wilson e Foglia, 2011). Superato definitivamen-te l’ “errore dualistico cartesiano” (Damasio, 1994), non è piùpossibile pensare che si possa studiare la mente senza tener contodel fatto che i processi cognitivi sono influenzati dal cervello edal corpo in generale, dai suoi vincoli e dalle opportunità che of-fre (Borghi, Iachini, 2002; Gomez Paloma, 2013). Tuttavia, co-me rilevano Wilson e Golonka (2013), come tutte le buone idee,il concetto di embodiment ha finito per significare cose diverse ele prospettive sono tuttora aperte. Secondo gli autori, le implica-zioni della cognizione incarnata sono radicali (delineano un si-stema di cognizione esteso e interconnesso) e richiedono nuovimetodi e nuove teorie che ridefiniscono processi integrati di svi-luppo, apprendimento, partecipazione e benessere.

Nelle attività e nelle simulazioni proposte in campo educativo,il corpo diventa il protagonista, sperimentando se stesso in modotale da accrescere la centralità della dimensione corporea ed emo-tiva nel processo di apprendimento e nelle relazioni umane, perevidenziare come l’ambiente influenzi l’espressione dei propri statiemotivi ed è essenziale per la strutturazione di relazioni empatiche(Sibilio, 2007). In questo senso, riteniamo importante approfon-dire l’indagine in ambito educativo e scolastico, aprendo un con-

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fronto con i modelli didattici e con le cornici normative entro lequali educatori e docenti si confrontano, obbligatoriamente, versol’identificazione di un approccio originale e specifico di “Educa-tional ECS” (Gomez Paloma e Damiani, 2015; 2017).

3. La “Scuola ECS”

In relazione all’esigenza di migliorare la qualità delle stimolazio-ni ambientali per lo sviluppo del potenziale di ciascun bambino,anche in ottica di prevenzione di forme di disagio e di disturbidel neurosviluppo (Burgio, 2017), è stata avviata una ricerca perl’elaborazione di un modello Educational ECS e per la sperimen-tazione di Scuole ECS Based, secondo un doppio binario: 0-6 an-ni (asilo Nido e scuola dell’infanzia in provincia di Avellino); 6-14 anni (Istituto Comprensivo paritario in provincia di Torino).

Riteniamo che i principi e le strategie coerenti ad un approc-cio ECS based risultino funzionali al cambiamento della scuolain ottica inclusiva - equa ed efficace - in quanto favoriscono ilmiglioramento della didattica secondo i principi della neurodi-versità e lo sviluppo delle libertà personali e della capacità di ap-prendere e di partecipare.

L’impianto concettuale e metodologico elaborato è composi-to e, attraverso la sperimentazione in corso, è sottoposto a rifor-mulazioni e contestualizzazioni; i principi teorici e gli elementiapplicativi essenziali e caratterizzanti il modello sono stati deli-neati in un documento denominato “Framework della ScuolaECS” (in fase di pubblicazione). Sinteticamente, la scuola ECSintende sviluppare i potenziali della scuola istituzionale, offrendo“percorsi arricchiti,” attraverso la valorizzazione sinergica delcurriculo per competenze (I.N., 2012) e di aspetti-chiave del-l’ECS: la visione extended mind; il paradigma dell’intersoggetti-vità e la focalizzazione sulla dimensione relazionale emotivo-cor-porea nei processi di insegnamento-apprendimento (Gallese,2008; 2013); l’approccio socio-cognitivo (Atkinson, 2011), i

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processi linguistici embodied (Iverson e Thelen, 1999) e, ove pos-sibile, il bilinguismo sin dalla fascia 0-6. Un ulteriore elementoposto a fondamento del nostro modello si riferisce alla validitàeducativa Evidence Based dei principi scientifici della Cognizio-ne Incarnata e della didattica enattiva (Fiorella, Mayer, 2015).

Il modello della Scuola ECS può essere connotato come unmodello tendente ai principi dell’equità e della capacitazione(Sen, 1984; 1989; Nussbaum, 2003; 2011), in quanto orientatosecondo un doppio sguardo: inclusivo e di efficacia. Un vantag-gio dell’ECS applicato ai contesti educativi consiste nell’identi-ficazione di una relazionalità “arricchita”, in virtù della quale èpossibile valorizzare tutte le dimensioni, implicite ed esplicite,nella diade insegnante-alunno e nella triade insegnante-alunno-gruppo dei pari.

4. Conclusioni

Ci aspettiamo che il modello elaborato favorisca la costruzionedi un ambiente di apprendimento “esteso e arricchito” in gradodi agire per la riduzione della manifestazione dei disturbi neuroe-volutivi e degli effetti collaterali cognitivi ed emotivo-relazionali,migliorando le capacità di apprendimento e di partecipazione ditutti gli allievi.Si prevede un ampliamento della sperimentazionepresso altre scuole, al fine di rendere il campione più rappresen-tativo e i risultati comparabili, anche attraverso l’identificazionedi classi di controllo.

Una parte fondamentale della ricerca consiste nella sensibiliz-zazione e nella formazione da parte degli autori, che viene arti-colata a più livelli a seconda dei destinatari (docenti, genitori, di-rigenti). La promozione della cultura dell’ECS è conditio sine quanon per la possibilità di realizzazione del modello di scuola ECS.La terza fase, dedicata all’elaborazione di un dispositivo integratodi monitoraggio e di valutazione degli outcome e della ricerca, èin fase di attuazione.

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Sessione 1

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Riferimenti bibliografici

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Paola Damiani, Filippo Gomez Paloma

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56 |Esperienze

Sessione 1

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Paola Damiani, Filippo Gomez Paloma

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I.5 –––––––––––––––––Il digital storytelling nella scuola dell’infanzia: una ricerca sulle pratiche verso la costruzione di linee guidaDigital storytelling in the preschool: a research on practices to identify guidelines –––––––––––––––––Chiara BertoliniUniversità di Modena e Reggio EmiliaAndrea PaganoCoopselios

Il contributo pone al centro il digital storytelling inteso comeuna possibile strada in risposta all’invito che viene da docu-menti nazionali e internazionali (Legge n. 107/2015; OECD,2014) di innovare la scuola anche attraverso le tecnologie alloscopo di promuovere la media literacy degli studenti. Il contributo si colloca all’interno di un progetto di ricerca eu-ropeo finalizzato a una molteplicità di scopi, tra cui anche laredazione di linee guida per l’impiego del digital storytellingnella scuola dell’infanzia. Le scuole dell’infanzia coinvolte, du-rante due anni scolastici, hanno progettato, realizzato e docu-mentato esperienze di digital storytelling. Il contributo presenta alcuni dei primi risultati della sperimen-tazione italiana. In particolare, analizza le pratiche documen-tate dalle scuole facendo uso di criteri già precedentementeimpiegati per tale scopo. Infine pone in relazione le praticheraccolte con la qualità delle storie digitali prodotte al fine diformulare prime ipotesi rispetto agli elementi di natura didat-tica che emergono come suggeribili nella progettazione di at-tività di digital storytelling nella scuola dell’infanzia.

abstract

Ricerche

* Il contributo è il frutto del lavoro congiunto dei due autori. Bertolini hascritto i paragrafi 2, 3 e 4. Pagano ha scritto il paragrafo 1.

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The topic of the article is the digital storytelling that is a pos-sible path in response to the invitation of national and inter-national documents (Italian Law N. 107/2015; OECD, 2014)to innovate the school also through technologies in order topromote children’ media literacy.This contribution is part of a European research project aimedat a variety of purposes, including the identification of guide-lines for the use of digital storytelling in preschool. Preschoolsinvolved, during two school years, have designed, realized anddocumented digital storytelling experiences.The contribution presents some of the first results of the Ital-ian experimentation. In particular, it analyzes the practicesdocumented by schools using criteria previously used for thispurpose. Finally, it relates the practices collected with the qual-ity of the digital stories produced in order to formulate initialhypotheses on the didactic elements that emerge as suggestedin the design of digital storytelling activities in preschool.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Digital storytelling, scuola dell’infanzia, buonepratiche, media literacy.

Keywords: Digital storytelling, preschool, best practices, me-dia literacy.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Sessione 1

abstract

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1. Introduzione

Il contributo rappresenta un approfondimento entro il progettoErasmus plus STORIES che, attraverso 2 anni di sperimentazio-ne nelle scuole dell’infanzia, si pone come finalità quella di redi-gere delle linee guida per l’utilizzo del digital storytelling (DST)nei contesti prescolari.

Sono molteplici le definizioni di DST che la letteratura pro-pone, che possono essere riassunte nella seguente: «digital story-telling is the modern expression of the ancient art of storytellingby using digital media to create media-rich stories to tell, to sha-re, and to preserve» (Digital Storytelling Association, 2002). IlDST consiste, pertanto, nell’inventare e raccontare storie attra-verso una molteplicità di linguaggi che vengono combinati gra-zie all’utilizzo delle tecnologie.

La letteratura riconosce il DST come uno strumento in gradodi sostenere da un lato lo sviluppo della media literacy (Garrety,2008;) e delle competenze narrative dei bambini (Boase, 2013),dall’altro la competenza digitale degli insegnanti nell’uso delletecnologie a scopi didattici (Di Blas et al., 2010).

Il progetto STORIES ha coinvolto complessivamente 17scuole dell’infanzia1 e ha attraversato diverse fasi. Inizialmente,agli insegnanti è stato proposto un percorso di formazione (20ore) sui temi della media education, della media literacy, delletecnologie per l’istruzione e delle principali strategie didatticheche la letteratura riconosce come utili nella conduzione di attivi-tà di DST (Dezuanni, 2015; Petrucco & De Rossi, 2009; Yuksel,2011). Successivamente, le scuole sono state invitate a partecipa-re a 2 cicli di sperimentazione collocati in anni scolastici contin-gui (2016-17 e 17-18). Durante la sperimentazione, gli inse-gnanti hanno progettato, realizzato e documentato progetti diDST con piccoli gruppi di bambini di 4 e 5 anni.

1 Le scuole si collocano in 4 paesi: Finlandia, Germania, Italia e Turchia.

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Chiara Bertolini, Andrea Pagano

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Lo scopo del presente contributo è quello di avviare l’analisidelle pratiche realizzate nelle scuole dell’infanzia italiane. In par-ticolare, le pratiche verranno analizzate allo scopo di riconosceregli aspetti comuni che le caratterizzano. Verranno, inoltre, com-parate le esperienze sulla base della qualità delle storie prodotteal fine di cogliere elementi salienti di natura didattica verso la re-dazione di linee guida.

2. Metodologia

Le analisi sono state condotte a partire da un corpus compostoda 59 progetti realizzati in 2 anni scolastici in 8 sezioni apparte-nenti a 6 scuole dell’infanzia, che hanno coinvolto 24 insegnan-ti, 3 atelieristi e 159 bambini.

L’esame delle pratiche è avvenuto grazie a uno strumento diprogettazione e documentazione messo a punto dal gruppo di ri-cerca europeo e compilato dagli insegnanti. Tale strumento hainvitato gli insegnanti a descrivere i progetti realizzati a scuola,indicandone una varietà di aspetti tra cui gli obiettivi che inten-devano raggiungere, gli spazi in cui hanno lavorato, i materiali ele tecnologie che hanno utilizzato e le principali strategie didat-tiche impiegate.

Le storie sono invece state analizzate a partire da uno specifi-co strumento redatto dal gruppo di ricerca che le esamina sia dalpunto di vista dell’organizzazione narrativa che da quello dellaqualità dell’uso combinato dei linguaggi in un prodotto digitale.In questo contributo, la comparazione tra le pratiche è avvenutosolo alla luce della comparazione rispetto al grado di struttura-zione narrativa della storia. Tale aspetto è stato misurato attraver-so le categorie proposte da Stein e Albro (1997). Secondo gli au-tori, le narrazioni in età evolutiva possono essere valutate secon-do i 4 livelli descritti in Tab. 1.

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Sessione 1

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Tab. 1. Livelli di organizzazione della struttura narrativa secondo Stein e Albro (1997)

3. Risultati

Quali sono gli aspetti che caratterizzano le pratiche di DST italiane?

Le 59 pratiche esaminate hanno avuto una durata compresa tra1 settimana e 5 mesi, con una prevalenza di esperienze (32,2%)di 3 mesi. Hanno visto la realizzazione di un numero di incontricompreso tra 3 e 12, con una prevalenza di pratiche (31,6%)composte da 5-6 incontri. Le esperienze sono state svolte in mo-do predominante in sezione (73,9%), nell’angolo digitale(66,7%) o nell’atelier digitale (52,5%), questi ultimi predispostiin occasione del progetto STORIES.

Più di frequente le storie sono nate a partire da un esplicitoinvito degli adulti (39,1%) proposto nel circle time (39,0%). Siè trattato di un invito aperto all’invenzione di storie che non hafornito ai bambini la struttura della storia (55,5%), limitandosiqualche volta a indicare un argomento su cui lavorare (18,8%).L’adulto ha infine sostenuto l’invenzione impiegando una mol-teplicità di strategie, tra cui prevalgono l’uso di domande apertedi sollecitazione (75,4%) e la discussione tra pari (88,1%).

!!!

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Chiara Bertolini, Andrea Pagano

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L’adulto ha usato spesso da solo il computer (18,8%) permontare le riprese video. Bambini e insegnanti insieme, invece,l’hanno utilizzato (43,5%) per produrre storie con power point.In autonomia i bambini hanno usato più spesso, rispetto ad altretecnologie, il microfono (20,3%). Il 43, 6% delle pratiche ha vi-sto, infine, l’impiego del proiettore per rendere visibile al gruppopiù ampio di bambini il prodotto digitale sia in fase di revisioneche di chiusura.

Le 59 storie prodotte si distribuiscono sui 4 livelli di organiz-zazione narrativa proposti da Stein e Albro (1997). In particola-re, 1,4% delle storie si colloca al livello più basso, il 27,5% al li-vello 2, il 24,6% al 3 e il 31,9% al livello più alto.

Quali sono le caratteristiche salienti delle pratiche associate alle sto-rie più complesse dal punto di vista della struttura narrativa?

A tale scopo abbiamo comparato le pratiche associate alle storiedi livello 1 e 2 (per un totale di n. 20 esperienze) con quelle as-sociate alle storie di livello 4 (n. 22).

Da tale comparazione emerge che le pratiche associate allestorie più semplici hanno una durata media di 3 mesi (35%) esono perlopiù composte da 5-6 incontri (30%). Le pratiche, in-vece, abbinate alle storie più complesse hanno una durata mediapari a 1 mese (31,8%) durante il quale sono stati proposti 5-6 in-contri (nel 27% delle esperienze) o 7-8 (27%).

In entrambe le condizioni, il progetto inizia con l’invito daparte dell’adulto di inventare una storia. Si rilevano differenze2

rispetto all’incipit proposto: nelle pratiche associate a storie sem-plici, più spesso l’adulto fornisce l’argomento della storia (30%),mentre nelle pratiche abbinate a storie complesse l’invito all’in-venzione è più aperto (86,4%) (ossia non viene fornita la strut-tura narrativa).

2 T-test per campioni indipendenti. p= 0,006.

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Sessione 1

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Emergono differenze3 anche rispetto al modo in cui prendeavvio l’invenzione: le pratiche associate a storie complesse piùspesso vedono l’impiego di materiali naturali (22,7%) per lacreazione di contesti suggestivi e non strutturati.

Si rilevano differenze4 infine, rispetto alle strategie impiegateper sostenere l’invenzione delle storie che indicano la dramma-tizzazione come prevalentemente impiegata nelle pratiche abbi-nate alle storie semplici (45%).

4. Conclusioni

Da questa prima analisi delle pratiche ci pare possibile ipotizzarecome elementi suggeribili nella progettazione di attività di DST 2aspetti: il predisporre esperienze intensive (tempi brevi con moltiincontri) e il prevedere un avvio delle stesse attraverso un invitoaperto da parte dell’adulto di inventare storie sostenuto da un am-biente suggestivo e non strutturato. La drammatizzazione nonsembra essere, invece, una strategia particolarmente efficace ad ac-compagnare i bambini nella costruzione di storie di qualità.

Il gruppo di ricerca continuerà ad esaminare le pratiche attra-verso ulteriori e diverse piste.

Riferimenti bibliografici

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Boase, C. (2013). Digital Storytelling for reflection and engagement: a

3 T-test per campioni indipendenti, p=0,023.4 T-test per campioni indipendenti, p=0,024.

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Chiara Bertolini, Andrea Pagano

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study of the uses and potential of digital storytelling, in https://gjamis-sen.files.wordpress.com.

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Sessione 1

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I.6 –––––––––––––––––Dall’interno all’esterno e ritorno: l’ambiente educativo pensatoFrom the inside to the outside and back: a thought out educational environment –––––––––––––––––Mariagiuseppina Basile, Rebecca Di PreteMovimento di Cooperazione EducativaI.C. “G. Mariti” – Fauglia (Pi)I.C. “G. B. Niccolini” – San Giuliano Terme (Pi)

Il decreto attuativo n.65 del 2017 approva definitivamente il si-stema integrato di educazione e formazione per la fascia di età 0-6. Per contribuire alla costruzione di un curricolo integrato perla scuola dei bambini e delle bambine nella fascia d’età 0-6, è na-to un gruppo nazionale di ricerca all’interno del MCE, il qualeha ereditato l’esperienza del gruppo nazionale “Infanzia” e che sipone, tra gli altri, l’obiettivo di indagare il tema della continuitàintesa come opportunità di ampliare le conoscenze attraverso unpercorso armonico e frutto di pensieri condivisi.Nell’ambito delle riflessioni interne fra educatrici, formatrici einsegnanti del gruppo nazionale di ricerca, si è sviluppato un in-teresse intorno alle “invarianti” che dovrebbero essere alla basedi un percorso educativo strutturato per la fascia d’età 0-6, mache potremmo definire trasversali a tutte le diverse realtà scola-stiche. In particolare, abbiamo indagato la centralità del corponei processi di apprendimento: anche quando comincia a utiliz-zare il linguaggio verbale, il bambino predilige ancora il corpocome principale strumento di comunicazione; è nella fisicità chetrova lo strumento espressivo più efficace. Affinché la sperimen-tazione attraverso il corpo avvenga e porti ad un reale apprendi-mento, si dovrebbe prestare attenzione alla strutturazione flessi-bile e dinamica dello spazio educativo (esterno e interno), con-seguenza di un ascolto puntuale dei bisogni e delle realtà di cia-scuno e del gruppo. Riteniamo fondamentale proprio questoelemento: lo spazio. In particolare nelle strutture educative perla prima infanzia esso è lo strumento attraverso cui strutturare

abstract

Studi insegnanti

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esperienze capaci di generare apprendimento, riflessioni, narra-zioni; intessere relazioni; sperimentare giochi; costruire compe-tenze. Attraverso un intreccio fra esperienze e letteratura inten-diamo, dunque, indagare il tema dello spazio come “terzo edu-catore”, come strumento importante per educare alla bellezza.

The legislative decree 65/2017 has definetely approved the inte-grated education and training system for children between 0and 6 years old. In order to contribute to the building of an in-tegrated school curriculum for this age group of children, a na-tional research group was created in the MCE and this inheritedthe whole experience of the previous “childhood nationalgroup”; the main target is to study the subject of continuity asan opportunity to extend the knowledge through a harmonicand reasoned procedure. After an exchange of opinions betweenteachers tutors and educators of the national research group, anew interest was developed for the educational invariant thatshould be basic for the learning courses of the abovementionedchildren’s group and that could be transversal also for otherschool realities. In particular, we have paid our attention to thebody central role in the learning process; even when the child isalready capable of using his verbal language, he chooses his bodyas a main means of communication and he finds his most ex-pressive communicative power within his physical capacity. Inorder to obtain a real knowledge through body experimenta-tion, we should pay more attention to the flexibility and dynam-ics of educational space (both outside and inside) related to sin-gular and group necessities. Space is considered to be funda-mental for education during childhood particularly in the devel-opment of experiences related to learning,reflection, narration,interrelation, play experience and forming competence bymeans of a mixture between experience and literature we there-fore mean to investigate the theme of space as “a third means ofteaching” as an important way to lead children to beauty.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: corpo, ascolto, movimento, relazione, flessibi-lità, bellezza, spazio, ambiente educativo.

Keywords: body, listening, movement, relationship, flexibili-ty, beauty, space, educational environment.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Sessione 1

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1. Introduzione

Il decreto attuativo n.65 del 2017 approva definitivamente il siste-ma integrato di educazione e formazione per la fascia di età 0-6.

Questo rappresenta un passo importante verso l’accettazionedell’idea che un individuo sia in grado di apprendere fin dalla na-scita e per tutta la vita, creando le condizioni, anche a livello le-gislativo, di un sistema formativo pensato in continuità. Tuttaviaè evidente che le due realtà educative, nido e scuola dell’infanzia,siano per molti aspetti differenti e non facilmente integrabili.

Per costruire un curricolo integrato nonostante le diversitàdei due percorsi formativi è necessario pensare agli aspetti comu-ni e farne il punto di partenza per un processo di costruzione. Al-la luce di ciò, riteniamo che la base più solida sulla quale fondareun percorso educativo strutturato per la fascia d’età 0-6 è la con-divisione di un pensiero che connota l’ambiente come la fonteprincipale dell’esperienza dei bambini e delle bambine.

Il paesaggio educativo (come lo definisce Malaguzzi), sia inter-no sia esterno, va pensato e strutturato con estrema attenzioneaffinché diventi una terza risorsa per l’azione educativa.

Lo spazio diventa educativo quando permette al bambino dimaturare l’identità, conquistare l’autonomia, costruire le compe-tenze e potenziare la creatività (Indicazioni Nazionali per il Cur-ricolo, 2012).

2. Una premessa necessaria: l’ascolto

Affinché i bambini e le bambine vivano in un contesto capace diinstaurare relazioni educative significative è necessario che l’edu-catore si ponga in ascolto. Solo attraverso un atteggiamento diquesto tipo, infatti, si possono organizzare spazi interni ed ester-ni che siano realmente generatori di significati e apprendimenti.

Un adulto che sa ascoltare, consente al bambino di vedere lapropria forma esplicitata, come in un specchio, gli consente di

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Mariagiuseppina Basile, Rebecca Di Prete

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costruire nuove conoscenze e di sviluppare una creatività consa-pevole (Ginzburg, 1979).

Un ambiente pensato è il risultato di un ascolto attento epuntuale delle esigenze di ciascun attore del percorso educativo,è il frutto di scelte politiche e sociali (Penso, 2017): troveremo,così, aule organizzate per centri di interesse, spazi comuni in cuistare in tanti, ma anche che diano la possibilità di stare da soli,giardini in cui è possibile fare esperienze di luci, colori, odori,ecc. (Penso, 2016).

4. Quali invarianti?

Senza dimenticare che i bisogni cambiano e le competenze si ar-ricchiscono, quali sono le “invarianti” che vogliamo garantire af-finché uno spazio diventi un ambiente educativo dove adulti ebambini possano abitare piacevolmente insieme? Quali le “inva-rianti” che dovrebbero essere alla base di un percorso educativostrutturato per la fascia d’età 0-6, ma che potremmo definire tra-sversali a tutte le diverse realtà scolastiche?

Nella nostra esperienza come educatrici abbiamo potuto os-servare che i bambini hanno assolutamente bisogno di muoversi,respirare il bello, costruire relazioni significative e sperimentareil cambiamento per costruire una propria armoniosa identità,sviluppando al massimo le proprie capacità.

Movimento: dare al bambino la possibilità di muoversi auto-nomamente all’interno di uno spazio è indispensabile quando sipensa e si struttura un ambiente educativo, soprattutto nella pri-ma infanzia.

Il bambino entra in relazione con lo spazio e lo sperimentasoprattutto attraverso il proprio corpo; anche quando cominciaad utilizzare il linguaggio verbale predilige ancora il corpo comeprincipale strumento di comunicazione e di apprendimento.

Strutturare un ambiente “a misura di bambino” (Montessori,1950), con arredi e materiale alla portata delle sue mani, significa

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Sessione 1

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rimuovere quelle barriere fisiche e psicologiche che impedirebbe-ro l’apprendimento autonomo e spontaneo. È, infatti, attraversola scoperta che il bambino, come qualsiasi essere umano di tuttele età, sviluppa il massimo delle sue capacità.

Bellezza: riteniamo molto importante la cura degli aspettidell’ambiente che producono piacere estetico nei bambini.

Mantenere ordinato un ambiente educativo e averne cura neiminimi particolari, renderà piacevole abitarlo.

Inoltre, attrezzare l’ambiente con materiali attraenti (specchi,luci, superfici trasparenti, ecc.…), fa sì che i bambini vengonostimolati a esplorare e apprezzare con maggior attenzione il loroambiente fisico (Malaguzzi, 1995).

Educare alla bellezza non significa, pertanto, porre il bambi-no di fronte a cose belle che sono passibili di soggettività, masemplicemente garantirgli esperienze di stupore estetico. È lameraviglia, come sostenevano gli antichi filosofi greci (da Plato-ne a Aristotele), la prima fonte di curiosità e l’impulso a ricercarela causa delle cose.

Relazioni significative: garantire l’affettività significa organiz-zare un ambiente che assicuri al bambino la stabilità necessariaper vivere con tranquillità il tempo a scuola.

Sono due gli aspetti fondamentali da considerare affinché unbambino si senta emotivamente stabile e sereno:

la ritualità, che dà al bambino la possibilità di percepire iltempo e orientarsi in esso e in significati di natura collettiva;

la familiarità, che rende un ambiente pubblico riconoscibile.Gli spazi, dunque, dovranno prevedere la possibilità di vivere

situazioni rituali (routine) che, attraverso la loro ciclicità quoti-diana, assicurino al bambino familiarità e sicurezza (Penso,2016).

Le routine sono atti di cura attraverso i quali il bambino ap-prende e vive momenti significativi di comunicazione con l’adul-to e con i pari. Questi momenti contribuiscono alla costruzionedell’immagine di sé del bambino.

Flessibilità: la percezione dello spazio cambia sia nel corso

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Mariagiuseppina Basile, Rebecca Di Prete

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della vita di un individuo, sia nelle diverse culture ed è soggettivae olistica (Rinaldi, 1998); un educatore deve tenere conto di que-sta variabilità nella progettazione degli spazi.

Per essere ambienti di apprendimento aperti alla ricerca e al-l’esplorazione, gli spazi dovrebbero essere pensati come ri-confi-gurabili, tenendo conto via via dei bisogni dei bambini e dellebambine che cambiano nel tempo.

È necessario prevedere spazi in cui sia possibile riorganizzaree trasformare le sezioni, i laboratori, gli angoli, i materiali co-struendo e decostruendo ambienti educativi in grado di offrire aibambini opportunità per sperimentare il cambiamento (Borghi,Guerra, 2007).

Dovranno essere, inoltre, ambienti capaci di offrire al bambi-no più modalità di sperimentazione; l’educatore deve garantirespazi di incontro, di isolamento, spazi in cui rilassarsi, spazi incui il corpo diventa il protagonista, spazi in cui incontrare il si-lenzio, ecc.…

5. Conclusioni

La costruzione di un curricolo integrato 0-6 è ancora un proces-so in divenire, lontano dalla sua completa realizzazione nellestrutture pubbliche e statali. Come gruppo di ricerca MCE sulcurricolo 0-6, stiamo provando a integrare le diverse competenzein una riflessione che possa portare un contributo a questo pro-cesso.

Accanto alle invarianti individuate riteniamo fondamentalenon perdere mai di vista la crucialità del ruolo di un educatoreche si pone continuamente in ascolto dei bambini e delle bam-bine, di tutti e di ciascuno.

Nella nostra esperienza quotidiana, sentiamo ancora forte laspinta verso ciò che c’è dopo: la scuola dell’infanzia aspira e sem-bra protesa verso la scuola primaria, negando, attraverso una sco-larizzazione precoce, la possibilità di acquisire i prerequisiti ne-

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Sessione 1

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cessari agli apprendimenti successivi (ad esempio è la manualitàfine che serve per imparare a scrivere, è la capacità ritmica cheaiuta nell’apprendimento della lettura).

Ci piacerebbe che la scuola dell’infanzia mantenga la visionedel bambino a 360° che ha il nido, così come la possibilità di ve-dere le attività di cura, le relazioni e l’affettività come veri e pro-pri momenti di apprendimento per il bambino e per l’adulto.

Interpretando il pensiero di Cinzia Mion e Diana Penso, lequali parlano di sguardo rivolto all’indietro, ci piace pensare allafigura dell’educatore come ad un giocatore di rugby che gioca lasua partita correndo verso la meta, ma passando la palla al com-pagno dietro.

Riferimenti bibliografici

Borghi, B. Q., & Guerra, L. (2002). Manuale di didattica per l’asilo ni-do. Bari: Laterza.

Ginzburg , A. (1979). Premessa ad una pedagogia dell’ascolto nella scuoladell’infanzia. Comune di Roma, assessorato Scuola.

Malaguzzi, L. (1995). I cento linguaggi dei bambini. Bergamo: Junior.MIUR (2012). Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’in-fanzia e del primo ciclo d’istruzione. Roma.

Montessori, M. (2018, ed. or. 1950). La scoperta del bambino.Milano.Penso, D. (2017). Le ragioni del percorso zero-sei. Cooperazione Edu-cativa, 3, 21-25.

Penso, D. (2016). Quando l’ascolto diventa progetto, San Paolo D’Ar-gon..

Rinaldi, C. (1998). L’ambiente dell’infanzia. In G. Ceppi, M. Zini(eds.), Bambini, spazi, relazioni. Metaprogetto di ambiente per l’in-fanzia. Reggio Emilia.

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Mariagiuseppina Basile, Rebecca Di Prete

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I.7 –––––––––––––––––Quale cultura educativa nei servizi per i bambini da zero a sei anni?Riflettere, a partire dalle ricerche, sulle proposte attualiWhat is the optimum educational culture in educationservices for children aged zero to six years?Research-informed reflection on current legislative proposals –––––––––––––––––Agnese Infantino, Franca ZuccoliUniversità di Milano-Bicocca

Questo contributo propone le riflessioni nate dalla ricerca “Iservizi educativi e scolastici per bambini da zero a dieci anni:dialoghi in ricerca tra Italia e Brasile”, realizzata a partire dal2015, messe a confronto con le nuove sollecitazioni che la le-gislazione attuale (Legge 107/2015; Decreto Legislativo n.65/2017) ha posto come prioritarie. Il percorso di confrontosviluppato nei due Paesi, ha visto una fase osservativa e forma-tiva, con una partecipazione diretta degli educatori in un tavo-lo condiviso dal nido fino alla scuola primaria. La ricchezzadelle proposte nate dal nido, le riflessioni degli educatori, intermini di attenzione alla specificità degli ambienti di appren-dimento, di individuazione delle proposte esperienziali a par-tire dalle domande dei bambini, ha sollecitato un modo diver-so di osservare le azioni educative. Lo stesso confronto con larealtà brasiliana ha posto come prioritaria la liberazione da unaprecoce scolarizzazione intesa come disciplinarizzazione dell’e-sperienza educativa. Queste riflessioni sono ora riprese nell’ot-tica dei nuovi cambiamenti legislativi, recuperando un pensie-ro pedagogico che si interroga su quali aspetti condividere e ri-tenere come prioritari nelle esperienze formative per l’infanzia.

abstract

Studi

* Si segnala che il contributo è stato progettato insieme dalle due autrici, male parti di scrittura sono così suddivise: Agnese Infantino: abstract, para-grafo 2; Franca Zuccoli: abstract, paragrafo 1, conclusioni.

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This paper offers a series of reflections on the research project:“Early childhood and primary school education for childrenaged zero through ten years: Research dialogues between Italyand Brazil”, initiated in 2015, specifically in light of the newpriorities for ECE defined in the recent Italian legislation (Law107/2015; Legislative Decree n. 65/2017). The project’s com-parison of the Italian and Brazilian education systems has beenbased on observation and professional development activities,with the joint participation of early childhood educators andteachers in the two countries. The rich variety of educationalofferings identified in ECEC settings, the educators’ reflec-tions on the specific nature of EC learning environments, andthe experiential and child-led approaches observed, encouragethe adoption of an alternative perspective on educational ac-tion. Observation of the Brazilian system suggests the crucialimportance of moving away from an understanding of earlychildhood education as the disciplinarization of educationalexperience. These reflections are now revisited considering thenew legislative changes, and a renewed pedagogical perspectiveis brought to bear on identifying sharable priorities for educa-tional experience in early childhood.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: continuità, curricolo 0-6 specificità, nido,scuola dell’infanzia

Keywords: continuity, specific 0-6 years curriculum, infant-toddler center (centre), nursery school

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Sessione 1

abstract

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1. Introduzione

Nel 2015 un gruppo di ricerca italiano e brasiliano1 ha inizia-to a confrontarsi sulle tematiche della continuità educativa, sullespecifiche proposte sperimentate nei servizi educativi e scolasticida zero ai dieci anni, a partire dall’idea di superare la divisionedel sapere in segmenti tra loro sconnessi. La ricerca condotta na-sceva da percorsi precedentemente realizzati sia nelle istituzionieducative milanesi, che stavano riflettendo sul tema della conti-nuità (Pontecorvo, 1989; Zaninelli, 2018), vissuta il più dellevolte come compito burocratico, sia assumendo i primi esiti del-lo scambio con la realtà brasiliana. La volontà era quella di muo-versi in un campo in cui si volevano valorizzare e stimolare lecompetenze di bambini, educatori e insegnanti in un confrontoaperto sulle pratiche significative realizzate, superando una visio-ne della conoscenza suddivisa per specifiche annualità, oltre cheper contenuti disciplinari (Morin, 1993, 2000; Zuccoli, 2010).Obiettivi erano quelli di: promuovere una cultura educativa ze-ro-dieci anni; attivare un gruppo stabile di educatori di nido, in-segnanti scuola infanzia e primaria per la promozione di idee,progetti; promuovere visioni condivise sulle esperienze di cresci-ta dei bambini da 0 a 10 anni; esplorare significati, pratiche edu-cative (Infantino, 2014) per una prima messa a fuoco degli uni-versi educativi di riferimento. Il percorso di ricerca nel suo com-plesso ha previsto una serie di fasi: una prima esplorativa che par-tiva dalla lettura e analisi della documentazione relativa al con-cetto di continuità, con interviste a testimoni privilegiati nei due

1 Il gruppo era così composto, per l’Italia l’Università di Milano-Bicocca:Nigris E., responsabile della ricerca, Infantino A., Seveso G., Zecca L.,Zuccoli F.; per il Brasile, varie Università, qui riportate con una sigla: Gou-lart de Faria A.L. (FE Unicamp) Abramowicz A. (Ufscar) Miguel A. (FEUnicamp) Brancaglion Passos C. L. (Ufscar) Fiorentino D. (FE Unicamp)Guarnieri de Campos Tebet G. (FE Unicamp)Toledo G. (FE Unicamp)Santos M. W. (Ufscar).

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Agnese Infantino, Franca Zuccoli

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paesi; una seconda fase in Brasile con osservazione sul campo,raccolta di materiale video e fotografico, conferenze e discussionicon docenti e ricercatori; una terza fase di ricerca-azione-forma-zione (Altet, 1994; Domenici, 2017; Magnoler, 2008, 2012, Ni-gris, 2004) con il coinvolgimento di due istituti comprensivi e didue nidi. Nello specifico, in questo contributo, si prende in esa-me il percorso realizzato in uno dei due istituti comprensivi. Quisi è proceduto discutendo e analizzando protocolli osservativi,filmati e documentazioni fotografiche inizialmente esterne alservizio, successivamente, dopo aver rilevato i fuochi d’attenzio-ne significativi, utilizzando materiale da autoprodotto legato allepratiche educative con bambini da 0 a 10 anni. Fondamentale èrisultato l’uso del video (Bove, 2009), base per discutere in modosignificativo, entrando nello specifico della complessità delleazioni educative e didattiche, strumento vivo per ripensare e ri-progettare gli interventi. Un altro elemento rilevante è stata lapresenza degli educatori del nido, che con le loro pratiche cen-trate sull’allestimento di ambienti, sull’osservazione dei bambiniin azione, sono stati una reale provocazione per gli insegnanti intermini di ripensamento e scommessa sulle potenzialità dei bam-bini. Allo stesso modo i video legati alle realtà brasiliane (Tobin,Hsuej, & Karasawa, 2011) sono risultati un ulteriore punto dirottura, per vedere possibilità culturali differenti e proposte lega-te a una maggiore centralità del corpo, del movimento e della so-cializzazione.

2. Oltre la continuità

Come si è potuto cogliere nel paragrafo precedente il percorso diricerca-azione-formazione ha riguardato la ridefinizione del con-cetto e delle pratiche di continuità messe in atto. Una domandache ha accompagnato tutto il percorso è stata questa: una culturaeducativa orientata al bambino e alla sua crescita lungo l’arco deiprimi sei o dieci anni di vita può fornire una base concettuale co-

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Sessione 1

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mune per educatrici e insegnanti? Questa domanda è di estremaattualità, in particolare alla luce delle disposizioni legislative piùrecenti (Legge 107/2015 e Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n.65, Istituzione del sistema integrato di educazione e istruzionedalla nascita sino ai sei anni) che definiscono un nuovo orizzontepedagogico verso il quale orientare sia gli interventi formativi siala progettualità educativa all’interno dei servizi. Tuttavia la cul-tura educativa diffusa e consolidata nei servizi e nella scuola del-l’infanzia non esprime ancora, allo stato attuale, valori e idealitàorientate verso un’immagine omogenea e condivisa dello svilup-po nei primi sei anni di vita. Quello delineato dallo sfondo nor-mativo è quindi un quadro tutto da costruire attingendo alle tra-dizioni e alle acquisizioni pedagogiche maturate negli anni rife-rite ad esempio alle esperienze di continuità da zero a sei anni oanche oltre, come abbiamo avuto modo di sondare con la nostraricerca. La continuità, tuttavia, non è l’unica dimensione che sirende necessario metter a fuoco, anzi, sostare ed enfatizzare que-sto aspetto presenta il rischio di sminuire o ridurre la portata in-novativa e trasformativa insita nell’educazione ripensata per ibambini da zero a sei anni. Si tratta infatti di superare l’idea stes-sa di continuità per perseguire e sperimentare nuove progettua-lità che prendano avvio dalla mesa a tema dei processi mediantei quali i bambini nei primi sei anni di vita, sperimentando la re-ciprocità dell’interazione con gli adulti significativi (Stern, 2005;Reddy, 2010) costruiscono e co-costruiscono sapere e conoscen-za esplorando olisticamente il loro mondo di vita (relazionale,sociale, materiale, simbolico, emotivo…) anche in modalitàspontanee e comunque non dirette o direzionate dall’adulto.(Bondioli, Savio, Gobbetto, 2017; Bondioli, Savio, 2018) La sfi-da attuale ci interroga non tanto nella costruzione di un currico-lo predefinito da proporre ai bambini da zero a sei anni ma nellanostra capacità, in quanto adulti professionisti, di assumere unapostura euristica in grado di sintonizzarsi, conoscere e compren-dere la natura e le dinamiche della costruzione della conoscenzanei bambini. Come conoscono i bambini nei primi sei anni di

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Agnese Infantino, Franca Zuccoli

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vita? Le esperienze di formazione comune tra educatrici di nidoe insegnanti di scuola dell’infanzia sono da questo punto di vistaun’occasione preziosa per fare emergere o offrire alla reciprocaconoscenza ciò che i bambini possono sperimentare se posti incondizioni di esplorazione attiva del loro ambiente. Quando leeducatrici hanno la possibilità di osservare i bambini di quattroo cinque in situazioni di apprendimento e ricerca ricavano spun-ti a sollecitazioni preziose sulle loro conoscenze sui modi in cuiavviene lo sviluppo interrogando criticamente le pratiche educa-tive messe in atto. Allo stesso modo, e viceversa, le insegnanti cheosservano come prendono forma nei bambini al di sotto dei treanni le prime competenze linguistiche, esplorative, di manipola-zione e costruzione nelle realtà, traggono elementi di conoscenzanuovi che possono dare un nuovo impulso alle proposte offerteai bambini alla scuola dell’infanzia. La reciproca esposizione allosguardo delle colleghe oltre i confini del servizio di appartenenzapuò generare – questo è il dato che abbiamo rilevato – una par-ticolare apertura e predisposizione all’assunzione di un atteggia-mento euristico e critico, base imprescindibile per la crescita e ilcambiamento della cultura professionale. Questa apertura, nelnostro caso, ha permesso l’attraversamento con educatrici e inse-gnanti di alcuni temi comuni al nido e alla scuola dell’infanziainterrogandosi in particolare sui criteri solitamente assunti perprogettare i tempi della giornata e organizzare gli spazi. Ciò hasignificato interrogarsi su alcune dicotomie/contraddizioni cheriguardano: pieno/vuoto, individuo/gruppo, alunno/bambino,mente/corpo per condividere la necessità del loro superamentoin chiave olistica, nel rispetto dei processi mediante i quali i bam-bini vivono le loro esperienze al nido e alla scuola dell’infanzia.

3. Conclusioni

A partire dal percorso di ricerca-formazione e dagli stimoli che lanormativa ha posto come evidenti si vuole usare questo spazio

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dedicato alle conclusioni per riportare solo alcune riflessioniaperte legate alla necessità di superare una continuità intesa co-me pratica istituzionale senza contenuti condivisi. Si sottolineain ogni segmento del percorso educativo la tendenza verso un’ec-cessiva “secondarizzazione” degli apprendimenti e dunque l’im-portanza, in opposizione, di realizzare azioni di scoperta e di co-noscenza fondate sull’osservazione dei bambini, per fare questosi evidenzia la necessità di costruire gruppi condivisi e stabili traeducatori e insegnanti, che utilizzino il video come strumento(Goldman & Bove, 2009) per crescere nell’autonomia della pro-pria riflessione-formazione incrociando altri sguardi, anche ex-tranazionali.

Riferimenti bibliografici

Altet, M. (1994). La formation professionnelle des enseignants. Paris:PUF.

Bondioli, A., & Savio, D. (2018). Educare l’infanzia. Temi chiave per iservizi 0-6. Roma: Carocci.

Bondioli, A., Savio, D., & Gobbetto, B. (2017). Tra 0-6. Uno strumen-to per riflettere sul percorso educativo 0-6. Bergamo: Zeroseiup.

Bove, C. (2009). Ricerca educativa e formazione. Contaminazioni meto-dologiche. Milano: FrancoAngeli.

Commissione Europea per l’infanzia. (2016). Un quadro europeo per laqualità dei servizi educativi e di cura per l’infanzia: proposta di prin-cipi chiave, trad. it. A. Lazzari (eds). Zeroseiup.

Domenici, G. (2017). La formazione degli insegnanti iniziale e in servi-zio. Roma: Armando.

Goldman, R., & Bove C. (2009). Videoricerca nei contesti di apprendi-mento: teorie e metodi.Milano: Raffaello Cortina.

Infantino, A. (eds) (2014). Pratiche educative nei servizi per l’infanzia.Milano: Franco Angeli.

Magnoler, P. (2012). Ricerca e formazione. La professionalizzazione degliinsegnanti. Lecce: Pensa MultiMedia.

Magnoler, P., (2008). L’insegnante professionista. Dispositivi per la for-mazione. Macerata: EUM.

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Agnese Infantino, Franca Zuccoli

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Morin, E. (1993). Introduzione al pensiero complesso : gli strumenti peraffrontare la sfida delle complessità.Milano: Sperling & Kupfer.

Morin, E. (2000). La testa ben fatta: riforma dell’insegnamento e riformadel pensiero.Milano: Raffaello Cortina.

Nigris, E. (ed.) (2004). La formazione degli insegnanti. Percorsi, stru-menti, valutazione. Roma: Carocci.

Pontecorvo, C. (1989). Un curricolo per la continuità educativa daiquattro agli otto anni. Firenze: La Nuova Italia.

Reddy, V. (2010). Cosa passa per la testa di un bambino. Milano: Raf-faello Cortina.

Stern, D. (2005). Il momento presente.Milano: Raffaello Cortina.Tobin, J. J., Hsueh Y., & Karasawa M. (2011). Infanzia in tre culture:vent’anni dopo.Milano: Raffaello Cortina.

Zaninelli, F. L. (2018). Continuità educativa e complessità zero-sei. Ri-flessioni di pedagogia dell’infanzia. Parma: Junior-Spaggiari.

Zuccoli, F. (2010). Dalle tasche dei bambini... gli oggetti, le storie e la di-dattica. Parma: Junior-Spaggiari.

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Sessione 1

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I.8 –––––––––––––––––Analisi comparativa dell’impatto della didattica destrutturata sulle abilità socio-comunicative in età prescolareComparative analysis of the impact of unstructured didactics on the social communication skills in preschool age –––––––––––––––––Luisa Bonfiglio, Giulia Torregiani, Francesco Peluso CasseseUniversità degli Studi Niccolo’ Cusano

Il presente lavoro mira a chiarire ed amplificare il contributospecificato dal precedente studio (Bonfiglio, Torregiani, Mel-chiori, 2018), riguardo i benefici, apportati dall’applicazionedella didattica destrutturata, sulle abilità socio-comunicative,in età prescolare. Lo studio mirava ad indagare tale effetto suun campione di 37 bambini di età compresa tra i 3 ed i 6 anni,ed ha riscontrato risultati statisticamente significativi nelle va-riabili prese in considerazione relative alla macrocategoria dellaSocial-Communication. Tali evidenze hanno mosso ad un’ul-teriore valutazione attuata su un campione di età minore ri-spetto al precedente (2-3 anni), al fine di verificare se l’insor-genza di tali effetti comunicativi, derivanti da piani didatticidestrutturati, possa verificarsi e risultare efficace, altresì in talestadio evolutivo, caratterizzato dalle primissime forme di inte-razione sociale.

The present work aims to clarify and amplify the specific con-tribution by the previous study (Bonfiglio, Torregiani, Mel-chiori, 2018), regarding the benefits, produced by the applica-tion of unstructured didactics, on social-communicative skills,in preschool age. The study aimed to investigate this effect ona sample of 37 children between the ages of 3 and 6, and foundstatistically significant results in the variables related to themacro-category of Social-Communication. These evidenceshave led to a further evaluation carried out on a smaller samplecompared to the previous one (2-3 years), in order to verify ifthe onset of such communicative effects, deriving from un-structured teaching plans, can occur and be effective, also in

abstract

Ricerche

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this evolutionary stage, characterized by the first forms of so-cial interaction.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: didattica destrutturata; didattica museale; so-cial communication; età prescolare; neuroscienze educative.

Keywords: unstructured didactics; museum education; socialcommunication; preschool age; educational neuroscience.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

La didattica destrutturata rappresenta un diverso orientamentopedagogico-cognitivo della pratica educativa. La coniatura del ter-mine è frutto di un analisi comparata dei contributi derivanti daidifferenti approcci didattici, nel tentativo di creare un filone chene racchiudesse le caratteriste più efficaci ed efficienti. Nella didat-tica destrutturata, difatti, si rintracciano i principi dell’apprendi-mento esperienziale, di quello significativo, dell’approccio enatti-vo, della formazione outdoor, dell’apprendimento cognitivo situa-to, dell’Embodied Cognition, nonché delle più recenti evidenzedelle neuroscienze educative, le quali valutando primariamente imeccanismi cognitivi alla base del processo di apprendimento, cihanno condotto alla programmazione di attività didattiche de-strutturate rispettando lo sviluppo cognitivo del bambino. “Ciòrappresenta l’essenza della Teoria dell’Embodied Cognition (EC),la quale incorpora il concetto che la mente non è più indipendentedal corpo bensì inscritta in esso” (Peluso Cassese, Torregiani,2017). “Il corpo, pertanto, assume sia una funzione cognitiva chesociale, realizzando una stretta relazione con i meccanismi del pen-siero e della conoscenza resi espliciti dal comportamento, dalla co-municazione, partecipazione, condivisione e collaborazione” (Pe-luso Cassese, Torregiani, Bonfiglio, 2017).

2. Ipotesi di ricerca

L’ipotesi alla base di questo progetto di ricerca è che piani edu-cativi basati su una didattica destrutturata possano favorire losviluppo di abilità cognitive in età prescolare, in particolar modoriferite al costrutto della Social Communication. Si intende ge-neralizzare i risultati statisticamente significativi ottenuti dal pre-cedente lavoro (Bonfiglio, Torregiani, Melchiori, 2018), sulla fa-scia di età 2-3 anni.

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Luisa Bonfiglio, Giulia Torregiani, Francesco Peluso Cassese

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3. Condizioni sperimentali

L’attuale lavoro di ricerca, rappresentando un continuum del la-voro precedentemente attuato sull’analisi dell’impatto di didat-tica destrutturata sulla comunicazione sociale nell’infanzia (Bon-figlio, Torregiani, Melchiori, 2018), ripropone le stesse procedu-re sperimentali, correlando condizioni di didattica strutturata(tradizionali piani educativi, svolti nella classe di riferimento) edestrutturata (didattica museale, caratterizzata da sessioni labo-ratoriali-esperienziali).

4. Campione e procedure

La ricerca ha coinvolto un gruppo composto da 17 bambini di etàcompresa tra i 2 ed i 3 anni, di cui 8 femmine e 9 maschi, tutti fre-quentanti una scuola dell’infanzia della provincia di Roma. La nu-merosità esigua dei partecipanti riflette un sotto campione facenteparte del precedente studio rappresentato da un campione più nu-meroso (Bonfiglio, Torregiani, Melchiori, 2018). Con lo scopo diverificare ed analizzare i differenti effetti, derivanti dalle due con-dizioni didattiche, sull’apprendimento di abilità socio-comunica-tive, è stato prediletto un disegno di ricerca strutturato con misureripetute in due tempi con un intervallo temporale di venti giorni.La prima sessione di osservazione, della durata di circa 1 ora e 45minuti, è stata attuata nel contesto didattico strutturato di appar-tenenza, alla quale ha fatto seguito, dopo venti giorni, la secondarilevazione nel contesto didattico destrutturato, rappresentato daExplora il Museo dei Bambini di Roma.

5. Strumenti

Al fine di correlare ed incrementare i risultati derivanti dal prece-dente studio di ricerca (Bonfiglio, Torregiani, Melchiori, 2018)con quelli attesi, per la rilevazione si è mantenuto l’utilizzo dellegriglie di osservazione della Social-Communication Observation

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Form (Strand B e Strand D), protocollo 0-3 anni, della quinta areadi sviluppo dell’AEPS (Assessment, Evaluation and ProgrammingSystem for Infants and Children), (Bricker, 2002). La griglia con-cernente lo Strand B permette di estrapolare aspetti comunicativiquali: gesti, vocalizzazioni e combinazione di gesti e vocalizzazioni;lo Strand D, invece, focalizza le componenti comunicative sul ver-sante prettamente verbale, quali approssimazioni, parole e combi-nazioni di parole, il tutto nella loro interpretabilità.

6. Risultati

I risultati del campione 2-3 anni sono positivi rispetto all’ipotesidi partenza e ci permettono di rigettare nella quasi totalità deiconfronti l’ipotesi nulla:

Ha: μ2>μ1

Per quanto riguarda le differenze sulla variabile Gesto Interpre-tabile (GEST_I) (t(16) = -4.239, p < .001, d = -1.028), Vocalizza-zione interpretabile (VOC_I) (t(16) = -2.110, p = 0.026, d = -0.512),Gesto/Vocalizzazione interpretabile (GEST/VOC_I)(t(16) = -5.168, p < .001, d = - 1.253), si osserva un aumento sta-tisticamente significativo di tutte le medie in linea con quantoosservato per il gruppo di bambini più grandi, traducibile in unaumento (dimensione dell’effetto molto elevata e superiore aquella dei soggetti più grandi) del comportamento specifico os-servato nella condizione destrutturata (tab. 1; graf. 1). La ten-denza osservata sulla produzione di segnali verbali (tab. 2; graf.1) è determinata da aumenti della media tutti non statisticamen-te significativi, Approssimazione Interpretabile (APPROX_I)(t(16) = 1.810, p < .955), Parola Interpretabile (WORDS_I)(t(16) = 1.197, p < .876), Combinazione Interpretabile (COM-BIN_I) (t(16) = -0,066, p < .474).

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Luisa Bonfiglio, Giulia Torregiani, Francesco Peluso Cassese

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7. Conclusioni

I risultati, analizzati con quelli ottenuti dallo studio precedente(Bonfiglio, Torregiani, Melchiori, 2018) relativi alla fascia di età3-6 anni, mostrano effetti significativi nella produzione di Gesti,Vocalizzazioni e Gesti/Vocalizzazioni per entrambi i gruppi, incondizioni di didattica destrutturata. Una differente ipotesi di ri-cerca ha guidato l’analisi dei dati per la scheda della produzionedei segnali verbali (Strand D), dato che precedenti studi (Ca-maioni, Aureli, Perucchini, 2004) suggerivano come per bambi-ni di età compresa tra 2 e 3 anni questa funzione ancora non siasufficientemente sviluppata da poter determinare un cambia-mento condizionato al solo contesto educativo. Infatti sono statiindividuati effetti significativi della funzione linguistica solo neibambini 3-6 anni (Bonfiglio, Torregiani, Melchiori, 2018) e nonper quelli di età 2-3. Tuttavia, un aumento del Gesto, visto comepredittore della parola, indica che anche il gruppo 2-3 anni po-trebbe trarre beneficio dalla didattica destrutturata, se sottopostoad un training temporalmente più lungo.

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Sessione 1

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Luisa Bonfiglio, Giulia Torregiani, Francesco Peluso Cassese

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Sessione 2: Scuola comprensiva e obbligo scolastico

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II.1 –––––––––––––––––Video-formarsi alla pratica insegnanteVideoform to the teacher practice –––––––––––––––––Rosa Vegliante, Sergio Miranda, Antonio MarzanoUniversità degli Studi di Salerno

La videoricerca è un approccio multimetodologico di carattereinterdisciplinare (Goldman, 2009) che enfatizza la dimensio-ne visiva sfruttando le potenzialità del video. Il presente lavoroha l’obiettivo di delineare l’epistemologia sottesa alla videori-cerca, modello di situated research, finalizzato a registrare si-tuazioni specifiche e a esplicitare l’implicito tratto dalle sceneeducative. Dal punto di vista metodologico, l’analisi diacroni-ca di accreditate ricerche di area anglofona e francofona (Gau-din & Chaliès, 2015; Major &Watson, 2018; Santagata&Yeh, 2014; 2016; Santagata & Taylor, 2018) riporta l’effica-cia didattica del video, quale contenitore di eventi, di azioni edi mediatori, se inserito nel percorso di formazione iniziale ein servizio degli insegnanti. Nel tracciare le linee evolutive delfenomeno, ne consegue che dalla rivisitazione delle esperienzevissute, dalla ri-rappresentazione delle pratiche didattiche edall’annotazione di elementi iconico-visuali o testuali, me-diante una molteplicità di strumenti d’analisi, gli insegnantihanno la possibilità di ricostruire la complessità del contestod’aula e di attuare eventuali interventi migliorativi nel proces-so di insegnamento-apprendimento.

Video-research is an interdisciplinary multimethodologicalapproach (Goldman, 2009) that emphasizes the visual dimen-sion by exploiting the potential of video. The present workaims to outline the epistemology underlying the video re-search, a model of situated research, aimed at recording specif-ic situations and explaining the implicit trait from educationalscenes. From the methodological point of view, the diachronicanalysis of accredited research in the English-speaking andFrancophone area (Gaudin & Chaliès, 2015; Major & Wat-son, 2018; Santagata & Yeh, 2014; 2016; Santagata & Taylor,

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Studi

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2018) reports the educational effectiveness of the video, as acontainer for events, actions and mediators, if inserted in theinitial training path and in service of teachers. In tracing theevolutionary lines of the phenomenon, it follows that from thereview of the lived experiences, from the re-representation ofdidactic practices and from the annotation of iconic-visual ortextual elements, through a multiplicity of analysis tools,teachers have the possibility to reconstruct the complexity ofthe classroom context and to implement any improvement in-terventions in the teaching-learning process.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Videoricerca, Video-documentazione, Forma-zione docente, Ri-rappresentazione delle pratiche, Riflessività.

Keywords: Video Research, Video-documentation, Teachertraining, Re-representation of practices, Reflexivity.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Sessione 2

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1. Introduzione

L’introduzione dei media audio-visivi ha apportato notevolicambiamenti in ambito educativo, riconoscendo, innanzitutto,il valore aggiunto fornito dall’analisi visuale per documentare gliepisodi didattici. Il video, in ricerca, non rappresenta un sempli-ce prodotto ma è paragonabile a un processo, consapevolmentee intenzionalmente costruito, aperto all’interpretazione conti-nua degli elementi di cui si compone. Secondo Hall (1997), apartire dall’analisi del video e dalla negoziazione continua, in fasisuccessive, si opera una modifica nell’impianto della ricerca. Alpari delle altre scienze umane e sociali, l’impiego del video in pe-dagogia si afferma come una nuova prospettiva di indagine sullepratiche di ricerca, di narrazione e di archiviazione/gestione con-divisa di conoscenza (De Rossi, 2014). Nel contesto della video-ricerca, riprendendo la descrizione di Goldman, Pea, Barron eDerry (2009), il video svolge una duplice funzione: è sia dato chefonti di dati, rende visibile e descrivibile il fenomeno osservatoper poi procedere all’elaborazione interpretativa dello stesso, at-tivando un processo meta-riflessivo (Tochon, 2009; Santagata &Strumer, 2014). Attraverso un’analisi molare e molecolare dei frammenti si

perviene all’elaborazione e interpretazione dei dati iniziali, se-condo una logica del point of viewing (Goldman-Segall, 1995;1996; 1998). Nel contesto educativo, il video consente di rap-presentare i fenomeni osservati per esprimere una teorizzazioneemergente mediante la narrazione di storie specifiche (Goldmanet al. 2009). L’ analisi visuale, dunque, guida gli attori coinvoltinel ripercorrere il vissuto per rivisitare, in maniera critica, i com-portamenti verbali e non verbali, così da esplicitare la conoscen-za latente e non formalizzata.La videoregistrazione del processo di insegnamento-apprendi-

mento ha una lunga storia che affonda le sue radici nel microtea-ching (Allen & Wang, 1996), pratica di natura comportamentista,superata da tecniche di auto-confronto di derivazione francofona,

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Rosa Vegliante, Sergio Miranda, Antonio Marzano

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protese alla promozione di pensiero riflessivo individuale o digruppo da parte degli attori coinvolti (Paquay & Wegner, 1996).

2. La videoricerca nei percorsi formativi

L’uso dei video è strettamente legato alla finalità che si intendeperseguire. Se lo scopo è descrivere e comprendere le praticheformative e ciò che accade nella scena educativa, per accrescere laconoscenza, il video è un contenitore di dati funzionale alla ri-cerca. Se, invece, il focus è la valutazione delle pratiche formati-ve, attivando la riflessività, il video è un efficace strumento ap-prenditivo, utile nel percorso di professionalizzazione degli inse-gnanti.Per un verso, la videoricerca valida i percorsi formativi, attra-

verso il monitoraggio delle azioni in progress e, conseguente-mente, chiarisce come il processo possa impattare, positivamenteo negativamente, sulla formazione iniziale e in servizio degli in-segnanti. Per l’altro, fornisce dei modelli pratico-operativi, a se-guito della visualizzazione analitica delle attività, che si dispiega-no nel farsi dell’azione. Il collante tra ricerca e formazione è ladocumentazione dei comportamenti verbali e non verbali, delcontesto e degli attori che, avvalendosi di un approccio esperien-ziale, concettualizza l’oggetto d’indagine. Dal punto di vista me-todologico, la videoricerca si serve dell’osservazione sistematicae, in quanto tale, prevede un superamento del bipolarismo quan-titativo-sperimentale e qualitativo-fenomenologico a favore diun connubio dei metodi e strumenti afferenti sia all’uno che al-l’altro paradigma. Questo spiega la possibilità di immergersi nelcontesto e di restituire una visione integrata degli avvenimentiche si susseguono. La letteratura di riferimento, inoltre, presentadifferenti modalità di utilizzo dei video per progettare percorsi diformazione per docenti. Si originano, in tal senso, possibili pistedi ricerca finalizzate a:

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Sessione 2

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– comprendere il fenomeno per effettuare comparazioni (Rothet al, 2006);

– descrivere il video-caso mediante la triangolazione dei metodidi analisi (Sensevy, 2007);

– interpretare gli eventi, concettualizzando i dati (groundedtheory) (Engle, Conant, Greeno, 2007);

– cogliere i significati impliciti degli avvenimenti, cooparteci-pando con gli attori della scena educativa nel processo di ri-costruzione dell’accaduto (Christ, Arya, Ming Chiu, 2012);

– valutare le azioni al fine di orientare le pratiche didatticheverso un modello normativo.

Il processo di visualizzazione può essere segmentato nel se-guente modo: in primis si descrivere il fenomeno osservato, a cuisegue la riproduzione e la ri-rappresentazione di ciò che è avve-nuto, così da comprendere e condividere le informazioni emersedall’ osservazione. Nell’ambito della Professional vision, Seidel eStrumer (2014) individuano dei momenti significativi nel pro-cesso di monitoraggio della professionalità insegnante, ascrivibilialle due macro-categorie del noticing e del reasonig. Nel primomomento (noticing), l’osservazione è mirata a cogliere la chiarez-za degli obiettivi, la consegna dettata dal docente, i feedback for-mativi e la percezione affettivo-motivazionale dell’ambiente diapprendimento. Il secondo momento (reasoning) consta di tre fa-si strettamente concatenate: la descrizione, la spiegazione e l’an-ticipazione. A tal proposito, Galliani (2014) identifica tre livellisui quali basare una valida documentazione:

– descrittivo, per analizzare l’esperienza, ossia i soggetti, il con-testo, le attività, la metodologia, con tecniche e strumenti, imateriali e la letteratura di riferimento;

– espressivo, per comunicare il clima, le criticità e i punti di for-za dell’esperienza, per avere una visione d’insieme del percor-so di ricerca;

– argomentativo, per la diffusione del materiale e per ricevere

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commenti dai fruitori, sfruttando al massimo le potenzialitàdelle nuove tecnologie.

In tal senso, si riconosce la natura costruzionista del sapere,tipica della situated research, che circoscrive e contestualizza l’og-getto di osservazione per comprendere l’evolversi della situazioneeducativa. Dalla descrizione consegue l’interpretazione e, in que-sto passaggio, si coglie il carattere multidimensionale della video-ricerca nel trattare il fenomeno educativo in maniera olistica.Hattie (2009, 2012), nello studio delle metodologie didattiche,avvalora l’importanza dell’interazione docente-discente nei ter-mini di feedback costanti e di valutazione formativa. L’Autoresostiene la necessità di rendere “visibile” il processo di insegna-mento-apprendimento, nel momento in cui il docente è in gradodi risalire alla pratica didattica agita, osservando l’apprendimen-to dell’allievo e viceversa, in un rapporto di reciprocità “quandogli insegnanti diventano allievi del proprio insegnamento e glistudenti i propri insegnanti” (Hattie, 2009, p. 22). Gli studi diSantagata (2014; 2016) sulla video-formazione riconoscono nelvideo uno strumento di modellamento delle pratiche, in quantoattiva negli studenti un processo riflessivo e metacognitivo e dipromozione delle azioni didattiche. La videography e la video nar-rative forniscono notevoli contributi alle pratiche d’insegnamen-to e di apprendimento sfruttando la potenzialità della dimensio-ne visuale.

3. Conclusioni

Nell’ambito della pedagogia visuale, si inserisce il tema dello svi-luppo professionale del docente e, mediante la video documen-tazione, si giunge a un modello operativo di riferimento che va-lorizza l’esperienza. L’analisi dei video risulta vantaggiosa se asso-ciata a un approccio formativo efficacemente strutturato (Gau-din & Charlies, 2015). In tal modo, è possibile comprendere se

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e in base a quali condizioni sia possibile ricavare informazionicomunicabili e condivisibili. Documentare ciò che accade per-mette di “marcare semanticamente l’informazione e quindi di as-sistere l’utente a muoversi entro i diversi domini di conoscenza ea personalizzare/contestualizzare le sue scelte” (Galliani, 2003,p.9). Ciò nonostante, un problema emergente, nell’ambito dellavideoricerca, consiste nella scarna sistematizzazione metodologi-ca sulle pratiche di video analisi, a fronte di una vasta letteraturasulla trascrizione testuale (Cescato, 2017). La videoricerca co-niuga in sé più canali comunicativi, consentendo in tal modo dioperare il passaggio dall’evidenza oggettiva alla ricostruzioneconcettuale dell’azione filmata, per poi attivare un processo ri-flessivo. Come riportato dalla letteratura riportata, l’uso del vi-deo a scopo formativo operativizza l’esperienza per consolidare orinnovare le prassi attivate.

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Rosa Vegliante, Sergio Miranda, Antonio Marzano

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II.2 –––––––––––––––––Rileggere il Digital Storytelling alla luce dei Cognitive Cultural Studies: uno strumento per il consolidamento delle life skillsRereading Digital Storytelling in the light of Cognitive Cultural Studies: a tool for the development life skills –––––––––––––––––Roberta Silva Università degli Studi di Verona

Da quanto Bruner ha rivendicato il ruolo del pensiero narrati-vo nei processi cognitivi che consentono di interpretare e rap-presentare il mondo attribuendogli significato, la narrazioneha iniziato ad essere considerata strumento prezioso nei conte-sti educativi. Le potenzialità di questo strumento sono recen-temente state indagate dai Cognitive Cultural Studies, i qualihanno evidenziato come la narrazione, attraverso i processi diidentificazione, consente di migliorare la consapevolezza emo-tiva e le competenze empatiche. Tuttavia ancora pochissimi so-no i percorsi educativi che utilizzano la narrazione a partiredalle indicazioni offerte da questo ambito di studio. Il percorsoqui presentato parte da queste considerazioni, integrando nelquadro il digital storytelling, uno strumento che inserisce lanarrazione in una dimensione adatta a coinvolgere i nativi di-gitali, stimolando al contempo lo sviluppo del pensiero criticoe riflessivo, grazie al suo essere espressione di un’esperienza diaudience attiva.

Since Bruner has claimed the role of narrative in cognitiveprocesses, showing how it allows us to interpret and representthe world, narration has begun to be considered a valuable toolin educational contexts. The potential of narration has beenrecently investigated by the Cognitive Cultural Studies, whichhave highlighted how narration, thanks to identificationprocesses, allows to improve emotional awareness and em-

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pathic skills. However, there are still few educational programsthat use narration in the framework offered by this approach.The program integrates the insights derived from these per-spective with digital storytelling, a tool suitable for involvingdigital natives and for stimulating the development of criticaland reflective thinking, thanks to its being the expression of anactive audience experience.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Digital storytelling; Cognitive Cultural Stu-dies; life skills.

Keywords: Digital storytelling; Cognitive Cultural Studies;life skills.

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1. Narrazione e life skills

Grazie al ruolo centrale che il pensiero narrativo ha nei processiche rappresentano e interpretano il mondo (Bruner, 1991), lanarrazione è preziosa per la promozione delle life skills (Schäfer,Stauber., & Bokan, 2004), intese come l’insieme di competenzecognitive, emotive e relazionali in grado di portare il soggetto auna relazione positiva con il contesto, promuovendone il benes-sere e incrementando la sua capacità di prendersi cura dell’altro(OMS, 1994). Tale efficacia è data dal fatto che lo storytelling,tramite il pensiero simbolico, cioè la capacità dei soggetti di ela-borare interpretazioni che vanno oltre l’esplicito (Cacciari,1991), promuove processi induttivi che legano elementi testualicon elementi offerti dalla soggettività del fruitore, dando vita aun processo di interpretazione dialogico e complesso (Leverage,2010). Questo concetto si ricollega alla «cooperazione interpre-tativa», secondo cui le narrazioni attivano in noi un processo in-ferenziale che interpreta gli indizi narrativi a partire da elementitratti dalla nostra esperienza (Eco, 1979, p.26), ma va oltre a ciò,poiché afferma che tale legame non solo è funzionale alla deco-difica della narrazione, ma innesca processi di cambiamento,poiché il pensiero simbolico, creando tali relazioni metaforiche,suscita riflessioni e interrogativi necessari ad avviare una riletturacritica sulla propria esistenza (Clarke, Holt & Bludel, 2014).

2. Un nuovo sguardo

Queste considerazioni si relazionano con quanto affermato, alinterno degli studi sui neuroni specchio, a proposito della simu-lazione incarnata, cioè «un meccanismo funzionale di base delnostro cervello grazie al quale riusciamo parte delle risorse neu-rali che normalmente utilizziamo per interagire con il mondo[…] mettendole al servizio della percezione e dell’immaginazio-ne» (Gallese & Guerra, 2015, p. 24) e conducono verso i Cogni-

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Roberta Silva

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tive Cultural Studies (CCS), un ambito di studio che si interessaal modo in cui le narrazioni influiscono sulle competenze socio-emotive (Zunshine, 2006, 2010; Ryan, 2010; Oatley, 2010). Se-condo questa prospettiva per comprendere una narrazione, iodevo prima di tutto essere in grado di capire i personaggi: le loroemozioni, i loro bisogni e le loro motivazioni (Leverage, 2010).Nel fare ciò, costruisco un “modello mentale” dei personaggi, ov-vero attribuiscono loro una Theory of Mind (ToM), caratteriz-zata da processi mentali ed emotivi organici e coerenti. Questaazione è una sorta di “allenamento” a dedurre e comprenderepensieri ed emozioni altrui nella vita reale, che accresce la mia ca-pacità di mettermi in relazione con l’altro: dunque, con l’imme-desimazione, la narrazione migliora le mie competenze empati-che e la mia consapevolezza emotiva (Herman, 2009; Ryan2010; Oatley 2010). Le narrazioni che sostengono questo svi-luppo sono quelle in cui sono ritratti personaggi che esprimonoi loro stati mentali con profondità e plausibilità (Zunshine2006). Al contrario quando i personaggi sono stereotipati «cisentiamo come se fossimo impegnati in un’inferenza che ci riescecon particolare facilità, rendendo allo stesso tempo semplice egestibile il complesso sistema sociale nel quale siamo immersi,mentre in realtà stiamo soltanto limitando fortemente i nostriorizzonti mentali e sociali» (Zunshine 2008, p. 12). Le riflessioni dei CCS, per quanto ancora poco utilizzate all’in-

terno di percorsi didattici, possono fornire indicazioni preziose perl’utilizzo della narrazione come strumento per migliorare la consa-pevolezza emotiva e le competenze empatiche (Silva, 2013, 2017;Nikolajeva, 2014). È tuttavia evidente che le narrazioni di cui ibambini fruiscono sono cambiate notevolmente negli ultimi anni(Crutcher, 2017) ed inoltre, al fine di consolidare lo sviluppo so-cio-emotivo, è necessario integrare competenze socio-relazionali ecritico-riflessive (Stanley & Bhuvaneswari, 2016). Per questi si èscelto di utilizzare il digital storytelling, che combina narrazioni te-stuali e digitali, e che, da un lato, sostiene la motivazione dei natividigitali (Robin, 2008, 2015) e dall’altro è capace di stimolare il

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pensiero critico-riflessivo, essendo espressione di audience attiva(Livingstone, 2004, 2012). Al fine di ottimizzarne le potenzialità,si è scelto di utilizzare un tipo specifico di digital storytelling, ovve-ro quello che si lega alle fan fiction. Queste sono narrazioni chereinterpretano, integrano e mescolano storie originali, concen-trandosi in particolare sull’evoluzione dei personaggi (Livingstone2005, 2011). Esse sono sempre più presenti nei consumi culturalidei più giovani (Hannaford, 2016) e nascono da narrazioni signi-ficative per i soggetti (Bond & Michelson, 2003); inoltre presup-pongono comprensione dei personaggi e utilizzo di competenzecritico-riflessive perché implicano una fruizione creativa (Alver-mann, Marshall e MacLean 2012, Bird 2013).

3. ME-IN-D-STORY

Da queste considerazioni (e grazie alla disponibilità dell’I.C. diBosco Chiesanuova-Verona e dell’IC 15 di Verona Borgo Vene-zia-Verona) è nato il progetto ME-IN-D-STORY, attualmente infase di valutazione per un bando competitivo. ME-IN-D-STORY è un progetto children-oriented perché si focalizza sull’e-sperienza dei bambini e sui loro processi di elaborazione di signi-ficato (Mortari, 2014) e ha un obbiettivo trasformativo perchévuole aiutare i pratici a risolvere un problema del contesto (Mor-tari, 2007). Si rivolge ad alunni della V classe della Scuola Prima-ria, in istituti che usano strumenti tecnologici e digitali nella di-dattica, che aumentano le competenze digitali, sia tecniche cheinformative, (La Marca, 2014) e il problem solving (Van Laar etal. 2017), ma che raramente hanno un focus sulle competenze so-cio-emotive. La letteratura ci mostra invece come le digital skillspossano avere un impatto positivo sulla vita dei soggetti solo seintegrate con le competenze socio-emotive (Eshet, 2004, 2o12;Alkali, 2004). L’obiettivo del progetto è dunque promuovere losviluppo della consapevolezza emotiva e delle competenze empa-tiche, attraverso esperienze di digital storytelling.

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ME-IN-D-STORY si articola in 16 incontri distribuiti in 4fasi: 3 fasi operative e 1 fase di restituzione. La prima fase (2 in-contri), ha lo scopo di far familiarizzare i bambini con il ragio-namento induttivo attraverso il gioco delle storie interrotte. Essoprevede di iniziare a raccontare ai bambini una storia (scelta apartire dai criteri indicati dai CCS); la narrazione dovrà inter-rompersi in un punto cruciale, avendo cura di aver prima datomodo ai bambini di dedurre i “modelli mentali” dei personaggi.Verrà poi chiesto loro di proseguire la storia, in modo coerentecon l’evoluzione dei personaggi: tale momento verrà condottoattraverso la conversazione guidata e il brain storming, affinchétutti partecipino alla co-costruzione della storia. La seconda fase(6 incontri), mira a rafforzare la capacità dei bambini di costruireuna ToM dell’altro attraverso i processi di identificazione conpersonaggi significativi. I bambini verranno divisi in gruppi inbase alla narrazione su cui sceglieranno di concentrarsi: ognibambino individuerà un personaggio e dovrà inventare una fanfiction che lo riguardi, avendo cura che sia coerente con la ToMdel personaggio. Poi all’interno dei gruppi i bambini verrannoorganizzati in coppie e chiamati a confrontarsi attraverso un pro-cesso di peer check per valutare il raggiungimento dell’obiettivo.La terza fase (6 incontri), ha lo scopo di sviluppare le capacitàcritiche e riflessive con la creazione di una digital storytelling. Lecoppie saranno riaggregate in modo da formare gruppi di quat-tro, a cui verrà chiesto di integrare le rispettive fan fiction in unastoria unica, sempre avendo cura che le ToM dei diversi perso-naggi siano coerenti. Su questa narrazione “congiunta” essi do-vranno creare una digital storytelling utilizzando gli strumentiche ritengono più opportuni (slide show, visual storytelling, vi-deo, ecc). La quarta fase (2 incontri) è un momento di restitu-zione e ha l’obiettivo di consolidare, con il confronto, le compe-tenze acquisite: la visione congiunta delle diverse digital storytel-ling sarà dunque seguita da un’analisi incrociata condotta la con-versazione guidata.

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4. Conclusioni

ME-IN-D-STORY utilizza il digital storytelling come elementoper la promozione delle life skills, in particolare dell’autoconsape-volezza emotiva e dello sviluppo delle competenze empatiche, apartire dalle indicazioni offerte dai CCS e sfruttando uno stru-mento di audience attiva (fan fiction). Tale scelta è stata compiutasia perché il digital storytelling, nonostante il suo essere fonte diricchezza per l’implementazione di esperienze di didattica parteci-pata e innovativa, è ancora poco utilizzato all’interno della ScuolaPrimaria (Robin, 2008, 2015) sia perché il riconoscimento dellepotenzialità della narrazione nello sviluppo socio-emotivo dei sog-getti non può disgiungersi dalla consapevolezza che le storie signi-ficative per i bambini odierni sono profondamente diverse daquelle del passato. Quindi per far si che le narrazioni mantenganola loro funzione trasformativa e proiettiva, è necessario integrarlein un framework di senso che i bambini riconoscono come loro.

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Roberta Silva

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II.3 –––––––––––––––––Via Bosio: una scuola laboratorioVia Bosio: a workshop-school –––––––––––––––––Mariantonietta Ciarciaglini, Annalisa Di CredicoInsegnante MCE - Istituto Comprensivo IV Chieti

Scuola-laboratorio è un luogo abitato. È un luogo di intreccioe condivisione. Chi vi entra, ha la possibilità di vivere percorsidi crescita, individuale e collettiva.Laboratorio è un luogo di cooperazione, di ascolto, di elabora-zione e pratica di un metodo che permette di scoprirsi, di es-sere se stessi, protetti da un contesto capace di sospendere ilgiudizio, di dare fiducia, di attendere.Il laboratorio sgretola le barriere tra le classi e le età e produceatteggiamenti cooperativi: gli alunni di una classe diventanogli alunni di una scuola.Le attività di laboratorio si svolgono a classi aperte per gruppiverticali di ciclo; gli alunni passano durante l’anno per tutti ilaboratori. Le attività sono raggruppate in filoni (immagine,suono, manipolazione, teatro) e sviluppate nel quinquennio discuola primaria. La varietà delle attività proposte ed il piccologruppo consentono di valorizzare le capacità di ciascun alunnopermettendogli di esprimersi nel modo che gli è più congenia-le. La attività di laboratorio sono interdisciplinari e volte alraggiungimento di obiettivi trasversali alle aree formative.

A workshop-school is a “inhabited” place. It’s a place of inter-twining and sharing. Those who enter, have the chance to em-brace individual and collective experiences of growth.A workshop is a place where one can cooperate, listen, elabo-rate and practice a method that allows for self-dicovery, to beoneself, in a protected environment which is judgement-free,trust-giving, able to wait.A workshop shatters barriers between different classes and dif-ferent age groups and results in a cooperative approach: oneclass’ students become the school’s students.Workshops activities are organized in “open classes”: students

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from first and second grade are divided into four groups, thesame for third, fourth and fifth graders. Each group rotates onfour different workshops so that all the students attend eachworkshop during the school year. The activities fall into fourcategories, image, sound and rhythm, handcrafting, theatre,and are developed throughout the five-years spent in primaryschool. The combination of a variety of the activities andworking in small groups allows to enhance everyone’s skills bygiving them the opportunity to express themselves in the mostfitting way. Workshops activities are interdisciplinary and aimto transversal objectives throughout all the “learning” areas.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: classi aperte, laboratorio, cooperazione, ascol-to, ricerca

Keywords: open classes, workshop, cooperation, listening, re-search

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

La scuola a tempo pieno di VIA BOSIO è nata nel 1983 e da su-bito si è costituita come un “fatto collettivo” che ha richiesto ilcoinvolgimento e la responsabilità di tutti: insegnanti, alunni,genitori, collaboratori, dirigente. Obiettivo delle insegnanti eraquello di modificare il rapporto scuola-territorio elaborando unacultura della trasformazione che avrebbe investito la realtà quo-tidiana della vita scolastica, familiare e sociale degli alunni. Per realizzare tale funzione la scuola doveva porsi come centro

di incontro tra tutti i membri della comunità, ed entrare dentrola famiglia, costruendo con essa intrecci di azioni ed intenti.Occorreva una profonda trasformazione dell’organizzazione

della scuola, iniziando dalla rottura degli schemi spazio-tempo-rali tradizionali ed istituzionali. Era necessario dare valore allapeculiare esperienza di ciascun insegnante e di svilupparla almassimo. Configurandosi come strumento di emancipazione edi promozione sociale la scuola di Via Bosio intendeva definirsicome luogo di rapporti interpersonali molteplici e ricchi, il cuifine era la costruzione di una comunità-scuola in cui la condizio-ne essenziale è data da un reale lavoro cooperativo tra tutti imembri della comunità (Scuola Elementare sperimentale “ViaBosio”, pp. 49-56).I docenti hanno avviato così una sperimentazione metodolo-

gico didattica che permettesse loro di organizzare classi, gruppidi alunni, gruppi di docenti, distribuzione del programma, tem-pi delle attività didattiche, nelle forme che ritenevano opportuneper realizzare l’obiettivo primo: realizzare una scuola laboratorioladdove l’organizzazione e l’azione educativa e didattica sono ilfrutto di una continua attività di ricerca e di sperimentazione(Scuola Elementare sperimentale “Via Bosio”, pp. 12-14).Il gruppo dei docenti, tutti già militanti all’interno del grup-

po nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa(MCE), attraverso una ricerca laboratoriale a livello adulto, hascoperto e sedimentato al suo interno, nella sua storia, un parti-

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colare metodo di relazione con gli oggetti di conoscenza, evitan-do sempre la separazione netta ed ogni dicotomia tra soggetto edoggetto, tra percorso della ricerca e storia-memoria personale.Da questi presupposti nasce VIA BOSIO, una scuola-labora-

torio.

2. Una scuola-laboratorio

Una scuola laboratorio è un luogo abitato. Coloro che lo abitanose ne prendono costantemente cura, rispettando le tracce lasciateda tutti coloro che lo hanno attraversato con la loro ricerca, la lo-ro esperienza.È un luogo di intreccio e condivisione. Chi vi entra, ha la pos-

sibilità di vivere percorsi di crescita, individuale e collettiva; è unluogo di cooperazione, di ascolto, di elaborazione e pratica di unmetodo che permette di scoprirsi, di essere se stessi, protetti daun contesto capace di sospendere il giudizio, di dare fiducia, diattendere e, valorizzando la varietà dei percorsi individuali, offrea ciascuno “l’opportunità di cercare il suo modo, la sua strada perincontrare la realtà complessa, l’infinitamente grande e l’infini-tamente piccolo, la varietà e la vastità degli elementi che ci cir-condano” (Scuola Elementare sperimentale “Via Bosio”, p. 11).Per costruire le basi di una scuola-laboratorio occorre toglie-

re, demolire. Il laboratorio sgretola le barriere tra le classi e le etàe produce atteggiamenti cooperativi: si aprono le porte delle au-le, gli alunni di una classe diventano gli alunni di una scuola.Perché ciò accada, gli insegnanti realizzano un progetto di totalecondivisione organizzativa in cui tempi e spazi della quotidianitàlasciano il posto al cambiamento, all’innovazione, attraverso larottura degli schemi istituzionali. Accettarsi e sentirsi accettati, viversi in modo positivo, rite-

nersi capaci di realizzare qualcosa di più valido, sono le conse-guenze di questo modo di vivere la scuola e le premesse necessa-rie per crescere. Conoscere le proprie caratteristiche, le proprie

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potenzialità e i propri limiti, sapere come gli altri ci vedono, aiu-ta ad avere il coraggio di provare, di rischiare, di intraprenderenuove vie. Insegnanti ed alunni imparano così a porsi in atteg-giamento di ascolto profondo di sé e degli altri. L’ascolto non èsinonimo di passività ma di attiva costruzione di uno spazio dovel’altro possa essere accolto. La fiaba, la poesia, il mito, i linguaggiche possono fungere da tramite per comunicare efficacementedei vissuti: chi narra racconta se stesso, chi ascolta pensa che sistia parlando di lui (Scuola Elementare sperimentale “Via Bo-sio”, pp. 34-35).

3. I laboratori

Le attività di laboratorio si svolgono a classi aperte per gruppiverticali di ciclo: alunni di classi prima e seconda e alunni di clas-si terza, quarta e quinta, tre volte a settimana, dalle 11,30 alle13,00, nell’orario di contemporaneità di servizio degli insegnan-ti del plesso; gli alunni passano durante l’anno per tutti i labora-tori. Un laboratorio accoglie, in spazi diversi, spesso esterni allascuola, 16-17 alunni per volta, per un periodo di circa 8-10 set-timane ed è guidato da un insegnante. La possibilità di interagire con docenti diversi dai propri è

un’occasione di confronto con diverse modalità comunicative edoperative. L’incontro con ragazzi provenienti da classi diverse of-fre occasioni di confronto, socializzazione, integrazione. Le classiaperte permettono infatti di liberare molte energie creative, sianegli insegnanti che negli alunni. Gruppi di lavoro eterogenei ecostruttivi basati sull’effettiva interdipendenza positiva dei ruolie sull’uguaglianza delle opportunità di successo per tutti. In talmodo il contesto educativo non è competitivo, bensì altamenteresponsabile e collaborativo, straordinariamente produttivo diprocessi cognitivi di ordine superiore.Le attività di laboratorio, partendo dall’immaginario profon-

do dei bambini, attraverso una pratica di percezione diretta degli

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elementi fondamentali del Pianeta, si propongono di favorire unrapporto di fratellanza e di relazione aperta con tutte le espres-sioni del vivente. Le attività sono raggruppate in filoni (immagi-ne, suono, manipolazione, teatro) e sviluppate nel quinquenniodi scuola primaria. La molteplicità delle attività proposte ed ilpiccolo gruppo consentono di valorizzare le capacità di ciascunalunno permettendogli di esprimersi nel modo che gli è più con-geniale. In tal modo, le differenze nei processi di maturazione edi diversi livelli di apprendimento non sono più elementi di dis-criminazione nei rapporti interpersonali, in quanto il contesto diriferimento è più ampio. Le attività di laboratorio sono interdi-sciplinari e volte al raggiungimento di obiettivi trasversali allearee formative. Al termine di ciascun periodo, ogni gruppo so-cializza, in orario extrascolastico, agli altri gruppi, ai genitori e aquanti sono interessati, il percorso conoscitivo e le produzioniscaturite dalle attività svolte. Il risultato che emerge è un miglio-ramento nei processi di apprendimento per tutti e per ciascuno,l’offerta a tutti di medesime opportunità attraverso la promozio-ne dello star bene, a proprio agio e far bene per sé e per il gruppo;ne guadagnano autostima, fiducia in se stessi e negli altri e sensodell’auto-efficacia (Scuola Elementare sperimentale “Via Bosio”,pp. 43-48).

4. Conclusioni

Ciò che accade ai bambini, accade anche agli insegnanti che im-parano a confrontarsi, a condividere pensieri e progetti, a realiz-zarli insieme indipendentemente dall’area disciplinare a loro as-segnata. Imparano a dare spazio alla passione e alla creatività.Comprendono quanto sia utile darsi tempo senza l’assillo di unrisultato e imparano a privilegiare il processo. Acquisiscono, viavia competenza del laboratorio che agiscono e comprendono chei significati da cogliere, non sempre sono visibili immediatamen-te. Nasce così un gusto alla collaborazione reciproca tra adulti e

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bambini, tra insegnanti e nuovi compagni. Gli insegnanti si ri-trovano ad essere così ancora in ricerca, ad avere l’opportunità diconfrontarsi, attraverso il laboratorio adulto, con altri gruppi diricerca all’interno del MCE. Scuola-laboratorio è, quindi, un luogo di vita e di memoria,

punto di partenza e di ritorno perché la ricerca sia in continuodivenire.

Riferimenti bibliografici

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II.4 –––––––––––––––––“La scuola è aperta a tutti”: la sfida di disabilità e migrazioneThe school is open for all: the challenge of disability and migration –––––––––––––––––Valeria FrisoUniversità di Bologna

Sono molteplici le sfide che la scuola italiana è chiamata ad af-frontare oggi: una di queste è la presenza di bambini disabili fi-gli di migranti. Gli studi esistenti convergono circa la necessitàdi analizzare e comprendere l’impatto di tale fenomeno sui si-stemi educativi, scolastici e sanitari, poiché l’inclusione di unbambino con disabilità figlio di migranti richiede nuovi pro-cessi organizzativi, sociali, culturali e politici.Questo contributo presenta gli esiti di una ricerca – condottatra il 2016 e il 2018 presso i Comuni dell’Unione delle Terred’Argine – che ha coinvolto un gruppo eterogeneo di profes-sionisti che si prendono cura del percorso inclusivo dei bam-bini nella scuola Primaria (educatori, insegnanti di sostegno,assistenti sociali, neuropsichiatri, insegnanti curricolari, inse-gnanti referenti per l’intercultura, insegnanti referenti per ladisabilità, mediatori culturali e/o linguistici, Dirigenti scolasti-ci). Sono stati condotti due focus group e un questionario adomande chiuse e a risposta multipla.L’obiettivo finale della ricerca è stato quello di rilevare saperi eprassi educativo-didattiche messi in atto al fine di identificarepratiche il più possibili comuni da sviluppare nelle scuole e neiservizi educativi dell’Unione delle Terre d’Argine.

Today there are many challenges that the Italian school iscalled to face: one of these is the presence of disabled studentsand sons of migrants. Existing studies converge on the need toanalyze and understand the impact of this phenomenon oneducational, school and health systems, because the inclusion

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Ricerche

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of a students with disability and sons of migrants requires neworganizational, social, cultural and political processes.This contribution brings the results of a research – conductedbetween 2016 and 2018 at the Municipalities of the Unionedelle Terre d’Argine – which involved a diverse group of pro-fessionals who take care of the inclusive path of students inPrimary school (educators, teachers of support, social workers,neuropsychiatrists, common teachers, referring teachers forinterculture, referring teachers for disability, cultural and / orlinguistic mediators, school managers). Two focus groups anda closed-question and multiple-choice questionnaire wereconducted.The final aim of the research was to reveal the educational andteaching knowledge and practices put in place in order toidentify practices as much as possible common to be devel-oped in schools and educational services in Unione delle Terred’Argine.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Scuola primaria, rete territoriale, disabilità, fi-gli di migranti

Keywords: Primary school, territorial network, disability,children of migrants

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1. Introduzione e quadro teorico di riferimento

L’incipit dell’art. 34 della Costituzione della Repubblica italianarecita: “La scuola è aperta a tutti”. Sono molteplici le sfide che lascuola italiana è chiamata ad affrontare oggi su cui la didattica ela riflessione pedagogica sono chiamate a focalizzare l’attenzione.Tra queste vi è anche la presenza di alunni con disabilità figli dimigranti. Alcune ricerche nazionali e internazionali indicano co-me sempre più urgente l’individuazione di nuovi paradigmi edu-cativi, sociali, culturali e politici per affrontare in modo efficacesituazioni inedite che si presentano agli insegnanti quando glistudenti hanno una disabilità e si trovano nella condizione di es-sere figli di migranti. Queste situazioni inedite rischiano semprepiù di presentarsi come situazioni dal carattere di urgenza(FISH, 2009). Gli studi scientifici esistenti in Italia vanno nellastessa direzione, sottolineando la necessità di analizzare e com-prendere come la presenza di bambini con disabilità figli di mi-granti incida sui sistemi educativi, scolastici e sanitari, poichél’inclusione di un bambino con disabilità figlio di migranti ponenuovi interrogativi a più livelli, sia organizzativo-gestionali, siaoperativi (Caldin, 2011). Inoltre, è necessario ricordare che se sicontinua a trascurare la duplice condizione di disabilità e migra-zione, si rischia di perpetrare interventi frammentati o non signi-ficativi che ledono il diritto d’inclusione e d’integrazione ribadi-to anche dall’ONU (ONU, 2006).L’assoluta assenza di dati statistici nazionali che considerasse-

ro le due dimensioni è stata mitigata dal documento che il Mi-nistero dell’Istruzione e della Ricerca ha reso pubblico nel mag-gio 2018 sui dati relativi all’anno scolastico 2016/2017. In que-sto report, infatti, il MIUR ha inserito, per la prima volta, anchei dati relativi agli alunni disabili stranieri. I dati sono stati presen-tati suddivisi per regione. La regione Emilia Romagna, in cui èstata condotta la ricerca che presenteremo in questo contributo,è la seconda regione come presenza di alunni con disabilità estranieri, dopo la Lombardia. (MIUR, 2018, p. 13).

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2. Contesto di riferimento e domanda di ricerca

Il presente contributo riporta gli esiti di una ricerca, condotta trail 2016 e il 2018, che ha coinvolto un gruppo eterogeneo di pro-fessionisti che si prendono cura del percorso inclusivo dei bam-bini nella scuola Primaria (educatori, insegnanti di sostegno, as-sistenti sociali, neuropsichiatri, insegnanti curricolari, insegnantireferenti per l’intercultura, insegnanti referenti per la disabilità,mediatori culturali e/o linguistici, Dirigenti scolastici) che lavo-rano nei Comini dell’Unione delle Terre d’Argine (Campogallia-no, Carpi, Novi di Modena, Soliera).In questi Comuni gli alunni presenti, dai nidi d’infanzia alle

scuole secondaria di secondo grado sono 15.781 di cui 421 alun-ni hanno una disabilità. Queste scuole sono frequentate da 2858alunni provenienti da famiglie migranti (Fonte: la Scuola nell’U-nione www.terredargine/istruzione.it).La ricerca, dal titolo “Disabilità e migrazione. Intrecci di in-

clusione” è stata coordinata dalla Dott.ssa Valeria Friso (Univer-sità di Bologna) che si è avvalsa del supporto della Dott.ssaAdriana di Rienzo (Università di Bologna) e della Prof.ssa AnnaPileri (Istituto Universitario Salesiano Venezia). La supervisionescientifica è stata condotta dalle Proff.sse Roberta Caldin, IvanaBolognesi (Università di Bologna).La domanda di ricerca da cui hanno preso avvio le varie fasi

della ricerca è nata dal confronto con i servizi del territorio cheavevano la percezione della presenza di prassi differenti rispettoalle risposte che I servizi e le scuole fornivano a situazioni semprepiù diffuse in cui incontravano bambini con disabilità di figli dimigranti. La diffusione di presenza di questa doppia peculiarità,evidentemente, ha stimolato le figure professionali coinvolte acercare risposte innovative. Ecco che la ricerca è andata innanzi-tutto a indagare quali fossero i saperi e le prassi educativo-didat-tiche messi in atto nelle scuole e nei servizi educativi delle Terred’Argine. Questa domanda principale di ricerca è stata accompa-gnata da altri interrogative che sono diventati ulteriori obiettivi.

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Questi in particolare hanno riguardato la volontà di indagare sela disabilità e la migrazione sono comprese nel loro intreccio osono considerate distintamente e se, e in che modo, la duplice di-versità ha modificato saperi, prassi dei professionisti coinvolti nelpercorso d’inclusione e d’integrazione scolastica e sociale deibambini con disabilità migranti e delle loro famiglie.

3. Metodi e fasi della ricerca

Le fasi della ricerca sono state suddivise nell’arco di due annua-lità, 2016 2 2017 e sono state anticipate da un approfondimentodella letteratura e dall’individuazione di dati che potessero faremergere il quadro nazionale.Successivamente sono stati condotti due focus group ed è sta-

to strutturato, validato e somministrato un questionario a do-mande chiuse e a risposta multipla.Dopo alcuni incontri con i referenti dell’Unione Terre d’Ar-

gine per condividere gli obiettivi della ricercar e per conoscere ilcontest in cui la stessa si andava collocando sono stati condotti idue focus group che hanno visto la partecipazione di un gruppoeterogeneo di professionisti che si prendono cura del percorsoinclusivo dei bambini nella scuola Primaria (educatori, inse-gnanti di sostegno, assistenti sociali, neuropsichiatri, insegnanticurricolari, insegnanti referenti per l’intercultura, insegnanti re-ferenti per la disabilità, mediatori culturali e/o linguistici, Diri-genti scolastici).In particolare, il primo focus group è stato predisposto con fi-

nalità esplorative ed era finalizzato a conoscere il contesto, le ca-ratteristiche generali che contraddistinguevano quel contesto ri-spetto al lavoro sull’inclusione inteso come processo che coinvol-ge, in questo caso, aspetti legati al tema sia della disabilità sia del-la migrazione.Il secondo focus group, invece, ha avuto il principale scopo di

validazione del questionario semistrutturato che era stato co-

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struito dai ricercatori per la fase successive. Questo momento divalidazione ha permesso di rendere il questionario sì coerentecon la domanda di ricercar, ma anche ancorato al contesto di ri-ferimentoAltro strumento di indagine utilizzato, come anticipato, è

stato un questionario semi strutturato che è stato inviato a inse-gnanti curricolari, insegnanti di sostegno, educatori scolastici,mediatori e altre figure che ruotano intorno ai bambini di scuolaprimaria con disabilità e figli di migranti del territorio di riferi-mento.Il questionario si presentava diviso in tre sezioni nelle quali

erano chieste informazioni circa: i dati del compilatore, alcunidati sui bambini migranti con disabilità, la presenza o mendo diazioni formalizzate dei servizi e della scuola per gli alunni mi-granti con disabilitàI questionari sono stati compilati dall’intero universo a cui è

stato inviato dai servizi sociali ed educativi dell’Unione delle Ter-re d’Argine. Si tratta di 43 questionari compilati da: 16 inse-gnanti di sostegno, 12 educatori scolastici e 2 educatori territo-riali, 7 insegnanti curricolari, 3 mediatori linguistico-culturali, 1psicologo e 3 professionisti che non hanno dichiarato il loro ruo-lo professionale.La distribuzione dei bambini con disabilità figli di migranti

con cui lavorano i professionisti sopra citati è la seguente: 6 bam-bini/e in classe prima, 3 in classe seconda, 13 in classe terza, 12 inclasse quarta, 14 in classe quinta, per un totale di 48 bambini.

4. Conclusioni

Gli innumerevoli dati che la ricerca ha permesso di raggiungerehanno permesso di portare il territorio dell’Unione delle Terred’Argine a interrogarsi su diversi aspetti e a pensare di apportaredelle modifiche anche nella stessa formazione in servizio delle fi-gure professionali coinvolte nell’indagine. A fronte, infatti, di

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una forte consapevolezza relativa a tutto ciò che ruota intorno al-la disabilità (dalla conoscenza della diagnosi, al buon linguaggioche è stato utilizzato nelle risposte aperte, ecc.) emergono deglispazi di lavoro interessanti. In particolare, nel rapporto tra scuolae famiglia emerge come sia sempre più urgente la formazioneculturale della figura del mediatore che viene esplicitata comeuna figura imprescindibile per creare quel rapporto di fiduciacon la famiglia indispensabile per un’efficace intervento pedago-gico ed educativo. Altro aspetto, non esplicitato dagli interlocu-tori, ma che l’analisi dei dati rileva, è la non sempre chiara per-cezione da parte dei genitori dei ruoli dei professionisti che ope-rano all’interno della scuola. In particolare, si evidenzia dellaconfusione tra il ruolo l’insegnante di sostegno e quello dell’edu-catore scolastico.Tra i principali risultati indichiamo un ultimo aspetto come

conclusione della ricerca qui presentata, in quanto si tratta di unelemento che ha molto interrogato l’Unione delle Terre d’Arginee, probabilmente, sarà il primo da cui partiranno per le azioni diformazione. Dalla ricerca è emerso che, a fronte di molti accordidi rete sui temi della disabilità e della migrazione, il 60% dei ri-spondenti non ne è a conoscenza. A fronte di questo dato, sarànecessario trovare strategie non solo per contribuire a mantenerevigile l’attenzione sul funzionamento della rete territoriale, maanche per diffondere ciò che è già presente.

Riferimenti bibliografici

Caldin, R. (ed.) (2012). Alunni con disabilità, figli di migranti. Approcciculturali, questioni educative, prospettive inclusive. Napoli: Liguori.

Fondazione Migrantes (2011, 2012, 2013, 2014, 2015, 2016). Rap-porti Immigrazione.

FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) (2013).Migranti con disabilità: conoscere il fenomeno per tutelare i diritti,http://www.fishonlus.it/files/2012/05/ReportMigranti.pdf [Con-sultato il 10/05/2018]

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MIUR Ufficio Statistico e Studi (2018). I principali dati relativi aglialunni con disabilità per l’a.s. 2016/2017, http://www.miur.gov.it/do-cuments/20182/0/FOCUS_I+principali+dati+relativi+agli+alun-ni+con+disabilità_a.s.2016_2017_def.pdf/1f6eeb44-07f2-43a1-8793-99f0c982e422 [Consultato il 10/05/2018]

ONU (2006), La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle personecon disabilità, http://www.osservatoriodisabilita.it/index.php?op-tion=com_content&view=article&id=2&Itemid=903&lang=it[Consultato il 10/05/2018]

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II.5 –––––––––––––––––Educazione di genere e Programma Operativo Nazionale: un’opportunità formativa per la valorizzazione e la motivazione di studentesse e studentiGender education and National Operational Programme: training opportunities to motivate and enhace students –––––––––––––––––Daniela Bagattini, Samuele Calzone, Valentina PedaniIstituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (INDIRE)

Il progetto di monitoraggio e ricerca di cui questo lavoro è unaprima presentazione intende, in una fase esplorativa, interrogar-si sul ruolo dell’educazione di genere nelle scuole, raccogliendodati e informazioni sui progetti realizzati e in via di realizzazione,con un’attenzione particolare per quelli finanziati e finanziabilicon il PON ed è volto, in una seconda fase, all’individuazione dibuone pratiche di formazione prendendo in esame aspetti ine-renti la progettualità delle scuole come le metodologie didatti-che impiegate, i destinatari coinvolti, la ricaduta sul territorio ela valutazione dell’impatto delle azioni intraprese.

The promotion of equal opportunities and non-gender discrim-ination are one of the most relevant European strategic topics(EU Reg. No. 1303/2013). Starting from the projects carriedout within the funds of the National Operational ProgramNOP 2014-2020 “For the school, skills and learning environ-ments”, this study discusses this topics on the Italian schools ofall types and levels. At a later stage, good practices will be iden-tified and promoted on the use of teaching methodologies andon the involvement of the teachers and students. The results ofthe impact assessment will be also considered.

abstract

Studi

* A Daniela Bagattini è da attribuire il §3, a Samuele Calzone il § 1, a Va-lentina Pedani il § 2

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–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: educazione di genere, violenza di genere, pariopportunità, rispetto delle differenze

Keywords: equal opportunities, non-gender discrimination,respect for difference.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

Il presente lavoro, dedicato al tema dell’educazione di generenelle scuole, rappresenta uno dei risultati dell’azione di monito-raggio e ricerca condotta da INDIRE nell’ambito del Program-ma Operativo Nazionale PON 2014-2020 Per la scuola: Com-petenze e ambienti per l’apprendimento. Questo Programmaplurifondo (FSE e FESR) è destinato al potenziamento e al mi-glioramento del sistema scolastico ed rivolto pertanto a tutte lescuole di ogni ordine e grado del territorio nazionale (compresele scuole dell’infanzia e i Centri Provinciali per l’Istruzione degliAdulti), coinvolgendo studentesse e studenti, docenti, personaledella scuola, genitori, adulti. All’interno del PON, l’attenzione per il rispetto della donna

e delle differenze di genere costituisce uno dei temi strategici, inquanto la promozione della pari opportunità e la non discrimi-nazione di genere uno dei Principi orizzontali dei Fondi Europei,di cui all’art. 7 del Reg. UE n. 1303/2013. Il ruolo fondamentale che la scuola deve rivestire nell’educazio-

ne di genere è sottolineato nella normativa italiana. La Convenzio-ne di Istanbul, ratificata dal Parlamento nel 2013, impegna gli Statia intraprendere azioni per includere nei programmi e nei materialididattici delle scuole «temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di gene-re non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violentadei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le don-ne basata sul genere e il diritto all’integrità personale, appropriatial livello cognitivo degli allievi». Alla Convenzione fanno seguitoaltri interventi del legislatore, come le leggi 119/2013 e 107/2015,il Piano nazionale per l’educazione al rispetto (2017) con cui si pro-muovono iniziative di educazione al rispetto, di formazione deidocenti (p.8-10) e i Piani strategici nazionali contro la violenza sulledonne, l’ultimo relativo al quinquennio 2017-2020; entrambi iPiani hanno individuato proprio nel PON uno strumento di so-stegno alla progettualità nelle scuole per la promozione della paritàtra i sessi e la lotta alle discriminazioni.

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2. Il progetto di ricerca

Questo lavoro costituisce una fase esplorativa che intende pro-porre una riflessione sul ruolo dell’educazione di genere nellescuole; in questo senso sono raccolti dati e informazioni sui pro-getti realizzati dalle scuole, con un’attenzione particolare perquelli finanziati con i fondi del PON. In un secondo momento,alla luce dei risultati ottenuti, il lavoro si concentrerà nell’indivi-duazione di buone pratiche di formazione prendendo in esameaspetti inerenti la progettualità delle scuole come le metodologiedidattiche impiegate, i destinatari coinvolti, la ricaduta sul terri-torio e la valutazione dell’impatto delle azioni intraprese. La fase esplorativa si è aperta con un questionario semi-strut-

turato autosomministrato al Dirigente Scolastico di tutte lescuole di ogni ordine e grado, tramite software CAWI, L’indagi-ne, ancora in corso, ha lo scopo di monitorare gli ultimi tre anniscolastici osservando: il collegamento tra tematiche di genere,PTOF e Piano di Miglioramento; gli argomenti trattati negli in-terventi-educazione alle differenze di genere, prevenzione e con-trasto della violenza di genere, educazione all’affettività in un’ot-tica di genere, contrasto agli stereotipi di genere anche in relazio-ne alle scelte educative e professionali, elementi socio-culturalinella storia dei diritti delle donne; i destinatari coinvolti, il tipodi finanziamento, l’adozione di strumenti di monitoraggio e divalutazione dell’impatto.Da un’analisi dei dati molto parziale, 4,6% questionari com-

pilati sui potenziali ottenibili, è emerso che le scuole intervengo-no principalmente sulla prevenzione e sul contrasto della violen-za di genere, sull’educazione alle differenze e sul contrasto deglistereotipi e che coinvolgono nello stesso progetto di formazionestudentesse, studenti e docenti. L’approccio all’educazione di genere adottato in questo stu-

dio si delinea principalmente secondo due dimensioni: educarealla rimozione di quegli stereotipi di genere che costringonodonne e uomini in ruolo predefiniti ormai anacronistici, limi-

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tandone libertà, potenzialità e opportunità, e riconoscere e con-trastare la violenza sulla donna in tutte le sue forme: psicologica,economica, fisica. Scopo del lavoro è mettere in rilievo comequesto tipo di interventi abbiano una ricaduta positiva nel cur-ricolo delle studentesse e degli studenti, motivandoli allo studioin vista di scelte successive, rendendoli consapevoli di sé e con-tribuendo a far maturare quelle competenze di cittadinanza chenon possono non passare dal riconoscere le pari opportunità e ilrispetto dell’altra/o.

3. Educazione di genere e scuola: gli stereotipi di genere e laprevenzione della violenza

Gli stereotipi di genere rappresentano uno degli ostacoli al pienosviluppo della persona umana e, dunque, anche alle scelte forma-tive delle studentesse e degli studenti. Se si riprende la definizio-ne di orientamento di INAPP (ex ISFOL), inteso come quella“attenzione” alla persona che corrisponde alla piena espressionedella propria identità, personalità e vocazione in riferimento allarealtà in cui essa vive (Ghero, Pavoncelli, 2004, p. 50), appareevidente come esso non possa dirsi completo se permangonoquelle «vere e proprie gabbie, culturalmente costruite, entro lequali lo sviluppo dei singoli viene forzato a plasmarsi in base adaspettative sociali, stringenti, che mirano a ricondurre la varietàdelle differenze individuali in due macrocategorie polarizzate:quella maschile e quella femminile» (Biemmi, 2010, p. 38). I dati MIUR sulle iscrizioni per l’a.s. 2017/18 al primo anno

della scuola secondaria di secondo grado, mostrano come ancorasia necessario lavorare sul tema delle pari opportunità: nei Licei,dove notoriamente è più alta la percentuale di femmine, questesono la minoranza nell’Indirizzo Sportivo, nell’opzione ScienzeApplicate e nel Liceo Scientifico. La scuola può rappresentare, inoltre, in un’ottica preventiva,

un’occasione di formazione al riconoscimento de segni della vio-

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lenza anche nelle sue forme più subdole come quella psicologica,quella economica, il mobbing, sia nelle relazioni tra pari sia inquelle intimo-affettive (Associazione Nondasola, 2014). I dati dei Centri antiviolenza toscani, a cui si rivolgono le

donne che si trovano o che si sono trovate in una situazione diviolenza, spesso domestica, evidenziano come intervenire nellescuole porti a un’emersione del fenomeno: crescono le richiestedi aiuto ai Centri, sia spontanei, sia da parte di donne indirizzatedalle figlie/i (Bagattini, Pedani, 2018).Il tema della violenza sulla donna è, infatti, fortemente con-

nesso alla violenza assistita che vivono i minori quando le madrisubiscono violenza. Per violenza assistita s’intende: «l’esperire daparte della/del bambina/o e adolescente qualsiasi forma di mal-trattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale,psicologica, sessuale, economica e atti persecutori (c.d. stalking)su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significa-tive, adulte o minorenni… Il/la bambino/a o l’adolescente puòfarne esperienza direttamente (quando la violenza/omicidio av-viene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il/laminorenne è o viene a conoscenza della violenza/omicidio), e/opercependone gli effetti acuti e cronici, fisici e psicologici…»(CISMAI, 2017, p. 17). La violenza assistita, che produce gli stessi danni della violenza

diretta (Luberti, Pedrocco Biancardi, 2005), può essere conside-rata uno dei possibili fattori che determinano comportamenti an-tisociali: come bullismo, cyberbullismo e dispersione scolastica.

Riferimenti bibliografici

Associazione Nondasola (ed). (2014). Cosa c’entra l’amore? Ragazzi, ra-gazze e la prevenzione della violenza sulle donne. Roma: Carocci

Bagattini, D., & Pedani, V., I dati dei Centri antiviolenza. In GarvinP., Brunori S., Nono rapporto sulla violenza di genere in Toscana.Un’analisi dei dati dei centri antiviolenza, (pp. 45-94).

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Biemmi, I., (2010). Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delleelementari. Torino: Rosenberg & Sellier.

CISMAI. (2017). Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenzaassistita, http://cismai.it/requisiti-minimi-degli-interventi-nei-casi-di-violenza-assistita/, p. 17

Ghero, F., & Pavoncello, D. (ed). (2004). Accreditamento delle sediorientative. Glossario, ISFOL Roma.

Luberti R., & Pedrocco Biancardi, M.T. (eds). (2005). La violenza as-sistita intrafamiliare. Percorsi di aiuto per bambini che vivono in fa-miglie violente.Milano: Franco Angeli.

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II.6 –––––––––––––––––Progetti di rete e teacher change: una combinazione possibile? Network projects and teacher change: a possible combination? –––––––––––––––––Andrea CianiUniversità di Bologna

I Progetti di Rete per il miglioramento scolastico sono deglistrumenti didattico-organizzativi utili per il teacher change?Come promuovere negli insegnanti convinzioni progettualiche contrastino una visione rigida, estemporanea e intrinseca-mente selettiva della progettazione? Sono questi gli interroga-tivi che guidano la presente ricerca, impegnata ad analizzare ecomprendere come le progettazioni di Reti di scuole su obiet-tivi comuni di miglioramento possano essere una modalità uti-le e importante per sostenere il cambiamento degli insegnanti,dando seguito alle indicazioni emerse da RAV e PdM (Legge107/15).L’oggetto della ricerca sono le convinzioni progettualidegli insegnanti di 12 scuole della Regione coinvolte in 3 pro-getti di Rete per il miglioramento scolastico. Lo scopo di que-sta indagine longitudinale di panel è monitorare quanto, neltempo, le attività e la formazione permanente previste dai treProgetti di Rete, e indirizzate a sostenere la progettazione di-dattica per competenze, riesca a correlare con la progressiva co-struzione di convinzioni progettuali maggiormente positive,ancorate a costrutti di collegialità, confronto, intenzionalità,flessibilità e dinamicità.

Are School Network Projects for the improvement of educa-tional and organizational tools for teacher change? How could

abstract

Ricerche

* Il gruppo di ricerca interdisciplinare è composto da Ira Vannini e AndreaCiani (Area della Pedagogia Sperimentale) e Dina Guglielmi e Greta Maz-zetti (Area della Psicologia del lavoro e delle organizzazioni).

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we promote teachers’ planning beliefs that contrast a rigid, ex-temporaneous and intrinsically selective vision of the instruc-tional planning? These are the questions, aimed to analyze andunderstand how School Network Projects of improvement’scommon goals could be a useful and important way to supportteacher change, following the indications derived from RAVand PdM (Italian Law 107/15). The research focuses on theplanning beliefs of the teachers of 12 schools in the Region in-volved in three Network Projects for school improvement. Thepurpose of this longitudinal panel survey is to monitor how,overtime, the activities and continuing training provided bythe three Network Projects aims to support didactic planningfor skills. These skills may correlate with the progressive build-ing of more positive planning beliefs, connected to collegiality,discussion, intentionality, flexibility and dynamism.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Convinzioni; Formazione degli insegnanti; In-dagine longitudinale; Progetti di Rete; Teacher change

Keywords: Teacher Beliefs; Teacher training; Panel Survey;Network Projects; Teacher change

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1. Quadro teorico

Le Reti di scuole, introdotte con il decreto 275/99, «istituziona-lizzate» con la legge 107/15 e successive regolamentazioni sonoormai una realtà del panorama scolatico italiano.U.S.R.-EmiliaRomagna ha emanato due Bandi (USR- Emilia Romagna,20015;2016) sulla base del D.M. 435/2015, art 25 e al D.M.663/2016 per realizzare azioni di miglioramento nelle aree criti-che dando valore a progettualità di Rete «…per incentivare e al-largare quella riflessione che aveva preso il via in ogni scuola conRAV e PDM » . Nella cornice teorica degli studi del teacherchange (Guskey,1986; Clark, Peter, Hollingsworth, 2002; Gre-goire, 2003) e delle caratteristiche della formazione permanenteorientata al cambiamento state delineate da Short ed Echevarria(1999), Mazzarella (1980), Porter, Garet, Desimone, Yoon &Birman,2000), è stata avviata questa ricerca.

2. Disegno della ricerca

La ricerca, promossa e finanziata da USR-Emilia Romagna, econdotta da un Gruppo di Ricerca interdisciplinare1 del Dipar-timento di Scienze dell’Educazione dell’Alma Mater StudiorumUniversità di Bologna, si configura come un’indagine longitudi-nale di panel di tipo osservativo. La peculiarità osservativa diquesta ricerca nasce dal bisogno di conoscere e descrivere la realtàdei Progetti di Rete, al fine di definire al meglio le caratteristichedi quella che si ipotizza essere la variabile indipendente della ri-cerca. Il disegno della ricerca prevedeva due rilevazioni sullo stes-so panel di insegnanti in servizio, attraverso lo strumento delquestionario: una all’inizio dei corsi formativi dei Progetti di Re-te (maggio-giugno 2017) e una alla fine (maggio-giugno 2018).Per approfondire e contestualizzare maggiormente i dati derivan-ti dalla somministrazione del questionario, prima delle rilevazio-ni sono state avviate un’attenta analisi dei Progetti di Rete (d’ora

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in poi PDR) con griglia di analisi con indicatori di qualità pro-gettuale e interviste semi-strutturate ai referenti delle Reti (i di-rigenti scolastici delle scuole capofila) che avevano compiti diprogettazione, coordinamento e implementazione dei PDR. Inquesta fase sono presentati i dati relativi alla prima rilevazione.L’oggetto della ricerca di questo studio osserativo-correlazionalesono le convinzioni progettuali degli insegnanti e lo scopo dellastessa è di analizzarle, al fine di cogliere il cambiamento auspica-to e promosso dai Progetti di Rete. L’altra finalità della ricerca,più ampia, è stata quella di indagare se i PDR potevano essereuno strumento didattico organizzativo capace di promuovere ilcambiamento di convinzioni e pratiche degli insegnanti. Secon-do letteratura indicatori di utilità, applicabilità nella pratica di-dattica, impatto nella performance didattica individuale e dellascuola sono elementi fondamentali per corsi che supportano losviluppo professionale e il teacher change: per questo motivo si èproceduto a creare, con i suddetti indicatori, un Indice di effica-cia e qualità dei PDR per osservare le relazioni con le variabili.Le variabili dipendenti sono dunque le convinzioni sulla proget-tazione didattica degli insegnanti, legate a due precise visioni po-sitive: la prima di utilità e la seconda di dinamicità e flessibilità.La variabile indipendente principale è invece rappresentata daiProgetti di formazione permanente per insegnanti in servizio diogni scuola partecipante a Reti di scuole costituite su obiettivicomuni di miglioramento ermersi da RAV e PDM. Altre varia-bili del disegno correlazionale sono state considerate come ulte-riori variabili indipendenti, o potenziali mediatori, tra l’influen-za del PdR sul cambiamento e le concezioni progettuali dei do-centi come la soddisfazione lavorativa, la leadership e la leaders-hip centrata sull’apprendimento.Le ipotesi di ricerca sono le seguenti:

– la formazione, esperita all’interno dei PDR con caratteristi-che di efficacia e qualità, promuove convinzioni progettualimaggiormente positive, dinamiche e flessibili nei docenti ri-

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spetto alla formazione PDR che non avevano le medesime ca-ratteristiche;

– i PDR che hanno un indice di efficacia e qualità medio-altocorrelano maggiormente con convinzioni di progettuali posi-tive, di utilità e dinamicità/flessibilità.

Il tipo di campionamento individuato per questa ricerca èquello di giudizio o per obiettivi (Bailey,1978; Lucisano P., Sa-lerni A.,2002). La composizione del campione è stata condizio-nata dalla disponibilità delle Reti e delle singole scuole ad aderireall’indagine, dalla necessità di garantire una certa rappresentanzaterritoriale della Regione, dall’esigenza di selezionare Progetti diRete aventi la stessa tematica. Le reti, corrispondenti a questi re-quisiti e quindi rientranti nel campione, erano tre. Le diverseformazioni organizzate nelle tre Reti sono iniziate nell’anno2016 e terminate nella primavera del 2017. Le Reti avevano giàlavorato su obiettivi comuni nell’annualità precedente, esperien-za propedeutica e funzionale a supportare l’esperienza formativasuccessiva.Il campione era perciò formato -secondo dati USR- da 883

docenti e hanno scelto di partecipare all’indagine, compilando ilquestionario, 672 insegnanti di ogni ordine e grado, pari al 76,1% degli insegnanti delle tre Reti. I 672 docenti partecipanti era-no così suddivisi: 136 Rella rete di Bologna, 162 nella Rete diFerrara e 374 nella Rete di Ravenna.

3. Risultati

All’inizio della ricerca, a seguito dell’analisi dei PDR e all’inter-vista al Referente è emersa una maggiore attenzione ai bisogniformativi dei docenti nella Rete Ravennate, confermata anchenell’analisi dei dati in tutti i valori medi negli indicatori di effi-cacia e qualità dei PDR che sono superiori a quelli delle altre Re-ti.Tenuto conto della diversa numerosità campionaria riportata

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dalle tre Reti, è possibile notare (vedi tab.1) che nelle Reti di Bo-logna e Ferrara l’Indice di efficacia e qualità PDR mostra una re-lazione non significativa con la visione positiva e dinamica dellaprogettazione. Pertanto, è possibile sostenere che soltanto nellaRete di Ravenna al crescere dell’Indice di efficacia si associa unavisione maggiormente positiva e dinamica della progettazione.Nella Rete di Ferrara, inoltre, la non significatività riguarda an-che l’associazione tra l’Indice di efficacia PDR e la percezione diutilità della progettazione e tra suddetto Indice e la soddisfazionelavorativa riportata dai docenti.

Tab.1. Correlazioni tra Indice di efficacia e qualità dei PDR con percezione diutilità della progettazione e visione positiva e dinamica della progettazione.

4. Conclusioni

La prima fase di questa ricerca ricerca longitudinale ha mostratocome, già all’inizio dell’esperienza dei PDR, una struttura mag-giormente condivisa e metodologicamente più solida rispetto adun quadro teorico di progettazione formativa efficacia e di qua-lità come quella della Rete ravennate, correlasse positivamentecon percezioni di utilità (in questo caso anche significamente) edi dinamicità della progettazione didattica. Occorre però speci-ficare che in questa fase si può solo ipotizzare un’influenza deiPDR sulle variabili dipendenti perché si stanno effettuando inquesto momento le analisi della regressione. Inoltre, si stanno

Indice di efficacia equalità dei PDR

CAMPIONERETE

BOLOGNARETE DIFERRARA

RETE DIRAVENNA

Percezione di utilitàdella progettazione

0,24** 0,26* 0,11 0,30**

Visione positiva edinamica della progettazione

0,20** 0,19 0,16 0,15*

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anche analizzando i dati della seconda rilevazione per compren-dere quanto la variabile “tempo” e quindi l’intera articolazionedella formazione abbia eventualmente o ulteriormente modifica-to le convinzioni progettuali degli insegnanti.

Riferimenti bibliografici

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Short, D., & Echevarria, J. (1999). The Sheltered Instruction Observa-tion Protocol: A Tool for Teacher-Researcher Collaboration and Profes-

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sional Development. Educational Practice Report, Santa Cruz, CAand Washington, DC, Center for Research on Education, Diversity& Excellence.

USR E-R, Nota n. 13417 dell’8.10.2015: Avviso pubblico del 15 settem-bre 2015, prot. 937 per la presentazione, da parte delle istituzioni sco-lastiche, di proposte progettuali riguardanti l’attuazione dei Piani diMiglioramento elaborati in esito al processo di Autovalutazione di cuialla lettera a dell’art. 25 comma 2 del D.M. 16 giugno 2015 n.435.

USR E-R, Nota n. 16362 del 20.10.2016: Avviso pubblico per la pre-sentazione, da parte delle istituzioni scolastiche, di proposte progettualiconcernenti la definizione e attuazione di interventi di miglioramento(art. 27 comma 2 lettera a del D.M. n. 663 dell’1.09.2016, D.D. n.1046 del 13.10.2016).

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II.7 –––––––––––––––––Didattica della comprensione del testo in ambiente col-laborativo. Una ricerca quasi sperimentaleFostering reading comprehension through collaborativestrategies. A quasi-experimental study –––––––––––––––––Roberta Cardarello, Andrea PintusUniversità di Modena e Reggio Emilia

La ricerca affronta il tema della capacità di comprensione deltesto, che è notoriamente centrale per la crescita culturale degliallievi, e spesso carente presso quanti appartengono ad am-bienti culturali svantaggiati. È stato concepito e implementatoun breve intervento didattico per allievi di scuola primaria in-teso a stimolarne in particolare le abilità di integrazione del te-sto e le abilità inferenziali. La metodologia oggetto della speri-mentazione utilizza principi provenienti dalla strategia dell’in-tervento individualizzato centrato sul lettore (Lumbelli 2009)integrandoli con modalità del lavoro collaborativo in coppia, edella discussione in classe. La metodologia è stata indagata at-traverso un disegno quasi-sperimentale con 106 allievi di quar-ta primaria. L’analisi della varianza a due vie con disegno mistoha evidenziato un effetto positivo del trattamento sperimenta-to (F (1, 102) = 4,747, p < ,05); inoltre la misura dell’effect sizerileva un marcato miglioramento nel gruppo sperimentale ri-spetto al gruppo di controllo (0,643 vs 0,248), in particolareper gli allievi meno competenti. Più estese indagini appaiononecessarie ma il breve training appare sia efficace che sosteni-bile nella scuola.

This study deals with the topic of reading comprehension, acrucial skill for the students cultural development, that is lack-ing in those who belongs to disadvantaged socio-cultural envi-ronments. Particularly, according to the individualized inter-

abstract

Ricerche

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vention centered on the reader methodology (Lumbelli, 2009)integrated with a collaborative pairs work activity and classdiscussion it was designed and carried out a short didactic in-tervention for primary school students in order to stimulateboth text integration and inferential skills. This teachingmethod was investigated through a quasi-experimental designwith 106 primary school students. The analysis of two-waymixed ANOVA showed a positive effect of the treatment (F (1,102) = 4,747, p < 0,05); the effect size shows a marked im-provement in the experimental group compared to the controlgroup (0.643 vs 0.248), particularly for the less competentstudents. More extensive investigations appear necessary butthe short training appears both effective and sustainable in theschool.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Comprensione del testo, ricerca didattica, col-laborazione tra pari, scuola primaria

Keywords: text comprehension, educational research, collab-orative strategies, primary school

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

La capacità di leggere e comprendere testi scritti è di riconosciutacentralità tra le competenze chiave per l’apprendimento perma-nente delineate dal quadro di riferimento europeo del 2006, en-tro l’ambito della competenza nella madrelingua, e risulta un fat-tore decisivo della riuscita scolastica di «tutti e di ciascuno».Al tempo stesso è comprovato che la capacità di comprendere

testi scritti discrimina precocemente gli studenti svantaggiati: sitratta infatti di un aspetto della literacy fortemente connesso allepratiche culturali e influenzato dai contesti sociali e linguistici, enon riducibile a forme di ‘disturbo’ o di deficit della capacità dicomprensione (De Beni, Pazzaglia, 1995). La ricerca ha docu-mentato da tempo la natura multicomponenziale del processo dicomprensione del testo, che implica disponibilità lessicale, capa-cità di riconoscere informazioni esplicite e di generare inferenze,abilità di integrare le informazioni, capacità di riconoscimentodella tipologia di testo, e l’azione che vi svolgono strutture e pro-cessi cognitivi diversi, dalla memoria di lavoro, alla disponibiltàdi vocaboli, dalla produzione di inferenze al processo di control-lo della comprensione (Cain, Oakhill, Bryant, 2004). Le indagini internazionali, oltre a documentare sistematica-

mente la correlazione tra provenienza socioculturale e successonella capacità di comprensione del testo, sottolineano la criticitadi alcuni processi di comprensione, come l’abilità inferenziale equella di integrare le informazioni presenti nel testo, seppure va-riamente definita in diversi approcci. Il dato risulta confermatoanche per gli studenti italiani come emerge dai Rapporti PISAOCSE 2015 e IEA PIRLS 2016. Mentre è sviluppata, anche in Italia, l’area della valutazione

della comprensione, sono meno studiati e diffusi modelli di in-segnamento per il potenziamento delle capacità di comprensio-ne; alcuni di essi poi assumono una accentuata caratterizzazioneclinica, e altri comportano una struttura esercitativa macchinosa,focalizzata su abilità da esercitare e poco sensibile alla natura dei

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diversi testi; altri ancora si ripromettono di insegnare strategieper la comprensione che riguardano di fatto attività di studio edi apprendimento dai testi (Gentile, 2017) che implicano il pro-cesso vero e proprio di integrazione del testo, ma non lo tematiz-zano in modo diretto.

2. Obiettivo della ricerca

La ricerca realizzata si è proposta di affrontare esplicitamente ilprocesso di comprensione del testo in quanto tale, e cioè queiprocessi che intervengono ordinariamente durante la lettura, e diassegnare un rilievo particolare a quelli che risultano sia centraliin tutte le teorizzazioni, a partire dal modello di Kintsch (1998),sia carenti presso gli scolari e gli studenti meno avvantaggiati, ecioè l’integrazione di informazioni contenute nel testo e la pro-duzione di inferenze testuali. A tal fine si è inteso allestire e testa-re un breve intervento didattico che coinvolgesse tutti gli allievidi una classe, e non solamente quelli eventualmente carenti sulpiano della comprensione, e che si configurasse come ben gesti-bile e sostenibile in un contesto classe di scuola primaria.

3. Metodologia

Questa prima sperimentazione, svolta con allievi di quarta pri-maria (a.s. 2016-2017), si è focalizzata sulle loro abilità di inte-grazione delle informazioni testuali e sulle abilità inferenziali(Kintsch, 1998; Colby, 2016), attraverso una strategia di inse-gnamento concepita ad hoc e che si caratterizza per l’utilizzo ditesti naturali (Lumbelli, 2009), sia narrativi che informativi, eper una metodologia centrata sul lavoro di coppia.La metodologia messa a punto combina criteri provenienti

dalla strategia dell’intervento individualizzato centrato sul letto-re (Lumbelli 2009) con criteri del lavoro collaborativo in coppia

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(Holcomb, 2001; Palincsar, Brown 1984, 1987; Cekate et al.,2014). Più precisamente si sono tradotti gli assunti di “seguire ilpiù possbile il pensiero del lettore” (Lumbelli, 2009; Fish, 1987)attraverso due passaggi cruciali: individuazione di passaggi piùcomplessi del testo dal punto di vista della integrazione testuale,elaborazione di quesiti ceentrati su tali nodi, e proposta di taliquesiti ai lettori durante la lettura del brano, e non alla fine delbrano, come invece accade nei test di verifica. I quesiti, sia a ri-sposta aperta che a risposta chiusa, erano affrontati dagli allieviche in coppia elaboravano e scrivevano congiuntamente una ri-sposta convincente (Holcomb, 2001; Topping, 2005; Pontecor-vo et al., 1991; Sibona, 2014). Una discussione collettiva, con-dotta dall’insegnante, centrata sulle risposte date dalle coppie,forniva occasione di ulteriore approfondimento e assicurava unfeedback mirato sul processo di integrazione da realizzare (Hat-tie, Timperley, 2007). Questa metodologia è stata realizzata con 5 testi in altrettante se-

dute ed è stata condotta di insegnanti e studenti tirocinanti del Cor-so di Laurea di Scienze della formazione primaria (UNIMORE),dopo un training di formazione centrato sui testi stessi della duratadi 12 ore. I testi scelti provengono in quattro casi da prove rilasciatePIRLS (IEA ICONA, 2001; 2006; e INVALSI (2007), in uno daun libro di testo per la terza elementare (CETEM, 2004).La comprensione degli allievi, prima e alla fine dell’esperienza

è stata accertata utilizzando prove MT di comprensione (Cor-noldi, Colpo, 2004) rispettivamente ‘intermedia’ e ‘finale’ per laclasse quarta, e sottoposte ad un equivalente gruppo di controllo. Inizialmente i soggetti coinvolti nello studio sono stati 134, di

cui 79 inseriti nelle classi in cui è stato realizzato il percorso didat-tico (gruppo sperimentale) e 55 nelle classi di controllo. Da questapopolazione è stato estratto casualmente un campione di 106 sog-getti in modo che i due gruppi da mettere a confronto (sperimen-tale, N = 51; di controllo, N = 55) fossero equivalenti per quantoriguardava le prestazioni iniziali alle prove MT d’ingresso.

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4. Risultati

L’analisi della varianza a due vie con disegno misto ha evidenzia-to un effetto positivo del trattamento sperimentato (F (1, 102) =4,747, p < ,05); inoltre la misura dell’effect size rileva un marcatomiglioramento nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo dicontrollo (0,643 vs 0,248). Al fine di indagare l’efficacia della metodologia didattica rea-

lizzata in funzione del livello di competenza iniziale nella com-prensione dei testi, è stata messa a confronto la misura dell’im-patto del trattamento degli alunni inizialmente più “deboli” conquella degli alunni più “competenti”, cioè, quelli che al test ini-ziale presentavano delle valutazioni, in un caso inferiori al primoquartile della distribuzione generale dei punteggi ( ≤ 7) e nell’al-tro superiori al terzo quartile ( > 8).

Fig. 1: Comprensione del testo (MT) nel gruppo sperimentale e nel gruppo di controllo,

e sulla base del livello di competenza iniziale

!

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Come si evidenzia dalla figura 1, in entrambi i gruppi (speri-mentale e di controllo) emerge un effetto più accentuato del trat-tamento con i soggetti più “deboli” rispetto ai più “competenti”.Nel gruppo sperimentale l’effetto del trattamento è in entrambii casi positivo e superiore al valore soglia (ES = 0,40) adottato inletteratura per identificare gli effetti desiderabili (Hattie, 2016).L’effetto risulta comunque particolamente positivo nel caso deisoggetti più “deboli” (ES = 1,60).Nel gruppo di controllo emerge un effect size superiore al va-

lore soglia solo nel caso dei soggetti più “deboli”, mentre nel casodegli alunni più “competenti” il valore assume perfino un valorenegativo (ES = - 0,1).Anche se i risultati si riferiscono ad un piccolo campione di

studenti, la metodologia appare promettente tenendo conto del-la esiguità della durata e della sua ampia sostenibilità in contestiscolastici ordinari. Esperienze più ampie sia nella dimensionetemporale sia per numero di partecipanti ne permetteranno unapiù accurata valutazione.

Riferimenti bibliografici

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De Beni, R., & Pazzaglia F. (1995). La comprensione del testo. Modelliteorici e programmi di intervento. Torino: UTET Università.

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Kintsch, W. (1998). Comprehension. A paradigm for cognition. Cam-bridge, MA: Cambridge Univesity Press.

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Palincsar, A. S. & Brown, A. L. (1984). Reciprocal teaching of Com-prehension fostering and Comprehension monitoring activities.Cognition and Instruction, 1 (2), 117-175.

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II.8 –––––––––––––––––Un curricolo per la scuola dell’obbligo a partire dal pensiero degli insegnantiA compulsory school curriculum based on teachers’ thinking –––––––––––––––––Maila PentucciUniversità degli Studi di Macerata

Il contributo presenta la fase esplorativa di un percorso di ri-cerca-formazione per indagare il pensiero degli insegnanti sulcurricolo di istituto, a proposito del senso e del ruolo di tale ar-tefatto e della sua costruzione.Le prospettive teoriche di riferimento riguardano da un latol’ambito dei Curriculum Studies, per cui il curricolo è un pia-no di azione pedagogica, che supera una visione tecnicistica dicodificazione dei saperi; dall’altro la valorizzazione del pensie-ro e del sapere degli insegnanti sulle pratiche. Dal punto di vista metodologico, si è trattato di raccogliere edocumentare le scritture riflessive dei docenti per farne emer-gere gli impliciti propri della cultura di comunità. Esso si espli-cita in forma di coppie dicotomiche che dal piano lessicale sispostano a quello delle concezioni: rigido-flessibile; condiviso-non condiviso; verticale-orizzontale; analitico-sintetico; astrat-to-concreto. Intorno a questi aggettivi si sviluppa la riflessionedei docenti tra evidenze riscontrate nella pratica e necessità/vo-lontà di trasformazione.

The paper presents the exploratory phase of a research-train-ing path to investigate the teachers’ thinking on the Curricu-lum: what are the meaning and the role of this artifact?The theoretical perspective concerns the field of CurriculumStudies; according to this theory, the curriculum is a pedagog-ical action plan, which goes beyond a technical vision ofknowledge codification; Furthermore, it fits into the perspec-tive of Teachers’ thinking and of knowledge in practices. From a methodological point of view, the reflective writings of

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teachers have been collected and analyzed, to bring out the im-plicit aspects of the culture of community. Five dichotomouspairs, concerning both the lexical plane and the conceptualplane, have been identified: rigid-flexible; shared-not shared;vertical-horizontal; analytical-synthetic; abstract-concrete.The reflection of the teachers develops from these adjectives,between evidence found in practice and instances of transfor-mation.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Curricolo; Scritture riflessive; Professionalizza-zione; Pensiero degli insegnanti

Keywords: Curriculum; Reflective Writings; Professionaliza-tion; Teachers’ Thinking

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1. Introduzione

Il presente saggio descrive la fase esplorativa di un percorso diricerca/formazione (Wentzel, 2008) sul Curricolo condotto conun gruppo di 199 insegnanti, attivato presso il centro TincTecdell’Università di Macerata. L’idea per il percorso è generata dal-la centralità assegnata al curricolo dalle Indicazioni Nazionalidel 2012, che lo definiscono strumento in grado di esplicitare«le scelte della comunità scolastica e l’identità dell’istituto» e nedevolvono la costruzione alle scuole. Per questo motivo i docen-ti lo avvertono come un’urgenza rispetto alla quale sono in cercadi modelli o di suggerimenti operativi, in grado di sostenere laproduzione di un documento che non sia un semplice adempi-mento burocratico, ma assolva ai compiti di sviluppare ed orga-nizzare la ricerca e l’innovazione. La risposta a tale bisogno è sta-ta quella di avviare un processo in cui teoria e pratica potesserodialogare ed interagire, al fine di comprendere le esigenze dellescuole e di co-costruire artefatti progettuali utili anche per ri-pensare ed arricchire l’orizzonte teorico di riferimento (Magno-ler, 2012).

2. Il disegno di ricerca

Poste tali premesse, il modello utilizzato è stato quello della Ri-cerca Collaborativa (Vinatier & Morrissette, 2015): la fase esplo-rativa ha avuto lo scopo di co-situare il problema, cercando di in-dagare il pensiero degli insegnanti (Perkins & Swartz, 1990; Per-renoud, 2005) in merito alle questioni ritenute centrali sul cur-ricolo: quale senso e quale ruolo esso ha o dovrebbe avere rispettoalle loro pratiche.Il riferimento è quello dei Curriculum Studies (Stenhouse,

1991), nella corrente che considera il curricolo come un piano diazione pedagogica, che supera una visione tecnicistica di codifi-cazione dei saperi (Joannert, 2011) e organizza le relazioni tra

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elementi epistemici, pedagogici, strategici, didattici ed educativi(Scott, 2014). L’esplorazione del pensiero dei docenti per rilevaregli elementi di allineamento alle teorie di riferimento è stata pri-ma condotta entro un focus group, costituito da venti docenti,in grado di attivare posture di tipo riflessivo e restitutivo rispettoalle pratiche ed alle problematiche scolastiche (Montalbetti,2017). Attraverso domande a basso livello di strutturazione sonoemerse delle interessanti convergenze di pensiero (Acocella,2015) su questioni fondanti riguardanti la natura del curricolo ele attese rispetto all’operazionalizzazione dello strumento. Inparticolare, sono state identificate le funzioni del curricolo, ilquale viene percepito come organizzatore del lavoro docente, alivello sia collettivo, di comunità che individuale; come guidaper il ripercorrimento della pratica ed infine come sostegno epunto di riferimento nel momento della progettazione tanto delpercorso annuale quanto dei singoli interventi quotidiani in clas-se. La restituzione di quanto emerso è stata formalizzata in unaserie di logiche sottese all’idea di curricolo che si veniva co-fon-dando: una logica flessibile, per cui lo strumento deve essere ingrado di adattarsi ai contesti in trasformazione ma anche allaflessibilità interna all’organizzazione delle situazioni (P.G. Rossi,2017), una logica generativa che favorisca tanto la produzionedelle pratiche, quanto la riflessività del docente (Pentucci, 2018),una logica situata per cui il curricolo sia la reificazione della tra-sposizione didattica, adeguata al contesto sociale di riferimento(Martinand, 2001).Partendo da tali spunti, sono state poi assegnate ai docenti al-

cune consegne (un questionario e due forum) da realizzare indi-vidualmente in forma scritta. Le scritture ottenute da tali consegne sono state indicizzate

per autore: di ciascun docente è stato composto uno storytellingindividuale, articolato in fase narrativa e fase interattiva (Mezi-row, 2003; B. Rossi, 2012), analizzato in base alle regole del con-fronto dialettico e cercando di cogliere le profondità delle argo-mentazioni sui vari punti di vista (Fabbri, 2011). Il corpus inol-

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tre è stato sottoposto a taggatura in base alle occorrenze lingui-stiche (Ferrari & Piccardi, 2010), utili per isolare delle concet-tualizzazioni comuni e ricorsive.

3. Emersioni

Questa parte del lavoro ha consentito di osservare l’emersione diuna serie di coppie dicotomiche sia sul piano linguistico che con-cettuale (Jakobson, 2002), che hanno rifocalizzato una riletturaindicizzata delle scritture riflessive; tali dicotomie aggettivali rap-presentano una prima descrizione di ciò che è e di ciò che, secon-do l’idea dei docenti, dovrebbe invece essere il curricolo per di-ventare un reale sapere-strumento (Altet, 2008) utile a leggere lapratica nelle sue diverse dimensioni (Altet, 1996) ed a sostenerele procedure di progettazione e di azione. Le coppie isolate neitesti sono le seguenti:– Rigido vs. flessibile: i docenti ritengono che una eccessivastrutturazione dello strumento curricolare, dovuta spesso al-l’adozione di modelli predefiniti sia troppo stringente e pre-feriscono uno strumento a maglie larghe, che presenti lineeguida orientativa, piuttosto che tabelle ingabbianti entrostrutture predefinite (Magnoler & Pentucci, 2017).

– Condiviso vs. non condiviso: la strutturazione del curricoloviene spesso affidato a commissioni non sempre ispirate dauna vision condivisa in collegio. Gli insegnanti esprimono ilbisogno di momenti formativi e di condivisione che rendanotrasparenti i meccanismi insiti nel percorso curricolare.

– Astratto vs. concreto: nel momento in cui al curricolo vienericonosciuta una reale aderenza ai bisogni ed al profilo realedell’istituto di riferimento, esso diventa sostegno alla proget-tazione individuale degli insegnanti (P.G. Rossi, 2017).

– Orizzontale vs. verticale: i docenti hanno considerato la pro-gettazione curricolare come uno spazio di reale confronto edincontro tra i vari gradi scolastici interni all’Istituto Com-

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prensivo, una realizzazione della verticalità che ha sempre fa-ticato ad esprimersi nella concretezza delle pratiche (Rubi-nacci, 1998).

– Analitico vs. sintetico: ove la verticalità non si è realizzata maha prodotto una segmentazione eccessiva tra ordini scolastici,i docenti trovano lo strumento sbilanciato; in altri casi lamen-tano la presenza di troppi elementi: si ritorna all’idea di uncurricolo più orientante e generativo che istruzionista.

4. Conclusioni provvisorie

La rilettura delle tracce alla luce dei descrittori identificati puòdeterminare una prima idea del pensiero degli insegnanti: essichiedono al curricolo di essere sia guida che strumento mobile,che possa fare da specchio al contesto di riferimento ma anche daorientatore delle scelte pedagogiche, didattiche, traspositive.Si contrappone dunque una logica «ill structured», ovvero

aperta a diverse interpretazioni e manipolabile in base alle esi-genze della situazione didattica ed all’habitus del docente, che èquella auspicata e richiesta, ad una logica «well structured», cioèrigida e definita, che impone un percorso da seguire e modi direalizzazione nella pratica stringenti e già segnati (Jonassen,1997). Alla luce di questi bisogni, la seconda fase della ricerca vuole

costruire un framework di riferimento pedagogico che si confi-guri come uno strumento di progettazione rispondente alle ri-chieste messe in luce dalle dicotomie esplicitate. L’utilizzo è quel-lo di accompagnare o sostenere la strutturazione del curricolo diistituto, affinché esso diventi la carta di identità educativa degliistituti scolastici, che abbia rapporti di allineamento (P.G. Rossi,2016), ma non di causa-effetto, con la progettazione. Per questoverrà avviata una più profonda indagine, attraverso interviste didécryptage (Faingold, 2011) e momenti di Co-esplicitazione (Vi-natier & Altet, 2008), per far emergere i significati soggiacenti

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alla pratica di costruzione del curricolo: pratica non d’aula ma disistema, analogamente ascrivibile tra le competenze – chiave nelprofilo professionale del docente.

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II.9 –––––––––––––––––Multilateralità, qualità e quantità per una didattica inclusivain Educazione Fisica nella scuola primariaMultilaterality, quality and quantity for an inclusive Physical Education in primary school –––––––––––––––––Andrea CecilianiUniversità di Bologna

Nell’ambito dell’educazione motoria emerge la necessità di unmodello educativo basato sull’esperienza personalizzata e sulvissuto senso-motorio, nella continua interazione con l’am-biente, come espressione delle proprie competenze e del pro-prio talento. L’approccio multilaterale sostiene modelli didat-tici che enfatizzano le potenzialità soggettive, attraverso meto-dologie flessibili, capaci di includere ogni singolo bambino insituazioni motorie coinvolgenti e motivanti che sollecitanocomportamenti intelligenti in situazioni problematiche. Afronte di generazioni infantili sedentarie la multilateralitàestensiva non sembra capace di risolvere le tendenze involutivedelle capacità motorie evidenziate dai bambini. Due studisvolti nella scuola primaria, evidenziano la necessità di integra-re la multilateralità estensiva con la multilateralità intensiva el’approccio qualitativo a quello quantitativo, per garantireesperienze educative che possano sollecitare in modo efficace ecompleto, lo sviluppo delle competenze psico-motorie deibambini e, nel contempo, educarli a competenze trasversali (li-fe skills) come gli stili di vita attivi.

In the field of Physical Education, it is clear the need for an ed-ucational model based on personalized experience and sensor-ial-motor involvement, in continuous interaction with the en-vironment, as an expression of one’s own skills and talent. Themultilateral approach supports teaching models that empha-size subjective potentials, through flexible methodologies, ableto include every single child in engaging and motivating mo-tor situations that stimulate intelligent behavior in problemat-

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ic situations. In presence of sedentary childhood generations,extensive multilaterality does not seem able to solve the regres-sive tendencies of children’s motor skills. Two studies conduct-ed in primary school highlight the need to integrate extensivemultilaterality with intensive multilaterality and the qualita-tive approach to quantitative approach, to ensure educationalexperiences that can effectively stimulate the development ofchildren’s psycho-motor skills and, at the same time, educatingthem to life skills such as active lifestyles.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: inclusione, multilateralità, educazione fisica,scuola primaria, didattica

Keywords: inclusion, multilaterality, physical education, pri-mary school, didactics

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1. Introduzione

Promuovere modelli educativi basati su una didattica inclusiva,capace di coinvolgere tutti i bambini e di sollecitare lo sviluppodi competenze trasferibili (soft skills), significa utilizzare strate-gie efficaci nel raggiungere risultati personali concreti e nel soste-nere la partecipazione alle attività. Un tale approccio, estrema-mente inclusivo, consentirebbe ad ogni singolo allievo sia di eli-citare il senso di autoefficacia sia di sostenere la motivazione al-l’agire e al mettersi in gioco nel processo formativo.Nell’ambito dell’educazione motoria-fisica-sportiva1, il di-

battito pedagogico è attento e orientato verso modelli persona-lizzati di insegnamento. In altri termini emerge con sempre mag-giore forza il bisogno di una educazione basata sull’esperienzasoggettiva rispetto all’esperienza assoluta e meramente trasmissi-va (Isidori, 2008). In tal senso possiamo parlare di educazione at-traverso il corpo-movimento, una educazione che rispetta la di-versità dei bambini, il loro approccio personale, la loro storiapregressa, per dare significato all’unitarietà della persona (Isidori,2002) nell’esperienza corporea vissuta (Leib). In un tale costrut-to si orientano conoscenze, abilità e competenze in un concretoesercizio della propria soggettività e del proprio talento (Lipoma,2016, p. 7; Margiotta, 2016, p. 10).Il saggio si articola in due parti: nella prima verrà richiamato

il concetto di multilateralità applicata all’educazione motoria-fi-sica-sportiva come aspetto di qualità educativa inclusiva; nellaseconda si rifletterà sull’approccio quali-quantitativo come ri-

1 I termini motoria-fisica-sportiva sono usati in modo provocatorio perchél’educazione non può più essere agita per comparti stagni, ma deve raccor-darsi, integrarsi, in un percorso formativo che accompagni il bambino intutti gli ambienti in cui vive: casa, scuola ed extra scuola. Mai come ai no-stri giorni, se si vogliono veramente risolvere problemi, è necessario fare re-te, creare alleanze educative e impegnarsi, ciascuno per il proprio ruolo, adessere co-costruttori di opportunità formative da offrire ai nostri bambini.

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sposta ai bisogni che affiggono le attuali generazioni e alla neces-sità di acquisire sani stili di vita (life skills). La fascia d’età consi-derata è riferibile alla scuola primaria; 6-11 anni.

2. La multilateralità nell’educazione motoria-fisico-sportiva

Il concetto di multilateralità, in ambito pedagogico, si offre co-me modello educativo personalizzato, tendente a enfatizzare lepotenzialità del singolo soggetto (Blattner, 1994, p. 322), attra-verso l’educazione alla ragione (Bertin, 1994), all’interno di me-todologie flessibili, adattabili e aperte al cambiamento (Contini,2006, p. 9). Una sorta di universalità del sapere, di carattere he-bartiano, in cui la singola conoscenza non rimane confinata insé, ma si apre al maggior numero di rappresentazioni possibili(Mulè, 2001 pp. 94-104) e alla variabilità che la circonda. L’ edu-cazione motoria può promuovere l’integrazione tra i diversi sa-peri grazie all’insieme delle esperienze problematiche che solleci-tano o inibiscono, facilitano o impediscono i compiti in atto,impegnando il comportamento intelligente del bambino (Gen-nari, 1997). La multilateralità può considerarsi sia come atteg-giamento aperto a più classi di interesse sia come variabilità ap-plicata a ogni singolo interesse (Blattner,1994, p. 327), in ognicaso una fuga dall’idea nozionistica dei saperi e un’apertura a unadelle competenze più importanti: imparare ad imparare.Nell’ambito dell’Educazione motoria-fisica-sportiva si rico-

nosce una multilateralità estensiva (orizzontale), idonea a creareun’ampia gamma di abilità motorie generali, e una multilaterali-tà intensiva (verticale), legata all’approfondimento di particolariambiti del controllo motorio (equilibrio, combinazione di movi-menti, differenziazione spazio temporale, ecc,) o all’apprendi-mento variabile di condotte motorie specifiche (lanciare, correre,saltare). Attualmente la qualità inclusiva dell’educazione moto-ria-fisica-sportiva viene garantita da diverse forme di multilate-ralità estensiva, tese a garantire l’acquisizione della destrezza

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(Bernstein, 1996; Meinel, 1984; Harre, 1977) o maestria moto-ria (Lubans et al. 2010; Okely, & Booth., 2004; Laban, 2001),cioè la capacità di risolvere problemi motori con efficacia e liber-tà interpretativa. Tra le strategie che garantiscono la multilatera-lità estensiva possiamo richiamare:

– L’educazione fisica arricchita (Pesce et al.2016).– Variabilità della pratica o interferenza contestuale (Schmidt& Wrisberg, 2000).

– Il gioco-sport (D.P.R. 104/1985).

3. Multilateralità intensiva e aspetti quantitativi nella scuolaprimaria

Soddisfatti gli aspetti qualitativi dell’educazione motoria-fisica-sportiva, compaiono all’orizzonte nuove problematiche che nontrovano risposta negli attuali assetti educativi appena descritti. Inparticolare si fa riferimento alle seguenti problematiche che in-vestono l’infanzia: eccessiva sedentarietà (Telama, 2009; Tucker,2008); scarso tempo per il gioco quotidiano (Norman et al,2003); declino delle abilità motorie (Vandorpe et al. 2011; Rothet al. 2010; Campbell et al.2002; Filippone et al 2007; Tomkin-son et al 2003); declino della forma fisica (Runhaar et al. 2010;Tomkinson & Olds 2007).Tali evidenze scientifiche ci interrogano su due problemati-

che fondamentali:– Necessità di approfondire la proposta didattica attraverso lamultilateralità intensiva, ovvero orientata su particolari aspet-ti del controllo motorio che, evidentemente, la sola multila-teralità estensiva non riesce a soddisfare perché più dispersiva,superficiale e basata su apprendimenti labili (Weineck, 2009,p. 624). In tal senso una recente ricerca nella scuola primaria(Ceciliani, 2016) ha dimostrato come la multilateralità inten-siva orientata al controllo dell’equilibrio, seppur applicata a

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un gruppo di bambini in una sola lezione settimanale di edu-cazione motoria, ha prodotto miglioramenti significativi,nell’equilibrio, rispetto alla multilateralità estensiva, applica-ta a un gruppo di bambini che svolgevano quattro sedute set-timanali di un’ora ciascuna.

– Necessità di sollecitare sani stili di vita attraverso una maggio-re intensità della pratica motoria (Robinson et al. 2015; Iivo-nen & Sääkslahti, 2014). In tal senso un recente screening(Ceciliani, 2018) ha dimostrato, su un campione di 449bambini in uscita dalla scuola primaria, una percentuale ele-vata di soggetti (66%; f. 68%, m. 64%) scarsi o insufficientinella capacità aerobica, cioè nella possibilità di produrre atti-vità motoria a medio-alta intensità come indicatodall’O.M.S. Tale evidenza è indice preoccupante in fasce d’e-tà in cui i bambini dovrebbero avere molto tempo per muo-versi e assecondare il massimo sviluppo degli organi e appara-ti, in particolare l’apparato cardio-circolatorio e respiratorio.

4. Conclusioni

Nel complesso le indicazioni cui si può giungere, viste le abitu-dini sedentarie delle attuali generazioni infantili, ci riportano allanecessità di una qualità della didattica più approfondita e circo-scritta, attraverso l’utilizzo di una multilateralità intensiva che,per suo costrutto, pur rimanendo un approccio inclusivo chepermette a tutti i bambini di potersi esprimere e partecipare alleattività proposte, consente apprendimenti più evoluti in rispostaai trend involutivi evidenziati dalla letteratura. In secondo luogo è necessario sollecitare l’intensità delle at-

tività proposte (aspetto quantitativo), in modo che i bambini,soprattutto attraverso il gioco e le applicazioni ludiche, possanomuoversi in continuità, senza eccessive soste, come una volta sifaceva nella vita di cortile. Tale aspetto, più salutistico se voglia-mo, rispetta comunque gli aspetti inclusivi perché garantisce ai

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bambini di educarsi ai sani stili di vita che, nel prosieguo dellosviluppo, consentiranno loro un adeguato sviluppo psico-fisico.

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169 |Studi

Andrea Ceciliani

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II.10 –––––––––––––––––Gifted – alto potenziale cognitivo e valorizzazione dei talenti a scuolaGifted – high cognitive potential and talents at school –––––––––––––––––Laura SartoriIstituto di Ortofonologia, RomaMaria CinqueUniversità LUMSA, Roma Federico Bianchi di CastelbiancoIstituto di Ortofonologia, Roma

Negli ultimi decenni nella visione dell’educazione inclusiva si èinserito il dibattito sul tema dei bambini “plusdotati”, che han-no bisogno di interventi didattici personalizzati.La plusdotazione (giftedness) è una complessa costellazione di ca-ratteristiche personali, genetiche e comportamentali che si espri-mono, o hanno la potenzialità per esprimersi, in determinatearee, in un dato momento temporale e in una specifica cultura.Il termine potenziale indica un’area di sviluppo che si attiva gra-zie alle stimolazioni del contesto (famiglia, scuola, pari, contestosocio-culturale, ecc.) e che consente a ciascuno di sviluppare abi-lità specifiche. I bambini ad alto potenziale si differenziano dailoro pari perché possono avere sviluppate capacità in una delleseguenti aree: una maggiore abilità intellettiva generale, una spe-cifica attitudine al linguaggio, al pensiero creativo e nelle arti vi-sive e dello spettacolo e capacità di leadership.Per sostenere una crescita armonica di questi bambini e predi-sporre adeguati interventi didattici di supporto, l’Istituto di Or-tofonologia (IdO) di Roma (referente scientifico del progettoper le scuole di Roma e del Centro-Sud Italia), in collaborazionecon l’Università LUMSA, promuovono un’attività di ricerca eformazione che coinvolge le scuole, gli insegnanti e le famiglie,al fine di individuare, valutare e sostenere i bambini ad alto po-tenziale in ambito familiare e scolastico.

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Esperienze

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In the last decades in the vision of inclusive education has beenintroduced the debate on “gifted” children, who need personal-ized teaching interventions.The giftedness is a complex constellation of personal, geneticand behavioral characteristics that are expressed, or have the po-tential to express themselves, in some areas, in a specific histor-ical period and in a specific culture.The word “potential” indicates an area of development that isactivated thanks to context stimulations (family, school, peers,socio-cultural context, etc.) and which allows each person to de-velop specific skills.High-potential children differ from their peers because theymay have higher skills in one of the following areas: a greatergeneral intellectual ability, a specific aptitude for language, forcreative thinking and for visual and performance arts, and lead-ership skills.To support thw harmonious growth of these children and toprepare suitable and supportive teaching interventions, the In-stitute of Orthophonology (IdO) of Rome (scientific referent ofthe project for schools in Rome and central-southern Italy), incollaboration with LUMSA University, promotes a research andtraining activity addressed to schools, teachers and families, inorder to identify, evaluate and support gifted children in thefamily and school environment.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: giftedness, scuola, inclusione, talenti, alto po-tenziale

Keywords: giftedness, school, inclusion, talents, high potential–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Sessione 2

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1. Introduzione

Nel dibattito sull’inclusione scolastica emerge spesso un’interpre-tazione riduttiva (Oswald e de Villiers, 2013), che guarda alle dif-ferenze solo come “dis-abilità”. Questa visione si traduce spesso inuna estromissione della giftedness dall’area dei bisogni educativispeciali (Moltzen, 2006). Di fatto anche i bambini plusdotati (ogifted) hanno bisogno di interventi didattici personalizzati. Uno degli aspetti che la letteratura indica come critici e pre-

liminari riguarda la corretta identificazione della popolazionegifted. Per il riconoscimento di questi soggetti il quoziente intel-lettivo ha rappresentato il punto di riferimento imprescindibileper la misurazione delle abilità cognitive; tuttavia oggi è ampia-mente condivisa la convinzione che queste rappresentino solo unaspetto delle potenzialità di un soggetto. Il concetto di plusdota-zione (giftedness), come ormai è stato ampiamente chiarito nellaletteratura internazionale, è multidimensionale e coinvolge ca-ratteristiche che si riferiscono sia agli aspetti cognitivi che a quellicomportamentali e di assetto di personalità.La definizione maggiormente condivisa descrive la plusdota-

zione come una complessa costellazione di caratteristiche perso-nali, genetiche e comportamentali che si esprimono, o hanno lapotenzialità per esprimersi, in determinate aree, in un dato mo-mento temporale e in una specifica cultura (Keating, 2009; Wor-rel e Erwin, 2011).I bambini gifted hanno una capacità di elaborazione analogica

notevole, con modalità più rapide, una memoria a breve terminedoppia rispetto agli standard e una memoria a lungo terminemolto al di sopra degli standard. Il pensiero analogico mette inrelazione una cosa con l’altra, cercando analogie o diversità; è la-terale, perché si allontana dalla linea logica con giochi di meta-fore, visualizzazioni, similitudini; è utile per aprire nuove vie. Le persone ad alto potenziale cognitivo prediligono inoltre il

pensiero divergente (Guilford, 1967), ovvero l’attitudine di po-ter trovare soluzioni alternative, originali e innovative a situazio-

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Laura Sartori, Maria Cinque, Federico Bianchi di Castelbianco

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ni con le quali si confrontano; hanno un pensiero arborescente,la tendenza a pensare ramificando i pensieri, aprendo parentesi.L’intuizione è una loro caratteristica, avendo la tendenza ad ap-plicare delle soluzioni piuttosto che a spiegarle. Utilizzano maggiormente l’emisfero destro, quello che tratta

le informazioni in maniera globale, simultanea e gestisce le emo-zioni, che non l’emisfero sinistro, quello che analizza e scomponele informazioni in maniera sequenziale. Sembra, inoltre, che illoro cervello riceva una maggiore quantità di informazioni nellostesso momento e che lo scambio tra i due emisferi avvenga piùrapidamente.

2. Le teorie di riferimento

I modelli teorici socioculturali che oggi godono di maggiore ap-prezzamento partono dal presupposto che il talento possa svilup-parsi solo mediante l’interazione efficace di fattori individuali e so-ciali. Tra le più note teorie sulla giftedness possiamo trovare la Teo-ria dei Tre Anelli del ricercatore americano J. S. Renzulli (1978;1986), per il quale i fattori importanti sono: abilità al di sopra dellamedia, creatività e impegno nel compito. Partendo dal modello diRenzulli, F. J. Mönks, docente di psicologia e pedagogia all’Uni-versità di Nijmegen, in Olanda, ha sviluppato un modello dinami-co di sviluppo della personalità (1996). Secondo tale modello il ta-lento è il risultato dell’interazione tra fattori interni (creatività,motivazione e alto potenziale cognitivo) e ambiti sociali (famiglia,scuola e amici). Riprendendo la teoria dell’intelligenza di Gardnere Sternberg e i modelli dinamici di Renzulli e Mönks, lo studiosotedesco Kurt A. Heller sviluppò nel 1998 il cosiddetto Modello diMonaco, basato su una concezione multidimensionale della gifted-ness e del talento (Heller, 1998; 2005).Molto noto è anche il modello differenziato della plusdotazio-

ne e del talento di Gagné (DMGT, Differentiated Model of Gifted-ness and Talent), che evidenzia una concezione dinamica, la quale

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Sessione 2

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presuppone la trasformazione dei ‘doni’ in ‘talenti’ attraverso unospecifico processo di apprendimento (Gagné, 1993; 2005).Subotnik, Olszewski-Kubilius P. e Worrell (2011) propongo-

no un modello che presenta la plusdotazione come un costruttodinamico, sviluppato nel tempo e staccato dal concetto di QI. Iltalento viene descritto come un processo che avviene per stadi dicompetenza, passaggi che vanno dal livello minore fino al rag-giungimento dell’eccellenza. Le abilità eccezionali, cioè quellevalutate al di sopra della norma, rappresentano lo stadio di par-tenza, da cui si giunge al raggiungimento di competenze; il se-condo stadio rappresenta il passaggio dalla competenza all’exper-tise, ovvero ad altissimi livelli di padronanza; nel terzo passaggiol’expertise si trasforma in capacità di performance eccezionali edespressioni creative. La posizione di Subotnik accentua la necessità di proporre ai

bambini dotati percorsi e strumenti che possano favorirne lo svilup-po, offrendo opportunità di apprendimento stimolanti e la possibi-lità di fare esperienze motivanti, lungo tutto l’arco della vita.

3. Gli studenti gifted e il ruolo della scuola

L’importanza del territorio nell’identificazione, riconoscimentoe supporto dei talenti è stata descritta e confermata da vari mo-delli in letteratura (Sorrentino, 2017). Gli insegnanti giocano unruolo essenziale per l’inclusione. Possono rappresentare, utiliz-zando i qualificatori dei fattori ambientali dell’ICF (OMS,2001), dei facilitatori o, al contrario, una barriera al funziona-mento bio-psico-sociale della persona, intervenendo in modopositivo o negativo sulle sue performaces e sulla percezione delSé (Fiorucci, 2017). Non identificare e dunque non fornire i giu-sti strumenti educativo-didattici e psicologici all’alunno gifted ealla sua famiglia significa non garantire quell’idea di inclusioneche, accogliendo la differenza, implica la piena partecipazione al-la vita scolastica di tutti i soggetti.

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Laura Sartori, Maria Cinque, Federico Bianchi di Castelbianco

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Una review internazionale sul tema della plusdotazione e del-la gifted education (Reis & Renzulli, 2010) propone una riflessio-ne critica sulla reale efficacia educativa dei differenti itinerari di-dattici riportando i risultati delle varie ricerche condotte sulcampo (Mangione, 2017). Tra questi:

– il raggruppamento: la formazione di classi speciali composteda tutti i bambini che presentano caratteristiche speciali, aiquali viene somministrato un programma calibrato;

– l’accelerazione, ovvero la possibilità di saltare una o più classi,che è adottata in molte nazioni (anche se in alcune con moltedifficoltà burocratiche);

– l’arricchimento, che può riguardare i contenuti (approfondi-menti, esercitazioni, completamenti del programma per sod-disfare la curiosità dell’alunno), il processo (processi mentalipiù complessi, problemi più difficili, ragionamenti più astrat-ti), il prodotto (si richiedono prestazioni più elevate).

In Italia, solo alcune di queste strade sono percorribili, inquanto da anni le classi speciali sono state abolite.

4. Conclusioni

Per garantire l’inclusione e prevenire situazioni di disagio, è ne-cessaria una maggiore equità nella lettura dei bisogni anche deibambini gifted e di talento, affinché non sia misconosciuto il lo-ro diritto all’apprendimento, quando risulti un bisogno educati-vo speciale, anche in assenza di certificazione e/o diagnosi. Persostenere una crescita armonica di questi bambini e predisporreadeguati interventi didattici, l’Istituto di Ortofonologia (IdO) diRoma, referente scientifico dal 2014 su parere favorevole delMIUR per Roma e il centro-sud Italia, promuove attività di va-lutazione, ricerca e clinica al fine di individuare e supportare ibambini APC. L’Istituto di Ortofonologia di Roma e l’Universi-

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Sessione 2

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tà LUMSA stanno inoltre attivando iniziative formative e masteruniversitari sulla giftedness.Tra le principali attività che sono state attivate nelle scuole e

nell’attività clinica per bambini e adolescenti con alto potenzialecognitivo: incontri informativi con Dirigenti Scolastici e inse-gnanti; formazione degli insegnanti al riconoscimento e alla com-pilazione di schede per l’individuazione di studenti gifted; scree-ning gratuiti per l’individuazione di studenti gifted; corsi di forma-zione per docenti; approfondimento dei profili di ogni studentegifted; attività di valutazione, counseling scolastico, counseling ge-nitoriale, training metacognitivo, intervento psicoterapico.Ad oggi sono state coinvolte 373 scuole del centro-sud Italia,

sono stati informati 3200 insegnanti e più di 1500 hanno parte-cipato a corsi di formazione sulla giftedness. I docenti hanno fi-nora segnalato circa 1500 studenti possibili gifted e di questi ben780 (il 52%) erano effettivamente ad alto potenziale cognitivo.Questi bambini hanno quindi bisogno di una didattica adegua-ta, che tenga conto del loro ritmo di apprendimento e del loropotenziale, ma anche delle loro debolezze. Possono essere unagrande risorsa per la classe, l’insegnante, la scuola, la comunità.

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Laura Sartori, Maria Cinque, Federico Bianchi di Castelbianco

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Sessione 2

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II.11 –––––––––––––––––Un Laboratorio sperimentale di intercultura.La scuola al C.A.R.AAn experimental intercultural laboratory.The school at the C.A.R.A. –––––––––––––––––Fabiana CapassoCentro Accoglienza Richiedenti AsiloCastelnuovo di Porto (RM)

Durante l’anno scolastico 2017/2108 nel territorio di Castel-nuovo di Porto, dove si trova il Centro di Accoglienza Richie-denti Asilo più grande del centro Italia, è stato realizzato unprogetto di collaborazione intensa ed interessante fra lo staffpsico-pedagogico del suddetto Centro e il corpo docente dellascuola I.C. G.Pitocco di Castelnuovo di Porto. Utilizzando isoli mezzi messi a disposizione dal consueto protocollo didat-tico, l’unione fra la proposta educativa del C.A.R.A. e quelladegli insegnanti ha creato un interessante laboratorio pionieri-stico di pedagogia interculturale. I minori stranieri sono statiinseriti a scuola, in base agli arrivi predisposti dalla Prefetturadi Roma, da Settembre 2017 fino a tutto Dicembre 2017. Perquesto anno scolastico, sono stati inseriti 30 bambini, poichétutti gli altri minori presenti erano troppo piccoli, di cui 11nella scuola dell’Infanzia, 11 nella primaria e 8 nella seconda-ria di primo grado, con provenienza da : Siria, Egitto, Paki-stan, Eritrea. Purtroppo la carenza di strutture scolastiche sulterritorio per quel che concerne la scuola secondaria superiore,non ha permesso l’iscrizione di 11 minori, peraltro molto me-ritevoli, che hanno dovuto interrompere il personale percorsoscolastico iniziato nel Paese d’origine. L’ostacolo linguistico,poiché a parte i minori provenienti dal Pakistan che parlanoinglese, tutti gli altri parlano solo arabo o tigrino, ha costituitouna difficoltà ulteriore per poter far accedere questi studentiad un processo di apprendimento tale da renderli autonomi.Ciononostante da parte degli educatori sono state messe incampo strategie di problem sheping individuali e poi di problem

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Studi insegnanti

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solving collettiva, spesso attingendo alla creatività dell’inse-gnante o della pedagogista del C.A.R.A.. In particolare si pos-sono delineare quattro fasi: – colloquio con i genitori (o tutori con cui il minore è giuntoal Centro) da parte della pedagogista per verificare il percor-so scolastico finora intrapreso e per introdurre i rudimenticulturali per accedere alla scuola;

– piano di insegnamento individuale attraverso lo strumentoludico per avvicinare il minore all’inserimento scolastico;

– strategie di inserimento concordate con il corpo docente perconciliare le esigenze del minore straniero e della scuola;

– inserimento e strategia didattica creativa.Questo progetto, che si può ritenere un vero e proprio “Labo-ratorio sperimentale di didattica per minori migranti”. è benlungi dall’essere terminato. Intanto l’I.C. G.Pitocco ha richie-sto al MIUR la presenza di un mediatore culturale che megliopuò favorire l’intervento educativo e didattico.

During the school year 2017/2108 in the territory of Casteln-uovo di Porto, where there is the largest Asylum Reception Cen-ter in central Italy, a collaboration project has been realized be-tween the Center’s psycho-pedagogical staff and teachers of theschool I.C. G.Pitocco in Castelnuovo di Porto. Using only themeans made available by the usual teaching protocol and the ed-ucational proposal of the C.A.R.A., an interesting pioneeringlaboratory of intercultural pedagogy has been created. Foreignminors have been placed at school, based on arrivals arranged bythe Prefecture of Rome, from September 2017 to all December2017. For this school year, 30 children were entered, of which11 in kindergarten, 11 in primary and 8 in secondary school,coming from: Syria, Egypt, Pakistan, Eritrea. Unfortunately, thelack of school facilities on the territory with regard to upper sec-ondary school did not allow the enrollment of 11 minors, whohad to stop the personal schooling started in the country of ori-gin The linguistic obstacle, because apart from children fromPakistan who speak English, all the others speak only Arabic orTigrin, it was a further difficulty in order to make these studentshave access to a learning process that would make them au-tonomous. Nevertheless, individual problem sheping strategieshave been implemented by the educators and then of collectiveproblem solving, often drawing on the creativity of teacher orthe pedagogist of the C.A.R.A. In particular, four phases can bedelineated:

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– interview with parents (or guardians with whom the mi-nor has arrived at the Center) on the part of the pedagogistto verify the scholastic path;

– individual teaching plan through the ludic instrument tobring child closer to the scholastic insertion;

– insertion strategies agreed with the teaching staff to recon-cile the needs of the foreign minor and the school;

– insertion and creative teaching strategy.This project, which can be considered a real “Experimentalteaching laboratory for migrant minors”, it is not finished atall. Meanwhile, the I.C. G.Pitocco asked the MIUR for thepresence of a cultural mediator, to encourage educational andeducational intervention.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Centro Accoglienza Richiedenti Asilo; Labora-torio didattica sperimentale; Minori stranieri; Collaborazionescuola-C.A.R.A; Intercultura

Keywords: Center for Immigration; Experimental education-al laboratory; Foreign minors; Collaboration school-C.A.R.A.; Intercultural

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Fabiana Capasso

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1. Introduzione

Dal 2008 in poi l’Italia è stata protagonista di massicci approdidi flussi migratori, provenienti soprattutto dal Nord Africa e dal-l’Africa sub-sahariana. In varie fasi si è fatto fronte, spesso inemergenza, per organizzare luoghi di accoglienza adeguati. Na-scono cosí molti Centri di Accoglienza. Fra i più grandi d’Italia,e in assoluto il più grande del centro Italia, é il Centro Accoglien-za Richiedenti Asilo di Castelnuovo di Porto. In passato ha ac-colto anche 950 persone ed è il Centro a cui fa riferimento la Pre-fettura di Roma, quindi alle dirette dipendenze del Ministerodell’Interno. Gli arrivi degli ospiti stranieri sono costanti e giun-gono nel Centro sia molti giovani uomini soli, ma anche tantefamiglie, alcune monoparentali, con minori al seguito. In questasituazione si è reso necessario realizzare alcuni luoghi che fosserospecificatamente dedicati ai bambini, sia per creare momenti diincontro e socializzazione fra i tutti i minori presenti, spesso didiverse nazionalità, sia per insegnare i primi rudimenti della lin-gua italiana. Ciclicamente all’interno dello staff psico-pedagogi-co si ha un confronto per affinare e dotare i nostri ospiti dei mi-gliori strumenti di integrazione e sempre si parte da un assunto:il primo mezzo di integrazione è la competenza linguistica sullalingua italiana. Di conseguenza subito a seguire, l’istruzione.

2. Anno scolastico 2017/2018

Per comodità prendiamo in esame l’anno scolastico appena tra-scorso, in cui fra vari miglioramenti in corso d’anno, grazie allastretta collaborazione con il corpo insegnante dell’I.C.Pitocco diCastelnuovo di Porto, è stato possibile l’inserimento di tutti i mi-nori aventi diritto. La prima nota da sottolineare, che comportauna seria difficoltà per la didattica, è che i minori stranieri hannodiritto di essere inseriti a scuola nel momento in cui arrivano inItalia. Ciò vuol dire che tanti bambini sono iscritti nelle classi in

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corso di anno, magari a febbraio, quando il programma è moltoavanti e la socializzazione del gruppo classe è coesa.Nel periodo preso in esame, vale a dire da settembre 2017 a

giugno 2018, sono arrivati al C.A.R.A. 741 immigrati, di cui118 minori, di cui solamente 30 sono stati inseriti nella scuola.Gli altri minori, nella maggior parte sono neonati o comunquetroppo piccoli anche per la scuola dell’Infanzia, mentre gli altridovrebbero essere iscritti nella scuola Secondaria di Secondo gra-do, ma il territorio in cui insiste il C.A.R.A., è carente di strut-ture addirittura insufficienti agli abitanti locali.Nel dettaglio, nel corso d’anno sono stati inseriti:

– 11 bambini nella scuola dell’Infanzia– 11 bambini nella scuola Primaria– 8 bambini nella scuola Secondaria di Primo Grado.

Tutti i minori hanno avuto delle grandi difficoltà linguisti-che, poiché provengono da Eritrea, Siria, Egitto e Pakistan equindi parlano solo Tigrino e Arabo. Fanno eccezione i bambinipakistani, i quali hanno vissuto e studiato a Dubai e quindi par-lano inglese.

3. Colloqui preliminari e scuola del C.A.R.A.

Ogni nucleo familiare all’arrivo al C.A.R.A. viene accolto daun’equipe composta da medico, assistente sociale, psicologo, av-vocato e mediatore linguistico.Successivamente a questo primo screening viene stilata una

scheda per ogni componente della famiglia che riporta le informa-zioni fondamentali di tutti gli ambiti delle professioni suddette.Nel corso dei giorni a seguire, vengono organizzati altri colloqui.Questi ultimi sono molto significativi perché, superato il momen-to di accomodamento, gli ospiti sono ben disposti a creare un le-game con i professionisti a loro disposizione e introducono la nar-rativa del viaggio e le cause della fuga dal Paese d’origine.

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Fabiana Capasso

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Al termine di tali colloqui interviene la pedagogista che,avendo a disposizione molte informazioni su ogni membro delnucleo familiare, può richiedere al/ai genitore/i le notizie speci-fiche sui minori e sull’itinerario formativo che fino a quel mo-mento hanno avuto modo di percorrere. Tutte queste informa-zioni sono essenziali per stilare un progetto di formazione speci-fica per ogni bambino presente nel Centro. Infatti, poiché la pro-venienza culturale, la storia del viaggio e la formazione è diffe-rente per ciascun minore, non è possibile avere un unico proto-collo educativo da applicare a tutti. A tutte queste considerazio-ni, in aggiunta, va tenuto conto della sfera emotiva del minore edi quanto sia stata compromessa a causa delle vicissitudini tra-scorse, motivo in più per organizzare uno specifico percorso edu-cativo personalizzato. A fronte di tutto ciò però, in contemporanea, è stato necessa-

rio organizzare logisticamente il luogo e il tempo per sviluppareed applicare questi progetti educativi personalizzati. Si è pensato,anche se non previsto dal capitolato ministeriale, di creare unaScuola all’interno del C.A.R.A.. In di questa scuola, ogni giorno,si sono svolte attività che riguardano la lingua, gli usi e i costumidell’Italia, ma anche degli altri Paesi membri. Tutte le attivitàhanno la caratteristica di essere modulabili per interesse e diffi-coltà, poiché il gruppo di bambini che la frequenta è estrema-mente eterogeneo per età e per provenienza. In sintesi, le fasi cheriguardano i minori inseriti nella Scuola del C.A.R.A. sono:– Osservazione– Introduzione materiale ludico– Sperimentazione– Verifica competenze di base.

In questa sperimentazione di scuola, sono stati individuatidegli obiettivi generali, che come sempre tengono conto dell’etàe della provenienza culturale:– Interiorizzazione delle regole– Creazione di un gruppo

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Sessione 2

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– Cooperazione all’interno del gruppo– Approccio alla lingua italiana– Approccio alla cultura europea– Approccio ai primi rudimenti di logica– Orientamento spazio-temporale

Anche la scelta dei materiali da mettere a disposizione dei mi-nori è stata accuratamente pensata. L’obiettivo, nei limiti deimezzi a disposizione, è che siano de gli strumenti di stimolo perverificare competenze pregresse e per stimolarne di nuove.

– Materiale didattico di scuola dell’infanzia e primaria– Materiale per allestimento dell’aula aula– Scheda personale per ogni bambino– Materiale per attività ludiche– Materiale ricreativo– Televisione– Cancelleria varia

4. Collaborazione scuola- C.A.R.A.

Negli ultimi anni è andata consolidandosi sempre più la collabo-razione fra l’I.C. Pitocco di Castelnuovo di Porto e il C.A.R.A..Grazie a ciò è stato possibile avviare una procedura specifica perogni minore da inserire a scuola. Infatti ogni bambino, grazie alperiodo trascorso all’interno della scuola del C.A.R.A., ha intera-gito con gli operatori del Centro che hanno verificato il percorsodi apprendimento e le capacità pregresse ed acquisite, soprattuttoquelle utili per l’inserimento nella scuola di Castelnuovo di Porto.Prima di inserire ogni bambino, il corpo docente dell’I.C.Pi-

tocco e il pedagogista del C.A.R.A. hanno avuto degli incontripreliminari nei quali si è valutato:

– Composizione della classe corrispondente all’età del minoreda inserire

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Fabiana Capasso

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– Competenze scolastiche pregresse del minore– Permanenza al C.A.R.A.

4.1 Scuola dell’infanzia

Gli 8 bambini inseriti nella scuola dell’infanzia sono stati di varienazionalità e l’inserimento si è scaglionato in base all’arrivo inItalia e quindi al C.A.R.A. In totale:

5 ERITREI2 SIRIANI1 PAKISTANO

Nel caso della scuola dell’Infanzia, in cui lo strumento ludicoè fondamentale, l’inserimento dei minori stranieri e la socializza-zione fra i bambini è stata facilitata. Anche l’ostacolo della linguaè stato facilmente superato grazie alle esperienze improntate sulGIOCO e sull’approccio personale attraverso attività creative.

4.2 Scuola primari

Considerate le abilità e le competenze richieste, questo grado discuola risulta più complesso sia per quel che riguarda l’inseri-mento sia per l’inclusione. Le insegnanti hanno quindi propostouna strategia didattica suggerita dall’esperienza e supportata dal-la costante verifica con la pedagogista del C.A.R.A.. I bambiniinseriti nel corso dell’anno sono stati:

1 EGIZIANO1 PAKISTANO6 SIRIANI

Schematicamente il lavoro ha seguito le fasi:

– Preparazione della classe all’arrivo di bambini stranieri duran-te l’anno

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Sessione 2

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– Attività di Accoglienza – Programmazione curricolare italiana – Spiegazioni bilingue– Didattica innovativa

Nonostante l’assenza di risorse specifiche da parte del MIURe di figure di sostegno alle insegnanti, questa sperimentazione siè dimostrata molto efficace. In particolare alcune strategie didat-tiche sono state preziose: modulare gli obiettivi sulle competenzee non sul programma; organizzare i bambini, con diverse com-petenze, in piccoli gruppi e stimolarli al cooperative learning; in-serire ciascun bambino in situazioni di problem solving è solleci-tarlo ad utilizzare le personali competenze specifiche.Queste strategie sono state utilizzate nel lavoro del gruppo

classe, ma in contemporanea, altri tipi di azioni determinanti aifini dell’apprendimento sono state messe in atto specificatamen-te per ogni minore straniero inserito a scuola: proporre delleazioni operative che inducano al concetto; laddove fosse necessa-rio per facilitare l’apprendimento, la retrocessione ad una classeinferiore rispetto l’età anagrafica; proporre la doppia spiegazioneitaliano/inglese (o altro) per ogni argomento trattato in classe.Le insegnanti, inoltre, hanno deciso che per tutto l’anno avreb-

bero svolto diverse attività esperienziali, utilizzato attività metaco-gnitive, utilizzato molto le mappe concettuali per risolvere situa-zioni problematiche, posizionato i banchi strategicamente ingruppi, evitato il più possibile lezioni frontali, creato condizioniper rendere protagonista ogni studente, utilizzato tutte le occasio-ni possibili per stimolare riflessioni sul confronto fra le lingue.

4.3 Scuola secondaria di primo grado

Nonostante i minori stranieri inseriti nella scuola Secondaria diPrimo Grado parlassero solo arabo, non hanno manifestato nessunproblema nella socializzazione. Il vero ostacolo si è invece manife-

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stato nell’apprendimento, non avendo a disposizione i fondamentidella lingua italiana indispensabili. Sono stati inseriti:

8 SIRIANI

L’analisi effettuata dalla pedagogista prima dell’inserimento ascuola aveva evidenziato un deficit di scolarizzazione, conferma-to poi dalle insegnanti, che ha ulteriormente rallentato il proces-so di apprendimento. Inoltre, per motivi logistici e di organizzazione della scuola,

purtroppo non è stato possibile inserire i minori nelle classi pre-cedenti rispetto all’età anagrafica, occasione vantaggiosa per l’ap-prendimento.Il corpo docente si è trovato difronte ad un duplice problema:

la scolarizzazione carente e l’ostacolo linguistico, poiché i ragazziparlano solo arabo.Per superare questi scogli, in modo molto creativo gli inse-

gnanti hanno attivato strumenti consueti ed altri un po’ menotradizionali. Alcuni mezzi utilizzati e che comunemente sonousati anche nelle altre scuole:

– Vocabolario italiano-arabo; – Attivazione corso L2 (per fornire basi di italiano);– Insegnante di sostegno che si è reso disponibile per questosupporto.

Gli insegnanti, in alcune occasioni, hanno utilizzato anchestrumenti meno abituali fino a farli diventare una prassi:

– Google traduttore;– Alunno con maggiore cognizione linguistica italiana rivestitodal ruolo di «mediatore»;

– Attività per piccoli gruppi stimolando lo scambio linguistico.

In ogni caso questa sperimentazione didattica è stata unagrande occasione per ripensare i modelli quotidiani di insegna-mento che si propongono agli studenti. Ogni insegnante si è sen-

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Sessione 2

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tito stimolato a rimettersi in gioco con tutta la sua esperienza eprofessionalità.

5. Conclusioni

La stretta collaborazione che si è andata consolidando fra il ser-vizio psico-pedagogico del C.A.R.A. e il corpo docente dell’I.C.Pitocco ha permesso di instaurare una prassi di formazione e diinserimento scolastico assolutamente pioneristico. Si è creato unvero laboratorio didattico sperimentale nel quale la professiona-lità, ma anche i tentativi pragmatici, gli errori e gli aggiustamentidelle azioni educative sono stati all’ordine del giorno. Questoesperimento è ancora in itinere e ci vorranno almeno 3 anni perpoter arrivare a delle conclusioni. Ma intanto grazie alle verifichefinora effettuate e ai controlli incrociati fra gli insegnanti e la pe-dagogista sugli indicatori di inserimento e di apprendimento perciascun minore inserito a scuola, si ha un feed back positivo:

– Gli studenti stranieri sono stati sempre accolti– Gli studenti stranieri sono stati una risorsa per gli studentiitaliani

– C’è stato uno stimolo al confronto linguistico continuo– È stata necessaria una rielaborazione creativa dei modelli diinsegnamento

– È stato attivato il peer to peer education (educazione tra pari)che si è rivelato un segmento importante per un efficace pia-no di recupero e sostegno.

Riferimenti bibliografici

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Fabiana Capasso

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Booth, T., & Ainscow, M. (2014). Nuovo Index per l’inclusione. Percorsidi apprendimento e partecipazione a scuola (Fabio Rovigo, Trans.).Roma: Carocci.

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II.12 –––––––––––––––––Certificazione delle competenze e rubriche valutative: affidabilità e triangolazione dei risultati attraverso processi di “peer review”Certification of achievements and assessment rubrics: reliability and triangulation of results through “peer review” processes –––––––––––––––––Davide CapperucciUniversità di Firenze

A partire dalla prospettiva teorica dell’authentic assessment, viene indagatoin che misura il dialogo tra ricerca educativa e pratica scolastica possa con-tribuire al miglioramento della didattica, ponendo un’attenzione partico-lare a come le competenze di base e di cittadinanza possono essere valutatee certificate nel primo ciclo d’istruzione.Il contributo presenta i risultati di un percorso di ricerca-formazione, rea-lizzato con un campione di scuole, che ha portato all’elaborazione e appli-cazione di un modello metodologico per la certificazione delle competen-ze attraverso l’uso delle rubriche valutative, denominato VA.R.C.CO.

Considering the theoretical perspective of the authentic assessment, it is in-vestigated to what extent the dialogue between educational research andschool practice can improve teaching, paying particular attention to howindividual and citizenship competences can be assessed and certified inthe first cycle of schooling.The paper presents the results of a research-training program, realizedwith a sample of schools, which led to the construction and applicationof a methodological model for the certification of achievements throughthe use of assessment rubrics, called VA.R.C.CO.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: competenze, rubriche, apprendimento, valutazione, certi-ficazione

Keywords: competences, rubrics, learning, assessment, certification–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

abstract

Esperienze

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1. Introduzione

A partire dall’esperienza di ricerca legata al modelloVA.R.C.CO. (VAlutazione, Rubriche, Certificazione delle COm-petenze) (Capperucci, 2016), il presente contributo indaga il gra-do di affidabilità delle rubriche valutative utilizzate per la valuta-zione e certificazione delle competenze nel primo ciclo d’istru-zione.Come indicato da Semeraro (2011), nella ricerca qualitativa

in educazione il termine “affidabilità” può più efficacemente es-sere sostituito con quelli di “credibilità”, “consistenza”, “applica-bilità”, ecc. In conseguenza di ciò, il criterio dell’“attendibilità”dei risultati, proprio della ricerca quantitativa, può essere sosti-tuito con quello di “approccio critico” (Semeraro, 2011). Nellaricerca di tipo qualitativo, infatti, la figura del docente-ricercato-re assume un rilievo importante e la valutazione dei risultati dellaricerca è resa tanto più adeguata, quanto più il ricercatore assumecriteri analitici sempre più raffinati e condivisi all’interno dellacomunità di ricerca (Coggi, Ricchiardi, 2005; Trinchero, 2004).Ciò è possibile attivando processi di triangolazione in grado direndere accessibili ad altri interlocutori le procedure di indagineadottate e revisionando i prodotti di ricerca mediante analisiparallele o successive finalizzate ad incrementare il grado di con-divisione “tra pari”.Tale prospettiva di ricerca è stata adottata all’interno del per-

corso di ricerca-formazione riferito al modello VA.R.C.CO., il-lustrato nelle pagine successive (Perla, 2012; Vannini, 2012; As-quini, 2018).

2. Il disegno della ricerca-formazione del modello VA.R.C.CO.

Il quadro teorico di riferimento del modello VA.R.C.CO. èquello dell’authentic assessment, nato negli anni Settanta del seco-lo scorso negli Stati Uniti (McClelland, 1973; Glaser, Resnick,

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Sessione 2

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1989) e sviluppatosi ulteriormente nel corso degli ultimi decen-ni (Wiggins, 1993; Hart, 1994; Sackett, Borneman, Connelly,2008; Stiggins et alii., 2004), soprattutto sul fronte della valuta-zione delle competenze in alternativa agli approcci basati sul te-sting assessment.La valutazione delle competenze si lega strettamente alla loro

certificazione, nel momento in cui diventa necessario attestare,sia all’alunno che all’esterno, gli apprendimenti conseguiti se-condo diversi livelli di padronanza (Lucisano, Corsini, 2015;Zanniello, 2009). Nel nostro paese, in tempi recenti, la certifica-zione delle competenze è stata regolamentata dal Decreto 3 ot-tobre 2017, n. 742, che ha introdotto appositi modelli nazionalidi certificazione al termine della scuola primaria e secondaria diprimo grado (Castoldi, 2016). A fronte di queste novità intro-dotte dagli ordinamenti scolastici, la domanda che ha dato avvioal percorso di ricerca legato al modello VA.R.C.CO. è stata la se-guente: «come la ricerca didattica e le scuole possono costruireassieme un modello metodologico per la certificazione dellecompetenze in modo da creare un raccordo coerente tra i tra-guardi per lo sviluppo delle competenze (delle discipline delle Indi-cazioni Nazionali) e gli indicatori del documento di certificazio-ne ripresi dal Profilo dello studente?».Alla ricerca ha partecipato un campione di 25 istituzioni scola-

stiche del primo ciclo della Toscana, coinvolte nella sperimentazio-ne ministeriale del nuovo documento di certificazione. Il disegnodella ricerca si è articolato in due macro-fasi: 1. progettazione e at-tuazione dell’indagine (marzo/dicembre 2015); 2. verifica dell’af-fidabilità delle rubriche valutative prodotte (ottobre 2016/feb-braio 2017). La prima macro-fase ha previsto le seguenti azioni:

– costituzione del gruppo di ricerca allargato: composto da 75docenti-referenti, 3 ricercatori dell’Università di Firenze e unreferente dell’USR Toscana che assieme hanno lavorato al-l’impostazione del disegno di ricerca e all’elaborazione delmodello metodologico VA.R.C.CO.;

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Davide Capperucci

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– presentazione e condivisione del modello e degli strumenti diricerca all’interno dei singoli istituti del campione;

– revisione da parte del gruppo di ricerca allargato del modelloe degli strumenti a seguito delle indicazioni fornite dai collegidocenti degli istituti campione;

– costituzione di 115 gruppi di lavoro composti da docenti discuola primaria e secondaria di primo grado, impegnati nellacostruzione di rubriche valutative, per un totale di 1.506 do-centi coinvolti;

– costituzione di 3 gruppi di revisione tra pari, per verificarel’affidabilità delle rubriche prodotte, attraverso processi ditriangolazione dei risultati;

– disseminazione delle rubriche progettate e revisionate all’in-terno degli istituti campione;

– monitoraggio del percorso di ricerca-formazione attraverso 5focus group e la somministrazione di un questionario semi-strutturato.

Grazie al modello metodologico VA.R.C.CO. sono state pro-gettate 164 rubriche valutative (Stevens, Levi, 2005; Trinchero,2012), una per ciascuno dei traguardi della scuola del primo ci-clo riportati nelle Indicazioni Nazionali.

3. Triangolazione e affidabilità delle rubriche prodotte grazie alpercorso di ricerca-formazione

Terminata l’elaborazione delle rubriche valutative da parte dei 115gruppi di lavoro, ne è stata verificata l’affidabilità. Più precisamentesi è puntato a rilevare in che misura i descrittori di padronanza diciascuna di esse erano in grado di discriminare comportamenti qua-litativamente diversi in base ai criteri della complessità, accuratezza,ampiezza, trasferibilità delle azioni previste. Un altro aspetto presoin esame è stato quello della condivisione dei descrittori di padro-nanza tra i docenti appartenenti alla comunità di ricerca.

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Sessione 2

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A tale scopo è stato predisposto un processo di triangolazioneriferito ai risultati (le rubriche prodotte) e al punto di vista deidocenti-ricercatori, che si è avvalso della revisione tra pari (peerreview) (Bonaccorsi, 2012; Sluijsmans, Brand-Gruwel, van Mer-riënboer, Martens, 2004). Il processo di triangolazione è statostrutturato in due livelli. Il primo livello ha visto la costituzionedi due gruppi di peer-reviewer (o gruppi di revisori), composti da52 docenti ciascuno, 25 dei quali sono stati individuati tra i do-centi-referenti del gruppo allargato – che avevano seguito tuttele fasi della ricerca – e 27 tra i docenti partecipanti alla sperimen-tazione. L’estrazione dei membri dei due gruppi è avvenuta ca-sualmente. Il compito assegnato ai due gruppi è stato quello direvisionare in parallelo le 164 rubriche elaborate dai gruppi di la-voro, evidenziando, attraverso un apposito format, tutte le criti-cità e le modifiche da apportare alle rubriche elaborate in prece-denza. Il secondo livello del processo di triangolazione ha coin-ciso con la costituzione di un terzo gruppo di reviewer, dello stes-so numero dei precedenti, ma i cui membri solo per metà eranocomposti da docenti che avevano preso parte ad uno dei 2 gruppidi revisione di primo livello. Questo è stato effettuato per limi-tare l’incidenza del punto di vista dei primi due gruppi di revisorisul prodotto finale, mentre la presenza della metà di loro è statavalutata importante affinché nel secondo livello di revisione fos-sero presenti e giustificate le istanze che nella fase precedente ave-vano portato i revisori di primo livello a modificare alcune dellerubriche presentate.Nella prima colonna della Tab. 1 sono riportate le (principali)

tipologie e il numero delle revisioni apportate alle rubriche. Gliinterventi correttivi realizzati dai gruppi I e II sono quantitativa-mente simili, mentre diminuiscono sensibilmente nel secondolivello di revisione, operato dal III gruppo, a dimostrazione diuna maggiore triangolazione dei punti di vista dei docenti-revi-sori sulla qualità delle rubriche prodotte.

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Davide Capperucci

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(N=164 rubriche) Tab. 1: Processo di triangolazione, tipologie di interventi e livelli di revisione

delle rubriche del modello VA.R.C.CO.

Nella Tab. 2 sono indicati gli interventi di revisione operatisulle rubriche del modello VA.R.C.CO., sia per quelle che sonostate modificate solo parzialmente sia per quelle che hanno su-bito sostanziali cambiamenti fino ad una totale riscrittura permancanza di condivisione tra i revisori.

Interventi di revisione

I livello II livello

I gruppodi revisione

II gruppodi revisione

III gruppodi revisione

Articolazione dei “traguardimolecolari” in ulteriori compo-nenti o sotto-competenze

45(27.4%)

38(23.2%)

7(4.2%)

Revisione del grado di comples-sità dei descrittori di padronan-za (soprattutto rispetto alla ver-ticalità del curricolo)

33(20,1%)

37(22.5%)

11(6.6%)

Eliminazione di aggettivi e av-verbi modali per limitare la sog-gettività della valutazione

52(31.7%)

56(34.1%)

25(15,2%)

Ulteriore esplicitazione delcomportamento atteso rispettoal livello di certificazione perrendere il descrittore di padro-nanza misurabile e/o rilevabile

44(26.8%)

49(29.8%)

12(6.7%)

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(N=164 rubriche)Tab. 2: Processo di triangolazione e entità degli interventi di revisione operati

sulle rubriche del modello VA.R.C.CO.

4. Conclusioni

Il percorso di ricerca-formazione legato al modello VA.R.C.CO.ha messo in evidenza l’utilità delle rubriche valutative per la va-lutazione e certificazione delle competenze e come attraversoprocessi di peer review sia possibile elevarne il grado di affidabili-tà. Permane tuttavia la necessità di raccogliere ulteriori evidenzeattraverso successive indagini che vedano lavorare assieme ricer-catori e insegnanti fin dalla definizione del disegno di ricerca.

Riferimenti bibliografici

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Interventi di revisione

I livello II livello

I gruppodi revisione

II gruppodi revisione

III gruppodi revisione

Parziale riscrittura dei descrittoridi padronanza delle rubriche

68(41.4%)

55(33.5%)

12(6.7%)

Totale riscrittura dei descrittori dipadronanza delle rubriche

14(5.3%)

11(6.6%)

4(2.4%)

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Davide Capperucci

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Sessione 2

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199 |Ricerche

abstract

Ricerche

II.13 –––––––––––––––––L’ansia da valutazione: riflessioni sull’apprendimento e sulla formazione insegnanteEvaluation anxiety: reflections on learning and teacher training –––––––––––––––––Irene StanzioneUniversità di Roma “La Sapienza”

L’ansia è un costrutto multidimensionale con componenti fi-siologiche, comportamentali e cognitive (Kendall&diPietro,1995). L’ansia da valutazione può configurarsi affiancata alpensiero che dalle proprie prestazioni inadeguate derivi ungiudizio negativo di derisione o condanna da parte degli altri.Il voto viene quindi vissuto come un’etichetta dalla quale nonci si può liberare e smette di avere una qualsiasi funzione for-mativa. I comportamenti che ne derivano sono sia disimpegnoverso le attività di studio sia il perfezionismo con tendenza avoler strafare (Kendall & diPietro, 1995). Dunque il fatto cheuno studente vada bene o male a scuola sembra non avere rile-vanza sull’individuazione del problema. Tuttavia i risultati PI-SA sull’ansia scolastica mostrano il contrario sottolineandouna correlazione negativa tra ansia e rendimenti (OECD,2017). Bisogna perciò chiedersi qual è la responsabilità dell’in-segnante e fin dove arrivi il suo potere nel causare disagio at-traverso la sua modalità di attribuzione dei voti. Nella presentericerca è stata misurata l’ansia da valutazione su un campionedi 4458 studenti della scuola secondaria di primo grado di Ro-ma tramite la somministrazione del questionario CTS (Cometi senti) (Stanzione, 2017). La somministrazione ha permessodi misurare l’ansia su una scala Likert a cinque passi e di met-terla in relazione attraverso modelli di regressione con alcunedimensioni di benessere e disagio misurate dallo stesso que-stionario e con dimensioni riferite al docente come il Burn-oute le Percezioni del contesto lavorativo. L’ansia da valutazione èrisultata la dimensione di disagio con il punteggio più alto.L’ansia in relazione ai voti inoltre è stata indagata tramite otto

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focus group all’interno delle scuole campionate emergendocome una categoria predominante rispetto ad altri aspettidell’esperienza scolastica

Anxiety is a multidimensional construct with physiological, be-havioral and cognitive components (Kendall & diPietro, 1995).The evaluation anxiety can be combined with the thought thatfrom its inadequate performances derives a negative judgmentof derision or condemnation from the others. The vote is there-fore experienced as a label from which one cannot be freed andceases to have any formative function. The behaviors that derivefrom it are both disengagement towards study activities and per-fectionism with a tendency to want to overdo it (Kendall & diP-ietro, 1995). So the fact that a student is good or bad at schoolseems to have no relevance on the identification of the problem.However, the PISA results on school anxiety show the oppositeemphasizing a negative correlation between anxiety and assess-ment (OECD, 2017). It is therefore necessary to ask oneselfwhat is the responsibility of the teacher and how far he gets hispower in causing uneasiness through his mode of attribution ofthe votes. In this study, the evaluation anxiety was measured ona sample of 4458 lower secondary school students in Romethrough the administration of the CTS questionnaire (Come tisenti) (Stanzione, 2017). The administration allowed to meas-ure anxiety on a five-step Likert scale and to relate it through re-gression models with some dimensions of well-being and dis-comfort measured by the same questionnaire and with dimen-sions referred to the teacher as the Burn-out and the Perceptionsof the working context. The evaluation anxiety was the discom-fort dimension with the highest score. The anxiety in relation tothe votes has also been investigated through eight focus groupswithin the schools sampled emerging as a predominant categorycompared to other aspects of the school experience.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Ansia, Valutazione, Disagio, Formazione,Scuola secondaria di primo grado

Keywords: Anxiety, Assessment, Discomfort, Training, Lowersecondary school

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

abstract

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Irene Stanzione

1. breve inquadramento teorico

Per ansia si definisce l’anticipazione apprensiva di un pericolo odi un evento negativo futuro. L’ansia è un costrutto bidimensio-nale, che implica aspetti cognitivi (pensieri di anticipazione, ap-prensione, preoccupazione) quanto aspetti psicofisiologici (laproduzione di veri e propri sintomi neuro-vegetativi) (Sana-vio&Cornoldi, 2001).In letteratura non risulta il termine ansia da valutazione. Le

definizioni usate sono ansia scolastica, fobia scolastica, ansia daprestazione, che differiscono tutte tra loro. L’ansia in generale,che sappiamo distinguersi dalla paura in quanto la seconda si ri-ferisce a un pericolo reale mentre la prima a un pericolo ipoteti-co, rientra tra i normali meccanismi di difesa dell’individuo neiconfronti delle minacce dell’ambiente (Sanavio&Cornoldi,2001), può tuttavia diventare bloccante e disfunzionale quandoè eccessiva e quando l’individuo non è capace di gestirla. L’ansiarispetto alla valutazione rientra in quell’ insieme di ansie definiteegoiche (Ellis,1980; Greiger & Boyd, 1983). Seguendo la descri-zione offerta da Kendall e Di Pietro (1995), l’ansia di tipo egoicoderiva da distorsioni cognitive quali: anticipare le proprie presta-zioni immaginandole in modo negativo, supporre che dalle pro-prie azioni derivi un giudizio negativo da parte degli altri, nonsopportare il pensiero che questo possa avvenire. I sintomi che sipresentano possono essere sia comportamentali che emotivi. Isintomi comportamentali si traducono in. «evitamento» cheequivale a sfuggire a situazioni che si vivono come minacciose(l’assenteismo o l’evitamento del compito, il disimpegno verso leattività di studio, la passività in classe, non offrirsi come volon-tario, compiti a casa non fatti o trasandati) oppure in «perfezio-nismo» (un comportamento compulsivo, tendenza a voler stra-fare o a impegnarsi più del voluto). Accanto alle conseguenzecomportamentali si ritrovano delle concomitanti emotive qualiad esempio, rispetto all’evitamento, ansia generalizzata, senso diinferiorità o preoccupazione per le scadenze e, per il perfezioni-

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smo, un senso di piacere nel riuscire, innalzamento dell’ansiaprima di una prestazione, depressione, colpa, abbattimentoquando non si riesce, preoccupazioni per le scadenze, dubbi os-sessivi su di sé (Greiger & Boyd, 1983).La presenza dei due sintomi comportamentali opposti (evita-

mento e perfezionismo), ci fa pensare che il comportamento sco-lastico e dunque anche il rendimento, non siano gli unici cam-panelli di allarme da osservare. Uno studente che prova un fortevissuto di disagio infatti può avere comportamenti totalmentedifferenti manifestando anche risultati di eccellenza. Tuttavia bi-sogna chiedersi, al netto delle caratteristiche individuali, comead esempio tratti di personalità di tipo ansioso, quale ruolo ha lascuola, il docente, il sistema di valutazione.

2. Disegno di ricerca

Il presente contributo è il frutto di un approfondimento rispettoad alcuni dati emersi all’interno di una ricerca di dottorato cheha come obiettivo generale quello di indagare il ruolo educativodel benessere all’interno del contesto scolastico. L’ansia da valu-tazione è risultata come forte componente di disagio sia nellostudio quantitativo che in quello qualitativo, nonostante la ricer-ca non la stesse indagando come fattore principale. La popola-zione si riferisce alle scuole secondarie di primo grado, il campio-ne è di convenienza e comprende 4458 studenti di scuole di Ro-ma. A questo scopo è stato costruito e validato un questionarioper gli studenti che rilevasse il benessere e il disagio (Stanzione,2017).L’ansia da valutazione è una delle dimensioni indagate all’in-

terno del fattore «disagio». Questi fattori sono stati messi in re-lazione alle percezioni del contesto educativo (Stanzione & duMérac, 2018). Il vissuto dell’esperienza scolastica è stato poi ap-profondito attraverso due focus group all’interno di ogni scuolacampionata per un totale di 8 focus group di studenti. Emergen-

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do come predominante il ruolo degli insegnanti si è scelto di al-largare l’indagine, rilevando le condizioni di Burn-out (Bakker,et al., 2002) e di Percezioni del contesto lavorativo (Rondinoneet al., 2012) e mettendo in relazione questi fattori con quelli de-gli studenti.

3. L’ansia e la valutazione: alcuni risultati

I focus group sono stati condotti con traccia libera. Si chiedevaagli studenti di raccontare il loro vissuto scolastico: quello che fa-ceva star loro bene e quello che faceva star loro male a scuola. Ifocus group sono stati condotti da un moderatore alla presenzadi un osservatore. Sono stati registrati gli scambi verbali tra i par-tecipanti e il linguaggio non verbale.I focus group sono stati analizzati attraverso l’analisi delle ca-

tegorie e delle mappe concettuali (Cataldi, 2009).I voti sono emersi come seconda categoria predominante do-

po il rapporto con i professori.

Figura 1. Schema riassuntivo analisi categoriale dei focus group

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Intorno all’argomento voti sono ruotati concetti quali la Mo-tivazione, in quanto prendere un buon voto motiva allo studio,Etichetta, in quanto il voto è visto come una gabbia dalla qualenon si può uscire, Umiliazione, riferendo di un vissuto negativorispetto al feedback ricevuto, Ingiustizia e Preferenze, in quantol’attribuzione del voto non sembra per loro avere un reale sensoformativo ma è dettata dalle simpatie dell’insegnante. L’ansia èrisultata una categoria predominante e collegata ai voti. Gli stu-denti hanno parlato indistintamente di ansia e paura non cono-scendone ovviamente la differenza. Nella figura 1 sono riportatifedelmente i loro pensieri e vissuti. L’ansia da valutazione è stataindagata anche nell’indagine quantitativa analizzando i punteggiottenuti nel questionario CTS che indaga il benessere e il dis-agio. Tali punteggi sono stati poi messi in relazione con i fattoriindagati negli insegnanti quali il Burn-out e il ManagementStandard Indicator Tool. Al fine di verificare l’esistenza di una variazione nei punteggi

medi di ansia da valutazione degli studenti dovuta a come gli in-segnanti percepiscono aspetti relativi al proprio lavoro e al con-testo scolastico, sono state condotte analisi della varianza (trami-te Anova One Way) (Tab.1). I fattori della scala ManagementStandard sono stati ricodificati attraverso il calcolo dei percentiliper verificare la variazione dei punteggi degli studenti in relazio-ne a gruppi di insegnanti che hanno riportato livelli di rischiostress alto, medio o basso in relazione al proprio lavoro.

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Tab.1 Ansia da valutazione e livello di rischio stress lavoro-correlato

I gruppi di studenti i cui insegnanti hanno riportato punteggipiù alti nella dimensione Domanda1, collocandosi nel gruppo al-to rischio, hanno punteggi significativamente più alti in Ansia davalutazione (m=3,99; p<.01).Le regressioni lineari effettuate con metodo stepwise (Tab.2)

hanno mostrato che alcuni aspetti relativi a come gli insegnantipercepiscono il proprio lavoro e il relativo contesto hanno una re-lazione con i livelli di ansia da valutazione degli studenti: Relazioniinterpersonali2 (.382) Ruolo3 (-.641) e Domanda (.326). Sorpren-

1 La dimensione indaga richieste, da parte dell’azienda al lavoratore, conse-guibili e realizzabili nell’orario di lavoro; attività lavorativa concepita sullabase delle competenze del lavoratore;-adeguata attenzione alla gestione deiproblemi legati all’ambiente in cui i lavoratori svolgono la propria attività

2 La dimensione indaga la promozione da parte della scuola di comporta-menti positivi sul lavoro, per evitare conflitti e garantire correttezza neicomportamenti;-possibilità di condivisione, da parte del lavoratore, di in-formazioni relative al proprio lavoro;esistenza di sistemi per favorire la segnalazione, da parte dei lavoratori, diinsorgenza di comportamenti inaccettabili.

3 La dimensione indaga garanzia che le richieste ai lavoratori siano compa-tibili con il loro ruolo;- informazioni adeguate per consentire ai lavoratoridi comprendere il proprio ruolo e le proprie responsabilità.

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dentemente il Burn-out non ha mostrato una relazione significa-tiva. Tuttavia, la natura dei dati raccolti implica una riflessione sucome le analisi andranno trattate in futuro: si terrà in considera-zione la variabilità tra le diverse classi attraverso metodi multilivel-lo e si farà riferimento alla letteratura e agli studi sul contagio emo-tivo per le modalità di trattamento e analisi dei dati.

Tab. 2 Regressioni Ansia da Valutazione e dimensioni Insegnante

4. Discussione e conclusioni

I dati emersi si ricollegano alla letteratura più rilevante sul tema,interrogandoci sul ruolo, sul vissuto e sulla responsabilità dellavalutazione. Il carico emotivo ad essa associato non viene consi-derato sufficientemente, lasciando “alla psicologia” lo studio ditali fattori di cui però anche il docente è responsabile. In un’ot-tica interazionista, in quanto aspetti di benessere e disagio si in-seriscono in questo filone teorico, l’ansia da valutazione riguardale caratteristiche individuali del soggetto, in questo caso dellostudente, riassumibili nel suo tratto di personalità, nelle sue dis-

REGRESSIONI Beta t Sign.

Relazione .382 2.122 .034

Ruolo -.641 -3.208 .001

Domanda .326 2.244 .025

Controllo N.S. -1.642 .101

Supporto_Dirigente N.S. .238 .812

Supporto_colleghi N.S. .321 .749

Cambiamento N.S. .391 .696

Burnout N.S. .638 .523

a. Variabile dipendente: ANSIA DA VALUTAZIONE

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torsioni cognitive e con quello che l’analisi transazionale defini-rebbe copione di vita, cioè l’eredità della propria storia familiarecon le ingiunzioni e i doveri. Come secondo aspetto emergonole caratteristiche del contesto: a costituire l’ambiente di crescitadi uno studente c’è la famiglia, il supporto dei pari (in molti deifocus group emerge come i pari possano essere una risorsa posi-tiva per lo studio ma anche per la sopportazione della frustrazio-ne), il clima di classe e le caratteristiche personali e di insegna-mento del docente. Infine, in riferimento alla valutazione e dun-que come elemento specifico rispetto alle classiche teorie sul be-nessere e sul disagio, il tipo di valutazione adottata. Qui entra incampo la riflessione e la visione educativa. Tutto ciò che ruota in-torno alla letteratura sul tema, cioè l’adozione di una valutazioneformativa e sommativa, l’accuratezza degli aspetti docimologici,le modalità di restituzione dei voti, il feedback formativo, nonpossono essere considerati separatamente dalle altre due caratte-ristiche coinvolte (individuali e di contesto).E dunque quale formazione l’insegnante deve ricevere in in-

gresso e in itinere? È possibile una formazione “tecnica”, “didat-tica” e “docimologica” senza una formazione della persona cheattraversi una conoscenza di sé, al fine di imparare a conoscerel’altro interpretando e trattando i suoi pensieri, le sue emozionie i suoi comportamenti? La valutazione è dunque solo un proces-so docimologico e relazionale? Bisogna solo “sperare” nelle buo-ne doti relazionali di un docente oppure si dovrebbe auspicareuna formazione specifica su questo? Si lasciano questi spunti co-me una riflessione aperta in quanto sono sorti sulla base di un’e-videnza empirica non ricercata; questa ha stimolato ad appro-fondire il tema trattato e a ritrovare, come anche per la letteratu-ra sul benessere, un piccolo vuoto tra gli studi prettamente psi-cologici e quelli pedagogici senza un reale ponte che unisca le co-noscenze “sulla mente” con pratiche quotidiane all’interno delvissuto scolastico.

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Riferimenti bibliografici

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Ellis, A. (2003). Discomfort anxiety: A new cognitive-behavioral con-struct (Part I). XXI (III-IV). Journal of rational-emotive and cogni-tive-behavior therapy, 183-191.

Kendall, P., Di Pietro, M. (1995). Terapia scolastica dell’ansia. Guidaper psicologi e insegnanti, VII, Trento: Edizioni Erickson;

Grieger, R.M., & Boyd, J.D. (1983). Childhood anxietes, fear andphobias: a cognitive – behaviour psychosituational approach. In A.Ellis, M.E. Bernard (eds.), Rational- emotive approaches to the pro-blems of childhood. New York: Plenum Press.

OECD. (2015). Do teacher-student relations affect students’ well-being at school? Pisa in Focus, L, 1-4.

Rondinone, B. M., Persechino, B., Castaldi, T., Valenti, A., Ferrante,P., Ronchetti, M., & Iavicoli, S. (2012). Work-related stress risk as-sessment in Italy: the validation study of health safety and executiveindicator tool, Giornale italiano di medicina del lavoro ed ergono-mia, XXXIV (IV), 392-399.

Sanavio, E., & Cornoldi, C. (2001). Psicologia clinica. Bologna: il Mu-lino.

Stanzione, I. (2017). Validazione e standardizzazione della versione ita-liana del questionario “Come Ti Senti?” sul benessere e disagio nel-la scuola secondaria di primo grado. Italian Journal of EducationalResearch, XVIII, 115-131.

Stanzione, I., du Mérac, É. R. (2018). Adattamento dell’EducationalContext Perception Questionnaire II per la scuola secondaria diprimo grado. Journal of Educational, Cultural and Psychological Stu-dies (ECPS Journal), XVII, 97-111.

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II.14 –––––––––––––––––Pratica didattica dei problemi matematici e testo delle Indicazioni Nazionali nelle rappresentazioni degli insegnanti di scuola primaria.Didactic practice of mathematical problems and text of national indications in the representations of primary school teachers –––––––––––––––––Annarita MonacoUniversità degli studi di Roma La Sapienza – NRD di Bologna

Gli insegnanti di matematica di scuola primaria propongonoagli alunni soprattutto problemi esercizio, che mirano a con-solidare e a verificare l’acquisizione di regole e tecniche. I libridi testo presentano per lo più esercizi standard, i “cosiddetti”problemi, in gran parte stereotipati, che privilegiano il prodot-to piuttosto che i ragionamenti, la discussione e l’argomenta-zione, elementi fondamentali di processi matematici significa-tivi. Nel testo delle Indicazioni Nazionali i problemi sono peròdefiniti come questioni autentiche e significative legate alla vi-ta quotidiana e si evidenzia la centralità dello sviluppo delle ca-pacità di comunicazione, di discussione e di argomentazione.Emerge dunque una contraddizione tra le consuetudini didat-tiche degli insegnanti e le indicazioni del testo ministeriale.Dal desiderio di comprendere le motivazioni di tale contrad-dizione trae origine l’interesse a studiare le convinzioni che idocenti di scuola primaria hanno sui problemi e sulla praticadidattica degli stessi. Sono state effettuate 45 interviste pro-fonde a docenti di scuola primaria. L’analisi qualitativa, effet-tuata con il software NVIVO 11, ha fatto emergere, oltre alleopinioni sul valore, le modalità d’uso e l’applicabilità del testodelle Indicazioni Nazionali in aula, le diverse attribuzioni di si-gnificato date ad alcune parole chiave in esso presenti: discus-sione, argomentazione, realtà, chiarezza, autenticità, significa-tività. Si profilano, dunque, categorie interpretative per futuristudi qualitativi e quantitativi, ma anche nascono indicazioni

abstract

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utili per una possibile rivisitazione critica del testo ministeria-le, oltre che per la scelta di contenuti mirati per la futura for-mazione docenti.

Primary school math teachers propose to students specially ex-ercise problems, which aim to consolidate and verify the ac-quisition of rules and techniques.Most textbooks present standard exercises, the “so-called”problems, largely stereotyped, that give preference to the prod-uct rather than reasoning, discussion and argumentation, fun-damental elements of significant mathematical processes.In the text of the National Guidelines, however, the problemsare defined as authentic and significant issues related to every-day life and the centrality of the development of communica-tion, discussion and argumentation skills is highlighted. Thereis therefore a contradiction between the teaching habits ofteachers and the indications of the ministerial text.From the desire to understand the motivations of this contra-diction originates the interest in studying the beliefs that pri-mary school teachers have on the problems and on the didacticpractice of the same. 45 in-depth interviews were conductedwith primary school teachers. The qualitative analysis, carriedout with the NVIVO 11 software, has brought out, in addi-tion to opinions on the value, the methods of use and applica-bility of the text of the National Directions in the classroom,the different attributions of meaning given to some key wordsin it presents: discussion, argumentation, reality, clarity, au-thenticity, significance. Therefore, interpretative categories forfuture qualitative and quantitative studies are emerging, aswell as useful indications for a possible critical review of theministerial text, as well as for the selection of targeted contentsfor future teacher training.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Convinzioni, atteggiamento, problem solving,metacognizione, formazione docenti.

Keywords: Beliefs, attitude, problem solving, metacognition,teacher training.

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Annarita Monaco

1. Introduzione

Gran parte del tempo, nelle ore di matematica della scuola pri-maria, è dedicato all’espletamento di esercizi scritti, utili per con-solidare e verificare l’acquisizione di regole e tecniche apprese inaula. Le proposte dei “cosiddetti” problemi sono null’altro cheesercizi e ben poco mettono in gioco le componenti noetiche,strategiche, comunicative e semiotiche dell’apprendimento ma-tematico, al più quelle algoritmiche (Fandiῆo Pinilla, 2008). Glialunni si limitano ad applicare itinerari risolutivi per i quali si so-no allenati in aula e sono in difficoltà nel momento in cui si tro-vano a dover affrontare veri problemi (Monaco, 2016). Eppure,nella premessa alla parte matematica delle Indicazioni Nazionaliper il curriculo del 2012, a pagina 60, si legge:

«La matematica […] contribuisce a sviluppare la capaci-tà di comunicare e di discutere, di argomentare in modocorretto […]. Caratteristica della pratica matematica è larisoluzione di problemi, che devono essere questioni au-tentiche e significative legate alla vita quotidiana, e nonsolo esercizi a carattere ripetitivo ai quali si rispondesemplicemente ricordando una definizione o una regola[…]».

È ancora poco diffusa, nelle aule scolastiche, la realizzazionedi un ambiente di apprendimento che privilegi attività di risolu-zione di problemi significativi, che permettano ai bambini di en-trare in gioco con pensieri, parole, personali rappresentazioni,coinvolti in discussioni accese e costruttive, alla ricerca di argo-mentazioni che giustifichino le loro scelte. Ripartire dai valori,dalle convinzioni, dalle opinioni, dalle emozioni degli insegnantisi profila come una scelta obbligata per impostare una ricerca cheabbia il fine di indagare su quegli elementi cognitivi e affettiviche impediscono ai docenti di avviare una pratica didattica pro-fonda ed efficace (Monaco, 2018).

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2. Cenni teorici

In aula sono presenti molte attività matematiche attinenti all’ap-prendimento, al consolidamento e alla verifica di acquisizione diregole e tecniche che gli alunni devono imparare e successiva-mente applicare. Una volta acquisite tali regole devono combi-narle per creare nuove regole di ordine superiore, apprendendoqualcosa di nuovo. Quel che si richiede in un problema deve es-sere nella zona di sviluppo potenziale, meglio se in quella prossi-male, non in quella di sviluppo effettivo, cioè delle conoscenzeacquisite, altrimenti perde il diritto di essere chiamato problemae si dovrebbe chiamare esercizio (D’Amore, 2014). Gli esercizidunque sono caratterizzati dal fatto che la loro risoluzione richie-de solo l’uso di regole già apprese e, semmai, in via di consolida-mento. I problemi coinvolgono l’uso contemporaneo di più re-gole e la successione di azioni, la cui scelta è un atto strategico ecreativo dell’allievo stesso. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, gli studi dei

cognitivisti hanno indagato gli aspetti “latenti” del pensiero cheinfluenzano i comportamenti dei docenti, le immagini di insegna-mento e di insegnante che hanno come riferimento e che ne in-fluenzano l’azione. Sono stati studiati i costrutti di opinione, diconvinzione, di atteggiamento. In ambiente anglofono si è fatto ri-ferimento ai concetti di attitude e di beliefs. (Vannini, 2012).Per poter inquadrare il costrutto teorico di atteggiamento, si

fa riferimento in questo lavoro alla definizione che mette in evi-denza la necessità che esso sia funzionale al problema di ricercache ci si pone (Kulm, 1980). È sembrato particolarmente appro-priato il costrutto di atteggiamento verso la matematica, costi-tuito dalle seguenti componenti: convinzioni sulla matematica;convinzioni su di sé come insegnante in relazione alla matemati-ca; emozioni associate alla matematica (Zan & Di Martino,2015). Trattandosi di uno studio che ha come focus i problemi,le categorie sono state ridefinite declinando le convinzioni e leemozioni rispetto ai problemi matematici in particolare.

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Annarita Monaco

3. La ricerca

Il lavoro di ricerca si è proposto di indagare gli atteggiamenti, in-tesi come convinzioni ed emozioni, rispetto ai problemi mate-matici e alla loro pratica didattica in aula (Di Martino & Zan,2015). Sono state effettuate interviste semi-strutturate, della du-rata media di 70 minuti, a 45 insegnanti di diverse zone geogra-fiche: Sud, Isole, Centro e Nord. A ciascun insegnante è statochiesto di delineare le caratteristiche auspicate per un problemamatematico. È stata poi proposta l’analisi di sette problemi pen-sati per alunni di classe quinta primaria, appartenenti a sei tipo-logie predefinite: testo standard, narrativo, non standard inclusi-vo, simil-invalsi, compito di realtà. Ciascun docente ha valutatoi problemi in base ai seguenti elementi: percepita fattibilità nellapropria classe; grado di discussione e di argomentazione che puòessere attivata; valutazione del contesto di significatività, di au-tenticità e di legame con la vita quotidiana. La richiesta ai docen-ti di formare due graduatorie dei sette problemi, una di gradi-mento e l’altro di percepita fattibilità in aula, e il successivo con-fronto tra di esse, ha permesso di acquisire dati relativi a prefe-renze e a resistenze verso determinati problemi, ma anche a son-dare la disponibilità dei docenti a rivedere opinioni e convinzio-ni su di essi.

4. I risultati

L’analisi dei dati, effettuata con l’aiuto del programma NVIVO11, ha permesso di pervenire ai seguenti risultati, ancora parziali:le parole “testo” e “chiaro” sono state le più frequenti nelle rispo-ste che i docenti hanno dato alla domanda: “Quali devono esseresecondo te le caratteristiche di un problema matematico?”.

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Fig. 1: Word frequency

Approfondendo il significato dell’aggettivo “chiaro”, sonoemersi due gruppi di significati. Un primo gruppo è riferibile a“chiaro” come legato a un processo di comprensione linguistica:«Messo in un italiano semplice» (Manuela). «Chiaro proprio comeespressione linguistica» (Marina). «Frasi brevi» (Patrizia). Un se-condo gruppo di significati è riferibile a “chiaro” come legato aun processo di comprensione matematica: «Non deve contenerepiù di due domande e di due operazioni» (Antonella). «Deve conte-nere i dati, anche nascosti, e le parole chiave nel testo e nella doman-da» (Antonella). «Non deve contenere troppi dati perché i bambinivanno in tilt» (Stefano). «Ci sono degli asterischi dove dovrebbe es-sere inserita la domanda implicita. È bene lasciarli e poi piano pia-no toglierli» (Monica). Queste ultime affermazioni portano a ipo-tizzare che i docenti citati siano più interessati al risultato; un te-sto che abbia determinate caratteristiche di “chiarezza” è più fa-cilmente risolvibile dai bambini, facilita il loro compito. Prose-guiamo con la disamina delle espressioni dei docenti: «Deve esserenon di esecuzione, ma di applicazione logica» (Patrizia). «Deve es-sere chiaro, un po’ una sfida per chi lo risolve (Viviana). «Deve spin-gere al ragionamento; la componente logica è fondamentale. Poi lachiarezza del testo, soprattutto per bambini abbastanza piccoli. Itermini devono essere comprensibili”» (Eleonora). Le parole delleultime tre docenti mettono in evidenza che il costrutto “chiaro”è inteso come tale rispetto ai processi linguistici. Ma dal puntodi vista dei processi matematici le parole sembrano andare in una

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Annarita Monaco

direzione di interesse per i processi risolutivi. Non sono specifi-cate però quali caratteristiche dovrebbe avere il testo di un pro-blema che possa sollecitare tali processi.Diversi sono anche i significati che i docenti attribuiscono ad

altre parole chiave delle Indicazioni: “discussione”, “autentico”,“significativo”. C’è più discussione e argomentazione quando cisi trova di fronte a problemi difficili: «È complesso come problema;sono costretti a fare ragionamenti connessi gli uni agli altri», oppuredi fronte a problemi che coinvolgono gli alunni, a tal punto dasuscitarne la partecipazione: «I bambini discutono e argomentanociò che riescono a sperimentare e a comprendere». «Ci proverebbero,ma non ci sarebbe discussione perché è troppo lontano da loro». Ladiscussione è più presente quando siamo di fronte a un problemainclusivo, che prevede la possibilità di utilizzare diverse strategierisolutive: «Un problema che ha meno domande, o che prevede stra-tegie diverse risolutive o che non ha numeri, o che è aperto, o che èdi geometria, sollecita di più la discussione». «La discussione permet-te di vedere atteggiamenti diversi rispetto alla soluzione e alla moti-vazione alla soluzione». Ma la discussione è intesa anche nel sensodi permettere a tutti di arrivare al risultato: «In alcuni casi solo dis-cutendo insieme si arriva alla risoluzione, perché ci sono alcunibambini che trovano la soluzione e che aiutano gli altri che non ar-riverebbero mai». La discussione può avvenire in un clima serenoe costruttivo: «Si può discutere nelle aule dove si fa la pedagogia delnon timore, dove i bambini possono azzardare le loro ipotesi». Ladiscussione si realizza laddove i bambini sono chiamati ad agire:«Un problema che fa agire fa anche discutere». La discussione è le-gata all’affettività: «Un problema in cui il bambino ha la possibilitàdi identificarsi con un personaggio che deve trovare una soluzionecrea discussione perché scatta una motivazione affettiva».I docenti ribadiscono la differenza tra i due termini autentico e

significativo (Zan, 2016). Un problema può essere significativo manon autentico, quando mette in gioco le capacità dei bambini di ac-quisire competenze e conoscenze, in un ambiente di apprendimen-to che mette in gioco processi cognitivi di un certo spessore. Tutta-

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via lo stesso problema può non rispondere ai bisogni dei bambini,dunque non essere autentico, non legato alla sua esperienza: «Io persignificativo intendo qualcosa che abbia a che fare con me stesso, perchéè mio, mi interessa e non perché me lo ha chiesto la maestra».

5. Conclusioni

Le differenti interpretazioni di costrutti come chiarezza, discus-sione, autenticità, significatività, e altri, possono contribuire afornire categorie interpretative utili per impostare futuri studi,sia quantitativi che qualitativi, in un campo di ricerca ancora po-co esplorato. Il testo delle Indicazioni Nazionali per il curriculodel 2012 è denso di concetti chiave che spesso non sembrano es-sere recepiti dai docenti. Tali concetti andrebbero sciolti nei lorosignificati, chiariti, approfonditi. Si dovrebbe attivare un con-fronto tra i docenti rispetto ai costrutti teorici presenti nel testodelle Indicazioni e mettere i costrutti stessi in relazione ai proble-mi che sono a disposizione dei docenti. Analizzare, rielaborare,creare testi di problemi più adeguati e coerenti con le Indicazio-ni, ma anche mirati ad un uso più funzionale dei principali co-strutti indicati, potrebbe costituire un impegno sfidante e utileper i docenti, a tutto vantaggio degli alunni risolutori.

Riferimenti bibliografici

D’Amore, B. (2014). Il problema di matematica nella pratica didattica.Modena: Digital Index.

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217 |Ricerche

Annarita Monaco

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abstract

Esperienze

II.15 –––––––––––––––––Implementare capacità metacognitive attraverso la Zona di Sviluppo Prossimale e condividere il processo di valutazione formativa con i discentiTo develop metacognitive abilities through the Zone of Proximal Development and share process of formative assessment with learners –––––––––––––––––Raffaela ToreUniversità degli Studi di Cagliari

Il contributo propone uno studio di caso che riguarda ungruppo di studenti e studentesse della scuola secondaria di pri-mo grado e della secondaria, in parte interessati da DisturboSpecifico dell’Apprendimento (gruppo sperimentale) e in par-te ritenuti normodotati (gruppo di controllo). L’ipotesi propo-ne di identificare la Zona di Sviluppo Prossimale (Vygot-ski,1931/2014) e di legare l’insegnamento, da un lato, alle ca-ratteristiche personali del discente (Domenici, 2002) e dall’al-tro alla capacità del docente di modificare la situazione osser-vata in partenza, in vista dei risultati previsti per l’apprendi-mento (De Vecchi, 1996, Crahay, 2013, Moretti, 2010). Il do-cente e/o la docente informano i discenti rispetto agli obiettiviche si vogliono attendere, costruiscono insieme il processo divalutazione formativa e implementano competenze attraversol’uso di strategie metacognitive (Cornoldi, 2006,2016,2017).L’insegnante può proporre la prova di valutazione in funzionecertificativa con risultati di apprendimento incoraggianti.

The present study investigated a group of students from thesecondary school, one part with Specific Learning Disorder(experimental Group) and one part without any learning dis-order (control group). The hypothesis proposes to identify theZone of Proximal Development (Vygotski,1931/2014) and tolink the teaching method, on the one hand, to the personalcharacteristics of the learner (Domenici, 2002) and on the

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other the ability of the teacher to modify the initial situation,observed at the beginning, in view of the learning outcomes(De Vecchi, 1996, Crahay, 2013, Moretti, 2010). The teacherinforms the learners of the goals the want to achieve, togetherthey build the formative assessment and implement skillsthrough the use of metacognitive strategies (Cornoldi, 2006,2016, 2017). The teacher can propose the evaluation test in acertified function with encouraging learning achievements.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: apprendimento, metacognizione, valutazioneformativa, competenze, Disturbo Specifico dell’Apprendi-mento.

Keywords: learning, metacognition, formative assessment,skills, Specific Learning Disorder.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Sessione 2

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1. Introduzione

I sistemi educativi mondiali si trovano di fronte ad una sfida im-portante: assicurare l’accesso di tutti gli individui ad una educa-zione di qualità per promuovere la possibilità dell’apprendimen-to lungo tutta la vita.Un’istruzione di qualità è la base per raggiungere uno svilup-

po sostenibile, è un fattore chiave per eliminare la povertà ed èessenziale affinché le persone acquisiscano quelle competenzenecessarie per contribuire allo sviluppo di una cittadinanza attiva(Incheon Declaration. Éducation 2030, p.5). Nel contesto stori-co attuale la scuola deve essere una Comunità d’Apprendimentoe di Pratica ed è proprio in questo senso che diventa inclusiva(Brown, Campione, 1994; Wenger, McDermott, Snyder, 2007).L’insegnante dovrà mettere in campo un largo bagaglio di strate-gie d’apprendimento per rispondere in modo opportuno alle dif-ferenze dei discenti e delle discenti. In questo modo la dimensio-ne inclusiva si svilupperà verso l’equità non solo a parole ma co-me pratica d’insegnamento (Bianco, Guerin, Lima, 2016, DeVecchi, Carmona-Magnaldi,1996, Moretti, 2003, OECD2011- 2017).

2. Quadro teorico di riferimento

Malgrado i sistemi educativi contemporanei parlino da tempo diinclusione ed i documenti europei ed internazionali riferiscanoin questi termini (OECD, 2005-2017), in risposta alle diversità,tendono a stigmatizzare studenti e studentesse favorendo la loroesclusione dal sistema formativo, di conseguenza da tutti i servizidi qualità quali la salute, la casa, la giustizia e la cultura (Bernar-din, 2013, Checchi, 2007, Feyfant, 2014, Perrenoud, 2005,OCSE, 2016- 2017). La Sintesi dei risultati PISA- OCSE 2015(Volume I) e che riguarda 72 paesi, rivela un sistema educativoprofondamente inegualitario. In tutti i paesi partecipanti stu-

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Raffaela Tore

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denti e studentesse di 15 anni provenienti da situazioni di con-testo sfavorevoli (quartile inferiore dell’indice socio-economico)sono suscettibili di riuscire meno negli studi che i loro compagnipiù favoriti (quartile superiore dell’indice socio-economico). Ilrapporto ha messo in evidenza una particolarità: lo scarto tra chiconsegue un titolo di studio e chi non lo ha sta diminuendo maaumenta la distanza tra chi arriva a conclusione del percorso for-mativo con competenze adeguate e chi arriva e lo conclude conpochissime competenze. Sembra allora che la riuscita non si giu-dichi più in termini di diplomi o di certificazioni ma in terminidi scarto tra i migliori e i peggiori. Il problema può essere affron-tato in maniera efficace attraverso un miglioramento costantedella qualità dell’educazione e della formazione (OECD, 2016 -PISA 2015) infatti i risultati finali dei percorsi di formazionecambiano a causa di circostanze che non dipendono solo da unaresponsabilità individuale. Tre variabili confliggono con il prin-cipio di equità rispetto ai risultati di apprendimento attesi: ilcontesto famigliare, l’abbandono per bocciature e la stratificazio-ne delle scuole secondarie (Checchi, 2010, OECD, 2017).

3. Problema indagato

In Italia uno studente o studentessa su sei non arriva al diplomae si parla di emergenza NEET (Not in Education, Employmentor Training, OECD, marzo 2017). Nel nostro sistema di istru-zione formale i discenti e le discenti sono suddivisi in due grandicategorie: coloro che hanno un apprendimento performante(con un Quoziente intellettivo > di 85) e i BES (coloro che sonointeressati da Bisogni Educativi Speciali). I BES apprendono inmaniera non performante (Direttiva Ministeriale del 27 Dicem-bre 2012, Circolari ministeriali n. 8/2013 e n. 2563 del 22 No-vembre 2013, Circolare N.1143, 17 maggio 2018). Essi sonostudenti e studentesse con invalidità fisica e cognitiva (QI ≤85),Disturbo Specifico d’Apprendimento (Q. I. > 85) o interessati

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Sessione 2

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da svantaggio socio- economico, linguistico, culturale (Q. I. >85). L’analisi del contesto ha fatto scaturire le seguenti riflessioni:l’insegnante può favorire l’apprendimento degli studenti? Puòrenderli consapevoli delle strategie di apprendimento che posso-no mettere in opera per comprendere il mondo che li circondaed implementare competenze via, via più adeguate? Ci sono de-gli strumenti efficaci per monitorare l’apprendimento e che puòessere condiviso tra docente e studente?L’ipotesi ha proposto di identificare la Zona di Sviluppo Pros-

simale, che nell’apprendente e la distanza tra il livello di appren-dimento al momento della proposta di un nuovo compito e il li-vello di sviluppo potenziale che possiede nel risolvere tale com-pito (Vygotski,1931/2014) e di legare l’insegnamento, da un la-to, alle caratteristiche personali del discente (Domenici, 2002) edall’altro alla capacità del docente di modificare la situazione os-servata in partenza, in vista dei risultati previsti per l’apprendi-mento (De Vecchi, 1998, Crahay, 2013, Moretti, 2010).

4. Metodologia

Il campione di studio è rappresentato da un gruppo di studentie studentesse che hanno frequentato un laboratorio sperimentaledi studio e i risultati di apprendimento sono stati monitorati at-traverso prove di valutazione. Fanno parte del gruppo sperimen-tale n. 14 studenti e studentesse, scelti all’interno della categoriaBES e interessati da Disturbo Specifico dell’Apprendimento(DSA), con votazioni insufficienti nelle discipline prese in con-siderazione, 7 frequentanti la scuola secondaria di primo grado e7 frequentanti la scuola secondaria. Il gruppo di controllo sicompone dello stesso numero di studenti e studentesse frequen-tanti gli stessi livelli di istruzione del gruppo sperimentale, convotazioni sufficienti e non interessati da disturbo. Si è valutata lasituazione di partenza dei due gruppi attraverso prove di valuta-zione dell’apprendimento per il testo letterario, storico e per la

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matematica. Le prove sono state costruite con l’aiuto della tasso-nomia adattata di Bloom (Anderson, Krathwohl, 2001) metten-do in evidenza obiettivi di conoscenza, abilità e competenza, se-condo il livello di difficoltà della classe di appartenenza dello stu-dente e studentessa. Le domande sono state costruite assegnandoun punteggio progressivo rispetto agli obiettivi dal più sempliceal più complesso. La valutazione è considerata sufficiente se glistudenti e le studentesse rispondono a 7 domande su 15 (una do-manda deve valutare l’abilità); buona se le risposte adeguate sono11 su 15 (una valuta abilità e una le competenze); il punteggiosoddisfa, invece, un risultato ottimo se le risposte adeguate sono15 su 15. Dall’analisi delle prove ex ante si è evinto che il grupposperimentale (DSA) ha riportato un risultato insufficiente rispet-to agli obiettivi di apprendimento stabiliti. In seguito si è inter-venuti con un’azione educativa e didattica metacognitiva (Cor-noldi, 2017), durata 3 mesi, per due giorni alla settimana, di dueore ciascuna, intervenendo nell’area di apprendimento denomi-nata “Zona di Sviluppo Prossimale” per implementare compe-tenze sempre più alte (Vygotskij, 2007). Si è lavorato con i gruppi pensando di far acquisire la capacità

di imparare ad imparare, nell’ottica di un cambiamento rispettoal paradigma epistemologico delle discipline viste non solo comecontenuti ma come dei problemi aperti (Detroz, Crahay, Fa-gnant, 2017; Moretti, 2010, Martini, 2011) e utilizzando la va-lutazione formativa in maniera condivisa con gli studenti e lestudentesse (Tore, 2013). L’approccio di tipo metacognitivo(Ashman, Conway, 2005, Cornoldi, 1995) ha rappresentato leidee possedute dallo studente e dalla studentessa sul proprio fun-zionamento mentale, riguardo impressioni, intuizioni e autoper-cezioni; i processi metacognitivi di controllo e in particolare leattività cognitive che presiedono ad un funzionamento cognitivo( previsione, valutazione, pianificazione, monitoraggio); la capa-cità di saper osservare e riflettere su ambiti specifici del propriofunzionamento cognitivo, affettivo e sociale (Cornoldi, 1995,Trinchero, 2012). Si è ragionato attraverso le seguenti domande:

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Sessione 2

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cosa conosco di questo argomento? Quali strategie uso per ap-prendere? Ho compreso quello che ho fatto? Come posso correg-gere gli errori? Ho raggiunto gli obiettivi che mi proponevo? Uti-lizzo strumenti compensativi e dispensativi come mediatori? Inmaniera condivisa discenti e docenti hanno scomposto la disci-plina in obiettivi e hanno preparato le prove di valutazione for-mativa con l’aiuto della Tassonomia adattata di Bloom. Termina-to l’intervento sono state somministrate delle nuove prove confunzione certificativa, seguendo la stessa costruzione e modalitàdi quelle ex ante. I risultati hanno messo in evidenza per il grup-po A sperimentale (Graf. 1 e 2) il raggiungimento degli obiettivisecondo un livello di sufficienza nell’apprendimento.

Graf. 1: risultati di apprendimento per la valutazione del gruppo A, sperimentale, scuola secondaria di primo grado

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Graf.2: risultati di apprendimento per la valutazione degli apprendimenti del gruppo A, sperimentale, scuola secondaria

Nello stesso tempo, dall’analisi delle prove del gruppo di con-trollo si è evinto che anche in questo caso l’apprendimento è mi-gliorato verso la competenza (Graf. 3 e 4).

Graf. 3: risultati di apprendimento per la valutazione degli apprendimenti del gruppo B, controllo scuola secondaria di primo grado

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Graf. 4: risultati di apprendimento per la valutazione degli apprendimenti del gruppo B, controllo, scuola secondaria

5. Conclusioni

Il ruolo del docente è stato importante per favorire le condizioninecessarie per dar via ai processi di sviluppo metacognitivo, perraggiungere gli obiettivi proposti e per offrire la possibilità aglistudenti e alle studentesse di co-costruire l’apprendimento inmodo da permettere l’acquisizione di un grado di competenzaaccresciuto (Michèle Venet, Correa Molina, Saussez, 2016).Una pratica innovativa nel processo di insegnamento-appren-

dimento è stata di condividere gli obiettivi didattici rispetto alladisciplina considerata e costruire insieme agli studenti e alle stu-dentesse le prove di valutazione formativa poi metterli alla provacon un nuovo problema da risolvere attraverso la prova certifica-tiva. Infatti, come dice Domenici (2002, pp. 11-14) si può assi-curare l’equità in termini di risultati di apprendimento, garan-tendo saperi significativi, sistematici, stabili e capitalizzabili sulpiano cognitivo ed emotivo-relazionale per permettere a ciascu-

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no di continuare ad apprendere per tutta la vita. La valutazioneè diventata una strategia metacognitiva in un’ottica costruttiva etrasformativa dell’apprendimento.

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Raffaela Tore

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Sessione 2

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abstract

Ricerche

II.16 –––––––––––––––––Costruire alleanze fra scuola e territorio per la cittadinanza attivaProgetto Europeo STEP nella scuola dell’obbligoCreate alliances for citizenship between school and society –––––––––––––––––Elisabetta NigrisUniversità degli Studi di Milano Bicocca

L’intento di questo contributo è di riflettere sulle forme di col-laborazione che la scuola può costruire con il territorio per aprir-si al mondo in cui i bambini esercitano il loro diritto di cittadi-nanza. Partendo da un frame teorico che fa riferimento alla Pe-dagogia Istituzionale, alla pedagogia radicale di Giroux (1989) ealla letteratura sull’Educazione alla cittadinanza, verrà presenta-ta la ricerca-formazione condotta all’interno del Progetto Era-smus Plus STEP condotto negli anni 2015/18. Nella ricercapresentata, attraverso 4 studi di caso, sono stati esplorati, speri-mentati e analizzati gli interventi di insegnanti di scuola dell’in-fanzia e scuola primaria volti ad aprire la scuola al territorio. Glistrumenti utilizzati comprendono l’osservazione (partecipata evideo), l’analisi delle conversazioni dei bambini, i focus groupcon le insegnanti e la trascrizione degli incontri fra ricercatori einsegnanti. L’analisi prodotta ha messo a confronto le diverserappresentazioni di cittadinanza e di territorio degli insegnantida un lato e le loro pratiche didattiche dall’altro. Dall’analisi so-no stati individuati diversi livelli di partecipazione (di bambini,insegnanti, agenzie del territorio) ai progetti educativi svolti al-l’interno della scuola e, di conseguenza, diversi livelli di collabo-razione e negoziazione fra scuola e territorio e fra soggetti ed enticoinvolti. Inoltre, lo studio ha mostrato come le modalità di in-tervento realizzate all’interno della ricerca-formazione (Asquini,2018), hanno accompagnato l’evoluzione del rapporto fra scuo-la e realtà socio-istituzionale così come dell’idea di cittadinanzadei bambini, degli insegnanti e dei soggetti appartenenti alle di-verse agenzie del territorio.

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Sessione 2

The aim of this contribution is to reflect upon the differentforms of collaboration that the school can build with the ter-ritory, in order to open up to a world where children can usetheir right to citizenship. Starting from a theoretical frame-work which refers to Institutional Pedagogy, to Giroux’s radi-cal pedagogy (1989) and to the literature on Citizenship Edu-cation, we will present the teacher professional developmentresearch done within the Erasmus Project Plus STEP duringthe years 2015/2018. In this research, through 4 case studies,we explored, experimented and analyzed the interventions(works?) of Pre-school and Primary School teachers, whostarted to open up the school to their territory.The tools we used include observation (in presence andthrough videos), analysis of the children conversations, focusgroups with the teachers and transcription of the meetings be-tween Researchers and Teachers. The analysis wants to com-pare the different ideas of citizenship and territory the teachershave and their didactical practices.In the analysis, we have considered the different levels of par-ticipation (of children, teachers and agencies on the territory)to the educational projects organized in the school and, con-sequently, the different level of collaboration and negotiationbetween school and territory and amongst people and agenciesinvolved.Moreover, the study shows how the practices used within theteacher professional development research (Asquini, 2018)went together with the evolution of the relationship betweenthe school and the Socio-Institutional reality (fa orrore….sipuò solo dire solo Institutions?) and also the concept of citi-zenship education that children, teachers and all people in-volved in the different agencies on the territory have.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Educazione alla cittadinanza attiva, Scuola-ter-ritorio, Negoziazione, Partecipazione, Ricerca formazione

Keywords: Citizenship education, school-territory, negotia-tion, partecipation, teacher professional development reaserch

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

abstract

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Elisabetta Nigris

Il presente contributo parte dal presupposto che la scuola sia “in-vestita da una domanda che comprende, insieme, l’apprendi-mento e il saper stare al mondo” (Indicazioni Nazionali, 2012),collocandosi nell’ambito della Pedagogia Istituzionale (Freinet,1969; Goffman, 1969, 1998; Dewey, 1916; Tosquelles, 1979;Vasquez Oury, 2010; Nigris, 2000), che considera la scuola nellasua funzione di “spazio pubblico” (Harendt, 2010; Giroux,1989, p. 201) e come tessitura relazionale e isituzionale (Fou-cault, 1984; Bateson, 1984). La competenza di cittadinanza,dunque, non può essere sviluppata in termini di contenuti e pro-grammi, ma deve essere sperimentata e agita (Nigris, 2008; Lo-sito, 2009; Santerini, 2010; Meirieu, 2015), attraverso esperien-ze significative allo scopo di imparare a prendersi cura di sé, deglialtri e dell’ambiente (Balibar, 2012). Come afferma Audigier(2006), il “vivre ensemble” non può prescindere da una tensionepolitica dove lo spazio è luogo di decisioni e di cambiamento enon si esaurisce nel rispetto reciproco e nell’adesione passiva anorme di comportamento pacifico. In questa prospettiva, la pos-sibilità di dialogo e collaborazione fra scuola e territorio assumeun ruolo cruciale e irrinunciabile. Nell’ambito del progettoSTEP, entro cui la ricerca a si inserisce, ci si è interrogati su cometrasferire gli apprendimenti di cittadinanza acquisiti a scuola nel-la vita quotidiana dei bambini e su come includere esperienze dicittadinanza democratica nella scuola. Più nello specifico, nelpresente lavoro ci si è chiesti se la collaborazione reciproca frascuola e territorio possa creare un contesto che promuova citta-dinanza attiva nella scuola dell’infanzia e primaria; e se la Ricer-ca-formazione condotta abbia contribuito a sostenere gli inse-gnanti in questo percorso.La Metodologia utilizzata è quella della Ricerca – formazione

(Nigris, 2000; Magnoler, 2012; Asquini, 2018), individuando lastrategia dello studio di caso (Mortari, 2007). Gli strumenti im-piegati sono: il questionario sulle rappresentazioni di cittadinanza;i focus groups con i docenti; il diario delle attività didattiche; le os-servazioni in classe; la trascrizioni di conversazioni dei bambini in

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Sessione 2

classe e con i ricercatori. L’analisi dei dati è stata operata medianteil software ATLAS.ti, introducendo un sistema deduttivo di cate-gorie. La categoria presa in esame per questa ricerca è quella di“Scuola e Territorio” (ST), analizzando la natura delle azioni di-dattiche, ogni volta che si incontra una relazione tra scuola e terri-torio. Tale categoria è stata incrociata con le “prospettive” della co-struzione dei processi di apprendimento già individuate nella co-struzione del Curriculum Transnazionale di educazione alla citta-dinanza: “descrittivo-informativa”, “analitica”, “complessa”1, previstedal progetto. Infine, si sono esaminate le relazioni fra la categoriaST e quelle che vengono definite in ambito francofono Questionesocialmente vive (Legardez, 2017) e in ambito anglofono Contro-versial Public Issues (Hess, 2002; Oulton et al., 2007).Analizzando i materiali raccolti sono stati individuati 4 livelli

della possibile collaborazione fra scuola e territorio:

Livello 1.Uscite didattiche “chiavi in mano”: si tratta di espe-rienze passive e tendenzialmente isolate, scelte senza una chiaramotivazione.Livello 2. Esperienze sul territorio collegate ad attività in aula

e connesse con la programmazione. Il sapere del territorio vienerielaborato in classe.Livello 3. Avvio di dialogo scuola/territorio, con una prospet-

tiva progettuale articolata e transdisciplinare. Richiede il ricono-scimento delle rispettive competenze (scuola e altre agenzie delterritorio) e la capacità di coinvolgere i bambini in progettazionicondivise.

Dall’analisi si evidenzia come non sempre è stato possibile di-stinguere o isolare nettamente una sola prospettiva nei diversi casi,

1 Per una maggiore comprensione delle categorie messe a fuoco nel progettoSTEP e per un confronto con le riflessioni e i risultati qui presentati si ri-manda ai documenti 02 e 04 del progetto Erasmus Plus STEP consultabilisulla piattaforma Valor.

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Autore

anche se il terzo livello (co-progettazione articolata fra scuola e ter-ritorio) sembra manifestarsi solo nella prospettiva complessa.Ad esempio un’uscita sul territorio, come quella organizzata

in una scuola dell’infanzia di Vimercate, che prevedeva la visitadel Municipio e l’incontro con il Sindaco, si sarebbe potuta limi-tare ad un livello descrittivo-informativo se non avesse compor-tato una rielaborazione personale da parte dei bambini. Se inve-ce, come è accaduto grazie al confronto e alla riflessione con-giunta fra docente e gruppo di ricerca STEP, la visita del Muni-cipio diventa un’occasione per i bambini per conoscere le regoledella vita democratica, attraverso un lavoro di confronto in classeguidato dalla docente, si può parlare di livello analitico, comepossiamo cogliere nella conversazione che segue.

Il sindaco ci ha raccontato un esempio di quando si deve de-cidere se prendere un’altalena nuova per il parco o uno sci-volo…questa decisione non è per evitare che ci facciamomale…non serve per non andare all’ospedale…a cosa serveper esempio?Matteo: per decidereMargaret: Per decidere a seconda di dove sono tanti i citta-dini che vogliono l’altalenaFederico: se piace di più l’altalena o lo scivolo si decideValeria: ma quindi fatemi capire, le leggi del sindaco servo-no perché?Chiara: sono leggi per mettere a confronto

Nella discussione con il Sindaco, però, i bambini vengono infor-mati del ruolo che egli gioca nel processo decisionale, condiviso de-mocraticamente con i consiglieri. I bambini vengono coinvolti inuna simulazione di voto a maggioranza al fine di deliberare quale ti-pologia di gioco sia utile inserire nel parco cittadino (scivolo o alta-lena). Una volta tornati in classe, confrontando quanto appreso conle testimonianze delle famiglie sui problemi di chi vive sul territorio,sono arrivati a formulare consapevolmente e responsabilmente alcu-ne proposte strutturate di miglioramento, rivestendo quindi un

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Sessione 2

ruolo di scernimento e di negoziazione attiva all’interno della co-munità coerentemente con il loro livello di età e di sviluppo. Dal-l’analisi dei dati si evidenzia come, in questo processo di complessi-ficazione dei processi di costruzione dell’idea di cittadinanza, si pos-sano rintracciare diverse trasformazioni sia nelle rappresentazionidei docenti, sia rispetto alle pratiche di cittadinanza agite. La tra-sformazione più evidente e significativa riguarda l’apertura dellascuola al territorio, come riferisce una docente “l’aspetto del territo-rio…è diventato un interlocutore, ecco, mentre prima no”: il territorionon solo diventa un luogo dove individuare soggetti per progettarepratiche di educazione alla cittadinanza. La palestra di cittadinanzasperimentata sotto forma di convivenza all’interno della classe, sisposta a poco a poco anche al di fuori della scuola, dove i bambinivivono da cittadini, proponendo azioni e scelte, formulando le loroproposte alla luce di una comprensione di quello che li circonda,guidati dai docenti. Si legge nella dichiarazione di una insegnante:“Loro sono diventati protagonisti del mondo, cittadini che si esprimonoin modi diversi con la voglia di esplorare il territorio e capirlo e entrarein merito. Andando avanti e la voglia di incontrare gli altri. All’inizionon guardavano neanche i bambini di 3 anni li vedevano come degliestranei pericolosi”. Se dunque gli insegnanti, in fase iniziale del pro-getto di R-F, si rivolgevano agli operatori del territorio per fruire diun’esperienza, condotta da un esperto esterno, che non aveva rica-dute nello sviluppo didattico quotidiano, durante il percorso si as-siste ad un cambiamento. Via via, durante la sperimentazione didat-tica monitorata, gli insegnanti riferiscono di rivolgersi agli operatoridel territorio non più come erogatori di servizi, ma come detentoridi competenze che rispondono ad obiettivi specifici individuati daldocente, effettuando una scelta intenzionale dell’esperto o del per-corso. Quanto appreso durante il percorso “fuori dalla scuola” rien-tra e acquista senso nel percorso didattico pensato dal docente. Esi-ste poi un livello più complesso, che intravede nelle pratiche di edu-cazione alla cittadinanza uno spazio di progettazione partecipatacon gli agenti del territorio, dove si individua come unità d’analisila complessa rete di relazioni, di processi di negoziazione che carat-

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Autore

terizzano un certo contesto. Rispetto a questo, un ruolo importanteè stato giocato dagli operatori del territorio coinvolti nel progetto,che hanno contribuito ad accompagnare la trasformazione dellemodalità didattiche delle, come risulta – a titolo di esempio – dalleparole di una docente di una scuola primaria coinvolta. “A noi nonsarebbe venuto in mente di contattare il centro di accoglienza (…) lei(operatrice di una cooperativa sociale) è stata fondamentale in un per-corso come nel nostro a livello di coinvolgimento sul territorio” o anco-ra: “Preziosa la collaborazione con il territorio che ha avuto una rica-duta nel mio percorso di formazione perché c’è stata molta condivisionecon le associazioni locali proprio per gli obiettivi in comune. Non ci siconosceva inizialmente, si è visto che gli obiettivi seguivano lo stesso per-corso, quindi tutto quello che si è fatto nella classe, le stesse attività, poimettevano in mostra questa rete, se ne sono accorti i genitori, è stato poievidente agli occhi di tutta la comunità”2. Possiamo in conclusione af-fermare che le insegnanti, alla fine della sperimentazione didatticasiano più orientate a posizionarsi in una prospettiva analitica e com-plessa rispetto al modo di intendere l’educazione alla cittadinanza.

Riferimenti bibliografici

Arendt, H. (2010). Responsabilità e giudizio.Torino: Einaudi.Arendt, H. (2017). Per un’etica della responsabilità. Lezioni di teoria politica(a cura di Pansera M. T.). Milano: Mimesis.

Asquini, G. (ed.) (2018). La Ricerca-Formazione. Temi, esperienze, prospet-tive. Milano: Franco Angeli.

Audigier, F. (2006). L’educazione alla cittadinanza in alcuni curricula eu-ropei. In B. Chistolini (Ed.), Cittadinanza e convivenza civile nellascuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini (pp. 100-121). Ro-ma: Armando.

2 Naturalmente, visto il limite di spazio di questo contributo, gli esempi ri-portato sono solo una minima parte del materiale raccolto e analizzato se-condo le categorie sopra dichiarate (anche in questo caso è possibile con-sultare i documenti O2 e O4, sulla piattaforma Valor).

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Sessione 2

Balibar, E. (2012). Cittadinanza.Torino: Bollati Boringhieri. Bateson, G. (1984). Mente e natura, un’unità necessaria.Milano: Adelphi.Dewey, J. (1916). Democrazia e educazione (trad. it. di E. E. Agnoletti e P.Paduano). Milano: La Nuova Italia, 2000.

Foucault, M. (1984). Sorvegliare e punire. Nascita della prigione. Torino:Einaudi.

Freinet, C. (1969). La scuola del popolo. Roma: Editori Riuniti, 1973Giroux, H. A. (1989). Scholing for democracy: Critical Pedagogy in the Mo-dern Age. London.

Goffman, E. (1988). Il rituale dell’interazione. Bologna: Il Mulino. Hess, D. (2002). Discussing Controversial Public Issues in Secondary So-cial Studies Classrooms: Learning from Skilled Teachers. Theory andResearch in Social Education, 30(1), J10-41.

Legardez, A., Richard-Bossez, A., Fauguet, J., & Floro, M. (2017). Edu-cation à la citoyenneté active et formation des enseignants en Europe: leprojet STEP, Journée scientifique SFERE-Provence 2017, Oct 2017,Aix-en-Provence, France.

Losito, B. (2009). Cittadinanza e Costituzione per la costruzione dellecompetenze di cittadinanza. Rivista dell’istruzione, 1, 29-33.

Magnoler, P. (2012). Ricerca e formazione. La professionalizzazione degli in-segnanti. Lecce: Pensa MultiMedia.

Meirieu, P (2015). Fare scuola, Fare la scuola. Democrazia e pedagogia. Ro-ma: Carocci.

Mortari, L. (2007). Cultura della ricerca in pedogogia. Roma: Carocci.Nigris, E. (2015). Pedagogia e didattica interculturale, Culture, Contesti,Linguaggi. Milano: Pearson Mondadori.

Nigris, E., Moscati, R., & Tramma, S. (2008). Dentro e fuori la scuola.Mi-lano: Bruno Mondadori.

Oulton, C., Day, V., Dillon, J., & Grace, M. (2007). Controversial issues:Teachers’ attitudes and practices in the context of citizenship educa-tion. Oxford Review of Education, 30(4), 489-507.

Oury, F. (1977). Tecniche e istituzioni della classe cooperativa.Milano: Em-me (ed. or. 1971).

Oury, F., Vasquez, A. (2011). L’organizzazione della classe inclusiva. La pe-dagogia istituzionale per un ambiente educativo aperto ed efficace (a curadi Emanuela Cocever e Andrea Canevaro). Trento: Erickson.

Santerini, M. (2010). La scuola della cittadinanza. Roma-Bari: Laterza. Tosquelles, F. (1979). L’educazione dei deboli mentali. Bologna: Dehoniane

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abstract

Esperienze

II.17 –––––––––––––––––Quale didattica per l’educazione alla cittadinanza? I risultati di una cross-case analysisCitizenship education and teaching and learning processes? Cross-case analysis results –––––––––––––––––Barbara Balconi Università degli Studi di Milano Bicocca

Pensare la scuola come ad un’agenzia educativa a “partecipazione universal-mente condivisa e che, dunque, potenzialmente, è in grado di raggiungeretutti” indipendentemente dalle proprie origini e dai propri valori; sancisceil diritto all’educazione di ciascuno e, al contempo, afferma la responsabilitàdi allestire le condizioni per la piena realizzazione della persona come citta-dino. Questo è stato ampiamente ribadito all’interno del documento “In-dicazioni Nazionali e nuovi scenari” (2018) che sottolinea come il tema del-la cittadinanza debba assumere la funzione di sfondo integratore delle di-scipline che concorrono a definire il curricolo. Diversi studi mostrano comele competenze di cittadinanza attiva siano difficilmente perseguite per ladifficoltà delle scuole nel realizzare percorsi didattici interdisciplinari in gra-do di connettere esperienze scolastiche ed extra-scolastiche. Apprendere ilprendersi cura di sé, degli altri e dell’ambiente, la capacità di cooperazionee lo sviluppo del pensiero critico e deliberativo orientano ad una revisionedel curricolo e delle modalità didattiche più diffuse. Il contributo indagatramite una cross-case analysis, condotta nell’ambito del progetto ErasmusPlus STEP Pedagogia della cittadinanza tra scuola e territorio, il rapportotra didattica delle discipline ed educazione alla cittadinanza. Il progetto si èconfigurato come una Ricerca-Formazione e ha previsto il coinvolgimentodi 5 Università: Università degli studi di Milano Bicocca, Università di Bo-logna, Università di Aix – Marseille, Università di Siviglia, SUPSI Locarno.Ciascuna unità di ricerca ha condotto nel proprio contesto di riferimento 4studi di caso (2 casi di Scuola Primaria; 2 Scuola dell’infanzia). L’analisi deidati è stata effettuata attraverso un sistema deduttivo di categorie attraversoil software ATLAS.ti (versione 8.3.1) ed è successivamente stata condottauna cross-case analysis. Tra i risultati rilevati dall’unità di ricerca di Milanoemergono condizioni e strategie didattiche che consentono di descrivere espiegare tre prospettive di educazione alla cittadinanza: quella descrittivo-

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informativa, quella analitica e quella complessa. Queste prospettive, utiliz-zate per analizzare le pratiche didattiche, vengono individuate identifican-do le relazioni tra le tipologie di apprendimento degli studenti, le modalitàdi insegnamento dei docenti e le attività didattiche proposte.

School is an educational agency and it’is able to reach everyone, regardlessof their origins and values. School etabilishes the right to education of any-body and at the same time it affirms the responsibility to set up the condi-tions for the full realization of the person as a citizen. This considerationhas been widely reiterated within the document “National Indications andNew Scenarios” (2018) which underlines how the issue of citizenship edu-cation should be integrated within the disciplines at school. Several studiesshow that the skills of active citizenship are hardly pursued due to the dif-ficulty of schools in creating interdisciplinary educational programs able tolink school and extra-scholastic experiences. Learning to take care of your-self, of other people and of the environment, the ability to cooperate andthe development of critical and deliberative thinking lead to a revision ofthe curriculum and of the teaching methods. The contribution investigatesthrough a cross-case analysis, carried out in the Erasmus Plus STEP project(Pedagogy of citizenship between school and territory), the relationship be-tween disciplines teaching and citizenship education. The project has beenconfigured as a teacher professional development research and it involved5 Universities: University of Milan Bicocca, University of Bologna, Univer-sity of Aix - Marseille, University of Seville, SUPSI Locarno. Four case stud-ies (2 case studies of Primary School, 2 Kindergarten) has been conductedby each research unit. The analysis of the data was carried out through a de-ductive system of categories through the ATLAS.ti software (version 8.3.1)and a Cross-case analysis was subsequently conducted. Among the resultsof the Milano unit research, three perspectives of education to citizenshiprelated to conditions and teaching strategies were evidenced: the descrip-tive-informative, the analytical and the complex one. These perspectiveswere described by identifying the relationships between the different typesof learning of the students, the teaching methods of the teachers and theteaching activities proposed.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Educazione alla cittadinanza, Progettazione di-dattica, Studio di caso, Ricerca-Formazione.

Keywords: Citizenship education, teaching and learningdesinging, case study, teacher professional developmentreaserch.

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Sessione 2

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1. Introduzione

Il testo delle Indicazioni Nazionali (2012) e il successivo docu-mento Indicazioni Nazionali e nuovi scenari (2018), sottolinea-no la pervasività dell’educazione alla cittadinanza nelle pratichedidattiche che avvengono a scuola. I riferimenti proposti orien-tano la progettazione del docente verso l’allestimento di «espe-rienze significative» volte alla «costruzione del senso di legalità eallo sviluppo di un’etica della responsabilità», e ad una partecipa-zione “attiva”, da parte dei bambini, nei contesti. È sottesa quindi l’idea che la scuola possa costituire un “banco

di prova” dove sperimentare esperienze di cittadinanza che possa-no essere poi trasferite all’esterno. Il documento “Indicazioni Na-zionali e nuovi scenari” (2018) ribadisce, inoltre, l’utilità di stru-menti culturali e di abilità e competenze necessari per l’esercizio dicittadinanza attiva, cui concorrono tutte le discipline. L’integrazio-ne dei saperi disciplinari per spiegare la complessità della realtà, lacostruzione di conoscenze e abilità attraverso la gestione di situa-zioni complesse, l’apprendimento sociale, la sperimentazione, lalaboratorialità, sono indicati come fattori imprescindibili per svi-luppare competenze e apprendimenti significativi, dotati di valoreper la cittadinanza (Losito, 2009; Meirieu, 2015).Nonostante quanto dichiarato nei documenti, gli insegnanti

sono invece portati ad individuare competenze specifiche riferibilia singole discipline, perdendo in questo modo il rapporto fra sa-peri e la costruzione delle competenze chiave. Studi recenti sullerappresentazioni che gli insegnanti hanno della cittadinanza attivarivelano l’idea che questa non richieda conoscenze e competenzedi tipo curricolare, ma che riguardi più generali sensibilità perso-nali e civiche o avvertenze di tipo etico-sociali (Borghi, 2014).Quest’approccio trasmette ai bambini la percezione che le questio-ni sociali più urgenti non siano strettamente collegate con quantosi studia a scuola; allargando lo iato fra il mondo scolastico e quelloextra-scolastico(Borghi, García-Pérez, Moreno-Fernández, 2015).

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Barbara Balconi

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2. Il progetto step

Il progetto STEP nasce a partire dalla difficoltà degli insegnantidi tradurre pratiche di cittadinanza in progetti interdisciplinari.Si tratta di un progetto Erasmus plus, che si propone di ragiona-re a livello europeo sulle possibilità di creare connessioni auten-tiche e significative fra i contenuti curricolari e l’educazione allacittadinanza.Il progetto ha previsto il coinvolgimento 4 Paesi: Italia, Fran-

cia, Spagna, Svizzera e 5 Università: Università degli sudi di Mi-lano Bicocca, Università di Bologna, Università di Aix – Marseil-le,Università di Siviglia, SUPSI Locarno con l’obiettivo di avvia-re nuove sperimentazioni relative ai curricoli scolastici e all’inte-grazione fra scuola e territorio.La metodologia adottata è stata quella della Ricerca-forma-

zione (Magnoler 2012; Asquini, 2018) e degli studi di caso(Mortari, 2007; Yin, 1994).Ciascuna unità di ricerca ha condotto 4 studi di caso (2 nella

Scuola dell’Infanzia e 2 nella Scuola Primaria) sui quali è statacondotta una cross-case analysis (Merriam, 2001). I dati sono stati raccolti attraverso una pluralità di strumenti,

stabiliti all’interno del protocollo di ricerca del Progetto. Si trattadi questionari a insegnanti e famiglie (Strumento 2-6), focus-group per i docenti (Strumento 3-4-7-14), trascrizione degli in-contri di R-F (Strumento 8), ma anche strumenti volti a racco-gliere dati rispetto all’azione didattica in classe (analisi del conte-sto, diari dell’insegnante, trascrizione di discussioni in classe, os-servazioni, prodotti dei bambini) (Strumento1-5-8-9-10-11-12-13-15). I dati raccolti sono stati analizzati seguendo il modellodi analisi testuale proposto dalla Grounded Theory di stampocostruttivista (Charmaz, 2014), con il software ATLAS.ti (ver-sione 8.3.1), attraverso un sistema deduttivo di categorie. Il progetto si è strutturato in 3 fasi:FASE1: è stata condotta un’analisi comparata dei contesti

istituzionali di formazione degli insegnanti e dei curricoli scola-

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Sessione 2

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stici nazionali ed è stato successivamente elaborato un curricolotransnazionale sui temi dell’educazione alla cittadinanza comesapere trans-disciplinare e sulle metodologie per l’istruzione sco-lastica. FASE2: questa fase ha previsto l’individuazione e lo svolgi-

mento dei 4 studi di caso e lo sviluppo del processo di ricerca-formazione. Le diverse unità di ricerca hanno inoltre stabilitouna metodologia comune di monitoraggio e analisi per gli studidi caso.FASE3: a partire dall’analisi effettuata nelle fasi precedenti è

stato messo a punto un toolkit per insegnanti che non hannopartecipato al progetto di ricerca-formazione al fine di dissemi-nare e diffondere i risultati della ricerca. Per analizzare i dati raccolti sono state individuate sei categorie:

– Organizzazione materiale e spaziale della sessione; elementi estrumenti pedagogici utilizzati.

– Interazioni tra insegnante e studenti (azioni, comportamenti,ruoli) che promuovono, sviluppano, ostacolano l’educazionealla cittadinanza attiva.

– Contenuti e conoscenze mobilitate.– Tipologie di attività sviluppate (meccanico-esecutiva; speri-mentazione isolata; dialogo partecipativo; ricerca complessa;attività metacognitiva; riflessione e sintesi; creativa ed espres-siva).

– Apprendimenti degli studenti (memorizzazione di contenuti,analisi dei contenuti; uso e costruzione critica dei contenuti).

– Processi di sviluppo della formazione iniziale e continua degliinsegnanti legati all’educazione alla cittadinanza attiva.

Queste sei categorie sono state incrociate con altre cinque ca-tegorie, tre collegate ai principali temi generali del progetto, “Vi-vere insieme”, “Educazione allo sviluppo sostenibile” e “Educa-zione al Patrimonio”, e altre due che definiscono tutte le infor-mazioni relative ai processi di “trasformazione” e cambiamento e

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Barbara Balconi

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il collegamento tra “Scuola e Territorio”. La definizione di talicategorie di analisi è determinata dalla cornice di riferimentoteorico del progetto e dalle linee guida per il curricolo transna-zionale elaborato nella fase 1.

3. Primi risultati dell’unità di ricerca Milanese

Dall’analisi effettuata dei dati raccolti nei 4 studi di caso dell’U-nità di Milano, sono state identificate tre prospettive di sviluppodell’educazione alla cittadinanza: una prospettiva descrittivo in-formativa, definita sulla base di una conoscenza delle istituzionie del contesto, che non prevede, da parte di bambini e insegnan-ti, azioni sul territorio; una prospettiva analitica che invece mo-stra una prima partecipazione ai contesti formali, per concluderecon una prospettiva complessa volta a formare un cittadino do-tato di senso critico che partecipa attivamente alla vita della co-munità.Audiger evidenzia come la riflessione stessa sui concetti del-

l’educazione alla cittadinanza democratica sia una dimensionedell’azione (2007), in tal senso, anche nell’analisi effettuata, l’i-dentificazione delle diverse prospettive è stata strettamente con-nessa all’analisi delle strategie didattiche e delle condizioni pro-gettate dall’insegnante, secondo le dimensioni identificate dallecategorie. Si evidenzia quindi come il passaggio da una prospet-tiva epistemologica lineare a una complessa richieda un lavorointegrato tra contenuti e competenze, in un modello che prevedauna pluralità di strategie di comunicazione didattica, di scelta dimetodologie e di contenuti di apprendimento, riferibili ad unpolo più di tipo trasmissivo-tradizionale, verso un polo più par-tecipativo collaborativo.Alla fine della sperimentazione didattica, l’orientamento del-

le insegnanti rispetto al modo di intendere l’educazione alla cit-tadinanza, è stato quello di posizionarsi in una prospettiva ana-litica e complessa. Se, infatti, in sede di pre-focus group le prati-

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che di educazione alla cittadinanza facevano riferimento in granparte alla sola conoscenza delle istituzioni sociali e civiche, delpatrimonio storico-artistico e naturale; alla fine del percorso diricerca-formazione la conoscenza delle istituzioni è divenutafunzionale alla formulazione di considerazioni riguardo questio-ni problematiche e la partecipazione di bambini e insegnanti si èparzialmente o totalmente tradotta in attiva e operante nel con-testo nei termini di impegno sociale (Santerini, 2010). Il ruolodel docente è stato percepito come fondamentale in una gestione“democratica” del fare scuola, avviando una riflessione sul temadella coerenza tra dichiarato e agito, “quello che mi porto a casaè l’importanza di essere coerente con i bambini, fra il pensiero el’agito, cercare di avere quest’attenzione in classe” (focus-groupfinale, strumento 7).

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II.18 –––––––––––––––––Le potenzialità della musica per promuovere l’inclusione nel curricolo della scuola del primo ciclo: dati da una ricerca nazionaleMusic potential to promote school inclusion in the first educational level: data from a national research –––––––––––––––––Amalia Lavinia RizzoUniversità degli Studi Roma Tre

La musica è un elemento strategico per rispondere efficace-mente all’eterogeneità degli alunni e rappresenta una grandeopportunità per promuovere l’inclusione nell’ambito del cur-ricolo. Utilizzata in prospettiva interdisciplinare, consente dimigliorare l’inclusività del curricolo anche in presenza di dis-abilità severe, in quanto promuove uno sviluppo integrato eolistico, motiva la partecipazione ad attività collettive e contri-buisce a costruire atteggiamenti aperti al rispetto delle diffe-renze. A livello internazionale, la musica è ritenuta un vero eproprio indicatore di inclusione e un aspetto significativodell’human functioning. In considerazione di tale quadro, ilcontributo presenta i primi risultati di una ricerca nazionale, acarattere teorico-esplorativo, che ha indagato l’impiego dellamusica per l’inclusione nel curricolo degli istituti del I ciclo diistruzione. Dai risultati emerge che la musica è considerata unfattore di contesto che consente la partecipazione di tutti gli al-lievi, anche con bisogni educativi speciali, facilita lo sviluppodelle abilità trasversali utili all’apprendimento di altre discipli-ne e favorisce lo star bene a scuola.

abstract

Ricerche

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Music meets educational needs of all pupils and it is a great op-portunity to promote inclusion within the curriculum. In aninterdisciplinary perspective, music allows to improve the in-clusiveness of the curriculum even in presence of severe dis-abilities because it promotes an integrated and holistic growth,it motivates participation in collective activities and it helps todevelop the respect for differences. In the internationaloverview, music is considered an indicator of inclusion and asignificant aspect of the human functioning. In considerationof this framework, the paper presents the first results of a na-tional theoretical-exploratory research about the use of musicto promote inclusion in the curriculum in the first cycle of ed-ucation (primary school and lower secondary school). The re-sults prove that music is a context factor that allows the partic-ipation of all students, even with special educational needs, itfacilitates the development of transversal skills useful for learn-ing other subjects, and it promotes the well-being at school.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: inclusione scolastica, musica, curricolo, didat-tica laboratoriale interdisciplinare, bisogni educativi speciali.

Keywords: school inclusion, music, curriculum, inter-disci-plinary workshop, special educational needs.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––abstract

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Amalia Lavinia Rizzo

1. Introduzione

L’eterogeneità delle classi italiane (ISTAT, 2018) richiede la mes-sa in atto di strategie di insegnamento in grado di rispondere ef-ficacemente alle molteplici esigenze formative organizzando almeglio le risorse di cui dispone il curricolo. Nel quadro della fullinclusion, infatti, il curricolo è la chiave per rendere operativi va-lori inclusivi attivando elementi di contesto che garantiscano laparità di accesso e le opportunità di apprendimento (Unesco,2005, 2009). L’inserimento nel curricolo di modelli progettualie didattici flessibili e interdisciplinari, in grado di promuovereun sistema di relazioni collaborative, costruttive e solidali tra in-segnanti e allievi, appare essere un’urgenza educativa. Infatti, trale criticità1 della scuola italiana, vi è un “tradizionalismo didatti-co” diffuso, basato su lezioni frontali e trasmissive, non in gradodi creare le condizioni necessarie per facilitare l’apprendimento ela partecipazione degli allievi con BES.

2. La didattica della musica per l’inclusione

La musica è una disciplina con un’alta potenzialità formativa eun’occasione pedagogica a forte vocazione interdisciplinare2 e in-clusiva (Ferrari, Santini 2014; Chiappetta Cajola et al., 2016a,2016b, 2017). Le attività musicali, infatti, possono essere adattate per con-

sentire la partecipazione in contesti collettivi anche di personecon disabilità severe3 che possono così avvalersi degli effetti po-

1 Si vedano, tra gli altri, Associazione Treellle et al. 2011; Canevaro et al2011; Chiappetta Cajola, 2007, 2015; Demo, 2015; Ianes et al. 2010;Rizzo, 2015.

2 Cf. Deleo, Colazzo, 2006; Frabboni, 2005; La Face Bianconi, 2005.3 Cfr. Adamek, Darrow, 2010; Alvin, 1975; Darow, 2016; Gloag, 1989;Sbattella, 2006; Swallow, 1987.

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sitivi della musica sull’apprendimento (Standley, 2008) e sullosviluppo socio-emozionale (Scripp, 2002). Sul piano dell’apprendimento, la musica migliora i processi

cognitivi (Patel, 2010; Schön et al., 2016), linguistici e matema-tici (Butzlaff 2000; Vaughn, 2000), la memorizzazione (Ferreri,Verga, 2016) e la lettura (Flaugnacco et al. 2014; Gordon et al.,2015). Sul piano socio-emozionale, migliora i livelli di benesse-re, di autostima e la motivazione all’incontro con l’altro (Munro& Mount, 1978; Cosgriff, 1986; Selman, 1986; Kirschner, To-masello, 2010). Infatti, l’educazione artistico-musicale è ritenutarilevante per la trasformazione inclusiva dei sistemi educativi(UNESCO-KACES, 2010) e la partecipazione alle attività mu-sicali è considerata un diritto delle persone con disabilità (Lubet,2011). In coerenza con il modello bio-psico-sociale del “funziona-

mento umano” (WHO, 2001, 2007, 2017), il Nuovo Index perl’Inclusione considera la presenza della musica un indicatore dipratiche inclusive (Booth, Ainscow, 2014) in grado di promuo-vere anche atteggiamenti caratterizzati da rispetto, solidarietà,mutuo aiuto e nonviolenza e, quindi, efficace sia per l’apprendi-mento di saperi e competenze (protoapprendimento) sia per laformazione di specifici abiti mentali (deuteroapprendimento)(Baldacci, 2006; Bateson, 1997). Ma, affinché la musica possa “essere inclusiva”, è necessario

implementare ambienti di apprendimento accessibili, flessibili edinamici (Delfrati, 2008) che impieghino “la forza del gruppo”(Sawyer, 2012) per promuovere la partecipazione e stimolare gliapporti creativi di ciascun componente.

3. Ambito di ricerca

Nonostante la realizzazione di pratiche musicali “inclusive” siaun indicatore di qualità dell’attività musicale (Branchesi 2003,2006), non vi sono ricerche nazionali sull’impiego della musica

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Amalia Lavinia Rizzo

quale fattore del curricolo inclusivo4. Per tale ragione, nel Dipar-timento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre èstato sviluppato un filone di ricerca sul rapporto tra didatticamusicale ed educazione speciale per potenziare l’inclusività delcurricolo5. In relazione a tale ambito, l’ICF e il Nuovo Index per l’Inclu-

sione sono ritenuti sistemi teorico-operativi utili a rilevare se, inche misura e mediante quali modalità didattiche, la musica rap-presenta un fattore di contesto inclusivo, in particolare per gli al-lievi con BES.

4. Obiettivi e metodologia

La ricerca, condotta con una metodologia a carattere teorico-esplorativo (Lucisano, Salerni, 2011), ha perseguito i seguentiobiettivi:

– comprendere se, nelle scuole del I ciclo, la musica è conside-rata un fattore ambientale inclusivo;

– descrivere i facilitatori e le barriere relativi alle strategie didatti-che e agli atteggiamenti dei docenti di musica e degli allievi;

– individuare modalità progettuali e operative utili e sostenibiliper il potenziamento del ruolo inclusivo della musica nellascuola italiana.

4 L’indagine MIUR sul rapporto tra musica e tecnologie digitali (Fiocchetta,2008) non presenta riferimenti all’inclusione Tali riferimenti sono assentianche nell’indagine condotta in Emilia Romagna (Toni, 2009).

5 Il progetto “Il laboratorio musicale per l’inclusione scolastica: uno strumento diosservazione e valutazione su base ICF-CY e Nuovo Index per l’inclusione”, nelquale la scrivente è assegnista di ricerca, è iniziato nell’A.A. 2015/16 ed è tut-tora in corso. Responsabile del progetto è Lucia Chiappetta Cajola.

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Nella ricerca sono state coinvolte le scuole del I ciclo finan-ziate ai sensi del DM8 del 2011 (N=873) con un database forni-to dal Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica(CNAPM)6. Per rilevare la presenza di facilitatori e barriere col-legati con l’attività musicale, è stata implementata, su piattafor-ma Limesurvey, un’intervista strutturata per i Dirigenti Scolasti-ci, coerente con il modello bio-psico-sociale dell’ICF (WHO,2013) e con il Nuovo Index. Per una fase pilota, la web survey èstata inviata a 20 Istituti Comprensivi distribuiti sul territorionazionale. Successivamente, è stata elaborata la versione definiti-va composta da 56 domande articolate in 4 sezioni (Tab. 1)7.

Tab. 1 Descrizione della web survey inviata alle scuole. *I fattori ambientali fan-no rispettivamente riferimento alle seguenti categorie e codici ICF: Prodotti e tecnologie per l’istruzione (e130); Atteggiamenti individuali di cono-scenti, colleghi, vicini di casa e membri della comunità (e425); Atteggiamenti individuali di persone in posizione di autorità (e430)

6 A tal proposito, si ringrazia Annalisa Spadolini, referente nazionale MIURper il DM 08/2011, per la collaborazione e le occasioni di scambio e con-fronto.

7 L’intervista è stata inviata a maggio 2017. Laweb survey è stata chiusa a finegennaio 2018. Tra l’invio dell’intervista e la chiusura dell’indagine, sonostati inoltrati per mail 5 solleciti.

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Amalia Lavinia Rizzo

5. Risultati della web survey: analisi descrittiva

Le scuole rispondenti sono state 180 (20,6%). Tale percentualepuò essere considerata un buon tasso di redempion rate in consi-derazione delle cadute di risposta delle web survey (MacElroy,2000), del carico di lavoro amministrativo in cui sono impegnatii Dirigenti Scolastici e della scelta di non effettuare alcun reclu-tamento telefonico off line. L’85% dei rispondenti sono Istituti Comprensivi e il 64,4%

supera i 1.000 alunni. La maggioranza delle scuole (N=102;56,6%) ha l’indirizzo musicale. Le regioni che hanno risposto inmisura maggiore sono: Sicilia, Puglia e Campania (Graf. 1). Il63,3% delle scuole (n. 114) sono collocate nel Sud Italia.

Graf. 1 Distribuzione per regione delle scuole che hanno risposto alla web survey

In tutte le scuole sono presenti allievi con BES: nel 93,9%delle scuole sono presenti allievi con disabilità, nel 94,4% condisturbi evolutivi specifici e nell’80,0% con svantaggio socio-economico-linguistico e culturale. Nell’80% dei PTOF (PianoTriennale dell’Offerta Formativa), la musica è indicata come ri-

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sorsa per promuovere l’inclusione. Nel 62% dei PAI (Piani an-nuali per l’Inclusività)8, sono state previste attività musicali. La musica è considerata una risorsa per l’inclusione soprattut-

to perchè consente la partecipazione di tutti gli allievi, anche conBES (71,67%), sviluppa abilità trasversali utili all’apprendimen-to di altre discipline (68,89%), favorisce lo star bene a scuola(64,44%) e consente l’accesso al proprio e all’altrui mondo emo-zionale (52,22%) (Graf. 2).

Graf. 2. Motivi per cui la musica è considerata una risorsa inclusiva del curricolo

La tabella 2 mostra gli aspetti metodologico-didattici messimaggiormente in atto per facilitare l’inclusione. I principali ri-guardano l’impiego di un repertorio ampio che comprende mu-siche di vario genere e stile (98,33%), l’adattamento/semplifica-zione delle attività per coinvolgere tutti gli allievi (94,44%),l’impiego dei testi dei canti per le attività di alfabetizzazione inL2 (91,11%), l’attivazione di strategie per supportare gli allieviche hanno difficoltà ad esibirsi in pubblico (90,00%) e la possi-bilità di frequentare cori (90,00%)

8 A seguito del D.lgs.vo 66/2017 Norme per la promozione dell’inclusione sco-lastica degli studenti con disabilità, la dicitura PAI è stata modificata in PI(Piano per l’inclusione).

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Amalia Lavinia Rizzo

Tab. 2 Facilitatori metodologico-didattici messi in atti per migliorare l’appren-dimento e la partecipazione degli allievi

Gli atteggiamenti facilitanti degli insegnanti hanno prevalen-temente riguardato la condivisione con gli allievi del senso delleregole di comportamento e la loro finalizzazione al miglioramen-to dell’ambiente di apprendimento (88,89%), il rispetto per gliallievi (87,78%) e la condivisione tra insegnanti di risorse, me-todologie e repertori (75,56%). In relazione alla possibilità della musica di promuovere atteg-

giamenti inclusivi anche tra i pari, nella maggior parte dellescuole è emerso che, durante le attività musicali, gli allievi si aiu-tano tra di loro (82,78%). Tuttavia, è anche emerso che, in alcune scuole, le modalità di-

dattico-valutative dei docenti e gli atteggiamenti rappresentanodelle barriere per tutti gli allievi, anche con BES (Graf. 3).

Graf. 3. Tipologia di barriere e loro distribuzione nelle scuole!!!

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6. Conclusioni

Dai dati emerge che la musica è inserita come risorsa nella proget-tazione curricolare in quanto offre risposte adeguate, competenti eflessibili ai diversi bisogni formativi. La musica è considerata unfattore ambientale inclusivo che coinvolge gli allievi con BES e iloro compagni in un’esperienza di apprendimento cognitivo edemotivo e inserisce nel curricolo aspetti metodologico-didattici in-dividualizzati e atteggiamenti collaborativi e di reciproco aiuto daparte di insegnanti e allievi. Tali facilitatori valorizzano le poten-zialità degli allievi e motivano la partecipazione ad attività colletti-ve e la costruzione di atteggiamenti rispettosi delle differenze. Poi-ché, nonostante il panorama positivo, in alcune scuole, perman-gono delle barriere, si intende approfondire questo aspetto al finedi individuare ulteriori modalità progettuali e operative per il po-tenziamento del ruolo inclusivo della musica a scuola.

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Amalia Lavinia Rizzo

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II.19 –––––––––––––––––Strategie di insegnamento-apprendimento per la costru-zione del metodo di studio nella prospettiva inclusiva. Alcuni dati di ricercaTeaching strategies to develop study method in the inclusive perspective. Resarch data –––––––––––––––––Marianna Traversetti Università degli Studi Roma Tre

Nel presente contributo si illustra un progetto di ricerca a ca-rattere teorico-esplorativo finalizzato ad esplorare le modalitàattraverso le quali si promuove l’acquisizione del metodo distudio nelle classi di scuola primaria e secondaria di primo gra-do, frequentate da allievi con disturbi specifici di apprendi-mento (DSA). Per questi ultimi, il metodo di studio è la primamisura compensativa.Tra i principali risultati si presentano, in particolare, quelli re-lativi all’esplorazione delle condizioni di apprendimento mes-se in atto dagli insegnanti, in termini di strategie di insegna-mento e di strumenti compensativi e misure dispensative im-piegati/e nell’ambito dell’individuale metodo di studio.Si è constatato che in pochissime classi di scuola primaria e inpoche classi di scuola secondaria di primo grado si promuovel’acquisizione del metodo di studio, e che non vi è particolareattenzione verso l’acquisizione di competenze nell’uso efficien-te ed efficace degli strumenti e delle misure compensativi/e daparte dell’allievo con DSA.

The paper illustrates an exploratory-theoretical research abouthow primary and lower secondary schools promote the acqui-sition of the study method in classes attended by students withlearning specific difficulties (DSA). The study method is the first compensatory measure for stu-dent with DSA.

abstract

Ricerche

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Sessione 2

The research explored the conditions of learning arranged byteachers, such us teaching strategies, compensatory tools anddispensative measures used within the individual method ofstudy.Both in primary and secondary school, in a few classes the ac-quisition of the study method is promoted, and there is not aparticular attention on the development of competences re-garding study method by students with DSA.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: metodo di studio; disturbi specifici di insegna-mento; strategie di insegnamento-apprendimento.

Keywords: study method; specific learning disabilities; teach-ing strategies.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Marianna Traversetti

1. Introduzione

Nella prospettiva della full inclusion (UNESCO, 2000; Stain-back, Stainback, 1990; OECD, 2005, 2009; Booth, Ainscow2014) sono fondamentali la promozione del metodo di studio eil suo rapporto con il successo formativo (Weinstein, Hume,1998; Baldacci, 2005; DPR 275/99; MIUR, 2012) nell’ambitodel lifelong learning (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unioneeuropea, 2006). Le strategie di insegnamento possono rappre-sentare veri e propri “facilitatori” (WHO, 2001, 2007, 2017)nell’attività di studio di tutti gli allievi e di coloro che presentanodisturbi specifici di apprendimento-DSA, per i quali l’acquisi-zione del metodo di studio rappresenta la prima misura compen-sativa (Cornoldi et al., 2010).Questi ultimi, infatti, necessitano di usufruire di strumenti e

misure compensativi/e (L. 170/2010) atti/e a favorire lo svilup-po delle abilità cognitive, metacognitive, organizzative ed emo-tivo-motivazionali implicate nei processi di studio (Cornoldi,1995; Friso et al., 2012; Chiappetta Cajola, Traversetti, 2017),nonché di misure dispensative che riducano lo sforzo cognitivoe di attenzione (APA, 2014).

2. Il progetto di ricerca sulla promozione del metodo di studio

L’indagine sulle strategie di insegnamento finalizzate allo svilup-po del metodo di studio è stata condotta nel più ampio quadrodi un progetto di ricerca, a carattere teorico esplorativo (McMil-lan, Schumacher, 2013), sulla promozione del metodo di studionella scuola primaria e secondaria di primo grado. Tale indaginesi è svolta in 3 Istituti Comprensivi di Roma, per un totale di 8scuole, ed ha preso avvio nell’anno scolastico 2015/2016; il cam-pione non probabilistico a scelta ragionata (Cohen, Manion,Morrison, 2007) è rappresentato nella tabella seguente.

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Sessione 2

Tab.1: Il campione

Nello specifico, il campione è costituito da 11 classi quinte discuola primaria, per un totale di 214 allievi, di cui 15 con DSA;e da 11 classi prime di scuola secondaria di primo grado, per untotale di 220 allievi, di cui 26 con DSA. Al fine di indagare le strategie di insegnamento impiegate da-

gli insegnanti si è svolta un’analisi critica dei documenti dellescuole relativa: ai Piani Didattici Personalizzati-PDP, alle Pro-grammazioni annuali di classe, ai Piani annuali per l’inclusività-PAI, attuali Piani per l’Inclusività-PI, e ai Piani dell’Offerta For-mativa-POF, attuali Piani Triennali dell’Offerta Formativa-PTOF. Il presente contributo si riferisce, in particolare, ai risultati

emersi dalla lettura dei PDP e delle Programmazioni annuali diclasse.

3. Strategie di insegnamento-apprendimento

È stato analizzato un totale di 11 PDP su 15 di scuola primariae di 26 PDP su 26 di scuola secondaria di primo grado. Per quanto riguarda gli strumenti e le misure compensativi/e

funzionali allo studio, quelli maggiormente impiegati nella scuolaprimaria sono costituiti dagli “schemi sintetici per lo studio” (pre-senti in n. 7 PDP), seguiti dalle mappe concettuali, dai materialiper il conteggio, (n. 6) e dalle “sintesi” (n. 3); mentre gli “incorag-giamenti” registrano la più bassa frequenza di impiego (n. 1). Nella scuola secondaria, lo strumento compensativo mag-

giormente impiegato è relativo all’uso di “schemi, sintesi e map-

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Marianna Traversetti

pe” e alla “traduzione grafica dei concetti spiegati” (n. 25 PDP),seguito da: “verifiche strutturate e semistrutturate” e “uso di stru-menti informatizzati” (n. 22), “tabelle, formulari e tavola pitago-rica” (n. 15), “sostituzione di compiti in modalità iconograficaattraverso l’uso di disegni, immagini, colori e riepiloghi a voce”(n. 12), “risorse audio” (n. 11), modalità di “verifica e interroga-zione programmata e concordata con l’alunno” e “ripasso primadelle interrogazioni e verifiche” (n. 10), “fotocopie adattate” (n.9), utilizzo del “vocabolario multimediale” (n. 7), “rinforzi posi-tivi” per la motivazione all’apprendimento” e “audiolibri” (n. 6),“registrazioni delle spiegazioni” (n. 4), “glossari” e “consultazio-ne del libro per le prove pratiche” (n. 3), “dispositivi extratestua-li”, uso del “computer per scrivere”, “strategie per ricordare”, “af-fiancamento del compagno tutor” (n. 2). Lo strumento compen-sativo con la più bassa frequenza d’impiego è costituito dalle “li-nee del tempo” e dalle “carte geografiche e tematiche”.Per quanto riguarda le misure dispensative adottate per age-

volare lo studio, nella scuola primaria, quelle maggiormente im-piegate sono, nell’ordine, la previsione di “tempi più lunghi” e/o“maggiorati del 30%” e l’“eccessivo carico di compiti a casa”(presenti in n. 5 PDP), la “valutazione delle prove scritte conmodalità che tengano conto del contenuto e non della forma” ela “scrittura sotto dettatura” (n. 4), la “lettura-rilettura del testo”e, contestualmente, la “lettura da parte di altri”, nonché la “tra-scrizione di lunghe parti scritte”, lo “studio della lingua stranie-ra”, il “prendere appunti” e lo “studio mnemonico delle tabelli-ne” (n. 3), la valutazione che non tenga conto di “errori ortogra-fici” e le “prove orali in sostituzione di quelle scritte” (n. 2). Lafrequenza di impiego più bassa si rileva nell’“effettuazione di piùprove di verifica in tempi ravvicinati”.Nella scuola secondaria di primo grado, la misura dispensativa

maggiormente utilizzata è rappresentata, come per la scuola pri-maria, dalla possibilità di usufruire di “tempi maggiori per le provescritte” rispetto alla classe (n. 25 PDP). Le altre, in ordine di fre-quenza di impiego, sono quelle che dispensano: dalla “quantità ec-

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Sessione 2

cessiva di compiti a casa” (n. 19), dalla “trascrizione di lunghi det-tati e/o parti di testi scritti” (n. 17), dalla “lettura ad alta voce” e/o“da parte dell’insegnante o di altri” e dallo “studio mnemonico didate, tabelle, definizioni e/o tabelline” (n. 16), dall’“effettuazionedi più prove di verifica in tempi ravvicinati” (n. 10).Sono state analizzate anche 10 Programmazioni annuali di

classe di scuola primaria su 11, e 11 Programmazioni su 11 discuola secondaria di primo grado. Nella scuola primaria, in 6 classi su 10 si rintracciano strate-

gie didattiche finalizzate alla promozione del metodo di studioper tutti gli allievi, ma solo per alcune sue componenti. Infatti,solo 1 classe promuove abilità legate sia alla componente strate-gie cognitive e di apprendimento, sia alla componente capacitàdi organizzazione e pianificazione del lavoro, sia alla componen-te gestione delle emozioni, ritenute tra le più rilevanti del meto-do di studio (Chiappetta Cajola, Traversetti, 2017).Nella scuola secondaria di primo grado, 4 classi su 11 di scuola

secondaria di primo grado presentano strategie finalizzate all’ac-quisizione di capacità correlate allo sviluppo di un individuale me-todo di studio di tutti gli allievi. Di queste, 3 contemplano unapluralità di metodologie atte a tale scopo e relative alle tre compo-nenti succitate, ma solo 1 classe promuove strategie personalizzate.

Conclusioni

In entrambi gli ordini scolastici è esiguo il numero delle classi incui si promuove l’acquisizione del metodo di studio nella pro-spettiva inclusiva. Tuttavia, la scuola secondaria di primo grado,rispetto alla scuola primaria, promuove maggiormente tale ac-quisizione per tutti gli allievi della classe, ivi compresi gli allievicon DSA, attraverso la messa in atto di più appropriate e perso-nalizzate strategie di insegnamento e strumenti e misure com-pensativi/e funzionali allo studio.In particolare, nella scuola secondaria di primo grado vi è una

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Marianna Traversetti

maggiore consapevolezza della necessità dell’impiego di prove diverifica strutturate e semistrutturate.Rispetto alla scuola primaria, la scuola secondaria di primo

grado fa anche più ricorso all’uso delle nuove tecnologie dell’ap-prendimento per sostenere gli allievi nello studio. Sia nella scuola primaria sia nella secondaria, inoltre, non vi

è particolare attenzione verso l’acquisizione di competenze nel-l’uso efficiente ed efficace degli strumenti e delle misure com-pensativi/e da parte degli allievi con DSA.

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Sessione 2

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Ricerche

II.20 –––––––––––––––––Promuovere la comprensione del testo: una ricerca a sostegno dell’innovazione a scuola Fostering text comprehension: a research for school innovation –––––––––––––––––Chiara BertoliniUniversità di Modena e Reggio Emilia

Il contributo riferisce di un percorso di ricerca-formazione cheper 3 anni scolastici ha coinvolto 6 Istituti Comprensivi. L’e-sperienza muove dal riconoscimento di un bisogno formativoda parte delle scuole sul tema della comprensione del testo. Ilpercorso formativo, pertanto, si è concentrato sulla propostadi modalità didattiche utili alla promozione di tali capacità,ispirandosi al modello dell’intervento compensativo indivi-dualizzato (Lumbelli, 1993) adattato al suo utilizzo nell’ordi-naria attività scolastica. L’intento dell’esperienza formativa erainoltre quello di fornire agli Istituti strategie di promozionedella comprensione in un’ottica di prevenzione delle difficoltàe di continuità tra gli ordini scolastici. Il contributo descriverà i principali contenuti e strategie adottatedurante la formazione e presenterà i risultati ottenuti nell’annoscolastico 16-17. Dopo una prima fase di approfondimento teo-rico, gli insegnanti sono stati invitati a progettare e a realizzaredelle unità didattiche. L’efficacia di tali unità è stata misuratasomministrando delle prove di comprensione standardizzateagli studenti coinvolti e a un gruppo di controllo. I risultati dimostrano un’efficacia dell’esperienza di formazio-ne sulle capacità di comprensione degli studenti.

The article refers to a research and training program that in-volved 6 groups of schools (preschools, primary and secondaryschools) for 3 school years. The experience starts from therecognition of a training need by schools on the topic of textcomprehension. The training course, therefore, focused on theproposal of teaching methods useful for the promotion of

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these skills, inspired by the model of individualized compen-satory intervention (Lumbelli, 1993) adapted to its use in or-dinary school activities. The aim of the training experiencewas also to provide schools with strategies to promote textcomprehension to prevent difficulties in the perspective ofcontinuity between school orders.The contribution will describe the main contents and strate-gies adopted during the training and will present the resultsobtained during the school year 16-17. After a first step of the-oretical training, teachers were invited to design and imple-ment teaching units. The effectiveness of these units was meas-ured by providing standardized understanding tests to boththe students involved and to a control group.The results demonstrate the effectiveness of the training expe-rience on students’ text comprehension ability.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Comprensione del testo, testi visivi e verbali,formazione degli insegnanti, continuità verticale.

Keywords: text comprehension, visual and verbal texts,teacher training, continuity between school orders.

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Chiara Bertolini

1. Introduzione

Il contributo pone al centro un’esperienza di ricerca-formazioneche ha coinvolto 6 Istituti Comprensivi (I.C.) sul tema della di-dattica della comprensione del testo. Il percorso ha preso avviodal riconoscimento da parte degli I.C. di un bisogno formativosul tema, emerso per mezzo degli strumenti del RAV e del Pianodi Miglioramento1. L’esperienza ha coinvolto per tre anni scola-stici (2015-16; 16-17; 17-18), scuole dell’infanzia, primarie e se-condarie di primo grado, approfondendo temi inerenti sia la psi-cologia che la didattica della comprensione per mezzo di una va-rietà di formati didattici.La comprensione del testo è da intendere come un’operazione

cognitiva complessa il cui esito è la trasformazione del testo nellasua rappresentazione semantica globale (Kintsch, 1988). Tale ope-razione coinvolge numerose abilità, tra cui le principali sono l’at-tivazione delle conoscenze enciclopediche, la realizzazione di infe-renze e l’impiego di strategie di controllo metacognitivo (Levora-to, 1988).Studi empirici hanno dimostrato che le principali diffi-coltà dei poor-comprehenders risiedono nell’abilità inferenziale enella metacognizione (Lumbelli, 2003; (Oakhill et al., 2007; Fanget al., 1999). Anche i rapporti INVALSI sulle prove di italianoconfermano una maggiore difficoltà degli studenti nell’area dellacomprensione e in particolare rispetto alla capacità di ricostruire ilsignificato complessivo del testo. Allo scopo di fornire agli inse-gnanti strumenti in grado di potenziare le capacità inferenziali emetacognitive degli studenti, durante il primo anno di formazioneè stato presentato l’intervento compensativo individualizzato(Lumbelli, 1993) adattato al suo utilizzo nell’ordinaria attività sco-lastica. Successivamente, sono state organizzate attività laborato-

1 A partire dal riconoscimento di un bisogno formativo sul tema della com-prensione del testo, i 6 I.C. hanno presentato due progetti di rete che han-no ottenuto un finanziamento da parte dell’Ufficio Scolastico regionaledell’Emilia Romagna, rispettivamente nell’anno 2015 e 2016.

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Sessione 2

riali di analisi delle comprensibilità dei testi, durante le quali gli in-segnanti hanno consolidato le loro capacità di riconoscere nei testii passaggi inferenziali necessari e di formulare adeguate domandedi sollecitazione (di natura inferenziale e metacognitiva). Nei labo-ratori, gli insegnanti della scuola dell’infanzia e del primo bienniodella primaria hanno lavorato su testi visivi, in quanto precedentiricerche hanno dimostrato che è possibile promuovere la com-prensione del testo orale attraverso l’uso di materiale visivo (Ber-tolini, 2012). Gli insegnanti della scuola secondaria di primo gra-do e dell’ultimo triennio della primaria hanno invece lavorato apartire da testi verbali scritti.Il secondo anno di formazione ha visto gli insegnanti impegnati

su due fronti. Da un lato, le scuole sono state coinvolte nella costru-zione di prove per la valutazione della comprensione del testo per leclassi terza e quinta primaria e seconda secondaria di primo grado.Tale attività è avvenuta in incontri laboratoriali durante i quali gliinsegnanti insieme alla formatrice2 hanno individuato indicatorivolti all’operazionalizzazione della capacità di comprensione del te-sto, hanno selezionato i testi, hanno formulato domande per cia-scun indicatore e costruito criteri di attribuzione dei punteggi (Cap-perucci, 2016). Le prove sono state sottoposte a try-out. Parallela-mente, gli insegnanti sono statti invitati a progettare e a condurreunità didattiche3 volte alla promozione della comprensione del te-sto con l’accompagnamento e la supervisione della formatrice. Alla

2 La formatrice è la scrivente del presente contributo.

3 La progettazione è stata guidata da una scheda messa a punto dalla scri-vente. Tale scheda ha richiesto agli insegnanti di progettare le prime 3 at-tività dell’unità didattica indicando i testi che intendevano utilizzare, ledomande che avevano deciso di porre e le consegne. Gli insegnanti hannocominciato a lavorare nelle classi dopo la revisione delle schede da partedella formatrice. A metà percorso, è stato proposto un incontro di moni-toraggio delle attività in corso in cui si è anche discusso su come sviluppareulteriormente ciascuna unità didattica. Al termine dei percorsi, gli inse-gnanti hanno completato le schede documentando le successive attivitàche hanno proposto.

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Chiara Bertolini

fine dell’anno scolastico, le unità didattiche sono state raccolte in unarchivio digitale: tenere memoria delle esperienze mettendone allaluce gli aspetti salienti è un punto di partenza imprescindibile perl’innovazione a scuola (Cardarello, 2016).Durante l’ultimo anno di formazione, gli insegnanti sono sta-

ti nuovamente invitati a progettare delle unità didattiche. In talepercorso è stato inserito il dispositivo del Lesson Study (LS), lacui efficacia sul piano della formazione degli insegnanti è statadimostrata dalla letteratura (Chen et al. 2013). Il LS è un’attivitàsvolta da un piccolo gruppo d’insegnanti (nelle prime esperienzein presenza anche di un formatore/trice esperto sul LS) che co-progetta una lezione, che osserva la stessa lezione realizzata in au-la da un membro del gruppo e che infine discute e riprogetta in-sieme la medesima lezione allo scopo di renderla migliorare gliaspetti didattici emersi come maggiormente problematici (Bar-tolini et al., 2017).Il presente contributo si concentra sul secondo anno di for-

mazione allo scopo da un lato di verificare l’efficacia dell’espe-rienza formativa nel suo complesso, dall’altro di esaminare nellospecifico l’efficacia del compito di progettazione e conduzione diunità didattiche sulla comprensione del testo con l’accompagna-mento della formatrice.

2. Metodologia

L’efficacia del secondo anno di formazione è stata misurata attra-verso un disegno quasi-sperimentale.All’inizio e alla fine dell’anno scolastico, le classi degli inse-

gnanti coinvolti nell’esperienza formativa sono stati sottoposti adelle prove di comprensione standardizzate4.

4 Nella scuola dell’infanzia e nel primo biennio della primaria è stato usato ilTOR (Levorato & Roch, 2007). Nell’ultimo triennio della scuola primariae nella secondaria di primo grado le prove MT (Cornoldi & Colpo, 1998).

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Sessione 2

Le medesime prove sono state somministrate anche a unascuola primaria che non ha partecipato alla formazione5. Per motivi di sintesi, il contributo presenta i risultati ottenuti

dalla scuola primaria (pur avendo controllato l’efficacia anche inquelle dell’infanzia e secondaria di primo grado). Il gruppo spe-rimentale in oggetto è composto da 8 classi prime, 15 seconde,10 terze, 12 quarte e 9 quinte.

3. risultati

L’efficacia del secondo anno dell’esperienza di formazione è statamisurata attraverso un’ANOVA per misure ripetute condotta apartire dai punteggi ottenuti dagli studenti alle prove standardiz-zate di comprensione e confrontando l’andamento di tali pun-teggi tra i fattori tempo (inizio e fine anno scolastico) e gruppo(sperimentale e controllo).La Tab. 1 sintetizza i risultati ottenuti.

Tab. 1. Sintesi dei risultati ottenuti alle prove di comprensione

5 La scuola che ha svolto la funzione di gruppo di controllo è composta da10 classi.

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Chiara Bertolini

Per verificare la specifica efficacia formativa del compito diprogettazione delle unità didattiche si è proceduto a condurreun’ANOVA per misure ripetute che ha coinvolto i fattori tempo(inizio e fine) e gruppo, che in questa occasione ha assunto travalori: il gruppo di bambini a cui sono state proposte le unità di-dattiche, il gruppo di bambini le cui insegnanti hanno parteci-pato alla formazione ma non hanno progettato e il gruppo dicontrollo. Tale analisi, inoltre, ha riguardato solo le seconde e lequarte perché in queste classi si è concentrato il maggior numerodi progettazioni (7 per ciascuna classe). Per le classi seconde l’interazione gruppo*tempo risulta vici-

no alla significatività (F=2,748; p=0,067), mentre nelle classiquinte è statisticamente significativa (F=3,558; p=0,031).La Fig. 1 mostra che l’incremento nella comprensione del te-

sto più spiccato si registra nel gruppo di bambini a cui sono stateproposte le unità didattiche progettate.

Fig. n.1. Andamento delle prove di comprensione nelle classe seconde per gruppo

4. conclusioni

Dall’analisi dei dati raccolti, emerge che nel complesso l’espe-rienza formativa del secondo anno è stata capace di determinareapprendimenti apprezzabili nell’ambito della comprensione deltesto.

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Sessione 2

Appare come particolarmente efficace lo strumento della pro-gettazione delle unità didattiche. SI ipotizza che tale efficacia siaconnessa a due fattori: la precisione e accuratezza richiesta nellaprogettazione e l’intervento della formatrice di revisione inizialee di monitoraggio in itinere.Lo studio dell’efficacia dell’esperienza formativa in oggetto

richiede ulteriori e molteplici piste di approfondimento.

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Chiara Bertolini

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II.21 –––––––––––––––––Interconnettere saperi, metodologie e modalità di valutazione per promuovere la formazione critica dello studente in una scuola orientata alla sostenibilitàConnecting knowledges, methodologies and evaluationmode to empower the students’ critical thinking in a school oriented towards sustainability –––––––––––––––––Francesca De GiosaUniversità degli Studi di Bari “A. Moro”ICS “Umberto I -San Nicola” Bari

La fragilità e la complessità che connotano la società contem-poranea, richiedono risposte urgenti in termini di educazioneal pensiero critico affinchè l’alunno, futuro cittadino, esercitiuna competenza attiva non solo nel prendere decisioni chesoddisfino i suoi bisogni, ma sia anche in grado di creare lega-mi e opportunità per il futuro. Perchè tutto ciò si realizzi, è ne-cessario far leva sull’educazione allo sviluppo sostenibile chegrazie all’allentamento dei rigidi confini che separano le disci-pline e alla contaminazione fra vecchie e nuove conoscenze, fa-vorisce l’interazione e l’ interconnessione e genera saperi di na-tura transdisciplinare. A fronte di una visione di quella cheDomenici definisce “società interconnessa e complessa “richia-ma necessariamente ad una visione sistemica oltre che multi-disciplinare degli oggetti della conoscenza che non possono es-sere più pensati, insegnati e valutati secondo le categorie piùsemplici della linearità e sequenzialità, ma secondo un “ap-proccio sistemico alla complessità”, in grado di evitare spiega-zioni riduzionistiche e deterministiche e di far dialogare “sape-ri” e competenze troppo spesso tenuti separati . In questo cam-bio di paradigma è strategico il rapporto di reciprocità che sisaprà stabilire tra università e scuole soprattutto in funzione diuna formazione dei docenti che punti sulla ricerca e sulla spe-rimentazione. “Comprendere la storia di come la specie uma-na è andata interagendo con il resto della natura può aiutarci

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a comprenderle opzioni necessarie a gestire il nostro semprepiù interconnesso sistema globale”.La scuola in quanto sistema formativo ha il dovere di porsi co-me finalità prioritaria la formazione di una persona, lo studen-te, informata e consapevole che metta in atto atteggiamenti ecompetenze necessarie per uno sviluppo sostenibile. Un curri-colo orientato alla sostenibilità non può non caratterizzarsi perscelte metodologiche quali la centralità dell’alunno,la diffusio-ne di una didattica orientante, la promozione di una relazionesistemica fra scuola e territorio, lo sviluppo di metodologie cheguardano alla “struttura che connette”, l’interazione tra cono-scenza, azione ed essere per generare cambiamenti nei compor-tamenti e negli atteggiamenti che devono essere guidati dall’e-tica e dalla responsabilità. L’incremento di competenze orien-tate verso le soft skills, esige inoltre l’esercizio della pratica me-tacognitiva e la promozione di modalità progettuali connotateda trasversalità e dalla costruzione di percorsi realizzabili, do-cumentabili , valutabili e certificabili secondo criteri definiti econdivisi.

The contemporary society being characterized by fragility andcomplexity, it is necessary to find urgently the right answers tostudents’ educational needs. The future citizens, in fact, needto develop a critical thinking in order to become able to use ac-tive competences in taking decisions, creating relationshipsand generating effective opportunities for the future. This canbe realized thanks to the weakening of the rigid separationamong disciplines and to the contamination between old andnew knowledges, so that the Education to a Sustainable Devel-opment can generate the interaction and the connectionamong different disciplines.The contemporary society can be defined as an “interconnect-ed and ipercomplex society”, so that a systemic and multidis-ciplinary vision of the objects of knowlwdge is now required.For this reason, they cannot be thought, taught and evaluatedaccording to the simpler cathegories of linearity and sequen-tiality any more, but according to a “systemic approach tocomplexity”. A reductionist and deterministic visions to beavoided; on the contrary, knowledges and competences haveto be interacting and communicating with each other and notkept separated any longer. The changed framework imposes a strategic relationship be-

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tween universities and educational institutions based on reci-procity, specially in order to contribute to a teacher trainingfocusing on research and experimentation. “Analizing the his-tory of mankind, in order to understand how they have beeninteracting with other natural species, can help us to under-stand what is necessary to handle our increasingly intercon-nected global system”. A curriculum oriented to sustainabilityis based on methodological choices such as the focus on thelearner, an increasingly orienting education, the promotion ofa systematic relationship between school and territory, the de-velopment of methodologies aimingat “connecting structure”,the interaction among knowledge, action and being in orderto generate changes into behaviours and attitudes that must beguided by ethics and responsability.Last but not least, the increase of competences oriented to-wards soft skills requires that learners be able to operate ametacognitive practice and educational institutions be able topromote actions characterized by a cross-cutting nature andachievable, documentable, evaluable and traceable educationalpathways that can follow well-defined and shared criteria.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Complessità, soft skills, saperi, didattica, valu-tazione

Keywords: complexity, soft skills, knowledge, didactics, eval-uation

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1. Introduzione

Dalla riflessione culturale degli ultimi vent’anni è emerso, e si èimposto in maniera sempre più evidente e ineludibile, il tema dellacomplessità che ha portato a rileggere la realtà e quindi anche lacultura e il sapere secondo il paradigma reticolare e sistemico. Tale complessità è accresciuta ulteriormente grazie alla rilevan-

za che l’innovazione tecnologica e la comunicazione hanno assun-to nei processi educativi e di socializzazione, tanto che Dominici(2017) parla di una “ipercomplessità” che si caratterizza per essere“imprevedibile e non replicabile”. Il confronto è con sistemi cheoltre ad essere complessi, sono aperti alla modifica e all’adattamen-to e costituiti da parti inerti e passive, “sono individui, entità, re-lazioni che costantemente contribuiscono a cambiare e a co-crearele condizioni dell’interazione, dell’ambiente di riferimento, dell’e-cosistema di cui fanno parte” (De Carli, 2017).Si tratta di una ipercomplessità che investe ogni aspetto della

vita in quanto coinvolge la sfera soggettiva, ma anche le dimen-sioni etica, cognitiva e sociale e per questo chiede di ripensare l’e-ducazione e le modalità di essere cittadino. Alla consapevolezza che siamo immersi in un mondo inter-

connesso e ipercomplesso, non corrisponde ancora un analogoaumento delle opportunità di comunicazione, intesa come pro-cesso sociale di condivisione della conoscenza che implica unarelazione paritetica e reciproca. “Lo stare nella complessità recla-ma sia un ‘apprendistato’, sia il riconoscimento di un nuovo mo-dello (di soggetto, di cultura, di società). Apprendistato e ricono-scimento che necessitano di un’opera (pedagogica) di decanta-zione e la messa a punto in chiave formativa di un’attività (edu-cativa) e dell’ organizzazione di nuovi percorsi formativi” (Calla-ri Galli, Cambi, Ceruti, 2003, p. 128).Non è un caso che nel testo “Indicazioni e nuovi scenari”

(2018) si parta proprio dalla considerazione che solo otto sonole competenze considerate chiave e per la vita , e sono quelle chemettono ciascuno nelle condizioni di potersi realizzare come

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persona e come cittadino. “Dal punto di vista metodologico, essecostituiscono un framework capace di contenere le competenzeculturali afferenti alle diverse discipline e le competenze metaco-gnitive, metodologiche e sociali necessarie ad operare nel mondoe ad interagire con gli altri”.1Alla luce di questa visione della realtà e della cultura, il pre-

sente contributo intende porre l’attenzione sulla discontinuitàche è tuttora evidente nell’ambito del processo di insegnamento-apprendimento , fra il riconoscimento di una azione educativa eformativa che privilegi la dimensione transdisciplinare degli og-getti dell’apprendimento in un’ottica sistemica ed olistica, eun’azione didattica che, nonostante il grande impegno dei do-centi nel mettere in atto metodologie innovative, è ancora forte-mente connotata da cognitivismo e frammentarietà.

2. Un problema di interconnessioni

Se compito della scuola è quello di formare alla complessità ,vuol dire che di fronte alle sollecitazioni poste dal cambiamentosi deve procedere ad un riassetto della conoscenza in quanto, co-me afferma Morin (2014) “ l’iperspecializzazione impedisce divedere il globale [...] Quello che l’insegnante dovrebbe appren-dere, per poterlo insegnare al bambino, è un modo di conoscen-za che colleghi” (Morin, 2014, pp. 72-73).È infatti sempre più urgente il bisogno di formare i ragazzi ad

un approccio multidisciplinare alla realtà complessa, il che “ im-plica una ridefinizione dello spazio dei saperi e il ribaltamento diquelle logiche di potere e controllo che, a tutti i livelli, ne hannosancito la parcellizzazione e reclusione dentro gli angusti “confi-ni” delle discipline; discipline sempre più isolate e incapaci di co-municare tra di loro (Domenici, 2016).

1 “Indicazioni e nuovi scenari” del 22 febbraio 2018, p. 5.

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Per effetto delle straordinarie scoperte scientifiche e delle conti-nue accelerazioni indotte dall’innovazione tecnologica è giunto ilmomento, oltre che di uscire dall’isolamento disciplinare, anche disuperare la contrapposizione tra cultura umanistica e cultura scien-tifica che sarebbe di ostacolo ad un’educazione/formazione alla com-plessità e al pensiero critico intesa come capacità di analisi e scelta. La stessa ricerca interdisciplinare internazionale sta conver-

gendo sulla Scienza della Sostenibilità come mezzo per recuperarel’armonia nella relazione tra i sistemi naturali e i sistemi sociali,per cui l’educazione alla sostenibilità si pone al centro dei processidi cambiamento finalizzati a dare risposte responsabili a proble-matiche urgenti per il nostro futuro. Tale Scienza, è intesa secon-do il pensiero di P. H. Retain (2005 ) come il contesto in cui siintegrano e applicano le conoscenze, derivanti soprattutto dallescienze di impostazione olistica relative al sistema Terra , armo-nizzate con la conoscenza delle interrelazioni umane ricavate dallescienze umanistiche e sociali, “mirate a valutare, mitigare e mini-mizzare le conseguenze, sia a livello regionale sia mondiale, degliimpatti umani sul sistema planetario e sulle società, in tutto il glo-bo e anche nel futuro» (Reitan, 2005, pp. 77-80).La Sostenibilità, come scienza che riguarda un oggetto com-

plesso, non può essere ricondotta ad una sola disciplina, ma sisviluppa attraverso diverse grammatiche e linguaggi, che forni-scono gli strumenti per indagare tutti gli aspetti della realtà. Va superata la divisione tra sapere formale, informale e non

formale attraverso la promozione di competenze in azione che sicostruiscono in contesti significativi di apprendimento, in situa-zioni di vita reale e che richiedono non solo conoscenze, ma an-che valori, emozioni, attitudini legati tra loro coerentementeOccorre prendere coscienza del ruolo strategico che può e de-

ve svolgere l’educazione per favorire l’innovazione e il cambia-mento in quanto essa, oltre ad essere un diritto, è un prerequisitoper raggiungere lo sviluppo sostenibile e allo stesso tempo è unostrumento essenziale per l’attivazione di processi decisionali con-sapevoli e per la promozione della democrazia.

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Secondo Goleman (2010), infatti, “l ’intelligenza ecologica èl’unica forma di intelligenza che potrebbe salvarci da noi stessi,perché richiede una consapevolezza condivisa e sforzi coordinatida parte di tutti” (Goleman, 2010).

3. Un curricolo per competenze complesse

Il sapere non può più essere pensato, insegnato e valutato secon-do le categorie della linearità e sequenzialità, ma deve essere in-serito all’interno di una visione sistemica che promuova l’intera-zione tra conoscere, agire ed essere, allo scopo di generare neicomportamenti cambiamenti guidati dall’etica e dalla responsa-bilità. Pertanto sarà compito degli insegnanti elaborare e attuareun modello didattico che realizzi il ” dialogo” tra saperi e tra lediverse dimensioni delle competenze sui tre piani progettuale,metodologico e valutativo. È proprio nella fase della progettazione/pianificazione e defi-

nizione delle competenze transdisciplinari che si riscontra la dif-ficoltà a formalizzare le interconnessioni che rendono possibileun curricolo integrato che, pur utilizzando le discipline, le trava-lica per fare spazio a competenze che contengono anche le duedimensioni sociale e metacognitiva .In questo modo l’azione progettuale, ma anche quella didatti-

ca e valutativa, passano dal piano delle discipline a quello dellatransdisciplinarietà, termine con il quale già dal 1970 Jean Piagetindicava un approccio che allo stesso tempo oltrepassa ed intrec-cia diverse discipline, rifiuta la frammentarietà della conoscenza epunta invece ad una comprensione integrata e unitaria del mon-do, e riconosce come competenze necessarie quelle che D’ Hai-naut (1981) indica come “le competenze che sono costituite da :capacità di tipo cognitivo, capacità di tipo creativo, capacità ri-flessive, capacità d’interazione sociale, capacità sociali, capacità dimuoversi sulla base di valori (assunzione della responsabilità, eser-cizio di diritti e doveri, tolleranza)” (Hainaut, 1981).

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La scelta di un curricolo transdisciplinare rappresenta la capa-cità della scuola di affrontare e gestire la complessità della realtà,intervenendo sulle connessioni tra diverse discipline, in un’otticadi collaborazione e sinergia fra queste ultime. Questa collabora-zione prevede l’utilizzo di processi complessi ed integrati, creatiad hoc e nati dalla creatività, che portano all’innovazione tecni-co-scientifica costante.In questo scenario si rende necessario un cambiamento delle

pratiche progettuali nelle quali, se si tiene conto della definizionedelle competenze transdisciplinari , si devono rendere concrete eleggibili quelle interconnessioni tra competenze, che pur trovan-do lo spazio di realizzazione nelle discipline, le travalicano perelaborare competenze che contengono anche la dimensione so-ciale e e quella metacognitiva . Si tratta quindi di procedere aduna rivisitazione della struttura curricolare che non può più es-sere lineare o circolare, ma organizzata secondo una visione siste-mica, in cui le diverse dimensioni che costituiscono la strutturadella competenza siano interdipendenti tra loro, aperte e conti-nuamente modificabili (fig. 1)

Fig. 1 - Struttura di un curricolo transdisciplinare

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La rappresentazione grafica della struttura curricolare a cui sifa riferimento pone a fondamento delle scelte le competenzechiave definite nelle Raccomandazioni e ciascuna di queste com-petenze viene declinata nelle tre dimensioni (cognitiva, sociale emetacognitiva) che vengono tra loro interconnesse. Il caratteretransdisciplinare è dato sia dalle tre dimensioni, sia dall’intera-zione fra più discipline che nel caso dell’esempio sono arte e im-magine, musica, matematica e scienze.Punto di partenza, ma allo stesso tempo anche punto di arri-

vo, dell’azione progettuale così intesa, sono le competenze chiavea partire dalle quali possono essere costruite le competenze tra-sversali e transdisciplinari, funzionali all’attivazione di un curri-colo di cittadinanza per formare giovani e adulti in grado di af-frontare la sfida della sostenibilità.

Fig. 2 - Esempio di competenze transdisciplinari

La progettazione concepita come dinamica e aperta diventacosì lo strumento che favorisce il processo di riflessività del do-cente. Come si afferma nel documento dell’UNESCO (2005)

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“Lo sviluppo di una società sostenibile dovrebbe essere visto co-me un continuo processo di apprendimento, che esplori argo-menti e scelte difficili, dove risposte e soluzioni appropriate po-trebbero cambiare con la crescita dell’esperienza per la quale ser-ve un’educazione che promuova capacità critica, maggiore con-sapevolezza e forza per esplorare nuove visioni e concetti e persviluppare metodi e strumenti nuovi”2.

4. Conclusione

La società ipercomplessa che scaturisce da una società intercon-nessa, in cui il trattamento e l’elaborazione delle informazioni edella conoscenza sono diventate le risorse principali, esige che ilsistema formativo si fondi, per dirla con Bronfenbrenner (1979),su una dimensione «ecologica» e che le reti di interazione che sicreano, generino a loro volta relazioni comunicative basate surapporti simmetrici di reale condivisione. Certamente si tratta diun lavoro nuovo per la scuola, che sta fuori e oltre i suoi standardcognitivi e didattici, ma anche culturali e che esige un nuovorapporto con la cultura e con l’apprendimento, ma anche contutte le pratiche di insegnamento le quali, fino ad ora , hannoprivilegiato il lineare e il sistematico.La complessità si pone quindi come un nuovo principio edu-

cativo, sicuramente uno dei più centrali e caratterizzanti, anzistrutturanti la formazione dell’uomo contemporaneo e per que-sto la pedagogia è chiamata a rendere operativo tale principioeducativo, favorendo la diffusione di un modello didattico cheabbia come punto di riferimento la didattica della ricerca, che sicollochi sia sul piano cognitivo che metacognitivo e dia origine

2 Commissione Italiana per l’UNESCO (2005). “ Impegno comune di per-sone e organizzazioni per il Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Soste-nibile”.

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ad una visione interna della cultura che ne evidenzi le metacon-nessioni.In quest’ottica si può ipotizzare di verificare, attraverso un

percorso di ricerca e sperimentazione, quanto incide nella matu-razione progressiva delle competenze per la vita di ogni studente,l’uso di un curricolo verticale basato su competenze transdisci-plinari.Come afferma Dominici (2016) “la sfida all’ipercomplessità

è una sfida in primo luogo conoscitiva,è una sfida che porta consé un’assunzione di responsabilità, a livello individuale e colletti-vo: innovazione e inclusione non possono essere “per pochi”. Altri-menti termini come identità, diritti, cittadinanza, libertà, inclu-sione, meritocrazia, accesso, partecipazione, democrazia etc. sa-ranno/si riveleranno parole “vuote”, funzionali soltanto a certenarrazioni sull’innovazione e sul digitale ed ad un certo discorsopubblico fin troppo conformista e omologante” (Domenici,2010).

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II.22 –––––––––––––––––La biblioteca scolastica come spazio di ricerca e attivazione di processi identitariThe school library as a research area and an instrument to create a sense of identity –––––––––––––––––Clara LigasDocente MCE, Istituto Comprensivo “A. Riva”, Cagliari

Allo stato attuale, l’idea di rinnovamento della scuola richiedesviluppi positivi tesi ad allargare le basi democratiche di accessoall’ informazione e alla cultura. In questa prospettiva, la biblio-teca scolastica si fa centro propulsore di ricerca, luogo accoglien-te di incontro e scambio, spazio attrezzato per i bisogni di esplo-razione e studio degli studenti, oltreché cantiere di aggiorna-mento e fucina di progettazione per i docenti. Una bibliotecacosì concepita, capace di “raccontare” il suo profilo culturale, gliinteressi messi a fuoco e i progetti cui partecipa, riveste un ruolosignificativo nella costruzione identitaria di una scuola, creandosenso di appartenenza e moltiplicando le opportunità di parte-cipazione responsabile e di lavoro cooperativo.Il rapporto costante con una pluralità di fonti favorisce di con-seguenza la ricerca di approfondimenti e la connessione tra di-scipline, attraverso la pratica di un esercizio efficace di elabo-razione culturale in grado di produrre vera conoscenza, noncumuli di conoscenze.Viene così scardinata l’idea del manuale uguale per tutti, em-blema di una didattica trasmissiva e omologante, inadeguata aibisogni educativi delle nuove generazioni.

At present, the concept of school renovation demands positivedevelopments, aimed to widen the democratic fundamentals ofaccess to information and culture.In this perspective, the school library becomes a centre of re-search, a welcoming place for meetings and cultural exchanges,an area equipped for students’ needs of study and exploration,as well as a lab for teachers’ growth and organization.

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This model of library, able to show its cultural outline, the de-tected interests and the projects that it participates in, plays akey role in creating a school sense of identity and membership,increasing the chances of responsible participation and cooper-ative work.The steady relationship with a multitude of sources, conse-quently, encourages the quest for further studies and the con-nection between different disciplines, through the practice of anefficient exercise of cultural elaboration, able to produce realknowledge, not heaps of knowledge.Therefore, the theory of the same textbook for everyone, em-blem of a ‘transmitting’ and conforming teaching, unsuitablefor the education needs of the younger generations, has beendemolished.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Biblioteca scolastica; identità; ricerca; pluralitàdi fonti; connessioni

Key words: School library; identity; research; multiplesources; connections

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1. Introduzione

Nella realtà dei fatti, ci sono cambiamenti che si limitano a repli-care situazioni ed eventi usuali, incapaci di produrre generativitàe dar senso al bisogno innato dell’essere umano di andare oltre ilgià dato e il pensiero comune.Nel panorama culturale, e in particolare nella “panacea” di ri-

forme scolastiche che ha caratterizzato il primo quindicennio delnuovo secolo, fino alla contraddizione della “Buona Scuola”,ogni cambiamento ha sempre rievocato il passato, attraverso laproposta di modelli educativi atti a riprodurre un sistema socialestatico e una visione del mondo superata e anacronistica. Fin dal suo esordio, all’inizio degli anni cinquanta, il Movi-

mento di cooperazione educativa ha orientato la sua ricerca al-l’affermazione di un nuovo modo di pensare/agire personale ecollettivo, sostanziato nel processo di emancipazione dei soggetti(docenti e alunni) e del contesto organizzativo entro cui i cam-biamenti avvengono. Le vere trasformazioni hanno bisogno di gambe per camminare.

Da questa intuizione – peraltro scontata – nasce l’esigenza di tra-durre operativamente le linee emancipatrici di una pedagogia attiva,attenta alle conquiste in senso democratico e partecipativo per ilpieno sviluppo di tutte le potenzialità umane, sociali e conoscitivedi ciascuno/a. “I quattro passi”, nati nell’ambito della ricerca MCE,rappresentano una risposta in tal senso, in quanto capaci di accom-pagnare docenti e alunni nel percorso di ri-conoscimento e trasfor-mazione del sé e dell’ambiente formativo. Nell’ordine, i passi si pre-sentano così declinati: 1. Strumenti di democrazia; 2. Bibliotecascolastica e di classe; 3. Lavoro a classi aperte; 4. Valutazione.

2. Biblioteca scolastica e identità di scuola

Pensare alla biblioteca scolastica come valido supporto che ac-compagni e orienti un approccio didattico improntato alla ricer-

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ca e alla sperimentazione non costituisce, di per sé, un’idea inno-vativa né originale. Le istituzioni scolastiche, sostenute dai vari“richiami” contenuti dapprima nei testi dei Programmi ministe-riali e successivamente nelle Indicazioni nazionali, si sono dotatedi biblioteche più o meno attrezzate, in alcuni casi veri e proprifiori all’occhiello. Ma non sempre la diffusione delle bibliotecheha trovato adeguata risonanza nelle pratiche didattiche e ha inci-so in maniera costruttiva nella ridefinizione di assetti e imposta-zioni di tipo tradizionale. Allo stato attuale, l’idea di rinnovamento connessa alla pra-

tica di un uso consapevole della biblioteca scolastica richiede unsalto di qualità in grado di innescare sviluppi positivi tesi ad al-largare le basi democratiche di accesso all’informazione e allacultura. La parola “fermento”, più di altre, rende l’idea di unacerta atmosfera, di un certo clima che ci piacerebbe poter ri-scontrare – o poter attivare - in ogni scuola che riconosca nellabiblioteca un centro propulsore di ricerca, incontro e scambio,un centro di promozione della lettura, un centro accogliente eattrezzato per i bisogni di esplorazione e studio degli studenti,oltreché cantiere di aggiornamento e fucina di progettazione peri docenti. E per ultimo, ma non per questo meno importante,un centro che collabori all’arricchimento del patrimonio libra-rio con produzioni proprie (quaderni di lavoro, scritture collet-tive, schedari, collane monografiche, ricerche e fascicoli docu-mentari). In questo caso, la biblioteca scolastica - come sostieneCarla Ida Salviati - «riflette la progettualità della scuola in cui vi-ve, cresce nel proprio patrimonio e nelle proprie attrezzature inrelazione alle esigenze curricolari: se oggi visito una scuola, lasua biblioteca sarà capace di “raccontare” il suo profilo cultura-le, gli interessi messi a fuoco, i progetti cui partecipa» (Salviati,2012). Solo una biblioteca così concepita sarà in grado di con-tribuire in maniera significativa alla costruzione identitaria dellascuola cui appartiene. Dalla biblioteca di scuola alla biblioteca di classe il passo è

breve e noi riteniamo che ogni team docente possa farsi carico

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di un impegno comune teso al perseguimento di tale obiettivo.Costruire una biblioteca di classe non è solo possibile, è indi-spensabile.

3. Scelta alternativa ai libri di testo

I libri di testo non sono gli unici sussidi didattici; questi infattipossono essere sostituiti proficuamente dagli incontri diretti conla vita e con le persone e da una buona biblioteca scolastica, do-tata di una certa varietà di libri, vocabolari, atlanti, giornali, ac-cesso a Internet. Viene in tal modo scardinata l’idea del manualeuguale per tutti, emblema di una didattica trasmissiva e omolo-gante, considerata ormai obsoleta e inadeguata ai bisogni forma-tivi delle nuove generazioni. Solo il rapporto costante con unapluralità di fonti può favorire la ricerca di approfondimenti e laconnessione tra discipline, così come le neuroscienze insegnano.In quest’ottica, la biblioteca scolastica, potenziata soprattutto alivello di classe e supportata dall’uso delle tecnologie di informa-zione e comunicazione, diventa luogo di socializzazione, spaziocreativo di ricerca e di elaborazione individuale e di gruppo. Lascelta alternativa al libro di testo apre dunque un ventaglio dipossibilità, non solo in merito all’acquisizione, nel tempo, di do-tazioni librarie aggiornate e di qualità, ma soprattutto in relazio-ne a un nuovo modo di concepire il processo di insegnamento/apprendimento, volto ad attivare la mente e a stimolare l’attitu-dine a saper ricercare legami e connessioni tra i vari campi del sa-pere. Occorre apprendere l’arte di costruire reticoli concettuali,attraverso la pratica di un esercizio efficace di co-costruzione cul-turale, in grado di produrre vera conoscenza, non cumuli di co-noscenze. Di conseguenza, «lo sviluppo dell’attitudine a conte-stualizzare e globalizzare i saperi diviene un imperativo dell’edu-cazione» (Morin, 2000).

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4. Conclusioni

Giorno per giorno, i docenti assumono la responsabilità di co-struire la propria didattica. In qualunque ordine e grado di scuo-la esercitino, si trovano continuamente di fronte alla necessità diindividualizzare/personalizzare i processi di insegnamento: diffe-renze intellettuali, differenze linguistiche, differenze di compe-tenze pregresse caratterizzano la realtà dell’istruzione in tutto ilmondo occidentale. In tale situazione di variegata composizionedelle classi non si può prescindere dalla progettazione di percorsiattenti alle diversità. La diversità può essere affrontata con intelligenza e creatività

solo attraverso la pluralità delle fonti: mai come oggi la bibliotecadiventa indispensabile nella costruzione del curricolo e nella ri-cerca di approfondimenti. Quando bambini e ragazzi si trovanoa lavorare insieme, il problema consiste non tanto nell’individua-re i modi per riuscire a influenzare i loro coetanei, quanto neltrovare le risorse per soddisfare la loro crescente richiesta di libri,alimentata da un entusiasmo contagioso. Nello stesso tempo, leattività organizzate da gruppi di pari esercitano uno straordina-rio effetto sul percorso di lettura di tutta la scuola. Questa mo-dalità di lavoro è un buon esempio di insegnamento indirettoche assegna all’insegnante il ruolo di catalizzatore, in quanto per-sona che facilita, che mette a disposizione risorse, che garantiscecioè le condizioni affinché le cose accadano. Alla fine, siamo con-vinti che questo percorso di apprendimento basato sul lavoro co-operativo, sull’aiuto reciproco e guidato da un docente espertosia più efficace di qualsiasi altra forma di insegnamento. Una re-sponsabilità fondamentale, da parte dell’insegnante, sarà quelladi testimoniare la sua consuetudine alla lettura, stimolando e ac-crescendo la motivazione del bambino/ragazzo a leggere e dedi-cando particolare attenzione alla scelta di testi validi. «Per adem-piere efficacemente a tale compito – recitano i Programmi didat-tici per la scuola primaria del 1985, sempre attuali – l’insegnantedovrà possedere aggiornata e non superficiale conoscenza delle

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pubblicazioni e dei libri più adatti ai bambini, dai testi di narra-tiva e di divulgazione, alle collane monografiche, alle enciclope-die» (M.P.I.,1985).

Riferimenti bibliografici

Meirieu, Ph. (2015). Fare la Scuola, fare scuola. Democrazia e pedagogia.Milano: FrancoAngeli.

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Salviati, C. I. (2012). La biblioteca spiegata agli insegnanti. Bibliografi-ca.

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Clara Ligas

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Studi insegnanti

II.23 –––––––––––––––––Valutazione autenticaPer la dignità delle persone e dei numeriAuthentic evaluationFor the dignity of people and numbers –––––––––––––––––Davide TamagniniMovimento Cooperazione Educativa

Questo è il racconto di una giovane esperienza alla scuola pri-maria cominciata cinque anni fa senza libri di testo, senzacompiti, senza voti, per poter partire sempre dalle esperienzedi ricerca sul campo, dalle parole, dai pensieri e dalle riflessionidei bambini. Non una protesta, ma una proposta di senso perle persone che quotidianamente abitano la scuola affinché tut-ti si possano sempre sentire inclusi e partecipi. Ad oggi di quei“senza” è rimasto solo il “senza voti” e di questo aspetto vienequi condiviso il senso, la cornice normativa e gli strumenti chehanno reso autentica l’esperienza della valutazione.La normativa dà grande importanza a molteplici aspetti dellavalutazione, ma paradossalmente propone come indicatore ef-ficace il voto espresso in decimi. Invece, una valutazione peressere autentica deve dotarsi di strumenti che consentano diraggiungere le finalità proposte dalla legge, per arrivare a com-porre, come in una trama, i diversi punti di vista sull’appren-dimento al fine di ricostruire un’immagine più realistica dellacomplessità osservata e interpretata. Il nostro tentativo è statoquello di raccogliere in un’unica cornice il punto di vista degliinsegnanti, dell’allievo e della famiglia. Gli strumenti princi-pali che questi soggetti hanno condiviso sono stati: la tabella-semaforo, la lettera e il dialogo.

This is the story of a young experience at the primary schoolstarted five years ago without textbooks, without tasks, with-out votes, in order to be able to always start from the experi-ences of research, from children’s words, thoughts and reflec-tions. Not a protest, but a significant proposal for the people

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who daily inhabit the school so that everyone can always feelincluded and participate. To date of those “without” has re-mained only the “without votes” and I want to share the senseof this aspect, the regulatory framework and the tools thathave made the experience of evaluation authentic.The regulation gives great importance to many aspects of theevaluation, but paradoxically it proposes as an effective indica-tor the vote expressed in tenths. Instead, an assessment to beauthentic must equip itself with tools that allow to achieve theaims that the law proposes to get to compose, as in a plot, thedifferent viewpoints on learning in order to rebuild an imagemore realistic of the observed and interpreted complexity. Ourattempt was to gather in one frame: the point of view of theteachers, the pupil and the family. The main tools that thesesubjects have shared are: the semaphore table, the letter andthe dialogue.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: valutazione formativa, voto, semaforo

Keywords: educational evaluation, mark, semaphore–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

La valutazione è spesso pensata come l’esito finale di un percor-so, in realtà essa mette in luce l’interno processo di insegnamen-to/apprendimento: le conoscenze, le abilità e le competenze sucui si è lavorato, il tipo di stimoli per l’apprendimento che sonostati messi a disposizione degli studenti, le diverse risposte chel’allievo è riuscito a mettere in campo. Per questo è necessariotrovare degli strumenti che permettano il monitoraggio lungotutto il percorso e che utilizzino le migliori “parole” per descrive-re quanto osservato. Il voto è una sintesi in cui tutto ciò non ap-pare, è una “parola” sola, anzi la media dei voti è una “non-paro-la” e come tale è indecifrabile e lontana dalla realtà. L’idea da cuisi è partiti è che i voti mortificano il piacere di apprendere, sot-tomettono i processi ai risultati trasformandosi da strumento afine dello studio, non descrivono la complessità del processo diapprendimento di uno studente e sono uno strumento impro-prio, un pasticcio docimologico. Osando si può affermare che es-si sono inutili, se non dannosi.Vengono qui presentati gli strumenti cardine di questa espe-

rienza che ha accompagnato il percorso di una classe di scuolaprimaria in tutto il suo ciclo di studi, dall’anno scolastico2013/2014 al 2017/2018.

2. La cornice di riferimento

L’ultimo decreto legislativo (D.L. 62 del 13 aprile 2017) che ap-profondisce il tema della valutazione si esprime chiaramente suquesti punti, purtroppo in modo paradossale. Infatti, riporta chela valutazione:

– ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendi-mento;

– ha finalità formativa ed educativa;

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Davide Tamagnini

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– concorre al miglioramento degli apprendimenti;– documenta lo sviluppo dell’identità personale;– promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle ac-quisizioni di conoscenze, abilità e competenze.

La paradossalità della richiesta è nel legiferare che a fronte diuna tale ricchezza di finalità (per gli aspetti formativi, sommativie autovalutativi della valutazione) si debba utilizzare come indi-catore efficace il voto espresso in decimi. È necessario, invece, che la valutazione venga realizzata con

strumenti coerenti sia alle finalità che si pone, sia all’offerta for-mativa. Essi rivelano in che modo gli insegnanti osservano e giu-dicano le competenze, le conoscenze e le abilità degli studenti, su“cosa” e “come” entrambi abbiano lavorato e, in un’ultima anali-si, sulle teorie più o meno implicite secondo cui ciascuno pensafunzioni l’apprendimento.

3. Strumenti

L’esperienza proposta in questa sede ha tentato di accogliere inpieno le finalità normative e raccogliere così in un’unica cornicei punti di vista dei diversi soggetti coinvolti: insegnanti, allievi efamiglie. Con la consapevolezza che l’unica possibilità per resti-tuire un’immagine della complessità osservata risiede solo nellapluralità di sguardi, nell’intersoggettività piuttosto che nella pre-sunta idea di oggettività.

1. PUNTO DI VISTA DEGLI INSEGNANTI Lettera: indirizzata direttamente all’allievo; una fotografia che

restituisce un punto di vista sul bambino, i suoi slanci e i suoi in-ciampi, i suoi sogni e i suoi bisogni. Tabella semaforo: sottolinea gli aspetti raggiunti e quelli su cui

è necessario lavorare, individuando percorsi e strategie per rag-giungere gli obiettivi prefissati. Si compone di tutti quegli obiet-

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tivi di apprendimento presenti nelle Indicazioni nazionali per ilcurricolo sui quali gli insegnanti hanno scelto di lavorare. A cia-scun focus viene attribuito un colore (verde: successo; giallo: inlavorazione; rosso: difficoltà) che restituisce, una volta al quadri-mestre, lo “stato delle cose”, un giudizio che viene pesato a se-conda del punto di partenza di ciascuno studente. Per cui ad unostesso colore, persone diverse, possono avere livelli di competen-za diversi. Utilizzando solo tre indicatori, inoltre, viene ridotta laconfusione dei descrittori che discriminano il passaggio da un li-vello ad un altro; una semplificazione chiarificante che nella scalain decimi tipica dei voti numerici si cerca di ottenere con una se-quela di aggettivi e avverbi che, tentando di rendere più oggetti-va la valutazione, in realtà la farciscono di soggettività senza il co-raggio di rivendicarla.Dialogo: una risposta scritta alle suggestioni che il bambino

esprime nella sua autovalutazione riportata in pagella.Quanto elaborato verrà restituito alla famiglia e ai bambini in

due momenti dell’anno: a metà del quadrimestre (colloqui) e allafine. La “tabella semaforo” andrà a comporre il corpo centraledella pagella.

2. PUNTO DI VISTA DELL’ALLIEVO Autovalutazione: nella classe prima e seconda sono stati dedi-

cati a questo proposito due momenti durante l’anno di circle ti-me per analizzare due livelli dell’esperienza scolastica dei bambi-ni: cosa sento di aver imparato e cosa mi mette in difficoltà. Tabella semaforo: a partire dalla terza ai bambini è stato chie-

sto di usare lo stesso strumento degli insenanti, compilando unacolonna a loro dedicata. La scrittura della riflessione di ciascun bambino andrà a inse-

rirsi nella pagella. Tabella sommativa: a partire dal quarto anno, in presenza di

prove di verifica, verranno raccolti i risultati in termini di rispo-ste esatte/domande totali. I dati raccolti (sia in termini fraziona-ri, sia percentuali) sono una fotografia istantanea della perfor-

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mance sostenuta e vanno a comporre un quadro sinottico dellapreparazione dello studente nelle diverse prove affrontate. Que-sti dati non sono presenti nella pagella.

3. PUNTO DI VISTA DELLA FAMIGLIA Lettera: indirizzata direttamente all’allievo; una fotografia che

restituisce un punto di vista sul bambino, i suoi slanci e i suoi in-ciampi, i suoi sogni e i suoi bisogni.Tabella semaforo: stesso strumento degli insegnanti e degli al-

lievi, compilando una colonna a loro dedicata. Valutazione: il vissuto del bambino a casa e a scuola; gli stru-

menti della valutazione; le aspettative e il vissuto nell’accompa-gnamento dei figli in questa esperienza. Questi aspetti sono statiraccolti in forma scritta per abituare le famiglie a riflettere su taliaspetti ed avvicinarle all’esperienza scolastica dei propri figli.

4. Conclusioni

Allora se la valutazione deve esprimersi in decimi, lo strumentocardine diventano letteralmente i decimi della vista, perché è conl’osservazione sistematica e approfondita che possiamo costruireun feedback autentico e preciso. Uno sguardo che sappia valoriz-zare ciò che ciascun allievo sa fare e descrivere come è in grado diesperire le sue capacità a partire dalla sua unicità e non come unadeviazione più o meno significativa da uno standard destoricizza-to. Gli strumenti precedentemente presentati cercano di ridaredignità ai percorsi delle persone e ai loro risultati. Chi ha semprepreso dei bei voti continuerà ad essere considerato e a ritenersi piùintelligente e sarà così stimolato a primeggiare per essere miglioredegli altri. Tutto ciò a discapito di chi è più in difficoltà, schiac-ciato nel ruolo di sconfitto, perché il voto è legato all’universo diaspettative e ansie che l’insegnante, lo studente e la famiglia han-no e un brutto voto, specialmente per un bambino, è una scon-fitta che non spinge alla rivincita, piuttosto al gettar la spugna. In

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sostanza, qualsiasi sia la media dei voti degli studenti, in ogni casonon vengono aiutati a capirsi, anche perché il farla è già di per séun errore docimologico e della sua ossessione per la misurazione.L’esperienza che è stata qui descritta, invece, è un’alternativa pervalorizzare gli aspetti formativi della valutazione, allontanandosidalla deriva certificativa aiutando gli studenti ad autoregolare ipropri apprendimenti; per ridare alle persone, ai loro sforzi e ai lo-ro successi, e ai numeri la dignità che meritano.

Riferimenti bibliografici

Tamagnini, D. (2016). Si può fare. La scuola come ce la insegnano i bam-bini, Molfetta (Bari)

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Esperienze

II.24 –––––––––––––––––Musica d’insieme come attività di educazione alle emozioni nella scuola secondaria di primo grado: la figura del direttore-educatoreEnsemble music workshop as an emotion education activity in lower secondary school: the role of the conductor-educator –––––––––––––––––Francesco C. UgoliniUniversità Guglielmo Marconi, RomaGiuseppe SellariUniversità di Roma Tor Vergata

Il contributo presenta i risultati di uno studio di caso volto acomprendere come un laboratorio di musica d’insieme di unascuola secondaria di primo grado a indirizzo musicale (ai sensidel D.M. n. 201 del 1999) possa configurarsi come un’attivitàdi educazione alle emozioni.L’unità di analisi oggetto dello studio è il laboratorio “Musicad’insieme” dell’istituto comprensivo A.M. Ricci di Rieti, nel-l’a.s. 2016-2017, che ha interessato 60 ragazzi e 12 insegnantidi strumento (dei sei strumenti previsti dal curricolo dell’Isti-tuto). Sul piano metodologico, la ricerca osservativa di impo-stazione idiografica si è sviluppata nell’arco di tre mesi, e si èavvalsa di una pluralità di tecniche di rilevazione, in particola-re 4 osservazioni libere, interviste a dirigenti e docenti, que-stionario semistrutturato ai ragazzi.La ricerca ha evidenziato come la pratica orchestrale a scuolapossa rappresentare per ciascun discente un’occasione straordi-naria di coinvolgimento e di sviluppo del sentimento di appar-tenenza con un significato formativo e di crescita educativa che

* L’autore del paragrafo 1 è Francesco C. Ugolini; L’autore del paragrafo 2 èGiuseppe Sellari

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va ben oltre il mero suonare insieme. La figura del direttore d’or-chestra ‘scolastica’ – a metà strada tra il direttore d’orchestra ‘tra-dizionale’ e quella dell’‘educatore’ – facilita infatti l’attivazionedi processi dinamici emotivi, inclusivi e coevolutivi.

This paper shows the results of a case study whose aim was tounderstand how an ensemble music workshop in a lower se-condary school with a music orientation (D.M. 201/1999)may amount to an emotion education activity.The unit of analysis of this study is the “musica d’insieme”workshop of the Istituto Comprensivo A.M. Ricci in Rieti, inthe s.y. 2016-2017, which affected 60 girls and boys, and 12music teachers (encompassing 6 music instruments accordingto the school curriculum). From a methodology viewpoint,the observation research, with an idiographic approach, lastedthree months, and adopted several data collection techniques:sessions of observation, interviews and a semi-structured que-stionnaire. The research showed how the orchestral practice at school canrepresent for each learner an extraordinary opportunity of in-volvement and development of a sense of belonging with aneducational and growth meaning that goes beyond simply pla-ying together. The role of a music conductor at school is half-way between a traditional conductor and an educator, facilita-ting the activation of dynamic-emotional, inclusive and co-evolutional processes.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Musica d’insieme, scuola secondaria di primogrado, educazione alle emozioni, didattica laboratoriale, inclu-sione

Keywords: ensemble music, lower secondary school, emotioneducation, workshop, inclusion

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione e presentazione metodologica della ricerca

Il presente contributo si propone di dare conto dei risultati di unprogetto di ricerca (Crescita educativa e culturale nella scuola se-condaria di primo grado. Il ruolo della musica d’insieme nell’educa-zione alla convivenza e alle relazioni di fiducia, cooperazione e re-ciprocità), coordinato da Carlo Cappa e Giuseppe Sellari dell’U-niversità di Roma Tor Vergata e finanziato con bando pubblicodel MIUR, (D.D. 1137/2015 riguardante la Promozione dellacultura musicale nella scuola). In particolare, presentiamo in questa sede i risultati di uno

studio di caso (Yin, 1994; Trinchero, 2002) svolto presso l’Isti-tuto Compensivo A.M. Ricci di Rieti, avente per unità di analisiil Laboratorio di Musica d’Insieme, istituito all’interno del cur-ricolo per gli allievi della scuola secondaria di primo grado a in-dirizzo musicale1. L’obiettivo della ricerca nel suo complesso èquello di comprendere in che modo un intervento laboratoriale dimusica d’insieme possa configurarsi come un intervento di educazio-ne alle emozioni.Il laboratorio, attivo presso l’Istituto dall’a.s. 2007-2008, ha

coinvolto, nell’a.s. 2016-2017 da noi studiato, 60 ragazzi – inprevalenza di classi seconda e terza – e 12 insegnanti di sei stru-menti (pianoforte, violino, chitarra, fisarmonica, clarinetto,flauto). Uno di questi ha assunto il ruolo di direttore dell’orche-stra, ma l’insieme degli insegnanti, con modalità diverse dipen-denti anche dallo strumento e dallo stile di insegnamento, hapartecipato all’attività laboratoriale. Il laboratorio si riunisce dinorma con la cadenza di un’ora a settimana.Sul piano metodologico abbiamo optato, in questa fase, per

una ricerca idiografica osservativa (Coggi, Ricchiardi, 2005) a

1 Il laboratorio di musica d’insieme si inserisce nel quadro organizzativo ditale indirizzo, delineato nel D.M. 201/1999. Per approfondimenti riguar-do la ricerca nel suo complesso si rimanda al rapporto di ricerca (Cappa,Sellari, 2018).

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Francesco C. Ugolini, Giuseppe Sellari

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carattere descrittivo (Lucisano, Salerni, 2002; Benvenuto,2015). Il laboratorio possiede infatti alcune caratteristiche che«ne rendono lo studio come unità autonom[a]» (Trinchero,2002, p. 82): la partecipazione a numerose attività e iniziative, lavarietà di strumenti a disposizione dell’Istituto, le particolaricondizioni contestuali, legate agli eventi sismici del 2016.Dato il carattere complesso e longitudinale dello studio di ca-

so, sono state usate diverse tecniche di rilevazione in prevalenzaqualitative: interviste a dirigenti e insegnanti; questionario semi-strutturato ai ragazzi; osservazione libera di 4 sessioni del labora-torio, centrate sulla conduzione delle attività di laboratorio.Nel complesso del materiale raccolto, i diversi componenti il

gruppo di ricerca hanno poi approfondito aspetti specifici. Inquesta sede, in particolare, approfondiremo la figura del diretto-re-educatore e le azioni che può mettere in atto per favorire unosviluppo emotivo dei ragazzi accanto alle competenze musicalispecifiche.

2. La figura del direttore-educatore

La musica rappresenta una delle esperienze percettive più coin-volgenti in grado di infondere profonde emozioni e sentimentisignificativi (Budd, 1985; Davies, 1994; Sloboda, 1998; Shuter-Dyson, 1999; Imberty, 2002; Scherer, Zentner, 2008; Juslin,Laukka, 2004; Juslin, Evans, McPherson, 2007; Sacks, 2008;Anceschi, 2009; Juslin, Sloboda, 2010; Spitzer, 2010), seguendouna logica che è diversa da quella del linguaggio verbale (Nattiez,1989). Soprattutto nella scuola secondaria di primo grado, ossiadurante la ‘delicata’ fase pre-adolescenziale e adolescenziale, sirende necessario promuovere il benessere di ciascun giovane e fa-vorire al contempo relazioni positive per una più cosciente accet-tazione e consapevolezza di sé e degli altri, nonché per una mag-giore e più attiva partecipazione alla vita sociale, culturale e in-tellettuale (OMS, 2004). In una progettazione didattica di tipo

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laboratoriale, basata su una dimensione interculturale, interdi-sciplinare e inclusiva, suonare in orchestra gli strumenti musicaliattiva abilità cognitive e fisiche complesse, riduce l’ansia e lostress e alimenta interazioni sociali più intense (Chiappetta Ca-jola, Rizzo, 2016), sviluppa competenze percettive, motorie, co-gnitive, affettive e sociali che sono alla base del benessere dei di-scenti (Visioli, Sellari, Bellia, 2011). Nel corso dello studio di caso presso la scuola di Rieti abbia-

mo indagato come gli insegnanti di musica, e in particolare il do-cente “direttore d’orchestra”, conducesse le attività di musicad’insieme per migliorare la gestione delle emozioni, e abbiamoevidenziato se tali interventi possano essere configurati anche co-me attività di educazione alle emozioni. Grazie al finanziamentoottenuto attraverso il bando pubblico del MIUR, i docenti dimusica dell’Istituto comprensivo di Rieti, all’interno delle diver-se attività, si sono avvalsi per un breve periodo dell’anno scola-stico della competenza professionale del M° Simone Genuini,docente di Conservatorio ed esperto di orchestre giovanili. Du-rante le osservazioni, abbiamo monitorato in particolare le atti-vità orchestrali svolte sia dal direttore d’orchestra della scuola (ildocente di violino), sia dal M° Genuini, per due sessioni ciascu-no. Dalle rilevazioni empiriche è emerso che i profili di interpre-tazione delle due figure di direttore d’orchestra rispecchiano ingran parte quello “tradizionale”, ma con due differenti sfumatu-re. A questa tipologia è sembrato ispirarsi il direttore d’orchestradella scuola dal momento che i suoi interventi sono stati princi-palmente finalizzati, come avviene nei contesti professionali, al-l’interpretazione dell’intenzione originaria del compositore e alrispetto della “fedeltà” della partitura. Il modello di riferimentoosservato ricalca infatti la ricca e lunga tradizione europea “nonscritta” dell’arte musicale direttoriale che, in questo particolarecontesto scolastico, si sposa perfettamente con le esigenze perfor-mative dei concerti di fine anno e dei concorsi nazionali ai qualila scuola è chiamata a partecipare. L’esperto esterno, sulla basedel quadro teorico esposto in precedenza, ha invece orientato i

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Francesco C. Ugolini, Giuseppe Sellari

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suoi interventi facendo dell’interpretazione della partitura unastraordinaria pratica aperta a qualsiasi spunto educativo per tra-sformare la prova e l’esibizione in pubblico in un momento ag-gregante e formativo, soprattutto da un punto di vista emotivo. Se il direttore d’orchestra tradizionale privilegia gli aspetti tecni-

ci rispetto a quelli relazionali-comunicativi, interpretativi ed emoti-vi, in questo secondo caso l’ordine degli elementi è risultato capo-volto, adottando una scala di valori inversi ai principi “tradizionali”del suonare in orchestra. Ciò sembrerebbe favorire un incrementodell’azione educativa e, parallelamente, un rafforzamento della mo-tivazione dei ragazzi a ricercare risultati migliori nel tempo. La figu-ra del direttore d’orchestra “scolastica” potrebbe allora essere consi-derata a metà strada tra il direttore d’orchestra “tradizionale”, equella dell’“educatore” che, per facilitare l’attivazione di processiemotivi, inclusivi e di interazione, si propone come facilitatore direlazioni significative e di processi dinamici coevolutivi. Ne emergeuna nuova figura: quella del “direttore-educatore”, un elemento disistema che, interpretando il “punto di vista” (ossia la produzione el’espressione sonora) di ciascuno, promuove il confronto con gli al-tri, il coinvolgimento emotivo e corporale degli alunni, garantendoal contempo la partecipazione e l’apprendimento di tutti nel rispet-to dei singoli bisogni individuali.

Riferimenti bibliografici

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313 |Esperienze

Francesco C. Ugolini, Giuseppe Sellari

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abstract

Studi insegnanti

II.25 –––––––––––––––––L’autoapprendimento in età evolutivaSelf-learning in developmental age –––––––––––––––––Tiziano BattaggiaI. C. Leonardo da Vinci Venezia – MestreMovimento di Cooperazione Educativa Gruppo cooperativo territoriale Q. Marini di Venezia - Mestre

Il tema del contributo riguarda l’autoapprendimento in età evolutiva.S’intende analizzare il passaggio dal paradigma educativo di tipo tra-smissivo a quello di tipo costruttivo relazionale, nel quale l’autoforma-tività si colloca in una dimensione al tempo stesso intraindividuale einterindividuale, sociale. Allo scopo si individuano alcuni modelli pe-dagogici e le relative pratiche educative: pedagogia istituzionale, peda-gogia dello sfondo integratore, cooperative learning e learning bydoing. Si propone, quindi, alle equipe educative la pratica di una ricer-ca – azione in grado di sostenere la reale autonomia dei bambini, atti-vare le loro risorse interne, così che ciascuno nella relazione possa svi-luppare i propri talenti.

The theme of the contribution concerns self-learning in the develop-mental age. We intend to analyze the transition from a transmissive ed-ucational paradigm to a relational constructive one, in which self-learn-ing is both grounded in an intra-individual and inter-individual/socialdimension. Forse this purpose, we introduce some pedagogical modelsand related educational practices: institutional pedagogy, integratorbackground pedagogy, cooperative learning and learning by doing. Wesuggest that the educational teams put into practice a research/actionthat supports the real autonomy of children, activate their internal re-sources, so that everyone in the relationship can develop their talents.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: autoapprendimento / autoformazione, relazione / coopera-zione, autonomia / indipendenza, identità / molteplicità, obliquità / per-sonalizzazione.

Keywords: self-learning / self-training, relationship / cooperation, auton-omy / independence, identity / multiplicity, obliquity / personalization.

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1. Introduzione

Un grande salto qualitativo della scuola negli ultimi decenni èconsistito nel passaggio da una programmazione per contenutiad una programmazione per obbiettivi. Ma la visione lineare,che ha prevalso, è stata quella di organizzare le attività secondoun frainteso ordine di finalità della scuola, che s’è rivelato, a lun-go andare, come una delle ultime difese di una modalità ancoratrasmissiva del sapere. L’accento posto sulle competenze, puravendo spostato l’attenzione, dagli oggetti della conoscenza aisoggetti del sapere, non ha modificato sostanzialmente il para-digma di base su cui poggia il sistema educativo: cioè, l’appren-dimento delle discipline di studio, intese come variabili indipen-denti dai processi di apprendimento. Occorrerebbe, altresì, de-clinare in concreto, quanto emerge dalle stesse Indicazioni per ilcurricolo:

Le trasmissioni standardizzate e normative delle cono-scenze, che comunicano contenuti invarianti pensati perindividui medi, non sono più adeguate. Al contrario, lascuola è chiamata a realizzare percorsi formativi semprepiù rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti,nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari dellapersonalità di ognuno (M.P.I., 2007, p. 16).

La formazione, quindi, dovrebbe mobilitare processi di ap-prendimento, connettendoli con le interazioni degli individui,con la comunità di appartenenza, e con il complesso della socie-tà. Demetrio afferma che chiunque agisce in ambito educativo ètenuto ad innescare dinamiche relazionali e metabletiche che su-scitino il rinnovamento nei rapporti interindividuali e nelle isti-tuzioni, la transizione emotiva e cognitiva, una maggiore fluiditànell’apprendimento con una trasformazione finale, in senso po-sitivo ed olistico, che riguardi il soggetto in tutta la sua globalitàe complessità psicocognitiva (Demetrio, 1990).

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2. L’organizzazione auto-formativa

Il bambino, fin dalla prima infanzia, è creatore del lavoro cogni-tivo e del processo globale del suo sviluppo. L’incompiutezza,connaturata all’essere umano (neotenia), ne caratterizza la plasti-cità e la continua attitudine ad apprendere (Di Paola, 1997). Intale processo, le relazioni giocano un ruolo fondamentale nellacostruzione dei significati, attribuiti alle esperienze e alle azionicondivise. La sua capacità di dare senso al mondo si struttura an-che attraverso la narrazione che, come sottolinea Bruner, è il pri-mo dispositivo interpretativo e conoscitivo di cui l’uomo, inquanto soggetto socio-culturalmente situato, fa uso nella suaesperienza di vita (Bruner, 1993). Attraverso la narrazione, l’uo-mo conferisce senso e significato al proprio esperire e delinea co-ordinate interpretative e prefigurative di eventi, azioni, situazio-ni, sulle cui basi costruisce forme di conoscenza che lo orientanonel suo agire.

3. Modelli pedagogici per l’autoapprendimento

In questa prospettiva, la pedagogia istituzionale propone dei si-stemi di mediazione fra i soggetti ed i loro apprendimenti. Sitratta di mediazioni, che mettono in gioco adulti e bambini insituazioni pertinenti per entrambi, non in rapporto ad un sapereche viene dall’alto, dall’esterno, ma di qualcosa che li riguarda eche perciò può essere appreso meglio e interiorizzato. L’azionedidattica origina dall’esperienza del gruppo classe e si sviluppaattraverso una ricerca educativa aperta, che coinvolge sullo stessopiano gli insegnanti ed i bambini.Se il primo linguaggio di ogni relazione educativa è fatto di

gestualità e di azioni, è attraverso l’attività che il bambino puòinteragire con l’adulto senza esserne completamente dipendenteo sentirsi assolutamente abbandonato. C’è bisogno, allora, di uncontesto capace di dare una forma alla relazione. Canevaro defi-

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nisce sfondo integratore il processo che lo realizza (Canevaro,Lippi, Zanelli, 1988).Lo sfondo riguarda la qualità delle azioni del contenere1,

dell’accogliere e del comprendere. In uno sfondo capace di con-tenere le diverse parti, le conoscenze si acquisiscono attraversopratiche interattive: nel passaggio dall’io al gruppo si amplia l’a-rea dei significati, e diventa possibile per ciascuno produrre azio-ni, pensieri, attività e giochi che arricchiscono l’esperienza co-mune e consolidano la propria identità.A partire da una traccia narrativa, che viene via via arricchita

dalle proposte dei bambini e dalle vicende che l’esperienza pro-duce, l’educatore accompagna il passaggio dal vissuto, dal mon-do delle emozioni, al mondo della cultura attraverso la simboliz-zazione. Il fantastico permette di rielaborare il proprio mondo interno

e favorisce lo sviluppo di un’intelligenza flessibile e creativa. Lanarrazione aiuta ad integrare temporalmente l’esperienza, legan-do insieme il prima al dopo.

Esempio tratto da un’esperienza educativa in una classe pri-ma. Il primo giorno di scuola i bambini di classe prima tro-vano in giardino piccole impronte di piedi che conduconoad un grande albero. L’ansia del nuovo è contenuta e riela-borata nella conversazione, durante la quale formulano leloro ipotesi su chi appartengano le impronte, fino a conclu-dere che si tratta di folletti...…Coi folletti s’intreccia una fitta corrispondenza di mes-saggi, in cui cominciano ad apparire segni, nomi, parole.Ciascuno s’approccia alla scrittura a partire dai propri dise-gni. I folletti rispondono utilizzando un loro codice. Attra-verso l’attività del prestamano, l’educatore restituisce in for-ma compiuta i messaggi, che vengono letti e analizzati. Sifavorisce, così, il passaggio dai segni personali ad un codice

1 Secondo il concetto winnicottiano di contenimento. Vedi Winnicott D.W., (1979) Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma.

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di gruppo (la lingua folletta), per arrivare all’apprendimen-to della forma convenzionale di scrittura, seguendo percorsial tempo stesso condivisi e individualizzati.

4. Animazione e didattica laboratoriale

L’animazione, ancella troppo speso relegata a custodire attivitàd’integrazione dei curricoli scolastici, s’inserisce a pieno titolocon le sue tecniche fondate sul fare e sull’azione allo scopo di spe-rimentare abilità, sensibilità, creatività, in quei processi mirati asviluppare le capacità di relazione e valorizzare le potenzialità disoggetti e gruppi.Un buon educatore è anche un buon animatore, nella misura

in cui sa scegliere, di volta in volta, strumenti, tecniche e mate-riali in grado di attivare, in quella particolare situazione, la pro-duzione creativa dei bambini, sollecitare curiosità ed interessi, apartire dalla propria disponibilità all’ascolto, modulare il suo in-tervento, attraverso un’attenta lettura delle loro tracce, riuscendoa “tenere in mente” anche le più labili, per “animarle” in una di-namica di piacere e di scambio.

Ispirandosi al modello di laboratorio sulla narrazione di Te-resa Flores Martinez (2008) (gruppo territoriale M.C.E.P.di Granada, Spagna) ed al Cooperative learning sperimen-tato attraverso le Associazioni Cooperative Scolastiche vieneproposta un’attività di animazione a partire dal primo an-no della scuola primaria fino al termine del secondo ciclo.All’inizio di ogni anno i bambini divisi in piccoli gruppiscelgono un racconto inventato da loro, letto su un libro oripreso dalla tradizione popolare e realizzano con la consu-lenza degli insegnanti una lettura animata. Le tecniche uti-lizzate sono le più varie: dalla costruzione di libri pop-up,all’origami, dal teatro alla performance.Il progetto prevede una precisa scansione delle attività: lacostituzione dei gruppi, la distribuzione dei ruoli, la costru-zione dei materiali utili per la rappresentazione, le prove…

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Ogni gruppo gestisce in modo autonomo l’attività, sfruttan-do i tempi liberi dallo studio o dalle lezioni fino alla rap-presentazione davanti alla classe. In seguito, le letture ani-mate vengono organizzate per essere rappresentate ad unpubblico esterno.

Il passaggio dal piacere di fare al piacere di pensare, dall’azioneall’operazione, trova la sua possibilità di realizzarsi nello spazio/tem-po del laboratorio, la cui organizzazione, declinata su rituali e vin-coli condivisi, crea la cornice di un paesaggio educativo dove l’espe-rienza, favorita dalle connotazioni e dai riferimenti del contesto,può ripetersi ad ogni nuovo incontro e riprendere dal punto in cuiciascuno si trova nel suo essere psicologico ed emotivo.Tale processo realizza una dimensione auto formativa, in cui

l’osservazione partecipata dell’insegnante prevale sull’interventodidattico; la mediazione sulla conduzione delle attività; le situa-zioni meno strutturate, informali e flessibili, sulla lezione; l’obli-quità, quale condizione in cui ciascuno può esercitare le sue ca-pacità, sull’orizzontaliltà, che richiede l’esecuzione di prestazionistandardizzate.

5. Conclusioni

Ciascuno di noi costruisce il senso dei percorsi della propria co-noscenza attraverso un continuo scambio interattivo che consen-te la co-costruzione reciproca delle conoscenze. Ciò comporta una diversa e duplice attenzione. Da una parte

ai processi di pensiero dei bambini, impegnati in situazioni reali,che superi l’idea secondo la quale la cognizione riguardi esclusiva-mente operazioni eseguite su abilità e concetti statici, dall’altra allestrategie di scambio sociale all’interno dei gruppi-classe, per scar-dinare la struttura ricorsiva di stampo comportamentista del tipo:iniziativa dell’insegnante – risposta dell’alunno – valutazione.Da questo punto di vista, l’autoapprendimento può essere

letto come una modalità che si sviluppa attraverso un processo

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costruttivo, in una prospettiva vygotskiana che implica sia la di-mensione intrapsichica sia quella socioculturale (Maturana, Va-rela, 1987). Ciò può realizzarsi in contesti scolastici in cui si privilegi la

relazionalità e sia riconosciuta l’importanza di tutti i linguaggi,per sperimentare quella dimensione sociale di gruppo, in cui cia-scuno può elaborare le proprie modalità di pensare e di agire congli altri, esplorare domande aperte, costruire insieme situazioniintorno cui lavorare, per uscire dal già conosciuto e confrontarsicon la scoperta del nuovo.

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II.26 –––––––––––––––––Una scuola per unità di lavoroA teaching approach based on developing themes –––––––––––––––––Giancarlo Cavinato Movimento di Cooperazione educativa

All’esigenza di una didattica attiva e cooperativa deve poter corri-spondere il superamento della divisione rigida di spazi e tempi del-l’insegnamento per passare ad un sistema articolato all’interno delquale possano effettuarsi molteplici scelte di sperimentazione e di ri-cerca. Solo un’organizzazione flessibile e mobile per classi aperte e la-boratori operativi permette di realizzare una scuola della ricerca, dellanarrazione, della discussione. Ogni scelta tematica infatti si colloca inuna catena di problemi e di argomenti che si richiamano gli uni congli altri, costituendo un tessuto reticolare. Nel lavoro si esemplifica lacostruzione di una unità tematica. Un argomento scelto, ad esempiouna unità di ricerca sulle nuvole, a partire dalle preconoscenze e dalleipotesi degli alunni, si presta ad approfondimenti in varie direzionidisciplinari e trasversali.

According to an active and cooperative teaching method there must bean overcome of strict separation of time and space. On the contrary, wemust develop a teaching system which allows multiple choices as re-gards experiments and research. Only a flexible organization composedof open classes and workshops can accomplish a school characterizedby research, narration and discussion. Every selected topic belongs to aseries of connected problems and issues creating a network of knowled-ge and concepts. In the following text we are going to show the buil-ding of a theme unit. A chosen theme starting from students’ pre-kno-wledge and hypothesis (for example a research unit on clouds) is opento studies in different and interdisciplinary subjects.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: multimodalità, animazione, repertorio di conoscenze,co-costruzione, mappa.

Keywords: multimodality., creative activities, knowledge background,social co-buinding,mind map

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1. Introduzione

Il Movimento di cooperazione educativa ritiene che la scuola og-gi possibile e necessaria sia un luogo in cui si costruiscono gli ap-prendimenti attraverso la negoziazione dei significati, la multi-modalità degli approcci, il dialogo pedagogico per il riconosci-mento e la valorizzazione dei diversi stili di apprendimento e del-le strategie di elaborazione personali. È necessaria un’organizza-zione della classe e della scuola costruita intenzionalmente daidocenti, affinché tali requisiti trovino valorizzazione e possibilitàdi scelta e di espressione. Tale organizazione conferisce identità ecostituisce nel tempo la cultura dell’istituzione. All’esigenza di una didattica diversa deve poter corrispondere

il superamento della divisione ‘a canne d’organo’ dell’insegna-mento, la netta separazione delle classi e delle discipline per pas-sare ad un sistema articolato all’interno del quale possano effet-tuarsi molteplici scelte di sperimentazione e di ricerca. Nel Mo-vimento di Cooperazione educativa abbiamo spesso rilevato co-me la netta separazione, ad esempio fra scienze umane e sociali escienze fisiche e della natura, costituiscano un ostacolo alla for-mazione di una mente in grado di connettere e cogliere le inter-dipendenze, producendo settorializzazione (Morin, 2000).Solo un’organizzazione flessibile e mobile per classi aperte e

laboratori operativi permette di realizzare una scuola della ricer-ca, della narrazione, della discussione, costituendo uno sfondoche sappia intessere significati, relazioni, pratiche comuni.

2. L’unità di lavoro

Rispetto alle UDA ( unità di apprendimento) che consistono inpercorsi omogenei pensati per classi standard, l’unità di lavoromette in rilievo ciò che di significativo si possa fare con gruppidi alunni eterogenei rispetto a un tema, cogliendo interessi e mo-tivazioni, organizzando uno sfondo, un piano di attività di ricer-

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ca. Sperimentando in precedenza nel laboratorio adulto per po-ter attivare tali pratiche nelle classi e nella scuola. Diverse unitàdi lavoro possono costituire una mappa di lavoro dell’anno, cheverrà via via arricchendosi e ampliandosi, grazie alle capacitàconnettive e all’ estensione dei temi, a cui gli alunni si dediche-ranno e che sceglieranno di comune accordo, negoziando fra lo-ro e con i docenti, definendo incarichi e consegne, assegnandosii ruoli e suddividendosi il lavoro, ricomponendo poi i diversiaspetti tramite la comunicazione intergruppi.Ogni scelta tematica può essere l’anello di una catena di pro-

blemi e di argomenti che si connettono gli uni con gli altri, co-stituendo un tessuto reticolare. Ad esempio, giocare al mercatopuò comportare di esplorare il mercato rionale ma anche di visi-tare i centri commerciali conducendo via via analisi più specifi-che di carattere commerciale ed economico ma anche sociale,geografico, matematico, storico. L’abbigliamento, nel tempo enello spazio, diventa un tema di ricerca interessante che può svi-lupparsi a partire da una visita ad una sartoria o ad un centrocommerciale così da ‘scoprire’ codici e funzionamento del siste-ma della moda.La lettura del regolamento di un parco giochi può condurre

dal piano linguistico ad altri ambiti: la tutela e la salvaguardiadell’ambiente, la biodiversità, l’ossevazione naturalistica. Ognitessuto disciplinare è crocevia di saperi e organizzazioni deglistessi. Ogni unità illumina un aspetto della realtà ed amplia la vi-sione ad altri aspetti. Le finalità non vengono definite a priori ein modo uniforme per tutti, ma per percorsi paralleli che si av-valgono delle stesse strumentalità pur se con contenuti diversi. Siintende in tal modo valorizzare il pensiero infantile,le ipotesi, laco-costruzione di conoscenze, fondandosi su stimoli volti a pro-durre effetti quali la sorpresa, l’inciampo, il conflitto cognitivo,attraverso una metodologia dell’animazione.Lo stimolo può essere molto diverso a seconda delle età, degli

interessi, dei possibili approfondimenti: una canzone, una gior-nata plumbea, un’osservazione casuale, un modo di dire che su-

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scita curiosità, una foto, l’ascolto delle condizioni del tempo at-mosferico di cui non si sono capiti alcuni termini usati,… unalunno che chiede: ‘Maestro, le nuvole sono il cielo che respira?’A partire dalla messa in comune delle preconoscenze di ognu-

no, delle ipotesi personali, si costruiscono le prime mappe ‘a gan-ci’, a cui sono appese via via le conoscenze del gruppo ( anche lecredenze ‘ingenue’ o ‘magiche’); attraverso l’osservazione, la do-cumentazione, lo scambio, l’esperienza, si toccano vari aspettiche hanno descritto, classificato, previsto, organizzato le scelteumane in relazione alle condizioni meteorologiche e ai fenomenia esse collegati. Pervenendo a delle mappe più complesse, anchese provvisorie e suscettibili di nuovi approfondimenti, a secondadelle direzioni di ricerca via via esplorate. Magia, divinazione, scienza, arte, musica, danza, poesia, lette-

ratura, architettura, cultura popolare, agricoltura, teatro, cucina,antropologia, geometria, design sono alcuni degli aspetti dell’ela-borazione umana attorno a questo come ad altri fenomeni edeventi. Sta a noi scoprirli via via con gli alunni in una ricerca i cuidiversi elementi si concateneranno, mano a mano, costituendoun’unità di contenuti significativi e di ‘attrezzi’ del pensiero. L’at-tività di indagine è fondamentale anche per evitare il costituirsi distereotipi, per un ampliamento della visione della realtà.

3. Indicazioni metodologiche

Si parte chiedendosi: cosa i nostri alunni dovrebbero essere in gra-do di conoscere in profondità, di comprendere e fare? Quali com-prensioni solide e durevoli desideriamo costruiscano così che nonsi sgretolino all’impatto con difficoltà e imprevisti ? Attraversoquali tecniche di insegnamento, quali fonti e strumenti?Lavorare per unità tematiche trasversali consente di attivare

processi che hanno valore duraturo, e possono proiettarsi oltre ilcontesto scolastico , mettendo in atto una dialettica fra apparatidisciplinari e trasversalità. Ciascun tema non va affrontato setto-

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rialmente ma analizzato con una pluralità di mezzi operativi,espressivi, analogici, simbolici, metaforici, logici: l’approfondi-mento avverrà successivamente, scegliendo un punto di vista di-sciplinare in base al problema che si intende affrontare, che èsempre legato all’esigenza di comprendere la realtà, di interveni-re sulle situazioni.I processi di ricerca sono iterativi (a spirale, ricorsivi, circolari)

non lineari e si avvalgono di strumenti e tecniche per la rappre-sentazione e la comunicazione delle esperienze. I laboratori rap-presentano altrettanti teatri cognitivi (sguardi sul mondo): esplo-rano diversi aspetti della realtà a livello scientifico (realizzare ‘nu-vole’ e pioggia,…), multimediale (filmati e ipertesti), linguistico,poetico, teatrale, artigianale (costruzione di strumenti per l’osser-vazione del cielo e le rilevazioni meteorologiche, ad es.).

4. Conclusioni

Co-progettare con gli alunni e ricercare con loro nel quadro diun insegnamento non rigidamente disciplinare e di quella pro-gettazione a ritroso, di cui parla Wiggins, consente di operare peruna comprensione approfondita, non puramente classificato-ria, della realtà nelle sue molteplici forme di interazione. Affron-tando, via via, i diversi apparati disciplinari nella loro genesi efunzionalità per risposte a domande di senso. Si potrebbe obiet-tare che le unità richiamano i centri di interesse delle scuole atti-ve. In realtà ciò che fa la differenze è l’organizzazione mentaleche si persegue, la capacità di stabilire connessioni, il ritrovare informe diverse, via via, più evolute nuclei concettuali.

Il curricolo di una disciplina andrebbe deciso a partiredalla più fondamentale comprensione realizzabile deiprincipi sottesi, i quali strutturano una disciplina…Èdecisamente improduttivo insegnare argomenti o abilitàspecifici senza chiarire il loro contesto nella più ampiastruttura di un’area del sapere….

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Tognolini, B., Mercalli, L., & Junakovic, S. (2009). Artebambini. Lacollana delle Arti.

Lanciano, N. (2016). Strumenti per i giardini del cielo. Parma: JuniorSpaggiari.

Munari, B. (1977). Fantasia. Milano: Feltrinelli.

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Sessione 2

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Sessione 3: Scuola secondaria di secondo grado

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III.1 –––––––––––––––––L’alfabetizzazione mediale nella scuola multiculturale. Dalla teoria alla pratica attraverso una didattica inclusivaMedia literacy in the multicultural school. From theory to practice through inclusive teaching –––––––––––––––––Maria Ranieri, Francesco Fabbro, Andrea NardiUniversità degli Studi di Firenze

Il contributo presenta un approccio all’alfabetizzazione media-le in contesti multiculturali elaborato nell’ambito del progettoEuropeo Media Education for Equity and Tolerance (MEET)con l’intento di promuovere una comprensione critica ed in-terculturale, nonché un uso consapevole, dei media tra gli ado-lescenti. Dapprima si introduce il Media and InterculturalEducation Framework (MIEF), uno strumento teorico finaliz-zato a supportare gli insegnanti nella definizione di obiettivi ri-levanti per l’educazione ai media e interculturale. Successiva-mente si presentano i principi che caratterizzano un approcciodidattico inclusivo ispirato all’Universal Design for Learning(UDL) e rivisitato alla luce delle teorie socio-culturali dell’ap-prendimento. Infine, il contributo illustra come – e con qualirisultati – questo approccio all’alfabetizzazione mediale si ètradotto in pratiche di educazione critica ai media e alla citta-dinanza interculturale in una scuola secondaria in Italia.

The paper presents an approach to media literacy in multicul-tural contexts developed in the framework of the Europeanproject Media Education for Equity and Tolerance (MEET)with the aim of promoting a critical and intercultural under-standing, as well as a conscious use of media among adoles-cents. First we introduce the Media and Intercultural Educa-tion Framework (MIEF), a theoretical tool aimed at support-ing teachers in the definition of objectives relevant to mediaand intercultural education. Subsequently the principles thatcharacterize an inclusive didactic approach inspired by the

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Ricerche

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Universal Design for Learning (UDL) and revisited in light ofthe socio-cultural theories of learning are illustrated. Finally,the contribution shows how – and with what results – this ap-proach to media literacy has been translated into practices ofcritical education to media and intercultural citizenship in asecondary school in Italy.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: critical media literacy, scuola secondaria, edu-cazione interculturale, progettazione didattica inclusiva

Keywords: critical media literacy, secondary school, intercul-tural education, inclusive teaching design

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Sessione 3

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1. Introduzione

Il presente contributo propone un approccio alla progettazionee all’implementazione di attività media educative finalizzate al-l’inclusione sociale in contesti interculturali. Esso è stato svilup-pato nell’ambito del progetto “Media Education for Equity andTolerance” (MEET) (Erasmus Plus, KA3, 2016-2018), promos-so e coordinato dall’Università degli Studi di Firenze (IT) in col-laborazione con l’Università di Vienna (AT), Media Animation(BE), medien+bildung.com (GE) e il Peace Institute (SI).MEET mira a promuovere una comprensione critica ed intercul-turale, nonché un uso consapevole, dei media tra i giovani citta-dini nelle scuole pubbliche multiculturali. Si rivolge principal-mente a giovani economicamente e socialmente svantaggiati (età13-19), compresi migranti e rifugiati, coinvolgendoli, insieme ailoro insegnanti, in un processo di ricerca azione per svilupparepratiche di Media Education interculturale per la promozionedella cittadinanza attiva e della giustizia sociale. Nei seguentiparagrafi presentiamo il Media and Intercultural Education Fra-mework (MIEF), uno strumento teorico finalizzato ad orientaregli insegnanti nella definizione di obiettivi rilevanti per l’educa-zione ai media e interculturale. Successivamente illustriamo iprincipi che possono orientare una progettazione didattica e for-niamo alcuni esempi di attività in classe per dimostrare come taliprincipi possano supportare insegnanti ed educatori nello svi-luppo di pratiche didattiche che affrontano “questioni intercul-turali” attraverso la media literacy education.

2. Background teorico: il MIEF e le linee guida

Il MIEF si basa su diverse tradizioni di ricerca che comprendonola media education (Buckingham, 2003; Hobbs, 2011) e la cri-tical media literacy (Kellner & Share, 2009), le quali da un latoenfatizzano l’importanza di comprendere e mettere in discussio-

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ne diversi aspetti dei media (rappresentazioni, linguaggio, siste-ma produttivo, pubblico) insieme ai valori e alle ideologie checontribuiscono a veicolare, e dall’altro incoraggiano a cimentarsiin attività creative di produzione mediale. Inoltre, il MIEF riflet-te un prospettiva di educazione interculturale ai media ispirata almulticulturalismo critico (Sleeter & McLaren, 1995), attento al-l’intersezionalità di diverse forme di discriminazione (razzismo,sessimo, classimo), e incentrata sulla promozione di pratiche dicittadinanza attiva e solidale nella sfera pubblica.Come illustra la figura riportata di seguito (Fig. 1), il MIEF

comprende quattro cornici (o frames) che riflettono e combina-no le aspirazioni della media education con quelle dell’educazio-ne interculturale. Sul piano operativo, insegnanti e ricercatoripossono utilizzare questo strumento per identificare obiettivieducativi rilevanti per l’insegnamento della media education incontesti interculturali (Ranieri & Fabbro, 2018).

Fig. 1: Illustrazione sintetica del MIEF!!!!!!!!!!

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Sessione 3

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A partire dal MIEF sono state elaborate delle linee guida persupportare gli insegnanti nella progettazione e nell’implementa-zione di pratiche inclusive di media education. Le linee guida con-sistono in una rivisitazione di alcuni principi dell’Universal De-sign for Learning (Meyer, Rose & Gordon, 2014) alla luce delleteorie socio-culturali dell’apprendimento (Vygotsky, 1978). Sitratta quindi di un approccio didattico che tenta di coniugare lamedia literacy education con strategie inclusive d’insegnamento eapprendimento. È articolato in tre principi chiave e una serie di li-nee guida per la progettazione inclusiva (Ranieri e Fabbro, 2018).Per ragioni di sintesi, qui esplicitiamo solo i tre principi:

1) Facilitare la comprensione critica dei media e delle relazioniinterculturali/democratiche.

2) Supportare la capacità di esprimersi (con e senza i media) incontesti multiculturali, nonché di valutare il proprio appren-dimento.

3) Incoraggiare l’impegno nel processo di costruzione di comu-nità multiculturali e la partecipazione alla vita sociale e poli-tica della scuola.

Sulla base del MIEF e dei tre principi sono stati ideati, svilup-pati e sperimentati sei scenari di apprendimento su diversi temiquali fake news, propaganda politica, migrazione, discriminazio-ni e diritti umani. In questa sede ci soffermeremo sullo scenariointitolato “Challenge violence and play your rights”.

3. La sperimentazione: il caso dei videogiochi per i diritti umani

Lo scenario d’apprendimento “Challenge violence and play yourrights” mira a far comprendere – e a mettere in discussione - inche modi diversi media – e in particolare i videogiochi – rappre-sentano la violenza e i gruppi sociali più vulnerabili e margina-lizzati così come ad incoraggiare la scrittura di storie per video-giochi sul tema dei diritti umani. La sperimentazione dello sce-

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nario è stata condotta tra Novembre 2017 e Gennaio 2018 nel-l’arco di sei lezioni della durata di 2 ore ciascuna per un totale di12 ore di attività in classe. Alla sperimentazione hanno partecipato 3 insegnanti e 17 al-

lievi (età 16-18) dell’Istituto Gramsci-Keynes di Prato. Gli 11 stu-denti e le 6 studentesse coinvolte frequentavano una classe III adindirizzo economico (Settore Turismo). La gran parte degli allieviprovengono da famiglie con uno status socio-economico medio-basso. Tra loro circa un terzo ha un background migrante in quan-to loro stessi o i genitori sono immigrati. in Italia da altri Paesi (Ci-na, Romania, Nigeria, Repubblica Domenicana, Stati Uniti).Nonostante ciò, solo uno studente aveva difficoltà ad esprimersi initaliano. Inoltre, in classe era presente uno studente ipovedente etre allievi/e con Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Nella prima parte della sperimentazione è emersa una certa

resistenza da parte degli studenti ad esprimersi nelle discussionicollettive sul tema della migrazione così come uno scarso coin-volgimento nelle attività di analisi dei videogiochi basati su storiedi migranti economici o rifugiati. Al contrario, nel corso delle le-zioni dedicate alla progettazione di videogiochi ispirati ad unanotizia su un episodio di respingimento di alcuni giovani “extra-comunitari” in gita a Londra, la gran parte degli allievi – inclusialcuni tra quelli più restii a partecipare alle lezione ordinarie - siè ampiamente espressa sul tema della migrazione dimostrandoanche una certa capacità di promuovere – seppur in maniera in-diretta – i diritti umani. Nelle storie di fantasia per videogiochiscritte dagli studenti, infatti, i migranti non sono stereotipica-mente rappresentati come vittime o criminali ma, piuttosto, co-me persone che lottano per avere gli stessi diritti dei nativi.

4. Conclusioni

I principali risultati della sperimentazione esposti sopra evidenzia-no come la facilitazione della comprensione, dell’espressione e

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Sessione 3

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dell’impegno degli studenti rispetto a questioni sovraesposte sulpiano mediatico e controverse sul piano etico non sia facilmenteconseguibile. Come sottolineato sopra, infatti, in alcuni casi i di-scenti hanno disatteso le aspettative. Dall’altra parte, però, l’atti-vità d’ideazione di storie (in parte reali e in parte di fantasia) è ri-sultata fondamentale per mettere gli studenti nelle condizioni diriflettere sul significato dei diritti umani e per mitigare la resisten-za a discutere pubblicamente in classe la questione della migrazio-ne. Inoltre, in alcuni casi, l’approccio proposto ha effettivamentecontribuito, talvolta in maniera inaspettata, ad includere anche al-lievi solitamente poco propensi a partecipare alle lezioni.

Riferimenti bibliografici

Buckingham, D. (2003). Media Education. Literacy, Learning and Con-temporary Culture. London: Polity Press-Blackwell Publishing.

Hobbs, R. (2011). Digital and Media Literacy: Connecting Culture andClassroom. Thousand Oaks, CA: Corwin.

Kellner, D., & Share, J. (2009). Critical Media Education and RadicalDemocracy. In M.W. Apple, W. Au & L. A. Gandin (Eds.), TheRoutledge International Handbook of Critical Education (pp. 281-295). New York-London: Routledge.

Meyer, A., Rose, D.H., & Gordon, D. (2014). Universal design for lear-ning: Theory and Practice. Wakefield, MA: CAST Professional Pu-blishing.

Ranieri, M. & Fabbro, F. (2018). Designing Media Literacy Educationfor intercultural contexts. The MIEF Framework and guidelines.INTED2018 Proceedings, pp. 6002-6008.

Sleeter, C. E., & McLaren, P. L. (Eds.) (1995). Multicultural education,critical pedagogy and the politics of difference. Albany, NY: State Uni-versity of New York Press.

Vygotsky, L. S. (1978). Mind and Society. Cambridge, MA: HarvardUniversity Press.

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Maria Ranieri, Francesco Fabbro, Andrea Nardi

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III.2 –––––––––––––––––Orientare dal liceo all’università: il progetto di ricerca-formazione «FOrP»Guiding from high school to university: the «FOrP» research-training project –––––––––––––––––Alessandro Di VitaUniversità degli Studi di Palermo

In questo contributo, dopo avere chiarito la finalità dell’orien-tamento presentata nelle Linee guida nazionali per l’orienta-mento permanente (MIUR, 2014) e descritto brevemente alcu-ne metodologie educative utilizzate in Italia negli ultimi ventianni per aiutare gli studenti a costruire il loro progetto di vitaprofessionale, si presenta nelle linee generali il progetto di ri-cerca-formazione «FOrP» (Formazione, Orientamento, Pro-gettualità), volto a colmare, mediante laboratori-ponte di ca-rattere disciplinare scuola-università, il gap tra le competenzedisciplinari acquisite dagli alunni alla fine del percorso deglistudi liceali e quelle richieste all’inizio degli studi universitari,nonché a promuovere in loro tre soft skills (il senso di autoeffi-cacia, la capacità di decision making e la consapevolezza di sé)mediante l’applicazione della scrittura espressiva, dell’ADVP(Activation du developpement vocationnel et personnel) e del col-loquio di tutoraggio.

The general outlines of «FOrP» (Training, Guidance, Plan-ning) research-training project is presented in this paper, afterclarifying the aim of the guidance presented in the Linee guidanazionali per l’orientamento permanente (MIUR, 2014) andbriefly describing some educational methodologies used inItaly in the last twenty years to help the students to build theirprofessional life project. This project aims to fill the gap be-tween the disciplinary skills acquired by pupils at the end ofthe path of high school studies and those required at the be-ginning of university studies, as well as to promote in them

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Esperienze

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three soft skills (self-efficacy, decision making capability andself-awareness) through the application of the expressive writ-ing, ADVP (Activation du Developpement Vocationnel et Person-nel) and tutoring interview.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: ricerca-formazione, liceo, università, proget-tualità, metodologie di orientamento

Keywords: research-training, high school, university, plan-ning, guidance methodologies

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

Le aspirazioni professionali costituiscono un oggetto importantedelle rappresentazioni previsionali dell’adolescente. L’attività la-vorativa è difatti un elemento indispensabile nel processo di co-struzione della sua identità personale, nella dinamica di inclusio-ne nella vita sociale, nonché nell’assunzione di responsabilitànuove e della cittadinanza attiva. La formulazione del progettoprofessionale fornisce un contributo fondamentale alla formazio-ne dell’identità adolescenziale, poiché implica un confronto con-tinuo tra il realismo del mondo del lavoro e l’immagine che l’a-dolescente ha di sé: il «sé» professionale costituisce una parteconsiderevole dell’immagine che egli ha di sé, esso rappresenta lemodalità concrete con cui l’adolescente pensa di migliorare larealtà sociale mediante il suo lavoro (Zanniello, 2008, p. 18).Nelle Linee guida nazionali per l’orientamento permanente

(MIUR, 2014, p. 4), si presta particolare attenzione ai mutamentidel mondo del lavoro e dell’economia, al cambiamento della con-cezione dell’orientamento e al «conseguente cambiamento delmodo di orientare i giovani da parte degli insegnanti. L’orienta-mento, infatti, deve aiutare le persone a sviluppare la propria iden-tità, a prendere decisioni sulla propria vita personale e professiona-le, a facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di formazione e,successivamente, tra domanda e offerta di lavoro».Al termine degli studi liceali, è più facile promuovere la ma-

turazione della scelta formativo-professionale degli alunni se i lo-ro insegnanti li aiutano a inserire questa scelta nel contesto di unprogetto di vita professionale più ampio che essi devono impara-re a formulare. Negli ultimi quarant’anni della scuola italiana,sono state sperimentate diverse modalità educative per aiutare gliadolescenti a formulare il loro progetto di vita professionale e ascegliere il percorso formativo ad esso afferente. Si tratta di ini-ziative svolte dagli insegnanti, con o senza collaborazione ester-na, nella convinzione che la normale attività didattica possiedeuna ineludibile dimensione orientativa.

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Si possono citare, ad esempio, quattro metodologie efficace-mente utilizzate con scopi orientativi in alcune tra le più rilevantiricerche italiane condotte negli ultimi vent’anni in ambito scola-stico: la strategia di didattica orientativa messa a punto da Zan-niello (2004) con lo scopo di sviluppare e potenziare negli alunniliceali di 17-18 anni le capacità che risultano indispensabili perla formulazione di un progetto formativo-professionale; il meto-do ADVP (Activation du Developpment Vocationnel et Personnel)(La Marca, 2008; Cappuccio, 2016), la cui originalità sta nellasua capacità di individuare le abilità mentali (pensiero creativo,categoriale, valutativo e implicativo) che consentono lo svolgi-mento di alcuni compiti (esplorazione, cristallizzazione, specifi-cazione e realizzazione) che promuovono lo sviluppo del proces-so evolutivo della scoperta, della classificazione, della valutazionee della sperimentazione che conduce alla maturazione della scel-ta formativo-professionale; il «metodo narrativo» utilizzato nelladidattica orientativa (Batini & Del Sarto, 2005; Batini, 2011) èun altro procedimento con cui gli alunni di alcune scuole tosca-ne sono stati aiutati a costruire il loro progetto di vita professio-nale; le tecniche di gruppo per la gestione del processo di sceltapost-diploma (Pombeni & Chiesa, 2008, 2009).Di seguito si presentano gli aspetti essenziali di un progetto

di ricerca con cui si vogliono sperimentare, nell’anno scolastico2018-2019, delle attività volte ad attivare lo sviluppo professio-nale di un gruppo di studenti liceali.

2. Aspetti essenziali del progetto di ricerca-formazione «FOrP»

Lo scarto tra i “desideri di essere” degli adolescenti e il loro “mo-do di essere” sovente frena lo slancio progettuale che dovrebbecaratterizzare ogni adolescente maturo. Le competenze trasversa-li aiutano l’adolescente a colmare questa distanza, rendendoloinnanzitutto consapevole del processo di apprendimento intra-preso, ovvero delle competenze di base e disciplinari acquisite

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Page 345: Pietro Lucisano › pensa › wp-content... · mazione professionale. C’è necessità di lavorare insieme per ren-dere effettivi gli obiettivi fissati dalla Costituzione, ancora

durante gli anni. Nell’ambito del progetto di ricerca-formazione«FOrP» (Formazione, Orientamento, Progettualità), si voglionopromuovere, in 500 studenti distribuiti tra le quinte classi di cin-que licei scientifici statali della città di Palermo («E. Basile», «B.Croce», «S. Cannizzaro», «A. Einstein» e «G. Galilei»), tre com-petenze trasversali che attivano il processo decisionale che si con-clude con la scelta formativa post-diploma: l’autoefficacia, la ca-pacità di prendere decisioni e la consapevolezza di sé.Con l’aiuto di 50 insegnanti (10 per ciascuno dei predetti li-

cei), si vogliono applicare quattro metodi per promuovere le sud-dette competenze trasversali: i laboratori disciplinari “PonteScuola-Università” (Zanniello, 2008), la scrittura espressivo-pro-spettica (Di Vita, 2017), il metodo ADVP (La Marca, 2008) e ilcolloquio di tutoraggio. I laboratori disciplinari offriranno aglistudenti l’occasione di verificare il grado di realismo della sceltauniversitaria ipotizzata, nonché l’opportunità di colmare il gapdisciplinare scuola-università, ovvero di ridurre il divario tra lecompetenze disciplinari fornite dalla scuola e quelle richieste ini-zialmente dall’università. Le sessioni di scrittura espressiva mette-ranno gli alunni in condizione di formare un quadro esaustivo incui includere lo stato attuale delle loro attitudini, interessi, com-petenze, motivazioni, storia formativa, posizione lavorativa prefe-rita, limiti, nonché obiettivi e modalità concrete con cui essi pen-sano di raggiungerli. Gli esercizi ADVP basati sugli argomenti di-sciplinari gli consentiranno di svolgere i compiti evolutivi dell’e-splorazione, della cristallizzazione, della specificazione e della rea-lizzazione delle possibili scelte formativo-professionali post-di-ploma; i colloqui che gli alunni faranno con un insegnante da lo-ro scelto li aiuteranno a rendersi consapevoli degli esiti delle ses-sioni di scrittura e degli esercizi ADVP, nonché a riflettere sull’in-teresse che i laboratori disciplinari avranno suscitato in loro.Gli strumenti di valutazione delle tre soft skills sono: la versio-

ne italiana del test dell’autoefficacia generale percepita messo apunto da Schwarzer (1993), il Questionario sugli Stili Decisionali(QSD) e il Differenziale Semantico per la valutazione del «sé» at-

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tuale costruiti da Di Nuovo e Magnano (2013). Lo strumento dianalisi dei dati che si raccoglieranno con i predetti strumenti divalutazione è il software libero «R» (versione 3.1.0 – Spring Dan-ce) di elaborazione statistica.Il disegno di ricerca prevede: una formazione iniziale degli in-

segnanti (15 ore distribuite nel mese di ottobre 2018), con cuiessi impareranno ad applicare i metodi della scrittura espressivae dell’ADVP e alcuni principi per la gestione dei colloqui di tu-toraggio; la rilevazione iniziale, nello steso mese di ottobre, delletre competenze trasversali prese in esame; l’esecuzione di settesessioni di scrittura espressiva, una al mese da novembre 2018 amaggio 2019; lo svolgimento di sette esercizi ADVP, uno al meseda novembre 2018 a maggio 2019; l’attuazione di sette labora-tori disciplinari “Ponte Scuola-Università”, uno al mese da no-vembre 2018 a maggio 2019; lo svolgimento di sette colloqui ditutoraggio, uno alla fine di ogni mese da novembre 2018 a mag-gio 2019; le rilevazioni intermedia (febbraio 2019) e finale(maggio 2019) delle tre competenze trasversali prese in esame;un’intervista telefonica (novembre-dicembre 2019) per verificarele ragioni della scelta post-diploma effettuata dagli studenti.

3. Conclusioni

Gli insegnanti, senza essere specialisti dell’orientamento profes-sionale, possono decisamente promuovere la maturazione dellascelta formativo-professionale se si impegnano, da un lato, a in-segnare le discipline scolastiche in modo tale da favorire lo svi-luppo della capacità decisionale e dell’autoefficacia dei loro alun-ni e, dall’altro lato, ad acquisire metodologie, competenze e stru-menti adeguati per favorire in loro una conoscenza realistica disé e del mondo del lavoro.Gli interventi formativi che si vogliono realizzare svolgendo

la ricerca-formazione proposta nel progetto «FOrP», benché no-ti, non sono stati mai utilizzati insieme nel contesto di un’unica

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ricerca. Ci si aspetta che, svolgendo correttamente e nei tempistabiliti tutte le azioni di ricerca progettate, si riducano le possi-bilità di insuccesso cui vanno spesso incontro gli studenti univer-sitari, nonché quelle di abbandono degli studi o di ritardo pato-logico nella loro conclusione.

Riferimenti bibliografici

Batini, F. (2011). Orientare per non disperdere: le storie siamo noi. Unaricerca sperimentale sull’orientamento narrativo nelle scuole secondariedi Livorno. Lecce: Pensa MultiMedia.

Batini, F., & Del Sarto, G. (2005). Narrazioni di narrazioni. Orienta-mento narrativo e progetto di vita. Trento: Erickson.

Cappuccio, G. (2016). La metodologia dell’Activation du développe-ment vocationnel et professionnel per un’educazione inclusiva nellascuola secondaria di primo grado. Giornale Italiano della RicercaEducativa, 17, 127-141.

Di Nuovo, S., & Magnano, P. (Eds.) (2013). Competenze trasversali escelte formative. Strumenti per valutare metacognizione, motivazione,interessi e abilità sociali nella continuità tra livelli scolastici. Trento:Erickson.

Di Vita, A. (2017). Orientare nella scuola alla scelta formativo-profes-sionale post-diploma con la metodologia «SeCo». Nuova Seconda-ria Ricerca, 2, 56-74.

La Marca, A. (2008). L’attuazione e la valutazione delle attività ADVP(Activation du Developpement Vocationnel et Personnel). In G. Zan-niello (Ed.), Un ponte per l’Università. Attività didattiche per lo svi-luppo professionale nella scuola secondaria (pp. 51-73). Palermo: Pa-lumbo.

MIUR (2014), Linee guida nazionali per l’orientamento permanente.Roma.

Pombeni, M.L., & Chiesa, R. (2008). Counseling di orientamento:uno strumento di supporto all’analisi della domanda. Counseling,1, 85-98.

Pombeni, M.L., & Chiesa, R. (2009). Il gruppo nel processo di orienta-mento. Roma: Carocci.

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Schwarzer, R. (1993). Measurement of perceived selfefficacy. Psychometricscales for cross-cultural research. Berlin: Freie Universität Berlin.

Zanniello, G. (Ed.) (2004). Dal liceo al lavoro attraverso i saperi disci-plinari. Esperienze di didattica orientativa condotte nell’ambito delprogetto ARACNE: Orientamento, Scuola e Professione. Palermo: Pa-lumbo.

Zanniello, G. (Ed.) (2008). Un ponte per l’Università. Attività didatti-che per lo sviluppo professionale e personale nella scuola secondaria. Pa-lermo: Palumbo.

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Ricerche

III.3 –––––––––––––––––Sviluppare il pensiero critico attraverso la scrittura. Il progetto verba sequentur nella scuola secondaria su-perioreDeveloping critical thinking skills through writing acti-vities. Verba sequentur project for high school education –––––––––––––––––Antonella PoceUniversità degli Studi Roma Tre

Il contributo si propone di presentare i risultati della secondafase della sperimentazione Verba sequentur, tesa a verificare se,promovendo l’attività di scrittura tramite il ricorso a stimolitratti da alcune materie di insegnamento, migliorino le capa-cità di pensiero critico degli studenti della Scuola Secondariadi Secondo Grado. Nello specifico, l’obiettivo principale delprogetto Verba sequentur è stato quello di esaminare come ladescrizione e l’interpretazione del testo assegnato, realizzate at-traverso il processo di scrittura, abbiano portato a uno svilup-po delle competenze quali l’analisi, l’argomentazione, l’utiliz-zo di inferenze e di valutazione critica, definibili anche in ter-mini di miglioramento delle competenze linguistiche edespressive. La seconda fase di sperimentazione è stata portataavanti nell’a.s. 2017/2018 con la finalità di sviluppare le indi-cazioni emerse durante la prima fase del progetto (Poce,2017): 10 le classi coinvolte nelle attività di produzione scritta,la quale ha visto ampliare le tipologie degli stimoli e le materiescolastiche interessate rispetto all’esplorazione preliminare. Leprove sono state valutate utilizzando una griglia di valutazionedi elaborati scritti precedentemente validata. I risultati di valu-tazione degli elaborati confermano che attività continue neltempo di argomentazione, analisi, commento a partire da sti-moli scritti promuovono le competenze di pensiero critico.

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The present paper aims at presenting the results of the secondexperimentation phase of Verba sequentur project, addressed toverify if secondary school students’ critical thinking skills areimproved by promoting writing activities. The main objectiveof Verba sequentur project was to identify how writing inter-pretation activities, starting from an assigned text, promoteskills such as analysis, argumentation, use of inferences andcritical evaluation, which can also be defined in terms of im-provement of linguistic skills. The second phase of experimen-tation was carried out in the school year 2017/2018 with theaim of developing indications emerged during the first phaseof the project (Poce, 2017): 10 classes were involved in writingactivities related to different school subject. The tests wereevaluated using a previously validated short-essay evaluationtool. Results herewith described confirm that argumentation,analysis, commentary activities, carried out on a regular basis,promote critical thinking skills.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Pensiero critico, scrittura, valutazione

Keywords: Critical thinking skills, writing activities, evalua-tion

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Antonella Poce

1. Introduzione

I risultati del progetto Nulla dies sine linea (Vertecchi, 2016) realiz-zato nell’ambito del Laboratorio di Pedagogia Sperimentale (LPS)dell’Università Roma TRE, nell’a.a. 2013/2014, hanno evidenziatocome le difficoltà di scrittura, riscontrate in particolare nei bambinidella scuola primaria, possono essere contrastate grazie all’esercizioquotidiano della stessa, fornendo sollecitazioni adeguate alle quali ibambini hanno risposto dimostrando entusiasmo e disponibilità.Riscontrando un crescente disagio nelle capacità in discussione de-gli allievi (in ogni livello di studi) e per rispondere all’esigenza di tro-vare soluzioni coerenti e che siano allo stesso tempo il frutto di ri-cerche e analisi strutturate, il gruppo di ricerca del Dipartimento diScienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre haavviato e concluso l’esplorazione preliminare dell’esperimento Ver-ba sequentur, tesa a verificare se, promovendo l’attività di scritturatramite il ricorso a stimoli tratti dalla letteratura italiana, migliorinole capacità di pensiero critico, individuate nel passaggio dall’inter-pretazione all’argomentazione libera sul testo fornito.

2. Stato dell’arte

Il problema inerente alla definizione del pensiero critico in educa-zione ha rappresentato una questione centrale nel lavoro di vari stu-diosi durante tutto il corso del secolo precedente e tutt’oggi risultaun tema fortemente dibattuto non solo in educazione, avendo im-plicazioni importanti in varie sfere della conoscenza, dalla filosofiaalla scienza, dall’innovazione tecnologica all’economia. Negli anniOttanta del Novecento, in particolare, ha cominciato a diffondersila necessità da parte della comunità scientifica di approfondire lanatura del pensiero critico come parte integrante di quella educazio-ne che Facione (1990, p. 1) definisce liberale e che risponde a de-terminate caratteristiche centrali per lo sviluppo della società dellaconoscenza: «il cuore dell’educazione risiede infatti nei processi dianalisi, apprendimento e pensiero, e non nell’acquisizione di infor-mazioni obsolete e di competenze separate». A conferma dell’atten-

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zione generale verso il tema del sostegno al pensiero critico in edu-cazione, l’American Psychological Association, alla fine degli anniOttanta, invita un panel composto da 46 esperti dell’argomento,ma provenienti da aree diverse (filosofia, scienze sociali, scienzedell’educazione, scienze computazionali, economia, zoologia, ecc.),a stendere un rapporto preciso sul concetto di pensiero critico. Il ri-sultato è rappresentato dal cosiddetto Delphi Report che pubblicatonel 1990 negli USA costituisce un punto di partenza essenziale, per-ché non solo definisce il pensiero critico nei suoi termini generali,ma mette in evidenza le sue componenti essenziali, nella prospettivadi individuare un modello di insegnamento, valutazione e quindisviluppo dei livelli di pensiero critico del discente.Esiste una connessione rilevante tra letteratura e sviluppo del

pensiero critico ed è ancora una volta Harold Bloom a chiarire i ter-mini della relazione in una intervista, rilasciata nell’anno 2000 sulsuo testo How to Read and Why, nella quale dichiara, tra l’altro, chel’importanza della lettura del testo letterario è fondamentale per co-noscere noi stessi. La lettura profonda e individuale, in particolare,consente di sviluppare la capacità di memorizzare concetti e situa-zioni, senza i quali, Bloom afferma, non siamo in grado di pensare.Affermazioni in linea con la riflessione di Bloom provengono daPaul e Elder, i creatori della Foundation for Critical Thinking califor-niana, che sostengono: «La persona colta pratica regolarmente la let-tura profonda e la scrittura sostanziale per conoscere nuove idee,comprendere meglio le idee e correggere fraintendimenti concet-tuali. Leggere profondamente significa costruire il significato dei te-sti letti in modo accurato» (Paul & Elder, 2006, p. 3). La “diade” in-segnamento del pensiero critico e letteratura, questa è stata affron-tata da vari autori. Secondo Esplugas et al. (1996, p.450), grazie al-l’approfondimento del testo letterario, si possono sollecitare varieazioni significative, ai fini dello sviluppo di pensiero critico, adesempio: individuare i significati molteplici che possono rintrac-ciarsi nel testo dato, attivare le conoscenze di sfondo, ricostruire iprocessi che hanno portato l’autore a concepire il testo nella formadefinitiva. Inoltre «analizzando le caratteristiche grammaticali, sin-tattiche e semantiche dei passaggi chiave, gli studenti sviluppano

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Antonella Poce

una padronanza del linguaggio sempre maggiore, diventando alcontempo pensatori, scrittori e lettori migliori» (Esplugas et al.,1996, p.450). Posto dunque che il testo letterario rappresenti la fon-te ideale sulla quale impostare l’attività didattica finalizzata allo svi-luppo di pensiero critico, così come è stato definito finora, occorreriflettere sulla scelta degli strumenti utili a impiegarlo coerentemen-te con gli obiettivi che ci poniamo. Si è osservato, ad esempio, chetra le pratiche più efficaci per l’interpretazione, l’elaborazione e l’ar-gomentazione risulti quella di scrittura. Sono ancora Paul & Elder(2006, p.4) a ricordarci che esiste una stretta relazione tra lettura escrittura: «ogni considerevole carenza nella lettura implica una ca-renza parallela nella scrittura. Ogni considerevole carenza nellascrittura implica una carenza parallela nella lettura».L’esperimento, effettuato nell’ambito del progetto Verba sequen-

tur e presentato nei paragrafi che seguono, rispecchia, in particolare,due gradi evidenziati da Paul & Elder: la parafrasi e il commento. Laparafrasi consente di ovviare al problema della mancata comprensio-ne del testo perché obbliga a riscriverlo con vocaboli disponibili e co-nosciuti dal discente, il commento permette di attivare altre abilitàcognitive quali l’analisi, la sintesi, l’inferenza, la deduzione, la valu-tazione, la decisione e i relativi atteggiamenti nell’esprimerle.

3. La valutazione del pensiero critico

Uno sviluppo coerente ed efficace di qualsiasi conoscenza, abilità ocompetenza comporta strategie di valutazione coerenti e mettere inatto procedure valutative nel campo del pensiero critico rappresentauna sfida notevole, data la complessità del costrutto sotto osserva-zione. Valutare il pensiero critico rappresenta una sfida ardita per lanatura stessa dell’oggetto della misurazione che si compone di di-mensioni diverse e fortemente instabili. Il California Critical Thin-king Skills Test (1990, aggiornato al 2013) rimane uno dei più usatie variamente impiegati sia in ambito educativo, sia lavorativo. Sitratta di un test a risposta multipla da svolgersi in 45 minuti. Le areedi contenuto prese in considerazione sono le seguenti: analisi, inter-pretazione, inferenza, valutazione, spiegazione, induzione, deduzio-

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Sessione 3

ne. Nonostante le rassicurazioni fornite dai promotori del CCTSTconsentano un certo apprezzamento dello strumento in questione,i problemi evidenziati da Ennis (1993) sulla difficoltà di misurare ilpensiero critico solo con test a risposta multipla, che limita la pos-sibilità di espressione, non preventivamente considerate da parte dichi concepisce la prova permangono. Sono due gli aspetti essenzialinella riflessione di Ennis: la necessità di usare domande aperte pervalutare il pensiero critico e l’autonomia del docente nel formularelo strumentario di valutazione. Entrambi gli aspetti presentano van-taggi e svantaggi, come è comprensibile. Le domande aperte hannoil vantaggio di consentire una valutazione del pensiero critico cheincluda tutte le dimensioni (abilità e atteggiamenti – skills e dispo-sitions) ma richiedono più carico di lavoro nella correzione e nellacura nei livelli di affidabilità delle valutazioni. Ennis (1993, p. 185),tra le varie possibilità, propone l’uso del saggio breve e distingue travarie possibilità di strutturazione: alta, media e minima. Vari sonogli esempi per ognuno dei livelli: dall’Ennis Weir Critical ThinkingTest (1985) per il massimo della articolazione, all’Illinois CriticalThinking Essay Contest (Powers, 1989) per il minimo.A partire dagli studi condotti da Ennis circa la possibilità e la mo-

dalità di valutazione del pensiero critico, il gruppo di ricerca da mecondotto ha sviluppato uno strumento di valutazione in autonomia,cercando di rispettare il più possibile i criteri di validità e affidabilitàe ottenere indicazioni per successive rilevazioni. Tale strumento divalutazione è destinato a valutare la portata di pensiero critico in unaproduzione scritta tipo saggio breve, cioè un test semistrutturato incui gli studenti devono presentare le loro idee seguendo una struttu-ra determinata. L’obiettivo principale di questo tipo di prova è quellodi esporre un insieme di idee su un argomento seguendo un ordineche favorisca la comprensione del lettore. Il fulcro e il fine del saggiobreve è, quindi, la sua strutturazione logica e lineare. La griglia di va-lutazione del saggio breve elaborata per esaminare il pensiero criticocontiene diversi macroindicatori: Competenze linguistiche di base,Giustificazione, Rilevanza, Importanza, Valutazione critica e Novità.Il primo macroindicatore, Competenze linguistiche di base, facili-

ta il docente nella valutazione della forma linguistica del saggio.

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Antonella Poce

Inoltre, consente di limitare il rischio di un’interpretazione errata edi una spiegazione parziale, come indicato nel Delphi Report.Il secondo macroindicatore, Giustificazione, valuta le capacità de-

gli studenti di elaborare la propria tesi e di sostenere le proprie argo-mentazioni nel saggio pro-dotto. Questo genere di elaborato è un ti-po di testo specifico che contiene le in-formazioni di cui il lettore habisogno e la cui organizzazione si rivela più utile alla ricezione dellestesse informazioni. La capacità di produrre un’argomentazionescritta su un tema dato è essenziale per comporre correttamente unsaggio breve e per dimostrare una serie di competenze di pensierocritico, tra cui, in particolare, l’analisi, l’interpretazione e l’inferenza.Il terzo macroindicatore, Rilevanza, analizza la coerenza testuale

degli elaborati che si rivela, per esempio, nel corretto utilizzo dellelinee principali, e nella capacità degli studenti di impiegare usare glistimoli dati in modo accurato. Il saggio breve, quindi, comporta di-verse operazioni: introdurre l’argomento, analizzare i dati, proporrecontro-argomentazioni, trarre conclusioni. Questo indicatore valu-ta quindi la corretta strutturazione del testo e, insieme, il correttoordine strutturale del ragionamento.Il quarto macroindicatore, Importanza, stima le conoscenze che

lo studente usa nel redigere il proprio saggio. Proporre la redazionedi questo tipo di testo su un argomento specifico, infatti, è un otti-mo modo per valutare la capacità dei discenti di usare le proprie co-noscenze di base.Infine, gli ultimi due macroindicatori, Valutazione critica e Nuo-

ve idee, mostrano le competenze di pensiero critico degli studentivalutando l’elaborazione critica e personale delle fonti, dei dati edella conoscenza di base attraverso l’uso di nuove idee e soluzioniassociate all’ipotesi iniziale e alla tesi personale degli studenti (spie-gazione, induzione, deduzione, creatività e azione, così come defi-nite nel Delphi Report 1990, pp. 7-9, e da autori quali Ennis, 1993;Barnett 1997 e Davies 2015, tra gli altri).I macroindicatori presentati nella griglia di valutazione che segue

sono stati selezionati per aiutare il docente durante la fase di valuta-zione: indicatori, descrittori e misuratori sono illustrati per semplifi-care l’uso della griglia e consentire una valutazione dei test affidabile.

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Tab. 1 – Griglia di valutazione del saggio

Macroindicatori Indicatori Descrittori Misuratori e punti

Competenze linguistiche di base

Capacità di esprimersi (punteggiatura, ortografia, morfosintassi, proprietà lessicale)

Si esprime in modo !! ricco e originale !! appropriato !! sostanzialmente corretto !! impreciso !! scorretto e improprio

Ottimo/Eccellente Discreto/Buono Sufficiente Insufficiente Nettamente insufficiente

5 4 3 2 1

Giustificazione - Argomentazione

Capacità di formulare una tesi e/o di sviluppare le proprie argomentazioni

Argomenta in modo !! ricco e articolato !! chiaro e ordinato !! schematico !! poco coerente !! inconsistente

Ottimo/Eccellente Discreto/Buono Sufficiente Insufficiente Nettamente insufficiente

5 4 3 2 1

Rilevanza Rispetto delle consegne: aderenza alla traccia proposta (si menziona la questione fondamentale richiesta nel quesito)

La traccia è sviluppata in modo !! approfondito e originale !! completo e corretto !! generico !! parziale !! del tutto fuori traccia

Ottimo/Eccellente Discreto/Buono Sufficiente Insufficiente Nettamente insufficiente

5 4 3 2 1

Importanza Conoscere l’argomento proposto (si menzionano aspetti importanti richiesti dal quesito)

La conoscenza dell’argomento risulta !! approfondita e critica !! completa !! adeguata !! superficiale !! molto scarsa

Ottimo/Eccellente Discreto/Buono Sufficiente Insufficiente Nettamente insufficiente

5 4 3 2 1

Valutazione critica

Capacità di rielaborazione critica e personale dei documenti e delle fonti

Rielabora in modo !! critico !! ampio e adeguato !! essenziale e semplice !! parziale !! contraddittorio

Ottimo/Eccellente Discreto/Buono Sufficiente Insufficiente Nettamente insufficiente

5 4 3 2 1

Novità, nuove idee, informazioni e soluzioni

Si forniscono informazioni aggiuntive, idee nuove o soluzioni alle questioni poste nei quesiti.

Inserisce nuove informazioni e possibili soluzioni in modo !! ampio, critico e originale !! approfondito !! corretto !! semplice e/o parziale !! non inserisce

informazioni aggiuntive

Ottimo/Eccellente Discreto/Buono Sufficiente Insufficiente Nettamente

5 4 3 2 1

Valutazione complessiva

Totale punteggio 30

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I ricercatori hanno adottato la griglia di valutazione del sag-gio per esaminare i testi scritti prodotti dagli studenti di ScuolaSecondaria Superiore all’interno del progetto Verba sequentur.

4. Metodologia

L’obiettivo finale dell’esplorazione preliminare di Verba sequen-tur è stato quello di esaminare come la descrizione e l’interpreta-zione del testo assegnato, realizzate attraverso il processo di scrit-tura, abbiano portato a uno sviluppo del pensiero critico dellostudente, definibile anche in termini di miglioramento dellecompetenze linguistiche ed espressive. Nella fase pre-sperimentale, gli stimoli sono stati proposti

nell’anno scolastico 2014/2015 a due classi del secondo anno diScuola Secondaria di secondo grado, nello specifico una classe diLiceo Linguistico e una classe di Liceo delle Scienze Umane dellaprovincia di Roma. Quaranta studenti hanno svolto con cadenzasettimanale gli esercizi proposti in sequenza: prima la parafrasi epoi l’amplificazione concettuale di un testo, dedicando ad ognistimolo dai 20 minuti, nella fase iniziale, ai 15 minuti, nella fasefinale. L’esplorazione preliminare dell’esperimento Verba sequen-tur ha avuto una durata di circa un mese e ha portato alla raccoltadi 5 esercitazioni per ogni classe partecipante.La scelta della tipologia degli esercizi assegnati rispecchia gli

obiettivi del progetto: la parafrasi e il commento del testo lette-rario, infatti, consentono di utilizzare le competenze testuali, lin-guistiche ed espressive contemporaneamente, nonché di metterein moto le capacità critiche, di analisi e argomentazione. L’eser-cizio di parafrasi richiede agli studenti di riscrivere il testo lette-rario rispettandone il significato originario e appianandone ledifficoltà se-mantiche, lessicali, sintattiche e contenutistiche (Se-rianni et al., 2003). Tale operazione presuppone un’esatta com-prensione del significato del testo di partenza e promuove la ca-pacità di rendere comprensibile un testo in una forma diversa ri-

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Sessione 3

spetto a quella originale per la quale il testo era stato con-cepitodall’autore. Il commento del testo letterario, invece, richiede unainterpretazione unitaria e profonda del testo prodotto dall’auto-re: tutti gli elementi del testo, significato e significante delle pa-role in primis, devono essere colte al fine di fornire un giudiziofinale sul significato del testo, che riconosca le intenzioni dell’au-tore (di denuncia, di persuasione, di espressione del proprio statod’animo), metta in evidenza il messaggio trasmesso (p.e. etico opolitico) assieme all’efficacia dei mezzi utilizzati (Bárberi Squa-rotti, 2008). La scrittura del commento si rivela, quindi, un’ope-razione di scrittura “at-tiva” da parte dello studente che, definen-do gli elementi caratterizzanti del testo, dovrà spiegare e attribui-re il significato o i significati contraddistinguenti il testo propo-sto, argomentando criticamente la propria interpretazione. Nella seconda fase di sperimentazione, portata avanti nell’an-

no scolastico 2017/2018, sono state coinvolte 10 classi di un li-ceo classico e scientifico di Roma. In questa fase, lo stimolo scrit-to di partenza non è stato esclusivamente letterario per tutte leclassi, ma, avendo coinvolto un numero maggiore e diverso didiscipline e docenti, è stato adattato al contesto disciplinare. Intotale, otto docenti coinvolti e sei le materie di studio nelle qualiè stato effettuato il progetto: matematica, educazione fisica, ita-liano, latino, storia dell’arte, diritto ed economia. Dalle classi co-involte, due di queste hanno partecipato al progetto Verba se-quentur su più materie: italiano e storia dell’arte per una classe,italiano e matematica in un’altra classe. Prima dell’avvio della fa-se sperimentale del progetto, sono stati organizzati dei laboratoricon i docenti impegnati nelle attività sperimentali al fine di svi-luppare conoscenze competenze nell’ambito della promozione evalutazione delle competenze trasversali e, in particolare, delpensiero critico. Al termine del laboratorio con i docenti, sonostate avviate le attività di sperimentazione nelle classi del biennioselezionate. Le prove di valutazione sono state redatte con il sup-porto dei docenti coinvolti, adattando lo stimolo iniziale allamateria disciplinare di riferimento e mantenendo esercizi di ar-

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Antonella Poce

gomentazione, analisi, sintesi, riflessione e commento a partiredallo stimolo proposto. La valutazione delle prove svolte daglistudenti è stata effettuata utilizzando la griglia di valutazione delpensiero critico elaborata dal gruppo di ricerca del Dipartimentodi Scienze della Formazione di Roma TRE (Poce, 2017). Le pro-ve sono state valutate da tre valutatori I momenti separati: la me-dia delle valutazioni assegnate alle prove prodotte dagli studentisono state utilizzate per effettuare analisi statistiche di base.

5. Analisi

Dal confronto dei dati di valutazione delle prove sostenuti daglistudenti coinvolti nella seconda fase sperimentale del progettodel Verba sequentur, si evince che il testo letterario risulta esserelo stimolo che maggiormente sostiene lo sviluppo delle compe-tenze di pensiero critico.

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Come si deduce dai dati sopra presentati, le due classi coin-volte in otto prove di parafrasi e commento del testo letterariohanno raggiunto un miglioramento generale delle competenzedi pensiero critico più elevato rispetto alle altre materie coinvoltee rispetto alla classi che hanno sostenuto un numero minore diesercizi. La griglia di valutazione si conferma come strumento ef-ficace nella valutazione delle tipologie di esercizio proposte dianalisi, riflessione, parafrasi e commento. L’obiettivo generaledel progetto di ricerca può dirsi, quindi, raggiunto.

6. Conclusioni

La seconda fase sperimentale del progetto Verba sequentur ha evi-denziato l’utilità di attività rilettura, analisi, sintesi e interpreta-zione del testo letterario per lo sviluppo delle competenze di pen-siero critico quali competenze linguistiche di base, argomenta-zione, importanza, rilevanza, valutazione critica e nuove idee. Ilgrado di affidabilità dello strumento di valutazione utilizzato ri-mane alto per le prove a partire da uno stimolo letterario scritto.Le prove di valutazione costruite su stimoli simbolici o di tipomatematico, nonostante l’inserimento di esercizi svolti all’e-spressione del ragionamento logico dello studente, necessitanol’adattamento dello strumento di valutazione.

Tab. 2 – Risultati delle valutazioni delle prove di italiani in due classi coinvolte

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Ovviamente, l’esperimento descritto nei paragrafi precedentiè stato realizzato in tempi e contesti limitati. Non consente per-tanto di effettuare generalizzazioni e trarre conclusioni. I datiraccolti e le indicazioni che se ne possono trarre risultano, inogni caso, significativi per proseguire la sperimentazione, am-pliando il numero dei soggetti partecipanti, prolungando il tem-po dell’intervento, differenziando ulteriormente gli stimoli for-niti, che potranno essere anche di tipo simbolico, e gli strumentidi valutazione.

Riferimenti bibliografici

Bárberi Squarotti, G. (2008). Letteratura. Strumenti di analisi e di scrit-tura, a cura di E. Dana e M. Filippi. Bergamo: Atlas.

Barnett, R. (1997). Higher Education: a Critical Business. Buckingham(UK): Open University Press.

Bloom, H. (2000). How to Read and Why. New York: Touchstone.California Critical Thinking Skills Test (2013). San Jose (CA): InsightAssessment, a Division of the California Academic Press, disponi-bile al link www.insightassessment.com.

Davies, M. (2015). A Model of Critical Thinking in Higher Educa-tion. In M.B. Paulsen (ed.), Higher Education, Handbook of theoryand Research. Cham (ZG): Springer International Publishing.

Ennis, R.H. (1993). Critical Thinking Assessment, in Theory into Prac-tice. College of Education, The Ohio State University, XXXII, 3,179-186.

Esplugas, C., & Landwehr, M. (1996). The Use of Critical ThinkingSkills in Literary Analysis. Foreign Language Annals, 29 (3), WestChester University.

Facione, P.A. (1990). The Delphi Report. Critical Thinking: a statementof expert consensus for purposes of educational assessment and instruc-tion.Millbrae (CA): California Academic Press.

Paul, R.W., & Elder, L. (2006). Critical Thinking Reading & WritingTest. Tomales (CA): The Foundation for Critical Thinking.

Poce, A. (2017). Verba Sequentur. Pensiero e scrittura per uno sviluppo cri-tico delle competenze nella scuola secondaria.Milano: FrancoAngeli.

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Powers, B. (1989). Illinois Critical Chinking Annual. Champaign,IL, University of Illinois College of Education.

Serianni L., Della Valle V., & Patota, G. (2003). L’italiano parlato escritto. Agenda salvascrittura.Milano: Bruno Mondadori.

Vertecchi, B. (eds) (2016). I bambini e la scrittura. L’esperimento Nulladies sine linea.Milano: FrancoAngeli.

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Studi insegnanti

III.4 –––––––––––––––––I titoli dei temi: come le tracce stimolano le pratiche di scrittura a scuolaEssay questions: how topics motivate the writing process at school –––––––––––––––––Matteo SerpenteIstituto Massimiliano Massimo

Nelle pratiche di scrittura a scuola il primo ostacolo che lo stu-dente deve affrontare per realizzare le sue produzioni scritte è latraccia elaborata dal docente. Dal titolo di un tema o più in ge-nerale dalle istruzioni elaborate dai docenti per l’elaborazione diuna prova, discende spesso la sua riuscita. Titoli vaghi e genericiconducono a trattazioni vaghe e generiche, titoli che propongo-no trattazioni chiare e adeguatamente tarate sulle capacità criti-che degli studenti conducono invece a trattazioni acute e detta-gliate (Serafini, 2002). Da ciò l’ipotesi che per andare oltre lanormale capacità di mettere in fila pensieri e conoscenze, occor-ra innanzitutto una traccia capace di attivare lo scrivente alla ri-organizzazione e rielaborazione delle proprie personali cono-scenze. Motivare a scrivere infatti non significa rendere la scrit-tura un’attività piacevole, ma aiutare ad attribuire alla scritturaun significato positivo, un valore (Boscolo, 2014). Alcune delledomande a cui si vorrebbe rispondere con il presente contributosono: a) quali compiti di scrittura vengono richiesti normal-mente agli studenti? b) quali sono le aspettative dei docenti ri-spetto alla qualità degli elaborati? c) come vengono addestrati glistudenti per raggiungere tali aspettative?

As far as writing practice is concerned, the first obstacle anystudent has to overcome to realise his/her own written produc-tion is the draft provided by the teacher. The success of a writ-ten production often depends on the essay questions or moregenerally on the briefing provided by the teacher. Moreover,ambiguous and general titles lead to ambiguous and generaldissertations; whereas clear, calibrated titles lead to acute and

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detailed dissertations. Calibrated means calibrated on the crit-ical faculties of the target (Serafini, 2002). The above-men-tioned observations leads to the hypothesis that in order to gobeyond the common ability to line up thoughts and knowl-edge, a question is required which is able to activate both there-elaboration and rearrangement of the student’s personalknowledge. Indeed, motivating someone to write does not aimto make the writing process a pleasing activity, but it aspires toattributing a positive meaning and a value to the writingprocess (Boscolo, 2014). We propose some questions: a) As faras writing is concerned, what are the tasks generally requiredof the students? b) What are the teachers’ expectations aboutthe quality of the compositions? c) How are the studentstrained to reach such high expectations?

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: titoli dei temi, scrittura, motivazione, didatti-ca, cognitivismo

Key words: essay questions, writing, motivation, didactics,cognitive science

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Sessione 3

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1. Introduzione

Gli studi di psicologia cognitivista hanno dimostrato la comples-sità dei processi cognitivi implicati dalla pratica della scrittura ela connessa difficoltà a padroneggiarli (Corno, 1999; Boscolo,2002; Cisotto, 2006; Cisotto & Gruppo RDL, 2015). All’inter-no di questo filone di ricerca spicca la proposta di Bereiter e Scar-damalia (Bereiter & Scardamalia, 1999), secondo cui esistonodue tipi di processi compositivi schematizzabili in due modelli,uno denominato knowledge telling, per scrittori inesperti e checomporta il ‘dire tutto ciò che si sa’, un altro denominato kno-wledge transforming, per scrittori capaci di rielaborare e di tra-sformare le conoscenze possedute. Gli studi sull’insegnare a scrivere si stanno concentrando

sempre di più sul contesto del compito di scrittura, andando adindagare in che modo sia possibile favorire e stimolare la dispo-sizione di uno scrivente inesperto a dare un ordine e un senso alleproprie produzioni (Boscolo & Zuin, 2015), cioè a passare da unmodello di scrittura basato sul knowledge telling ad uno basatosul knowledge transforming.

2. Una proposta di ricerca

L’interpretazione che lo studente riesce a dare del compito pro-posto dal docente gioca un ruolo determinante nel successodell’apprendimento, in termini di attivazione di strategie cogni-tive e metacognitive e di coinvolgimento motivazionale (Butler& Winne, 1995; Butler & Cartier, 2004). Nel modello di com-posizione scritta di Flower-Hayes (Flower-Hayes, 1981), il con-testo del compito include molteplici fattori: la motivazione ascrivere, il clima di classe e le situazioni in cui si scrive, l’argo-mento da trattare e il tipo di informazioni richieste, lo scopo peril quale il testo viene prodotto e il suo destinatario, gli aiuti of-ferti e i materiali disponibili per la consultazione.

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Matteo Serpente

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La presente proposta di ricerca punta ad analizzare in primoluogo le consegne elaborate dai docenti, le istruzioni del compi-to, ritenendo che l’impegno nei processi di scrittura passi in-nanzitutto per una consegna capace di stimolare ad una effettivariorganizzazione e rielaborazione delle proprie conoscenze. Inseconda battuta la ricerca vuole indagare le aspettative dei do-centi rispetto al compito assegnato, andando ad osservare i cri-teri di qualità (griglie di correzione) utilizzati per classificare glielaborati. Infine la ricerca si prefigge di osservare e analizzare lespecifiche strategie di didattica della scrittura ideate e realizzatedai docenti. Relativamente alle didattiche, particolare attenzio-ne andrebbe data a quelle orientate alle nuove forme di scritturadigitale, ritenute capaci di esaltare la funzione comunicativadella lingua scritta, stimolando processi di ideazione e creazionelibere (Magnifico, 2010; Boscolo, 2014; Laneve, 2014; Cortia-na, 2017).

3. I titoli dei temi: qualche esempio di analisi

Il lavoro della Serafini, a cui ci siamo ispirati, praticamente l’u-nico del suo genere, si concentra sulle consegne elaborate dai do-centi come stimolo alla scrittura. La Serafini distingue le traccesotto tre punti di vista: la loro struttura formale, il genere testualee il soggetto trattato. In questa sede riportiamo brevemente soloun esempio dell’analisi della struttura formale, per far compren-dere il tipo informazioni che se ne possono ricavare. Dal punto di vista formale si possono distinguere tre grandi

categoria di titoli: a) i titoli bella-frase, b) i titoli stimolo-aperto,c) i titoli scaletta. Vediamoli rapidamente uno ad uno. I titoli bella-frase sono pensati per suscitare stupore nello stu-

dente, ad esempio: ‘Soffre massimamente chi soffre solo’ di Seneca. Ci sono poi i titoli stimolo-aperto, che propongono un argo-

mento in modo molto generale e neutro che, lasciando moltospazio alle scelte dello studente, possono causare svolgimenti ge-

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nerici. Esempio ne sono: “Il problema energetico oggi”, “Unproblema attuale che vi ha particolarmente interessato”. Ci sono infine i titoli-scaletta che oltre ad offrire un soggetto,

propongono anche una serie di punti di vista che dovranno esse-re sviluppati dallo studente seguendo le indicazioni date. Adesempio: “Descrivete gli effetti positivi e negativi che la televisio-ne ha sui giovani della vostra generazione. Citate, in particolare,i programmi più piacevoli e interessanti e i più noiosi che ricor-date, cercando di spiegare il loro valore, positivo e negativo, nellavostra crescita”. Richiedono allo studente la capacità di indivi-duare cause ed effetti di un determinato fenomeno.

4. Piste di lavoro

Le piste di lavoro ipotizzate sulla base delle precedenti conside-razioni sono le seguenti:a) i titoli-scaletta guidano la stesura indicando vari problemi datrattare, a volte anche lo stesso ordine con cui trattarli, sonoquindi più semplici e possono essere utilizzati in una prima fa-se, per passare poi, gradatamente, a titoli stimolo-aperto, quan-do gli studenti abbiano dato prova di sapersi orientare anchecon un solo soggetto generico che richiede più impegno e ca-pacità di organizzazione delle idee. Viene tenuto conto di que-sta progressività in classe? Sono previste delle fasi iniziali discrittura in cui si propongono tracce strutturate e fasi avanzatein cui si somministrano tracce più aperte e più complesse?

b) dato che i titoli bella-frase, vaghi e fin troppo passibili di ar-bitrarietà, possono condizionare lo studente inesperto a pren-dere posizione per idee, giudizi, punti di vista che non sononecessariamente i suoi, ma quelli dell’autore della citazione,sarebbe opportuno che venissero somministrati solo al termi-ne di un percorso formativo specifico. Con che frequenza e ache tipologia di studenti vengono proposti?

c) dato lo stretto rapporto tra interpretazione del compito e suc-

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cesso nell’apprendimento, quali griglie di correzione sonoutilizzate dai docenti per correggere e valutare gli elaboratidegli studenti? C’è coerenza tra le aspettative dei docenti intermini di qualità dell’elaborato e le tracce proposte? Qualididattiche vengono realizzate per il raggiungimento degliobiettivi richiesti dalle griglie? Quali sono le modalità di cor-rezione delle prove svolte dagli studenti?

d) per un corretto svolgimento di una traccia lo studente do-vrebbe essere documentato sul tema, ad esempio attraverso laraccolta di articoli di giornali, la discussione tra pari, ecc. Soloin questo modo infatti il pensiero può attivarsi e rielaborare,producendo quei processi che possono dar vita ad una formadi scrittura matura. Sono previsti dei momenti in cui gli stu-denti possano documentarsi prima della scrittura? Con chefrequenza?

e) quali sono le difficoltà linguistiche degli studenti secondo idocenti e quali le strategie che gli docenti pianificano e realiz-zano contro tali difficoltà?

5. Azioni e fasi dell’intervento

Per realizzare la ricerca descritta finora, si punta alla costituzionedi una rete di scuole del primo biennio superiore disposte a col-laborare al progetto e alla individuazione di un gruppo di docen-ti disposti a condividere le loro prove di scrittura. L’approccio,qualora ci sia la disponibilità dei docenti, dovrebbe essere multi-disciplinare, coinvolgendo oltre all’italiano, anche la storia, la fi-losofia e in generale ogni disciplina che richieda l’elaborazione dicompiti scritti. Successivamente si tratterebbe di elaborare un questionario

per i docenti sulle strategie didattiche utilizzate, riflettendo inparticolare sulle modalità, le tempistiche e gli obiettivi. L’analisidi tali questionari andrebbe fatta parallelamente a quella dellegriglie di valutazione elaborate dai docenti per la correzione degli

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elaborati. Andrebbe infine raccolto un campione di tracce-sti-molo, sia dell’anno in corso sia degli anni passati. L’analisi dei dati potrebbe venire implementata con la predi-

sposizione, a seguire, di un corso di formazione sulla didatticadella scrittura.

Riferimenti bibliografici

Barbagli, A., Lucisano, P., & Sposetti, P. (2017). Insegnare a scriverenel biennio della scuola secondaria di primo grado. Giornale Italia-no della Ricerca Educativa, X, numero speciale.

Bereiter, C., & Scardamalia, M. (1999). Psicologia della composizionescritta. Firenze: La Nuova Italia.

Boscolo, P., & Zuin, E. (2015). Come scrivono gli adolescenti. Un’inda-gine sulla scrittura scolastica e sulla didattica della scrittura. Bologna:Il Mulino.

Boscolo, P. (2002). La scrittura nella scuola dell’obbligo. Roma-Bari: La-terza.

Boscolo, P. (2014). Motivare a scrivere nell’era digitale. Quaderni di di-dattica della scrittura, 21-22, 97-121

Butler, D.L., & Cartier, C. (2004). Promoting Effective Task Interpre-tation as an Important Work Habit: A Key to Successful Teachingand Learning. Teachers College Record, 106, 9, 1729-1758.

Butler, D. L., & Winne, P. H. (1995). Feedback and self-regulatedlearning: a theoretical synthesis. Review of Educational Research, 65,245-281.

Cisotto, L. (2006). Didattica del testo: processi e competenze. Roma: Ca-rocci.

Cisotto, L. Gruppo RDL (2015). Scrivere testi in 9 mosse. Curricolo ver-ticale di scrittura per la scuola primaria e secondaria di primo grado.Volume 1. Trento: Erikson

Corda Costa, M., & Visalberghi A. (ets) (1995). Misurare e valutare lecompetenze linguistiche. Guida scientifico-pratica per gli insegnanti.Firenze: La Nuova Italia.

Corno, D. (1999). Scrivere e comunicare. Torino: Paravia.Cortiana, P. (2017). Multimodalità e scrittura tradizionale a confron-

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to: un intervento nella scuola secondaria. Italian Journal of Educa-tional Technology, 25 (3), 68-77.

Flower, L., & Hayes J. R. (1981). A Cognitive Process Theory of Wri-ting Author(s). College Composition and Communication, 32, 4,365-387.

Kirsch, G. (1988). Students’ Interpretations of Writing Tasks: A CaseStudy. Journal of Basic Writing, 7, 2, 81-90.

Laneve, C. (2014). Le due ali della scrittura. Quaderni di didattica dellascrittura, 21-22, 7-17.

Magnifico, A. M. (2010). Writing for whom? Cognition, Motivation,and a Writer’s Audience. Educational Psycologist, 45 (3), 167-184.

Serafini, M.T. (2002). Come si fa un tema in classe.Milano: Bompiani.

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Esperienze

III.5 –––––––––––––––––Percorsi blended per lo sviluppo professionaleBlended courses for professional development –––––––––––––––––Sergio Miranda, Rosa Vegliante, Antonio MarzanoUniversità degli Studi di Salerno

Nell’attuale contesto socio-economico e tecnologico, la forma-zione professionale viene posta al centro delle diverse strategieeuropee per accrescere la competitività e lo sviluppo sostenibi-le. A tal proposito, si richiede agli insegnanti di aggiornare e ri-vedere costantemente le proprie competenze didattico-disci-plinari, al fine di innovare la pratica per garantire il successoformativo degli allievi. Il focus del contributo è l’implementa-zione di una progettualità basata su una didattica di tipo blen-ded, che coniuga i vantaggi della presenza e della distanza inun ambiente di apprendimento integrato. L’approccio meto-dologico ibrido ha previsto l’alternanza di attività face to facee on line, sfruttando le potenzialità della piattaforma e-LENAdel laboratorio Rimedi@. I risultati ottenuti sono positivi eprovano la validità del percorso formativo realizzato.

In the current socio-economic and technological context, vo-cational training is placed at the center of the various Euro-pean strategies to increase competitiveness and sustainable de-velopment. In this regard, teachers are required to update andconstantly review their teaching-disciplinary skills, in order toinnovate the practice to ensure the educational success of thestudents. The aim is the implementation of a blended plan-ning, which combines the advantages of presence and distancein an integrated learning environment. The hybrid method-ological approach involved the alternation of face-to-face andon-line activities, exploiting the potential of the e-LENA plat-form of the Rimedi@ lab. The results obtained are positive andprove the validity of the educational path realized.

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–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Formazione professionale, Progettualità blen-ded, Piattaforma Moodle, Competenze didattico-disciplinari,Valutazione autentica.

Keywords: Vocational training, Blended planning, Moodleplatform, Didactic-discipline competences, Authentic assess-ment.

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1. Introduzione

Negli anni, una serie di interventi legislativi sono stati attuatiper adeguare l’istruzione alle esigenze della società della cono-scenza. Lo sviluppo professionale dei docenti è una questionecruciale nelle politiche europee, già nel Libro Verde del 1993, siriconosce l’importanza della formazione iniziale e continua, ri-presa nel rapporto Delors del 1996, in cui si sottolinea l’incisi-vità del ruolo del docente, il “reale agente del cambiamento epromotore della comprensione e della tolleranza” (p. 157). Neldocumento Europa 2020, tra i principali obiettivi, si annoveral’investimento in nuove risorse, metodologie e prassi, necessariead innalzare la qualità della formazione professionale. In Ripen-sare l’Istruzione (COM, 2012) si afferma che il modus operandidegli insegnanti è garanzia di quel successo formativo, traduci-bile nel miglioramento degli esiti di apprendimento e nell’ac-quisizione di abilità, richieste dal mercato del lavoro. A tal pro-posito, la legge 107/2015 ha introdotto un Piano nazionale diformazione triennale 2016-2019 che, riprendendo quanto stabi-lito nel DM 850 del 2015, individua il possesso di competenzeculturali, didattiche, relazionali e motivazionali e la necessità dimaturare una responsabilità diffusa e condivisa, privilegiando ladimensione collegiale da potenziare nel corso della carriera. IlPiano propone, inoltre, l’intenzione di arginare il divario tra ilsistema scolastico nazionale e quello europeo1, non è un caso sei risultati riportati dall’indagine TALIS del 2013, Results: An In-ternational perspective on teaching and learning, mostrano unaminore adesione dei docenti italiani alla formazione in servizio,rispetto a quella degli altri paesi europei, gap che negli ultimianni si è sempre più dilatato (OECD, 2014). Il lavoro intendedescrivere le caratteristiche progettuali di un percorso di ricer-ca-formazione destinato a docenti in servizio, realizzato in mo-dalità blended.

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2. Progettare in modalità blended

L’attuazione di un programma di formazione in servizio producedegli effetti nella pratica e, questo cambiamento, determina unimpatto positivo sui risultati di apprendimento degli studenti.La letteratura di settore conferma l’esistenza di una relazione diinterdipendenza tra la formazione continua del docente e il mi-glioramento dell’apprendimento (Rivkin, Hanushek, & Kain,2005; Hattie, 2009; Andersson & Palm, 2017). Lo sviluppoprofessionale, infatti, non è proteso solo a incrementare le cono-scenze e le competenze didattico-disciplinari, ma a modificare leattitudini e le credenze consolidate con l’aggiornamento dei me-todi e delle pratiche di insegnamento (Desimone, 2009). La pro-gettazione di un percorso di formazione, destinato a docenti inservizio, è il focus del presente lavoro che descrive un’esperienzadidattica in modalità blended, in cui alle lezioni frontali si sonoaffiancati momenti di autoapprendimento su piattaforma. In talmodo, si delinea un modello di apprendimento basato sulla co-struzione di conoscenza all’interno di una comunità di pratiche,significativa per gli attori coinvolti. La combinazione sistematicadi interazione tra studenti, insegnanti e risorse di apprendimentoavviene in un ambiente dominato dalla flessibilità dei tempi, dal-la coesistenza degli spazi e dalla rapidità dei processi attivati(Graham et al., 2013).La pianificazione di un percorso blended è caratterizzata da fa-

si ben definite che se, per alcuni versi, non si distanziano da unmodello classico di ideazione, realizzazione e implementazionedegli interventi formativi, dall’altro evidenziano la commistionedi due ambiti spazio/temporali apparentemente differenti.La progettazione si articola in tre momenti essenziali: l’orga-

nizzazione modulare, l’attività in presenza e a distanza (Ligorio,Cacciamani & Cesareni, 2006). L’organizzazione modulare con-sente di parcellizzare i contenuti disciplinari in un insieme diobiettivi, conoscenze, abilità e attività orientate all’acquisizionedi una competenza specifica. Il modulo funge da contenitore di

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materiali informativi, fonti bibliografiche, video-lezioni e slidescandite da tempi precisi e da momenti valutati.L’attività in presenza è, senza dubbio, predisposta alla presen-

tazione del corso e all’apertura dei moduli formativi, al monito-raggio del percorso on line, per ricevere dei chiarimenti, allachiusura dei moduli, in modo da poter stilare un bilancio rispet-to a ciò che è stato svolto e agli eventuali stadi di avanzamentoraggiunti sia singolarmente che in gruppo. In questa fase l’esper-to o il tutor redigono un report relativo alla fruizione on line, an-dando a dettagliare i diversi i: dalla presentazione del percorso al-le modalità organizzative e di partecipazione, alle date di avvio ealla durata dei moduli. L’attività a distanza è destinata all’autoap-prendimento. La chiarificazione delle fasi organizzative è fonda-mentale per la comprensione delle pratiche che la comunità do-vrà eseguire. In questa fase l’esperto o il tutor redige un report re-lativo alla fruizione on line, andando a dettagliare i diversi step:dalla presentazione del percorso alle modalità organizzative e dipartecipazione, dai tempi di avvio a quelli di durata dei modulicosì da fornire un’istantanea rispetto a ciò che è avvenuto in piat-taforma.Il percorso di ricerca-formazione blended, previa la stipula di

una convenzione tra il Dipartimento di Scienze Umane, Filoso-fiche e della Formazione (DISUFF) dell’Università degli Studi diSalerno, nello specifico il Laboratorio RIMEDI@, e tre istitutiscolastici: Liceo Scientifico Linguistico “P. Metastasio” di Scalea;Circolo didattico di Cava dei Tirreni; Istituto Comprensivo “P.S.Mancini” di Ariano Irpino, allo scopo di cogliere le potenzialitàdi un approccio didattico misto, lezioni frontali e on line, in unambiente tecnologico integrato, realizzato nell’anno accademico2016/2017. L’acquisizione di metodologie e pratiche inerenti ladidattica per competenze e la costruzione di prove di valutazioneautentica rappresentano i principali obiettivi della formazioneerogata. Dal punto di vista organizzativo il percorso si è struttu-rato in tre momenti: attività in presenza e attività on line, svoltesulla piattaforma Moodle personalizzata, e-LENA, entrambe ar-

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ticolate in moduli didattici e dissemination. Le tematiche affron-tate nelle lezioni frontali (25 ore) hanno riguardato la costruzio-ne del curricolo verticale, quelle on line sono state ripartite incinque moduli: apprendere per competenze, didattica per com-petenze, valutazione autentica, costruzione di compiti autenticie prove OCSE-PISA. Le attività, presenti sulla piattaforma, sonostate affiancate da video-lezioni, presentazioni in power point edispense per un totale di 25 ore di formazione. I partecipanti al percorso formativo sono stati suddivisi in

gruppi di lavoro ai quali è stato richiesto, al termine di ogni step,di produrre degli elaborati riguardanti gli argomenti trattati. Ilmonitoraggio delle attività on line, sia da parte del docente-tutorsia da parte dell’utente, è stato effettuato mediante un test di au-tovalutazione posto a conclusione di ogni modulo didattico. Iltest strutturato si è basato su 10 domande ciascuna articolata inquattro item con risposte a scelta multipla con la possibilità di ri-cevere un feedback immediato in caso di risposta sbagliata.La fase conclusiva del percorso è consistita nella dissemina-

zione mediante la realizzazione di un seminario di studio, tenu-tosi all’Università di Salerno, dal titolo “A scuola di competenze”che ha visto la partecipazione attiva dei docenti e dei dirigenti deidiversi istituti coinvolti.

3. Conclusioni

Dal report, tratto dalla fruizione on line, è emerso che le attivitàsvolte su piattaforma si sono sviluppate in un arco temporale dicirca 15 ore, superando in alcuni casi tali soglie e comunquemantenendosi intorno ad un periodo di tempo medio di fruizio-ne di circa 11 ore. Il 67% degli utenti coinvolti ha completatotutte le attività previste fruendo delle risorse messe a disposizio-ne. A seguito della somministrazione di un questionario ai do-centi, i risultati ottenuti sono estremamente positivi e provano lepotenzialità del percorso formativo erogato in modalità blended.

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Significativo, in tal senso, è stato l’utilizzo di un ambiente tecno-logico integrato (piattaforma Moodle), supportato da una fase dialfabetizzazione tecnologica, svolta presso il laboratorio Rime-di@, così come l’accesso facilitato e immediato dei materiali di-dattici dei diversi moduli. La commistione tra i punti di forzadella presenza e le potenzialità della distanza rappresentano il va-lore aggiunto della formazione ricevuta.

Riferimenti bibliografici

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COM (2009). Conclusioni del Consiglio del 12 maggio 2009 su un qua-dro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione edella formazione (‘ET 2020’), OJ C 119, 28.5.2009 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?.. .celex%3A52009XG0528%2801%2

COM (2012). Comunicazione della Commissione al Parlamento Euro-peo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Co-mitato delle Regioni. Ripensare l’istruzione: investire nelle abilità in vistadi migliori risultati socioeconomici /* COM/2012/0669 final*/https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A52012DC0669.

Delors, J. et al. (1996). Learning: the treasure within. Rapporto all’U-nesco della Commissione Internazionale sull’Educazione per il XXISecolo. Parigi: Unesco.

Desimone, L. (2009). Improving impact studies of teachers’professio-nal development: Toward better conceptualizatiopns and measures.Educational Researcher, 38(3), 181-199.

Graham, C.R.,Woodfield, W., & Harrison, J.B. (2013). A frameworkfor institutional adoption and implementation of blended learningin higher education. Internet and Higher Education, 18(3), 4-14.

Hattie, J.A.C. (2009). Visible learning. A synthesis of over 800 metaanalyses relating to achievement. New York: Routledge.

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Ligorio, M.B., Cacciamani, S. & Cesareni, D. (2006). Blended learning.Dalla scuola dell’obbligo alla formazione adulta. Roma: Carocci.

MIUR (2016). Piano per la formazione dei docenti 2016-2019,http://www.istruzione.it/allegati/2016/Piano_Formazione_3ott.pdf

OECD (2014), TALIS 2013 Results: An International perspective on tea-ching and learning. Paris: OECD Publishing.

Rivkin, S.G., Hanushek, E.A. & Kain, J.F. (2005). Teachers, Schoolsand Academic Achievement. Econometrica, 73(2), 417-458.

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Ricerche

III.6 –––––––––––––––––Per uno sviluppo del Critical Thinking ed dell’Information Literacy come competenze trasversali nella scuola secondariaDeveloping critical thinking and information literacy as trasversal competences in higher education –––––––––––––––––Corrado PetruccoUniversità di Padova

Le competenze di Critical Thinking oggi si esplicitano sopra-tutto come abilità di Information Literacy, ovvero come l’in-sieme di competenze tecniche e metodologiche che mettonoin grado la persona di sapere dove e come cercare le informa-zioni, di filtrarle efficacemente e sopratutto di valutarle in mo-do adeguato (Head & Eisenberg, 2010). I recenti temi delle fa-ke-news e i conseguenti necessari richiami a mettere in campoattività di fact-checking, confermano la particolare attenzioneeducativa in questo senso: ogni studente va formato a questecompetenze che gli saranno utili durante il suo curricolo distudi e successivamente anche nei contesti di lavoro e di vita.Molte ricerche segnalano che gli studenti hanno notevoli dif-ficoltà nei processi di selezione e valutazione online che effet-tuano senza un metodo adeguato (Fawley & Krysak, 2012;Aesaert et al., 2014) e mancano soprattutto di specifiche com-petenze di tipo metacognitivo (Ilomäki et al., 2016) nel valu-tare le fonti e la qualità dei documenti. Nell’articolo vengonopresentati i risultati di una indagine esplorativa su 184 studen-ti di scuola superiore del terzo e quarto anno della provincia diPadova. I risultati del questionario evidenziano nelle loro per-cezioni una notevole sovrastima delle loro competenze di In-formation Literacy e una forte richiesta di educazione/forma-zione soprattutto dalla scuola e dall’Università.

The skills of Critical Thinking today are expressed as Informa-tion Literacy skills, or rather as the set of technical andmethodological skills that enable the person to know where

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and how to look for information, to filter it effectively andabove all to evaluate it adequately (Head & Eisenberg, 2010).The recent topic of “fake-news” and the consequent necessaryfact-checking activities, stimulateds the attention in the edu-cational contexts: every student must be trained to these com-petences that will be useful during his curriculum of studiesand also in the future work and life contexts. Many researchesindicate that students have considerable difficulties in the se-lection and evaluation processes of online informations, andthat they perform without an adequate method (Fawley &Krysak, 2012; Aesaert et al., 2014). They lack especially spe-cific metacognitive skills (Ilomäki et al. , 2016) in evaluatingthe sources and quality of documents. The article presents theresults of an exploratory study on 184 high school students inthe third and fourth years of the province of Padua. The resultsof the questionnaire highlight in their perceptions a consider-able overestimation of their Information Literacy skills and astrong demand for education /training especially from schooland University.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Critical Thinking, Competenze Digitali, Infor-mation Literacy, Fake news, Fact-checking.

Keywords: Critical Thinking, Digital Competences, Informa-tion Literacy, Fake news, Fact-checking.

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Corrado Petrucco

1. Critical thinking e fake news

I social network stanno diventando una delle più importantifonti di informazione sopratutto fra i più giovani: Facebook adesempio è utilizzato dal 48% dei giovani che lo considerano lalor più importante fonte informativa (Rapporto Censis, 2017).Di contro i media tradizionali (TV, giornali e riviste) perdonocostantemente terreno sia in termini di percezione di affidabilitàche appunto come fonte informativa privilegiata (Jessen and Jør-gensen, 2012 ): se proiettiamo i risultati di un recente sondaggio,in Italia la maggioranza sembra credere più a blog e motori di ri-cerca (62%) che ai giornalisti di carta stampata, radio e TV(48%). Possiamo perciò affermare che è in corso una trasforma-zione nella società della percezione epistemica delle fonti infor-mative per cui si sta passando dall’accettazione di una fonte ga-rantita da una qualche forma di autorità esterna, a quella di fontea cui si attribuisce personalmente autorevolezza, indipendente-mente dal suo ruolo istituzionale o pubblico. In più bisogna ri-levare che è in atto una rapidissima forma di dis-intermediazio-ne, che vede personaggi pubblici della politica e della cultura,bypassare ogni “old” media comunicando direttamente attraver-so canali come Twitter o Instagram. L’aspetto interessante è chemolte notizie provengono comunque dai siti online dei mediatradizionali ma vengono poi riportate e discusse nei vari Social.Alcune notizie però non provengono da fonti facilmente rintrac-ciabili e verificabili e si riferiscono in genere a personaggi o tema-tiche che l’opinione pubblica percepisce come dotate di un forteimpatto emozionale: proprio per questo sono caratterizzate daelementi comunicativi, da intenzionalità e contenuti volti a su-scitare esasperazione, indignazione o sorpresa. Più della metà degli italiani (52%) dichiara di aver almeno una

volta preso per vere notizie online rivelatesi poi false e ritiene ilproblema delle fake-news molto grave (78%), anche se poi ritienecomunque di aver fiducia nella propria capacità di riconoscere lenotizie false (61% abbastanza e 19% molto) (Osservatorio News

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Italia, LaRiCA-Università di Urbino, 2017). Da questo punto divista, possiamo quindi dire che nonostante venga percepito il ri-schio di imbattersi in fake-news, l’influenza dei Social supera co-munque di gran lunga quella dei media tradizionali. In questocontesto è inevitabile che si stia aprendo una riflessione anche nellascuola e all’Università per capire quali azioni sia possibile attuareper migliorare le abilità e le competenze di critical thinking deglistudenti contestualizzandole all’interno dei processi di ricerca e va-lutazione delle informazioni online. Che non sia un problema solorelativo alla gestione degli strumenti tecnici (motori di ricerca) maanche e sopratutto dell’adozione di adeguati modelli riflessivi èconfermato da un recente report relativo al mondo anglosassoneche rileva la notevole difficoltà degli studenti nel giudicare in mo-do critico i contenuti dei flussi informativi a cui sono ormai co-stantemente connessi (McGrew et al., 2017; Ilomäki et al., 2016). Nei contesti formativi ed educativi è importante perciò favo-

rire lo sviluppo del critical thinking (Eales-Reynolds et al., 2013)che aiuta gli studenti a decidere se le fonti da cui provengono leinformazioni trovate in Rete siano o meno valide ed affidabili. Iltema della selezione e valutazione critica delle informazioni èpresente nella Raccomandazione del Parlamento Europeo DIG-COMP-Digital Competence Framework (Troia, 2017). In par-ticolare, la sua versione più recente Digicomp 2.1 (Carretero,Vuorikari & Punie, 2017).

2. le percezioni delle fake news da parte degli studenti

Per verificare le percezioni su questo tema è stato proposto unquestionario di 38 item a 184 studenti del terzo e quarto annodi scuola secondaria superiore (M=88, F=99) e con un’età mediadi 17 anni. Le domande coprivano sei dimensioni:

1) Le percezione delle proprie competenze di Information Lite-racy.

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2) Le opinioni sull’importanza e sulle caratteristiche delle fontiinformative.

3) La fiducia nei media.4) Gli atteggiamenti e la frequenza d’uso relative ai media.5) Le esperienze personali e le opinioni sulle fake news.6) I possibili rimedi e le istituzioni più indicate ad educare al cri-tical thinking per combattere le fake news.

Per quanto riguarda le percezioni sulla loro competenza nelvalutare le informazioni online più dell’85% la giudica adeguatao molto buona, rivelando una notevole sopravvalutazione rispet-to ad altre indagini simili. Giudicano anche molto positivamentela loro competenza nell’individuare inesattezze ed errori veicolatidalle news dei media tradizionali (abbastanza 38,5%) molto(20,9%) evidenziando quantomeno un interessante atteggia-mento proattivo. La frequenza percepita relativa alle fake-news èmolto bassa: solo il 4,8% dichiara di essersi imbattuto quotidia-namente in notizie poi rivelatesi false, il 15% settimanalmente eil 27,3% mensilmente; ben il 48,1% afferma di averle notate so-lo molto raramente. Sul tipo di fake news su di cui si sono imbattuti (più risposte

disponibili) spiccano rispettivamente i temi della vita privata dipersonalità pubbliche (59,9%) e sulle tematiche della salute (ad.es. i vaccini) con il 54%. Mentre per quanto riguarda la loro per-cezione relativa i media da cui possono provenire più frequente-mente notizie false emergono al primo posto i Social Network(73,3%), le piattaforme video (53,5%); sorprendentemente in-vece televisione (15,5%) e radio (4,8%) sembrano godere diun’ottima reputazione. Da segnalare l’ulteriore serie di rispostealla domanda su quanto sarebbero efficaci specifiche azioni perfavorire le informazioni affidabili e contrastare quelle false: spic-ca con più del 60% chi ritiene molto importante che i media fac-ciano riferimenti diretti alle fonti e che questi riferimenti sianoverificabili facilmente con dei link espliciti. Particolarmente in-teressante è invece il giudizio su quali soggetti siano i più indicati

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a intervenire per tentare di risolvere il problema: al primo postoindicano la scuola e l’Università come istituzioni più importantiin questo senso (62,6%), seguono a pari passo i media tradizio-nali assieme alle autorità pubbliche (governi e UE, 59,9%) (vedifig. 1).

Fig. 1: Gli studenti pensano che le istituzioni educative siano i contesti più indicatiper sviluppare azioni contro le fake-news e in genere contro la disinformazione online

3. Conclusioni

I risultati del questionario evidenziano nelle percezioni degli stu-denti una probabile sovrastima delle loro competenze di Infor-mation Literacy ma nel contempo una forte richiesta di educa-zione/formazione di cui si facciano garanti soprattutto la scuolae l’Università. In conclusione possiamo affermare che sicura-mente una formazione/educazione a questi temi è necessaria eassolutamente richiesta dagli stessi studenti soprattutto all’inter-no del sistema formativo e vanno al più presto considerate azioniin tal senso.

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III.7 –––––––––––––––––La valutazione come esercizio di cittadinanza.Una risorsa per gli studenti della secondariaEvaluation as an exercise for citizenship.A resource for secondary students –––––––––––––––––Katia MontalbettiUniversità Cattolica del Sacro Cuore

Fra le molte sfide con le quali la scuola di oggi è chiamata aconfrontarsi, il paper intende metterne a tema due: l’educazio-ne alla cittadinanza delle giovani generazioni e la valutazione.In particolare, si intende riflettere sulla valutazione della didat-tica da parte degli studenti della scuola secondaria di secondogrado con l’obiettivo di problematizzarla e di interrogarne ilsenso in relazione all’educazione alla cittadinanza. La valuta-zione della didattica, pratica assai diffusa nel contesto della hi-gher education, è relativamente recente e poco presente nelcontesto scolastico preso in esame; nondimeno ad una attentaanalisi appare ricca di potenzialità per tutti gli attori in gioco. Per i docenti rappresenta un’opportunità per riflettere, moven-do dalle percezioni espresse dagli studenti, sul modo di agire,sui punti di forza, su quelli di debolezza in vista di progettareinterventi migliorativi per il futuro.Meno esplorata, ma direttamente connessa con il tema dellacittadinanza, appare la ricaduta, almeno potenziale, del pro-cesso per gli studenti. Costoro, spesso per la prima volta, han-no la possibilità di esercitare in modo democratico un loro di-ritto. Si tratta tuttavia di una ricaduta potenziale poiché pertradursi in atto, evitando derive viziose, è necessario che ilcompito sia affrontato con responsabilità e autonomia. Ciòpresuppone che siano costruite le condizioni organizzative esiano forniti i supporti formativi necessari per guidare e ac-compagnare gli studenti. Partecipare alla valutazione con unruolo certamente diverso da quello abituale può rappresentareper costoro un’occasione preziosa per lo sviluppo e il concretoesercizio delle competenze di cittadinanza e per sentirsi parte“viva” della comunità scolastica.

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Among the many challenges facing today’s school, the paperdeals with two issues: education for the citizenship of theyoung generations and evaluation.In particular, the attention is focused on students’ evaluationof teaching (SET) in secondary school with the aim of prob-lematizing it and questioning its meaning in relation to citi-zenship education. This evaluative practice, widespread inhigher education, is relatively recent in the scholastic contextexamined but it appears full of potential for all the stakehold-ers involved.It gives infact the teachers the opportunity to reflect, movingfrom their studentes’ perceptions, on the way of acting, on thestrengths, on those of weakness in oder to plan improvementsfor the future.Less explored, but directly connected to the issue of citizen-ship, is the potentional effect for students. They, often for thefirst time, can exercise their right in a democratic way. How-ever, it is a potential fallout, because to avoid vicious derives,the task must be faced with responsibility and autonomy. Tothis purpose, we need organizational conditions and trainingsupports to guide and accompany the students. Participatingin the evaluation process with a role that is certainly differentfrom the usual one can represent for them a precious opportu-nity for the development and concrete exercise of citizenshipskills by feeling part of the school community.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Valutazione, Responsabilità, Cittadinanza,Studenti, Insegnanti

Keywords: Evaluation, Responsibility, Citizenship, Students,Teachers

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1. Introduzione

Negli ultimi decenni il contesto di esercizio della cittadinanza hasubito profonde trasformazioni sui piani sociale, politico, econo-mico, giuridico ma anche culturale ed etico (Campisi, 2017); neè conseguito un ampliamento del concetto stesso di cittadinan-za, oltre al significato tradizionale, e l’avvio di una riflessione cir-ca l’individuazione di rinnovate strategie per formare al suo eser-cizio (Sicurello, 2016). In tal senso, le politiche educative euro-pee ed internazionali (Euridyce, 2017; MAECI, 2018; ConsiglioEuropeo, 2018) hanno marcatamente sollecitato e sostenuto laformazione di cittadini consapevoli dei loro diritti e doveri e ca-paci di partecipare attivamente alla vita democratica. Il ricorsoalla qualificazione di “attiva” sempre più spesso associata al so-stantivo cittadinanza, mette in primo piano la necessità di assi-curare e promuovere un coinvolgimento diretto del soggetto allavita della comunità di cui fa parte. Sul piano pedagogico, il forteintreccio dialettico fra l’identità soggettiva e quella collettiva(Guerra, 2009) trova le sue radici nel pensiero di Dewey il qualegià nel 1897 sottolineava che la democrazia «richiede un indivi-duo sociale, ma anche la massima attenzione per il fattore indi-viduale» (Dewey, 1897, p. 8). La relazione di reciprocità fra in-dividuo e società (l’uno non potrebbe esistere senza l’altro e vi-ceversa) mette in risalto l’esigenza, sempre più cogente oggi, diformare cittadini autonomi, consapevoli e dotati di spirito criti-co ma al tempo stesso attenti al bene comune, eticamente re-sponsabili e impegnati a trasformare in senso migliorativo la real-tà della quale fanno parte (Mignosi, 2015).

2. Promuovere la cittadinanza nel contesto scolastico

Nel quadro delineato la formazione ad una cittadinanza attiva ri-guarda tutte le fasi del ciclo di vita e tutte le opportunità di ap-prendimento presenti in contesti differenziati (formale, non for-

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male, informale); nondimeno, per i soggetti in età evolutiva, lascuola rappresenta un ambito istituzionale privilegiato anche inragione del suo carattere di obbligatorietà (Santerini, 2010). Inquesto contesto diverse funzioni sono attribuite all’educazionealla cittadinanza: ampliare le conoscenze, sviluppare abilità, fa-vorire la maturazione di atteggiamenti con l’auspicio di formareun cittadino competente che possa esercitare pienamente i pro-pri diritti. A livello normativo, nel nostro Paese, in tema di edu-cazione alla cittadinanza sono stati forniti orientamenti e solleci-tazioni differenziati per il I e il II ciclo di istruzione (MIUR,2009; MIUR, 2012). Sul piano pedagogico, l’educazione allacittadinanza risulta strettamente connessa con la possibilità di farvivere gli alunni in uno spazio democratico nel quale sperimen-tare il senso di appartenenza alla comunità scolastica e maturareuna spiccata sensibilità per le questioni ad essa riferite (Grion,De Vecchi, 2016). Sul piano didattico, tale intenzionalità puòtrovare declinazione operativa attraverso molteplici esperienze diapprendimento fra cui un certo modo di organizzare e gestire laclasse, l’elaborazione di progetti interdisciplinari, l’impiego distrategie cooperative; nondimeno, di là dalla strategia scelta, ri-sultano strategici la qualità della relazione fra insegnanti e stu-denti e del clima “che si respira” nella classe (Schulz, Fraillon,Ainley, Losito, & Kerr, 2008; Manganelli, Lucidi, & Alivernini,2015). Elemento trasversale e insieme condizione irrinunciabileaffinché esperienze, anche fra loro molto diverse, siano vissutecome autenticamente democratiche è assicurare una reale e fatti-va partecipazione agli studenti i quali vanno guidati a contribui-re in prima persona all’elaborazione delle regole e a garantire illoro rispetto in una cornice di corresponsabilità con gli adulti.Consegue l’esigenza di promuovere forme di ascolto, di coinvol-gimento, di impegno individuale e di partecipazione collettivaall’interno del “fare scuola quotidiano” senza con ciò disconosce-re l’utilità di iniziative ad hoc. La cittadinanza può divenire unelemento implicito del curricolo e una forma di ethos nella scuo-la (Bloomfiedl, 2003; Gearon, 2003; Losito, 2009) soltanto se le

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diverse dimensioni del fare scuola sono coerenti con questa pro-spettiva in modo da garantire un’integrazione feconda all’internodi un quadro e di una intenzionalità condivisi.

3. La valutazione come risorsa per l’esercizio della cittadinanza

Nella prospettiva brevemente delineata si è scelto di focalizzarel’attenzione su una specifica sfera di azione del fare scuola chie-dendosi: le forme, le pratiche e le strategie valutative adottate in-fluiscono sulla percezione della scuola come spazio democratico?A livello emotivo la risposta non può che essere affermativa. Taleintuizione trova elementi di conferma nella letteratura scientifi-ca; in un contributo di qualche anno fa è stata indagata la pre-senza dei termini “giustizia” e “ingiustizia” nell’esperienza scola-stica (Kanizsa, Garavaglia, Mosconi, 2014) chiedendo a futuriinsegnanti di mettere per iscritto un episodio di giustizia e di in-giustizia vissuto da studenti. Dopo aver osservato a livello com-plessivo una prevalenza consistente di episodi di ingiustizia (58vs 82), gli autori notano che la maggior parte degli episodi nar-rati, siano essi positivi o negativi, riguardano esperienze valutati-ve. Tali evidenze inducono a considerare la valutazione uno sno-do “caldo” nella riflessione sulla dimensione democratica vissutaa scuola; in altri termini, è plausibile ipotizzare che la costruzionedi una genuina vita comunitaria e democratica (Fielding, 2012;Smyth, 2006) fondata sulla diretta e legittima partecipazione ecorresponsabilità di tutti gli attori passi anche dalle le scelte com-piute in campo valutativo.In questa sede non intendiamo focalizzare l’attenzione sulle

pratiche valutative condotte dall’insegnante bensì prendere inanalisi la valutazione agita dallo studente. Ci riferiamo, in parti-colare, alla valutazione espressa dagli studenti circa la qualità del-la didattica: una pratica, molto diffusa nel campo della highereducation (Berthiaume et al. 2011; El-Khatib, El-Hage, 2017),che solo recentemente ha varcato i confini della scuola seconda-

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ria. La sollecitazione, per la verità indiretta, è giunta dalla legge107/2015 la quale, nella prospettiva della valorizzazione dellaprofessione docente, ha modificato la composizione del Comita-to di valutazione interno a ciascun istituto assegnandogli il com-pito di definire i criteri di premialità per l’assegnazione del bonusa partire da tre macro ambiti individuati dal decisore politico. Per questa ragione, su libera iniziativa, alcune scuole hanno

deciso di coinvolgere gli studenti in indagini, più o meno siste-matiche e rigorose, volte a rilevare le loro percezioni rispetto alladidattica agita dai loro insegnanti. Accanto alle esigenze funzionali all’assegnazione del bonus,

facilmente intuibili sono anche le ricadute auspicate lato docentiovvero fornire loro evidenze per riflettere sul loro modo di agire,sulla qualità percepita dai loro studenti, sui punti di forza, suquelli di debolezza nella logica di promuovere interventi miglio-rativi per il futuro. Sotteso vi è il riconoscimento del bisogno ditriangolare i punti di vista di quanti, con ruoli differenziati, sonocoinvolti nei diversi processi valutativi per facilitare una ricostru-zione più articolata e più fedele della realtà. Meno evidente e forse meno esplorata anche sul piano della

ricerca appare la ricaduta del processo lato studenti: costoro,spesso per la prima volta, hanno la possibilità di esercitare in mo-do democratico un loro diritto con piena legittimità. Si trattatuttavia di una ricaduta potenziale poiché per tradursi in atto,evitando derive viziose, è necessario che siano formati ed accom-pagnati ad assumersi questo compito.

4. Conclusioni

Le profonde e continue trasformazioni del contesto e le traietto-rie di sviluppo che è lecito immaginare per il futuro rendono ne-cessario sempre più necessario individuare strategie appropriateper formare cittadini consapevoli dei loro diritti e in grado diesercitarli in modo democratico trovando un equilibrio fra il be-

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nessere individuale e quello collettivo. In questo processo lascuola assume un ruolo strategico ponendosi essa stessa comeluogo per vivere un’esperienza democratica imparando ad agirecon autonomia e responsabilità. Nel “fare scuola” la valutazionerappresenta una dimensione particolarmente sollecitata da que-sta sfida. Fra le molteplici declinazioni attuative la valutazionedella didattica da parte degli studenti può offrire a costoro un’oc-casione per passare dalla cittadinanza “ascoltata” a quella agita.Tuttavia, alla luce del ragionamento delineato, emerge come l’e-sercizio responsabile e autonomo di questo diritto non possa es-sere dato per scontato ma vada assunto come obiettivo educativoda perseguire attraverso l’impegno di tutti gli attori della comu-nità scolastica.

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III.8 –––––––––––––––––Proposta di una tipologia testuale ad uso didattico, valutativo e di ricercaProposal of a textual typology for didactics, evaluation and research –––––––––––––––––Emilio LastrucciUniversità della Basilicata

Il contributo si propone di presentare, in sintesi, una propostadi tipologia di testi da utilizzare per finalità legate a: a) lo svilup-po nei discenti delle competenze connesse con la comprensionedei testi; b) la costruzione di prove di comprensione della lettura(T.C.L.); c) esigenze di classificazione di testi sui quali eseguireanalisi testuali a scopi di ricerca. La tipologia si fonda su un mo-dello elaborato dall’autore alla luce degli sviluppi della ricercateorica in ambito semiologico e logico-linguistico, il quale ag-giorna e rivede, ampliando il ventaglio dei tipi, le suddivisionitradizionali, fondamentalmente basate sul modello proposto daBenveniste (1966) e poi su quello sviluppato da Werlich (1982).

This paper shows a new proposal for a model of text types, use-ful for the following purposes: a) education and training ofreading comprehension; b) construction of reading compre-hension tests; c) classification of textual materials for textualanalysis in research field. The typology presented is based onrecent research developments in semiology and linguistics andis aimed to update and elaborate traditional typlologies, fromBenveniste (1966) to Werlich (1982).

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Analisi testuale, comprensione del testo, Test diComprensione della Lettura (T.C.L.), tassonomia dei tipi e deigeneri testuali

Keywords: Textual analysis, reading comprehension, text types –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Premessa

Si presenta, in estrema sintesi, una tipologia testuale che, alla lu-ce degli sviluppi della ricerca in ambito semiologico e logico-lin-guistico, aggiorna e rivede, ampliando il ventaglio dei tipi, lesuddivisioni tradizionali, fondamentalmente basate sul modelloproposto da Benveniste (1966) e poi su quelli sviluppati da Wer-lich (1982) e da Sabatini (1990, 1999). Tale strumento è il risul-tato di un lavoro di ricerca condotto negli ultimi anni da chi scri-ve e finalizzato soprattutto ad offrire, sulla base dell’elaborazionedi un modello teorico di natura psicolinguistica, un kit di stru-menti per l’analisi di testi a fini didattici (sviluppo nei discentidelle competenze connesse alla comprensione dei testi), valutati-vi (costruzione di prove di comprensione della lettura) e di ricer-ca. Annessa alla tipologia testuale è, infatti, una griglia per l’ana-lisi dei testi (presentata insieme alla tipologia nella relazione alconvegno SIRD del 13-14 giugno 2018), destinata soprattuttoagli insegnanti, da impiegare per la formazione e l’accertamentodelle capacità di comprensione della lettura.

2. Proposta di una tipologia testuale

Come evidenzia in un’efficace sintesi Lala (2011),

gli studiosi moderni, come già i retori e i grammatici delmondo classico e umanistico, hanno tentato di ordinarei testi raggruppandoli in classi omogenee. Ne sono emer-se varie tipologie testuali, divergenti tra loro a secondadel criterio assunto come fondamento, che individuanotipi di testo, articolati in generi e sottogeneri. Mentre itipi testuali distinti dalle classificazioni tradizionali sonoperò categorie generali, definibili con tratti universali ereperibili in tutte le lingue e culture, i generi, al di là del-la loro apparente universalità, implicano l’adattamentodel messaggio linguistico alle esigenze comunicative del-

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le diverse società: essi variano quindi da una cultura al-l’altra, e anche nell’ambito della medesima cultura, daun’epoca storica a un’altra.

La prima e più tradizionale tipologia si fonda sulle funzionicomunicative dominanti del testo e contempla sostanzialmentele partizioni del discorso individuate dalla retorica classica: descri-zione, narrazione, esposizione, argomentazione. La tipologia pro-posta da Benveniste (1966) si basa fondamentalmente su questaarticolazione classica.La tipologia proposta da Werlich (1982), può invece essere

definita a un tempo funzionale e cognitiva, in quanto da unaparte tiene conto del focus dominante nei testi – cioè del loroprincipale centro di interesse e di organizzazione –, dall’altra del-l’impegno cognitivo mobilitato per comprenderlo o produrlo(Werlich 1982, pp. 39-41). In funzione di questi parametri, i te-sti si dividono in cinque tipi fondamentali: descrittivo, narrativo,espositivo, argomentativo, istruzionale (o prescrittivo).Fra le tipologie introdotte più di recente, particolarmente ac-

creditata è quella proposta da Sabatini (1990, 1999), basata sulprincipio secondo cui al momento della formazione di un testol’autore, nel selezionare una data ‘materia base’ e conferirle unadeterminata forma, riconducibile a un tipo di testo, sceglie an-che di rivolgersi a un certo tipo di lettore, stabilendo il marginedi libertà offertogli nell’interpretazione. Nel definire tale margi-ne interpretativo l’autore può rivelare intenzioni di natura diver-sa: (a) esporre concetti estremamente precisi e quindi otteneredal lettore un’interpretazione molto prossima alla propria; (b) ri-volgersi a un lettore ancora non informato sulla materia, accon-tentandosi di ottenere un’interpretazione abbastanza vicina allapropria; (c) esprimersi in modo da lasciare ampie aperture inter-pretative, consentendo al lettore di integrare il testo in virtù dellapropria esperienza (Sabatini 1990, p. 634). Su queste basi, Saba-tini propone una ripartizione in tre classi, corrispondenti al gra-do di vincolo posto al destinatario. Si avranno così testi a vincolo

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elevato (scientifici, tecnici, giuridico-normativi), medio (espositi-vi, divulgativi, informativi) o basso (letterari e poetici). I testi di queste tre grandi categorie si distinguono a loro volta

in base alla presenza/assenza di alcuni tratti legati a: (a) la strut-tura complessiva del testo; (b) la coerenza logica (che può essereesplicitamente messa in evidenza o affidata alla ricostruzione dellettore); (c) il sistema dei legamenti di coesione (morfosintattici,semantici, prosodici e sonori); (d) l’uso di vari tipi di costruzionedella frase; (e) l’uso della punteggiatura; (f ) l’aspetto grafico deltesto (Sabatini 1990, p. 637). La tassonomia proposta da chi scrive risulta più ampia ed ar-

ticolata di quelle esistenti, nel tentativo di cogliere differenze si-gnificative fra tipi di testo che tradizionalmente, e in special mo-do negli Autori considerati, vengono assimilate. Anzitutto, la ti-pologia da me proposta considera da ricondurre a tipi differentii testi espositivi, informativi ed esplicativi. Benveniste definiscecome esplicativi i testi che presentano caratteristiche che permet-tono di annetterli a tutte e tre queste categorie. Sulla base delleanalisi compiute da alcuni epistemologi contemporanei (da Pop-per ad Hempel, a Nagel) e da studiosi appartenenti alla filosofiaanalitica, che seguono l’impostazione delineata dal “secondoWittgenstein (1953), ritengo che, sul piano funzionale, i testi dinatura esplicativa presentino struttura e finalità sostanzialmentedistinte da quelle, più limitate, dei testi informativi ed anche daquelle dei testi espositivi (Lastrucci, 1995). Propongo, infatti, diconsiderare come informativi quei testi che rivelano una struttu-ra schematica, basata su un susseguirsi di dati e riferimenti a fatti,e sono essenzialmente orientati a trasmettere al lettore sempliciinformazioni (“Il concerto prevede l’esecuzione di brani di Mo-zart e Beethoven e si terrà nell’aula magna dell’Università alle ore9.00”). I testi di natura espositiva hanno struttura più complessasul piano logico, utilizzando schemi deduttivi più articolati, e suquello del contenuto rivestono in genere lo scopo di trasmettereal lettore conoscenze di tipo scientifico, rivelando utilità ai finidell’apprendimento, nel contesto didattico o della divulgazione

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Sessione 3

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scientifica. Informazioni e dati di conoscenza presentati in un te-sto espositivo rivelano pertanto carattere più generale e risultanodisancorati da un contesto deittico e fattuale prossimo all’espe-rienza vissuta del fruitore rispetto a quelli utilizzati nei testi in-formativi. I testi esplicativi rivelano invece in modo preponde-rante una struttura volta a ricondurre eventi e situazioni alle lorocause prossime o remote ed eventualmente a leggi di ordine ge-nerale, riferendosi maggiormente a settori del sapere di orienta-mento nomotetico piuttosto che idiografico. La tipologia istituisce inoltre una distinzione fra testi argo-

mentativi, finalizzati a sviluppare catene argomentative senza ne-cessariamente mirare a persuadere il lettore di una determinatatesi, per fini proselitistici o di altra natura (Perelman, Olbrechts-Tyteca, 1958), e testi persuasivi, mirati invece essenzialmente atale scopo (Lastrucci, 1995). La categoria dei testi normativi (anche indicati da vari autori

come “regolativi”) comprende tanto quelli di natura più stretta-mente prescrittiva, e perciò il cui performativo ha valenza impe-rativa (“Vietato fumare”), quanto quelli con performativo di na-tura esortativa (“Si prega di non fumare”). L’inserimento di una specifica categoria relativa agli ipertesti,

infine, trova fondamento nell’ormai diffuso utilizzo di questo ti-po di presentazione di informazioni e conoscenze gradualmenteaffermatosi attraverso la diffusione delle tecnologie informatico-telematiche e della multimedialità, in particolare nel contesto eper scopi didattico-formativi. La tipologia testuale completa da me proposta è quindi la se-

guente: 1. Informativo, 2. Espositivo, 3. Descrittivo, 4. Esplica-tivo, 5. Narrativo, 6. Poetico, 7. Argomentativo, 8. Persuasivo, 9.Normativo, 10. Pragmatico, 11. Ipertestuale.L’utilizzo della tipologia dei testi (soprattutto se combinato

con quello della griglia di analisi testuale proposta dallo scriventein varie pubblicazioni in corso di stampa) può costituire, in ulti-ma analisi, un utile strumento per il ricercatore come per l’inse-gnante impegnati ad indagare il funzionamento dei meccanismi

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psico-cognitivi della comprensione della lingua scritta e le strate-gie didattiche atte a promuoverne lo sviluppo.

Riferimenti bibliografici

Benveniste, E. (1966). Problèmes de linguistique générale. Paris: Galli-mard.

Benvenuto, G., Lastrucci, E., & Salerni, A. (1995). Leggere per capire.Roma: Anicia.

Lala L. (2011). Tipi di testo. Enciclopedia dell’Italiano Treccani.(http://www.treccani.it/enciclopedia/tipi-di-testo_(Enciclopedia-dell%27Italiano)/, [18/05/2018].

Lastrucci, E. (1995). Che cosa significa comprendere un testo. In G.Benvenuto, E. Lastrucci, A. Salerni, Leggere per capire (pp. 13-64).Roma: Anicia.

Perelman, C., & Olbrecthts-Tyteca, L. (1958). Traité de l’argumenta-tion. Paris: Univ. De France (trad. it. Trattato dell’argomentazione,Torino, Einaudi, 1966).

Sabatini, F. (1999).“Rigidità- esplicitezza” vs “elasticità-implicitezza”:possibili parametri massimi per una tipologia dei testi. In G.Skytte, F. Sabatini, Linguistica Comparativa, Copenaghen (pp. 141-172). Museum Tusculanum Press.

Sabatini, F. (1990). La comunicazione e gli usi della lingua. Torino: Loe-scher (1° ediz. 1984).

Werlic, E. (1976). A text grammar of English, Heidelberg. Quelle & Me-yer, 2° ediz. 1982.

Wittgenstein, L. (1953). Philosophische Untersuchungen. Oxford:Blackwell (trad. it. Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1967).

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abstract

Esperienze

III.9 –––––––––––––––––La corporeità come sfondo integratore: il caso dell’indirizzo sportivo del Liceo Scientifico “Roiti”di Ferrara ????????? –––––––––––––––––Antonio BorgogniUniversità di Cassino e del Lazio Meridionale

Nel 1981, G.M Bertin parlava del recupero del «corporeo» nellascuola superiore. Nel 2017 erano 242 i Licei Sportivi attivati inItalia. Un apparente successo della dimensione corporea nellascuola che, tuttavia, ha trascurato la trattazione di alcuni nucleitematici caratterizzanti il rapporto tra corpo e istituzione scola-stica e le esperienze di indirizzo sportivo nate sulla base dell’au-tonomia scolastica. Il contributo presenta l’indirizzo sportivodel Liceo Scientifico “Roiti” di Ferrara che, nato nell’A.S.2003/2004, conta attualmente 19 classi e 450 studenti. Proget-tato in modo partecipato, l’indirizzo assunse la corporeità comesfondo integratore attraverso percorsi interdisciplinari plurien-nali e didattiche cooperative. L’interdsiciplinarità e la conse-guente risignificazione dei ruoli dei docenti connettono l’espe-rienza con l’ambito degli Human Movement Studies (Tinning,2010), intesi, in una declinazione chiaramente pedagogica, co-me descrittori di un campo inclusivo delle teorie e delle pratichecorporee e motorie, ed è coerente con i contributi italiani inmateria di epistemologia dell’Educazione Fisica. La significati-vità dell’esperienza ha indotto a strutturare uno studio di caso apartire dal prossimo anno scolastico.

In 1981, G.M. Bertin wrote about a regain of the «corporeal»in upper secondary school. In 2017, 242 Sport High Schoolswere established in Italy. An apparent success of the corporealdimension at school that, however, disregarded the discussionabout some core themes characterizing the relation between thebody and school institution and the experiences of sport sectionestablished on the frame of the law about school autonomy.

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This paper presents the sport section of the Scientific HighSchool “Roiti” in Ferrara established in 2003, counting now 19classes and 450 students.Planned through a participatory process, the section chose thecorporeality as integrated setting through interdisciplinarity andcooperative learning.The interdisciplinarity and the resulting re-signification of theteachers’ role links the experience to the field of the HumanMovement Studies (Tinning, 2010), considered, in a truly peda-gogical meaning, as descriptors of a field including corporealand movement theories and practices while being consistentwith the Italian papers about Physical Education’s epistemology. The meaningfulness of the experience led to plan a case-studysince the next School Year.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Corporeità, sfondo integratore, indirizzo spor-tivo, interdisciplinarità, scuola superiore

Keywords: Corporeality, integrated setting, sport curriculum,interdisciplinarity, upper secondary school

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1. Introduzione

La questione della corporeità, sia intesa nella vasta accezione dellaquotidianità delle pratiche corporee che nella sua declinazione di-sciplinare, viene affrontata criticamente nel dibattito pedagogico davari decenni. Possiamo far risalire le origini del dibattito alla rotturaepistemologica avvenuta negli anni ’70 grazie, anche, all’introdu-zione di pratiche corporee fino ad allora inesplorate nella scuola ita-liana quali la psicomotricità e, in genere, pratiche maggiormentecentrate sugli aspetti percettivo espressivi (Le Camus, 1984; Borgo-gni, 2016) che risentivano dell’influenza della fenomenologia fran-cese con particolare riferimento a Merleau-Ponty (1997).A questo proposito, G.M. Bertin scriveva nel 1981 «È infatti

da osservare che le discussioni attuali sul curricolo riguardano gliobiettivi dell’educazione linguistica, letteraria, artistica, scientifi-ca, storico-sociale ma trascurano altri argomenti, e non seconda-ri dal punto di vista educativo: ad esempio […] il porre su basinuove, alla luce del recupero del “corporeo”, la trascuratissimaeducazione fisica» (Bertin, 1981, pp. 23-24).Con un salto in avanti di quasi quarant’anni, rileviamo che

sono 242 i Licei Scientifici che hanno attivato indirizzi sportiviin Italia (MIUR, 2017): la questione parrebbe risolta con un si-gnificativo successo quantitativo del “corpo” nella scuola secon-daria di secondo grado. Eppure, questo apparente successo avviene da un lato senza

una riflessione adeguata rispetto ad alcuni nuclei tematici, che po-tremmo esplicitare come coppie concettuali caratterizzanti il rap-porto tra corpo e istituzione scolastica (corporeità/sport; scienzemotorie e sportive/sport; sport/altre discipline scolastiche; corpo-reità/altre discipline scolastiche) dall’altro tenendo in scarsa consi-derazione alcune esperienze nate nei venti anni precedenti sullabase della legge 59 del 1997 sull’autonomia scolastica1.

1 Legge n.59, 15 marzo 1997, Capo IV, articolo 21

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Il presente contributo presenta l’indirizzo sportivo del LiceoScientifico “Roiti” di Ferrara che, nato nell’A.S. 2003/2004,conta attualmente 15 classi e 350 studenti cui si aggiungono le4 classi e 100 studenti dell’indirizzo sportivo nato nel 2014 sullabase del DPR 52 del 20132 che regola l’organizzazione dei per-corsi della sezione ad indirizzo sportivo del sistema dei licei. Il Li-ceo “Roiti” contava, nell’A.S. 2017/18, 67 classi e 1675 studenti.

2. Storia e descrizione dell’indirizzo sportivo: la corporeità co-me sfondo integratore

L’indirizzo nacque attraverso un percorso di progettazione parte-cipata cui presero parte insegnanti di altri istituti, psicologi del-l’adolescenza e sociologi dei servizi. Venne, in quell’occasione,scelto di inserire gli studi e le pratiche sportive come elementi,pur rilevanti visto l’indirizzo, di un vasto ambito interdisciplina-re avente come elemento organizzatore la corporeità. La corpo-reità, pertanto, come sfondo integratore inteso non tanto negliaspetti metaforici quanto nell’aspetto istituzionale attraverso lacostruzione di una narrazione permeata dalla corporeità che tie-ne in relazione i saperi (Canevaro, Lippi, Zanelli, 1988). L’orario settimanale, distribuito su cinque giorni prevedeva, e

prevede tuttora, il riconoscimento delle ore curricolari non svol-te nell’ambito di attività sportive e del volontariato. Ciò avvieneattraverso progetti e convenzioni con enti, federazioni, societàsportive prevedendo, pertanto, una stretta collaborazione con ilterritorio tesa, anche, a favorire la formazione degli studenti co-me animatori, preparatori atletici o istruttori federali. Le ScienzeMotorie e Sportive godono di un’ora in più alla settimana (dadue a tre) ricavata dallo scambio con un’altra disciplina3.

2 Decreto del Presidente della Repubblica n.52, 5 marzo 2013: zo 2010, n. 89.3 Pur non essendo oggetto della presenta trattazione, si ricorda che le sezioni

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I destinatari sono studenti che intendono acquisire una solidapreparazione di base e manifestano interesse per il mondo dellosport nella sua più ampia accezione o praticano sport.Gli assi portanti, sul piano disciplinare, sono l’area scientifica,

quella filosofica e quella motoria. Sul piano della metodologiacomplessiva dell’indirizzo, l’interdisciplinarità non è solo citatama caratterizza percorsi interdisciplinari annuali o pluriennali:nei primi due anni il tema del rapporto corpo-mente attraversostudi e stage sulla comunicazione non verbale e il tema del labo-ratorio come luogo di regole contenente un corso di formazionesulla gestione dei gruppi. Dal terzo anno inizia il percorso trien-nale intitolato “La percezione della corporeità nei secoli”.Altro aspetto significativo riguarda l’apprendimento coopera-

tivo studiato sia teoricamente che praticato in laboratori ed espe-rienze.

3. Riferimenti teorici

L’interdisciplinarità dei contenuti e la risignificazione dei ruolidei docenti connettono questa esperienza con l’ambito degli Hu-man Movement Studies (HMS) (Tinning, 2010) come descrittoridi un campo inclusivo delle teorie e delle pratiche corporee e mo-torie in cui il corpo, considerato nei suoi aspetti fisici e culturali,assume un ruolo centrale nella programmazione dei curricola diinsegnamento.In una declinazione chiaramente pedagogica, gli HMS assu-

mono la pedagogia come fondante e, al tempo stesso, inserisco-no il corporeo come dimensione della pedagogia consentendo,anche, di trovare chiavi interpretative alle questioni e alle coppie

sportive nate nel 2014 prevedono tre ore settimanali oltre a due ore di “Di-scipline sportive” e, negli ultimi tre anni, tre ore di “Diritto ed economiadello sport” portando a otto le ore pratiche e teoriche di area motorio-sportiva.

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concettuali poste all’inizio: lo sport è visto come una delle formedel movimento umano e, in parallelo, viene ribadito come nonpossa esistere una pedagogia del movimento che non incorporiuna pedagogia del corpo. Vi è, poi, un riferimento al rapportotra disciplina scolastica e sport: anche in accordo con Hardman(2013), si riscontra un’eccessiva sovrapposizione tra i due ambitida cui deriva un’impostazione competitivo-sportiva che risultatra le principali cause di demotivazione.Infine, l’organizzazione curricolare dell’indirizzo sportivo è

coerente con varie tra le riflessioni italiane sull’epistemologia del-l’Educazione Fisica: il movimento come oggetto di studio (Car-raro, 2004; Carraro, Lanza, 2004), il ruolo della corporeità nellostudio del movimento umano (Carraro et al., 2003; Casolo,2011; Isidori, 2017), la rilevanza delle competenze motorie (Co-lella, 2011), la sostenibilità delle didattiche (Borgogni, 2016).Carenze di ricerca si registrano, invece, rispetto alla specificitàdegli indirizzi sportivi dei Licei (Salisci, 2016; MIUR, 2017).

4. Conclusioni e prospettive di ricerca: uno studio di caso

Quelle fin qui descritte sono le ragioni che hanno indotto a pro-spettare uno studio di caso (Trinchero, 2002; Yin, 2009), di cuii precedenti paragrafi costituiscono parte della fase esplorativa.Sulla base della disponibilità del Liceo, è in corso di pianificazio-ne una ricerca qualitativo-quantitativa (Creswell, 1994), longi-tudinale a tre livelli di comparazione: interna, con le classi delnuovo corso sportivo, con altre realtà similari in Italia e, succes-sivamente, a livello internazionale.La ricerca si baserà sull’ipotesi, in corso di definizione, che la

frequenza dell’indirizzo sportivo rappresenti un criterio di suc-cesso: per gli studenti, in termini di benessere, acquisizione disoft skills, risultati scolastici in itinere e finali, orientamento postdiploma; per i docenti, in termini di benessere, effettivi livelli diinterdisciplinarità e risignificazione del proprio profilo.

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Riconoscimenti: Si ringraziano le Prof.sse Raffaella Zanella, fondatrice e coordi-natrice del corso, e Paola Baldin, coordinatrice, per i documentiforniti.

Riferimenti bibliografici

Bertin, G.M. (1981). Prefazione. In V. Ariosi, F. Frabboni, V. Telmon(eds.), La scuola secondaria: riforma, curricolo, sperimentazione (pp.11-25). Bologna: Il Mulino.

Borgogni, A. (2016). La didattica sostenibile delle attività motorie.Formazione & Insegnamento XIV-1, 119-132.

Canevaro, A., Lippi, G., & Zanelli, P. (1988).Una scuola, uno “sfondo”.Bologna: Nicola Milano.

Carraro, A., Zocca, E., Lanza, M., & Bertollo, M. (2003). Nodi epi-stemologici nella formazione degli insegnanti di Educazione Fisica.Scuola e Didattica, 17, 13-18.

Carraro, A. (2004). Educazione Fisica e Scienze Motorie: quale episte-mologia? In A. Carraro, M., Lanza (eds.), Insegnare/apprendere ineducazione fisica. Problemi e prospettive. Roma: Armando.

Casolo, F. (2011). Il corpo e il movimento nella ricerca didattica: indiriz-zi scientifico-disciplinari e chiavi teorico-argomentative. Napoli: Li-guori.

Colella, D. (2011). Competenze motorie e stili d’insegnamento ineducazione fisica. CQIA, 3, 85-93.

Creswell, J. W. (1994). Research design: Qualitative & quantitative ap-proaches. Thousand Oaks, CA, US, Sage Publications.

Hardman, K. (2014). Worldwide Survey of School Physical Education.Final Report. Parigi: UNESCO.

Isidori, E, (2017). Pedagogia e sport. La dimensione epistemologica ed eti-co-sociale.Milano: FrancoAngeli.

Le Camus, J. (1984). Pratiques psychomotrices. Bruxelles: Mardaga.Merleau-Ponty, M. (1997). Phénoménologie de la perception, (ed. origi-nale 1945). Paris: Gallimard.

Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca - MIUR (2017). LiceoScientifico ad indirizzo sportivo, disponibile su http://www.nuovo-liceosportivo.it/scuole.php., ultimo accesso 22 giugno 2018.

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Antonio Borgogni

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Salisci, M. (2016). I Licei Scientifici ad indirizzo sportivo: Uno studioesplorativo. Rivista Italiana di Pedagogia dello Sport, 1, 69-82.

Tinning, R. (2010). Pedagogy and human movement: Theory, practice,research. Londra-New York: Routledge.

Trinchero, R. (2002).Manuale di ricerca educativa. Milano: FrancoAn-geli.

Yin, R. Y. (2009). Case study research: design and methods (4th ed.).Londra: Sage.

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Esperienze

III.10 –––––––––––––––––Una ‘traccia’ di modello inclusivo scuola-territorio L’esperienza del progetto “LabInclusion”A ‘track’ of inclusive ‘school-territory’ modelThe ‘LabInclusion’ project experience –––––––––––––––––Loredana PerlaUniversità degli Studi di Bari Aldo MoroLaura Sara AgratiUniversità telematica ‘Giustino Fortunato’Elisabetta ScaleraIS ‘De Ruggieri’ Massafra (Ta)

I paradigmi ecologico-interazionisti ieri (Bronfenfrenner,1997; Blumer, 1969) e quelli di tipo complesso-adattivi oggi(Sibilio, 2013; Abbona, et al., 2008; Mitchell, 2011) agevola-no la rilettura della prospettiva globale e personalizzata delladifferenza (Medeghini, 2013) e di centrare il quid delle diverseforme di difficoltà – disabilità, disturbo, disagio – non nel de-ficit ma nel ‘rapporto’ tra le caratteristiche della persona edell’ambiente che lo circonda (Perla, 2013).Modelli di educazione inclusiva di tipo globale, personalizzatoe ispirati a paradigmi ecologico-adattivi – nell’assumere il con-testo non come mero contenitore ma elemento in interazionenel rapporto uomo-ambiente – consentono, da un lato, diguardare con luce nuova il complesso ‘sistema formativo inte-grato’ (Frabboni, 1989), noto alla riflessione pedagogica(Guerra, 1991; Trebisacce, 2010), e di offrire, dall’altro, ulte-riori piste di approfondimento all’indagine didattica (Moliter-ni, 2013; Galliani, 2012).Il contributo, dopo aver fatto cenno ad alcuni dei più recentimodelli inclusivi, in prospettiva ecologica e adattiva (Britnel,Andriati, Wilson, 2009; Immonen, 2017), presenta l’esito del-la terza tranche di un progetto – ‘LabInclusion’ – finalizzato al-l’elaborazione di un modello integrato di intervento scuola-territorio. L’analisi delle in-depth interviews (Boyce e Neale, 2006) ai re-

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ferenti dell’inclusione e dell’orientamento – circa l’organizza-zione dello Sportello Orientamento per l’incontro della do-manda-offerta formativa formale, non-formale e informale delterritorio, realizzato nell’A.S. 2016/2017 – offre alla ricercaeducativa e didattica spunti utili, in particolare, per la riflessio-ne sulle procedure inclusive di tipo adattivo e sul rapporto ‘re-ticolare’ che lega gli attori del territorio-scuole, rete familiare,associazioni ricreative e culturali.

The ecological-interactionist and complex-adaptive paradigmsfacilitate the reading of the global and personalized perspectiveon differences and the description of different forms of difficul-ty - disability, disorder, discomfort – referring not to the deficitbut to the relationship between the characteristics of the personand the environment.Models of inclusive education of a global type, personalized andinspired by ecological-adaptive paradigms – in taking the con-text not as a mere container but an element in interaction in therelationship between man and environment – allow, on onehand, to look at the complex with new light ‘integrated educa-tional system’, known to pedagogical reflection, and to offer, onthe other, further tracks for in-depth study of teaching.The contribution, after mentioning some of the most recent in-clusive models, in an ecological and adaptive perspective, pres-ents the early outcomes of the third tranche of a project–‘LabInclusion’ – finalized to the elaboration of an integratedmodel of school-territory intervention.The analysis of the in-depth interviews to the school referents forinclusion and orientation, involved in the Orientation Service inthe school-years 2016/2017, offers to educational and teachingresearch some insights about the adaptive-inclusive proceduresand the ‘reticular’ relationship among the actors of the territory(schools, family, recreational and cultural associations).

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Complessità adattiva, Organizzazione scolasti-ca, Inclusione scolastica, Orientamento scolastico.

Keywords: Adaptive Complexity, School Organization,School Inclusion, School Orientation

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1. Introduzione – modelli di indagine per la scuola-territorio

I paradigmi ecologico-interazionisti ieri (Bronfenfrenner, 1997;Azzali et al., 2013; Blumer, 1969) e quelli di tipo complesso-adattivi oggi (Sibilio, 2013; Abbona, et al., 2008) offrono alla ri-cerca educativa modellizzazioni utili per rilevare i limiti teoretici– nonché i pericoli etici – di approcci rigidamente scientisti nellostudio dei processi di inclusione; confermano la necessità, inve-ce, di assumere una prospettiva globale e personalizzata della dif-ferenza (Gallelli, 2014; Perla e Agrati, 2018); permettono di in-dividuare il ‘quid’ delle diverse forme di difficoltà – disabilità,disturbo, disagio – non tanto nel deficit rispetto ad uno standardquanto nel ‘rapporto’ tra le caratteristiche della persona e del-l’ambiente che lo circonda (Perla, 2013, p. 13).Modelli di educazione inclusiva di tipo globale, personalizza-

to e ispirati a paradigmi ecologico-adattivi restituiscono, in più,una rappresentazione più articolata del ‘sistema didattico’ (Mo-literni, 2013), nel quale il contesto non funge più da neutro con-tenitore/‘cornice’ o da freddo fattore predittivo degli elementi ininterazione – ‘chi’ insegna, ‘chi’ apprende, ‘cosa’ si insegna/ap-prende (fig. 1, a) – quanto da elemento interattivo ricompresonella stessa dinamica dei processi (fig. 1, b).

a. Sistema didattico (Moliterni, 2013) b. Inclusive Planning Process (Britnel et al,, 2009)

Fig. 1.

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Loredana Perla, Laura Sara Agrati, Elisabetta Scalera

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Il contesto – termine puramente ‘analitico’, formale – da me-ro contenitore diventa ‘ambiente’, ossia elemento in interazionediretta con il ‘sistema’ di insegnamento/apprendimento (Britnel,Andriati, Wilson, 2009; cfr. anche la definizione di Calvani di‘ambiente di apprendimento’ (in Bonaiuti et al., 2017)1 fino acondizionare a diversi livelli i soggetti che apprendono (e che in-segnano), influenzandone le performance e favorendone o menola partecipazione (Immonen et al., 2017).Ma una scuola davvero ispirata a modelli inclusivi di tipo

adattivo – dal punto di vista gestionale e organizzativo – deve li-berarsi prima di tutto del mito efficientista del ‘prodotto’ e delcentralismo statalistico e sposare, invece, l’autonomia del ‘circolovirtuoso’ (Chiosso, 2008, p. 62) reticolare, della responsabilitàcondivisa, sfruttando al meglio le opportunità offerte dall’allean-za educativa con le famiglie e col territorio. Il quadro normativodell’autonomia (L. 59/1997; DPR 275/1999) e della nuova go-vernance della scuola (DPR 80/2013; L. 107/2015; DD937/2015) offre gli strumenti potenziali affinché gli istituti sco-lastici, in coerenza con le finalità generali del sistema di istruzio-ne nazionale, progettino e realizzino interventi educativi e didat-tici calibrati sulle esigenze dei singoli.Una scuola che vuol essere davvero ‘inclusiva’ – dal punto di vi-

sta didattico – dev’essere in particolare disposta ad attuare strategiedi progettazione integrata che avvicinino il piano ‘universale’ deldesign (Mayer & Rose, 2009), il macro del sistema, al ‘particolare’,al micro dei bisogni personalizzati; deve assicurare – attraverso spe-cifica distribuzione delle funzioni – un’efficace coordinamento ditutte le attività progettuali d’istituto finalizzate a promuovere la

1 Cfr. La definizione di Calvani di ‘ambiente di apprendimento’ (Bonaiutiet al., 2017): ‘concetto costruttivista che indica un complesso di apparati– concettuali, psicologici e sociali (prima ancora che tecnologici e stru-mentali) – idonei a facilitare il prodursi di processi di apprendimento me-diante esperienze autentiche, forme di problem solving, attività collaborati-ve con visioni multiprospettiche dell’aspetto studiato’

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Sessione 3

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piena integrazione di ogni alunno (cfr. figura del ‘coordinatore perl’inclusione’ - CM n. 37900/2015; Agrati, 2016) per garantire ilcoordinamento dei diversi interventi specifici, anche grazie ai dis-positivi normativi esistenti come gli ‘accordi di programma’ perl’inclusione (L. 104/1992, art. 12; D.Lgs. 66/2017).

2. L’indagine ‘LabInclusion’. Una ‘traccia’ di modello integrato‘scuola-territorio’

Il progetto ‘LabInclusion’ – Bando ‘Inclusione e Disabilità’ (DM663/ 2016 art.1) è finalizzato all’elaborazione di un modello in-tegrato di intervento scuola-territorio e costituito da azioni diraccordo tra i bisogni specifici degli studenti con disabilità, l’a-dattamento dei profili in uscita degli indirizzi di studio (nellospecifico degli Istituti professionali e dei Licei artistici) e l’incon-tro con l’offerta formativa non-formale e informale del territorioattraverso il servizio di orientamento offerto dalla scuola capofi-la, l’IC Vico-De Carolis, sede del CTS di Taranto2. Nella prima fase del progetto 57 insegnanti3 e 11 operatori (8

del Centro Territoriale di Supporto e 3 psicologi dell’orienta-mento in contratto) sono stati coinvolti in un duplice percorsoformativo a due livelli:

a) riflessione sul costrutto di ‘Qualità della vita’ (Schalock, 2010;Cottini, Fedeli, Zorzi, 2016) ed elaborazione congiunta distrumenti di valutazione e certificazione delle competenze de-gli allievi – ‘Bilancio delle competenze dell’allievo disabile’;

2 Il progetto è frutto della partnership tra il Centro Territoriale di Supporto(CTS), la Scuola Polo per la disabilità, il Centro Servizi per il Volontariato(CSV) della provincia di Taranto e il Dipartimento For.Psi.Com. dell’U-niversità degli Studi di Bari Aldo Moro.

3 Prevalentemente insegnanti esperti con incarichi di funzione strumentaledell’inclusione e dell’orientamento.

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b) riflessione sui processi scolastici e territoriali di inclusione edifferenziazione scolastica (cfr. RAV, 3.3.) ed analisi compa-rativa dei principali strumenti di valutazione della qualitàdell’inclusività sistemica: Index for Inclusion (Both & Ain-scow, 2009; Dovigo, 2014; Demo, 2016) e Indicatori del-l’European Agency for Development in Special Needs Edu-cation (Kyriazopoulou & Weber, 2009).

Nella seconda fase del progetto è stato realizzato lo sportellodi orientamento che ha svolto azioni come: la redazione del Bilancio delle competenze per l’alunno disabi-

le, da parte dei docenti coordinatori di classe, dei referenti perl’inclusione e per l’orientamento; il raccordo tra le richieste delle famiglie con studenti disabili

– 2 con autismo; 3, ritardo mentale; 1, sindrome di down; 1, mi-norazione dell’udito e disturbo generalizzato dello sviluppo – el’offerta formativa nonché i servizi di intervento del territorio(associazioni, cooperative, imprese sociali ecc. - coordinate dalCentro Servizi per il Volontariato), da parte dei membri dei GLIdi Istituto, degli operatori del CTS e degli psicologi.

2.1 Contesto e popolazione

Il distretto scolastico di Taranto comprende circa 607.065 studen-ti, in 658 scuole (MIUR, 2017), dei quali – stando al dato nazio-nale (3% nella scuola primaria e 4% nella scuola secondaria di Igrado4) –21.248 presentano disabilità certificate. Non esiste, inol-tre, una stima ufficiale del numero dei quadri intermedi (funzionistrumentali, referenti per l’inclusione, per l’orientamento per ilPTOF) che si occupano direttamente o tangenzialmente di inclu-

4 Manca la stima statistica della scuola secondaria di II grado (cfr. ISTAT,Statistiche Report – 2019) riferita all’A.S. 2016-2018.

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Sessione 3

Page 415: Pietro Lucisano › pensa › wp-content... · mazione professionale. C’è necessità di lavorare insieme per ren-dere effettivi gli obiettivi fissati dalla Costituzione, ancora

sione e orientamento, ma considerando il decreto regionale n.2334 del 28/12/2017 che riduce il 30% del numero dei dirigentiscolastici e del personale e ipotizzando circa 4 figure-quadro perciascuna scuola, è possibile ipotizzare che nel territorio consideratoci siano circa n. 1840 quadri intermedi. Pertanto i 57 docenti co-involti nell’indagine rappresentano circa il 3% della popolazione.

2.2 Metodologia

La ricerca-formazione svolta nell’ambito del progetto, sulla base diun disegno mixed-method (Cresswell, 2014)5, ha realizzando l’ana-lisi incrociata di oggetti differenti di indagine ossia le ‘credenze’ ele ‘pratiche’ inclusive dei docenti e degli operatori coinvolti - nellaformazione prima e nella realizzazione poi - nel servizio di orien-tamento per gli studenti con disabilità e per le loro famiglie.I dati sono stati raccolti attraverso tre modalità:

– questionario ‘open ended’ (Siniscalco & Auriat, 2005) sullecredenze circa le aree di professionalità delle figure del ‘midd-le management’ dell’inclusione e dell’orientamento (cfr. NotaMIUR del 19 novembre 2015 e Dir. N. 487/1997; Agrati,2015; Perla e Agrati, 2018;

– analisi documentale (Bowen, 2009) dei dispositivi di valuta-zione della qualità inclusiva della scola (es. domini/indicatoridel Bilancio della Qualità della vita - Schalock, 2010; Lom-bardi, 2012);

– interviste in profondità (Boyce & Neale, 2006) ai testimoniprivilegiati (docenti con incarichi di coordinamento, docenti

5 Il ricorso dal metodo misto a triangolazione convergente (Ponce, 2014) èdovuto alla necessità di ottenere un preliminare quadro descrittivo del pro-cesso di inclusione territoriale sul quale la letteratura, tanto nazionalequanto internazionale, offre una descrizione ridotta (Medeghini, 2013;Soresi, 2016).

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esperti) sulle procedure ed esperienze di intervento inclusivo(Shaked & Schechter, 2014, 2016) utili all’implementazionedel servizio di orientamento scolastico.

L’analisi ricorsiva dei dati andrà alla ricerca di possibili co-stanti procedurali, ‘strutture invarianti essenziali’ (Mortari,2003), sintesi tra il dichiarato e l’agito, tra le procedure appuntodescritte e quelle messe in atto, potenzialmente presenti ‘innan-zitutto e perlopiù’ in analoghi interventi di scuola inclusiva, spe-cificamente riguardanti il raccordo con la rete familiare, le risorseassociative, ricreative e culturali del territorio.

2.3 Analisi e risultati delle interviste in profondità

L’intervista in profondità6. ha inteso accedere alla conoscenza‘esperta’ - esplicitata dai docenti referenti del sostegno e dell’o-rientamento – e contribuire alla costruzione di un possibile con-testo di significazione relativo alle procedure di intervento inclu-sivo e utile alla sintesi di altri dati (es. analisi del questionario ini-ziale e finale e l’analisi documentale).Le sedute delle interviste sono state registrate e trascritte in

materiale testuale sottoposto ad analisi tramite software atlas.ti eprocedura grounded (Glaser & Strauss, 2009; Tarozzi, 2008) conemersine delle categorie per via induttiva.L’intervista in profondità fornisce informazioni molto detta-

gliate sulle procedure di organizzazione inclusiva (Oldham &Radford, 2011), sebbene nella forma delle ricostruzioni sogget-

6 Gli stimoli avviativi sono stati del tipo ‘Descriva le azioni tipiche del refe-rente per l’inclusione/orientamento. Descriva quelle realizzate per il servi-zio di orientamento’; le domande descrittive, invece, ‘Quali attività svolge?/ Con chi si interfaccia? / Con quanta frequenza?’; le domande riflessive,invece, ‘Cosa pensa delle attività? / Che significato ha per lei quanto ha de-scritto?’; le domande trasformate, ‘In cosa vede un cambiamento? / Cosamodificherebbe di quanto descritto?’.

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Sessione 3

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tive, legate, quindi, al background esperienziale e al contesto for-mativo in cui sono state prodotte. La dimensione campionaria (5esperti) non permette alcun tipo di generalizzazione, tuttavia –come è possibile evincere dalla tabella di sintesi (Tab. 1) – le in-terviste hanno restituito ‘classi’ di procedure e fatto emergere ti-pologie di attori del processo simili che permettono di assumerei risultati con una relativa valenza.

Tab. 1 - Sintesi delle categorie emerse dell’analisi testuale per via grounded

Attori: *ordinamentoper frequenza

Procedure*ordinamento percontiguità

Esempio di stringhe testuali

Esperto 1 Famiglie +studenti,scuola, asso-ciazioni(CSV)

Richiesta / analisi-ela-borazione / risposta /comunicazione o ri-elaborazione / scelta

‘Però anche la famiglia deveessere messa nelle condizionidi sapere cosa effettivamenteoffre il territorio e provare adadattare le sue necessità

Esperto 2 Scuola, fami-glia, studenti,associazioni

Informazione / richie-sta / analisi-elabora-zione / risposta / co-municazione o riela-borazione / scelta

‘Il più delle volte è la scuolache deve far conoscere questiservizi alle famiglie che nonsempre sono a conoscenzadelle cose’

Esperto 3 Famiglie, stu-denti, scuola,associazioni

Richiesta / analisi-ela-borazione / risposta /comunicazione / scelta

‘solo dopo che l’incontro dadomanda e offerta è avvenu-to, allora la famiglia si sentefiduciosa e contatta l’associa-zione’

Esperto 4 Famiglie +studenti,scuola, asso-ciazioni(CSV/altro)

Richiesta / analisi-ela-borazione / risposta /comunicazione o ri-elaborazione / scelta

‘é necessario che la comuni-cazione delle attività utili siadata dalla scuola che ha unrapporto fiduciario con la fa-miglia’

Esperto 5 Scuola, fami-glia, studenti,associazioni

Informazione / richie-sta / analisi-elabora-zione / risposta / co-municazione o riela-borazione / scelta

‘la scuola fa da mediatore per-ché se (le offerte dei sevizi)non sono come esattamenteci si aspetta, le sa abbinareproprio perché conosce benela famiglia’

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Per ragioni di sintesi ci limitiamo a mostrare e commentare lasintesi delle procedure di organizzazione, emersa tramite l’incro-cio dall’analisi grounded e i dati elaborati col software free VisualStudio IDE, 2013 della Microsoft.

Fig. 4 – Sintesi del processo di orientamento presso lo sportello

Si evidenzia il lavoro sincrono di 4 attori: la famiglia, lo spor-tello orientamento (al quale, lo ricordiamo, afferiscono i docentiformati della scuola, gli operatori del CTS e gli psicologi dell’o-rientamento), il CSV e le associazioni/cooperative.La famiglia si profila come l’elemento che di fatto attiva il

processo esponendo le proprie necessità al servizio di orienta-mento della Scuola/CTS e che ne determina l’esito decidendo diaccettare la risposta avanzata o di adattare la propria stessa richie-sta in ragione della risposta ottenuta. Non va dimenticato, inrealtà, il ruolo di ‘attivatore’ svolto dalla scuola nei confronti del-le richieste famiglia – cfr. stringa testuale dell’Esperto 3.La Scuola/CTS – tramite il servizio orientamento - realizza di

fatto le azioni più numerose: analisi delle necessità della famiglia,elaborazione delle stesse da trasmettere al CSV, rielaborazionedelle disponibilità da parte dell’associazione/cooperativa nellaforma adattata, comunicazione alla famiglia delle disponibilitànon in forma adattata. Assume il prezioso ruolo di ‘mediatore’ –

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Sessione 3

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come affermano gli esperti 3 e 5 – nei confronti della famigliacon la quale ha stabilito un rapporto di fiducia.L’adattamento delle procedure, tuttavia, viene realizzato dalle

associazioni/cooperative che ricevono le richieste della famigliain forma doppiamente mediata – dallo sportello orientamento edal CSV – e sono capaci di attivare due tipologie di risposta: a.una, appunto, adattabile in ragione delle richieste e, a sua volta,ulteriormente ri-elaborata presso lo sportello; b. una risposta ri-spondente alla richiesta da comunicare allo sportello che a suavolta la comunicherà alla famiglia per la scelta eventuale.Si evince un lavoro coordinato in cui ciascun attore svolge un

compito preciso senza sovrapposizione di funzioni. Come già esposto, il ruolo del servizio di orientamento è cen-

trale poiché funge da collettore delle necessità familiari e da me-diatore delle stesse presso gli erogatori del servizio. Tale funzioneè favorita dalla fiducia che la famiglia accorda alla scuola ospitan-te il servizio – i quali docenti afferiscono al servizio stesso facen-done percepire l’organicità rispetto all’offerta formativa. Il servi-zio di orientamento svolto dalla scuola e dagli operatori non si li-mita alla semplice informazione sulle risposte che il territorio piùoffrire alle necessità della famiglia ma si attiva nell’analisi dellestesse e dell’adeguata canalizzazione verso le associazioni (anchegrazie al lavoro di abbinamento svolto dal CSV).Altro aspetto da rimarcare è il rapporto prima mediato e poi

diretto che la famiglia stabilisce con le associazioni del territorio:mediato dal servizio di orientamento e dal CSV nella fase di ac-coglienza/analisi/abbinamento delle richieste; diretto nel mo-mento in cui la richiesta ha trovato la risposta adeguata. La fami-glia viene di fatto accompagnata nel comprendere le sue vere ne-cessità ma viene lasciata libera di decidere l’adeguatezza dell’of-ferta ai suoi desiderata.

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3. Conclusioni

L’analisi delle interviste in profondità fa emergere il duplice ruo-lo di mediazione che assolve la scuola tramite il servizio di orien-tamento: nei confronti della famiglia e del territorio. Tale funzione orientativa può essere realizzata sulla base di un

rapporto fiduciario con la famiglia e collaborativo nei confrontidegli altri attori del territorio – le associazioni, le cooperative.Il presupposto, però, è la presenza di una rete di attori fatta

di conoscenze reciproche, di rispetto delle proprie specifichefunzioni, di disponibilità all’adattamento dell’offerta in ragio-ne delle necessità effettive e dell’ascolto dei suggerimenti deglialtri.Il recente dl n.66/2017, come noto, conferma di fatto un tipo

di management scolastico reticolare e territoriale dell’inclusione:richiamando, non a caso, la funzione orientativa della scuola, po-stula la necessità di offrire maggiori forme di raccordo tra i diver-si attori del processo che si esplicano in:

– criteri generali per la ‘realizzazione di percorsi per la persona-lizzazione, individualizzazione e differenziazione dei processidi educazione, istruzione e formazione, definiti ed attivatidalla scuola, in funzione delle caratteristiche specifiche’ deglistudenti;

– un collegamento diretto tra Profilo di funzionamento e PianoEducativo Individualizzato attraverso la definizione delle com-petenze professionali e la tipologia delle misure di sostegno edelle risorse strutturali necessarie per l’inclusione scolastica;

– un rinnovato ruolo del GLIR (Gruppo di lavoro interistitu-zionale regionale) con compiti di consulenza e proposta al-l’USR per la definizione, l’attuazione e la verifica degli accor-di di programma con particolare riferimento alla continuitàdelle azioni sul territorio, all’orientamento e ai percorsi inte-grati scuola-territorio-lavoro.

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Sessione 3

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L’orientamento scolastico e lavorativo è un’occasione di aper-tura dello studente al mondo che lo circonda, un esercizio di al-leanza col territorio da parte della scuola, una possibilità da partedel territorio di mettersi al servizio – non appena ‘solidaristico’ma operativo – con il mondo della scuola, con i ‘futuri’ cittadini.In quanto funzione stabile. L’esperienza progettuale ‘LabInclusion’ sta dimostrando che

l’orientamento scolastico potrebbe diventare palestra di inclusio-ne effettiva di ogni studente a condizione che il suo servizio ri-entri nel tessuto connettivo stesso dell’organizzazione scolastica(es. nel raccordo con la funzione dell’inclusione, nella rielabora-zione di profili formativi in uscita) e venga svolto in stretta col-laborazione con gli altri attori, le altre skills del territorio (es. nel-la condivisine delle procedure tra docenti e operatori dello spor-tello per l’orientamento). Potrebbe, inoltre, offrire spunti di ri-flessione non solo per una rilettura del costrutto di ‘sistema for-mativo integrato’ (Frabboni, 1989; Trebisacce, 2010), in chiavesistemica, ma soprattutto per un’elaborazione ulteriore del ‘con-testo’, elemento-chiave del ‘sistema didattico’ (Moliterni, 2013),soprattutto nella distinzione tra setting, ‘ambienti di/ per l’ap-prendimento’ (Galliani, 2012) e territorio.Nell’attuale scenario complesso – di estrema pluralità dell’of-

ferta formativa e di altrettanta difficoltà di accesso alle possibilitàformative e lavorativa7 – la scuola potrebbe assumere il ruolo dicatalizzatore attrattivo e propulsivo delle risorse formative delterritorio, di mediatore tra i bisogni effettivi dei singoli ed le of-ferte formative-lavorative dell’ambiente di riferimento e, in que-sto, di garante della crescita in umanità delle persone (studenti,in primis, ma anche delle famiglie) che ad essa si rivolgono.

7 La provincia di Taranto vede il costante decremento della popolazione re-sidente e un saldo negativo del movimento naturale della popolazione(ISTAT, 2016), non manca tuttavia di offrire best-practices efficaci e strut-ture potenziali di intervento esportabili in forma adattata.

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abstract

Ricerche

III.11 –––––––––––––––––L’autovalutazione delle competenze scientifiche per favorire l’autonomia degli studenti: un’indagine nella scuola secondaria di secondo grado Self-assessment of scientific skills to promote student autonomy: a research in secondary school –––––––––––––––––Liliana SilvaUniversità di Bologna

L’autovalutazione da parte degli studenti nella scuola secondariadi secondo grado ha assunto sempre maggiore importanza negliultimi decenni: nel presente contributo sarà evidenziato in par-ticolare il ruolo dell’autovalutazione e dell’autoregolazione nelmiglioramento delle conoscenze e delle competenze, secondoun’ottica di acquisizione di autonomia e responsabilità da partedegli studenti, nell’ambito delle competenze scientifiche. Lapresente ricerca intende quindi indagare tali competenze in uncampione di oltre 130 studenti della scuola secondaria di secon-do grado della provincia di Bologna, per mezzo di una prova diautovalutazione delle competenze nell’ambito delle scienze na-turali e di un questionario relativo agli atteggiamenti scientifici.La prova e il questionario sono stati pianificati per mezzo del la-voro collaborativo di docenti universitari e di insegnanti dellascuola secondaria di secondo grado di scienze naturali afferential Progetto Nazionale Piano Lauree Scientifiche, affiancati dallaricercatrice in ambito pedagogico e docimologico. Nella presen-te relazione saranno presentati, oltre alla pianificazione e valida-zione, i primi risultati ottenuti dagli studenti nella prova e nelquestionario e una riflessione sull’uso formativo e autoregolativodei risultati ottenuti.

Self-assessment by students of secondary school has become in-creasingly important in recent decades: in particular, the presentcontribution will highlight the role of self-assessment and self-

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regulation in improving knowledge and skills, according to aperspective of acquisition of autonomy and responsibility by thestudents, within the framework of scientific skills. The presentresearch aims to investigate these skills in a sample of over 130secondary school students in the province of Bologna, througha self-assessment test of skills in natural sciences and a question-naire related to scientific attitudes. The test and the question-naire were planned through the collaborative work of academicsand secondary school teachers of natural sciences related to thePiano Lauree Scientifiche Project, supported by the author withpedagogical and docimological competences. In this report, inaddition to planning and validation, preliminary results ob-tained by the students in the test and in the questionnaire willbe presented, as well as a reflection on the training and self-reg-ulatory use of the obtained results.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: autovalutazione; scuola secondaria di secondogrado; competenze scientifiche

Keywords: self-assessment; secondary school; scientific skills–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Liliana Silva

1. Introduzione

Dirigere se stessi nel proprio processo di apprendimento rappre-senta una delle sfide che i soggetti assumono nel proprio sviluppodi autonomia. Il ruolo attivo del soggetto emerge anche nell’am-bito della scuola secondaria di secondo grado, dove diversi studihanno riportato miglioramenti nei risultati raggiunti dagli studen-ti che sono stati coinvolti nella valutazione di sé (Sebba, 2008; As-sessment Reform Group, 1999; Black e Wiliam, 1998a; Black eWiliam, 1998b). Nel presente contributo sarà evidenziato in par-ticolare il ruolo dell’autovalutazione e dell’autoregolazione nel mi-glioramento delle conoscenze e delle competenze (Panadero,2017; Zimmermann, 2000), secondo un’ottica di acquisizione diautonomia e responsabilità da parte degli studenti (Margottini,2017; Pellerey et al, 2013), attraverso la descrizione di un percorsocollegiale tra docenti universitari e della scuola secondaria di se-condo grado che ha confluito verso la definizione di uno strumen-to funzionale all’autonomia e all’autoregolazione degli studenti. La scelta dell’autovalutazione nell’ambito delle competenze

scientifiche emerge dall’importanza che esse assumono all’inter-no delle competenze chiave di cittadinanza (Commissione Euro-pea, 2007) e che hanno acquisito nel contesto internazionale an-che grazie all’indagine OCSE PISA (OCSE, 2015).

2. Metodologia

La ricerca si colloca nell’ambito del Progetto Nazionale Piano Lau-ree Scientifiche, promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Uni-versità e della Ricerca, dalla Conferenza Nazionale dei Presidi delleFacoltà di Scienze e Tecnologie e da Confindustria. Esso coinvolgein particolar modo i corsi di laurea afferenti a discipline scientifi-che e nasce nel 2004 per far fronte alla disaffezione crescente deigiovani nei confronti delle discipline scientifiche, alla diminuzionedelle iscrizioni a corsi di laurea di tipo scientifico e alla richiesta daparte del nostro Paese del rilancio della scienza.

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Sessione 3

Nel presente contributo è presentata in particolare la validazio-ne di uno strumento di autovalutazione delle competenze scienti-fiche denominato QuACoBiGeo (Questionario di Autovalutazionedelle Competenze in Biologia e Geologia), completamente piani-ficato e validato da parte dei gruppi afferenti ai corsi di laurea inBiologia, Biotecnologie e Geologia dell’Università di Bologna epredisposto per essere sottoposto agli studenti delle scuole secon-darie di secondo grado al fine di misurare le proprie competenze eatteggiamenti scientifici in vista dell’iscrizione ai suddetti corsi dilaurea. Tale strumento assume lo scopo di consentire allo studentedi avere misure che gli permettano di orientarsi e dirigersi versouna scelta consapevole e autonoma del corso di studi universitari.Per questo motivo, esso è strutturato in due parti: una prima rife-rita all’autovalutazione delle competenze scientifiche ed una rela-tiva all’autovalutazione degli atteggiamenti.Seguendo la prospettiva collegiale, il processo di pianificazio-

ne ha seguito le seguenti fasi: a) somministrazione di un questio-nario di raccolta delle opinioni degli insegnanti circa l’apprendi-mento e le capacità di autovalutazione e autoregolazione dei pro-pri studenti; b) formazione degli insegnanti di scuola secondariariguardo il tema della valutazione; c) scelta dei contenuti e cate-gorizzazione delle competenze considerate necessarie per l’acces-so ai corsi di laurea suddetti da parte dei docenti universitari; d)definizione e raccolta dei quesiti predisposti dagli insegnanti; e)strutturazione della prova da parte del ricercatore di area peda-gogica/didattica; f ) try-out e item analysis del questionario; g)strutturazione definitiva del questionario on-line.Gli interrogativi di ricerca risultano pertanto essere i seguenti.

1) La prova di autovalutazione risulta essere valida e attendibile perla valutazione delle competenze scientifiche in biologia, biotecno-logie e geologia nella scuola secondaria di secondo grado? 2) I ri-sultati ottenuti nella prova di valutazione delle competenze corre-lano con quelli ottenuti nei risultati relativi agli atteggiamenti?

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Liliana Silva

3. Primi risultati

Alla luce dei risultati del questionario relativo alla raccolta delleopinioni degli insegnanti emergono quali punti di debolezza de-gli studenti in uscita dalla scuola secondaria di secondo grado ledifficoltà nelle competenze matematiche, nell’uso di un lessicocomplesso, l’impatto con la lingua inglese. Secondo le opinionidegli insegnanti emergono anche diversi punti di forza, tra i qua-li le competenze comunicative, la capacità di apprendere nuovicontenuti, la curiosità, l’uso delle tecnologie, la predisposizioneall’approccio sperimentale.Gli studenti presentano inoltre difficoltà con l’autovalutazio-

ne, sia perché rappresenta una pratica poco diffusa, sia perché laloro motivazione è spesso di natura estrinseca (voto) e hannoscarsa consapevolezza dell’impegno nello studio. Per quanto ri-guarda invece la scelta universitaria, questa spesso viene fatta subase emotiva ed è fortemente influenzata dalle aspettative dellafamiglia e dalle possibilità occupazionali.Per quanto concerne i primi risultati descrittivi della prova di

valutazione delle competenze scientifiche, è possibile evidenziareuna buona coerenza interna della stessa (Alfa di Cronbach =0,89). Gli studenti che hanno al momento svolto la prova sono132, per il 68% iscritti alla classe quarta di liceo scientifico. Gliitem della prova sono 32, suddivisi rispettivamente nel seguentemodo: a) 10 item relativi alle competenze biologiche; b) 10 itemrelativi alle competenze geologiche; c) 12 item relativi alle com-petenze trasversali alle due discipline.Il minimo teorico è risultato uguale a 4, mentre il massimo

teorico è posizionato a 28. Media, moda e mediana si posiziona-no invece attorno al valore 17, con una deviazione standard di4,17. Per quanto concerne gli indici di difficoltà, la prova è risul-tata mediamente facile, con una buona percentuale di quesiti po-sizionati nella fascia della media-difficoltà (28,1%). La discrimi-natività è buona: il 65,6% dei quesiti ha un indice migliori-peg-giori (IMP) superiore allo 0,30.

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Sessione 3

Per quanto concerne il secondo interrogativo di ricerca, l’ana-lisi delle correlazioni tra i punteggi della prova e gli atteggiamentiscientifici mette in evidenza una significatività a livello 0,05 (adue code), ma con una moderata correlazione (0,203 per quantoconcerne il totale degli atteggiamenti).

4. Alcune conclusioni

I risultati presentati rappresentano solamente le prime analisi re-lative ai risultati della prova, tuttavia fondamentali per la valida-zione dello strumento on-line che sarà successivamente accessi-bile a livello nazionale. Essi saranno disponibili su due livelli: a)per il singolo studente, che può testare le proprie competenze eatteggiamenti prima di svolgere i test selettivi proposti dall’Ate-neo e dirigere le proprie scelte in maniera più consapevole e fun-zionale; b) per gli insegnanti, che potranno sottoporre lo stru-mento ai propri studenti per trarne alcuni dati utili ai fini forma-tivi (soprattutto se presentati durante il quarto anno).Tra le questioni aperte, occorrerà considerare come presenta-

re i risultati agli studenti, soprattutto perché i risultati della pro-va presentano una bassa correlazione con quelli degli atteggia-menti. Il fatto che i risultati si riferiscano a studenti che hannofrequentato la quarta classe della scuola secondaria di secondogrado può far dedurre che la prova risulta essere ben costruita enon incentrata sui contenuti (alcuni dei quali appartenenti tipi-camente al programma di classe quinta).La ricerca è stata svolta con la collaborazione di: Prof. Stefano

Del Duca; Prof. Matteo Berti; Dott.ssa Veronica Rossi (Diparti-mento BiGea – UniBo); Prof.ssa Francesca Sparla (DipartimentoFaBiT – UniBo) e di tutti i docenti di scienze naturali che hannopartecipato al progetto PLS.

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Liliana Silva

Riferimenti bibliografici

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Black, P., & Wiliam, D. (1998a). Assessment and classroom learning. As-sessment in Education, 5, pp. 7-74.

Black, P., & Wiliam, D. (1998b). Inside the Black Box. Raising Standardsthrough Classroom Assessment. Phi Delta Kappan, 80, 139-148.

Commissione europea (2007). Competenze chiave per l’apprendimento per-manente. Un quadro di riferimento europeo. Lussemburgo, Ufficio dellepubblicazioni ufficiali delle Comunità europee.

Margottini, M. (2017). Competenze strategiche a scuola e all’università.Mi-lano: LED.

OECD (2017). PISA 2015 Assessment and Analytical Framework: Science,Reading, Mathematic, Financial Literacy and Collaborative Problem Sol-ving. PISA, OECD Publishing, Paris.

Panadero E. (2017). A Review of Self-regulated Learning: Six Models andFour Directions for Research. Frontiers in Psychology, 8, 422.

Pellerey, M., Grzadziel, D., Margottini, M., Epifani, F., & Ottone, E.(2013). Imparare a dirigere se stessi. Roma: CNOS Fap.

Sebba, J., Deakin Crick, R. E., Yu, G., Harlen, W., & Lawson, H. (2008).A systematic review of research evidence of the impact on students of self-and peer-assessment, Technical Report. EPPI-Centre, Social ScienceResearch Unit, Institute of Education, University of London.

Zimmerman, B. J. (2000). Attaining self-regulation: A social cognitiveperspective. In M. Boekaerts, P. R. Pintrich, & M. Zeidner(Eds.). Handbook of self-regulation (pp. 13-39). San Diego, CA, US:Academic Press.

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abstract

Studi

III.12 –––––––––––––––––Quale matematica per quale scuolaWhat mathematics for which school –––––––––––––––––Emanuela BottaUniversità degli Studi di Roma, La Sapienza

In questo articolo si presentano alcune riflessioni sullo stato dell’inse-gnamento della matematica nella scuola secondaria di secondo grado,sostenute dai risultati italiani nelle rilevazioni nazionali e internazionalie dai dati ottenuti da un questionario sottoposto a un campione di stu-denti del grado 10, in occasione di uno studio sul passaggio nelle rileva-zioni Invalsi di matematica dalle prove su carta alle prove computer ba-sed. Si osserva in particolare che nonostante la normativa abbia recepitomolti degli spunti provenienti dalla ricerca in didattica della matemati-ca, come l’insegnamento per problemi, l’introduzione del calcolo dellaprobabilità, della statistica e dell’informatica, o il recupero della geome-tria, dell’argomentazione e della dimostrazione, essi non hanno avuto, enon hanno, un’effettiva ricaduta sulle pratiche didattiche in uso nellescuole. A titolo di esempio si riportano alcuni dati sull’uso nelle classidei software specifici per la matematica, come quelli per la statistica o lageometria dinamica.

This article presents some reflections on the state of mathematics teach-ing in secondary school, supported by the Italian results in national andinternational surveys and data obtained from a questionnaire submittedto a sample of students in grade 10, on the occasion of a study on thepassage in the national mathematics surveys from paper tests to com-puter based tests. In particular, it is noted that although the legislationhas incorporated many of the ideas coming from research in mathemat-ics education, such as mathematics problem solving, they have not hadan effective impact on educational practices used in schools. By way ofexample, some data on the use of mathematical specific software classes,for statistics or dynamic geometry, are reported.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: didattica, matematica, competenze

Keywords: mathematics teaching, mathematics, skills–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

La questione dell’insegnamento della matematica è complessa elegata a quale idea si ha del ruolo della matematica nella forma-zione della persona. Se essa è, come emerge anche dalle indica-zioni normative, una competenza di base, che ciascuno dovrebbepossedere almeno fino a un certo grado, sarebbe opportuno de-lineare percorsi didattici chiari, opportunamente integrati congli aspetti istituzionali e adeguati all’età e allo sviluppo degli stu-denti, pensando a un biennio fortemente unitario per tutte le ti-pologie di scuole di secondo grado. I risultati degli studenti ita-liani nelle rilevazioni internazionali e di sistema mettono in lucele contraddizioni fra le intenzioni espresse e la realtà. Nel 2015l’Italia si colloca per la prima volta nella media OCSE ma mostradifferenze significative sul territorio; dati confermati anche dallerilevazioni nazionali. La contraddizione più evidente è forse proprio nelle indica-

zioni nazionali e nelle linee guida per il secondo ciclo che nelleintenzioni dovevano essere uno strumento di lavoro flessibile,pensato per adeguare metodi e contenuti al contesto scolasticoreale, ma il cui risultato è quantomeno parziale. L’impressione èche la maggior parte dei docenti si siano sentiti liberi di conti-nuare ad operare come avevano sempre fatto e altri abbiano uti-lizzato come riferimento i contenuti delle prove nazionali. Infat-ti, nonostante le competenze da acquisire siano le stesse per tutti,i due documenti sono caratterizzati da assetti diversi che ne ren-dono difficile una lettura unitaria come dovrebbe essere quelladestinata al primo biennio per il completamento dell’obbligoscolastico. La struttura delle indicazioni nazionali è discorsiva el’individuazione di abilità e conoscenze da inserire nel curriculorichiede un’attenta disamina delle linee generali e degli obiettivispecifici di apprendimento. La struttura delle linee guida è inve-ce più schematica e offre un’elencazione delle conoscenze e delleabilità all’interno delle quali ciascun docente può scegliere cosafare in relazione alle specifiche esigenze del suo contesto. L’im-

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pianto generale vuole essere rispettoso del fatto che «nell’inse-gnamento di ogni docente vi sono dei punti fermi, dei legami fraargomento e argomento, delle idee didattiche e pedagogiche checiascuno si fa col suo insegnamento, e che essendo frutto dellapropria esperienza sono considerate sempre le migliori» (Castel-nuovo, 1970); occorre considerare però che ciascuno di noi nonè solo con le proprie idee e che tutti gli alunni dovranno, a uncerto punto, fare i conti con il mondo esterno. Una lettura approfondita dei profili in uscita mette comun-

que in luce alcuni elementi che non possono non far parte dellacultura matematica di ogni studente che completa la scuola se-condaria di secondo grado, sia alcuni aspetti teorici sia altri legatialle applicazioni, alle pratiche, ai modelli, che dovrebbero essereproposti gradualmente e nel rispetto dell’età e dei percorsi deglistudenti nelle varie tipologie e ordini di scuola in un delicatoequilibrio praxeologico (Chevallard, 2006; Paola, 2008).

2. La matematica nelle Indicazioni Nazionali e nelle Linee Guida

Nel quadro europeo delle qualifiche la competenza matematica “èl’abilità di sviluppare e applicare il pensiero matematico per risol-vere una serie di problemi in situazioni quotidiane. Partendo dauna solida padronanza delle competenze aritmetico-matematiche,l’accento è posto sugli aspetti del processo e dell’attività oltre chesu quelli della conoscenza. La competenza matematica comporta[...] la capacità e la disponibilità a usare modelli matematici dipensiero [...]”. Nel D.M. 139/2007, che introduce gli Assi Cultu-rali, gli orientamenti europei vengono ripresi e si afferma che “lacompetenza matematica, che non si esaurisce nel sapere discipli-nare e neppure riguarda soltanto gli ambiti operativi di riferimen-to, consiste nell’abilità di individuare e applicare le procedure checonsentono di esprimere e affrontare situazioni problematiche at-traverso linguaggi formalizzati. La competenza matematica com-porta la capacità e la disponibilità a usare modelli matematici di

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Emanuela Botta

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pensiero [...] e di rappresentazione grafica e simbolica [...], la ca-pacità di comprendere ed esprimere adeguatamente informazioniqualitative e quantitative, di esplorare situazioni problematiche, diporsi e risolvere problemi, di progettare e costruire modelli di si-tuazioni reali […] nonché [di] seguire e vagliare la coerenza logicadelle argomentazioni proprie e altrui [...]” Nelle Indicazioni nazio-nali e nelle linee guida inoltre suggerisce che “nella scelta dei pro-blemi è opportuno fare riferimento sia ad aspetti interni alla ma-tematica sia ad aspetti specifici collegati ad ambiti scientifici [...] o,più in generale, al mondo reale”.

3. La ricerca in didattica della matematica

È chiaro che i riferimenti normativi hanno raccolto istanze pro-venienti dalla ricerca in didattica della matematica, come quelladi riequilibrare l’attenzione agli aspetti sintattici e semantici, og-gi eccessivamente a favore dei primi, o quella di una didatticaimprontata alla risoluzione dei problemi e all’attribuzione di si-gnificato agli oggetti matematici, da ricercarsi nei diversi contestiapplicativi interni ed esterni alla matematica. Già Emma Castel-nuovo parlando del concetto di numero razionale affermava checertamente saranno “gli esercizi a far entrare gli studenti nel si-gnificato di questa nozione, ma sarebbe un gravissimo errore l’e-sagerare in lunghe e complesse espressioni […] che nulla portanoalla chiarificazione del concetto” (Castelnuovo, 1970). Questaistanza si scontra però con la convinzione diffusa che sugli aspettiaritmetici e algebrici l’addestramento sia più efficace e più allaportata di tutti gli studenti della reale acquisizione di significato.Questa convinzione, rafforzata dal carattere astratto e formaledell’algebra, porta a una trasposizione didattica (Chevallard,1985) dell’algebra che spesso ne tradisce di fatto l’essenza. Moltoderiva poi dai contributi di Giovanni Prodi (Prodi, 1975a,1975b, 1977) sull’insegnamento per problemi, e dalle sue batta-glie per l’introduzione del calcolo della probabilità, della statisti-

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ca e dell’informatica, o per il recupero della geometria, dell’argo-mentazione e della dimostrazione.

4. Un esempio dello stato dell’arte

Se ci soffermiamo sull’introduzione di elementi di informatica el’uso di strumenti digitali nella didattica, in considerazione di ciòche hanno portato alla matematica e delle potenzialità didatticheche offrono, non in funzione dell’uso di specifici software, desti-nati a cambiare rapidamente, quanto per lo sviluppo del pensieromatematico, dobbiamo osservare che nella scuola non si sono ra-dicati se non in minima parte. I dati ottenuti da un questionariosottoposto a un campione di oltre 900 studenti del grado 10, inoccasione di uno studio sul passaggio nelle rilevazioni Invalsi dimatematica dalle prove su carta alle prove computer based (Botta,Lasorsa, 2017), ci mostrano che anche se la disponibilità deglistrumenti e delle infrastrutture è diffusa, la frequenza d’uso dicerti strumenti nelle lezioni è molto bassa. Il 66% del campionedichiara di disporre a scuola di un computer e il 53% di avere ac-cesso a internet, ma coloro che dichiarano di utilizzarli nelle le-zioni di matematica non raggiungono il 10% del campione.

Fig. 2: Uso di software specifici per la matematica(dati in percentuale) !

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-+.+/0120

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Emanuela Botta

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5. Conclusioni

Purtroppo, nonostante l’avallo normativo, molti degli spunti pro-venienti dalla ricerca non hanno avuto, e non hanno, un’effettivaricaduta sulle pratiche didattiche in uso nelle scuole. L’insegna-mento per problemi, nella sua formulazione originale non si è af-fermato, in parte a causa della difficoltà di costruire, a partire daquell’impostazione, un curricolo organico, in parte per la diffusatendenza a proporre prevalentemente un insegnamento teorico eaddestrativo, basato sulla riproposizione di situazioni problemati-che sempre uguali a sé stesse e spesso inutilmente complesse. La matematica subisce un’inevitabile trasformazione, da ma-

teria accademica a matematica da insegnare, interpretata nei libridi testo e insegnata dai docenti. Purtroppo in questi passaggi c’èil rischio che essa diventi un oggetto molto distante sia dalla ma-tematica in sé sia da quella applicata, che ha come scopo piùquello di insegnare a superare specifiche prove che quello di svi-luppare il pensiero matematico.

Riferimenti bibliografici

Botta, E., & Lasorsa, C. (2017). La migrazione delle prove Invalsi di matematicada PPT a CBT. Uno studio sulle prove di pre-test per la II superiore. GiornaleItaliano della Ricerca Educativa, 19, 103-120.

Castelnuovo, E. (1970). Guida didattica per l’insegnante. La via della matematica: Inumeri – La geometria. Firenze: La Nuova Italia.

Chevallard, Y. (1985). La trasposition didactique.Grenoble: La Pens’ee Sauvage. Chevallard, Y. (2006). Steps towards a new epistemology in mathematics education.Proceedings of the 4th Conference of the European Society for Research inMathematics Education (CERME 4).

Prodi, G. (1975a). Un nuovo programma di matematica per il biennio. L’insegna-mento della Matematica, 6, 2, 47-52.

Prodi,, G. (1975b). Matematica come scoperta, vol. I. Firenze-Messina: D’Anna.Prodi, G. (1977). Matematica come scoperta, vol. 2 Firenze-Messina: D’Anna.Paola, D. (2008). La costruzione di significato in classe: una sfida per l’insegnante.Didattica della Matematica e Azioni d’aula, 57-64.

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III.13 –––––––––––––––––Risorsa o ancora problema? I Disturbi Specifici di Apprendimento nella percezione di insegnanti e studenti della Scuola Secondaria di II grado. Una indagine esplorativa nell’ottica dei Disability StudiesResource or still a problem? Specific Learning Disorders in teachers’ and students’ perception of the Higher Se-condary School. An exploratory research in the perspective of DisabilityStudies –––––––––––––––––Fabio Bocci, Ines Guerini, Veronica LeopardiMartina Marsano, Alessia TravagliniUniversità degli Studi Roma Tre

L’emanazione della L.170/2010 ha aperto la strada a unaserie di interventi volti a migliorare l’efficacia dei percor-si di insegnamento-apprendimento per gli allievi conDSA. Si pensi, ad esempio, alla Direttiva 27/12/2012 ealla C.M. 8 del 06/03/2013 e ai numerosi percorsi for-mativi attivati sia dalle Università sia dalle singole istitu-zioni scolastiche. Alla luce di queste innovazioni apparerilevante interrogarsi sull’impatto che tali politiche han-no avuto sull’attitudine epistemologica dei docenti (Cal-vani, 2014), sulle modalità con le quali sono applicati glistrumenti compensativi e le misure dispensative e, so-prattutto, se la presenza ormai chiaramente identificatadegli studenti definiti DSA sia percepita ancora comeuna perturbazione da normalizzare (Bocci, 2013). A talfine gli autori del presente contributo illustrano gli esitidi una ricerca qualitativa a carattere esplorativo che hacoinvolto un gruppo di docenti e allievi della scuola se-condaria di secondo grado. I risultati ottenuti evidenzia-

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no che gli interventi adottati incidono in modo signifi-cativo sul vissuto emotivo di tutti gli allievi (con o senzaDSA), senza peraltro contribuire a rinnovare un’impo-stazione del sapere marcatamente disciplinarista e meto-dologicamente tradizionalista.

The emanation of the Law 170/2010 was followed by aseries of interventions aimed at improving the effective-ness of teaching and learning paths for students withSLD. Consider, for example, the Guideline 27/12/2012and the M. C.8 of 06/03/2013 and the several trainingcourses activated both by the Universities and by the in-dividual educational institutions. In light of these inno-vations, it is important to question the impact that thesepolicies have had on teachers’ epistemological attitude(Calvani, 2014), on the ways in which compensatoryand dispensative measures are applied and, above all, ifthe clearly identified presence of students defined SLDis still perceived as a perturbation to be normalized (Boc-ci, 2013). To this end, the authors of this paper discussthe outcomes of an explorative qualitative research thatinvolved a group of teachers and students of SecondarySchool. The results show that the adopted interventionssignificantly affect the emotional experience of all stu-dents (with or without SLD), without however con-tributing to renew the approach which is still disciplinaryknowledge oriented.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Legge 170; Studenti con DSA; Sistemascolastico inclusivo; Disability Studies

Keywords: Law 170; Students with SLD; Inclusive Ed-ucation System; Disability Studies

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Fabio Bocci, Ines Guerini, Veronica Leopardi, Martina Marsano, Alessia Travaglini

1. Introduzione

La legge 170/2010 (Nuove norme in materia di disturbi specificidi apprendimento in ambito scolastico) con le successive Linee gui-da (D.M. 12/07/2011) è certamente stata una legge di snodo cheha, di fatto, traghettato il sistema formativo italiano dall’integra-zione all’inclusione. Alla legge 170 sono susseguiti altri impor-tanti documenti in materia di inclusione (Direttiva 27/12/2012,C.M. 8 del 06/03/2013 e C.M. Prot. 1143 17/05/2018), non-ché la realizzazione di Master ad hoc per gli insegnanti finanziatidal Ministero ed erogati dalle Università così come i corsi di for-mazione di ambito gestiti dalle scuole. Eppure, nonostante gli atti legislativi e gli investimenti effet-

tuati, l’attuale panorama scolastico italiano non sembra muover-si esattamente nell’ottica dell’inclusione. I contesti di apprendi-mento sembrano, in altre parole, ancora rispondenti a logicheintegrative che richiedono agli studenti di normalizzarsi/esserenormalizzati (Medeghini, 2013), anche attraverso una serie didispositivi (strumenti compensativi e misure dispensative) cheoffrono una sorta di accomodamento ragionevole (ONU, 2006). Iproblemi maggiori sembrano, non a caso, riscontrarsi nella scuo-la secondaria di II grado, la quale è storicamente la più orientatasul piano del sapere disciplinare e la più resistente nei confrontidelle innovazioni metodologico-didattiche. Le narrazioni deglistudenti universitari con DSA (dai più anziani che hanno fre-quentato le scuole prima della L.170 a quelli più giovani, che nedovrebbero aver sperimentato gli effetti) suggeriscono di appro-fondire la questione della presenza in classe degli studenti defini-ti come DSA.

2. Metodologia

Alla luce di tali considerazioni, e sulla base della prospettiva deiDisability Studies che operano una problematizzazione sistema-

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tica delle indifferenziazioni concettuali (Oliver, 1996), gli autoridel presente contributo hanno messo a punto un’indagine (tut-tora in corso) qualitativa a carattere esplorativo, con l’obiettivogenerale di rilevare dati sull’impatto culturale introdotto dalla L.170 nel sistema scuola e, a livello micro, di indagare le percezionidei docenti e degli studenti in relazione ai vissuti degli studenti.Tre le domande di ricerca:

1. Quale impatto hanno avuto/hanno le politiche sui DSA/BESsull’attitudine epistemologica (Calvani, 2014) dei docenti?

2. Quale effetto hanno prodotto/producono? 3. La presenza ormai chiaramente identificata degli studenti de-finiti DSA è percepita ancora come una perturbazione da nor-malizzare? (Bocci, 2013).

Gli strumenti utilizzati sono: a) focus group (con insegnantie studenti); b) questionario per gli studenti sul rapporto con icompagni con DSA; c) Questionario sulle Percezioni degli Inse-gnanti sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento (QuePIDSA,Bocci, Guerini & Leopardi, n.p.). Quest’ultimo è un questiona-rio realizzato su piattaforma Google Moduli, diviso in 4 ambitie costituito da 30 item indaganti, ad esempio, gli approcci me-todologico-didattici maggiormente utilizzati in classe, le perce-zioni degli insegnanti rispetto ai Disturbi di Apprendimento e aivissuti emotivi degli studenti identificati con tale disturbo. IlQuePIDSA indaga anche come, e in che misura, i docenti specia-lizzati per il sostegno sono coinvolti nelle pratiche didattiche.

3. Analisi dei dati e discussione dei risultati

Il campione statisticamente non rappresentativo è costituito da29 studenti (delle classi III, IV e V) del Liceo delle Scienze Umanedelle città di Roma e di Orte (VT) e da 116 insegnanti dellascuola secondaria di I (n. 39) e II grado (n. 77).

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Fabio Bocci, Ines Guerini, Veronica Leopardi, Martina Marsano, Alessia Travaglini

In questa sede, anche per esigenze di spazio, presentiamo soloalcuni esiti che sembrano interessanti per operare alcune primeconsiderazioni. Nella quasi totalità dei casi (n. 113) gli insegnanti hanno o

hanno avuto in passato studenti con DSA (dom. 1.7). Relativa-mente alla percezione del fenomeno DSA (sottostimato vs sovra-stimato) l’opinione dei docenti (dom. 3.2) è bilanciata tra coloroi quali pensano che siano molti di più di quelli identificati (60 su116) e chi ritiene, invece, che l’attuale stima sia errata, da un latoa causa della medicalizzazione della scuola (29 su 116) o, dall’al-tro, per una sorta di effetto alone (26 su 116). Per quanto concerne il vissuto emotivo degli alunni con

DSA, la maggior parte degli insegnanti ritiene che sia più com-plesso rispetto a quello degli altri alunni. Le ragioni addotte sonodiverse: a) a causa del disturbo (50); b) per effetto dello stigma so-ciale (35). Al contrario, 29 docenti pensano che il vissuto deglialunni con DSA sia lo stesso degli altri allievi della classe. Se sicompara questa risposta dei docenti con quella fornita dagli stu-denti coinvolti, sia nel questionario sia nei focus, si osserva comela maggior parte dei ragazzi (25 su 29) afferma che i loro compa-gni con DSA sono come tutti gli altri. Significativa, però, la pre-senza di alcuni distinguo nel momento in cui si chiede loro diimmedesimarsi in uno studente con DSA: L’opzione mi sentirei unpo’ sfigato (scientificamente azzardata ma piuttosto efficace nellessico giovanile) è scelta da11 studenti. Quando si è riportatoquesto dato nei focus group con i docenti, tale posizione è stataletta come un effetto dell’interiorizzazione da parte dei ragazzidella cultura medicalizzante (voce dei docenti). Per quel che concerne la figura dell’insegnante specializzato,

nonostante la maggior parte dei docenti affermi che in linea di prin-cipio sia a disposizione dell’intera classe (81 su 116) nelle domandesuccessive emerge come, in realtà, gli allievi con DSA si rivolganoprevalentemente all’insegnate specializzato in caso di necessità (33su 116), mentre, di contro, il resto della classe se ha bisogno si rivol-ge prevalentemente all’insegante curriculare (39 su 116).

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Sessione 3

In relazione agli approcci didattici usati, la maggior parte deidocenti (n. 85) dichiara di fare ancora ricorso alla lezione fron-tale, dato confermato dagli studenti nei focus group. Ancora dai focus group emerge un aspetto interessante ine-

rente l’utilizzo di strumenti compensativi e di misure dispensati-ve. Il ricorso a tali dispostivi si rivelerebbe problematico da un la-to (quello dei ragazzi) perché evidenzia come gli studenti conDSA siano in qualche modo diversi dagli altri, dall’altro (quellodei docenti) per il fatto che anche chi non è DSA ambisce ad esserloper avere una didattica personalizzata.

4. Conclusioni

I risultati ottenuti da questa prima fase dell’indagine evidenzianocome la presenza di allievi con funzionamenti cognitivi eteroge-nei sia, a livello diffuso, ancora percepita come un fattore di cri-ticità, come un elemento che perturba il sistema scuola/classepiuttosto che come un fattore capace di darsi come opportunitàper destrutturare le pratiche didattiche consuete. L’idea che peravere una didattica personalizzata occorra essere in qualche mo-do classificati/categorizzati, la dice lunga su quell’effetto medica-lizzazione che i docenti attribuiscono ai ragazzi. Dal nostro punto di vista, finché si continuerà a considerare

la presenza degli allievi con DSA o con Disabilità in modo set-toriale, come un ambito che richiede risposte prevalentemente(se non esclusivamente) di tipo tecnico/specialistico (Bocci,2017), senza interrogare in modo più ampio il sistema scuola,si rischia di perdere l’opportunità di analizzare alla radice i fat-tori che determinano micro e macro esclusioni (dalla bocciatu-ra all’abbandono, fenomeni ancora presenti in elevata percen-tuale nella Scuola Secondaria di II Grado). Alla sacrosanta dif-ferenziazione didattica in relazione a contenuti, curricoli, me-todologie, approcci (Tomlinson, 2014; Demo, 2015; Bocci,2015) e alla qualità della relazione docente-discente va sempre

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Fabio Bocci, Ines Guerini, Veronica Leopardi, Martina Marsano, Alessia Travaglini

più affiancata una capacità di autoanalisi a livello di sistemascuola (Dovigo, 2017).Analizzare l’impatto delle recenti politiche per l’inclusione, an-

che attraverso la percezione e la voce dei protagonisti ci sembrauna via di ricerca-azione-formazione suggestiva da coltivare, an-che in raccordo con il framework teorico dell’Index per l’Inclusio-ne (Booth & Ainscow, 2014). Partendo dal presupposto che l’in-clusione sia un processo e non un prodotto, continuare a discu-tere con insegnanti e allievi a partire dalle loro percezioni sull’at-tuale sistema scuola è un buon viatico per dare forma a una ri-cerca significativa, generata dal basso e per questo capace ancora,come in passato, di incidere sui tessuti sociali nei contesti dove sicerca di realizzarla.

Riferimenti bibliografici

Bocci, F. (2013). Dall’esclusione all’inclusione. L’evoluzione del siste-ma scolastico verso una didattica inclusiva. In L. d’Alonzo, P. Aiel-lo, F. Bocci, R. Caldin, F. Corona, P. Crispiani, F. Falcinelli Di Mat-teo, S. Maggiolini, R. Militerni, S. Visentin, M. Sibilio, DSA. Ele-menti di didattica per i bisogni educativi speciali (pp. 15-30).Mila-no: ETAS.

Bocci, F. (2015). Dalla Didattica Speciale per l’inclusione alla Didatti-ca Inclusiva. L’approccio cooperativo e metacognitivo. In L. d’A-lonzo, F. Bocci & S. Pinnelli, Didattica speciale per l’inclusione (pp.85-166). Brescia: La Scuola.

Bocci, F. (2017). Come utilizzare le tecnologie quali veicoli di inclusio-ne. In A. Morganti & F. Bocci (eds), Didattica inclusiva nella scuolaprimaria (pp. 90-100). Firenze: Giunti Scuola.

Booth, T. & Ainscow, M. (2014). Nuovo Index per l’Inclusione. Percorsidi apprendimento e di partecipazione a scuola. Edizione Italiana. Ro-ma: Carocci.

Calvani A. (2014). Come fare una lezione efficace. Roma: Carocci.Demo, H. (2015). Didattica per le differenze. Trento: Erickson.Dovigo, F. (2017). Pedagogia e didattica per realizzare l’inclusione. Gui-da all’Index. Roma: Carocci.

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Sessione 3

Medeghini, R. (2013). Il linguaggio come problema. In R. Medeghini,S. D’Alessio, A. Marra, D., G. Vadalà & E. Valtellina, DisabilityStudies. Emancipazione, inclusione scolastica e sociale, cittadinanza(pp. 191-227). Trento: Erickson.

Tomlinson, C.A. (2014). Differentiated classroom: Responding to theneeds of all learners. VA: ASCD.

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Esperienze

III.14 –––––––––––––––––La valutazione formativa nella pratica scolastica: una ricerca-azioneFormative assessment in school practice: a research action –––––––––––––––––Rosanna TammaroUniversità degli Studi di SalernoAnnamaria PetolicchioLiceo Scientifico Statale “Antonio Gallotta” di Eboli

La valutazione costituisce uno degli aspetti peculiari dell’attivitàeducativa, ed in un contesto formale, come quello scolastico, èun processo che accompagna, determina e connota l’azione di-dattica nella sua complessità, sia progettuale che metodologica.È indubbio che un buon feedback consente allo studente dicomprendere se abbia raggiunto o meno gli obiettivi, quali sianoi suoi punti di forza e quali le sue criticità, cosa debba, eventual-mente, modificare nelle sue strategie (Hattie, 2009).Ma cosa avviene nella pratica scolastica? L’esperienza ha evidenziato quanto il momento della valuta-zione sia vissuto in modo diametralmente opposto da docentie studenti. Per rendere significativo il momento della valuta-zione e per sottolineare la sua valenza formativa quale momen-to di monitoraggio e di miglioramento “in itinere” tanto dellestrategie dello studente che di quelle del docente, si è deciso direndere ogni singolo allievo parte attiva nella correzione delproprio compito, utilizzando la piattaforma “Teacher De-smos”, un ambiente di apprendimento digitale integrato, cheha permesso un’interazione diretta tra studente e docente, inuna dimensione spazio-temporale che travalica quella scolasti-ca tradizionale.

The evaluation is one of the peculiar aspects of educational ac-tivity, and in a formal context, like that at school, is a processthat accompanies, determines and characterizes the education-al action in its complexity, both planning and methodology.

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There is no doubt that good feedback enables the student tounderstand whether or not the objectives, which has reachedhis strengths and what are his problems, what should possiblychange strategies (Hattie, 2009).But what happens in practice?Experience has shown that the evaluation time is lived so dia-metrically opposed by teachers and students. To make signifi-cant time for evaluation and to emphasize its formative valuewhich moment monitoring and improvement “in itinere” ofstudent and teacher strategies, it has been decided to makeeach student active part in correcting the task, using the soft-ware “Teacher Desmos”, a digital learning environment,which allowed a direct interaction between student andteacher, in a spatial-temporal dimension that goes beyond thetraditional school.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Valutazione formativa; Processo valutativo;Feedback; Teacher Desmos

Keywords: Formative assessment; Evaluation process; Feed-back; Teacher Desmos

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Sessione 3

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1. Introduzione

La valutazione degli apprendimenti, in ambito scolastico, è unprocesso complesso e articolato, che coinvolge, in modo diretto,sia la didattica che la progettazione. Il processo valutativo richiedescelte consapevoli, all’interno di uno specifico progetto, che faccia-no riferimento ad una programmazione in cui ne siano stati defi-niti gli obiettivi, gli scopi ed i confini (Notti, 2014). Riconoscendoche la formazione è l’esito di un’azione didattica aperta ad acco-gliere le specificità della situazione ed orientata a rispondere alleesigenze degli allievi (Calenda, 2018), la valutazione si pone comestrumento privilegiato per regolare i comportamenti, calibrare leazioni, adattare gli interventi educativi al contesto in cui si agisce.Nell’ottica di una logica di sviluppo, viene evidenziata la valenzaformativa della valutazione, considerata come momento in cui ildiscente è coinvolto nel processo valutativo per accrescere la suaesperienza di apprendimento (Castoldi, 2012).Tra le funzioni della valutazione, quella formativa è propria-

mente al servizio dell’azione didattica, accompagnando il suoprocesso ed espletandosi nel suo farsi (Hadij, 1995). La valuta-zione “in itinere”, infatti, permette, sia ai docenti che ai discenti,di reperire informazioni continue indispensabili per comprende-re lo stato di avanzamento del processo di insegnamento/appren-dimento, evidenziando punti di forza e criticità e permettendodi intervenire sulla progettazione didattica per renderla efficaceed efficiente. In questo senso diventa un valido supporto per gliinsegnanti in quanto permette loro di monitorare l’andamentodel processo di insegnamento/apprendimento, fornendo infor-mazioni indispensabili per comprendere come procede il percor-so intrapreso e come adeguare il “setting formativo” in relazioneagli obiettivi definiti in fase progettuale.Ma cosa avviene nella pratica scolastica? Quale valenza ha la

valutazione di un compito per lo studente? E per l’insegnante?Da queste domande nasce la ricerca-azione, che si è svolta in unaclasse prima del liceo scientifico “Antonio Gallotta” di Eboli, inprovincia di Salerno.

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Rosanna Tammaro, Annamaria Petolicchio

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2. L’importanza del feedback

Il punto di partenza della ricerca-azione è stata la consapevolezzache per rendere efficace il processo di apprendimento occorreconsiderare il ruolo primario del feedback. Come evidenziatodalle ricerche effettuate da Hattie (2009), il feedback valutativoè l’azione più efficace, nell’ambito dell’apprendimento formale,in quanto consente al discente di riflettere sul proprio processodi apprendimento e quindi la valutazione assume una caratteri-stica ben specifica, diventa regolativa, per cui permette al sogget-to in apprendimento, attraverso un’attività metacognitiva guida-ta dai feedback valutativi forniti dal docente, di selezionare stra-tegie apprenditive diversificate per facilitare il raggiungimentodegli obiettivi predeterminati.Ma quali caratteristiche devono avere i feedback valutativi

per risultare efficaci? Quali accorgimenti devono adottare i do-centi per esaltare la valenza formativa e regolativa della valutazio-ne “in itinere”?La prima considerazione ha riguardato la valenza diametral-

mente opposta che il feedback riveste per il docente e i discenti.L’insegnante, dopo la correzione del compito, fornisce allo stu-dente un feedback, che si augura possa essere positivo e possaguidare l’allievo nello svolgimento dei compiti successivi, resti-tuendogli, in termini di successo e superamento delle criticità, iltempo che ha impiegato per la correzione dell’elaborato. Gli stu-denti, invece, ricevuto il compito corretto, si soffermano soprat-tutto sulla valutazione, espressa dal voto o dal giudizio, e nonprestano attenzione, o lo fanno solo in modo superficiale, aifeedback del docente, vanificando il tempo impiegato per la cor-rezione. Come superare questo scoglio?Vari studi (Black & William, 1998; Cardelle & Corno, 1981)

hanno dimostrato come la valutazione formativa risulti più effi-cace se vengono evidenziati quei particolari della prestazione chevanno migliorati, piuttosto che limitarsi ad osservazioni generi-che sulla prestazione, ad esempio commenti astratti di elogio o

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Sessione 3

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di biasimo. Occorre fornire feedback valutativi efficaci, che nondiano al discente solo informazioni sulla “misura” in cui le pre-stazioni soddisfino o meno i criteri prestabiliti (voto), ma spie-ghino anche “quali aspetti” soddisfino o meno quei criteri e “per-ché”. I feedback sono più efficaci quando segnalano esplicita-mente agli studenti alcuni aspetti precisi delle loro prestazioni ri-spetto a criteri prestabiliti e condivisi e quando forniscono infor-mazioni che li aiutano a fare progressi nella direzione giusta.Le valutazioni formative hanno la massima efficacia quando

gli studenti hanno modo di riflettere sulle proprie criticità. Feed-back specifici, ad esempio aiutare gli studenti ad impostare cor-rettamente un problema o a riconoscere i propri errori, appaionoassociati ad un apprendimento più profondo (Balzer, Doherty &O’Connor, 1989).

3. La ricerca-azione

Focus della ricerca-azione, che ha visto coinvolti i 26 alunni dellaclasse I C del liceo scientifico “Antonio Gallotta” di Eboli, è statola personalizzazione dei feedback formativi e la tempistica di re-stituzione degli stessi per far sì che potessero realmente avere unavalenza formativa.La ricerca si è svolta nel periodo compreso tra gennaio e mag-

gio, interessando l’intero pentamestre. Le discipline coinvoltesono state italiano e latino. Dalle prove svolte nella prima partedell’anno scolastico era emerso che la classe si presentava moltoeterogenea soprattutto riguardo le conoscenze pregresse in gram-matica e sintassi italiana. La mancanza di prerequisiti rendevaostico l’approccio allo studio della lingua latina. Il problema dadover affrontare riguardava riuscire a conciliare il monte ore adisposizione con l’esigenza di feedback personalizzati. La strate-gia generalmente utilizzata (restituire le prove corrette agli stu-denti e chiamarli uno per volta alla cattedra per riflettere insiemesugli errori commessi) non si era rivelata né efficace né efficiente,

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Rosanna Tammaro, Annamaria Petolicchio

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oltre ad essere eccessivamente dispendiosa in termini di tempo(le ore settimanali a disposizione per l’insegnamento delle duediscipline sono 7). Era indispensabile dilatare il monte ore a dis-posizione, trovare una strategia per correggere in tempo reale leprove degli allievi, ma, soprattutto, per fornire dei feedback cheaiutassero gli studenti a riflettere sulle loro azioni nel momentoin cui ne avessero realmente bisogno.La soluzione è stata trovata nell’utilizzo della piattaforma

educativa Teacher Desmos (www.teacher.desmos.com), un soft-ware di gestione schermate docente-discenti. La scelta di questosoftware, utilizzato in ambito matematico, è stata guidata dallapossibilità di caricare foto e di poter lavorare su di esse. Per poterfornire feedback formativi validi e personalizzati, si è provvedutoa caricare le foto dei compiti, inviando, ad ogni allievo, il propriocompito e richiamando l’attenzione su quegli aspetti che anda-vano corretti. La possibilità di lavorare in modalità sincrona hapermesso all’insegnante di verificare la valenza formativa deifeedback inviati e a ciascun discente di riflettere sulle proprie cri-ticità, superandole con le continue sollecitazioni del docente.

4. Conclusioni

L’utilizzo sistematico del software Teacher Desmos ha dilatato iltempo a disposizione per la valutazione formativa, che è diven-tata il fulcro di tutta l’attività didattica. La possibilità di creare lecondizioni di un rapporto uno a uno con ciascuno studente hadato risultati significativi in termini di consolidamento di cono-scenze e abilità. Nonostante ciò, comunque, sono state eviden-ziate alcune criticità. In primis, non è stato posto un limite tem-porale di interconnessione con il docente, per cui, a qualsiasi oradella giornata l’insegnante è stato chiamato a rispondere alle sol-lecitazioni degli allievi (considerando che sono stati coinvolti 26alunni, si intuisce quante ore di lavoro “non riconosciuto” hannoimpegnato il docente). Preparare le slide per ogni allievo, con i

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Sessione 3

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relativi feedback, è stata un’attività molto onerosa in termini ditempo. La prima criticità potrà essere superata, nel prossimo an-no scolastico, fornendo agli allievi un intervallo temporale preci-so in cui dialogare a distanza con la docente; per quel che con-cerne la seconda, considerando la personalizzazione dei feed-back, non vi è soluzione, ma, è fuori di dubbio che i risultati rag-giunti ripagano ampiamente il sovraccarico di lavoro.

Riferimenti bibliografici

Balzer, W.K., Doherty, M.E., & O’Connor, R. (1989). Effects of co-gnitive feedback on performance. Psychological Bulletin, 106, 410-433.

Black, P., & William D. (1998). Assessment and classroom learning.Assessment in Education, 5, 7-74.

Calenda, M. (2018). La valutazione come processo di regolazionedell’attività didattica. In R. Tammaro, ValutAzione (pp. 152-155),Lecce-Brescia: Pensa MultiMedia.

Cardelle, M., & Corno L. (1981). Effects on second language learningof variations in written feedback on homework assignments. TE-SOL Quaterly, 15, 251-261.

Castoldi, M. (2012). Valutare a scuola, Roma: Carocci.Hadij, C. (1995). La valutazione delle azioni educative. Brescia: LaScuola.

Hattie, J.A.C. (2009). Visible Learning: A Synthesis of Over 800 Meta-Analyses Relating to Achievement. London & New York: Routledge.

Notti, A.M. (2014). A scuola di valutazione, Lecce-Brescia: Pensa Mul-tiMedia.

https://teacher.desmos.com/activitybuilder/custom/5aaf793af0976618305e4aa2

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Rosanna Tammaro, Annamaria Petolicchio

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Ricerche

III.15 –––––––––––––––––Risolvere problemi e collaborare: spartiacque di genereProblem solving and collaboration: gender division –––––––––––––––––Giorgio AsquiniSapienza, Università di Roma

I recenti risultati del Problem Solving Collaborativo (PSC)dell’indagine PISA 2015 hanno largamente disatteso le ottimi-stiche aspettative italiane basate sul risultato del Problem Sol-ving (PS) nel ciclo precedente. Il risultato italiano è largamen-te sotto la media OCSE, con quasi il 35% di studenti che nonraggiungono il livello minimo di sufficienza. Tra i diversi risul-tati spicca il significativo vantaggio delle ragazze, laddove nelprecedente ciclo erano i loro compagni ad ottenere migliori ri-sultati.Sono stati esaminati i dati complessivi presentati nei rapportiPISA, internazionale e nazionale, relativi alle performance digenere, in particolare i database messi a disposizione dall’OC-SE (Cognitive test, Questionnaires, Item Compendia). Le diffe-renze di genere sono state verificate in relazione alle diversecomponenti del PSC definite nel framework, anche per la di-mensione collaborativa.In un quadro complessivo di netta prevalenza femminile per ladimensione collaborativa sono stati identificati alcuni aspettiin cui le differenze di genere risultano meno marcate, quindisuscettibili di interventi prioritari per agire dal punto di vistadidattico quando si propongono attività di apprendimentocollaborativo in classe.

The recent results of the Collaborative Problem Solving (PSC)in 2015 PISA survey largely disregarded the optimistic Italianexpectations based on outcomes of Problem Solving (PS) inthe previous cycle of PISA. The Italian result is largely belowthe OECD average, with almost 35% of students who do notachieve the minimum level required. Among the different re-sults stands out the significant advantage of females, while in

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the previous cycle were the male to achieve better results.The overall data presented in the international and nationalPISA reports on gender performance were examined, especial-ly the databases provided by the OECD (Cognitive test, Ques-tionnaires, Item Compendia). The gender differences havebeen verified in relation to the different components of thePSC defined in the framework, also for the collaborative di-mension.Overall the female prevalence for collaborative dimension isclear, but some aspects have been identified in which genderdifferences are less marked, and therefore priority actions arepossible for a more effective teaching action when collabora-tive learning activities are proposed in the classroom.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: Problem Solving Collaborativo, Apprendimen-to collaborativo, Scuola secondaria, Differenze di genere, Va-lutazione

Keywords: Collaborative Problem Solving, CooperativeLearning, Secondary School, Gender Differences, Assessment.

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Giorgio Asquini

1. Introduzione

L’ottimo risultato degli studenti italiani nel Problem Solving(PS) di PISA 2012 (Asquini, 2014) ha creato grandi aspettativeper il nuovo ciclo di indagine 2015, che però sono state del tuttodisattese, con uno dei risultati più negativi della storia di PISA(Asquini, 2017). Bisogna però considerare la novità introdottanella rilevazione del Problem Solving, che è diventato Collabo-rativo (PSC). Quasi il 35% degli studenti italiani non raggiungela sufficienza nel PSC, con una forte differenza di genere (39,7maschi, 29,8 femmine; OECD, 2017b, pp.190 e 207), comple-tamente inversa rispetto al 2012. Bisogna considerare che il van-taggio delle ragazze è significativo in tutti i paesi OCSE (Invalsi,2017, pp. 55-56), con 29 punti di vantaggio sui compagni (inItalia sono 23), anche in questo caso con un sostanziale rovescia-mento delle differenze rispetto al 2012. Risulta pertanto eviden-te che l’introduzione della dimensione collaborativa nel ProblemSolving abbia cambiato in modo significativo l’ambito di rileva-zione per quanto riguarda le differenze di genere. Scopo di que-sto approfondimento di ricerca è cercare di capire in quali ele-menti del PSC si registrano le maggiori differenze di genere, inmodo da fornire informazioni utili agli insegnanti che utilizzanoattività di tipo collaborativo in classe.

2. Metodo

Per la definizione del PSC il consorzio che gestisce PISA è partitodal quadro di riferimento già definito per il 2012, con i quattroprocessi cognitivi che compongono la competenza di risoluzionedi situazioni problematiche, integrandolo con le tre competenzespecifiche che caratterizzano la dimensione collaborativa. Il ri-sultato è efficacemente rappresentato nella Fig.1, con i processi2012 in verticale, contrassegnati da lettere, e le competenze col-laborative in orizzontale, contrassegnate da numeri.

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Sessione 3

Fig.1: Quadro di riferimento PSC di PISA 2015

Fonte: OECD, 2017a p. 137

!!!!!!!!

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Giorgio Asquini

Il PSC risulta pertanto definito da 12 abilità specifiche chesono state considerate per la costruzione dello strumento cogni-tivo. Nel complesso sono state definite 6 prove, con 121 doman-de, ma 4 domande sono state eliminate dall’analisi, per cui ab-biamo 117 domande e 145 item complessivi (diverse domandeprevedevano più livelli di correttezza). Una di queste 12 abilità(A3) non è rappresentata nello strumento, ed alcune sono pre-senti con un numero limitato di item; per esempio la competen-za 2 (35 item) è rappresentata soprattutto da item di tipo C (25item), con gli altri 10 item divisi fra gli altri 3 processi. Pertantopiù che analizzare i punteggi complessivi per ogni cella del mo-dello risulta utile considerare le differenze di genere relative adogni singolo item, per verificare se esistono competenze, e relati-ve sottocelle, in cui le differenze sono più marcate, e soprattuttoverificare se esistono alcune che non presentano grandi differen-ze. Per fare questo sono stati utilizzati gli Item Compendia fornitidall’OCSE, che presentano tutti i dati di risposta degli studentisuddivisi per item e per genere.Sono state create delle funzioni macro di Excel per collegare i

dati disponibili, calcolando per ogni item la differenza di genere,in termini di percentuale di risposte esatte/errate, e il relativo in-tervallo di confidenza (95%), ricavato dalla somma degli erroristandard, per identificare gli item in cui la differenza di generefosse effettivamente significativa. Da specificare che la significa-tività è stata calcolata sia per l’intero campione di studenti OC-SE sia per quello italiano.Infine i risultati raccolti sono stati scomposti per le diverse

celle del modello di Fig.1, utilizzando le informazioni relative aogni item del Technical Report di PISA 2015 (OECD, 2017c,pp.421-426).

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Sessione 3

3. Risultati

Nel complesso, per i dati complessivi OCSE, solo in 26 item su145 non è stata rilevata una differenza significativa fra maschi efemmine, nei rimanenti item il vantaggio delle ragazze è sempresignificativo. In 37 item il divario è estremamente rilevante epresente anche per il campione italiano. Considerando la classi-ficazione di questi ultimi item il vantaggio femminile si localizzasoprattutto per le celle A1, B1 e D1, quindi le componenti dellacompetenza 1, relativa a Establishing and maintaining shared un-derstanding. Per questo aspetto collaborativo il divario è nettissi-mo, per tutti i processi cognitivi del PS, con l’esclusione delPlanning and executing, che già nel 2012 rappresentava uno deipochi punti deboli degli studenti italiani. Bisogna considerareche nel complesso la competenza 1 raccoglie 73 dei 145 itemcomplessivi, per cui è sovradimensionata nello strumento, quin-di la netta prevalenza femminile per questo aspetto incide mag-giormente sulla differenza finale di genere.Ritornando ai 26 item in cui non risultano differenze significa-

tive di genere, neanche per il campione italiano, vediamo che sicollocano prevalentemente in quattro celle: A2, B2, C2 e D3. Inquesto caso quindi si può rilevare una tendenza all’equilibrio cheriguarda soprattutto la competenza 2 Taking appropriate action tosolve the problem, con l’eccezione del Monitoring and reflecting, el’aspetto specifico della competenza 3 Monitoring, providing feed-back and adapting the team organisation and roles. Anche in questocaso bisogna rilevare che la competenza 2 è composta da 35 item(meno della metà della competenza 1), per cui i maschi risultanosfavoriti, circa il risultato finale, dal minor numero di quesiti pro-prio per la competenza in cui si difendono meglio. Inoltre l’abilitàC2 Enacting plans, composta da ben 25 item, presenta un anda-mento particolare, pur essendo tendenzialmente più equilibratapresenta anche 6 item con un netto vantaggio delle ragazze, pre-standosi quindi ad un ulteriore approfondimento di ricerca, con-siderando anche il valore strategico di questa abilità sia per la riso-luzione del problema sia per la dimensione collaborativa.

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Giorgio Asquini

4. Conclusioni

In un quadro complessivo di netta prevalenza femminile per ladimensione collaborativa del Problem Solving (Miller &Crouch, 2012; Hardy III & Gibson, 2015), è possibile quindi ri-scontrare alcuni elementi in cui lo spartiacque di genere è menopronunciato. La componente operativa della competenza 2 risul-ta il punto meno critico per i maschi, quello in cui quindi pos-sono fornire al gruppo che cerca di risolvere il problema il con-tributo più lucido e orientato alla collaborazione. Si tratta di unainformazione che può risultare utile nel momento in cui si avvia-no in classe attività collaborative, sia per gruppi misti, sia pergruppi monogenere. Nel primo caso si dovrà considerare con at-tenzione la tendenza ad occuparsi soprattutto degli aspetti co-municativi (ragazze) e operativi (ragazzi), nel secondo caso le dif-ficoltà maschili nel costruire un gruppo fondato sulla coopera-zione (Bear & Williams Woolley, 2011). La forte rilevanza delPSC per l’educazione è attestata dalla presenza di entrambe le di-mensioni (Risolvere problemi e Collaborare e partecipare) fra le8 competenze chiave di cittadinanza, per cui la loro fusione, at-traverso la proposizione di attività collaborative finalizzate allasoluzione di problemi, può risultare molto efficace sul piano di-dattico. Efficacia che può essere estesa anche alla costruzione diun equilibrio di genere che tenga conto delle differenze senzascadere negli stereotipi (OECD, 2015; Di Castro, 2017), secon-do una visione di progressiva innovazione educativa orientataall’equità (Griffin, Care & McGaw, 2011).Dal punto di vista della ricerca i dati del PSC di PISA 2015

rappresentano un punto di partenza per approfondire l’analisi,come per esempio già segnalato per l’abilità C2, basandosi so-prattutto sulla rilevanza del quadro di riferimento e cercando diapprofondire, anche con ulteriori ricerche mirate sul campo, gliaspetti che sono risultati più critici nella realizzazione effettivadello studio.

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Sessione 3

Riferimenti bibliografici

Asquini, G. (2014). Lo strano caso dei risultati italiani di PISA 2012.Italian Journal of Educational Research, VII, 13, 13-28.

Asquini, G. (2017). Primi risultati del Problem Solving Collaborativoin PISA 2015. Lifelong Lifewide Learning, 13, 30, 143-148.

Bear, J.B., & Williams Woolley, A. (2011). The role of gender in teamcollaboration and performance. Interdisciplinary Science Reviews,36, 2.

Di Castro, G. (2017). Competenze e differenze di genere. Sinappsi, VIII,2-3, 27-46.

Griffin, P., Care, E., & McGaw, B. (2011). The changing role of edu-cation and schools. In P. Griffin, B. McGaw, E. Care (eds.), Asses-sment and Teaching of 21st Century Skills. Springer, Heidelberg.

Hardy III J.H., & Gibson, C. (2015). Gender Differences in the Mea-surement of Creative Problem Solving. The Journal of Creative Be-havior, 51, 2, 153-162.

Invalsi (2017). Indagine OCSE-PISA 2015: i risultati degli studenti ita-liani in Problem Solving, Collaborativo, Roma, Invalsi.

Miller, C. J., & Crouch, J. G., (2012). Gender Differences in ProblemSolving: Expectancy and Problem Context. The Journal of Psycho-logy, 125, 3, 327-336,

OECD (2015). The ABC of Gender Equality in Education: Aptitude,Behaviour, Confidence. PISA, OECD Publishing.

OECD (2017a). PISA 2015 Assessment and Analytical Framework, re-vised edition. PISA, OECD Publishing, Paris.

OECD (2017b). PISA 2015 Results (Volume V) Collaborative ProblemSolving. PISA, OECD Publishing, Paris.

OECD (2017c). PISA 2015 Technical Report. PISA, OECD Publis-hing, Paris.

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461 |Ricerche

abstract

Ricerche

III.16 –––––––––––––––––Promuovere lo sviluppo di competenze trasversali a scuola e all’università: riflessioni a partire da un’indagine empirica sulle competenze in ingresso degli studenti universitariPromoting the development of transversal competences at school and university: reflections from an empirical study on the competences of students entering university –––––––––––––––––Elisa Truffelli, Alessandra RosaUniversità di Bologna

Con la Raccomandazione del 18 dicembre 2006 relativa allecompetenze chiave per l’apprendimento permanente l’Unioneeuropea ha delineato il quadro di riferimento per la costruzio-ne, a tutti i livelli dei sistemi di istruzione e formazione, di per-corsi orientati all’acquisizione delle competenze irrinunciabiliper vivere e lavorare nella società della conoscenza. Focalizzan-do l’attenzione sul momento dell’ingresso all’Università, in par-ticolare sugli studenti che hanno maturato Obblighi FormativiAggiuntivi (OFA) a seguito dell’accertamento iniziale dellecompetenze di base e trasversali ritenute necessarie per affron-tare il percorso di studi universitario, il contributo presenta iprimi esiti di un’indagine empirica in cui i risultati degli stu-denti nelle prove di accesso ai corsi di laurea triennali dellaScuola di Psicologia e Scienze della Formazione dell’Ateneo diBologna (a.a. 2017-18) sono stati analizzati in rapporto a varia-bili sia di tipo socio-anagrafico sia relative ai percorsi scolasticiprecedenti, effettuando un confronto tra le caratteristiche deglistudenti ammessi all’immatricolazione con e senza OFA. Le ri-flessioni proposte intendono costituire una base per la proget-tazione di azioni di supporto e riallineamento diversificate nellaprospettiva di facilitare il passaggio dalla Scuola secondaria di IIgrado all’Università attraverso un lavoro sinergico tra i due li-velli del sistema di istruzione e, in senso più ampio, nell’ottica

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Sessione 3

di promuovere lo sviluppo di competenze fondamentali per ap-prendere efficacemente lungo tutto il corso della vita.

With the Recommendation of 18 December 2006 on KeyCompetences for Lifelong Learning, the European Parliamentset out the reference framework to provide a basis for integrat-ing the acquisition of these core competences, indispensablefor work and life in the knowledge society, into every level ofeducation and training. This paper presents the initial resultsfrom an empirical study focussing on students entering uni-versity who have attained the Supplementary Learning Re-quirements (SLR), which verify the requisite core and trans-versal competences for undertaking a university degree course.The study analysed the results students gained in standardtests for access to degree courses within the School of Psychol-ogy and Educational Sciences of the University of Bologna(2017-18 cohort) in relation to variables in social and academ-ic background, to enable a comparison among the students ad-mitted between those with SLR and those without. The paperoffers some reflections intended as a call for action for a con-certed effort to plan a range of support and realignment activ-ities designed to ease the progression form secondary school touniversity, through synergistically dovetailing the two systems,and to promote the development of core competences for ef-fective lifelong learning processes.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: competenze trasversali; prove di ingresso all’u-niversità; obblighi formativi aggiuntivi; studio correlazionale.

Keywords: transversal competences; university entry tests;supplementary learning requirements; correlational study.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Elisa Truffelli, Alessandra Rosa

1. Introduzione

L’attuale prospettiva socio-politica europea che abbraccia il conso-lidato e condiviso paradigma dell’apprendimento permanenteconferisce allo sviluppo di competenze chiave di natura trasversaleun ruolo centrale e strategico. Già nel 2006 in una sua Raccoman-dazione l’Unione europea ha delineato il quadro di riferimento perla costruzione, a tutti i livelli dei sistemi di istruzione e formazione,di percorsi orientati all’acquisizione delle competenze irrinuncia-bili per la realizzazione personale, la cittadinanza attiva, l’inclusio-ne e l’occupabilità nella società della conoscenza, cui si richiamaanche la normativa sulla certificazione delle competenze nel siste-ma scolastico italiano (ad es. Trinchero, 2012; Borrello, 2011). Tuttavia, come emerge anche nel testo della strategia Europa

2020, la concretizzazione di questo assetto rappresenta ancoraoggi un’importante sfida aperta. Basti considerare, per quanto ri-guarda il nostro Paese, che l’Italia si colloca costantemente nelleultime posizioni del ranking internazionale in base ai risultati dialcune indagini comparative come ALL (Adult Literacy and LifeSkills) e PIAAC (Programme for the International Assessment ofAdult Competencies), tese a esplorare nella popolazione adulta lecompetenze che il mondo del lavoro e le esigenze di convivenzademocratica indicano come fondamentali.La complessità degli obiettivi delineati si intreccia inoltre con

la crescente eterogeneità dei profili degli studenti, che richiede alsistema formativo di interpretarne esigenze e difficoltà, rafforzar-ne le competenze di base e fornire adeguate azioni di supporto eorientamento in vista di una loro riuscita non solo negli studi mapiù in generale nella vita.

2. Focus e contesto della ricerca

Nel solco di questa complessa tematica il presente contributotocca alcuni aspetti di problematicità legati al passaggio e alla

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Sessione 3

continuità tra Scuola secondaria di II grado e Università, ancorapoco dibattuti per ragioni molteplici: culturali, in quanto Scuolae Università sono tradizionalmente concepiti come sistemi net-tamente separati e orientati a obiettivi diversi; economiche, con-nesse all’attribuzione di responsabilità e costi di eventuali colla-borazioni e azioni sinergiche, che si configura di difficile indivi-duazione; organizzative, in quanto la molteplicità di Licei, Isti-tuti Secondari e Università sul territorio nazionale implica pro-venienze e destinazioni degli studenti molto varie, rendendocomplessa l’individuazione di specifici abbinamenti per l’avviodi iniziative di supporto rivolte agli studenti in transizione tra idue sistemi (Bertagna e Puricelli, 2008). La prospettiva dalla quale abbiamo inquadrato il problema si

focalizza sull’analisi del profilo degli studenti che hanno matura-to Obblighi Formativi Aggiuntivi (OFA) nell’a.a. 2017-18 a se-guito del test di accesso ai corsi di laurea triennali della Scuola diPsicologia e Scienze della Formazione dell’Ateneo di Bologna1.L’introduzione degli OFA al primo anno dei percorsi universitari– prevista dall’art. 6 del D.M. 270/2004, in cui tra i requisiti perl’ammissione ai corsi di studio si individua il possesso di un’ade-guata preparazione iniziale – va nella direzione di promuovere ilpotenziamento negli studenti delle competenze di base e trasver-sali necessarie per affrontare le sfide poste da un approccio criticoe autonomo all’apprendimento. Per quanto riguarda i due corsidi laurea considerati – Educatore sociale e culturale ed Educatorenei servizi per l’infanzia – i rispettivi regolamenti didattici indi-viduano nelle conoscenze di natura linguistico-comunicativa, lo-gico-induttiva e deduttiva i requisiti fondamentali da accertare,in relazione ai quali si è scelto di attivare specifici corsi integrativiper supportare gli studenti nell’assolvimento dei debiti.

1 Si ringraziano per aver coadiuvato la ricerca la Direttrice del Dipartimentodi Scienze dell’Educazione “G.M. Bertin”, prof.ssa R. Caldin, e F. Campadell’ufficio Vicepresidenza della Scuola di Psicologia e Scienze della For-mazione di Bologna.

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Elisa Truffelli, Alessandra Rosa

I dati presentati di seguito costituiscono alcuni primi esiti diuna ricerca correlazionale che, a partire dalle premesse delineate,ha inteso innanzitutto analizzare i risultati degli studenti nelleprove di accesso in rapporto a variabili sia di tipo socio-anagrafi-co sia relative ai percorsi scolastici precedenti, effettuando unconfronto tra le caratteristiche degli studenti ammessi all’imma-tricolazione con e senza OFA. La finalità di fondo posta alla basedella ricerca mira a sviluppare riflessioni e indicazioni utili a in-dividuare forme efficaci di supporto e riallineamento per gli stu-denti che mostrano maggiori fragilità rispetto alle competenzerichieste in ingresso.

3. Spunti di riflessione dai primi esiti della ricerca

Un primo dato di rilievo, che induce a ribadire l’importanza diapprofondire la ricerca sulla tematica affrontata, è relativo all’en-tità del fenomeno nel contesto in esame: 161 studenti (22,6%)sui 711 che costituiscono il totale della leva considerata hannomaturato un OFA.Per quanto concerne i primi esiti dello studio avviato, le ana-

lisi condotte hanno evidenziato differenze statisticamente signi-ficative tra studenti con e senza OFA rispetto ad alcune variabili:per ragioni di brevità, saranno qui discusse solo quelle relative al-la carriera scolastica pregressa. I due gruppi appaiono significativamente diversi (p.<0.01) in

base alla provenienza scolastica: gli studenti liceali sono sottorap-presentati tra quanti hanno maturato un OFA, quelli provenien-ti da Istituti tecnici e in particolare da Istituti professionali sonoinvece sovrarappresentati (cfr. Graf. 1).

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Sessione 3

Graf.1: Distribuzione degli studenti nei due gruppi per tipo di diploma (N 711)

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Il quadro emerso sembra riprodurre quanto rilevato sugli stu-denti quindicenni italiani nell’ambito dell’indagine internazio-nale OCSE-PISA (Invalsi, 2015), che in riferimento alla cosid-detta reading literacy permette di stimare quanto le differenze neirisultati medi tra tipi di scuola siano notevoli: 116 punti sullascala di lettura separano i punteggi medi ottenuti dagli studentidei Licei e degli Istituti professionali, che si collocano agli estre-mi della distribuzione (cfr. Graf. 2).

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Elisa Truffelli, Alessandra Rosa

Graf.2: OCSE-PISA 2015: Distribuzione del punteggio medio in letturaper tipologia di istruzione

(Fonte: adattamento da Database PISA 2015 - elaborazioni INVALSI)

Anche il voto medio di diploma nei due gruppi è significati-vamente diverso (p.<0.01): 69,7 su 100 per gli studenti con OFAcontro 77 su 100 per gli studenti senza OFA. Considerando poi la regolarità del percorso scolastico prece-

dente, variabile ottenuta incrociando l’età degli studenti conl’anno di conseguimento del diploma, appare significativamente(p.<0.01) più alta, nel primo gruppo, la percentuale di studentiche mostrano uno o più anni di ritardo (cfr. Graf. 3).

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Sessione 3

Graf.3: Distribuzione degli studenti nei due gruppi per regolarità del percorsoscolastico (N 711)

Focalizzando l’attenzione sugli studenti con OFA e conside-rando la variabile “regolarità” congiuntamente ad un’altra cheabbiamo denominato “contiguità”2, è stato inoltre possibile in-dividuare un quadro composito dal quale emerge che solo pocopiù di un terzo degli studenti (34,2%) ha svolto un percorsoscolastico regolare e si è iscritto all’Università nello stesso annoin cui si è diplomato. Il 21,1% è passato da un livello di istru-zione all’altro in maniera contigua avendo però impiegato piùtempo per conseguire il diploma, mentre ben il 44,7% si èiscritto in anni successivi al diploma3. Questi dati mostrano cheil periodo che precede l’ingresso all’Università è diversamentecaratterizzato per gruppi di studenti, alcuni dei quali potrebbe-ro non essere più inseriti da tempo nel percorso di istruzione se-condaria superiore.

2 Si è intesa contiguità nei casi in cui l’acquisizione del diploma di Scuolasecondaria di II grado e l’iscrizione al primo anno di un corso di laurea sia-no avvenuti nello stesso anno solare.

3 Si precisa che non si dà il caso di studenti che in questo intervallo di tempohanno conseguito una laurea perché questa tipologia di studente è esenteda OFA.

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Elisa Truffelli, Alessandra Rosa

Nel complesso i dati riportati portano a sottolineare l’esigen-za di promuovere il consolidamento delle competenze degli stu-denti da un lato tenendo conto delle loro diverse caratteristicheed esigenze, dall’altro affiancando alle iniziative attivate nell’am-bito dei corsi di laurea anche attività collocate prima del passag-gio all’Università.

4. Conclusioni

Gli indirizzi delle politiche educative europee e le sollecitazioniderivanti dal dibattito scientifico convergono verso obiettiviconnessi all’innalzamento del livello di istruzione della popola-zione e alla promozione dell’autoregolazione dei processi di ap-prendimento negli studenti. In quest’ottica assume particolarerilievo la comprensione dei presupposti in grado di favorire ilsuccesso formativo e l’efficacia delle azioni di supporto per glistudenti che presentano maggiori fragilità in ingresso all’Univer-sità. I primi risultati della ricerca avviata rafforzano l’idea che siastrategico mettere in rete Scuola e Università rispetto alle proble-matiche affrontate, anche in considerazione degli specifici profilidegli studenti con OFA sopra discussi. Occorre tuttavia fare al-meno due considerazioni. La prima riguarda la natura formativae non prettamente informativa che tali iniziative dovrebbero as-sumere (ad es. Tamanini, 2008): è necessario lavorare in manieraspecifica sulle competenze di base di natura trasversale e sull’im-piego di strumenti e strategie che stimolino gli studenti a riflet-tere sui propri processi di apprendimento. Appare dunque insuf-ficiente un’azione orientativa, spesso confinata all’ultimo annodel ciclo secondario, che declini le offerte formative dell’istruzio-ne terziaria. La seconda concerne il target di riferimento: i datipresentati mostrano ad esempio che il 44,7% degli studenti conOFA ha terminato gli studi secondari da un anno o più. Ciò por-ta a riflettere sulla necessità, considerata ad esempio nell’ambitodel progetto UniSOFIA (Calidoni et al., 2009), di diversificare

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Sessione 3

le proposte di supporto: esse dovrebbero declinarsi in modo daessere rese appetibili e fruibili in maniera interattiva e autonomaanche per chi non è inserito in un percorso scolastico, consen-tendo di compiere autodiagnosi rispetto ai propri punti di forzae debolezza e indicando specifiche risorse utili a preparare il ter-reno per il successo nel proseguimento degli studi.

Riferimenti bibliografici

Bertagna, G., & Puricelli, E. (eds.) (2008). Dalla scuola all’università.Orientamento in ingresso e dispositivo di ammissione. Soveria Man-nelli: Rubbettino.

Borrello, L. (2011). La riforma della scuola secondaria superiore nelcontesto europeo. In G. Domenici & G. Moretti (eds.), Leadershipeducativa e autonomia scolastica: il governo dei processi educativi e ge-stionali nella scuola di oggi (pp. 227-248). Roma: Armando.

Calidoni, P., Gola, E., Isu, G.C., & Satta, R. (2009). Orientamento eriallineamento universitario on-line: progettazione e prova di servi-zi nel progetto UniSOFIA. Giornale Italiano della Ricerca Educati-va, 2-3, 19-26.

INVALSI (2015). Indagine OCSE PISA 2015: i risultati degli studentiitaliani in scienze, matematica e lettura. Rapporto nazionale.http://www.invalsi.it/invalsi/ri/pisa2015/doc/rapporto_PISA_2015.pdf.

Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consi-glio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’ap-prendimento permanente. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L394/10 del 30.12.2006.

Tamanini, C. (eds.) (2008). Le abilità linguistiche e comunicative deglistudenti in vista del passaggio all’Università. Gli esiti di una ricercaesplorativa. Trento: IPRASE del Trentino.

Trinchero, R. (2012). Costruire, valutare, certificare competenze. Mila-no: FrancoAngeli.

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Sessione 4: La formazione professionalee i percorsi post obbligo di istruzione

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IV.1 –––––––––––––––––Dalla formazione professionale al lavoro. Politiche pubbliche per transizioni efficaci From professional training to work. Public policies for successful transactions –––––––––––––––––Anna TeselliCGIL Nazionale/Fondazione Di VittorioPatrizia SposettiUniversità di Roma “La Sapienza”

Il contributo offre alla riflessione i risultati di diversi progettisulla valutazione delle policy regionali di formazione profes-sionale e delle politiche attive del lavoro condotti in anni re-centi dalla Fondazione Di Vittorio. Attraverso l’analisi del pa-trimonio informativo delle amministrazioni regionali, sonostate ricostruite le carriere formative e professionali di tanti ita-liani che hanno potuto accedere ai percorsi formativi e di inse-rimento-reinserimento occupazionale, finanziati con il Fondosociale europeo e non solo. Le analisi si fondano in primo luogo sull’utilizzo dei microdatipresenti nelle anagrafi formative e negli archivi delle Comuni-cazioni Obbligatorie messi a disposizione dalle amministrazio-ni regionali e relativi alle persone che beneficiano di interventie misure finanziate dal pubblico. Nei territori in cui le anagrafiformative non sono presenti e, dunque, non si hanno informa-zioni relative alle modalità di raccolta e alla tipologia dei datiriguardanti la formazione è stato avviato un lavoro di raccoltadelle informazioni a partire un diretto coinvolgimento dei di-versi attori coinvolti: Regione, Enti di FP, ricercatori, che han-no lavorato congiuntamente per mettere a punto e condivideremodalità di rilevazione e messa in comune dei dati sulla for-mazione professionale.Al centro del ragionamento si pone il valore strategico della va-lutazione delle politiche pubbliche, come fattore decisivo perorientare programmazione e interventi, in un Paese dove, afronte di bisogni e aspettative pressanti di ampie fette della po-

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Studi

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polazione, non vengono completamente utilizzati i finanzia-menti che l’Europa mette a disposizione. Una particolare at-tenzione è dedicata ai percorsi di transizione scuola-formazio-ne-lavoro dei giovani e tra loro del target più esposto – i cosid-detti NEET, giovani senza lavoro e fuori dalla scuola.

This paper examines the outcome of various projects on theassessment of regional vocational training and work policiesrecently conducted by the Di Vittorio Foundation. The analy-sis of the informative heritage of the regional administrationshas helped retrace the training and professional careers ofmany Italian students who have benefited from training andemployment programs, financed, among others, with the Eu-ropean Social Fund.The analyses are mainly based on the use of the microdataavailable in the training registers and in the archives of theObligatory Communications provided by the regional admin-istrations and relating to the students who enjoyed interven-tions and measures financed by public entities. In the absenceof a training register and, consequently, of information on theTraining data collection methods, information has been col-lected starting from the direct involvement of the subjects inquestion: Regions, Vocational Training bodies and researchershave cooperated on the development and sharing of data onvocational training.Special emphasis is given to the strategic value of the assess-ment of the public policies, regarded as a decisive factor fororienting the education programs and interventions, in aCountry where, considering the urgent needs and expecta-tions of a large part of the population, the EU funds are nottotally used. Eventually, the school-training-youth work shiftwill be taken into account, together with the so-called NEETs,i.e. young people not engaged in education, employment ortraining.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: anagrafe formativa, transizione scuola-forma-zione-lavoro, politicy regionali, orientamento.

Keywords: training register, school-training-work shift, re-gional policies, counselling.

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Sessione 4

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1. Introduzione

In Italia le critiche e la diffidenza verso i percorsi di Formazioneprofessionale, rappresentano una sorta di costante nella riflessio-ne sul tema. Questo clima è riconducibile alla mancanza di unquadro chiaro e preciso, nei diversi ambiti, di ciò che si fa, dellaqualità e dei risultati dei diversi percorsi di FP, per quanto riguar-da sia i titoli e le competenze acquisite sia l’efficacia occupazio-nale. Di certo la responsabilità di una trasparenza e accessibilitàdelle policies e dei loro effetti è responsabilità – in prima battuta– dei decisori politici; tuttavia perché questa responsabilità siaottemperabile sono necessari dati, organizzati in un sistema na-zionale ordinato e leggibile, facilmente aggiornabili e compara-bili. In assenza, anche gli studi e le indagini svolte da Enti di ri-cerca o su committenza delle singole Regioni, sebbene sempreutili ed interessanti, non riescono per la loro inevitabile parzialitào episodicità, a colmare i vuoti e a dissolvere le opacità. Né a con-tribuire con la necessaria tempestività all’individuazione e allaconcretizzazione degli aggiustamenti o delle innovazioni neces-sarie. Il loro costo, inoltre, potrebbe essere significativamente ri-dotto in presenza di un sistema informativo efficiente in gradodi fornire in modalità organizzate i dati essenziali di riferimento.

2. SISTAF. Un sistema statistico nazionale della formazioneprofessionale

La messa a punto di SISTAF, un sistema statistico della forma-zione professionale, da parte del gruppo di ricerca coordinato dal-la Fondazione di Vittorio si colloca in questo contesto di mancan-za di un sistema unico e nell’ambito del più ampio sistema dellestatistiche nazionali pubbliche (SISTAN). Dalla sperimentazioneSISTAF dell’ISFOL, conclusasi nel 2010, si è passati a un primo

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Anna Teselli, Patrizia Sposetti

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modello operativo SISTAF1 messo a punto e implementato con13 Regioni2 –, attarverso l’’esperienza del progetto FORMA, rea-lizzato per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Socialitra il 2008 e il 2010 e finalizzato a sperimentare un modello dianalisi dell’efficacia della Formazione Professionale per i giovaniin alcune realtà regionali3. Per raggiungere l’obiettivo, ovvero pervalutare l’efficacia dei cosiddetti percorsi triennali di IeF in ordineall’occupabilità o al rientro nel secondo ciclo del sistema di istru-zione, FORMA ha infatti costruito un sistema operativo che hamesso a sistema le anagrafi regionali della Formazione Professio-nale tra loro e con gli archivi della COB.Il data Model di SISTAF (figura 1) ha permesso di realizzare

una sperimentazione per l’integrazione dei micro dati presentinelle anagrafi formative con quelli degli archivi regionali delleComunicazioni obbligatorie, partendo, come unità di analisi,dal beneficiario dell’intervento ovvero “la persona”. Focus che,nella esperienza realizzata, ha consentito di ricostruire la carrieraformativo-professionale del soggetto a cui sono destinate misuree interventi e quindi di fornire informazioni sistematiche sui per-corsi individuali e sugli effetti delle politiche. La centralità del-l’entità Persona consente, infatti, potenzialmente l’integrazionecon altri data base regionali (es.: anagrafe degli studenti, db Inps,etc.) Il data model, inoltre, standardizza la struttura dei dati peranalizzare le informazioni degli archivi regionali delle COB, ol-

1 Si fa riferimento al progetto realizzato per conto di Isfol e del Ministerodel Lavoro e delle politiche sociali da parte della Fondazione Di Vittorio(già IRES e poi Associazione Bruno Trentin), finalizzato alla prima realiz-zazione del Sistema Statistico sulla Formazione Professionale a finanzia-mento pubblico - SISTAF.

2 Le regioni sono: Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana, Marche, Lazio,Puglia Liguria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Molise, Basilicata e Sar-degna.

3 Lombardia, Veneto, Marche, Lazio, Campania. Per maggiori dettagli, cfr.Teselli A., 2011, L’efficacia della formazione professionale, Donzelli, Roma.

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tre che sull’insieme dei contratti, sul totale dei soggetti titolaridei contratti stessi, per sviluppare analisi longitudinali. Esso, in-fine, raccorda le diverse Comunicazioni Obbligatorie relative aduno stesso soggetto. Grazie all’approccio di base adottato per cuiil ‘Rapporto di lavoro’ è l’entità principale definita nel tempo daeventi diversi, sono automatizzate le procedure in grado di colle-gare le varie tipologie di COB (assunzioni, proroghe, trasforma-zioni e cessazioni). In tal modo si possono sviluppare delle cateneinformative sui percorsi di lavoro in chiave longitudinale: adesempio, si possono analizzare le trasformazioni di uno stessocontratto oppure, nel caso di soggetti con più contratti, le suc-cessioni delle varie tipologie contrattuali.

Figura 1. Il Data Model di SISTAF

Di fatto SISTAF offre la possibilità di disporre di un sistemastatistico informativo per la raccolta di dati sulla formazione pro-fessionale finanziata dalle Regioni e sul mercato del lavoro e dimonitorare e valutare gli effetti delle politiche pubbliche nel

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campo della formazione professionale e delle politiche attive dellavoro. Questo attraverso l’utilizzo delle banche dati amministra-tive e dei micro dati delle persone che beneficiano di interventie misure finanziati dal pubblico, utilizzabili per ricostruire le car-riere formative e professionali dei beneficiari di percorsi di inse-rimento e reinserimento occupazionale.

3. Lavorare con le regioni. la necessità di un approccio parteci-pativo

Capitalizzare il patrimonio informativo delle Regioni si è dimo-strato possibile solo in un’ottica partecipata, valorizzando e ani-mando le competenze, energie, esigenze di monitoraggio e di va-lutazione presenti negli uffici regionali. Per ottenere tale risultatosi è dimostrato utile anche lasciare alle singole Regioni la decisio-ne sulle tipologie formative di cui rilasciare i dati e sulle annua-lità da contemplare: che è indubbiamente un limite quantitativo,ma che è stato una delle leve che ha consentito la condivisione ela successiva standardizzazione delle informazioni contenute nel-le anagrafi regionali della formazione professionale. Uno dei passaggi cruciali, del resto, è stata proprio la definizione,d’intesa con le Regioni, del data model, inteso come strumentoche consentisse sia di omogeneizzare dati provenienti dai diversied eterogenei archivi formativi regionali sia di costruire le condi-zioni di una tracciabilità dei percorsi formativi-lavorativi dei be-neficiari della formazione. La “popolazione” del sistema, infatti,non sarebbe stata possibile senza una preventiva “normalizzazio-ne”, in base ad indicatori condivisi, dei dati provenienti dalleanagrafi regionali della formazione a finanziamento pubblico. Leanagrafi delle Regioni, infatti, presentano caratteristiche orga-nizzative e di trattamento dati molto disomogenee nelle diverserealtà, e il data model proprio per questo ha dovuto basarsi sullacondivisione delle variabili comuni alle diverse anagrafi regiona-li. Le anagrafi formative, inoltre, essendo nate ed essendosi poi

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consolidate per motivi di natura rendicontativa, se dispongonodi dati amministrativi sufficientemente completi (ad esempiocodici fiscali, data di nascita degli allievi, stato di frequenza delcorso, acquisizione della qualifica ecc.), sono invece povere di in-formazioni utili a dar conto della qualità ed efficacia dei percorsi,nonché a restituire le specificità dei percorsi individuali4.Le note difformità territoriali nelle politiche formative nazio-

nali sia sul versante della produzione normativa, sia su quellodelle strutture politiche, amministrative ed organizzative, chedefiniscono un contesto altamente eterogeneo e frammentato,ha reso indispensabile un approccio partecipativo, che ha vistolavorare insieme ricercatori, referenti regionali e attori della FP.Gli incontri sono stati sempre realizzati in chiave di condivisionee partecipazione. Pur a fonte di una frequente numerosità deigruppi, a una fase di illustrazione metodologica sono sempre se-guite fasi di confronto con risposta a eventuali questioni, nellaforma della discussione guidata, prima in presenza e poi a distan-za. Parallelamente sono state condotte simulazione d’uso dellostrumento e condivise le modalità dell’affiancamento a distanzae le tempistiche di lavoro.

4 Tanto per dare qualche idea dei problemi a cui è stato necessario dare unasoluzione, è utile evidenziare che la logica tutta rendicontativa delle anagrafinon rappresenta l’organicità/continuità di corsi che si sviluppino su più an-nualità (come nel caso dei percorsi triennali che dunque devono essere rico-struiti attraverso specifici dispositivi); che talora è stato necessario completa-re le anagrafi formative attraverso una raccolta dati presso le agenzie forma-tive accreditate o ricondurre a un quadro unico ed omogeneo banche datidifferenti presenti in uno stesso ambito regionale; che la tracciabilità dei per-corsi individuali va ricostruita utilizzando il Codice Fiscale della “persona”che, in quanto tale, può in un periodo dato, essere stato più volte “allievo”di diversi corsi; che i titoli dei corsi, anche nel caso dei percorsi triennali fi-nalizzati a un set di qualifiche condivise e valide a livello nazionale, sono soloraramente esplicativi della tipologia delle qualifiche in uscita; che non è af-fatto scontato, a partire dai titoli dei corsi o dalla definizione delle qualifiche,risalire ai settori economico-produttivi di riferimento.

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Anna Teselli, Patrizia Sposetti

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4. Conclusioni

Solo in collaborazione con le amministrazioni centrali e regiona-li, si può trasformare il patrimonio di dati – che già esiste ed èmolto ricco – in informazioni e in prodotti conoscitivi che lestesse amministrazioni possono utilizzare per fare valutazioni diefficacia dei programmi di politiche attive da loro finanziati.Questa conoscenza, in Italia ancora poco diffusa, è oggi strategi-camente necessaria, dal momento che l’Agenda europea 2014-2020 insiste ancor di più sulla promozione di un approccio cen-trato su azioni misurabili e lo rende una condizionalità ex ante:a ogni Stato membro è richiesta l’adozione di strumentazioni(tecniche di analisi, strumenti informativi, indicatori, etc.) ingrado di monitorare in itinere i risultati attesi per rendere effet-tivamente valutabili i risultati ottenuti, soprattutto in termini diricaduta sui destinatari.

Riferimenti bibliografici

Teselli, A. (ed.) (2016). La formazione professionale e le politiche attivedel lavoro in Italia. Misure, esiti e carriere. Roma: Carocci.

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IV.2 –––––––––––––––––Un progetto di Visiting Researcher in Ludopedagogia per la formazione iniziale e in servizio degli insegnantiA Visiting Researcher Project on Ludopedagogy for initial and in-service teachers’ formation –––––––––––––––––Mina De SantisUniversità di Perugia Ariel Castelo ScelzaMinistero dell’Educazione Nazionale Uruguay (CODICEN ANEP) Tina NastasiI.C. Angelica Balabanoff, RomaLorella Lorenza BianchiUniversità di Perugia

Il progetto di Visiting Researcher di ricerca-formazione, “Cit-tadini in gioco”, attivato insieme alla cattedra di Didattica ge-nerale, ispirato alla Ludopedagogia (LP), ha visto la partecipa-zione del prof. Ariel Castelo, della prof.ssa Tina Nastasi, il co-involgimento di insegnanti della scuola dell’infanzia e dellascuola primaria tutor dei tirocinanti, una tutor organizzatricedel tirocinio del CdL, insieme ad un gruppo di 25 studenti diScienze della Formazione Primaria. Il progetto si è svolto inquattro fasi, nella prima il gruppo di ricerca ha attivato il La-boratorio di LP all’interno del quale ha sperimentato il concet-to di enseñaje (Pichon Rivière, 2001) in un ambiente di ap-prendimento/relazionale, orientato allo sviluppo integrale del-la persona, tentando una possibile trasformazione della scuoladelle nozioni, in scuola di vita (Morin, 2014) attraverso attivi-tà ludiche. Nella seconda fase sono stati costruiti strumentid’analisi e di raccolta dati della ricerca/formazione. Nella terzafase si sono svolti gli incontri di ricerca/formazione con i grup-pi-classe coinvolti, per monitore l’applicazione dei principidella LP. La quarta fase è stata dedicata alla raccolta e all’analisidella documentazione e alla valutazione del percorso.

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The Visiting Researcher project of training-research, titled“Citizens in Play” was created together with the Chair of Gen-eral Education; It was inspired by Ludopedagogy (LP), withthe participation of Prof. Ariel Castelo, of Prof. Tina Nastasi,with kindergarten teachers’ involvement and primary schooltrainees’ tutors, an educator responsible in organizing the for-mation of the CdL, together with a group of 25 students fromthe School of Education (Scienze della Formazione Pri-maria).This project was carried out in four phases, in the firstthe research group activated the LP Laboratory in which he ex-perimented the concept of enseñaje (Pichon Rivière, 2001) ina learning / relational environment focused on the person’scomplete development; through recreational activities, it at-tempted a possible transformation of the school of notions, in-to school of life (Morin, 2014). In the second phase, analysisand data collection tools were constructed for research / train-ing. In the third phase the research / training meetings wereheld with the involved class groups, to monitor the applicationof the cardinal principles of LP. The fourth phase was dedicat-ed to the collection and analysis of documentation and evalu-ation of the formation path.1.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: formazione iniziale, formazione in servizio, lu-dopedagogia, didattica laboratoriale, didattica ludica.

Keywords: initial formation, in-service training, ludopeda-gogy, laboratory teaching, ludic didactics.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Formare attraverso la Ludopedagogia

Partendo da una delle priorità da raggiungere nel 2020, lo svi-luppo professionale continuo dei docenti (Eurydice, 2006,2013, 2016) nelle politiche europee dell’istruzione e della for-mazione, e dalla legge n.107/2015, art. 1, comma 124, che hasancito l’obbligatorietà della formazione del personale docente,abbiamo avviato un progetto di ricerca/formazione che ha vistoil coinvolgimento attivo di un gruppo di studenti, insieme ad in-segnanti in servizio che li accolgono come tirocinanti. Se è veroche la formazione iniziale degli insegnanti «è finalizzata a quali-ficare e valorizzare la funzione docente attraverso l’acquisizionedi competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali» (art. 2, D.M. n.249/2010), è pur vero che bisogna sostenere e rafforzare la pro-fessionalità docente (Hattie, 2012; Catalano, Perrucchini, Vec-chio, 2014; Tino, Fedeli, 2015; Grion 2008; Moreno Rubio,2009). Uno degli obiettivi del progetto è quello di incrementarele competenze metodologico-didattiche professionali (Calvani,2011, 2014) con la competenza ludica, al fine di poter favorirelo sviluppo di una didattica ludica (Quaglia, Prino, Sclavo,2009), poiché il gioco favorisce l’apprendimento (Piaget, 1962,Vygotskij, 1967, Bondioli, 1996, Bobbio, 2014) ed offre oppor-tunità per una crescita intellettuale, sociale e creativa (Barnett,1990; Lillard, Pinkham, & Smith, 2010). I corsi di abilitazioneall’insegnamento sono organizzati secondo un “curricola” che af-fianca ai corsi teorici, attività laboratoriali (Baldacci, 2004; DeSantis, 2016) e attività di tirocinio, per la realizzazione di un ap-prendimento riflessivo, indispensabile per la professionalità do-cente (Schön,1993; Britzman, 2003; Fabbri, 2007), poiché atti-vità di tirocinio e attività laboratoriali hanno «un ruolo fonda-mentale in quanto fonte di teorie pratiche e luogo di applicazio-ne di strumenti concettuali in situazioni autentiche e reali» (Zec-ca, 2017, p.732). Alla luce di ciò, abbiamo voluto attivare un la-boratorio di Ludopedagogia (LP) (Castelo Scelza; Osorio Pezza-

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Mina De Santis, Ariel Castelo Scelza, Tina Nastasi, Lorella Lorenza Bianchi

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no; Pescetti, 2010, Bonetti,1992) che si interfacciasse con le at-tività di tirocinio diretto, al fine di sviluppare la costruzione disignificati attraverso l’esperienza. I principi della LP (Barachini,2006) hanno permesso di sperimentare il concetto di enseñaje(Pichon Rivière, 2001) in un ambiente di apprendimento/rela-zionale orientato allo sviluppo integrale della persona (MaxNeef, Elizalde, Hopenhayn, 2011), promuovendo una possibiletrasformazione della scuola delle nozioni, in scuola di vita (Mo-rin, 2014), attraverso la progettazione di un ambiente di appren-dimento dove il gioco è «il perno trasversale di ripensamento diuna forma, di una scuola che va oltre le tradizionali discipline»(Manuzzi, 2002, p.137). Il laboratorio di LP ha dato la possibi-lità di sperimentare le azioni, astrarne il senso, condividerlo eipotizzare una possibile trasposizione didattica. Se il significatodel gioco, che scaturisce dalla conoscenza, era per noi un dato as-sodato, quello che abbiamo voluto recuperare è il senso del gio-co, che si esprime attraverso il vissuto della coscienza e la conni-venza con le cose (Ordini, 2018). Il percorso di ricerca/formazio-ne è stato strutturato in quattro fasi. La prima fase ha visto la rea-lizzazione di tre incontri di formazione alla LP, ai quali hannopartecipato un gruppo di n.25 studenti del CdL in Scienze dellaFormazione Primaria, n.4 insegnanti della scuola dell’infanzia,n.12 della scuola primaria, tutti tutor dei tirocinanti, n.1 tutororganizzatrice del tirocinio del CdL, la docente di Didattica Ge-nerale e due esperti di LP. I tre incontri, di tre ore ciascuno, sonostati caratterizzati da attività ludiche tra adulti, alle quali sono se-guiti momenti di riflessione cosciente su quanto agito e vissuto;da analisi critica delle azioni sperimentate all’interno del gruppoper riflettere sul sé; dall’ascolto degli altri; dalla corporeità vissutae dalla vitalità delle parole narrate. Nella seconda fase sono statiprogettati gli strumenti necessari per la trasposizione didatticaall’interno delle sezioni/classi di riferimento, facendo riferimen-to a quanto sperimentato nel percorso formativo. A tal fine è sta-to necessario elaborare una scheda per individuare le dimensionidi sviluppo da osservare negli alunni; una scheda fotografica del

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setting educativo per poter progettare l’Unità di Apprendimentoda sperimentare nella sezione/classe; una scheda di osservazioneper il monitoraggio dell’intervento di LP; un questionario di va-lutazione del percorso di ricerca/formazione da somministrare aipartecipanti. Nella terza fase i partecipanti hanno trasposto al-l’interno delle sezioni/classi le attività ludiche sperimenta nel la-boratorio LP, con la supervisione dei due esperti. Nella quarta fa-se, si sono analizzati i dati raccolti attraverso il questionario di ti-po qualitativo, somministrato ai partecipanti, mentre l’analisidei dati, delle scheda di osservazione di tipo quantitativo per lavalutazione dell’intervento formativo, è work in progress.

2. Analisi del percorso, punti di forza e di criticità

È stato somministrato, ai docenti che hanno partecipato al pro-getto, un questionario a risposte aperte, per raccogliere i criterisoggettivi del processo attivato, le motivazioni a sperimentarsi inun gruppo di adulti, la tensione professionale verso l’esperienzadella LP e le esperienze pregresse rispetto all’uso del gioco nellapratica quotidiana scolastica. La formazione alla LP non è casua-le, ma è il frutto di sinergie di approcci e di strumenti logico-for-mativi, in particolare questa ricerca indaga le esperienze di giocosociale tra insegnanti, in un contesto di adulti, non certamenteper sviluppare modelli, ma per comprendere razionalmente lacapacità dell’insegnante di gestire intenzionalmente il gioco, co-me complessa strategia sociale e cognitiva. In questo percorso,un grande valore ha avuto il linguaggio orale, intenzionalmenteimmediato durante lo svolgersi dell’esperienza. La comunicazio-ne orale e l’espressività multi-sensoriale hanno avuto spesso lapriorità, mentre talvolta sono rimaste implicite le connessioni lo-giche tra i diversi giochi proposti. Di seguito alcuni punti di for-za e alcune delle criticità dell’esperienza evidenziati dai parteci-panti. L’81,25% delle insegnati in servizio, ha valutato come po-sitivo l’utilizzo del «gioco corporeo tra adulti per rapportarsi au-

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Mina De Santis, Ariel Castelo Scelza, Tina Nastasi, Lorella Lorenza Bianchi

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tenticamente all’altro, per collaborare, per essere un cittadino at-tento». Il 75% ha una visione del gioco come “congegno educa-tivo” e la figura del “docente-mediatore” come accompagnatoreriflessivo dell’esperienza ludica. L’87,5% fa riferimento al gioconella formazione iniziale e continua, per sviluppare “modelli me-tacognitivi”, desunti dall’esperienza diretta, con e tra i parteci-panti, per apprezzare le proprie competenze emotive e relazionaliche portano alla luce una professionalità matura. Il 68,75% af-ferma che le strategie di matrice ludica sperimentate in questopercorso, sono state le più coinvolgenti forme di aggiornamentoprofessionale. Per quanto riguarda le criticità emerse, il 50% evi-denzia la «non adeguata capacità di collaborazione con i colle-ghi», mentre il 56,25% segnala i tempi talvolta pressanti nel con-ciliare il lavoro scolastico con la formazione e la successiva speri-mentazione; il 37,5% sottolinea la mancanza di una osservazio-ne sistematica dell’intero percorso da parte delle colleghe, per ri-leggere e riflettere criticamente sui processi avviati. Le rispostesono state analizzate seguendo un criterio etnografico di sintesi,pertanto si riportano quelli che sono emersi come principali in-dicatori dell’attività svolta. Si rimarca l’utilizzo del gioco corpo-reo per lo “sviluppo di una cittadinanza attiva”; la visione del gio-co come congegno educativo per la trasposizione didattica. Mol-to interessante il riferimento al gioco per sviluppare “modellimetacognitivi”, per affinare la propria capacità di pensare, di so-cializzare, di aprirsi all’altro, di diventare un professionista rifles-sivo. Il quadro delineato si rivela stimolante in quanto, prevale lariscoperta del gioco nelle attività didattiche della scuola prima-ria, ormai eccessivamente secondarizzate; la fiducia da parte ditutte le insegnanti nel miglioramento delle pratiche attraverso laformazione continua; l’auto-aggiornamento; il lavoro di rete conl’Università, con gli Istituti di ricerca; la passione educativa delletirocinanti, che con la loro energia contaminano le insegnanticon una lunga carriera professionale. Per quanto riguarda le cri-ticità, viene sottolinea la diversa intensità di partecipazione delcorpo insegnante alla vita della scuola, in particolare l’impegno

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progettuale non sempre sufficiente. Il 25% dichiara la mancanzadi tempi per favorire un’osservazione sistematica capace di soste-nere la rilettura critica del proprio operato e consentire il decen-tramento cognitivo. Paradossalmente in alcune situazioni si la-mentano i limiti dell’autonomia scolastica, infatti il margine dilibertà data per la formazione e l’aggiornamento viene vissuto dal50% come un peso, perché non adeguatamente sostenuto dallaproposte provenienti dai dirigenti scolastici. Le tirocinanti, inse-rite nelle classi/sezioni sperimentali, hanno evidenziato una fortecarica motivazionale da parte degli alunni, scaturita dalla moda-lità innovativa della didattica ludica, in contrasto con il climastatico respirato nelle sezioni/classi non coinvolte nel progetto.Tale percezione meriterebbe un approfondimento sulla dimen-sione del benessere scolastico, che riguarda la qualità della vitasociale vissuta dagli insegnanti e dagli studenti, che comprendeanche l’intreccio delle relazioni che si stabiliscono con i colleghio con i pari. Il contatto corporeo e il dialogo sperimentati nellaformazione in PL sembrano indicatori utili per un possibile svi-luppo della ricerca.

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Mina De Santis, Ariel Castelo Scelza, Tina Nastasi, Lorella Lorenza Bianchi

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IV.3 –––––––––––––––––Svantaggio linguistico e didattica inclusiva. Una necessità nei contesti di formazione professionale Linguistic disadvantage and inclusive didactics. A necessary measure in professional training -–––––––––––––––––Patrizia Sposetti, Giordana Szpunar Università di Roma “La Sapienza”

Il contributo affronta il tema dei percorsi formativi dei ragazzicon cittadinanza non italiana, nello specifico contesto dellaFormazione Professionale e con particolare riferimento allosvantaggio linguistico e alle possibili strategie didattiche utiliz-zabili. Le rilevazioni nazionali e internazionali dei livelli di ap-prendimento mostrano una sostanziale debolezza nei processidi integrazione scolastica documentata da bassi livelli di scola-rità, irregolarità di carriere, alti tassi di ritardo (ISTAT, 2015;MIUR, 2018) e performance peggiori degli studenti con citta-dinanza non italiana rispetto agli studenti italiani (INVALSI,2017; OECD, 2016, 2017).La mancanza di regolarità nei percorsi può avere diverse cause ri-conducibili, per lo più, a “vincoli e svantaggi (risorse linguisti-che, performance negative, basso capitale sociale e culturaleesperienza diretta di migrazione, ecc.)” o a “variabili territoriali eistituzionali”. Nel caso degli allievi con cittadinanza non italianain percorsi di IeFP nel contesto italiano, l’accesso alla linguasembra configurarsi come elemento di particolare criticità, comeemerge da una indagine Isfol su padronanza e uso della linguaitaliana e del dialetto negli allievi di origine straniera in Lombar-dia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Puglia e Sicilia(Daniele, 2015a e 2015b). I risultati di ricerca evidenziano la ne-cessità di attivare forme di intervento didattico relative alle di-mensioni del potenziamento dell’apprendimento della linguaitaliana e della valorizzazione della didattica multiculturale.Dal punto di vista didattico fulcro degli interventi sembra rap-presentato dal passaggio dall’insegnamento della lingua a unaprospettiva di Educazione linguistica. Certamente il contesto

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della IeFP rappresenta il segmento più inclusivo del nostro siste-ma educativo (Mion, 2016; Peretti, 2016), e la IeFP ha un ruolodi rilancio e rimotivazione ai giovani di origine straniera (Dal-l’Ò, 2017) e le metodologie attive largamente presenti e prassiconsolidata nella IeFP rappresentano un importante punto diforza e di partenza. Tuttavia, restano da risolvere criticità legateda un alto alla formazione dei docenti e dall’altro al passaggio daforme di intervento spontanee e circoscritte a interventi sistemi-ci e formali (Daniele, 2015b), che permetterebbero anche dicolmare il divario tra i percorsi degli allievi con cittadinanza nonitaliana nella formazione professionale e le modalità di esame inparticolare per il completamento del IV anno.

This paper deals with the training strategies for young stu-dents who do not have the Italian citizenship within the spe-cific context of Vocational Training and with particular refer-ence to the linguistic disadvantage and the possible teachingmethods. National and international surveys of the learninglevels highlight the weakness in the school integration process-es, which is also evidenced by the low education levels, irregu-lar studies, high delay rates (ISTAT, 2015; MIUR, 2018) andworse performance of non-Italian students compared to theItalian ones (INVALSI, 2017; OECD, 2016, 2017)Irregular studies are due to different reasons, mostly attributa-ble to “constraints and disadvantages (linguistic resources,negative performances, low social and cultural capital, directmigration experiences, etc.)” or to “local and institutionalvariables”. As for non-Italian students attending VocationalTraining and Education courses (IeFP) in the Italian context,the access to the language seems to be particularly critical, asalso attested to by an ISFOL survey on the proficiency and useof the Italian language and dialect among the foreign studentsin Lombardy, Veneto, Emilia-Romagna, Tuscany, Lazio, Apu-lia and Sicily (Daniele, 2015a e 2015b.) The research resultsshow the need for didactic measures relating to the enhance-ment of the learning of the Italian language as well as of mul-ticultural didactics.From the didactic point of view, the core of these measures isrepresented by the shift from the teaching of a language to alinguistic education. Certainly, the IeFP context is the mostinclusive element of our educational system (Mion, 2016,Peretti, 2016), and the IeFP has a driving and motivating ef-

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fect on young foreign people (Dall’Ò, 2017) and the activemethodologies largely present in the IeFP are an importantstarting point and strength. However, there are still some crit-icalities relating on the one hand to the training of teachersand on the other hand to the shift from spontaneous and lim-ited interventions to systemic and formal measures (Daniele,2015b), which would help fill the gap between the studies ofnon-Italian students within the vocational training path andthe examination procedures, with special reference to the con-clusion of the fourth year.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: didattica e FP; pari opportunità linguistiche;educazione linguistica; allievi con cittadinanza non italiananella IeFP.

Keywords: didactics and professional training; equal linguis-tic opportunities; linguistic education; non-italian students at-tending IeFP courses.

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1. Introduzione

La dispersione scolastica degli studenti con cittadinanza non ita-liana, pur essendo un fenomeno in contrazione, rappresenta an-cora un tema rilevante nei percorsi di istruzione e formazione inItalia. La regolarità dei percorsi scolastici rappresenta, infatti,una delle dimensioni attraverso le quali si può valutare il livellodi integrazione scolastica e sociale dei ragazzi stranieri. Il passag-gio più complesso, così come per gli studenti italiani, è senzadubbio quello dalla scuola secondaria di primo grado alla scuolasecondaria di secondo grado e ai percorsi professionalizzanti: intale transizione sembrano amplificarsi le differenze di opportu-nità legate all’appartenenza etnica.

2. Gli allievi con cittadinanza non italiana nel sistema dell’iefp:quale inclusione?

Dei ragazzi con cittadinanza non italiana licenziati nel2016/2017 il 92,1% si iscrive a un percorso di istruzione o diformazione professionale. Le scelte relative ai percorsi successivialla scuola secondaria di primo grado si orientano per la maggiorparte dei ragazzi (83,2%) verso la scuola secondaria di secondogrado: il 77,1% si iscrive a Licei e a Istituti Tecnici e Professionalie il 4,1% alla IeFP complementare e integrativa. L’8,9 % dei li-cenziati sceglie di frequentare corsi IeFP presso strutture forma-tive accreditate dalle Regioni. Il 7,9% dei ragazzi non comunicaalcuna scelta, ma alcuni di loro potrebbero aver deciso di iscri-versi a corsi di IeFP regionale1 (Miur, 2018).Gli studenti stranieri si iscrivono alla formazione professio-

1 Nell’A.S. 2016/2017 solo alcune regioni hanno aderito alla procedura diiscrizione online. Per tutte le altre regioni è difficile avere dati certi relativisulle presenze nella formazione professionale regionale.

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nale iniziale direttamente in uscita dalla scuola media in misuramaggiore (51,2%) rispetto ai coetanei italiani (39,8%) i quali,per lo più (54,2%) passano prima per una scuola superiore.Questo dato sembrerebbe disegnare una situazione in cui la de-cisione di intraprendere un percorso di formazione professiona-le risponde per gli studenti stranieri a una esigenza di professio-nalizzazione precoce e per gli studenti italiani a una scelta di ri-piego (MIUR, 2018).La scelta del percorso successivo alla scuola secondaria di pri-

mo grado appare legata sia per gli stranieri sia per gli italiani allavotazione conseguita alla licenza media: i ragazzi infatti decido-no di orientarsi verso percorsi professionalizzanti in misura in-versamente proporzionale alla votazione conclusiva del primociclo di istruzione. È da sottolineare però che mentre la maggio-ranza dei ragazzi stranieri (67,3%) consegue una votazione al-l’uscita della secondaria di primo grado compresa tra 6 e 7, lamaggioranza degli studenti italiani (55,3%) consegue una vota-zione che va dall’8 in su (MIUR, 2018), dato che rappresentauna evidente disuguaglianza di opportunità nell’accesso allescelte formative.Nonostante alcuni elementi indiscutibili di esclusione scola-

stica e sociale costantemente presenti nei percorsi formativi deglistudenti stranieri, la formazione professionale si presenta come ilsegmento più inclusivo del sistema formativo italiano (Dall’Ò,2017). Infatti, mentre gli studenti stranieri presenti nell’istruzio-ne secondaria di II grado sono il 6,6%, nell’istruzione professio-nale arrivano a rappresentare il 15,5% degli allievi. In particola-re, gli studenti stranieri nella IeFP sono il 13,3% del totale.La questione preoccupante riguarda la diminuzione drastica

della partecipazione nel passaggio tra il triennio e il IV anno(-6% nelle istituzioni formative, -10% nella sussidiarietà com-plementare). Questo dato risulta evidente anche dai titoli acqui-siti dagli studenti: i qualificati di origine straniera sono il 14,3%dei qualificati nel sistema IeFP, mentre i diplomati sono solo il3,1% (Inapp, 2017). Ciò rende palese la disparità di opportunità

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tra i giovani di origine italiana e quelli di origine straniera.Uno dei fattori che alimenta tale disparità riguarda natural-

mente livelli di apprendimento e la conseguente accidentalità deipercorsi scolastici e formativi degli studenti immigrati (MIUR,2018). In termini generali, gli alunni stranieri delle scuole secon-darie di primo grado hanno mediamente mezzo punto in menodegli italiani nei voti di Italiano e Matematica (ISTAT, 2016).Nelle prove Invalsi di italiano gli alunni stranieri ottengono ri-sultati sistematicamente più bassi degli alunni italiani e le diffe-renze di punteggio sono tutte statisticamente significative (IN-VALSI, 2017). Un altro fattore rilevante nella disuguaglianza di opportunità,

e strettamente correlato con i livelli di apprendimento, è relativoalla percezione del contesto scolastico e del benessere relazionale(con i docenti e con i pari) e all’autopercezione della riuscita sco-lastica (Giovannini, Queirolo Palmas, 2002; Besozzi, Colombo,Santagati, 2009): anche rispetto a questa dimensione gli studenticon cittadinanza non italiana sembrano trovarsi in una condizio-ne di discriminazione. Basti pensare, a titolo esemplificativo, airisultati PISA 2015, dai quali emerge che gli studenti con unbackground di immigrazione percepiscono in misura inferioredegli studenti italiani (ma anche della media OCSE) l’apprezza-mento da parte dei compagni (OECD, 2016-2017).Entrambi i fattori considerati trovano certamente un trait

d’union nella lingua, in particolare nella lingua italiana come lin-gua seconda, che, nel caso dei giovani studenti stranieri, si fa “se-conda lingua madre”, perché spesso acquisita e praticata accantoal codice materno fin dalla prima infanzia. Una lingua che nonè soltanto una lingua della “sopravvivenza” e dello studio, ma èanche lingua che contribuisce alla costruzione dell’identità per-sonale e sociale, manifestando tutto il suo potere inclusivo (Fa-varo, 2016).

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3. Per una didattica inclusiva. dall’insegnamento della linguaall’educazione linguistica

Nello specifico contesto della IeFP, caratterizzato dalla presenzadi allievi e allieve spesso appartenenti a gruppi sociali a forte ri-schio di esclusione, la questione dell’inclusione sociale e scolasti-ca che assume per diverse ragioni un importante rilievo (Dall’Ò,2017). Questa centralità si salda alla questione della lingua inquanto veicolo privilegiato di inclusione sociale, scolastica e for-mativa. Le competenze linguistiche e comunicative rappresenta-no, infatti, chiave prioritaria di accesso alla cultura e alla socializ-zazione (Balboni, 2009; De Mauro, 2018) e nei contesi scolasticie formativi il possesso della lingua è un elemento che satura piùvalenze: dall’accesso al sapere, anche in una funzione più stru-mentale, a una importante funzione socio emotiva nella crescitadel singolo e del gruppo (Sposetti, 2017). Per i ragazzi con cittadinanza non italiana inseriti nel circuito

della IeFP, i risultati di ricerca evidenziano la necessità di attivareforme di intervento didattico relative alle dimensioni del poten-ziamento dell’apprendimento della lingua italiana e della valoriz-zazione della didattica multiculturale (Daniele, 2015b). Vi è difatto il riconoscimento della insufficienza di un agire didatticocentrato sul puro insegnamento della lingua e nella necessità dipassare a più impegnativi percorsi di Educazione linguistica, cheprevedono diverso statuto curricolare, finalità, attori e strumen-ti. Passare dall’insegnamento della lingua all’Educazione lingui-stica vuol dire passare da una disciplina del curricolo a un’areadel curricolo trasversale; dallo sviluppo della competenza comu-nicativa in una certa lingua al raggiungimento delle mete di cul-turizzazione, socializzazione e autorealizzazione; dalla sola figuradel docente di lingua all’équipe di figure che lavorano nel conte-sto dell’apprendimento insegnamento (Dirigente scolastico, do-centi di area linguistica, figure di sostegno, mediatori); dal ma-nuale di lingua uguale per tutti e per tutte a progetti e percorsididattici mirati (Daloiso, Balboni, 2016).

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All’interno di tale quadro l’attenzione deve spostarsi dal sololinguaggio dello studente al linguaggio del gruppo e del docente,dell’interazione didattica, alla tipologia e accessibilità dei mate-riali didattici utilizzati e, come abbiamo visto, al più ampio pia-no della competenza linguistica polivalente e polifunzionale. Dalpunto di vista pratico un buon punto di partenza è impostare at-tività e percorsi didattici per migliorare l’apprendimento dell’ita-liano come lingua straniera o anche lingua seconda, a partire da“quel che c’è” ossia dai repertori e da quel che gli allievi conosco-no e sanno fare con la lingua. L’approccio è quello laboratorialecentrato sul peso diretto che l’esperienza del singolo e del gruppoesercita nelle situazioni di apprendimento-insegnamento, chepermette di far emergere, confrontare e condividere visioni delmondo anche distanti tra loro, di lavorare sulla consapevolezzadelle proprie capacità e anche dei limiti, e di far emergere i reper-tori linguistici. Tra le principali aree di intervento possiamo ri-chiamare quello delle competenze di letto-scrittura, molto im-portante per le abilità di studio e il tema dei lessici disciplinariinsieme alla dimensione del destinatario e del contesto di comu-nicazione.

4. Conclusioni

Il contesto della IeFP presenta certamente importanti punti diforza tali da rendere tali interventi praticabili. Non solo rappre-senta il segmento più inclusivo del nostro sistema educativo e ipercorsi di IeFP organizzati dalle Agenzie formative rappresenta-no un importante fattore di integrazione e inclusione (Mion,2016; Peretti, 2016), ma in modo più specifico la IeFP ha unruolo di rilancio e rimotivazione ai giovani di origine straniera,in particolare quelli precedentemente esclusi da esperienze scola-stiche fallimentari (Dall’Ò, 2017). Inoltre e soprattutto le meto-dologie attive largamente presenti e prassi consolidata nella IeFPrappresentano un importante punto di forza e di partenza. Al

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contempo però restano da risolvere criticità legate da un alto allaformazione dei docenti e dall’altro al passaggio da forme di in-tervento spontanee e circoscritte a interventi sistemici e formali(Daniele, 2015a, 2015b), che permetterebbero anche di colmareil divario tra i percorsi degli allievi con cittadinanza non italiananella formazione professionale e le modalità di esame in partico-lare per il completamento del IV anno.

Riferimenti bibliografici

Balboni, P. E., (2009). Storia dell’educazione linguistica in Italia. DallaLegge Casati alla Riforma Gelmini. Torino: Utet Università.

Besozzi, E., Colombo, M., & Santagati, M. (2009). Giovani stranieri,nuovi cittadini. Milano: FrancoAngeli.

Dall’Ò, P., (2017). Inclusione sociale e scolastica. Allegati RassegnaCNOS, 3.

Daloiso, M., & Balboni, P. E. (2016). L’educazione linguistica e inter-culturale nella scuola inclusiva. In D. Ianes, S. Cramerotti (eds.),Dirigere scuole inclusive (pp. 254-273) . Trento: Erickson.

Daniele, L., (2015a). Gli allievi di origine straniera nella IeFP: percorsi,inclusione e occupabilità. ISFOL.

Daniele, L., (2015b). Gli allievi di origine straniera in percorsi di IeFP el’accesso alla lingua. ISFOL (Isfol Research Paper, 28).

De Mauro, T. [Loiero S., Marchese, A. (eds.) (2018). L’educazione lin-guistica democratica. Roma-Bari: Laterza.

Favaro, G. (2016). L’italiano che include: la lingua per non essere stra-nieri. Italiano LinguaDue, 1.

Giovannni, G., & Queirolo Palmas, L., (eds.) (2002). Una scuola in co-mune. Esperienze scolastiche in contesti multietnici italiani. Torino:Fondazione Agnelli.

INAPP, (2017). La IeFP tra scelta vocazionale e seconda opportunità.XV Rapporto di monitoraggio delle azioni formative realizzatenell’ambito del diritto-dovere, a.f. 2015-16 (Preprint),https://oa.inapp.org/handle/123456789/110.

INVALSI, (2017). Rilevazioni nazionali degli apprendimenti, www.in-valsi.it.

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Patrizia Sposetti, Giordana Szpunar

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ISTAT, (2016). L’integrazione scolastica e sociale delle seconde generazio-ni, https://www.istat.it/it/files//2016/03/Integrazione-scolastica-stranieri.pdf

Mion, R., (2016). CENSIS 50 anni: “L’Italia che non investe sul futu-ro”. Rassegna CNOS, 1.

MIUR (2018). Gli alunni con cittadinanza non italiana a.s.2016/2017. http://www.miur.gov.it/documents/20182/0/FO-CUS+16-17_Studenti+non+italiani/be4e2dc4-d81d-4621-9e5a-848f1f8609b3?version=1.0

OECD, (2016-2017). Pisa 2015 Results, http://www.oecd.org/pisa/ Peretti, L. E., (2016). Intervista a Don Luigi Enrico Peretti, DirettoreGenerale della Federazione CNOS-FAP. Rassegna CNOS, 1.

Sposetti, P., (2017). Per un’educazione linguistica (democratica). In G.Benvenuto, G. Szpunar (eds.), Scienze dell’educazione e inclusionesociale. Roma: Aracne.

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IV.4 –––––––––––––––––Analisi critica della letteratura europea sulla VET research con particolare riferimento all’OECD Skills Strategy (2017)

Critical analysis of the European literature on VET research with particular reference to the OECD Skills Strategy (2017) –––––––––––––––––Giuditta AlessandriniUniversità degli Studi di Roma TreValerio Massimo MarconeUniversità Ca’ Foscari, Venezia

Il Documento di Sintesi del Rapporto Italia dell’OCSE (le diecisfide per le competenze) ha delineato recentemente una prospet-tiva di “rilancio” del ruolo della IeFP nel nostro contesto nazio-nale. Tale prospettiva intende superare una visione articolata sul-la formazione professionale come seconda chance per gli stu-denti. Una “rilettura” della formazione professionale in questosenso si pone in coerenza all’esigenza di migliorare i percorsi diformazione al lavoro intesi non solo come placement ma anchecome orientamento valoriale alla dimensione lavorativa. Recentidati dimostrano che l’occupabilità degli studenti provenientidalla IeFP e IeFTS è migliore di quella relativa agli studenti pro-venienti in altri settori. L’84% degli studenti che hanno conclu-so un percorso di IFTS si è dichiarato in una situazione lavora-tiva stabile e continuativa e il 51,1% di questi ha dichiarato cheil lavoro svolto corrisponde all’istruzione e formazione fruitanell’ambito dell’IeFTS (fonte Cedefop).Il contributo si articola nella versione integrale in quattro par-ti: a) review delle fonti bibliografiche europee (con particolareriguardo al caso tedesco e svizzero) della VET-related research;b) breve analisi critica dei contributi in riferimento alle tema-tiche di maggiore impatto; c) analisi della correlazione tra ri-forme in essere in Italia e Germania e ricerca pedagogica; d) fo-calizzazione su alcune tematizzazioni fondamentali (insegnan-ti del VET, management&governance del VET, nuove sfide etemi emergenti del settore).

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La metodologia utilizzata dal contributo è quella della ricercabibliografica e della desk analysis (Ilo, Cedefop, Ocse) anchein riferimento particolare al network VETNET di cui i propo-nenti sono membri.

The OECD survey “Sintesi del Rapporto Italia” has outlineda proposal of re-launching VET role in our national context.This perspective aims to overcome an articulate vision on VETas a second chance for students. A rereading of vocationaltraining in this sense is consistent with the need to improve thetraining courses to work, not only as an opportunity of place-ment but also as a value orientation to the working dimension.Recent data show that the employability of students fromVET is better than that for students from other sectors.The paper is divided in four parts: a) review of the Europeanbibliographic sources of VET-related research; b) brief criticalanalysis of the contributions with reference to the issues ofgreatest impact; c) analysis of the correlation between reformsin place in Italy and Germany and pedagogical research; d) fo-cus on some fundamental themes about VET. The methodol-ogy used is the bibliographic research and desk analysis even inparticular reference to the VETNET network of which theproponents are members.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: VET, IeFP, agenda europea, competenze, siste-ma duale.

Keywords: VET, european agenda, skills, dual system.–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

Gli obiettivi di questo saggio partono dalla convinzione che siaquanto mai opportuno oggi disporre di maggiore consapevolezzarispetto al peso che nella ricerca internazionale sta acquisendo iltema della formazione professionale (VET-related research). Laconoscenza e lo studio della letteratura in materia può costituireun prezioso contributo all’avanzamento della ricerca nel settoredella Pedagogia del Lavoro, con particolare riguardo alla com-prensione dei modelli “duali” nella formazione professionale.Vorremmo introdurre questo scritto partendo da una rifles-

sione sul tema dell’occupazione giovanile nell’Agenda per lo svi-luppo sostenibile (L’Agenda ONU 2030).Questa importante proposta mette al centro della discussio-

ne e degli indirizzi di governance per i responsabili politici unanuova visione di sviluppo umano, una nuova attenzione al lavoro‘decente’ ed ad un’occupazione piena e produttiva per i giovani.Occupazione giovanile come contrasto alla povertà, dunque,crescita economica, pace e prosperità. L’obiettivo 8, in partico-lare, riconosce la centralità della sfida dell’occupazione giovanile eapre la strada per azioni consistenti focalizzate su lavori decentiper i giovani e il loro sviluppo in generale. Nell’obiettivo 4 silegge, inoltre, che entro il 2030 va aumentato il numero di gio-vani e di adulti in possesso di rilevanti skill che includono abilitàtecniche e professionali necessarie per il lavoro. Entro il 2030 leNazioni Unite si propongono poi di assicurare a tutti i giovani,donne e uomini, la possibilità di raggiungere una piena literacye numeracy.Secondo i dati dell’ILO (Global Employment Trends for

Youth 2017) per il 52% dei giovani (15-29 anni) il crowd work èla prima fonte di reddito contro il 28% degli over 30.Riteniamo utile porsi dunque le seguenti domande: quali

sono i processi di apprendimento della pratica in un contesto4.0? Come integrare la VET research con la ricerca long lifelearning? Come integrare la VET research con la ricerca long

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term employability? Quale tipo di apprendimento promossonel giovane facilita la mobilità? Quali sono le difficoltà neiprocessi di internazionalizzazione (diversi background nazio-nali e culturali)?

2. Analisi critica dei contributi di ricerca sul tema della VET

Ci è sembrato utile cercare di comprendere quali approcci teo-rici o pragmatici caratterizzassero di fatto la ricerca europea sulVET anche per comprendere le distanze che caratterizzano laricerca nel nostro paese ed acquisire indicazioni opportune perl’implementazione della ricerca stessa. Da questa analisi secon-do una metodologia di desk research e grazie alla partecipazionepersonale a seminari del VETNET di cui siamo membri, ab-biamo individuato alcune correlazioni tra autori e tipologie diricerca che proponiamo nella tabella seguente. È di particolarerilievo la considerazione che siano in certo modo ben sedimen-tate “tradizioni” di ricerca nei contesti germanofoni e del NordEuropa tesi allo studio dei processi di apprendimento nei con-testi situati dell’apprendimento della pratica. Interessante an-che e nuovo per il contesto italiano l’accento sulla expertise re-lazionale e l’agency trasformativa. La figura che segue intendeproporre un quadro di sintesi dei focus degli autori e delle ti-pologie di approccio.

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TIPOLOGIE I APPROCCIO

TEMATICHE DI MAGGIORE IMPATTO

Focus Autori Teorie

Approccio storicoteorico nei diversi li-velli (scuola, lavoro)

Il ruolo della media-zione e del contestostorico-culturale neiprocessi dell’interazio-ne umana

Yrjö Engeström(2009)Michael ColeLewis Hughes(Australia)

Teorie dell’azione(Engeström)

Approccio epistemo-logico (limitatezzadel concetto raziona-le di conoscenza)

Dai concetti della fi-losofia pragmatica diWittgenstein, Dewey,Schön eDreyfus&Dreyfus

Hilde Hiim(Norvegia)

L’approccio razionaleiper semplifica la re-lazione tra teoria epratica. Esperienza elinguaggio sono ipattern per compren-dere l’apprendimentoprofessionale

Approccio investiga-tivo sull’expertise re-lazionale e l’agencytrasformativa

Come l’attività umanasi integra con la co-operazione e con l’in-terazione tra pari

Marianne TeräsInes Langer-meyerHilde Akerhaus(Norvegia)

DWR (Developmen-tal Work Research)come modalità pertrasformare le prati-che VET e migliorarela qualità della prati-ca (Teoria del doppiostimolo di Vygotsky)

Videoricerca La ricerca come espe-rienza potenzialmentetrasformatrice per i la-voratori attraverso lacreazione di artefattidialogici

L. Kloetzer(Svizzera)

La metodologia in-tende generare unamodalità di elabora-zione collettiva delpensiero individuale(Vygotsky)

Internazionaliz -zazione

Book review sull’in-ternazionalizzazione

Perini eKämäräinen

Desk research e anali-si qualitativa (12 Pae-si)

Internazionaliz -zazione A

Approccio longitudi-nale attraverso intervi-ste in profondità con iVET manager

Rinos Pasura Ricerca empirica

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Giuditta Alessandrini, Valerio Massimo Marcone

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Figura 1: Tematiche di maggior impatto negli studi sul VET e tipologie di approcci (elaborazione a cura degli Autori)

Internazionaliz -zazione B

Analisi del sistema deicrediti previsti dallepolicy europee e delsistema tedesco duale

Kathrin KalejaRegina Egeten-meyerMihae MaryNahm (Corea)Antje Barabasch

Ricerca empirica eanalisi comparata

Internazionaliz -zazione C

Politiche di governan-ce e studio delle misu-re per promuovere lamobilità

Kate Dempsey(Australia)

Analisi qualitativa

Internazionaliz -zazione D(es. Australia)

Analisi dei fabbisognie sfide dei VET tea-cher secondo un ap-proccio empirico

Ly Thy TranTruc Thi ThanhLe

Teorie dei trainingneeds

Analisi delle pratichesociali del conosceree dell’interazione coni pari

Come sviluppare lecompetenze socialiper i giovani svantag-giati. Come analizzarele disfunzioni dell’o-rientamento

Volker Rein Designed based re-search (campione di243 giovani)

Teorico Analisi critica del si-stema duale tedesco alivello micro, meso edesterno (cooperazionetra scuola e impresa).La diagnosi che emer-ge è la simmetria trascuola e impresa

Michael Gessler Ricerca empirica su400 scuole(2017/2018)

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3. Panoramica delle diverse concezioni di VET prevalenti inEuropa

Il Cedefop dal settembre al novembre 2016 ha svolto un’indagi-ne tramite questionario per comprendere le diverse concezionied i glossari nei diversi paesi d’Europa proprio al fine di com-prendere le diversità ineliminabili (anche perché sedimentatesistoricamente) ed agire di conseguenza nelle policies europee. I ri-cercatori hanno potuto elaborare alcune tabelle che noi abbiamotradotto liberamente, sintetizzato e riproposto in questo paragra-fo al fine di mostrare al lettore la varietà degli approcci e delletendenze di ricerca nei paesi europei. Emergono diverse conce-zioni, alcune legate alla cosiddetta educazione generale, alcunealtre al tema dell’apprendistato, altre al tema del life long lear-ning. L’utilità di analisi per il ricercatore italiano è di compren-dere la latitudine concettuale della ricerca sulla VET e cogliereelementi di indirizzo anche rispetto alla fase attualmente vissutain Italia di rinnovato interesse al tema rispetto alle sperimenta-zioni dell’alternanza nelle scuole. Si riscontra inoltre anche a li-vello accademico un nuovo interesse al tema del work based lear-ning e dei sistemi duali (Marcone, 2018).

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1. VET inteso cometirocinio inizialeduale/work basedIdentificato in Dani-marca, Germania,Ungheria, Austria(apprendistato) e Slo-vacchia (apprendista-to); e in un certo gra-do in Islanda e Inghil-terra (apprendistato)

Il VET viene considerato come basato sulla conoscenza pra-tica e sull’ “imparare facendo” per i giovani (riconosciuticome apprendisti) per divenire membri di un’occupazio-ne/professione con differenti tutele professionali.Contributo sostanziale delle Aziende (finanziariamente ecome luogo di apprendimento, uguale o più importante del-la scuola) e forte coordinamento tra datori di lavoro (e sin-dacati) sono i presupposti di questa concezione del VET. Èchiaramente associato con il livello medio di istruzione(ISCED-11 livelli 3-4) senza o con diritti di accesso limi-tato all’istruzione superiore. Lo scopo principale del VETè quello di assicurare manodopera qualificata e favorirel’innovazione e la crescita delle imprese.

2. VET inteso comeformazione profes-sionale iniziale

Il VET è inteso come una particolare parte dell’istruzione ini-ziale, dove le scuole finanziate e governate dallo Stato sono illuogo principale di apprendimento e gli allievi sono conside-rati studenti. Nonostante grandi differenze all’interno diquesto tipo di VET si possono distinguere due modelli.

2a. Istruzione scola-stica professional-mente orientataIdentificata in Belgio-Fiandre, Bulgaria,Spagna, Malta, Au-stria (scuola), Roma-nia e Slovenia e in uncerto grado in Repub-blica Ceca, Estonia,Lettonia, Lituania,Slovacchia (scuola),Svezia (scuola)

L’Istruzione scolastica centrata su skills professionali, basatasulle discipline, si svolge prevalentemente in classe (sebbe-ne ci siano anche elementi work based) e le relazioni inse-gnante-studente rappresentano la normalità. Il VET non ènecessariamente specifico per un’occupazione, ma può an-che mirare a campi professionali più ampi, è rivolto a livellimedi e più alti (ISCED-11 livelli 3-5), si rivolge ai giovani(15-19 anni) e fornisce accesso all’istruzione superiore. Leprospettive individuali o sociali sono più evidenti, adesempio la progressione individuale e la crescita personalesono valutate più importanti rispetto all’offerta di mano-dopera qualificata

2b. Istruzione supe-riore e post seconda-ria orientata a varieoccupazioniIdentificata in Croazia,Cipro (IVET), Lussem-burgo, Paesi Bassi, Polo-nia e Portogallo; e in uncerto grado in Grecia,Irlanda (VE), Norvegia,Svezia (post-sec.)

Un ampio range di istruzione più specifica per l’occupa-zione indirizzata anche ai giovani adulti (18-24 anni)per i quali fornire chances di lavoro qualificato e renderepossibile l’ingresso nella vita lavorativa. È più diversifi-cato rispetto al tipo 2a in molti altri aspetti: i livelli diistruzione vanno dal basso verso l’alto e così i livelli dicompetenze (lavoratori semi-specializzati e lavoratoriqualificati); possono essere diversi i tipi di fornitori, leistruzioni e gli approcci di apprendimento. Le opzionischool-based e work-based possono far parte di un unicosistema.

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Fonte: Cedefop, sulla base di un’indagine condotta dal tema 1 del progetto “Thechanging nature and role of vocational education and training in Europe” (2016),in “The changing nature and role of vocational education and training in Europe.Volume 2: results of a survey among European VET experts” (2017), pp.28-29

La traduzione liberamente svolta è nostra

3. VET inteso comeulteriore trainingIdentificato in Inghil-terra, Irlanda (VT) eCipro (CVET)

Il VET è inteso principalmente come formazione continuasul lavoro - per tutti i gruppi di età (ma con elevate percen-tuali di allievi più anziani) a vari livelli (compresi i livelli in-feriori, come ISCED-11 livello 2) per diventare lavoratorisemi-qualificati, qualificati o professionisti (senza diritti pro-fessionali specifici) - offerta da una gamma più ampia di for-nitori di ulteriore istruzione superiore. Fanno parte di questogruppo programmi per disoccupati o per seconde opportu-nità. L’ingresso nella vita lavorativa o l’occupabilità sonoconsiderati più importanti dell’identità professionale. Leopinioni dei datori di lavoro sono dominanti e il VET è con-siderato un mezzo per garantire l’offerta di manodopera quali-ficata e promuovere l’innovazione e la crescita economica.

4. VET inteso come(parte del) lifelonglearningIdentificato in Francae Finlandia, e in uncerto grado in Irlanda(VT), Grecia, Croa-zia, Italia e Lussem-burgo

Il VET è inteso come la coesistenza (organizzata) di undiverso insieme di: approcci di apprendimento (basatisulla disciplina o sull’esperienza), siti di apprendimento,livelli di formazione e competenze (semi-qualificati,qualificati e professionisti), gruppi di età, status dei di-scenti (apprendisti o studenti), tipi di providers (scuole,aziende, istruzione superiore), tipi di istruttori (inse-gnanti, formatori, maestri), risultati di apprendimento(sia specifici dell’occupazione sia più generici, ma anchepre-professionali) e tipi di qualifiche (professionale o diistruzione). Di conseguenza, il VET è associato a variscopi (anche più bilanciati) tra cui equità e inclusione.L’IVET e il CVET fanno parte di una concezione dellaVET nella forma di apprendimento permanente

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4. Alcune riflessioni conclusive

Dalla ricerca internazionale non emerge una best way nel VET:esistono in Europa sostanziali diversità di approcci e quindi lanecessità di un mutuo confronto da parte del ricercatore.Il tema fondamentale è come interpretare anche a livello di

framework teorici il concetto di “conoscenza professionale”. Se-condo alcune linee di ricerca tale conoscenza è contestuale e oli-stica: si identifica in un complesso di “fisicità”, abilità di compren-sione intellettuale, valori, capacità imitative, ma soprattutto in-tegrazione dell’esperienza con il pensiero individuale.La domanda aperta che ci poniamo anche in quanto pedago-

gisti del lavoro è la seguente: sono sufficienti i contenuti curricu-lari della formazione professionale nel nostro Paese a fronte dellacomplessità (anche sul piano epistemologico) dell’apprendimen-to delle pratiche professionali e delle nuove soft skill richiestedall’introduzione della robotica nei contesti professionali e degliscenari di crowd work nel futuro del lavoro? Altre questioni di ri-cerca emergente sono anche correlate alle seguenti aree: comecontrastare la crescita dei NEET? Come organizzare una forma-zione professionale per gli adulti low skilled? Quale il ruolo del-l’NQF per supportare il miglioramento formativo dei giovaninon qualificati? Quali elementi di didattica innovativa possonoemergere dalla curriculum research (si veda l’esempio della Nor-vegia). Si tratta di temi aperti e di grande valore politico che at-tendono l’impegno di giovani ricercatori e dottori di ricerca.L’auspicio è che anche in Italia si rinnovi l’interesse per gli

studi sul VET secondo approcci che siano anche legati alle di-mensioni epistemologiche dell’apprendere dalla pratica e secondologiche comparate tra i modelli e le buone pratiche di ricerca inEuropa.

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Riferimenti bibliografici

Alessandrini, G., (2017). Atlante di pedagogia del lavoro.Milano.Cedefop, (2014). Relazioni sull’istruzione e la formazione professionale

(IeFP) in Italia. Luxembourg.Cedefop, (2017). The changing nature and role of vocational education

and training in Europe. Volume 2: results of a survey among Euro-pean VET experts”, Salonicco.

Gessler, M., (2017). Formation of the German dual apprenticeshipsystem and the challenge of cooperation between schools and com-panies. In G. Alessandrini, Atlante di pedagogia del lavoro.Milano.

ILO, (2017). Global employment trends for youth 2017. Ginevra.Marcone, V.M. (2017). Work-based learning: uno dei pilastri del lavo-ro liquido. Metis, VII/2017.

Moreno Herrera, L., (2017). Cultural historical theory & VET – Acontribution to broadening the theoretical grounds of research inVET. Nordic Journal of Vocational Education and Training. Linkö-ping.

OECD, (2017). OECD skills strategy diagnostic report Italy 2017. Paris.Perini, M., & Kamarainen, P., (2018). Book review: Internationaliza-tion in vocational education and training. IJRVET, 5, 1, Bremen.

Rauner, F., & Piening, D. (2015). Die qualität der lernortkooperation,A+B Forschungs bericht, 20, Forschungsnetzwerk Arbeit und Bildung.Bremen.

United Nations, (2015). Transforming our world: the 2030 Agenda forSustainable Development, A/RES/70/1.

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Giuditta Alessandrini, Valerio Massimo Marcone

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IV.5 –––––––––––––––––L’approccio flipped: un’opportunità di innovazione didattica per l’apprendimento inclusivoFlipped approach: an opportunity of didactic innovation for inclusive learning –––––––––––––––––Fabio Bocci, Martina De CastroDaniela Olmetti Peja, Umberto ZonaUniversità degli Studi Roma Tre

Gli autori illustrano i risultati della sperimentazione che ha co-involto oltre 1000 insegnanti di ogni ordine e grado impegnatiin corsi di formazione professionale presso numerosi istituti diRoma e provincia. Nel contributo viene proposta una riflessio-ne sull’utilizzo didattico delle varie forme di approccio rove-sciato, tesa a individuare gli elementi di effettiva innovazionee le possibili integrazioni da apportare per far fronte alle piùcomuni problematicità riscontrate dai docenti nell’ambito del-la loro attività. Un tema sul quale gli autori si sono soffermatiriguarda le modalità di costruzione dei gruppi di lavoro, inquanto l’assenza di criteri di selezione dei membri dei gruppiè sinonimo, spesso, di dispersione di energie e problematicitàdi vario tipo; la predisposizione di un ambiente del compito ri-spettoso delle peculiarità soggettive e in grado di valorizzare lecompetenze di ciascun componente risulta pertanto necessa-ria. Si è dimostrato che la composizione dei gruppi non deveessere lasciata al caso, né risultare genericamente “eterogenea”,bensì risultato dell’osservazione sistematica del gruppo-classeda parte del docente, che deve dotarsi di strumenti di rileva-zione dei profili cognitivi/affettivi attendibili.

The authors illustrate the results of the experimentation thatinvolved more than 1000 teachers of every order and degreeengaged in professional training courses at numerous insti-tutes in Rome and its province. The essay proposes a reflectionon the didactic use of the various forms of flipped approach,aimed at identifying the elements of real innovation and the

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possible integrations to be made in order to cope with themost common problems encountered by teachers in the con-text of their activity. A theme on which the authors have dweltis the way the working groups are built, because the absence ofcriteria for the selection of the members of the groups is oftensynonymous of energy dispersion and problems of variouskinds; the preparation of an environment of the task respectfulof subjective peculiarities and able to enhance the skills of eachmember is therefore necessary. It has been demonstrated thatthe composition of the groups should not be left to chance,nor should they be generically “heterogeneous”, but rather theresult of the systematic observation of the group-class by theteacher, who must equip himself with tools for detecting thecognitive/affective profiles reliable.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: flipped lesson, EAS, intelligenze multiple, in-clusione, formazione professionale.

Keywords: flipped lesson, EAS, multiple intelligences, inclu-sivity, professional training.

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Fabio Bocci, Martina De Castro, Daniela Olmetti Peja, Umberto Zona

1. Introduzione

Anche nel nostro paese la didattica flipped sta conoscendo, negliultimi anni, un interesse e un utilizzo notevoli tra i docenti diogni ordine e grado. Il favore riservato a questa metodologia,spendibile con esiti positivi nell’ambito della didattica inclusivasupportata da tecnologie digitali, è testimoniato anche dall’im-pegno rilevante profuso per la sua diffusione dalle maggiori asso-ciazioni del settore Educational. Diverse università italiane, inol-tre, hanno inserito fra le proprie attività di ricerca lo studio dellalezione rovesciata; tra queste, va sicuramente citata l’UniversitàCattolica di Milano, presso la quale il Pier Cesare Rivoltella hasviluppato il metodo EAS (Episodi di Apprendimento Situato) e ilLaboratorio di Ricerca per lo Sviluppo dell’Inclusione Scolasticae Sociale, coordinato dal prof. Fabio Bocci presso il Dipartimen-to di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi RomaTre, i cui componenti della sezione Didattica e Tecnologie hannosviluppato la ricerca i cui esiti parziali sono qui illustrati.

2. Elementi di innovazione progettuale in prospettiva inclusiva

Per garantire la progettazione di una lezione rovesciata in gradodi sollecitare un approccio creativo alle varie fasi del processo diapprendimento e, in particolare, a quella pre-operatoria, ci è par-so opportuno fare riferimento alla teoria dell’apprendimento si-gnificativo sviluppata negli anni sessanta del secolo scorso daDavid Ausubel. L’approccio flipped, in effetti, non può rinnegarele sue profonde connessioni con la pedagogia di Ausubel, soprat-tutto per quanto concerne l’accertamento del possesso di cono-scenze pregresse pertinenti. La presentazione e l’organizzazionedel materiale di apprendimento e, ovviamente, l’utilizzo degli or-ganizzatori anticipati − la cui funzione primaria è quella di anti-cipare all’allievo gli elementi significativi del materiale che verràpoi appreso − è finalizzata a garantire l’integrazione fra vecchie e

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nuove conoscenze, segnalando anche eventuali incongruenze esi-stenti. Caratterizzati da un alto livello di astrazione e generaliz-zazione, gli advance organizer vengono distinti da Ausubel inespositivi (il cui compito è fornire un concetto di partenza sulquale innestare le nuove informazioni) e comparativi (che, utiliz-zando materiali familiari all’allievo, evitano un brusco impattoalle nuove conoscenze da acquisire).Il nostro gruppo di lavoro ha iniziato a sperimentare lo sche-

ma di insegnamento rovesciato e le metodologie a esso associatenel 2016, in occasione di corsi di aggiornamento professionalepresso gli Ambiti 1 e 15 di Roma, rivolti a circa 1350 docenti diogni ordine e grado, che si sono cimentati nella progettazioneguidata di lezioni rovesciate e di EAS. L’obiettivo è stato quellodi sviluppare, da un lato, una profonda riflessione metodologicasull’argomento, tesa a individuare gli elementi di effettiva inno-vazione introdotti dall’approccio flipped e ad analizzarne le rica-dute sulla didattica e, dall’altro, a recepire indicazioni operativee suggerimenti da parte di studenti e insegnanti impegnati nellasperimentazione sul campo. Pertanto, lo schema di rovesciamen-to adottato è stato, inizialmente, quello suddiviso nelle “classi-che” tre fasi − anticipatoria, operatoria, ristrutturativa, secondo ilmodello di Rivoltella −, ma, in corso d’opera, a seguito dell’in-terlocuzione diretta con i docenti, si è ritenuto necessario intro-durre dei significativi accorgimenti, che presentiamo di seguito,all’interno dei singoli momenti.

Nell’ambito della sperimentazione, sono state analizzate le fasicomuni ai vari modelli flipped, evidenziando punti di forza (mag-giore autonomia dell’allievo nel processo d’apprendimento, ricorsoa forme di cooperazione, utilizzo di TIC) e fattori di vulnerabilità,fornendo indicazioni teorico/applicative di miglioramento.Nello specifico:

– per la fase anticipatoria: adozione di un framework concet-tuale meno strutturato rispetto a quello proposto da Bergmann &Sams, al fine di consentire all’allievo un approccio più creativo e

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Fabio Bocci, Martina De Castro, Daniela Olmetti Peja, Umberto Zona

personale agli argomenti della lezione. Abbiamo, pertanto, pro-posto una consegna consistente nella fruizione, da parte degli al-lievi, di sequenze di immagini, frammenti di testi, brevi filmatireperibili in rete, file audio, da utilizzare a guisa di organizzatorianticipati e da organizzare in modo creativo per giungere a co-struire una lezione da presentare in classe nella fase operatoria.L’obiettivo è stato quello di fornire agli studenti delle sollecitazio-ni riconducibili a una tematica di fondo, ma suscettibili di esserelette, interpretate e affrontate in un’ottica creativa e personale.Strettamente connesso alle modalità di progettazione della fasepre-operatoria è il tema della valutazione. L’approccio flipped, in-fatti, prevede che gli studenti lavorino perlopiù in gruppo nel cor-so delle varie attività didattiche, il che costituisce sicuramenteun’opportunità di arricchimento e di sperimentazione di dinami-che cooperative di apprendimento. Tuttavia, riveste un’indubbiaimportanza la possibilità di valutare quanto, in termini di cono-scenze, i singoli studenti abbiano acquisito nella fase pre-operato-ria, nella quale essi si trovano a lavorare a livello individuale; ciòanche in considerazione del fatto che i docenti, stante la norma-tiva vigente, hanno la necessità di elaborare giudizi singoli e chela differenziazione didattica nella prospettiva inclusiva necessitadella differenziazione delle procedure di verifica e di valutazione.Nelle simulazioni allestite nell’ambito dei corsi di formazione

abbiamo pertanto predisposto delle esercitazioni da sommini-strare agli studenti per verificare il livello di conoscenze raggiun-to. Si è optato per l’utilizzo di test da somministrare via Byod, uti-lizzando l’app Kahoot!, da collocare tra la fase preoperatoria eoperatoria, come forma di valutazione diagnostica individualedegli allievi. La scelta è caduta su questa App perché essa consen-te di interagire con gli allievi con modalità ludiche – che rendo-no meno “formale” il momento della verifica;

– per la fase di costituzione dei gruppi: miglioramenti propo-sti per favorire l’eterogeneità (questionario autopercettivo preli-minare per il rilevamento dei profili cognitivi) e la comunicazio-

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ne. L’assenza di criteri di selezione dei membri dei gruppi, infatti,è sinonimo, spesso, di dispersione di energie e problematicità divario tipo; la predisposizione di un ambiente del compito rispet-toso delle peculiarità soggettive e in grado di valorizzare le com-petenze di ciascun componente risulta pertanto necessaria. Du-rante i corsi di formazione abbiamo deciso di utilizzare il que-stionario TRAIM (Test Rilevamento Autopercettivo IntelligenzeMultiple), sviluppato dal Gruppo di Ricerca sulle IntelligenzeMultiple sulla base del modello di W. McKenzie e finalizzato allaricognizione su base autopercettiva dei talenti prevalenti. Il que-stionario in oggetto non ha valore diagnostico ma è basato sul-l’autopercezione di abilità, sentimenti, comportamenti utili a ri-costruire il profilo cognitivo personale in relazione ai vari tipi diintelligenze. In riferimento alla valutazione quali/quantitativa darealizzare al termine del processo, abbiamo scelto di utilizzare,per la valutazione lato docente, le rubriche di valutazione dellecompetenze, in quanto esse consentono di collegare la valutazio-ne di processo a quella di prodotto.

3. Conclusioni

La flipped classroom è una metodologia che ben si presta a essereutilizzata all’interno della didattica per competenze, poiché spin-ge gli alunni a confrontarsi con compiti significativi e a produrredegli artefatti culturali attivando un complesso processo di ap-prendimento in cui crescita e buon risultato di ognuno sonofrutto dell’interdipendenza e del rapporto con gli altri membridel gruppo. Tale risultato va anche letto nell’ottica della persona-lizzazione didattica, con l’obiettivo di valorizzare le peculiaritàapprenditive di ogni singolo allievo, in modo che ciascuno possasentirsi parte attiva del gruppo classe e sperimentare un clima so-ciale e relazionale costruttivo e inclusivo.

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Fabio Bocci, Martina De Castro, Daniela Olmetti Peja, Umberto Zona

Riferimenti bibliografici

Ausubel, D. P. (1988). Educazione e processi cognitivi. Milano: Fran-coAngeli.

Bergmann, J. & Sams A. (2016). Flip your classroom. La didattica capo-volta. Firenze: Giunti.

Bocci F., De Angelis B., Fregola C., Olmetti Peja D., & Zona U.(2016). Rizodidattica. Teorie dell’apprendimento e modelli didatticiinclusivi. Lecce: Pensa MultiMedia.

Gardner H. (1987). Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligen-za. Milano: Feltrinelli.

McKenzie W. (2006). Intelligenze multiple e tecnologie per la didattica.Strategie e materiali per diversificare le proposte di insegnamento.Trento: Erickson.

Rivoltella, P. C. (2013). Fare didattica con gli EAS. Brescia: La scuola.Rivoltella, P. C. (2015). Didattica inclusiva con gli EAS. Brescia: LaScuola.

Rivoltella, P. C. (2016). Che cos’è un EAS. Brescia: La Scuola.

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IV.6 –––––––––––––––––Metafore valutative: implicazioni per la formazione degli insegnanti Assessment metaphors: implications for teacher education –––––––––––––––––Debora Aquario, Elisabetta Ghedin Università degli Studi di Padova

Il contributo si inserisce in una prospettiva di ricerca volta ad esplo-rare i significati che i docenti attribuiscono alla valutazione (McNairet al., 2003; Trepanier-Street et al., 2001; Cantu, 2007; Brown,2004; Mason, 2009; Montalbetti, 2015). L’importanza di ricerche diquesto tipo è duplice: da un lato esplorare i significati comporta faremergere l’implicito che guida l’azione e lo rende condivisibile; dal-l’altro, esplorare tali significati in docenti curricolari e specializzatiper le attività di sostegno permette di comparare punti di vista e per-cezioni nella direzione di una scuola per tutti e per ciascuno. Infatti,in una prospettiva inclusiva e di co-valutazione (Ghedin et al., 2013),diviene importante poter mettere a confronto le idee implicite cheguidano l’agire di entrambe le tipologie di docenti perché solo rive-landole potranno costituire la base per una discussione e un lavorocongiunti (come indicato anche dal DL66/2017, nello specifico agliart. 4 e 7).Le domande che hanno guidato la ricerca riguardano i significati at-tribuiti dai docenti alla valutazione e il modo in cui i risultati posso-no essere usati in ottica di formazione dei docenti. La ricerca si è av-valsa di una metodologia qualitativa e ha coinvolto 70 insegnanti (ipartecipanti differiscono per genere, età, anni di esperienza, distribu-zione geografica, qualifica). Lo strumento utilizzato per la raccoltadei dati è un’intervista semistrutturata, che esplora i significati asso-ciati al processo valutativo e si conclude con una domanda che ri-chiede di associare una metafora alla valutazione. Il software utilizza-to per il trattamento dei dati è Atlas.ti 7.Il contributo intende soffermarsi in particolare sui risultati emersidalle risposte all’ultima domanda dell’intervista, relativa alle metafo-re, le quali possono essere suddivise in macrocontenitori che differi-scono per il significato associato al processo valutativo: valutazione

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come processo, come performance, come obiettivo, come strumento,come feedback, come emozione. Ciascuno di questi significati è colle-gabile ad un aspetto fondamentale della professionalità docente rife-rita alla valutazione. I risultati aprono la strada a interessanti riflessio-ni sull’uso dei dati in vista della predisposizione di attività formative(iniziale e in servizio) dedicate agli insegnanti di ogni ordine e grado.

The paper explores the meanings that teachers assign to assessment(McNair et al., 2003; Trepanier-Street et al., 2001; Cantu, 2007;Brown, 2004; Mason, 2009; Montalbetti, 2015). The studies aboutteachers’ conceptions about assessment suggest two things: first ofall, exploring the underlying conceptions (cultures) means givinglight to the implicit that guides the action (practices) and secondly,exploring different conceptions about assessment (by regular andsupport teachers) allows a comparison of perceptions. In an inclusiveperspective, to compare the implicit ideas that guide the actions ofboth types of teachers becomes important because it could be the ba-sis for collaborative discussion and joint work (as in DL66/2017).The research questions are the following:1) What are the meaningsattributed by teachers to learning assessment? 2) How to use the re-sults for teacher education?Participants: Teachers (N= 70) differs by gender, age, years of expe-rience, geographical distribution, qualification. Instrument: A semi-structured interview developed taking into ac-count the most debated issues in the literature related to assessment.The question that concludes the interview is intended to bring outthe metaphors related to assessment: it was asked teachers to associ-ate a metaphor to the assessment process. The software used for theanalysis of collected data is Atlas.ti 7.The paper will focus on the emerging metaphors that have been di-vided into groups: assessment as a process, as a performance, as agoal, as an instrument, as feedback, as something full of emotions.Each of these groups is linked to a relevant aspect of teacher assess-ment professionality. Findings are presented in relation to teachereducation.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: valutazione; formazione insegnanti; metafore; ricercaqualitativa.

Keywords: educational assessment, teacher education, metaphors,qualitative research.

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Debora Aquario, Elisabetta Ghedin

1. Introduzione

Quando parliamo di valutazione possiamo far dialogare tra loro al-meno due piani, uno relativo ai significati che i docenti attribui-scono a tale processo e l’altro riguardante il versante pratico delleprocedure che si mettono in atto per realizzare la valutazione. Seutilizziamo il linguaggio dell’Index for Inclusion (Booth e Ainscow,2014), potremmo dire che la complessità del processo valutativo èdata anche (non solo) dall’intreccio tra le culture e le pratiche valu-tative, intreccio che condiziona l’operato del docente nella misurain cui la consapevolezza rispetto alle culture promuove un usoconsapevole delle pratiche (Drummond, 2008).Nell’ambito della formazione dei docenti sui temi valutativi, il fo-cus è sul versante delle pratiche, cioè su ciò che in letteratura vienedefinito «assessment literacy (Popham, 2009; Stiggins, 1995), unaalfabetizzazione che riguarda prevalentemente le conoscenze e leabilità nella costruzione e nell’utilizzo di strumenti di raccolta del-le evidenze sugli apprendimenti. Una ricerca sulle culture valuta-tive ha lo scopo di riportare l’attenzione anche sull’altro piano, cheha a che fare con i significati, i valori, le emozioni che sottostannoall’agire valutativo. Intorno alla parola valutazione ruotano signi-ficati importanti per la propria identità di insegnanti e per questaragione Looney et al. (2017) coniano il termine “assessment iden-tity” che intende andare oltre la literacy per avvicinarsi al mondo disignificati che sottostanno alle pratiche.La rilevanza delle ricerche sulle culture valutative diventa an-

cora più evidente se si assume una prospettiva inclusiva (Cane-varo, 2013) in cui si sottolinea il ruolo potenziale della valutazio-ne nel promuovere il diritto all’equità nell’educazione. In riferi-mento al modello bio-psico-sociale del funzionamento (ICF-CY, OMS, 2007) la valutazione può quindi costituire un fattoreambientale che può favorire od ostacolare il funzionamento edu-cativo degli studenti.

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2. Metodo. Partecipanti e strumento di indagine

L’esplorazione delle culture valutative è avvenuta con un gruppodi 70 insegnanti, di cui 34 lavorano nella scuola primaria, 20nella scuola secondaria di primo grado e 16 nel secondo grado(20 nel ruolo di docenti per le attività di sostegno e 50 currico-lari), tramite un’intervista semi-strutturata. L’ultima domandachiedeva di associare una metafora al processo valutativo conl’intento di lasciare a ciascun intervistato lo spazio per dare sensoal mondo valutativo attraverso un’operazione concettuale in cui,tramite l’immagine simbolica, si riescono ad unificare esperienzemolto diverse, apparentemente senza legami tra loro (Bruner,1972). Inoltre, se una persona è in grado di utilizzare le metaforeper esprimere le proprie idee, è in grado anche di ripensare leproprie pratiche, riflettere sul loro valore e rinegoziarne il senso(Stofflett, 1996) e questo diventa particolarmente importante inottica formativa. In questo contributo ci si soffermerà solo sui ri-sultati derivanti da quest’ultima domanda.

3. Risultati. L’uso delle metafore in prospettiva formativa

Le metafore emerse sono state raggruppate in relazione al signi-ficato che esprimono. Un insieme di metafore, generativo rispetto alle opportunità for-mative che mette in campo, si riferisce alla valutazione come pro-cesso: «crescita», «specchio», «fase di un viaggio», «obiettivo interme-dio in una gara», «calice di vino rosso» («...valutare significa fareuna sosta..»; «..è come stare in silenzio con un calice di vino rosso da-vanti al mare»). Questo gruppo di metafore aiuta a considerareda un punto di vista formativo l’importanza dell’autovalutazio-ne. Sostenere l’importanza delle soste significa darsi l’opportunitàdi uno spazio di riflessione che serve per assumere consapevolez-za rispetto ai propri frames e sperimentare la necessità di sceglieretra diverse opzioni. La riflessione in questo senso diventa proces-

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so di valutazione formativa utile per agire nella direzione del mi-glioramento (Centra,1993; Schön, 1987).Sempre in questo primo raggruppamento possiamo collocare lemetafore che si riferiscono alla valutazione come processo macon un elemento aggiuntivo. La metafora «rete da pesca» riman-da l’idea di un processo collaborativo. Queste metafore aiutano ariflettere sulla dimensione della collaborazione nella valutazione,che si traduce almeno in tre pratiche, differenti a seconda dellepersone che sono coinvolte: tra docenti e studenti, tra studenti,tra docenti. Mentre nel primo caso siamo in presenza di un processo co-

gestito docente-studenti, la seconda tipologia si riferisce al peer-assessment rispetto al quale una vasta letteratura scientifica mo-stra che produce effetti positivi in termini di risultati scolastici(Hargreaves, 2007), permette di far emergere abilità relazionali eriflessive (Harris, Brown, 2013) e contribuisce ad un’assunzionedi responsabilità rispetto al processo di valutazione (Andrade &Valcheva, 2009; Black & William, 1998; Price et al., 2007;Munns & Woodward, 2006; Topping, 2013; Sluijsmans et al.,1998). In merito alla collaborazione tra docenti (valorizzata an-che nelle ultime recenti normative, nello specifico ilDL66/2017), la pratica valutativa è rappresentata dal co-asses-sment, come una delle tre dimensioni del co-insegnamento(Ghedin, 2013; Ghedin et al., 2013), tramite la quale i co-do-centi sono attivamente coinvolti nella discussione e nella condi-visione delle concezioni e delle pratiche valutative (Conderman& Hedin, 2012). Un altro gruppo di metafore espresse dai docenti fa riferi-

mento alla valutazione come strumento: «bussola», «finestra»,«binocolo», «lente di ingrandimento», «l’assaggio di un piatto pri-ma di servirlo agli ospiti». Queste metafore aiutano a rifletteresulle differenti funzioni della valutazione, sommativa, formati-va, orientativa per citare le più importanti. La valutazione è unaguida per l’insegnante, permette di pianificare i passi successivi,orienta la progettazione (Tomlinson, 2003; Wiggins e McTi-

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ghe, 2004), è il mezzo tramite il quale si comprendono le diffe-renze in modo adeguato per pianificare al meglio i processi diistruzione per tutti favorendo positivi funzionamenti verso vitefiorenti (Tomlinson & Moon, 2013; Chapman & King, 2012;Wormeli, 2006). Questo presuppone che ci siano un curricu-lum e delle strategie di insegnamento e valutazione pensate inottica universale, cioè non concepite in modo da offrire soluzio-ni educative speciali, ma presentando i contenuti in differentimodalità, con differenti modi di azione ed espressione e con at-tenzione particolare ad offrire diversi modi di coinvolgimentodegli studenti così da renderli fruibili a tutti (Meyer & Rose,2005; Aquario, 2015).Collegato a questi aspetti è un altro insieme di metafore che

fa pensare ad un significato di valutazione legato al feedback:«boomerang», «segnale stradale». Queste metafore aiutano a con-siderare l’importanza del feedback (Brookhart, 2012; Chappuis,2012; Hattie, 2012; Wiggins, 2012; Wiliam, 2012): ad esempio,è importante che venga comunicato in un modo che risulti com-prensibile, in modo da suggerire allo studente come procedere ein modo da contribuire a costruire quel clima di fiducia necessa-rio per promuovere apprendimento significativo.Infine, le metafore raggruppate sotto l’etichetta “dimensione

emotiva della valutazione” diventano anch’esse rilevanti in pro-spettiva formativa nella misura in cui supportano una riflessionedel docente sui vissuti e sugli stati d’animo associati a questo pro-cesso: la valutazione è vista anche come «uno sforzo enorme», «unmacigno», «un mare in tempesta», «un duro lavoro», ma anche co-me un «tocco di colore» («Io vorrei che i miei studenti potessero leg-gere le mie valutazioni sul loro lavoro e potessero capire che sono co-involta, non sono neutrale..quindi io provo a valutare dando un toc-co di colore!»).

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4. Conclusioni

Ciascuno dei significati emersi è collegabile ad un aspetto fonda-mentale della professionalità docente riferita alla valutazione. Irisultati aprono la strada a interessanti riflessioni sull’uso dei datiin vista della predisposizione di attività formative (iniziale e inservizio) dedicate agli insegnanti di ogni ordine e grado. Nellospecifico, il valore della metafora come strumento per sollecitarei docenti ad evocare un’immagine da associare alla valutazionepuò rappresentare un mezzo per legare significati e culture im-plicite a concetti su cui diventa possibile agire nella direzione delcambiamento. Esplorare le culture valutative di docenti currico-lari e specializzati per le attività di sostegno ha permesso inoltredi comparare punti di vista e percezioni nella direzione di unascuola attenta al ben-essere e alla partecipazione di tutti in cui lavalutazione possa essere vettore di cambiamento inclusivo.

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Esperienze

IV.7 –––––––––––––––––Significato e utilizzo del modello di certificazione dellecompetenzeRisultati preliminari di un progetto di ricerca-formazioneThe meaning and the use of the competence certificateFirst results from a participatory research –––––––––––––––––Franco PassalacquaUniversità degli Studi di Milano-Bicocca

Il contributo illustra i risultati preliminari di un progetto di ri-cerca-formazione condotto in collaborazione con un IstitutoComprensivo della Provincia di Bergamo e finalizzato all’ac-compagnamento dei docenti all’utilizzo del modello di certifica-zione delle competenze. La recente introduzione (DM742/2017) del modello di certificazione delle competenze harinnovato il dibattito sullo sviluppo delle competenze valutativedegli insegnanti, tanto in relazione agli strumenti di rilevazionedegli apprendimenti degli studenti, quanto in rapporto al mo-mento interpretativo e comunicativo della valutazione. Attraverso dati raccolti da misure self-report (questionario) estrumenti qualitativi (interviste in profondità), la ricerca in-tende di approfondire i risultati dell’indagine condotta dalMIUR per monitorare la sperimentazione del modello di cer-tificazione di competenze introdotta dalla C.M. n. 3 del13/02/2015. In continuità con le indagini MIUR, gli aspetti maggiormentesignificativi del modello di certificazione riguardano il caratte-re trans-disciplinare del modello competenze; la considerazio-ne delle capacità complessive e trasversali dello studente; lachiarezza e sinteticità nella descrizione delle competenze. Gliaspetti di maggiore criticità del modello riguardano invece ele-menti non pienamente rilevati nell’indagine MIUR; difficoltàa stabile i livelli dell’acquisizione delle competenze; trasferi-mento dei giudizi disciplinari sui livelli di competenza; va-ghezza nella descrizione delle competenze. Un aspetto emersoin maniera secondaria nei questionari e approfondito nelle in-

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terviste in profondità riguarda la difficoltà da parte degli inse-gnanti di perseguire le finalità formative e orientative per lequali il modello è stato progettato. In relazione a tale questionesono presenti alcune considerazioni conclusive.

The present work aims at presenting the first results of a parte-cipatory research done with a group of teachers from a primaryand secondary school and dedicated to the theme of compe-tence evaluation and the use of the competence certificate. The recent introduction (DM 742/2017) of the new versionof the competence certificate has restated the discussion on thedevelopment of evaluative competences of teachers, both re-lated to the use of instruments to assess students’ learning andto the interpretative and communicative moment of the eval-uation: what are the crucial matters that teachers observe inthe use of the competence? How do they conceive the elabo-ration and communication moment of this kind of evalua-tion? Trough self-report measures and qualitative instruments (indepth interview), this study explores some aspects consideredby the Monitoraggio per la certificazione delle competenze, inparticular the strength and the weaknesses of the competencecertificate and the meaning attributed by teachers to the aimsof this document.The results highlight that teachers appreciate the inter-disci-plinary approach promoted by the document; the comprehen-sive evaluation of the students’ learnings; the clarity and con-ciseness of the certificate. From the other side, teachers pointout some difficulties in establishing the level of a competence,the coexistence of decimal notes and descriptive approach toevaluate competences, the vagueness of the competences’ de-scription. A crucial aspect not pointed out by teachers refers tothe formative and vocational meaning of the certificate.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: competenze, certificato, valutazione, credenzedegli insegnanti.

Keywords: competence, certificate, evaluation, teachers’ be-liefs.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

Il contributo illustra i risultati preliminari di un progetto di ri-cerca-formazione condotto in collaborazione con un IstitutoComprensivo della Provincia di Bergamo e finalizzato all’accom-pagnamento dei docenti all’utilizzo del modello di certificazionedelle competenze licenziato con D.M. 742. Il progetto si iscrive,pertanto, nell’alveo della ricerca sullo sviluppo professionale de-gli insegnanti, con particolare riferimento alla promozione dicompetenze di progettazione e valutazione didattica (Nigris,2003, Rossi & Toppano, 2009; Laurillard, 2014) e si pone incontinuità con la tradizione di studi sulle credenze degli inse-gnanti sulla valutazione (Fives, Dacey, Barnes 2014).Più in particolare, il presente lavoro si propone di approfondirei risultati dell’indagine condotta dal MIUR per monitorare lasperimentazione del modello di certificazione di competenze(MIUR, 2017) introdotta dalla C.M. n. 3 del 13/02/2015. In conformità con i presupposti metodologici della ricerca-for-mazione (Asquini, 2018, Magnoler, 2012), l’obiettivo della ri-cerca si caratterizza per un duplice orientamento: per un verso, èteso all’analisi delle modalità con cui gli insegnanti mettono inatto il momento di compilazione e comunicazione del modellodi certificazione delle competenze; per un altro, è rivolto allapromozione del cambiamento professionale degli insegnanti re-lativamente alle pratiche di progettazione e valutazione didatti-ca. In questa sede si presentano i risultati iniziali riguardanti laprima delle due finalità.

2. Il progetto di ricerca-formazione

Il progetto di ricerca-formazione è stata condotto da un ricerca-tore dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca in collabora-zione con 16 insegnanti (8 di Primaria e 8 di Secondaria) e si èstrutturato in quattro fasi (settembre 2017/giugno 2018): 1) In-

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contri di condivisione del disegno di ricerca; 2) Laboratori diprogettazione e valutazione didattica; 3) Analisi condivisa deidati; 4) Restituzione dei risultati.I dati sono stati raccolti mediante misure self report (questiona-rio sull’utilizzo del modello di certificazione rivolto all’interocollegio docente dell’Istituto Comprensivo) e strumenti qualita-tivi (interviste in profondità a 8 testimoni privilegiati; focusgroup pre/post; diario di bordo degli insegnanti). In questa sedesi focalizza l’attenzione unicamente sui risultati relativi alle mo-dalità di utilizzo da parte dei docenti di primaria e secondaria diI grado del modello di certificazione delle competenze, senzaconsiderare i dati relativi allo sviluppo professionale promossodal progetto di ricerca-formazione.Di seguito si riportano i primi risultati dell’analisi qualitativa el’analisi univariata di alcuni item dei questionari somministratidigitalmente (giugno 2018) all’intero collegio docenti e dei breviapprofondimenti tratti dall’analisi delle interviste in profondità.I questionari completi sono 53, 36 di insegnanti di scuola prima-ria e 17 di scuola secondaria di I grado. Il profilo del collegio do-centi è caratterizzato da insegnanti con una significativa espe-rienza professionale: il 47,2% dei rispondenti ha tra i 10 e 25 an-ni di esperienza professionale e il 47,2% ha, invece, più di 25 an-ni. Il 90,6% dei rispondenti possiede un contratto a tempo in-determinato e il 7,5% sono insegnanti di sostegno.

3. Analisi dei dati: confronto con l’indagine MIUR

Si riportano ora i risultati di alcuni quesiti formulati in continuitàcon gli item del Monitoraggio per la certificazione delle compe-tenze (MIUR, 2017). Contrariamente a tale rilevazione, alcuni deiquesiti sono stati posti secondo la tipologia della domanda apertacon il proposito di provare a rilevare aspetti non considerati nel-l’indagine MIUR e di istituire delle connessioni con tali risultati apartire delle considerazioni autonome degli insegnanti. Rispetto al

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quesito sull’aspetto maggiormente significativo del modello di cer-tificazione, il 18,8% ha risposto di non essere in grado di esprime-re un giudizio, mentre il 16,9% ha fatto riferimento al caratteretrans-disciplinare delle competenze (in analogia con il fattore piùapprezzato nella rilevazione MIUR relativo al riferimento allecompetenze chiave europee) e il 16,9% alla considerazione dellecapacità complessive e trasversali dello studente. Il 13,2% dei ri-spondenti ha espresso apprezzamento per la chiarezza e sinteticitànella descrizione delle competenze (in continuità con l’apprezza-mento segnalato dai dati MIUR). In relazione agli aspetti di maggiore criticità del modello, sonoemersi 3 elementi con maggiore frequenza: a) difficoltà a stabile ilivelli dell’acquisizione delle competenze (24,5% delle risposte); b)trasferimento dei giudizi disciplinari sui livelli di competenza(16,2%); c) vaghezza nella descrizione delle competenze (14,1%).Se quest’ultimo aspetto indebolisce la percezione di apprezzamen-to in merito alla chiarezza e sinteticità della descrizione delle com-petenze rilevata sopra, i primi due introducono la questione rela-tiva alle modalità di utilizzo. Ai dati ora osservati, pertanto, è op-portuno associare quelli ricavati dal quesito riguardante gli aspettidi criticità individuati nella compilazione del modello. In questocaso l’elemento ricorso con maggiore frequenza (35,8%) riguardala mancanza di evidenze su cui basare la compilazione; un secondoaspetto (19,4%) fa riferimento, invece, alla difficoltà di coniugarela valutazione decimale adoperata durante l’anno scolastico con igiudizi descrittivi del modello; il terzo elemento riguarda la mancadi confronto con i colleghi nella compilazione del modello(16,2%). L’analisi delle interviste in profondità arricchisce con al-cuni dettagli queste considerazioni, mostrando che l’assenza dievidenze su cui basare la compilazione del modello è strettamenteconnessa allo scarto tra l’approccio didattico cui il modello si rife-risce e la pratica di insegnamento/apprendimento effettivamentemessa in atto dagli insegnanti (“Sono molto sincera: è sempre statauna compilazione un po’ così, non supportata da tutta una serie didocumentazioni, ma solo dalle impressioni nostre”).

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4. Un fattore di criticità: la condivisione con le famiglie

In risposta ai dati ora osservati, è possibile ipotizzare che gli aspet-ti di criticità evidenziati siano connessi ad un tratto più profondodella professionalità degli insegnanti, riguardante la difficoltà dicambiare la propria pratica didattica in direzione di un approcciomaggiormente in sintonia con quanto proposto dalle IndicazioniNazionali (2012). Tale ipotesi è rafforzata dalla percezione degliinsegnanti di lavorare prevalentemente secondo una didattica“non per competenze” e dalla discrepanza individuata nelle rispo-ste a due quesiti del questionario: se al quesito (“Lavora secondoun approccio didattico per competenze”) il 3,8% ha risposto“mai”, il 60% “qualche volta”, il 32% “spesso” e il 3,8% “sempre”,al secondo (“Utilizza strumenti di valutazione per competenze?”)solo il 15,1% ha risposto spesso e il 3,8% “sempre”, mentre il73,6% “qualche volta” e il 7,5% “mai”. In continuità con le linee guida per la compilazione del modelloillustrate nella nota ministeriale del 10 ottobre 2017, si è intesoapprofondire alcuni elementi riguardanti le finalità dell’utilizzo didocumento, anzitutto di tipo formativo e orientativo. A questoproposito si sottolinea che l’item con il valore medio meno eleva-to (2,8/5) e con la deviazione standard inferiore (0,8) dell’interoquestionario riguarda proprio la condivisione con le famiglie del-la certificazione delle competenze. Inoltre, alla domanda relativaall’abitudine di condividere con i genitori dati e documentazionerelativa alle competenze degli studenti, l’81,2% ha affermato dinon farlo e solo il restante 18,8% ha risposto affermativamente.A questo proposito è utile richiamare un breve passaggio di unaintervista in profondità in cui un’insegnante si interroga sul signi-ficato attribuito dai genitori degli studenti al modello e sulla ne-cessità di favorire un cambiamento, tanto negli insegnanti, quan-to nei genitori, rispetto alla finalità rispetto alle quali utilizzare ta-le documento (“I genitori secondo me non attribuiscono alcunsenso al modello di certificazione […]. Io sono convinta che il90% delle famiglie non lo legge, perché non è percepito come un

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elemento di valutazione importante, perché non lo è nemmenoper noi al momento. È un passaggio che dobbiamo fare”).

5. Conclusioni

In sede conclusiva è possibile osservare la permanenza di un ap-proccio sommativo-burocratico nella modalità di compilazionedel modello di certificazione delle competenze. A questo propo-sito e considerando il livello organizzativo (meso-livello) dell’isti-tuzione scolastica, pare emergere un elemento di coerenza nellepratiche di comunicazione dell’utilizzo del modello di certifica-zione; la modalità top-down qualifica tanto la comunicazione traistituzione scolastica e docenti, quanto quella tra docenti e stu-denti/genitori. Diviene pertanto interessante indagare i modelliformatici che siano in grado di trasferire gli apprendimenti ela-borati dagli insegnanti da un livello didattico (micro) ad un li-vello organizzativo (meso).

Riferimenti bibliografici

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Studi insegnanti

IV.8 –––––––––––––––––Dalle Lingue madri alla Lingua della scuolaFrom the mother tongues to the school languages –––––––––––––––––Graziella Conte Doc. CPIA - Movimento Cooperazione educativa

Che cosa determina la scelta del tipo di scuola dopo il conse-guimento dell’obbligo scolastico? Perché tanti figli di immi-grati si scrivono nelle scuole professionali?Da indagini condotte negli ultimi 10 anni sulle ragioni delladispersione scolastica e sull’alto numero di studenti con risul-tati meno brillanti che optano per percorsi di studi tecnico-pratici, risulterebbe che per coloro che sono cresciuti in am-bienti socio-economici e linguistico-culturali deprivati o sem-plicemente diversi, il destino lavorativo ed esistenziale è già se-gnato sin dalla scuola di base.La capacità di esprimersi, di capire e affrontare i meccanismidella complessità del mondo richiede conoscenze di tipo lin-guistico profonde, ma aderenti alla realtà di ciascuno, perchéquesta possa essere rappresentata, analizzata, criticata e non so-lo etichettata o raccontata con parole non autentiche. La lin-gua, parlata, scritta, con padronanza e autenticità, e ascoltata erecepita con i giusti filtri, è uno strumento incisivo per co-struirsi consapevolezza di sé e del contesto culturale in cui si vi-ve. È questa capacità che costituisce la base di una convivenzademocratica.Ecco una proposta di educazione linguistica per la contempo-raneità: fare del nostro lavoro di insegnanti con la lingua e perla lingua un momento di ricerca e di riflessione su ciò che diautentico arriva dalla realtà dei parlanti e degli “scrittori” cheabbiamo in classe. Le diverse lingue e i diversi linguaggi, nonsono neutri dal punto di vista culturale, spesso interferiscono,si sovrappongono con l’Italiano, lingua della scuola. I linguistie i glottodidatti chiamano il naturale processo di appropriazio-ne di nuovo lessico e di nuove regole interlingua. Su tale pro-cesso un bravo docente dovrebbe intervenire, orientando il

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percorso di apprendimento senza operare strappi o cesure, marispettando, ascoltando, aspettando. Come?- Dando centralità alla lingua madre - Favorendo gli apporti reciproci delle lingue presenti in classe- Considerando l’errore come sintomo fecondo del processo di ap-

prendimento- Favorendo la narrazione, la capacità di raccontare quel chesi vede intorno a sé, e consentendo di riconoscere e nomina-re i cambiamenti identitari che avvengono attraversando i“paesaggi” linguistici.

- La scelta metodologica non potrà che essere in forma di la-boratorio

What determines the choice of the type school after compul-sory schooling? Why so many children of immigrants are at-tending vocational schools? Surveys conducted in the last 10 years searching motivationsfor early school leaving and for the high number of studentsshowing less brilliant results who opt for technical-practicalstudy paths, show that for those who have grown up in de-prived or simply different socio-economic and linguistic-cul-tural environments, theìr work future and life is alreadymarked since the primary school.The ability to express themselves, to understand and face themechanisms of the complexity of the world requires deep lin-guistic knowledge, that are adherent to the reality of each one,so that it can be represented, analyzed, criticized and not onlylabeled or told in words that are not authentic.Language, spoken, written, with mastery and authenticity, lis-tened to and received with the right filters, is an incisive toolfor building awareness of oneself and of the cultural context inwhich people is living. It is this capacity that forms the basis ofa democratic coexistence. Here is a proposal for a language education for the contempo-rary world: to make our work as teachers of language and forthe language a moment of research and reflection on the au-thenticity that comes from the reality of the speakers and“writers” present in our class. The different languages are notneutral from a cultural point of view, they often interfere, theyoverlap with Italian, (mother tongue). Linguists call the natu-ral process of appropriation of new vocabulary and new rulesas interlanguage. A good teacher should intervene in this

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Sessione 4

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process, orienting the learning process without tears orcaesuras, but respecting, listening, waiting. How?- Giving centrality to the mother tongue - Encouraging mutual contributions from the languages inthe classroom

- Considering error as a fruitful symptom of the learningprocess

- Favoring the narrative, the ability to tell what you seearound you, and allowing you to recognize and name theidentity changes that occur through the “language land-scapes“.

- The methodological choice can only be done in the form ofa laboratory

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: lingua madre, multilinguismo/plurilinguismo,narrazione, errore come sintomo profondo del processo di ap-prendimento

Keywords: mother tongue, multilingualism, narration, erroras a fruitful symptom of the learning process

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Graziella Conte

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Non si crea il nuovo dal nulla ma dal già posseduto,per incremento e trasformazione1

1. Premessa

È richiesto oggi alle giovani generazioni di saper affrontare la com-plessità di un mondo che appare sempre più disorientato, dis-orientante e “spaesante”. Per relazionarsi e comprendersi nella so-cietà multiculturali e multilingui, per non essere travolti e schiac-ciati dai troppi input e dalle difficoltà di comunicazione (solo ap-parentemente favorita da internet) occorre attrezzarsi di compe-tenze specifiche, relative soprattutto alla capacità di saper leggere ecapire contesti, problemi, cambiamenti, che riguardano realtà vi-cine e simultaneamente lontane. A scuola, mentre si fornisconostrumenti di comunicazione ed espressione linguistica, si dovrebbeimplementare la ricerca e l’analisi critica sui significati che i mes-saggi e i racconti veicolano, e sulle forme con cui vengono esposti.L’intervento educativo dovrebbe evitare che la differenza si trasfor-mi in diseguaglianza e, siccome la conoscenza passa soprattutto at-traverso il linguaggio, è centrale il lavoro sulla lingua e sulle lingue,ma a partire dalle lingue madri, dalla lingue di “casa”.L’apprendimento avviene tramite processi di socializzazione e

non per trasmissione. Le diverse modalità di conoscenza degliapprendenti sono importanti per lo sviluppo e il consolidamentodi tutti i processi logici, anche quelli meno comuni, ma non perquesto meno accettabili.Ecco alcune condizioni indispensabili per un’educazione lingui-stica interculturale che curi passaggio tra la lingua madre e la lin-gua della scuola:

1 Mosca S. 1978, Creatività e conoscenza in La creatività nell’espressione,Quaderni di Cooperazione Educativa 12, Firenze, La Nuova Italia, p. 7.

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Sessione 4

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1. Mettere sullo stesso piano le persone e le loro lingue, un pia-no di parità pur nella differenza. L’italiano della scuola è lalingua trasversale, non la più importante. È la lingua che faràcapire e studiare, ma per parlare e capire bene non si deve can-cellare, oscurare, soffocare la lingua che si porta da casa.

2. Far sperimentare agli studenti un incontro più ravvicinatocon le altre lingue, e conseguentemente, specularmente, con-sentire loro di sperimentare un re-incontro con la propria lin-gua madre, nella quale ritrovare acquisizioni profonde chepoi si aggancino alle conoscenze e ai concetti e scolastici.

3. Stimolare a indagare quei processi di pensiero, di creatività, diespressione di linguaggio, che si muovono silenziosi e sotto-traccia in chi si accosta a un nuovo mondo linguistico, che siconsiderano scontati, insignificanti. È proprio lì, quando inmodo naturale si inventano e si attribuiscono nuovi e altri si-gnificati alle cose che cambiano, che si produce apertura, ap-prendimento profondo degli strumenti linguistici. L’erroreaccompagna questi movimenti. Distinto dallo sbaglio, esso èil sintomo di qualcosa che sta cercando di emergere nello spo-stamento dalla prima lingua verso una lingua diversa.

4. Rivolgersi alle persone con i loro corpi viventi e alle loro per-cezioni, memorie ed espressioni: il corpo sa tutto, agisce la re-lazione con la diversità e con la non ordinarietà della realtà,ancora prima che si decida il come razionalmente, e percepi-sce i limiti e le potenzialità di un incontro. Portare a consape-volezza questo apre e amplifica i canali di conoscenza umanae di produzione di parole e pensieri pieni di umanità.

Conviene nominare anche alcuni presupposti per la costru-zione di un progetto didattico che metta al centro la ricerca e losforzo creativo di ciascuno per giungere a un autentico dialogo.

A. Dare valore alle potenzialità del gruppo, inteso come Gruppo– scambio. Esso è composto da soggetti che hanno corpi,sguardi, espressioni, odori, che interagendo costruiscono un

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Graziella Conte

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senso collettivo, al di là dei discorsi prodotti attraverso lostrumento della lingua veicolare. Il dialogo, potrà esserci sealimentato e sostenuto dalle risorse presenti nel contesto enelle capacità percettive e intuitive che ciascuno possiede.Occorre ricordare però, che il Gruppo-scambio non è casuale,anche se può nascere casualmente. Per come lo si intende inquesta visione pedagogica non può essere virtuale, è una con-dizione che va costruita in presenza, e non sarà idilliaca.

B. Offrire proposte didattiche in forma di laboratorio. Predi-sporre una situazione pensata, mediata sulle condizioni reali,atta a valorizzare incontro e comunicazione autentica.

C. È bene attendersi che da tali esperienze scaturiscano spiazza-mento e curiosità, nonché nuova consapevolezza della linguapropria e dell’altro e dei diversi e a volte irriducibili modelliculturali che in esse sono presenti.

D. Valorizzare narrazioni di esperienze in cui si rendano visibilie nominabili i percorsi di avvicinamento alle proprie cono-scenze e ai propri modelli culturali di riferimento. L’oralità èimportante e va incoraggiata, ma sempre dentro a una con-dizione protetta e intenzionale, curata dall’insegnante: l’inse-gnante formula con precisione domande, propone stimoliche incanalino in ciascun studente l’ascolto di sé e del grup-po e non facciano disperdere il senso della narrazione stessa.La parola è sbanalizzata, valorizzata, curata. Le parole aiuta-no a far luce sull’esperienza e su esse stesse.

2. Una proposta di lavoro linguistico in prospettiva interculturale

Wislawa Szymborska con la sua profonda e semplice poesiaCurriculum2 ha ispirato questa proposta di lavoro. Vi ho indi-

2 Cos’è necessario?/È necessario scrivere una domanda,/e alla domanda allegareil curriculum./ A prescindere da quanto si è vissuto/ il curriculum dovrebbe es-

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Sessione 4

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viduato i temi cruciali per una narrazione che potesse essereutile a scandagliare i processi di trasformazione e arricchimentolinguistico. Sono temi mediatori. Sono, come diceva l’antropo-logo Ernesto De Martino, quelli elementarmente umani: il no-me, la casa, i passaggi della vita. Permettono di farci entrare tut-ti e tutte, di tutte le parti del mondo, stanziali o in viaggio, nel-la conversazione su cosa vuol dire: essere in un certo modo, abi-tare, fare/vivere esperienze, appartenere a più culture. Nessuno,affrontandoli, si sente ignorante. Nessuno si sente escluso e ine-sperto o incompetente. Queste le richieste di un curriculum: nome, cognome, luo-

go di nascita e di residenza, indirizzo, educazione e formazione,competenze. Sostando sulle parole, sbanalizzandone il loro ov-vio significato, riconosciamo in quel “cambiare paesaggi in in-dirizzi” che è sostanzialmente separare la vita vera dal modellodisegnato da altri, l’etichetta per contenerci e definirci. È pro-prio tale modello che qualche volta spezza dentro di noi storie,lingue, memorie, abilità, rendendoci incapaci, poco intelligen-ti, passivi. Un buon modo di usare le parole e di non disperder-le è ricercare in esse, insieme agli altri, il “paesaggio” che le ren-de intellegibili.Che cosa è un nome? Che cosa è un cognome? Che paesaggi

evocano gli indirizzi e le città che ci è chiesto di nominare percompilare documenti? E dalle esperienze cosa ho imparato, cosaso fare e come so essere?Il nome che portiamo non è solo un mezzo per identificare

noi stessi (in senso restrittivo, burocratico restrittivo), ma portacon sé un mondo di connotazioni, memorie, attributi, evoca-zioni. Così pure il cognome che ci fa confrontare con i diversimodi culturali con cui viene attribuito o non viene attribuitodalla famiglia. Scopriamo infatti che non è universalmente in

sere breve./ È d’obbligo concisione e selezione dei fatti/ Cambiare paesaggi inindirizzi/ e ricordi incerti in date fisse […]

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Graziella Conte

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uso portare un cognome. Riuscire a comunicare qualcosa sulproprio nome, anche solo una parte delle tante cose con cui siaccompagna è un passo fondamentale per entrare in relazionecon gli altri. Tanveire lavora come aiuto cuoco in un ristorante per 12 ore

al giorno, nell’acrostico che ho chiesto di fare, i suoni del suonome lo rimandano alla sua quotidianità fatta di azioni, gesti efatiche, una quotidianità legata al lavoro intorno al cibo.Intorno alla parola indirizzo, può essere raccontata e ricono-

sciuta la quotidianità dove si intrecciano elementi che connota-no quel luogo e le consuetudini. Cosa vediamo tutti i giorniuscendo di casa? La domanda induce a identificare i paesaggi delqui e ora e a ripercorrere la giornata con il lavoro, la scuola, ecc. Possiamo nominare un luogo con parole vere perché è avver-

tito e percepito dal nostro “corpo” che ne occupa una parte. Pos-siamo condividere le descrizioni perché, stiamo dentro alle me-desime immagini: è qui, in questo quartiere, in questa città, aRoma. Oppure no, è là, lontano. Allora per condividere devo ri-guardarlo insieme all’altro, con gli occhi dell’alto, e conoscerel’esistenza di un’altra geografia.Gli studenti hanno riportato le scritture, una dopo l’altra, in

una striscia di carta piegata a fisarmonica, procedendo dall’altoin basso.Si è creato, disegnandolo, un albero. Alle radici il proprio no-

me. A seguire: il cognome, che rimanda alla famiglia, il tempo(stagioni) in cui si è nati, i luoghi, di nascita e di attuale domici-lio, le esperienze di lavoro, i viaggi, la scuola, i maestri.In cima all’albero tutte le parole per dire quello che si sa fare

e si sa essere: a casa con i parenti, a lavoro con i colleghi, a scuolacon i compagni di classe, nel mondo. Le parole che nel curricu-lum si chiamano competenze e che ci riconosciamo tali solo se“titolate”.

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Sessione 4

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3. Conclusioni

Questa esperienza vuole dimostrare come il multilinguismo sia(o possa essere) un fattore facilitante sul piano educativo, didat-tico e relazionale perché consente di individuare “ponti”, deipunti di passaggio, dalla lingua di casa a quella della scuola. Unabuona didattica, nello sfondo delle complesse e variegate com-ponenti culturali presenti in tutte le classi, è centrata sulla co-struzione di senso condiviso e di consapevolezza della necessitàdi possedere un linguaggio comune, ma depurato da pregiudizie stereotipi. Una didattica a servizio dei bisogni degli appren-denti di questa epoca storica favorisce l’incontro, l’intreccio dimemorie, di esperienze, di competenze e di linguaggi differenti,in modo da permettere una molteplicità di approcci e di apportiarricchenti per tutti. Quando si fa un’esperienza conoscitiva au-tentica con altri si apprende a creare e a ri-creare i concetti, a li-berarsi dal peso e dal condizionamento di pregiudizi. Così lascuola diventa un luogo che mentre fa cultura accoglie e valoriz-za tutti i soggetti. Per far questo la variabile tempo non può es-sere sottovalutata.

“La morale che si trae comunemente dalla storia dellaTorre di Babele è che il crollo fu una sventura, che furo-no la confusione o il peso delle molte lingue a far crollarel’errata architettura della torre. Si ritiene che se vi fossestato un solo, monolitico linguaggio la costruzione sa-rebbe stata più rapida, e gli uomini avrebbero raggiuntoil Paradiso (…).Forse la conquista del paradiso era prematura, era davve-ro un po’ avventata, se nessuno poteva avere il tempo dicapire altre lingue, altre opinioni, altre narrazioni.”

(Toni Morrison, Prolusione al Nobel per la letteratura,1993).

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Graziella Conte

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Riferimenti bibliografici

AA. VV. (1972). La creatività nell’espressione. Quaderni di Cooperazio-ne Educativa 7. Firenze: La Nuova Italia.

Brodetti, R., & Conte, G. (2010). Lavorare per l’Intercultura. Quader-ni Mce. Bergamo: Junior.

Cardona G. R. (1985). La foresta di piume, Manuale di etnoscienza, Ba-ri: Laterza.

Cardona, G. R. (2006). I sei lati del mondo. Linguaggio ed esperienza,Bari: Laterza.

De Martino, E. (2002). La fine del mondo. Contributo all’analisi delleapocalissi culturali (con introduzione di Clara Gallini e MarcelloMassenzio). Torino: Einaudi.

Duranti, A. (2005). Antropologia del linguaggio. Roma: Meltemi,. Falk, D. (2009). Lingua madre. Cure materne e origini del linguaggio.Torino: Bollati Boringhieri.

Freinet, C. (1971). L’apprendimento della lingua secondo il metodo na-turale. Firenze: La Nuova Italia.

Le Bohec, P. (2010). Quando la scuola ti salva. Quaderni MCE. Berga-mo: Junior.

Le Bohec, P., & Campolmi B., (2006). Leggere e scrivere con il metodonaturale. Quaderni Mce. Bergamo: Junior.

Malfermoni, B. (2010). Educare alla parola. Scritti sull‘ educazione lin-guistica (a cura di Giancarlo Cavinato e Nerina Vretenar). QuaderniMCE. Bergamo: Junior.

Pontecorvo, C., Ajello C., & Zucchermaglio A.M. (1991). Discutendosi impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola. Firenze: La Nuo-va Italia.

Szymborska, W. (2009). La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Milano: Adelphi.

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Sessione 4

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Sessione 5: Scuola e lavoro

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V.1 –––––––––––––––––Sviluppo e valutazione delle soft skills in Alternanza Scuola-Lavoro: il punto di vista degli insegnantiDevelopment and assessment of soft skills within School-Work Alternation programmes: theachers’ point of view –––––––––––––––––Concetta Tino, Valentina Grion Università degli Studi di Padova

Con la L.107/2015, l’Alternanza Scuola-Lavoro (ASL) si inseri-sce come pratica obbligatoria dei diversi curricoli di tutte lescuole secondarie di secondo grado. Tra le sue potenzialità vi èlo sviluppo di competenze strategiche, di cui le soft skills rappre-sentano un aspetto determinante sia per la sfera personale sia perquella professionale dei giovani (Yorke, 2006; WHO, 1993). Inquesta prospettiva, lo studio, a carattere qualitativo, ha voluto ri-spondere a due domande di ricerca: i) Secondo gli insegnanti,l’ASL promuove lo sviluppo delle soft skills? ii) La progettazionedi ASL prevede anche lo sviluppo e la valutazione delle soft skills?I dati sono stati raccolti, tramite interviste individuali, con il co-involgimento di 24 insegnanti di 12 scuole di diverse regioni ita-liane. I risultati ottenuti descrivono il punto di vista degli inse-gnanti sulla relazione tra ASL e sviluppo/valutazione delle softskills, ma anche alcune implicazioni pratiche.

By the L.107 / 2015, School-Work Alternation (SWA) is in-cluded as a compulsory practice within the various curricula ofall secondary schools. The development of strategic competen-cies is part of its potentiality, of which soft skills are a decisiveaspect both for the personal and professional of young people’slife (Yorke, 2006; WHO, 1993). In this perspective, this qual-itative study sought to answer two research questions: i) Ac-cording to teachers, SWA promotes the development of softskills? ii) Does the design of SWA include also the develop-

abstract

Ricerche

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ment and the assessment of soft skills? Data were collected,through individual interviews, involving 24 teachers from 12schools of different Italian regions. The results obtained de-scribe the point of view of teachers on the relationship be-tween SWA programmes and the development and assessmentof soft skills, but also some practical implications.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: alternanza scuola-lavoro; competenze trasver-sali; valutazione; insegnanti; progettazione formativa.

Keywords: school-work alternation; soft skills; assessment;teachers; learning design.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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Sessione 5

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1. Introduzione

L’Alternanza Scuola-Lavoro (ASL), dopo un periodo di lungatransizione regolata da norme diverse (art. 4, L.53/2003; D. Lgs77/2005), si inserisce oggi come metodologia formativa obbliga-toria all’interno dei diversi curricoli scolastici nazionali(L.107/2015). Si tratta del tentativo di sistematizzare, ma anchedi ampliare e innovare le azioni formative realizzate a favore deglistudenti, secondo una logica di partenariato strategico tra i con-testi formali e quelli informali dell’apprendimento, volto al su-peramento della discontinuità tra l’apprendimento in aula e i bi-sogni reali, oltre l’aula (Resnick, 1987), oltre che ad evitare l’in-capsulamento dell’apprendimento scolastico, a favore di espe-rienze di apprendimento in comunità di pratiche (Fabbri, 2007;Lave, 1988), tali da permettere agli studenti lo sviluppo di quellecompetenze trasferibili nei diversi contesti e utili a navigare concompetenza all’interno della complessità sociale e culturale di cuifanno parte (Tino, 2017).

2. Framework teorico

La complessità sociale, segnalata dall’incessante progresso, in am-bito tecnologico e scientifico, porta, oggi, a porre l’attenzione nontanto sullo sviluppo delle hard skills quanto su quello delle softskills, richiamando l’attenzione della scuola sulla necessità di pro-muovere negli studenti lo sviluppo di competenze applicabili in si-tuazioni mutevoli e complesse. Si tratta di competenze riconosciu-te a livello internazionale come ‘capacità di comportamento adat-tivo e positivo, che consente agli individui di affrontare le richiestee le sfide della vita quotidiana’ (WHO,1993, p.1); oppure come lacapacità di usare in modo interattivo linguaggi e tecnologie, di in-teragire in gruppi eterogenei e di agire autonomamente (progetto

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Concetta Tino, Valentina Grion

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DeSeCo1, 2002); a livello nazionale come capacità di ‘diagnostica-re, relazionarsi, affrontare problemi’ (Isfol2, 1997), oppure comecittadinanza attiva (MIUR, 2007). In letteratura le soft skills sonostate descritte come ‘un set di abilità o attributi personali che per-mettono ai soggetti di ottenere un impiego e ad avere successo nel-le loro occupazioni, a vantaggio di se stessi, della comunità e del-l’economia’ (Yorke, 2006, p. 8); o come ‘normative capabilities’(Lowther, et al., 2009), ovvero come modalità attraverso le quali isoggetti applicano le competenze tecniche; oppure come ‘tratti, at-titudini e comportamenti’ (Robles, 2012). Le diverse definizionidimostrano come si tratti di competenze che non possono essereseparate dalle pratiche sociali all’interno delle quali esse si svilup-pano e si applicano (Knight, Yorke, 2003). Questo implica chel’insegnamento e l’apprendimento orientati allo sviluppo di com-petenze richiedono di promuovere un apprendimento in situazio-ni reali, includendo nuove forme di valutazione, realizzate “in con-testo”, proprio come la definizione stessa di “competenza” richiede(Grion, 2017). Questo rende i contesti reali e di lavoro importantisiti di valutazione delle competenze in generale e quindi delle softskills (NCVER, 2003).

3. La ricerca

Il percorso di ricerca è stato guidato dalle seguenti domande diricerca:• Secondo gli insegnanti, l’ASL promuove lo sviluppo delle softskills?

• Quale considerazione c’è dello sviluppo e della valutazionedelle soft skills nella progettazione di ASL? Il contesto di riferimento è stato il territorio nazionale. Nello

1 DeSeCo (Definition and Selection of Competencies) dell’OECD.

2 Oggi INAPP - Istituto, Nazionale per le Politiche Pubbliche.

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Sessione 5

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specifico, sono state coinvolte sette regioni italiane: il Veneto, ilFriuli, la Lombardia, il Piemonte, l’Umbria, la Sardegna e la Ca-labria con 12 istituzioni scolastiche, tra cui 7 licei e 5 istituti tec-nici. Complessivamente i partecipanti alla ricerca sono stati 24insegnanti: due docenti con funzione di tutor nell’ambito deipercorsi di ASL per ciascuna istituzione scolastica.

La ricerca è stata condotta secondo un approccio qualitativo,tramite interviste semi-strutturate mediate dalla tecnica del pho-tolangage. Quest’ultima, caratterizzata dall’uso di immagini, haavuto la funzione di facilitare la riflessione dei partecipanti sul-l’esperienza di ASL, oltre che la narrazione stessa.

L’intervista è stata focalizzata su alcuni nodi-chiave: tipi diapprendimenti promossi dall’ ASL; la valutazione delle softskills; la progettazione dell’ASL. Le interviste sono state condot-te tra settembre 2017 e febbraio 2018 e, con il consenso dei par-tecipanti, sono state audio-registrate, poi trasformate in docu-menti digitali e analizzate tramite il software Atlas.ti.

4. Risultati

L’analisi dei dati ha consentito di rispondere esaustivamente alledue domande di ricerca. Infatti, rispetto alla prima domanda diricerca, il tema trasversale emerso è riferito al fatto che ‘gli inse-gnanti ritengono che l’ASL promuove lo sviluppo di soft skills.’Nello specifico, l’analisi condotta, ha permesso di raggrupparegli ‘apprendimenti’ identificati dagli insegnanti in 5 macro-com-petenze:

1. Competenze sociali, includendo tutte quelle che implicano lacapacità del soggetto di entrare in relazione, di cooperare e dicondividere con gli altri, di comunicare, di esercitare la pro-pria leadership.

2. Management skills, riferite alle capacità organizzative e gestio-nali degli studenti

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Concetta Tino, Valentina Grion

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3. Competenze soggettive quali: consapevolezza di sé, autonomiae impegno.

4. Competenze cognitive, riguardanti la capacità di prendere de-cisioni, di risolvere problemi.

5. Competenze strategiche, focalizzate su quelle capacità di rima-nere al passo con i tempi, di adattarsi alle situazioni nuove ecomplesse: competenze digitali, adattamento, creatività, ca-pacità di apprendere, spirito di iniziativa.

In riferimento alla seconda domanda di ricerca è emerso che‘la progettazione e la valutazione delle soft skills in ASL sono an-cora da costruire.’ Infatti, i partecipanti hanno fatto riferimentoa una progettazione e valutazione ‘poco organica’ e spesso ‘for-male’; hanno evidenziato ‘la necessità di un cambio di culturache richiede tempi lunghi’, ma anche di ‘non essere in grado dicapire quando uno studente è capace di relazionarsi’. Molti han-no parlato dell’assenza di una valutazione delle soft skills o di unaforma di valutazione realizzata su ‘intuito degli insegnanti’ osemplicemente solo ‘su carta, con indicatori generici’, definen-dola ‘critica, perché non trova spazio nelle discipline curricolari’.

5. Conclusioni

Da quanto emerso dall’analisi dei dati appare evidente che gli in-segnanti riconoscono l’ASL come uno spazio privilegiato per losviluppo di competenze trasversali. Nonostante questo però, vi-sto che le soft skills faticano ad essere collocate all’interno dellaprogettazione, oltre che della valutazione degli studenti, gli inse-gnanti non sembrano altrettanto convinti del fatto che l’ASL siaparte integrante dei percorsi formativi e neppure della necessitàdi identificare le competenze trasversali come obiettivi d’appren-dimento dei diversi curricoli, al pari delle competenze disciplina-ri. Da tutto questo ne derivano diverse implicazioni per la prati-ca che richiedono: a) di ripensare la formazione degli insegnanti

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Sessione 5

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in relazione al tema delle soft skills; b) di investigare la cultura del-la valutazione degli insegnanti orientandola verso l’innovazionedel sistema valutativo; c) di elaborare una reale progettazioneper lo sviluppo delle competenze, creando connessioni tra pro-gettazione formativa, bisogni reali e valutazione delle competen-ze; d) di includere le soft skills nei curricola con il coinvolgimentodi tutte le discipline e di tutti i docenti, perseguendo così l’obiet-tivo educativo/formativo volto allo sviluppo di competenze perl’adattabilità e la flessibilità, oltre che alla promozione del pro-cesso di lifelong learning, come richiesto dalle politiche europee(COM, 2018).

Occorre dunque riconoscere che attribuire importanza allesoft skills all’interno dei percorsi scolastici, non solo richiede diinserirle all’interno delle diverse progettazioni disciplinari, maanche valutarle, evitando così il rischio che studenti e insegnantinon attribuiscano ad esse il riconoscimento e l’attenzione chemeritano.

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V.2 –––––––––––––––––Lavoro e alternanza negli ultimi due anni di scuola secondaria di secondo gradoIndagine Teens’ Voice 2017Work and alternating school-work programs in the last two years of upper secondary schoolTeens’ Voice 2017 Survey –––––––––––––––––Emiliane Rubat du MéracUniversità degli Studi di Roma La Sapienza

L’indagine Teen’s Voice nasce dalla collaborazione tra il “Salo-ne dello Studente - Campus Orienta” e il DPPSS dell’Univer-sità Sapienza con l’obiettivo di realizzare un sondaggio annualesul mondo dei giovani: le loro aspettative, i loro valori e mo-delli di riferimento. A tale scopo, dal 2015 al 2017, è stata datavoce a 6500 studenti iscritti agli ultimi due anni della scuolasecondaria di secondo grado, che hanno partecipato all’inizia-tiva Campus-Orienta in 11 diverse città d’Italia. La ricerca, per tre anni, ha rilevato il parere dei giovani su ciòche dà valore a una persona, su cosa si aspettano dalla società,dall’università e dal lavoro e su quali sono i loro modelli di ri-ferimento.In questa sede, si è scelto di presentare i risultati relativi alle lo-ro attese sul piano professionale e lavorativo, alle loro esperien-ze di alternanza scuola-lavoro e di lavoro al di fuori della scuo-la. Dai dati raccolti si osserva un disagio legato alla percezionedi assenza dell’offerta lavorativa, un desiderio di costruire lapropria vita secondo criteri di qualità e allontanamento da unavisione competitiva dedita all’ambizione professionale. Il qua-dro dell’esperienza di alternanza e di lavoro degli studenti variain funzione dell’area regionale e dell’indirizzo scolastico e offreun ricco panorama del vissuto dei giovani che si svolge a caval-lo tra il mondo della scuola e quello del lavoro.

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Ricerche

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The Teens’ Voice Survey is born from the collaboration be-tween the “Salone dello Studente – Campus Orienta” and theDepartment of Social and Developmental Psychology of LaSapienza University in order to carry out an annual report onthe expectations, values and role models of young people. Tothis end, from 2015 to 2017, we interviewed 7770 studentsenrolled in the last two years of secondary school who partici-pated in the Campus-Orienta initiatives in 11 different Italiancities.For three years, the research highlighted young people’s rolemodels and views on values and expectations from society,university and work.In this paper, we decided to present the results for their profes-sional expectations, their experience of alternating school-work programs and work outside school. From the data we canobserve a discomfort with the absence of a job offer percep-tion, a desire to build one’s life according to quality criteriaand a move away from a competitive vision dedicated to pro-fessional ambition. The picture of the students’ experience ofalternating school-work programs varies according to the re-gional area and the school curriculum, and offers a richpanorama of young people’s lives, straddling the worlds ofschool and work.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: teens’voice; alternanza scuola-lavoro; scuola se-condaria di secondo grado; giovani; lavoro.

Keywords: teens’voice; alternating school-work programs; up-per secondary school; youth; work.

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1. Introduzione

L’indagine Teens’ Voice nasce dalla collaborazione tra il “Salonedello Studente - Campus Orienta” e il Dipartimento di Psicolo-gia dei processi di sviluppo e socializzazione dell’Università LaSapienza con l’obiettivo di realizzare un sondaggio annuale sulmondo dei giovani. A tale scopo, dal 2015 al 2018, è stata datavoce a 7770 studenti iscritti agli ultimi anni della scuola secon-daria di secondo grado che hanno partecipato all’iniziativa Cam-pus-Orienta in 11 diverse città d’Italia. Per il 2017 si tratta di2037 studenti provenienti da 18 regioni e 716 Comuni diversi.La ricerca, ogni anno cerca di dare voce ai giovani che, rispon-dendo al nostro questionario, hanno descritto i loro valori, i loromodelli di riferimento e le loro aspettative rispetto alla società,all’università e al lavoro.In questo articolo presentiamo i risultati dell’indagine 2016/17,limitando le analisi alle loro esperienze di lavoro fuori della scuo-la o in alternanza e ai loro valori e attese sul piano professionalee lavorativo.

2. L’esperienza di alternanza e di lavoro dentro e fuori scuola

Il 72% dei 2307 studenti intervistati ha avuto nel corso dellascuola secondaria superiore almeno un’esperienza di lavoro auto-nomo o di alternanza scuola-lavoro. Nel grafico 1, si osserva co-me questa esperienza si declini in lavoro retribuito svolto auto-nomamente (44%) e in alternanza scuola-lavoro (53%). Mentresolo il 28% degli studenti intervistati non ha avuto alcuna inte-razione con il mondo del lavoro durante il percorso scolastico.

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Graf. 1- Percentuale di studenti con esperienze di lavoro e alternanza scuola-lavoro

È rilevante constatare che il 44% degli studenti dichiari diavere avuto esperienze di lavoro senza la mediazione della scuola.L’alternanza per questa leva di studenti non era ancora obbliga-toria, tuttavia già molte scuole avevano attivato il percorso. Mol-ti studenti non hanno, però, aspettato l’alternanza per fare espe-rienze concrete di lavoro e risultano molto diffuse negli IstitutiProfessionali (72%) e, a seguire, negli Istituti Tecnici (55%). Si-gnificativo, poi, che queste esperienze di lavoro siano presenti inmisura apprezzabile anche nei Licei (37%). Così, solo poco piùdella metà degli studenti che hanno avuto un’esperienza di alter-nanza non aveva precedenti esperienze di lavoro.

Le esperienze di lavoro sono più rappresentate presso gli stu-denti dell’Italia centro-settentrionale (Centro 47%, Nord 46% eSud 38%). Allo stesso modo le esperienze di alternanza si distri-buiscono in modo diverso sul territorio nazionale (Nord 71%,Centro 57%, Sud 36%). In entrambi i casi è evidente la condi-zione di svantaggio degli studenti del Sud e si tratta di uno svan-taggio sia quantitativo sia qualitativo. Non solo è minore la per-

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centuale di studenti del Sud che dichiara di avere avuto esperien-za di alternanza scuola-lavoro, ma le modalità di svolgimento diquesta esperienza risultano anch’esse diverse. Mentre al Nord il75% degli studenti, durante l’alternanza, svolge concrete attivitàdi lavoro presso imprese o istituzioni esterne alla scuola, soltantoil 52% al Sud beneficia della stessa possibilità. Data la carenza diambienti lavorativi in grado di accogliere e formare gli studenti,i programmi di alternanza al Sud si realizzano in misura maggio-re in forma di lezioni o conferenze (38% rispetto al 21% dei lorocompagni delle regioni del Nord). Di conseguenza, quando chie-diamo di indicare il grado di utilità della loro esperienza su unascala Likert che va da 1 (per niente) a 5 (del tutto), otteniamomedie significativamente differenti (Sud: media 3,04 e dev. std.1,28; Nord: media 3,54 e dev. std. 1,25, ANOVA: p. <001).

Per quanto riguarda le modalità di svolgimento delle attività dialternanza nel paese, dal 42 al 48% degli studenti dei Licei, IstitutiTecnici e Professionali svolgono le attività di alternanza al di fuoridell’orario scolastico. L’esperienza lavorativa viene dunque ad ag-giungersi al carico richiesto dall’impegno scolastico.L’alternanza consiste in concrete attività di lavoro in imprese o isti-tuzioni per la maggior parte degli iscritti in Istituti Professionali(83%) e Tecnici (78%), mentre per gli studenti dei Licei l’attivitàsi riduce spesso ad assistere a conferenze o lezioni (37%) e meno afar esperienza sul campo (54%). Anche in questo caso, le differen-ze nelle modalità di attuazione dell’alternanza influiscono sullapercezione della qualità e della rilevanza dell’esperienza. Di fatto,soltanto il 55% degli iscritti nei Licei stima l’alternanza utile, men-tre negli Istituti Tecnici e Professionali gli studenti riportano ungiudizio più positivo (rispettivamente il 73% e 78%).

Durante i tre anni della ricerca sono stati utilizzati strumentivolti all’identificazione di modelli valoriali nei giovani (Lucisano& du Mérac, 2015; 2016). Confrontando i risultati in terminidi valori con le variabili di sfondo, ci siamo accorti di differenzestatisticamente significative tra chi aveva un giudizio negativosull’utilità dell’esperienza di alternanza e chi, invece, la percepiva

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come utile. Questi ultimi ottengono punteggi più alti a scale divalori pro sociali, legati al senso dell’equità, giustizia, onestà e ri-spetto, e di atteggiamenti di impegno e intraprendenza (Lucisa-no & du Mérac, in corso di pubblicazione). Mentre non ci sonodifferenze statisticamente significative, nei risultati riferiti ai va-lori, tra chi non ha avuto esperienza di alternanza e gli altri. L’e-sperienza di alternanza scuola-lavoro si associa, dunque, a unacrescita sul piano valoriale soltanto quando essa è ritenuta valida,come risulta per il 64% degli studenti.

3. Uno sguardo al futuro sull’Università, il lavoro e la riuscita

Il dato più sconfortante, nella valutazione del proprio contestodi vita da parte dei giovani, è la percezione della difficoltà a tro-vare lavoro, dove l’ottimismo riguarda meno del 17% degli stu-denti. Si tratta di fatto dell’aspetto vissuto in modo, in assoluto,più critico dagli studenti di tutta Italia, un aspetto fondamentaleda cui ovviamente dipende il loro futuro. L’81% degli studentidel Sud afferma che il lavoro non si trova, oppure ben poco. Nel-le regioni Centro e Nord, il 69% e 57% di loro denuncia la stessasituazione. La fiducia nella possibilità di trovare un impiego nelluogo dove si vive è però leggermente cresciuta nel 2017 rispettoai due anni precedenti.

La preoccupazione per la mancanza di prospettive di lavoro èconfermata dalla ricerca dell’Istituto Toniolo (2014; 2016) epurtroppo non si tratta solo di un timore dato che l’Italia, nel2014, ha raggiunto il record europeo di inattività giovanile (Ro-sina, 2015). Dallo studio dell’Istituto Toniolo del 2014 emergeun aspetto interessante legato alla flessibilità dei progetti lavora-tivi dei giovani che risultano disponibili a fare lavori manuali, inparticolare di artigianato, sebbene non corrispondano al percor-so di studio effettuato. Rosina (2014) sostiene che la disponibi-lità dei giovani nei confronti del lavoro manuale è prima di tuttoil sintomo del loro desiderio di svolgere un’attività appagante e

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stimolante in un contesto in cui denunciano lo sfruttamento e lamancanza di opportunità. Temono, quindi, di ritrovarsi in postidi lavoro limitanti dal punto di vista dell’espressione delle pro-prie capacità e per giunta precari. Di fatto, sono numerosi i gio-vani lavoratori (il 41% dei diplomati e 32% dei laureati) che di-cono di svolgere un lavoro per il quale sarebbe sufficiente un li-vello di istruzione inferiore a quello raggiunto (ISTAT, 2017).

Dai dati della nostra ricerca sui valori relativi al futuro lavo-rativo, osserviamo la doppia tendenza a volere adottare un mo-dello di vita orientato alla qualità più che alla quantità, a richie-dere modalità di lavoro che siano rispettose della persona e delsuo equilibrio e, nello stesso tempo, a invocare la necessità di unamaggiore sicurezza, desiderio probabilmente ancorato a condi-zioni di un modello di welfare e di un mercato del lavoro del pas-sato che è percepito come più giusto. I ragazzi inseguono come primo obiettivo “la stabilità”, e questodato viene confermato anche dall’indagine del Consorzio Uni-versitario Almalaurea (2017b). Tuttavia, ci sono avvisaglie di rot-tura con l’idea di una collocazione ideale in quanto inamovibile.Osservando i dati del grafico 2, vediamo come, guardando al fu-turo, gli studenti chiedono un lavoro che, oltre a essere stabile(91%), lasci tempo per la famiglia (88%), si svolga in un am-biente confortevole (82%) e lasci tempo libero per una qualità divita migliore (81%).

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Graf. 2- Percentuale di studenti abbastanza o molto d’accordo con affermazioni sul lavoro futuro

La qualità della vita, alla quale sembrano tenere molto i gio-vani, viene ricercata nel tempo dedicato ai cari e ad altre attivitàfuori dal lavoro, in modalità di lavoro che siano rispettose dellapersona e del suo equilibrio, ma anche nella soddisfazione legataalla propria attività professionale. Non focalizzare tutta la pro-pria attenzione e il proprio tempo all’attività lavorativa nonvuol dire, per questi giovani, vivere il lavoro come una semplicefonte di reddito che permetta, al di fuori di esso, di dedicarsi aipropri interessi. Questa aspirazione al benessere non è sintomodi una remissione. Sono disposti ad accettare un inizio difficilee non subito appagante e sembrano sapere che, per raggiungerei loro obiettivi lavorativi, dovranno dimostrare di esserne capa-ci. Prova ne è che, al loro parere, si giunge al successo nella vita,innanzitutto, sapendo adattarsi (95%), ma anche mediante lamotivazione (94%), le capacità personale (93%), lo spirito d’i-niziativa (92%) e le competenze (91%).

Inoltre, se non fossero motivati a impegnarsi per svolgere unlavoro che li interessa non aspetterebbero dall’università una

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preparazione solida che permetta loro di formarsi una profes-sionalità (97%) e diventare più competenti (96%). Tuttavia,per la maggior parte di loro, l’importante non è raggiungere ivertici della carriera per acquisire potere (34%) o ottenere visi-bilità sociale (38%). Tuttavia, la loro principale motivazione a proseguire gli studi,ci ricorda la ricerca del Consorzio Universitario Almalaurea(2017a), è legata alla collocazione lavorativa, mentre quasi unterzo di loro studia per migliorare la propria formazione cultu-rale.

L’importanza data alla stabilità dell’intesa di lavoro, allatranquillità e al tempo libero, per attività e rapporto con i pro-pri cari al di fuori del lavoro, diminuisce in modo statistica-mente significativo per gli studenti che hanno fatto l’esperienzadi un’attività retribuita. Questi studenti sono anche più interes-sati a impieghi che portino a guadagnare molto e ottenere po-tere.

Nelle ricerche precedenti, basandoci sul confronto tra me-die ottenute alle domande relative al lavoro, era emerso che igiovani cercassero un salario che permettesse loro di vivere se-renamente più che di diventare ricchi. Di fatto, l’ammontaredello stipendio è lontano dall’essere l’aspetto più importantenella descrizione del lavoro atteso, ciononostante la percentualedi studenti che dice di volere guadagnare molto è rilevante(72% nel 2017; 71% nel 2015 e 2016). Il Rapporto giovani2014 dell’Istituto Toniolo indica 1500 euro come remunera-zione media mensile ritenuta giusta dai ragazzi, cifra che sem-brerebbe del tutto ragionevole anche se decisamente superiorea quanto avviene in realtà.

4. Conclusioni e prospettive di ricerca

Le domande relative all’esperienza di lavoro e di alternanzascuola-lavoro sono state poste a partire dall’indagine 2016,

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Emiliane Rubat du Mérac

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mentre quelle attinenti alle aspettative nei confronti dell’univer-sità e del mondo del lavoro erano già parte degli strumenti di in-dagine nei due anni precedenti, e permettono dunque un con-fronto diacronico.

Più del 2015, nel 2016 e 2017 sembrano volere prendere me-no rischi e aspirare a un modello di vita più orientato alla sicu-rezza degli affetti e all’equilibrio. I criteri di stabilita e di tempoda poter dedicare agli affetti sono aumentati ogni anno. Inoltre,l’università viene vissuta sempre di meno nella prospettiva di di-ventare competitivo e di ottenere riconoscimento e prestigio so-ciale.

Particolarmente interessante, nelle rilevazioni del 2017, è sta-ta la scoperta di una consistente vita lavorativa vissuta dagli stu-denti in parallelo alla scuola. Potrebbe essere interessante, nellaprossima indagine, approfondire il tema del tipo di lavoro che iragazzi svolgono autonomamente e proporre una serie di do-mande sui salari percepiti. Si tratterebbe di verificare lo scarto traguadagno ideale e atteso e capire che cosa gli studenti intendonoper “guadagnare molto”, la nozione di stipendio alto essendo difatto relativa ai contesti in cui i ragazzi sono inseriti. Rispetto in-vece a dati relativi allo svolgimento delle attività di alternanza, sitratterà di verificare se, nel tempo, si realizzeranno cambiamentiin attuazione della normativa (L 107, 2015) non solo di tipoquantitativo. Aspetto, quest’ultimo, particolarmente rilevantedal momento che esso risulta essere associato, nei giovani, a unavisione più positiva e costruttiva e ad atteggiamenti di maggiorimpegno e iniziativa.

Altri aspetti dell’indagine Teens’ Voice legati alla percezionedel contesto di vita degli studenti delineano, purtroppo senzatanta sorpresa, grandi differenze tra aree regionali e non possonoche testimoniare il ritardo nell’attuazione degli indirizzi dellaCostituzione, che rendono la questione Meridionale ancora ditotale attualità.

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Emiliane Rubat du Mérac

Riferimenti bibliografici

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http://www.almalaurea.it/sites/almalaurea.it/files/docs/universita/pro-filo/Profilo2016/rapporto2017_profilo.pdf

ISTAT (2017). I giovani nel mercato del lavoro. Disponibile da:https://www.istat.it/it/files//2017/10/Focus_giovani-mercato-del-la-

voro_2017.pdf Istituto Giovanni Toniolo (2014). La condizione giovanile in Italia.Rapporto Giovani 2014. Bologna: il Mulino.

Istituto Giovanni Toniolo (2017). La condizione giovanile in Italia.Rapporto Giovani 2017. Bologna: il Mulino.

Lucisano, P. & du Mérac, E. R. (2015). Teen’s Voice: Aspirazioni, pro-getti, ideali dei giovani. Roma: Nuova Cultura.

Lucisano, P. & du Mérac, E. R. (2016). Teen’s Voice 2. Valori e miti deigiovani 2015-2016. Roma: Nuova Cultura.

Lucisano, P. & du Mérac, E. R. Teen’s Voice 3. Valori, contesti e lavoro2016-2017. Roma: Nuova Cultura. In corso di pubblicazione.

Rosina A. (2014). Introduzione. Giovani nel labirinto, in La condizio-ne giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2014 (Istituto Giovanni To-niolo Ed.). Bologna: il Mulino.

Rosina, A. (2015). Neet. Giovani che non studiano e non lavorano. Mi-lano: Vita e Pensiero.

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V.3 –––––––––––––––––Alternanza formativa e identità professionale dei disabili di Scuola Secondaria di II grado. Un’indagine esplorativa sui Docenti Referenti e i Docenti Tutor dell’AslTraining alternation and professional identity of disabled people of Secondary School. An exploratory survey on the Teachers and the Tutors of the Asl –––––––––––––––––Paolina Mulè, Daniela GulisanoUniversità di Catania

In questa ricerca le Autrici tentano di approfondire il raccordotra scuola, lavoro e disabilità in relazione a questioni pedago-giche generate da nuove realtà formative, lavorative e sociali,che ridisegnano la nuova didattica professionale dei docentisoprattutto nella ricostruzione di percorsi di alternanza forma-tiva inclusiva nei quali i soggetti disabili sono coinvolti e risco-prono un ruolo centrale. A tale fine, sono stati elaborati quat-tro tipologie di questionari somministrati a quattro categoriecoinvolte: Studenti disabili, Docenti Referenti dell’Asl, Do-centi Tutor didattici e Tutor aziendali. I dodici Istituti Scola-stici di Secondo grado coinvolti sono stati scelti a campione trai territori di Catania, Siracusa, Ragusa e relative Province.Lungo questa direzione, si è scelto di investigare principalmen-te sulle modalità di inclusione scolastica e lavorativa degli stu-denti disabili, in particolare sensoriali, nei percorsi di Asl; sullestrategie didattiche utilizzate; sulla progettazione di un curri-

abstract

Ricerche

* Il contributo è frutto di un lavoro e di una riflessione comune tra le Autri-ci: Paolina Mulè ha curato l’abstract e il paragrafo 1, mentre Daniela Gu-lisano ha curato il paragrafo 2 e le conclusioni.

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colo in Asl rivolta agli studenti disabili; sui criteri di valutazio-ne adattati nel curricolo in Asl. Con questa ricerca si è conclu-so che occorre ancora tanto da fare nella costruzione di percor-si di alternanza scuola lavoro rivolti ai disabili.

In this research the authors try deepen the connection betweenschool, work and disability in relation to pedagogical issuesgenerated by new educational, work and social realities that re-design the new professional teaching of teachers especially inthe reconstruction of inclusive training alternatives in whichdisabled people are involved and rediscover a central role. Tothis end, four questionnaires were drawn up for the four sub-jects involved: Disabled students, Asl contact person, tutorand company tutor. The twelve Secondary School Institutesinvolved were randomly selected from the territories of Cata-nia, Siracusa, Ragusa and their provinces. We have chosen toinvestigate mainly the methods of school and work inclusionof disabled students, in particular sensory, in the Asl pathways;on the teaching strategies used; on the design of an Asl cur-riculum for the disabled; on the evaluation criteria adapted inthe Asl curriculum. With this research it was concluded thatmuch work still needs to be done in the construction of alter-nating school work itineraries for disabled people.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole Chiave: alternanza formativa; scuola; lavoro; disabilità;docenti tutor.

Keywords: training alternation; school; work; disability; tutors.–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione, ragioni e finalità della ricerca

Il progetto di ricerca ferma l’attenzione sul tema dell’alternanzaformativa a scuola, con particolare riferimento all’analisi del “la-voro” dei docenti impegnati nella realizzazione di percorsi curri-colari di alternanza formativa nella scuola secondaria di secondogrado di Catania, Siracusa e Ragusa e relative Province. Il che im-plica un’accurata riflessione sulla nuova metodologia della didat-tica in alternanza formativa, con lo scopo di risolvere o, per lomeno, tentare di affrontare adeguatamente le varie emergenzeformative che da ciò derivano. A tal fine, si vuole pensare ad unapedagogia del lavoro (Alessandrini, 2018; Costa, 2011; Bocca,1998) che strutturi la propria identità epistemologica e che rivol-ga la propria attenzione alla prassi formativo-lavorativa. Solo re-cuperando la valenza educativa e culturale del lavoro, potremmosuperare antichi vizi e pregiudizi, soprattutto verso il lavoro ma-nuale e l’istruzione tecnico-professionale, che allontanano i gio-vani da prospettive professionali che potrebbero invece essereluogo di straordinaria realizzazione di sé e del bene comune.

In tale prospettiva, l’agire, inteso sia dal punto di vista indivi-duale che sociale, rappresenta una questione cruciale per le scien-ze che studiano la persona, la sua formazione e il suo divenire, e,in quanto tale, si configura come categoria fondante il dibattitoscientifico contemporaneo, al centro di quel movimento dicoto-mico e oppositivo tra teoria e pratica che ha caratterizzato il sa-pere pedagogico novecentesco. Lungo questa direzione, se ci siinterroga su quale ruolo possa avere l’esperienza pratica nello svi-luppo della didattica professionale degli insegnanti soprattuttonella costruzione di percorsi di alternanza formativa inclusivi neiquali i disabili hanno un ruolo centrale.

Il progetto ha avuto la finalità generale di comprendere: a) qualè l’attuale stato dell’arte del processo di attuazione della didatticain alternanza formativa rivolta agli studenti disabili ciechi e audio-lesi; b) quali sono, a tal fine, le principali strategie didattiche messein atto nelle scuole; c) quali sono i punti di forza e di debolezza di

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tale metodologia; d) quali sono le effettive competenze del docentetutor dell’alternanza scuola-lavoro e del docente referente dell’al-ternanza formativa; e) come interagisce il docente “tutor” con lostudente in fase di transizione scuola-lavoro; f ) quali sono i puntidi forza da realizzare; g) quali sono gli aspetti su cui è necessariointervenire al fine di favorire l’acquisizione di competenze utili peravviare il processo di integrazione scuola-lavoro; h) come si svilup-pa la collaborazione tra scuola e aziende del territorio; i) come sisviluppa l’identità professionale dello studente disabile diretta-mente in azienda; l) quali sbocchi professionali hanno i disabili in-seriti in percorsi di alternanza formativa.

Oggi, grazie alla L. 107/2015 i giovani studenti italiani cheentreranno in alternanza potranno contare nel loro portfolio for-mativo un’esperienza reale e non episodica, un progetto di ap-prendimento fondato sul dualismo cooperativo dell’ ”impararefacendo”. Pertanto, l’intenzionalità della pedagogia si deve colle-gare con la realtà lavorativa e deve tenere conto della complessitàdelle variabili educative, al fine di costruire un progetto formati-vo che valorizzi l’esperienza completa del soggetto-persona.

La scuola appare, dunque, impegnata in una nuova difficilescommessa. Da sola, però, molte volte, a causa anche dei muta-menti sociali, lavorativi, delle tante manovre governative in atto(ultimamente sempre in continuo cambiamento), della anche“carente” formazione dei docenti, dovuta quest’ultima all’impos-sibilità di aggiornamento, di orientamento sulle nuove pratichedidattiche elaborate delle ultime ricerche pedagogiche, tale isti-tuzione educativa e formativa chiede di essere aiutata, sostenuta,orientata nel giusto modo.

Questa ricerca approfondisce il raccordo tra scuola, lavoro edisabilità in relazione a questioni pedagogiche generate da nuoverealtà formativa, lavorativa e sociali che ridisegnano la nuova di-dattica professionale degli insegnanti soprattutto nella ricostru-zione di percorsi di alternanza formativa inclusiva nei quali i sog-getti disabili sono coinvolti e riscoprono un ruolo centrale. Ilprogetto di ricerca finanziato dall’Assessorato all’Istruzione e

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Formazione professionale, Regione Siciliana della durata di oltre1 anno, ha coinvolto 12 Scuole Secondarie di II^ grado di Cata-nia, Siracusa, Ragusa e province. In particolare, ha coinvolto 4tipologie di soggetti: gli studenti disabili, i docenti referentidell’Asl, i docenti tutor didattici dell’Asl e il tutor aziendale. L’in-dagine esplorativa di natura descrittiva ha avuto la finalità di in-vestigare alcuni aspetti inerenti: l’integrazione, l’inclusione sco-lastica e lavorativa degli studenti disabili, in particolari sensoriali,nei percorsi di Asl; le strategie didattiche utilizzate; la progetta-zione di un curricolo in Asl rivolta ai disabili; i criteri di valuta-zione adattati nel curricolo in Asl. In questo breve saggio si pre-senterà solo una parte dell’indagine esplorativa rivolta soprattut-to ai docenti tutor didattici e ai docenti referenti dell’Asl. A talfine, si è adottato un mixed methods, di carattere induttivo, se-guendo il paradigma della ricerca esplorativa survey finalizzata al-la raccolta di informazioni. Per quanto concerne la determina-zione del quadro di campionamento, si è scelto di attuare un“campionamento non probabilistico a scelta ragionata” prenden-do a campione docenti tutor e referenti Asl, studenti disabili etutor aziendali di 12 istituti scolastici (4 licei, 4 istituti professio-nali e 4 tecnici) presi in esame.

Sul piano strettamente pratico-applicativo si è scelto di som-ministrare quattro differenti questionari, uno per ogni categoriadi persone, su base assolutamente anonima, con tre sezioni:strutturata, semi-strutturata e non strutturata-aperta. Terminatala seconda impegnativa fase di raccolta dei questionari si è pro-ceduto alla codifica dei dati utilizzando il programma di elabo-razione statistica SPSS Statistics 22.0 della Ibm.

2. Risultanze del progetto di ricerca

Il primo step della ricerca educativa (Lucisano, 2002) ha riguar-dato, come si è già detto, la somministrazione e la relativa analisidei dati inerenti l’indagine rivolta ai Docenti Referenti dell’Asl e ai

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Docenti Tutor Didattici dell’Asl degli Istituti Scolastici presi acampione.

La prima sezione strutturata del questionario, ha permesso diinquadrare e definire la popolazione campionaria: degli 11 Do-centi Referenti intervistati (tenendo in considerazione l’esiguapresenza del Referente dell’Asl negli Istituti Scolastici. Presenzache in molti casi si riduce alla sola unità), e dei 32 Docenti Tutordell’Asl, il 50% sono docenti di discipline umanistico-sociali conpiù di 10 anni di insegnamento (91%).

Rilevante è il dato che ha permesso di soffermarsi e rifletteresulle competenze possedute dal Referente dell’Asl. Dai dati e dall’in-crocio delle relative label è emerso che il 55% dei docenti è statoscelto per assumere l’incarico di referente dell’Asl in relazione alproprio curriculum vitae e alle esperienze professionali che ha ma-turato in tal settore, in confronto ad un 27% che ha dato la pro-pria disponibilità professionale, ed un allarmante 9% che fa riferi-mento esplicito al rifiuto degli altri docenti di confrontarsi conquesto nuovo approccio pedagogico-didattico ed un ulteriore in-quietante 9% dichiara espressamente di aver ricevuto questo in-carico senza nessuna competenza in merito. Se confrontiamo,contemporaneamente, i dati emersi dall’item e dall’incrocio dellerelative label del questionario rivolto ai Docenti Tutor Didatticidell’Asl è emerso che, anche in questo caso, il 56% dei docenti èstato scelto per assumere l’incarico di in relazione al proprio cur-riculum vitae e alle esperienze professionali che ha maturato in talsettore, in confronto ad un 41% che è stato scelto in qualità didocente di sostegno ed infine un 3% che decide di non rispondere.

Ragguardevole, a tal fine, è il dato che riporta l’effettiva cono-scenza di una tematica così importante come l’inclusione lavorativadegli alunni disabili. In particolare, in relazione alla Scala Likert(Benvenuto, 2015) utilizzata in tale tipologia di domanda sievince, che il 45% dei docenti intervistati ha una conoscenza suf-ficiente, in relazione ad un ulteriore 45% che ritiene di avere unabuona conoscenza, mentre il 9% ha indicato di avere un eccellen-te conoscenza delle tematiche in questione ed infine, un residua-

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le e incoraggiante 1% dichiara di avere delle conoscenze insuffi-cienti. Se confrontiamo i dati emersi dal medesimo quesito postoai Docenti Tutor Didattici si evince, che il 41% dei docenti in-tervistati ha una sufficiente conoscenza del tema dell’inclusionelavorativa degli studenti disabili, il 31% ritiene di avere una buo-na conoscenza, mentre il 9% ha indicato di avere un eccellenteconoscenza delle tematiche in questione ed infine, un preoccu-pante 19% dichiara di avere delle conoscenze insufficienti.

Interessante, a questo proposito, sono i dati emersi dalla som-ministrazione di un quesito posto esclusivamente ai Docenti Re-ferenti, riguardante la presenza nel proprio Istituto Scolastico diun “Assistente Specializzato” per gli studenti con disabilità senso-riale. A tal fine, il 55% dei docenti intervistati dichiara di si, con-tro un preoccupatissimo 45% che dichiara di no. La relativa do-manda di approfondimento ha evidenziato come il 9% si riferi-sca ad un assistente igienico personale, il 18% assistente alla comu-nicazione, ed infine un allarmante 73% decide di non rispondere.

Il dato fa molto riflettere se viene pensato nell’ottica di una pro-spettiva pedagogica che considera la qualità dei processi inclusivi di-rettamente proporzionale a quella della formazione dei docenti(Margiotta, 2018) e del personale in servizio. Si tratta di una situa-zione piuttosto carente, su cui perlomeno le politiche scolastichedovrebbero intervenire, al fine di garantire un numero quanto me-no accettabile di questa categoria di professionisti scolastici.

Un pò diverso è il quadro che emerge dai dati ricavati dalladomanda “per la progettazione di un curricolo in Asl ritiene diadottare una differente metodologia in riferimento agli studentinormodotati e per quelli disabili?”, che ha consentito di rilevare,tra i Docenti Tutor, una forte difficoltà nell’adottare una diffe-rente metodologia di alternanza formativa in riferimento aglialunni disabili. Nel dettaglio, il 63% di docenti intervistati ri-sponde di Si, contro un 37% che risponde di No. Allarmante è ilrisultato della domanda di approfondimento, Se, è si in quali ter-mini, dove un 59% degli intervistati preferisce non rispondere, inconfronto al 38% che dichiara di utilizzare una didattica perso-

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nalizzata e un modestissimo 3% ritiene di utilizzare una differen-te metodologia in relazione alla disabilità specifica riscontrata.

Infine, attraverso l’ultima sezione del questionario non struttu-rato a risposta libera, si è chiesto, ad entrambe le tipologie di cam-pionamento, di descrivere quali sono, secondo loro, i punti di forzae di debolezza dei percorsi inclusivi di alternanza formativa nellescuole dove operano.Dal confronto e dall’incrocio dei relativi valori(%) e delle frequenze riscontrate si evince, tra alcuni punti di forza(cfr. Graf. 1) l’acquisizione di competenze trasversali degli studentidisabili (36%), una proficua disponibilità aziendale (27%), ed in-fine, una quota significativa (18%) valorizza l’alternanza scuola-la-voro quale metodologia di apprendimento in grado di rispondere aibisogni formativi e alle diverse esigenze organizzative degli studen-ti, facilitandone l’orientamento e promuovendo l’acquisizione diconoscenze, competenze e abilità a partire da esperienze concrete,realizzate a contatto con attività produttive.

Graf. 1: Punti di forza (%)

A confronto, tra alcuni punti di debolezza (cfr. Graf. 2) ri-scontrati notiamo, poca disponibilità aziendale ad accoglierestudenti disabili (27%), pochi investimenti in progetti di al-ternanza scuola-lavoro (carenza fondi 27%), ed infine unaquota allarmante del 22% pone maggiore attenzione alle diffi-

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coltà negli spostamenti extra-scolastici riscontrate dagli studentidisabili.

Graf. 2: Punti di debolezza (%)

Sull’ultimo aspetto, ovvero sui loro suggerimenti per migliora-re la qualità dei processi di inclusione lavorativa tra scuola e territo-rio, i docenti non hanno esitato a ribadire quanto sia importantela collaborazione tra tutto il personale docente, la famiglia (25%)e l’extra-scuola (25%). A riguardo, sarebbe opportuno insisteresull’aggiornamento professionale dei docenti, in relazione allanuova metodologia inclusiva dell’alternanza formativa (Berta-gna, 2011), al fine di garantire la complementarità degli inter-venti, la flessibilità didattica e la disponibilità al dialogo extrascolastico.

3. Conclusioni

Il quadro che emerge da questa indagine empirica, mette in evi-denza la reale difficoltà che le Istituzioni Scolastiche (prese acampione) riscontrano nell’implementare e diffondere la nuovametodologia didattico-pedagogica dell’alternanza formativa tra

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il proprio personale docente, gli operatori scolastici e gli studentidisabili (e non).

Sebbene siamo consapevoli che i dati emersi non possono esse-re esaustivi del tema affrontato, che è certamente vasto e compli-cato in quanto pone l’accento sul connubio imprescindibile tra laformazione e il lavoro, ci si auspica che questa indagine possa essereaccolta per ulteriori ricerche e riflessioni utili per il discorso scien-tifico sulla formazione in alternanza delle persone disabili.

Riferimenti bibliografici

Alessandrini, G. (ed.) (2018). Atlante di pedagogia del lavoro. Milano:FrancoAngeli.

Benvenuto, G. (2015). Stili e metodi della ricerca educativa. Roma: Ca-rocci.

Bertagna, G. (2011). Lavoro e formazione dei giovani. Brescia: La Scuo-la.

Bocca, G. (1998). Pedagogia del lavoro. Itinerari. Brescia: La Scuola.Costa, M. (2011). Pedagogia del lavoro e contesti di innovazione. Mila-

no: FrancoAngeli.Lucisano, P., & Salerni, A. (2002). Metodologia della ricerca in educa-zione e formazione. Roma: Carocci.

Magiotta, U. (et) (2018). Teacher Education Agenda. Linee guida per laformazione iniziale dei docenti secondari. Trento: Erickson.

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V.4 –––––––––––––––––Un modello di orientamento formativo per giovani immigrati nei CPIAAn educational guidance model for young immigrants at CPIA –––––––––––––––––Massimo Margottini, Francesca RossiUniversità degli Studi Roma Tre

Il lavoro presenta alcuni esiti del Progetto “CREI - Creare retiper gli immigrati” (2017/2018) coordinato dal Dipartimentodi Scienze della Formazione dell’Università degli Studi RomaTre, finanziato dal Ministero dell’interno su fondi FAMI2014-2020, con cui è stato realizzato un percorso di qualifica-zione del sistema degli attori pubblici e privati che opera nelXIV Municipio di Roma, a tutela dei minori e giovani cittadi-ni di Paesi extra UE. Al centro del progetto è stato posto unpiano d’intervento orientativo, mediante la costruzione di unPortfolio costituito da strumenti quali-quantitativi per il rico-noscimento, la validazione e lo sviluppo delle competenze deigiovani immigrati, al fine di potenziare le capacità di autodire-zione, autoregolazione, adattabilità professionale e orienta-mento al futuro. L’obiettivo generale del Portfolio formativo èaiutare i giovani stranieri a tracciare la loro storia mediante unpercorso di riflessione narrativa e offrire un supporto alla pienadefinizione e realizzazione del proprio progetto migratorio.Ciò si traduce in un processo di triangolazione tra autoperce-zione del soggetto, percezione da parte dei formatori e presta-zioni rilevate. L’esito è un’analisi complessa che, oltre ad offrireai soggetti l’opportunità di imparare a conoscere e controllaremeglio se stessi, consente ai formatori di sviluppare percorsi disostegno formativo e di accompagnamento al lavoro.

The work presents some results of the Project “CREI - Creat-ing networks for immigrants” (2017/2018) coordinated by theDepartment of Education at Roma Tre University and funded

abstract

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by the Ministry of the Interior with AMIF funds 2014-2020.The research is focused on a capacity building course for op-erators who work in the protection system of minors andyoung citizens from extra EU countries. At the center of theproject there is an educational guidance plan finalized to builda Portfolio characterized by quali-quantitative tools to recog-nize, validate and develop young immigrants’ skills like self-di-rection, self-regulation, career adaptability and future timeperspective. The general aim of the Portfolio is helping youngforeigners to trace their life history, to define and realize theirmigratory project through a narrative reflection process. Thisis a process of triangulation between the subject’s self-percep-tion, trainers’ perception of student’s skills and subject’s per-formances. The outcome is a complex analysis that on the onehand allows subjects to know and control themselves, on theother hand allows trainers to develop supporting programs,training and professional courses.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: competenze strategiche, orientamento formati-vo e professionale, Portfolio, giovani immigrati.

Keywords: strategic skills, educational and career guidance,Portfolio, young immigrants.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

Il progetto CREI – Creare reti gli immigrati (gennaio 2017-mar-zo 2018), coordinato dal Dipartimento di Scienze della Forma-zione, dall’Università degli Studi Roma Tre in partenariato conil Centro Provinciale Istruzione Adulti (CPIA3) di Roma, la Co-operativa Sociale Apriti Sesamo, l’Istituto Don Calabria e l’Isti-tuto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali è stato finanziato dalMinistero dell’Interno – Dipartimento per le Libertà Civili el’Immigrazione (Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione 2014-2020) ha sviluppato azioni per la qualificazione del sistema degliattori, pubblici e privati, che operano a tutela dei minori e gio-vani cittadini di Paesi extra UE (Fiorucci, Margottini, 2018).

Obiettivo generale del progetto è la realizzazione di azioni dicapacity building, volte a potenziare le capacità di intervento ditutti gli attori che operano sul territorio del XIV Municipio diRoma, favorendo il consolidamento delle reti attive e la creazio-ne di nuove reti di collaborazione, la condivisione di buone pra-tiche e di metodologie di intervento, avviando una fase di pro-gettazione partecipata per la elaborazione di modalità efficaci dipresa in carico e di sostegno a percorsi di piena inclusione rivoltiai giovani e ai minori stranieri residenti sul territorio.

Una particolare attenzione è stata posta all’orientamento qua-le dimensione strategica utile a favorire nei giovani migranti losviluppo e il potenziamento di capacità riflessive necessarie aidentificare in piena consapevolezza i propri bisogni formativi ecostruire una propria identità professionale in linea con il pro-prio progetto migratorio e una piena inclusione sociale.

2. Il progetto CREI: strumenti e risultati

Gli assi strategici su cui è stato articolato il progetto sono stati so-stanzialmente tre: l’orientamento formativo e professionale, l’in-tegrazione sociale e la tutela.

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Massimo Margottini, Francesca Rossi

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In particolare, nel primo ambito sono stati condivisi con gliattori coinvolti elementi teorici e pratici volti a definire un mo-dello di “orientamento formativo” finalizzato alla progettazionedi un percorso di costruzione identitaria e professionale, a partiredalla valutazione del progetto migratorio dei giovani utenti. Inparticolare con il CPIA3-Roma è stato progettato e sperimentatoun piano di azioni orientative centrate sulla costruzione e appli-cazione di un libretto-portfolio formativo costituito da strumen-ti quali-quantitativi per il riconoscimento, lo sviluppo e la certi-ficazione delle competenze dei giovani immigrati, al fine di po-tenziare in primo luogo le capacità di autodirezione (Carrè,2002; Deci & Ryan, 1985; Kuhl, 1985; Pellerey, 2006), autore-golazione (Zimmerman, 1989), adattabilità professionale (Sa-vickas & Porfeli, 2012) e orientamento al futuro (Nuttin &Lens, 1985; Zimbardo & Boyd, 2008).

Considerando le difficoltà di applicazione degli strumenti stan-dardizzati su giovani italiani ad elevata scolarizzazione e le difficol-tà riscontrate a livello linguistico di comprensione del testo da par-te dei giovani immigrati, gli stessi strumenti sono stati adattati at-traverso la mediazione degli operatori, adeguatamente formati alloscopo, attraverso la conduzione di colloqui-interviste caratterizzatida domande-stimolo che sintetizzano le dimensioni di analisi deiseguenti questionari: il «Questionario sulle Strategie di Apprendi-mento» e il «Questionario di Percezione delle Competenze Strate-giche» di M. Pellerey (Pellerey & Orio, 1996; Bay, Grzadziel, Pel-lerey, 2010), il «Questionario sulla Prospettiva Temporale» (Zim-bardo & Boyd, 2008, 2008) e il «Questionario sull’AdattabilitàProfessionale» (Savickas & Porfeli, 2012).

L’analisi condotta a partire dai colloqui confluisce nel libret-to-portfolio formativo con l’obiettivo di condurre i giovani stra-nieri a tracciare la loro storia mediante un processo di riflessionenarrativa e al tempo stesso fornire agli operatori elementi di ana-lisi per tracciare insieme ai ragazzi le tappe di un percorso forma-tivo e di costruzione di una propria identità professionale. Ciò sitraduce in un processo di triangolazione tra autopercezione del

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soggetto, percezione da parte dei formatori e prestazioni rilevate(Pellerey, 2013; Margottini, 2017).

La ricerca ha coinvolto 127 stranieri (86% maschi e 14% fem-mine). La maggioranza risulta proveniente dal continente africano,con piccole percentuali originarie dell’Asia, dell’America centrale edell’Europa sudorientale. Una percentuale significativa (15%) è co-stituita da minori tra i 16 e i 18 anni (15%), il 62% di giovani adultitra i 19 e i 29 anni e un 17% di adulti tra i 30 e i 44 anni.

Il periodo di permanenza nelle strutture di accoglienza diquesti giovani appare alquanto variegato: il 55% da 1 anno a 2anni, il 26% tra i 2 e i 3 anni, l’8% tra i 3 e i 4 anni solo l’8% dameno di un anno e il 5% da più di 4 anni.

Le strutture interessate sono i Centri di Accoglienza Straordi-naria (CAS: 66%), i Centri Provinciali per l’Istruzione degliAdulti (CPIA: 20%), i Sistemi di Protezione per Richiedenti Asi-lo e Rifugiati (SPRAR: 9%) e la CARITAS (5%) distribuite sulterritorio del XIV Municipio di Roma.

In merito al livello di istruzione è emerso che il 15% non pos-siede alcun titolo di studio e un altro 8% ha frequentato solo lascuola coranica. Il16% ha frequentato la scuola primaria, il 28%la scuola secondaria di I grado e il 30% la scuola secondaria di IIgrado. Infine, una percentuale molto ridotta (3%) ha frequenta-to l’università. È necessario però osservare che la maggioranza diloro ha lasciato gli studi intrapresi a causa dei conflitti bellici nelproprio Paese.

I risultati dell’analisi di valutazione delle competenze strategi-che per dirigere se stessi nello studio e nel lavoro (Pellerey, 2006,2010) mostrano che la maggioranza dei ragazzi si percepisce abba-stanza in grado di gestire processi e strategie elaborative per com-prendere e ricordare, orientarsi e organizzarsi nei compiti di stu-dio, relazionarsi e collaborare con gli altri nello studio e nel lavoro,controllare e gestire ansietà ed emozioni, mostra inoltre adeguatapercezione della propria competenza, credenze di efficacia e locusof control interno, mostra, infine, di essere in grado di dare senso eprospettiva alla propria esistenza umana e lavorativa (Tab. 1).

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Tab. 1: Competenze strategiche per dirigere se stessi nello studio e nel lavoro:distribuzione percentuale del campione

Benché l’88% dei ragazzi si reputi capace di costruire e rea-lizzare il proprio progetto migratorio, il bisogno di trovare qual-siasi lavoro per sostenersi e restare in Italia si manifesta con unatale intensità da farli deviare dai propri desideri di realizzazionepersonale e professionale. Con ciò emerge l’assenza di un pro-getto coerente da poter coltivare nel tempo, rispetto al propriobagaglio culturale, formativo e lavorativo. E anche chi sembraavere obiettivi in linea con le proprie aspirazioni ed esperienzepassate, manifesta la necessità di essere supportato e orientatoad affrontare le barriere sociali e amministrative che trova nelnuovo Paese.

Perniente

PocoAbba-stanza

Molto Moltissimo

Capacità di gestire processi estrategie elaborative percomprendere e ricordare

3% 17% 54% 24% 2%

Capacità di orientarsi e or-ganizzarsi nei compiti distudio e di apprendimento

0% 8% 54% 35% 3%

Capacità di relazionarsi ecollaborare con gli altri nellostudio e nel lavoro

3% 11% 38% 39% 9%

Capacità di controllare e ge-stire ansietà ed emozioni

0% 6% 60% 32% 2%

Capacità di percepire la pro-pria competenza

0% 6% 67% 25% 2%

locus of control interno 3% 10% 59% 26% 2%

Capacità di dare senso eprospettiva alla propria esi-stenza umana e lavorativa

2% 10% 35% 47% 6%

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Ciò nonostante, per quanto riguarda le competenze di adat-tabilità professionale, il 96% dei giovani stranieri sostiene di nonaver perso l’interesse e il senso di responsabilità verso il propriofuturo, affermando di volersi impegnare nel trovare un lavoroche gli consenta di raggiungere una vita serena e indipendente(Concern). Il 95% si percepisce in grado di mantenere con co-stanza gli impegni presi e di essere perseverante nell’esercizio delcontrollo sulle attività formative e professionali che lo vede coin-volto nei centri di accoglienza (Control) e si dimostra curioso edisponibile alla ricerca di buone opportunità lavorative che sianodi supporto anche alla propria crescita personale e professionale(Curiosity). Infine, il 97% mostra fiducia nelle proprie capacità,intende migliorare se stesso e cooperare con gli altri per la costru-zione del benessere individuale e sociale (Confidence), (Tab. 2).

Tab, 2: Competenze di adattabilità professionale: distribuzione percentuale del campione

3. Conclusioni

Dall’analisi dei dati emergono, da una parte, le potenzialità deigiovani coinvolti nel Progetto e, quindi, la possibilità di costruirepercorsi formativi e professionali coerenti con interessi e aspetta-tive personali, dall’altra si evidenzia la necessità di sviluppareazioni orientative centrate sul’empowerment dei giovani stranieri,che non si fermino solo alla richiesta di soddisfazione di bisogniprimari (fisiologici, di sicurezza, di appartenenza), ma puntinoanche alla realizzazione di bisogni secondari (di stima, autorea-

Per niente Poco Abbastanza Molto Moltissimo

Concern 0% 4% 55% 35% 6%

Control 0% 5% 33% 27% 2%

Curiosity 0% 5% 62% 28% 5%

Confidence 0% 3% 72% 23% 2%

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lizzazione) (Maslow, 1954) e alla costruzione di una propriaidentità professionale. Questo anche nell’ottica di prevenire fe-nomeni di emarginazione, del radicarsi di una «mentalità di im-potenza appresa» (Obschonka, Hahn, Bajwab, 2018), di disagimentali e sociali spesso generati dalle condizioni precarie cui so-no talvolta costretti i giovani immigrati.

Riferimenti bibliografici

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Carrè, P. (2002). Après tant d’années… Jalons pour une théoriepsychologique de l’autodirectio. In P. Carré & A. Moisan, La for-mation autodirigée. Aspects psychologiques et pédagogiques (pp. 19-31). Paris: L’Harmattan.

Deci, E.L., & Ryan, R.M. (1985). Intrinsic motivation and self-deter-mination in human behavior. New York: Plenum.

Fiorucci, M, & Margottini, M. (2018). Creare reti per gli immigrati.Milano: FrancoAngeli.

Kuhl, J. (1985). Volitional mediators of cognition-behavior consi-stency: Self-regulatory processes and action versus state orienta-tion. In J. Kuhl & J. Beckmann (et), Action control: From cognitionto behavior (pp. 101-128). New York: Springer Verlag.

Margottini, M. (2017). Competenze strategiche a scuola e all’università.Esiti d’indagini empiriche a scuola e all’università. Milano: Led.

Maslow, A. H. (1954). Motivation and Personality. New York: Harperand Row.

Nuttin, J.R., & Lens, W. (1985). Future time perspective and motiva-tion: Theory and research method. Psychology Press.

Obschonkaa, M., Hahn, E., & Bajwab, N. (2018). Personal agency innewly arrived refugees: The role of personality, entrepreneurial co-gnitions and intentions, and career adaptability. Journal of Vocatio-nal Behavior, 105, 173-184.

Pellerey, M. (2006). Dirigere il proprio apprendimento. Brescia: LaScuola.

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Pellerey, M. (2013). Le competenze strategiche: loro natura, sviluppoe valutazione. Terza parte […]. Orientamenti pedagogici, 60(3),591-609.

Pellerey, M., Orio F. (1996). Questionario sulle Strategie di Apprendi-mento (QSA). Con 25 schede e floppy disk. Roma: Las.

Savickas, M.L., & Porfeli, E.J. (2012). Career adapt-abilities scale:Construction, reliability, and measurement equivalence across 13countries. Journal of Vocational Behavior, 80, 661-673.

Zimbardo, P.G., & Boyd J.N. (2009). Il paradosso del tempo. La nuovapsicologia del tempo che cambierà la tua vita. Milano: Oscar Monda-dori (ed. orig. 2008).

Zimmerman, B.J. (1989). Models of self-regulated learning and acade-mic achievement. In B.J. Zimmerman & D.H. Schunk (eds.), Self-regulated learning and academic achievement: Theory, research andpractice (pp. 1-25). New York: Springer.

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V.5 –––––––––––––––––Valutare le competenze trasversali per l’imprenditorialità: esiti del progetto europeo SOCCESAssessing transversal competences for entrepreneurship: the results of European project SOCCES –––––––––––––––––Elena LuppiUniversità degli Studi di Bologna

Il contributo intende presentare gli esiti del progetto EuropeoErasmus+ SOCial Competences, Entrepreneurship and Senseof initiative (SOCCES). Il progetto fa riferimento al quadrodelle competenze per l’imprenditorialità proposto nelle “Rac-comandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio sullecompetenze chiave per l’apprendimento permanente” (EUL394 / 2006) e sistematizzato nel recente EntreComp: TheEntrepreneurship Competence Framework (EC - Bacigalupoet al., 2016), documento collegato all’Agenda della Commis-sione Europea: “Una nuova agenda di competenze per l’Euro-pa: lavorare insieme per rafforzare il capitale umano, l’occupa-bilità e la competitività”. Il concetto di imprenditorialità si in-tende come legato, in particolare, alla nozione di intrapren-denza, sottolineando gli impatti auto-imprenditoriali piutto-sto che la capacità di costruire business. Si tratta di competen-ze per lo più trasversali, che consentono alle persone di diven-tare proattive, indipendenti e innovative nella vita personale enei contesti lavorativi. Le competenze trasversali proposte perla valutazione dal progetto SOCCES, scelte sulla base della let-teratura esistente e dell’analisi sul campo dei bisogni formativipresso le istituzioni partner di progetto, sono riferite a cinquemacro-aree di competenza. Sulla base di un test pilota che hacoinvolto più di 70 studenti e 8 insegnanti presso le istituzionipartner (UK, Francia, Olanda, Bulgaria, Italia) è stata elabora-ta una rubric delle competenze trasversali strategiche per l’im-prenditorialità e un set di strumenti validati per la valutazionedelle stesse, con finalità diagnostica, formativa, sommativa e dicertificazione. Il progetto ha elaborato, come proposta finale,

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un percorso di valutazione per la certificazione delle compe-tenze trasversali che si offre come spunto di riflessione per tuttii contesti formativi che si propongono di potenziare le compe-tenze per l’autoimprenditorialità.

This contribution presents the results of the Erasmus+ Euro-pean project SOCCES: SOCial Competences, Entrepreneur-ship and Sense of initiative. This project refers to the compe-tence framework for entrepreneurship proposed in the “Recom-mendations of the European Parliament and of the Council onkey competences for lifelong learning” (EU L394 / 2006) andrecently organised in the Entrepreneurship Competence Frame-work (EC - Bacigalupo et al., 2016): a document linked to theEuropean Commission’s Agenda: “A new competence agendafor Europe: working together to strengthen human capital, em-ployability and competitiveness”. The concept of entrepreneur-ship is understood underlining the self-entrepreneurial impactsrather than the ability to build business. Such competences aremainly related to transversal skills, enabling people to becomeproactive, independent and innovative in their personal livesand work contexts. The transversal competences proposed forevaluation in SOCCES project, have been chosen on the basisof the existing literature and a baseline analysis conducted by theproject’s partners: such competences refer to five macro-areas.On the basis of a pilot test involving more than 70 students and8 teachers from the consortium (UK, France, Netherlands, Bul-garia, Italy), a list of strategic transversal competences for entre-preneurship and a set of validated tools for their evaluation, withdiagnostic, training, summation and certification purposes,have been developed. The project has elaborated, as a final pro-posal, an evaluation path for the certification of transversal com-petences as a starting point for reflection for any training envi-ronment that aims to enhance the entrepreneurial competences.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: valutazione, competenze trasversali, imprendi-torialità.

Keywords: assessment, transversal skills, entrepreneurship.–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

Il concetto di imprenditorialità è entrato formalmente e istitu-zionalmente nel dibatto sui curricola dei percorsi della scuola edella formazione a partire dal 2006, con l’uscita delle “Racco-mandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio sulle com-petenze chiave per l’apprendimento permanente” (EU L394 /2006), in attuazione della strategie di Lisbona del 2000. Il docu-mento definisce le competenze chiave di cui tutti gli individuihanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personale, la cit-tadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Tali compe-tenze risultano articolate in otto macroaree: cinque relative a pre-cisi ambiti disciplinari o curricolari – comunicazione nella ma-drelingua; comunicazione in lingue straniere; competenze mate-matiche e competenze di base in scienza e tecnologia; competen-za digitale – e le restanti tre come “competenze trasversali” – im-parare a imparare; competenze sociali e civiche, senso di iniziati-va e imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale –.

Queste ultime competenze, definite, appunto trasversali, in-cludono il concetto di imprenditorialità, non inteso come la ca-pacità di creare necessariamente impresa, ma come lo spirito d’i-niziativa e l’intraprendenza che rendono una persona capace divalorizzare il proprio potenziale, intercettare e costruire opportu-nità. Il “Senso di iniziativa e imprenditorialità” viene definito co-me la capacità dell’individuo di trasformare le idee in azioni. In-clude creatività, innovazione e assunzione di rischi, nonché la ca-pacità di pianificare e gestire i progetti al fine di raggiungere gliobiettivi. Ciò supporta gli individui, nella vita sociale e profes-sionale, nell’essere consapevoli dei contesti in cui operano, delleopportunità e possibilità che li caratterizzano. (EU L394 / 2006p. 17). Il concetto di imprenditorialità, in questo contesto, è le-gato soprattutto la nozione di intraprendenza, sottolineando gliimpatti auto-imprenditoriali piuttosto che la capacità di costrui-re business. Pertanto le competenze legate alla competenza “Sen-so di iniziativa e imprenditorialità” sono per lo più trasversali,

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consentendo alle persone di diventare proattive, indipendenti einnovative nella vita personale e nei contesti lavorativi.

2. Il progetto SOCCES: social competences, entrepreneurshipand sense of initiative

La visione delle competenze e delle capacità imprenditoriali comerisorse per la crescita dell’innovazione, della creatività e dell’auto-determinazione è sottolineata dal recente EntreComp: The Entre-preneurship Competence Framework (EC - Bacigalupo et al.,2016), un importante documento collegato all’Agenda dellaCommissione Europea : “Una nuova agenda di competenze perl’Europa: lavorare insieme per rafforzare il capitale umano, l’occu-pabilità e la competitività”. Questo programma ha lo scopo di af-frontare le sfide relative alle capacità che l’Europa sta attualmenteaffrontando. L’Entrepreneurship Competence Framework (Entre-Comp) è uno strumento per migliorare la capacità imprenditorialedei cittadini, delle cittadine e delle organizzazioni europee, fornen-do una definizione comune di cosa sia l’imprenditorialità comecompetenza. Lo scopo del framework è stabilire un ponte tra am-bienti educativi e luoghi di lavoro per favorire l’apprendimentoimprenditoriale in modo coerente ed efficace. EntreComp offreuna riflessione ampia sull’imprenditorialità intesa come spirito d’i-niziativa e arriva a proporre una rubric dedicata alle varie compe-tenze che determinano, in modo più ampio e articolato, impren-ditorialità o autoimprenditorialità.

Il progetto SOCial Competences, Entrepreneurship and Sense ofinitiative (SOCCES) – è un progetto Erasmus+ finanziato dal-l’Unione Europea con l’obiettivo di sviluppare e divulgare unquadro teorico e metodologico per la valutazione di queste com-petenze. SOCCES è un progetto dedicato alla valutazione dellecompetenze trasversali per l’imprenditorialità che è stato ispiratodalla stessa prospettiva sopra proposta sul significato e il poten-ziale dell’educazione all’imprenditorialità: una strategia per mi-

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gliorare le competenze che sono fondamentali, in una società ba-sata sulla conoscenza, per trovare risposte alle esigenze del mer-cato del lavoro, per promuovere coesione sociale e cittadinanzaattiva.

Le competenze trasversali proposte per la valutazione dal pro-getto SOCCES sono state scelte in base a un processo che ha pre-visto, da un lato, l’analisi della letteratura esistente (letteraturaaccademica e documenti di policy), dall’altro lato, l’analisi deifabbisogni formativi attraverso una serie di interviste a testimoniprivilegiati in ambito formativo e imprenditoriale (interviste se-mistrutturate svolte presso ciascuna delle istituzioni partner diprogetto). Sono state quindi selezionale cinque macro-aree dicompetenza strategica per l’imprenditorialità intesa come intra-prendenza:

• Atteggiamento positivo e iniziativa; • Comunicazione e interazione; • Lavoro di gruppo e collaborazione; • Pensiero critico e analitico, • Problem solving e Valutazione del rischio; • Creatività e innovazione.

Per ciascuna di queste aree sono stati definiti indicatori dicompetenza da un livello di padronanza iniziale a uno avanzatoe individuate possibili strumenti valutativi validati. La figura se-guente presenta un estratto della rubric con indicazioni valutati-ve che è risultata da questo lavoro.

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È stato quindi messo a punto un questionario per valutare lecompetenze sopra citate attraverso una selezione degli strumentivalutativi che sono stati individuati dall’analisi della letteratura.Il questionario è stato utilizzato come strumento valutativo pre epost nel corso di un’esperienza formativa pilota su scala interna-zionale, che ha coinvolto più di 70 studenti e 8 insegnanti delleistituzioni partner (UK, Francia, Olanda, Bulgaria, Italia). Glistudenti e le studentesse coinvolti hanno svolto un’attività for-mativa centrata su una business challenge innovativa, in modalitàblended learning. Il confronto fra pre e post test ha fatto emergere alcuni risultatiche possono essere sintetizzati nei seguenti punti:

• alto gradimento e interesse verso la metodologia di lavoro sucasi, specialmente considerando la dimensione internazionale;

• ridondanza di diverse dimensioni nelle scale utilizzate;• coerenza accettabile tra risultati auto- ed etero-valutati;• nessun cambiamento sui risultati di pre- e post- test su tutte

le scale testate, come si evince dalla figura n. 2.

Fig. 2: Esiti dell’esperienza formativa pilota

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Quest’ultimo punto, in particolare, è stato oggetto di rifles-sione da parte del team di progetto. Ci si è interrogati su quantopossa avere influito il fatto di non aver proposto le competenzetrasversali come contenuti del corso e, conseguentemente, èemersa la necessità di riprogettare il percorso inserendo una ri-flessione metacognitiva sulle stesse.

3. Conclusioni

Lo strumento valutativo è stato rivisto allo scopo di ridurre il nu-mero di test a favore di strumenti qualitativi che potessero essereriferiti a esperienze personali. Sulla base degli esiti si è procedutoa un affinamento nella selezione delle competenze chiave e deglistrumenti valutativi collegati nelle aree relative all’atteggiamentopositivo e allo spirito di iniziativa, alla comunicazione e intera-zione; al pensiero critico e analitico; alla creatività e all’innova-zione. Si è così arrivati a formulare un set di strumenti valutativiper quello che è stato definito come EuroComPass: uno strumen-to di valutazione delle competenze trasversali con obiettivi dia-gnostici, formativi e sommativi. Tutti gli strumenti riflettono losviluppo di obiettivi relativi a competenze trasversali in tre diver-si livelli di (basso, intermedio, alto), sono adattabili a differenticontesti di applicazione di tali competenze, sono basati sulle per-formance degli studenti, forniscono informazioni e riscontri peril miglioramento, utilizzando misure validate e affidabili.

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Ricerche

V.6 –––––––––––––––––Può il Service Learning aiutare gli studenti a maturare le Soft Skills da far valere in ambito lavorativo? Uno studio esplorativoCan the Service Learning help the students to develop Soft Skills, to be used in the workplace? An exploratory study –––––––––––––––––Orlando De PietroUniversità della Calabria

I modelli di lavoro e la partecipazione alla vita comunitaria so-no sollecitati da processi di innovazione e cambiamento che ri-chiedono una rivisitazione delle modalità di collaborazione fraruoli, dell’utilizzo di capacità personali e relazionali e delle pra-tiche della vita interpersonale e di gruppo. Nella Scuola, oltrealle tematiche relative ai saperi disciplinari, si fanno semprepiù spazio le skills necessarie per abitare e governare la com-plessità nelle sue caratterizzazioni di incertezza e di minoreprevedibilità. Alcune ricerche, oltre alle specifiche skills delleprofessioni, dimostrano che il mondo del lavoro richiede quel-le che la comunità economica europea ha definito Soft Skills.Una delle didattiche innovative che può favorire la loro matu-razione è il Service Learning e, lo studio esplorativo qui pre-sentato, fonda sull’ipotesi che, grazie alle sue caratteristicheprocedurali e metodologiche, questo può aiutare gli studenti aosservare e maturare le Soft Skills da far valere nel mondo dellavoro. Dallo studio di esperienze di Service Learning svolte inuna rete di scuole della Calabria nell’anno scolastico 2016-2017, è confermata l’ipotesi e, inoltre, si è rilevata una impor-tante relazione fra Service Learning, maturazione di Soft Skillse programmi di Alternanza Scuola-Lavoro (ASL). Tutto ciò haaperto a una integrazione tra progetti realizzati inizialmente inmaniera indipendente, per avviare una prospettiva di azioni disistema.

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Work models and participation in community life are stimu-lated by processes of innovation and change that require a re-view of the ways of collaboration between roles, the use of per-sonal and relational skills and the practices of interpersonaland group life. In the School, in addition to the issues relatedto disciplinary knowledge, more and more space is given to theskills needed to live and govern the complexity in its charac-terizations of uncertainty and less predictability. Some studies,in addition to the specific skills of the professions, show thatthe work area requires what the European business communi-ty has called Soft Skills. One of the innovative didactics thatcan promote their development is the Service Learning and,the exploratory study presented here, based on the hypothesisthat, thanks to its procedural and methodological characteris-tics, this can help students to observe and mature the SoftSkills to be used in the world of work. By the study of experi-ences of Service Learning carried out in a network of schoolsin Calabria in the school year 2016-2017, is confirmed the hy-pothesis and, moreover, it was found an important relation-ship between Service Learning, maturation of Soft Skills andprograms of school-work alternation.All this opened the doorto integration between projects initially carried out independ-ently, in order to launch a perspective of systemic actions.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: service learning; soft skills; alternanza scuola-lavoro; complessità sociale; governo dell’agire.

Keywords: service learning; soft skills; school-work alterna-tion; social complexity; governance of action.

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Orlando De Pietro

1. Introduzione

Nell’attuale società i modelli di lavoro e la partecipazione alla vi-ta comunitaria richiedono una rivisitazione delle modalità dicollaborazione, dell’utilizzo di capacità personali, relazionali e digruppo. Nella Scuola, oltre ai saperi disciplinari, è necessario fareacquisire agli studenti le skills per abitare e gestire la complessità,l’incertezza e la minore prevedibilità (Callari, 2003; Ceruti,2009, 2014, 2018). La diffusione delle tecnologie che amplia lepossibilità della mente (Clark, 2003), apre a trasformazioni giàin atto nel governo dell’agire (Ciappei, Cinque, 2014). Nelmondo del lavoro emerge così, sempre di più, la richiesta di pa-droneggiare Soft Skills; ai lavoratori, infatti, sono richieste «com-petenze come la collaborazione, la creatività e la risoluzione deiproblemi, e le qualità dei caratteri come la persistenza, la curio-sità e l’iniziativa» (Fregola, 2016, p 53). È evidente, quindi, chela relazione fra apprendimento, conoscenze e competenze, fina-lità della formazione di base, e processi decisionali nella proget-tazione educativa e didattica, consente di individuare ipotesi diricerca che mettono al centro dell’attenzione le Soft Skills e comepossono essere acquisite. Da una nostra riflessione è emerso cheil Service Learning (SL), metodologia pedagogica da utilizzarenelle attività educativo-formative, può far maturare negli stu-denti Soft Skills e può essere integrarlo in attività di ASL.

2. Il service learning

Il SL è diffuso nei paesi dell’America Latina e negli Stati Unitidove sono presenti pratiche educative, in cui i servizi alla comu-nità e ai singoli individui sono interdipendenti e in correlazione(Vigilante, 2014, p. 159). La sua peculiarità è quella di consen-tire agli studenti di combinare l’apprendimento (Learning) dellediscipline del curricolo scolastico con un servizio (Service) realealla comunità (Sigmon, 1979; Fiorin, 2016; Tapia, 2006, p. 32),

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delineando un profilo di soggetto capace di essere cittadino delmondo, di saper interagire con i valori culturali di tutti e di ren-dere disponibili le proprie competenze professionali (Gradini,2015, p. 363).

Questo metodo didattico consente di raggiungere diversiobiettivi (Billing, 2000)quali la responsabilità, l’autostima, la re-lazione con gli altri, l’interculturalità, l’inclusione, la relazioned’aiuto, il volontariato, gli alfabeti, la vita di classe, la motivazio-ne allo studio e l’incidenza sulla dispersione scolastica.

3. Soft skills

In letteratura, il termine Soft Skills (EC, 2011) è utilizzato me-diante una molteplicità di denominazioni che generano ambi-guità e, di conseguenza, comportano la difficoltà a determinareuna definizione chiara da cui si evinca l’espressione della loro pe-culiarità.

James Heckman1 (2012, p. 452), Bernd Schulz2 (2008), Ele-na Dell’Amico3 (2016, p. 10), mettono in evidenza le trasforma-zioni in corso nei sistemi di istruzione, chiamati a far maturarequelle competenze utili nella vita quotidiana sociale e lavorativa.Ma quali sono queste Soft Skills? La nostra attenzione si è foca-lizzata sulla classificazione proposta da Elena Dall’Amico (2016,pp. 11-12) di 21 Soft Skills, raggruppate in tre macro-aree:

A. - Farsi strada nel mondo del lavoroB. - Padroneggiare le competenze SocialiC. - Raggiungere risultati

1 Premio Nobel per l’Economia. 2 Senior Lecturer al Polytechnic of Namibia dove, dal 2000, insegna Infor-

mation Technology.3 Centro Estero Internazionalizzazione Piemonte.

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Orlando De Pietro

4. Soft skills e alternanza scuola lavoro

Constatando che il principio base dell’ASL è quello di individua-re e confermare un possibile raccordo tra formazione pre-profes-sionale e inserimento lavorativo reale, tra assunzione di ruoli so-cio-lavorativi e educazione alla responsabilità di cittadinanza(Salatin, 2017, p. 217), si può ipotizzare che questa determinal’integrazione degli apprendimenti acquisiti a scuola con quelliesterni all’istituzione scolastica in quanto «[…] le conoscenze ecompetenze [scolastiche] svilupperebbero [comunque Soft Skillse] contribuirebbero anche alla crescita di altri aspetti che valoriz-zano la forza lavoro tra cui le conoscenze e competenze manage-riali» (Cinque, 2014, p. 157). Allora, precisa Salatin (2017, p.225), «la formazione al e sul lavoro (come si osserva anche inmolte esperienze di ASL) diventa parte significativa di questa co-noscenza autentica, antropologicamente fondata».

5. Caso studio – Ipotesi di ricerca

Lo studio esplorativo si fonda sull’ipotesi che, grazie alle sue ca-ratteristiche procedurali e metodologiche, il Service Learning puòaiutare gli studenti a osservare e maturare le Soft Skills da far valerenel mondo del lavoro.

6. Il campione

Il campione riguarda due popolazioni che fanno riferimento alledue fasi in cui si è articolata la ricerca. In una prima fase, lo stu-dio è stato concentrato sull’analisi di progetti di SL svolte in al-cune Scuole della Calabria nell’anno scolastico 2016-2017, inparticolare 5 della provincia di Cosenza, 2 della provincia di Vi-bo Valentia e 1 della Provincia di Reggio Calabria. Sono state co-involte 10 classi di scuola Secondaria di Secondo Grado, 20 do-centi e 342 Studenti.

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7. analisi e risultati

I progetti di SL, oggetto della sperimentazione, sono stati analiz-zati mediante lo studio qualitativo delle schede-progetto e delleschede di valutazione finale.

Il focus dell’analisi si è concentrato sulla loro articolazione esulle dimensioni: • finalità• obiettivi• contesto di riferimento• discipline coinvolte• natura delle attività reali o autentiche• valutazione delineata nella documentazione di fine progetto.

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Sessione 5

Tab. 1: Progetti SLNella seconda fase sono stati analizzati progetti di ASL svolti nella provincia di Cosenzae di Vibo Valentia per un totale di 24 classi, 53 docenti e 644 studenti.

Tab. 2: Progetti di ASL

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Lo studio, inoltre, è stato supportato da una griglia di rileva-zione, progettata e validata, delle frequenze delle Soft Skills, clas-sificate in tre categorie:

• Farsi strada nel mondo del lavoro• Padroneggiare competenze sociali• Raggiungere risultati

Infine, sono stati svolti colloqui con i responsabili dei proget-ti per contestualizzare il processo di ricerca.

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Tab. 3: Soft Skills rilevate nei progetti di SL

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Dall’analisi casuale è emerso il coinvolgimento delle stessescuole del campione in progetti di ASL. Utilizzando la stessa gri-glia si è riusciti a rilevare la presenza di Soft Skills in progetti diASL (v. Tab. 3).

L’analisi della documentazione relativa alla valutazione degliapprendimenti ha fatto emergere che la relazione fra le singole SoftSkills, le abilità e le competenze previste dai progetti non sono sta-te oggetto di intenzionalità didattica, come confermano i colloquisvolti con i responsabili dei progetti. Da una riflessione ex-postsulle esperienze, è emerso che le Soft Skills influenzano i processidi apprendimento al di fuori dell’intenzionalità didattica e in mo-do prevalentemente inconsapevole. Laddove tutto ciò è anche og-getto di attenzione da parte dei docenti, queste sono direttamenteosservabili nelle situazioni didattiche reali e autentiche.

Lo studio dei progetti di ASL ha consentito di rilevare che leSoft Skills sono indicate come “competenze trasversali” e sono ri-ferite principalmente alla categoria Farsi strada nel mondo del La-voro. In questi progetti l’attenzione si sposta sui dispositivi e lefunzioni che hanno lo scopo di integrare teoria e pratica in un’ac-cezione che potremo definire più tradizionale rispetto alla neces-sità di stimolare e sviluppare capacità e abilità finalizzate a Padro-neggiare competenze sociali e a Raggiungere risultati.

Fig. 1: Integrazione fra le categorie di Soft Skills

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8. Conclusioni

Dai progetti di SL è emerso che, relativamente alla prima macro-categoria (Farsi strada nel mondo del Lavoro), in tutti i progettianalizzati è presente solo la sotto-categoria “Gestire responsabi-lità” mentre non si rilevano le altre Soft Skills. Sono presenti in-vece quelle relative alle altre due categorie: “Raggiungere risulta-ti” e “Padroneggiare competenze sociali”. Purtuttavia, dai collo-qui con i responsabili dei progetti è emerso che l’attività didatti-ca è svolta con poca consapevolezza da parte degli insegnanti difar maturare, agli studenti, Soft Skills. Dai progetti di ASL, altre-sì, è emerso che nei momenti di riflessione e di valutazione, svoltial termine di alcune attività laboratoriali e in situazioni reali oautentiche, le Soft Skills sono in azione ma non sono oggetto diattenzione.

Viene così confermata l’ipotesi iniziale che risulta ampliatacon quanto emerso durante la prima fase dell’indagine esplorati-va di collegare le Soft Skills anche alle attività previste dall’ASL.Si è avvalorata pertanto la nostra visione di ideazione e condu-zione sinergica dei suddetti progetti con lo scopo di integrare lefinalità di entrambi in una prospettiva di sistema. Gli sviluppi inatto prevedono la somministrazione di un questionario agli stu-denti sui loro livelli di consapevolezza rispetto alle Soft Skills eun focus group con gli insegnanti per la rilevazione del loro livel-lo di informazione sui temi dello sviluppo di Soft Skills.

Riferimenti bibliografici

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V.7 –––––––––––––––––Legge 107: la faccia feroce della società della conoscenza?Law No 107/2015: the fierce face of the knowledge society? –––––––––––––––––Loredana La VecchiaUniversità degli Studi di Ferrara

L’idea su cui si fonda la riforma del nostro sistema di istruzionee educazione è affermare il ruolo centrale della scuola nella socie-tà della conoscenza. Per cogliere e valutare appieno la 107, di-venta allora indispensabile capire cosa si celi dietro la “societàdella conoscenza”.Allineando le vicende socio-politiche-territoriali degli ultimianni, emerge la serie di contraddizioni derivante dalla kno-wledge economy, il paradigma economico della società fondata,appunto, su servizi e conoscenza. In tale società, diventanocruciali due forme particolari di conoscenza: il sapere come e ilsapere chi (Lundvall, Johnson, 1994). Entrambe si apprendonocon la pratica sociale, interagendo con ambienti stimolanti,flessibili e altamente specializzati. Ma queste caratteristicheambientali sono squisitamente locali e attengono ad aree bencircoscritte dei territori nazionali; solo le città dotate di eccel-lenze possono offrire scenari siffatti (Archibugi, Filippetti,2016). Londra, Parigi, Barcellona, Milano, per esempio, sonoisole di prosperità che generano conoscenza e ne attraggono al-tra, creando concentrazione di ricchezza e di benessere; di con-tro, i luoghi più periferici e rurali risultano emarginati, esclusidal circuito descritto e, al contempo, vedono diminuite le loropossibilità di crescita.In quest’ottica, la 107 rischia di diventare lo strumento legaledell’iniquità sociale, rendendo ancora più drammatica la di-stanza tra i cittadini della provincia e quelli delle metropoli.

The idea on which our scholastic and educational system’s “re-form” is based, is to adfirm the core role of school in the

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knowledge society. To better understand and examine Law No107/2015, it is essential to shed light on the concept of knowl-edge society.Taking into account socio-political and local events of the lastfew years, a set of contradictions of the knowledge economy –the economical paradigm of a society based on services andknowledge – inevitably emerges. A society, then, in which twokinds of knowledge become crucial: namely, the “know-how”and the “know-who” (Lundvall, Johnson, 1994). Both kindsof knowledge can be acquired through social practice, by in-teracting with stimulating, flexible and specialised environ-ments. As known, such exquisitely local features comply withclearly delimited areas of the different countries; only thosecities that boast excellence can offer the abovementioned sce-narios (Archibugi, Filippetti, 2016). London, Paris,Barcelona, Milan are “islands of prosperity” which produceknowledge, creating concentration of richness and wellnessand marginalising rural and peripheral places.From this perspective, Law No 107/2015 might become thelegal instrument of the social inequality, making the distancebetween provincial and metropolitan citizens even more dra-matic.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Parole chiave: disuguaglianze, economia della conoscenza,educazione.

Keywords: inequalities, knowledge economy, education.–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

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1. Introduzione

La legge 107/2015, benché non possa essere considerata una ri-forma (non vengono sostituiti elementi fondamentali dell’istitu-zione scuola), nondimeno interviene su numerosi aspetti del no-stro sistema istruttivo-educativo. L’intento principale è quello diattualizzare il principio di “autonomia funzionale scolastica” –già sancito nell’art. 21 della legge Bassanini del 1997 e regola-mentato dal D.P.R. n. 275 del 1999. In tal senso, il piano trien-nale dell’offerta formativa diventa lo strumento strategico della107: esso è sia il documento costitutivo dell’identità culturale e pro-gettuale delle istituzioni scolastiche sia il dispositivo che consentedi raggiungere, oltre gli obiettivi formativi prioritari, anche gliobiettivi riferiti ai cosiddetti punti qualificanti della formazione.Ma quel che qui preme è ragionare intorno all’inquadramentoteorico della legge, nel tentativo di meglio comprendere se il sen-so ultimo delle disposizioni contenute coincida o meno con l’i-dea di una scuola per tutti e per ciascuno, una scuola atta, si vuoledire, a formare cittadini in grado di promuovere una sana rige-nerazione democratica, di muoversi con competenza negli spazidella complessità, e, contestualmente, una scuola capace di offri-re pari occasioni a ogni suo studente, ben sapendo quanto pesinoi fattori ambientali e le circostanze sociale.

Nell’articolo 1 si esplicita l’indirizzo politico della 107: porrela scuola al centro delle dinamiche che caratterizzano l’attuale so-cietà “della conoscenza”. Tale appellativo rimanda alle modalitàdi produrre ricchezza e benessere da parte dei sistemi economici(soprattutto occidentali), una volta entrati, con la fine della se-conda guerra mondiale, nel terzo periodo del capitalismo (Druc-ker, 1993). Nella nuova veste assunta dal capitalismo, le fonti perprodurre valore, conquistare nuovi mercati, essere competitivisono (1) la conoscenza, (2) una forza lavoro qualificata (Grazzi-ni, 2008), (3) contesti appropriati rispetto all’evoluzione dellaproduzione stessa e dei consumi (Penco, 2012).

Dunque, l’architrave che regge la recente ristrutturazione della

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scuola italiana è un modello economico – knowledge economy – icui sviluppi però non danno assicurazioni in termini di maggiorsostenibilità, efficacia, equità, democrazia. Se infatti si guarda allevicende degli ultimi decenni, appare chiara la dimensione del ma-lessere, fatto di povertà, incertezza, diminuzione di diritti, preca-rietà lavorativa ed esistenziale, che attanaglia, ovunque nel mondo,le genti. Concordando con le osservazioni di Dahrendorf (1995),si tratta di vera e propria sperequazione: non solo per l’ampia for-bice che si è creata tra i redditi, ma anche e soprattutto perché in-tere fasce di popolazione hanno perso ogni collegamento con lasfera della cittadinanza. Beni, ricchezza, benessere e riconosciutaopportunità di accedervi non procedono più affiancati. L’ultimoRapporto ILO (International Labour Organization) indica che nel2017 ben 1,4 miliardi di lavoratori nel mondo erano occupati inattività vulnerabili, mentre il 40% di tutti i lavoratori versava incondizione di povertà estrema. Per l’Italia, lo stesso Rapporto in-dica che su circa 22,3 milioni di occupati, quelli in posizione vul-nerabile erano 3,8 milioni, di cui 1,3 milioni riferiti a donne. Indefinita, l’economia della conoscenza quale motore per il raggiun-gimento di una società dell’abbondanza, più libera e democratica,più equa nella distribuzione delle ricchezze, resta, attualmente,una meta ancora da raggiungere (Grazzini, 2008).

2. Economia della conoscenza: luci e ombre

La conoscenza ha sempre occupato un ruolo di rilievo tra i de-terminanti di sviluppo economica. Come segnala Foray(2000/2006), la prosperità delle antiche abbazie cistercensi si ba-sava sulla capacità di organizzare il proprio lavoro applicando sa-peri, tecniche e informazioni possedute dall’intera comunità etrasmesse attraverso la poderosa rete che univa ognuno di queiluoghi all’altro. Stessa cosa può dirsi per le grandi imprese chehanno segnato l’avvento dell’era industriale moderna: si pensisolamente alla produzione, su larga scala, dell’energia elettrica;

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produzione legata alle conoscenze e al talento di Edison. Ciò as-sodato, resta da capire cosa distingue l’economia basata sulla co-noscenza di oggi da quelle di ieri. Indubbiamente, la differenza èdata dall’interazione, sempre più stretta, tra la produzione, in co-stante aumento, del bene “conoscenza” e il capillare diffondersidelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; tecno-logie che hanno nell’immateriale la propria cifra. Quel che nellarete circola, sotto ogni forma, è infatti significato, senso. Comesuggerisce Penco (2012), con l’avvento delle nuove tecnologie, ilconfine tra bene materiale e bene immateriale è diventato piùsfuggente: alcuni prodotti materiali sono acquistati in virtù di unloro rimando alla dimensione intangibile, mentre i servizi on li-ne, pur avendo una natura immateriale, vengono acquistati perle loro funzioni materiali.

Ora, per valutare l’impatto economico delle ICT, bisogna ra-gionare su due elementi: (1) l’estrema efficienza degli strumenti,data da velocità, semplicità d’uso, costi contenuti e facile acces-sibilità, nel consentire circolazione dell’informazione, trasferi-mento di conoscenze e stoccaggio dei dati; (2) la dilatazione, po-tenzialmente infinita, dello spazio di transazione, tant’è chequalsiasi passaggio di merci, immateriali e fisici, avviene in ter-mini globali (Roncaglia e Roncaglia, 2001). Tutto ciò evidente-mente favorisce la nascita di pratiche sociali e di modelli impren-ditoriali altri, rispetto al passato, ma per contro crea una costanteturbolenza, un’incertezza di fondo perché si opera in un regimedi cambiamento perpetuo che finisce con azzerare la possibilitàdi quantificare il rapporto costi-ricavi, distorcendo ogni previ-sione circa i benefici reali. In somma, proprio negli elementichiave della knowledge economy si annidano le insidie più danno-se: l’obsolescenza dei macchinari, il deprezzamento delle compe-tenze possedute, l’imprevedibilità del valore dei beni. Non solo.A livello sociale si esacerbano le fratture, le iniquità, si moltipli-cano le forme di esclusione.

Nel paradigma produttivo della knowledge economy i lavora-tori, tipicamente, posseggono i seguenti tratti:

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• applicano la conoscenza per sviluppare nuovi prodotti, nuoviservizi;

• continuano ad apprendere;• svolgono compiti astrattamente definibili;• possiedono un’alta autonomia;• possiedono creatività;• possiedono abilità comunicative.

I knowledge workers posseggono, a dire, la conoscenza indi-spensabile per coprire un determinato ruolo e agiscono con“competenza”, ossia svolgendo il proprio compito non solo inmodo professionale, ma nell’ottica del miglioramento continuo(Tronti, 2015). Le capacità, rispettivamente, di “fare” e di rende-re produttiva la conoscenza, secondo molti studiosi (Bratti,Checchi, Filippin, 2008) non dipenderebbero esclusivamentedalla formazione scolastica, ma da una serie di processi di ap-prendimento che si generano e co-evolvono nei contesti esisten-ziali, territoriali e lavorativi delle persone. Come dire, non bastapossedere un computer e la connessione al web o un titolo di stu-dio universitario per far parte del villaggio globale per emanci-parsi dalla propria situazione. La questione, semmai, è ricondu-cibili agli aspetti demografici, economici, di civicness, culturali,familiari. Negli scenari fragili, è lecito pensare che l’accesso allecompetenze sia, di fatto, negato: persone con bassi livelli di sco-larizzazione, giovani senza esperienza, donne, immigrati, hannoaltissime probabilità d’esser tagliati fuori dal circuito creazione-accumulazione-scambio-ricombinazione della conoscenza. An-cor più, come sottolinea François Dubet (2010, p. 55), quandole disuguaglianze si presentano in forma multipla: per esempio,essere “migrante e professionalmente qualificato, ricco e abitantedi una regione periferica, precario e con un mestiere creativo”.D’altro canto, le aziende più innovative sfuggono i luoghi deldisagio, dell’arretratezza culturale, della povertà educativa, stabi-lendosi nei cosiddetti “centri creativi” (Florida, 2002/2003) – legrandi città dove vivono e si trasferiscono professionisti ultra

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specializzati, giovani talenti, scienziati, musicisti, artisti – Mila-no, Barcellona, Londra, Parigi. Si crea così un circuito che ali-menta la divaricazione sociale. Le imprese knowledge based si lo-calizzano nelle grandi aree urbane perché quest’ultime presenta-no sia fattori “impliciti” (centri di ricerca, università, presenza dialtre imprese, ad esempio) sia “politiche esplicite” di sviluppo(governance urbana, azioni di valorizzazione e promozione dellacittà, ad esempio) (Carillo, 2004); l’atmosfera stimolante delletop city richiama i knowledge workers che, a loro volta, si configu-rano come i principali produttori/consumatori dei beni tipicidell’economia della conoscenza. Ma la circolarità del processodescritto non distribuisce vantaggi a tutti, le classi dei lavoratoricon redditi più bassi, le città con ridotte capacità di richiamonon riescono, di fatto, ad accedere compiutamente nella scenaaperta dall’economia della conoscenza.

3. Conclusioni

A fronte di quanto detto, appare corretto ridimensionare la fidu-cia posta nella knowledge economy: i numerosi coni d’ombra inessa insiti, lasciano concludere che non siano state superate le lo-giche dell’economia fordista e del capitalismo tradizionale, e chenuove contraddizioni si aggiungeranno ai tanti divari esistenti.Sic et simpliciter, l’economia della conoscenza si sviluppa nei di-stretti più ricchi, non tocca le aree territoriali sfavorite all’internodelle nazioni. In questo senso, si sollevano dubbi circa la bontàdella 107: senza politiche specifiche di potenziamento del siste-ma produttivo dei luoghi depressi, modificare genericamenteaspetti del sistema istruttivo-educativo non basta.

Laddove, da Nord a Sud, non esistono infrastrutture, biblio-teche, musei, teatri, centri di aggregazione culturale e buoni gra-di di civicness, occorrerebbe promuovere forme di istruzione-for-mazione specifiche, progettate ad hoc, coinvolgendo gli attori in-teressati. Ad esempio, nei luoghi contrassegnati da flussi impor-

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tanti di spostamento della popolazione giovanile – per motivi dilavoro o di studio – potrebbero funzionare le politiche di “masterand back”, ossia finanziamenti atti a coprire un periodo di altaformazione fuori dalla regione di residenza, con l’obbligo però dirientro una volta concluso. Ma anche programmi che prevedanoscambi per attività extracurricolari con le zone più virtuose e for-ti del paese, sì da facilitare l’acquisizione di abilità e competenzederivanti dai processi di apprendimento interattivo che, tipica-mente, si sviluppano in quelle aree. In sintesi estrema, bisogne-rebbe poter immaginare attività e percorsi scolastici rispondentialle necessità di ognuno, perché, come affermava Don Milani,non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali fra diseguali(Scuola di Barbiana, 1967, p. 55)

Riferimenti bibliografici

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Sessione 5

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Loredana La Vecchia

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