PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA...

280
PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA D’EUROPA DELL’ETÀ MODERNA. RADICI POLITICO-RELIGIOSE DI UN’IDEA Francesco Vitali dottorato di ricerca in Storia della formazione dell’Europa moderna. Culture nazionali e idea d’Europa (XVI Ciclo), dipartimento di studi politici, Facoltà di Scienze Politiche, Roma, La Sapienza coordinatore del dottorato professore Paolo Simoncelli commissione di discussione composta dal professore Eugenio Di Rienzo, professore Gaetano Platania, professoressa Giovanna Motta (presidente) La tesi si focalizza sull’analisi dell’incompiuta Storia d’Europa composta da Pier Francesco Giambullari a partire dai primi anni quaranta del Cinquecento fino alla morte occorsa nell’agosto 1555, in relazione alla sua parabola politico-culturale. Un’esistenza vissuta costantemente nell’ambiente mediceo, come emblematicamente mostra il ruolo svolto nella fondazione dell’Accademia fiorentina e nell’impegno letterari speso a supporto del nascente assolutismo di Cosimo I e della sua proiezione espansiva regionale. Le lezioni dantesche ma soprattutto il trattatello sull’origine di Firenze Il Gello, pubblicato nel 1546, attraverso le fonti letterarie e le tesi storico-linguistiche esposte, documentano un chiaro indirizzo ghibellino, filoimperiale, favorevole a Carlo V d’Asburgo, in linea, sia con le coordinate antifarnesiane della politica estera cosimiana, sia con l’antica militanza ghibellina degli avi del Giambullari. L’incompiuta Storia d’Europa conferma pienamente questa tendenza filo-asburgica, celebrando non Carlo Magno, ma Ottone I quale restauratore della forza politico-spirituale dell’idea imperiale e garante della stabilità della Res publica Christiana e dei regni che la compongono. 1

Transcript of PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA...

Page 1: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA D’EUROPA

DELL’ETÀ MODERNA. RADICI POLITICO-RELIGIOSE DI UN’IDEA

Francesco Vitali dottorato di ricerca in Storia della formazione dell’Europa moderna. Culture nazionali e idea d’Europa (XVI Ciclo), dipartimento di studi politici, Facoltà di Scienze Politiche, Roma, La

Sapienza coordinatore del dottorato professore Paolo Simoncelli

commissione di discussione composta dal professore Eugenio Di Rienzo, professore Gaetano Platania, professoressa Giovanna Motta (presidente)

La tesi si focalizza sull’analisi dell’incompiuta Storia d’Europa composta da Pier Francesco Giambullari a partire dai primi anni quaranta del Cinquecento fino alla morte occorsa nell’agosto 1555, in relazione alla sua parabola politico-culturale. Un’esistenza vissuta costantemente nell’ambiente mediceo, come emblematicamente mostra il ruolo svolto nella fondazione dell’Accademia fiorentina e nell’impegno letterari speso a supporto del nascente assolutismo di Cosimo I e della sua proiezione espansiva regionale. Le lezioni dantesche ma soprattutto il trattatello sull’origine di Firenze Il Gello, pubblicato nel 1546, attraverso le fonti letterarie e le tesi storico-linguistiche esposte, documentano un chiaro indirizzo ghibellino, filoimperiale, favorevole a Carlo V d’Asburgo, in linea, sia con le coordinate antifarnesiane della politica estera cosimiana, sia con l’antica militanza ghibellina degli avi del Giambullari. L’incompiuta Storia d’Europa conferma pienamente questa tendenza filo-asburgica, celebrando non Carlo Magno, ma Ottone I quale restauratore della forza politico-spirituale dell’idea imperiale e garante della stabilità della Res publica Christiana e dei regni che la compongono.

1

Page 2: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Pier Francesco Giambullari e la prima storia d’Europa dell’età moderna, radici politico-religiose di un’idea Capitolo I Pier Francesco Giambullari letterato al servizio dei Medici 1. La tradizione familiare ghibellina e il suo declino: Pierfrancesco cortigiano mediceo pag. 3 2. Accademico: le lezioni dantesche pag. 19 3. Verso la storia d’Europa: Le fonti aramaiche pag. 31 Capitolo II La storia d’Europa: 1. La fortuna e motivi della storia d’Europa pag. 64 2. Libro primo: il lungo percorso dalle radici storico-geografiche all’instabilità dell’area imperiale pag. 77 3. Libro secondo: Beato Renano, la nuova Germania e la Translatio imperii pag. 135 4. Libro terzo: la translatio imperii al mondo tedesco, da Corrado di Franconia a Arrigo di Sassonia pag. 166 Capitolo III La storia d’Europa e alcuni confronti con la storiografia coeva: 1. Paolo Giovio pag. 195 2. Cosimo Bartoli pag. 202 3. Girolamo Bardi e Lodovico Guicciardini pag. 213 4. Natale de’ Conti pag. 245 5. Jacques-Auguste de Thou pag. 250 Bibliografia pag. 261

2

Page 3: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Capitolo I Pier Francesco Giambullari letterato al servizio dei Medici 1. La tradizione familiare ghibellina e il suo declino: Pierfrancesco cortigiano mediceo Pierfrancesco Giambullari nasce nel 1495 a Firenze dal matrimonio di Bernardo e Lucrezia di Luigi degli Stefani avvenuto nel 14851, ultimo discendente di una famiglia dai trascorsi non certo trascurabili nella storia cittadina della seconda metà del tredicesimo secolo. Lo stemma della famiglia è costituito da tre rose rosse su sfondo bianco, intervallate da un archipenzolo ossia una squadra nera2. Segnale dell’importanza della famiglia e della sua diretta partecipazione alle decisioni della vita politica cittadina già in tempi remoti, è fornita dalla sua inclusione nella lista delle casate che per il sestiere di S. Pancrazio hanno la dignità per accedere al consolato del comune fiorentino nel 12103. Il nome Giambullari che qualifica l’intera casata deriva originariamente dal soprannome di “Giambullario” attribuito a Iacopo figlio di Ricevuto. La famiglia di fede politica accesamente ghibellina, raggiunge il suo massimo splendore e la sua più incisiva influenza politica durante la vita di Iacopo e dei suoi tre fratelli Filippo, Gianni e Bindo. Gianni è tra i consiglieri del comune quando il 6 settembre 1256 viene notificato il lodo della pace sancita con i Pisani4. Bindo, invece “giudice o cavaliere” subisce nel 1268, in quanto ghibellino, la condanna all’esilio. Filippo, inserito nella lista degli ufficiali incaricati di “consegnare le cavallate” per la battaglia di Montaperti, lascia le insegne guelfe sotto cui milita, perché anche lui di fazione ghibellina. Dopo la sconfitta dei guelfi a Montaperti, può tornare a Firenze ed il 22 novembre 1260 viene inserito tra gli ambasciatori inviati ai senesi per ratificare il trattato di pace precedentemente sottoscritto5. Iacopo fa parte del consiglio del

1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F. Pignatti, vol. LIV, Roma, 2000, rispettivamente pp. 306-308 e 308-312. In particolare sul matrimonio di Bernardo cfr. p. 306 e il Repertorio numerico del Poligrafo Gargani (d’ora in poi Poligrafo Gargani che si trova nella Biblioteca nazionale di Firenze; d’ora in poi BNF) nella carta Giamberti Gianfaldoni 948 (d’ora in poi Gianfaldoni), schede numerate sui Giambullari 161-216, la scheda n. 169 in cui leggiamo: “Bernardo di Gio. Giambullari rigattiere Lucrezia di Luigi di Salvi Stefani nel 1485 alla gab. D 136 carta 122” con rinvio al Cod. Magliabechiano 211, classe XXVI (in BNF) carta 167. Comunque, a quanto riferisce il poligrafo Luigi Passerini, nelle carte della Collezione genealogica Passerini, Indice delle famiglie nobili (BNF) sulla famiglia Giambullari, d’ora in avanti, Giambullari, Passerini, cit., carta 158bis, il Giambullari aveva un fratello Giovanni di cui si menziona esclusivamente la notizia della morte avvenuta nel 1529. 2Sulla configurazione dello stemma vedi Poligrafo Gargani, cit., nella carta Giacomo Giandolini 947 (d’ora in poi Giandolini), schede numerate sui Giambullari 168-221, in particolare nella scheda n. 168 con rinvio al Cod. 2023 Riccardiano carta 49 (che si trova nella Biblioteca Riccardiana di Firenze; d’ora in poi BRF) e nella carta Gianfaldoni, cit., la scheda n. 161 con rinvio al Priorista manoscritto (nell’Archivio delle corporazioni Religiose di Firenze) Cod. 202 di Vallombrosa carta 585. 3Cod. Riccardiano 2305, (BRF) l’elenco “Delle famiglie che andavano in Firenze per i sestieri, e che sole potevano havere in casa il supremo honore del consolato nell’anno 1210” alle pp. 1-11, i “Giambullari” sono menzionati a p. 9. Ivi sulla non trascurabile rilevanza dell’inclusione tra le famiglie che possono accedere al consolato e sull’importanza della carica in questione cfr. il passo del compositore del manoscritto: “…il quale era Magistrato e dignità suprema sopra i Priori ed altri officij, e così dentro alla città come fuora per il suo dominio comandavano…”. 4In questo senso cfr. anche l’elenco, ivi contenuto, dei componenti del consiglio cittadino che stipula la pace del 1256 a p. 63: “Gianni Ricevuti” e “Iacobus f. Gianni”. 5In proposito vedi Giambullari, Passerini, cit., la carta n. 158bis, cit., (riproposta anche in C. Valacca, La vita e le opere di Messer Pierfrancesco Giambullari, prima parte 1495-1541, Bitonto, Tipografia editrice N. Garofalo, 1898, insieme a L. Passerini-Illustrazione dell’”albero genealogico della famiglia Giambullari”, carta n. 188 alle pp. 125-133). In proposito cfr. anche Il libro di Montaperti pubblicato ad opera di Cesare Paoli in Documenti di Storia Italiana, pubblicati a cura della Regia deputazione di Storia patria per le provincie di Toscana, dell’Umbria, e delle Marche, tomo IX, in Firenze, presso G. P. Viesseux, coi tipi di M. Cellini e C. alla

3

Page 4: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

comune nel 1255 ed il 2 agosto ratifica un trattato con i senesi. Al momento della battaglia di Montaperti, è iscritto tra gli ufficiali incaricati di “ordinare le cavallate” ma non si hanno notizie sicure sulla sua partecipazione allo scontro. Comunque, ghibellino al pari degli altri tre fratelli, torna trionfalmente in città dopo la battaglia. Tuttavia, il predominio ghibellino a Firenze termina in corrispondenza delle sconfitte di Manfredi a Benevento nel 1266 e di Corradino a Tagliacozzo nel 12686. I guelfi, infatti, tornano in città e mettono al bando i ghibellini, anche se Iacopo e il figlio Lippo nonostante il provvedimento punitivo per la loro fazione, continuano a dimorare in città7. Raggiunta tra guelfi e ghibellini la pacificazione nel 1280, Iacopo accede alla carica di console dell’arte della seta nel 1289 e priore delle arti nel 1293 per un bimestre a partire dal 15 dicembre. Anche un altro membro della famiglia, il figlio di Iacopo: Lippo, ottiene la prestigiosa carica di priore delle arti con dieci anni di anticipo rispetto alla nomina paterna, il 15 febbraio 1282. Iacopo verrà anche eletto capitano di S. Michele nel 1296 morendo nel 13058. Nomine entrambe estremamente significative in quanto collocano due membri della famiglia al vertice del sistema delle arti che costituisce il meccanismo di selezione e scelta della rappresentanza politica cittadina, dalla quale è escluso chi non è iscritto ad un’arte. Soprattutto rilevante è la nomina di Lippo, vista la designazione di soli tre priori per bimestre, eleggibili all’interno delle sole tre arti maggiori, di Calimala, dei Cambiatori e della Lana9. Diversamente la nomina di Iacopo avviene nel periodo delle rifome istituzionali di Giano Della Bella10 che persegue, d’intesa col popolo minuto una politica antimagnatizia, ed estende la possibilità di essere eletti al priorato ai membri di altre tre arti nel 1293 e, successivamente a tutte le minori11.

galileiana, 1889, p. 295 dove leggiamo: “Giambollaius f. Ricevuti, pro se et Philippo eius fratre, consignavit unum equum pili nigri, consignatum eisdem Giambollaio et Philippo ad equitandum.” Sull’orientamento ghibellino della famiglia Giambullari cfr. anche S. Salvini, Fasti consolari dell’accademia fiorentina di Salvino Salvini. Consolo della medesima e rettore generale dello studio di Firenze. All’altezza reale del serenissimo Gio. Gastone gran principe di Toscana, in Firenze, MDCCXVII, nella Stamperia di S.A.R., p. 67. 6Ibidem. 7Al riguardo vedi nel Poligrafo Gargani la carta Giandolini, alla scheda n. 187 leggiamo “Fra i Ghibellini del Sesto di S. Pancratio che, quantunque sbanditi, potevano nel 1268 dimorare in città: Giambullarius et Filippus de domo de Giambullari” con rinvio al Saggio di poesie edite e inedite di P. F. Giambullari, a cura di Domenico Moreni, nella stamperia Magheri, Firenze, 1820, in particolare cfr. p. 48. Inoltre conferma indiretta di questo fatto la ricaviamo anche dal Cod. Magliabechiano 395, classe XXV, volume del manoscritto Zibaldone istorico di Filippo Del Migliore che nelle prime 64 carte fornisce un’elenco dei Ghibellini espulsi da Firenze in seguito ai rovesci subiti nel 1268, nel quale non risultano i nomi di Iacopo e Filippo. 8Giambullari, Passerini, cit., sulla importanza della carica di capitano del popolo rinviamo a A. D’Addario, Alle origini dello Stato moderno in Italia. Il caso toscano, a cura di P. Simoncelli, Firenze, Le Lettere, 1998, in particolare cfr. p. 34 e sulle nomine al priorato delle arti di Iacopo e Lippo di S. Pancrazio, cfr. anche il Segaloni, Priorista, tomo I, Cod. 2023 Riccardiano, cit., carta 49; inoltre nel Poligrafo Gargani nella carta Gianfaldoni, cit., alla scheda 181 è registrata l’assunzione di Iacopo alla carica di sindaco di S. Michele insieme al figlio di Lippo: “Bindus q. Lippi Giambollarii et Jacobus Giambullarius q. Ricevuti pop. S. Mich. Ughi- sindici l’anno 1297” secondo la carta 30 del libro G delle Provvisioni di Firenze con rinvio al Cod. 2305 Riccard., cit., carta 173. Inoltre sulle due elezioni a priori delle arti di Iacopo e Lippo vedi il Priorista delle famiglie fiorentine, codice manoscritto n. 415 della Biblioteca Corsiniana (Accademia dei Lincei), Roma, in particolare p. 45. 9In proposito rinviamo a G. Gandi, Le corporazioni dell’Antica Firenze. Prefazione dell’on. Ferruccio Lantini presidente della confederazione naz. Fascista dei commercianti con gli stemmi delle arti e numerose illustrazioni di Firenze scomparsa, edito a cura della confed. Naz. Fascista dei commercianti, 1928, in particolare pp. 13-15; inoltre sulle arti rinviamo anche a R. Davidsohn, Storia di Firenze, 1956-1965, Firenze, Sansoni, VIII voll., (traduzione di Geschichte von Florenz di Eugenio Dupré Thiesaider) n particolare vol. IV, I primordi della civiltà fiorentina, parte II. Industria, arti, commercio e finanze, pp. 221-347. 10Sul quale cfr. la voce redatta di G. Pinto in DBI, vol. XXXVI, Roma 1988, pp. 680-686. 11Vedi G. Gandi, Le corporazioni dell’antica Firenze, cit., pp. 15-18, inoltre cfr. nella voce di G. Pinto, cit., pp. 683-685.

4

Page 5: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Ulteriore testimonianza di poco successiva della importante posizione della famiglia è costituita dall’iscrizione in veste di matricole dell’arte maggiore di Calimala di due figli di Lippo, Iacopo e Bernardo nel 130612. Tuttavia, appena qualche anno dopo, la discesa in Italia di Arrigo VII nel 1310 provoca l’inizio della parabola discendente della famiglia. Nonostante i danni subiti dalla casa di commercio posseduta da un altro figlio di Lippo: Lapo, ad Asti, per l’assedio posto alla città dall’imperatore, i Giambullari, esclusi dalle magistrature cittadine dalla riforma istituzionale compiuta da Baldo D’Aguglione nel 1311 a causa del loro antico ghibellinismo13, si schierano apertamente dalla parte di Arrigo VII14. L’infruttuoso assedio posto dall’imperatore a Firenze, determina la condanna all’esilio di molti membri della famiglia e la confisca di tutti i suoi beni15. Alla perdita del prestigio e dell’onore cittadino, pertanto, si affianca il deperimento delle condizioni materiali della famiglia di Pierfrancesco. I Giambullari, ancora benestanti nel 1364 secondo il testamento redatto da Manfredi (figlio di Domenico, proprietario di banche e case a Rimini e a Forlì16, coniugato con Costanza di Filippo di Lando Ricevuto morto nel 1372)17 perderanno la loro ricchezza pochi anni dopo. La sorella di Manfredi, Diana18 morta 12Bernardo viene indicato tra i figli di Lippo insieme a Domenico in Poligrafo Gargani, cit., nella carta n. 948 Giamberti Gianfaldoni (d’ora in poi Gianfaldoni) alla scheda 170 in cui leggiamo: “8 gennaio 1316 Pagamenti fatti da Bernardo e Domenico fratelli e figli del fu (o suddetto) Lippo Giambullari ec. Rog. Bonaventura del fu monaco nota” con rinvio all’Archivio Diplomatico fiorentino, foglio delle carte di S. Spirito. Ivi, inoltre nelle schede 168 e 169 apprendiamo che Bernardo muore il 21 marzo 1362, con rinvio rispettivamente al Necrologio di S. Maria Novella, alle Delizie degli eruditi toscani, IX, carta 137 e alla carta 26 del Sepoltuario di S. Maria Novella e al Sepoltuario del Rosselli (in BNF). Inoltre sui due fratelli, in particolare Bernardo cfr. anche il Cod. 412 Magliabechiano, classe XXV, carta 15, Ferdinando Leopoldo del Migliore, Zibaldone Istorico : “Dom. et Bernardus. Johannis Bernardi de Giambullarius pop. S. Michaelis, Bertelde testes”. Sulla preminenza all’interno del sistema delle arti di quella di Callimala e sul suo funzionamento vedi R. Davidsohn, Storia di Firenze, cit., pp. 251-266. Ivi, però nella carta Gianfaldoni, cit., nella scheda 191 si fa riferimento alla nomina di Bernardo e dell’altro suo fratello Iacopo, altro suo fratello, a matricole dell’arte di Callimala 11 marzo 1306. Leggiamo infatti: “Jacopus et Bernardus fratres et filiis q. Lippi Giambullarii recepti sunt ad dictam artem et iuraverunt pro se ipsis et eorum filiis et descentibus et solverant”. Inoltre in A. Sapori, Una compagnia di Callimala ai primi del Trecento, Firenze, Olschki, 1932, abbiamo notizia dell’attività per conto della compagnia di Bernardo e di Domenico (presumibilmente anche lui pertanto membro dell’arte) che affittano una cella per vendere del vino nel 1320 p. 198 e ancora sull’attività di Bernardo che con Tano Chiarissimi e compagni nel 1323 acquista dei panni alle pp. 238 e 303. 13Ivi nella carta Giandolini, cit., la scheda n. 171 in cui leggiamo “De domo de Giambollari et mingardonibus ghibellini del Sesto di S. Pancrazio nel 1268 eccettuati dalla riforma di M. Baldo D’Aguglione” (la riforma è evidentemente quella del 1310 non del 1268). Informazione tratta dal Cod. 395 Magliabechiano, cit., c. 71 in cui troviamo l’elenco dei ghibellini colpiti dalla riforma d’Aguglione che fanno parte del popolo di S. Pancrazio. In proposito inoltre cfr. V. Borghini, Storia della nobiltà fiorentina. Discorsi inediti o rari, a cura di J. R. Woodhouse, Pisa, Edizione Marlin, 1974, p. 236 che cita per il sesto di S. Pancrazio i “Giambulari e i Migardoni” tra gli “eccettuati Ghibellini e Bianchi 1311”. 14Sul quale cfr. la voce Enrico VII di Ovidio Capitani in Enciclopedia dantesca, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1970, V voll., ivi vol. II, pp. 682-688, in particolare sulla sua discesa in Italia e sul finale fallimento dell’assedio posto a Firenze, pp. 682-684. 15Cfr. sulle due cacciate dei Giambullari in quanto ghibellini anche C. Lenzoni, Difesa della lingua e di Dante, Firenze, Torrentino, 1556, p. 67 in cui leggiamo: “Come i ghibellini i Giambullari furono due volte cacciati e fatti ribelli e li furono arse e disfatte le case e le possessioni.” Inoltre, cfr. Giambullari, Passerini, cit., a proposito del danno economico arrecato alla florida casa di commercio di Asti posseduta da uno dei figli di Lippo, Lapo, dall’assedio posto a quella città da Arrigo VII durante la sua discesa in Italia. 16La sua florida condizione economica è documentata anche nella carta Gianfaldoni, cit., alla scheda 187 in cui leggiamo: “Manfredo del fu Domenico Giambollari del popolo di S. Maria Ughi, 31 maggio 1364, compratore” con rinvio all’Archivio Diplomatico fiorentino, spoglio delle carte di S. Maria Novella. Domenico figlio di Lippo e di Bice (al riguardo Passerini,cit., carta 188) del quale nelle carte Giamberti-Gianfaldoni, cit., carta 179 leggiamo “Dominicum Lippi Giambollari populi S. Mariae Ugonis- 4 marzo 1328 in iscrittura con rinvio a Iacopo Corbinelli, Istoria de’ Gondi, parte II, p. XC. Inoltre, Passerini, cit., carta 188 individua la data della sua morte nell’11 aprile 1358. 17Ivi, alla scheda 186 viene confermata la data della sua morte. Viene riportata la scritta apposta sul suo sepolcro in S. Maria Novella che dice: “Hoc est sepulcrum Manfredis Dominici de Giambullaribus et suos. Qui obiit anno 1372…” in V. Rosselli, Sepoltuario, vol. II, p. 641, carta 48. Cfr. anche in proposito il Cod.

5

Page 6: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

nel 1377, sposa di Iacopo di Strozza Strozzi19, infatti, designerà il convento domenicano di S. Maria Novella, erede del patrimonio familiare ricevendo, in segno di gratitudine, il privilegio per il capofamiglia di sedere alla mensa dei religiosi del convento “nel giorno dell’Ottava di San Tommaso d’Aquino”. Queste reciproche concessioni avrebbero sancito la fine del contrasto che da tempo divideva i domenicani di S. Maria Novella e Diana a proposito di suo figlio Alessio. Questi, infatti, vestendo l’abito domenicano in età eccessivamente precoce, aveva suscitato il sospetto materno che la sua risoluzione fosse stata prodotta dalle pressioni dei conventuali interessati alla ricchezza del giovane fanciullo. Diana, pertanto, aveva fatto ritirare Alessio dal chiostro anche se poi quest’ultimo vi era tornato improntando la sua condotta a criteri esemplari, a dimostrazione della coerente e sentita vocazione20. Al riguardo testimonia del lungo contenzioso sorto tra Diana ed i frati del convento la donazione alla madre di Alessio che ne affida la procura ad alcuni frati di S. Maria Novella suscitando così la reazione di Diana che ottiene un lodo a suo favore contro ogni ingerenza esterna nell’uso dei suoi beni a pena di sanzioni pecuniarie: “1367, 19 Luglio…Donazione tra vivi di tutte le suppellettili, arnesi, masserizie, pannilani, …e generalmente tutta la mobilia di qualunque spezie esistente nella città di Firenze, del contado fatta da fra Alesssio del fu Iacopo di Strozza degli Strozzi Domenicano nel convento di S. Maria Novella a donna Diana del fu Domenico Giambollari vedova di d. Iacopo sua madre. Fatta in d. convento Rogato Niccolò del fu Ugolino Jacopi… È riportato in seguito il mandato di procura del 3 maggio 1365 fatto da fra Giovanni di N: Giachinotti Priore e dai fratelli del Convento adunati capitolarmene in fra Iacopo…nei frati Uberto di Donato, Antonio di Navi, Miniato di Lapo, Antonio dimona, Stefano …ed in fra Iacopo Borghi.

Magliabechiano 391, classe XXV, (che corrisponde al vol. I dello Zibaldone istorico, cit.,) alla sezione delle carte 271-375 “Mortuario antico di S. M. Novella di Firenze del ordine de Predicatori o libro antico de Morti di S. M. Novella”, in particolare carta 278: “Ianuarius 1372 Manfredi Dominici de Giambullaris di S. Michelis Ugonis cum habitu ordinis”. Inoltre, a proposito della notizia del matrimonio con Costanza che morirà solo molti anni dopo il marito il 29 ottobre 1397, rinviamo all’albero genealogico nella carta Passerini, cit., n. 188. 18In proposito cfr. Poligrafo Gargani, cit., nella carta Giandolini, cit., alla scheda n. 183 in cui vengono menzionati quali figli di Domenico: Bernardo (del quale a proposito del figlio Angelo nella carta Gianfaldoni, cit., scheda n. 164 apprendiamo: “Angelus q. Bernardi de Giambolarijs S. M. Ugonis Telda q. D. Foresis de Falconerijs- nel 1359 in gab. E II carta 102…”), Francesco e Leonardo con rinvio a Manni Domenico, Zibaldone, manoscritto. Ivi, riguardo a Francesco rileviamo che ha due figlie Vittoria e Leonarda. Leggiamo infatti nella scheda n. 180: “Vettoria di Franc: Dom. de Giambollarij nel 1385 alla gab. col marito” che rinvia a V. Pani, Bartolomeo di Beltramo, p. 181, (in proposito cfr. anche Passerini, cit.,) e nella scheda n. 181: “Leonarda di Francisci Dom. de Giambollaribus- Nel 1392 alla gab,(ella) col marito, con rinvio a V. Pani, Nepo di M. Geri, p. 182. Inoltre, ivi riguardo alla sua morte nella scheda n. 188 viene riportata l’iscrizione apposta sulla tomba di famiglia in S. Maria Novella che ci informa dell’anno della sua morte: “Hoc est sepulchrem Manfredij dominici de Giambullaribus et sui. Qui obiit anno Dom. MCCCLXXII de Mense Decemb.. ”. Notizie pienamente confermate in Passerini, 165bis, dove l’elenco dei fratelli di “Francesco detto Riccio” conferma il matrimonio di Leonarda con “Leonardo di M. Niccolò ….1392 nipote di M. Geri dei Pazzi” e Vittoria “1385 Bartolomeo di Beltramo dei Pazzi” e comprende anche “Tommaso morto il 25 agosto 1382; Anastasia monaca in S. Giuliano[…]; Tita sposa di Amerigo dei Medici; Antonio morto il 7 luglio 1383” Oltre ivi naturalmente al già citato elenco dei fratelli di Manfredi di ben otto componenti. 19A proposito del matrimonio di Diana cfr. il Cod. Magliabechiano 132, classe XXVI, Ex libris Gabelle Contractorum vol. V dello Zibaldone, cit., nell’elenco c24, carta 157: “Diana uxor di Iacopo di Strozza degli Strozzi filia di Dom. De Giambullaribus”. Inoltre dal Cod. Magliabechiano 299, classe XXXVII, Da diversi libri…dell’Atti (o arte) de Giudici e storia della città di Firenze, dall’elenco degli atti compiuti entro l’11 marzo 1359 nella carta 128 apprendiamo che recettori della dote di Diana sono tre dei suoi fratelli: Manfredi, Zanobi (sul quale vedi in Giamberti-Gianfaldoni, cit., carta 216: “Zanobi del fu Domenico Giambollari del popolo di S. Donato de’ Vecchi- 9 maggio 1361 venditore” con rinvio all’Archivio Diplomatico fiorentino: spoglio delle carte di S. Maria Novella) e Bernardo. 20In proposito oltre a Giambullari, Passerini, cit.. dove inoltre viene specificato che lo stesso Pierfrancesco esercita il privilegio concesso dai domenicani a Diana, quale capofamiglia e ultimo discendente dei Giambullari che si estinguono con la sua morte, (per la frase virgolettata e per la conclusione della vicenda in questione rinviamo a F. Salvini, Fasti consolari, cit., in particolare p. 70). Sull’estinzione dei Giambullari cfr. anche Poligrafo Gargani, cit., nella carta Giandolini, cit., alla scheda 194.

6

Page 7: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

converso per compromettere qualunque lite fatto e non come il precedente segue dipoi il compromesso fatto nel dì 23 del 1367 della predominata donna Diana autorizzata da Piero di Noto Michi del popolo di S. Pancrazio che…dal d. fra Iacopo del fu Borgo converso come procuratore di d. convento dall’altra parte in Francesco del fu Giunta di Borgo e chiamino lì Bagno Vetajolo del popolo di S. Maria Novella, i quali col loro lodo del 28 se confermarono la donazione precedente: et condannarano i frati a pagare alla d. donna Diana fiorini 50 ogni volta che i beni mobili donatile venissero evitti, ed ogni volta che i detti rati la inquietassero nel possesso, o nell’uso o dei mobili medesimi. Fatto e rogato come i precedenti”21 Lo stemperamento delle precedenti tensioni si evince chiaramente dai successivi atti patrimoniali di Diana in primo luogo la donazione prevista nel ’73, fatto salvo l’usufrutto in relazione alla sua morte: “1373 19 ottobre. Donna Diana del fu Domenico di Lippo Giambullari vedova di Iacopo di Strozza degli Strozzi del popolo di S. Maria Ughi autorizzata da[…] di Ridolfo da Prato Rettore della Chiesa di S: M. Ughi suo…dono tra vivi a frate Alessio …suo figlio e di d. fu Iacopo tre di quattro parti per indiviso di un podere con torre, casa, nel popolo di S. Giorgio a calonica e di quattro pezzi di terra in d. popolo di d. calonica, riservatogli l’usufrutto sua vita natural durante, col patto che esso con quattro frati dei più vecchi sia obbligato dopo la di lei morte distribuire il possesso dei d. beni ai poveri ed ai luoghi pii dentro l’anno, e mancando possa eseguire tal distribuzione il Priore degli Spedali di S. M. Nuova e de Pinzocheri del …ordine di S. Francesco, ed il priore di S: M. degli Angeli dentro il semestre dopo il detto anno, a non eseguendo tal distribuzione, sostituì nei detti beni gli Spedali di S. Gallo, di S. Maria della Scala, e di S. Maria Nuova”22 e soprattutto il testamento del ’77: “1377, 21 luglio. Testamento nuncupativo di donna Diana del fu Domenico di Lippo Giambullari vedova di Iacopo di Strozza Strozzi del popolo di S. Maria Ughi pel quale lasciò a frate Alessio di S. M. Novella suo figlio sua vita natural durante l’usufrutto di un podere con casa nel popolo di S. Stefano …e dopo la di lei morte lasciò la proprietà a Manfredo, Francesco, Bernardo e Lionardo suoi fratelli germani e ai loro figli e discendenti per linea mascolina l’uno all’altro sostituendo per stirpi e non per capi coll’obbligo di pagare annualmente a suor Anastasia figliola del detto Francesco vocato Riccio monaca nel Monastero di S. Giuliano a Monc(t)ajone fiorini 6 d’oro, fiorini 4 ai frati di S. M. Novella per una pietanza nel giorno di S. Michele di Settembre, ed istituì erede universale il d. frate Alessio. Fatto in Fir. Rogato Michele del fu Aldobrando degli Albizzi di Fir. Giudice e notaio.”23 Confermato ancora da un altro documento: “1377, 17 settembre…Addizione della eredità di Iacopo di Strozza Strozzi , e di donna Diana vedova del d. e medesima figlia del fu Domenico Giambollari, Genitori di frate Alessio, fatta da fra Iacopo di M. Tommaso Altoviti Priore e dai frati del Convento di S. Maria Novella adunati capitolarmente, e mandato di procura in …Fra Angiolo Adimari, frate Alessio sud., frate Zanobi di maestro Francesco e fra Giovanni di…tutti di Firenze per

21Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF), Archivio Diplomatico fiorentino, spoglio di S. Maria Novella, carta 186. 22Ivi, carta 195. 23Ivi, carta 202.

7

Page 8: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

compilare l’inventario dei Beni, allogarli, venderli, fatto in detto convento. Rog. Giustino del fu Giusto […]”24 Si pongono in questo modo le basi di un costante e duraturo legame con i domenicani di S. Maria Novella testimoniato ad esempio dall’ingresso tra i domenicani di un altro membro della famiglia Giambullari: Francesco25. Leonardo, altro fratello di Manfredi26 finirà nel 1383 in prigione per debiti27 e soltanto suo nipote e padre di Bernardo, l’orafo Piero28, reintegrerà il cognome dei Giambullari nei pubblici registri della tassazione29. Anche l’orazione funebre preparata e letta in onore di Pierfrancesco da Cosimo Bartoli30 suo amico, e membro come lui dell'Accademia fiorentina31, si sofferma sulla celebre tradizione dei Giambullari: “La nobiltà della casa dei Giambullari largamente in più e più luoghi delle historie nostre si legge; ma particolarmente nel 1216, dopo il caso di messer Buondelmonte Buondelmonti questa famiglia, la quale aveva le case sue nel Sesto di S. Pancratio, presso a S. Maria Ughi era delle più potenti e nobili famiglie, che allora si ritrovassero al governo della nostra Repubblica, e et se bene non abbiamo memoria di alcuno particolare cittadino di essa, non ci debbe parere gran fatto, perciò che gli scrittori di quei tempi, come Ricordano Malespini, et alcuni altri senza nome, usavano più tosto nominare tutte le famiglie in generale, che alcuni di loro in particolare, se non in qualche caso che fosse importato grandemente a tutta la città, bastici che nelle cose de Guelfi e Ghibellini, infra le famiglie che aderivano agli Imperatori, la famiglia de Gaimbullari non fu in fra le minime, ma in fra le più potentie principali…”32.

24Ivi, carta 203. 25Passerini, cit., 158bis, in cui leggiamo: “Francesco n. 1408 domenicano di S. Maria Novella col nome di Fra Giovanni” figlio di Pietro l’orafo, certo in questo caso la vocazione religiosa potrebbe essere stata influenzata anche dalle ormai pessime condizioni economiche in cui versava la famiglia in proposito vedi di seguito. 26Al riguardo vedi supra la prima parte della nota n. 19. 27In proposito, cfr. Poligrafo Gargani, cit., nella carta Giandolini, cit., alla scheda 189 che offre conferma del successivo arresto, dicendo: “Lionardo di Domenico Giambollari- per gonf. Leon bianco nel 1382 debitore delle Prestanze” con rinvio all’Archivio delle Decime. Specchio de’ debitori delle Prestanze del 1382 carta 231. A proposito della condizione economica di Leonardo nel 1382, ivi, ricaviamo un’altra notazione nella scheda 190: “Leonardus vocatus Passamonte q. Dom. de Giambullarius di Paolo figlio, erede- l’anno 1382 in gab. E 34 carta 252” con rinvio al Cod. Magliabechiano 132, classe XXVI, carta 210 (in BNF). Inoltre, nel Passerini, cit., carta 158bis ipotizza la motivazione del soprannome affibiato a Leonardo di Passamonte : “gli fu posto il soprannome di Passamonte, forse per avere passato gran parte della vita mercanteggiando in straniere regioni.” 28Piero figlio dell’orafo Giovanni, sposato con Lisa di Simone di Cino Legnaiolo, da cui Piero sarebbe nato nel 1406 e vissuto fino al 1457. Anche Giovanni viene sepolto in S. Maria Novella; al riguardo cfr. Poligrafo Gargani, cit., nella carta Giandolini, cit., alla scheda n. 182 in cui leggiamo: “Giovanni di Bernardo Giambollari popolo S. Lorenzo nel Carpaccio r. in S. Maria Novella 31 Agosto 1430 “ con rinvio al Necrologio fiorentino del 1424-1430 in ASF. 29Ibidem. 30Su Cosimo Bartoli oltre alla relativa voce di N. De Blasi in DBI, vol. VI, Roma, 1964, pp. 561-563, cfr. soprattutto J.Bryce, Cosimo Bartoli (1503-1572). The Career of a Florentine Polymath, Genève, 1983. 31Ivi, a proposito del genere delle orazioni funebri degli accademici in generale e di quelle pronunciate dal Bartoli in particolare, cfr. pp. 237-239. 32Orazione di Cosimo Bartoli, gentil'huomo et accademico fiorentino. Recitata pubblicamente nella Accademia fiorentina nelle esequie di Messer Pierfrancesco Giambullari, in P. Giambullari, Historia dell'Europa, Venezia, 1566, a cura di C. Bartoli, appresso Francesco de Franceschi senese, pp. 161-166, passo cit. a p. 162. Sull’origine della divisione tra Guelfi e Ghibellini rinviamo a R. Davidsohn, Storia di Firenze, cit., vol. II, parte I, 1956 in particolare pp. 61-66; cfr. anche Istorie fiorentine di Scipione Ammirato. Parte prima con l’aggiunte di Scipione Ammirato il giovane contrassegnate in carattere in corsivo, Firenze, per L. Marchini e G. Becherini, MDCCCXXIV-MDCCCXXVII, XI tomi, in particolare, tomo I, libro I, pp. 173-175; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò Machiavelli, a cura di S. Bertelli, XI voll., Milano, Giovanni Salerno, 1979, in particolare III vol. pp. 106-108.

8

Page 9: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Nondimeno, l’accademico sottolinea il sopraggiunto disagio economico della famiglia33 causato dai “travagli della città nostra”34. Al tempo di Bernardo e Francesco, il casato ormai definitivamente impoverito sotto il profilo economico, si trova in un contesto fiorentino formalmente ancora repubblicano e sostanzialmente caratterizzato dalla signoria medicea interrotta, solo nel 1494-1512, dalla costituzione della repubblica savonaroliano-soderiniana35. Bernardo figlio di Piero ed ultimo di sette fratelli36, notaio delle dogane dal 151637 e compositore di rime sacre e profane38, è strettamente legato all'ambiente mediceo. Apprezzato da Leone X, è anche in rapporti di profonda amicizia “quasi…stretta fratellanza” con il duca Giuliano de' Medici39. Pierfrancesco vive all'interno del contesto mediceo la sua fanciullezza e vi matura la sua propensione agli studi letterari e linguistici. Bernardo, che voleva che Pierfrancesco divenisse mercante, avalla proprio su consiglio di Giuliano de’ Medici, la pulsione del figlio per gli studi letterari e per la poesia40. Del resto, l’ambiente mediceo, strutturatosi sulla falsariga di una vera e propria corte, costituisce il contesto ideale per supportare con i mezzi necessari e gli adeguati riconoscimenti la scelta di Pierfrancesco. Egli, infatti, svolge presso Alfonsina de’ Medici, vedova di Piero, dal 1511 al 1520, l'incarico di segretario41. Tuttavia, sia il fatto che Pierfrancesco non venga utilizzato in una commissione importante diversamente da altri segretari dei Medici, sia il poco tempo effettivamente trascorso a Firenze da Alfonsina che in questi anni si trova frequentemente a Roma per ottenere garanzie alle ambizioni del figlio, evidenziano la valenza in gran parte solo onorifica del suo incarico42. Nel frattempo, grazie all'interessamento di Alfonsina, Pierfrancesco ottiene nel 1515 il beneficio ecclesiastico di 100 scudi collegato al rettorato della chiesa di Careggi, e la rendita di 200 scudi l'anno connessa alla cappella di S. Maria di Libbiano a Volterra proveniente dal ricavato delle cave di vetriolo e per concessione di Leone X una pensione in Spagna43 di 300 scudi44, nonché i 33In questo senso non va trascurato che la famiglia Giambullari nel 1520 vive in una casa in via S. Gallo presso la chiesa di S. Basilio, di cui non è proprietaria e la cui disponibilità le viene attribuita nel 1519 dal capitolo di S. Lorenzo. Cfr. in proposito C. Valacca, La vita e le opere, cit., pp. 9-11. 34Ibidem. 35 Cfr. R. Albertini, Firenze dalla repubblica al principato. Storia e coscienza politica, Torino, Einaudi, 1995 (ristampa del 1970), in particolare pp. 3-44. Vedi inoltre A. D’Addario, Alle origini dello Stato moderno in Italia, cit., in particolare cfr. pp. 29-112. 36Passerini, cit., carta 188 in cui troviamo con il nome di Bernardo la seguente lista di fratelli: “Francesco n. 1441; Girolamo n. 1450, Lessandra 1456-1472, sposa di Bartollomeo di Carlo Bongiovanni; Marietta n. 1453; Lisabetta n. 1464, sposa di Mico di Forese di Matteo del Forese; Manfredi n. 1456.” 37 C. Valacca, La vita e le opere, cit., p. 9. 38Riguardo ai lavori poetici e alle edizioni dei lavori poetici di Bernardo Giambullari cfr. Saggio di poesie edite e inedite di Pierfrancesco Giambullari, cit., in particolare pp. 46-47 cfr. anche Letteratura italiana. Gli autori. Dizionario bio-bibliografico e indici, vol. I, A-G, p. 887 e la voce di F. Pignatti, Bernardo Giambullari, cit., pp. 306-308. 39Sui legami tra Bernardo e l'ambiente mediceo cfr. anche C. Bartoli, Orazione, cit., p. 162. 40Oltre al già citato C. Bartoli, Orazione, cit., p. 162, in proposito cfr. P. F. Giambullari, Storia d’Europa, a cura di G. Marangoni, Milano, Vallardi, 1910, la Prefazione di G. Marangoni, pp. V-LVII, in particolare p. V. 41Ivi, sui rapporti tra Pierfrancesco e i Medici vedi pp. 162-163, inoltre cfr. anche la lettera dedicatoria scritta da Cosimo Bartoli a Cosimo I contenuta nella Historia dell'Europa, cit., e la dedica a Francesco de' Medici (pagine non numerate) del Giambullari nel De la lingua che si parla e si scrive in Firenze, edita da L. Torrentino nel 1552. 42C. Valacca, La vita e le opere, cit., pp. 15-22 in cui Valacca dissente dal Bartoli sul tempo effettivo del segretariato di Pierfrancesco e sulla rilevanza delle sue mansioni. 43I tre benefici ricevuti da Pierfrancesco sono elencati dal Bartoli nell'Orazione a p. 163. Il Valacca dimostra l'esistenza della rendita di Volterra attraverso una lettera indirizzata dal Giambullari ad Alfonsina, da lui segnalata in C. Valacca, La vita e le opere, cit., alle pp. 22-23 e riproposta in nota 1. L’attribuzione del rettorato di Careggi è comprovata da una lettera del 20 maggio 1524 di Pierfrancesco riguardante l’emergenza della peste ed il malcontento degli abitanti di Careggi per l'arrivo di persone contaminate. Scrive infatti il Giambullari: “Francesco mio caro il futuro abate di S. Pancrazio ha questa mattina fatto un bel servizio a tutto questo paese; e non ci sendo persona alcuna ammalata [..] duol di capo, ha condotto qua su una schiera di ammorbati, nelle nostre case cioè in quelle che tengono di nostro, che essere in luogo rilevato non può trarre vento alcuno, che ne

9

Page 10: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

privilegi di famigliare e commensale continuo del pontefice. È sempre l'iniziativa della madre del duca di Urbino che procura al Giambullari la nomina a canonico soprannumerario di S. Lorenzo anche se le resistenze del capitolo rendono necessario l'anno successivo, nel 1516, una bolla confermataria di Leone X ed una nuova deliberazione del capitolo45. In seguito, il 31 luglio del 1527, durante l'ultima repubblica fiorentina Pierfrancesco, sotto il priorato di Francesco Campana, verrà eletto canonico regolare in sostituzione di Baldassarre Bigazzi morto nel 152246. Creatura di Cesare Riario arcivescovo di Pisa dal 1499 al 151847, la cui famiglia è di tradizione antimedicea, e suo vicario generale nella diocesi pisana, Francesco Campana viene eletto al priorato di S. Lorenzo il 22 novembre 1512 mantenendo questa funzione fino al momento della morte, avvenuta nel giugno 1534. Successore del Campana al priorato è il mediceo Giovan Battista Figiovanni48 posto in precedenza nel 1519, dal cardinale Giulio de’ Medici a sovrintendere alla costruzione della nuova sagrestia e della biblioteca laurenziana a Michelangelo49. La conflittualità del rapporto tra Figiovanni e Michelangelo, spinge nel 1526, Giulio de’ Medici, ormai Clemente VII, ad assegnare la sovrintendenza dei lavori a Piero Buonaccorsi. Tuttavia, nel 1530 ritornati i Medici a Firenze, Figiovanni recupera la sua

semini el fato loro in tutto il paese. Che questo sia a proposito a tener sano questo paese come desidera la signoria di Nostro Signor forse mons. Di Cortona disegnandolo di rifugio se la moria stringessi costi, lo lascio considerare a ognuno: so ben questo che se e cittadini no havessino respecto ad essere costoro in futuro, andrebbono a ardere la casa con ciocchè vi è drento; io te l'ho voluto fare intendere, accioch'è volendo rimediare tu possa a tempo per parte di tutto questo popolo e mia ti priegho che tu ci ripari in quel miglior modo che ti pare. Careggi 20 maggio 1524 Messer Paulo de Medici se ne levato su e credo che a quest'hora sia venuto costì a quello effetto; e se non è venuto, verrà absolutamente innanzi le XX ore che vedi quel che ti pare da fare.” La lettera in cui il canonico laurenziano allude al vescovo di Cortona che nel 1524 è il cardinale Silvio Passerini solitamente assente dalla diocesi e per il quale rinviamo a G. Cappelletti, Le chiese d'Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, vol. XVIII, Venezia si trova nella filza 118 dell'Archivio mediceo avanti il Principato in ASF, ed è il documento 250. Vi è poi, oltre alla pensione in Spagna di cui parla soltanto il Bartoli, la nomina a “familiare e continuo commensale” del pontefice, operata da Leone X nei confronti del Giambullari sostenuta dal Salvini sulla base di una bolla non ritrovata dal Valacca per la quale cfr. ancora id., La vita e le opere, cit., p. 24. 44Sull'ammontare della pensione cfr. in DBI, la voce Giambullari Pierfrancesco, cit., in particolare p. 308. 45C. Valacca, La vita e le opere, cit., pp. 25-27. 46Ivi, p. 39, inoltre cfr. Appendice XIX-Atto di accettazione di Pierfrancesco a canonico di S. Lorenzo, pp. 119-123. Inoltre, sui rapporti con Alfonsina e sui relativi benefici ricevuti fino al canonicato laurenziano, cfr. anche Pierfrancesco Giambullari. Nota introduttiva in Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di Angela Baiocchi, testi a cura di Simone Albonico, Ricciardi editore Milano-Napoli, 1994, pp. 829-839, in particolare p. 831. 47G. Cappelletti, Le chiese d'Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia, Giuseppe Antonelli, 1844-1870, XXI voll., in particolare vol. XVI, 1861, p. 179. 48Sul quale vedi la voce di V. Arrighi, Figiovanni Giovan Battista, in DBI, vol. XLVII, Roma, 1997, pp. 557-558, in particolare sulla sua posizione Medicea e sui vantaggi e benefici ottenuti grazie all’assunzione sul soglio pontificio di Giulio de’ Medici, cfr. p. 557. Inoltre, sulla sua vita a S. Lorenzo rinviamo al Cod. 1, Libro dei partiti del Capitolo di S. Lorenzo, 1516-1544, (consultabile nell’Archivio Capitolare di S. Lorenzo presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze; d’ora in poi BLF) in cui rileviamo innanzittutto dell’incarico dato al Figiovanni a p. 15: “Addì 27 maggio 1517[…]con 10 fave nere Chamarlingo della scuola dei chierici M. Giovambattista Figiovanni[…]” cui poco dopo rinunziò come leggiamo nel resoconto dell’8 luglio 1517 nella pagina seguente. Inoltre, ivi, a p. 137 si conferma la sua nomina a priore nel 1534 che lascia vacante un canonicato assunto dal mediceo Domenico Baglioni: “A dì 18 luglio 1534. Essendo coadunato il Capitolo…si accettò la nomina del nuovo canonico de Medici Me. Domenico di Biagio Baglioni in luogo del M. Baptista Figiovanni assumpto al priorato…”. Nomina del Baglioni avvenuta in base alle prerogative medicee su due canonicati laurenziani stabiliti dalla sede Apostolica per i quali vedi infra. 49Cfr. D. Moreni, Continuazione delle memorie istoriche dell’ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo in Firenze dalla erezione della chiesa presente a tutto il regno mediceo, Firenze, 1816, in particolare tomo I: pp. 167, 170-171, 204-205, 291 e 293-294.

10

Page 11: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

precedente funzione ricevendo la nomina di provveditore. Riprende anche il suo rapporto con Michelangelo durato fino alla morte di Clemente VII nel 153450. È proprio per conto dello stesso Figiovanni beneficiario delle distribuzioni del coro e della sagrestia per la costruzione della biblioteca laurenziana che Pierfrancesco, camerlengo di S. Lorenzo dal 1 marzo 1530 in coppia con Michelangelo Biscioni per un periodo di 15 mesi51, ringrazia il capitolo il 2 gennaio 1532. Nel frattempo, nel 1529, erano morti i suoi genitori e nello stesso anno aveva perso sia la rendita delle cave di vetriolo di Volterra a causa di una frana che le rendeva impraticabili, sia la pensione in Spagna52, conservando solo il rettorato della chiesa di Careggi e la sua proprietà di Castello53. Diverse sono le notizie del camerlingato del Giambullari, che possiamo ricavare nei Ricordi del Camerlingo, scritte prevalentemente di sua mano54 e dalla deliberazione del capitolo laurenziano del sabato 30 maggio 1545 che lo nomina tra gli “ufiziali”, affidandogli la redazione e la cura del quaderno dei Ricordi per il 1545-154655. I fatti in esso narrati pertinenti alla funzione del camerlingo responsabile della gestione economica della basilica, riguardano in prevalenza questioni economiche e finanziarie, affitti56, prestiti, alloggiamenti, debiti, saldi, spese, locazioni, poderi, rapporti con altre chiese57, incarichi. Dopo il suo camerlingato Pierfrancesco diviene, con Francesco di Dino58, sindaco dell’abbazia di S. Benedetto in Alpe59, mentre il Biscioni ricopre la carica di governatore

50Vedi inoltre a proposito della costruzione della laurenziana e del rapporto tra Figiovanni e Michelangelo V. Arrighi, Figiovanni, cit., p. 558 e soprattutto Il carteggio di Michelangelo. Edizione postuma di Giovanni Poggi, a cura di Paola Barocchi e Renzo Ristori, Firenze, Sansoni, IV voll., 1965-1979, in particolare voll. II-IV, ad indicem. 51D. Moreni, Continuazione, cit., tomo I: p. 204, in particolare nota 1. 52Cfr., C. Bartoli, Orazione, cit., pp. 164-165. 53M. Plaisance, Une première affirmation de la politique culturelle de Còme Ier: la transformation de l'académie des "humidi" en académie florentine (1540-1542) in AA.VV., Les écrivains et le pouvoir en Italie à l'époque de la Renaissance, vol. I, Universitè de la Sorbonne Nouvelle, Paris 1973, pp. 361-438, cfr. p. 405. 54Cod mss. 2479, Ricordi del Camerlingo di Sancto Lorenzo, Archivio Capitolare di San Lorenzo, BLF, (indicato da C. Valacca, La vita e le opere, cit., a p. 39) che a pagina 3 annuncia il camerlingato del Giambullari e la prosecuzione da parte sua della scrittura del quaderno: “Seguiterassi…Pierfrancesco Giambullari canonico e camarlingo per mesi quindici cominciati a dì primo marzo 1530 ad usanza fiorentina e da finirsi a dì 31 maggio 1532”. 55Cod. mss. 2299, Libro dei Partiti del capitolo di S. Lorenzo 1544-1562, Archivio Capitolare di S. Lorenzo, BLF, in cui a p.2: “sabato a dì 30 maggio 1545 Citato il capitolo primo dì per l’altro: et ragunato solennemente il Reverendo sig. Priore con dieci canonici; elessero et vinsero per partito gli infrascritti ufiziali per lo anno futuro da cominciarsi a dì primo di Giugno 1545, et finire per tutto maggio 1546[…]Il libro de’ Ricordi a messer Pierfrancesco Giambullari.[…]”. Ivi, a p. 6 apprendiamo della riconferma del Giambullari alla carica di ufficiale preposto alla cura del quaderno dei Ricordi anche per l’anno successivo “da cominciarsi addì primo di giugno 1546, et finirsi per tutto maggio 1547…”. 56Ricordi, cit., carta 3 leggiamo: “Ricordo come a di 16 decto messer Michelangelo Biscioni e messer Pierfrancesco Giambullari canonici e sindaci speciali a questo effetto, in nome di tutto il capitolo, et ad instantia di messer Giovanni…scemorono el fitto del poder di Baccio della Campana spetiale che tiene da noi a linea masculina, reducendolo a ducati ventisei d’oro per annuo canone e fitto, stando in tutto e per tutto fermo el contratto fatto co sopradecto Baccio: accedente et consensu beneplacito sedis apostolica el quale infra sei mesi da hoggi si debbia cercar sobtener a spese tutte di decto…rogato per Giovanni Vanucci nostro cancelliere sotto dicto di.” 57Ivi per l’invio della campana alla chiesa di S. Marco vecchio, carta 4: “Ricordo come il dì primo d’aprile 1531 habbiamo mandato alla nostra chiesa di S. Marco vecchio la campanetta che stava in chiesa qui alla vergine…per ordine del Capitolo…” 58Ivi, a proposito di Francesco Dino canonico soprannumerario tra il 4 giugno 1509 e il 25 luglio 1510, nominato canonico collegiale il 14 marzo 1513, scelto dal capitolo nell’agosto del 1516 per andare a Roma a complimentarsi con Leone X della sua avvenuta elezione al soglio pontificio e successivamente eletto per completare le nuove costituzioni di S. Lorenzo ultimate nel 1552, cfr. nel tomo I, pp. 173 in particolare nota n. 2, pp. 194-199 e pp. 325-326 e nel tomo II, pp. 288, 298, 303 e 320-321. Senza dimenticare la nomina a Camerlengo laurenziano a fianco di Nero Neroni per la quale rinviamo a Ricordi del camerlingato, cit., in particolare p. 22: “Ricordo questo dì giugno 1533. Come messer Francesco Dini e messer Nerone Neroni sindaci e curatori del capitolo[…]” e l’assegnazione del Libro de’ Partiti, cit., per il 1545 quale ufficiale fatta dal capitolo laurenziano per la quale vd. supra nota 55.

11

Page 12: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

generale delle Romagne, come attesta il ricordo del 15 gennaio 153360. Durante quest’anno il nostro canonico continua comunque a operare su mandato del capitolo ancora a fianco del Biscioni,61 e in diversi frangenti con Nero Neroni62. Il Giambullari, è protagonista inoltre di una lite con un altro canonico laurenziano Giovanni Norchiati63, anche se chiara risulta la sua innocenza. Egli, infatti, subisce nella sagrestia della chiesa di fronte a diversi testimoni gli insulti del Norchiati, in seguito punito dal capitolo laurenziano, con l’esclusione dalle distribuzioni ordinarie e straordinarie per due mesi, e l’obbligo di officiare die noctuque dal 1 al 16 aprile. Il Giambullari, tuttavia, perdona il Norchiati e tentato, vanamente, di sollevarlo

Inoltre, vd. il riferimento al Dino formulato nella lettera inviata da Stefano Lunetti in Firenze a Michelangelo in Carrara del 20 aprile 1521 a proposito della costruzione della nuova cappella: “Carissimo mio etc. Avvisovi come, avendo posto la basa del canto a l’entrata, come sapete, è stata vista da molti. Hanno infra loro auto molte dispute, in che modo abbia a stare l’entrata della chapella; ma oggi, venendoci Domenicho Boninsegni, al primo domandò di questa entrata, et subito messer Francescho di Dino rispose che si farebe chome nella vechia.” in Il carteggio di Michelangelo, cit., in particolare, vol. II, pp. 288-289, passo riportato a p. 288. 59S. Benedetto in Alpe una delle due abbazie camaldolesi (l’altra è S. Stefano da Cintola presso Vico Pisano) attribuite da Leone X al Figiovanni che ne sarebbe divenuto commendatorio riunendo in seguito S. Benedetto in Alpe alla mensa del capitolo di S. Lorenzo. In proposito vedi supra la nota 48. Cfr. inoltre D. Moreni, Continuazione, cit., tomo I, pp. 270-271 e in particolare nota n. 1 a p. 271. A proposito dell’incarico di sindaco di S. Benedetto in Alpe svolto dal Giambullari oltre alla determinazione dei territori appartenenti al monastero di S. Benedetto in Alpe effettuata il 3 maggio 1532 con Francesco di Dino e i rappresentanti del coevo comune per il quale rinviamo al mss. in pergamena 1155, dell’Archivio capitolare di S. Lorenzo, BLF, cfr. soprattutto l’indice delle scritture inviate ai canonici laurenziani responsabili delle abbazie romanognole nel Cod. mss. 2317 dell’Archivio capitolare di S. Lorenzo, BLF pp. 21-31. In particolare, nel sottoelenco degli strumenti dati ai laurenziani per operare negli affari pertinenti alle abbazie romagnole a p. 27 rileviamo la procura attribuita nel 1532 al Biscioni e al Giambullari “Procura…Biscionem et PetrumFranciscum Giambullarium, cum facultate disponendi(ponendi ) litteras, quoque iter Capitulum nostrum…” e soprattutto p. 28 in cui la procura viene assegnata al nostro canonico per l’anno 1534 “Procura…Giambull. Romandiola 1534”, e nel successivo sottoelenco dei libri delle entrate e uscite inerenti le abbazie romagnole, a p. 29 l’attribuzione di un “liber provenctuum(o orum) abatiarum romandiolarum per Petrum Franciscum Giambullarium 1533” e soprattutto a p. 30 con la mensione di un “Liber proventuum et expensarum, abbatiarum Roman. per Perfranciscus di Giambullarijs ab anno 1532 usque 1554” a dimostrazione del suo persistente coinvolgimento nell’ambito di queste abbazie romagnole. 60Ricordi del camerlengo, cit., carta 19: “Ricordo quel dì 15 di Gennaio 1533 come Messer Michelangelo Biscioni nostro canonico e Ghovernator generale di tutta la nostra Romagna[…]”. 61Ivi, in particolare p. 26: “Ricordo come questo dì di decto mese (30 ottobre 1533) Michelangelo Biscioni e messer Pierfrancesco Giambullari deputati dal capitolo a questo effetto come al libro de partiti B, accettarono Carlone di Giannone…per commesso del nostro capitolo insieme con messera Camilla sua donna[…]” e ancora a p. 33: “Ricordo come questo dì 10 di marzo messer Michelangelo Biscioni et messer Pierfrancesco syndaci del Capitolo a questo effetto allogharono in fitto perpetuo…il mulino di San Donato di Modigliani[…]”. 62Ivi, p. 34: “Ricordo questo dì 10 marzo 1534 come di sopradecto Messer Nerone Neroni, m. Pierfrancesco Giambullari e mess. Domenico Baglioni nostri canonici per commissione del Capitolo, allogharono e concedereno in fitto perpetuo accedente beneplacito sedis apostolicae a Giovanni di Lolo di Francesco da Valdirio[…]” e ivi: “Ricordo come questo dì 5 aprile 1534 messer Nerone Neroni e m. Giambullari syndici del capitolo a questo effetto e in nome del Capitolo…comperarono…a Pieraccino…tutta la sua parte del poder di Cignano…”. Senza trascurare le azioni congiunte compiute in relazione all’abbazia di S. Giovanni Acereta inclusa nella mensa di S. Lorenzo per le quali rinviamo agli atti rogati nei mss. in pergamena dell’Archivio Capitolare di S. Lorenzo, BLF: il 1149 (10 maggio 1534) su una lite tra il rettore dell’abbazia suddetta e la famiglia dei Cappelli a causa di un podere a Cignano risolta dal Giambullari e dal Neroni, il 1159 consistente nella permuta con Giolo del fu Perugino di Biagio de Ragazis del canone da lui dovuto alla chiesa con un terreno nel comune di Acerata e il 1153 lo stesso giorno, (11 maggio 1534), la permuta di alcune terre di alcune terre, poste in Acerata nella diocesi di Faenza con Michele del fu Guerra di Guido de Razzis. Inoltre cfr. anche il 1214 su una somma di denaro ricevuta dal Giambullari dal lavoratore della metà di un podere contiguo all’abbazia di Acerata (11 settembre 1533). Inoltre, nei Ricordi, cit., ritroviamo un'altra volta il nome del nostro canonico a p. 50: “Ricordo come questo dì 27 di luglio (del 1544) essere M. Nuccio Giocondi Camerlengo e messer Pierfrancesco Giambullari curato del Capitolo allogano a Raffaello di barto fornaio una bottega posta in borgo S. Lorenzo sotto la nostra casa[…]”. 63Sul Norchiati e sul suo canonicato in S. Lorenzo cfr. D. Moreni, Continuazione, cit., in particolare, tomo II, pp. 146-147 e 150-151.

12

Page 13: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

dall’inflizione dalla pena diventa suo amico.64 Indicativa del cambiamento dei rapporti tra i due è anche la comune nomina di ragionieri del Camerlengo nel 1534 e di “curaiuoli” di Domenico Baglioni camerlengo di Romagna l’anno successivo, nel quale il Giambullari mantiene anche la sua funzione di ragioniere. Il nostro canonico nel 1534, diviene inoltre scrivano del capitolo laurenziano secondo la deliberazione capitolare del 27 maggio, che assegna gli uffici fino al giugno 153565. Successivamente, nel 1545, oltre ad essere nominato ufficiale dal capitolo responsabile del quaderno dei Ricordi come abbiamo visto66, viene scelto anche come “mallevadore” insieme a Lodovico Epifani, del priore designato nuovo camerlengo in sostituzione del neoeletto Niccolò detto “giocondo”, defunto.67 L’anno successivo, il Giambullari si reca nuovamente nella badia romagnola insieme al Neroni per conto del capitolo68. Per l’anno 1547-1548, viene confermata la sua responsabilità per il libro dei Ricordi con l’accezione di “soprastante della (o alla) cera”69 e pochi giorni dopo, è nuovamente nominato insieme al Neroni mallevadore del camerlengo per il nuovo anno70. L’anno seguente, invece, pur non rivestendo cariche particolari, il Giambullari viene 64Ivi, tomo II, p. 150 in cui si riferisce delle molteplici e ripetute ingiurie rivolte dal Norchiati al Giambullari alla presenza di vari testimoni nella sagrestia di S. Lorenzo e delle conseguenti sanzioni stabilite dal capitolo nei suoi confronti per questo comportamento. In proposito cfr. anche la Prefazione, cit., di G. Marangoni, cit., p. VII. 65Vd. Cod. 1, cit., a p. 135-136: “Addì 27 marzo 1534[…]ragionieri del Camerlengo item che M. PierfrancescoGiambullarii et messer Giovanni Norchiati, rileghino il …al camarlingho dell’anno passato…” e a p. 141: “die XV maij 1535[…]Camarlingo il nostro reverendissimo priore Me. Giovanbaptista Figiovanni…Camarlingo di Romagna M. Domenico Baglioni,Curaiuoli M. Giambullarii et Norchiato, Ragionieri M. Girolamo et Giambullarii…” confermata del resto anche dall’incarico ricevuto dal nostro ricordato che insieme a Domenico Baglioni recupera, su incarico del capitolo del 14 (Iulii), dal mugnaio Baldassare di leccone, i Mulini appartenenti a S. Benedetto in Alpe, a p. 142. Inoltre sulla nomina a scrivano del capitolo per il 1535 del Giamabullari leggiamo a p. 136: “Addì 27 marzo 1534[…] Item vinsono ne detti partiti che m. Pierfrancesco Giambullari tenga e libri del nostro capitolo ed salario di lire ventotto per ogni anno[…]” C. Valacca, La vita e le opere, cit., p. 40. 66In proposito vedi supra nota 55. 67In questo senso vedi Cod. 2299, cit., a p. 3: “ Mercoledì addì 12 agosto 1545 Ragunati insieme il S. Priore e canonici in sufficiente numero fu creato per solenne partito e vinto secondo gli ordini camerlengo nostro messer Reverendo Priore vescovo di Assisi chiamato, attesa la morte seguita di Messer Niccolò il giocondo allora camarlingo et quasi per tutto il tempo et doveva stare nell’offitio di Messer Niccolò cioè per infino a tutto maggio…1546. Et nel giorno medesimo dette per suoi mallevadori il creato camerlengo messer Pierfrancesco Giambullari et messer Lodovico Epifani i quali furono approvati per partito vinto et fu concesso al detto camarlingo il mandato et come è solito darsi alli altri camarlinghi. […]”. In base a questo incarico pertanto Giambullari deve intervenire nella concessione del canonicato vacante per la morte di Niccolò a Iacopo figlio di Francesco Aldobrandini “essendo vacato il canonicato del quale sono padroni gli Aldobrandini” che “domandarono che allui fusse conferito il detto canonicato vacante. Il che messo a partito fu vinto et per il priore nostro […] de prefati padroni nel canonicato predetto il detto Iacopo secondo la nostra antica consuetudine fu rogato Ser Giovanni Vannucci nota dell’arcivescovado di Firenze et successivamente fu commesso a messer Pierfrancesco Giambullari e messer Lodovico Epifani che dessino la possessione corporale a quello in coro e a lui così nuovamente creato canonico il che mandando i prefati ad officho ne fu rogato ser Piero Epifani nota del vescovado di Firenze sotto detto dì.” come leggiamo a p. 4:” Incarico che, pur essendo nell’anno successivo riconfermato al camerlingato il Priore, non viene invece reiterato al Giambullari, in proposito rinviamo ivi, alle pp. 6-7. 68Ivi, p. 8: “Addì 30 di Agosto 1546[…]Et nel medesimo giorno fu data commissione a m. Neroni e m. Pierfrancesco Giambullari nostri canonici d’andare in Romagna a visitare le badie dal Capitolo nostro et ricevere un pagamento di certe terre vendute per il fattore nostro a… Antonio da Viorano et di più vendere un poveretto della fontana bianca[…].” 69Ivi, p. 14: “Addì 27 maggio 1547…fatti altri ufiziali…per durare detti officii, tutto il seguente anno dal giorno 6 di Giugno fino addì 31 di maggio 1548[…]Soprastante della cera m. Pierfrancesco Giambullari per il libro de ricordi”, ufficio che comunque non gli verrà reiterato per l’anno 1548-49 come apprendiamo dalle relative delibere del capitolo per le quali cfr. ivi, il resoconto del 17 maggio 1548 a p. 21 sugli ufficiali di S. Lorenzo per l’anno 1548-1549. 70Ivi, “Addì primo di giugno 1547 essendo congregato il capitolo nel luogo solito fu dato il mandato in forma al Reverendo Priore nostro Camerlingo per quest’anno et egli per suoi mallevadori dette secondo l’usanza M.

13

Page 14: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

segnalato, nella riunione della delibera come maestro della scuola dei chierici di Vincenzio da Cosenza71. Nel 1549, torna ad occuparsi della redazione del quaderno dei Partiti72, ma riceve anche l’incarico di sistemare e rendere in buona forma latina le nuove costituzioni laurenziane, insieme a Piero Truciolo73. Inoltre, viene anche stabilito che quando il canonicato del Giambullari dovesse divenire vacante andrebbe a Donato Valdambrini, secondo volontà ducale espressa dal segretario del duca Lelio Torelli, in base al patronato concesso dalla sede apostolica ai Medici su due canonicati della Chiesa laurenziana74. Il Valdambrini, infatti, è menzionato tra i sostituti anche nel partito che distribuisce gli ufficii per l’anno seguente, che assegna nuovamente Giambullari alla redazione del libro dei Ricordi75, e pochi giorni dopo lo nomina, ancora a fianco di Nerone Neroni, mallevadore del nuovo camerlengo Piero Fetti76. Ma si conferma ulteriormente l’apprezzamento in cui il

Nerone Neroni e m. PierfrancescoGiambullari …canonici pronti et promettenti quali furono approvati per solenne partito di tutte le fave nere sotto el quale partito fu etiandio concesso il mandato come di sopra rogato del tutto ser Giovanni Vanucci nostro cancellier[…]”. Poco dopo, durante il suo mandato, verranno preparati da Domenico Baglioni e Antonio Petri su incarico del capitolo i nuovi statuti del Camerlengo e dei curaioli approvati il 25 agosto 1547; ivi, vedi pp. 16-17. Inoltre il 4 aprile 1548 Ludovico Epifani di difendere in causa la situazione dei beni della chiesa di S. Bartolommeo ascrivibili al possesso di S. Lorenzo secondo il contratto precedentemente pattuito dal Giambullari come leggiamo alle pp. 20-21: “Essendo ragunato il Capitolo…fu data Commissione a m. Ludovico Epifani…per seguire le ragioni del capitolo in iudicio et fuora sopra la chiesa di S. Bartolommeo concessa già…et si pretenda che il detto …ci osservi quel tanto et quel promesso per il contratto, del …fatto partito fu vinto …et…fu data commissione a m. Pierfrancesco Giambullari e m. Antonio Petri di riveder tutti i beni del capitolo dati a linea di livello e quelli che si possano con ragione ridurre in proprietà e possessione nostra o per un verso o per l’altro, singegnino di ridurli e per questo effetto possino ”. 71Ivi, p. 23: “Il capitolo ragunato…ha eletto per maestro della scuola di chierici messer Vincentio da Cosenza col solito salario et obblighi con consenso degli operai come disse M. Pierfranc. Giambullari et che lo uffitio suo col salario incominciassi …il presente mese o prima quando il maestro vecchio havessi di sgombro le sue cose…”. 72Ivi, a p. 30: “Mercoledì Addì 22 dimaggio 1549. Citato il capitolo…et solennemente ragunato…li Reverendissimi Canonici elessono et vinsono per partitogli infrascripti uffitiali per lo anno advenire da cominciarsi addì…di giugno 1549 et finirsi per tutto maggio 1550[…]Al libro de partiti Messer Pierfrancesco Giambullari[…]in ridetta commissione detto dì a M. Pierfrancesco Giambullari che dessi un libro da cantore al maestro di scuola per insegnar canto a chierici…”. 73Ivi, infatti, leggiamo in fondo a p. 32: “Giovedì a dì 30 detto (Gennaio 1549)[…]il medesimo giorno per partito di tutte fave nere fu dato per commissione a messer Pierfrancesco Giambullari, et a messer Piero Truciolo di acconciare le costituzioni e di rassettarle in buona forma in lingua latina.” 74Ivi, a proposito del Giambullari vedi p. 31: “Mercoledì a dì 4 di settembre 1549…Messer Donato Valdambrini entrò in capitolo con Messer Giovanni Vannucci nostro cancelliere: et presentò le bolle el mandato et il processo dello accesso al canonicato di Messer Pierfranc. Giambullari, in qualunche modo e’ vacherà: et intimandole al capitolo domandò il consenso di quello. Messesi a partito presente Messer Taddeo di Bartolomeo Chiari, et Piero di Antonio…nostri cappellani, et con otto fave nere et due bianche fu accettata la Intimazione, offerto la obbedienza alle bolle per quando verrà il caso et prestato il Consenso come padroni, rogato di tutto Messer Giovanni Vannucci nostro Cancelliere che fece fede al capitolo de la licenzia di Messer Lelio…”. Inoltre, sul patronato mediceo, rinviamo in particolare a p. 74. 75Ivi, p. 34: “Mercoledì a dì 14 di maggio 1550. Ragunato il capitolo…furono creati gli infrascritti ufficiali per uno anno prossimo futuro da cominciare il dì primo di Giugno 1550, et finire come segue et ciascuno con il solito emolumento[…]Appresso furono confermati gli infrascritti sostituti cioè Donato Valdambrini…” Il Valdambrini avrebbe ricevuto analoga conferma nella risoluzione del capitolo per gli incarichi dell’anno successivo del 13 maggio 1551 per la quale rinviamo ivi a p. 46, con l’aggiunta, poco dopo, il 27 maggio, della nomina a cappellano del Vicorato; leggiamo infatti a p. 47: “Mercoledì a dì 27 di maggio…il decto Capitolo avendo piena et certa notizia che la Cappellania di S. Giuliano et S. Francesco della quael era rettore M. Bernardo Fumanti era vacata per renuntia fatta dal decto Bernardo in mano di N. S. pp. Iulio III…avendo ancora notizia che sua Santità li aveva conferita a M. Donato Valdambrini d’Arezzo però il detto Capitolo acconsentì a tal (collarino?) et accettò per nuovo Cappellano di decta Cappellania il prefato M. Donato, max. veggendone il Capitolo il consenso de padroni, et la licentia del maggiordomo M. Lelio Torelli auditor di S. E…”. 76Ibidem: “Mercoledì a dì 28….Messer Piero Fetti nuovo Camarlingo dette per suoi mallevadori per uno anno messer Nerone Neroni, et messer Pierfrancesco Giambullari presenti e consenzienti come appar per mano di Messer Giovanni Vannucci…”.

14

Page 15: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

capitolo tiene l’ordine e la scrittura del nostro canonico dalla richiesta di inventariare tutti i beni del convento e dare disciplina e chiarezza all’archivio77. L’anno successivo il Giambullari è curatore di Ludovico Epifani nuovo camerlengo e corista dei canonici, mansione quest’ultima conservata anche nel 1552 e nel 1553.78 Il 5 agosto 1551 insieme a Nerone Neroni è convocato anche nella causa di affrancazione di Ottaviano de’ Medici79. Il Giambullari viene per l’ultima volta investito insieme al Neroni della risoluzione della causa concernente la Cappella de’ Taddei il 9 dicembre 1552, ricompostasi in gennaio80. Tuttavia, per la partenza al servizio di Cosimo a Pisa del responsabile del quaderno dei Partiti recupera a partire dal 2 dicembre 1551, anche questa funzione81. Nominato corista82, circa un anno dopo, il 9 dicembre 1552 viene dotato dal capitolo di autorità nella risoluzione in piena autonomia ancora al fianco di Nerone Neroni della causa

77Ivi, a p. 38: “Mercoledì a dì 23 di luglio…per partito vinto di tutte fave nere fu data commessione a messer Pierfrancesco Giambullari et a Messer Anto. Potrei et a Messer Francesco di Dino che facessimo inventario di tutte le scritture di una casa per doversi tener conto con più ordine nel nostro Archivio, et non solo facessimo tal inventario ma seguitassimo etiamdio lo inventario et ordine di tutti li nostri beni altra volta cominciato dalli decti Messer Pierfranc. et Messer Anto. Petrei, con quanto inteso et sempre et li detti o ciascuno di loro in tal opera sarà occupato sia admesso come se egli fussi presente in chiesa. Il prefato capitolo…il dì decto…dette facoltà et ampla commessione alli predetti tre canonici, cioè M. Pierfranc. Giambullari, M. Ant. Petrei et M. France. Di Dino, che potessino far acconciare gli armarij casse et palchetti dello archivio, per più comoda conservatione delle dette nostre scritture, come più a proposito alli detti paresse…” 78Ivi, p. 46: “Mercoledì a dì 13 di maggio…furon creati gl’infrascritti ufficiali….Camerlingho Lodovico Epifani, Curaiuoli M. Pierfranc. Giamb. Et M. Piero da Volterra…Corista de’ Canonici M. Pierfranc. Giamb.[…]Appresso furon rifomati et raffermi gli infrascritti sostituti cioè Donato Valdambrini…”. Come curatore il Giambullari sarebbe stato investito della seguente commissione: “Mercoledì alli 2 di settembre 1551[...]fu data autorità a presenti curaiuoli M. Pierfranc. Giambullari et M. Piero Trucioli et al Camarlingho M. Lodovico Epifani che componghino assettino et finischino come parrà et piacirà a loro il negozio di M. Lorenzo d’Arezzo già nostro cappellano a S. Marco vecchio datogli dal Cappellano et vicario et tutto quello che i dicti col prefato M. Lorenzo converranno et determineranno…”. Sulla sua riconferma come corista dei canonici, inoltre, cfr. p. 54 e per l’anno che inizia nel giugno 1553 pp. 66-67, in particolare p. 67. 79Ivi, alle pp. 48-49: “Addì 5 d’agosto Ragunato il capitolo…in persone nove et partito gli operai furon fatti sindachi et procuratori del capitolo. M. Nerone Neroni et M. Pierfranc. Giambullari a comparire innanzi a giudici Apostolici nella causa della Affrancatione di M. Ottavio de’ Medici et a ultimarla et finirla come appare per rogo di M. Giovanni Vannucci…”. 80In proposito per l’attribuzione dell’incarico a p. 61: “Venerdì addì 9 dicembre 1552[…] si dette libera autorità a M. Nerone Neroni, et M. Pierfranc. Giambullarii che nella causa della cappella de Taddei senza più altrimenti litigare convenissino con essi Taddei secondo che giudicassino esser conveniente et che tutto quello ne facessino come amorevoli di nostra casa, dal Capitolo senza eccettione sarebbe sempre approvato.” E ancora nella riunione del capitolo del 16 dicembre a p. 62: “si dette di nuovo autorità alli reverendi M. Nerone Neroni et a M. Pierfrancesco Giambullari che oltre al terminare et comporre la lite che ha il Capitolo con M. Francesco di Vincentio Taddei accettassimo ancora certo credito di scudi venti sul monte del Comune di Firenze, promettendo che tutto quello che li dua soprascritti Canonici facessino, sarebbe accettato per benissimo fatto.” E per la soluzione a p. 63: “Mercoledì addì 4 di Gennaio MDLII[…]si vinse un partito…per il quale confermandosi tutto quello che M. Neroni et M. Pierfranc. Giambullari havessino fatto nella causa de Taddei, si accettò il credito di monte del Comune di Firenze che essi Taddei in perpetuo hanno adsegnato al nostro capitolo acciochè M. Francesco di Vincentio Taddei cappellano della Cappella di S. Antonio in vita sua, o suo sostituto per tempi che si offitiassi, fussi admesso alle distribuzioni quotidiane della messa nostra secondo l’usanza degli altri nostri Cappellani, siccome apparisce per un contratto rogato questo dì…nell’Arcivescovado di Firenze.”. Senza trascurare una missione affidata a lui e a Niccolò Rucellai il 17 marzo 1552 ancora a sfondo economico-finanziario, inerente fitti e terre connesse alla Chiesa di Santa Musteola nella diocesi di Bologna per la quale rinviamo a p. 64. 81Ivi, p. 51: “Essendo il nostro Piero Truciolo trasferitosi a Pisa a servizio di S. Ecc. fu commesso pubblicamente in capitolo a me Pierfranc. Giambullari che io scrivessi i partiti che si facevano da qui innanzi in su quel libro, et così quegli che si erano fatti fino ad hora, che erano notati sopra un foglio. Et questa commissione mi fu data a dì 2 di Dicembre 1551.” 82Ivi, p. 54: “Gli officiali eletti…che hanno funzioni da incominciarsi adì primo di giugno et finire quattro maggio 1553…El corista dei canonici M. Pierfrancesco Giambullari…Et ragionieri a rivedere i conti a m. Ludovico Epifani vecchio camarlingo M. Nerone et m. Pierfrancesco Giambullari[…]”.

15

Page 16: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

della cappella dei Taddei83 e nel marzo del 1553 incaricato di “dislogare et allogare le terre della nostra Chiesa di Santa Musteola nella diocesi et con quelle condizioni che…giudicassino più a proposito[…]”.84 Confermato corista il 17 maggio 155385, chiede al capitolo di pronunciarsi sulla conferma a Piero Trucioli da Volterra ora che era diventato priore e non più semplice canonico, ricevendone risposta affermativa86. Per l’anno seguente, il nostro ritorna all’incarico di “ceraiuolo”87. Funzione non riconfermata nel 1555, anno in cui il Giambullari non riceve alcuna funzione degli ufficiali del capitolo, morendo il 24 agosto con immediata translazione di canonicato e annesse condizioni a Donato di Valdambrini88. All’interno del convento inoltre il Giambullari, diviene il primo custode della biblioteca laurenziana nella cui costruzione come abbiamo visto era stato coinvolto con il Figiovanni. Testimonianza del conferimento di questa funzione sono i passaggi di due lettere inviate da Francesco Berni a Giovanni Francesco Bini89, nel testo delle quali compare appunto lo stesso Figiovanni90. Quest’ultimo, infatti, permette al Berni l’accesso nella biblioteca per reperire i libri indicatigli dal Bini per conto di Clemente VII. Il Berni, riferendosi affettuosamente al provveditore della Laurenziana91, scrive: “Il barba Figiovanni nostro mi ha mostro il capitolo che li scrivete in una lettera, che mi faccia favore ad entrare ed uscire della libreria di S. Lorenzo, per far quelli servizii di N. S. re: alla cui santità sarete contento dire, che lunedì, al nome di Dio, sarò addosso al

83Ivi, a p. 61: “Detto dì per un partito unitamente vinto si dette libera autorità a m. Neroni de Neroni, et a me. Pierfrancesco Giambullari che nella causa della cappella dei Taddei, senza più altrimenti litigare convenissimo con essi Taddei secondo che giudicassino essere conveniente et che tutto quello ne facessimo come amorevoli di nostra casa, da Capitolo senza eccettione sarebbe sempre approvato.” E ancora a p. 62 il 21 dicembre questa autorità viene riconfermata ai due: “Ragunato il nostro Capitolo…per partito di tutte fave nere si dette di nuovo autorità alli reverendi m. Neroni…et…Gambullari che oltre al terminare di comporre la lite che ha il capitolo con ser Francesco di Vincentio Taddei, accettassino ancora certo credito di venti denari sul monte del Comune di Firenze, promettendo che tutto quello che li dua soprascritti canonici facessimo, sarebbe accettato per benessimo fatto.” 84Ivi, p. 64, “Venerdì adì XVII di marzo MDLII (1553)” 85Ivi, p. 67. 86Ivi, p. 73: “A dì 25 d’ottobre 1553[…]Item…dal nostro Me. Pierfranc. Giambullari corista de nostri canonici fu domandato se egli doveva admettere a tutte le distribuzioni di nostra chiesa il predetto nostro signor Priore M. Piero da Volterra, siccome era solito admetterlo quando era Canonico, da tutti li congregati fu benignamente risposto a viva voce, che tutti erano contentissimi del prefato M. Piero godessi le solite exentioni già concessegli dall’Illustrissimo Duca nostro…”. 87Ivi, p. 78-79: “Mercoledì a dì XVI Maggio 1554…per uno anno proximo futuro da cominciare il dì primo di Giugno 1554[…]ceraiuolo M. Pierfrancesco Giambullari…”. 88Sugli ufficiali dell’anno in questione cfr. pp. 86-87. Inoltre per la translazione delle prerogative del Giambullari al Valdambrini leggiamo a p. 88: “A dì 25 agosto…per partito vinto con tutte fave nere M. Donato …Valdambrini per nostro canonico già posseduto da…M. Pierfranc. Giambullari per sua morte a licentia non di manco dell’Illu. S. Duca come per un soprascripto di Messer Lelio e tractone la bolla come amplamente furno da tutto il capitolo viste et lette li fu concesso il possesso et lo stallo in coro et la voce in capitolo et la costitutioni giurate promettendo ad observantia[…]” e nella stessa pagina di seguito, nella riunione del 28 agosto, il capitolo assegna al Valdambrini la stanza occupata dal Giambullari. 89Sul quale rinviamo alla voce di G. Ballistreri, Giovanni Francesco Bini (Bino), in DBI, volume X, Roma 1968, pp. 510-513. 90I testi delle lettere in questione, entrambe inviate da Francesco Berni a Francesco Giovanni Bini, da Firenze a Roma, rispettivamente il 28 marzo e il 12 aprile del 1534 si trovano in F. Berni, Rime poesie latine e lettere edite e inedite ordinate e annotate per cura di Antonio Virgili aggiuntovi la Catrina, il Dialogo contra i poeti e il Commento al capitolo della primiera, Firenze, successori Le Monnier, 1885, pp. 326-329. 91Il legame affettivo esistente tra il Figiovanni, il Bini e il Berni traspare chiaramente anche dalla precedente lettera del Berni a quest’ultimo del 14 gennaio 1534 in cui leggiamo: “M. Giovanni Battista Figiovanni vostro e mio, che dice che vi vuol tanto bene quanto presso che non dissi alla casa de’ Medici…” in F. Berni, Rime, cit., pp. 324-326, passo riportato a p. 325.

16

Page 17: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Giambullari, e caverò il marcio dell’uno e dell’altro negozio; dico del libro di filosofia, e dello Ippocrate.”92 Le ricerche condotte nella laurenziana, tuttavia, nonostante l’impegno dello stesso custode, non danno buoni risultati, in base a quanto il Berni dichiara nella successiva missiva: “che mi pare esser chiaro che noi non faremo mai niente quanto al ritrovare quelli quinterni scambiati nel libro, di che mi dette nota mastro Ferrando, perché oltre alla diligenzia che ne feci io il primo dì, l’ha fatta parecchi dì alla fila quel prete de’ Giambullari che è quivi custode, e ultimamente Piero Vettori, il qual mi risolve che è come cercar de funghi: pure non si lascia di per questo di far nuova diligenza, né si lascerà. Quanto al farlo riscrivere dall’archetipo, in caso che non si trovassimo, non bisogna pensare; perché siamo risoluti che tale libro non solo non v’è, ma non vi fu mai. Lo Ippocrate con lo Erotiano, che N. S.re mi disse e il signor Lascari93, dice il Giambullari ch’è un pezzo che il Guarino cavò di libraria e mandollo a Roma, né sa a chi; e conclude che non v’è. E anche di questo non bisogna far conto qua: cerchisi costà, e per cercarlo io vedrò d’avere dal detto quelle più conietture che potrò; ma fin adesso la cosa sta come voi intendete.”94 Secondo quanto emerge abbastanza chiaramente dal precedente passo la ricerca del Berni si comprende nelle sue finalità per la menzione del medico siciliano Ferrando e di Giovanni Lascari. Il medico siciliano non è altri che Ferdinando Balami che, su incarico di Clemente VII, al momento della missiva del Berni, si dedica alla traduzione in latino del trattato di Galeno sull’anatomia: il De ossibus, per la quale i testi di Ippocrate e Erotiano sono passaggi obbligati. Parimenti imprescindibile, al lavoro del medico siciliano è l’emendazione del testo originario greco di Galeno di cui si occupa Giovanni Lascari. Pertanto, il terzo libro a cui si allude nella lettera è una versione del trattato galeniano in lingua originale greca necessario al Lascari per effettuare alcune verifiche. Della traduzione, finalmente compiuta e stampata a Roma e del suo autore95, parlerà un’altra lettera inviata dal Berni a Carlo Gualteruzzi da Fano nel 1535: lettera indicativa anche dei rapporti e dei legami intrattenuti dal Berni con gli ambienti dell’evangelismo italiano, che era stato del resto nell’entourage del vescovo di Verona Gian Matteo Giberti96 fino alla fine del 153297. Inoltre, non va trascurato in questa direzione, oltre all’amicizia col Berni, il legame instauratosi tra il Bini ed il Sadoleto. Il Bini, infatti, entra nella segreteria del Sadoleto nel 1525 ottenendo da lui anche dopo il suo trasferimento a Carpentras sostegno e appoggio per acquisire benefici e riconoscimenti nell’ambito della Curia. All’interno della quale lo

92Ivi, lettera cit., passo riportato a p. 326. 93Giovanni Lascari che in questo periodo e fino alla sua morte occorsa nel 1535 è al servizio del Cardinale Niccolò Ridolfi a Roma, in proposito ai loro rapporti anche precedenti cfr. R. Ridolfi, La biblioteca del cardinale Niccolò Ridolfi, in “La Bibliofilia”, anno XXXI, 1929, maggio, pp. 173-193, in particolare pp. 177-180; ivi inoltre cfr. anche riguardo all’aiuto fornito dal cardinale all’attività culturale di Pier Vettori e alla stima nutrita nei confronti del cardinale pp. 181-182. 94Berni, Rime, cit., lettera cit., passo riportato alle pp. 327-328. 95Riguardo a Ferdinando Balamio in precedenza medico di Leone X, dal 1530 protomedico pontificio e in seguito segretario del cardinale filomediceo Alessandro Cesarini (sul quale cfr. la voce di F. Petrucci, Cesarini Alessandro, in DBI, vol. XXIV, Roma, 1980, pp. 180-182) e alla sua traduzione rinviamo alla voce di P. Zambelli, Balami Ferdinando (Ferrante Siciliano), in DBI, vol. V, Roma, 1963, pp. 307-308. 96Cfr. la voce di A. Turchini, Giberti Gian Matteo, in DBI, vol. LIV, cit., pp. 623-629, in particolare sul Berni p. 626 e A. Prosperi, Tra Evangelismo e Controriforma: G. M. G. (1495-1543), Roma, 1969. 97Lettera inviata a Messer Carlo Gualteruzzo da Fano in Roma da Firenze 31 marzo 1535, in Berni, Rime, cit., p. 341 in cui a proposito del siciliano medico Ferrando scrive: “Pregovi quando vi vien visto M. ro Ferrando siciliano medico, ringratiate S. S. per mia parte dell’opera che mi ha mandato a donare con tanta cortesia, ricordandosi di me che non è punto cambiato; et diteli che per quel poco iuditio che ho, mi par bellissima et degna delle sue lettere et del suo ingegno. Raccomandatemi a Mons. Di Carnesecchi a M. Giovanni della Casa, et al Molza e voi amatemi.”

17

Page 18: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

vediamo, negli anni trenta alle dirette dipendenze dei protonotari apostolici, tra cui dal 1533 il Carnesecchi98. Impegnato a tenere i contatti con Firenze e con il Fiegiovanni, non solo per le questioni attinenti i libri menzionati nelle lettere del Berni sopraindicate, ma anche a comunicare la volontà pontificia riguardo al completamento della Laurenziana, a sostegno delle richieste e delle esigenze espresse nel merito da Michelangelo e a fungere da filtro e collegamento tra l’artista e il Figiovanni in due occasioni99. Il Giambullari mantiene l’incarico di custode della biblioteca del convento, fino alla sua morte. La continuità di questa funzione, infatti, viene confermata da alcune tracce sparse lungo gli anni. La prima concerne, come indica il biglietto scritto dal Giambullari a Pierfrancesco Riccio il 2 febbraio 1541, l’invio al fedele servitore di Cosimo di due manoscritti, uno di Plinio, l’altro di Cornelio Celso100. La seconda, riguarda alcuni libri detenuti dal cardinale Niccolò Ridolfi che sarebbero dovuti tornare con la sua morte alla Laurenziana. Allo scopo, il nostro canonico viene incaricato di stilare una nuova più accurata lista dei libri contenuti nella biblioteca medicea, come conferma la lettera di Cristiano Pagni al Riccio del 31 marzo 1550: “[…]Ho hauto l’Indice della libreria di S. Lorenzo, et s’è dato al Portio [Simone Porzio] per ordine di sua Ecc.a [Cosimo I] acciò lo riscontri con quello di [Niccolò] Ridolfi et come lo rihabia lo rimanderò al Giambullari [Pierfrancesco Giambullari]. A sua Ecc.a piace se ne debba fare un altro al netto in carta buona ma con maggior diligentia che non è fatto questo, distinguendo l’opere che sono in ciascun volume, come scriverò al Giambullare quando gliel [glielo] rimanderò et sarà con V.S. per ordinarlo[…]101 Lettera a cui segue, la missiva del Riccio al Pagni del 1 aprile che, oltre a presentare allegate due epistole dell’ambasciatore di Cosimo I a Roma Averardo Serristori e di Benvenuto Cellini, attesta della diligente esecuzione del compito assegnato al Giambullari, e del buon andamento dei lavori della Laurenziana: “[…]L’indice per la libreria di S.o Lorenzo stato molto bene, scripto et annotato in quel modo che S. Ex. Ordina al [Pierfrancesco] Giambullari, et io gli adviserò perché si faccia una pulizia libro (o in pulizia libro o libri), la qual libreria, dico, della stanza, si vien finendo con gran soddisfatione d’ognuno da giorni, e da infiniti forestieri che passano a visitare il loco, con lode infinita di sua Ex. […]”102 Il maggiordomo di Cosimo I, invia poi una parte dell’indice con la lettera del 5 Aprile inviata al Pagni103. Il Riccio scrive infatti: “In risposta di questa lettera di V. S. del 2 en la quale dico che sia usata e usa diligentia…l’esemplare […]Mando con questa a V. S. il cominciato indice de libri qua della

98In proposito vedi la voce di A. Rotondò, Carnesecchi Pietro, in DBI, Roma, 1977, vol. XX, pp. 466-476. 99Cfr. in tal senso la lettera di Battista Figiovanni in Firenze a Michelangelo in Roma del 7 ottobre 1532, di Giovan Francesco Bini in Roma a Michelangelo in Firenze del 3 agosto 1533 e quella di Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze del 23 agosto 1533 in Il carteggio di Michelangelo, cit., in particolare vedi vol. III, p. 436, vol. IV, pp. 34-35 e pp. 44-45 100In proposito vedi A. Cecchi, Il maggiordomo ducale Pierfrancesco Riccio e gli artisti della corte medicea, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes in Florenz”, XII. Band – 1998 – Heft 1, pp. 115-143, in particolare p. 115. 101ASF, Mediceo del Principato (d’ora in poi MdP), filza 1176, inserto n. 3, c. 38, Cristiano Pagni a Pierfrancesco Riccio il 31 marzo 1550 da Pisa. 102ASF, MdP, filza 397, c. 15 Pierfrancesco Riccio a Cristiano Pagni il 1 aprile 1550 da Firenze. 103ASF, MdP, filza 397, cc. 111-112 da Pierfrancesco Riccio a Cristiano Pagni il 5 Aprile 1550.

18

Page 19: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Libreria di S. Lorenzo, di Francesco Giambullari, è a punto a mezzo, per V. S. si degnerà ordinare[…]”104 Il 9 aprile poi il Portio invia al duca una lettera che dà notizia del riscontro compiuto sull’indice della Laurenziana lamentando l’assenza nella lista del Ridolfi di molti codici e libri che il cardinale avrebbe dovuto restituire alla biblioteca medicea105. Un’altra traccia dell’incarico svolto del Giambullari risale al 1552 e riguarda la conservazione dei libri della Laurenziana, messi a repentaglio da roditori e polvere, che destano la preoccupazione del capitolo laurenziano e le conseguenti contromisure indicate nel già citato libro dei partiti: “Mercoledì a dì 13 di settembre 1552…avuta consideratione, che i libri della nostra mobilissima Libreria di San Lorenzo, anchorache in ogni tempo sieno stati benissimo custoditi, restarono alquanto offesi da sorci et simili animaletti, per salvezza di essi libri si vinse un partito con tutte fave nere che il reverendo Messer Pierfranc. Giambullari nostro Canonico et custode di detti libri, a sua elettione pigliassi un Chierico habile che dua volte, o una almeno ogni mese rivedessi et spolverassi detti libri, et al prefato Chierico per sua mercede fu dal Capitolo…lire dodici l’anno cioè soldi venti il mese.”106

In questi primi anni dopo il 1550 si registra la richiesta del Borghini concernente le opere di Origene107 a cui il Giambullari risponde: “Origenis de omnibus sedibus veterorum Philosophorum Liber collatus ex opibus Origenis, qui vocatur philocalia. Non ci abbiamo altre cose di Origene che le due segnate di sopra. Ne vi sia meraviglia se avete in fantasia altri titoli, il non ritrovarceli: perché questo è difetto dello indice vecchio, che in moltissimi luoghi si trova errato ne titoli. Habbiamolo con somma diligentia, et veduto minutissimamente ogni libro a carta a carta: et …i titoli falsi, ridotto il tutto al vero esser suo. Et come vi dico, di Origene tra greci et non ci abbiamo altro: et questo potrete vedere a vostra comodità in camera mia: ma volendo cavargli di qui vi bisogna la poliza di mano di Messer Lelio. Sempre al piacer vostro. Di S. Lorenzo il 24 di novembre 1551. 2. Accademico: le lezioni dantesche Queste notazioni biografiche già sufficienti a testimoniare il legame tra Pierfrancesco Giambullari e l’ambiente mediceo, ne costituiscono peraltro soltanto un aspetto. Il trascorrere dell’esistenza di Pierfrancesco Giambullari all’interno dell’entourage mediceo infatti risulta evidente anche in relazione alla sua attività di letterato e di membro dell’Accademia fiorentina. In questa direzione la prima scrittura rilevante del Giambullari, al di là delle sue composizioni in versi non facilmente databili ma in gran parte limitate al periodo giovanile108,

104Ivi, carta 111. 105ASF, MdP, filza 397, cc. 172-174 Portio a Cosimo da Livorno 9 Aprile 1550, riportata quasi integralmente in R. Ridolfi, La biblioteca, cit., e alla quale rinviamo sul testo e sul senso della lettera nella vicenda dei libri del cardinale, in particolare vedi pp. 185 e 190-193. 106Cod. 2299, cit., passo riportato a p. 58. 107Carte strozziane, classe XXV, 551, Carte e memorie varie di Vincenzo Borghini si trovano in BNF a p. 45: “io vorrei da v. s. un singular piacer, che la si degnassi per un poco mente in su l’indice dei libri greci Sacri, delle opere di Origine sono costì nella biblioteca: che me ne dessi un poco d’avviso che mi ricordo avervi letto sopra S. Pagolo…”

19

Page 20: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

è il celebrativo resoconto dei preparativi per le nozze di Cosimo I con Eleonora figlia del viceré di Toledo109, corredato anche dalle stanze e dai madrigali di Giambattista Gelli110 del 1539. Questo scritto d’occasione suggella un evento essenziale per la sopravvivenza di Firenze come entità politica autonoma. Il matrimonio, infatti, preceduto dall’assegnazione imperiale del titolo ducale a Cosimo esclude definitivamente la trasformazione di Firenze in un governatorato spagnolo, anche se l’occupazione imperiale delle fortezze di Firenze e Livorno durata fino all'estate del 1543 limita fortemente l’indipendenza del potere ducale111. Più indicativo della linea medicea del nostro appare il successivo ruolo svolto nell’ambito della trasformazione del sodalizio privato degli Umidi in Accademia fiorentina, istituzione di stato, vera e propria emanazione del potere cosiminiano, funzionale al suo rafforzamento ed all’attuazione delle sue finalità, ampiamente illustrato dagli ormai classici studi di Michel Plaisance112. L’ingresso del Giambullari infatti, cooptato nel sodalizio degli Umidi (sorto il 1 novembre 1540 in una riunione a casa di Giovanni Norchiati), insieme al suo amico anche lui mediceo Cosimo Bartoli il 25 dicembre, segna infatti l’inizio di quello che sarebbe stato un vero e proprio stravolgimento del gruppo raccoltosi intorno alla carismatica figura del Lasca, sotto il patronato di Giovanni Mazzuoli. In realtà, gli Umidi113, accolgono con favore l'ingresso dei due arroti, sia in vista di una facilitazione dei rapporti con il potere ducale114, sia per il valore aggiunto che le loro competenze linguistiche possono apportare allo sviluppo della lingua. Competenze peraltro eccentriche quelle dei due arroti rispetto alla maggioranza degli Umidi, si rivelano più vicine soltanto agli interessi del già menzionato Giovanni Norchiati, (soprannominato il “lacrimoso”) che predilige le problematiche connesse al vocabolario della lingua volgare rispetto alla poesia ed alle cognizioni euclidee.115 Giambullari e Bartoli, d’altra

108Ivi, a questo proposito, cfr. pp. 34-35 in cui il Valacca dissente, sia dal Gotti, sia dal Moreni sulla limitazione del periodo di composizione delle rime alla gioventù e ipotizza il proseguimento di tale attività fino al 1544. Della produzione in versi del Giambullari verranno pubblicati postumi i sei canti carnascialeschi nella raccolta: Tutti i trionfi, carri, mascherate [sic] o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del magnifico Lorenzo vecchio de Medici…infino a questo anno presente 1559, Firenze, L. Torrentino, 1559, della quale il “Lasca” (Anton Francesco Grazzini) sarà il curatore. 109Apparato et feste nelle nozze dello illustrissimo Signor Duca di Firenze et della Duchessa sua Consorte, con le sue Stanze, Madrial, Commedia et intermedii in quella recitati, Impressa in Fiorenza per Benedetto Giunta 1539, sul quale cfr. Valacca, La vita e le opere, cit., pp. 41-46 e G. Cipriani, Il mito etrusco nel rinascimento fiorentino, Firenze, Olschki, 1980, 75-79; inoltre su Eleonora cfr. la relativa voce Eleonora de Toledo di V. Arrighi, in DBI, vol. XLII, pp. 437-441 . 110Sul quale rinviamo preliminarmente a A. L. De Gaetano, Giambattista Gelli and the Florentine Academy: the Rebellion against Latin, 1976, Firenze, olschki, in particolare pp. 37-39, inoltre cfr. G. Cipriani, Il mito etrusco, cit., in particolare pp. 78-80 e Pierfrancesco Giambullari. Nota introduttiva, cit., pp. 830-831. 111In proposito A. D’Addario, Alle origini dello Stato moderno in Italia, cit., pp. 185-219, Giorgio Spini, Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo, Firenze, Vallecchi, 1980 (prima ediz., Firenze, Vallecchi 1945), R. Von Albertini, Firenze dalla Repubblica al Principato, cit., pp. e M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997, pp. 295-296. 112Cfr. R. Albertini, Firenze dalla Repubblica al Principato, cit., pp. 201-305, per tutto quello che concerne però l’Accademia fiorentina cfr. soprattutto M. Plaisance, Une première affirmation, cit., e Id., Culture et politique à Florence de 1542 a 1551: Lasca et les Humidi aux prises avec l'Académie Florentine, in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l'époque de la Renaissance, vol. II, Université de la Sorbonne nouvelle, Paris 1974, pp. 149-242, entrambi ora in Id., L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici, Vecchiarelli editore, Roma, 2004, rispettivamente alle pp. 29-122 e 123-234. 113Ivi, riguardo alla nascita e alle caratteristiche dell'Accademia degli Umidi, alle sue peculiarità ed ai suoi legami con l’Accademia degli Infiammati e alle relazioni intercorrenti tra alcuni suoi esponenti e Benedetto Varchi cfr. M. Plaisance, Une primière affirmation, cit., pp. 45-46 e 49, inoltre cfr. P. Simoncelli, La lingua di Adamo. Guillaume Postel tra accademici e fuoriusciti fiorentini, Firenze, Olschki, 1984, p. 47, in particolare nota 88; M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., pp. 167-169, Ann E. Moyer, Textualizing Florence: Florentine Studies in the Age of Cosimo I, University of Pennsylvania, 2003, pp. 1-24, in particolare pp. 2-3. 114Cfr. M. Firpo, Gli affreschi, cit., p. 169. 115D. Moreni, Continuazione, cit., cfr. tomo II, pp. 153-154 sulla stima del Norchiati verso il Giambullari il testo della lettera dedicatoria dell'11 novembre 1538 del suo Trattato de' diphtonghi toscani del 1539, ma

20

Page 21: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

parte, come da ultimo ha sottolineato il D’Alessandro, pongono lo sviluppo del volgare al servizio della divulgazione di un sapere enciclopedico in grado di superare gli steccati imposti dal latino e capace di concedere ampio spazio e rilievo alle scienze tecniche e meccaniche, in evidente discontinuità con la priorità attribuita dagli Umidi alla poesia. I due arroti si muovono in base alle esigenze di consenso e legittimazione dello stato cosimiano e di efficienza del suo apparato tecnocratico, in linea con la profonda trasformazione in atto della figura del letterato nella nuova condizione storico-politica fiorentina e italiana e della funzione del sapere strettamente connessa alle nuove possibilità della sua divulgazione attraverso lo sviluppo della stampa116. Istanze che si affermano con l’ingresso tra 15 e 20 gennaio di molti filomedicei e la seguente riforma dell’11 febbraio 1542, compiuta dietro la regia del potere ducale, che costituisce formalmente l’Accademia fiorentina. Riforma nella quale per la verità il Plaisance sottolinea maggiormente il contributo preparatorio apportato da Cosimo Bartoli, rispetto al nostro, anche se Salvatore Lo Re in un recente saggio è tornato sul punto evidenziando l’intervento fondamentale fornito in fatto di riforme interne da un altro personaggio, anche lui strettamente legato al Giambullari, Carlo Lenzoni117. Tuttavia, l’egemonizzazione da parte ducale dell’Accademia vive fasi successive e si produce secondo dinamiche molteplici. Indubbiamente Giambullari, Lenzoni, Bartoli e Giambattista Gelli recitano in questa direzione un ruolo non trascurabile, che va però considerato secondo le proprie peculiarità e contraddizioni e comunque inquadrato rispetto alle istanze cosimiane con le quali, non necessariamente e in tutti i frangenti, è destinata a coincidere. Certamente il ruolo non secondario per l’acquisizione del pieno controllo dell’istituzione da parte ducale svolto dal gruppo del Giambullari nei primi anni di vita dell’Accademia è testimoniato dalla vittoriosa contrapposizione letteraria ed accademica sostenuta con gli Umidi coagulati attorno a Benedetto Varchi118, tornato dall’esilio nel 1543, che si conclude con la riforma del 4 marzo 1546 che l’anno seguente provoca l’espulsione degli Umidi contrari all’indirizzo mediceo e favorisce l’elezione al consolato del Giambullari. Un conflitto (peraltro condito anche dalle accuse del Lenzoni al Varchi e l’arresto di quest’ultimo nel 1545 letterario) letterario che propone evidenti divaricazioni sul piano ortografico e linguistico, dalle chiare implicazioni politiche. Giambullari, infatti, autore insieme a Cosimo Bartoli delle criticate Regole per la pronunzia fiorentina pubblicate nel 1544 sotto lo pseudonimo di Neri Dortelata119, comincia durante il consolato di Benedetto Varchi nell’estate del 1545 il trattatello linguistico del Gello di impostazione chiaramente antibembesca. Nel suo scritto il Giambullari presenta le tesi aramaico-etrusche sulla derivazione del toscano dal caldaico e sulla fondazione di Firenze da parte di Ercole Libio unificatore di tutta la Toscana, per sostenere la politica espansionistica a livello regionale di

soprattutto sugli interessi letterari del Norchiati cfr. M. Plaisance, Une première affirmation, cit., pp. 77-79 e 83 e Claudia Di Filippo Bareggi, In nota alla politica culturale di Cosimo I: l’Accademia fiorentina in “Quaderni Storici”, 1973 maggio-agosto, n. 23, pp. 527-574, in particolare pp. 531-532 e 536; cfr. inoltre C. Marconcini, L’Accademia della Crusca dalle origini alla prima edizione del vocabolario (1612), Pisa, tipografia Valenti, 1910, pp. 32-33. Cfr. inoltre sul Norchiati Pierfrancesco Giambullari. Nota introduttiva, cit., p. 832. 116Alessandro d’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina: note alle lezioni su Dante di Pierfrancesco Giambullari in “Medioevo e Rinascimento”, ottobre 2002, pp. 217-240, in particolare pp. 218-221; sulle profonde trasformazioni che coinvolgono gli intellettuali italiani nel XVI secolo cfr. anche G. Mazzacurati, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977, pp. 225-288, in particolare sull’Accademia Fiorentina pp. 227-228 e 232, 249-251 e 273. 117Vedi M. Plaisance, Une Première affirmation, cit., pp. 79-89 e Salvatore Lo Re, La Vita di Numa Pompilio di Ugolino Martelli. Tensioni e consenso nell’Accademia fiorentina (1542-1545), in “Bruniana e Campanelliana”, 2003, pp. 59-72, in particolare vedi pp. 62-63. 118Sul quale rinviamo in primo luogo a S. Lo Re, Biografie e biografi di Benedetto Varchi, in “Archivio Storico Italiano”, anno CLVI, 1998, disp. IV, pp.671-736. 119M. Plaisance, Culture et politique, cit., pp. 137 e 145 per le critiche del Varchi, cfr. inoltre Ilaria Bonomi, Introduzione a Regole della lingua fiorentina, cit., pp. XVII-XVIII, e Ann E. Moyer, Textualizing Florence, cit., p. 7-9.

21

Page 22: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Cosimo, novello Ercole. Il Gello riprende e approfondisce le tesi formulate all’inizio del 1544 dal Gelli, verso il quale il Giambullari riconosce già nel titolo del suo scritto il suo debito, nel manoscritto Dell’Origine di Firenze che sviluppa quanto già enucleato nell’ Egloga per il felicissimo giorno di 9 gennaio nel quale lo eccellentissimo Signor Cosimo fu fatto Duca di Firenze del 1542120. In alternativa all’immagine aramaica di conquistatore, Ugolino Martelli121 altro ex infiammato, propone per il duca di Firenze, nello stesso 1545 nell’inedito sulla Vita di Numa Pompilio il modello del pacificatore, del moderato e giusto re romano122. Prospettive contrastanti che Cosimo nonostante accolga favorevolmente il Gello visionandolo durante la sua stesura e facendolo pubblicare nel 1546 dal primo stampatore ducale, Anton Francesco Doni, cerca di far convivere attraverso un’accorta politica di pubblicazioni e dediche per alimentare la propria immagine di giusto principe, protettore dei letterati, amante delle arti123. Senza dimenticare il momento di massima conflittualità vissuto nel biennio 45-46 con Paolo III costante minaccia al consolidamento dello stato fiorentino, Cosimo attua una politica volta ad utilizzare pienamente in chiave di consenso e rafforzamento dello stato il maggior numero possibile di intellettuali, pur all’interno della progressiva normalizzazione dell’Accademia. Si muove pertanto in modo spregiudicato, variabile, multidirezionale124, come dimostra nel 1549 la riedizione delle Prose del Bembo precedute da una dedica di Varchi, che già da due anni, stipendiato da Cosimo scrive la Storia fiorentina, e contemporaneamente l’uscita della seconda edizione del Gello del Giambullari sempre ad opera del nuovo stampatore ducale Lorenzo Torrentino125. Le posizioni linguistiche aramaiche del Giambullari, dopo l’allineamento accademico perdono rapidamente terreno presso la corte medicea126, senza contare che già dopo il trattatello manoscritto del 1544 il Gelli scioglie il loro tandem distanziandosi in maniera crescente dalle fantasiose tesi aramaiche fino a sconfessarle pienamente nel Dialogo o Ragionamento infra M. Cosimo Bartoli et Giovan Battista Gelli sopra le difficoltà del metter in Regole la nostra lingua. Quest’opera premessa al De la lingua che si parla e scrive in

120Sui conflitti tra medicei ed aramei nel periodo 1542-1547 vedi M. Plaisance, Culture et politique, cit., pp. 141-189 Cfr. inoltre P. Simoncelli, Evangelismo italiano del cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo politico, Roma, Istituto storico per l'età moderna e contemporanea, 1979, pp. 351-356 e in particolare sulle tesi aramee id., La lingua di Adamo, cit., pp. 18-26 e 34-40 , e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 171-174 e 268-284. 121Sul quale vedi V. Bramanti, Ritratto di Ugolino Martelli (1519-1592), “Schede umanistiche”, n. 2 (1999), pp. 5-53. 122Rinviamo a S. Lo Re, La Vita di Numa Pompilio, cit., in particolare pp. 65-71. 123Sulla supervisione ducale del Gello vedi M. Plaisance, Culture et politique, cit., p. 160. Sull’attività di Anton Francesco Doni come stampatore mediceo cfr. id., Le retour à Florence de Doni: d’Alexandre à Còme in appendice al seminario “Una soma di libri”. L’edizione delle opere di Anton Francesco Doni (Pisa, Facoltà di lettere, ottobre 2002, curato da Gabriella Albanese, ora in L’Accademia e il suo principe, cit., pp. 405-417. Sull’articolata politica culturale di Cosimo cfr. ancora di M. Plaisance, Les Dédicaces à Còme Ier: 1546-1550 in Charles Adelin Fiorato, Jean-Claude Margolin, éds., L’ècrivain face à son public en France et en Italie à la Renaissance, Paris, Vrin, 1989, pp. 173-187, ora in L’Accademia e il suo principe, cit., pp. 235-255 e Id., Còme Ier ou le prince idéal dans le dédicaces et les traités des annés 1548-1552, in Jean Dufournet, Adelin Fiorato, Augustin Redondo, Le pouvoir monarchique et ses supports idéologiques : XIVème-XVIIème siècles, Publications de la Sorbonne Nouvelle, 1990, pp. 53-63, ora ivi pp. 257-269. 124Ann E. Moyer, Textualing Florence, cit., pp. 1-2. 125In proposito rinviamo a M. Plaisance, Les Dédicaces à Còme Ier, cit., pp. 249-251 e Ann E. Moyer, Textualing Florence, cit., p. 5. Inoltre sul Torrentino pseudonimo per Laurens Van der Bleeck rinviamo a A. Ricci, Lorenzo Torrentino and the Cultural Programme of Cosimo I de’ Medici in AA. VV., The Cultural Politics of Duke Cosimo I de’ Medici, edited by Konrad Eisenbichler, Aldershot, Ashgate, 2001, pp. 103-119, cfr. inoltre G. Bertoli, Contributo alla biografia di Lorenzo Torrentino stampatore ducale a Firenze (1547-1563) in AA. VV., Studi in onore di Arnaldo d’Addario, a cura di Luigi Borgia, Francesco de Luca, Paolo Viti, Raffaella Maria Zaccaria, Lecce, Conte editore, 1995, IV voll., II vol., pp. 657-664. 126M. Plaisance, Còme Ier ou le prince idéal, cit., p. 259 e nota n. 7 e M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., p. 88 e nota n. 69.

22

Page 23: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Firenze del Giambullari composta nel 1548 ma pubblicata nel 1552127, infatti contesta esplicitamente le posizioni linguistiche del canonico laurenziano all’indomani del fallimento delle due commissioni istituite in seno all’Accademia tra il 1550 ed il 1551 per stabilire le regole della lingua fiorentina. Del resto, lo stesso Giambullari, già prima di questa sconfitta accademica delle tesi aramaiche, denota un’evoluzione delle sue posizioni nel De la lingua e nella lezione dantesca tenuta nel 1548, ben diversa dalle precedenti caratterizzate da un impianto eminentemente neoplatonico-ermetico, mostra alcuni segnali di avvicinamento all’aristotelismo128. Tuttavia, la componente aramaica supporta ancora le finalità politico-culturali cosimiane nell’edizione torrentiniana delle Vite di Giorgio Vasari del 1550.129 È noto infatti il ruolo che il Giambullari insieme al Bartoli ed al Lenzoni e accanto a Vincenzo Borghini, svolge nell’ultima fase preparatoria della prima edizione di questo testo, la cui genesi peraltro è tutta interna all’ambiente farnesiano di Roma. In particolare, sia il canonico laurenziano, responsabile dell’operazione nel suo complesso quale tramite tra editore e autore, sia il Bartoli, offrono il contributo più significativo per inscrivere l’opera nel quadro del primato politico-culturale acquisito dalla Toscana grazie al principato cosimiano.130 L’influenza del gruppo aramaico si percepisce, sia nella divisione delle Vite strutturata originariamente secondo un criterio cronologico, in tre parti in base agli stili, sia nel proemio generale dell’opera chiaramente focalizzato sull’origine etrusca dell’arte e in gran parte composto dal Giambullari e dal Bartoli. Prospettiva sovrapposta e non perfettamente collimante con il fine principale manifestato dal Vasari, nel poscritto dell’opera composto con l’aiuto del Borghini, di raccontare le vite degli artisti piuttosto che di insegnare lo scrivere toscano nel poscritto dell’opera. Peraltro, proprio nel proemio generale fatta salva l’origine etrusca dell’arte, trapelano alcune differenze nei passaggi presumibilmente ascrivibili al Giambullari e al Bartoli. Quest’ultimo infatti manifesta un certo ondeggiamento sulle premesse caldaiche della fioritura artistica etrusco-toscana e comunque considera secondario il problema delle origini umane delle arti rispetto al ruolo preponderante attribuito in questo senso all’ispirazione divina diversamente dalle precise e doviziose coordinate storico-artistiche di tipo caldaico-etrusco fornite dal Giambullari. Comunque al di là di queste distinzioni, essi esercitano un’indubbia influenza anche nell’assunzione da parte delle Vite della prospettiva ciclica che individua nell’epoca moderna seguita all’antichità ed al MedioEvo una rinascita delle arti culminante nell’apoteosi michelangiolesca che coincide con l’affermazione politica del principato cosimiano.131 127Pierfrancesco Giambullari Fiorentino, de la lingua che si parla et scrive in Firenze. Et uno Dialogo di Giovan Batista Gelli sopra la difficoltà dello ordinare detta lingua, in Firenze, Con privilegio di Papa Iulio III, et Cosimo de Medici, Duca II di Fiorenza, Torrentino, 1552. 128P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 78-79. 129G. Vasari, Le Vite de più eccellenti pittori scultori e architettori, 1550, Fiorenza, Torrentino, testo della prima edizione riproposta insieme a quella giuntina del 1568 che può consultarsi in G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti scultori, pittori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di Rosanna Bettarini, commento secolare a cura di Paola Barocchi, Firenze, Sansoni editore, VIII voll., 1966-1987 Sul Vasari rinviamo a Roland Le Mollé, Giorgio Vasari. L’homme des Mèdicis, Grasset, Paris, 1995, in particolare sulle Vite pp. 91-141, sull’edizione torentiniana pp. 91-111 e sul contributo del Giambullari pp 104-105. 130T. Frangenberg, Bartoli, Giambullari and the Prefaces to Vasari’s Lives (1550), in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes” LXV, the Warburg Institute University of London, 2002, pp. 244-258, sulla responsabilità complessiva del Giambullari in particolare vedi pp. 247 (nota n. 23) e 257. Inoltre al riguardo cfr. l’intervento di P. Scapecchi, Una carta dell’esemplare riminese delle Vite del Vasari con correzioni di Giambullari. Nuove indicazioni e proposte per la torrentiniana, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes in Florenz”, numero cit., pp. 101-111 che, sulla base del ritrovamento fatto, ipotizza Giambullari essere stato in un primo momento il solo revisore di tutto il manoscritto vasariano sul quale in tipografia sarebbero in seguito intervenuti anche Vincenzo Borghini, Lenzoni, Bartoli e i correttori del Torrentino, al riguardo in particolare cfr. p. 103. 131Ivi per queste distinzioni tra il Bartoli ed il Giambullari e per il diverso approccio del Vasari vedi pp. 249-258; inoltre sull’origine etrusca delle arti nel Le Vite cfr. P. Simoncelli, Jacopo da Pontormo e Pierfrancesco

23

Page 24: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Michelangelo è il destinatario della dedica premessa alla Difesa della lingua fiorentina e di Dante iniziata dal Lenzoni in risposta alle critiche del Bembo e del Tomitano all’Alighieri132, e completata dal Giambullari per la morte del Lenzoni. In realtà però l’opera sarà pubblicata soltanto nel 1556 (quindi successivamente alla morte del Giambullari) a cura del Bartoli che vi manterrà comunque la dedica concordata originariamente dal Lenzoni e dal canonico laurenziano133. Dedica incentrata in chiave filomedicea sull’accostamento tra Michelangelo e Dante quali modelli inarrivabili nei campi artistico e letterario. Il Vasari puntualmente ne avrebbe riferito nella rielaborazione della vita di Michelangelo apparsa nell’edizione giuntina delle Vite del 1568 non menzionando però il nome del Giambullari, nonostante gli ampi meriti attribuiti al canonico laurenziano dal Bartoli nella dedica a Cosimo a proposito della preparazione dell’opera134. Al di là di questo, la Difesa registra il definitivo distacco del Giambullari dalle posizioni linguistiche aramaiche accompagnata dalla costante propensione dantesca in chiave antibembesca. È una caratteristica comune a tutto il gruppo vicino al canonico laurenziano135 che a prescindere dal diverso grado di adesione alle tesi aramaiche considera Dante quale fulcro inamovibile del programma di esaltazione del volgare fiorentino perseguito da Cosimo con la fondazione dell’Accademia fiorentina136. A livello teoretico infatti la preferenza dantesca tributata nel Convivio al volgare rispetto al latino legittima pienamente la sua valorizzazione quale lingua dotata di dignità letteraria. Sotto il profilo concreto Dante si pone attraverso la Divina Commedia, in antitesi ai pregiudizi bembeschi, quale modello linguistico di assoluta eccellenza ed emblema del sapere enciclopedico che Cosimo vuole diffondere a tutti i livelli sociali per rafforzare l’identità e l’efficienza del nuovo assetto politico toscano. Naturalmente l’opzione linguistica dantesca presenta anche degli immediati risvolti politici in chiave ghibellina e filo-imperiale nonché antiromana perfettamente in linea con le coordinate

Riccio. Due appunti, in “Critica Storica”, 17, 1980, pp. 331-348 in particolare p. 347 e id., Pontormo e la cultura fiorentina in “Archivio Storico italiano”, 1995, M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., p. 89; cfr. inoltre G. Cipriani, Il mito etrusco, cit., p. 94. 132In proposito rinviamo a G. Mazzacurati, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977, in particolare pp. 185-200; inoltre cfr. anche Michele Barbi, Dante nel Cinquecento in “Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, classe di filosofia e filologia, 1890, vol. VII, pp. 1-407, in particolare pp. 26-29. 133C. Lenzoni, In difesa della lingua fiorentina e di Dante, Firenze, Torrentino, 1557. 134Ivi, il Bartoli a p. 3 scrive: “percioche se bene insieme con M. Pierfrancesco m’ero dopo la morte di Carlo, circa quelli non poco affaticato, avevo nondimeno lasciato a lui tutto il peso, et il carico di mandarli fuora” e G. Vasari, Le Vite, cit., vol. VI, passo in questione a pp. 91-92 in cui leggiamo: “si risolvè fuggirsi di Roma, e segretamente andò Michelangelo nelle montagne di Spulato; dove egli visitando certi luoghi di romitori, nel qual tempo scrivendoli il Vasari e mandandogli una operetta che Carlo Lenzoni cittadino fiorentino alla morte sua aveva lasciata a Messer Cosimo Bartoli, che dovessi farla stampare e dirizzare a Michelagnolo, finita che ella fu, in què di la mandò il Vasari a Michelagnolo, che, ricevuta rispose così: “Messer Giorgio amico caro. Io ho ricevuto il libretto di Messer Cosimo che voi mi mandate, ed in questa sarà una di ringraziamento; pregovi che gliene diate, et a quella mi raccomando. […]De’ 18 di settembre 1556”.” 135Ivi, infatti nella prima parte composta dal Lenzoni leggiamo a p. 10 in un confronto tra Michelangelo e Raffaello svolto parallelamente a quello instaurato tra Petrarca e Dante “L’uno e l’altro, è maestro perfetto: e sono di così diversa maniera come il Petrarca e Dante. E così come il Petrarca imparò da Dante e non lo superò, se bene fece divinamente; così Rafaello non ha superato M., se bene paion fatte in Paradiso le sue pitture.” Evidenziato in Giorgio Vasari, La vita di Michelangelo. Nelle redazioni del 1550 e del 1568, curata e commentata da Paola Barocchi, 5 voll., Milano-Napoli, Ricciardi, 1962, vol. IV, pp. 1985-1986 in cui la curatrice propone anche un passo delle lezioni dantesche del Gelli che celebra Dante e Michelangelo (per il quale si rinvia a G. B. Gelli, Letture edite e inedite sopra la Commedia di Dante, a cura di C. Negroni, Firenze, fratelli Bocca, 1887, II voll, in particolare vedi vol. I, p. 330) e la dedica rivolta ne La Difesa, cit., pp. 5-6 dal Giambullari a Michelangelo, a testimoniare la compattezza del gruppo sul punto in questione. 136In proposito cfr. l’esplicito riferimento alla preparazione della Difesa in funzione antibembesca formulato dal Gelli nel ragionamento quarto dei Capricci del bottaio, in G. Gelli, Opere, a cura di Delmo Maestri, Torino, Utet, 1976, p. 187. Lenzoni invece richiama nella Difesa, cit., i Capricci a p. 22.

24

Page 25: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

della politica estera di Cosimo legato a Carlo V e schierato su posizioni nettamente antifarnesiane137. In questa direzione non va trascurata la presenza nelle lezioni accademiche dantesche degli anni Quaranta di numerosi e cospicui prestiti letterari tratti dal Beneficio di Cristo, per quanto filtrati da prudenti formule nicodemitiche come documentato da Paolo Simoncelli138. Il Beneficio sintesi dell’insegnamento e del magistero di Juan de Valdès, infatti, manifesto programmatico dell’ala degli “Spirituali” capeggiata da Reginald Pole e Giovanni Morone che vogliono raggiungere un accordo dottrinale con i protestanti sarebbe stato puntualmente e duramente sanzionato dal Concilio di Trento139. Testo, tuttavia, a lungo, considerato dalla corte imperiale, che ancora nei conclavi del 1549 e 1555 sostiene la candidatura alla tiara pontificia dei massimi esponenti del partito valdesiano, una plausibile opzione per facilitare l’accordo politico con i principi tedeschi tanto agognato da Carlo V specialmente nella prima metà degli anni Quaranta. Linea conciliativa, avversata da Paolo III, che non casualmente trova notevole eco a Firenze nell’entourage del duca e tra i membri dell’accademia, indifferentemente dall’appartenenza o dalla vicinanza al gruppo degli aramei o degli Umidi e a prescindere dalle dispute accademiche in corso. Cosimo infatti, come documentato da Massimo Firpo, non appare semplicemente tollerante verso le diffuse suggestioni valdesiane di corte ed accademia ma svolge un ruolo direttivo nella formulazione di queste istanze culturali filo-imperiali e antiromane, commissionando gli affreschi di San Lorenzo negli anni 1545-46 al Pontormo, secondo un programma iconografico approntato dal Varchi sulla base del Catechismo del Valdès140. Suggestioni a cui certamente non rimangono estranei gli aramei, nei loro interventi accademici e contributi letterari, chiaramente connotati anche da una forte componente platonica ed ermetico-cabalistica141. La quale d’altronde trova probabilmente un terreno fertile

137Mary Alexandra Watt, The Reception of Dante in the Time of Cosimo I in The Cultural Politics, cit., pp. 121-134, in particolare pp. 125-128; inoltre in generale sulla recezione di Dante nel Cinquecento cfr. A. Vallone, Aspetti dell’esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce, Milella, 1966 e soprattutto G. Mazzacurati, Dante nell’Accademia fiorentina (1540-1560) (tra esegesi umanistica e razionalismo critico), in “Filologia e Letteratura”, anno XIII, fasc. I, pp. 258-308; ivi inoltre cfr. S. Battaglia, Processo a Dante nel Cinquecento, pp. 1-23. Sullo sviluppo del volgare e sull’istanza enciclopedica cfr. inoltre anche M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., pp. 180-186. 138In proposito rinviamo a P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., in particolare ivi cap. VI, Il “beneficio di Cristo” a Firenze: un’ipotesi su Riforma e nicodemismo politico nell’età di Cosimo I, pp. 330-420; cfr. inoltre M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 175-246. e G. Fragnito, Fattore religioso e consolidamento del principato mediceo, in “Rivista di Storia religiosa”, vol. CXI, fascicolo I, gennaio 1999, pp. 235-250, in particolare pp. 235-247. 139Al riguardo rinviamo a Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M.Firpo-D. Marcatto, VI voll., Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1981-1989, in particolare vol. II, Il processo d’accusa e relativa bibliografia, 1984; cfr. inoltre anche M. Firpo, Il Beneficio di Cristo e il concilio di Trento (1542-1546), e la relativa bibliografia in “Rivista di storia e letteratura religiosa”, 1995, pp. 45-71. 140M. Firpo, Gli affreschi, cit., in particolare pp. 311-358; cfr. inoltre G. Fragnito, Fattore religioso e consolidamento del principato mediceo, in “Rivista di Storia religiosa”, vol. CXI, fascicolo I, gennaio 1999, pp. 235-250, in particolare pp. 235-247. 141P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., pp. 364-375 e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 179-192. Inoltre, vedi anche quello che il Gelli dice nel testo di una lezione dantesca sul quinto canto dell’Inferno, svolta proprio dal Gelli nel 1556 in veste di lettore ufficiale dell’Accademia per la materia dantesca. In questa lezione, infatti, il Gelli utilizza il versetto 7 del Salmo L del profeta David “ecco in peccato oimè concetto fui, e mi accese al peccar la madre mia” aggiungendo “che così tradusse il nostro diligentissimo Lenzoni, seguitando la traduzione di alcuni moderni, la qual dove l’antica dice: “Et in peccatis concepit me mater mea”, ha “Et mater mea concepit me pronum ad malum, vel inclinatum ad peccandum“ che così dicono che dice la verità ebrea.” Riferendosi alla traduzione del Brucioli per il riferimento G. Gelli, Opere, cit., p. 241 e nota 49.

25

Page 26: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

a corte vista l’impostazione culturale di Eleonora di Toledo educata da Benvenida Abrabanel, imparentata con Isacco e Leone Ebreo, come segnalato da Gigliola Fragnito142. Da parte sua il Giambullari nella seconda metà del 1542 durante il consolato di Bernardo Segni espone un commento al XXVI canto del Paradiso dantesco tenuto in Accademia incentrato De la carità143, che presenta tracce del Beneficio di Cristo ed alcuni echi della tradizione begarda144. Inoltre, nella successiva lezione Degli influssi celesti svolge un’argomentazione che complessivamente nega il libero arbitrio, pur attenuando il senso delle sue affermazioni con una formula prudenziale quando afferma: “tutto quello che dalla celeste virtù è mosso a essere, non viene a caso, ma guidato e indirizzato dalla provvidenza di Dio, a quel fine stesso dove a lei piace che si conduca quasi freccia che, mediante l’arco che la pigne direttamente, corre al bersaglio dove primieramente l’indirizzò la volontà di chi la tirava. Sopra queste poche parole, volendo io ragionar con voi, lasciando a aparte la difficil e forse dannosa disputa della predestinazione e del libero arbitrio, come cosa che a’ nostri maetri teologi interamente si appartenga, dirò quanto mi sia possibile, quale, donde e perché sia la virtù ne’ corpi celesti, in qual maniera gli volga Dio, e in che modo egli influisca per questi, sapientissimamente governando tutto quello che ci offerisce e alla vista e all’intelletto. ”145 Procedimento peraltro non unico negli interventi degli accademici e utilizzato anche da altri con finalità evidentemente prudenziali e cautelative146. Il sostanziale anche se cauto sbilanciamento in favore della predestinazione all’interno di questo commento è stato evidenziato dal D’Alessandro, che ha sottolineato a proposito di queste lezioni platoniche del Giambullari e più in generale degli altri aramei, la diffusa ripresa di fonti del neoplatonismo ermetico rinascimentale del calibro di Cornelio Agrippa e Francesco Giorgio Veneto147 le cui opere “erano già state gravemente sospettate di eresia dallo stesso Contarini, e che, negli anni successivi al Concilio di Trento, saranno drasticamente espurgate dai Censori della Congregazione dell’Indice.”148 Non priva di interesse in questa direzione appare anche la lezione dantesca del 1541 volta a definire l’esatta collocazione spaziale e la descrizione del Purgatorio dantesco149 in cui oltre a utilizzare tra le sue fonti il geografo umanista erasmiano di fede protestante Jacob Ziegler150 a supporto dell’esistenza dei poli e dell’abitabilità della regione scandinava sconosciuta agli

142G. Fragnito, Arte e religione, cit., pp. 244-245. 143Della carità in Lettioni d’accademici fiorentini sopra Dante, Firenze, Doni, 1547, pp. 53g3-68i2, (inoltre ivi alle pp. 82L1-96m4 Del sito del Purgatorio), poi in Lezioni di M. Pierfrancesco Giambullari, lette nella Accademia fiorentina, Firenze, Torrentino, 1551, pp. 42-84, ora in P. Giambullari, Lezioni di messer Pier Francesco Giambullari aggiuntovi l’origine della lingua fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Milano, per Giovanni Silvestri, 1827, pp. 37-72. 144P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., pp. 373-375; cfr. inoltre A. D’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina, cit., p. 233. 145Degl’influssi celesti. Terza lezione, nel consolato di Carlo Lenzoni in P. Giambullari, Lezioni, cit., pp. 73-105, in particolare passo menzionato alla p. 76. 146Il Varchi ad esempio, proprio in un commento dantesco tenuto durante il suo consolato (aprile-settembre 1545) a proposito del tema della predestinazione dice di rimettersi al pronunciamento teologi all’interno di un’argomentazione sviluppata però in tutt’altra direzione come documentato in P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., pp. 341-344, in particolare passo in questione a p. 343. 147Francisci Georgici Veneti minoritanae familiae De Harmonia mundi totius cantica tria, Venetiis in edibus Bernardini De Vitalibus calchographi an. DMXXV, mense Septembre. 148A. D’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina, cit., in particolare pp. 221, 230 e passo riportato a p. 240. 149Del sito del Purgatorio in Lezioni, cit., pp. 3-33. 150Ivi, pp. 12-13 in proposito vedi infra capitolo II, par. II, inoltre sull’orientamento filo-erasmiano e sull’orientamento protestante di Ziegler rinviamo a Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino, Bollati-Boringhieri, 1987, in particolare pp. 57-58 e 96; per la rilevanza dello Ziegler quale fonte del Giambullari vedi infra cap. III, par. I.

26

Page 27: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

antichi151, appare quantomeno curiosa l’allusione alle divergenze presenti tra i teologi a proposito del purgatorio delle anime dei defunti, cui peraltro non segue da parte dell’autore una presa di posizione univoca152: “Abitasi adunque la terra per tutto, e per tutto fa lume il sole. Il che ben dovette conoscere il Poeta nostro, avvegnachè per non contrapporsi all’opinione comune dell’età sua, non avendo come noi altri la esperienza in favore, non ardì forse manifestarlo con altro modo che col fingere in quell’altro emisfero il suo Purgatorio. Nel quale allegoricamente insegna egli mondarsi da’ vizi alle anime de’ viventi e non a quelle de’ morti; del Purgatorio delle quali tanto è ancora disparere tra’ sacri Dottori, che mal si puote sin qui assegnargli un luogo certo e determinato.”153 Non meno significativi, oltre alle lezioni, appaiano alcuni passaggi di altri contributi letterari su Dante, come il commento Del sito, forme e misure dello Inferno pubblicato dal Giambullari insieme al già menzionato Regole per la pronunzia fiorentina sotto lo pseudonimo di Neri Dortelata154. In questo trattatello infatti, i motivi della persistente forza della tradizione familiare ghibellina155 si sposano con le esigenze di legittimazione del potere cosimiano. La politica culturale filo-dantesca sostenuta da Cosimo si spiega anche con l’esigenza di giustificare il proprio potere di stampo assolutistico, sulla base delle opere del grande fiorentino dal De Monarchia alla Commedia, giovandosi in questa direzione anche della tesi del buon tempo antico di Firenze in opposizione alla storiografia repubblicana di stampo guelfo.156 Giambullari indubbiamente sostiene la tesi del buon tempo antico come testimonia l’identificazione di Firenze con la selva oscura da cui prende le mosse il viaggio dantesco nell’Inferno. Il canonico laurenziano individua nella selva oscura una metafora della decadenza della città provocata dalle contrapposizioni interne tra guelfi e ghibellini e dal prevalere dei primi. Significativo in questo senso è il racconto della strage di fiorentini provocata dal podestà Fulcieri da Calboli157, di parte guelfa, nel 1302, che il Giambullari riferisce, sulla scorta dantesca, dopo aver illustrato il significato sotteso all’immagine della selva: “La selva nella quale si ritruova Dante smarrito, non è altro che Firenze, Patria sua, la quale metaforicamente chiama egli selva, non di Alberi, ma di persone che senza uso alcuno di ragione, o di intelletto vivono solamente come le Piante. Il che acciochè duro non paia, ricordiamoci che nel canto IIII dello Inferno, ragionando egli de la moltitudine delle Anime, che nel Limbo riscontravano, dice Non lasciavam’ lo andar perch’e’ dicessi, Ma passavam’ la selva tutta via, La selva dico di spiriti spessi

151Ivi, pp. 12-13. 152Cfr. al riguardo A. D’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina, cit., pp. 229-230. 153Ivi, passo a p. 16. 154Pierfrancesco Giambullari accademico fior. De’l sito, Forma, et Misure, dello Inferno di Dante, in Firenze per Neri Dortelata, MDXLIIII. 155Vedi supra: I par. del capitolo. 156Mary Alexandra Watt, The Reception of Dante in the Time of Cosimo I in The Cultural Politics, cit., pp. 128-131; inoltre sulla tesi del buon tempo antico rinviamo a Guido Pampaloni, Gli Alighieri, Dante e il buon tempo antico. (Il canto XVI dell’Inferno) in AA. VV., Studi in onore di Arnaldo D’Addario, a cura di Luigi Borgia, Francesco De Luca, Paolo Viti, Raffaella Maria Zaccaria, Lecce, Conte editore, 1995, IV voll., nel III vol., pp. 437-453; cfr. infine Ch. T. Davis, Il buon tempo antico in “Florentine studies”, ed. N. Rubinstein, Londra, 1968, pp. 49-51. 157Cfr. la relativa voce Calcoli Fulcieri de di Augusto Vasina in Enciclopedia dantesca, cit., vol. I, pp. 761-762.

27

Page 28: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Et che nel XIIII, del Purgatorio dove si predice l’uccisione et Macello, che de’ Cittadini fiorentini fece poi Fulcreri da Càlboli, quando e fu podestà di Firenze, l’anno MCCCII, soggiungendo finalmente la vituperosa partita di esso Fulcreri da la nostra Città, dice Sanguinoso esce de la triste Selva, Lasciala tal, che di quivi a mill’anni Nello stato prima non si rinselva.[…]La onde non da altro luogo, ma da la Città di Firenze comincia il poeta questo viaggio… ”158 Il buon tempo antico, del resto, anche nella storia politica del suo casato appare irrimediabilmente concluso nei primi anni del XIV secolo, in particolare per l’esclusione dal diritto di accesso alle cariche politiche subito nel 1311 e per il successivo inconcludente assedio posto da Arrigo VII a Firenze159. Del resto rappresentare una Firenze trecentesca dilaniata dalle fazioni richiama evidentemente per contrasto, la nuova Firenze, finalmente pacificata da Cosimo I. Indizio dell’attualizzazione in chiave filocosimiana del commento, giunge oltre che dalla lettera dedicatoria al Duca dell’operetta160, anche dal passaggio che elenca le tipologie dei traditori descritte nell’Inferno dantesco in un crescendo di gravità che culmina in Bruto e Cassio considerati alla stregua di Lucifero in quanto tradiscono il corrispettivo di Gesù Cristo sulla terra, l’imperatore, secondo un’interpretazione che sovverte sul punto la prospettiva di Cristoforo Landino, solitamente molto accreditato e seguito dal nostro161: “Et se alcuno mi dicesse ora; che adunque sono quelle altre, Caina, Antenora, et Tolommea? Risponderei, che a me pare che il nostro poeta ponga questi nomi per denotare le quattro spezie del tradimento, con le quali drittamente si fa contro a l’obbligo impostoci dalla natura, di amare i Parenti, la Patria, quelli che ricevamo a la mensa nostra, et il nostro 158De’l Sito, cit., passo riportatano alle pp. 28b6-29b7; inoltre a proposito dei luoghi danteschi riferiti cfr. Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di Natalino Sapegno, Firenze, La Nuova Italia, 1993 (prima edizione 1955), III voll., in particolare vol. I, Inferno, pp. 5-6 e 46; inoltre vol. II, Purgatorio, pp. 154-155. 159Vedi supra par. I p. 3. 160De’l sito, pp. 3-4a2, in particolare a p. 4a2 leggiamo con evidente riferimento anche agli scontri in Accademia dove infatti il trattatello sulle Regole avrebbe provocato aspre critiche : “Priego dunque la E. V. Veriss. Fautrice di tutte le nobilissim. Scientie et Arti, come chiaramente ne ha dimostralo averle in tanti travagli del Mondo, ridotte nel tranquillo et sicur. Porto del suo celebratiss. Studio di Pisa; et lo haver’ dato ricetto nello Onorato Grembo della sua Fiorentina Accademia ad ogni Musa desiderosa di parlare in questa Lingua i suoi bellissimi concetti, Che ella si degni qualunche egli si sia di accertarlo benignamente acciò che favorito da lei, vadìa fuori più sicuro da gli invidiosi morsi di coloro, che mai nulla faccendo, biasiman sempre: et al corrente animo mio si aggiunga il pungentissimo sperone di un tanto favore, a farmi più tosto dare in luce molti altri scritti sopra la Commedia di questo poeta; nella quale già sono molti anni che io mi affatico…” 161De’l sito, cit., a proposito di questa discrepanza, rinviamo a M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., che ricorda anche come il Landino non riconosca nel Veltro un personaggio imperiale ancora in contrasto con la prospettiva del Giambullari, pp. 248-249, ma a p. 200 sottolinea che l’esposizione scritta sull’esemplare aldino della Commedia del 1502 storica ed allegorica del Giambullari è tratta pressoché interamente dal commento del Landino. Al riguardo, del resto, basta ricordare il modo in cui il Giambullari all’inizio della lezione Del sito del Purgatorio, cit., alle pp. 4-5 elogi il commento del Landino capace di evidenziare la qualità di poeta teologo di Dante, nei seguenti termini: “che non poeta semplicemente, ma teologo eccellentissimo dai teologi stessi meritatamente possa esser detto; sì come ampiamente vi hanno mostrato tutti quegli elevati spiriti che sin qui l’hanno commentato. Tra’ quali, particolarmente Benvenuto da Imola, Francesco da Buti, e l’eccellente nostro Landino, oltre i diversi sensi allegorici, oltre le profonde speculazioni, oltre le altissime speculazioni, oltre le altissime contemplazioni che in tutto questo Poema ci hanno scoperto, vi ci hanno ancora dimostrato tanta filosofia, tanta dottrina…che ingratissimi certamente saremmo noi da esser tenuti se alle così oneste fatiche loro non ci riconoscessimo più che obbligati.” Del resto di provenienza laindiniana, oltre che ficiniana e polizianesca, è la definizione di Dante quale poeta teologo fatta propria nel Cinquecento da più parti, non solo dal Giambullari e dal Gelli, ma anche tra gli altri da Vincenzo Borghini; in proposito rinviamo a G. Mazzacurati, Dante nell’Accademia fiorentina, cit., pp. 272-275 e id., Conflitti di culture, cit., pp. 218-223. Inoltre, per un inquadramento generale della questione del poeta teologo, cfr. S. Battaglia, Introduzione alla teoria del poeta teologo, in “Cultura e scuola”, XIII-XIV (gennaio-giugno 1965), pp. 72-86 e id., Teoria del poeta teologo in Esemplarità e antagonismo nel pensiero di Dante, vol. II.

28

Page 29: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

proprio signore. La qual cosa chiaramente si dimostra ne’ nomi che a queste quattro spezie a posto lo autore. Imperochè nel primo luogo chiamato Caina, da Caino che uccise il fratello, pone solamente quelli che hanno tradito i parenti loro. Nel secondo detto Antenora per Antenore che tradì la terra sua, pone chi ha tradito o la patria o la parte sua. Nel terzo detto Tolomea da Tolomeo di Abobo che in tavola sua fece uccidere Simone Maccabeo che mangiava seco; pone chi sotto spezie di benefizio, o di servizio, ha ucciso tra i Cibi quelle persone che e’ fingeva di accarezzare. Nello ultimo detto Giudecca da Giuda che tradì Gesù Christo suo et nostro Signore pone egli nominatamente Lucifero et lui, che tradirono lo Imperatore immortale: et Bruto et Cassio che tradirono il Mortale.”162 Richiami e motivi tutt’altro che sporadici come testimonia il Giambullari stesso nella sudetta lettera dedicatoria quando a proposito dello studio della Commedia dichiara “nella quale sono molti anni che m’affatico…”163. Parole, pienamente confermate dalla preparazione di un commento complessivo alla Commedia cui il canonico laurenziano attende già molti anni prima rispetto a questa pubblicazione. Indicazioni chiare in questo senso le fornisce Giovanni Norchiati nella dedica del suo Trattato de Diptonghi toscani datata 15 agosto 1538164. Il commento però, della cui non sopita attesa nei circoli accademici fiorentini ci reca testimonianza una lettera inviata da Niccolò Martelli al Giambullari in data 1547, non sarebbe mai stato ultimato nè pubblicato. Secondo la testimonianza del Gelli a cui il Giambullari affida il manoscritto per aiutarlo nelle lezioni che dal 1553 in poi, svolge per un decennio fino alla morte, come commentatore ufficiale dell’Accademia per la materia dantesca, la fatica sarebbe giunta ai primi canti del Purgatorio. Gelli che, come traspare anche dal testo delle sue lezioni dimostra di essersene avvalso in diverse circostanze a dimostrazione della solida intesa instaurata in tema dantesco col Giambullari al di là delle divergenze aramaiche, dichiara di non averlo pubblicato in ottemperanza alle ultime volontà del canonico laurenziano. Ulteriore indiretta conferma di questo connubio dantesco si riscontra anche nel campo pittorico nell’affresco del Cristo al limbo, episodio riferito nel canto XII dell’Inferno dantesco e menzionato anche nel De’l sito, dipinto nel 1552 dal Bronzino, allievo prediletto del Pontormo di cui conclude la fatica degli affreschi laurenziani non terminati dal maestro a causa della morte165. Ritornando al commento del canonico laurenziano, che a detta del Gelli era preceduto anche da una vita di Dante composta dal Giambullari, Michele Barbi ne ha pubblicato a fine ottocento l’unica parte rimasta, relativa al primo canto dell’Inferno, successiva all’uscita De’l Sito al quale fa riferimento in due punti166. 162Passo cit., a p. 124h6 al riguardo cfr. Dante Alighieri, Inferno, canto XXXIV, pp. 377-385, in particolare pp. 378-382. 163Vedi supra nota 160. 164In proposito vedi supra p. 21 e soprattutto M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., p. 196. 165Sull’affresco del Bronzino rinviamo a M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 207-208 e riguardo alla discesa di Cristo al Limbo nel De’l sito, cit., pp. 30b7-31b8, Giambullari scrive: “Que versi che parlano de la Erta, non la pongono da’l Portone a’l Fiume, ma dentro a Cerchii dello Inferno: i quali perché cominciano al Limbo, non possono abbracciare cosa alcuna che non sia da’l fiume in là. Et che il Limbo sia il primo cerchio, lo specifica il Poeta stesso nel IIII Canto dello Inferno quando dice: “Così si mise, e così mi fe entrare Nel primo Cerchio, che l’abisso cigne. Et nel canto XII ancora ragionando del Terremoto, che rovinò lo inferno, descrivendo con bella perifrasi la venuta di Cristo al Limbo dice: “Ma certo poco pria, s’io ben discerno, Che venisse colui, che la gran preda Levò a Dite de’l Cerchio superno: Questa preda furono le Anime de santi Padri da Giesù Cristo tratte de’l Limbo, come è notissimo: il quale Limbo essendo il superno Cerchio dello inferno, viene come io dissi a essere il primo di verso la faccia della Terra.[…]” 166M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., pp. 82-83 e 187-201, inoltre ivi il testo in questione trovato dal Barbi nelle due versioni fiorentina e veneta leggermente precedente, si trova in appendice, Commento sopra il I canto

29

Page 30: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Rispetto a quest’ultimo, oltre a riproporre l’identificazione Firenze-selva oscura, sulla base dei medesimi luoghi danteschi già riferiti167, offre ulteriori spunti nella direzione filo-imperiale. Infatti, in relazione alla lupa che vuole ricacciare il poeta nella selva oscura e impedirgli l’ascesa al monte, Giambullari si dilunga per alcune pagine sulla profezia del veltro, sostenendone l’identificazione storica con Cangrande della Scala168, a proposito del quale ripropone le profetiche parole pronunciate da Cacciaguida169 nei versi 70-93 del XVII canto del Paradiso sulle grandi imprese che compirà, rinviando poi ad ulteriori approfondimenti con le seguenti parole: “Il gran Veltro dunque fuor d’ogni dubbio è messer Cane della Scala, del quale si dirà quando tempo fia, attendendo per hora alla esposizione del nostro testo…”.170 Vediamo del resto che vengono riproposti dei versi, quelli del tradimento consumato nei confronti di Arrigo VII da Clemente V171, particolarmente significativi nella storia dei Giambullari. Cacciaguida inoltre, personaggio chiave della rievocazione del buon tempo antico nei canti XV e XVI del Paradiso172, assume anche nel discorso ghibellino-filoimperiale (proprio in virtù del giudizio qui espresso su Cangrande) un ruolo significativo in quanto teso a sottolineare le grandi speranze di rafforzamento imperiale collegate al signore di Verona che viene designato come vicario imperiale da Arrigo VII durante la sua infruttuosa campagna militare italiana173. Del resto, in questa direzione, in precisa corrispondenza con l’elencazione dei traditori sviluppata nel De’l sito, Giambullari spiega le parole di Virgilio “nacqui adunche al tempo di Giulio Cesare, ancor che fussi tardi” nel seguente modo propedeutico all’elogio di quello che è il fondatore dell’impero romano: “non quanto a l’essere nato vicino alla morte di Cesare, perché nacque circa a anni XIV prima che Cesare morissi; ma tardi, quanto a veder esso Cesare trionfante. Il che forse finge Dante per haver egli osservato che Virgilio in tutte l’opere sue sommamente lauda Cesare, et però mostra che ei desiderassi di averlo veduto trionfare.” Cesare infatti pone le premesse per la rinascita dell’età dell’oro recuperata sotto Ottaviano Augusto, già dal Giambullari richiamato più volte nell’Apparato in relazione al conferimento del titolo ducale a Cosimo I da parte di Carlo V174, e definito in questo frangente “felice et avventurato.”175 Elementi non trascurabili sebbene preliminarmente il canonico laurenziano sostenga di voler svolgere un’analisi meramente letterale lasciando ad altri il piano dell’interpretazione allegorica e della speculazione. Ora, a parte l’evidente quanto obbligata professsione di modestia esibita dal Giambullari, seppur esclusivamente letterale la spiegazione del senso dei versi danteschi non appare meno dell’Inferno di Pier Francesco Giambullari, pp. 365-407 e sui codici verificati dal Barbi vedi pp. 198-199. Infatti leggiamo ivi a p. 368 un evidente richiamo al De’l sito sulla datazione della visione avuta da Dante: “resta adunque che la vision fusse nel giubileo del 1300 et nella settimana santa…come largamente habbiamo provato nel nostro dialogo del sito et misure de l’Inferno.” 167Ivi, p. 369. 168Sul quale cfr. preliminarmente la voce di Girolamo Arnaldi in Enciclopedia dantesca, cit., Vol. II, pp. 356-359. 169Ivi cfr. alla voce Cacciaguida di Fiorenzo Forti, vol. I, 733-739. 170Commento, cit., pp. 395-400, passi riportati alle pp. 396-397. Per i versi di Cacciaguida riportati dal Giambullari cfr. Dante Alighieri, Divina Commedia, cit., vol. III, Paradiso, pp. 222-223. 171Cfr. Clemente V di Raoul Manselli in Enciclopedia dantesca, cit., vol. II, pp. 39-40. 172G. Pampaloni, Gli Alighieri, Dante e il buon tempo antico, cit., pp. 437-440. 173Enrico VII, cit., in Enciclopedia dantesca, cit., vol. II, p. 684. 174Sui riferimenti ad Augusto vedi G. Cipriani, Il mito etrusco, cit., pp. 76-78. 175Commento sopra il I canto, cit., passi a p. 388.

30

Page 31: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

consapevole e rilevante176. Né il vincolo letterale ci sembra impedisca al Giambullari di caricare di significati e valenze i versi danteschi come quando in due frangenti cita Francesco Zorzi177 e soprattutto nel caso delle parole pronunciate nella finzione dantesca da Virgilio a proposito della sua impossibilità per giusto decreto divino di andare in Paradiso, in cui emergono considerazioni tutt’altro che scontate sul tema della predestinazione: “O felice colui: usa in questo luogo la figura che i Greci chiamano Epiphonema…la quale altro non è che uno accrescimento et amplificatione della cosa narrata o lodata, soggiuntole nella fine, come qui vedi che dice: o felice, o beato et bene avventurato, colui, quel tale, che ivi, in quella città superna, elegge, deputa et predestina esso Dio ad habitar quivi, imperochè nessuno si elegge egli stesso alla eterna beatitudine, ma da Dio ivi è eletto per gratia, come altrove si dirà.”178 3. Le fonti aramaiche In relazione al quadro fin qui delineato, appare interessante tornare sul Gello179 del Giambullari, al di là delle brevemente ricordate posizioni linguistiche, in relazione al sistema delle fonti che presiede alla sua composizione. In questa direzione merita indubbiamente attenzione il problematico rapporto instauratosi tra Gullielme Postel180 e le posizioni aramaiche, ampiamente analizzato da Paolo Simoncelli. Una relazione che in primo luogo appare differente se parliamo di Gelli e di Giambullari, al di là dei debiti riconosciuti da quest’ultimo nei confronti del trattattello sull’Origine di Firenze. Ben maggiore infatti risulta la dipendenza delle formulazioni aramaiche gelliane dagli scritti postelliani di fine anni trenta rispetto alla più complessa e articolata intelaiatura del Gello del Giambullari filologicamente più solido e per più aspetti autonomo dall’orientamento del Postel. Il canonico laurenziano, infatti, chiama in soccorso il Postel in relazione alle lotte accademiche sulla base di un passo di Ateneo che certifica la venuta del Noè biblico in Toscana sconosciuto allo stesso francese. La sua risposta appare comunque tardiva, visto che sarà contenuta nel De Etruriae...originibus stampato dal Torrentino nel 1551181, quindi a

176Ivi, a pp. 365-366 l’autore dice: “dico liberamente a ciascuno che io…scrivo…dichiarando et esponendo la lettera di questo divin poema, la quale sin qui da molti de’ nostri poco stimata, come cosa a tutti notissima, et da’ forestieri non bene intesa, come ancora da quelli aliena, falsa cagione ha dato ad alcuni di men reputare questo Poeta…per farlo conoscere agli matori della nostra lingua, la quale ampiamente in costui dimostra i tesori delle sue ricchezze, posposto ogni senso allegorico, mi ingegnerò solamente far piano et aperto quel tanto che nella sua breccia si contiene; confidandomi nella benignità di chi legge, che servendosi di questi altri nelle altissime allegorie et profonde speculazioni, piglierà gratamente quel tanto che volentieri gli si dona con la mia bassezza, con la quale, acciochè più tempo non si perda hor nelle scuse, vengo alla opera col nome di Dio.”; sul criterio utilizzato dal Giambullari vedi cosa dice il Barbi ivi a p. 202, criterio comunque abbandonato per offrire anche un’interpretazione allegorica nell’ulteriore elaborazione a noi non pervenuta ma posseduta e consultata dal Gelli per le sue lezioni; in proposito ivi, p. 200. 177Ivi, vedi pp. 380-381 e pp. 394-395. 178Ivi, passo a p. 403. 179P. Giambullari, Il Gello, per il Doni, in Fiorenza 1546, d’ora in poi cit. come Il Gello. 180Sul quale cfr. preliminarmente Wiliam J. Bouwsma, Concordia Mundi. The Career and Thought of Guillaume Postel (1510-1581), Cambridge, Mass. 1957, Geroges Weill, Vie et caractère de Guillaume Postel, traduzione in francese di Francois Secret, Milano, Archè, 1987 (prima edizione 1967); M. L. Kuntz, Guillaume Postel Prophet of the Restitution of All Things. His life and Thought, The Hague-Boston-London 1981 e id., Venice, Mith and Utopian Thought in the Sixteenth Century: Bodin, Postel and the Virgin of Venice, Galliard (printers), Norfolk, 1999; Guillaume Postel 1581-1981. Actes du colloque International d’Avranches 5-9 septembre 1981, Guy Trèdaniel, Paris, Edtions De La Maisnie, 1985 e Yvonne Petri, Gendere, Kabbalah, and the Reformation. The Mystical Theology of Guillaume Postel (1510-1581), Leiden-Boston, Brill, 2004. 181De Etruriae regionis, quae prima in orbe Europaeo habitata est, Originibus, Institutis, Religione et Moribus, et in primis DE AUREI SAECULI DOCTRINA et vita praestantissima quae in divinationis sacrae usu posita est, Gulielmi postelli Commentatio, Florentiae, MDLI.

31

Page 32: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

conflitti accademici conclusi e, al di là dei grandi elogi tributati al Giambullari per il passo di Ateneo, piena di distinguo e presa di distanze dal Gello.182 Anche il D’Alessandro ha riscontrato la grande differenza intercorrente tra il De Etruriae ed il Gello, in relazione al diverso modo di sviluppare le rispettive posizioni che si traduce anche in un differente modo in cui vengono utilizzate le affermazioni di Beroso Caldeo. Autorità assoluta nel caso di Postel, capace di integrare ed illuminare il testo biblico sotto il profilo storico e linguistico, viene utilizzato dal Giambullari con una prudenza ai limiti della riserva tale da provocare la stigmatizzazione del visionario francese nel De Etruriae….183 Altrove è necessario guardare in materia di fonti a proposito del Gello, come osserva Paolo Simoncelli che rileva l’influenza tutt’altro che marginale esercitata da Sebastian Muenster sulle asserzioni del canonico laurenziano.184 Autore completamente estraneo al Dell’origine di Firenze185 composto dal Gelli, il dotto ebraista tedesco, originario del Palatinato dove nasce nel 1488 presso Manz, è figura tutt’altro che trascurabile sotto il profilo religioso e culturale dell’Europa del Cinquecento. Nel 1505 si trasferisce ad Heidelberg ed entra nell’ordine francescano. In seguito, conduce dei brevi periodi di studio a Lovanio e nell’Università di Friburgo sotto il magistero di Gregor Reisch, secondo la testimonianza dell’orazione funebre di Schereckenfucs. Dal 1509 si trova nel monastero di Rufach, nell’alta Alsazia, e inizia a studiare l’ebraico sotto la guida di Konrad Pellikan da lui seguito anche a Pforzheim dove nel 1512 viene ordinato sacerdote. Muenster seguirà Pellikan anche a Tubinga come professore di teologia e filosofia alla fine del 1514 dove rimarrà fino al 1518 divenendo allievo del matematico, astronomo, cartografo, geografo, Johann Stoffler186 appassionato dalle sue lezioni di geografia e cartografia. Nel successivo biennio 1519-1520 Muenster risiede a Basilea dove lavora per l’editore Adam Petri, che segue ferventemente gli scritti di Lutero degli anni 1518-1520 e determina il suo primo contatto con la Riforma protestante187. Tornato nel 1521 ad Heidelberg vi insegna l’ebraico dal 1524 al 1529. In agosto si trasferisce definitivamente a Basilea, abbandona l’abito fratesco aderendo alla Riforma protestante, e nel 1530 sposa Anna, vedova di Adam Petri, morto nel 1527188. A Basilea il Muenster, continua ad insegnare ebraico nella locale università189 ricoprendo anche, tra 1547 e 1548 la carica di rettore dell’ateneo, nel momento in cui ospita Lelio Socini allora di passaggio nella città, e suo allievo di ebraico190. Inoltre, negli anni basileesi pubblica la maggior parte delle sue

182P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., in particolare pp. 9-96. 183Alessandro D’Alessandro, La scoperta di un passo di Ateneo nei rapporti tra Guillaume Postel e Pierfrancesco Giambullari, in AA.VV., Postello, Venezia e il suo mondo, a cura di Marion Leathers Kuntz, Firenze, Olschki, 1988, pp. 261-279, in particolare pp. 270-279. 184P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., in particolare sull’influenza muensteriana pp. 36-37, in particolare note 58 e 59. 185Al riguardo rinviamo a G. B. Gelli, Dell’origine di Firenze. Introduzione, testo inedito e note a cura di A. D’Alessandro, “Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria”, vol. XLIV, n. s., XXX, 1979, pp. 61-122. 186Per un breve profilo del quale vedi la voce Johann Stoffler di Peter G. Bietenholz in Contemporaries of Erasmus. A Biographical Register of the Renaissance and Reformation, a cura di Peter G. Bietenholz, Toronto/Buffalo/London, University of Toronto Press, III Voll., 1985-1987, in particolare III vol. 1987, pp. 288-289. 187A proposito della biografia e delle edizioni di scritti luterani di Adam Petri vedi C. W. Heckethorn, The Printers of Basle. In the XV and XVI Centuries. Their biographies, printed books and devices, London, printed by unwin brothers at the Gresham press, 1897, pp. 143-153. 188Ivi, sull’anno della morte di Adam Petri e sul matrimonio di Muenster con la sua vedova, cfr. p. 144. 189A proposito di Sébastian Muenster, cfr. K. H. Burdmeister, Briefe Sébastian Muensters lateneische und deutsch, C. H. Boehringer Sohn-Ingelheim Am Rhein, 1964, pp. 5-6 e in S. Muenster, Cosmographei Basel 1550, Theatrum orbis terrarum Ltd., Amsterdam 1968, l’introduzione del curatore dell’opera R. Oehme, pp. V-XXVIII, in particolare p. VI. 190Cfr. D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, a cura di A. Prosperi, Torino, Einaudi, 1992, p. 138 e L. Sozzini, Opere, edizione critica a cura di Antonio Rotondò, Firenze, Olschki, 1986, pp. 26-27, 32 in particolare nota n. 41, p. 145 nota n. 11, e ivi le menzioni del Muenster presenti nel carteggio del Socini alle pp. 148-149, 155, 170, 245.

32

Page 33: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

opere, grazie al sostegno di Heinrich Petri, suo figliastro, continuatore dell’attività editoriale paterna191. Sotto il profilo di possibili rapporti diretti del Muenster con l’ambiente fiorentino, possiamo registrare sulla base del suo carteggio, soltanto alcuni contatti italiani in relazione alla preparazione di una nuova edizione della sua Cosmographia universalis. Questa nuova edizione che prevede non solo, rispetto alla prima del 1544 e alle successive in lingua tedesca192, l’aggiunta della versione latina ma anche un ampliamento realizzato con i contributi inviati dalle città e dalle nazioni interessate o comunque contattate, consistenti essenzialmente in descrizioni geografiche e pitture di luoghi e città, coinvolge anche Firenze, Roma e Venezia. Il Muenster, infatti, nella lettera del 23 dicembre 1550 afferma: “Expecto quoque quaedam ex Italia”193, alludendo ai contributi su Firenze, Roma e Venezia previsti tra quelli già da lui pagati, concernenti un folto gruppo di città straniere già menzionati in una precedente epistola del 4 maggio194. Diversamente evidente, in un’analisi puntuale del testo del Giambullari risulta la presenza e la centralità della Bibbia eterodossa che il Muenster traduce dall’ebraico in latino, stampata a Basilea nel 1534 e ‘35. La sua impostazione protestante, emerge in modo abbastanza evidente già nella premessa al primo tomo in cui l’autore si rivolge al “cristiano et pio lectori”, mettendo in risalto, il peccato originale di Adamo ed il conseguente stato di irrimediabile corruzione che ha colpito tutti gli uomini195. Sulla condizione di prostrazione umana causata dal peccato non sarebbe mancata, del resto, una notazione dello stesso Giambullari nella già menzionata lezione dantesca sulla Carità del 1542: “Se io volessi qui entrare ad esporvi la cagione perché volesse l’eterno Padre che e’ morisse l’unigenito suo Figliuolo, piuttosto che perdonare assolutamente all’uomo il peccato suo, bisognerebbe certo allungarmi troppo. E però dirò solamente che a maggior espressione di quello infinito amore che ci porta Dio, volle quella sopra eminentissima carità che l’uomo da ogni felicità caduto, e miserabilissimamente sommerso nel baratro del peccato, si ristaurasse e si deducesse alla vera ed eterna felicità, riunendolo al suo Creatore. Ma perché non poteva l’uomo per sé stesso volgersi a Dio, non essendo la nostra natura di voltarci per noi medesimi, ma di esser volti, come dimostra il Pico nell’Ettaplo, mandò l’unigenito suo Figliuolo a vestirsi di questa carne e a morire in croce con ella, ciò che, lavandoci Gesù Cristo così dal

191Cfr. K. H. Burdmeister, Briefe Sebastian Muensters, cit., p. 7. 192Ivi, in proposito cfr. la lettera del 7 novembre 1544 inviata dal Muenster da Basilea ad Andreas Masius: “Audisti fortassis de mea Cosmographia, quam proximis nundinis Germanice evulgavi[…]”, in K. H. Burdmeister, pp. 88-89, passo cit. a p. 88. Inoltre, per un elenco completo delle edizioni nelle diverse lingue, in particolare in tedesco e in latino, vedi introduzione a S. Muenster, Cosmographei, cit., a p. XXVI. 193Ivi, cfr. la lettera del 23 dicembre 1550 a Ioachino Vadiano alle pp. 188-189, passo cit. a p. 188. 194Ivi, cfr. la lettera del 4 maggio 1550 inviata dal Muenster a Cornelio Gaudensio e Giorgio Cassandro p. 175, in particolare: “Extranae civitates nostris sumptibus curantur, quales sunt Lutetia, Roma, Florentia, Cairum (quod iam sculpitur), Costantinopolis, Venetiae, Belgradum, Argiera, Ierosolyma etc..” Inoltre, a proposito del profilo biografico del Muenster e soprattutto del significativo contributo apportato alla geografia con la sua Cosmographia cfr. Alla scoperta del mondo l’arte della cartografia da Tolomeo a Mercatore, presentazione Francesco Sicilia, testi Mauro Bini, Ernesto Milano, Annalisa Battini, Laura Federzoni, Modena, Il Bulino, 2001, in particolare ivi rinviamo a Annalisa Battini, Gli atlanti del cinquecento Mercatore e la cartografia moderna, pp. 189-200. 195Ivi, Cristiano et pio lectori Sebast. Muensterus s.d.., che inizia in questi termini “Etiamsi mortalis nostra natura, candide lector,varijs obnoxia facta sit malis, ex primi hominis peccato, multasque contraxerit labes et corruptelas, primas tamen videtur tenere illa mentis nostrae instabilitas, atque animus sibi nunquam satis constans: quo malo etiam plerosque, qui columnae videbantur, in praecipitium ruisse esperti sumus. Siquidem postquam primis noster parens animum advertit deo…protinus illum peccantem et totam eius posteritatem haec consequuta est poena, ut in nulla re fluctuansque inter tentationum illectamenta, diu herere velit aut possit, quin ea aliquantisper perfruitus, atque ad fastidium satiatus, mox ad aliam et aliam aestuet, qua se ad horam quoque oblecte.” Passo cit. a p. a 4.

33

Page 34: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

peccato e dirizzandoci, o per meglio dire, tirandoci all’eterno Padre, unisse tutta la creatura col Creatore…”196 Notazione evidentemente tesa a marcare l’imprescindibilità del sacrificio di Cristo in linea con quanto osservato sulle tendenze ben presenti in ambito accademico. D’altra parte Muenster nella sua introduzione punta il dito, all’interno della generale corruzione umana, sugli Ebrei incapaci di riconoscere Cristo e sordi di fronte al messaggio scritturale formulato dai profeti197. La loro proterva incapacità di comprendere la Scrittura denuncia emblematicamente l’analoga condizione del mondo cristiano favorita in primo luogo dalle versioni bibliche, errate e fuorvianti, divenute ormai patrimonio e tradizione della Chiesa romana. Al riguardo Muenster riferisce delle mancanze della versione biblica dei Settanta, giustamente criticata ed emendata da S. Girolamo, la cui vulgata tuttavia per quanto giudicata positivamente, presenta anch’essa alcune carenze opportunamente ravvisate, da Lutero, Reuchlin, Agostino Steuco, Santi Pagnino198. Una critica finalizzata (come si evince nel prosieguo della nota munsteriana, che non manca di ricordare gli studi di ebraico intrapresi con il Pellikan)199 all’elogio di Erasmo, modello

196De la carità, cit., passo alle pp. 68-69. 197Ivi: “Et Iudaei quidam vehementer videbantur zelare pro domino exercituum, et pro domo dei, cum Christum eius fastidirent, et ad mortem usque persequerent: sed perversus fuit zelus ille, cum non fuerit secundum scientiam, sed procedebat ex odio rationem excaecante: unde furore magis in illum debacchati sunt, quam dei zelo. Et in hac pervicacia in hunc usque diem, misera illa gens usqueadeo obstinata manet, ut nullis prophetarum oraculis quantumlibet claris et apertis, nullis rationibus, sed neque minis et terroribus a praecipitio et ab errore reduci possit : id quod Isaias ante futurum praedixit : Impingua, inquiens, sive obstina cor populi huius, et aures eius aggrava, atque oculos eius obline, ne fortem videat oculis et c. Apud Ieremiam quoque magno in speciem zelo dicebat: templum domini, templum domini, templum domini, et tamen deus dicebat illis per eundem prophetam: Non habeatis fiduciam in verbis istis mendacibus. His similimi sunt, qui humanas constitutiones, veterum decreta, et inolitas consuetudines pluris faciunt, quam ipsa mandata dei, excolantes scilicet culicem, et gamentum glutienses. O perversum iudicium, et a Christiano pectore summopere arcendum. Et tamen qui eiusmodi sunt, audent dicere, se zelo dei moveri, etiam quando grassant et tyrannice saeviunt in proximi necem, ob violatam humanam constitutiunculam, cuius quidam observantia, nec tantillum meliorem reddit animum, aut eius provet salutem.” Inoltre, sulla inadeguatezza della versione dei Settanta e sul giudizio positivo formulato da Erasmo e dall’umanesimo europeo sulla funzione di correzione svolta dalla Vulgata rispetto ad essa, cfr. C. Asso, La teologia e la grammatica. La controversia tra Erasmo ed Edward Lee, Firenze, Olschki, 1993, in particolare pp. 60-62. 198Ivi, infatti: “Tali quoque zelo, aut potius invidia laborabant plurimi, divi Hieronymi temporibus, nullibi non insidias struentes viro sancto, non ob aliam causam quam quod opus pium et sanctum moliretur, nempe veteris instrumenti, synceriorem versionem. Videbat namque vir pius et doctus, Latinos vera et genuina legis atque prophetarum destitutos lecitone: nam Septuaginta interpretum aeditio, quae tunc ubique locorum recentissima erat, apud Graecos et Latinos, nedum perperam in plerisque locis versa fuit, verum et per scriptores atque sciolos plurimum corrupta, id quod et hodie facile patet conferenti aeditionem illam iuxta Heb. Veritatem: ut interim taceam illos non admodum peritos fuisse Heb. Linguae, id quod vel inviti cogimur fateri, alioquin in plurimis locis non tamen foede lapsi fuissent. Videbat inquam id Hiero, sicut et Aquila, Symmachus, Thedotio, atque multi alji studiosi viri, et huiusmodi erroribus corrigendis animu adiecerunt, quisque pro virili sua: indignum rati, quod cum in omnibus rebus avesse debeat depravatio, sacri codices impuritatem admixtam haberent, qui tamen in primis illustrandi et extergendi erant, atque in nitorem suum vindicandi. Nec tamen sic omnia ad vivum resecarunt, quin posteri semper aliquid adhuc emendandum deprehenderint. Nam qui Heb. Linguam vel mediocriter est doctus, facile videbit, interpretem nostrum, quicumque tandem is fuerit, interdum non satis oculatum fuisse. Sensit id Nicolaus Lyranus, Paulus Burgensis, Ioannes Reuchlinus, Santes Pagninus, Martinus Lutherus, et Augustinus Steuchus, etiamsi is plerumque se vidisse dissimulet .” 199Ivi : “Sed et Iudaei nostram in nonullis locis irrident aeditionem, dicentes eam Heb. Veritati non per omnia et ad amussim respondere. Advertimus et nos iam a vigenti annis, a tempore quod sub Conrado Pellicano fedelissimo praeceptore nostro hebraicari coepimus, labes quasdam intolerabiles irrepsisse, non tam interpretis culpa quam scriptorum vitio. Et certe non est perpetuo ad haec conivendum. Quanquam verear, ne si quis diligentius illa conetur emendare, sicuti omnes pro domini verbo zelare tenemur, totus contra illum commoveant orbis, excitentur tragoediae, clament omnes, vociferent, ingemiscant, et nemo moribus et vita tam alienus sit a Cristo, qui hic non ostentet se zelu gerere pro verbo domini, etiam si nunquam opere et veritate illud implere studuit. Qua in re si cum talibus expostulare coeperimus, quaerentes quanam ratione sic insaniant, nihil habent

34

Page 35: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

dell’umanesimo filologico e punto di riferimento delle fatiche del Muenster. Erasmo, infatti, giganteggia nella praefatio munsteriana per la lotta sostenuta contro gli errori della Vulgata ed i difensori della mendace tradizione della Chiesa cattolica, gli “Sycophantorum” 200. È un Erasmo certamente percepito secondo le potenzialità radicali della sua versione del Nuovo Testamento e associato evidentemente dal Muenster alle istanze protestanti. Un Erasmo largamente interpretato secondo queste coordinate anche in Italia e tra gli altri proprio da Agostino Steuco da un lato convinto assertore dell’umanesimo di cui coglie le grandi potenzialità di penetrazione e diffusione popolare, dall’altro timoroso delle imprevedibili conseguenze sociali della nuova cultura201. Steuco appunto giudicato in modo ambivalente dal Muenster come conferma anche nella prefazione al testo che segue la lettera al lettore202. Qui, infatti, il dotto ebraista, da un lato condivide i rilievi mossi dallo Steuco alla Vulgata di San Girolamo, dall’altro denuncia le sue profonde lacune in fatto di conoscenza dell’ebraico203. Senza trascurare probabilmente che tra i Sycophantorum il Muenster comprenda il personaggio simbolo della lotta condotta a Lovanio contro le istanze filologiche propugnate da Erasmo erasmiano con la fondazione del Collegium Trilingue: Edward Lee204. Muenster del resto è legato all’esperienza ed al metodo del Collegium Trilingue chiaramente strutturato dal procedimento filologico erasmiano, come documenta oltre a questa prefazione l’inclusione di molte delle sue opere a cominciare dalla Hebraica Biblia, poi utilizzate dal Giambullari nel Gello, nel programma di Studia humanitatis condotto dal Collegium per raggiungere una piena conoscenza della lingua ebraica quale indispensabile strumento per l’acquisizione del pieno ed autentico significato dei Testi Sacri205. L’impegno munsteriano si

quod respondeant, nisi quod per veteres communis illa aeditio sit probata. Tanta est enim vetustatis consuetudo, ut divi Hieronymi utar verbis, ut etiam consessa plerisque vitia placeant. ” 200Ivi, leggiamo: “Tanta est enim vetustatis consuetudo, ut divi Hieronymi utar verbis, ut etiam consessa plerisque vitia placeant. Nemo non novit, quantus tumultus superioribus annis excitatus fuerit contra Erasmus, quod corriere ausus fuerit, sic enim illi loquunt, sanctum Evangelium, et violare rem tam sanctam. Idem mihi eventurum scio, multorum calumnias haud oscure praevidens, qui in hoc theatrum ingiedi praesumpserim, et veteris testamenti novam tentarim versionem: etiamsi sciam me huius viri comparatione nihil esse. Sed solat me id interim, quod sciam viros bonos et pios nihil agere absque iudicio. Sycophantarum est, nedum quae non legerunt damnare, verum et quae bene dicunt reprehendere. Solat etiam me conscientia mea, quod non in gloriam meam et veterum reprehensionem, quibus etiam maximadebemus gratiam, postquam id egerunt, quod preastare potuerunt, praesertim in tantalibrorum penuria, hunc subierim laborem, et quod aliud non deprompserim, quam quod Heb. Textum habere deprehendi, testibus Rabinorum commentarijs. ”. 201Sul radicalismo della stessa lezione erasmiana e della sua edizione del Nuovo Testamento del 1516, cfr. A. Aubert, Itinerari della consapevolezza. Un progetto di ricerche ed una collana di studi sulla crisi religiosa del Cinquecento, in “Archivio Storico Italiano”, CLIX, 2001, in particolare, pp. 625-636. Sulla percezione in Italia di Erasmo secondo il binomio composto da Lutero si rinvia a Seidel Menchi, Erasmo in Italia, cit., in particolare capitolo II, Erasmo luterano: una costruzione della teologia italiana fra il 1520 ed il 1535, pp. 41-72 e con riguardo ad Agostino Steuco soprattutto pp. 54-55. 202Praefatio Sebast. Muensteri in vetum testamentum in Hebraica Biblia, cit., Tomo I, cit.. 203Ivi: “Omitto alia loca quamplurima, in quibus inscitiam suam, quantum attinet ad Hebraeam linguam tam aperte prodidit, ut mirer quomodo in ea re ausus fuerit sibi tantam arrogare autoritatem, cui tam arcta in hac lingua fuit cognitio. Deinde quando dicit, inter aeditionem nostram et Hebraicam veritatem fere nullam esse differentiam, imo aeditionem nostram absolutissimam: rursus miror hominem, quod sibi ipsitam parum constet, qui super pentateuchus in pluribus quam sexcentis locis carpit Hieronymum, quem vulgatae aeditionis asserit autorem.” 204Sulla disputa si rinvia a C. Asso, La teologia e la grammatica, cit. e A. Aubert, Itinerari della consapevolezza, cit.. 205Sulla nascita e sulla storia del Collegium Trilingue rinviamo a Henry de Vocht, History of the Foundation and Rise of the Collegium Trilingue Lovaniense, Louvain, Librarie Universitaire, 1951-1955, 4 voll. e Storia d’Italia, Annali, voll. I-XIX, Torino, Einaudi, 1978-2003, vol. XI, Gli ebrei in Italia, parte prima, 1996, alla voce di E. Garin, L’Umanesimo italiano e la cultura ebraica, pp. 359-384, in particolare p. 363. Inoltre sull’inclusione delle opere munsteriane tra i testi adottati al Collegium Trilingue vedi in AA. VV., L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979, Pierre Aquilon, Appendice. Catalogue de l’exposition organisée a la bibliothèque municipale d’Orléans le 15 juillet 1975, pp. 607-676, in particolare l’elenco :Le Collège Trilingue : manuels et éditions de textes l’hébreu (27-32), pp. 648-650 e sulla Hebraica Biblia, cit., pp. 613 e 650.

35

Page 36: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

inquadra nella generale ripresa degli studi ebraici inaugurata dall’umanesimo tedesco a inizio Cinquecento appunto dai suoi maestri Pellikan, Reuchlin e Elias Levita primo artefice di questa riscoperta della lingua ebraica da parte dell’umanesimo tedesco e capace di esercitare una profonda influenza sull’esperienza del Collegium206. Una riscoperta, fortemente incentivata e caratterizzata, nello schieramento protestante, dalla tendenza a giovarsi dell’esegesi ebraica e del materiale antiquario offerto dalla letteratura rabbinica207. Non dimentichiamo poi in questa direzione filoerasmiana come la grammatica delle Regole della lingua fiorentina del Giambullari mostri un fortissimo debito filologico nei confronti Del De emendata structura Latini sermonis… dell’erasmiano inglese Tommaso Linacrio che Giambullari consulta e utilizza riproducendone passaggi letterali e impostazione per ben cinque dei sette libri in cui divide la sua grammatica, traendoli da un’edizione anteriore il 1543 ma posteriore al 1538, come indica Ilaria Bonomi. Probabilmente, visto che la prima edizione italiana della grammatica del Linacrio è del 1557, ed il testo viene pressoché ignorato in Inghilterra, mentre beneficia di molte edizioni francesi e tedesche208, Giambullari consulta l’edizione lionese del 1541 curata da Melantone come del resto la successiva del 1544, entrambe stampate dai torchi di Sebastian Grifo209. Grammatica cui lo stesso Postel riserva nel suo linguarum…del 1538, ben noto al Giambullari, un giudizio estremamente positivo.210 Pertanto, proprio in virtù delle tracce ireniche ed erasmiane già ravvisate peraltro nelle coeve lezioni dantesche del canonico laurenziano ci sembra opportuno analizzare e ponderare l’effettiva consistenza dell’influenza muensteriana nel Gello ripercorrendo i singoli passi in cui essa si rileva. Il Giambullari che nella finzione dialogica in questa prima parte è celato sotto le vesti del Gello, ricorre fin dalle prime pagine del suo trattattello alla Hebraica Biblia, per fugare le perplessità esposte da Messer Curzio sull’effettiva durata di otto o novecento anni della vita degli uomini vissuti prima del diluvio universale, risponde: “Ma che la vita loro fosse pur tanta, non solamente si testifica per que’ tanti autori gentili che Iosefo adduce nel primo delle antichità. Ma la ragione ancora ce la insegna e Mosè stesso nel Genesi chiaramente ce lo dimostra. Conciosia che quanto alla ragione, la necessità di riempire il mondo; il bisogno di trovare le scienze e l’arti, che tutte nacquero di esperienza ricercavano vita lunghissima. Oltra che la gagliarda complessione di corpi si grandi, per se medesima gli conservava lungamente. Perché essendo tutti Giganti, cioè di statura senza comparatione maggiore che la nostra: tale era la quantità della vita, quale il vigore e la forza

206Ivi, sull’influenza esercitata da Elias Levita, in particolare su Sebastian Muenster vedi vol. II, The Development, pp. 118-122 e ancora ivi, vol. III, The Full Growth, pp. 160-162 a proposito dell’insegnamento di John Von Campen sulla carriera ivi , vedi anche pp. 158-160 e 163-208. 207Storia d’Italia, cit., Annali, cit., nella voce di Fausto Parente, La Chiesa e il Talmud, pp. 521-644, in particolare pp. 620-624. 208In proposito rinviamo a Ilaria Bonomi, Introduzione, cit., a Regole della lingua fiorentina, cit., pp. XXXVIII-XXXIX. Inoltre sulla considerazione di cui gode il Linacrio in ambito francese e tedesco vedi P. Aquilon, La réception de l’Humanisme allemand a Paris in L’Humanisme Allemand, cit., pp. 45-80, in particolare pp. 51 e 57. 209Thomae Linacri Britanni De emendata structura Latini sermonis libri sex. Cum Indice copiosissimo in eosdem, Seb. Gryphium excudebat, Lugduni, 1541. Sul Gryphius si rinvia a U. Rozzo, La cultura italiana nelle edizioni lionesi di Sébastiene Gryphe 1531-1541, in “LA Bibliofilia”, 1988, disp. II, pp. 161-195, inoltre sulla sua attività cfr. Peter G. Bietenholz, Basle and France in the Sixteenth Century. The Basle Humanists and Printers in their Contact with Francophone Culture, Genève, Droz, 1971, ad indicem. 210 Linguarum duodecim characteribus differentium Alphabetum, introductio ac legendi modus longe facilimus. Linguarum nomina sequens proxime pagella offeret, Guillielmi Postelli, Barentonii diligentia, Prostant Parisiis apud Dionysium Lescuier 1538, quando nel paragrafo intitolato Diviso Literarum Postel dice in termini elogiativi (pagine non numerate) “Syntaxim praeclarissima tradidit Thomas Linacrer Anglus. Tres orationis partes inflexionem syntaximn et quantitatem sub compendio apud Melanchtonem reperies” .

36

Page 37: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

del corpo. Havevano ancora il ciel più benigno, la terra più sana, per non essere venuto il Diluvio; e cibavansi moderatamente il che prolunga molto la vita.”211 Passo che appare abbastanza vicino ai punti del VI capitolo della Genesi dell’edizione muensteriana della Bibbia concernenti la moltiplicazione della popolazione terrestre ed i Giganti: ”Et factum est, quod coepit homo multiplicari in superficie terre[…]Gigantes vero fuerunt in terra in diebus illis…”212 Tuttavia, la vera e propria dipendenza dalla traduzione munsteriana si evince dalla successiva spiegazione di Mosè, riferita dal Gello, attraverso la riproposizione volgarizzata di diversi passi muensteriani tratti in primo luogo dall’inizio del settimo capitolo della Genesi a proposito della collocazione temporale del diluvio universale in relazione all’età del Noè biblico muensteriano: Gello: “Scrive Mosè nel Genesi al settimo capo…che il principio del Diluvio fu l’anno secentesimo della vita di Noè, e la fine di quello nel secentesimo primo.”213

“Et erat Noah filius sexcentorum annorum: et diluvium acquorum fuit super terram…”214

E dalla dimostrazione dell’equivalenza degli anni prediluviani e di quelli contemporanei, effettuata dal Gello pur precisando che la maniera ebraica di computare un anno è particolare e non univoca, sulla base di un’altra opera del Muenster, il Kalendarium Hebraicum215:

211Gello, cit., passo cit. a p. 8a. 212Biblia Hebraica, cit., vol. I, p. 5a5. 213Vedi nota 212. 214Biblia Hebraica, cit., passo cit., p. 6a6. 215Kalendarium Hebraicum [Sebastiani Muensterii opera], ex Hebraeorum penetralibus iam recens in lucem aeditum: quod non tam hebraicae studiosis quam historiographis et astronomiae peritus subsernire poterit, Basileae, apud J. Frobenium, 1527; inoltre vedi P. Aquilon, Catalogue, cit., pp. 612 e 649.

37

Page 38: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Gello: “Et però aderite, che se bene gli anni sono di più sorti in diversi luoghi e di quantità diversissima; gli Hebrei gli anno di XII Lune, con alcuni giorni di più, che adattati alle regole loro, ragguagliano con l’anno solare, ma non sempre in un modo medesimo; secondo ch’io ho ritratto dagli scritti latini del Munstero Sopra il calendario degli Hebrei. Perciò che l’anno appresso di loro è di due sorti, Embolismico e Commune: e chiamano Embolismico quello che avanza e trascende l’anno comune d’ un mese intero. Et questo comune non è anche sempre a un modo: ma è di tre maniere; cioè pieno, mezzano e scemo. Le quali differentie…non sono però necessarie al nostro discorso. Perché io per esser inteso meglio, non voglio ragionare se non secondo l’anno commune pieno, che è di giorni CCCLV, cioè di XII mesi lunari: sette de’ quali hanno giorni XXX, e cinque XXIX: come da voi stesso potete vedere nel luogo predetto.”216

Kalendarium : “Longe alia ratione Hebraei suos computant annos et menses quam Latini. Nam habent annos et menses lunares, non solares, ut latini…Habent igitur Hebraei duplicem annum, videlicet communem…id est, annus planus et simplex : et embolismicus…id est, annus transitus habens, seu potius transcensum. Nam transcendit annum communem uno mense. Unde primus annus constat 12…mensibus: Secundus tredecim. ”217

Distinzioni che comunque non impediscono al Gello la possibilità di sostenere la sostanziale vicinanza tra anno solare e anno ebraico, che può ritornare alle vicende del Noè muensteriano in totale conformità ai capitoli settimo e ottavo della Genesi della Hebraica Biblia utilizzata per fugare i residuali dubbi del Curzio:

216Gello, cit., pp. 8a-9b. 217Kalendarium Hebraicum, cit., passo riportato a p. 42g1.

38

Page 39: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Gello: “Dice dunque Mosè così. Nell’anno secentesimo della vita di Noè, il diciassettesimo dì del secondo mese, si ruppero tutte le fonti dello abisso, e si apersero le cateratte del cielo e piovve quaranta di e quaranta notti sopra la terra. Et nel capo seguente, cioè nel ottavo soggiunse poi queste parole. Ricordatosi il Signore di Noè, e di tutti gli animali e giumenti che erano con lui nell’Arca, indusse il vento sopra la Terra, fermò la pioggia; e furono chiuse le fonti dello abisso e le cateratte del cielo. Et cominciarono l’acque a diminuirsi dopo cento cinquanta giorni. Posassi poi l’Arca ne’ monti di Armenia il venzettesmo di del settimo mese: ma l’acque andarono mancando infino al decimo mese. Et il di primo del mese decimo, apparirono le cime de’ monti. Dopo XXXX giorni poi aprendo Noè la finestrella, che egli haveva fatto alla Arca, mandò fuori il Corbo: e tutto quel che seguita appresso, fin’ dove e dice. Dunque nel secentesimo primo anno di Noè, e il primo di del mese mancaron l’acque di su la Terra: et levò Noè il coperchio della Arca, e vide rasciuttto il suolo della Terra. Et il venzettesimo giorno del secondo mese fu la terra secca per tutto. ”218

capitoli VII e VIII della Genesi della Hebraica Biblia: “In anno sexcentesimo vite Noah, in mense secondo, decimaseptima die mensis, in ipsa die rupti sunt omnes fontes abissi, magnae; et fenestrae caeli apertae sunt. Et fuit pluvia super Terram quadraginta diebus et quadraginta noctibus.219[…] Et recodatus est deus ipsius Noah et cuncti animantis, omnisque iumenti que erant secum in arca: et fecit transige deus ventum super terram, coelo. Et reversae sunt aquae de Terra, eundo et redeundo : imminutaeque sunt aquae a fine quinquagesimi et centesimi diei. Et requievit arca in mense septimo, in decimaseptima die mensis super montes Armeniae. Et aquae quidam erant euntes et decrescentes usque ad mensem decimum: in decimo primaque illus mensis, visa sunt cacumina montium. Factumque est a fine quadragesimi diei, et aperuit Noah finestram arcae quam fecerat. Et emisit corvuum […] Factumque est in primo et sexcentesimo anno, in primo et in prima illius mensis, exiccatae sunt aquae de Terra : et amovit Noah operculum arcae, viditque, et ecce exiccata erat superficies humi. Porrò in mense secundo, in vigesimaseptima die mensis exaruit Terra.”220

Il Gello pertanto, in base alle precedenti asserzioni, conclude: “Potendo voi primieramente vedere un anno intero dal 600 al 601; composto di XII mesi: de quali nominatamente vi sono, il primo, il settimo e il decimo: con quelle tante decine di giorni che seguono appresso: et i mesi anchora di XXX giorni trovandovisi particolarmente nominato il primo, il diciassettesimo, e il venzettesimo del mese.”221 Tuttavia, Messer Curzio non pago delle sue dimostrazioni, gli domanda quali mesi Mosè chiami “secondi, settimi e decimi…”. Il Gello, allora si avvale nuovamente di uno specifico passo del Kalendarium: “Lunga è stata…ed è anchora la disputa tra gli Hebrei stessi, non che tra i nostri dove sia il principio dell’anno. Benché tutti dichino nello Equinottio. Perchè altri lo pigliano dalla primavera secondo l’ordine che pose Mosè nello uscire de lo Egitto, e altri da l’Autunno: et ciascuno certamente con gran

“Proinde incipiunt annum suum a principio mensis Tisri, qui scilicet autumnali aequinoctio proximior est. Nam maior pars eorum putant mundum a deo creato in illo aequinoctio. Sed Moses Legisaltor, dum profisciscerenteur filij Iisrael de Aegypto, iussit mensem Nisan qui circa vernum cadit

218Gello, cit., p. 9b. 219Hebraica Biblia, cit., Genesi capitolo VII, passo a pp. 6a6-7b1. 220Ivi, Genesi capitolo VIII, passi riportati a p. 7b1. 221Gello, cit., pp. 9b1-10b1. 222Ivi, p. 10b1.

39

Page 40: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

ragioni .”222 aequinoctium, primum appellari, quod in eo evassissent Aegyptiacam servitutem.”223

Considerazione che forse richiama indirettamente anche una delle note che si trovano alla fine di ogni capitolo della Hebraica Biblia a chiarimento e approfondimento di particolari termini ed elementi biblici, specificamente la c posta in calce al capitolo VII della Genesi e concernente l’espressione “mense secondo” e le due modalità ebraiche di computare l’inizio dell’anno: “Dubium est apud Hebreos, num is mensis sit Marhesuan vel Ilar. Nam statuunt duplex initium anni. In rebus prophanis inchoant annum a novilunio propinquiori equinoctio autunnali: et vocantur primus mensis Tisri, secundus Marhesuan, tertius Kislef et c. Pro Sacris vero exordiuntur annum ab incensione que vicinior et aequinoctio vernali, et vocatur primis mensis Nisan, secundus Itar, tertius Sivam et c.”224 Comunque il Gello, nonostante la persistente controversia a proposito dell’inizio dell’anno in atto con il Curzio, assegna la sua preferenza alla prospettiva profana, peraltro supportata, anch’essa da evidenti riferimenti ancora alla Hebraica Biblia e al Kalendarium: “Ma pure la comune opinione degli Hebrei e che e fia nello Autunno: essendo scritto nello Esodo al XXIII dove si comandono le tre solennità che ogni anno si debbono fare, et la festa della ricolta che è nella fine dello anno, quando tu harai ragunato tutti i frutti del campo tuo.”

capitolo XXIII Esodo: “Tribus vicibus celebrabis mihi festum in anno. Solemnitate azimorum custodies: septem diebus comedes azyma, quem admodum praecepi tibi, ideque tempore mensibus, quo maturescunt fruges: in illo enim egressi estis de Aegypto: et no videbunt facies meae inanes. Et festum messis primitivorum operis tui que seminaveris per annum (custodies) atque festum collectionis, quid est in exitu anni, cum collegeris opera tua de agro. Sex annis seminabis terram tuam et congregabis proventus eius. In septimo vero liberam dimittes atque deferas eam, ut comedant pauperes populi tui, et de residuo eorum comodante bestiae agri: sic quoque facies cum vinea tua et cum oliveto tuo.”225

“Chiamano dunque principio dello anno il mese di Tisri, che comincia il quinto dì del nostro settembre: e da quello contano i Giubilei e lo anno settimo: nel quale non è lecito seminare, ne ricorre, come aperto narra la Bibbia.”226

Kalendarium: “Mensem igitur Tisri seu eius principium vocant…caput anni: ab eo deducunt temporum supputationes, et iubileum ac septimum annum deo dicatum ab eo incipiunt: ne si a Nisan inciperent, fructus quorum annorum perderent, quum messis anni sexti haberi non posset, nec seminari in anno septimo”227

223Kalendarium Hebraicum, cit., passo cit. a p. 43g2. 224Hebraica Biblia, cit., p. 7b1.

40

Page 41: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Pertanto, conclude il Gello, rinviando per la collocazione cronologica dell’anno del diluvio rispetto alla creazione di Adamo ad un altro specifico punto dell’edizione munsteriana della Bibbia: “sicuramente possiamo dire che quella vendicativa e mortifera pioggia cominciò il ventunesimo giorno di ottobre e secondo la testimonianza di Albumasar nel libro delle congiuntioni grandi, ella cominciò in venerdi sera, lo anno secondo Mosè 1656 da la creatione di Adamo; come da voi stesso potete vedere, per gli anni de’ Padri scritti da Mosè nel quinto del Genesi. […] il di quinto di settembre si vide la terra tutta scoperta: et l’ultimo giorno di ottobre fu licentiado poi de l’Arca ogni uno. Questo è quanto io posso dirvi de lo anno Hebreo, de’l quale si serve Mosè, come avete udito di sopra et se io non vi dico particolarmente i nomi di tutti i mesi, e la quantità di ciascuno: scusatemi per il non saper io quella lingua; e per la difficoltà della pronuntia loro: la quale (secondo il dire di Munster) è tutta caldea, imparata nella Babilonica servitù: perché prima chiamavano i mesi da’l numero, e non da il nome; come avete potuto advertire nel testo del Genesi”.228 Una periodizzazione diluviana inoltre, che risulta perfettamente coincidente anche con quella esposta nel Kalendarium Hebraicum nel quale leggiamo “Ab Adam usque ad diluvium anni mille sexcenti quinquaginta sex”229. Diversamente i mesi in cui si produce e si esaurisce progressivamente il diluvio, indicati nel Gello concordano con la nota a posta al margine del capitolo VIII della Genesi muensteriana: Il settimo mese loro chiamato Nisan, che è di giorni XXX, comincia a di due di marzo e finisce lli XXXI. Per il che fe l’arca il XXVII di del settimo mese si posò ne’ monti di Armenia: sappiamo che ciò advenne il XXVII giorno di marzo. Il mese decimo che da loro è detto Tamun, comincia il XXX giorno del nostro maggio: e in tal di si scopersero le cime de monti, come di sopra disse Mosè, in caso però che quell’anno, fosse anno comune e pieno. De’l quale solo dissi voler parlare. Possiamo dunque conchiudere che la pioggia cominciata il ventunesimo giorno di ottobre, durò tutto il seguente Novembre senza mai restare: et che in capo a di cento cinquanta, che secondo l’anno predetto corrispondono al decimonono del nostro marzo, cominciarono a scemare l’aque: et che il trentesimo di maggio apparsero le cime de’ monti…”230

“Mense septimo. Qui scilicet est Sivan, si computer a Tisri. Et quamquam is sit octavus a Tifsri, tamen Scriptura hic numerat menses illos qui defluexerant ab eo tempore quo cohibita est pluvia, quod fuit in Kisleu. Decimo vero mense qui est…Iulio nostro et partim Augusto respondens, apparuerunt capita montium. Aben Esra ucro putat hunc decimum mensem fuisse…hoc est. Ianuarium, qui decimus fuit ab inizio diluvij. Et quod dicitur Noah aperuisse fenestram arcae post quadragesimum diem, intelligendum est postquam apparuerunt cacumina montium. Porrò montes Armeniae qui hoc comemorantur, apud Hebreos vocantur montes Ararabot. Onkelos vero chald. interpres vocat eos montes Cardu: qui fortasse sunt Montes Gordei, quos Ptolomeus in Armenia describit.“231

Tuttavia, messer Curzio continua a contestare le affermazioni gelliane, sulla base delle stesse fonti presentate, Iosefo e Damasceno232, per negare l’unicità del diluvio universale e

225Hebraica Biblia, cit., vol. I, Esodo, cap. XXIII, pp. 73n1-74n2. 226Gello, cit., p. 10b1. 227Kalendarium Hebraicum, cit., passo cit. a p. 43g2. 228Gello, cit., pp. 10b1-11b2. 229Kalendarium Hebraicum, cit., passo cit., a p. 11c2. 230Gello, cit., pp. 10b1-11b2. 231Hebraica Biblia, cit., p. 8b2. 232Si tratta di Flavii Iosephi antiquitatum Iudaicarum libri XX ad vetera exemplaria diligenter recogniti…, Vaeneunt Luteciae Aedibus Iacobi Izeruer sub signo geminorum Pullorum in via divi Iacobi, MDXXXV, che riguardo alle prove del passaggio in Armenia dell’Arca, (uno dei motivi della contesa con il Curzio cfr. Gello, cit., pp. 11-12b2) a p. 7a4 dice: “Dicitur autem et navis eius quae in Armeniam venit, circa montem Chordieum

41

Page 42: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

sostenere lo svolgimento di numerosi diluvii nel corso della storia umana, così da dimostrare l’impossibilità di sostenere la coincidenza storica delle figure di Noè e Ogigi Prisco Il Gello pertanto per ribattere questa argomentazione, chiama in aiuto, oltre allo stesso Iosefo, ancora il Muenster e non solamente quello della Hebraica Biblia233. Afferma infatti che “questo Ogigi Prisco sarà il medesimo che Noè: cognominato forse così dal verbo higid, che agli Aramei significa illustrare come nel Trilingue Munsteriano. Perché e illustrò egli il secol seguente di cio che era stato innanzi il diluvio; e de le Arti, e de le scientie: e fu illustre e celebratissimo in tutti i secoli da venire. La onde ben dice l’Annio, che e fu cognominato Ogigisan, cioè sacerdote sagro e illustre. Et che questo nome non sia greco, ma Arameo, lo mostra nel primo Iosefo, dicendo che Abraham habitò vicino ad Ebron, al lato del Leccio di Ogige. Il quale Ogige come pur adesso habbiamo mostrato è esso Noè, che anchora per sopranome fu chiamato Cielo e Iano…”234. Come vediamo, oltre all’utilizzazione di Annio da Viterbo, nonché di Iosefo235 in direzione opposta all’impiego curziano, il Gello richiama un'altra opera munsteriana: il Dictionarium Trilingue del 1530236. Anche poco, del resto, Muenster risulta imprescindibile per asserire che Saturno sia figlio di Cielo e quindi di Noè che coincide con quest’ultimo. Di conseguenza Cam risulta essere figlio di Noè. Il Giambullari, tuttavia, ricorre anche ad altri autori pagani e classici per dimostrare questa tesi, rifiutando invece possibili sostegni derivanti da Beroso237, come accennato architrave invece delle posizioni aramaiche di Giambattista Gelli238. Dice, infatti, il canonico laurenziano che “Saturno… fosse figliuolo di Cielo, chiarissimamente lo mostrano tutti i poeti Greci e latini […] Dimostralo medesimamente la scelerata impietà de’l castrar suo padre, come cantano tanti scrittori, e Mosè stesso nel nono del Genesi racconta; ma con parole più coperte.”239 Menzionate poi alcune notizie su Cam ricavate da Giovanni Lucido e Diodoro Siculo, il Gello ritorna all’episodio della castrazione di Noè240 sulla base della versione muensteriana: “La onde, non senza cagione dice Mosè nel luogo predetto che svegliatosi Noè da’l vino, e intendendo cio che fatto gli haveva Cam suo minor figliuolo: maledicesse, non lui, ma Canaam figliuolo di quello: et lo fece schiavo di Sem et di Iafet.”241

“Et evigilavit Noah a vino suo, et cognovit quae fecerat ei filius suus minor. Et ait: maledictus Chnaan, servus servorum erit fratribus suis. Dixitque : benedictus dominus deus Sem : et erit Chnaan illi in servum.”242

adhuc aliqua pars esse, et quosdam bitumen exinde tollere, quo maxime homines ad expiationes utuntur.” e a lato, in corrispondenza del precedente passaggio si legge “in Armenia Arca reliquas ostendi”. Inoltre, in proposito cfr. anche A. D’Alessandro, “Il Gello” di Pierfrancesco Giambullari mito e ideologia nel principato di Cosimo I, in La nascita della Toscana. Dal Convegno di studi per il IV centenario della morte di Cosimo I de’ Medici, Firenze, Olschki, 1980, pp. 80-83. 233Gello, cit. pp. 11b2-12b2. 234Ivi, p.13b3. 235Antiquitatum Iudaicarum, cit., p. 13b1, dove leggiamo a conferma del fatto che Abramo abbia per un periodo abitato presso Ebron (in proposito cfr. Gello, cit., p. 13b3): “…ipse partem ab eo relictam, habitavit in civitate Ebron…”. 236S. Muensterii, Dictionarium Trilingue, Henricus Petrus Augusto, anno MDXXX, cfr. in particolare p. 103. 237Gello, cit., pp. 13b3-14b3. 238In proposito rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 35-36; cfr. inoltre A. D’Alessandro, “Il Gello”, cit., pp. 80-83. 239Gello, cit., p. 14b3. 240Ivi, pp. 14b3-15b4. 241Ivi, passo cit. a p. 15b4. 242Hebraica Biblia, cit., p. 8b2.

42

Page 43: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Infine, ancora sulla figura di Cam-Saturno il Gello ripropone altri passaggi biblici munsteriani, dichiarando esplicitamente ad uno stupito Curzio, l’ispirazione talmudica delle sue citazioni scritturali243. “sempre da Mosè posto il secondo infra i tre primi figliuoli di Noè. Conciosia che e’dica nel VI del Genesi. Et generò Noè tre figliuoli, Sem, Cam e Iafet.”244

“Genuit vero Noah tres filios: Sem, Ham, Iapheth.”245

“Et nel VII. A la fine di quel giorno, entrò nell’Arca Noè, Sem, Cam, e Iafet suoi figliuoli, la moglie sua e le nuore.”246

“Venitque Noah et filius eius et uxor eius et uxores filiorum eius secum ad arcam propter aquas diluvii.”247

“E nel principio del capo X. Queste sono le generationi de figliuoli di Noè, Sem, Cam, Iafet.”248

“Haec sunt generationes filiorum Noah, Sem, Ham e Iapheth…”249

Il Gello, appagata la curiosità del Curzio sull’appellativo di Cielo attribuito a Noè, spiega il senso di un altro nominativo appartenente al personaggio biblico, quello di Iano, facendo propria la spiegazione esposta nel Trattattello dell’origine di Firenze dal Gelli secondo la quale Iano in aramaico deriva “da Iain che…significa vino, e da No, che vuol dire famoso…cioè famoso e celebre per il vino: per esser’ egli stato il primo inventore di quello, come aperto narra Mosè nel sesto del Genesi: et il primo che insegnò coltivar le vigne in Italia…”250. In realtà, l’attribuzione dell’invenzione del vino a Noè nella versione muensteriana si riscontra nel capitolo IX e non nel VI della Genesi, dove è scritto:”Coepit Noah esse vir (cultor) terrae et plantavit vineam.”251 Tuttavia, il binomio Noè-Iano presupposto dell’identità di Noè con il Giano romano provoca le ulteriori obiezioni del Curzio che mette in dubbio la provenienza di Giano dall’Armenia, nonostante la precedente esplicazione linguistica sulla voce aramaica Iain. Allora, il Gello non potendosi avvalere di Lucido che si basa su Beroso252, per giustificare la navigazione di Noè dalla “Mesopotamia, da gli Hebrei chiamata Aram: dove si moltiplicò prima la specie humana, in tanta abbondanza: che mestiero le fu di allargarsi negli altri paesi” al Lazio, ricorre ad Ateneo. Peraltro, subito dopo recupera lo stesso Lucido ma soltanto in quanto convergente con la logica del Noè biblico muensteriano, poiché colloca temporalmente la venuta noachica in Italia ”cento e otto anni dopo il diluvio generalissimo…”253. Risulta abbastanza evidente anche dall’impiego di Luciano, quanto rilevato dal D’Alessandro, sulla diversità del ruolo attribuito a Beroso, rispettivamente auctoritas imprescindibile nel De Etruriae postelliano dove integra e chiarisce l’autentico significato delle Sacre Scritture, utilizzato soltanto quando non contraddice il testo biblico munsteriano nel Gello254.

243Gello, cit., p. 15b4. 244Ibidem. 245Hebraica Biblia, cit., p. 6a6. 246Vedi nota 243. 247Ivi, p. 6a6. 248Gello, cit., p. 15b4. 249Hebraica Biblia, cit., p. 9b3. 250Gello, cit., p. 16b4. 251Hebraica Biblia, cit., p. 8b2. 252Gello, cit., pp. 17c1-18c1. 253Gello, pp. 17c1-18c1; inoltre sulle fonti in questione e sul loro utilizzo cfr. P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 37-38, in particolare su Ateneo ivi vedi nota n. 64. 254A. D’Alessandro, La scoperta di un passo di Ateneo, cit., pp. 270-279.

43

Page 44: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Nel mirino del Giambullari cade poi anche Macrobio, il quale difformemente dalla Bibbia ritiene le due faccie della medaglia del Giano bifronte, allusive della prudenza di Noè mentre in realtà: “e volti della sua impronta, significano che e vide il secolo dinanzi al diluvio; e hebbe verissima e piena cognizione di cio che era stato avanti a quello : e che e vide la nuova successione de gli uomini dopo il diluvio. Il che volendo che noi intendessimo chi primo fece quella medaglia, vi aggiunse per rovescio la nave; cioè l’Arca stessa, dove egli salvò se medesimo, e noi come narrano le historie sante.”255 Del resto, anche in un’altra circostanza questa fonte si rivela inattendibile, quando attribuisce la nave del viaggio in Italia a Saturno Cretese, personaggio da cui sarebbe derivato il nome di Saturnia, perché ignaro della “verità della historia, che era solo appresso gli Hebrei”, e con lui Ovidio256. In realtà, il personaggio in questione, corrisponde al figlio di colui che Mosè chiama “Cus figliuolo di Cam, figliuolo di Noè: il quale Noè, o volete dirlo Iano, e benignamente lo ricevette; et lo fece signore dila dal Tevere di tutti que popoli, che dipoi si chiamaron Lazio.”257 Si tratta di Sabazio, figliuolo di Cus, indicato nella bibbia munsteriana al capitolo X della Genesi come Sabtha258. Pertanto, il Gello conclude che “la Italia è chiamata Saturnia, da Saturno Caspio che venne a Iano: et non dal Cretese, che comiciò a regnare CCCCLV anni dopo la morte di esso Iano.”259 Acclarato il viaggio di Noè-Giano e di Sabazio in Italia, Curzio interroga il Gello riguardo alla successione dei re d’Italia da Iano fino ad Ercole. Il Gello, cita nuovamente tra le sue fonti: il Lucido e l’Annio. Sulla veridicità dei commenti di quest’ultimo, tuttavia, emergono ulteriori malcelate riserve, e la posizione gelliana appare estremamente cauta e prudente: “ma comunque…di tutta la historia ch’io dirò tra la venuta di Iano e quella d’Ercole suo bisnipote, rimanga pure ogni credito appresso di chi la scrive: ch’io per me non ci voglio né honore, ne biasimo alcuno.”260 Diversamente riguardo agli umbri, primi abitanti della penisola, il Gello propone la tripartizione berosiana fondata sull’area di provenienza e su quella di stanziamento261, sostenendo poi che gli umbri “discesero da gli antichi Galli” i quali “non sono i Francesi, ma sono quegli stessi padri che si salvarono da’l diluvio. Dicendo l’Annio che i Galli sono così chiamati con antichissima voce Etrusca, Aramea, et Hebrea…”262. Inoltre, sulle origini degli umbri, il Giambullari offre ulteriori delucidazioni rifacendosi al dotto ebraista domenicano Santi Pagnini e richiamando un passo del libro di Isaia della Hebraica Biblia, rispondendo che “Gal, come veder si può in Santi Pagnino263, significa l’onda marina, per lo aggiramento del moto suo: e Galim nel plurale, l’onde; dicendosi nel XXXXVIII d’Isaia, e la giustizia tua che Galim cioè come l’onde marine.” 264

“tunc fuisset quasi fluvius pax tua, et iustitia tua sicut fluctus maris.”265

255Gello, cit., pp. 18c1-19c2. 256Ivi, p. 19c2; inoltre sulle fonti in questione cfr. A. D’Alessandro, Il “Gello”, cit., p. 84. 257Gello, cit., p. 20c2. 258Hebraica Biblia, cit., p. 9b3. 259Gello, cit., p. 23c4. 260Ivi, p. 27d2. 261Ivi, pp. 27-28d2. 262Ivi, pp. 27d2-28d2. 263Biblia, latino. 1528. Pagnini. Biblia. Habes in hoc libro utriusque Instrumenti novam tralationem aeditam a Sancte Pagnino, [Lugduni, per A. du Ry, 1527] nella quale leggiamo “Et fuisset sicut flumen pax tua, et iustitia tua sicut fluct maris.”, fo. 236. 264Gello, cit., p. 28d2. 265Hebraica Biblia, cit., vol. II, passo cit. a p. 401FF6. Espressione quella del “Quasi pluvius pax tua” che nel testo muensteriano è anche oggetto di una delle note marginali al capitolo XXXXVIII di Isaia, indicata con la lettera h che motiva l’espressione in questione con le seguenti parole: “Hoc est, multa fuisset pax, sicut aquae fluvij plurimae sunt: et iustitia tua fuisset perpetua, sicut mare nunquam est sine fluctibus. Porrò per interiora maris quidam intelligunt lapillos maris alij pisces eius.”

44

Page 45: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Puossi dunque inferire…che i Galli antichi fossero gli inondati, cioè Noè co’ figlioli, che si salvarono a galla su per l’onde, nella Arca del diluvio; et che gli Umbri fossero i figlioli di costoro…”266 Passaggio questo che merita qualche attenzione in quanto diverge con il corrispondente presente nel De Etruriae in cui manca la specificazione secondo cui gli antichi Galli che si salvano dal diluvio non sono in nessun modo collegabili ai francesi267. Una differenza che denuncia una profonda alterità di impostazione generale. Nel De Etruriae, infatti, dopo alcune pagine il visionario francese svolge un’ampia parentesi per associare strettamente, attraverso la paternità di Comero figlio di Iapeto e nipote di Noè, i Galli del diluvio, da cui derivano gli umbri, ai francesi in modo da legittimare le aspirazioni imperiali della corona francese in relazione al suo disegno profetico di restitutio politico-religiosa: “Quod Gallus sit dictus ex primogeniturae eius vocabulo potest cognosci. Eius enim primogenitus fuit Iapetus cuius rursum primogenitus fuit Gomerus primo post diluvium natus. Iosefus autem ait eos, qui suo seculo Galli seu Galathae nominabantur olim vocatos fuisse Gomeritas quos Gomer instituit. Berosus autem affirmat in ipsa Umbria eos qui erant ex posteritate Gomeri avito nomine vocatos fuisse a Iano Gallos. Quod si deprecemur viri authoritatem audiamus Romanos et in primis Catonem qui sic ait: venisse ex illis qui diluvio superstites fuerant ab Armenia Ianum in Italiam cum Gallis progenitoribus Umbrorum et c. Quare avitum nomen eorum qui fuerunt diluvio superstites, est Gallus. Fluctibusque ereptus, quod avitum nomen soli Gomeritarum familiare voluit dari Quam merito vero parens hominum sit dictus Gallus satis constat.”268 Inequivocabile conferma in questa direzione del resto, appare il passo contenuto nella lunga lettera di risposta del Postel al Giambullari del 30 maggio 1549, posta in appendice al De Etruriae e volta a sostenere la veridicità intangibile di Beroso sulla cui base, scardina definitivamente l’identificazione di Galli e italiani per lasciare chiaramente il posto all’associazione tra Galli sopravvissuti al diluvio e francesi: “Quod autem multo minus corruperit Annius illud obstat, quod nulla ad eum inde commoditas pervenire poterat. Multo minus vero ad suae gentis gloriam. Cogitur enim velit nolitve quam vult esse in tota Italia, uti est, antiquisssimam Aboriginum et Ombrorum originem in Gallos diluvio superstites referre. Gallim enim fluctibus ereptos fluctuatosve sonat. Quare quum legerit apud Iosefum Gomeritas non tantum esse Italos Gallos, sed illos qui postea Celtae dicti sunt, fuisseque a Gomero institutos, qui fieri potuisset ut fingeret quod

266Vedi nota 264. 267De Etruriae regionis,cit., dove a p. 68iII leggiamo: “Positivo veritatis et Plinii historia et Graecorum fabula oritur. Quod fuit aliquando diluvium generale, in quo praeter paucos superstites totum genus humanum et animantium fuit consumptum, ita ut fuerit nocesse totum gehnus hominum ab uno Deucalione et ab una Pyrrha reparari, et tandem ab ea familia eorum qui liberati sunt a Diluvio venere in italiam, eiusmodi homines qui in nominis sui ratione memoriam diluvii conservarent aeternam, sunt Ombri vel Umbri, quasi umbrii. Hoc autem nomen est a Graecis loco Ebraici et veri suppositum…Gal enim ut notavere qui de hac re iam ample scripserunt fluctum significat, et aquorum copiam. Unde Ombrii seu Umbrii olim vocabantur Gallum vel Gallim impluviati quos posteritas vocavit Gallos.” 268Ivi, p. 97-98n1. Sul sistema postelliano e sulla valenza filo-francese del significato da lui attribuito al termine Gallo rinviamo a Claude-Gilbert Dubois, Le Développement Littéraire d’un mythe nazionaliste avec l’édition critique d’un traité inédit de Guillaume Postel. De ce qui est premier pour reformer le monde, Paris, Vrin, 1972, pp. 54-84 in particolare p. 63 e a Marion L. Kuntz, Guillaume Postel and the World state: Restitution and the Universal Monarchy in “Hystory of European Ideas 4”, n. 3-4, Oxford, 1983, pp. 299-323 e 445-465 ora in id. Venice Myth and Utopian Thought, cit., rinviamo in particolare alla Part II, pp. 445–465 e sul significato di Gallim a p. 447; inoltre sul ruolo provvidenziale attribuito alla corona francese nel disegno profetico postelliano cfr. anche P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., in particolare pp. 89-98, A. D’Alessandro, G. Postel e Pierfrancesco Giambullari, cit., in particolare pp. 263-265, e Yvonne Petry, Gender, Kabbalah and the Reformation, cit., pp. 51-69.

45

Page 46: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

contra suum argumentum faceret? At vero ipsius Iosefi sententia de illo audienda est, libri primi cap. III ait Berosum de iis, quae circa diluvium contingerunt omnino consentanea Mosi dixisse. Hoc vero in primi libri epitomate clarum sit in Beroso.”269 Tornando al Gello la centralità munsteriana viene confermata anche dalla strutturazione del racconto della venuta di Giano in Italia e dalla successione dei re da lui originati fino ad Ercole Libio, attraverso riferimenti ed elementi proposti da questa fonte, strumentalmente impiegati per avvalorare le tesi linguistiche aramaiche. Infatti, nel momento in cui il Gello afferma riguardo al momento dell’arrivo di Noè in Italia che “Puossi ben’ dire, così alla grossa aggiustando fede a Beroso, che ne l’anno 1765 de la creatione, e 109 da’l diluvio Noè venne in questi paesi, con Comero…et ci stette 33 anni…Et che nell’anno XXIV di questa sua stanza, cominciò Nembrot a regnare in Assiria, disegnar Babilonia, e fondare la torre”270 oltre a ripetere quello che aveva già tratto da Lucido, continua a seguire la cronologia biblica munsteriana. Stessa cosa avviene a proposito del regno di Oco Veio, successore di Noè tornato dopo 33 anni in Armenia e di Comero nipote di quest’ultimo che governa l’Italia per 58 anni, durante il cui regno “nel XXIIII anno suo, nacque in Caldea il padre di Abramo”271 con l’ennesimo riferimento biblico272. Ulteriore conferma della rilevanza per il Gello della Bibbia muensteriana, si ha con riguardo al passaggio sul ritorno in Italia di Noè, integralmente tratto dalla seconda parte della nota c al capitolo XI della Genesi, nella versione dell’umanista tedesco, partendo da “annoverano”: “L’anno LXXII di Iano, cioè della seconda venuta sua, che è il 340 da’l diluvio, fu fatta la divisione delle lingue, come nel Seder holande de gli hebrei appare, benché altrove si dica 68 anni prima; cioè l’anno 272 dopo il diluvio. Ma io dico 340, perché Sebastiano Munstero sopra lo XI capo del Genesi dice queste parole. Annoverano gli Hebrei da’l diluvio, a la divisione delle lingue, anni 340: il che potrà vedersi nel libro Seder holam; una parte del quale habbiamo noi pubblicata, col

“Numerant autem Hebraei a diluvio usque ad divisionem linguarum, anno CCCXL. Videre id fusis licebit in libro Seder olam, eius partem in Calendario Heb. Evulgavimus.

269Ivi, pp. 226fI-227fII che si trovano nella lettera del Postel al Giambullari Viro Bono et Sapienti Petro Francisco Giambullario, inter aedis D. Laurentii mystas canonico et Accademico carissimo Fiorentino Gulielmus Postellus sacerdos imitationis apostolicae studiosus salutem, pp. 219-251 e precisamente all’interno del capitolo XLVIII, Quod sint Berosi Chaldei quae eius nomine circumferentur (in proposito cfr. D’Alessandro, G. Postel e Pierfrancesco Giambullari, cit., in particolare pp. 272-274) propedeutico al diritto all’imperio universale dichiarato a chiare lettere all’interno dell’epistola postelliana nel capitolo successivo, Argomenta ex ipso Beroso petita. Quod sit impossibile quicquam illum in sua historia finxisse, in cui leggiamo alle pp. 232f4-233g1: “Quare ius aeterni imperii fore in domo Gomeri et eius patris impeti quem una secum in Europam duxit manifestissime demonstravit esse secundum patris universorum Noachi voluntatem[…]”. 270Gello, cit., p. 29d3. 271Ibidem. 272Hebraica Biblia, cit., cfr. in particolare Genesi, capitolo XI, p. 10b4 in cui leggiamo infatti: “Et vixit Nahor vigintinovem annis et genuit Taerah.[…]Terah vero vixit septuaginta annis et genuit Abram…”. 273Kalendarium Hebraicum, cit., sul quale cfr. in proposito pp. 13c3 e 27e2, peraltro con indicazione anche dell’opinione che tra diluvio e divisione delle lingue intercorressero soltanto 272 anni a p. 13c3, dove leggiamo: “A diluvio usque ad divisionem, ducenti septuaginta duo anni. (con a fianco le parole “aliter 340”)”, puntualmente riproposta dal Giambullari che però afferma decisamente quella dei 340 anni. Del resto, di seguito, alla precedente asserzione il Muenster scrive nel Kalendarium “A nativitate Abraham usque ad divisionem, quadraginta octo anni” che unita con la cronologia di p. 27e2 a proposito della nascita di Abramo: “A diluvio ad Abraham, anni 292” è evidente sostegno al computo dei 340 anni, senza dimenticare il riferimento a Genesi 15 nella medesima pagina. (cfr. inoltre in tal senso ancora p. 13c3 la cronologia concernente Noè “quando venit diluvium, Noah fuit filius 600 annorum: vixitque post diluvium 350 annis.” ).

46

Page 47: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Calendario degli Hebrei273. Et di qui si vede manifestamente: che Noè visse dieci anni dopo la confusione delle lingue. Et che essendo pur’ egli padre di tutto quel popolo non potette però raffrenare i tralignati figliuoli da la stolta prosuntione loro: con la quale si sforzavano di farsi illustri, per lo edificio di si gran torre: ne i ribelli da’l precipitarsi nella idolatria: e da’l negare l’altissimo Dio.”274

Unde pater Noah vixisse decem annos post linguarum confusionem. Et cum totius illius populi esset pater, non potuit degeneres filios cohibere a stulta praesumtione, qua nitembantur celebrare nomen suum ingentis turris aedificio. Sed nec rebelles filios cohercere potuit, quin in pessimum idolatriae laberentum vitium, et deum negarent altissimum.“275

Il Muenster pertanto rende possibile la concordanza tra teorie linguistiche del Giambullari e Convivio dantesco I, v, 9. Infatti, il canonico di S. Lorenzo può asserire che la confusione delle lingue si sia prodotta posteriormente al regno di Nembrot che iniziò la costruzione della torre di Babele ma morì prima che fosse completata, dopo 56 anni di regno, proprio grazie alla totale mancanza di indicazioni in proposito, nell’”infallibil scritto di Mosè”276. Periodizzazione che, tuttavia, non placa le perplessità di Curzio favorevole ad una ben diversa cronologia: “Voi mi dite una cosa…che io non l’ho più udita: e non so come ella si stia. Perché se la confusione delle lingue fu fatta nel murare la Torre di Babel; e Nembrot murò la Torre; e non visse nel Regno più che anni 56: Io non mi so acconciare nello animo, come voi arrecchiate a’l 72 anno di Iano, che è il 1996 del mondo, quello che era stato prima 153 anni almeno; quando bene fosse stato l’ultimo anno di esso Nembrot.” Obiezione che in realtà poggia su una periodizzazione della confusione delle lingue che per quanto profondamente diversa da quella costruita nel Gello converge invece con quella esposta in un’altra opera muensteriana, anch’essa conosciuta dal Giambullari secondo quanto si evince chiaramente dalla p. 70 del Gello: la Chaldaica Grammatica277. Infatti, il Muenster in quest’ultima opera, edita nello stesso anno del Kalendarium Hebraicum, richiamato direttamente nella lettera dedicatoria della Gramatica278, individua l’inizio della costruzione della torre di Babele, nel 131° anno successivo al diluvio universale quando sorge il regno di Nembrot, attraverso la riproposizione del racconto di Beroso Caldeo:

274Gello, cit.,p. 30d3. 275Hebraica Biblia, cit., p. 10b4. La prima parte della nota si sofferma sulla radice del termine “Babel” che “confundere et comiscere significat…”. 276Gello, cit., p. 30d3. 277Chaldaica Grammatica, antehac a nemine attentata, sed iam primum per Sébastianum Muensterium obscripta et aedita…[Colophon: Basileae, apud Io. Frobenium, anno 1527]. Quest’ultima non segnalata tra i testi utilizzati nel Collegium Trilingue. 278Ivi, nella lettera dedicatoria, leggiamo infatti: “Chaldaice autem linguae studium ob hanc potissimum suscepi causam, quod viderem non solum Danielem et Ezram ex magna parte Chaldaice Scriptos, verum et omnes Hebraeorum Biblicas interpretationes, vel omnino esse Chaldaicas, ut sunt Thargumin Onkeli, Ionathan, Vzielis et reliquorum, vel multo habere de Chaldaismo, ut sunt Rabbinorum peruschim seu commentarij: et in summa, quicquid ab Hebraeis iam longo tempore scriptum est, aeque resipit Chaldaismum atque Hebraismum: id quod cuique perspicuum esse poterit, qui vel mediocrem noticiam Hebraicae Bibliae assecutus sit, et in autorem aliquem Hebraeum inciderit. Testabitur id quoque Kalendarium Hebraicum a me iam aeditum, et brevi orbi suppeditandum.” In proposito cfr. una lettera inviata dal Munster a Beato Renano il 9 marzo 1526, da Heidelberg a Basilea in cui leggiamo: “[…]Cetrum per hiemen instantissime incubui Grammaticae Chaldaicae edendae atque eiusdem linguae dictionario. Atque utrumque est mihi denuo excribendum. Grammaticae principium mitto Basileam, non quod iam excudatur, sed ut ea, quae de linguarum affinitate a principio primi octernonis scribo, per te in forma elengatiorem redigantur, id quod homo doctus facile possit facere quemadmodum et iam saepenumero mihi et omnibus studiosis in hoc operam tuam praestitisti […]Epistulam nondum adieci persuasus, ut eum dedicem Eberhardi, Ottonicae Silvae domini filio studiosssimo, ad quem post paschales ut arbitror vocandus sum ferias.[…].”

47

Page 48: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“tradunt non modo literae humanae, verum et divinae, Chaldaeorum regionem non longe post desicccationem orbis ab aquis diluvij, in magnum et praecipuum Asiae excrevisse regnum. Nam scributur Genesis II. Quod filij Adam quum adhuc essent labij unius, eorundemque sermonum, coeperint extruere civitatem et turrim magnam in ea, cuius culmen usque ad coeli altitudinem erigere moliebantur, quo scilicet deinceps aquarum facile declinare possent inundatiam. Quorum stultam praesumptionem deus non ferens, prius quam aedificium illud ingens ad umbilicum non perduceretur, tantam inter eos fecit linguae confusionem, ut nullus fere quid alius loqueretur intelligeret. Ob quem eventum et locus deinceps Babel ab omnibus vocatus est, quod tam Hebraeis quam Chaldaeis confusionem sonat. Illis itaque quibus nativa relicta erat lingua regionem illam et patriam retinentibus, caeteri in universum dispersi sunt mundum. Huic scripturae loco alludens Berosus Babylonius antiquissimus Historiographus,quippe qui ante monarchiam Alexandri Magni in Chaldea floruit, in quarto libro ita loquitur: Quum post salutem humanam ab aquis, genus humanum in immensum esset multiplicatum, et ad comparandas novas fides necessitas compelleret, Ianus pater, qui et Noha, adhortatus est homines principes novas quaerere fedes, et edificare urbes. Quare Nimbrotus cum populo venit in campum Sennar, ubi designavit urbem, et fondavit maximam turrim, anno salutis ab aquis 131, quam deduxit ad altitudinem et magnitudinem montium, in signum atque monimentum quod primis in orbe terrarum est populus Babylonicus, et regnum regnorum dici debeat. Non tamen turrim ipsam complevit, et c. Haec Berosus gentilis. Scribit etiam quod multi libri in Chaldaica lingua post diluvium scripti fuerint, de disposizione mundi, de vaijs colorijs et urbibus quae fuerunt ante cataclismum . ”279 Sulla base di questa periodizzazione e considerata la durata complessiva del regno di Nembrot in 56 anni, la confusione delle lingue, avviene pertanto nel 187° anno successivo al diluvio universale, esattamente 153 anni prima del termine di 340 anni stabilito nel Kalendarium e nella Biblia Hebraica280, in linea con le parole del Curzio. Quest’ultimo, tuttavia, pur ricorrendo anche a Giuseppe Flavio non può comunque evitare la perentoria bocciatura del Gello: “Come gli Hebrei se l’acconcino…io non lo so: ma bene vi dico quello che io n’ho letto, e dove io l’ho letto, Pensivi chi lo scrive, che io non ne voglio ne honore, ne vergogna. Dicendone massimamente Iosefo Iudeo egli anchora in altra maniera, ma conforme forse al

279Chaldaica Grammatica, cit., p. 1b1-2b1. 280Prospettiva alternativa che il Muenster manterrà anche 25 anni dopo, nella successiva Cosmographia universalis Lib. VI. In quibus, iuxta certioris fidei scriptorum traditionem describuntur, omnium habitabilis orbis partium situs, propriaeque dotes. Regionum Topogaphicae effigies. Terrae ingenia, quibus fit ut tam differentes et varias species res, et animatas et inanimatas, ferat animalium peregrinorum naturae et picturae. Nobiliorum civitatum icones et descriptiones. Regnorum initia, incrementa et translationes. Omnium gentium mores, leges, religio, res gestae, mutationes : Item regum et principum genealogiae, ex Henricii Petri officina, Basileae, 1552. Ivi, nel libro V, alle pp. 1025-1026zz1 in cui si trova il paragrafo dedicato a “Babylonia et Chaldea” infatti, leggiamo: “Hac in regione iuxta Tigridem fluvium mox post diluvium coeperunt filij Adam extruere civitatem et turrim in ea, cuius cacumen erigeretur in coelum, subuexerunt autem, ut quidam scribunt altitudinem quinque millium, centum, septuaginta quatuor passuum: at deus praesumptionem illorum coerces, sine gladio, peste aliove morbo, solius linguae, quae tunc unica fuit, confusione, illorum conatum impedivit, quare et locus ille deinceps ab eventu illo Babel fuit dictus. Sonat autem Babel mixturam. Mixta enim fuit prima et originalis Hebraica lingua, nedum dialectis et idiomatibus varijs[…]Homines itaquae unam et propriam intelligentes linguam, coadunati sub certo duce, peculiarem sibi vendicarunt in orbe terram. Puta Aegyptiace loquentes eam terram a cultoribus suis Aegyptus fuit vocata, Teutones Germaniam, Itali Italiam, secundum quod quisque populus a Iano summo patre, hoc est, a Noah, qui adhuc vivebat, terram acceperat sibi designatam. Apud paucissimos mansit lingua nativa nempe Hebraica, in ea scilicet famiglia qua descendit Abraham patriarcha, in cuius posteritate sola, sancta remansit lingua. Eos autem qui in Babylonia sive Chaldaica remanserunt, coegit Nimrod ad obedientiam suam, inchoavitque monarchiam primam. Iosephus affirmat Nimrodum gigantem, principem fuisse eorum, qui turris aedificium moliebantur. Nimrodo successit Belus…”.

48

Page 49: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

vostro parere. Concio sia che nel primo delle antichità, ragionando de la Torre, e della confusione delle lingue egli scriva cosi. De la Babilonica Torre, e de le diverse voci de gli huomini fa mentione anchor la Sibilla, dicendo: Mentre che tutti gli huomini avevano un parlar’ solo; edificarono certi una Torre altissima, come per scala da andare in Cielo: Ma gli Iddij atterrarono la Torre co’ venti; e a ciascuno di quegli uomini attribuirono proprio e particolare linguaggio. Et però si chiamò la Terra Babel. Ma ne per questo anchora si potrebbe però convincere, che la confusione fosse fatta sotto Nembrot; non lo dicendo massimamente lo infallibile scritto di Mose. Perché quanto maggiore fu quello edificio: tanto più tempo ci volse a farlo. Et se Nembrot fondò la Torre, non avendo egli regnato più che anni 56; non potette vederla tanto alta che ella meritasse di esser disfatta per mano degli Angeli.”281 Punto di vista, quello espresso dal canonico fiorentino sulla confusione delle lingue di evidente matrice aristotelica, che entra in contraddizione anche con la posizione di Guillaume Postel espressa fin dagli scritti della fine degli anni trenta per altri versi ispiratori dell’orientamento aramaico come detto del nostro canonico e soprattutto di Gian Battista Gelli, e precisamente il De originibus seu de Hebraicae linguae…pubblicato insieme al De linguarum duodecim…282. Il De Etruriae mantiene e approfondisce il punto dell’incorruttibilità della lingua a ulteriore conferma delle profonde differenze di ispirazione che lo separano dallo scritto del Giambullari. Ultima manifestazione del resto, di un percorso ben chiaro già negli scritti della prima metà degli anni Quaranta che registrano un corso di rapporti non certo positivi tra il Postel e Sebastian Muenster283. Ai rinvii espliciti e agli elogi rivolti al Muenster nei menzionati scritti del 1538, da cui traspare anche la consonante utilizzazione di Plinio e Beroso Caldeo come fonti delle fantasie aramaiche, la convergenza sull’identità di Noè e Giano, oltre alla condivisa prospettiva dell’unicità della lingua da Adamo a Nembrot, rinvenibili nella Chaldaica Grammatica munsteriana284, subentra, infatti, un profondo contrasto tra il visionario francese ed il dotto ebraista tedesco.

281P. Giambullari, Gello, cit., passo cit., a p. 31d4. 282Gulielmi Postelli Baren. Doleriensis de Originibus seu de Hebraicae linguae et gentis antiquitate, deque variarum linguarum affinitate, liber. In quo ab Hebraorum Chaldeorumve gente traductas in toto orbe Colonias Vocabuli Hebraici argumento, humanitatisque authorum testimono videbis: literas, leges, disciplinasque omnes inde ortas cognosces : communitatemque notiorum idiomatum aliquam cum Hebraismo esse, Prostant Parisiis : apud Dionysium lescuier, sub Porcelli signo e regione D. Hilarii [Parigi] : excudebat Petrus Vidovaeus, vigesima septima Martijs 1538, legato ed editato insieme al De linguarum duodecim characteribus differentium, cit. ; sul De originibus cfr. inoltre Jean Ceard, Le “De Originibus” de Postel et la linguistique de son Temps in Postello, Venezia e il suo mondo, cit., pp. 19-43. 283Sul nodo dell’incorrutibilità della lingua e delle divergenze sostanziali a livello linguistico ed ideologico, esistenti tra gli accademici fiorentini ed il Postel rinviamo nel suo complesso a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., e a proposito degli spunti forniti dal Postel per la formulazione delle tesi aramaiche cfr., ivi, pp. 56-60. 284Nel De originibus, cit., Postel rinvia a p. E1 (pagine non numerate) a Santi Pagnino e al Muenster a proposito del “Omnes grammaticas linguas, precipue orientales, Hebraicae affines, locutiomne, signis aut vocibus esse” quando dice “Quia vero de Chaldaismo satis constat argumentum illi qui Aruch Hebraice scriptum, aut, Latine a Sancte Pagnino datum viderit seu Muensteri grammaticas introductiones Chald. Legerit, esse verissimum, illam vocum affinitatem in Chaldaic. Ne sin tediosus obmittam.” Posizioni ribadite anche nel De linguarum duodecim characteribus differentium, cit., nella Praefatio quando insieme alla diligente opera in ambito grammaticale per nomi e verbi ebraici di Elia Levita, viene ricordato il contributo muensteriano a proposito dei nomi e dei verbi latini accompagnato dai nomi di Reuchlin, Campense, Santi Pagnino; leggiamo infatti a bIII (pagine non altimenti numerate): “Nomina ipsa et verba in tabulis habebis. Caetera ex ipsis gramatices authoribus tibi comparandis. Ex Hebraeis diligenter tractavit Rabi Mose Kimhi…Elias Germanus…Ex latinis Reuchlinus, Sanctes Pagninus, Campensis, Munsterus diligenter tradiderunt.[…]” (in proposito cfr. Bouwsma, Concordia mundi, cit., alle pp. 57-58), inoltre ivi il Postel richiama direttamente la grammatica chaldaica del Muenster in conclusione del capitoletto De lingua Chaldaica quando a cII afferma: “Haec satis erunt pro introductione. Caeterum grammatica nil differt ab ea, quam Muensterus tractavit, illic lectorem diligentem remittam.”

49

Page 50: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

La loro distanza, infatti, emerge pienamente nell’evidente risentimento espresso dal dotto ebraista tedesco in una lettera del 1544, per le critiche mosse dal francese alla traduzione dall’ebraico in latino, del vangelo di Matteo realizzata nel 1537, e per le obiezioni relative alle prospettive linguistico-religiose munsteriane sulla cultura e la lingua ebraica285. Muenster che come documentano le successive pagine del Gello, ricche di rinvii alla Hebraica Biblia, non sembra assolutamente risentire dei contrasti sorti col Postel nella percezione del canonico laurenziano. D’altra parte Giambullari ignora, difficile dire se volutamente o meno, gli scritti postelliani degli anni Quaranta. Appunto sulla base della Genesi munsteriana il Giambullari scrive che, durante il diciottesimo anno di regno in Italia di Crano, figlio di Iano ormai morto, “uscì Abramo di Caldea con la gran promessa di Dio. Et lo XI anno di poi essendo egli già di 68 gli nacque Ismal non legittimo, che fu l’origine degli Arabi l’anno 42 di Crano, che è il centesimo di esso Abramo nacque il promesso figliuolo Isaac, unica e sola radice del popolo Hebreo, come ampiamente descrive Mosè.”286 Sono ben tre diversi passaggi testuali muensteriani a ispirare il canonico laurenziano in questo punto. In primo luogo, il capitolo XII sulle promesse divine ad Abramo.287 In secondo

In tal senso cfr. quello che Postel considera il giusto significato da attribuire a quanto Plinio scrive al cap. 56 del settimo libro della sua Historia naturalis al cap. 56, quando nel De originibus, cit., afferma a p. a4 (secondo la sequenza che nel testo si ferma ad a3 e ricomincia soltanto a b1): “Plinius ille…asserit tam antiquum fuisse Syris et Chaldeis literarum usum, ut multi illos aeternas apud illos putarint […]Hoc revera docet apertissimae primis et antiquissimis literis scriptiasse Hebreaos et Chaldaeos: nam iidem sunt qui et Assirij. et ante Heber, a quo dicti Hebraei sunt, erant unum cum Chaldaeis genus, ex quo genere elecuts est primo Abrahamus omnibus priscis authoribus celebris. Plinius etiam 5. lib. Cap. 12. confirmat praedictam sententiam, Ipsa gens Phoenicum (Phoenicibus, Syros universos de quibus ibi loquitur intelligit) in gloria magna, litterarum inventionis et syderum, navaliumque ac bellicarum artium fuit. ” con il passo muensteriano della Grammatica a p. 2b1 che esprime un concetto analogo nella sostanza: “Hinc quoque Plinius lib. 7, cap. 56 motus, arbitratur literas Assyrias et Babylonicas perpetuas fuisse. Nam regnum Babylonium non tam potentia quam scientia et sapientia, maxime matematica, semper floruit…”. Inoltre sull’identità stabilita tra Noè e Giano, sulla confusione delle lingue e sull’utilizzazione della fonte berosiana cfr. il passo della Grammatica citato e indicato nella nota 279 con i seguenti passi del De originibus a p. a4: “Noachus enim idem est qui et latinis Iaunus a vini usu reperto (nam Hebraeis Iain vinum, significat)…” e a p. b4-c1: “Nemrod pene exiciderat…Is quasi vim nature afferre, cuius artem et potentiam ingenio humano effugere volebat cupiens. Secundum nomen suum divinae repugnans potentie, in nostram omnium perniciem, illam, ad illuviam aquarum devitandam, excogitavit, ubi divina ostendit providentia,[…]Mutatum illic naturale idioma et primum a parente rerum nature deo concessum munus. Nomen turri et operi imperfecto Babel fuit[…]Opus ultione divina incompletum, absolutum fuit, non a Nino aut Semiramide, ut historici Graecorum falso omnes crediderunt, et scriptum reliquerunt, sed a Nebucadssener, qui anno Astyagis Medorum regis 9, Iudaeos captivos abduxit, cuius miranda quaedam opera in libro primo contra Apionem Gramaticum Iosephus ex Beroso Chaldeorum historiographo recitat, cui sententiae certe citius subscripsero quam universae Graecorum turbae. Regio tota a tam celebri urbe Babilloniae nomen apud omnes authores habuit. Alioqui terra Sennaar et Chaldea dicta est.” Passaggio peraltro da confrontare con le parole riguardanti il pieno espletamento della punizione divina da parte di Nabucodonosor cfr. p. a3 della lettera dedicatoria della Grammatica munsteriana. 285In proposito, infatti, il Muenster scrive a Corrado Pellicano il 2 settembre 1544 da Basilea: “Quare scribis de Wilelmo Postello hactenus non vidi, sed nec hominis novi. Quae scripsi in annotationibus super Mattheum, ante me scripsit quoque Buccerus, praeter Hebraica, quae ex Nihazon et aliis rabinis adduxi. Damnarunt et antea, ut nosti, Lovanienses annotationes meas in Mattheum non ob aliam causam quam quod libri Luterani ad ea loca ferri non permittentur, ideo nesciunt fere, quid hodie nostris scribatur. At evangelium meum non putantur esse sospectum, ideo permissum fuit publice vendi quousquam invenerunt quaedam, quae teneras illorum aures offenderunt. Scripsi moderatius in vetus testamentum, ut etiam in Hispania inter quondam magni nominis certatum fuerit de me, quibusdam asserentibus me abiecisse cucullum, aliis autem constanter negantibus etc. Quod de Lutheranico furore scribis, nescio an sic intelligere debeam, quod ille furore suo debachatus in me fuerit aut quod in alios scrivere non possit sine furore.” Lettera riportata in Briefe Sebastian Muenster, pp. 77-79, passo cit. alle pp. 77-78, peraltro menzionato anche in F. Secret, Notes sur Guillaume Postel, VII, Guillaume Postel et Sébastian Muenster, in “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, XXII, 1960, al quale rinviamo per il merito complessivo e per i punti salienti delle divergenze tra Postel e Muenster, cfr. in particolare, pp. 377-380. 286Gello, cit.,passo cit. a p. 31d4. 287Hebraica Biblia, cit., p. 10b4.

50

Page 51: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

luogo il capitolo XVI concernente il concepimento di Ismael quando Abramo aveva non 68 bensì 86 anni “Porrò Abram erat filius octaginta et sex annorum”. Di questo capitolo, Giambullari prende spunto per il passaggio testuale sugli Arabi e Ismael dalla nota marginale b che dice “Hebraice Ismael quod interpretantur, audiet deus. Fuit is homo, id est diligens solitudines et inhins feris capiendis. Vocant autem hodie Hebraei in commentarijs suis Ismaelitas, eos quos nos Saracenos vocamus qui scilicet sunt Aphri, Aegyptij, Arabes.”288 In ultimo, il capitolo XVII in cui Dio determina la nascita di Isacco quando Abramo ha già vissuto cento anni della sua vita “Abraham…centum annorum…”289. La cronologia biblica munsteriana consente del resto al Gello, sia di documentare e definire temporalmente la priorità della civiltà etrusca rispetto a quella greca “per un tempo totale di 141 anni, che parte proprio dai 33 anni di Iano.”290, senza trascurare un precedente riferimento al popolamento, anch’esso posteriore di Spagna, Germania e Francia291, sia di spiegare l’origine di Firenze, fondata appunto da Ercole Libio figlio di Osiri secondo la seguente argomentazione: “Questi dunque fu bisnipote di Noè, come testifica Mosè nel Genesi al X ponendolo per figliuolo di Misraim, che fu di Cam che fu di Noè. Ma perché voi potreste dirmi che ha che fare Misraim con Osiri; che havete messo per padre di Hercole? Advertite che oltra il Lucido e l’Annio che lo pongono per il medesimo: lo Egitto nelle Sacre lettere, sempre si chiama Misraim…il che arguisce certamente, che egli habbia tal’ nome da’l sopra detto figliuolo di Cam. La onde, se i nomi delle Provincie si pongono da le persone maggiori e di maggiori autorità: et il maggiore de figliuoli di Cam fu Osiri, unico signore di tutto lo Egitto come havete da Diodoro…Forza è che Misraim e’ Osiri sia un’medesimo…Di costui dunque nacque Leabim, o Luabim che è esso Libio che noi cerchiamo.”292 La successione da Cam fino a Ercole Libio, attraverso Osiri, trova riscontro positivo, come indicato dal Gello nella Hebraica Biblia in cui è scritto:”Filij vero Ham: Cusch et Mizraijm […] Porrò Mizraijm genuit Ludim et Enarnim et Lehabim…”293. Ercole Libio da non confondere con Ercole greco giunto in Italia ben 433 anni dopo la venuta del primo, pertanto, sconfitti i Giganti, riporta pace e stabilità nella penisola e fa nascere Firenze con il taglio della Golfolina 294. A questo punto del Gello, acquisita storicamente la fondazione di Firenze da parte del bisnipote di Noè-Giano, Giambullari abbandona i panni del Gelli ed entra in scena in prima persona come interlocutore principale di messer Curzio per illustrare la conseguenza linguistica di questo quadro storico noachico: la derivazione dell’etrusco dall’arameo. In questa direzione il canonico laurenziano ricorre anche alla già menzionata Chaldaica Grammatica e in particolare alle affinità, descritte nel primo capitolo dell’opera, rimaste dopo la confusione delle lingue tra l’ebraico e tutte le altre lingue in particolar modo col caldeo con cui inizialmente l’ebraico coincideva295. Affinità che chiaramente il canonico laurenziano

288Ivi, passi cit. a p. 13c1. 289Ivi, p. 14c2. Cfr. inoltre, Kalendarium Hebraicum, “a nativitate Abraham usque ad nativitate Iizhak, centum anni. ” a p. 13c3. 290Gello, cit., p. 35e2 291Ivi, cfr. p. 29. 292Ivi, p. 36. 293Hebraica Biblia, cit., p. 9b3. 294Gello, cit., cfr. pp. 37e3-40e4. 295Ivi, pp. 8b4-9C1 nel capitolo intitolato “De affinitate et differentia linguarum Chald. Et Heb.” Leggiamo: “Ebraeam linguam omnibus priorem, sanctiorem, nobiliorem semper fuisse, neminem ignorare arbitror, qui vetus saltem legerit instrumentum. Interciderunt quidam teste divo Hieronymo ante multos annos literae eius linguae, quibus Iudaei ante Babylonicam usi sunt captivitate, inventaeque sunt aliae ab Ezra scriba et legis doctore post secondi templi instaurationem, quibus hodie utuntur Iudaei, invariata tamen sub utrisque characteribus lingua sacra, id quod indicant nomina Adam, Hava, Kain, Seth, Noah, Iizhac, Iacob, et alia (p. 9c1) quamplurima, quorum interpretationem scriptura referens, linguam inconcussam mantisse manifeste demonstrat. Berosus quoque vetustus ille historiographus idem confirmat dum asserit Noham terram vocasse

51

Page 52: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

allarga anche all’etrusco in linea con la tesi della sua filiazione caldaico-aramea. Oltre alle asserzioni del Giambullari ”che l’antica Scrittura Etrusca, sia la medesima che la Aramea, facilmente comprender si puote, per le cose dette dal Gello. Perché se Iano è il medesimo che Noè, come io credo veramente; e come voi stesso lo acconsentite: verisimilmente pare da conchiudere, che avendo egli arrecato in Etruria le lettere; non potesse arrecarci altri modi, né altri caratteri, che quegli stessi che e ‘ si sapeva nel suo paese: Et che se gli Etrusci da lui solo lo appresero lo Scrivere: da lui solo dico, rispetto a Comero Gallo e agli altri venuti seco; Tutti pure usciti de’l medesimo stipite: Forza è che non apprendessero altra maniera che quella stessa, che adotta ne havevano i padri loro.” fondate sulla identità di Noè e Giano già riscontrata nella Chaldaica Grammatica munsteriana, tesi analoghe ad un passaggio di quest’ultima esprimono anche le successive parole del Giambullari, ovviamente traslate alla scrittura degli etruschi: “che scrivendo essi a’l contrario de’ latini, cioè da destra a sinistra come gli Aramei: dimostrano assai chiaramente che di là presero questa scrittura.”296 Del resto l’identico modo di scrittura dell’etrusco e dell’aramaico deriva secondo il Giambullari: “Non solamente… da lo haverci arrecato Iano, questa maniera di scrivere: ma che la Scrittura Caldea, Araba, Samaritana, e Hebrea, Originate da quello stesso paese che la Etrusca: cioè di Aram, donde vennero i nostri antichi.” Il Curzio non condivide le osservazioni sulla scrittura formulate dal Giambullari, e contesta l’origine degli Ebrei dall’Aram, in relazione alla differenza linguistica tra l’ebraico ed il caldaico sostenuta sulla base di quanto scrive Daniele sui fanciulli ebrei tenuti in schiavitù dagli Assirii, riferito nella Chaldaica Gramatica: “De’ Caldei soggiunse egli, non accada che io vi dimandi; per essere dello stesso paese che una lingua tanto diversa da la Caldea; che per quanto ne Scrive Daniello, i fanciulli ebrei condotti in servitù degli Assirij, furono dal Re mandati ad imparare la lingua Caldea: per potere essere in strutti nelle Scienze, et parlare nel cospetto del Re, che non intendeva la lingua Hebrea?”297

“Et si dicas Danielem cum socijs suis traditum cuidam praeposito discendi gratia Chaldaicam linguam et literas ut apud eundem cap. I legitur: non ergo suam in captivitate Iudaei deserverunt linguam, quandoquidem electi illi iuvenes speciali regis imperio istituti fuerint ad discendam illam linguam. Respondeo: Daniel et socj sui cum Ioakim rege iam iuvenes de Hierusalem in Babyloniam traslati,Chaldaeorum utique linguam ignorabant, nec brevis illa cum Chaldeis consuetudo tam facile cognitam

Aretinam, et ignem Estam: siquidem…est Hebraeis terra, et…ignis. Caeterum quum post diluvium genus humanum in immensum multiplicaretur, omnesque homines unius essent sermons, hoc est, omnes ea loquerentur lingua, quae postea Hebraica et Iudaica coepit vocari, concordique animo turrim niterentur extruere, quae coeli contingeret fastigium, deum sic aedificium illud impedivisse testatur scriptura, ut ablata nativa lingua, tot alias et tam diversas animis eorum inspiravit ut nullus fere quid alius loqueretur intelligeret. Dicit quidem scriptura deum confudisse et divisisse linguam eorum, hoc est, ex una multas ferisse, et tandem in varias dissecuisse, ut intelligas in omnes mundi linguas, aliquas saltem voces ex Hebreo fonte dimanasse. Sunt autem Syrorum, Assyriorum, Babyloniorum, Arabum, Moedorum, Persarum, et aliarum multarum orientalium nationum linguae, Hebrae maxime confines, et rursum Germanorum et aliorum occidentalium regioum linguae maxime diversae, tam et si non omnino Hebraicarum dictionum sint expertes. Et ut in summa dicam, quanto in illa Babylonica confusione gens quaeque remotius in terram deturpata est, tan/to minus convenit ei cum Hebraica lingua: et quo proprius consedit, hoc magis in semone participavit. Hinc est quod Chaldaeorum lingua prae caeteris omnibus Hebrae affinior est: imò Philo Iudaeus arbitrat Hebraeorum linguam non differire a Chal. hac motus ratione, atque Abraham fuerit ex Chaldaeis, a quo Heb. Lingua in omnes transmissa est posteros. Quem divus Hiero. Dan. I. redarguens ait: Quomodo igitur iubent pueri Hebraei, Daniel scilicet et socij sui, linguam doceri, quam iam noverant. […]”. 296Gello, cit., passi cit. a p.42f1, mentre nella Chaldaica Grammatica leggiamo a proposito della scrittura indiana a p. 13c3: “Scribitur autem ipsa et legitur a sinistra ad dextram, more Latinorum et Graecorum: et non a dextra ad sinistram, ut Arabes, Hebraei et Chaldaei facere consueverunt.” 297Ibidem. Inoltre ivi, cfr. a p. 44f2 sul racconto di Daniele: “E dunque verissimo il detto di Daniello, che que’ putti imparassino Caldeo.”

52

Page 53: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

potuit eis conciliare linguam, quam tamen diuturnior convictus omnibus intelligibilem reddidit, maxime pueris, qui non sine miraculo, ut Quintilianus ait, multo citius et perfectiusque grandiores et natu incognitam addiscunt linguam.”298

Nonostante la citazione di Daniele, il Giambullari rimane comunque fermo nel sostenere la provenienza degli Ebrei dall’Aram, avvalendosi nuovamente delle parole pronunciate da Mosè nella Hebraica Biblia: “Perché quanto a l’originarsi gli Hebrei in Aram, noi l’habbiamo da’l nostro Mosè, che nel XII del Genesi dice che Dio disse ad Abramo: Esci dalla terra tua, e della natione tua, e della casa del padre tuo: Et vieni a la terra che ti mostrerò et quello che seguita fin dove il testo soggiunge. Uscì dunque Abramo come haveva comandatoli il Signore et andò Lotto con esso lui. Et haveva Abramo 75 anni, quando si partì di Aram, sin qui Mosè.”299

“Et dixit dominus ad Abram egredere de terra tua et de natione tua atque de domo patris tui, ad terram quam ostendam tibi […] Abiit itaque Abram sicut loquutus erat ad eum dominus, et ivit secum Lot: fuitque Abram filius quinque et septuaginta annorum dum egrederetur de Charan.”300

Parole a sostegno delle quali, per certificare la provenienza di Abramo dall’Aram, il Giambullari offre un’ulteriore delucidazione basata ancora sul testo biblico: “Ma se voi mi diceste hora che la prima partita sua non fu di Aram; ma di Orcoa, chiamata nelle lettere Sacre Ur Caldeorum: de la quale egli uscì giovanetto co’l padre suo, come si vede nel Genesi a lo XI…e venne ad abitare in Aram. Et poi nel 75 anno della vita sua…si uscì di Aram, io vi replico che Orcoa (città dove e’ nacque, e donde giovanetto partì col padre, è terra della Caldea, come lo dicono le Sacre Scritture; e non tanto appartata dalla Mesopotamia che ella possa però variare la favella d’una gran cosa…”301

“Et tulit Taerah Abram filium suum…et egressi sunt pariter de Ur Chaldaeorum, ut irent in terram Chnaan: veneruntque usque Charan, et habitaverunt ibi. Fuerunt autem dies Terah, quinque anni et ducenti anni; mortuusque est Taerah in Charan.”302

Poi, a proposito della città di Orcoa aggiunge: 298Chaldaica Grammatica, cit., passo riportato alle pp. 4b2-5b3. 299Ivi, passo cit., pp. 42f1-43f2. 300Hebraica Biblia, cit., Genesi: capitolo XII, passo cit. a p. 10b4. Cfr. inoltre ancora la convergenza con la cronologia proposta nel Kalendarium Hebraicum, “A tempore quo natus est Abraham, usque ad tempus quo prima vice exivit de Haran, anni 52. Et a tempore quo egressus est de Haran, ad tempus quando stetit inter partes, anni 18. Reversus autem in Haran, mansit ibi 5 anni: et inde rediens in terram Chnaan, fuit filius 75 annorum. Hinc a nativitate Iizhac, 25 anni.” p. 27. 301Gello, cit., p. 43f2. 302Hebraica Biblia, cit., p.10b4. Cfr. identica cronologia nel Kalendarium, cit., “Taerah donec natus est Abraham pater noster, vixit annis septuaginta. Porrò anni vitae suae ducentiquinque.” a p. 13.

53

Page 54: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“che essendo posta la da lo Eufrate, è pure ella anchora Aramea. Laonde non cangiandovisi la favella, diremo che Abramo la parlasse per sua, e come sua propria: o si poco alterata, che male apparisse la differenza. Il che non gli advenne già poi; Quando partito di Aram, se ne venne tra’ Cananei: la lingua de’ quali, come fatta si fosse non sappiamo altrimenti; per haverla spenta gli hebrei, quando sotto la guida di Iosuè annullarono quella natione. Non fu dunque diversa la Caldea da la lingua Hebrea, quando la Hebrea primieramente cominciò nella casa e famiglia di Abramo: Ma andossi bene alterando, e cangiando tanto di tempo in tempo; come fanno anchora tutte l’altre: che nello spatio di 1349 anni, che sono tra il 75 di Abramo, e la rovina del tempio fatta da Caldei…ella venne a essere tanto mutata; che fu mestiero imparare l’una e l’altra, a chi volle saperle amendue”303. Pertanto Giambullari sostiene l’iniziale coincidenza di ebraico e caldaico nella famiglia di Abramo fino alla sua partenza dall’Aram, appoggiandosi alla stessa Grammatica munsteriana, nonostante la posizione certamente non aristotelica del dotto ebraista tedesco in materia linguistica. Scrive infatti: “Noverat igitur, ut alij verius sentiunt, Abraham duas linguas, Hebraeorum scilicet et Chal. Primam deus puram et inconfusam in Abrahami familia reliquit. Et quum ipse Abraham imperio divino de Ur Chaldaeorum, relicta omni cognatione sua, in terram Chanaan peregrinaturus veniret, usus est cum suis sacra lingua, caeteris propinquis et cognatis suis quos in Chaldea reliquit, Babyloniorum iam assuefactis linguae, et tandem involutis errore.”304 Passaggio che chiarisce l’opportuno valore da assegnare alla precedente menzione di Daniele in evidente antitesi con la posizione curziana tout court ancorata alla tesi della originaria separatezza delle lingue caldea ed ebraica. Del resto, la vicinanza tra Grammatica e Gello almeno a livello di tesi particolare, sembra confortata anche a proposito della non mutazione dei caratteri ebraici da parte di Esdra. Anche se abbastanza sorprendentemente il Giambullari omette a sostegno di questa tesi di menzionare il nome di Muenster, appoggiandosi invece ad una fonte che sostiene in proposito il contrario. Egli, infatti, dichiara: “De’ caratteri Hebrei non vo’ dire che non siano i veri: perché havendoli havuti da’l Cielo; ragionevolmente creder‘ si puote, che la stessa virtù che gli diede; quella stessa ce li mantenga in tante rovine et mutazioni di cose che ha havuto quella natione. Et se bene alcun’ dice, che e’ sono da Esdra; e ne mostrano alfabeti più antichi, come il celeste, lo angelico, quello del passaggio del fiume, o quell’altro di Salomone, che nella occulta filosofia di Agrippa si veggono: Advertisca pure chi lo dice; che ben’ possono essere gli alfabeti che e’ dicono: Ma non può già esser vero, che la antica scrittura Hebrea sia stata mutata da Esdra; essendosi mantenuti i libri della legge con tanta veneratione, quanto apertissimamente dimostra il giudizioso Bibliandro, negli ottimi Scrittori Hebrei.”305

303Vedi nota n. 301. 304Grammatica Chaldaica, cit., passo cit. a p. 10c1. 305Gello, cit., 44f2, da confrontare con Chaldaica Grammatica, cit., alle pp. 8b4-9c1: Ebraeam linguam omnibus priorem, sanctiorem, nobiliorem semper fuisse, neminem ignorare arbitror, qui vetus saltem legerit instrumentum. Interciderunt quidam teste divo Hieronymo ante multos annos literae eius linguae, quibus Iudaei ante Babylonicam usi sunt captivitate, inventaeque sunt aliae ab Ezra scriba et legis doctore post secondi templi instaurationem, quibus hodie utuntur Iudaei, invariata tamen sub utrisque characteribus lingua sacra, id quod indicant nomina Adam, Hava, Kain, Seth, Noah, Iizhac, Iacob, et alia quamplurima, quorum interpretationem scriptura referens, linguam inconcussam mantisse manifeste demonstrat.” Ivi, cfr. inoltre p. 13c3: “Porrò quales ij sint characteres, non omnino certum est apud nos: quandoquidem Iudaei, etiam ante Hieronymi tempora,

54

Page 55: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Theodor Bibliander in realtà appare in piena sintonia sul piano linguistico, col Postel degli anni Quaranta, sia sulla mutazione dei caratteri ebraici da parte di Esdra, sia sull’unicità della lingua fino a Nembrot per cui la sua menzione tradisce probabilmente un fraintendimento nella consultazione del De Optimo genere Grammaticorum306 da parte del Giambullari, che, infatti, mantiene costante il suo supporto alla tesi della veridicità del Convivio dantesco.307 Al di là di questo, sancita in tal modo la derivazione dell’aramaico dall’etrusco, con il ricorso anche all’auctoritas di Tito Livio sulla precedenza storica della civiltà etrusca rispetto a quella latina, rileviamo nel seguito del Gello il ricorso a riferimenti munsteriani atti a spiegare le peculiarità grammaticali della lingua ebraica e a dimostrare il suo notevole influsso sul toscano. Anche se il Giambullari, ricordando che la lingua toscana è anche un composto di “Greco, Latino, todesco e Francese”308, non trascura la rilevanza di altre influenze storiche. Comunque, riguardo all’ebraico, il Giambullari ricorre ad un passo biblico su Sichen e alla nota marginale g munsteriana sul comparativo, per spiegare teoricamente la mancanza del comparativo nella lingua ebraica e la sua formazione attraverso l’aggettivo e la preposizione, affermando che gli ebrei: “non hanno… il comparativo: ma esprimono per lo adiettivo, e per la prepositione, come nel XXXIV del Genesi apertamente si può conoscere: perché ragionandovisi di Sichem, dice quel testo, vehunicbad mi col bet aviu; cioè, et era egli lo onorato di tutta la casa di suo padre. Il che osserviamo noi anchora, che non havendo se non 4 comparativi aggiugnendo agli altri nomi lo adverbio; più, diciamo il più bello di tutti, il più forte dell’esercito…”309. Passaggio in cui è letteralmente riportato il passaggio del testo muensteriano della Genesi XXXIV su Sichen: “et erat honorabilior omnibus qui erant in domo patris sui.”310 e si trae spunto dalla spiegazione di honorabilior contenuta nella nota marginale che dice: “Constituunt Hebraei comparitivum, per adiectivum et praepositionem ab vel prae: ut, honoratus prae omnibus, id est, honorabilior omnibus: id quod nostri interpretes hic non adverterunt, qui hunc locum fic reddiderunt: erat inclytus in omni domo patris sui.”311 Il Giambullari si appoggia ancora al testo muensteriano per illustrare l’assenza del superlativo nella lingua ebraica. Essi, infatti: “non hanno superlativo; ma esprimono con replicare due volte il positivo; come nel Genesi al VII si legge, ve ha main gabern meod meod al Arez, cioè, et le acque inondarono molto molto sopra la terra”312

“et acquae inundaverunt vehementissime super terram…”313

Chaldaicos libros Hebraicis consueverint scrivere characteribus, id quod in Danielis et Ezrae libris factum esse perspicuum est.” 306De optimo genere grammaticorum Hebraicorum commentarius Theodori Bibliandri, Basileae 1542. 307Riguardo alla convergenza delle prospettive di Bibliander con quelle postelliane riguardo a Esdra e all’unicità della lingua da Adamo a Nembrot rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 43-45. 308Gello, cit., cfr. pp. 48f4-51g2. 309Ivi, passo cit. a p. 52g2. 310Hebraica Biblia, cit., passo cit. a p. 33f3. 311Ivi, p. 34f4. 312Gello, cit., passo cit. a p. 52g2. 313Hebraica Biblia, cit., p. 7b1.

55

Page 56: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

E ancora, a proposito della discordanza di numero tra verbo singolare e sostantivo plurale di una cosa, prosegue e dice che gli aramei “uniscon…il numero singolare del verbo, co’l plurale della cosa, come nel XVIII capo della Genesi, dove Abramo dice a Dio, Vlai ie Sc camiscim zadichim betoc ha hir, cioè, Forse è cinquanta giusti nella città”314

“Fortasse sunt quinquaginta iusti intra civitatem…”315

Poco dopo, l’autore del Gello soffermatosi su pronomi e articoli in aramaico316, illustra il significato in lingua ebraica della doppia negazione, spiegando che “le due negazioni continuate, non affermano appresso a gli Hebrei ma niegano maggiormente: come nel XIIII dello Esodo. Et dissero a Mosè, ha mi beli ben chevarim be mizraim, cioè, per che non erano forse no sepolture in Egitto. Il che in tutto e per tutto si osserva appresso di noi…”317 Sia, per la spiegazione generale, sia per l’esempio biblico rintracciamo il rinvio alla bibbia muensteriana. Infatti non solo vi è corrispondenza col passo latino che dice: “Dixerunt autem ad Mosem: nunquid quia non erant sepulchra in Aegypto?”318 ma, il passo medesimo è oggetto della nota marginale c al capitolo che concerne il valore della doppia negazione in aramaico e afferma nella prima parte: “Non rarum est apud Hebraos, ut duae negationes mox sese consequantur, et tamen non efficiant unam affirmationem.”319 Anche se non va dimenticato, il sostegno tratto per alcuni passaggi concernenti la lingua aramaica in queste pagine del Gello dall’ebraista Teseo Ambrogio320. Nel seguito del testo, il Giambullari elenca le numerose voci derivanti dall’aramaico che ancora permangono nel toscano moderno, appoggiandosi nuovamente, di fronte alla diffidenza del Curzio, su alcune opere munsteriane secondo quel che desumiamo dal riferimento ai “Ditionarij stessi Caldei e Hebrei che si trovano oggi stampati: e sono composti da oltramontani, che non sanno la lingua nostra” e dal confronto dei passi in questione con i Dizionari muensteriani321. Dizionari citati in conclusione della lunga elencazione esemplificativa del nesso di dipendenza del toscano dall’aramaico: “Diciamo noi adunque, Ambasciata, Imbasciadore e ambasceria, da Bascer, che a loro significa nuntiare322. Mezzo, e ammezzare, da Mezah, che è dividere in due parti uguali. Nodo e annodare, da Anad, che è innodare. Arra e innarrare, da Arah, che è pegno e impegnare. Assillo, da Sillon che è la spina. Avello, da Aval, che è piangere. Azzimato e azzimare, da Zamat che è quel ricciolino che rigettano le donne verso gli orecchi. Bacalare da bacal, che è

314Vedi supra nota n. 312. 315Hebraica Biblia, cit., passo a p. 15c3 dell’episodio biblico di Sodoma e Gomorra. 316Gello, cit., pp. 52g-53g3. 317Ivi, passo cit. a p. 53g3 318Hebraica Biblia, passo cit. a p. 65l5. 319Ivi, passo cit. a p. 65l5. 320In proposito rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., p. 85, in particolare nota n. 32, inoltre ivi, cfr. p. 44, in particolare nota n. 81 sulla piena convergenza in materia linguistica del Teseo con Guillaume Postel, in proposito cfr. anche Yvonne Petry, Gender, Kabbalah and the Reformation, cit., p. 32. 321Ditionarium Chaldaicum, non tam ad chaldicos interpretes quoque Rabbinorum intelligenda commentaria necessarium: per Sebastianum Muensterum ex baal Aruch et Chal. Biblijs atque Hebraeorum peruschim congestum, Basileae apud Io. Fro. anno M. D. XXVII, e Dictionarium Hebraicum ex Rabinorum commentarijs collectum, adiectis iis chaldaicis vocabulis quorum in Bibliis et usus: ab autore Sebastiano non solum dermo locupletum, sed a multis passim mutatis emendatum, ut hac interpolatione liber renatus videatur et plane novuus, Basileae apud Io. Froben, an. MDXXV, mense Novemb.. entrambi segnalati in P. Aquilon, Catalogue,cit., pp. 612 e 649. 322Cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 107: “…miscuit, conspersit: Exodi 29.”, cfr. inoltre ivi, p. 65: “Secundo significant nunciare. Inde…nuncius:…nunciatio: 3. Regum 2.” E Dictionarium Hebraicum, cit., a p. g6: “Evangelista, nuncius: I Regum 4…Nuncium: 2. Reg. decimo octavo…”.

56

Page 57: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

maestro e autore323. Ballare, da Balal, che è mescolare324. Bandire, da ban, che è fare intendere altrui le cose. Baratto e barattare, da Barath, che è contrattare per patto. Barbaglio, da Barbel, che è lo abbigliamento. Batto, battaglio, battaglia e batosta, da batas, che percuotere325. Bazza diciamo a giuoco, quando senza trionfo si piglia la carta dello adversario; da Baz che vuol dire predare, o da Bazah, che è spregiare e non istimare326. Bollicame, bollore e bollire, da Bul che significa pullulare. Borro, burrone e burrato, da Bor, che e pozzo e fossa profonda327. Botte da Gabot che è vaso da vino. Bracco, il cane da levare le fiere, da Barac, che è far fuggire. Bua dicono i nostri fanciulli, da Buah, che è la piaga328. Buccia, da Buz, che è la spoglia. Brigata, da Bergad, che è ragunamento di persone. Calata, il ballo di molta fretta, da Calat, che è lo affretarsi. Calamita, la pietra che tira il ferro, da Calamis, che è la felce329. Calca, lo stiramento delle persone, da Chelca, che è l’opprimere330. Carbone, da Carbon, che la estrema e ultima siccita arsiccia331. Caruccio, e carrozza, da Caruz, carro piccolo. Castaldo, il governatore e administratore delle case grandi, da Castal, che è il dispensiere e distributore332. Catani, per i signorotti del paese, da Hetanim, che sono gli ottimati, e i principali della città333. Cava e caverna, da Cavva, che è ricettacolo, cateratta e finestra334. Cavo, per canapo, da Cau, che è la funicella335. Cera336, per la presentia, quando il dabene si conosce a la cera sua, da Chiruz, che è quello stesso, che i Romani chiamavano indoles. Andare a la chicchera, cioè accattando, da chiccher, che significa investigazione e cercare337. Chiose dicono i nostri fanciulli, quelle monete di piombo con che e’giuocano, da Ghioser, che significa formare e spingere338; perché da loro stessi se le formano e fingono a lor’piacere. Ciabatta, da hasciabat, che è impedimento. Cocca di strale, da Coca, che è carcere e chiudimento339. Come, da Chemo, che è il quemadmodum de’ latini, o da Chema, che il sicut340.Corbello, da Chirbel, che è vestire e involgere341. Cotta, da

323Cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p.: “…Item…doctor, instructor, legislator: Psal. 84.” 324Cfr. a proposito di mescolare Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 56: “…idem quod…miscuit: Ester I.” 325Ivi, riguardo a scuotere cfr. a p. 111: “…Triturare, escutere: Iudicum 8.” 326Ivi, cfr. p. 7 su Baz: “Primo significat calumniari, et rapere.” 327Riguardo al termine fossa cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. g8: “…Idem quod… fovea, fossa, cisterna: Isaia. 30.” 328Ivi, sulla piaga dei fanciulli cfr. a p. d8 il seguente passo: “Digitus, plaga…foem. gen. Isaiae decimo septimo.” 329Sulla felce, cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 2 “Alij putant esse instrumentum instar calami ferrei , quo ignis accenditur” e ivi, sulla calamita cfr. p. 4: ”Lapis[…]qui trahit ferrum…Hoc est, in lingua Germanica Augstein, vel Magnet.” 330Ivi, cfr. p. 111: “Secundo…significant calcare, conculcare: 3. Reg.2.” 331In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. h5: “…Carbo, pruna, scintilla…” cfr. inoltre Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 87. 332Sul termine in questione cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 8 riguardo a Gastaldo e governatore: “Primo idem est quod…mercede conduxit: Gen. 30, Inde…Isa. 21 et…Levit. 19.[…]Gubernator…Idem est quod…praefectus, praepositus.” 333Cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. c6 dove a proposito degli ottimati leggiamo: “Fortis, durus idem quod…in plural…optimates, magnates: Iob. 12[…]”. Cfr. inoltre Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 112: “…Optimates, potentes, magnates: Dan. 3. ” 334Ivi, riguardo a Cavva cfr. pp. d8-e1 in cui “Idem quod…fenestra, cataracta: Hosee 13…Unde Isa. 24. cataractae coeli dicuntur aperiri, quando pluvia in magna copia descendit, quasi omnes fenestrae coeli apertae essent. Isa. 60. exponitur pro…fenestris.” Cfr. anche il Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 61. 335Cfr. Dictionarium Chaldaicum, a p. 15: “Funis, instita: Iosue 2.” Inoltre cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. n4: “…Filum ,funiculum, vitta…Gen. 14.” 336In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. k6: “…Cera: mas. gen. ut patet Psal. 22.” 337Cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 54: “…Secundo, quaerere, investigare: Iud. 14.” 338In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. s5: “…Formavit, finxit: Psal. 74. Et nota quod…proprie creare significant, hoc est, ex nihilo aliquid facere…”. 339Cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 29: “…Carcer, vincula” e a p. 34: “…Ligavit: Iud. 16…Captivi, ibidem: et…Carcer: 3 Reg. 22.” 340Ivi, p. 16: “Quemadmodum: Prover. 23. qualiter, quomodo…”. 341Ivi sul Corbello cfr. p. 6 “Est…vestis quae cuti adheret, ut est interula.”

57

Page 58: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Cot, che vuol’ dir veste. Croscio d’acqua, da Ghescem, che è forte e impetuosa pioggia342. Danza per ballo, da Daz, che è far festa ed esultare. Dardo, che si lancia, da Dardar, che è stimolo e spina343. Doga, di Botte, da Dogah, che è navicella o scafa344. Ma come io vi diceva pure hora, questa materia non ha il suo luogo. Et però lasciamola stare, che la copia sarebbe fastidio. Et se io discoressi per tutte le lettere, troppo tosto saremmo a’l mille. Ditemene rispose egli, anchora parecchi di gratia. Et io. Usiamo noi di rispondere, quando non habbiamo inteso bene, e? voce in tutto Aramea, che volendo essi anchora dir’, come? O che voi? Dicono, e? Fallito diciamo noi il Mercante, che non può comparire per debito, da Falit, che è fugitivo e fuggiasco. Fanti e fanteria, da efanti che è la torma de’ soldati345. Fetta di pane, o di altro, da Fat, che è il pezzo. Gala, quel taglio che scopre il nascoso, da Galah, che rivelare e manifestare346. Garrire per riprendere, da Garar, che è sgridare. Gemma, per occhio di vite, da Zemah, che è germugliamento347. Gobbo, da goba, che è altezza e rilevamento348. Ma per contentarvi con più brevità, Sappiate che Etrusche voci sono queste. Insegna, iscerre, isgorbio. L’ago, lampa da leccare. Lecco delle pallottole, che è quello che si tira innanzi per segno, da Isclic, che è lanciare e proporre. Lezij, lezzo. Lucco, veste, che da noi si porta la state. Macco, maculato, malato, male per infermità349, Mana di danari, manico, marra, martello350, maschera, mattana, mazza, meschino, meschinità, micca, minchione, moccolo, motta, moscio, mozzare. Nacchera, nappo, nano, nastro, nave351, nettare352, ninnare, nozze353, nocchiero, nuvolo. Orzo, ortica, osceno, hotta. Padule354, parete da uccellare, passetto da misurare, passo e passare355. Pazzo, pelago, pelo per fessura. Piccone, pollone, pula. Rabbia per fame, Ragazzo, rame, ranno, rascia, razzo, razza, ricco, roba, rocca, romano di stadera, ruzzare. Sacco356, Saetta, Saettile, Saettalo, Salma, Sapone357, Sala, Sargia, Scemo358, Schegge, Scialare, Scialbare, Sciatto, Sciliva, scodella359, scuffia, senno, sensale, sere, sornacchio, spezzo, spillo, staccialo, strada, stufa360, succia361. Taccagno, taccagneria, taccone. Tamburo, tallo, tana, tanie, tarare, tasca, tenda, tentenno, tomaia, tonnina, toppa, toro, trama, tuffo. Vivaio, vizzo, uncino362, uscire363. Zacchera, zanna,

342In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. i5: “Hinc…pluvia, imber: mas. gen. 3. Reg. 18.” 343Ivi, riguardo a dardo cfr. p. k7: “…Idem quod…stimulus, acus…”. 344Ivi, sulla navicella cfr. p. i8: “…Piscatorium instrumentum, seu ut alij volunt navicula parva, scapha: Amos 4.” 345Ivi, cfr. p. h1-h2: “…Turma, cuneus, cohors militum, globus exercitus: Psal. 18. et Mich. 5. Kimhi exponit…coetum fortium, et Iob 25.” 346Ivi, al riguardo cfr. p. r4: “…Cognovit, scivit. Inde verbum Hiphil...notum fecit, ostendit, fecit scire: Psal. 98.” 347Ivi, cfr. p. k7: “…Virens, viror, herba recens, germen viride: Isa. 15.” 348Ivi, riguardo alla voce gobbo cfr. p. g9: “…gibus, gibberosus: Lev. 21.” 349In proposito cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 104: “…Dolores, infirmitates.” 350Sul Martello, ivi cfr. p. 43: “…Malleus: Isa: 24.” 351Dictionarium Hebraicum, cit., cfr. a proposito della nave p. d4 “item…navis, classis […]” 352Ivi, su nettare cfr. p. i7: “…mel: mas. gen…”. 353Ivi, cfr. p. u2 “…Hinc…desponsatio, nuptiae: Ier. 2.” 354Riguardo al termine padule, ossia palude cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 67: “…Primo est idem quod…stagnum, palus: Isaiae 14.” 355Ivi, sul passo cfr. p. 64: “…idem quod…passus, gressus.” 356Ivi, riguardo a Sacco cfr. p. 126: “…secondo…in lingua israelitica significat…Saccum.”. 357Ivi, riguardo al termine sapone cfr. a p. 11 il seguente passo “Idem quod…Nitrum, quo lavantur vestes, sapo.” 358Cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. b7: “…stultus, fatuus: Ier. 4…Inde…idem quod…stulticia: Proverb. 26.” 359Sul termine scodella cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 106: “…Idem quod…mensa, discus, scutella.” 360Ivi, sulla stufa cfr. la voce a p. 3 nel passo che dice: “Alij dicunt quod sit…stufa, . aestuarium, seu Hypocaustum.” 361In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit. a p. r8: “…suxit: Isa. 60.” 362Ivi, sull’uncino cfr. p. b4, in particolare “Significat circulum, hamum, uncinum, sive Kimhi exponit Isa. 58. ahenum, quod scilicet habet caput incurvatus…”. 363Ivi, cfr. p. s3: “…Exivit, egressus est…”.

58

Page 59: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

zavorra, bazzicare, zebe, zero, zipolo, ziro, zolla, zuffa364: con una quasi infinità di tante altre, che troppo vorrebbono di tempo, ad eser’ raccontate.”365 A questo punto, di fronte all’ampia certificazione del legame tra ebraico e aramaico, il Curzio si arrende e promette “che mai più non ardirò chiamare la lingua vostra una corruzione della latina…”. Tuttavia, la sua curiosità si sposta sull’influenza che lingue come il francese ed i tedesco hanno esercitato sul toscano con annesse voci toscane originate da loro366. Ovviamente gli interrogativi curziani offrono non accidentalmente il terreno per una rapida ma non meno significativa panoramica storico-politica sull’incidenza francese e tedesca sulle voci della lingua toscana: “le Todesche ci sono inframmesse, non tanto da i Mercanti: quanto da que soldati tedeschi che tanto tempo ci praticarono, da Arrigo, infino a l’ultima cacciata de Ghibellini, che sono 350 anni… Et si come ci addussero questi soldati…le voci todesche: così ci vennero anchora le francesi dagli Angioini, per que’ tanti Carli e Ruberti di Napoli; che impoverirono questa città.”367 Abbastanza chiaro appare il giudizio negativo sul dominio angioino a Napoli nella direzione di un orientamento complessivo non certo filofrancese ulteriormente confermato poco dopo quando il canonico laurenziano scardina la tesi della derivazione dello stile poetico e del sistema delle rime toscane dal provenzale, proposta dal Curzio, in base alla priorità temporale della nascita della forma orale della poesia rispetto a quella scritta. Precedenza testimoniata secondo il Giambullari in “Mosè e in Iob, come pruova Iosefo, e in David, e’ in tanti profeti, negli oracoli delle Sibille, in Esiodo, in Museo, in Homero”. A supporto della sua argomentazione il canonico laurenziano ricorre al lavoro dei grammatici per asserire la diversità delle misure dei versi, menzionando in questa occasione Muenster per sostenere l’autonomia della poesia toscana dalle rime provenzali, con riguardo all’endecasillabo e dice: “Et per trovarsi lo undici sillabo non solo tra noi e tra’ Provenzali, ma tra Latini, tra i Greci e tra gli Hebrei anchora come havete da’l dotto Munstero nelle XVIII maniere de versi Hebraici.”368 In realtà la trattazione dei versi ebraici è riconducibile al Proemio sopra i Salmi di Agostino Steuco, confuso inavvertitamente col Muenster369. Al di là di questo, Lenzoni che nella finzione dialogica si sostituisce al Giambullari, sulla falsariga della precedente parentesi storico-linguistica, sottolinea l’antecendenza cronologica dei rimatori della scuola poetica siciliana fiorita con Federico II, rispetto ai rimatori provenzali che “furono con il Conte Ramando Beringhieri; suocero di quel Carlo di Angiò, che occupando il Regno di Napoli, uccise il buon Re Manfredi, figliuolo di Federigo II.”370 Pertanto, l’origine della poesia toscana è ravvisabile in quella siciliana371, addirittura anteriormente a Federigo II, come “dimostra il sonetto di Agatone Drusi; letto non è molto nella dottissima e virtuosissima Accademia degli Intronati.”372

364Ivi, a proposito di zuffa cfr. a p. k2: “…idem quod…contentio, rixa, discordia: Ier. 15.” 365Gello, cit., passo cit. a pp. 55g3-57h1. 366Ivi, passo cit. a p. 57h1. 367Ivi, passo cit. a p. 59h2. 368Ivi, passi cit. a p. 60h2. 369Sull’indicazione di Steuco rinviamo a G. Marangoni, Prefazione alla Storia d’Europa, cit., in particolare p. XVI. 370Ivi, passo cit. a p. 61h3. 371Ivi, cfr. pp. 62h3-64h4. 372Ivi, passo cit., a p. 62.

59

Page 60: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Elementi dunque abbastanza chiari specie se ricollegati alle divergenze col Postel e al ricorso al supporto di riferimenti biblici e noachici munsteriani che riprende, una volta esaurita la parentesi sulle voci toscane derivate da francese e tedesco, a proposito della radice aramaica dei nomi delle città toscane. Arezzo, ad esempio, non deriva il suo nome dalla semina ordinata da Totila nel luogo in cui precedentemente sorgeva Aurelia quanto piuttosto “perché Iano la chiamò Arezzo, da’l cognome della donna sua Arezia, cioè Terra, la qual’ Terra nelle Sacre Scritture si chiama Arez373; dicendo Mosè nel principio del Genesi, Berescit Barah, elohim e ascianain, ve e Arez. Cioè nel principio creò Dio i Cieli e la Terra374. Fu adunque il nome di Arezzo, prima che Totila, almanco 2580 anni; Perché tanti ne sono da la seconda venuta di Iano, fino a Totila…”375. Centrale fra le altre, è naturalmente la spiegazione aramaica del nome di Firenze, punto di snodo dell’ampio ordito noachico sviluppato fin dalle prime pagine del Gello, fornita dal Lenzoni: “Bastandomi…il poter dimostrare; che il vero nome della mia Patria, non è Fluentia…Ma Florentia a Latini e Firenze a noi, da la insegna e da gli abitanti. Con cio sia che Fir in lingua aramea significa fiore, come appare nello VIII capo de Numeri nella voce Fircah, cioè fior suo376: e nel Fircam cioè fior loro nel V cap. di Esaia377. Hen poi significa Gratia, come nel VI del Genesi, trovò Noè Hen (cioè gratia) davanti a Dio378. La onde congiunte insieme queste due voci, direbbono Fiore di Gratia o Fiore Gratioso. Et tale era veramente il bianchissimo Giglio, segno antichissimo de fiorentini.”379 Particolare, questo del colore originario e autentico del giglio tutt’altro che insignificante, in quanto, determina la precisazione curziana che l’attuale colore del simbolo di Firenze è invece rosso e la seguente replica: “Sì ne tempi nostri…Ma non avanti la nimicissima divisione de’ Guelfi e de’ Ghibellini: che allhora lo rimutò la miserabile disavventura di questo popolo. Dicendo nel VI il Villano: Che i cittadini Guelfi, nel 1201, dove anticamente si portava il campo vermiglio, e il giglio Bianco; fecero per il contrario, il campo bianco e il giglio vermiglio. E i Ghibellini si ritennero la prima insegna.” Una replica, perfettamente funzionale, alla prospettiva politica germanica ghibellina filoasburgica e al mito del buon tempo antico, suggestioni ben presenti nella produzione e negli intendimenti politico-letterari del Giambullari. A maggior ragione, vista la fonte in questione e la selezione compiuta dal canonico laurenziano che desta almeno qualche perplessità sulla casualità dell’errore nell’individuazione dell’anno di riferimento nel 1201 invece che nel 1251. Villani infatti, pur considerando nella sua periodizzazione della storia fiorentina l’inizio dei conflitti cittadini del 1216, posticipa tuttavia, rispetto alla prospettiva dantesca e quindi all’orientamento del Giambullari la conclusione del buon tempo antico di cento anni dalla costituzione del primo popolo avvenuta nel 1250 in linea con il suo orientamento filo-guelfo. Nella storiografia del Villani, il 1250 che coincide con la morte di

373Cfr. in proposito anche la Chaldaica Grammatica a p. 9c1 dove leggiamo: “Berosus quoque vetustus ille historiographus idem confirmat dum asserit Noham terram vocasse Aretinam…”. 374Cfr. con Hebraica Biblia, cit., p. 1a1, il passo già da noi riportato di inizio del primo capitolo della Genesi: “In principio creavit deus caelum et Terram.” 375Gello, cit., cfr. p. 65 e ivi, passo cit. a p. 66i1. 376Hebraica Biblia, cit., cfr. Numeri, cap. VIII, pp. 133z1-134z2. 377Ivi, cfr. Esaia, tomo II, cap. V, p. 369aa4. 378Ivi, cfr. p. 6a6 “Noah vero invenit gratiam in oculis domini.” 379Gello, cit., p. 68i2.

60

Page 61: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Federico II e determina la fine della egemonia imperiale sulla città e la nascita delle istituzioni comunali fiorentine appare un momento altamente positivo380. Diversamente in questo punto del Gello, al di là dei dubbi sull’indicazione dell’anno, l’estrapolazione del Giambullari e la valutazione, testimoniano comunque l’impostazione filoghibellina del canonico laurenziano che sottolinea chiaramente come i ghibellini fiorentini siano i depositarii dell’autentico simbolo di Firenze con tanto di supporto dantesco381 e in stretta consequenzialità con la spiegazione del significato del nome della città viene formulato sulla base della versione biblica del’eterodosso tedesco Muenster. Dietro e oltre il piano linguistico, e le acclarate finalità accademiche del trattattello, pertanto Giambullari fa trapelare anche in questo intervento una prospettiva sostanzialmente rispondente alla linea antiromana e filo-asburgica della corte medicea382. Ipotesi confortata anche dalla prudente attesa cosimiana degli sviluppi della situazione politico-religiosa e ai rapporti da lui intrattenuti nel biennio 1545-1546 con i principi protestanti, per arginare un’intesa troppo stretta tra Paolo III e Carlo V383. Senza dimenticare che il trattattello del Giambullari, viene approntato nell’estate del 1545, a ridosso dell’apertura del Concilio tanto a lungo invocato da parte asburgica e finalmente ottenuto nel marzo dello stesso anno. Concilio, la cui inaugurazione rinvigorisce le mai spente aspettative di concordia interne alla cristianità, secondo un orientamento di ampie prospettive non rigidamente e angustamente dottrinali proprie dello stesso Giambullari, visti i riferimenti culturali che esprime tanto nel Gello quanto nelle coeve lezioni dantesche384. Tornando al testo, infatti, Lenzoni, prosegue nella spiegazione del nome Firenze in piena sintonia con la genealogia noachica, sostenendo che “il nome di Firenze è composto solamente di due voci, cioè da Fir, che è fiore,…e di ez che vuol dire forte. Non perché dica

380Ivi, passo a p. 69i3. Il passo in questione, è tratto dalle Croniche del guelfo Giovanni Villani morto nel 1348, ma cronologicamente e storicamente riguarda appunto la cacciata dei Ghibellini da Firenze compiuta, dopo la vittoria conseguita contro Pistoia, dai guelfi ritornati dentro alla città in seguito alla morte di Federico II nel 1250, e non nel 1201; leggiamo infatti in Cronica di Giovanni Villani a miglior lezione ridotta coll’aiuto de testi a penna, Firenze, per il Magheri, 1823, tomo II, libro VI, cap. XLIII, alle pp. 65-66: “…le dette case de’ ghibellini di Firenze furono cacciati e mandati fuori della città per lo popolo di Firenze, il detto mese di Luglio 1251. E cacciati i caporali de’ Ghibellini di Firenze, il popolo e gli Guelfi che dimoraro alla signoria di Firenze, si mutaro l’arme del comune di Firenze; e dove anticamente si portava il campo rosso e’l giglio bianco, si feciono per contrario il campo bianco e’l giglio rosso, e’ i ghibellini si ritennero la prima insegna, ma la insegna antica del comune dimezzata bianca e rossa, cioè lo stendale ch’andava nell’osti in sul carroccio non si mutò mai.” Cfr. anche ivi, tomo I, libro V, cap. XL p. 261 “Nell’anno 1216…la ‘nsegna del comune di Firenze, il campo rosso e’l giglio bianco, fu la prima che si vide in su le mura di Damiata…” e ancora a proposito della morte dell’imperatore e del ritorno dei guelfi cfr, pp. 62-64. Sulla prospettiva guelfa del Villani e sulla diversa prospettiva di periodizzazione del buon tempo antico rinviamo a N. Rubinstein, Il Medio Evo nella storiografia italiana del Rinascimento, in “Lettere italiane”, 24, 1972, pp. 431-447; in particolare pp. 434-436 e 444-446. Inoltre verifica Ch. T. Davis, Il buon tempo antico in Florentine Studies, ed. N. Rubinstein, Londra 1968, pp. 49-51. 381Ivi, nella stessa pagina leggiamo infatti riguardo al mantenimento da parte dei Ghibellini dell’insegna originaria: “La qualcosa accennando il dottissimo Poeta nostro, induce il suo Cacciaguida nel XVI del Paradiso a dire così: “Con queste genti, vidi io, glorioso Et giusto il Popol’ suo tanto; che il Giglio Non era ad aste mai posto a ritroso: Né per division’ fatto vermiglio.” 382In questa direzione, ci sembra stranamente casuale, la vicinanza linguistica dei nomi di coloro i quali hanno dato il nome al popolo tedesco e a quello toscano. Il primo nasce posteriormente al secondo da “Tuisco Gigante, uno de figliuoli di Noè, nato dopo il diluvio: da’l quale dura anchor hoggi il nome Todesco, quasi Toesco, poco alterato da’l primo suono.” Che inizia a popolare la Germania durante il quindicesimo anno di regno in Italia di Comero. L’altro, “quanto al nome Toscano…se lo ritiene da Tusco, figliuolo di Ercole Egittio, che successe al padre nel Regno… il 2291 de la creatione e 635 da il diluvio…”. Per i passi in questione cfr. Gello, cit., rispettivamente alle pp. 29d3 e 48f4. 383Cfr. G. Fragnito, Un pratese alla corte di Cosimo I. Riflessioni e materiali per un profilo di Pierfrancesco Riccio, in “Archivio di studi pratesi”, 1986, in particolare pp. 42-45. 384Vedi supra, II paragrafo.

61

Page 62: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Fior’forte…ma Fiore de forti, cioè de soldati di Hercole Egittio; posti qui ad habitare da Hercole stesso; come dianzi udiste dal Gello.”385 Egli inoltre, recupera direttamente la Chaldaica Grammatica munsteriana per giustificare nel passaggio da Firez a Firenze, l’aggiunta della lettera n: “come lo n vi sia interposto, lo dichiara l’uso arameo, che lo chiama lettera servile: cioè non naturale, o fondamentale delle voci: ma aggiunta loro per comodità e servitio di quelle, talvolta di ripieno, e talvolta per uno uso sovrabbondante386; come e quando e’dicono, IMBA, per IBA, cioè frutto…e ANTE per ATE, cioè Tu: come aperto mostra il Munstero nella Gramatica de’ Caldei.”387 Da cui, pertanto “aggiungendo lo e,…di Firenz, facciamo Firenze, fiore de forti, cioè de soldati d’Ercole Egittio. Il quale seccato il padule, lasciò i vecchi soldati a godersi questo bel piano…come provano apertamente le ragioni addotte dal Gello, da’l nome del Fiume; da la insegna sua; e da’l sigillo del Magistrato supremo di questa città, che ha sempre havuto la impronta di Hercole.”388 La insegna di Hercole, secondo quanto il Lenzoni chiarirà nei passaggi successivi, è il marzocco, il leone, simbolo della Firenze repubblicana, riproposto in chiave aramaica con l’attribuzione di un significato del quale ancora una volta è evidente il debito nei confronti della fonte muensteriana: “Mostramisi dunque la insegna d’Hercole nel Lione, perché egli uccise il Lione, vestissi di pelle di Lione; per cognome fu detto AR, e ARI, cioè Lione; al fiume nostro pose nome Arno, cioè Lion’ famoso…Aggiugnesi a tutto questo che e noi in memoria sua, Tegnamo anchora per Impresa il Lione, e chiamiamolo Marzocco: non perché questa voce a noi, o ad altri propriamente vaglia; Lione: Ma per mostrare che noi Siamo da Hercole. Conciosia che que’ primi nostri…dovevano gridare, Mazoc, Mazoc, cioè fondator’ fondatore[…]tra i molti significati di questa voce Zoc, tanto suona ella in lingua Aramea, quanto a Latini, fondamento e sostenimento come ne Dittionarij del Munstero389.”390 Un debito, che va di pari passo nel precedente passaggio con la trasposizione di significato del termine marzocco, dalle sue originarie valenze repubblicane a valenze medicee. 385Ivi, passo cit. a 69i3. 386Cfr. Chaldaica Grammatica, cit., a p. 19d2 in cui leggiamo: “Et vocantur serviles, quod de dictionis essentia non sunt quando serviunt[…]. Constituunt atque syllabae quaedam serviles ex his accidentarijs literis 387Gello, cit., passo cit. a p. 70. 388Ibidem. 389Su Zoc cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., “…fundavit, fundamentum posuit: Psal. 89…Inde…fundamentum, basis…”. Inoltre, curioso è rilevare che nella pressoché identica nuova edizione (la seconda) del Gello del 1549 stampata dal Torrentino, viene aggiunto un ulteriore rimando al muensteriano Chaldaicum Dictionarium, quando leggiamo a proposito delle lettere etrusche scolpite su alcune medaglie ritrovate: “E che in alcune medaglie di quelle antichissime etrusche…dove da una banda si vede la testa di Iano con le due facce e dall’altro un delfino goffo e mal fatto a galla in su l’acqua, manifestamente appariscono lettere etrusche nel suo d’intorno che dicono Orisela cioè libertà, secondo alcuni, che la interpretarono dalla voce ebrea Hhor, che significa libero. Avvegnachè, io seguitando come assai più antica la lingua caldea, intenda piuttosto Moneta di mio padre, da Hor che in quello idioma dice padre, e Jela, moneta di quattro denari, come nel dizionario caldeo del Muenstero agevolmente si può vedere.” In Lezioni di Messer Pierfrancesco Giambullari aggiuntovi l’origine della lingua fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Milano, Giovanni Silvestri, 1827, passo cit., alle pp. 211-212. Una precedente edizione del Gello viene compiuta da Giuseppe degli Aromatari sotto il nome di Subasiano nel Tomo VI della raccolta degli “Autori del ben parlare”, impressa in Venezia, nella Salicata, 1643, in tomi XIX, in 4, secondo quanto apprendiamo a p. 21 alla nota n. 6 della Istoria dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pier Francesco Giambullari, Torino, L’Unione tipografico-editrice, 1861. Dove si ricorda anche che le due edizioni del Gello del 1546 e del 1549 vengono citate dagli accademici della Crusca nel loro Vocabolario (per ulteriori notizie riguardo alla recezione delle opere del Giambullari nei dizionari della Crusca vedi infra capitolo III). 390Gello, cit., passo cit. a p. 71i4. 391La lettera inviata da Marzio Marzi de’ Medici Priore di S. Lorenzo a Pier Francesco Riccio preposto di Prato il 13 febbraio 1543 (che corrisponde per il calendario moderno al 1544) si trova in ASF, volume n. 1171, inserto n. 1, Foglio n. 20. Al riguardo e sulla questione del termine Marzocco cfr. A. D’Alessandro, Introduzione, cit., pp. 62-63; cfr. inoltre P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 21-22.

62

Page 63: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Operazione peraltro, già avviata dal Gelli prima nell’Egloga a Cosimo, poi nel Dell’origine di Firenze inviato al Duca, come attesta la lettera mandata da Angelo de’ Marzi vescovo di Marsico e segretario di Cosimo I a Pierfrancesco Riccio in data 12 febbraio 1544, a cui viene allegata: “una lettera del Gello [Giambattista Gelli] dentrovi una del Giambullari per difinitione del Marzoccho. S. Ecc.tia [Cosimo I] m’ha comandato la mandi a V. S. R. perché lei la facci scrivere in quell’operetta del Gello, et a lui dirà che S. Ecc.tia l’ha havuta chara et quanto habbi commesso […]”.391 Pertanto, il Giambullari inserisce il suo contributo in merito al significato del termine Marzocco nel suo Gello in preparazione durante il 1544, dietro sollecitazione ducale. Del resto anche le ultime pagine del trattattello in cui viene smantellata la tesi della ricostruzione della città ad opera di Carlo Magno confermano le propensioni medicee e filoghibelline del Giambullari392. Prospettiva nell’occasione sostenuta dal Curzio ma cara a tanta parte della storiografia fiorentina dal Villani, al Bruni, al Machiavelli, anche se secondo diverse sfumature e opzioni ideologiche393, la quale non può che trovare in disaccordo il canonico laurenziano. Essa infatti afferma l’antica e sedimentata propensione francofila della città394, chiaramente inaccettabile per gli elementi fin’ora riscontrati agli occhi del canonico fiorentino che sembra guardare in direzione germanica o quantomeno asburgica.

392Gello, cit., cfr. pp. 76-78. Lo stesso Gelli ancora nel 1561 nella Lettura sesta, lezione quinta in G. B. Gelli, Opere, cit., pp. 768-768 respinge la rifondazione carolingia della città e la precedente distruzione attribuita dalla tradizionale strogiorafia ad Attila e a Totila, in proposito si rinvia in particolare alle pp. 773-776. 393In proposito rinviamo a N. Rubinstein, Il Medio Evo, cit.. Inoltre verifica Ch. T. Davis, Il buon tempo antico, cit., inoltre, riguardo alla prospettiva antimperiale del Bruni cfr. anche Frances A. Yates, Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1978, in particolare cfr. pp. 24-25. 394Sulla quale ivi, p. 445 e A. Aubert, Eterodossia e Controriforma nell’Italia del Cinquecento, Bari, Cacucci, 2003, p. 10.

63

Page 64: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Capitolo II

La Storia d’Europa e le sue fonti

1. La fortuna e motivi della Storia d’Europa A più di trecento anni dalla scomparsa, una targa apposta nel chiostro della chiesa di S. Lorenzo nel 1862, avrebbe reso omaggio a Pierfrancesco Giambullari quale autore della Storia d’Europa: Petrus Franciscus Giambularius canonicus basilicae laurentianae doctus sermones linguae ebraicae chaldaicae etruscae graecae latinae nec non preclara doctrina et eruditione ornatus inter quae plura conscripsit longe eminet historiae europae ab anno DCCC ad MCC- in ea quippe fiorentini incorrupta sermonis integritas praelucet et narrationis mira iucunditas dulcissimusque candor sine satietate delectat- vir fuit sanctissimus castissimusque sacerdos et civis optimus atquenob virtutis opinionem iudicio principum et muneribus honestatus obiit sexagenarius gentis suae postremus anno MDLV. Cultores politioris humanitatis non incuriosi suorum memoriam vir praestantissimi titolo hoc vetustate senescere prohibueverunt. An. MDCCCLXII Segnale di un’avvenuta riscoperta dell’opera, sostanzialmente dimenticata sotto il profilo dell’interesse culturale e della fortuna editoriale, seguito all’unica edizione cinquecentesca realizzata dallo stampatore veneziano di origini senesi Francesco De Franceschi395 nel 1566 dietro sollecitazione di Cosimo Bartoli396, e non più pubblicato fino al secolo XIX. Prima ed unica impressione cinquecentesca che nonostante sia supervisionata dal Bartoli che si trova stabilmente a Venezia dal 1562 quale agente mediceo in sostituzione di Pero Gelido fuggito a Lione397, presenta molti errori a partire dall’indicazione del periodo storico trattato contenuta nel titolo, dall’800 al 913 invece di quello effettivo dall’887 al 947. Confusione peraltro già denunciata dal Bartoli undici anni prima in conclusione dell’orazione funebre pronunciata per il Giambullari a Santa Maria Novella, quando aveva sottolineato il carattere incompiuto dell’opera e l’intenzione di pubblicare “i più et più libri della historia d’Europa, circa lo anno novecentesimo della nostra salute, la quale egli con estrema diligentia, et meraviglioso giudizio aveva (cavandola dalle tenebre) messa in luce”398. Al di là di questo, nella lettera dedicatoria dell’edizione veneziana della Storia indirizzata a Cosimo, il Bartoli ribadisce l’elogio allo sforzo profuso dall’amico per comprendere un periodo oscuro e indecifrato in relazione agli scrittori di storie secondo il consolidato motivo umanistico del valore esemplare della storia:

395Si rinvia preliminarmente alla voce De Franceschi Francesco, di L. Baldacchini, in DBI, vol. XXXVI, 1988, pp. 30-35 e soprattutto a Dizionario de Tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappella, Editrice Bibliografica, Milano, 1997, in particolare vedi vol. I: A-F, la voce Franceschi, Francesco de ed eredi, di Marcello Brusegan, pp. 450-453. 396Historia dell’Europa, cit.. 397In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., per il periodo veneziano complessivo pp. 85-159, in particolare per l’avvicendamento con Pero Gelido scappato a Lione ivi, pp. 85-86 398Ivi, p. 166.

64

Page 65: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“quegli che hanno scritto le historie…ci hanno lasciata una viva memoria delle cose passate, per le quali non haremo notizia alcuna, mettendocele innanzi agli occhi in uno specchio, come se le vedessimo intervenire a tempi nostri. La qual cosa ci fa più accorti et più prudenti, in saperci risolvere, o di pigliare i partiti, o di schifare i pericoli, con gli esempi di altri[…]Della qual sorte Scrittori se bene ce ne è pure assai buon numero, non è, però che delle azzioni occorse nella Europa dalli anni 800 di nostra salute infino al 1200, non si desideri chi più largamente et distintamente le avessi scritte. Il che considerato già molti anni sono dal virtuoso Pier Francesco Giambullari, come desideroso di supplire a questo mancamento, avendo con sua non piccola spesa ragunati molti e molti Autori et latini, et Grechi et Franzesi, et Todeschi, et Spagnoli, et Inghilesi et Italiani, et di altre nazioni, che sparsamente ragionavano delle cose di quei tempi, et assai confusamente, si deliberò con molta fatica et diligentia sua di mettere una historia ordinata insieme delle cose che in quei tempi occorsono…”399 Da questo momento in poi si verifica una sorta di schiacciamento della dimensione storica della produzione culturale del canonico laurenziano esclusivamente considerato quale grammatico e linguista. Le menzioni e gli apprezzamenti che pure la Storia d’Europa, riceve, a partire dalla seconda metà del Seicento, nei dizionari dell’Accademia della Crusca rimangono limitati ad una valutazione linguistica e stilistica400.

399Ivi, Cosimo Bartoli, Allo illustris. Et eccellentiss. S. il S. Cosimo de Medici duca di Firenze e Siena…, Di Venetia, alli 12 di Settembre MDLXVI (pagine non numerate). 400In proposito cfr. Vocabolario degli accademici della Crusca, in questa terza impressione Nuovamente corretto e copiosamente accresciuto…, in Firenze MDCXCI, nella stamperia dell’Accademia della Crusca, III voll., in particolare all’interno del vol. I nell’elenco degli Autori moderni citati in difetto o confermazion degli antichi per dimostrazion dell’uso, o per qualch’altra occorrenza, a p. 32 “La storia dell’Europa del Giambullari”. Da notare nella pagina precedente la menzione di Bernardo Giambullari insieme a Luca Pulci per il “Ciriffo Calvaneo”. Infatti nel tomo I degli Atti dell’Accademia della Crusca, stampato in Firenze nel 1819, alla carta LXXIII si ricorda che il 20 settembre 1658, i deputati alla compilazione del vocabolario stabiliscono di citare la Storia del Giambullari e ne affidano lo spoglio al dottor Simon Berti denominato lo Smunto come ricaviamo da A. Mortara, Notizie intorno alla vita ed alle opere di Pier Francesco Giambullari, cit., in Istoria dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pierfrancesco Giambullari, testo di lingua, Torino, l’Unione tipografico-editrice, 1861, a p. 35. (Anche nelle pagine precedenti, del resto, abbiamo ulteriori elementi che testimoniano del lungo tempo atteso dalle opere del canonico per un’effettiva recezione se non addirittura ne siano date segnalazioni erronee dal Tiraboschi come per il Della lingua che si parla e scrive in Firenze per il quale ivi rinviamo alle pp. 28-29, oppure per le Lezzioni di M. Pierfrancesco Giambullari lette nell’Accademia fiorentina, cit., che possono essere state menzionate in qualche edizione del suddetto vocabolario come parte delle Prose fiorentine, Firenze, Tartini e Franchi, 1716-1731, voll. 17; in proposito vedi ivi, pp. 29-30. Notizia confermata anche dall’assenza del Giambullari negli elenchi di precedenti edizioni del suddetto dizionario come la prima edizione veneziana secentesca Vocabolario degli Accademici della Crusca, con tre indici delle voci, locuzioni, e proverbi Latini, e Greci, posti per entro l’Opera. Con privilegio del sommo pontefice, del Re Cattolico, della Serenissima Repubblica di Venezia, e degli altri Principi, e Potentati d’Italia, e fuor d’Italia, della Maestà Cesarea, del Re Cristianissimo…in Venetia, MDCXII, appresso Giovanni Alberti, 1612 (sulla quale cfr. M. Sciarrini, “La Italia Natione”. Il sentimento nazionale italiano in età moderna, Milano, Franco Angeli, Roma, 2004, in particolare pp. 137-141) e parimenti nella seconda impressione…, in Venezia, MDCXXIII, appresso Iacopo Sarzina. Anche nell’ottocentesco Vocabolario degli accademici della Crusca, in Firenze, nella tipografia galileiana di M. Cellini e c., (quinta impressione) 1863-1866, XII voll. sebbene ivi la Storia sia chiaramente richiamata ed indicata al vol. I a p. XLVIIIf4, vengono piuttosto valorizzati altri contributi del canonico laurenziano come vediamo nel vol. II, 1866, pp. 339-340 dove la voce cabalista contiene una definizione costituita dalla citazione tratta dalla dantesca lezione II in Lezioni…1551, cit., p. 47. Inoltre, sulla nascita dell’accademia della Crusca cfr. M. Plaisance, Le accademie fiorentine negli anni ottanta del Cinquecento in Piero Gargiulo, Alessandro Magini, Stéphane Toussaint, éds., Neoplatonismo, musica, letteratura nel Rinascimento. I Bardi di Vernio e l’Accademia della Crusca, Prato, “Cahiers Accademia”, I, 2000, pp. 31-39, ora in M. Plaisance, L’Accademia e il suo principe, cit., pp. 363-374, in particolare cfr. pp. 366-374.

65

Page 66: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Nel corso del Settecento la situazione non muta sensibilmente come dimostrano i giudizi di Giambattista Vico401 e Lodovico Antonio Muratori402, circoscritti alle posizioni aramaiche e al Gello del Giambullari. Soltanto verso la fine del Settecento Girolamo Tiraboschi403 torna sul contributo storico del Giambullari, elogiandone l’impegno profuso per “sceverare” tante fonti. Tuttavia, sulla falsariga di Muratori, il Tiraboschi considera Carlo Sigonio un modello imprescindibile ed inarrivabile per lo studio e la comprensione dell’epoca medievale404, preferendolo al Giambullari anche perché capace di completare la narrazione storica dal IX al XIII secolo diversamente dal canonico laurenziano.405 Inoltre, il Tiraboschi pur apprezzando stilisticamente la Storia del Giambullari ne critica la grammatica e l’ortografia, in linea con i rilievi già espressi da Apostolo Zeno.406

401G. Vico, Principi di Scienza Nuova d’intorno alla comun natura delle nazioni, in questa terza impressione dal medesimo autore in un gran numero di luoghi corretta, schiarita e notabilmente accresciuta 1744, in G. Vico, Opere, a cura di Fausto Nicolini, Napoli, Riccardo Ricciardi, Verona, 1953, pp. 365-905, cfr. in particolare pp. 472-473: “Questa dignità dà altresì i principi di scienza all’argomento di che scrisse il Giambullari: che la lingua Toscana sia d’origine siriaca. La quale non potè provenire che dagli più antichi fenici, che furono i primi navigatori del mondo antico, come poco sopra n’abbiamo proposto una dignità…” 402Nelle Dissertazioni sopra le antichità italiane nella dissertazione XXIII, Dell’origine o sia dell’etimologia delle voci italiane, leggiamo: “Sia a me permesso di dire mancar di molto in chi ha finquì ricercato onde sia nata buona copia de’ nostri vocaboli, imperciocchè troppo facilmente si persuasero uomini dotti che quasi tutte le voci italiane sieno derivate dalla lingua latina o greca, nel li credo io ingannati. Ci sono altre nazioni presso le quali si dee cercare e si trova l’origine di non pochi de’ nostri vocaboli. Né migliore strada presero coloro che dedussero dalla provenzale non poche d’esse voci, e di bei sogni propose il Giambullari con cercarne la miniera nella lingua aramea. Ma noi molto men di quel che si crede abbiam preso dal greco linguaggio, pochissimo dagli Ebrei; e quei pochi vocaboli che dalla Provenza passarono in Italia furono bensì usati da qualche scrittore, ma non già adottati dal popolo.” In Dal Muratori al Cesarotti. Opere di Lodovico Antonio Muratori, a cura di Giorgio Falco e Fiorenzo Forti, V tomi, Riccardo Ricciardi, Verona, 1978, passo cit. in tomo I, parte I, p. 649. 403Storia della Letteratura italiana del cav. Abate Girolamo Tiraboschi. Dall’anno MD fino all’anno MDCCC, Firenze, presso Molni, Landi e c., 1805-1813, IX tomi., (prima edizione Modena, 1772), sul quale cfr. E. Raimondi, I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Milano, Vita e pensiero, 1989 e AA. VV., Tiraboschi: miscellanea di studi, a cura di Anna Rosa Venturi Barbolini, Modena, Biblioteca Estense Universitaria, 1997. 404In proposito, E. Raimondi, I lumi dell’erudizione, cit., in particolare p. 135. 405Storia della Letteratura italiana, cit., tomo VII, Dall’anno MD all’anno MDC, parte II, libro III, pp. 886-887 dove leggiamo con evidenti imprecisioni anche sull’anno di morte del Giambullari: “Più esatta e più utile sarebbe stata la storia di Pier Francesco Giambullari fiorentino, se avesse potuto condurla alla fine. Avea egli intrapreso a scrivere una Storia d’Europa, cominciando dal principio del IX secolo, e veggendo che le altre Storie finallora pubblicate erano o superficiali, o favolose, avea raccolto gran copia di scrittori antichi e moderni di qualunque nazione per confrontargli tra loro, e discutere i lor racconti. Ma egli, giunto al libro VII, cioè all’an. 913, finì di vivere in età d circa 69 anni nel 1563, e la sua storia non fu stampata che due anni appresso[…]A questi scrittori di storia generale altri ne aggiungerò a questo luogo, che benché prendessero ad argomento de’ loro racconti o le sole vicende italiane, o qualche parte di esse, perché nondimen trattenersi ne’ tempi da noi più rimoti possono andar del pari co’ mentovati finora.[…]Ma queste opere e questi scrittori svaniscono innanzi all’immortale Siconio. Egli è il solo che fra la folta caligine de’ barbari secoli passeggia con piè sicuro e sparge luce per ogni parte.” In particolare ivi, sul Sigonio vedi pp. 820-837. 406Ivi, tomo VII, cit., parte quarta, libro III, leggiamo alle pp. 1567-1568: “il primo fra’ Toscani a scrivere della lingua italiana fu Pierfrancesco Giambullari di patria fiorentino, di cui già si è detto nel ragionare degli storici. Qui dunque ne rammenteremo solo il Gello…Volle il Giambullari persuaderci che la nostra lingua venisse dall’antica etrusca, e fosse accresciuta poi anche dall’ebraica e dall’aramea; e ognun può immaginare quai belle cose dovesse dire su tal proposito. Nondimeno ei dee aversi in conto di uno degli scrittori più benemeriti della lingua italiana per la sceltezza delle voci e dell’espressioni. Non così riguardo alla grammatica e alla ortografia, nelle quali, come avverte Apostolo Zeno (l. c. p. 25), ei non è modello troppo degno d’imitazione, essendo a lui pure avvenuto ciò che secondo il can. Salvino Salvini…accadde talvolta ad altri Toscani, cioè ch’essi, fondati sul benefizio del Cielo, che donò loro il più gentil parlare d’Italia, trascurano i loro stessi beni, non osservando perfettamente l’esatta correzione, e non curandosi di aggiungere alla fertilità, per dir così, del lor terreno la necessaria cultura e a’ loro componimenti l’ultimo pulimento.”

66

Page 67: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Peraltro, lo stesso Tiraboschi dimostra di aver letto tutt’altro che attentamente la Storia del Giambullari come non mancherà di rilevare il vero artefice del rilancio dell’opera del canonico laurenziano: Pietro Giordani407. Il celebre purista, infatti, elogia grandemente lo stile della prosa del Giambullari definendolo un “mellifluo Erodoto”, capace di rieccheggiare la naturalità della lingua italiana del Trecento e di riprodurre lo stile greco. Il Giordani fautore di una prospettiva linguistica non scevra da una volontà di rottura col modello educativo e culturale di matrice controriformista, esalta lo stile del canonico laurenziano per quella naturalità che manca alla prosa dei latini, fondamentale invece sotto il profilo dell’apporto lessicale alla formazione della nostra lingua.408 A parte questo, l’appellativo del Giordani si spiega, oltre che con una non improbabile allusione alla valenza di Erodoto come fonte del filone etrusco tanto caro al Giambullari409, anche in relazione al quadro storico che il canonico laurenziano voleva rappresentare. In un’altra delle sue lettere il Giordani afferma: “Se mai fu in Italia chi potesse rappresentarci Erodoto, o è questi, o altri non ne conosco. Che ampio e bel disegno di storia se la vita gli fosse bastata a colorirlo! E quanta fatica gli dovette costare poiché non erano ancora al mondo i lavori di Carlo Sigonio, a portar luce in que’ tre secoli tanto infelici e tenebrosi che furono dall’887 al 1200!”410 Un giudizio che si inquadra nella generale riscoperta che il Romanticismo compie del Medio Evo in evidente opposizione alla sua prevalente ma non esclusiva liquidazione durante il secolo dei Lumi quale epoca storica di barbarie e oscurantismo, sulla falsariga di orientamenti interpretativi e schemi storiografici largamente attinti dall’Umanesimo.

In proposito cfr. Istoria dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pierfrancesco Giambullari. Testo di lingua, Torino, L’Unione tipografico-editrice, 1861 in cui si riferisce il parere del Tiraboschi con annessa confutazione delle deficienze grammaticali del Giambullari da lui denunciate, cfr. pp. 27-28. Inoltre su Apostolo Zeno rinviamo a Storia della Letteratura, Fabbri, Milano 1967, ad indicem; H. Kindermann, Teatro europeo del Rococò, in Sensibilità razionalismo nel Settecento, Firenze, 1967; G. Torcellan, Giornalismo e cultura illuministica nel Settecento veneto, in Settecento veneto, Torino 1969, ad indicem. 407Sul quale vedi la relativa voce Giordani Pietro di G. Monsagrati, su DBI, vol. LV, Roma, 2000, pp. 219-226, cfr. inoltre Pietro Giordani nel II centenario della nascita. Atti del Convegno di studi, Piacenza, 16-18 marzo 1974, cassa di risparmio di Piacenza, 1974, ivi, in particolare per un sintetico e generale profilo di questa figura la relazione introduttiva di Carlo Dionisotti, Discorso introduttivo, pp. 1-20. A proposito della stigmatizzazione delle inesattezze del Tiraboschi vedi in P. Giordani, Opere, XIV voll., a cura di Antonio Gussalli, Milano, per Francesco Sanvito, 1854-1863, ivi, vol. X, p. 426 in cui accusa il Tiraboschi addirittura di non aver letto l’opera del canonico laurenziano. Tuttavia, l’errore compiuto dal Tiraboschi nel definire l’arco cronologico dell’opera dall’800 al 913 sarebbe stato commesso anche in molte altre edizioni ottocentesche della Storia d’Europa che d’altronde lo criticano per le indicazioni errate sulla confusione fatta nella recezione delle opere del canonico nei Dizionari della Crusca. Inoltre vedi supra nota 12 per l’edizione del 1861 e ancora Istoria d’Europa…dal DCCC al DCCCCXIII, Milano, casa editrice di M. Guigoni, 1873, che ripropone le notizie del..Mortara, cit.. 408P. Giordani, Opere, cit., a proposito del giudizio sul Giambullari, vedi la lettera inviata da Milano il 20 maggio 1817 al Conte Pompeo del Toso a Vicenza, vol. IV, pp. 64-66, e soprattutto a p. 65 il passo in cui il Giordani esprime il giudizio sopra ricordato e lamenta la scorrettezza dell’edizione cinquecentesca della Storia d’Europa manifestando chiaramente il proposito di realizzarne una nuova edizione: “Ond’è ottimo ch’io non pensi al guadagno che niuno ne farei; ma solo al piacere degli studiosi, cercando di pubblicare qualche buon libro poco divulgato. Ho l’animo al Giambullari: ma pesami di non poter trovare qualche manoscritto, onde medicare alcun poco quell’unica stampa, dalla quale si spesso non si riesce di cavar senso. Ma vedremo; e si farà il meno male possibile. Certo quella prosa mi pare un gran che: ella sola fra le italiane mi rende un poco del mellifluo Erodoto.” Sulla distinzione tra stile e lingua dei trecentisti in relazione al latino in chiave di rottura con la Controriforma rinviamo a Sebastiano Timpanaro, Il Giordani e la questione della lingua in Pietro Giordani, cit., pp. 157-208, pp. 175-185, in particolare nota 65 a p. 185; inoltre ivi, riguardo al giudizio espresso sul Giambullari cfr. la nota 43 a p. 176 e la nota n. 62 a p. 183. 409In proposito cfr. G. Cipriani, Il mito etrusco, cit., p. 33 in particolare nota n. 68. 410Ivi, lettera del 1821 al tipografo Niccolò Bottoni, vol. X, pp. 423-427, passo cit. a p. 426.

67

Page 68: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Una piena coscienza del Medio Evo, del resto, dopo gli sconvolgimenti rivoluzionari, viene percepita come irrinunciabile esigenza al fine di un pieno ristabilimento dello spirito e della coscienza identitaria europea. Un recupero naturalmente non puramente nostalgico e rivolto al passato come quello mistico proposto dal Novalis nell’ambito della Restaurazione che rifiuta la Riforma protestante e la modernità, ma che sia capace di cogliere nel processo in atto dell’affermazione spirituale del principio nazionale non più limitato ad una sfera meramente etnico-linguistica, le imprescindibili origini romano-barbariche, nella prospettiva avanzata tra gli altri, dal Guizot411. La riscoperta medievale poi, attraverso l’esaltazione del primordiale spirito libertario delle stirpi germaniche, gioca un ruolo estremamente importante nel rinvigorimento del mito della superiorità della civiltà europea quale assetto politico-spirituale fondato sulla libertà, di cui primo antesignano anche se con riferimento ad un’Europa limitata alla Grecia era stato proprio Erodoto in antitesi alla tirannide orientale del mondo persiano.412 Pertanto, sulla base di queste suggestioni la Storia del Giambullari suscita nuova curiosità. Tanto più che il nostro canonico costruisce la propria narrazione delle vicende del continente su questo doppio binario, di unità spirituale e di molteplicità politico-storica, secondo quanto il Bartoli aveva detto della raccolta e dell’uso delle fonti operato dal Giambullari. Fin dalle prime battute, come sottolinea Carlo Curcio, l’Europa descritta dal Giambullari appare come un “contenente” la cui storia “procede per nazioni e per paesi. La storia d’Europa, per la prima volta, è storia dei popoli d’Europa, delle nazioni europee.” Spesso sembra imporsi quale criterio fondativo della storia la geografia, ma poi riemerge il collante unitario spirituale costituito dal Cristianesimo, specie in relazione ad invasioni esterne, ma sempre secondo questo duplice binario di unità molteplicità. Scrive infatti ancora il Curcio: “Non c’era nella storia del Giambullari, la Cristianità, c’erano nazioni cristiane, c’erano Cristiani. Ecco, ancora un legame spirituale, il legame che teneva uniti i popoli del continente. Tale unione si notava soprattutto quando genti d’altre razze e d’altri continenti invadevano l’Europa[…]In Europa vi erano pel Giambullari, nazioni con caratteri, costumi, indirizzi politici ormai staccati ed evidenti. V’erano contrasti e guerre, altro segno dell’individualità di quelle nazioni. Entro quel ‘contenente’ non c’era armonia di spiriti.”413 Del resto, in questa direzione va tenuto presente sia l’anno di inizio della narrazione della Storia, sia il momento storico in cui Giambullari si dedica alla sua composizione. La narrazione del canonico laurenziano parte significativamente dall’887, momento nel quale l’impero carolingio si sgretola definitivamente nei tre regni autonomi di Francia, Germania ed

411Al riguardo rinviamo in primo luogo a Marcello Verga, Storie d’Europa. Secoli XVIII-XXI, Roma, Carocci editore, 2004, pp. 35-46 e F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta, Bari, Laterza, 1995, (prima edizione 1964), pp. 104, 125-144 e 152-153; inoltre ivi, Appendice, pp. 161-171, in particolare pp. 161-164 e ancora su Guizot, id., Nazione ed Europa nel pensiero dell’Ottocento in “Quaderni ACI”, 6 (1951) pp. 17-32, ora in id., Idea di Europa e politica dell’equilibrio, a cura di Luisa Azzolini, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 259-283, in particolare pp. 269-276; inoltre, cfr. G. Calabrò, L’idea di Europa di Chabod, in “La Cultura”, a. XLII, n. 2, agosto 2004, pp. 235-255, sulla riconsiderazione ottocentesca del periodo medievale pp. 237 e 239, 250-255, e C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, Firenze, Vallecchi, 1958, II voll., pp. 502-503. Infine sull’Europa Medievale, cfr. anche Roberto Lopez, La nascita dell’Europa secoli V-XIV, Torino, Einaudi, 1966 (traduzione di Naissance de l’Europe, Parigi, Armand Colin, 1962) cfr. AA.VV., Il Medioevo dagli orizzonti aperti, Atti della giornata di studio per Roberto Lopez, Genova, 9 giugno 1987, Genova, cooperativa grafica, 1989. 412Su Erodoto, F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, cit., in particolare pp. 23-24, e id., L’idea di Europa. Prolusione al corso di Storia moderna nell’Università di Roma 22 gennaio 1947 nella “Rassegna d’Italia”, II, 1947, n. 4, pp. 3-17, n.5 pp. 25-37, ora in Idea d’Europa e politica dell’equilibrio, cit., pp. 139-203, in particolare pp. 142-143 e C. Curcio, Europa Storia di un’idea, cit., I vol., pp. 55-58; inoltre G. Calabrò, L’idea di Europa di Chabod, cit., p. 236. 413C. Curcio, Europa storia di un’idea, cit., passi alle pp. 204-205.

68

Page 69: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Italia con la deposizione di Carlo Il Grosso414. Inoltre, quando il Giambullari lavora alla Storia415, siamo negli anni quaranta, (in particolare cinque dei sette libri pervenutici nella versione del testo a stampa sono ultimati entro il 1547416) fase in cui la cristianità europea appare gravemente lacerata dal dissidio tra protestanti e cattolici e dallo scontro militare tra Carlo V e la Lega di Smalcalda. Tuttavia, nella Storia d’Europa il canonico laurenziano non si limita semplicemente a registrare queste profonde divisioni. Egli, infatti, sostiene con forza la permanenza del principio imperiale e la sua capacità di operare quale fattore essenziale dello sviluppo europeo a partire dal momento in cui si verifica la Translatio imperii dagli imperatori carolingi agli imperatori Sassoni, Arrigo e soprattutto suo figlio Ottone I. Certo ormai l’idea imperiale non è più figlia dell’ecumene romana e della istanza universalistica della cultura greco-romana, ma il prodotto dell’incontro e della fusione tra le nuove stirpi germaniche e la cultura cristiana. Come vedremo, peraltro, il comune sostrato cristiano non interviene nella Storia, soltanto saltuariamente in caso di attacco degli infedeli e barbari Ungheri o dei Saraceni a costituire un collante provvisorio e temporaneo. Gli imperatori sassoni, guidati dalla volontà e dal favore divino come l’autore sottolinea ripetutamente, svolgono una missione di guida morale e politica della cristianità. Ruolo imperiale a cui corrisponde la marginalizzazione di Roma e molte volte la negativa rappresentazione dei pontefici medievali e delle loro azioni antitetiche all’imperatore e conseguentemente agli autentici interessi della Res publica christiana. Pertanto lo scritto riprende la prospettiva filoghibellina e filoerasmiana rilevata negli altri interventi del Giambullari, la quale influenza profondamente la stessa concezione del potere imperiale di Carlo V417, per il tramite di Mercurino da Gattinara, pur non essendone l’unica componente. Il grande cancelliere dell’imperatore, del resto, elabora una prospettiva imperiale sincretistica, basata sulla concezione medievale che privilegia l’elemento germanico, quella umanistica che rivendica la centralità di Roma e dell’Italia e quella erasmiana che, in un panorama di Stati e principi indipendenti, trasferisce al concerto tra sovrani la tutela dei valori della Res publica christiana.

414Sul periodo carolingio cfr. Nascita dell’Europa ed Europa carolingia: un’equazione da verificare, settimana di studio 19-25 aprile 1979, II voll., Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1981. 415Fin da ora e per la successiva analisi delle fonti faremo riferimento alla Istoria d’Europa, a cura di G. Marangoni, cit.. 416La lezione a stampa infatti, nell’edizione Istoria d’Europa, a cura di G. Marangoni, cit., cui facciamo riferimento fin da ora e per la successiva analisi sulle fonti, conferma che sicuramente cinque dei sette libri a noi complessivamente giunti, viene completata già nel 1547, attraverso un riferimento contenuto nel primo libro dove leggiamo a p. 11 a proposito delle città boeme “Le città principali sono Volograd, modernamente chiamata Olmic, e Bruna e Znoimia, dove mancò di vita lo imperatore Sigismondo, non sono oltre a cento dieci anni.” e due passi del quinto che alludono chiaramente all’anno in questione. Il primo riguarda all’interno della descrizione geografica della Scandinavia, il fiume norvegese Mos: “E dentro fra terra ferma sono infinite fiumare e diversi laghi, e uno fra gli altri chiamato Mos; nel quale, quando calamitade alcuna debbe venire in Norvegia, apparisce (dice il Landavo) un serpente grandissimo, co’l medesimo significato che le comete negli altri luoghi.[…]Fu veduto il serpente detto, non sono più che venticinque anni, cioè nel millecinquecentoventidue. E per quanto giudicaresi poteva per quello che appariva di lui sopra alla acqua, in maniera quasi di canapo che in sé stesso fusse raccolto, fu giudicato cinquanta cubiti; e ne seguì appresso la cacciata del re Cristierno, de la quale non si aspetta parlare a me, per esser fuori dei tempi ch’io scrivo.” passo cit., alle pp. 310-311 e il secondo all’interno del prospetto geografico della Russia, a certificazione dell’autorità superiore esercitata dal patriarca di Costantinopoli sull’arcivescovo di Leopoli con riferimento al concilio di Costanza: “Il quale…riconosce per maggiore il patriarca di Costantinopoli, e a lui obbedisce in tutte le cose: come poco più di cento anni sono, potè vedersi pubblicamente nello ottavo sacrosanto concilio universale, celebrato nella nostra città per Eugenio quarto sommo pontefice, presente lo imperatore greco ed esso patriarca costantinopolitano, in compagnia di Isidoro, poi cardinale, ed allora arcivescovo universale di tutta la Rossia…”., passo cit., alle pp. 331-332. Sul compimento dei primi cinque libri, cfr. G. Marangoni, Introduzione, cit., p. XXXI. 417Sul quale preliminarmente rinviamo a Pierpaolo Merlin, La forza e la fede. Vita di Carlo V, Roma-Bari, Laterza, 2004, e annessa bibliografia, pp. 399-406.

69

Page 70: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Una prospettiva che, proprio attraverso il nesso prioritario che il Gattinara istituisce tra Italia e Germania, secondo la fusione di istanze dantesche e umanistiche418, si sposa evidentemente con la realtà imperiale delineata dal Giambullari in cui il rapporto instaurato tra autorità imperiale e regno d’Italia risulta molto stretto. Un’impostazione pertanto, quella del canonico laurenziano, perfettamente funzionale alla politica antiromana di Cosimo il quale, secondo quanto scrive Carlo Dionisotti, che suggerisce addirittura un’implicita identificazione nella Storia d’Europa tra Ottone I di Sassonia e Carlo V , “mirava al granducato, ossia al vicariato imperiale sulla Toscana”419. Significativo in questa direzione è anche il cambiamento del progetto generale della Storia rilevato da Giuseppe Kirner420 sulla base del confronto tra l’edizione a stampa e l’unico parziale manoscritto autografo dell’opera da lui segnalato: il magliabechiano 111, classe XXIV. In questo codice che presenta il primo e una parte di quello che sarebbe diventato il secondo libro della Storia d’Europa, il Giambullari annuncia il progetto originario di coprire un arco di 70 anni di accadimenti storici italiani ed europei, dall’incoronazione imperiale di Arnolfo (887) all’ascesa al regno d’Italia di Berengario II (957): “Ritornato adunche in Ponente l’imperio sotto il gran Carlo e suoi discendenti, e suscitatosi con esso in parte il quasi estinto valore antico, ne seguirono tosto quei frutti, che per essere manifestissimi nelle istorie, non accade a me replicargli; e ne successero appresso quei rari, anzi piuttosto insoliti effetti, che gran tempo stati nascosi, ci sforzeremo di recare in luce, cominciando a lo imperio di Arnolfo, dove tutti i nostri scrittori vorrebbono gli antichi più diligenti nelle cose almanco d’Italia per anni LXX o circa, molto male da quegli accennate, et (secondo che dicono) peggio descritte. Alle quali prima che altrimenti io ponga la mano, deliberandomi pure di narrare non le istorie sole d’Italia, ma quelle ancora d’Europa, conveniente e giusto mi pare…”421 Un programma dunque ricalcato sull’arco storico svolto dall’Antopodosis di Liutprando, che tuttavia viene modificato prima del 1547 come si evince nel testo a stampa che non riporta il passaggio riscontrato nel codice autografo e contiene nell’ultima pagina del quarto libro un rinvio a Ottone III e nel quinto due richiami a Ottone II422. Giambullari, pertanto, come rileva Kirner, prima vuole trattare il periodo in cui l’Italia ha re propri, poi anche la fase di dominio sulla penisola degli imperatori tedeschi423. Ulteriore conferma in questo senso, oltre al Bartoli, la fornisce il Gelli che in una sua lezione dantesca del 1558, sul X canto dell’Inferno, ricorda come la tesi sull’origine dei nomi di guelfi e ghibellini del Boccaccio venga confutata dal Giambullari che “dimostra…in quella Istoria dal mille al mille e Trecento, ch’egli ha scritto, cavandola con grandissima diligenza da molti istoriografi esterni (perciòche ei non si trova scritto cosa alcuna o pochissimo di quei tempi da’ nostri italiani) non può esser in alcun modo vera”424

418Ivi, sulle diverse componenti della concezione imperiale di Carlo V sulla sua evoluzione in relazione alle varie fasi storiche del suo impero fino al suo fallimento pp. 156-365 e in particolare sull’influenza del Gattinara e sugli elementi della sua prospettiva imperiale vedi pp. 156-180. 419C. Dionisotti, Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, in “Lettere italiane”, XXIV, 1972, pp. 421-430, in particolare pp. 428-429 e passo cit. a p. 429. 420G. Kirner, Sulla storia d’Europa di Pierfrancesco Giambullari, Pisa, Tipografia T. Nistri e C., 1889, pp. 6-7. 421BNF, cod. Magliabechiano 111, classe XXIV, passo cit., alle pp. 3-4. 422Giambullari nel IV libro riferendosi ai “Borussi” dice che “quello che e’ facessero poi ne’ tempi del terzo Ottone…lo diremo ne’ luoghi suoi” Storia d’Europa, cit., passo cit. a p. 287, e nel V, prima promette di porre fine alla confusione spaziale e temporale prodotta da diverse fonti sulla storia boema quando storicamente arriverà “a’ tempi di Ottone secondo…”, passo cit. a p. 347, poi anticipa sul conto di Oderico principe di Boemia: “ed ebbene poi col tempo un figliuolo chiamato Bisetislao, che fu genero di Ottone secondo, come a suo luogo racconteremo.”, p. 352. 423G. Kirner, Sulla storia d’Europa, cit., p. 6-12. 424Gelli, Letture edite ed inedite sopra la Commedia di Dante, cit., all’interno della Lettura quinta sopra lo inferno fatta all’Accademia fiorentina nel consolato di M. Francesco Cattani da Diacceto MDLVIII, pp. 573-

70

Page 71: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Probabilmente, secondo quanto sostenuto dalla Marangoni, il Giambullari, dopo aver completato i primi cinque libri dell’opera intorno al 1547, nei restanti otto anni della sua esistenza oltre ad aver composto il sesto e parte del settimo libro, redige anche degli appunti preparatori di quella che sarebbe dovuta essere la prosecuzione della Storia in base al nuovo progetto. Una continuazione mai realizzata per il sopraggiungere della morte che non permette al canonico laurenziano di completare neanche il settimo libro dell’opera, rimasto in una fase di abbozzo425. Peraltro, in mancanza di elementi certi per il periodo 1547-1555, non può nemmeno escludersi del tutto l’ipotesi ventilata da Kirner su un’interruzione della scrittura dal 1547 al 1555 quando prossimo alla morte il Giambullari avrebbe ripreso la Storia come lascerebbe supporre l’abbozzo del settimo libro426. Illazione non del tutto priva di fondamento visto l’acuirsi proprio nel 1555 con l’elezione al soglio pontificio di Paolo IV in aprile (dunque pochi mesi prima della morte del Giambullari avvenuta alla fine di agosto) dei contrasti tra papa e Cosimo, dopo il periodo certamente più disteso vissuto tra Firenze e Roma durante il pontificato di Giulio III (1550-1555)427. Forse proprio il cambiamento dei rapporti con la Santa Sede, che si registra con i pontificati di Pio IV (1559-1566) e Pio V (1566-1572) spiega il perché la Storia d’Europa sia l’unica opera del Giambullari non edita a Firenze. Cosimo, infatti, stringe col successore del Carafa, Michele Ghislieri Pio V, una salda intesa volta a conseguire il titolo granducale (poi riconosciutogli nel 1569) adottando, conseguentemente, una politica culturale e religiosa opposta rispetto agli orientamenti irenici e valdesiani sostenuti negli anni quaranta e cinquanta. Come sottolineato anche da Giorgio Spini, dal 1559 inizia una fase di vero e proprio sganciamento nei confronti del potere asburgico con cui peraltro i rapporti non erano mai stati facili428, che implica anche il ripudio della precedente linea ghibellina e di testi come la Storia che la caldeggiavano. Una stagione si era ormai conclusa come documenta anche l’allontanamento definitivo dalla corte medicea del Tormentino, in seguito alla perdita del monopolio di stampatore ducale avvenuta nel 1560, pochi anni prima della pubblicazione veneziana della Storia429.

691, nella Lezione terza sul canto X di Farinata degli Uberti, pp. 603-617, vol. I, a p. 609. In proposito vedi G. Kirner, Sulla Storia d’Europa, cit., pp. 9-11; inoltre cfr. G. Marangoni, Introduzione, cit., alle pp. XXX-XXXIII e C. Vasoli, A proposito della Storia d’Europa del Giambullari, in “Nuova rivista storica”, LXXVII (1993), pp. 624-639, in particolare p. 626. Inoltre a p. 609-610 leggiamo la spiegazione dei nomi guelfo e ghibellina tratta da Ottone Frisigense e poi ripresa altrove dal Bartoli a proposito della nascita di Federigo Barbarossa che avrebbe dovuto conciliare le due fazioni (vedi infra cap. III), e l’origine per l’Italia di questo termine ben più tarda, che il Gelli sembra preferire (sebbene sembri oscillare sulla veridicità di una delle due tesi alla fine, ha precedente confutato, attraverso il supporto di Giambullari, la tesi boccaccesca sull’origine dei nomi risalente addirittura al 1070 alle pp. 608-609) : “Queste son le parole di questo autore; e questo ch’egli scrive fu più di ottanta anni che questi nomi di Guelfi e Ghibellini si sentissero in Italia nominare; imperò che, secondo il Biondo e gli altri istoriografi di quei tempi, ei cominciarono a sentirsi in Italia circa al mille dugento quaranta. Sono adunque i Ghibellini e così si vede ancora oggi, quei della casa e della fazione imperiale; ed i Guelfi quei della casa di Baviera e della parte franzese. Ma o l’una o l’altra di queste origini che abbino avute queste parti, elle sono state perniziosissime a tutta Italia, e particolarmente alla città nostra, e massimamente ne’ tempi del Poeta nostro, e poco avanti di quei di questo M. Farinata; il quale fu uno de’ capi principali di parte ghibellina.” 425In proposito G. Marangoni, Introduzione, cit., pp. XXXII-XXXIII. 426G. Kirner, Sulla storia d’Europa, cit., pp. 8-9. 427In proposito M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 379-393. 428G. Spini, Il principato dei Medici e il sistema degli stati europei nel Cinquecento in Firenze e la Toscana dei Medici nell’europa del Cinquecento, Firenze, Olsckhi, 1983, III voll., vol. I, pp. 177-216, in particolare cfr. pp. 186-199. 429M. Firpo Gli affreschi, cit., pp. 393-407 e sulla fine del monopolio del Torrentino, che prende l’iniziativa di impiantare una stamperia a Mondovì nel ducato di Savoia nel 1562, si rinvia in particolare a A. Ricci, Lorenzo Torrentino, cit., p. 108.

71

Page 72: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Né meno significativo a supportare in qualche modo questa ipotesi è il fatto che lo stampatore pubblica la Storia d’Europa, Francesco de’ Franceschi, verrà processato per ben due volte a causa della detenzione di libri proibiti, tra cui la sesta centuria di Magdeburgo430. Al di là di questo comunque, il fatto che il canonico laurenziano decida di ampliare il piano dell’opera conferma ulteriormente la sua propensione ghibellina in perfetta continuità con i suoi precedenti interventi letterari. È appena il caso di sottolineare come il Gelli richiami la Storia d’Europa proprio in relazione all’origine delle fazioni fiorentine di guelfi e ghibellini la cui nascita appunto pone fine all’epoca del buon tempo antico, la cui durata coincide con l’arco di tempo che Giambullari intende secondo il suo ultimo progetto coprire storicamente. Tornando ai motivi di possibile interesse ottocentesco della Storia, il Sacro romano impero, inoltre, pur nella molteplicità degli organismi politici che lo compongono, trova un ulteriore motivo di specificità nell’indiretto quanto costante confronto che il Giambullari instaura con l’impero bizantino. Realtà bizantina che il Giambullari delinea negativamente rispetto alla pur movimentata e inquieta realtà europea, in quanto preda della corruzione e dell’inettitudine dei suoi imperatori e delle ambigue figure della sua corte431. Lo stesso fattore fisico-geografico integra, come vedremo, le linee interpretative accennate, difficilmente risultando un fattore neutro o comunque non correlato alle prospettive e agli orientamenti presenti nella Storia, funzionale cioè nel duplice binario della comune civiltà europea e della specificità e molteplicità delle sue realtà politiche. Pertanto, dato l’interesse che le caratteristiche della Storia d’Europa suscitano nel panorama culturale italiano del XIX secolo, appare comprensibile l’intenzione del Giordani di diffondere il testo del Giambullari in una nuova edizione, finalmente depurata dei tanti errori riscontrati nell’unica stampa cinquecentesca e nella prima scorretta stampa del XIX secolo, edita a Palermo nel 1818. Dopo aver vanamente proposto all’ex giacobino Pietro Brighenti432 una nuova pubblicazione433, del testo finalmente emendato dagli errori delle due uniche precedenti edizioni, ne cura personalmente l’edizione livornese del 1831434.

430In proposito vedi infra cap. III, pp. 11-12. 431Sull’antitesi tra Sacro romano impero e impero bizantino cfr. F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, cit., pp. 38-43, 432Sul quale rinviamo alla voce Brighenti Pietro di G. Monsagrati, in DBI, vol. XIV, Roma, 1972, pp. 264-266, in particolare sulla sua militanza giacobina anteriore al 1820, data dalla quale diviene informatore dell’Austria, cfr. pp. 264-265. Per la sua attività di spia del governo austriaco rinviamo in particolare a L. Raffaele, Una dotta spia dell’Austria, Roma, Tipografia operaia romana cooperativa, 1921. 433In proposito vedi la lettera inviata dal Giordani al Brighenti il 22 febbraio 1822 a Bologna, ora in L. Raffaele, Una dotta spia, cit., pp. 14-16, in particolare cfr. pp. 14-15. 434Nel frattempo, c’erano state almeno altre tre edizioni: quella pisana (Istoria d’Europa di Messer Pierfrancesco Giambullari dal DCCC al DCCCCXIII, Pisa, presso N. Capurro, co’ caratteri di F. Didot, 1822), e le due milanesi del 1827 (Istoria d’Europa di Messer Pierfrancesco Giambullari dal DCCC al DCCCCXIII, testo…di lingua, Milano, N. Bettoni, 1827) e del 1830 (Istoria dell’Europa di Pierfrancesco Giambullari dal 800 al 919, a cura di Antonio Fontana, Milano, 1830, uscito nella collana della “Biblioteca storica di tutte le nazioni”) che ripresentano esclusivamente un breve riassunto a livello critico delle notizie offerte dal Mortara le cui notazioni del resto costituiscono anche l’esclusivo apparato critico (anche se riproposte in modo integrale questa volta nell’edizione torinese del 1861, Istoria dell’Europa dall’800 al 913, cit., (ivi, pp. 5-37). Oltre a quella napoletana del 1832 in cui si replicava nella premessa alle considerazioni formulate da Giuseppe Maffei nella sua Storia della letteratura italiana del cavaliere Giuseppe Maffei, terza edizione originale nuovamente corretta dall’autore e riveduta da Pietro Thouar, II voll., Firenze, Le Monnier 1853, (1 edizione Milano, Società tipografica de’ classici italiani 1825), a p. 409 del primo volume: “Pier Francesco Giambullari avea impreso a scrivere una Storia generale dell’Europa, incominciando dal nono secolo; ma giunto al libro VII, cioè all’anno 913, finì di vivere. Egli era stato uno de’ fondatori della fiorentina Accademia, e si era reso assai benemerito dell’italica favella con un dialogo intitolato il Gello, ove tratta dell’origine della medesima, e colle sue Lezioni, in alcuna delle quali illustra Dante, e nelle altre tratta vari argomenti. La sua Storia, come quella che forma testo di lingua, fu spesse volte citata dagli Accademici della Crusca; ma è scritta con poca critica e con minor filosofia, perché queste due scorte dello storico non avevano fatto nel secolo del Giambullari, molti progressi.” La forte negatività della critica al Giambullari viene confermata anche dal successivo elogio dell’opera storica di Marcello Adriani

72

Page 73: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Inoltre, la rinnovata fortuna editoriale della Storia d’Europa interagisce marginalmente anche con motivi e posizioni collegate a vario titolo con il processo del Risorgimento italiano. In questa direzione sono indubbiamente indicative le considerazioni di Luigi Carrer critico letterario di sentimenti antiaustriaci e neoguelfi (almeno nella prima fase dei moti rivoluzionari del 1848), curatore dell’edizione veneta del 1840435 in cui, pur ignorando le correzioni apportate dal Giordani436, ribadisce il parallelo Giambullari-Erodoto437. Il Carrer, infatti, accomuna i due storici per la capacità, da un lato di discernere le favole dai fatti reali, dall’altro di costruire e controllare una complessa e ampia tela di accadimenti, variando opportunamente stile e lingua. Peraltro, proprio l’orientamento neoguelfo e le nostalgie per le glorie repubblicane di Venezia conducono il Carrer a considerazioni tutt’altro che positive, nonostante gli iniziali elogi sul Giambullari. Vista l’eccentricità della Storia d’Europa rispetto all’ambito rigorosamente fiorentino delle altre opere del Giambullari, indica la causa prima della sua composizione nella volontà del canonico laurenziano di non scrivere una storia della città che mettesse in cattiva luce i Medici suoi protettori: “Vuolsi ancora sommamente lodare quella maniera sua riposata di racconto, senza accendersi troppo nelle passioni de’ personaggi di cui riferisce i fatti o i pensieri, non si però che non traspiri in qual parte pieghi la naturale bontà del suo animo. Chè in vero, quando anche tacessero del tutto i biografi, si comprenderebbe dalla lettura della Storia essere stato buonissimo. E forse, mi sia condonata questa supposizione, dal pericolo di oltraggiare la verità, o gravemente spiacere a’ suoi benefattori di fresco montati alla signoria di Firenze, fu indotto il Giambullari a comporre la storia generale ed antica d’Europa, anziché quella particolare e più recente della sua città. Mentre per altra parte, che sviscerato amatore ei si fosse di questa, il mostrò negli altri studi, cacciandosi per acquistar fama di reverenda antichità alla sua lingua fra le tenebrose controversie dell’arameo, e, con più utili ricerche, primo fra’ toscani diede ordine alle regole necessarie alla sua grammatica. Oltrechè vedeva essergli occupato il campo della storia patria, da parecchi valenti contemporanei, investiti della nobiltà dell’ufficio loro, e non frenati da riguardo alcuno di benefici, perché esuli e figli e congiunti d’esuli e di giustiziati. Per cui, se non vuolsi encomiare nello storico nostro la

435F. Giambullari, Storia dell’Europa dal DCCC al DCCCCXIII, a cura di L. Carrer, Venezia, Tipi del Gondoliere, 1840; sul Carrer rinviamo alla voce Carrer Luigi di F. Del Beccaro, in DBI, vol. XX, Roma, 1977, pp. 730-734 e alla Nota biografica e critica in L. Carrer, Scritti Critici, Bari, Laterza, 1969, pp. 723-736; in particolare sulle sue posizioni politiche pp. 726-727 e per le posizioni culturali di profonda commistione tra romanticismo e classicismo 728-736, inoltre sulla non condivisione delle modalità con cui il Tiraboschi scrive la sua Storia della Letteratura italiana, cit., cfr. p. 725. 436Analoga linea si ravvisa nel Della Istoria d’Europa di Pierfrancesco Giambullari libri sette, a cura di Aurelio Gotti, Firenze, Felice Le Monnier, 1856, (in proposito inoltre cfr. P. Giordani, Opere, vol. X, vedi nota dell’editore fiorentino alle pp. 427-428) in cui il curatore fiorentino (sul quale vedi la voce Gotti Aurelio di C. Cinelli, in DBI, vol. LVIII, Roma, 2002, pp. 149-153) richiama direttamente le notazioni del Carrer e sottolinea l’attenzione con cui il Giambullari affronta nello stesso tempo il discorso storico e geografico, un elemento di chiara continuità con lo stile e le peculiarità dell’arte storica di Erodoto nell’Introduzione, Intorno a Pierfrancesco Giambullari ed alla sua istoria, in Della Istoria d’Europa, cit., pp. III-XL, in particolare pp. IV e XXXIII-XL. Diversamente per la seconda edizione curata per la Le Monnier nel 1864 il Gotti si gioverà delle correzioni del Giordani precisate e risistemate nel 1856 da Antonio Gussalli; sulla vicenda rinviamo a Nota ai Testi in Storici e politici del Cinquecento, a cura di Angelo Baiocchi, testi a cura di Simone Albonico, Riccardo Ricciardi, Miano-Napoli, 1994, pp. 1091-1097, in particolare pp. 1092-1093 e nota n. 1. 437Inoltre, sulla disparità dei giudizi che coinvolgono la Storia d’Europa vedi anche la confutazione del giudizio negativo formulato nel Settecento da Giuseppe Maffei contenuta nella nota introduttiva all’edizione napoletana dell’opera del Giambullari, Storia dell’Europa dall’800 al 913, Napoli, tipografia del Tasso, 1832, cfr. in particolare le pp. 5-7.

73

Page 74: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

difficile franchezza, né manco gli son dovute le censure meritate da altri: il Nerli, a modo d’esempio e l’Ammirato.”438 Certo poi, il cortigiano di “difficile franchezza” viene preferito al Nardi per il distacco mostrato rispetto alla materia storica trattata e per la capacità di allargarne l’oggetto, diversamente dalla viva e diretta partecipazione dell’esule repubblicano, capace però proprio in virtù di queste condizioni di un approccio più immediato alle vicende narrate: “Le passioni e le mire che in questi veggionsi di già apertamente scoppiate con danni e scandali atroci, nel Giambullari sono, quasi direbbesi, tuttavia chiuse nel germe. Non ultima ancora è la brevità, molto desiderata in una raccolta che deve procedere entro limiti impreteribili. Ma sopra ogni altro motivo, mi piace ricordare l’imparzialità dello scrittore, la quale non solo è da attribuire a alla volontà sua, quanto alla natura stessa delle materie trattate. Perché parlando egli di cose attinte da’ libri, non sentitasi nè poteva sentirsi agitato da què bollori, che pur si veggono anche di sottovia la onesta pacatezza del Nardi. Voglio io dire con questo che siano da preferire quegli storici che narrano cose non vedute co’ loro propri occhi; ovvero da censurare i contemporanei che le cose vedute non sanno raccontare senza una qualche mostra di commovimento interiore? Non punto: chè l’una cosa rende più malagevole la veracità, l’altra infonde calore nel giudizio.[…]Non pongo io già questa Storia d’innanzi agli studiosi con dire: ecco qui, come il Giambullari, voi pure scrivete le cose da altri imparate, meglio che quelle da voi stessi vedute: e lungi da restringervi colla narrazione ad una contrada, abbracciatele tutte; intendo invece tacitamente dir loro: avvezzatevi, coll’esempio della serena tranquillità che questo storico potè serbare in cose che gli entrarono all’animo raffredandosi anticipatamente nell’intelletto, a mantenervi tranquilli in proposito ancora di ciò che colpì gli occhi vostri e aveste voi stessi tra mano; quando anche vi piaccia, con affettuoso riguardo ad una gente o ad un tempo in particolare, limitar ad essi la vostra narrazione, non dimenticate le relazioni che ogni anche minimo fatto ha col pieno degli umani accidenti.”439

Valutazioni di ben altro tenore troviamo invece nella Storia d’Europa pubblicata a Napoli a cura di Gabriele di Stefano440. Nei suoi giudizi dell’edizione del 1862 (la prima risale al 1840441) risulta incondizionato, infatti, l’apprezzamento del Giambullari, sia sulla falsariga del parallelo con Erodoto, sia in polemica con gli errori commessi dal Tiraboschi. Di Stefano inoltre, stigmatizza la limitata valorizzazione della produzione letteraria del Giambullari e in primo luogo della Storia d’Europa, promossa dagli Accademici della Crusca442. Ma soprattutto Di Stefano coglie la linea filoghibellina e anticuriale espressa dal Giambullari nella sua Storia fin dalle prime battute, elogiando la profonda sincerità dell’animo del letterato fiorentino in quanto: “Ascritto com’egli era, al ministero della Chiesa, pur non lascia di grandemente disapprovare le gesta di Sergio e di Formoso, e se non biasima, certo deplora la donazione di Costantino fatta a Silvestro. “443

438Ai lettori. Luigi Carrer in Storia dell’Europa, cit., pp. V- XIV, ora anche in id., Scritti critici, cit., pp. 156-162, ivi per le asserzioni del Carrer pp. 156-159, in particolare passo cit. alle pp. 158-159. Inoltre, ivi, sulle propensioni favorevoli alla storiografia repubblicana del Carrer cfr. “Niccolò de’ Lapi”di Massimo d’Azeglio, pp. 386-397, in particolare pp. 386-387. 439L. Carrer, Scritti critici, cit., passo alle pp. 160-161. 440Storia dell’Europa di Francesco Giambullari, con un discorso e copiose annotazioni di Gabriele di Stefano, terza edizione, II voll., Napoli, Gabriele Rondinelli editore, 1862 (prima edizione sempre a cura del di Stefano del 1840). 441In proposito cfr. Kirner, Sulla Storia d’Europa, cit., p. 5. 442Ivi, pp. 7-23, in particolare sui punti in questione cfr. pp. 16-20. 443Ivi, passo cit., a p. 18, inoltre in proposito vedi infra par. II, p. 2.

74

Page 75: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Agiscono evidentemente nel giudizio del Di Stefano suggestioni di ben altro tenore rispetto a quelle palesate dal Carrer, sia in relazione alla diversa impostazione polito-culturale che ne caratterizza i giudizi, sia forse anche in relazione alla recente unificazione politica italiana. Comunque al di là delle implicazioni contemporanee e delle diverse posizioni presenti nell’ambito risorgimentale, il giudizio del Di Stefano coglieva dati caratterizzanti della linea storiografico-politica del canonico laurenziano trascurati invece dei commentatori positivisti abbastanza severi nel giudicare la qualità della sua storiografia. Enrico Rosa curatore dell’edizione torinese del 1896, ad esempio, se apprezza il pregio stilistico del libro e ne elogia l’impiego scolastico, denuncia però anche le sue carenze storiche, la mancanza di uno spirito critico solido e incisivo, la copiosa presenza di imprecisioni geografiche e storiche che le precedenti edizioni non hanno rettificato444. Di pochi anni successiva, un’altra opera (già menzionata) completamente dedicata all’analisi della Storia d’Europa del Giambullari e delle sue fonti, di Giuseppe Kirner. Il Kirner, concentrato sull’analisi delle fonti della Storia, pur apprezzando il lavoro dotto ed erudito compiuto dal Giambullari che ricorre anche a discipline ausiliarie della storia quali la geografia e la cronologia per addivenire alla chiarezza degli eventi e dei loro tempi di svolgimento, rileva però i precisi limiti dell’opera sotto il profilo del valore storico. Giambullari troppo frequentemente, infatti, soggiace al gusto della descrizione, immaginando i fatti ed i moventi dei personaggi che agiscono nella Storia prendendo licenza dalle fonti che documentano e certificano i reali e concreti accadimenti445. La Marangoni infine nell’edizione del 1910, ritorna sulla falsariga del Kirner sull’uso spesso poco critico delle fonti e sull’incapacità, in più di un’occasione, di preferire la versione di una fonte sulle altre in relazione ad un avvenimento controverso446. Anche il successivo intervento di Benedetto Croce si inserisce pienamente in questo ridimensionamento del valore e del significato della Storia, negando al suo autore ogni possibile accostamento ad Erodoto e ravvisando nel suo scritto la mancanza di qualsiasi afflato spirituale. Nonostante, infatti, il Croce riconosca la buona attitudine del Giambullari nella raccolta e nella scelta delle fonti, bolla la sua opera come un esercizio esclusivamente retorico. La Storia d’Europa è priva di pensiero storico e costituisce soltanto l’espressione dell’abilità del grammatico, del “linguaiolo”. In realtà la denuncia crociana del valore meramente retorico dell’opera del Giambullari vuole colpire il Giordani ed il suo criterio di valutazione esclusivamente formalistico della letteratura che l’ha condotto colpevolmente a preferire il Giambullari al Machiavelli447. Il già citato intervento di Carlo Dionisotti, torna ad occuparsi dei problemi e delle questioni legate alla Storia d’Europa in una prospettiva attenta a definirne il rapporto con la precedente storiografia fiorentina e con l’umanesimo italiano. Quella del Giambullari, sottolinea Dionisotti, è la prima storia d’Europa scritta in età moderna e costituisce frutto non accidentale di una parabola di interessi e approcci storico-politici della storiografia fiorentina che passa per Machiavelli e Guicciardini, secondo un chiaro ampliamento di prospettive nelle quali ricomprendere e collocare le vicende fiorentine ed italiane. La Storia d’Europa del

444Precedente di quattro anni all’edizione del Rosa, l’antologia di passi scelti ad uso delle scuole ginnasiali del professor Bonamici priva di nuovi apporti critici tranne che sotto il profilo linguistico: Narrazioni scelte dalle Istorie dell’Europa di Pierfrancesco Giambullari, ad uso delle scuole ginnasiali, con note del prof. Giuseppe Bonamici, Verona, Donato Tedeschi e figli editori, 1892. 445Ivi, rinviamo in particolare alle pp. 36-39 e 41-42. Inoltre, ivi, sui contributi critici e le edizioni della Storia d’Europa del Bartoli, del Masi, del Mortara, del Giordani, del Carrer, del Gotti, del Di Stefano e sulle edizioni della Storia d’Europa connesse cfr. pp. 3-6. 446L. Marangoni, Prefazione, cit., in particolare vedi pp. XLV-LII. 447B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Bari, Laterza, 1945, in particolare Vol. II, pp. 56-64. Sulla preferenza del Giordani vedi inoltre P. Giordani, Opere, cit., Appendice, vol. XIV, pp. 433-436.

75

Page 76: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Giambullari registra il definitivo superamento della dimensione cittadina del vivere civile a vantaggio dello stato assoluto regionale inquadrato in una prospettiva continentale448. Certamente, la linea storiografica della Storia costituisce coerente sviluppo della tendenza di legittimazione dello stato regionale formulata nel Gello in opposizione a qualsiasi nostalgia per la dimensione comunale di tradizione guelfa. Passo peraltro ulteriore, rispetto alla stessa accettazione del principato e della dimensione regionale toscana compiuta anche da altri esponenti coevi della storiografia fiorentina come Bernardo Segni e Benedetto Varchi che tuttavia non cercano di elaborare un’idea complessiva ed unitaria del vecchio continente449. Tentativo invece esplicitamente intrapreso già nel titolo dal canonico laurenziano che, senza alcuna esitazione si distanzia nettamente dai retaggi dell’umanesimo civile fiorentino, in direzione dell’umanesimo tedesco come testimoniano le stesse fonti selezionate per la Storia d’Europa orientate, in gran parte, in direzione antiromana e antiitaliana450. Peraltro, la tendenza a leggere la proposta storica del Giambullari nell’ambito di un mero sfoggio di erudizione assolutamente avulso da ogni intendimento di tipo politico viene riproposto l’anno successivo all’intervento del Dionisotti, da Emanuella Scarano. Una trattazione quella del Giambullari sostanzialmente circoscritta ad una finalità di tipo letterario, priva di ogni partecipazione politica come indica il fatto che il canonico laurenziano abbandoni “addirittura il presente ed il vicino passato per volgersi ad epoche remote.”451 Diversamente dalla Scarano, Cesare Vasoli, sulla falsariga del Dionisotti, ha proposto di nuovo l’esigenza di una complessiva riconsiderazione della Storia d’Europa. In particolare, mettendo in discussione il giudizio crociano, Vasoli ha sollecitato, secondo un’ottica di più ampio respiro, ad interrogarsi sul disegno complessivo dell’opera in relazione al resto della produzione letteraria del suo autore e al mondo culturale in cui Giambullari viveva452. Inoltre Vasoli ha ravvisato, nella narrazione del canonico laurenziano, la continuità dell’idea imperiale e la sua storica concretizzazione nei popoli germanici dell’Europa centro-settentrionale e centro-orientale453. Dunque una parabola storiografica articolata e controversa quella della Storia d’Europa alla cui comprensione rispetto alle ipotesi ed alle linee di interpretazione abbozzate a questo punto appare certamente utile una verifica, almeno parziale sul testo e sulle fonti utilizzate.

448C. Dionisotti, Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, cit., p. 429. 449Sulla storiografia fiorentina cinquecentesca si rinvia a AA. VV., Storiografia repubblicana fiorentina (1494-1570), a cura di Jean Jacques Marchand e Jean-Claude Zancarini, Firenze, Franco Cesati editore, 2003, e ivi, a proposito del definitivo superamento delle concezioni di stampo cittadino, vedi Elena Fasano Guarini, Città e stato nella storiografia fiorentina del Cinquecento, pp. 283-307, in particolare sulle prospettive di Varchi e Segni pp. 296-298 e 300-302. 450Vedi nota 54. 451Emanuella Scarano Lugnani, Guicciardini e la crisi del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1973, pp. 144-146, passo cit. in particolare a p. 144. 452C. Vasoli, A proposito della Storia d’Europa del Giambullari, cit., pp. 625-631. 453Ivi, vedi pp. 626, 632 e 635.

76

Page 77: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

2. Libro primo: il lungo percorso dalle radici storico-geografiche all’instabilità dell’area imperiale Il primo capitolo della Storia d’Europa, che fornisce la cornice della narrazione storica successiva, attraverso la fissazione della dimensione storica-cronologica di partenza e dello spazio geografico in cui i fatti si svolgeranno, inizia, soffermandosi sul crollo dell’impero romano d’occidente causato dalle decisioni di Costantino e sulla sua rifondazione carolingia. Un primo tangibile segnale della prospettiva cui abbiamo accennato nel precedente paragrafo. Il crollo dell’impero romano, l’ingresso e la proliferazione dei barbari costituiscono i dati di partenza, i riferimenti imprescindibili dell’Europa che il Giambullari racconterà nel suo delinearsi. Le invasioni barbariche segnano, infatti, un momento di netta e definitiva cesura che chiude l’antichità e dissolve per sempre le istituzioni latine, aprendo un’epoca di profonda irrequietezza e novità: quella medievale454. Diverso rispetto all’atteggiamento generalmente diffuso nell’Umanesimo italiano il contegno di Giambullari. Egli, infatti, piuttosto che interpretare apocalitticamente le invasioni barbariche alla stregua di un ineludibile fato che distrugge improvvisamente un equilibrio perfetto ed ideale, quello della civiltà romano-latina, imputa proprio all’impero romano occidentale chiare responsabilità per il proprio crollo, riconducibili alle scelte di Costantino455: “La veneranda maestà dello Imperio, dalla invitta maestà di Cesare primieramente fondato in Roma, stabilito da Augusto…si mantenne in somma grandezza ed in reverenzia dello universo, sino a tanto che Costantino, di che sempre si debbe la bella Italia dolere (parlo come istorico mondano, perché considerando le grazie che ebbe Costantino, fu opera dello Spirito Santo tale mutazione, con lasciar Roma a Cristo nel suo vicario Silvestro), invaghitosi delle antiche rovine di Tracia, per fondare una terra nuova negli estremi liti della Europa, abbandonò la universal regina del mondo, e preponendo i paesi strani a’ domestici, i servi a signori, i vili e incogniti rivi al celebratissimo Tevere, e la ambiziosa volontà sua alle vestigie santissime di quelli spiriti virtuosi che avevano condotto Roma a ‘l supremo de’ sommi onori, transferì la sedia in Bisanzio, ed agli ultimi confini della Grecia se ne portò tutto quello che la già gloriosa Roma, con tanta virtù e con si onorate fatiche, lungamente aveva acquistato. Il che di quanto danno fusse alla rovina dello Occidente; assai chiaro ce lo dimostrano i tanti diluvii delle barbare nazioni, che non solamente inondarono nella Europa, ma e nell’Africa ancora, con sommo danno dello universo, e massimamente dello Imperio stesso romano.”456 In questo passaggio, il canonico laurenziano pone l’accento sulla rovina provocata all’Occidente dal crollo dell’autorità imperiale rispetto ai vantaggi determinati dal nuovo rilievo assunto dalla Chiesa di Roma che si inserisce in questo vuoto di potere. In proposito è interessante registrare l’assenza di questa parentesi nell’unica versione del testo manoscritto della Storia d’Europa pervenutaci, costitutita come detto dall’autografo magliabechiano trovato dal Kirner457. Parentesi che smussa il sapore ghibellino del testo originario, nel quale la realtà prodotta in Europa occidentale e in Italia dalla posizione predominante acquisita dalla Chiesa di Roma, non viene registrata positivamente. Non si può neanche escludere mancando nel codice autografo, pur nella scarsità di elementi a nostra disposizione, che queste parole siano state predisposte per la versione a stampa in epoca successiva alla morte del Giambullari.

454Vedi G. Costa, Le antichità germaniche nella cultura italiana da Machiavelli a Vico, Bibliopolis, Napoli, 1977, sulla prospettiva umanistica in generale cfr. pp. 44 e 55-56 e sulla percezione delle invasioni barbare espressa del Giambullari, ivi, vedi. le pp. 55-56. 455Al riguardo cfr. C. Vasoli, A proposito della storia d’Europa del Giambullari, cit., p. 635. 456Storia d’Europa, cit., passo cit., alle pp. 3-4. 457Cod. Magl. 111, cit., cfr. p. 1.

77

Page 78: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Del loro evidente movente cautelativo aveva parlato già il Di Stefano, sottolineando la dissonanza della parentesi in questione rispetto al tenore generale del testo a stampa458. La prospettiva complessiva del Giambullari, infatti, si delinea chiaramente nelle successive considerazioni nelle quali, recuperando l’armonia tra la prospettiva mondana e quella divina, commenta favorevolmente la translatio imperii da Roma al mondo tedesco compiutasi con l’incoronazione da parte di Leone III, di Carlo Magno che restaura l’autorità imperiale, recando benefici effetti sull’Italia profondamente decaduta: “E fu tanto favorevole il Cielo a questa non manco santa che necessaria elezione del Sommo Pontefice, e la singolare eccellenza di Carlo si ampiamente le corrispose con l’armi, con la prudenzia e con la bontà, che il perduto valore d’Italia, da cotanto esemplo eccitato, cominciò largamente a farsi conoscere…”459 In proposito il nostro riferisce l’attacco condotto contro i Mori in Africa dal conte della Corsica e dai conti toscani per costringerli ad abbandonare il territorio italico, avvenuto all’epoca del regno del figlio di Carlo Magno Ludovico, rifacendosi alle Enneades460 di Marco Antonio Coccio Sabellico461. Umanista della seconda metà del quattrocento e storico ufficiale della repubblica veneta462, il Sabellico, cerca nelle Enneades di superare la dimensione esclusivamente veneziana di tutta la sua produzione, dando vita ad una sorta di cronaca universale che ricomprenda, sempre in un’ottica filo-veneziana, le vicende lagunari in un ordito storico-geografico più ampio, che tuttavia risulta molto disordinato anche a causa dei tanti eventi e scenari illustrati463. Fin da queste prime battute, pertanto, l’autore stabilisce uno stretto rapporto tra svolgimenti franco-tedeschi e vicende italiane secondo un nesso di causalità e dipendenza molto indicativo della preminenza e della centralità dell’area tedesca confermato anche dal massiccio impiego di diverse fonti medievali di area o comunque di prospettiva germanica. L’azione vera e propria che, come detto comincia nell’887, con l’assunzione di Arnolfo di Carinzia alla maestà imperiale in luogo di suo zio Carlo il Grosso deposto si basa sul racconto

462In proposito cfr. F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a Firenze nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1970, in particolare vedi pp. 187-188.

458Già il Di Stefano in proposito Storia dell’Europa, Torino, 1862, cit., a p. 18 nota: “Niente e a dire della ingenua veracità di cui è sparso tutto il racconto, che manifesta per nulla parziale l’animo di chi narra. Ascritto, com’egli era, al ministero della Chiesa, pur non lascia di grandemente disapprovare le geste di Sergio e di Formoso, e se non biasima, certo deplora la donazione di Costantino fatta a Silvestro.” Sul quale ivi, vedi poi la nota n.2 alle pp. 25-26 del libro primo in cui il Di Stefano nell’elogiare l’equilibrio e la chiarezza di questo lungo periodo iniziale, nell’evidenziarne la lunghezza pone l’accento proprio sulla considerazione tra parentesi. Secondo il suo parere infatti il Giambullari (ivi, p. 26) “avrebbe potuto bene fare un secondo periodo di questo concetto secondario: ma volendo e’ prontamente apprestare, per così dire, il rimedio alla ferita, non gli parve bene di lasciare per alcun intervallo nell’animo di qualche pio leggitore il molesto dubbio che avrebbero potuto ingenerare le parole di che sempre dolere si debbe la bella Italia; e però soggiunse immantinenti la distinzione tra il risguardar le cose nel ben essere politico, e il considerarle più altamente ne providenziali fini del ben essere religioso.” 459Storia, passo alle pp. 4-5. 460Opera M. Antonii Coccii Sabellici in duos digesta tomos Rapsodiae Historiae enneadum XI, Quinque priores uno continentur, altero sex reliquiae cum D. Casparis Hedionis Historica synopsi, qua huius auctoris institum summa fide et diligentia ad annum MDXXVIII persequitur. His veluti una perpetuaque oratione res memorabiles ab orbe condito in praesens usque tempus gestae, ea perspicuitate narrantur, ut innumeri loci, obscuri apud reliquos historicos Basileae, ex officina Hervagiana, anno MDXXXVIII, il passo a cui rinvia il Giambullari si trova nel Tomo II, Enneades VIII, liber IX, pp. 459qqq2-460qqq2. 461Sul quale rinviamo alla voce Coccio Macantonio detto Marcantonio Sabellico, di F. Tateo, in DBI, vol. XXVI, Roma 1982, pp. 510-515.

463Sulla storiografia del Sabellico rinviamo a H. Cochrane, Historians and Historiography in the Italian Renaissance, The University of Chicago Press, Chicago-London, 1985, pp. 83-86, in particolare sulle Enneades, pp. 85-86. Inoltre cfr. anche B. R. Reynolds, Latin Historiography: a Survey, 1400-1600, in “Studies in the Renaissance”, 1955, pp. 7-66, in particolare pp. 15-16.

78

Page 79: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

di Reginone, abate di Prums464. Per trattare la deposizione di Carlo il Grosso, il Giambullari ricorre al Chronicon di storia universale di questo personaggio del nono secolo che si sofferma sulle vicende avvenuta tra la nascita di Cristo e il 906 dopo Cristo465, avvalendosi della storia e delle fonti franche sviluppate secondo uno schema annalistico466. Alla morte di Reginone (915) il Chronicon viene continuato, per i successivi avvenimenti del decimo secolo, dal 907 al 967 dall’abate Adalberto di Weissemburg, primo arcivescovo di Magdeburgo anch’egli, fonte della Storia d’Europa l’indicato come “augumentatore di Reginone”467. “trovandosi mal disposto della persona, e della mente non molto sano venne in tanto dispregio de’ suoi baroni che, lasciato ed abbandonato da tutti, in tre giorni si ritrovò non solamente privato della dignità e maestà imperiale, ma di chi pure lo servisse e gli ministrasse negli estremi bisogni suoi. E bene arebbe patito del vitto ancora, se in così orribile assalto della fortuna, il vescovo Luilperto, con le private facultà sue non gli avesse somministrato da potersi mantenersi vivo. Carlo dunque, vedendosi in caso sì miserabile, mandò supplicando al nipote Arnolfo sublimato già nello Imperio, non di riavere le cose perdute o di esser vendicato di una ingiuria tanto importante, ma solamente d’avere da vivere e da sostentarsi nelle miserie della vecchiezza. La qual cosa concedendogli Arnolfo benignamente, gli assegnò in Germana certe rendite particulari, con le quali egli sopravvisse circa ad un anno per un esempio manifestissimo della fortuna. La quale con una finta benignità esaltando a cotanta altezza Carlo, ancora giovane, sano ed onoratissimo; e, senza guerre e senza sudori, sublimandolo in tale maniera che di ricchezza, di potenzia, e di maestà non aveva da esser posposto a qual si voglia de’ re de’

“Imperator corpore et animo coepit aegrotare…cernentes optimates regni…Arnolfum filium Carlomani ultro in regnum attrahunt…ita ut in triduo vix aliquis remaneret, qui ei saltem officia summovitatis impenderet, cibus tamen et potus ex Luidperti episcopi sumptibus administrabatur. Erat res spectaculo digna, et aestimatione sortis humane, rerum variegate miranda. Nam sicut ante seconda fortuna rebus ultra, quam arbitrari posset affluentibus,tot tantaque imperij regna sine laborum sudoribus, et certaminibus attraxerat, ita ut post magnum Carolum maiestate, protestate, divitijs, nulli regnum Francorum videretur esse postponendus. Ita nunc adversa velut in ostensione fragilitas humane deficiens, quae fortuna cumulaverat, cuncta inhoneste, in momento abstulit. Que prospero arridens successu, quondam gloriose attulerat. Mittit ergo ad Arnulfum ex imperatore effectus egenus, ex desperatis rebus non de imperij digitate sed de victo cotidiano cogitans, tantum alimentorum copiam ad subsidium vitae praesentis supplex exposcit[…]Miseranda rerum facies, videre imperatorem opulentissimum, non solum fortunae ornamentis destitutum, verum etiam

464Su Reginone vedi la relativa voce Reginone da Prum di Walter Holtzmann in Enciclopedia italiana, Roma, Istituto Treccani, 1949, vol. XXVIII, p. 1000. Cfr. inoltre A. Potthast, Wegweiser durch-die Geschichts Werke des europaischen mittelalters bis 1500. Vollstandiges inhaltsverzeichniss zu Acta Sanctorum boll.- Bouquet- Migne- Mon. Germ. Hist.-Muratori- Rerum Britann. Scrpiptores, anhang quellenkunde fur die geschicte del europaischen staaten wahrend des mittelalters, Berlin, W. Weber, 1896, Biblioteca Historica Medii Aevi, II vol., p. 956 e in Ulysse Chevalier, Répertoire des sources historiques du moyen age. Bio-bibliographie, Kraus reprint corporation, New York, new edition, printed in Germany, 1960, 2 voll., (prima edizione 1905), in particolare pp. 3917-3918, vol. II. 465Reginonis monachi Prumiensis annales, non tam de Augustorum vitis, quam aliorum Germanorum gestis et docte et compendiose disserentes, ante sexigentos fere annos editi, Maguntiae mense augusto, Anno MDXXI, Ioannis Schoeffer; d’ora in poi Reginonis…annales. 466In proposito cfr. Letteratura latina medievale (secoli VI-XV). Un manuale, a cura di Claudio Leonardi e di Ferruccio Bertini, Enzo Cecchini, Lucia Cesarini Martinelli, Peter Dronke, Peter Christian Jacobsen, Michael Lapidge, Emore Paoli, Giovanni Polara, Firenze, Sismel, 2002, in particolare cfr. pp. 140 e 167. 467Sull’indicazione e utilizzazione delle due fonti rinviamo preliminarmente a L. Marangoni, Prefazione, cit., p. XXXV; cfr. inoltre G. Kirner, Sulla Storia, cit., pp. 18-19.

79

Page 80: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Franchi; spogliandosi poi ad un tratto il sino a quivi mentito viso, lo depresse sì fattamente che senza manifesta violenza di genti strane, lo condusse vecchio, ammalato e solo a mendicare il vitto ed il vestito, ed a chiedere per Dio ai suoi assegnatamente quello che egli già con somma liberalità soleva dare agli strani.”468

humane opis egentem. Concessit autem Arnolfus rex nonnullos fiscos in Alemanna, unde ei alimonia preberetur, ipse vero compositis in Francia feliciter rebus in Baiovariam revertitur.” 469

In questa prima scelta di Giambullari già emerge la vicinanza ad un contesto, quello degli umanisti tedeschi, che riprende con grande interesse lo studio dell’epoca medievale in chiave nazionalistica e antiromana con evidenti e non trascurabili implicazioni dottrinali e religiose a partire dal 1517. Si parla naturalmente di un nazionalismo di tipo culturale che a livello politico va comunque ricondotto nell’ambito della concezione imperiale470, fortemente caratterizzata in chiave tedesca. Come osserva Rosario Romeo, infatti “sino alla seconda metà del XVIII secolo la cultura tedesca, nelle sue espressioni più alte e a livello delle masse popolari, rimase sostanzialmente una cultura priva della dimensione politica del sentimento nazionale.”471 Gli umanisti tedeschi pertanto ritrovano in autori come Reginone la certificazione del ruolo giocato dalle stirpi germaniche nella storia europea, e le ragioni della propria identità e unità culturale472. Identità sviluppata in direzione antiromana come testimonia la lettera posta alla fine del Chronicon di Reginone nell’edizione maguntina del 1521, indirizzata da Sebastianus de Rotenhan a Wolfang Fabricius Capitone473. Evidentemente polemico nei confronti del presente, infatti, risulta l’elogio del Rotenhan all’impegno e alla capacità mostrati da Regino nella raccolta dei decreti ecclesiastiaci della Germania dei suoi tempi in cui le diocesi metropolitane erano dirette da una giurisdizione autonoma e non dall’autoritario centralismo romano474. Mentre gli umanisti italiani considerano generalmente il medioevo come un’epoca di decadenza, rispetto alla realtà esemplare rappresentata dall’impero romano, modello inarrivabile e punto di riferimento perenne anche nei tempi bui, nucleo essenziale della civilizzazione dei popoli barbari che sono stati romanizzati e conquistati dalla cultura greco-latina, Giambullari sposta decisamente punto d’osservazione e conclusioni. Il Medioevo

468Storia d’Europa, cit., passo alle pp. 5-6. 469Reginonis…annales, cit., passo riportato a p. 43h5, la collazione dei passi di Regino e di quelli del Giambullari viene effettuata anche in L. Marangoni, Prefazione, cit., alle pp. LII e ivi, a p. 6 nella nota di commento ai passaggi 79-80, anche se non in relazione ad un’edizione cinquecentesca di Reginone, anzi molto posteriore all’epoca in cui il nostro canonico vive e consulta le fonti della sua narrazione storica. 470Sul significato culturale del termine nazione e del nazionalismo nel XVI secolo rinviamo a F. Chabod, Alcune questioni di terminologia: Stato, nazione, patria nel linguaggio del Cinquecento, in id., Alle origini dello Stato moderno, Università degli studi di Roma, facoltà di lettere e filosofia, anno accademico 1956-1957, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1957, pp. 3-86, ora in Id., Scritti sul Rinascimento, Einaudi, Torino, 1971, pp. 625-683, in particolare cfr. pp. 653-655. 471R. Romeo, Idea e coscienza di nazione fino alla prima guerra mondiale. Appunti, in “Clio”, 1978, anno XIV, n.1 marzo, pp. 5-34, in particolare pp. 17-18 e passo cit. a p. 17. 472John F. D’Amico, Ulrich von Hutten and Beatus Rhenanus as Medieval Historians and Religious Propagandists in the Early Reformation, in id., Roman and German Humanism, 1450-1550, edited by Paul F. Glendler, printed by Galliard, Great Yarmouth, Great Britain, 1993, pp. 3-33, in particolare cfr. pp. 3-8 inoltre cfr. R. Romeo, Idea e coscienza di nazione, cit., p. 28. 473La lettera noncupatoria dell’opera è indirizzata dallo stesso Sebastianus de Rotenhan a Carlo V e si trova in Reginonis…annales, cit., alle pp. 2-3 con un finale rinvio alla lettera rivolta al Capitone: “Ad Reginonis propriorem agnitionem facientia, circa operis calcem deprehendes”. 474Ivi, leggiamo: “his temporibus etiam, quibus singulae Metropoles separatis legibus, et Romanis pontificalibus haud prorsus quadrantibus dirigebantur, ecllesiastica Germaniae decreta non minus docte, quam laboriose congessit…”.

80

Page 81: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

secondo una percezione eccentrica rispetto all’orientamento degli umanisti italiani, merita per il Giambullari di essere conosciuto e valorizzato. Tornando al testo, il racconto della fine di Carlo il Grosso è un primo indizio del processo di decadenza che coinvolge la dinastia carolingia traducendosi nel disfacimento subìto dalla realtà imperiale. Reginone disapprova la scissione dell’impero nei tre regni separati di Germania, Italia e Francia, determinata dalla mancanza di un erede legittimo. Arnolfo, secondo l’abate di Prums, nonostante la propria illegittimità è il naturale signore dell’impero. Il rifiuto dell’autorità di Arnolfo che determina l’elezione nei singoli regni di sovrani tratti dalle rispettive aristocrazie, produce una serie di sanguinosi conflitti tra gli ottimati franchi.475 Tuttavia, prima di entrare nel vivo del racconto delle gesta di Arnolfo, dato anche il carattere introduttivo del capitolo in questione, il Giambullari offre un prospetto geografico del teatro europeo dei fatti storici. Curcio rileva come nella Storia “la base della storia è geografica. Ma ciononostante, sia pure inavvertitamente si nota che quella base talvolta non regge. La storia può vincere la geografia, la dinamica dei popoli può dare senso e significato diverso ai confini tradizionali geografici”476. In realtà storia e geografia si integrano profondamente. Quest’ultima, difficilmente viene utilizzata in modo neutro, sia quale dato apparentemente fisso e oggettivato, sia quando diviene e si modifica in relazione allo svolgimento storico, presenta profonde implicazioni culturali ed assume un ruolo del tutto funzionale alla narrazione storica ed ad suoi orientamenti. Corrado Vivanti, ha opportunamente sottolineato, sulla falsariga burckhardtiana, come l’Umanesimo fin dal suo inizio riproponga il nesso tra conoscenza geografica e studio della storia, di derivazione classica, ponendo “le basi di una moderna geografia umana” Finchè non si verifica la separazione della due discipline, pertanto “la dimensione spaziale non è solo la scena su cui si svolgono le varie vicende, ma è un elemento a sua volta investito dall’operatore umano.” 477 All’interno di questa prospettiva si inquadrano anche gli interessi geografici del Giambullari certamente non secondarii vista la considerazione che mostra per geografia e cosmografia nella, più volte citata, lezione dantesca del 20 novembre 1541478. In quell’occasione il canonico laurenziano, infatti, ricordata l’assoluta preminenza esercitata dalla teologia su tutte le altre scienze nella Divina Commedia, sottolinea anche il valore non secondario attribuito da Dante all’astrologia, strettamente connessa alla cosmografia: “tra l’altre più belle e più necessarie scienze che in questo Divin Poema divinissimamente seminate si riconoscono, l’Astrologia veramente e la Cosmografia, tanto bene, con tanto ordine e sì propriamente per tutta quell’opera dove insieme e dove spartite, si veggono così ben tessute e intrecciate, che chi le considera attentamente, senza molta difficoltà vi ritrova quella necessaria congiunzione delle due predette scienze, che da molti è cerca, da pochi conosciuta et da pochissimi sino ad oggi recata in luce”479. 475Sui cambiamenti prodotti storicamente dalla deposizione di Carlo il Grosso nell’impero e sulla posizione assuta riguardo agli eventi in questione da Reginone rinviamo a The New Cambridge Medieval History, Cambridge University Press, 1994-2000, voll. VII, nel vol. II, edited by Rosamond Mckitterick, 1995, vedi pp. 138-139, e ivi, ancora sul processo di integrazione tra Carolingi e aristocratici e sulla lucida disamina di Reginone, cfr. p. 449. Inoltre riguardo al giudizio negativo del Giambullari sui successori di Carlo Magno vedi C. Vasoli, A proposito della storia d’Europa, cit., p. 632. 476C. Curcio, Europa storia di un’idea, cit., I vol., p. 204. 477C. Vivanti, Gli umanisti e le scoperte geografiche, in Il nuovo mondo nella coscienza italiana e tedesca del Cinquecento, a cura di A. Prosperi e W. Reinhard, Bologna 1992, pp. 327-349, ora in id., Incontri con la storia. Politica, cultura e società nell’Europa moderna, a cura di Miguel Gotor e Gabriele Pedullà, presentazione di Maurice Aymard, Torino, Seam, 2001, pp. 73-90, in particolare passo cit., p. 74 e ivi, id., I ”commentarii” di Pio II, ( prima in “Studi Storici”, 26, 1985, pp. 443-462), pp. 51-73, passo cit., a p. 54. 478P. Giambullari, Del sito e della forma del Purgatorio, cit.. 479Ivi, passo a p. 5.

81

Page 82: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

La prospettiva neoplatonica, cui questa lezione va ascritta, valorizza specialmente nella prima metà del XVI secolo, la funzione di cosmografia e geografia quali strumenti di conoscenza dell’uomo e del creato, funzionali pertanto ad esprimere ed esaltare la perfezione e la grandezza divina. L’adesione del Giambullari a questi orientamenti viene confermata anche dai numerosi riferimenti agli esponenti della cultura europea coeva che si dedicano agli studi cosmografici e geografici secondo quest’indirizzo, presenti nella lezione480. D’altra parte, fin dalle prime battute della Storia cosmografia e geografia, forniscono un supporto indispensabile alla trattazione storica nella descrizione dell’Europa. Il dato fisico-climatico insieme alla molteplicità e varietà dei caratteri presentati, contribuisce immediatamente a sancire la superiorità della civiltà del continente europeo rispetto ad Asia ed Africa, nonostante la loro maggiore superficie: “La sua qualità, ragionandone generalmente, si può dire assai temperata, e di un’aria molto benigna; come chiaramente si può vedere da l’essere questa regione abbondantissima di biade, vini, frutte, carne, e di ciascuna altra cosa che al vivere è necessaria; copiosa d’uomini armigeri, e parimente di quegli ancora che esercitano l’agricoltura, e tutte l’altre arti che al ben vivere sono di momento: ricca di tutti i metalli, piena di cittadi ornatissime, dotata di fiumi, di laghi, di selve, di campagne, di monti; ed in somma sì fattamente provista dalla benigna madre natura, che ella se bene è di corpo minore, sopravanza però di gran lunga ed eccede l’Africa e l’Asia in tutte le cose, cavandone solamente gli odori e le gemme.”481 Parole nelle quali, non è difficile individuare l’influenza del pensiero geografico greco ed in particolare di Strabone che proprio nella condizione del clima temperato e nella conseguente varietà di uomini, propensioni, risorse, che caratterizzava prevalentemente l’Europa, individuava le ragioni del suo primato482. Il profilo del Giambullari, presenta anche una certa analogia concettuale con le descrizioni del continente europeo proposte da Sèbastian Muenster, di cui segue attentamente gli interventi in materia geografica, come documenta in primo luogo la suddetta lezione dantesca. Quando infatti, il Giambullari si propone di localizzare il Purgatorio ricorrendo alle coeve rivisitazioni e correzioni apportate alla geografia tolemaica dalla cosmografia europea in relazione alle nuove scoperte geografiche483, dopo essersi scagliato contro l’opinione di greci e latini che avevano negato l’esistenza degli antipodi e sostenuto conseguentemente la non abitabilità di alcune zone del mondo484, conclude, menzionando direttamente l’autore tedesco:

480In proposito vedi infra pagina seguente. 481Storia, cit., passo a p. 7, al riguardo cfr. C. Vasoli, A proposito della storia d’Europa, cit., pp. 632-633. 482A proposito delle formulazioni sul fattore fisico-climatico nel pensiero greco si rinvia a C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., I vol., pp. 54-67, in particolare sulla posizione di Strabone p. 67. 483In proposito rinviamo a M. Milanesi, Il Tolomeo sostituito. Studi di storia delle conoscenze geografiche nel XVI secolo, Milano, Unicopli, 1984; e in AA. VV., Alla scoperta del mondo l’arte della cartografia da Tolomeo a Mercatore, cit., a Gli atlanti del cinquecento Mercatore e la cartografia moderna, cit., pp. 171-239. 484Del sito e della forma del Purgatorio, cit., a p. 7 il Giambullari infatti contesta vivacemente l’“invecchiata credenza di tanti scrittori e greci e latini, che negando del tutto gli Antipodi, ci hanno posto questo mondo in una sola parte abitato, affermando più del dovere che i due estremi di quello sono la metà dell’anno vestiti di continue tenebre, ed hanno i freddi, tanto eccessivi, che la natura de’ viventi non gli può sopportare in guisa alcuna, e che la parte del mezzo è continuamente abbrucciata da un calore tanto intenso e da un ardore si smisurato che sofferir non lo puote vivente alcuno. Cose per quanto mostra l’esperienza, tutte false, tutte erronee, tutte bugie, nate dalla poca cognizione che gli antichi avevano del mondo, e dalla estrema leggerezza dei Greci, che nelle istorie loro troppo sicuramente posero in carta quelle cose che e’ non sapevano…”. In proposito vedi supra nel cap.I, p. 33.

82

Page 83: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“non sappiamo noi per tanti che vivono che sotto l’equinoziale e nella stessa lor zona torrida, non solamente è abitazione comoda e atta alla vita umana, ma vi sono ancora gli ampissimi regni di Gambra, di Ginega, di Melli, di Orgvena, del Pretegianni, di Melinda, di Ceilan, di Calicut, di Sammotra, di Porne, e nel Nuovo Mondo una gran parte di essa America? Siccome per voi stessi potete vedere, ne’ Tolomei ultimamente messi in istampa da Sebastiano Muenstero…”485 Nel passo in questione, il canonico laurenziano richiama l’edizione basileese della Geographia di Tolomeo del 1540 che ripropone la traduzione latina dell’umanista tedesco Willibald Pirckheimer del 1525, curata dal Muenster486. L’umanista tedesco inserisce annotazioni e postille alla fine di ogni capitolo e completa le rappresentazioni cartografiche tolemaiche correggendone le mancanze come nel caso del continente americano. In realtà, il testo offerto dal Muenster ricalca in gran parte quello elaborato dal Pirckheimer nella rivisitazione per la successiva edizione lionese del 1535 dei fratelli Trechsel, di Michele Serveto. Sotto lo pseudonimo di Villanoviano, infatti, quest’ultimo compie un intervento tutt’altro che impersonale, documentato dalle copiose note esplicative aggiunte alla traduzione del Pirckheimer. Un sostanziale contributo innovativo rispetto all’edizione lionese, il Muenster lo fornisce soprattutto sotto il profilo cartografico delle nuove mappe e relativamente ai termini tecnici che introduce487, attenendosi per il resto alla rivisitazione del Serveto488. Muenster, allievo di Johann Stoffler489, uno dei maggiori fautori del rinnovamento astronomico europeo in chiave neoplatonica, pertanto offre il suo maggior contributo al rinnovamento degli studi in questo campo evidenziando le carenze del Tolomeo geografo rispetto ai grandi meriti del Tolomeo astronomo, come sottolineato da Marica Milanesi490. Una tendenza di riscoperta autentica del sapere antico e di rinnovamento non occasionale nell’Umanesimo tedesco come dimostra l’intenzione di recuperare tra gli altri, un Aristotele completamente purificato da retaggi della Scolastica, attraverso una traduzione filologicamente corretta delle sue opere in tedesco, avanzata da un altro allievo dello Stoffler,

485Ivi, passo alle pp. 7-8. 486Geographia universalis vetus et nova complectens Claudii Ptolemaei alexandrini enarattionis libros VIII. Quorum primus nova translatione Pirkeimheri et accessione commentarioli illustrior quam hactenus fuerit, redditus est. Reliqui cum greco et alijs vetustis exemplaribus collati, in infinitis fere locis castigatiores facti sunt. Addita sunt insuper Scholia, quibus exoleta urbium, montium, fluviorumque nomina ad nostri seculi morem exponentur. Succedunt tabulae Ptolemaicae, opera Sèbastiani Muensteri novo paratae modo. His adiectae sunt novae tabulae, modernam orbis facies literis et pictura explicantes, inter quas quidam antehac Ptolomeo non fuerunt additae. Ultimo annexum est compendium geographicae descriptionis, in quo varij gentium et regionum ritus et mores explicantur. Praefixus est quoque universo operi index memorabilium popilorum, civitatum, fluviorum,montium, terrarum, lacuum et c., Basileae apud Henrichum Petrum, mense martio anno MDXL, nella quale risalta evidente lo scarto tra le due rappresentazioni geografiche della terra con aggiunto in quella muensteriana il continente americano, la Scandinavia e l’Africa occidentale mancanti nella tolemaica, poste in appendice all’ultimo libro della Geographia Ptolemaica, l’ottavo; vedi pp. 159 e 163. Su questa e sulle succesive edizioni vedi i riferimenti in S. Muenster, Briefe, cit., ad indicem in particolare sull’edizione del 1545 la lettera del Muenster al suo maestro Pellikan del 21 giugno, pp. 105-110 in cui sottolinea l’ulteriore aggiunta di nuove tavole: “Excudimus et iam terbio Cosmographiam Ptolemaei Latine cum aliquot novis tabulae.” Passo a p. 105. Inoltre a proposito di Willibald Pirchkeim rinviamo a Willibald Pirckheimer voce di L. Domonkos in Contemporaries of Erasmus, cit., nel vol. III, 1987, pp. 89-95. 487Gli atlanti del cinquecento, cit., in particolare pp. 183-190. 488In proposito ci sembra interessante segnalare come Muenster riproponga, della revisione del Serveto, la negativa valutazione sulla Spagna suscitando l’ampia controffensiva pubblicistica di Damiano De Goa, al riguardo si rinvia a Henry Vocht de, History of the Foundation and the Rise of the Collegium Trilingue Lovaniense, cit., vol. III, The Full Growth, pp. 64-67, 489Sul cui magistero e sul rilevante impatto suscitato sul neoplatonismo europeo rinviamo a L. Felici, Tra Riforma ed eresia. La giovinezza di Martin Borrhaus (1499-1528), cit., pp. 5-9. 490M. Milanesi, Il Tolomeo sostituito, cit., vedi pp. 18-19.

83

Page 84: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Martin Borrhaus e poi trasformata in un formale progetto da Melantone a cui anche il Pirchkeimer avrebbe dovuto prendere parte491. Dunque un Giambullari, attento alle novità in campo astronomico, che probabilmente tiene conto del seguente passaggio del Tolomeo munsteriano, per il suo profilo d’Europa, vista l’identità concettuale e la somiglianza letterale che emerge dal confronto492, nonostante il diverso ordine logico osservato dai due autori: “L’Europa una delle tre principalissime parti del mondo[…]La sua qualità, ragionandone generalmente, si può dire assai temperata, e di un’aria molto benigna; come chiaramente si può vedere da l’essere questa regione abbondantissima di biade, vini, frutte, carne, e di ciascuna altra cosa che al vivere è necessaria; copiosa d’uomini armigeri, e parimente di quegli ancora che esercitano l’agricoltura, e tutte l’altre arti che al ben vivere sono di momento: ricca di tutti i metalli, piena di cittadi ornatissime, dotata di fiumi, di laghi, di selve, di campagne, di monti; ed in somma sì fattamente provista dalla benigna madre natura, che ella se bene è di corpo minore, sopravanza però di gran lunga ed eccede l’Africa e l’Asia in tutte le cose, cavandone solamente gli odori e le gemme. Questa, cominciandosi da ponente, contiene la Spagna, la Francia, la Italia, la Germania, la Ungheria, la Polonia, la Moscovita, la Sarmazia, e di qua da’l Danubio la Schiavonia, la Macedonia, la Grecia, la Tracia, con molte isole…”493

“Haec una est tribus orbis partibus […]Sed quod in plano est et naturalem habet temperiem[…]affert fructus optimos vitae necessarios, et metalla quaecumque usui necessaria sunt. Odores vero ad sacrificia necnon multi sumptus lapillos extrinsecus petit. Similiter pecudum mitium exhibet copiam, ac bestiarum ferarumque habet raritatem.[…]accipiuntque hae gentes aliqua inter se beneficia, dum aliae opem armis ferunt, aliae fructibus et artibusque morumque doctrina. Habet enim Europa multitudinem pugnacem, habet et que agros colat, quaeque urbes contineat.[…] Est adeo amoena, pulcherrimisque urbibus, castris, vicis et pagis exornata, virtute denique populorum tam praestans, ut longe superet Asia aut Aphricam, quantumlibet illae terrae sint maiores. […]Particularis pars prima ab occasu Hispania…Galliam…Post Italiam autem, quae ad ortum reliquia sunt Europae, bisariam dividuntur Istro flumine494…a sinistra reliquens Germaniam, Ungariam, Poloniam, Moscoviam et c. A dextra vero Illyricum, Dalmatiam, Thraciam,

491Sul progetto mai realizzato cfr. L. Felici, Eresia e giovinezza, cit., pp. 9-11. 492Molto lontano invece da una possibile corrispondenza ci sembra la fonte indicata dalla Marangoni in Storia d’Europa, cit., p. 6 in nota: Pii.II. pon. Max. Asiae Europaequae elegantissima descriptio, mira festivitate tum veterum, tum recentium res memoratu dignas complectens, maxime sub Federico III. Apud Europeos Christiani cum Turcis, Prutenis, Soldano, et caeteris hostibus fidei, tum etiam inter sese vario bellorum eventu commiserunt. Accessit Henrici Glareani, Helvetij, poetae laureati compendiaria Asiae, Africae, Europaequae descriptio, Parisijs apud Galeotum a prato, ad primam Palatij regij columnam, 1534, (in realtà la Marangoni cita l’edizione veneziana dell’opera del 1544) in cui leggiamo alle pp. 9-11: “Consensu omnium receptum est, totius habitabilis treis praecipuas esistere portiones, quorum pre magnitudine prima est Asia, secunda est Aphrica, tertia Europa. Asia coniungitur Aphricae (sicut Ptolomeao vosum est) per dorsum Arabile, quod mare nostrum ab Arabico finu disiungit. Nemo id negat, sed adijcit ille alio in loco, coniungi per terram incognitam quae indicum pelagus circumplectitur. In qua sententia pene solus est. Omnes enim quos offendimus de situ orbis scribentes, mare indicum ad austrum et orientem fine terminis ponunt : et partem oceani esse volunt, sicut ab his traditum est, qui arabico finu in Atlanticum mare, et ad columnas Herculis naviagarunt. Europae et Asiae coniunctio sit per dorsum quod inter paludem maeotim et Sarmaticum oceanum excurrit supra Tanais fluvij fontes. Aphrica nusquam, per sese Europae coheret, hinc freto Herculeo, illinc Asia interiacete discreta. Fuerunt qui ea ab Asia disiungere voluerunt, id terrae intercedere meditati, quod inter rubrum et nostrum pelagus medium est: cuius latitudinem non amplius quod mille et quingentorum stadiorum esse dixerunt. […]Europa per Hispaniam, Italiam, et Peloponesum australior est, parallelum qui per Rhodum ducitur, attingens: in septentrionem per Germaniam et Norvegiam maxime protesa: quinto et sexto climate felix, ulterius non adeo benigna.” 493Storia, cit., p. 6. 494Altro modo di indicare il Danubio in proposito vedi Geographia vetus et nova, cit., p. 44.

84

Page 85: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Macedoniam, reliquamque ultimam Graeciam. Praeiacent quoque Europae insulae…”495

Peraltro, il passo muensteriano è molto vicino ad un altro brano della sua celebre Cosmographiae Universalis496 edita in tedesco nel 1544 e nel 1550 in latino497, ben nota al Giambullari come vedremo. In realtà a ben guardare, nella Cosmographia, l’umanista tedesco498 offre quasi una ripetizione letterale di un passaggio tratto dall’opera Omnium gentium, mores, leges et ritus…499 di Jacob Ziegler500 editata nel 1542 a Venezia501. Il Muenster, del resto, ripone grande fiducia nelle conoscenze geografiche dello Ziegler come testimoniano alcuni passi delle sue lettere502 e l’inclusione dell’astronomo nell’elenco delle fonti della sua Cosmographiae nell’edizione del 1552503.

495Ivi, passo a p. 269. 496S. Muenster, Cosmographiae universalis lib. VI in quibus, iuxta certioris fidei scriptorum traditionem describuntur, omnium habitabilis orbis partium situs, propriaque dotes. Regionum Topographicae effigies. Terra ingenia, quibus fit ut tam differentes et varias species res, et animatas et inanimatas, ferat. Animalium peregrinorum naturae et picturae. Nobiliorum civitatum icones et descriptiones. Regnorum initia, incrementa et translationes. Omnium gentium mores, leges, religio, res gestae, mutationes : Item regum et principum genalogiae, Basileae 1552. 497La Cosmographia, infatti, fino al 1550, anno della prima edizione in lingua latina, esiste solo in versione tedesca. Pertanto il Giambullari che la cita intorno al 1547 la consulta probabilmente in questa lingua. A parte la remota possibilità che egli l’abbia vista in versione volgare. Ipotesi da verificare, considerato che una delle tre edizioni in volgare dell’opera munsteriana è stata realizzata dallo stampatore veneziano Thomasini in data non meglio precisata. Senza dubbio invece il Giambullari non ha consultato le altre due versioni volgari, una infatti viene stampata a Basilea nel 1558, l’altra nel 1575 a Colonia. Al riguardo rinviamo a R. Oehme, Introduction, cit., in S. Muenster, Cosmographie, cit., pp. XIV-XVIII. Inoltre, in proposito cfr. Gli Atlanti del Cinquecento, cit., pp. 190-197. 498Cosmographiae universalis, cit., p. 40c4-41c5 “Est itaque Europa regio reliquis orbis partibus minor, sed populosissima, fertilissima atque cultissima, non cedens etiam Africae quantumuis ipsa longior et latior sit Europa. Nam in Europa non inveniunt tam vastae solitudines, tam steriles arene, et tam ingens calor omnia exurens ut in Africa. Nullus est loco aut regio in Europa tam abiecta, in qua homines sibi non fecerint mansiones, et ubi vitae necessaria non commode sibi parare queant. Quantum autem Europae ipsius in plano est, naturalemque habet temperiem, multum adiuvat ad ista, quandoquidem id quod est in felici regione pacificum omne est, et quod in tristi, pugnax et virile: accipiuntque hae gentes aliqua inter se beneficia. Aliae enim opem armis ferunt, aliae fructibus et artibus, morumque doctrina. Est ergo Europa ad pacem et a bellum sufficientissima sibi. Nam habet abundem multitudinem pugnacem, et quae agros colat, et quae urbes contineat quoque. Excellit haec et fructus afferens optimos vitae necessarios, et metalla quaecumque usui sunt. Odores ad sacrificia, nec non multi sumptus lapillos ipsa extrinsecs petit. Similter pecudum exhibet mitium multarum copiam, at bestiarumque habet raritatem.” 499Omnium gentium mores, leges et ritus, ex multis clarissimimis rerum scriptoribus, a Ioanne Boemo Aubano Teutonico nuper collecti, et novis sine recogniti. Tribus libris absolutum opus, Aphricam, Asiam, et Europam describentibus. Accesit libellus de Regionibus Septentrionalibus, earumque Gentium ritibus, veterum Scriptorum saeculo fere incognitis, ex Iacobo Zieglero Geographo diligentiss. Necnon Mathiae a Michou de Sarmatia Asiana, atque Europea, libri duo. Non sine indice locupletissimo, Venetiis, MDXXXXII. 500Sul quale vedi la voce Jacob Ziegler di Ilse Guenther e Peter G. Bietenholz in Contemporaries of Erasmus, cit., vol. III, 1987, pp. 474-476. 501Omnium gentium mores, leges et ritus, cit., liber III, pp. 150kIII-151kIIII: “Quantum autem Europae ipsius in plano est, naturalemque habet temperiem, multum adiuvat ad ista, quandoquidem id quod est in felici regione pacificum omne est, et quod in tristi, pugnax et virile: accipiuntque hae gentes aliqua inter se beneficia. Aliae enim opem armis ferunt, aliae fructibus et artibus, morumque doctrina.[…] Ex hoc autem ad pacem et a bellum sufficientissima sibi. Etenim multitudinem pugnacem abunde habet, et quae agros colat, et quae urbes quoque contineat. Excellit haec et fructus afferens optimos vitae necessarios, et metalla quaecumque usui sunt. Odores ad sacrificia, nec non multi sumptus lapillos ipsa extrinsecs petit.[…]Similiter pecudum exhibet mitium multarum copiam, at bestiarum ferarumque habet raritatem.” 502Nella lettera inviata da Basilea a Giorgio il Normanno che gli ha scritto per conto di Gustavo Wasa “regis Suecorum, Gothorum” il 20 Agosto 1545, Muenster afferma: ”Gaudeo regi placuisse laborem meum. Quod queadam perperam scripsi de retrusioribus regni vestri gentibus atque de minera auri, ex cerebro meo non deprompsi, sed accepi vel ex Olao Magno vel ex Zieglero, qui ante me haec notarunt, sed eradam ubi ad tertiam editionem ventum fuerit.” In S. Muenster, Briefe, cit., pp. 112-120, passo riportato a p. 113, e ancora ivi, il 3 gennaio 1548 a Matthias Erb “In summa aliud emplastrum huic vulneri adhiberi nequit, quam quod in tertia

85

Page 86: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Il cosmografo bavarese viene chiamato in causa nella lezione dantesca del Giambullari del ’41, come accennato, quale principale sostenitore nella sua Schondia504 (poi riutilizzata dal canonico laurenziano anche nella Storia) dell’esistenza e dell’abilità della Scandinavia, sconosciuta a Tolomeo505. D’altra parte il Giambullari conosceva anche un altro passo muensteriano simile ai precedenti ma cronologicamente precedente a quello ziegleriano degli Omnium…mores che non sappiamo se sia stato da lui effettivamente letto. Il passaggio sicuramente letto, si trova, appunto, in uno scritto incluso nella silloge basileese, curata dal canonico del duomo di Strasburgo Johann Huttich e stampata nel 1532506 da Johann Hervagius507 conosciuta dal canonico laurenziano508. Elemento che oltre a confermare la vicinanza del Giambullari a certi indirizzi neoplatonici in campo astronomico, offre ulteriori elementi del suo contatto con scritti di figure dell’umanesimo tedesco associate alla Riforma. Nel caso specifico (a parte naturalmente il Muenster) ci riferiamo all’umanista Simon Grynaeus chiamato a insegnare greco a Basilea nel 1529 dietro interessamento di Ecolampadio e partito nel 1531 alla volta di Tubinga per riorganizzare la locale università e diffondere la Riforma su incarico di Hulrich del Wuttemberg509. Il Grynaeus infatti scrive l’introduzione510 della silloge, sviluppando il

edizione, quam prope diem longe magnificentiorem adornabimus, haec ut mendacia explodemus, sicut et ex aula regis Sueciae monitus sum, ut quaedam mutem, quae suppeditarunt Jacobus Zieglerus et Olaus Magnus. Spero per haec placari commotum animum principis.”, pp. 127-130, passo riportato a p. 128 e infine ivi, nel gennaio 1550 da Basilea a Gustavo Wasa “Quae de fiorentissimo tuae maiestatis regno hic scribo, ex recentioribus scriptoribus, maxime autem ex Krantio, Zieglero et Olao Magno desumpsi.”, lettera alle pp. 155-160, passo riportato a p. 157. 503Catalogus doctorum virorum, quorum scripsit et ope sumus usi et adiuti in hoc opere in Cosmographiae universalis, cit., che segue la lettera dedicataria a Carlo V e precede l’indice delle cose e dei fatti notabili. 504Syria ad Ptolomaici operis rationem. Praeterea Strabone, Plinio, et Antonio auctoribus locupletata. Palestina, iisdem auctoribus, Praeterea historia sacra, et Iosepho, et divo Hieronymo locupletata. Aegyptus, iisdem auctoribus. Praeterea Joanne Leone Arabe grammatico, secundum recentiorum locorum situm, illustrata. Schondia, tradita ab auctoribus, quin eius operis prologo memorantur. Holmiae, civitatis regie, Suetiae, deplorabilis excidijs per Christiernum Datiae cimbricae regem historiae. Regionum superiorum, singulae tabulae Geographicae, Argentorati apud Petrum Opilionem, MDXXXII. 505Del sito e della forma del Purgatorio, cit., alle pp. 12-13 Giambullari chiama in causa la Scondia dello Ziegler: “Laonde in tutto il tempo predetto egli è certamente impossibile che ei non vi sia lume o che il freddo vi sia intollerabile né in Norvegia, né in Isvezia, dalle quali (come nella Scondia del Zieglero si conosce), il novembre e il dicembre di ciascun anno si trova lontano il sole novantuno e novantadue gradi. E pur sono queste due province non solamente abitate, ma frequentate, quanto sanno i vostri mercatanti, non che quelli della Germania che continuamente vi fanno faccende. Molto più ancora è impossibile che ciò avvenga in tutto quel tempo che il sole sta ne’ segni settentrionali[…]Restaci dunque solamente da dubitare di quel tempo che il sole sta ne’ segni meridionali, tempo (secondo gli antichi) di notte scurissima e continuata in tutte le parti vicine al polo. Il che sebbene è falsissimo per la testimonianza degli uomini di que’ dintorni che nella morte di Adriano VI si trovarono in Roma, e per quella del Zieglero sopra detto, che nella Scondia sua, largamente e con gran dottrina, di ciò disputa, si riprova pure ancor falso per questa via.”. 506Novus orbis regionum ac insularum veteribus incognitarum, una cum tabula cosmographca, et aliquot aliis consimilis argument libellis quorum omnium catalogus sequenti patebit pagina, Parisiis apud Galeotum a Prato, MDXXXII, VIII Novembris ivi, lo scritto Typi cosmographici et declaratio et usus, per Sebastianum Muensterum in Novus Orbis, cit., pp. 20-24 (numerazione aggiunta a mano in relazione alle pagine precedenti dell’indice, mentre alla fine dello scritto munsteriano essa comincia da 1) in particolare a proposito del prospetto dell’Europa il Muenster scrive a p. 21: “Haec Europa licet comparatione aliarum terrae partium sit parva, est tamen cultissima et populosissima, ut etiam in ea re excedat totam Africam, non obstante quod illa in triplo sit maior.[…]Habet multitudinem pugnacem, et quae agros colat, et qaue urbes quoque ; contineat, Affert fructus optimos vitae necessarios, et metalla quaecumque usui sunt. Similter pecudum mitium exhibet copiam : bestiarum ferarumque habet raritatem. Odores et lapillos magni sumptus extrinsecus petit.” 507Sullo stampatore John Herwagen e sulla sua attività vedi C. W. Heckethorn, The Printers of Basle, cit., pp. 117-120, 123-124, 172, 197 e sull’omonimo figlio anch’egli stampatore pp. 129-130. 508Sulla lettera dell’opera in relazione ad altre fonti si rinvia a Storia, cit., p. 13 in particolare nota critica della Marangoni sulla Sarmazia. 509Per queste ed altre notizie biografiche su Simon Grynaeus si rinvia a L. Felici, Tra riforma ed eresia, cit., in particolare la nota 48 a p. 302 e F. Ritter, Histoire de l’imprimerie Alsacienne aux XVe et XVIe siècles, editions F.- X. Le Roux, Strasbourg-Paris, 1955 cfr. in particolare nelle Appendices il profilo n. 369 a p. 562; inoltre cfr.

86

Page 87: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

confronto in materia geografica tra antichi e moderni, secondo quei termini neoplatonici e religiosi strettamente legati alla ricerca e all’interpretazione del dato scientifico. Pur sollecitando gli uomini ad ammirare la gloria di Dio manifestata dalla creazione, della natura terrestre511, l’umanista tedesco nutre forti perplessità sulla capacità umana di contemplare e comprendere la perfezione divina del creato, perchè: “Quamquam hoc totum naturae spectaculum, ex quo velut vivo libro condisci opifx ille rerum debebat, luculenter considerationi hominum offert sese…tamen ignava esse vitio et socordia hominum videtur, nec quicquam admirationis habere facies illa naturae, etque; incredibile memoratu, quam pauci mortales vel maiestate eius summa, vel variegate mirabili excitentur.”

I pochi che contraddicono questa tendenza generale, grazie ai loro studi e alle ricerche scientifiche, sono i medici e gli esploratori. Tuttavia, è l’intervento della provvidenza divina che differenzia questa minoranza dal resto dell’umanità: “Adversus hunc morbum hominum, omnis generis scriptores et inventores rerum, divina providentia veluti medicos commenta obiecit, qui imperitis et inertibus istis vim naturae eruerent, et tamquam in lucem proferrent, et per eam opificis admonerent.” 512 In questo modo, al pari di quanto accade per le altre arti, le conoscenze tecniche e scientifiche acquisite dall’uomo non senza il risolutivo intervento divino, sono diffuse dalla parola scritta che permette la circolazione delle scoperte e consente l’ulteriore possibilità di penetrare la bellezza e la complessa armonia del creato.513 Discorso suffragato dall’imponente mole di scoperte geografiche avvenute nei primi tre decenni del sedicesimo secolo: “Degeneres homines qui ut naturae lucem, qua vivant et qua utuntur per omnia, nullam vident, ita sapientiam inventa et mirabilium rerum auctores, idcirco quia es iam usu contriverunt, pro nihilo habent. Nobis autem secus in unaquaque re prima origo et fons pervestigandus. Neque vero vana videri vis naturae debet, tanto desiderio ad rerum cognitionem incensa, nec vulgare exemplum, Orbis partem nostro saeculo inventam esse tantam propemodum, quanta est Europa.”514 Svolta questa introduzione storico-geografica il Giambullari inizia il racconto dei fatti storici che si svolgono durante il regno di Arnolfo. L’imperatore è subito protagonista di una guerra con il re di Boemia Suembaldo. La prima fonte di riferimento per i fatti boemi è l’Historia Bohemica di Pio II, stampata a Basilea da Johann Hervagius in una raccolta di fonti prevalentemente tedesche molto utilizzate dal Giambullari per la Storia, come vedremo515. Lo

J. Jacquiot, La medaille dans l’humanisme allemand in L’Humanisme allemand, cit., pp. 567-581, in particolare pp. 569-570. 510Excellenti viro Georgio collimitio danstettero artis medicae et disciplinarum mathematicarum omnium facile principi, Simon Grynaeus, in Novus Orbis, cit., pagine non numerate. 511In proposito vedi anche M. Milanesi, Il Tolomeo sostituito, cit., pp. 39-40. 512Passi citati, Excellenti viro Georgico, cit.. 513Ivi, infatti, il Grynaeus sostiene: “Ac ut artes caeteras, quae variae et multiplices sunt, aliam aliamque unaqueque naturae partem tactantes praeteream nunc, nullae plus sibiipsis auctoritatis, vel naturae rerum admirationis, parant, quam quae coeli et terrae situ, quem illa et seorsum et quem inter sese habent, descripserunt…non absque certa et evidenti multarum et difficilium artium notizia constitutas. Quae postquam inventae non absque beneficentia Dei, et proditae literis fuerunt, rem prius impossibilem generi humano, ire non solum mente et cogitatione per coeli spatia, sed terram oculis circuire, et mundum perambulare licebat.” 514Excellent viro, cit… 515Aenae Sylvii Historia Bohemica in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus

87

Page 88: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

stesso Pio II, del resto, dedica ampio spazio alla Germania nella sua opera storica, esaltandone la centralità assunta nell’Europa moderna in seguito alla Traslatio imperii. Tuttavia i meriti della civilizzazione tedesca appartengono, secondo il celebre umanista, alla Chiesa. D’altra parte in un momento di sostanziale impotenza dell’autorità imperiale, Pio II attribuisce alla Chiesa il ruolo guida della Res publica christiana, e il compito di garantire la sua compattezza interna e la sua sicurezza esterna, anche a livello politico contro le aspirazioni egemoniche francesi516. L’Historia bohemica focalizzata in gran parte sul vulnus aperto nella contemporaneità dalla questione hussita che turba l’armonia interna dell’Europa cristiana, già fortemente minacciata ad oriente dalla pressione ottomana, va letta in questa direzione517. Della prospettiva di Pio II, Giambullari certamente condivide l’individuazione del fulcro dell’idea d’Europa nell’elemento cristiano. L’adesione al cristianesimo costituisce il requisito essenziale di appartenenza alla realtà spirituale europea518 ed alla sua forma politica, l’Impero. In questo senso è indicativo che il Giambullari sulla falsariga dell’Historia Boemica individui la causa del conflitto nel rifiuto di Suembaldo di pagare il tributo dovuto ad Arnolfo per il vincolo di soggezione all’impero sancito dall’episodio del battesimo di Suembaldo che segna l’ingresso dei Boemi nell’Europa crisitana: “…attendendo ad insignorirsi delle cose della corona, trovò che Suembaldo re di Moravia, da Pio nella istoria boemica nominato Svatocopio, non voleva pagare il censo, né riconoscere la soggezione che aveva il sopradetto regno allo imperio franco o germano.”519

“Svatocopius eo tempore Moravis imperabat Christianae religionis cultor: et dignus cuius memoriam ad posteros referamus.[…]Svatocopius regum penultimus, cum aliquandium feliceter regnasset, tandem Arnolpho imperatori tributum pendere recusans…”520

“Era questo re Suembaldo, che fu il penultimo re de’ Moravi, pochi anni avanti fatto cristiano con una parte del regno suo, e battezzato da quel Cirillo apostolo de gli Schiavoni, che per comodità della gregge sua impetrò dalla Santa sede romana di potere celebrare la messa in lingua schiavona, come racconta il secondo Pio.”521

“…Cyrillum…qui baptizato quondam Svatacopio, Moravius Christiana crediderat: multasque alias Sclavorum gentes ad fidem Christi converterat. Referunt, Cyrillum cum Romae ageret, Romano Pontifici supplicasse: ut Sclavorum linguam, eius gentis hominibus, quam baptizaverat, rem divinam faciens, uti posset.”522

D’altro parte le digressioni del Giambullari costituiscono anche l’applicazione di un tipico procedimento della storiografia umanistica attinto dalle storie classiche che prevede, preliminarmente al racconto di un conflitto, un’informazione sul carattere e sulla storia dei popoli coinvolti523. Non può mancare inoltre, una descrizione geografica della regione abitata dai Boemi: la Moravia. Malgrado in proposito il Giambullari ricorra ad altre due fonti: i Commentarii urbani di Maffei Raffaele detto il “Volterrano”524, riguardo ad una spiegazione

index, Basileae, apud Io. Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII, pp. 126l3-217t1; d’ora in poi Historia Bohemica. 516In proposito si rinvia a C. Vivanti, “I commentarii” di Pio II, cit., in particolare pp. 65-66 e 69-71. 517Sulla storiografia di Pio II e in particolare sull’Historia bohemica, cit., rinviamo a E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 44-47 e G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 43-44. Cfr. inoltre B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., pp. 12-14. 518In proposito cfr. C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., I vol., pp. in particolare 180-181. 519Storia, cit., passo a p. 7. 520Historia Bohemica, cit., passo cit. a p. 139m4. 521Storia, cit., passo riportato a p. 8. 522Historia Bohemica, cit., passo riportato a p. 140m4. 523F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini, cit., pp. 180-181. 524Sul quale rinviamo a E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 49-51.

88

Page 89: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

peraltro poco accreditata del nome del fiume Morava, e alle Rerum Hungaricorum Decades525 dell’umanista ascolano Antonio Buonfino526, Pio II, autore di accurate e ricche descrizioni geografiche delle regioni dell’Europa centro-orientale, rimane comunque il principale punto di riferimento del suo racconto: “Questa è la provincia della Germania antica, nella famosissima selva Ercinia: confinata a ponente da le montagne della Boemia e dal fiume Morava (dice Raffaello Volterrano), dal quale secondo molti, si chiama ella per questo nome, nonostante che il Buonfino lo derivi da Morobaudo re per lo addietro de’ Marcomanni, i quali abitarono questa e la Slesia, che la confina da tramontana.”527

“…Sylva Ercynia, undique cincta, “Quadi autem et Marcomanni sub Morobando regem, Silesiam et Moraviam tenuere, a quo Moraviam dictam aribitrantur.”528

“A levante le sono i Polacchi e gli Ungheri, e di verso il Danubio l’Austria, che la fronteggia da mezzo giorno. Il paese è meno aspro che la Boemia, ed abbonda ne’ tempi nostri di buono vino e molto grano. Gli uomini sono armigeri e naturalmente certo feroci, ma ladroni e assassini, che per tutto certo rompono le strade, e non concedono lo andare su per le terre loro se non a chi è armato e più forte che non sono essi. Le città principali sono Volograd…”529

“Moravia trans Danubium iacet: cui ad orientem Hungari, Polonique regnum possident, Morava disiuncti amne, qui nomen regioni dedit: occidentem Solem Bohemi excipiunt: Austriales Meridiem: Septentrionale latus Slesitae occupant. Ager vini frumentique ferax. Gens rapinis assueta: nulli tutum iter nisi armato potentiorique praebet. […]Caput regni civitas Volegradensis.”530

Tuttavia, che fin dalle prime pagine, il canonico laurenziano associ strettamente idea d’Europa ed identità cristiana viene confermato dalla partecipazione nello scontro boemo-carolingio degli Ungheri. È Arnolfo a chiedere l’aiuto dei discendenti di Attila, per ottenere sicura vittoria su Suembaldo, restituendoli alla politica attiva sullo scenario europeo, dopo che Carlo Magno li aveva sconfitti e sottomessi. Al di là del successo immediato, il Giambullari giudica la decisione del sovrano franco un gravissimo errore, sottolineando la pericolosità degli Unni anche attraverso la notizia della loro presunta provenienza da Nembrot: “ancora che da se stessi descrivino la genealogia e l’origine loro sino da Unnor figliolo del superbo Nembrot della Torre, da’ l quale dicono che fu Attila il trentacinquesimo, non la possono però dimostrare sì chiara e apertamente, che e’egli sia aggiustato fede. Per la qual cosa, posto da parte tutte le antiche memorie loro, diciamo con gli altri scrittori, che circa il trecentesimo settantatreesimo anno della Salute uscì questa generazione, incognita allora, fuori della palude Meotida…ed in guisa di una tempesta da violentissimi venti spinta, percosse, abbattè e distrusse tutte le nazioni e genti vicine”531.

525Antonii Bonfinii Rerum ungaricarum decades tres, nunc demum industria Martini Brenneri Bistriciensis Transsylvani in lucem aeditae, antehac nunquam excusae. Quibus accesserunt cronologia Pannonum a Noah usque hac tempora, et coronis Historiae Ungaricae diversorum Auctorum, Basileae ex Roberti Vuinter officina, anno MDXLIII; d’ora in poi Rerum ungaricarum. 526Sul quale vedi la relativa voce Bonfini Antonio di G. Rill in DBI, vol. XII, Roma, 1970, pp. 28-30. 527Storia, cit., passo cit. a p. 10-11. 528Rerum ungaricarum, cit., passo riportato a p. 26d1, in proposito cfr. anche Storia, cit., la nota sul Buonfino a p. 11. 529Storia, passo riportato a p. 11. 530Historia Bohemica, cit., passo cit. a p. 139m4. 531Storia, cit., passo cit. alle pp. 12-13.

89

Page 90: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Egli ricava questa terribile genealogia, (pur manifestando forti dubbi sulla sua veridicità) dal Buonfino532, storico ufficiale della corte di Mattia Corvino e poi di Ladislao II. Vista la storiografia celebrativa della figura di Mattia Corvino prodotta dal Buonfino,533 la menzione del Giambullari, al di là dei dubbi palesati sulla attendibilità di questa fonte, testimoniano della considerazione attribuita al ruolo recitato dagli Ungheri nella storia europea. Non manca inoltre un riferimento all’epoca contemporanea che sottolinea il totale capovolgimento del ruolo di questo popolo nella storia europea rispetto all’alto Medio Evo “perché questa ferocissima gente era stata eletta da Dio a castigare un tempo i Cristiani, e a difendere poi il cristianesimo dagl’insulti degli Ottomani…”534. Ancora una volta, emerge l’importanza dell’elemento cristiano nella caratterizzazione della coscienza europea e nel richiamo all’Europa cinquecentesca non è troppo difficile scorgere una sorta di stretta contiguità tra gli Ungheri del Medioevo e gli ottomani del XVI secolo, terribili e costanti minacce per l’Europa cristiana. Sull’origine e sulle gesta degli Unni culminate nell’incontro tra Attila e Leone I, il Giambullari si avvale di alcuni passi del De Sarmatia…del polacco Mattia di Miechow535 stampato per la prima volta a Cracovia nel 1517. Anche questo canonico polacco, umanista e storico, laureatosi in medicina a Padova nel 1485 poi medico alla corte di Sigismondo I, svolge nel rinnovamento delle conoscenze geografiche della prima metà del secolo XVI un ruolo significativo. Il suo contributo fa luce sulla Sarmazia, regione praticamente negletta dagli studi e dagli aggiornamenti in materia geografica fin dall’antichità, sia per la scarsità dei rapporti economici intercorsi con l’Europa, sia per le difficoltà poste all’ammissione degli stranieri. Il Miechow inoltre, è il primo a negare, in contrasto con l’auctoritas tolemaica, l’esistenza delle grandi catene montuose dei monti Ripei e degli Iperborei. Muenster segue i suoi studi per realizzare la prima rappresentazione cartografica della Sarmazia nel 1538536 e utilizza la sua cronaca storica della Polonia nell’ampliamento della Cosmographia537. Lo stesso Giambullari, del resto, in un altro passaggio della lezione del 1541, dimostra piena consapevolezza della novità miechowiana sui monti Rifei, dai quali erroneamente Tolomeo faceva nascere il fiume Volga. Dichiara infatti: “…lasciamo stare …i sempre nevosi monti Rifei, donde aveva origine la Tana e tanti altri celebratissimi fiumi dell’Europa; i quali monti, non solamente non si trovano a’ tempi nostri, dove essi gli dicono, ma e in nessun altro luogo ancora, fuor delle carte de’ libri loro, per quanto affermano tutti i moderni, e Michele da Micou, nella sua Sarmazia fedelmente lo testimonia.”538

532Rerum ungaricarum, cit., a p. 27d2 in cui leggiamo: “Nonnulli quidam, nescio quid ex Hebraeorum istoria hallucinantes, a Magog filio Iaphet, Scytas promanasse scribunt: quin ex Hunorem et Magorem Nembroti filios, Unnorum fuisse progenitores. Nos autem vetera monumenta nimia auctoritate pollentia, etiam in errore sectari, quam cum his, (dum licet) bene sentire maluimus.” Ivi, inoltre sull’essere Attila nipote di Nembroth cfr. Michaelis Ritii Neapolitani de regibus ungariae liber primus, a p. 1bb2: “Attila, filius Bendecuci, nepos Nembroth…”. 533A proposito della permanenza alla corte ungherese e delle Rerum Ungaricarum…vedi Bonfini Antonio, cit., pp. 29-30 e soprattutto E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 345-349. 534Storia, cit., passo a p. 16. 535Mathiae a Michov De Sarmatia Asiana atque Europea liber duo in Novus Orbis, cit., pp. 483s2-531Y2, e anche in Ominum gentium mores, cit., pp. 313xxII-393ccIV. 536Vedi M. Milanesi, Tolomeo sostituito, cit., pp. 160-163 e 230-232. 537In proposito vedi la lettera inviata dal Muenster a Stanislao Laski il 6 Aprile 1548: “Legi chronicam vestri regni, quod Mathias Miechoviensis satis diligenter conscripsit plurimumque adiutus sum in vestri regni descriptione.” In S. Muenster, Briefe, cit., lettera alle pp. 131-138, passo riportato a p. 132. 538Del sito e della forma del Purgatorio, cit., passo a p. 7.

90

Page 91: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Il passaggio del Miechow spiega l’ingresso degli Unni in Europa con la rigidità del clima della regione della Scizia, evidentemente antitetica per caratteristiche e risorse alla florida e invitante Europa: “Mattia…da Micou…dice che lontano a Moscovia, città principalissima de’ Moscoviti, circa a duemila miglia tra settentrione e levante, giace la freddissima regione Iura, terminata dallo Oceano di Tramontana. Da la quale partendosi già una moltitudine copiosa di popoli, e per campagne grandissime contro al mezzodì camminando, pervenne dopo il lungo viaggio in su quel paese de’ Gotti, dove sono a dì nostri i Tartari Zavolensi, e, cacciatigli dell’antica possessione, vi si fermarono lungo tempo. Quivi multiplicati infinitamente, udendo da alcuni cacciatori, che seguitando una cervia erano passati nella Sarmazia della Europa, che il paese era molto più fertile e di una aria assai più benigna, ragunatisi ad uno volere, con esercito quasi infinito passate le fiumare grossissime…e combatterono contro ai Sarmati e contro ai Rossi, e perseguitando i loro antichi nimici Gotti, e’ gli soggiogarono finalmente in Rascia, in Servia ed in Romania, a chiamarle pe’ nomi d’oggi, perché negli antichi tempi greci e romani erano quest provincie la Misia e la Tracia. Condottisi poi finalmente in Pannonia…e allettati quivi dal vino e dalla grassezza di quel paese, se le presero per la loro stanza, e cacciati o spenti gli abitatori, vi fermarono le sedie loro. E perchè l’esercito de’ Romani, sotto Tetrico e sotto Macrino generali…gravemente li molestava; appicatisi con esso a dura battaglia…dove Tetrico restò ferito e Macrino spento di vita…”539

“Iuhri de Iuhra terra Scythiae septentrionalissima et frigidissima, iuxta oceanum septentrionis, a Moscovia civitate Moscorum ad orientem et septentrionem quingentis miliaribus magnis germanicis distante, ascenderunt et venerunt per terram planam ad meridiem in regionem Gothorum in Scythia ubi nunc Tartari Zahadaienses seu Zavolehenses degunt, presseruntque sui moltitudine et eiecerunt Gothos de Gotha in Sarmatia. Quumque coaluissent, et pene in infinitum moltiplicati fuissent, audientes a venatoribus, qui cervam sequentes transierant flumina Volhae et Tanais, quod esset terra Sarmatarum Europae fertilior et aure mitioris, coacervatim praefata flumina transnatates, Sarmatas et Rutenos conflixerunt, Gothosque insequentes cum eis in Mysia et Thracia bellarunt, et eos superarunt : intrantesque Pannoniam solo vino et regionis ubertate delectati mansionem in ea fixerunt : Maternum et Detricum capitaneos Romanorum cum eorum gentibus aggressi conflixerunt et Materno occiso Detricum in fugam verterunt…”540.

Di nuovo, pertanto, il fattore fisico-climatico contribuisce a delineare frontiere e contrapposizioni storico-spirituali definendo ulteriormente i limiti ed i caratteri dell’Europa, secondo quella commistione tra vecchio e nuovo che caratterizza la fase cinquecentesca degli studi geografici e le considerazioni del Giambullari. Riecheggiano infatti, nel passo tratto dal De Sarmatia, le posizioni formulate nell’ambito della geografia greca sulla predominanza del carattere bellico nei popoli che provengono da regioni caratterizzate da un clima rigido541 proprio come la “freddissima” Scizia. Particolare che accentua, da un lato la pericolosità ed il rilievo della minaccia costituita a livello militare dagli Ungheri per la Res publica christiana, dall’altro per opposizione richiama e sottolinea la differenza rispetto alla “temperata” Europa.

539Storia, cit., passo alle pp. 13-14. 540De Sarmatia, cit., passo cit. in Novus Orbis, passo cit. a p. 505u1. 541In proposito cfr. C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., in particolare pp. 61-62.

91

Page 92: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Inoltre, è appena il caso di segnalare, nel lungo passaggio in questione, anche un riferimento di natura geografica tratto dall’edizione munsteriana della Geographia tolemaica a proposito del Volga: “Volga, da Tolomeo Rha, e da’ Tartari chiamata Edil, e la Tana dai medesimi detta Don…”

“Rha flu. Ostia Volga…a Tartaris Edel nuncupatus…”542[…]”fluvio Tanai, Don flumen hodie appelantur a Tartaris…”543

Il racconto delle terribili campagne di saccheggio compiute dagli Unni sotto la guida di Attila e il ripiegamento seguito alla sua morte in Asia fino al secondo ritorno in Pannonia si ispira a varie fonti544. Poi il canonico ricorre all’umanista alsaziano Beato Renano, non prima però di aver citato quattro diverse fonti in poche righe: Jordanes545, Procopio546, Agazia547, e Zonara548. Autori, peraltro ben presenti al Renano che accorpa Jordanes, Procopio e Agazia in una raccolta sulle popolazioni barbare nell’edizione basileese curata per Giovanni Hervagio nel 1531549. Un lavoro nel quale si esprime pienamente lo spirito nazionalistico e antiromano che anima l’impegno letterario e intellettuale dell’alsaziano a partire dalla fine del secondo decennio del XVI secolo. Nel 1514, dopo i primi anni del Cinquecento trascorsi a Parigi come studente dove viene influenzato culturalmente da Lefebvre d’Etaples e dal suo circolo, Renano va a Basilea e si lega profondamente al connubio formato da Erasmo e da Johann Froben. Dal 1520, infatti, il Renano interrompe definitivamente l’edizione di testi di umanisti italiani appartenenti alla tradizione del neoplatonismo fiorentino e di autori del misticismo medievale, dedicandosi a edizioni di evidente impronta germanica per pubblicare sotto l’influsso erasmiano, Tertulliano in chiave antiscolastica. Il nazionalismo del Renano inquadrato comunque nella dimensione imperiale germanica, si salda anche fino al 1525 con l’adesione alle istanze propugnate da Lutero in chiave antiromana e antipontificia550. Nella raccolta suddetta, la prospettiva del Renano emerge chiaramente fin dalla lettera dedicatoria del 16 settembre indirizzata a Bonifacio Amerbach, in cui pone con forza l’esigenza di riscoprire la storia e le gesta dei popoli barbari che hanno determinato il crollo dell’impero romano e la translatio imperii in Germania nel Medioevo. Secondo l’umanista alsaziano, gli autori storici proposti, costituiscono lo strumento più adeguato per divulgare e mettere in risalto questo cambiamento epocale che è alla radice della realtà imperiale europea del XVI secolo: “Non aliam ob causam, vir carissime, minus a Germanis nostris lectas hactenus Procopij historias crediderim, quas ille de Gotthorum Vandalorumque bellis in Italia alibique gestis scripsit, iam olim Latine versas, nisi quod persuasum fuit omnibus, Gotthos praesertim, Scythas extitisse. Quae res fecit, ut nos obliti carminis Homerici…in externarum gentium 542Geographia vetus et nova, cit., passo a p. 94h5. 543Ivi, passo a p. 41d3. 544Storia d’Europa, cit., pp. 14-16. Passaggi per i quali probabilmente il Giambullari attinge anche se non in maniera letterale dai Commentaria, cit., del Maffei in particolare p. 88p4. In proposito cfr. anche la nota di commento della Marangoni al passaggio 107-114 a p. 16. 545A. Potthast, Wegweiser durch die Geschichtswerke des Europaischen mittelalters, cit., Vol. I, pp. 682-683. 546Ivi, su Procopio vedi Vol. II, pp. 938-940. 547Ivi su Agazia vedi, Vol. I, pp. 25-26. 548Ivi su Zonara vedi Vol. II, p. 1126. 549Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit rerum copiossimus index, Basileae ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI. 550J. D’Amico, Beatus Rhenanus and Italian Humanism, in Renaissance Humanism: Foundations, Forms, and Legacy, ed Albert Rabil, Jr., vol. I, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1988, pp. 237-260 ora anche in J. D’Amico, Roman and German Humanism, cit., stessa numerazione di pagine; inoltre, cfr. id., Hulrich von Hutten and Beatus Rhenanus, cit., pp. 25-33.

92

Page 93: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

historijs duntaxat versemur, quum tamen domi habeamus quod admiremur, quodque non solum cognitione, verumentiam imitatione dignum alicubi videri queat. Nostri enim sunt Gotthorum, Vandalorum, Francorumque Triumphi. Nobis gloriae sunt illroum in clarissimis Romanorum provincijs, atque adeo Italia ac ipsa Roma regina urbium cunctarum costituta, quorum tamen hodie nullum supersit praeterquam Francicum, ut fortunatissimi semper domi forisque et extitere veteres Franci. Non quod probem, ut ingenue verum fatear, urbium incendia, direptiones, eversiones, agrorumque devastationes, sive quibus hoc genus victoriae non contigunt: quis enim cordatus huiusmodi insanias non detestatur sed quia vulgo commendari ista scimus, unde nobilitas omnis petamur. Et invero non perinde exacte gentium origines hic autor, homo videlicet Graecus edisserit, ut quae sub Iustiniano Caesare praecipue gesta ab illis fuere, bella commemorat, contentus docuisse quid tum quidem factum sit. […]”551 Atteggiamenti e suggestioni certamente congeniali o quantomeno vicine alla linea del canonico laurenziano che cita rapidamente gli autori inclusi nella raccolta del Renano riguardo alla questione della seconda venuta in Pannonia degli Ungheri552, per poi rinviare esplicitamente ai Rerum Germanicarum libri tres553 dell’umanista alsaziano. Renano, opera dagli intenti filo-imperiali. La lettera nuncupatoria indirizzata in questo caso al re Ferdinando fratello di Carlo V, ribadisce l’intenzione di diffondere la conoscenza dell’ascesa storica compiuta dalle genti germaniche durante il Medioevo in seguito al crollo dell’impero romano. La necessità di quest’attività divulgativa nasce del resto all’ignoranza che alberga invece

551Ivi, Beatus Rhenanus Bonifacio Amerbachio iureconsulto s.d., Schlettstadt 17 Aug. 1531, p. a2-a3, passo citato a p. a2 in proposito cfr. Die Amerbachkorrespondenz, Basel: verlag des Universitatsbibliothek, 1942-1983, X voll., in particolare IV vol., Die Briefe aus den Jahren 1531-1536, 1953, p. 61. 552Storia, alle pp. 18-19 leggiamo: “Questo vogliamo noi che sia detto secondo la opinione della maggior parte degli scrittori, e de’ latini massimamente; perché, quanto a quello che noi ne crediamo, impossibile certamente ci pare e del tutto male verisimile, che gli Unni venissero la seconda volta in Pannonia, in quei tempi che costoro dicono, se già non furono popoli nuovi. Perché cento cinquant’anni avanti a quel secolo, troviamo che Mauricio imperatore greco ebbe guerre grandissime con gli Aviri o Avari, che e’ si chiamino; i quali secondo Zonara e gli altri Greci, e secondo Iornando Gotto, sono Unni essi ancora; e non dico Unni di Asia, de’ quali abbiamo si varii popoli in Procopio ed in Agazio…”. A proposito del riferimento a Jordanes in Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, cit., cfr. Iornandis de origine actuque getarum liber, pp. 593dd3-641hh3, in particolare p. 597dd4 dove leggiamo: “Hinc iam Hunni quasi fortissimarum gentium foecundissimus cespes, in bisariam populorum rabiem pullularunt. Nam alij Aulziagri, alij Aviri nuncupant, qui tamen fedes habent diversas.” Ivi, per il rinvio a Procopio, cfr. Procopii de bello persico liber primus, Raphaele Volaterrano interprete, pp. 225u1-307c4, in particolare nel liber primus , p. 227u1 in cui si dichiara: “Sunt enim Euthalitae Hunnicum genus reliquis Hunnis nequaquam vicini neque ad eos pertinentes, sed Persis propinqui Boream versus, quorum civitas Gorga nomine in Persidis confinibus saepe cum colonis de ipsis finibus pugnat. Nec ut reliqui Hunni nomades sunt vitam agentes pastoralem, sed optimam iam pridem incolunt regionem. Hi nunquam in Romeorum terram nisi cum Persarum exercitu sunt ingressi, solique Hunnorum albi sunt, neque item foedi adspectu, neque ferarum modo ut illi victitantes, sed sub uno degentes principe inter se, et cum vicinis ius phasque colunt aeque ac Romani et alij omnes…”. Peraltro, segnaliamo che la traduzione delle istorie di Procopio fatta dal Maffei con riguardo ai due libri De bello persarum e ai due libri De bello vandalico riproposta integralmente dal Renano era stata edita precedentemente nel 1509 a Roma: Procopii De bello Persico. Impressum per magister Eucharium Silber alias Franck…,1509 Nonis Martio. Per Agatia in Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, in Agathius de Bello Gothorum et aliis peregrinis historiis, per Christoforum Persona Romanorum, priorem sanctae Balbinae, e greco in Latinum traductus, pp. 385k1-512v4, in particolare p. 498t3 in cui leggiamo: “Hunni quondam circa lacum Maeotidem loca incoluere in Arcutrum potius versi, ut Barbarorum caetere nationes, que quod infra Imaum montem Asiam insident, hi omnes et Scythe et Hunni vocitabantur, seorsum tamen et per generationes: nam partim Cotriguri appelantur, partim Ultizuri, partim Burgundi, partim alias utcumque patrium illis est gentibus et consuetum denominari. Hi itaque Hunni longo post tempore in Europam subito traiecerunt …” 553Beati Renani selestadiensis rerum germanicarum libri tres. Adiecta est in calce epistola ad D. Philippum Puchaimerum, de locijs Plinij per St. Aquaeum attactis, ubi mendae quaedameiusdem autoris emaculantur, antehac non a quoquam animadversae, Basilare, in officina frobeniana, anno M. D. XXXI; d’ora in poi Rerum Germanicarum.

93

Page 94: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

proprio su quel periodo rispetto invece alla perfetta conoscenza delle fonti e della dominazione romana.554 Il passaggio della Storia che si sofferma sugli enormi tesori tolti da Carlo Magno agli Ungheri e trasferiti alla Chiesa di Magonza, trae ispirazione dalle Rerum Germanicarum: Ma Unni della Europa, che abitavano la Rascia e la Servia, e predavano tutta la Tracia, e massimamente sotto il re Caccano, da altri detto Caiano. Il quale quanto fusse potent e ricco lo dimostrano le molte rotte date allo imperio greco, ed i saccheggiamenti e le correrie così spesse sino alle stesse mura di Costantinopoli; ma molto più i tesori grandissimi e le spoglie sì preziose che trasse il gran Carlo Magno della Ungheria. Le quali di quanta valuta fussero, assai chiaramente si può comprendere dalle ricchezze quasi incredibili della Chiesa Maguntina, descritte non solamente nelle antichissime croniche di quella città, ma e nel secondo della Germania dallo accorto e dotto Renano.555

Constantiensi sedi praedia sua et tributum sive vectigal quod in vico Colmariensi dotis nomine possidebat, liberaliter largita est Berthrada regina. Cuius filus Carolus cognomento Magnus veterum beneficentiam longe vicit. Nam quun octavo demum anno bellum Hunnicum perfecisset, Thesauris Caiani principis potius, quos ea gens id temporis in Pannonia habitans, ex toto orbe spoliato convexerat, nec unquam opimiorem praedam nactos Francos legimus, in primis pium exstimavit episcopalibus coenobijs, et caeteris monasterijs bonam acquisitarum opum partem decidere. Hinc ille divitiae templi Magonciacensis, ubi crux ex auro solido fuit nomine Benna pondere mille et ducentarum marcarum, cui versiculus huiusmodi inscriptus visebatur. Auri sexcentas habet haec crux aurea libras556.

Lo stesso discorso vale per la sconfitta che Carlo infligge agli Ungari:

554Ivi, Invictissimo Caesari Ferdinando Bohemiae Ungariaeque regi etc. Beatus Rhenanus s. d., pp. 3-4aII, in cui il Renano denuncia l’ignoranza delle origini geografico-storiche delle popolazioni germaniche: “Nam quis non e trivio populorum regionumque nomina crepat, Germanos, Alemannos, Francos, Saxones, Suevos, Helvetios, Germaniam superiorem, et inferiorem, Germaniam magnam, Franciam, Alemanniam, Sueviam, Baioariam. Quod si roget quispiam, unde et quando natae sint hae gentium et provinciarum appelationes, hic vero paucos reperias qui possint hisce de rebus exacte differire. Et tamen, ut ingenue quod verissimum est fateamur, nisi haec quis teneat nescio quo cum fructu legendis historijs sit vacaturus. Hoc vero mirum, quod in Romana antiquitate cognoscenda diligentissimi sumus, in media aut etiam vetustiori que ad nos maxime pertinet, negligenter cessamus.[…]Quae me res movit maxime princeps, ut post meum nuper ex Augusta reditum, rogatu quorundam amicorum, de provincijs Romanis quae a sinistra Rheni fluminis, a dextra Danubij ripa contra veterem Germaniam victores orbis possederunt, et illarum statuquo videlicet gubernatae sint modo praesertim sub posterioribus imperatoribus, qui videlicet Costantinum illum magnum insecuti sunt, aliquid annotarem adiutus libro vetusto qui Praefecturas Romanas eius seculi recenset: tum ut stilo prosequerer queadmodum illae provinciae sint collabenti iam imperio Occidentali non a Francis modo, sed et ab Alemannis sive Suevis, Marcomannis, Nariscis, ac Quadis occupatae. Proinde populorum istorum emigrationes, et mutatas in ipsa ante Germania veteri fedes quas nos demigrationes vocamus, quantum nobis possibile fuit, explicuimus. Nec ullos esse suspicor quibus hic labor meus non futurus sit utilissimus, nam doctissimos etiam viros quoties de Provincijs incidit sermo video caecutire, adeo nullum faciunt discrimen inter/ veterem illam Germaniam, et ea quae posterius est occupata. Hinc Hermolaus apud Plinium de veteri Germania loquentem pro Moeno Aenum legi posse putat, non hoc facturus si animadvertisset Germaniae fluvium Aenum esse non posse qui Noricum provinciam a Rhetia distinguat. Itaque quantum momenti sit allatura, haec mea lucubratio studiosis historiarum non est facile dictu, plurimum enim erret necesse est, qui provincias a veteri Germania discernere nesciat. Equidem hinc ille veterum error manavit putantium Varum Quintilium cum legionibus romanis apud Augustam esse caesum, qui in Teutoburgiensi saltu trans Rhenum in veteri Germania, vincente Arminio occubuit. Quod si scissent Rhetiam primam in cuius sine sita est Augusta, Romanorum fuisse provinciam, nemo hoc dicturus fuerat. Siquidem costat Varum in Germania trucidatum, at Rhetia ad Germaniam ad temporis minime pertinebat, Romanis obediens. Iam litem illam…quae olim inter civem meum Iacobum Vuimpheligium et Murnarum me puero viguit, de Galliae Germaniae terminis, promptum sit hinc rescindere.” 555Storia, cit., passo a p. 19. 556Rerum germanicarum, cit., passo cit. a p. 93m3, liber secundus.

94

Page 95: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Questa pessima usanza di predare i vicini d’intorno si mantenne ostinatamente sino ai tempi di Carlo Magno. Il quale(come si vede nello Uspergense) soggiogò finalmente ed oppresse questa indomita nazione, e la spense quasi del tutto lasciandovi solamente gli Ugheri o Ungheri557, una cioè di quelle molte nazioni che vi addussero gli Unni di Scozia, come vedere si può nel Renano: e questi ancora che e’ non paressino da fare nocumento o danno a’ vicini, per esser la maggior parte pastori o lavoratori, chiuse egli nientedimanco di serraglio fortissimo, e d’uno argine molto gagliardo da Ponente e da Mezzogiorno, acciochè secondo la vecchia usanza, non uscissero a predare e guastare la Germania tutta e la Francia. Stettero così adunque lunga stagione rinchiusi e guardati nel serraglio forte e difficile di quelle montagne asprissime, che Marcellino, per quanto accenna il dotto Renano, chiama i Chiostri de’ Svecuni. E vi sarebbono forse ancor oggi, se la rigorosità severa di Arnolfo non gli avesse aperta la strada molto più calamitosa e nociva poi alla Italia, alla Francia e alla Germania, che non fu allora a’ Moravi. Contro i quali volendosi pur valere il predetto principe senza altrimenti considerare ciò che potesse avvenire poi, mandò segretamente alcuni più fidati a sapere da gli Ungari, se e’ volessino venire in aiuto a la guerra ch’ egli avea presa.”558

Hunnos qui et Avares, extructis novem Hagis hoc est in circulis in Pannonia habitanteis octennali bello Carolus Magnum edomuit, exciditque prorsus. Horum vero nationem unam cui Ugrorum et Ungarorum nomen, nam multos secum a Scythia populos eduxerant Hunni, velut nihil nocituram illis extinctis, submovit tantum, et vallo quodam obstruxit. Verum quum Arnulfus Caesar bellum gereret adversus Zuentenbaldum Maravanensium Sclavinorum principem, in Care periculus fscturus quem admodum Graecis est in proverbio, submotam istam Hunnicarum reliquiarum gentem quae tot annis quieverat, in subsidium referatis aditibus evocat. Et victoriam quidem de Zuentenbaldum reportavit Ungarorum auxilijs, sed quem hostem regnare praestitisset, illis non excitis. Siquidem post eam imperatori navatam operam, rursum ad depopulandum orbem animati maiorum suorum exemplo, et iam viae patebant, assiduis vastationibus, Baioariam, Alemanniam Saxoniam et utramque Franciam exhauserunt, in Pannonia secunda fixis sedibus, donec divus Henricus Aug. Eius nominis secundus, regi ferocissimae nationis fororem Giselam in matrimonium collocaret, Christianis Sacris prius initiato, cui Stephani vocabulum inditum. Porrò fuerant submoti intra angustias quasdam, quales erant angustiae Thracias dirimentes et Daciam, quarum Marcellinus meminit libro vigesimo septimo. Ubi quidam sic conantur legere, Cuius in summitate occidentali, montibus praeruptae densitatis, Verorum patescunt angustiae, Thracias dirimentes et Daciam. Talia quoque fuerunt claustra Sveucunnorum

557In proposito il Giambullari rinvia esplicitamente al Chronicum abbatis Urspergensis, continens historiam rerum memorabilium, a nino Assyriorum rege ad tempora Friderici II Romanorum imperatoris, et Germanicarum Imperatorum res praeclare ac fortiter pro salute publica gestas, bona fide ab autore conscriptas, complectens: Diligenter per Eruditum quondam virum et historiarum peritissimum recognitum, et beneficio veterum manu scriptorum exemplariorum ab infinitis mendis repurgatum. Paraleipomena rerum memorabilium, a Friderico II, usque ad Carolum V. Augustum, hoc est, ab anno domini MCCXXX usque ad annum MDXXXVII, ex probatioribus qui habentur scriptoribus in arctum coacta, et historiae Abbatis Urspergensis per eundem studiosum annexa, Argentorati apud Cratonem Mylium, mense martio, MDXXXVIII, dove a p. CLXXVIIp5 leggiamo a proposito della vittoria di Carlo: “Ad has ergo muntiones per cc. et eo amplius annos, qualescunque omnium Occidentalium divitias congregantes, cum et Gothi et Vuandaliquietem hominum pertubarent, orbem occiduum pene vacuum dimiserunt. Quos cum invictissimus Carolus in annis octo ita perdomuit, ut de eis minimas quidam reliquias rimanere permiserit. ” (d’ora in poi Chronicon…Uspergensis). Pagina nella quale di seguito abbiamo un diretto rinvio al secondo libro delle Rerum Germanicarum, cit., del Renano sui tesori portati da Carlo a Magonza. 558P. Giambullari, Storia, cit., passo riportato alle pp. 19-20.

95

Page 96: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

apud eundem autorem, aut eadem fortassis. Inde Claustrini dicti.”559

Giambullari sposa dunque l’interpretazione di Renano secondo cui Carlo chiude un vaso di Pandora colpevolmente riaperto da Arnolfo. che provoca una falla di estrema gravità per l’Europa cristiana come dimostrano le rapine e le devastazioni compiute dagli Ungheri sul suo territorio. L’impero romano-germanico ripiomba a causa degli inetti discendenti di Carlo Magno e in particolare di Arnolfo in uno stadio di profonda decadenza. Egli, non riesce minimamente a valutare al di là del vantaggio immediato ottenuto contro i Moravi, infatti, come nel lungo periodo agli Ungheri “avesse aperta la strada molto più calamitosa e nociva poi alla Italia, alla Francia e alla Germania, che ella non fu allora a’ Moravi.”560 Nel lungo passaggio in questione, che celebra il valore di Carlo Magno, il Giambullari indica, accanto al Renano, un’altra fonte medievale del XIII secolo: il Chronicon Universale…di Konrad Liectnaw, abbate del monastero di Ursperg da cui il soprannome di “Uspergense”. Si tratta di una fonte non meno significativa per l’umanesimo tedesco in chiave antiromana ed in funzione celebrativa della translatio imperii alla Germania. Il Chronicon dell’Uspergense, viene, infatti, utilizzato nella lotta protestante contro Roma ed edito in latino nel 1537 dall’alsaziano Caspar Hedio, riformato, professore all’università di Strasburgo, convinto assertore, fin dall’inizio della Riforma, della funzionalità della storia per l’affermazione della vera fede561. Basta vedere in questo senso come lo stesso Hedio nell’edizione del testo dell’anno successivo, aggiunga un’ampia integrazione storica che va da Federico II all’anno 1537, nel pieno dell’impero di Carlo V, dalla linea chiaramente antiromana, composta da Crato Mylio562. Le forze primordiali liberate dalla avventatezza di Arnolfo, ricominciano immediatamente a razziare, rapinare e saccheggiare senza freno o esitazione alcuna. Pertanto, gli uomini di Arnolfo per evitare il peggio, dice il Giambullari: “gli discostarono a lor potere da il paese abitato, guidandoli o per le selve o per luoghi inculti e deserti: il che non era molto difficile, per trovarsi allora la Germania in quella

559Rerum Germanicarum, liber I, passo cit. a p. 77k3. 560P. Giambullari, Storia, cit., passo a p. 20. 561Sull’abate di Ursperg cfr. U. Chevalier, Répertoire, cit.,vol. I, pp. 1268-1269 e Potthast, Repertorium fontium historiae Medii Aevi, cfr. inoltre sulla sua ampia utilizzazione in campo protestante rinviamo a P. Polman, L’élèment Historique dans la Controverse religieuse du XVIè Siècle, Gembloux imprimerie J. Duculot, éditeur, 1932, in particolare pp. 187 e 189, 202, 204, 206, 211; cfr. in tal senso anche L. Perini, La vita e i tempi di Pietro Perna, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2002, in particolare pp. 200 e 202. 562Chronicum abbatis Urspegensis, cit., nei Paraleipomena, cit., dove è sufficiente guardare la denuncia della corruzione della Chiesa romana sotto il pontificato di Leone X, a p. CLVIIIo3, rispetto al quale le parole spese su Adriano VI sui suoi tentativi di riforma sulla denuncia sincera dei mali della Chiesa suonano ben differenti nella valutazione dell’autore a pp. CLXIo4 e CLXIIIIo5, la denuncia dei gravami a cui Roma sottopone la Germania alle pp. CLXIo4-CLXIIo4 oppure gli apprezzamenti spesi per la versione erasmiana del nuovo testamento del 1516 a p. CLIX, ma soprattutto l’ampio elogio indirizzato all’opera di Reuchlin in relazione alla menzione della sua morte a p. CLXXIIIp4: “Anno Domini MDXXVIII, Egregius ille trilinguis eruditionis Phoenix, Iohannes Reuchlin vita defunctus est, relicta posteris honestissimi nominis immortali memoria. Dum viveret, et benefactis nomen suum immortalitati consecraret, obstrepentes habuit aves aliquot albis et nigris : picas dicere possis, cristam gestantes vertice, rostris et unguibus aduncis, ventre prominente. Cuius viri memoria studiosis et eruditis ob hoc debet esse sacrosancta, quod quemadmodum amator humani generis Deus donum linguarum, ut olim per spiritum sanctum Apostolis ad evangelii praedicationem contulit : ita in hoc novissimo tempore cum vellet Germaniae misereri, et ad agnitionem veritatis adducere, per Iohannem Reuchlinum electum famulum suum mundo revovarit. Idem efficiat, ut omnibus linguis omnes ubique praedicent gloriam filij Dei, ut confundantur lingue Pseudapostolorum, qui Dei gloriam obscurare nituntur, dum suam student attollere. ” L’edizione in questione subisce infatti la condanna dell’indice veneziano del 1554, in proposito rinviamo a Index des livres interdite. Directeur J. M. De Bujanda, Géneve, Droz, 1985-2002, XI voll., vol. III, Index de Venise 1549 Venise et Milan 1554, Centre d’études de la Renaissance, éditions de l’Université de Sherbrooke, librarie Droz, 1987, p. 106.

96

Page 97: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

salvatichezza rigida che di lei scrive Cornelio Tacito, e non in questa frequenzia abitata e culta che si vede ne’ tempi nostri.”563 Queste parole richiamano evidentemente alla dimensione storica contemporanea esprimendo un giudizio chiaramente elogiativo della Germania attuale e del suo grado di civilizzazione. Molto significativa in tal senso è l’allusione diretta al De situ, moribus, et populis Germaniae libellus di Cornelio Tacito, noto appunto come Germania, alla rappresentazione fisica ed all’assenza di urbanizzazione di questa regione formulate dallo storico romano nella prima parte del suo scritto564. Il trattatello dello scrittore latino è estremamente apprezzato dagli umanisti tedeschi che ne ripropongono molti passaggi a supporto del nazionalismo culturale germanico. Conferma significativa in proposito è il fatto che Beato Renano curi ben due edizioni della sua Germania, quella del 1519 e quella lionese del 1542 stampata da Sebastian Griphius565. In realtà gli umanisti tedeschi considerano Tacito, secondo due tendenze, una celebrativa, l’altra fortemente critica. Da una parte, infatti, apprezzano lo storico romano perché fornisce un’immagine altamente positiva dello spirito libero, autonomo, valoroso e semplice dei Germani, in contrapposizione alla corruzione della società e alla decadenza dell’impero romano. Dall’altra però essi ritengono ormmai inattuale e non più esistente la Germania primitiva, ricoperta di selve, priva di campi coltivati e città descritta da Tacito. La realtà tedesca del XVI° secolo, infatti, presenta un alto grado di civilizzazione, sviluppo urbano ed economico e costituisce il fulcro della struttura imperiale e dell’identità europea. Pertanto, l’umanesimo tedesco valuta Tacito sotto una duplice luce, lo elogia per aver intuito le potenzialità e la predisposizione al primato imperiale dei germani, ma critica quando evidenzia la primitività dei germani566. Posizione che, come risulta dal precedente passo, Giambullari sottoscrive pienamente e a cui perviene probabilmente proprio dalla lettura della Geographia tolemaica munsteriana. Nell’annotazione al capitolo V del primo libro dell’opera, Muenster, infatti, insiste sul nesso profondo che unisce storia e geografia (quest’ultima validamente fondata solo se supportata dalla consapevolezza dei mutamenti e del divenire storico567), e si riferisce proprio all’inattualità della rappresentazione tacitiana della Germania: 563Storia, cit., passo a p. 22. 564Infatti la prima parte del trattatello tacitiano si occupa delle caratteristiche fisiche del territorio della Germania e degli usi dei popoli Germani. In particolare i passi sulla selvatichezza della Germania richiamati dal Giambullari “Terra etsi aliquanto specie differt, in universum tamen aut sylvis horrida aut paludibus foeda, humidior quam Gallias, ventosior quam Noricum ac Pannoniam aspicit; satis ferax, frugiferarum arborum ipatiens, pecorum fecunda, sed plerumque improcera”. A proposito della mancanza di urbanizzazione Germanica: “Nullas Germanorum populis urbes habitari satis notum est, ne pati quidem inter se iunctas sedes. Colunt discreti ac diversi, ut fons, ut campus, ut nemus placuit. Vicos locant non in nostrum morem connexis et cohaerentibus aedificiis. Suam quisque domum spatio circundat, sive adversus casus ignis remedium, sive inscitia aedificandi.[…]”. Passi che troviamo nel De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti equitis ro. Ab excessu Augusti. Annalium libri sedecim, ex castigatione Aemylij Ferretti, Beati Renani, Alciati, ac Beroaldi, Lugduni apud Sebastianum Gryphium, 1542 (sul Grypius si rinvia al cap. I nota ), pp. 621q7-644s2, rispettivamente alle pp. 623q8 e alle pp. 628r2-629r3. Ivi, sulla selvatichezza della Germania cfr. anche p. 621q7: “Quis porrò praeter periculum horridi et ignoti maris, Asia, aut Africa, aut Italia relicta, Germaniam peteret? Informem terris, asperam coelo, tristem cultu aspectumque, nisi si patria est.” 565Per l’edizione del 1519 rinviamo a J. F. D’Amico, Hutten and Rhenanus, cit., p. 26, riguardo all’edizione del 1542 vedi supra la nota precedente. Inoltre, sulla recezione di Cornelio Tacito in epoca moderna rinviamo a La Fortuna di Tacito dal sec. XV ad oggi, Atti del colloquio di Urbino, 9-11 ottobre 1978, a cura di Franco Gori e Cesare Questa, in “Studi Urbinati”, 1979 in particolare Anna Maria Battista, La ‘Germania di Tacito nella Francia illuminista’, pp. 93-133. Sull’edizioni tacitiane curate dal Renano cfr. anche ivi Josè Ruysschaert, Juste Lipse, éditeur de Tacite, pp. 47-61, in particolare p. 50; sull’importanza di Tacito per l’umanesimo ed il nazionalismo tedesco cfr. R. Romeo, Idea e coscienza di nazione, cit., p. 17. 566Sulla valenza politica antiromana di Tacito e sulla trasformazione della Germania rispetto ai suoi tempi vedi P. Laurens, Rome et la Germanie chez les poètes humanistes allemands in L’Humanisme allemand, cit., pp. 339-355. 567Il capitolo si intitola: “Quod Historiis novissimis magis sit adhaerendum, propter mutationes, quae per tempora accidunt in terra”, in Geographia universalis vetus et nova, cit., p. 13a3.

97

Page 98: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“[…]Et quamquam terra semper maneat eadem atque in eadem forma et dispositione, quaedam denique regna ac territoria hodie sic sese habeant ut olim, nihilo minus temporis successu grandes sunt mutationes in ipsis regnis, territorijs, populis et civitatibus. Delentur enim nonnunquam regna aut transferruntur, exurguntque nova, sic multae nationes in unam contrahuntur, aut una in plures segregatur, solitudines sunt habitabiles , et habitabilis redigitur in solitudinem. Insignia remora exciduntur et sunt habitatio hominum, civitasque, magnae abolentur et exoriuntur aliae. Ubi est hodie florentissimum illud Macedoniae regnum…ubi denique Roma cum suo imperio ? Et e diverso videmus, quomodo solitaria illa, et ut Taciti utar verbis, squalida et tristis coelo Germania, a Ptolemaei temporibus creverit in cultissimam terram, innumeras habens regiones, urbes et populos.”568 Parole peraltro che confermano ulteriormente il significato e la funzione dinamica attribuita alla geografia dagli umanisti del XVI secolo e dallo stesso Giambullari. Prospettiva che poi, nel Muenster, riferimento essenziale del canonico laurenziano, si svolge chiaramente e costantemente al servizio della dimensione imperiale filotedesca. Muenster esalta la forte ed evoluta Germania attuale, in ideale continuità con quella tacitiana per la capacità di resistere all’Impero romano e mantenere la propria libertà, ma in rottura con essa per l’alto grado di civiltà raggiunto, fin dal primo paragrafo della sua Germaniae…Descriptio569 del 1530570. Quel trattatello inaugura un percorso culminato dal Muenster nella monumentale Cosmographia571, dedicata significativamente per metà alla sola Germania, fulcro e perno dell’impero. L’itinerario munsteriano si inquadra in un’orientamento introdotto nell’umanesimo tedesco da Konrad Celtis alla fine del Quattrocento. Umanista dell’università di Vienna, il Celtis sponsorizza, in evidente spirito di competizione verso l’Umanesimo italiano, il compimento della translatio delle arti e delle lettere in Germania come conseguenza dell’avvenuta translatio imperii politica572. Peraltro, il Celtis sviluppa la sua linea patriottica prendendo spunto anche da un autore come Pio II, che trasferisce nella realtà contemporanea l’elemento della libertà politica germanica alle città libere tedesche in antitesi alla situazione italiana, ricavato da Tacito573. Proprio a Pio II si richiama Giambullari, una volta descritto lo scontro tra Arnolfo e Suembaldo. L’autore in realtà propone preliminarmente alla battaglia le relative orazioni dei due sovrani alle truppe. Discorsi inventati in omaggio ad canone che la storiografia umanistica attinge da quella classica, allo scopo di chiarire, generalmente, i moventi psicologici sottesi al verificarsi degli eventi, oppure i pro e i contra una certa risoluzione o un alternativa di azione574. Giambullari nel caso specifico, vuole mostrare la sproporzione delle forze in campo a svantaggio di Suembaldo,575 che tuttavia non desiste dalla battaglia e viene facilmente sconfitto.

568Ivi, passo a p. 14a4. 569Germaniae atque aliarum regionum, quae ad imperium usque Costantinopolitanum protenduntur, descriptio, per Sebastianum Muensterum ex Historicis atque Cosmographis, pro tabula Nicolaei Cuse intelligenza excerpta. Item eiusdem tabulae Canon. MDXXX. 570Ivi, pp. 3a2-9b1. 571Nella quale ennesima conferma del profondo nesso stabilito dal Muenster tra geografia cosmografia e storia si ricava nella lettera nuncupatoria del marzo 1550 indirizzata a Carlo V che introduce l’edizione basileese della Cosmografia, cit., pagine non numerate. 572In proposito rinviamo a J. Ridé, Un grand projet patriotique: Germania illustrata, in L’Humanisme allemand, cit., pp. 99-111, in particolare pp. 99-101 e 107; sul nazionalismo dell’impegno culturale del Celtis vedi anche A History of the University in Europe, Cambridge University Press, 1996, II voll., in particolare vol. II, Universities in Early Modern Europe (!500-1800), edited by H. De Ridder-Symoens, p. 32. 573A proposito di Celtis e Pio II vedi J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., pp. 101-102, inoltre sul tacitismo di Enea Silvio rinviamo a G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 31-39 e infine a P. Laurens, Rome et la Germanie, cit., p. 348. 574In proposito vedi F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini, cit.,p. 181. 575Storia d’Europa, cit., pp. 22-31.

98

Page 99: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

A questo punto, il canonico laurenziano per raccontare l’ultimo scorcio della vita di Suembaldo propone letteralmente il passaggio di Pio II: “Suembaldo, poi che egli ebbe tentato più e più volte…di salvare il tutto o il parte delle sue genti…avvedutosi pure che tutto era tempo perduto, si appartò finalmente dalla sconfitta, e trovandosi tutto solo, si ritrasse in una gran selva: nella quale disperatosi in tutto d’ogni grandezza di questo mondo, abbandonato il cavallo e spogliatosi tutte l’armi, come semplice viandante se n’andò molti giorni errando”[…] “Terminate così le cose…Arnolfo con le sue genti se ne passò nella Moravia; dove…fece re di quella provincia il figliuolo di Suembaldo[…]Suembaldo, nella grandissima Selva Ercinia, divenuto fuggiasco e povero, e cibandosi di erbe e di pomi, dopo alcune giornate si incontrò in tre eremiti, con i quali accompagnatosi egli per quarto, senza altrimenti manifestarsi, pacientissimamente sostenne tutto lo insulto della fortuna fino all’ultimo dì della morte. Alla quale sentendosi egli molto vicino, chiamati a sé i compagni suoi, tutto giocondo disse così: “Voi non avete sin qui saputo, amici e fratelli miei, chi io mi sia e donde vuntuo. Sappiate che io sono Suembaldo re de’ Moravi, che in una battaglia grandissima, rotto e vinto da Arnolfo re di Germania, me ne venni alla solitudine. Ed avendo esperimentato in me lungamente la inquieta vita de’ grandi e la quietissima de’ privati, lietoe contento muoio al presente nella solinga e romita casa di questa santa selva dolcissima; alla tranquillità della quale non si avvicina in maniera alcuna, qual si voglia real grandezza o bonaccia della fortuna. Qui almeno il sonno sicuro fa parere saporite le radici strane delle erbe, e dolci l’acque delle fontane: quivi i pericoli e le cure sempre fanno amarissimo il vino e’ l cibo. E tutto quel che vissi nel regno, fu piuttosto morte che vita. Sepeliretemi in questo luogo, e andandovene al mio figliuolo, se per sorte e’ fusse ancor vivo, gli direte tutto il successo. Perdonatemi fratelli miei, e pregate per me il Signore, che non riconti a peccato quel che ho fatto.” Questo appena potette esprimere di maniera che e’ fusse inteso, ed andonne a quell’altra

“…commisso praelio, cum suos cadere animadvertisset, clam sese pugnae subtraxit: atque ut erat mutata veste, incognitus salutem fuga quaesivit. Cumque ad montem venisset, cui Sembri nomen est, abiectis armis, equo dimisso, pedibus iter fecit, et tamquam viator inops vastissimam ingressus eremum, tamdiu pomis arborum, atque herbarum radicibus vitam sustentavit, donec tres Eremi cultores obvios habuit: quibus sese adiungens, usque ad exstremum vitae perseveravit incognitus, patienter ac sedato animo incomoda queque ferens. Ubi vero obitus affuit: accersitis eremitis : Nondum, inquit, quis fuerim novistis. Rex ego Moravorum praelio victus, ad vos confugi, et regiam vitam, et privatam, expertus morior. Nulla regni fortuna est tranquillatati eremi praeficienda. Hic securus somnus, dulces herbarum radices, atque undas efficit: ibi curae atque pericola nullum cibum, nullum potum non amarum reddunt. Quod vitae mihi fata dederunt apud vos felix pergi: in regno quicquid eius transactum est, mors verius quam vita fuit. Sepelite me hic postquam anima corpus liquerit: Moraviamque deinde petentes, filio meo, si hic vivit, haec nunciate. Atque his dictis vita excessit. Arnolphus interea victoria potitus regunm Moraviae Svatocopij filio, quem de sacro fonte levaverat, possidendum reliquit. Is ab eremitis eductus de fortuna patris… ”577

576Storia, cit., passi cit. a p. 30 e 31-32. 577Historia Bohemica, cit., passaggi riportati alle pp. 139-140m4.

99

Page 100: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

vita. E i romiti, come e’ voleva, manifestando tutto a’l figliuolo, fecero chiara la morte sua.”576 Concluso il racconto delle vicende di Suembaldo, Giambullari si volge alla Francia costituitasi ormai in regno separato dalla Germania e coinvolta da un profondo contrasto interno provocato dall’arrivo dei Normanni. Per introdurre il problema il canonico laurenziano si sofferma sul luogo d’origine del popolo normanno: la Scandinavia. Il passaggio dedicato a tale regione appare estremamente indicativo, sia per la fonte da cui viene ricavata la sua prima parte, sia per la tesi qui espressa. Giambullari ricorre, infatti, per la descrizione della regione scandinava alla Cosmographia muensteriana: “Giace dunque nello Oceano della Germania…una grandissima quasi che isola, comunemente detta Sconlandia, e Scondonia da qualc’un altro, cioè amena e piacevole Dania, ma Scandia e Scandinavia da Plinio. La quale secondo il Munstero, si ha guadagnato questo nome da la comodità de’ porti, da la fertilità del paese e da la somma abbondanza non solamente de’ pesci e de selvaggiumi, ma delle ricche miniere dell’oro, dell’argento, del rame e del piombo, le quali tutte copiosamente in lei si ritrovano, e da così larghe vene vi abbondano, che per tanti e tanti secoli sino a dì nostri non sono mancati.”578

“Multis igitur a scriptoribus nominibus compellatur, Scondia, Scondermachia, Schondonia, id est, amena Dania. Plinius aliquo loco Scandiam et alio Scandinaviam nominavit, sed mansit illi Schondiae nomen, quod pulchritudinem significat, quondam coeli beneficio, telluris obsequio, portuum et emporiorum commoditate, maritimis opibus, lacuum et flumine piscatione, venatione nobilum ferarum, auri, argenti, aeris, et plumbi inexhaustis venis, oppidorum frequentia, civilibus institutis, nulli cedit beatae regioni.”579

Oltre a questa già significativa menzione, anche le considerazioni successive appaiono chiaramente funzionali a sostenere la matrice germanica dell’Europa sorta dalle ceneri dell’impero romano. L’autore registra la grande quantità di popoli fuoriusciti dalla Scandinavia e insediatisi nel resto d’Europa dove hanno successivamente costituito l’origine di molti altri popoli e nazioni europee, sulla falsariga dei Germaniae exegeos volumina duodecima di Franz Irenicus580 nei seguenti termini: “più volte ha mandato fuori dagli amplissimi suoi confini, eserciti quasi infiniti e moltitudini senza numero: cioè gli Alani, gli Schiavoni, da’ quali sono Boemi e Pollacchi; i Suedi che ci hanno dato i Normanni e Bolgari; i Teifali, i Rugi, gli Eruli, i Gotti, i Gepidi, i Longobardi, i Turciligni, i Cimerii, i Cimbri oggi Dani, i Vandali, i Bavari; e tante altre famose genti, quante nella faticosa Germania sua largamente ne dimostra lo Irenico.”581 Giambullari sposa dunque la tesi dalla Scandinavia vagina gentium, formulata inizialmente da Giordane e ripresa anche dal Muenster nella sua Cosmographia, applicandole poi lo

578Storia, cit., passo alle pp. 33-34. 579Cosmographiae universalis, cit., liber IV, passo riportato a p. 814hh7, passo che peraltro risulta identico nella Schondia, cit., a p. LXXXVI. 580Germaniae exegeseos volumina duodecima Francisco Irenico ettelingiacensi exarata. Eiusdem oratio protreptica, in amorem Germaniae, cum praesentis operis excusatione, ad illustriss. Principis Palatini Electoris Cancellarium Florentium de Pheningen, utriusque censure Doctorem. Urbis Norimbergae descriptio, Conrado Celte narratore, Norimbergae 1518. 581Storia, cit., passo a p. 34.

100

Page 101: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

schema formulato dall’Irenico nel primo libro della sua opera.582 Passaggio ulteriormente indicativo delle implicazioni della disciplina geografica nel discorso storico del Giambullari e della sua chiara intenzione di ritrovare le radici dell’Europa moderna nell’elemento germanico. Al pari degli altri autori di area tedesca già incontrati, anche l’Irenicus si propone, attraverso i suoi Exegeos, di far luce sulla storia tedesca e di celebrare la centralità della Germania nella realtà europea. Le sue intenzioni, già esplicitate nella lettera noncupatoria, indirizzata dall’autore a Ludovico langravio del Palatinato e a Federico duca di Sassonia583 sono rese ancora più manifeste dalla nazionalistica Oratio protreptica eiusdem in amorem Germaniae… posta alla fine degli Exegeos584. Inoltre l’orientamento filogermanico di quest’opera viene sottolineato, sia dalle parole di elogio che il norimberghese Willibald Pirchkeimer rivolge nei confronti del lavoro dell’Irenicus585, sia dalla riproposizione della Urbis Norimbergae descriptio di Konrad Celtis586. Dimostrata l’origine scandinava del popolo normanno, il Giambullari ne racconta lo stanziamento in Francia sotto la guida del conte Rollone e, dopo una fase di guerra con la corona francese, la pacificazione sancita dalla conversione al cristianesimo e dal riconoscimento del vincolo di vassallaggio ad essa, in cambio del possesso della Normandia. Il canonico laurenziano si ispira in proposito all’Historia Anglica di Polidoro Virgilio587. Umanista, originario di Urbino, chiamato alla corte d’Inghilterra, (dove rimane anche dopo l’emanazione dell’Atto di Supremazia) dal vescovo italiano di Hereford, presto apprezzato da Tommaso Moro e John Colet, Polidoro nella sua Historia Anglica dedicata ad Enrico VIII, esalta la stabilità politica garantita all’Inghilterra dalla dinastia Tudor, rispetto alla nefasta epoca dei conflitti di Lancaster e York588. La sua storia stampata nel 1534 a Basilea dal Bebel

582Lo schema si trova a p. XXId3, mentre per la germanicità di queste popolazioni vedi pp. XXd2-XXIId4. A p. XXd2, ad esempio l’Irenicus scrive: “Omnes illos pene fuisse Germanos…ut Saxones, Cimbros, Dacos.” Sulla tesi in questione e sulla sua ripresa da parte del Muenster e dell’Irenico vedi G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 57-58 e C. Vasoli, A proposito della Storia d’Europa, cit., p. 637. 583Ivi, Illustirissimis principibus, Ludovico sacratiss. Imperii electori antesignano, ac Foederico. Rheni Palatinis, Baviariaque ducibus ampliss. Franciscus Irenicus Ettelingia censis, Collegii divae Katherinae Heidelberg. Moderator foelicitatem optat, pp. z1-z5. 584Oratio protreptica eiusdem in amorem germaniae, cum excusatione praesentis operis, ad illustrissimi principi Palatini Electoris Cancellarium Florentium de Phenningen, utriusque censurae Doctorem, pp. CCXXIIq4-CCXXXr6. Sul cui significato nazionalistico, che porta l’Irenico a smarrire ogni barlume di senso critico, rinviamo a J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., in particolare p. 106. 585Ivi, Bilibaldus Pirckheimer Francisco Irenico S. D., p. z5 infatti leggiamo: “Quoque Germaniam tuam et quidem auctam in lucem prodire scribis, laudo. Quis enim non laudaret, cum priscorum germanorum facta illa praeclara, et quae hucusque tamquam sub oblivionis quadam caligine obruta delituere, celebrari videret. Quamvis enim Germania tot tacque fortissimas procreavit gentes, ac passim per terrarum orbem tacque colonias emiserit, non solum gloria militari ac rerum magnitudine reliquas superaverint nationes, et Roman ipsam quamvis rerum dominam subiugaverint ac ceperint, Romanum denique imperium virtute ac viribus sibi vendicaverint. Ut obiter alia magnifica preteream gesta. Neminem tamen hucusque sortita estque eam (ut par est) dignis extulisset praeconiis.[…]Proinde et si tua reprehensione non carebunt (nam ille te mendacii, alter erroris arguet, ille rerum seriem aliam cupiet, hic styli humilitatem contemnet) nemo tamen bonus laborem tantum ob patriae amorem susceptum non laudabit…”. 586Ivi, di seguito alla Oratio protreptica, senza numerazione di pagine. A proposito delle implicazioni nazionalistiche della celebrazione di Norimberga condotta dal Celtis cfr. J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., in particolare p. 104. 587Polydori Vergilii urbinatis anglicae historiae libri XXVI, Basileae, apud Io. Bebelium anno MDXXXIIII, d’ora in poi Anglicae historiae. 588Vedi la voce Polidoro Virgilio di Brian P. Copenhaver in Contemporaries of Erasmus, cit., III vol., 1987, pp. 397-399 e soprattutto sulle sue fonti, suo metodo e sulle sue posizioni storiografiche E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 345 e 347-349.

101

Page 102: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

è introdotta dal Grynaues con un brevissimo avviso ai lettori589 che precede la lettera noncupatoria del Virgilio al sovrano inglese590. Scrive abbastanza estesamente il Giambullari dall’Historia Anglica: “Rollone…se ne passò con lo esercito alla vicina parte di Francia…ed occupato quasi ogni cosa, da’l golfo di Sam Malò sino alla fiumara di Senna, da gli antichi già detta Sequana, su per la detta riviera se ne venne sino a Roano. A questa città fermatosi, accampò; e dimoratovi qualche tempo, non si movendo alcuno a soccorerla, finalmente la ottenne a patti. Insignoritosi dunque di così grossa e ricca città, non volle andare corseggiando più oltre per la marina; ma volse l’animo a farsi grande; e confidatosi di potere assai facilmente occupare il regno di Francia, rispetto alla grandissima commodità che a sì fatta impresa gli davano le tre navigabili fiumare, Senna, l’Era, e Garonna, mandò a casa per nuove genti. Le quali venute gagliardamente, inviò una grossa armata su per la Era ed uno esercito copioso per il paese circumvicino, e cominciò a scorrere il tutto, con uccisioni e prede grandissime, ardendo ed atterando senza rispetto tutto ciò che a suoi nimici potesse fare in qualunche modo o utile o comodo. Carlo, secondo il credere comune della maggior parte degli scrittori, per cognome chiamato Semplice, in questi tempi re della Francia, uomo piuttosto da chiamare benigno e rimesso, che armigero ed animoso, mandando imbasciadori a Rollone, gli chiese tregua per tre mesi, ed ottennela agevolmente, per avere bisogno il Normanno di riposare alquanto lo esercito e di rinfrescarlo di nuove genti. Ma non prima ella venne ella a fine, che Rollone, uscito in campagna, assediò la città di Parigie combattella gagliardamente; ed arebbela forse ottenuta, se non che i cittadini, avvisati del soccorso che veniva in aiuto loro con il duca Riccardo di Borgogna ed Ebalo conte di Poittiers, uscendo alle spalle a’ Normanni,

“Hinc igitur Rollo…in Galliam transmisit, in eaque primo Celticae partem populando occupavit, quae ad littus Oceani Gallici, citra Sequanam flumen, pertinet: deinde cactus Sequanae commoditatem, Rothomagum usque civitatem adverso flumine pervenit, urbemque oppugnare aggressus est, quam cives ad estremum cum auxilia frustra diu expectassent, sibi rebusque suis timentes, ultro tradiderunt.[…]Potitus ea urbe Rollo, ad finitima loca occupanda, animum intendit, ratus huic rei maturandae maxime conducere, quod tres flivij navigabiles, Sequana, Ligeris, et Garumna, sibi usui esse possent. Itaque comparato quammaximo potuit exercitu, instructaque classe, pars per Ligerim amnem, pars itinere terrestri profecti, omnem Galliam praedabundi ingenti terrore ac caede complent. Rollo ad vexandos hoc pacto hostes maiore in dies singulos coacto numero ex finitimis, qui ad ipsum confugiebant, quoquoversum armatos dimittit. Omnes vici atque omnia aedificia quae quisque conspexerat, incendebantur, praedaque ex omnibus locis abigebatur, cum Carolus Galliae rex cognomento Simplex, vir certe integritate vitae, non item militaris disciplinae gloria praestans, ratus se posse ferum hostis aninum potius bonis monitis, quam armis mitigare, misit legatos a a Rollone trium mensium inducias petitum. Quae res quondam Daco ibidem peropportuna erat, quippe qui militem suum a tantis laboribus reficere cupiebat, neutiquam negata. Itaque datae sunt in tris menses induciae Gallo, quae statim ut exierunt, Rollo copijs in aciem eductis, Carnutes armis invadit, ad eorumque oppidum oppugnandum aggreditur: quod ubi obsidione cinxit, Ricardus Burgundionum (ij quondam Sequani appellati sunt) dux cum magna militum manu, obsessis ausilio venit, ilicoque

589Anglicae historiae, ivi Simon Grynaeus lectori, dove leggiamo: “Anglia Bistondo semper gens inclita Marte quanta, quibusque, animis nongentos mille per annos gesserit, imperium firmans adamante revincto, Intulerit quoties vicinis gentibus arma, seu procul eiecit populantem finibus hostem, Seu domuit saevos immania colla Tyrannos, Maxima Magnanimum Polydorus facta virorum praeclare latia primis carit omnia bucca.” 590Ivi, pp. 2a2-3a2, Ad invictissimum Angliae, Franciae, Hyberniaeque Regem, fidei defensorem, Henrycum, nominis eius octavuum, Polydori Vergilij Urbinatis in Anglicam Historiam suam praefatio, mense Augusto MDXXXIII. Lettera in cui si pone in evidenza la funzione esternatrice della storia.

102

Page 103: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

che si erano volti a nuovi nimici, non lo avessino rotto e scacciato con grave danno della sua gente. Rollone esasperato di questa rotta, cime prima potette accorre le forze, comandò a tutti i soldati, che non perdonassero né ad età né a sesso, né a luoghi sacri o profani; ma amazzasino ogni uno, predassero il tutto, ed abrucciassero e distruggessero ciò che venisse loro a le mani. La qual cosa eseguendo coloro, e molto più che e’ non aveva detto, e rovinando e spianando il tutto, Carlo, stimolato da’ suoi baroni ad opporsi a tanto esterminio, non confidandosi di potere ostare con la forza, cercò nuovamente accordo con i vittoriosi nimici suoi. E convenutosi finalmente che Rollone si facesse Cristiano, e togliendo per moglie Gilla figliuola di esso Carlo, avesse per dota la Brettagna e la Normandia, con obligo d’un piccolo censo da pagarsi ogni anno in futuro alla Corona di Francia in cognizione e testimonianza del dominio ottenuto non per arme ma per amore; fermò la pace e la parentela. Battezzatosi dunque Rollone, e chiamandosi da indi innanzi Ruberto, per i conte Ruberto di Poitiers che lo aveva tenuto a battesimo, mutando nome al paese ancora, chiamò Normandia tutto quello che si chiamava prima Neustria. Scrivono però alcuni altri, e con essi Polidoro Vergilio, che la moglie di Rollone non fu Gilla di Carlo il Semplice, ma Ope figliuola di Beringhiero conte di Beauvoi; la quale gli partorì Guglielmo…e che Gilla predetta non fu la figliola di Carlo, ma di Lottario, e moglie non di Rollone, ma di quello Gottifredo…”591

hostes adoritur. Qua re ab oppidanis cognita, collectis animorum viribus, omnes praecedente loco signiferi, antistite…in hostes erumpunt. Non sustinuit irrumpentium impetum Dacus, qui non sine magna suorum strage, in fugam versus, ad locum haud procul confugit, ibique ira et furore accensus, suos quamcelerrime potuit, ex dissipato cursu coegit, ac mox in omnes pars erumpens militibus imperavit, caedam atque populationes in hostes facerent. Illi partem spe praedae, partim odio exagitati, rapendo, caedendoque truculentissime in miseros Gallos saeviebant, neque aetati, neque sexui parcentes, quin deorum templa, privatasque domos crudelissime inflammarent. Hoc pacto barbari divinaque foedabant. Contra interim Franci regem suum vituperabant, quod tardus et iners esset, atque vim repellendam minime omnium curaret: cum ipse Carolus qui longe magis Dei optimi maximi ausilio, quam armis confidabant, quippe videbat plus nimio hostium vires invaluisse, quam ut tuto ijs resistere possit, legatos iterum ad Rollonem misit[…]Quare abito mature concilio, Carolus demum Rollone congressus ei filiam locavit, simulque dedit filie dotis nomine, eam Celticae partem, quae id temporis Neustria fuit, ad citerioremque Britanniam pertinebat. Rollo receptam Normandiam dixit…[…]Rollo[…]a Francione episcopo Rothomagensium sit baptismatis lavacro admotus, ac Robertus appelatus, a Roberto Pictonum comite, quem recepti ab se sacri testem adhibuerat. Sunt qui scribant Normanos iussos esse annum vectigal pendere Francorum regibus, ut Neustriae dominis, ne terra bello quaesita crederetur, sed Caroli concessu adepta.[…]Quare tradunt Rollonem se cum suis Normanis iunxisse, ac sedes eo loci firmasse, Carolo Simplice Francis imperante: at neque Aegidiam filiam Simplicis fuisse, sed Lotharij regis, quam ipse Crassus Gotthofredo Normannorum regi collocavit. Quae nempe res erronem praebuit, ut scriptores illi auspicati sint eam nupsisse Rolloni, quem palam est duxisse matrimonium Opem Berengarij Bellovacorumque comitis filiam.[…]Rollonem Gulielmus filius ex Ope genitus secutus est…”592

591Storia, cit., passo alle pp. 36-37. 592Anglicae historiae, cit., passi riportati alle pp. 98i2-100i3.

103

Page 104: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Meritano appena di essere sottolineate le modalità di ingresso di un nuovo popolo dentro la vicenda europea, a conferma delle precedenti considerazioni, ancora una volta costituite dall’incontro tra elemento germanico e adesione al cristianesimo. Maggiore attenzione invece va dedicata all’identità di Gottifredo e Rollone, respinta dal Polidoro. In proposito il canonico laurenziano apre una parentesi in cui presenta fonti favorevoli e contrarie. Al di là dell’esito della questione, su cui il Giambullari non prende nettamente posizione lasciando libero giudizio al lettore “perché in tanta diversità di scrittori male si può discernere il vero”593, è interessante ricordare le fonti menzionate. Favorevoli a quest’identità il Volterrano già da noi incontrato, e due nuove fonti della Storia: il francese Robert Gaguin e Collenuccio da Pesaro. Gaguin, uno dei primi umanisti francesi, scrive un Compendium de …gestis francorum594 a supporto dell’origine troiana della monarchia francese, secondo la mitica discendenza dei Galli da Noè, per legittimare la vocazione universale della sua missione politica e spirituale595. La formazione di un nazionalismo culturale non privo di crescenti implicazioni politiche per quanto circoscritto alle èlite intelletuali ed ai ceti dirigenti costituisce del resto un dato comune alle grandi monarchie occidentali596. La consapevolezza che Giambullari dimostra in questo senso, è un’ulteriore indizio della rilevanza attribuita nella Storia ai motivi ed alle suggestioni dei nascenti particolarismi politici. L’altro autore ricordato il Collennuccio, già citato nel Gello, impegnato come ambasciatore del duca di Ferrara, compone un Compendio de le istorie del regno di Napoli di tendenza filoghibellina. L’umanista pesarese, infatti, idealizza la figura di Federico II e pone in cattiva luce gli Angioini e l’ingerenza temporale della chiesa romana nella storia napoletana.Collenuccio, del resto, ha un contatto diretto con il mondo tedesco quando viene inviato dal duca di Ferrara in missione diplomatica presso l’imperatore Massimiliano I nel 1500 e nel suo compendio si serve anche di diverse fonti tedesche del Medio Evo oltre alle fonti classiche597. Tra le fonti citate che negano l’identità tra Rollone e Gottifredo, oltre ai già incontrati Reginone e Uspergense, il Giambullari menziona anche Ottone vescovo di Frisinga indicato come “Frisigense”, vissuto nel XII° secolo. Ottone inizia una storia che narra le gesta di Federico Barbarossa, completata dopo la sua morte (1158) dal Rahewin598. Anche Ottone rientra nel novero degli autori medievali recuperati dall’umanesimo tedesco secondo l’istanza nazionalista e antiromana. È del resto un convinto assertore della Translatio imperii nel mondo tedesco attraverso Carlo Magno, e parteggia chiaramente per il Barbarossa nei continui dissidii che sorgono con i pontefici romani. Conferma indiretta in proposito appare anche l’edizione dello scritto ottoniano curata nel 1515 dal Celtis599. Soprattutto, però è interessante rilevare l’esclusione di una fonte indicata invece nel codice autografo dove il Giambullari, a proposito di una ipotetica retrodatazione della pace conclusa da Rollone all’880, scrive:

593Storia, cit., passo a p. 38. 594Compendium Roberti Ganguini supra Francorum gestis, impressit…Thilmannus Kerver in inclito Parisiorum gymnasio, 1507, in cui a proposito di Gilla leggiamo in Fo. LXXIII1: “Rollo Gillam caroli filiam uxorem recipit et in dotem neustriam.” 595Sulla storiografia del Gaguin cfr. The New Cambridge Medieval History, cit., vol. VII, c.1415-1500, edited by Cristopher Allamand, 2000, p. 427, vedi inoltre E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 321, 332, 346. 596R. Romeo, Idea e coscienza di nazione, cit., pp. 16-17. 597Su Pandolfo Collenuccio oltre alla relativa voce su DBI, rinviamo a E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 155-157 e 342. 598Su Ottone vedi U. Chevalier, Répertoire des sources historiques, cit., II vol., pp. 3459-3460. 599Sulla storiografia ottoniana vedi J. D’Amico, Hutten and Renanus, cit., in particolare pp. 6-7; cfr. anche G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 32-33 e 41.

104

Page 105: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“che ella fussi con Carlo Grasso, imperatore e re della Francia, come recita il Vilfelingio, nella sua brevissima epitome; et conseguentemente qualche anno prima: questo brevemente ho voluto notare non per biasimo degli scrittori: ma per mostrare il vero della cosa, con la testimonianza del tempo, e di questi autori germani, venuti in luce, non è molti anni.”600 Si tratta di Jacob Wimpheling autore dell’Epitome Germanorum…601 contenuta proprio in quella silloge basileese edita nel 1532 che comprende tanti autori di area tedesca o comunque di propensione filo-imperiale a cui evidentemente si riferisce l’indicazione complessiva sulle fonti germaniche formulata dal canonico laurenziano nell’autografo. Dunque passaggio che costituisce una traccia significativa, per quanto soppressa nel testo a stampa, sia dell’utilizzazione non superficiale né una tantum di questa raccolta ben presente nel prosieguo della Storia, sia dell’attendibilità dal Giambullari attribuita alla storiografia tedesca. Inoltre, questa citazione, documenta che tra le letture del Giambullari va annoverata anche l’Epitome del Wimpheling. Altro autore impegnato ad esaltare la germanicità imperiale in una duplice chiave, appunto universale-imperiale e localistico-nazionale. Fin dalla lettera noncupatoria dell’epitome l’umanista alsaziano rivendica la germanicità di Strasburgo, fondandosi sugli stessi autori latini. Le puntate antiromane e il rifiuto di ogni attribuzione a Strasburgo di matrici storico-culturali galliche si inscrivono pienamente all’interno delle coordinate prevalenti (e che approfondiremo nel caso del Renano) dell’umanesimo tedesco602. Risolte temporaneamente le questioni francesi, il Giambullari rivolge la sua attenzione sull’altra regno nato dalla scissione dell’impero: l’Italia. Fa il suo ingresso nella Storia d’Europa Liutprando da Cremona vissuto nel X secolo. Testimone diretto degli avvenimenti che racconta nelle sue opere storiche, Liutprando, dopo un primo periodo come segretario alla 600Magliab., Cod. 111, cit., passo a p. 16. 601Epitome germanorum, opera Iacobi Vumphelingii selestadiensis et quorum contexta, ac nuper per eruditum quondam recognita, in Vuitichindi Saxonis Rerum, cit., pp. 315-380. 602Ivi, a p. 315-316d2 Iacobus Vuimphelingius Thomae Vuolphio Iuniori, pontificììs iuris interpreti, summo amico, in data VIII, Kalend. Octobris, MDII in cui l’autore che riprende e porta a termine l’opera iniziata da Sebastianum Murrhonem morto prima del suo compimento, indica a chiare lettere il suo intento celebrativo nei confronti dell’elemento imperiale germanico di cui Strasburgo, pur stando nella parte gallica, rientra a pieno titolo “sed etiam ut omnes Germani in hac epitome antiquitates Germaniae videant, vitam nostratium imperatorum legant, Germanorumque laudes, ingenium, bella, triumphos, artium, inventionem, nobilitatem, fidem, constantiam, et veracitatem ediscant: atque ut his brevibus ansam praebeamus studiosae posteritati, quo maiora indies studeant adijcere, et amplioribus rerum incrementis Germanorum laudes cumulare. Verum a Germanicis laudibus Argentinam unde tibi: et Selestadium, unde mihi origo est, caeterasque civitates ex hoc Rheni littore Galliam versus sitas, nolumus exclusum iri, quoniam eas ab Octaviani aetate, Svetonio teste, Germani inhabitarunt: unde et Germaniae nomen meruere. Et Plinius et Cornelius Tacitus…inter Germaniae fines illas dinumerant. Ecclesian quoque Romana, inter Germaniae metropoles Maguntinam, Treverensem, et Agrippinam collocavit. Quumque summus pontifex legatos a latere ad Germaniam mittit, in his patriae quoque nostrae civitatibus munus legationis suae illi exercerent: quod nisi Germaniae pars essent, quas legati ad Germaniam missi dispensationes, indulgentias ac beneficiorumque provisiones in eis administrant, irritae viderentur et inanes: nam et ad Galliam alij a nostris mittintur legati, qui in nostris civitatibus partes suas nequaquam explent. Adde quod ipse Carolus Burgundiae dux, Maximiliani regis socer, ad principes electores perscripsit, sese et Germanum esse et dici velle: cuius tamen terrae in hoc Rheni littore sitae fuerunt, imo ipsarum civitatum et pagorum antiquissima nomina Germanicum sonant, et minime Gallicum. Et si vel Caroli magni, aut filiorum nepotumque quorum aetate, hicumquam Galli habitavissent, versatum fuisset et hic proculdubio Gallicum idioma. At ubi nam inveniuntur ulla Gallicae lingua vestigia? Ubi libri Gallici? Ubi monumenta? Ubi epistolae? Ubi epitaphia? Ubi literae contractuum rerum urbanatum et civilium aut seudorum, sicut a septingentis et octingentis annis Latinae et Germanicae lingua apud nos monumenta reperiunt. Nec mihi persuaderi potest optimos Svevie duces, qui cathedralem apud Spiras ecclesiam quique coenobium divae Fidis in patria mea Selestadio fundarunt et locupletaverunt, magnificas illas impensas, paternamque substantiam in Galliam traducere, ac inter Gallos profundere voluisse. Glorietur ergo ille mendicus blattero, qui nostram Germaniam atque famam discerpit, se et suum patrem a Gallis descendisse. Nos mi charissime Thoma gloriabimur a maioribus nostris Germanis procesisse… ”. Sul significativo per quanto embrionale valore nazionale dell’Epitome di Wimpheling cfr. P. Merlin, La forza e la fede, cit., p. 65.

105

Page 106: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

corte di Berengario II, si trasferisce in pianta stabile alla corte di Ottone I di cui resta al servizio con il ruolo di consigliere e ambasciatore anche dopo il conferimento nel 962 del vescovato di Cremona.603. Costante nella Storia, specialmente in relazione alle vicende italiane sarà il ricorso all’Antopodosis604. La rilevanza dell’Antopodosis per il Giambullari, del resto viene posta in rilievo dal Kirner anche in relazione al progetto originario della Storia che doveva ricoprire lo stesso arco storico affrontato da Liutprando. L’Antopodosis del resto, sottolinea ancora il Kirner, è una storia d’Europa ma pone al suo centro l’Italia, mentre il Giambullari sceglie la Germania come perno della sua opera605. D’altra parte, Liutprando scrive le sue opere storiche quale devoto servitore della casa di Sassonia, dunque secondo una prospettiva vicina a quella propugnata dal canonico laurenziano. In particolare la genesi dell’Antopodosis si lega all’estromissione di Liutprando dalla corte di Berengario II al ritorno dalla missione a Bisanzio nel 950. Infatti, come rivela lo stesso titolo dell’opera, Liutprando intende restituire il male ingiustamente ricevuto da Berengario, senza dimenticare peraltro lo stimolo a comporre un’opera su imperatori e re di tutta Europa derminato da un suo incontro a Francoforte col vescovo spagnolo ambasciatore del califfo di Cordoba nel 956. La preponderanza del motivo polemico, comunque, è confermata anche dalla conclusione dell’Antopodosis che viene volutamente troncata dall’autore per alludere all’interruziona del suo ruolo politico presso Berengario II606. La storia, pertanto, negli scritti di Liutprando, diviene racconto della memoria ed assume una dimensione contemporanea che sfocia spesso nell’autobiografico. Significativo in questo senso è anche l’abbandono della schema annalistico e del modello di una storia universale applicati invece da Reginone, inscrivibile nella nuova tendenza di sviluppo dell’aspetto letterario e memorialistico della narrazione storica del X secolo. Il consapevole venir meno di ogni pretesa di oggettività si traduce nelle pagine di Liutprando in una crudezza sconosciuta alla storiografia carolingia. Elemento che comunque non inficia la presenza di una concezione complessiva della storia dominata e regolata dalla violenza, dall’astuzia e dalla smania di potere nei rapporti personali e politici piuttosto che dalla nobiltà dello spirito e delle grandi gesta umane o dall’ispirazione e dalla guida divina. La concezione della storia di Liutprando è sostanzialmente antiepica e la sua scrittura costituisce una sorta di presa di coscienza dell’irrazionalità del divenire storico607. Lo vediamo proprio nella questione che provoca i contrasti e le difficoltà della situazione italiana: la successione al trono francese. Infatti, in seguito alla divisione dei regni, mentre Arnolfo combatte in Moravia, Guido di Spoleto e Berengario I, si accordano per salire il primo sul trono francese, il secondo su quello italiano. Guido ha la possibilità di arrivare al trono di Francia grazie alla minore età, sette anni, di Carlo il Semplice, figlio di Carlo il Calvo

603Su Liutprando da Cremona e sulla sua opera storica complessiva rinviamo a Liutprando da Cremona, Italia e Bisanzio alle soglie dell’anno mille, a cura di Massimo Oldoni e Pierangelo Ariatta, Novara, Europia, 1987, in particolre cfr. l’Introduzione critica di Massimo Oldoni, pp. 7-35 e a Tutte le opere (la restituzione, le gesta di Ottone I, La relazione di un’ambasceria a Costantinopoli 891-969) di Liutprando da Cremona, a cura di Alessandro Cutolo, Milano, Bompiani, 1945 vedi in special modo l’introduzione del curatore, pp. 7-43 e id., Introduzione a Tre cronache medievali. Vite di Carlo Magno, Berengario II, Federico Barbarossa (742-1168), Milano, Bompiani, 1943, pp. 9-29, in particolare pp. 16-24; inoltre cfr. anche Repertorium fontium historiae medii aevi, primum ab Augusto Potthast digestum nunc cura collegii historicorum e pluribus nationibus emendatum et auctum, Romae, MCMXCVII, apud Instituto storico italiano per il Medio Evo, in particolare vol. VII, pp. 306-309. 604In proposito rinviamo a G. Costa, Le antichità germaniche, cit., p. 56 e soprattutto a G. Kirner, Sulla storia d’Europa, cit., pp. 8-9 e 13-18. 605G. Kirner, Sulla storia d’Europa, cit., in particolare p. 14. 606Sui motivi di composizione dell’Antopodosis e in particolare sulla forza dell’intento polemico dell’autore vedi in Liutprando da Cremona, cit., nell’Introduzione, cit., pp. 9-13 e 16-27; cfr. inoltre Tutte le opere, cit., nell’introduzione, cit., pp. 9-11. 607Vedi New Cambridge Medieval History, cit., vol. III, pp.206-207, inoltre cfr. anche Letteratura latina e medievale, cit., pp. 167-169.

106

Page 107: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

e legittimo re francese608. Tuttavia, i nobili francesi assegnano il trono d’oltralpe al reggente del regno: il conte Oddone. La motivazione ufficiale di questa decisione viene indicata nella minaccia normanna ma il Giambullari propone anche una motivazione alternativa ricavata da Liutprando. Dalla sua Antopodosis, del resto, letta nell’edizione basileese del 1532 stampata da Hervagius609 (quella in cui si trova anche l’Epitome di Wimpheling) il canonico laurenziano trae il racconto del tradimento consumato da Guido nei confronti di Berengario a cui decide di strappare militarmente la corona d’Italia appena ottenuta: “laonde i predetti duoi principi…convennero che Berengario occupasse il regno di Italia, e Guido…si coronasse di Francia…Partitosi dunque da Roma Guido, e condottosi già oltre a’ monti: scontrò gli oratori franzesi, che li parlarono in questa guisa: “La necessità…ha costretto i vostri Franzesi,[…]vedendo il pericolo sì da vicino, e la V. E. tanto lontana, giudicando che ogni minima dilazione grandemente potesse nuocere, elessero finalmente a cotanto grado il nobilissimo conte… Oddone.” […]610 Così dissero gli ambasciatori. Ma Liutprando da Pavia, assegnando un’altra cagione del non essere stato accettato Guido al regno di Francia, dice che essendo egli già vicino alla città di Metz città della Lotteringhia, e mandando avanti il suo vivandiere a provvedere il vitto reale, e ordinandogli il Vescovo della città assai numero di vivande, come costumano sempre i Francesi, colui che molto più pensava forse a se stesso che al suo signore disse al vescovo “se mi è donato pure un cavallo, io farò che il re Guido starà contento alla terza parte di questa roba.” Il vescovo udita questa proposta e turbatosene gravemente, disse, non esser cosa da sopportarsi che e’ fusse mai re di Francia chi si contentava d’una vil cena di dieci scudi. Il che tra gli altri signori divulgatosi, disprezzando essi il continente vivere di Guido, si gittarono tutti a Oddone, e lo coronarono, come è detto. Guido, trovandosi in un tempo medesimo escluso di duoi reami, cioè dello Italico, già lasciato al re

“Vuido…Roma profectus est, et absque Francorum consilio totius Franciae unctionem suscepit imperij. Franci itaque Odonem, quoniam Vuido aberat, regem constituunt. Berengarius vero Vuidonis consilio, queadmodum ei iure iurando promiserat, Italici regni suscepit imperium. Vuido aut Franciam petit. Quumque Burgundionum regna transiens, Franciam quam Romanam dicunt ingredi vellet, Francorum nuncij ei occurunt, se redire nunciantes, eoque longa expectatione fatigati, dum sine rege esse diutius non possent, Odonem cunctis petentibus elegerunt. Fertur aut hac occasione Francos Vuidonem regem sibi non assumpsisse. Nam dum ad Metensem venturus esset urbem, quae potentissima in regno Lotharij claret, praemisit dapiferum suum qui alimenta illi more regio praepararet. Metensis vero episcopus, dum cibaria ei multa secundum Francorum consuetudinem ministraret, huiusmodi responsa a dapifero suscepit. Si equum saltem mihi dederis, faciam ut tertia obsonij huius parte sit rex Vuido contentus. Quod episcopus audiens: Non decet, inquit, talem super nos regnate regem, qui decem drachmis vile sibi obsonius praeparat. Sicque factum est, ut Vuidonem desererent, Odonem autem eligerent. Francorum igitur legationibus non parum rex Vuido perturbatus, nonnullis coepit cogitationibus aestuare, tam ex Italico regno Berengario iure iurando promisso, quam ex Francorum, praesertim quod penitus illud se non posse

608Storia d’Europa, cit., p. 40 in cui leggiamo a testimonianza della volontà dell’autore di evidenziare la decadenza carolingia, la ripetizione di fatti già menzionati in una valutazione più complessiva e negativa : “Successe ancora la coronazione e deposizione di Carlo il Grasso nella Germania, e la sublimazione di Arnolfo da noi detta su nel principio. Le quali cose indebolirono tanto lo Imperio, che la Francia appartatasi in tutto da la Germania, si restò sotto Oddone tutore del pupillo con que’ travagli che ni diremo, e la Italia rimase sciolta, senza freno o governo alcuno.” 609Liuthprandi Ticinensis ecclesiae levitae, rerum ab Europae Imperatoribus ac regibus gestarum, historiae in Vuitichindi saxonis, cit., pp. 218t1-314d1. 610Il discorso degli ambasciatori francesi in risposta alle pretese avanzate da Guido al trono di Francia è fittiziamente introdotto dal Giambullari.

107

Page 108: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Berengario, e del Francese, che se n’aveva creato un altro, dop un lungo contrasto tra sé medesimo, si risolvette pur finalmente a voler più tosto mancar di fè, che di regno; e non potendo sforzar la Francia, dove non aveva gente da guerra nè giusto titolo da insegnorirsene non essendo de’l sangue regio, se ne tornò a giornate grandi, e più segreto che fu possibile, a lo antico ducato suo. Quivi, con somma prestezza, posto insieme uno esercito de’ suoi Spoletini e Camerinensi, e degli altri che sotto speranza di guadagnare si arrecarono a suo servizio, uscì gagliardo in su la campagna a la volta di Berengario; il quale con quelle genti che aver potette in tumulto sì repentino, venutoli incontro su’l fiume Trebbia, cinque miglia presso a Piacenza, fu a giornata con esso lui. La battaglia fu sanguinosa, e da l’una e da l’altra parte morirono molti; ma pur Guido restò vincente. Berengario, non avendo per questo perduto lo animo, rifatto subitamente esercito nuovo, ancora che di gente assai manco pratico che la prima, ne’ larghissimi campi di Brescia ritornò fra non molti giorni a battaglia contro di Guido. Ma per la contraria fortuna sua,…fu …rotto e cacciato…Laonde…ritiratosi in luogo salvo, mandò per soccorso nella Germania a’l potentissimo re Arnolfo… ”611

sciverat adipisci. Inter utraque autem aestimationem quoniam Francorum rex esse nequibat, frangere quod Berengario fecerat iusiurandum deliberat: collectoque prout potuit exercitu, traxerat sane et a Francis quandam affinitatis lineam. Italiam que concite ingressus, Camerinos et Spoletinos fiducialiter ut propinquos adijt. Berengarij etiam partibus faventes, ut infidos pecuniarium gratia acquirit: itaque Berengario bellum parat. Copijs denique utraque ex parte collectis, iuxta flumine Terviam, qui quinque a Placentia miliarijs distat, civile bellum parant, in quo quum partibus ex utrisque caderent multi, Berengarius fugam petijt tiumphum Vuido obtinuit. Nec mora, diebus paucis interpositis, collecta Berengarius multitudine, in Brixiae latissimos campos Vuidoni bellum parat: ubi quum maxima strages fieret, fuga sese Berengarius liberavit. Berengarius Arnulfum in auxilium pollicitationibus pellicit in Guidonem, qui quum alteram fluvij ripam teneret...”612

A causa dei rovesci militari subiti da Guido, Berengario è costretto chiedere aiuto ad Arnolfo. Anche in questo frangente, Giambullari fa pronunciare agli ambasciatori del re d’Italia un discorso fittizio. Elemento che indica l’importanza del momento in questione. Infatti, a più riprese viene posta in risalto l’esigenza di uno stretto rapporto tra Italia e Impero, con la funzionale e netta subalternità della penisola all’autorità cesarea germanica, secondo la translatio imperii realizzata da Carlo Magno: “Così nacque il regno di Italia, così lo fondò Carlo Magno, non per emolo mai dello Imperio, né per grado che avesse a nuocerli; ma solo perché la Maestà Imperiale, dovunche ella si ritrovasse, avesse in quella provincia un luogo tenente potentissimo, un ministro fidatissimo ed uno esecutore paratissimo in tutte le cose che occorressimo, per servizio, comodo o utile della sacra santa corona Augusta.”613 Anzi, proprio a rafforzare l’imprescindibilità di questo connubio, Guido viene accusato di ambire alla corona augustea. Colpire l’Italia, significa dunque minare l’assetto imperiale stesso nella sua più intima essenza e solidità: “Per questo, per questo solo, invittissimo Cesare, si trova ora l’Italia in tumulto; per questo conturba Guido la sua santa pace, sollieva i popoli, assalta le terre, e le campagne tinge di 611Storia, cit., passi riportati alle pp. 40-43. 612Liuthprandi, cit., passo alle pp. 226t5-227t6. 613Storia, cit., passo a p. 44.

108

Page 109: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

sangue: per questo, co’l ferro e co’l fuoco perseguita egli il fidelissimo Berengario. Il quale da così fiero nimico assalito improvvisamente, se bene ha due volte ceduto allo impeto, e sottratto sé dalla forza, non ricorre però ad altri, né ad altri dimanda aiuto, che a voi solo, Cesare invitto.”614 Passaggi dunque che se letti in filigrana esprimono chiaramente la line afiloasburgica del Giambullari, indirettamente rafforzata anche dal profilo geografico della penisola italiana tracciato, dopo aver dato notizia, sulla falsariga di Liutprando, della decisione di Arnolfo di intervenire inviando in Italia il figlio Suembaldo: “…Arnolfo[…]mandò alla volta d’Italia un suo figliuolo naturale, che per averlo tenuto a battesimo lo scacciato re de’ Moravi, si chiamava egli ancora Suembaldo, e con lui una grossa massa di esercito, che si condusse fino a Pavia.”615

“Huius plane tantae promissionis gratia accitus rex Arnulfus filium suum Zuventebaldum quem ex concubina genuerat, valido cum exercitu, huius in auxilium dirigit, veneruntque pariter omni sub densitate Papiam. ”616

In proposito Giambullari ricorre all’Italia illustrata617 dell’umanista forlivese Flavio Biondo618, utilizzandola però in modo limitato. L’umanista forlivese, del resto, considera il MedioEvo (che va dal sacco di Roma compiuto dai Vandali nel 410 d. C., al 1410) un millennio di completo dissolvimento politico-culturale e respinge decisamente l’idea della translatio imperii in Germania, e non crede alla sua sopravvivenza moderna. Il suo tentativo di recuperare una sorta di ideale continuità storico-culturale tra la rinascita politico-culturale prodotta dall’Umanesimo italiano e la grandezza imperiale rispetto alla terribile cesura rappresentata dal Medioevo, in appoggio alla politica perseguita dal pontefice Eugenio IV, non può certamente trovare d’accordo il Giambullari. Peraltro, nonostante le sue posizioni generali, il Biondo con la sua celebrazione italica influenza profondamente molti umanisti tedeschi come il Celtis che, per la sua Germania illustrata, ne ricava molte suggestioni pur sviluppandole evidentemente in tutt’altra direzione619. Giambullari dunque ne accoglie solo le notazioni geografiche e la celebrazione del glorioso passato italico ma secondo una prospettiva sostanzialmente capovolta, in quanto privata di ogni speranza o velleità di risurrezione politica attinente all’età presente, ventilata invece dal Biondo. Infatti, il canonico laurenziano, proposte alcune notazioni geografiche: “Giace dunque la Italia, come una foglia quasi di quercia, tra il levante della vernata e il mezzo giorno; e da tre bande cinta dal mare, Adriatico, Ionio, e il Tirreno, confina solo…a tramontana con la Germania,

“Unde Italia…duerno folio adsimilis mari genuino maxima parte cingitur: quod ab oriente Adriatico…et a meridie occasuque Tyrrheno…abluitur, qua vero in septentrionem vergit, montes altissimi alpes

614Ivi, passo a p. 45. 615Ibidem. 616Liuthprandi, cit., passo a p. 227t6. 617Blandii Flavii forliviensis de Roma Triumphante libri X, Romae instauratae libri III, Italia illustrata, Historiarum ab inclinato Romanorum imperio Deca III, Basileae 1531. 618Sul quale rinviamo preliminarmente alla voce Biondo Flavio, di R. Fubini, in DBI, vol. X, Roma, 1968, pp. 536-559. 619Sulla storiografia di Flavio Biondo si rinvia a E. Cochrane, Historans and Historiography, cit., pp. 36-40, cfr. inoltre G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 19-31 e p. 44; inoltre sul sostegno fornito dal Biondo alla politica di Eugenio IV cfr. anche E. Marino, Eugenio IV e la storiografia di Flavio Biondo, in “Memorie Domenicane”, 1973 (IV), pp. 241-287, in particolare vedi pp. 252-270 e sull’influenza esercitata in seno all’umanesimo tedesco e su Konrad Celtis vedi J. Ridè, Un grand projet patriotique, cit., cfr. in particolare pp. 101 e 105-109.

109

Page 110: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

mediante però le montagne altissime ed aspre, che (secondo che pone il Biondo) francescamente si chiamano Alpi. La sua lunghezza maggiore da’l Varo fiumara della Provenza, insino a Reggio di Calabria, secondo i moderni scrittori, è novecentoventicinque miglia; ancorché il Biondo e il Volterrano, seguendo in ciò gli autori antichi, la ponghino da Saluzzo ad Otranto, passando però da Capua, quasi cento miglia più lunga. E la larghezza dove è più ampia, cioè da’l predetto fiume Varo sino alla riva dell’Arsia, modernamente chiamata Limino, che a levante la divide da gli Schiavoni, andando per le radici sempre delle Alpi, è cinquecento e settanta miglia; se bene in tutto il restante non arriva mai a dugento; ma il giro, o vogliamo dire circuito o accerchiamento dei liti suoi, trapassa di poca cosa dumila cinquecento e cinquanta miglia. Dividela per lo lungo tutta il continovato monte Apenino, il quale, come la spina quasi ne’ pesci, partendosi da’l capo di quella vicino a Nizza e a’l fiume Varo in su ‘l mare di sotto, se ne va dirittamente quasi in Ancona, come se e’ volesse passare nel mare Adriatico. Ma non però si conduce a quello; anzi rivoltandosi quindi, e ritirandosi verso il mezzo, se ne va insino a’l Faro di Messina…”620

lingua Gallica a celsitudine dicti…Longitudo eius ab alpino sinu praetoriae Augustae ad Hydruntum decies centena viginti milia extenditur: latitudoubi est amplior a Varo ad Arsiam quingenta, et quadraginta: et circa urbem Romam ab ostijs Aterni nunc piscariae in hadriaticum defluentis, ad tiberina ostia centum et vigintisex milia, totusque ambitus a Varo ad Arsiam tricies centena et insuper triginta octomilia complectitur. Habet Italia dorsum et seu in piscibus esse videmus a capite in infimam partem spine formam, Appeninum, qui mons ex alpibus qua ab infero mari recedunt oriundus, cum recto propemodum cursu Anconae urbi…appropinquavit, in mare superum ferri et ibi finiri videtur. Et tamen inde rursus ab eo mari recedens per mediam Italiam in brutios ac siculum fretum fertur.”621

riporta le lodi rivolte all’Italia nel I secolo dopo Cristo, cioè nella fase di massimo splendore imperiale della storia romana, da autori come Virgilio e Plinio “il vecchio”, registrate dal Biondo. Il canonico laurenziano rimarca in questo modo, quasi in implicita polemica con la grandezza romano-papale fuse idealmente nella prospettiva del Biondo, che pure il suo Gello ha trattato dell’origine della storia italiana: “Questa bella e ricca provincia, sì celebrata dagli scrittori e da Virgilio, e da Plinio massimamente, non ha bisogno delle mie lodi né ch’io racconti le doti sue …avendo già dimostrato l’antichissima origine sua nel mio Gello… ”622

“Italiam descrivere exarsi, Provinciarum orbis primariam a laudibus suis inciper debemus, quod quidem pro ampla parataque materia tam faciliter quam libenter fecissimus, ab eximio poeta Virgilio et post a Plinio Veronense.”623

D’altra parte, la menzione del Gello appare significativa, sia perchè a livello temporale indica che nella composizione della Storia ci troviamo oltre il 1546, sia in quanto sottolinea esplicitamente un diretto nesso storiografico istituito tra questa e il Gello.

620Storia, cit., passo alle pp. 46-47. 621Italia illustrata, cit., passo alle p. 293bb3. 622Storia, cit., passo a p. 47. 623Italia illustrata, cit., passo a p. 294bb3.

110

Page 111: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Il motivo della presente decadenza italiana si esplicita ulteriormente nel successivo passaggio che evidenzia il grande decremento urbano verificatosi rispetto al periodo imperiale, la cui floridezza anche urbana per contrasto viene documentata attraverso il giudizio di Eliano, autore del II secolo d. C.. Nonostante il Giambullari richiami esplicitamente il Biondo, sembra essersi basato a livello di collazione piuttosto ad un passo dei Commentarii624 del Volterrano: “Dirò ben solamente questo con Eliano, che e’ non fu mai regione alcuna sì frequentata di abitatori, per la fertilità de’l terreno, per l’abbandonza delle acque, per la comodità dei porti, per la mansuetudine degli uomini e per la benignità de gli ingegni, che di gran lunga non ceda a questa. Nella quale (secondo che’ dice) furono anticamente mille cento sessantasei città; se bene Iginio le pone settecento, e il Biondo afferma che nel suo tempo non passavano cento sessant’otto. Il che è verissimo indizio delle calamità che ella ha sostenuto: con ciò sia che, armando ella già per se sola, senza le genti di là da Po, in uno de’ tumulti Gallici, ottantamila cavalli e settecentomila pedoni, se la unissimo ora tutta insieme, non ne farebbe pur forse il terzo.[…] A’ Romani, che lungamente la dominarono, successero i Visegotti; a costoro gli Unni; a gli Unni gli Eruli; a gli Eruli gli Ostrogoti; a questi i Greci, ed a’ Greci i Re Longobardi, che la divisero in quattro ducee, Frigoli, Toscana, Spuleto e Benevento; non contando in esse Pavia, che era capo di tutto il regno. Abbattuti, anzi pur soggiogati questi ultimi dal vittoriosissimo Carlo Magno, si ridivise il dominio della male arrivata Italia tra i duoi imperj orientale e Occidentale…”625

“Aelianus quoque de varia istoria sic ait, Italiam multi incoluere, nec ulla magis terra frequentata, quod ob terrae foecunditatem, aquarum adfluentiam, maris commoditatem, portuum dispositionem, praeterea hominum mansuetudinem, civiumque humanitatem, caeteris regionibus antecellat. Fuereque antiquitus in ea civitates mille centum sexaginta sex: haec ille. Hyginus autem eas septingentas tantum fuisse scribit. Plinius adeo frequentem, ut nunciato Gallico tumultu, sola exteris aut transpadanis octuaginta equitum peditum vero septigenta milia armaverit.626[…]Ad recentiora veniam: cum subiugata a Romanis sociorum nomine degnata est[…]. Deinde variarum gentium barbari, Eruli, Hunni, Gothi, Avari, Longobardi, Saraceni, Pannonij irruere…Expulsis Gothis Exarchus regebat Italiam, postremo Longobardi rerum potiti, in quatuor ducatus eam divisere: Foroiulij, Hetruriae, Beneventi, Spoleti, Ticini, ubi etiam regia costituta, usque ad Carolm Magnum qui primum tempore res coepit resipiscere.”627

624Commentariorum urbanorum Raphaelis volaterrani, octo et triginta libri, accuratius quam antehac excusi, cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto. Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem latio donatus, Basileae, in officina frobeniana, Anno MDXXX. 625Storia, passo alle pp. 47-48. 626Passaggio molto simile quello del Giambullari a questo del Maffei in Commentariorum, cit., a p. 29e5 fino a questo punto, peraltro simile a quello del Biondo, anche se, il passo di quest’ultimo presenta un ordine inverso, e numeri sulle città complessive leggermente diversi rispetto a quelli presentati dal Volterrano, i quali coincidono perfettamente invece con quelli del Giambullari, che ha probabilmente seguito in modo prevalente il Maffei. Infatti, leggiamo nell’Italia illustrata, cit., a p. 294bb3: “Nunciato gallico tumultu solam sine auxilijs ex tenorum atque tunc sine ullis transpadanis, equitum triginta, peditum octaginta milia armasse. Nostra vero huius temporis Italia…non dubitamus quin difficile sit futurum si tertiam quis partem conatus fuerit ita armare…Quanta autem sit facta locorum mutatio hinc etiam apparet, quod Iginius de urbibus Italiane scripsit…Septingentas fuisse Italie civitates. Nos vero nunc Romanae ecclesiae stilum secuti facta per singulas regiones diligenti enumeratione sexaginta quatuor supra ducentas tantummodo inverimus…”. 627Ibidem.

111

Page 112: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Del resto, Il motivo della decadenza italiana, nonostante un’ottica prevalentemente romanocentrica per quanto assai critica verso la mondazzazione della chiesa moderna, è ben presente in tutta l’ opera storiografica del Volterrano.628 Pertanto la raffigurazione della situazione italiana conferma la posizione filoasburgica del Giambullari, come conferma inequivocabilmente il seguente periodo non privo di echi danteschi e direttamente allusivo all’Europa cinquecentesca: “La predetta divisione si mantenne poi lungamente, e sin quasi a’ tempi che noi scriviamo. Ne’ quali la bellissima Donna delle provincie, divenuta preda a cotanti barbari che successivamente ci hanno regnato, mercè della folle discordia de’ suoi figliuoli, sempre è giaciuta nelle miserie, e vi si giace fino a di’ nostri.”629 Risuonano appunto le parole pronunciate da Sordello da Goito sulla condizione italiana, nel sesto canto del Purgatorio630. Ulteriore non trascurabile traccia del ghibellinismo del Giambullari, visto il luogo dantesco scelto. In ognuna delle tre cantiche infatti, il sesto canto rappresenta il luogo deputato all’espressione delle concezioni politiche del poeta. Dante d’altra parte, come noto a tutti, attraverso l’invettiva dell’illustre mantovano, evidenzia lo stato di asservimento e corruzione che ha contaminato l’Italia, vittima delle lotte intestine e priva dell’ordine garantito dalla presenza e dalla forza dell’autorità imperiale631, in perfetta consonanza con le tesi sostenute fino a questo punto dal canonico laurenziano. Esaurito questo quadro storico-politico sulla penisola, il Giambullari ritorna allo scontro tra Berengario e Guido, a cui partecipa anche il figlio di Arnolfo che attraversa le Alpi. Tuttavia i combattimenti non hanno l’esito sperato e Suembaldo ripara al di là delle Alpi insieme a Berengario lasciando Guido padrone del campo, secondo quanto Giambullari riporta sulla scorta di Liutprando: “…il re Guido, e co’ pali ascosi nella acqua e con le genti in su la riviera, aveva munito in guisa il Tesino, che la forza non ci aveva luogo…essendo massimamente assai manco pericoloso lo intrattenersi, che lo arrischiarsi ad una giornata. Stettero adunque gli eserciti a riscontro l’uno dell’altro circa a tre settimane o meglio, senz amai venire alle mani, salvo piccole scaramucce. Con le quali tentandosi pure qualche volta, accadde che nu cavagliero bavaro de lo esercito di Suembaldo, assuefattosi a chiamare ogni giorno gli Italiani poltroni e dappochi nel maneggiare i cavalli da guerra, per non aver trovato chi sino a quivi gli rispondesse, si aveva preso molto più animo che le sue forze non comportavano: per il che presumendo

“Vuido vero ita fluviolum qui Papiam alluit, Verva( o verua) volum nomine, tam sudibusque exercitu munierat, quatenus altera alteram ipso medio discurrente, pars partem oppugnare nequiret. Unus et vicesimus dies transierat, quum sicut praediximus, altera pars alteri noceri non posset, et Baioariorum unus quotidie agminibus exprobans Italorum, imbelles eos, atque equitandi inscios clamabat. Ad augumentum etiam dedecoris inter eos prosilijt, hastamque uni ex manu excussit, sicque laetus in suorum castra repedavit. Hubaldus igit Bonifacij pater, qui post nostro tempore Camerinorum et Spoletinorum extitit marchio, tantum gentis suae cupiens dedecus vindicare, clypeo accepto, obviam mox

628In proposito rinviamo a J. D’Amico, Papal History and Curial Reform in Renaissance. Raffaele Maffei’s Brevis Historia of Julius II and Leo X, in Archivium Historiae Pontificiae 18, Roma, 1980, pp. 157-210 ora con la stessa numerazione in id., Roman and German Humanism, inoltre cfr. E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 49-50. 629Storia, cit., p. 49. 630D. Alighieri, La Divina Commedia. Purgatorio, cit., passo alle pp. 64-65, versi 76-78, inoltre su Sordello da Goito, ivi, cfr. la nota 74 alle pp. 63-64. 631Ivi, in proposito cfr. le note 76-78, vedi inoltre sulla politicità del sesto canto del Purgatorio soprattutto in relazione al sesto canto del Paradiso, G. Arnaldi, Il canto di Giustiniano, in “La Cultura”, II, 2002, pp. 211-220, in particolare pp. 218-220.

112

Page 113: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

molto di sé medesimo, fece impeto un dì ne gli Spuletini de’l re Guido, e tolto l’asta di mano a uno, si tornò salvo a la banda sua. Di questo atto gloriandosi i Bavari sopra a modo, e con essi tutto lo esercito di Suembaldo, e dispregiandone gli Italiani, non potè sopportarlo Ubaldo, padre di quel Bonifazio, che negli anni seguenti fu fatto marchese di Camerino, anzi, per recuperare lo onore della Italia, imbracciato lo scudo e sospinto il cavallo nel fiume chiamò il Bavaro ad alta voci, e drizzossi alla volta sua. Il Bavaro, da l’altra banda, superbo de lo onore acquistato, lo ricevette in su la riva, e correndoli subito incontro; quando fu vicino a’l colpirlo, volse le redini al suo cavallo; non per paura già che egli avesse né per altro sinistro sopravvenutogli, ma perché tenendosi buon maestro di questo gioco, voleva ferire lo avversario senza pericolo di sé medesimo, pensandosi che nel maneggiare il cavallo a più bande, e nello scherzarli quasi d’intorno con infiniti ruote e ritrosi, gli venisse fatto una volta di potergli colpire le spalle. Ma Ubaldo, che deliberatamente correva per combattere da cavaliero e non per gioco di armeggeria, sollecitando il suo con gli sproni, anzi cacciandolo con maggior fretta che quell’altro non si pensava, gli fu così tosto addosso con la punta della sua lancia, che avanti che e’ si volgesse, gli passò per le reni il cuore; e racquistato il cavallo di quello, se lo tirò dietro nella fiumara, dove lasciando il cavaliere morto, ritornò lieto con la vittoria, e con gran festa fu ricevuto. Questa battaglia…acrebbe tanto lo ardire e la audacia nello esercito del re Guido e ne tolse tanto a’ nimici, che i Germani, consigliatisi tra loro medesimi, accettate non so che paghe, se ne tornarono al di là da l’Alpi, e Berengario con esso loro.”632

praedicto Baioario tendit. Is aut triumphi praeteriti non solum non imemor, sed eo cactus audacior, seu de victoria iam secutus hunc contra properat laetus.Coepitque equum modo impetu vehementi dimittere, strictis modo habenis retrahere. Memoratus vero Hubaldus rectam eum coepit adire. Quum in eo esset, ut mutuis se figeret vulneribus, more solito Baioarius equo versili varios flexosque per anfractus coepit discurrere, quatenus argumentis possit Hubaldum decipere. Verum quum hac terga verteret, ut mox Hubaldum ex adverso percuteret, equus cui Hubaldus insederet, vehementer calcaribus tunditur, et per scapulas antequam reverti posset, Baioarius lancea ad cor usque perforatur. Hubaldus igitur freno Baioarij preripiens equum, ipsum in medio fluvioli alveo exutum homine reddidit: sicque suorum iniuriae ultor de triumpho ad suos redijt hilarior. Hoc sane factum non mediocrem Baioarijs terrorem, Italicis audaciam intulit. Inito quippe Baioarij consilio, nonullisque Zuventebaldus a Vuidone argenti acceptis ponderibus in propria remeavit. Igitur Berengarius dum ubi prospera inimico, sibi adversa, prospiceret, cum Zuvetembaldo pariter Arnulfi regis adijt potentiam, orans ac pollicens, ut si ipsum adiuvaret, se totam Italiam, ut ante promiserat, ditioni eius suppositurum.”633

Berengario, oltrepassate le Alpi, anche per sollecitare un nuovo e più deciso intervento di Arnolfo nello scacchiere italiano, trova tuttavia, l’imperatore impegnato a intervenire nelle continue crisi provocate dall’elemento aristocratico nel regno di Francia. Risulta, pertanto, ulterioremente avvalorato il giudizio negativo di Reginone sulla scissione dell’impero in regni autonomi in cui prevalgono i contrasti e i particolarismi dei ceti aristocratici e sulla insostituibilità della funzione di un’autorità imperiale effettiva. Infatti, il Giambullari, ricorre proprio all’abate di Prums, per raccontare la fase principale della crisi francese innescata dalla ribellione del nipote di Oddone e che vede l’intervento del tutto infruttuoso di Arnolfo, in 632Storia, cit., passo alle pp. 50-51. 633Liuthprandi, cit., passo alle pp. 227-228t6.

113

Page 114: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

precedenza incapace di sconfiggere definitivamente un altro insorto: il duca di Borgogna, Ridolfo, aspirante al titolo di re della Lotaringia634: “Erasi in questi tempi medesimi ribellato dal re Oddone il conte Gualtieri suo nipote, e gli aveva tolta per furto la città di Lione…Laonde venutosi Oddone a lo assedio…i cittadini che non amavano punto la guerra, diedero liberamente sé e la terra a lo arbitrio di esso re. Ed egli…non fece novitade alcuna a persona, salve che al suo nipote Gualtieri, al quale per deliberazione del Consiglio regio, fece pubblicamente tagliare la testa. Il che fatto, se ne andò…in Guascogna contra il conte Rannolfo, ed alcuni altri signori che non volevano stare sotto di lui. Ma non potette già espugnarli…anzi ve gli fu per tradimento nella Badia di San Sisto ucciso il conte Megingando, amatissimo nepote suo. E la maggior parte de’ principi, sollevati dallo arcivescovo Falcone e da’ conti Eriberto e Pipino, alzarono per re della Francia Carlo il Semplice ancora pupillo, nato di Lodovico Balbo e della regina Adelaide dopo la morte del re suo padre[…]Arnolfo, tra tanti tumulti, venutosene nella Baviera, e dato al suo Suembaldo molte cose de’l morto conte Megingando, passò il Reno e visitò la città della Lottaringhia; e il re Oddone, insieme con il gran Conestabile, che era il conte Ruberto Parigino, suo fratello, levatosi di Guascogna, venne subito contra il pupillo, cioè contra il giovanetto re Carlo. Il quale non potendo da sé difendersi, ricorse a lo Imperadore, che teneva dieta a Vormazia; e con presenti e con prieghi impetrò finalmente da esso Cesare la confermazione del regno di Francia, e che e’ fusse commesso ai vescovi ed a’ Baroni vicini alla Mosa, che aiutassero la parte sua, e, introducendolo nel regno armato, solennemente lo coronassino. Ma non ebbe effetto la cosa, perché Oddone fortificatosi in su la Senna con le sue genti, vietò a tutti il passare avanti; e que’ principi che avevano a coronare il giovane Carlo, vedendo il re Oddone potentissimo a fare giornata se avessero voluto passare per forza…ma differendo tutta la impresa ad

“…Vulthuarius comes, nepos Ottonis regis…adversus regem cum consilio quorundam rebellionis arma levavit, et Lugdumum tum ingressus, omni amisu regie potestati contra ire nitit. Quod cum Otto cognovisset, civitatem obsidione cinxit, quam absque mora in deditionem recepit . Deinde omnibus primoribus, qui tunc ibi aderat, adiudicantibus eundem Vulthuarium decollari iussit, eo quod in conventu publico contra regime, et dominum suum gladium evaginasset. Post haec in Aquitaniam proficiscitur, contra Rannolfum…et alios nonullos, qui eius imperijs obtemperare renuebant…Item eodem anno…Megingandus Comes, Nepos supradicti Ottonis regis, dolo interfectus est…in monasterio Sancti Xysti[…]Francorum principes per maxima parte ab eo deficiunt, et agentibus Falcone archiepiscopo, Heriberto et Pippino comitibus, in Remorum civitate Carolus filus Ludovico ex Adelheide regina ut supra meminus natus, in regnum elevatur. Anno domi. Incarnationis DCCCXVIII Arnolfus Baioriam egressus Franckfurt venit, et Rhenum Transiens civitates quae in regno Lotharij sunt ex maxima parte circuivit, in quo itinere ingentia dona illi ab episcopis oblata sunt. Otto compositis rebus in Aquitania, in Francia revertitur, et cum Rodeberto fratre Carolum fugat, defectores persequitur[…]Carolus vires Ottonis ferre non valens, patrocinia Arnolfi supplex exposcit. Aestivo siquidem tempore, iam dictus rex conventum publicum Vuormatia civitate celebravit ubi Carolus venit, et Arnolfum magnis muneribus sibi conciliat, regumque quod usurpaverat, ex eius manu percoepit. Iussum est etiam ut episcopi et comites, qui circa Mosam residebant, illi auxilium ferrent, et eum in regnum inducentes, in sede regia inthoniserant. Sed neutrum horum illi quicque profuit. Denique Otto rex audiens cum exercitu super ripam Axani fluminis sedit, et copias Arnolfi intrare in

634In proposito vedi Storia, cit., p. 52. Inoltre, ivi, la definizione della Lottaringhia “(la quale, secondo il Ganguino, contiene ed abbraccia in sè quasi l’una e l’altra Borgogna, I Brabanzoni, I Gheldresi, il ducato di Gule e di Cleves, con ciò che è tra la Mosa e il Reno)” è ricavata da R. Gaguin, Compendium, cit., Fo. LXVIk2.

114

Page 115: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

un’altra volta…si tornarono a’ loro Stati.Carlo…si ritrasse nella Borgogna; e, come Oddone si fu ritornato a Parigi, assaltò di nuovo la Francia…con le correrie e con le arsioni, con le quali attese quanto e’ potette a guastare le cose degli avversari…”635

regnum nullatenus permisit. Duces regis cernentes Ottonem viriliter paratum ad pugnam, ab eo declinaverunt et ad propria reversi sunt. Carolus autem in Burgundiam secessit, et Ottone Parisius reverente, rursus regni fines occupat Ottonis fideles infectatus, alternatim exutraque parte multi pereunt, ingens malicia, innumerabiles rapinae, et assiduae praedae fiunt.”636

A questo punto, Arnolfo, compiuta la sua vana mediazione in Francia, scende in Italia ad affrontare Guido. Giambullari recupera come fonte principale Liutprando: “Arnolfo, uno anno di poi, che fu lo ottocentonovantaquattro della Salute, desideroso pure della Italia, e sollecitatone da Berengario, ragunò un gagliardo esercito; co’l quale…sceso in Italia, onoratamente fu ricevuto da’ Veronesi, amicissimi sempre di Berengario. Per il che…se ne andò con le genti a Bergamo, città in que’ tempi molto munita, e di non poca importanza certo, per nu fiore di soldati eletti collocativi e […] vi entrò per viva forza; e per dare spavento alle altre città. Il Conte che non seppe morire con l’armi né accompagnare i suoi cittadini, menato prigione ad Arnolfo con l’abito e l’insegne sue più solenni, fu da lui per dispregio fatto impiccare per la gola a un albero fuori delle mura…e dirimpetto quasi alla porta. La qual cosa fu di tanto orrore e spavento negli animi dei Lombardi e di tutto il resto d’Italia, che da indi avanti non fu più chi avesse ardire…di aspettare che e’ gli ricercasse: anzi, mandati gli ambasciatori, se li diedero quasi a gara. Ed i Milanesi e Pavesi…primi ed avanti ad ogni altro si offersero pronti e parati alle voglie e comandi suoi. Mandò egli dunque a Milano, per difesa e guardia di quello, il duca Ottone di Sassonia, genero suo e padre di quello Arrigo che successe poi nello Imperio dopo la stirpe di Carlo Magno; ed esso con tutto il resto delle sue genti se ne andò diritto a Pavia… ”637.

“Qui tantae promissionis gratia excitus coopijs collectis, cominus Italiam adit. Cui Berengarius, ut promissionis gratia suae daret fidem credulitatis, arrabonem clypeum portat. Susceptus itaque a Veronensibus, ad urbem proficiscitur Pergamum, ubi dum firmissima loci munitioni confisi, imo decenti homines ei occurere nollent, castrametatus ibidem belli fortitudine urbem capit, incolas iugulat, trucidat. Civitatis etiam comitem Ambrosium nomine, cum balteo et armillis, caeterisque preciosis indumentis suspendi ante portae ianuam fecit. Quod factum, caeteris omnibus urbibus, cunctisque principibus terrorem non parvum attulit. Quicumque enim hoc audierat, utraque auris eius tinniebat. Mediolanensis igitur atque Ticinienses hac fama perterriti, eius non ausi sunt praestolari adventum : verum praemissa legatione, iussioni suae se obtemperaturos esse promittunt. Othonem itaque Saxonum potentissimum ducem huius gloriosissimi atque invictissimi regis Othonis qui nunc usque superest, et feliciter regnat, avuum Mediolanum dirigit gratia defensionis, recta ipse Ticinum petit.”638

635Ivi, passo alle pp. 53-54. 636Reginonis…annales, passo alle pp. 46i2-47i3. 637Storia, cit., passo alle pp. 54-56. 638Liuthprandi, cit., passo a p. 228t6.

115

Page 116: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Passaggio nel quale, peraltro, va segnalata per la linea sostenuta nella Storia la notazione sulla traslazione dell’autorità imperiale dalla stirpe di Carlo Magno ai duchi di Sassonia, aggiunta dal Giambullari al testo della sua fonte d’ispirazione. Inoltre, riguardo al legame, già riscontrato, tra Gello e Storia d’Europa, di qualche interesse appare anche la parentesi svolta, in relazione all’arrivo di Arnolfo a Bergamo, sull’origine tedesca della città e sul significato del suo nome ricavati dal già menzionato Renano: “Questa città, per quanto mostra il dotto Renano, fu edificata già da Germani, cinquecento ottanta anni o circa avanti la nostra Salute, regnando in Roma Tarquinio Prisco: chè allora vennero questi in Italia, guidati dal duca Etitovio; e, fermatisi ad abitare a’ piè delle Alpi che serrano la Magna, vi edificarono Verona e Brescia fuori d’ogni dubio, e Bergamo stesso ancora, se lo indizio del nome è vero. Perché Berg in lingua germana significa monte…”639.

“Germani in Italiam cispadanam, ubi nunc Brixia ac Verona urbes sunt. Luius ab urbe condita lib. V de Belloveso locutus Ambitati Celtarum regis ex forore nepote, qui beneficio fortium in Italiam ingentibus peditum equitumque copijs profectus, Mediolanium condiderat, Alia subinde manus Germanorum, inquit, Etytovio duce vestigia priorum secuta, eodem saltu favente Beloveso quum transcendisset Alpeis, ubi nunc Brixia ac Verona urbes sunt, locos tenuere Libui, confidunt. Hoc facto Prisco Tarquinio Romae regnante, aut non diu post. Ab hijs tum conditum Bergomum. Nam Berg Germanis montem significat.”640

Il riferimento a Tarquinio Prisco, sovrano etrusco che governa Roma, sottolinea storicamente la priorità-superiorità etrusco-toscana sulla tradizione romana congiunta all’elemento germanico già presente all’interno della penisola, richiamando evidentemente i motivi espressi nel Gello, e documentando anche per questa via la sostanziale continuità di suggestioni che animano le diverse opere del Giambullari. A questo punto, Arnolfo varca nuovamente le Alpi allo scopo di far assegnare la corona della Lotaringia al figlio Suembaldo secondo il racconto di Reginone: “Arnolfo, arrivato a Vormazia, tenne dieta solennemente, e con tutti i Baroni maggiori tentò di dare al suo Suembaldo il reame di Lottaringhia. Ma non se ne contentando molti de’ Grandi…dette a Lodovico Bosone…alcune di quelle città che possedeva il discacciato re di Borgogna. Ma vana fu certo la donagione, perché Lodovico non potette già mai con ogni forza ed industria sua a trarle di mano a esso Ridolfo[…]ritornato nuovamente a Vormazia, avendo già medicato gli animi de’ suoi Baroni e recatigli alla voglia sua, coronò il suo figliuolo Suembaldo de’l reame di Lottaringhia con lo universale consenso di tutti, e a Oddone Re di Francia, il quale personalmente e con molti doni era venuto a questa dieta, concesse tutto quello perché egli

“Post Vuormatiam venit, inique placitum tenuit, volens Zundibolch filium suum regno Lotharij praeficere, sed minime optimates praedicti regni, ea vice assensum praebuerunt. Soluto conventu cum ad Loraham idem princeps venisset, Ludovico filio Bosonis…quasdam civitates cum adiacentibus pagis, quos Ruodolfus tenebat, dedit. Sed et hoc ei in vacuum cessit, quia eas nullo modo de potestate Rodulfi erigere praevaluit.[…]Anno dominicae incarnationis DCCCXCV[…]Arnolfus Vuormatiam venit, ibiqe optimatibus ex omnibus regnis suae ditioni subditis sibi occurentibus, conventum publicum celebravit, in quo conventu omnibus assentientibus, atque collaudantibus Zundibolch filium Lotharii prefecit. In eodem placito Otto rex cum magnis

639Storia, cit., passo alle pp. 54-55. 640Rerum Germanicarum, cit., passo rip. a p. 21c3. 641Storia, cit., passo alle pp. 56-57.

116

Page 117: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

era comparso quivi non ostante che poco durasse poi l’amicizia. Con ciò sia che, l’anno medesimo, sotto nome di aiutare Carlo Semplice, passasse in Francia il re Suembaldo con esercito assai copioso, ed assediasse la città di Lione, e combattessila molti giorni, ancora che in vano e senza frutto alcuno; perché, udito che Oddone veniva a soccorerla, si ritrasse nel regno suo, senza altrimenti volere vederlo. Così divisa Regino le azioni di Arnolfo Cesare da la sua venuta in Italia nello ottocentonovantaquattro sino a l’anno ottocentonavantasei, nel quale dice che ei tornò di nuovo in Italia e che e’ prese Roma…”641

muneribus ad Arnolfum venit, a quo honorifice susceptus est, omnibusque impetratis pro quibus venerat. […] Eodem anno Zundibolch collecto immenso exercitu, cupiens amplificare terminos regni sui, quasi Carolo adversus Ottonem auxilium laturus, Lugdunum depraedatum venit, et civitatem obsidione cinxit, sed minime eam caper potuti, quamvis multis diebus summis viribus certatim dimicatum esset. Audiens autem Ottonem cum exercitu advenire…cum omnibus copijs recessit, et in propria regna se recepit.[…]Anno dominicae incarnationis DCCCXCVI Arnolfus secondo Italiam ingressus, Romam venit, et urbem Romanam…coepit.”642

Per le vicende della campagna d’Italia dell’imperatore, Giambullari ritorna a Liutprando, dal quale ricava notizia della richiesta di aiuto inviatagli dal pontefice Formoso, osteggiato dalla plebe romana a causa della sua controversa elezione, dalla fazione che sostiene l’antipapa Sergio: “non potendo il re Guido altrimenti fare resistenzia alle vittoriose genti di Arnolfo, si ritrasse nei monti della Umbria fuggendo sempre da’ suoi nimici;…Arnolfo, invitato da papa Formoso, in questo mentre n’andò a Roma per difesa di Santa Chiesa e in favore del predetto Papa, contro i Romani che lo noiavano già fuori di modo per inicizia contratta seco sino dal principio del suo papato; per quello che appresso racconteremo. Dopo la morte di Stefano quinto… che fu il centododicesimo papa dopo San Pietro, e morì l’anno ottocentonavantadue della salute, furono concorrenti a’l pontificato Sergio Romano, e Formoso vescovo di Porto; ma ottenne Formoso, perché trovandosi la setta sua più gagliarda e di numero forse maggiore, cacciando con tumulto non piccolo e Sergio stesso e coloro che lo favorivano, pose avanti a lo altare Formoso, e per forza fe’ consagrarlo.”643

“Denique Vuido huius impetum ferre non valens, Camerinum Spoletumque versus fugere coepit. […]Hoc in tempore Formosus papa religiosissimus a Romanis vehementer afflictabat, cuius et hortatu rex Arnulfus Romam advenerat, in cuius ingressu ulciscendo papae iniuriam multos Romanorum principes obviam sibi properantes, decollari praecepit. Causa autem simultatis inter Formosum papa et Romanos haec fuit. Formosi praedecessore defuncto, Sergius quidam Romanae ecclesiae diaconus erat, quem Romanoeum pars quaedam papam sibi elegerat. Quaedam vero pars non infima nominatum Formosum portuensis civitatis episcopum pro vera religione divinarumque scripturarum et doctrinarum scienta papam sibi fieri anhelat. Nam dum in eo esset, ut Sergius apostolorum vicarius ordinari debuisset, ea qua Formosi partibus favebat pars, cum non mediocri tumultu et iniuria Sergium ab altari expulit, et Formosum papam constituit. ”644

Arnolfo, allettato dall’offerta pontifica della corona imperiale e allarmato dall’alleanza stabilita tra Guido e la plebe romana che ha preso il controllo di Roma, decide di aiutare Formoso. Nelle pagine della presa di Roma da parte germanica emerge in modo emblematico 642Reginonis…annales, cit., passo alle pp. 47i3-48i4. 643Storia, cit., passo a p. 57. 644Liuthprandi, passo alle pp. 228t6-229u1.

117

Page 118: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

l’orientamento ghibellino del canonico laurenziano. Fondamentale in tal senso, è il discorso rivolto da Arnolfo alle sue truppe prima della battaglia che sviluppa chiaramente il concetto della translatio imperii. In virtù dell’eredità raccolta dai Romani, i Franchi si identificano con essi e con il compito di difendere il papato contro i suoi nemici, gli alleati di Guido, definiti in senso spregiativo “romaneschi”. Infatti, Arnolfo dice: “…il sentirsi troppo colpevoli contra il santissimo Formoso Papa, e congiurati certo con Guido e con gli altri nimici nostri gli conduce a proibirne la terra nostra, a negare a noi l’acqua ed il fuoco, e ad armarsi per contrastarne: come se Annibale cartaginese, non lo Imperatore dei romani; i mimicissimi Gotti, non gli amicissimi Franchi; il flagello e terrore del mondo Attila, e non il vendicatore e il pacificatore dello Imperio Arnolfo, si presentasse alle mura loro.”645 I Franchi e i Sassoni sono gli autentici eredi e continuatori dell’impero, in antitesi ai romaneschi. Arnolfo infatti, per evidenziare la pochezza dei nemici, e incitare i suoi, afferma: “Non abbiamo a combattere co’ Fabi, con gli Scipioni, co’ Cesari, o con gli altri virtuosi e illustri spiriti della santissima Roma antica, terrore del mondo e vincitrice dello universo; ma con il moderno miscuglio d’una turba vile ed infame, e ragunata a l’ombra sottile di quelle disonorate mura espugnate da Alarico, penetrate da Genserico, abbattute da Totila e odiate dallo universo.”646 Anche questo passaggio evidenzia il significato storico della Translatio, necessitata dalla decadenza romana e dalle conquiste barbariche di Roma, percepite in ben altro modo dal Giambullari rispetto al Biondo. Lo stesso racconto della presa di Roma da parte delle truppe di Arnolfo, largamente ispirato da Liutprando, sottolinea il contrasto tra l’ardimento e il valore degli assalitori, e la mancanza di ogni volontà di resistenza dei difensori: “Appena aveva finito Arnolfo le predette parole, che le genti sue unitamente per tutto…tutte liete e tutte animose, a’ l cenno dato dagli istrumenti, s’inviarono verso le mura…Con ciò sia che, levatasi a quelle grida una lepre avanti a’ piè de’ Todeschi e correndo verso le mura…le genti in su le mura…dubitando di sé medesime, si voltarono subito in fuga…abbandonando e inconsideratamente la difesa della muraglia…Gli Imperiali…ammontate le selle dei loro cavalli…salirono su per quelle; e calatisi da l’altra parte con una trave trovata quivi, gittarono per terra la porta; ed aperto in questa maniera a tutto lo esercito, corsero e saccheggiarono la città Leonina, con ciò che era di qua dal Tevere.”647

“His heroes dictis animos accensi vitam aviditate contemnunt. Clypeis denique cratibusque catervatim operti muros adire contendunt. Plurima etiam bellorum paraverant instrumenta, quum inter agendum populo considerante contigit lepusculum clamore eius exterritum urbem versus fugere. Quem dum populus exercitusque, ut assolte, impetu vehementi sequerent, Romani putantes se impugnari, de muro sese proijciunt. Quod populos cernens sagmatibus fellisque quibus equis insederent, iuxta murum proiectis, per eorum acervuum muros ascendunt. Populi vero pars quaedam, accepta mox trabe quinquaginta pedum procera longitudine, portam quatiunt, et Romam quam Leoniam dicunt, in qua beati Petri apostolorum principis preciosum corpus quiescit, vi capiunt. Caeteri qui trans Tyberim erant, hoc

645Storia, cit., passo alle pp. 58-59. 646Ivi, passo a p. 59 cfr. in Liuthprandi, cit., il passo a p. 228t6: “Non Pompeius adest, non Iulius ille beatus, Qui nostros domuit proavos mucrone feroces.” 647Storia, cit., passo alle pp. 59-60.

118

Page 119: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

timore compulsi, huius dominatui colla submittunt.”648

Inoltre, difficilmente all’interno di questo svolgimento sembra casuale la parentesi spesa a inserire la presa di Roma di Arnolfo in un elenco formato da ben quattro precedenti storici: “Così dunque fu presa Roma la quinta volta da’ Germani, senza quella de’ Galli Senoni, che fu anni trecentonovanta avanti la incarnazione del figliuol di Dio: con ciò sia che sotto il re Alarico la presero e saccheggiarono i Visegotti, negli anni quattrocentodieci di Gesù Cristo; sotto Genserico i Vandali, che pur sono Germani, nel Quattrocentocinquantasei; sotto Odoacro, che la tenne quattordici anni, gli Eruli, i Rugi e i Turcilinghi, circa il quattrocentosettantacinque; sotto Totila gli Ostrogoti, che la abbruciarono e la disfecero circa il cinquecentoquarantotto; e finalmente sotto di Arnolfo, i Franchi ed i Sassoni…”649 In realtà l’autore, così facendo, riconduce anche le precedenti devastazioni compiute dai barbari ai danni dell’impero romano, nell’ambito della logica storica della Translatio imperii. È del tutto evidente a questo punto, la ben diversa percezione delle invasioni barbariche che sussiste tra il Giambullari e gran parte dell’umanesimo italiano. L’inondazione semplicemente ed esclusivamente distruttrice descritta dal Biondo, nella prospettiva del canonico laurenziano corrisponde ad una ben precisa missione storica di rifondazione imperiale sulla base della fusione tra elemento germanico e cristiano. D’altra parte, come accennato, il processo di formazione dell’identità europea nella Storia si svolge anche attraverso la chiara affermazione di una specificità e di un’alterità rispetto alla realtà bizantina dell’impero d’Oriente. Una distinzione già esplicitata, del resto, nella prima pagina della Storia nelle considerazioni formulate dal Giambullari sulla decisione di Costantino che abbandona Roma, ponendo le premesse della successiva formazione del Sacro Romano Impero. Abbastanza indicativa in questo senso appare la scelta di Liutprando insieme a Jordanes quale fonte delle vicende bizantine. Liutprando, infatti, è fortemente critico verso l’impero bizantino che contrasta gli interessi ottoniani. Contrapposizione politica che in tutte le opere di Liutprando, soprattutto nella Relatio de legatione Costantinopolitana, si traduce anche in una delineazione del carattere e della civiltà orientale in termini di netta inferiorità rispetto a quella germanico-cristiana.650 Giambullari, che conosce anche la Relatio…Costantinopolitana651, mostra la sua sostanziale convergenza con la prospettiva di Lutprando, proponendo letteralmente dall’Antoposis la storia di Basilio padre dell’attuale imperatore d’oriente, Leone V: “…Basilio di Macedonia, che da la fortuna, per mostrarci quello che essa possa, fu condotto a’l seggio di Augusto. Con ciò sia che, partitosi da casa sua per la fame, e condottosi ancora giovanetto in

“Basilius Imperator Augustus avus huius, Macedonia humili fuerat prosapia oriundus, descenditque Costantinopolim…quod est paupertatis iugo, ut quidam serviret abbati. Igitur

648Liuthprandi, cit., passo alle pp. 228t6-229u1. 649Storia, cit., passo a p. 60. 650In proposito vedi in Liutprando da Cremona, cit., Introduzione, cit., pp. 31-35 e in Tutte le opere, cit., introduzione, cit., pp. 30-43; cfr. inoltre AA. VV., Storia d’Europa, voll. V, Torino, Einaudi, 1994, in particolare, vol. III a cura di Gherardo Ortalli, pp. 27-28 e 1147-1148. Sulla dicotomia occidente-oriente in Liutprando cfr. anche C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., pp. 118-119. 651Storia, a p. 456, peraltro in linea con il giudizio espresso da Liutprando in questa relazione, il Giambullari afferma: “Accompagnatosi dunque Liutprando co’ sopraddetti, fra brevi giorni se ne andò per mare a Costantinopoli; dove ricevuto onoratamente, ma con giuochi, più tosto da bagattelle, che da maestà o grandezza d’imperatore, non si vede altrimenti in quel tanto che abbiamo di lui che fine avesse la legazione. Per la qual cosa, lasciando a parte ed esso e le leggerezze di quella corte largamente da lui descritte…”.

119

Page 120: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Costantinopoli, essendo e vilissimo e poverissimo, si acconciò con un Padre Abate…Veniva talora a questa Badia lo imperatore Michele…e vedendo più volte Basilio intorno a lo Abate, giudicandolo manieroso, e da maneggi di più importanzia che non erano quelli de’l Convento, chiese a lo Abate che gli lo concedesse. E come persona avvistata ed assai graziosa, fattolo suo cameriere, gli diede fra breve tanto e tanta riputazione, che in tutta la corte greca non era altro maggiore di lui. Ma…la fortuna…fece che Michele predetto (secondo che di lui scrive Liutprando) conoscendosi per alcuna particolare infermità sua venire alle volte sì furioso, che e’ comandava che e’ fusse ucciso qualcuno, de’l quale, uscito poi della furia, dimandava come di vivo, e dolevasi che e’ fusse stato ammazzato; per ovviare…pose legge ai ministri suoi, che nelle commessioni della morte, non eseguissero lo imperio suo, ma serbassero prigione il così dannato sino ad un termine…dentro al quale uccidendolo ne andasse la testa loro…Con ciò sia che avendo fatto più volte il medesimo scherzo a Basilio, esso, dubitando che per istigazione de gli emoli suoi non si facesse un tratto vero…fattosi nemico del suo signore, gli tolse violentemente la vita…ed occupato senza resistenza alcuna lo Imperio, lo possedette…”652

imperatoris Michael qui tunc temporis erat, quum orationis gratia ad monasterium istud in quo hic ministrabat descenderet, vidit hunc forma prae caeteris egregia, accitumque ad se abbatem rogavit, ut se donaret hoc puero. Quem suscipiens in palatio cubicularij donavit officio. Tantae denique post paululum potestatis effectus, ut alter ab omnibus Imperator sit appellatus. Verum quia onnipotens duos servos suos iuste visitat, quacunque vult censura, hunc imperatorem Michaelem sanae mentis ad tempus non esse permiserat, ut quo eum gravius premeret in infimis, eo misericordius remuneraret in summis. Nam, ut fert, huius tempore passionis, familares etiam capitis iusserat damnari sententiam. Hoc igitur terrore quos damnati iuserrat servabant. Sed quum hoc saepius et iterum Basilio faceret, huiusmodi a sis obsequentibus, pro nephas, accepit consilium, ne forte insana regis iussio aliquando ex industria a te non diligentbus, imo odio habentibus impleat, eum tu potius occidito, atque imperalia sceptra suscipito. ”653

Passaggio nel quale, emergono diversi dati non propriamente edificanti, dal profilo umano dell’imperatore Michele all’evidenza conferita alla spiegazione del significato dell’appellativo “porfirigeneto”, attraverso la fortunata ascesa al trono bizantino del padre di Leone, Basilio. La stessa incapacità bizantina di fronteggiare la minaccia musulmana e contenere l’espansionismo militare saraceno appare abbastanza significativa in questo senso. Insufficienza, cui viene implicitamente confrontata la ben diversa attitudine dei veneziani, in grado di liberare dopo alcuni anni l’Italia meridionale dai saraceni, tanto da essere premiati da Basilio.654 Inoltre, la presentazione del pericolo saraceno consente al Giambullari di introdurre nella storia le vicende della penisola iberica, quasi tutta assoggettata dalla furia conquistatrice musulmana, sulla base dei Commentarii del Volterrano. L’opera del Maffei rappresenta la fonte principale ma non esclusiva della guerra tra sovrani spagnoli e Saraceni del primo libro della Storia. La Crònica general di Diego de Valera, integra il Sabellico con l’episodio del

652Ivi, passo a pp. 61-62. 653Liuthprandi, cit., passo alle pp. 220t2-221t3. 654Storia, cit., vedi pp. 63-64.

120

Page 121: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

palazzo di Toledo, dove Roderico prende conoscenza della predizione della rovinosa invasione saracena655. Il Volterrano è, d’altra parte, quale umanista di Curia, estremamente sensibile alla minaccia costituita dall’espansione saracena656: “Roderico, l’ultimo re dei Gotti che possedesse in pace la Spagna, dopo la vittoria avuta contro ad Utizza suo zio, che già gli aveva accecato il padre, e spogliatolo di tutto il regno; rivoltatosi a l’ozio e piaceri, sforzò, secondo alcuni, la figliuola, e, secondo alcuni altri, la moglie del conte Giuliano, principe o governatore del paese intorno allo Stretto. Della quale ingiuria giustamente sdegnato il Conte chiamò secretamente i Mori della Africa, e condusseli nella Spagna con tanta celerità, che nessuno si accorse del tratto.[…] l’anno settecentoquattordici della Salute, sotto Muzza capitano di Miramomelino, per lo stretto di Zibeltaro[…]ed andò la cosa in maniera, che, morendovi tra qua e là in due anni…settecentomila persone, occuparono finalmente i Mori tutta la Spagna, eccetto Pastiglia la Nuova, la quale e per la naturale fortezza del sito, e per la invitta virtù di Pelagio, zio dello ucciso re Roderico, si difese gagliardamente da qualunque assalto moresco. Pelagio dunche, fattosi quivi forte, non solamente difese il non occupato, ma recuperò molte volte qualche cosetta del già perduto. Successero poi a costui…Alfonso terzo, per cognome chiamato Magno, cominciò a regnare…nello ottocento trentasettesimo della Salute…costui trionfò molte volte de’ Saracini, e ricuperò nella Lusitania…Viseo e Colimbrica. Predò più volte i Guasconi e i Navarresi che erano suggetti de’ Mori, e fu il primo che edificasse tempio a San Iacopo. Ma tutte queste egregie virtù macchiò egli con la crudeltà, facendo accecare quattro suoi fratrelli, che se li erano levati contra. Dicono che a costui scrisse Papa Giovanni ottavo: “Giovanni servo dei servi di Dio, ad Alfonso re cristianissimo,” ed argomentano da questo scritto…che il Re di quella provincia sia veramente il Re

“Is igitur Rodericus tres annos regnavit, cuius foeda libido finem attulit Gothorum non tam generi quam pacifico imperio, Saracenis impervenientibus, nam cum filiam cuiusdam Iuliani praefecti, qui Tingitanam administrabat provinciam, vitiasset, dolor domesticus patrem ad ultionem sollicitavit, loci fretum commoditate. Quare Iulianus clam ex Africa Saracenos evocat. Qui anno salutatis DCCXIIII duce Muza misso a Miramomelino eorum tunc rege, per angustias Herculei freti ingresso, biennij spatio omnem fere Hispaniam occupant, praeter Astures natura loci munitos. In quo temporis spacio dicuntur ad DCC hominum milia in eo bello utrinque absumpta.[…]Pelagius igitur Roderico fra tris filio succesit. Asturiam se recepit. Astures enim et Callaeci montibus et natura loci muniti tantum incolumes permanere…regnavit bellum gerendo, multa etiam recuperando psulatim effecit, ut afflicta gens, aliquantulum resipiscere videretur. Hanc sedem posteri Castellam novam vocavere, veteris differenti quae circa Cordubam et Hispalim fuerat. Sic em Hispani regiam et munitum locum appelant.[…]Alfonsus III, cognomento magnus rem suscepit paternam anno DCCCXXXIII. De Saraceni saepe triumphavit, civitates Lusitaniae Colimbricam et Viseum recuperaverit. Vascones Navarrosque qui tunc a Saracenis dominabantur saepe depopolatus. Hac tamen opera egregia domestica crudelitate foedavit, quatuor eius fratribus qui in eum conspiraverant evulvis oculis[…]Hunc etiam Alfonsum […]templum Sancti Iacobi primum excitasse…ad eum in super Io. VIII, scripsisse IO. Servus servorum dei, Alfonso regi Christianissimo, ex cuius autoritate…Garsius natumaiorem paternam assecutus, Arabum regem Aiolam in bello cepit, cuius spolia

655Sulle fonti spagnole della Storia, cit., rinviamo a E. Mele, Le fonti spagnole della “Storia dell’Europa” del Giambullari in “Giornale critico della letteratura italiana”, LIX, 1912, pp. 359-374, in particolare per le fonti del I libro vedi pp. 359-364, dove peraltro la collazione rispetto all’opera del Maffei è compiuta solo per alcuni dei vari passaggi attinti ivi dal Giambullari. 656In proposito cfr. J. D’Amico, Papal History and Curial Reform, cit., in particolare pp. 178-179.

121

Page 122: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

cristianissimo. Successe poi…il primogenito suo Don Garsia, e regnò anni tre solamente; ne’ quali corse e predò la terra de’ Mori, e combattè contra il re Ajollas, il quale rimase rotto e prigione[…]Garsia, ritornando vittorioso, adornò de le spoglie de’ suoi nemici la chiesa di Oviedo; nella quale fu egli poi sotterrato onoratamente…l’anno del terzo de’l regno suo. Al re Don Garsia successe il fratello Ordogno, secondo…e’ fu vinto da Abdera re de’ Mori, e perdè nella rotta…il vescovo di Astorga, che fu, per dispetto di Ordogno, martirizzato da essi Mori. Ritornato dunque Ordogno a Leone…fece chiamare a sé quattro conti castigliani…che non avevano voluto combattere; e sotto la fè del salvacondotto, fece a tutti tagliare la testa. De la qual cosa adiratisi i Castigliani, si ribellarono subitamente, e crearono duoi giudici che…ministrassino buona giustizia…donde ebbero la origine quelli che regnarono poi in Pastiglia…e successe a lui il figliuolo don Alfonso quarto, che …venutogli zelo di religione, rinunziò il regno a Don Ramiro…”657

Ovetensis templi Tholo suspendit, ubi et sepultus est, cum regnasset annos tres…Ordonius II Garsiae fratri successit. Legionense Templum aedificijs ac donis ornavit, adversus Saracenisinfeliciter dimicavit, captis in bello nonnulis praesulibus, inter quos Asturicensis etiam martyrio affectus, iussu Abderae regis eorum. Post haec Ordonius quatuor Castellae comites qui bellum id decretaverunt, iussos ad se venire, et incolumes fore pollicitus, nefari mandavit. Ob quam perfidiam Castellani, qui tunc Legionensi suberant regi, rebellaverunt, factisque inter se magistratibus ac iudicibus, rem ipsi administrabant. E quibus postea reges descenderunt[…]Alfonsus quatuor, sese regno sponte abdicato, monachum egit surrogato fratre Romiro…”658.

Il canonico laurenziano riprende la vicenda principale della guerra in Italia dalla quale esce di scena Arnolfo che a causa dell’inganno archittettato dalla moglie di Guido, varca le Alpi. Berengario lasciato solo deve riparare a Verona, come apprendiamo da Liutprando: “…durando lo assedio di Fermo, e non vedendo più la Reina rimedio alcuno di non venir alle mani degl’imperiali, tenne segretamente trattato con uno intimo servitore di Arnolfo, e per grossa quantità di danari lo indusse a dar da bere allo Imperatore una bevanda…non mortifera però, ma (secondo che ella affermava) mitigativa e diminutiva della rigorosa severità di quello, e provocativa della benignità e della clemenzia che a lei erano si necessarie.Costui, s enon per malignità, per isciochezza almeno, persuaso dal fallace dir della donna, veduto per esperienza che la bevanda non faceva nocumento alcuno a chi la bevve in presentia sua, ancora che vi corresse spazio d’un’ora, e non considerando che e’ poteva essere preparato co’l defensivo contra la forza del beveraggio; presa la

“Quumque Vuidonis uxor magnis undique angustiis premeretur, et evadendi spes illi omnis negaretur, causas morti regiae viperina coepit callidate exquirere. Accitum nanque ad se quendam Arnulfi regis familiarissimum magnis eum muneribus rogat, ut se adiuvet. Qui quum se non aliter posse testaretur, nisi civitatem domini sui traderet ditioni: illa etiam atque etiam magna auri pondera non solum pollicens, verum in praesentiarum tribuens, orat, ut quodam loculo ab ea sibi collato dominum suum regem potaret: quod non periculis mortis daret, sed mentis feritatem mulceret. Quae etiam suis ut fidem dictis praeberet, ante illius praesentiam hoc unum suorum potat servorum. Qui unius horae spatio conspectu huius astans, sanus abscessit. Verum veridicam Maronis illius sententiam in medium proferamus. Quid non

657Storia, cit., passo alle pp. 65-67. 658Commentarii, cit., passo a p. 9b3, lib. II.

122

Page 123: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

opportunità, la diè bere allo Imperatore. Il quale dalla virtù di quella occupato, assalito subitamente da fiero sonno, si addormentò…sì fattamente…Ed avvegnachè tutto lo esercito con grida e romori grandissimi si sforzasse torlo dal sonno, e che esso per gli strepiti e per la violenza di chi lo toccava, aprisse talvolta gli occhi e la bocca; non potette però mai né vegghiare né parlare, se non in confuso..La qual cosa vedendo i maggiori dello esercito…levatisi da lo assedio, si dirizzarono verso la Germania; perseguitati nientedimanco sempre da Guido…Arnolfo uscito pure finalmente de’l lungo sonno e de lo stupore[…]per assicurarsi dello Stato d’Italia, deliberò di accecare Berengario, e di occupargli tutte le terre. Ma Berengario, avveritone cautamente da chi lo amava, essendo già notte, e ritrovandosi famigliarmente nella camera dello Imperatore, non aspettò altrimenti che il disegno si colorisse; anzi, accomandato ad un altro un lume che aveva in mano…fintamente si uscì di camera, e[…]Dirizzatosi dunque alla sua favorita Verona…si rivolse…a farsi forte il più che e’ poteva, ed a chiudere i passi delle Alpi con la più fidata e fiorita gente che e’ potette mettere insieme. La qaul cosa come prima si udì …tolse tanto di credito…allo Imperatore, che nello esercito che egli aveva non rimase altro che tramontani. Co’ i quali…fra brevi giorni giunse a Pavia; e vi si vide in grave pericolo, perché tumultuando quella città, vi furono uccisi tanti de’ suoi, che e’ se ne empierono tutte le fogne. Lande risolutosi per lo meglio a tornarsi nella Germania, non potendo passare per Trento, si dirizzò a la volta del Piemonte per andarsene per quelle altre Alpi. Arrivato dunche ad Ivrea, ribellatali poco avanti da Anscario marchese di quella…giurò di non partirsi già mai di quivi, sino a tanto che i cittadini non gli davano preso il Marchese. La qual cosa intendendo Anscario…uscitosi de la terra segretamente, si nascose in alcune grotte molto celate, a cagione che i suoi cittadini potessino liberamente giurare che Anscario non era nella città. Il quale giuramento accettando lo Imperatore, per le montagne…se ne tornò ne’

mortalia pectora cogis. Auri sacra fames. Sumptum namque letale poculum festinus regi propinat. Quo accepto, tanta hunc confestim somni virus invasit, ut totius exercitus strepitu triduo excitatus vigilare nequiret. Fertur aut quoniam dum familiares hunc, modo strepitu, modo tactu inquietarent, apertis oculis nil sentire, Positus tamen in mentis excessu mugitum reddere, non verba aedere videbatur. Huius autem rei actio repedare omnes compulit, non pugnare.[…]Denique redeuntem Arnulfum regem cum magna moltitudine, paulatim rex Vuido persequitur. Quumque Arnulfus Bardonis montem conscenderet ibi quorum consilio definivit quatenus Berengarium lumine privaret, sicque securus Italiam obtineret. Cognaturum vero Berengarij unus qui non parva Arnulfo regi familiaritatis gratia inhaerebat, huius consilium ut agnovit, absque mora Berengario patefecit, qui mox ut sensit, lucerna, quam ante Arnulfi regis praesentiam tenebat, alij tradita fugit, atque Veronam percitus venit. Omnes extunc Italienses Arnulfum floccipendere, nihil habere, unde quum Ticinum veniret, non modica orta est in civitate seditio, tantaque istic strages exercitus facta est, ut cryptae civitatis, quas alio nomine cloacas dicunt, implerentur horum cadaveribus. Quod Arnulfus cernens quondam per Veronam non potuit, per Hannibalis viam quam Bardum dicunt, et montem Iovis, repedare disposuit. Quumque Iporegiam pervenisset. Anscarius marchio istic aderta, cuius exhortatu civitas rebellabat. Verum hic Arnulfus iureiurando promiserat, nunquam se a loco eodem discessurum quam praesentiae suae repraesentarent Anscarium. Is autem ut erat homo formidolosus valde, ei omnino similis qui a Marone canitur, largus opum, lingua melior, sed frigida bello dextra, de castello exiit, et iuxta murum civitatis in cavernum petrarum latuit. Hoc eo fecit, quatenus licite possent regi Arnulfo iureiurando satisfacere Anscarium in urbe non esse. Itaque iusiurandum istud accepit rex, atque iter quod coeperat peragens abijt.”660

659Storia, passo alle pp. 70-72. 660Liuthprandi, cit., passo alle pp. 230u1-232u2.

123

Page 124: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

suoi paesi.”659 In queste nuove condizioni, alla morte di Formoso, Sergio, che può contare anche sul sostegno del marchese di Toscana, Adalberto, ottiene la tiara pontificia. Come mostra la collazione, i fatti inerenti al ritorno di Sergio, il Giambullari li ricava da Liutprando. Vista la fonte, chiaramente avversa in tutte le sue opere alla curia romana661, e considerato il contegno antimperiale della politica di Sergio, naturalmente la sua caratterizzazione appare totalmente negativa. Dunque si conferma ulteriormente l’orientamento filoghibellino del Giambullari e la fondatezza delle considerazioni del Di Stefano. Nel passaggio in questione, affiora anche un implicito confronto tra la santità di Formoso, papa filo-imperiale e il diabolico Sergio, pontefice antimperiale, che si risolve a tutto vantaggio del primo naturalmente: “Papa Formoso dopo la partita di Arnolfo…si morì nello ottocento novantasette, e dopo doi giorni della sua morte, fu creato in iscambio suo Bonifacio sesto di nazione toscano, che tenne il pontificato solamente trentasei giorni; perché Sergio, del quale ragionammo poco di sopra, fuggitosi per la coronazione di Formoso a’l signore Alberto Ricco, marchese potentissimo della Toscana, subito che udì Arnolfo partito d’Italia e Formoso morto, se ne venne diritto a Roma, e co’l favore del predetto Alberto, cacciato via Bonifazio, ricuperò il perduto seggio. Nel quale non come Vicario di Gesù Cristo, ma come tiranno crudelissimo, desideroso di vendicarsi, fece dissotterrare il morto Formoso, e vestito di tutti i sommi ornamenti pontificali, lo fece porre a sedere nella cattedra come se egli ancora fusse vivo, e…cominciò a dirgli: “Quale è la cagione che, essendo tu vescovo Portuense, abbandonata la sedia tua, usurpasti ambiziosamente la Romana, principessa e madre di tutte le altre?”…vituperosamente lo fe’ spogliare di tutto lo abiot sacerdotale, e tagliateli quelle dita che tengono l’ostia sagrata, fece il resto gettare nel Tevere. Appresso privando tutti coloro che da esso avevano avuto gli Ordini sacri, non volle che potessero esercitargli, se nuovamente non si ordinavano. Il che quanto e’ facesse a ragione (poi che non si appartiene a me giudicarlo), veggasi da lo esempio de’ Santi Apostoli; i quali dopo il tradimento fatto da Giuda…non ordinarono però mai che i benedetti o mondati da lui, venissero, nuovamente a ribenedirse; considerando, e prudentemente, che la benedizione del

“Descenditque Sergius in Thusciam, quatenus Adelberti potentissimi marchionis auxilio iuvaretur: quod et factum est. Nam Formoso defuncto, atque Arnulfo in propria reverso: is qui post mortem Formosi papa constitutus est, expellitur, Sergiusque papa per Adelbetum constituitur. Quo costituto, ut impius doctrinarumque sanctarum inscius, Formosum ex sepulchro extrahere, atque in sedem Romani pontificatus sacerdotalibus indumentis indutum collocare praecepit. Cui et ait, Quum Portuensis esses episcopus, quur ambitionis spiritu romanam universalem sedem usurpasti: His expletis sacratis mox exutum vestimentis, digitisque tribus abscisis, in Tyberim iactare praecepit, cunctosque quos ipse ordinaverat, gradu proprio depositos iterum ordinavit. Quod quam male egerit pater sanctissime, in hoc animadvertere poteris, quondam et hi qui a Iuda domini nostri Iesu Christi proditore ante proditionem salutem seu benedictionem apostolicam perceperant, ea post proditionem proprijque corporis suspensionem minime sunt privati, nisi quos improba sorte defoedarant flagitia. Benedictio siquidem quae ministris Christi impenditur, non per eum qui videtur, sed qui non videtur sacerdotem infunditur. Neque enim qui rigat est aliquid, neque qui plantat, sed qui incrementus dat deus. Quantae autem autoritatis, quantaeque religionis papa Formosus fuerit, hinc colligere possumus, quoniam dum a piscatoribus postmodum esset inventus, atque ad beati Petri apostolorum principis ecclesiam deportatus, sanctorum quaedam imagines hunc in loculo

661In proposito rinviamo a Liutprando da Cremona, cit., Introduzione, cit., pp. 9-11, 28-29 e 33 e Tutte le opere, cit., Introduzione, cit., pp. 23-24.

124

Page 125: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Pontefice non opera in virtù di quell’uomo visibile che pone o annaffia le piante, ma in quella del Creatore invisibile, che le fa crescere a suo piacere. […]ed assai chiaramente si mostrò poi la innocenzia e la bontà sua, quando ritrovato il suo corpo da pescatori, e portato di notte in San Pietro, le imagini dipinte in chiesa…si inchinarono a onorarlo.”662

positum venerabiliter salutarant. ”663

Senza trascurare, che a rimarcare la fondatezza del giudizio negativo su Sergio in riferimento ai misfatti da lui compiuti sul cadavere di Formoso, il Giambullari riafferma a chiare lettere nel secondo libro della Storia la piena attendibilità dello storico longobardo. Liutprando, infatti, diversamente da quanto sostenuto da altre fonti citate dal canonico, nega che Sergio III, successore di Stefano VI, sia stato autore di analoghi strazii sul corpo senza vita di Formoso 664. Del resto, l’interesse non secondario nutrito dal Giambullari per le vicende della curia romana viene confermato dalla nuova parentesi dedicata ai successori di Stefano VI, la quale propone l’immagine di una Curia turbolenta e instabile, vittima dei malumori e delle pressioni esercitate dalle opposte fazioni. Infatti, la questione aperta da Stefano VI con la condanna post mortem di Formoso, vede Giovanni X che invece si pronuncia a favore del defunto pontefice col ricorso ad un concilio a Ravenna, costretto a fuggire da Roma per una vera e propria sedizione popolare. La collazione indica una notevole vicinanza alle Vitae Pontificum del Platina665: “…al papato di Stefano sesto, che durò solamente quindici mesi, successe papa Romano, che non visse tre mesi intieri, ne’ quali annullò e cassò le azioni di Stefano. Il che approvò medesimamente il suo successore Teodoro secondo, ancora che e’ si morisse fra venti giorni. Ed al papato di Teodoro successe Giovanni nono, cittadino romano, il quale riassumendo la causa di Formoso, venne in tanta disgrazia del popolo, che e’ fu costretto a fuggir di Roma. Per il che andatosene a Ravenna, e ragunato quivi un Concilio di settantaquattro Vescovi, dannò tutte le azioni di Stefano e approvò quelle di Formoso, dichiarando che male avesse fatto a Stefano a riordinare nuovamente quelli che Formoso avea ordinato. Visse costui nel papato due anni e quindici giorni, senza lasciare altra memoria

“Ad Stephanum redeo, qui pontificatus sui anno primo, mense terbio moritur[…] Romanus ubi pontificatum inijt, Stephani pontificis decreta et acta statim improbat abrogatque[…]in qua tertio pontificatus sui mense demoritur. Thedorus secundus…Formosi acta restituit […]At Theodorus vigesimo pontificatus sui die moritur. Ioannes decimus, patria Romanus, pontifex creatus, Formosi causam in integrum statum restituit, adversante magna populi Romani parte, qua ex re tanta seditio orta est, ut paulum admodum ab iusto parelio abfuerit. Is autem Ravennam profectus, IIII et LXX episcoporum abito conventu, et a Stephanum factum, qui censuit eos iterum ordinandos esse, quos Formosus ad sacros ordines asciverat.[…]Ioannes autem pontificatus sui

662Storia, cit., passo alle pp. 72-74. 663Liuthprandi, cit., passo alle pp. 229u1-230u1. 664Nella Storia, cit., infatti, leggiamo a p. 117: “atteso massimamente che Liutprando, vivo in que’ tempi, e che diligentemente racconta la prima offesa fatta a quel corpo, non avrebbe taciuto in maniera alcuna questa seconda, tanto pubblica e tanto maggiore di quella.” 665Historia B. Platinae de vitis pontificum romanorum A. D. N. Cristo usque ad Paulum II venetum, Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum onuphrii Panvinij accessione nunc illustrior reddita…, Coloniae, apud Maternum Chorinum, MDLXXIIII (d’ora in poi Historia…de vitis pontificum).

125

Page 126: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

de’ casi suoi, che di avere suscitata e rinnovata la quasichè estinta sedizione.”666

anno secondo, die decimo quinto moriens…”667

Anche se fonte di parte curiale, il Platina presenta indubbiamente, una prospettiva critica e articolata della storia pontificia. Egli, infatti, intende recuperare nella sua composizione la tradizionale forma biografico-agiografica del Liber Pontificalis, secondo i rinnovati criteri della storiografia. umanistica668. Tuttavia, non va esclusa la consultazione per questo passaggio dell’opera di un altro autore, in seguito esplicitamente indicato e utilizzato quale fonte della Storia: il Chronicon di Giovanni Carione669. Le propensioni politiche dell’astronomo e matematico Carione, infatti, sono connesse ad una posizione religiosa luterana secondo quanto traspare dalla lettera noncupatoria del 1531 rivolta al principe del Brandeburgo670, che evidenzia chiaramente i motivi antiromani dell’opera, ricavabili anche dalla lode dei principi di Brandeburgo a cominciare da Alberto che ha secolarizzato il principato e optato nel 1525 per la riforma luterana: “Maiores enim C. T. videlicet Marchio Albertus Princeps Elector, qui in Historijs optimo iure Germanicus Achilles appelatur, non minorem laudem hinc meruit, que eloquentiae studio prae caeteris excelluit, quoque tot bella summa cum laude et foelicitate pro Romano impio gessit ac confecit. Et ea quidem virtus quasi haereditaria successione ad avum Marchionem Iachimum Marchionem Ioannem, deinde ad C. T. patrem Marchionem Ioachinum Principem electorem adhaec in patruum C. T. Marchionem et electorem Archiepiscopum Moguntinum, singulari quadam ac divina gratia pervenit, et iam in C. T. praeter alias heroicas virtutes haud vulgariter lucet ac se ostendit. ”671 In questa direzione, non va dimenticato che l’opera del Carione prima della pubblicazione viene rivista da Melantone che ne accentua i motivi protestanti e la linea filoimperiale, estendendone in seguito l’ampiezza e la cronologia storica fino all’età di Carlo V672. Nel Chronicon si esalta il valore esemplare della storia quale irrinunciabile strumento educativo per il potere politico che ha precisi e improcrastinabili doveri etici e religiosi673. 666Storia, passo alle pp. 74-75. 667Historia…de vitis pontificum, cit., passo alle pp. 130L5-131L6. 668Sull’educazione umanistica del Platina e sulla sua storiografia nell’ambito di quella curiale rinviamo a E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 43 e 53-58, e a M. Miglio, Storiografia pontificia del Quattrocento, Bologna, Patron, 1975, in particolare pp. 16-17, 27, 29-30, 113, cfr. inoltre J. D’Amico, Papal History and Curial Reform, cit., p. 161. 669Cronica Ioannis Carionis conversa ex Germanico in Latinum a doctissimo viro Hermanno Bono et ab autore diligenter recognita, Halae Suevorum ex officina Petri Brubachij, Anno MDXXXVII, mense Septembri, ivi a p. 207cc7 leggiamo: “Post Bonifacium 6 factus est Papa Stephanus sextus, hic rescidit et damnavit omnes ordinationes Formosi. Stephanum secutus est 117 Papa Romani successor fuit 118 Papa Theodorus secundus. Post Theodorus secundus factus est Papa Ioannes decimus, hic reiectas a Stephano sexto ordinationes Formosi iterum recepit, et approbavit.” Su questa indicazione cfr. la nota della Marangoni al passaggio 1-16 in Storia, cit., p. 75 dove si ipotizza anche una ispirazione dai Commentarii del Volterrano, che sui successori di Stefano VI scrive alle pp. 252t6-253t6: “Romanus patria romanus…sedit mens. III, Stephani acta infirmavit. Theodorus II sedit dies XXX. Formosi acta in integrum restituit. Ioannes IX. Romanus, sedit an. II. Dies XV”. 670Ivi, Illustrissimo principi ac Domino Ioachimo Marchioni Brandenburgensi, Duci Stetinensi, Pomeraniae, Cassubiorum ac Vandalorum, Burgravio Norinbergensi, et Rugiade Principi, Domino suo clementissimo, pp. 2a2-3a3. 671Ivi, passo a p. 3a3. 672Sulla storiografia del Carione e sugli influssi melantoniani rinviamo a Irena Backus, Historical Method and Confessional Identity in the Era of the Reformation (1378-1615), Brill: Leiden-Boston, 2003, in particolare pp. 327-338; cfr. inoltre D. Cantimori, Umanesimo e luteranesimo di fronte alla Scolastica, in “Rivista di Studi Germanici”, II, 1937, pp. 417-438, ora in id.,Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1975, pp. 88-111, in particolare p. 97 e nota n. 12, e ivi, pp. 286-287 e L. Perini, La vita e i Tempi di Pietro Perna, cit., p. 199; cfr. inoltre E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 385-386. 673Con esplicita conseguente condanna della separazione tra morale individuale e azione politica a p. 4a4-5a5: “Caeterum duplex est ratio iusticiae, quae necessaria est cuius: altera enim politica est et externa: altera vero

126

Page 127: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Dunque si afferma secondo la prospettiva luterana, la funzione di spada della volontà divina attribuita all’autorità secolare che in essa trova la sua più profonda giustificazione: “Atque hoc modo reputabit secum pii hominis animus huiusmodi preclara facta, et vindictas, Dei opus esse, et discet ex illis timere Deum, utpote quod Tyranni atrociter puniti sunt, iuxta sententiam illam: Qui gladium sumit, hoc est, qui sine mandato usurpat sibi ius vindicandi, is gladio peribit. Contra vero videre etiam licet, a Deo servati bonos Principes et defendi. Atque hoc ipsum gentes quoque animadverterunt, qui nitantur Principes Deorum praesidio.”674 Compito pienamente e felicemente svolto dall’impero germanico e dei suoi principi elettori che hanno preservato la maestà dell’impero romano: “Et ad huic imperii honorem et fastigium evexit(elegit) his postremis temporibus Germanos Deus prae populis reliquis. Nam quanquidem diminutum nonnihil sit imperium Romanum hodie (Deo enim, ut vaticinatum est, visum ita fuit, ut decrescerent tandem mundi monarchiae) tamen maiestas permanet apud imperium Romanum, et nemo regum est, qui non oculos suos in hoc regunm convertat. Proinde quanquidem non aequ semper potentes habeamus imperatores, tamen providente sic Deo, tanta subinde potentia contingit Caesar aliquis, ut sublimitas imperii conservetur. Idque propter religionem et concordiam omnium nationum retinenda. Et debent merito Germaniae principes, et imprimis principes imperii Electores hunc honorem, suum magni aestimare, quod sublimitatem hanc divinitus commissam habent ad religionem, ius et pacem publicam retinendam. ”675 Carione, infatti, sulla base della profezia di Elia che divide la storia umana in quattro grandi epoche contrassegnate dalle monarchie assira, persiana, greca e nell’ultima fase che inizia con la venuta di Cristo, appunto romana e soprattutto tedesca, è convinto fautore della translatio imperii676. Egli contrappone la realtà provvidenzialmente legittimata dell’impero tedesco alla mondanizzazione del papato romano: “Caeterum quo pacto post natum Christum mutationem coeperit Romana Monarchia, et eius successio ad Germanos pervenerit, propterea et de origine Mahumetici regni,et quomodo Papatus externae potentiae augumentum acceperit, ea omnia in hac tertia parte indicabimus.”677

de fide et timore Dei. Utriusque nobis exempla in historiis proponuntur. Atque ut primum de civilibus moribus dicamus, debent Principes, atque adeo omnes qui rebus magnis gerendis praesunt, ea potissimum exempla et gesta considerare, quibus moneri possunt, quomodo ipsi foeliciter versari queant in republica administranda, ponenda ob oculos sunt exempla Principum et Regum, discendumque est ex illis, qua potissimum ratione, quibusque officiis sint usi, in imperiis gubernandis, quod praeter publicam utilitatem nihil spectarint, quod in iusticia tuenda fuerint solliciti, quod acerrime vindicarint iniurias, quodque non levi de causa bellum susceperint, sed eos dissimulatione iniuriarum pacem saepe retinuisse. Contra vero in adversis animo praesenti et infracto fuisse, omni humanitate et clementia usos esse erga bonos, studuisse denique imperia sua munitionibus ac potentia, religionis cultu et bonis moribus reddere meliora. In Tyrannorum exemplis diversum observabunt, illorum exitus calamitosos fuisse, et propter crudelitatem perniciosos eventus, et commutationes in republica exiciales accidisse. Sic ob Tyrannidem constat Pharaonem perijsse, et simili de causa Romani Reges exacti sunt. Et perdiderunt saepe se mutuo Principes ob superbiam, ob invidiam, ob odium nonnunque ex re nihili contractum. ” 674Ivi, passo a p. 7a7 nel preambolo che precede il primo libro, De usu lectionis historiarum, pp. 3a3-8a8. Sulla concezione della storia in Melantone e nel Chronicon e sulla sua irrinunciabile funzione per i governanti, rinviamo a I. Backus, Historical Method and Confessional Identity, cit., pp. 328-329. 675Ivi, passo a p. 11b3. 676Ivi, vedi pp. 9b1-12bb4. 677Ivi, passo a p. 12b4.

127

Page 128: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Anche nel Chronicon riscontriamo del resto, la caratterizzazione tirannica dell’antipapa Sergio e l’elencazione delle cinque conquiste germaniche di Roma, compresa quella di Arnolfo678, insieme alla delegittimazione della base stessa del dominio temporale del papato poi costituito materialmente da Pipino il Breve con le concessioni del 754 e 756 relative all’esarcato di Ravenna: la donazione di Costantino679. Tornando al conflitto italiano, Berengario, morto Guido, deve fronteggiare il figlio Lamberto: “...si accompagnò la morte di Guido; il quale nella partita di Arnolfo, avendolo perseguitato sino su’l Taro, ammalatosi gravemente, se ne andò fra giorni brevissimi a dar conto de’ suoi spergiuri. La qual cosa udendo il re Berengario, venne subitamente a Pavia, e senza contrasto alcuno di persona ottenne pur finalmente il tanto già combattuto regno, ancora che per poco tempo. Con ciò sia che gli amici ed i favoriti del morto Guido temendo che il re Berengario non vendicasse troppo aspramente sopra di loro gli sdegni e le ingiurie sue, accostatisi a Lamberto figliuolo di Guido, pubblicamente, come vero successore di suo padre, lo coronarono re della Italia. Costui…fu volentieri veduto dai popoli…Lande, ragunato assai buono esercito, e indirizzatosi verso Pavia, Berengario, che non aveva gente da stargli a petto, si ritirò dolente a Verona, città statagli sempre amica e deditissima al nome suo…”680

“Sicut enim prefati sumus, dum redeuntem Arnulfum rex Vuido evestigio sequeretur, iuxta fluvium Tarum defunctus est, Cuius obitum Berengarius ut audivit, venit festinus Papiam, regnumque potenter obtinuit: fideles vero fautoresque Vuidonis, veriti ne ab eis illatam Berengarius ulcisceretur iniuriam, et quia semper Italienses geminis uti dominis volunt, quatenus alterius terrore coerceant, Vuidonis regis defunti filium nomine Lamthbertum elegantem iuvenem adhuc ephebum minusque bellicosum regem constituunt. Coepit denique hunc populus adire, Berengarium deserere. Quum Berengarius Lanthberto cum esercito magno Papiam tendenti, copiarum paucitate occurrere non auderet, Veronam petijt, isticque securus degit.”681

. Dunque come documenta il precedente passo, un altro fattore che alimenta il perpetuarsi della guerra risiede nell’avversione della feudalità italiana all’affermazione definitiva di un sovrano. Infatti, nel momento in cui Lamberto sembra sul punto di prevalere definitivamente su Berengario, dopo il fallito tentativo del duca di Milano Manfredi, la feudalità capeggiata dal potente marchese di Toscana Adalberto e dal conte Aldobrando si ribella: 678Ivi, a proposito di Formoso e Sergio leggiamo sempre a p. 207cc7: “Post Stephanum quintum factus est Papa 114 Formosus. Iterum tum ingens dissidium fuit Romae de electione, nam et Sergius simul pontifex creatus est, sed pulso Sergio a fautoribus Formosi, adscitus est Caesar a Formoso in Italiam, ut ea occasione Papatum retineret. Etenim profugerat in Galliam Sergius, et moliebat praesidio Gallorum pontificatum consequi. Caeterum post annos aliquot pontifex factus est defuncto Formoso, et maiorem, que debuisset pro pontificia mansuetudine, Tyrannidem et insolentiam exercuit. Effossum Formosi cadaver degradari mandavit, et capite truncatum in Tybri fluvium cum summa ignominia abiici. Scribunt Sergium hunc plane incultum, et nulla…eruditione fuisse, id quoque crudelia eius facta satis arguunt. Formoso successit Papa 115 Bonifacius sextus.” Ivi, inoltre sulle quattro prese di Roma precedenti a quella di Arnolfo leggiamo alle pp. 174y6-175y7: “Capta est itaque urbs Roma quater a Gotthis et Vandalis intra centum triginta novem annos, primum ab Alricho sub Honoris. Anno Christi 412. Deinde a Gensericho Vandalo Marciani temporibus. Anno Christi 456. Tercio a Gotthos rege Totila, et haec ipsa oppressio urbis Romae gravissima olim fuit, nam capta simul et exusta est anno Iustiniani primo et vicesimo. Anno vero post conditam urbem millesimo et trecentesimo. Anno Christi 548. Quarto in tercio anno, post hanc devastationem. Anno Christi 551.” pp. 174y6-175y7 e sulla conquista di Roma ad opera di Arnolfo pp. 206cc6-207cc7: “Postea ubi ux Spoletanus Vuido per tumultum Caesar esset creatus, in Italiam profectus Arnolfus magna vi Romam cepit, et a Formoso pontifice maximo coronatus.” 679In proposito si rinvia a I. Backus, Historical Method and Confessional Identity, cit., in particolare pp. 331-334. 680Storia, cit., passo a p. 74. 681Liuthprandi, cit., passo a p. 232u2.

128

Page 129: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“La parte in questo mentre del re Lamberto, cioè quelli stessi signori lombardi che lo avevano chiamato al regno, non contentandosi molto de la severità di esso Lamberto, cominciò a rivolgersi a Berengario, ed a desiderarlo grandemente chiamandolo a’l regno…contra Lamberto…cominciarono pure a scoprirsi alcuni de’ capi lombardi, ribellandosi apertamente, sotto quella speranza che avevano del soccorso di Berengario. Ed il primo…fu il conte di Milano…detto Manfredi. Costui…senza rispetto d’avere il proprio figliuolo a’ servizi del re Lamberto, e senza considerazione delle forze sue, molestando e predando i luoghi vicini che si tenevano per esso re, cadde improvvisamente in uno agguato de’ suoi nimici; dove restando rotto e prigione, fu condotto davanti al Re; e per sentenzia di quello condannato a dover morire, gli fu…pubblicamente tagliato il capo. Il che spaventò di maniera gli animi tutti de’ sollevati, che volentieri stettero in pace. Ma il ricco marchese Alberto, ed il conte Aldobrando, che…erano pure di quel numero che bramava rivoluzione, avendo segretamente ragunato le genti in diversi luoghi della Toscana, la quale ubbidiva tutta al marchese Alberto, unitele tutte insieme…si drizzarono contro a Pavia…”682

“Non post multo vero temporis Lantbhertus rex quum esset vir severus, principibus gravis est visus. Unde et legatos Veronam dirigunt, et regem Berengarium ad se venire, Lantbhertum vero expellere petunt. Maginfrendus praetera Mediolanensis urbis comes quinquennio huic rebellis extiterat, qui non solum urbem in qua rebellis erat, Mediolanum scilicet defenderet, verum et vicina curcumquaque Lanthberto loca servientia depopulabant. Quod factum rex non passus abire inultum, psalmographicum illud persaepe ruminans: quum accepero tempus, ego iustitias iudicabo. Nam post paululum capitis hunc iussereat damnari sententia. Qua res terrorem cunctis Italiensibus non minimum incussit. Denique hoc eodem tempore Adalbertus illustris Thuscorum marchio atque Hildebrandus praepotens comes huic nisi sunt rebellare. Tantae quippe Adelbertus erat potentiae, ut inter omnes Italiae principes solus ipse cognomento diceretur Dives. Huic erat uxor nomine Berta, Hugonis post nostro tempore regis mater: cuius instinctu tam nepharia coepit ipse facinora. Nam collecto exercitu, cum Hildebrando comite constanter Papiam tendere festinat.”683

Alla fine Lamberto viene ucciso dal figlio del conte Manfredi, Ugo. Berengario può riappacificarsi con tutta la feudalità italica come riproposto sulla base dell’Antoposis dal Giambullari: “avanti che il re Lamberto sapesse nulla di questo esercito, si era egli già condotto in sul Taro…ed a piè di quel monte che…si chiamò l’Alpe di Bardone…Quivi dunque trovandosi questa gente, corse lo avviso al Re della venuta di tale esercito; ed egli, trovandosi allora in caccia per sorte, senza altrimenti fare ragunata, si mosse subito a rincontrarla con forse cento dei suoi soldati, che erano quel giorno con esso lui. Con questi venutosene a Piacenza con gran prestezza, intese che i suoi nimici erano al Borgo a San Donnino…chiamato così per esservi in somma

“Lantberthus interea rex harum rerum inscius, in Marino iam aliquantis diebus venationi vacabat. Quumque Adalbertus marchio et Hildebrandus comes cum diverso et invalido Thuscorum exercito Bardonis montem transirent, Lanthberto regi medio in nemore venanti ut sese res habuerat, nunciatur. Is vero sicut erat animi constans, viribusque potens, suos non passus est milites praestolari, sed collectis quos secum habebat centum fere militibus, cursu praepeti eis occurrere festinabat. Iam Placentiam venerat, quum iuxta fluvium Sesterrionem ad

682Storia, cit., passo alle pp. 75-76. 683Liuthprandi, cit., p. 232u2.

129

Page 130: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

venerazione il corpo del beato martire Donnino, e che senza guardia, senza ascolte e senza ordine alcuno di milizia, alloggiavano con più sicurtà, che se e’ fussero in casa loro. Per la qual cosa avvicinatosi loro, il più che e’ potette segretamente, ed assaltatigli a la improvvisa su’l primo sonno, agevolmente gli mise in rotta. Bene è il vero che e’ non fu molta la uccisione; perché, pigliato il marchese Alberto, che tra certi asini si era fuggito in una stalletta, ed avuti prigioni a man salva tutti i capi di quello esercito (eccetto però il conte Aldobrando, che si fuggì al primo romore), non si curò altrimenti il Re di fare uccidere que’ che fuggivano, giudicando, come era il vero che tutti fossero de’l popolo suo. Mandati dunque i presi a Pavia, e ritiratosi egli a Marinco, dove attendeva prima alla caccia, si tornò al solito spasso, fino a tanto che fra i Baroni si potesse deliberare quello che si avesse da fare di coloro che aveva presi[…]Dilettandosi…questo re assai de la caccia, accadde che, trovandosi un giorno…appartato in quella da tutti gli altri, fuori che solamente da un suo creato, di chi egli molto si fidava, sopraffatto dal sonno e dalla fatica, si ose a dormire in su l’erba, e commesse a quel giovane suo favorito che dovesse guardarlo fin che esso alquanto si riposava. Ugo (che così aveva nome colui, ed era figliolo di quel conte Manfredi, che per la ribellione sua poco avanti perse la testa), vedevdo che il Re dormiva profondamente, e ricordandosi molto più della fresca morte del padre, che de’ benefizii infiniti ricevuti da esso Re, co’l quale sempre si era allevato, deliberò di torgli la vita. Ma, per farlo in maniera tale che non ci fusse per lui pericolo, non lo volle ferire co’l ferro; anzi, tolto un ramo assai grave, e percossolo con tutta sua forza tra il capo e il collo, non solamente lo ammazzò con poca fatica, ma con ogni sicurtà sua. Perché adattato il morto in maniera, che e’ paresse caduto giù da’l cavallo, verisimilmente fu poi creduto da coloro che in questa guisa lo ritrovarono, che e’ si avesse fiaccato il collo per la gran forza della caduta. E sarebbesi universalmente creduto sempre di poi così, se Ugo stesso nella grandezza de’ Berengari non

Burgum in quo sanctissimi et preciosi martyris Dominaci corpus positum veneratur, castra metasse nunciant. Ignorantes igitur quid superventura nox pareret, temulenti post nonnulla inutilia,…, id est, cantilenas, somno sese dedere, stertere: nauseam alij sumptus intemperantia facere. Rex igitur animi ferox, tum ingenio callens, in ipso eos noctis conticinio opprimit, dormientes ferit, oscitantes iugulat. Ventum est denique ad illos qui ductores huius exercitus erant. Quumque eis non ex multitudine alius, sed rex ipse praeclari huius facinoris nuncius esset, non solum pugnandi, sed et fugiendi terror ipse abstulit facultatem. Verum Hildebrandus fuga elapsus, Adelbertum intra animalium praesepe latitantem dereliquit: qui dum repertus, atque ante regis praesentiam ductus esset[…]His ita gestis, rex Lanthbertus iterum praesato in loco Marino venatioribus occupatur, quo ab omnium principum decreto quid super captis agendum esse deliberaret. Sed o utinam venatio haec feras caperet, non reges. […]Maginfredus Mediolanensis urbis comes, cuius superius paulo fecimus mntionem, dum pro scelere in Rempub. Atque in regem commisso capitis iudicio damnaretur, unicum possessionis vicarium Hugonem filium dereliquit. Quem dum Lanthbertus rex tum forma egregia, tum animi audacia nonnullos superare videret: non paruum pro patris mortem dolorem collatis visus est beneficijs mulcere quamplurimis. Unde et eum prae caeteris familiaritatis dilexerat privilegio. Factum est autem dum Lanthbertus rex nominato loco Marinco venatur…huc illucque cunctis ut moris est discurrentibus, hoc cum uno scilicet Hugone ipsum solum modo inibi remansisse. Quumque rex aprum in transitu praestolaretur, diuque multum remorante longa expectatione lassaretur, paululum sese quieti dedit, vigiliae custodiam huic infido quasi fido commitens. Absentibus igitur cunctis, Hugonis mens custodis, imo proditoris atque carnificis collatorum beneficiorum immemor, plurimum patris mortem animo coepit revolvere: […]Verum

684Storia, cit., passo alle pp. 76-78. 685Liuthprandi, cit., passo alle pp. 232u2-234u4.

130

Page 131: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

avesse scoperto il vero. Ucciso così miseramente il giovane re Lamberto, non avendo i Principi dove gittarsi, o dubitando di non far peggio, richiamarono il r eBerengario. Il quale, ritornato a’l perduto regno, liberando il marchese Alberto con tutti i prigioni di Pavia, dopo infinite carezze fatte a ciascuno, ed al Marchese massimamente presentati ed onorati quanto e’ poteva, gli rimandò agli Stati loro.”684

con anime toto virium, ligno non modico collum fregit. Gladio quippe ferire timuit, ne peccati eius autorem res eum manifesta probaret. Eo nacque mens perversa ita egit, ut non gladij cicatrix, sed ligni manifesta collisio, haec reperientibus fidem daret equo cecidisse, collique fractione hominem exivisse. Latuitque res per annos quamplurimos: sed dum processu temporis Berengarius rex nullosibi resistente, regn viriliter obtineret, ipse restus proprij sictu fuerat autor, extitit et proditor.[…]His itaque gestis quum Beregarius ampliori ac pristina dignitate regia honoraret, Adalbertus marchio et caeteri ad propria destinantur.”685

Il nuovo equilibrio, tuttavia, viene scosso immediatamente dall’entrata in scena di Lodovico Bosone di Borgogna, che in seguito alla rottura tra Alberto di Toscana e Berengario, rivendica il regno d’Italia. Guido prevale facilmente su Berengario e viene incoronato re d’Italia e imperatore dal pontefice nell’898. Epilogo che costituisce un’ulteriore dimostrazione del caos permanente provocato dal mutevole orientamento della feudalità italica in una realtà ormai priva di un’autorità riconosciuta e accettata da tutti. Peraltro, si conferma il ruolo fondamentale giocato dal marchese di Toscana nel determinare l’esito delle lotte per la corona italiana. Rilevanza posta in evidenza sulla falsariga di Liutprando in contrasto con il basso profilo di Ludovico di Borgogna: “Dopo la morte del re Lamberto, certi Principi de’ Lombardi che non si contentavano di Berengario, unitisi co’l marchese Alberto di Ivrea, figliuolo di Anscario detto di sopra, e genero di esso Berengario, ma occulto nimico suo; sollecitarono tanto con lettere e con ambasciate Lodovico Bosone di Borgogna, che e’ lo indussero finalmente a venire armato in Italia, a pigliare il regno di quella, e coronarsene Imperatore, come discendente di Carlo Magno.[…]Per il che, parendoli avere assai giusto titolo a’l regno d’Italia, se ne venne volenteroso a le promesse de’ collegati, e di Alberto massimamente, come di persona più segnalata. Con ciò sia che egli è quello Alberto di chi si cantava ne’ tempi suoi…Alberto poca chioma, lunga spada e corta fede. E pure, nella gioventù sua, era stato umanissimo sempre e costumatissimo, e di tanta liberalità, che se nel ritornare da la caccia si incontrava a sorte in un povero, non avendo altrimenti che dargli, si levava il corno da collo, ed ancora che riccamente adornato di catene e fibbie d’oro, lo donava a quel

Dum haec aguntur, pene omnes Ludovicum quondam Burgundionum genitum prosapia, nuncijs directis invitant ut ad se veniat, regnumque Berengario auserat, sibi obtineat: huius vero tam turpis scleris autor Adalbertus Iporegiae civitatis marchio erat, cui et idem Berengarium filiam suam nomine Gisilam coniugio copulaverat, ex qua filium genuerat, cui et avi sui vocabulum dederat. Iste est, inquam, iste Berengarius ille, cuius immensitate Tyrannidis tota nunc luget Italia, cuiusque lenocinio a quibuscunque gentibus premitur non iuvaret[…]Praeterea idem Albertus, quod bonis monibus cavendum est, nequaquam sui similis fuit. Nam dum servente aetate iuvenilem duceret vitam, mirae humanitatis, miraeque sanctitatis fuit, adeo sane, ut si ei a venatione redeunti pauper occurreret, aliudque non esset quod illi praestare posset, cornu protinus quod collo eius sibulis aureis dependebat, sine dilazione concederet, rursumque ab eodem quanti aestimabat acquireret. Tam dirae autem postmodum

131

Page 132: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

poverello, ricomperando poi da esso per quel tanto che e’ lo pregiava. Fidandosi dunque Lodovico in su la riputazione di costui e degli altri confederati, venne velocemente in Italia; ma con esercito male gagliardo, persuadendosi follemente che i collegati fussero in ordine con tante genti, che la sua quasi fusse soperchia. Il che successe tutto l’opposito; perché sapendo la sua venuta il re Berengario, fattosi forte co’l marchese Alberto della Toscana, avanti che i collegati fossero uniti, gli uscì contra in su la campagna, ed uscì sì grosso di gente ed in luogo tale, che…conoscendosi Lodovico assai inferiore, come abbandonato già da Lombardi non volle più tentare la fortuna: anzi, cercata la pace con Berengario, ed ottenutala agevolmente, giurò (secondo la forma de’ capitoli fatti) con un sacramento fortissimo, di non ritornare mai più a la impresa d’Italia[…]Ma non istette molto in cervello; con ciò sia che, nata poco di poi certa dissensione tra Berengario ed Alberto Ricco, i medesimi Signori lombardi, collegatisi con Alberto, mandarono segretamente a richiamare Lodovico a’l regno, e con fortissimi sacramenti gli giurarono di essere con lui, e di fargliene avere corona. Persuaso dunque da essi, anzi pure dalla sua ambizione invitato, senza tenere altrimenti conto della sua obbligata fede, ragunato uno esercito sgagliardissimo, se ne venne lieto in Italia; e, congiuntosi non solamente co’ Lombardi, ma co’ Toscani, se ne andò alla volta di Berengario, il quale veggendo le forze di Lodovico…si ritirò nella fedelissima sua Verona…Ma…Lodovico avvicinatosi con le sue genti, non solamente lo cacciò di essa Verona, ma di tutto il resto d’Italia[…]Lodovico[…]visitando lo Stato…suo, se ne venne per la Toscana; ove dal ricco marchese Alberto sontuosamente fu ricevuto ed onorato fuori di maniera. Lande, veduto egli la milizia di esso Alberto, i servitori, gli arnesi, i cavalli, con il sontuoso vestire e la grossa spesa che e’ sosteneva, disse con alcuni dei suoi più fidati: Costui veramente si potrebbe chiamare più tosto re che marchese, non essendo egli punto minore di me, se non solamente nel titolo. Queste parole tornate agli orecchi di Alberto, gli causarono tanto sospetto, che, e per questo e

cactus est famae, ut huiusmodi vera de eo tam a maioribus quam a pueris cantio dicetur. Et quia sonorius est…Adelbertus comis curtis…quo signatur et dicitur longo eum uti ense, et minima fide. Huius itaque aliorumque ac nonnullorum Italiensium hortatu praefatus Ludovicus in Italiam venit. Cui mox Berengarius ut audivit, obviam venit. Quumque Ludovicus Berengario sibi obviam venienti, magnas adesse copias, sibi vero paucas cerneret, iureiurando ei hoc terrore compulsus promisit, ut si sese dimitteret, quibuscumque promissionibus accitus amplius in Italiam non veniret. Fecerat namque sibi Berengarius plurimis collatis numeribus Adelbertum Thuscorum praepotentissimum marchionem valde fidelem, atque ideo Ludovicus tam facile est expulsus. Modica vero temporis trascursa intercapedine, rex Berengarius nominato Adalberto gravis est visus. Cui rei Berta coniunx sua, Hugonis regis qui nostro post tempore in Italia regnavit mater non modice fomitem ministravit. Unde factum est ut consulto eodem Adelberto marchione, caeteri Italienses principes propter eundem Lodovicum ut adveniret transmitterent. Qui cupiditate regnandi, dolitus iurisiurandi venit concitus in Italiam. Videus itaque Berengarius, quod Ludovicus tam ab Italiensium quam a Thuscorum susciperetur principibus, Veronam profectus est. Ludovicus vero cum Italiensibus eum prosegui non desistens, Verona etiam illum expulit, totumque regnum sibi viriliter subiugavit. His ita gestis, bonum visum est Ludovico, ut sicut circumcirca viderat Italiam, videret et Thusciam. Exiens denique Papia, proficiscitur Lucam, ubi decenter miroque paratu ab Adelberto suscipitur. Quumque Luvocius in domo Adelberti tot militum elgantes adesse copias cerneret, tantam etiam dignitatem, totque impensos prospiceret, invidiae zelo cactus suis clauculum infit, hic rex potius quam marchio poterat appellari. In nullo quippe mihi est inferior, nisi solummodo nomine. Quae res Adelbertum latere non potuit. Quod Berta ut erat mulier non incallida, audiens non solum virum suum ab eius fidelitate amovit, verumetiam caeteros Italiane principes ei

132

Page 133: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

per la continova istigazione e stimolo di Berta sua moglie, non solamente si ritrasse da indi innanzi dalla fedeltà che a Lodovico aveva promessa, ma ne distolse anche la maggior parte di tutti gli altri Signori e Principi italiani…Lodovico non sapendo la mala volontà di Alberto e delgi altri, veduta la Toscana a suo piacimento, si partì finalmente da Lucca, e tornossi a stare in Verona.” 686

infideles effecit. Unde factum est, ut dum e Thuscia rediens, Veronam pergeret, degeretque ibidem, nihil haesitans, nihilque mali suspicans, Berengarius dato precio, custodes civitatis corruperit, collectisque viris fortissimis, in ipso noctis conticinio civitatem ingressus fuerit.”687

Tuttavia, al di là della dipendenza letterale da Liutprando dimostrata in questa collazione, l’autore tende ad accentuare ulteriormente il divario esistente tra le figure di Alberto e Ludovico, attraverso la giustificazione addotta da quest’ultimo per la sua discesa in Italia: l’essere legittimo discendente di Carlo Magno. Rivendicazione che, appunto, è assente nell’Antopodosis e che viene smontata in queste pagine dal Giambullari, grazie alla lezione insegnata agli altri principi italiani dall’esempio di Alberto. Quest’ultimo, infatti, in seguito alla scoperta dell’invidia dimostrata nei suoi confronti da Ludovico, dimostra: “loro, con lo esempio di sè medesimo, quanto fusse pericoloso lo aderire ad un forestiero, tanto barbaro che abbia invidia a’ sudditi suoi, e desideroso che e’ siano poveri per apparire sublime tra loro; non per la virtù, come i successori veri di Carlo Magno, ma per la roba e la grandezza delle facoltà; le quali era egli forzato tòrre ad altrui, poiché e’ non le avea da sè medesimo.”688 Chi veramente sembra più vicino alla figura di Carlo Magno, pertanto è Alberto, quasi a sostenere una sorta di primato Toscano nello scacchiere italiano, perfettamente in linea con la prospettiva politica medicea del nostro canonico. Non meno agitata comunque della situazione italiana appare quella francese. Nonostante Oddone prima di morire attribuisca la corona francese a Carlo con unanime consenso della nobiltà francese, la pace dura poco, secondo quanto il Giambullari ricava da Reginone: “Oddone…il non legittimo re di Francia…il terzo dì di Gennaio nello ottocento novantotto, finalmente passò di vita[…]I Principi dopo le reali esequie di Oddone, sotterrato in San Dionigi, accordatisi al bene comune accettarono Carlo nel regno, e gli guurarono fedeltà e obbedienza…”689

“Anno dominicae incarnationis DCCCXCVIII Otto rex negritudine pulsat, et mense Ianuario, die tertio eiusdem mensis diem clausit extremum, et apud sanctum Dionysium cum debito honore sepulturae mandatur. Principes in unum congregati, pari consilio et voluntate, Carolum super se constituunt.”690

Le pressioni dell’aristocrazia francese, infatti, costringono Carlo il Semplice a combattere il già menzionato Suembaldo responsabile di alcuni torti subiti dal duca Reginario e dal conte Odoro, in una guerra priva di ogni risultato e vantaggio tangibile: “Aveva il re Suembaldo tra i più intimi e cari suoi il duca Reginario, fedelissimo ed unico suo consigliere; ma…adiratosi con esso lui, lo privò di tutti gli onori e di quanto aveva nel regno suo, e lo bandì ad uscire di quello in termine di giorni quattordici, sotto pena della persona. Reginario vedutosi così

“Zundibolch Reginarium ducem sibi fidatissimum, et unicum consiliarum, nescio cuius istinctu a se repulit, et honoribus, haereditatibus, quas in suo regno habebat, interdictis, eum extra regnum infra XIIII dies secedere iubet. Ille, adiuncto sibi Odoro comite, et quibusdam alijs cum mulieribus et

686Storia, cit., pp. 80-82.

133

Page 134: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

vituperosamente cacciato dal signor suo, si collegò con il cote Odocro e con alcuni altri pochi amici di Suembaldo ed inviato le donne, i figliuoli e le robe al Castel Durfo e ridottivisi egli ancora,attese a munirsi in quello, avvenga che inespugnabile, rispetto a le paludi, a’ ritrosi e a le rivolte che d’intorno vi fa quel fiume. Suembaldo saputo questo, se ne andò con l’esercito a porvi il campo; ma veduta poi la difficoltà, anzi pure la impossibilità della espugnazione, levatosi con poco onore da lo assedio, se ne tornò assai mal contento. Reginario con gli altri Signori predetti, andatisene a trovare Carlo il Semplice, lo condussero in Lottaringhia con esercito molto gagliardo. Suembaldo, sentito questo, ed accortosi più tardi de lo errore suo, si fuggì con pochi a’l sicuro; e mentre che Carlo con le sue genti se ne andò ad Acque e a Spira, egli passata la Mosa, e ragunati quei Baroni che gli osservarono la fede, fece uno esercito ragionevole, e se ne venne contra il re Carlo, che partitosi a posta da Spira, si accostava per far giornata. La quale bene si sarebbe forse appiccata…se non che i Baroni dell’una e dell’altra parte…riconciliando i predetti duoi Re, e firmando una bella pace, operarono che il re Carlo, ripassata la Mosa, si tornasse nel regno suo. Suembaldo…si rivolse ad espugnare Durfo, credendo di poter vincere agevolmente con la quantità dello esercito…ma conosciuto pur finalmente che tutto era perduto, comandò a’ suoi vescovi che scomunicassimo Reginario ed Odocro, con tutti bgli altri confederati…La qual cosa non volendo fare que’ Prelati…lasciò quello assedio inutile, e ritirassi a gli ultimi confini dello Stato suo…”691

parvulis, et omni supellectili in quondam tutissimum locum, qui Durfos dicitur intravit, ibique se communivit. Quod cum rex cognovisset, coadunato exercitu, castrum expugnare conatus, sed minime prevaluit propter paludes, et multiplices refusiones, quas in predicto loco Mosa fluvius facit. Rege ab obsidione recedente, presati comites Carolum adeunt, et eum cum exercitu in regnum introducunt. Zundibolch quamvis fero intelligens se circunventum, cum paucis fuga dilabitur. Carolus recto itinere Aquis venit, deinde Neumagum pererexit, interea Zundibolch ad Franconem episcopum venit, et cum omnibus suis secum adsumens, Mosam transijt, et ad Foriclimagos venit, ubi omnes proceres regni qui in illis partibus erant ad eum confluxerunt. Et ex desperatis itaque rebus, vires se recepisse cum gaudens, resumpta fiducia, contra emulum ad pugnam siciscitur. Carolum a Neumargo reversus, Pruniam venit, et inde adversus Zundibolch copias transfert sed appropinquantibus ex utraque parte exercitibus, nequequam pugna committitur, sed intercurrentibus legatis pax firmatur, sacramenta iurantur, Carolus transvadata Mosa, in suum regno regreditur.[…]Zundibolch demio cum exercitu ad Durfos venit, multitudinem totis viribus expugnare molitur. Sed cum minime conatus eius proficeret, Episcopus iubet ut Reginarium, Odacrum, et socios eorum anathemati sarent. Sed cum illi anathematis sententiam proferre recusarent, nimis exprobationibus et contumelijs utitur, et sic soluts obsidione, unusquisque ad propria redijt.”692

Il primo libro si chiude con il ritorno alla Germania dove si verifica la morte di Arnolfo, simbolo della piena crisi del sistema imperiale: “circa confinia smemorati anni Arnolfus imperator migravit a speculo III. Kal.

“Il quale nello ottocento novantesimo nono anno della Salute, il vigesimo ottavo di

687Liuthprandi, cit., passo alle pp. 244x2-245x3. 688Storia, cit., passo a p. 82. 689Ivi, passo a p. 78. 690Reginonis…annales, passo a p. 48i4. 691Storia, cit., passo alle pp. 79-80. 692Reginonis…annales, passo alle pp. 48i4-49i5.

134

Page 135: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Decembris, sepultusque est honorifice in Oddingas…”693

novembre…si morì miserabilmente in Ottinga di Baviera; ed onoratamente fu seppellito…”694

3. Libro secondo: Beato Renano, la nuova Germania e la Translatio imperii Sulla falsariga della continuità del principio imperiale secondo la logica della Translatio Imperii in Germania e al tempo stesso del motivo della sua crisi storica secondo quanto abbiamo rilevato fino a questo punto della Storia, non appare, pertanto, casuale che il secondo libro inizi con un profilo storico-geografico della Germania. Ipotesi confermata anche dal fatto che il Renano sia la fonte principale delle numerose pagine dedicate a questa descrizione, integrato da un altra fonte: la Germaniae…explicatio695 del già citato Wilibald Pirchkeimer, amico e corrispondente sia del Renano, sia di Erasmo alle cui posizioni religiose a partire dal 1525, si avvicina, dopo gli iniziali entusiasmi per Hutten e Lutero696. Anche quest’opera si inscrive pienamente nel solco dell’esaltazione del primato raggiunto dalla nazione germanica nella realtà europea, inaugurata dal Celtis697. Nella lettera dedicataria inviata all’arcivescovo di Colonia Hermann von Neuenahr698, il Pirchkeimer esprime in modo evidente, infatti, l’esigenza di trattare della Germania negletta e dimenticata inspiegabilmente dagli stessi scrittori e geografi tedeschi699. I Germani, secondo il Pirchkeimer, hanno pensato più alle guerre che alle lettere. Diversamente i greci hanno raccontato soltanto favole sul loro conto700. I Romani invece, pur attenendosi in qualche modo alla verità storica come Tacito, hanno complessivamente minimizzato le gesta dei Germani e insieme ai Greci vengono stigmatizzati per gli enormi errori commessi in materia di cognizioni storico-geografiche, provocati comunque anche dallo sterminato e ininterotto andirivieni di popolazioni. Scrive infatti il Pirchkeimer: “Romani vero, quondam ubique, fere propine studuerunt gloriae, non tam gesta sua maximis exulterunt laudibus, quam in comoda(forse è attaccato) a Germanis accepta callide texerunt. Quis enim eorum clades a Carbone, seu L. Cassio, aut Scauro Aurelio, vel Servilio Coepione, sive M. Manlio acceptas exacte recenset, quas tamen brevissime Tacitus refert, et Caesar Cassium consulem occisum, exercitum vero eius pulsum esse nequaquam dissimulat. 693Storia, cit., passo a p. 83. 694Reginonis…annales, cit., passo a p. 49i5. 695Germaniae ex variis scriptoribus perbrevis explicatio. Authore Bilibaldo Pirhkeymero Consiliario Cesareo, Augustae apud Hainricum Steiner, Norimbergae, Anno MDXXX in una cinquecentina palatina con scritti di autori varii in Biblioteca Vaticana, pp. 490a1-524e3; d’ora in poi indicata come Germaniae…explicatio. 696Willibald Pirchkeimer, cit., pp. 91-93. 697Cfr. in proposito J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., in particolare p. 105. 698Ivi, Illustri ac generoso domino Herimanno Nevenario Comiti ac Praeposito Coloniensi et c. Bilibaldus Pyrchkeymerus S. D., Nurembergae Kalendis Iulij, MDXXX, p. 491a2. Su Hermannus de Weda (Hermann von Wied) arcivescovo di Colonia passato al luteranesimo nel 1543 si rinvia a C. Eubel-G. Van Gulik, Hierarchia Catholica Medii Aevi sive Summorum Pontificum, s.r.e. cardinalium, ecclesiarum, antistum series, 1898-1910, voll. X, in particolare vol. III, Saeculum XVI ab anno 1503 complectens, 1910, p. 188. 699Ivi: “En tibi comes illustris Germaniam nostram in qua nil certius affirmo, quam quod nihil fere affirmo, attamen ansam fortassis tam tibi, quam eruditis reliquis praebuero, ut exactius, quam nos fecimus, Germaniam nostram illustrent. Quid enim absurduius, quam Germanos orbem descrivere universum, patriam tamen interim propriam nequaquam ex oblivionis vindicare barathro? ”. 700Ivi, a p. 492a3: “Admodum difficile est veteris Germaniae statum ac conditionem esplicare. Non solum ob priscorum scriptorum incuriam, sed quia fero tandem tota peragrata ac cognita est: etenim cum veteres Germani bellis potius, quam litteris operam impenderint, nil mirum, si res preclare ab eis geste interciderint, aut minus fideliter a bexteris relatae sint scriptoribus. Quid enim Graeci praeter fabulas de Germania scripserunt? ”.

135

Page 136: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Quin et nulla praeterquam Paterculi nuper inventu extat istoria, quae Quintilij Varij cum legionibus internitionem explicat. Unde non ab re suspicari licet tam Plinij de bellis Germanicis libros, quam Cornelij ac aliorum scriptabas invidis esse soppressa, ne Germanorum gloria pl’s ut quo excelleret, accedit quod Romani et Greci scriptores ut plurimum ob ignorantiam locorum aberrarunt, non solum ij, qui nunquam ad Germaniam accesserunt, sed et qui res in illa gesserunt, cuius rei vel praecipuum documentum esse potest, quod Caesar flumen Scalde in Mosam influere scribit, ac Strabo Lupiam et Visurgim ad Amasium in unum deferri refert, accedit quod et nomina gentium, locorum ac civitatum, ubique; fere, ob pronunciationis difficultatem, depravata sunt et inversa. Demum vero universalis Germanorum transmigratio omnia confudit ac ita perturbavit, ut in quibusdam potius coniecturam sequi necesse est, quam quod aliquid certi asseri possit: nihilo minus tamen operam dabimus, ut brevissime, et si non omnia, at quaedam saltem loca tanquam e caecis eravamus tenebris, nil in hac re doctioribus praeiudicantes, sed libenter, ubi melius quam nos senserint, herbam porrigentes.”701 Istanze condivise dal Giambullari che motiva il ricorso al Renano nei seguenti termini: “porre un tratto questa provincia, e disegnarla con le parole, più distinta che sia possibile; si perché la Germania vecchia e la nuova, o vogliam dire la moderna, per il vero non sono tutte una; e sì ancora perché i diversi popoli, diversamente sopravenuti in diverse parti di quella, in sì fatta maniera la hanno alterata e confusa tanto per tutto, che se non che i Germani stessi, e massimamente il giudicioso e dotto Renano, ce la hanno aperta e fatta palese, non si potrebbe assegnarne spanna, senza dubbio di grande errore.”702 L’autore ribadisce le profonde differenze intercorrenti tra Germania antica e attuale, e per la prima, secondo quel duplice atteggiamento a cui corrisponde anche il riferimento costante a Tacito come auctoritas sulla Germania antica. In questo senso, infatti, secondo quanto emerge chiaramente dall’elenco dei popoli antichi della Germania, e dal rinvio allo storico romano a proposito dei loro costumi, con cui il Giambullari inizia questo prospetto, la sua Germania costituisce un riferimento ineludibile703: “e che i popoli natii di quella, o che anticamente l’hanno abitata, sono gli Angli, gli Angrivarii, gli Arii, gli Avioni, i Bastarni altrimenti Peucini, i Batavi, i Brutteri,i Burii, i Camavi, i Caninefeti, i Casuari, i Catti, i Cauci, i Cheruci, i Cimbri, i Dulgibini, gli Elisii, gli Eluconi, gli Ermondori, gli Estioni, gli Eudosi, i Fenni, i Fosi, i Frisi, i Gambrivi, i Gottini, i Gottoni, i Longobardi, i Lemonii, i Ligii, i Manimi, i Marcomanni, i Marsi, i Marsigni, i Mattiaci, i Naarvali, i Narici, i Nuitoni, gli Osi, i Peucini cioè Bastarni, i Quadi, i Reudigni, i Ruigi, i Semnoni, i Sitoni, i Svadi, i Svevi, i Svioni, i Tenteri, i Teutoni, i Vandali, i Varini, i Venedi, gli Usipeti…Questi così fatti popoli e genti, che

“Teutones, Cimbri, Marsi, Gambrivij, Svevi, Vandali, Batavi, Caninesates, Mattaci, Catthi, Usipij, Tencteri, Bructeri, Chamavi, Angrivarij, Frisij, Chauci, Cherusci, Dosi, Semnones, Longobardi, Reudigni, Aviones, Anglij, Varini, Eudoses, Suardones, Nuithones, Hermunduri, Narici, Marcomanni, Quadi, Marsigni, Gothini, Osi, Burij, Lygii, Arij, Helvecones, Manimi, Elysij, Naharvali, Gothones, Rugij, Lemonij, Suiones, Aestiones, Sitones, Peuciai sive Bastarne, Fenni ac Venedi ex Cornelio Tacito.”705

701Ivi, passo alle pp. 492a3. 702Storia, cit., passo a p. 87. 703In proposito cfr. De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti…Annalium…, cit., in cui nella seconda parte da p. 634r5 a p. 644s2 sono elencati e trattati tutti i popoli germanici; inoltre al riguardo cfr. G. Costa, Le antichità germaniche, cit., p. 61.

136

Page 137: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

del tutto son quasi spenti, che maniere e modi tenessero circa le loro azioni, si chiaramente lo scrive Cornelio Tacito, che non accade me ragionarne.”704. Anche se come abbiamo evidenziato in precedenza, Tacito, viene criticato nel momento in cui cristallizza la realtà della Germania secondo una prospettiva arcaica incapace ormai di rappresentare la sua attuale configurazione, tuttavia proprio quella condizione arcaica e incontaminata dei suoi popoli tanto idealizzata dallo storico romano, ne ha permesso l’affermazione ed il trionfo storico. Tacito, infatti, evidenzia lo spirito mai domo dei Germani che resistono strenuamente contro i Romani706. Scrive, infatti, il Giambullari, con implicita ma evidente allusione allo storico romano: “Per il che…dico solamente quanto a la istoria, che la antica o vecchia Germania, ancora che lungamente combattuta già dai Romani, e due volte in gran parte fatta soggetta, cioè da Augusto sino in su l’Albi e da Probo sino oltre al Neccaro…non istette però giammai lungamente né pacifica né sottoposta…”707.

“Bis itaque Germaniae vetus redigi in formam provinciae coepit, semel sub Augusto provectis ad Albim usque Romanorum exercitibus, deinde ad Nicrum promoto limite Probi Caesaris principatu.”708

I Germani sconfiggono alla fine i romani e compiono la translatio imperii grazie a questo spirito incorrotto ed indomito. I miti tacitiani, agiscono come una sorta di spiegazione delle cause ultime del passaggio dalla vecchia alla nuova Germania, sebbene profondamente diversa. La nuova Germania, infatti, a livello geografico-storico è molto più estesa di quella antica perché nasce dall’acquisizione di dieci province che si situavano rispettivamente quattro a sinistra del Reno e sei a destra del Danubio, precedentemente amministrate dai Romani709. Nelle seguenti pagine il Giambullari elenca e descrive una per una queste province e la loro strutturazione romana fino alle trasformazioni provocate dalle vittorie germaniche, secondo una ripartizione chiaramente attinta dal Renano ma analoga anche nell’opera del Pirchkeimer710 che parte dalle quattro province a sinistra del Reno:

704Storia, cit., passo alle pp. 87-90. 705Rerum, cit., passo a p. 6a3 e per gli usi e i costumi in stretta dipendenza da Tacito, ivi, p. 7a4 dove leggiamo: “Populi Germaniae veteris in summa libertate vixerunt. Ne tamen putes libertatem in anarchiam elisse, reges ex nobilitate quaeque natio, duces ex virtute sumebant ut scribit Tacitus. […]Adulteria severe puniebant. Noctes interdum epulando transmittebant, non solum dies: nam diem, inquit Tacitus, noctemque continuar potando nulli probrum.” 706Vedi De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti…Annalium, cit., alle pp. 638r7-639r8 in cui leggiamo “sescentesimum et quadragesimum annum urbs nostra agebat cum primum Cimbrorum audita sunt arma Caecilio Metello ac Papirio consulibus. Ex quo si ad alterum imperatoris Traiani consulatum computemos, ducenti ferme et decem anni colliguntur: tam diu Germania vincitur. Medio tam longi aevi spatio multa in vicem damna. Non Samnis, non Poeni, non Hispaniae Gallieve, ne Parthi, quidam saepius admonuere: quippe regno Arsacis acrior est Germanorum libertas. Quid enim aliud nobis quam caedam Crassi, abisso et ipse Pacoro, infra ventidium deiectis Oriens obiecerit? At Germani Carbone et Cassio et Sauro Aurelio et Servilio Caepione Maximoque Mallio fusis vel captis quinque simul consularis exercitus populo Romano, Varum trisque cum eo legiones etiam Caesari abstulerunt, nec impune C. Marius in Italia, divus Iulius in Gallia, Drusus ac Nero et Germanicus in suis eos sedibus perculerunt. Max ingentes c. Caesaris minae in ludibriumi versae. Inde otium, donec occasione discordiae nostrae et civilium armorum expugnatis legionum hibernis etiam Gallias adfectavere ac rursus pulsi. Inde proximis temporibus triumphati magis quam victi sunt.” 707Storia, cit., p. 90. 708Rerum, cit., passo riportato a p. 9b1. 709G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 61-62. 710Nel Germaniae…explicatio, scrive infatti, prima di iniziare la descrizione regione per regione a p. 492a3-493a4: “Proinde licet scriptores plerunque Germaniam a Gallia per Rhenum flumen dividi asserant, constat

137

Page 138: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“Le quali dieci provincie…erano queste: la Massima de’ Sequani, lo Argentoratico, la Germania prima e la Germania seconda, tutte quattro giù lungo il Reno in su la sinistra riva, o vogliam ire dal lato de’ Galli. L’altre sei in su la destra mano del Danubio erano la Rezia prima, la seconda che è Vindelicia, il Norico, la Pannonia prima, la Valeria che è Croazia e la Pannonia seconda.”711 “La Massima adunche de’ Sequani, che oggi è il Contado della Borgogna abbracciava ne’ suoi confini iSequani, gli Elvezii, i Raurici, la diocesi tutta di Basilea con la Sungavia, e con luoghi vicini a Colmarla, sino alla fiumara Eccembaco, la quale un miglio lontana da Selestad parte da questa lo Argentoratico. La sua città principale era in quei tempi Visontio, che oggi è Bisanzone; e vi abitava il governatore soggetto al prefetto pretorio de’ Galli, insieme col generale de’ soldati; i quali accasati nel castello Olinone vicinissimo a dove oggi abbiamo Basilea, difendevano il passo del Reno a chi venisse della Germania.”712

“Provincia iuxta Rhenum. Provinciae Romanorum, veterem Germaniam attingentes sunt, maxima Sequanorum, Tractus Argentoratensis, Germania prima, ac seconda.713[…]Provinciae iuxta Danubium. Romanam Danubij ripam e regione Germaniae veteris attingebat Provinciae romanae, Rhetia prima, Rhetia seconda, sive Vindelicia, Pannonia prima, Valeria ac Pannonia secunda.”714 “Complectitur Maxima Sequanorum, Sequanos interiores, Helvetios, Rauricos, Sequanos exteriores sive cismontanos, ac, ut summatim dicam, totam dioecesim Basiliensem, hoc est, Sungaviam et loca Colmariae vicina usque ad fossam illam terminalem Eccembachi rivi, ubi confinium est Maximae Sequanorum et Tractus Argentoratensis, uno milliario supra Selestadium[…]Utque iam olim…Visontionem caput habebat[…]apud Visontionem habitabat, viro spectabili Vicario septem provinciarum subiectus. Habebat haec quoque provincia suum ducem militarem,…Is apud Olinonem castellum…proxime Basileam, praesidium perpetuum habebat pro custodia limitis in Rheno contra Alemannos.”715

“Lo Argentoratico, allora tratto Argentoratense, e ne di’ nostri chiamato Alsazia, conteneva Argentorato che è Strasburg, Brocomago che è Brump, Elcebo che è Selestad, o molto certo vicino a quello, e quasi la maggior parte della diocesi di Argentina. Il governatore e capo di questa provincia era il Conte di Argentorato, suggetto al generale di Magunzia[…]cominciò a chiamarsi Alsazia, dal fiume anticamente già chiamato Ello, ed

“Maximas Sequanorum excipit Tractus Argentoratensis…ijsdem propemodum finibus olim inclusus quibus nunc diocesis Argentoratensis circunscribitur[…]Continebat Argentorarum, Brocomagum, et Elcebum.[…]Argentoratensi tractui praeerat, ut arbitror, consularis Germaniae primae, praeerat et Comes Argentoratensis,[..]Quem facile est coniectura non solum magistero peditum in praesenti quem et praesentalem vocant, sed ex Magunciacensi Duci,

tamen Romanos eam quoque provinciam, quae ultra Rhenum est, primam ac secundam adpellasse Germaniam: quod profecto minime fecissent, si Germanis quicquid ultra Rhenum est, auferre voluissent, qui pridem ac ante Romanorum adventum in Galliam transierant, illamque incolebant. Unde et lingua et legibus a Gallis, ut Caesar refert, differebant. Ab ea igitur Germaniae parte initium faciemus, quae ultra Danubium sita, et a Romani olim subacta est, indeque ad Rhenum inferiorem accedemus Germaniam demunque, ad Germaniam transgrediemur magnam. Verum sub initium hoc scire refert, Romanos Rhetiam, Vindeliciam et Noricum ab Augusti tempore usque ad Odoacris irruptionem, hoc est, per annos circiter quingentos possedisse, qui cum Italiam occupasset, omnes fere Romani nobis incolas in Italiam reduxit, ne irruentibus Germanis cederent in praedam.” 711Storia, cit., passo alle pp. 90-91. 712Ivi, passo alle pp. 91-92. 713Rerum, cit., passo a p. 11b2. 714Rerum, cit., passo a p. 14b3. 715Rerum, cit., passo a p. 12b2.

138

Page 139: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Illo da alcuni altri, che la divide quasi pe’l mezzo.”716

consularisque Germaniae primae paruisse…Alsatia vulgo Provinciae nomen est, ab Alsa fluvio qui mediam interfluit, olim Elli nunc Illae nomenclatura celebratus.”717

“La Germania prima, da alcuni detta superiore, posta tra lo Argentoratico e lo Obrunca, fiume che gli antichi dissero Mosella, abbracciava tutto il paese dove ora si veggono Spira, Vormazia, Magonzia, Metz, Trier e buona parte di Lotteringia, a’ di nostri detta Loreno…Questa avvenga che fuori di Germania antica, fu chiamata con questo nome, rispetto agli abitatori, che per la maggior parte furono Germani; cioè i Mangioni, i Nemesi, i Triboli, i Treviri, i quali, molti secoli avanti a Cesare avendo passato il Reno, si erano accasati in su quella riva e formatovi lo stato loro. Il governatore di questa sotto i Romani era il generale di Magonzia, il quale aveva sotto di sé undici capitani di soldati, alloggiati con le loro genti in diversi luoghi della provincia, per guardare i passi del Reno, ancora che tutto poi fosse vano. Perché uditasi la morte di Aezio, fatto uccidere dal terzo Valentiniano, gli Alemanni non temendo più dei Romani, passando il Reno per viva forza, non solamente uccisero e spensero gli eserciti e gli abitatori, ma disfatte le castella e le terre, e impadronitisi d’ogni cosa, annullarono in essa ogni memoria e nome romano.”718

“Hinc Germania prima quam elegantiores superiorem vocant, limitibus Argentoratensis dioeceos, Nemetensis, Borbetomagesis et Maguntiacentis, precipue finitur, Mediomatricos ac Treviros attingens. Siquidem hanc ad Obrincam amnem, hoc est, ad Mosellae ripam quod Ptolomeaeus estendere videtur. Magnam itaque Lotharingiae partem olim complectebantur[…]Appellata Germania a Vangionibus, Nemetibus et Tribocis Germanis, qui in hanc Belgicae regionem a veteri Germania transito Rheno immigrarunt.[…]Germaniam primam suus consularis quem arbitror Magonciaci sedem suam habuisse subditum vicario septem provinciarum. Dux certe limitum Rheni Magonciacensis est dictus, quod illic fortasse domicilium haberet. Huic parebant Praefecti militares undecim719[…]Nam omnes hae provinciae a divi Augusti principatu Romanae ditionis fuerunt, donec sub Valentiniano tertio inclinatis Romani imperij rebus a Germanis e veteri inter Rhenum et Danubium Germania agminatim erumpentibus occuparentur, et prorsus germanici iuris fierent. ”720

“La seconda Germania, da molti detta la inferiore, cominciava dove Mosella sbocca nel Reno, e distendendosi sino a l’Oceano, abbracciava ne’ suoi confini gli Ubii, oggi dì colonia Agrippina, i Tungri…e molti altri popoli che non accade specificarli. Governavala uno uomo consolare, come ciascuna delle altre sei provincie della Gallia…”721

“Sequitur Germania secunda sive inferior quae ripam Rheni finit. Habebat urbes maximas Ubiorum Agrippinam quae hodie est fiorentissima priscam magnificentiam opibus et magnitudine longe superans, et Tungrorum oppidum, […]Hac quoque rexit Consularis. Nam hae sex Galliarum provinciae guberanabantur a consularibus…”722

“…la Rezia; la quale, chiamata a dì nostri l’Alpi de’ Grigioni, o la Lega Grigia[…]Gli abitatori di questa erano i Reti stessi, anticamente stati Toscani, i Briganti, i

“Trans Danubium et etiam huius fontem a meridie statim occurit Rhetia quae in primam et secundam dividitur…Prima Alpes etiam complectitur quas Grifonum vocant[…]Plinius

716Storia, cit., passo a p. 92. 717Rerum, cit., passo a p. 12b2. 718Storia, cit., passo a pp. 92-93. 719Rerum, cit., passoa p. 13 b3. 720Ivi, passo a p. 20c2. 721Storia, cit., passo a p. 93. 722Rerum, cit., passo a p. 14b3.

139

Page 140: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Vennoneti, Runte, con una gran parte di quel paese che si chiama Rezia Atesina, o come i Tedeschi dicono Etschlender. Apparteneva questa provincia alla jurisdizione e dominio dello illustre Prefetto Pretorio della Italia…”723.

libro tertio naturalis istoria Vennones inquit, Sarunetesque ortus Rheni amnis accolunt: sive quemadmodum ego legendum arbitror, Vennonetes, Runtetesque. Complectitur in super bonam partem eius regionis, quam latine Rhetia Atesina dici potest. […]Rhetia prima…ad virum illustrem Praefectum praetorio Italiane pertinentes.”724

La seconda Rezia: “Succede poi la seconda Retia, altrimenti Vindelizia; la quale ha per confini a ponente il Lico, a tramontana il Danubio, a levante lo Eno e a mezzogiorno le Alpi. E non è però tanto alpestre, ch’ella non s’allarghi e non si distenda verso il Danubio[…]Queste due Rezie, prima e seconda vennero sotto a’ Romani ne’ tempi di Cesare Augusto, domate per forza d’armi da i due suoi figliastri Druso e Tiberio: e vi si mantennero sotto l’amministrazione d’uno presidente suggetto allo illustre Prefetto pretorio d’Italia…”725.

“Vindelicia adhaeret Rhetiae, vel potius illi inclusa est, terminatur autem ab ortu Flumine Aeno, a meridie Alpibus, ab occasu Lico fluvio, a Septentrionibus Danubio…”726 “Utraque Rhetia versus italiam alpestris est, ad Danubium planior.[…]Rhetiam secundam suus quoque praeses rexit, pertinebatque ad diocesim praefecti Praetorio Italiane. Iam inter duodecim Duces quos Romani in Occidente habebant…Porro de Rhetia vindeliciaque in provinciae forma redacta per Tiberium et Drusum iussu…”727

Il Norico: “Il Norico ha per confini a ponente lo Eno; a tramontana il Danubio; a levante le montagne di Calimbergo, a gli antichi già Monte Cezio della Pannonia; e a mezzogiorno quella parte dell’Austria che i moderni chiamano Corinzia.[…] Dividevasi il Norico in Ripense lungo il Danubio, e in Mediterraneo su verso l’Alpi. Venne suggetto a’ Romani sotto lo imperio di Augusto…”728 “che ultimamente è fatta Baviera.”729

“Noricum incipit ab Aeno fluvio, protenditurque ad ortum Pannoniam usque, superiorem a meridie terminatur monte Carvanca, et Alpibus Noricis, ad Italiam usque; a Septentrionibus aut Danubio…”730 “Id sub Augusto factum est. Inter sex Illyrici provincias Noricum Mediterraneum, et Ripense Noricum annumerantur. Namduas faciunt Noricorum Provincias.”731 “nunc vero inhabitant occasum versus Bavari.”732

La Pannonia prima: “Pannonia prima, da molti superiore e da’ moderni nominata Austria, da ponente ha la Baviera con le montagne di Calimbergo, da tramontana il Danubio, da levante Pannonia

“Pannonia superior. Pannonia terminatur ab occasu Norico: ab ortu vero. Pannonia inferiori, a meridie parte Istriae ac illyridis. A septentrionibus autem Danubio. Nunc vero

723Storia, cit., passo a p. 94. 724Rerum, cit., passo alle pp. 14b3-15b4. 725Storia, cit., passo alle pp. 94-95. 726Germaniae… explicatio, cit., passo a p. 493a4. 727Rerum, cit., passo alle pp. 15-16b4. 728Storia, cit., passo a p. 95. 729Ibidem. 730Germaniae…explicatio, cit., passo a p. 494a5. 731Rerum, cit., passo a p. 16b4. 732Ibidem.

140

Page 141: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

seconda, che oggi si chiama Ungheria, e da mezzogiorno lo Illirico …Il presidente che la governava sotto a’ Romani, teneva il quarto luogo tra tutti i governatori dello Illirico…”733.

illam inhabitant Austriae populi.”734 “Habebat suum praesidem, Inter Illyrici provincias quartum obtinebat locum.”735

La Valeria: “Seguita la Valeria, parte certo della Pannonia, situata fra il Danubio e la Drava; e chiamata primieramente così ad onore di Valeria figliuola dello imperadore Diocliziano, come nel diciannovesimo pone Marcellino. Questa aveva il suo presidente particolare ed uno generale delle armi, con ventisei luoghi forti, dove per difesa del fiume stavano i soldati alla guardia. Perdessi nientedimanco sotto Valentiniano predetto: e, mutando signore o nome da indi innanzi fu poi Croazia.”736

“Inter Danubium et Dravum Panoniae pars est Valeria, sic in honorem Valeriae Diocletiani filiae tum istituta tum cognominata quemadmodum Marcellinus memoriae prodidit. Croatia hodie vocant. Valeria ripensis appellata Praesidem habuit, et proprium ducem militarem…Is militares praefectos equitum et peditum hijs plerumque locis habuit.”737

La seconda Pannonia: “L’ultima delle sei provincie romane che lungo il Danubio fronteggiasse Germania antica, era la seconda Pannonia…Dividevasi nientedimanco in due, chiamandosi distintamente Sava o la Savia tutto ciò che di lei si truova tra la Sva fiume e il Danubio, e quell’altro resto resto Pannonia; avendo ciascuna il suo magistrato, cioè un correttore la Savia, ed un presidente la Pannonia. Avevano però fra loro a comune un Duca, il quale per difesa della provincia, molestata quasi che sempre da gli assalti de’ Quadi e de’ Sarmati, teneva i soldati suoi in ventiquattro luoghi muniti: i nomi de’ quali, nel libro delle romane prefetture, e nella Germania del Renano, sino ad oggi possono vedersi.”738

“Ultima provinciarum que e regione veterem Germaniam spectant in Danubij ripa, est Pannonia seconda, cuius pars Savo flumini imminens Savia dicta est Romanis et Saviensis regio. […]Pannonia secunda praesidem suum habuit, Savia Correctorem, qui unicus per Pannoniam erat. […]Porrò dux Pannoniae secundae ripariensis sive Saviae praefectos militares oppidis diversis collocatos habebat…Haec locorum nomina quae hic et alibi retulimus, continet volumen de Praefecturis Romanis, elegantissimum antiquitatis monumentum. Porrò Pannoniam secundam et Saviam, Sarmatae et Quadi subinde rapinis exhauriebant et fatigabant obsidione…” 739

Non è superfluo ravvisare nel procedimento del Renano l’influenza del metodo del Biondo anche se utilizzato per illustrare e celebrare la nascita storica della nuova Germania740.

733Storia, cit., passo a p. 96. 734Germaniae…explicatio, cit., passo a p. 495a6. 735Rerum, cit., 17c1. 736Storia, cit., passo alle pp. 96-97. 737Rerum, cit., p. 17c1. 738Storia, cit., passo a p. 97. 739Rerum, cit., pp. 17-18c1. 740B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., in particolare p. 32.

141

Page 142: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Il Giambullari, infatti, ricorre all’autore alsaziano, debitore ancora una volta della Germania tacitiana741, per spiegare l’origine storica del termine Germani, in relazione all’espansione dei Teutoni nelle province galliche e quindi romane situate a sinistra del Reno: “Conviene adunque sapere, per trovarne la verità, che il nome della Germania (secondo che dice Tacito) non è ancora che, secondo il Renano, e’ sia pure avanti che Giulio Cesare molti secoli; con ciò sia che anticamente si chiamavano Teutoni; e chiamaronsi così lungamente, fino a tanto che una parte di loro, passato il Reno, entrarono in quella parte della Gallia che fu poi Germania seconda, e vi fermarono le stanze loro. Questi particolarmente furono i Tongri, oggi Brabanzani. A’ quali riuscendo felicemente la fatta impresa, si aggiunsero molti compagni, che non volendo chiamarsi Tongri, né potendo senza la compagnia di que’ primi, aver nome per loro stessi, cercarono di porsi un nome onorevole, e che potesse confarsi a tutti; e trovato che nella lingua loro tanto diceva German, quanto interamente o tutto virile, cominciarono a chiamarsi Germani; come aperto mostra il Renano.”742

“Ex Teutonibus qui primi trans Rhenum in Galliam migrarint, reperio fuisse Tungros. Eosque quum res successisset, tam egregium facinus suspicior novo tum vocabulo Germanos esse dictos. Nam Germanus Teutonica lingua prorsus virilem significat…Aque hoc Germanorum nomen est quod Tacitus ab ipsis Teutonibus inventum asserit, id est excogitatumet sibi inditum, nam cum victricis Tungrorum nationis peculiare vocabulum non omnibus comilitionibus fortassis usurpare liberet, proprium sibi nomen excogitarunt insignm audaciam exprimens, quo deinde Teutones omnes in patrijs adhuc sedibus agentes se plausibiliter appellarunt. Itaque Tacito Germaniae vocabulum recens et nuper additum. Intellige recens si cum priscis illis Marsorum, Gambriviorum, Suevorumque appellationibus conferatur. Alioqui Germania nomen vetustissimum est et multis ante Iulium Caesarem seculis auditum. Porrò Tungri eo tractu consederent, ubi hodieque eius nominis oppidulum est, quae regio postea appellationem secundae Germaniae acquisivit pluribus videlicet Germanorum nationibus Tungrorumque exemplo transgressis. ”743

Anche il più recente nome di “Alemanni” è del resto collegato, dal Renano, alla penetrazione e alla predazione delle terre romane che si trovano a meridione dell’Elba: “Così dunque abbiamo i Germani, da’ quali vennero poi gli Alamanni. I quali, ancora che Teutoni, cioè Todeschi essi ancora, non sono però un popolo particolare, ma una moltitudine varia e di genti e nazioni diverse raccolte in un corpo solo per andare a predare lo altrui; ed è il nome loro assai più moderno che quello de’ Germani. Con ciò sia (per quanto nella vita di Proculo scrisse Vopisco) che nei tempi di esso Proculo, cioè ne gli anni duecentottantuno in circa, gli Alemanni, si chiamavano ancora Germani. E nientedimeno, il nome de gli Alamanni si truova negli scrittori più di sessanta anni

“Novum est Alemannorum nomen, et multo recentius quam Germanorum. Auditum autem est primum, ut suspicor, sub Probo Aug. Fl. Vopiscus in vita Proculi, nam Alemannos, inquit, qui tunc adhuc Germani dicebantur, non sine gloriae splendore contrivit. Cuius causa, quia Germanorum nomen usitatius erat, Alemannorum vero novuum et ignotius, praesertim Provincialibus. Itaque reperio longe antea Antoninum Caracallam Alemannici cognomen usurpasse, quod Alemannorum gentes vicisset. Et Claudium Caesarem qui post Gallienum impavit legimus innumeras Alemannorum cohortes non procul

741De situ, moribus, populis Germaniae libellus, cit., cfr. in particolare p. 622q7. 742Storia, cit., passo alle pp. 98-99. 743Rerum, cit., p. 23c4.

142

Page 143: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

prima; dicendo Elio Sparziano nella vita di Caracalla, che morì nel duecentodiciotto, che scrivendosi egli già da se stesso Germanico, Partico, Arabico e Alamannico, perché aveva vinto gli Alamanni, […]e scrivendo Sesto Aurelio, che Claudio secondo, combattendo non lungi dal lago di Garda con trecento Alemanni, uccise di loro tanto numero che la menade a gran pena si potette ritrarre a casa. Dalle quali testimonianze manifestamente si vede che il nome de gli Alamanni era molte decine avanti a quel tempo che Vopisco ci afferma che essi Alamanni si chiamavano ancora Germani, cioè che non avevano ancora lasciato in tutto il primo cognome per il secondo che da loro si avevano formato: chiamandosi (come dice il Renano) Alamanni, cioè combattenti per ispavento degli avversari, nella maniera (dice egli) che fecero a’ tempi nostri, nella Magna bassa quelle compagnie di soldati, che per maggiore terrore delle genti nominarono se stessi Diavoli. Furono dunque gli Alamanni (come dice Agatia, con l’autorità di Asinio Quadrato, diligentissimo scrittore delle cose germaniche) una moltitudine ragunaticcia, raccolta insieme di vari popoli e compagine di soldati predatori, uscite per la maggior parte de’ Svevi di là dallo Albi, e di altre nazioni più lontane, che volendo passare e fare correrie e prede in su quello dei romani, ad imitazione di que’ primi che i Teutoni si erano voluti chiamare Germani, nominarono se stessi Alamanni per ispavento de’ loro nemici.”744

Benaco lacu contudisse. Huius vocabuli etymologiam rectius explicat Asinius Quadratus, qui apud Agathiam, collectitiam gentem fuisse testatur, quam rem ipsum nomen praeserat. […]Enimvero suspicor quum Germani illi Septentrionales ex magna parte Svevi Transalbiani cum aliquot ulterioribus nationibus, mutare sedes et opportuniora ad depraedandas Romanorum provincias occupare loca constituissent, nam illic prae multitudine potentissimorum populorum, hinc Francorum, illinc, Svevorum, Quadorum et Marcomannorum vix ullus incursioni patebat aditus, imitati priores Germanos, qui transito Rheno primi sibi hoc nominis indiderunt, et ipsi novo vocabulo se Alemannos appellarunt, glorioso quidem nomine sed formidabili consanguineis populis ac miseris provincialibus, nempe quod fortissimi bellatores essent et viri omnes. Nam haec est huius vocis germana interpretatio. Afferam huius rei simile exemplum. Nostra aetate militum manus in inferiori Germania se diabolos appelarunt, ad incutiendum terrorem ijs adversum quos mittebantur.[…]Non aliter ambitiosum hoc vocabulum collectae Germanorum genti fortunamque novam tentaturae placuit.”745

Una descrizione geografico-storica, pertanto, volta a mettere in risalto il dinamico espansionismo dei popoli tedeschi, perfettamente funzionale all’affermazione del concetto di Translatio imperii dai romani ai Germani che, svolta una parentesi sul Danubio, viene chiaramente rafforzata attraverso l’asserzione dell’origine germanica dei Franchi746: “Nasce, dunque, il Danubio nella Svevia da uno non so se dire me lo debbia monte, non essenso eccelso né erto, o più tosto elevato colle, piacevole e di larghe pascione abbondante, da’ Germani chiamato Abnoda o Abnova, che tutto è uno, dal quale piglia l’acqua il cognome, come pone Marziano Cappella, e de’ moderni il dotto Renano,

“Martianus Capella satis innuit Danubium a monte Abnova ubi fontem habet, nomen invenisse, quum inquit, Hister fluvius ortus in Germania de cacumine montis ad novem sexaginta amnes assumens, etiam Danubius vocitatur. Tu scribe, de cacumine montis Abnovae, nam librarij vitium est. Nec curandum Abnoba scibatur an Abnova, pro b

744Storia, cit., passo alle pp. 99-101. 745Rerum, cit., pp. 40e4-41f1. 746G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 62-63.

143

Page 144: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

chiamandosi Danubio quasi venuta da Abnoba, o acqua di Abnova, usando molte volte i Germani la lettera d in vece di articolo, o per segno del genitivo. Ed è questa fonte sua tanto vicina a quella del Reno, che alcuni, e Claudiano stesso con essi, hanno detto che e’ nasce in Rezia, e che ella è madre di tutti e due. La verità nientedimeno è sì fatta: che se ben da la fonte del Reno a questa non ha più spazio che quattro miglia, la roigine pure del Danubio è in Svezia, e non ne la Rezia; e che e’ nasce in principio piccolo, come tutte l’altre fiumare, non ostante che nelle mille dugento miglia che egli ha di corso, ricevendo in sé stesso sessanta fiumare grosse, poiché e’ si ha lasciato a sinistra dopo le spalle Franchi, Boemi, Moravi, Ungheri, Daci e Valacchi, e a destra Svevi, Bavari, Austriani, Pannonj, con la Servia, Rascia e Bolgaria sì copioso di acque si percuote co’l mare maggiore, che ancora che secondo gli antichi con sette bocche, e secondo i moderni con sei, largamente vi si diffonda… ”747.

enim uscimus usurpari. Germani D litera articuli loco addita dicebant Daunou prodie Abnau, Romani Danubium. Equidem Germanicum Abnovae vocabulum collem terrenum et campum pascuum quem nostrates augiam vocant, potius insinuat quam montem sylvosum. Et tali loco Danubij fons est. Proinde Tacitus molle et clementer aeditum montis Abnobae iugum asserit. Caeterum Herodotus ex civitate Pyrrhene Danubium fluere scribit et e Celtis.[…]Siquidem et Danubius fluvius inintio sumpto e Celtis et Pyrrhene civitate fluit, mediam secans Europam. Marcellinus libro XXII. Amnis vero Danubius, inquit, oriens prope Rauracos montes, limitibus Rheticis per latiorem orbem protentus, ac sexaginta navigabileis pene recipiens fluvios, septem ostijs per hoc Scythicum latus erumpit in mare. Haec ille. Tam propinquus autem fuit limiti Rhetiae Germaniae que Daubij fons, ut quidam dixerint Danubium oriri in Rhetia. Claudianus…”748

L’autore, infatti, respinge le fantasiose tesi sull’origine troiana dei Franchi, sostenendo invece il loro carattere di popolo germanico749, originariamente stanziato a stretto contatto con Cauci e Sassoni, secondo la tesi espressa dal Renano, (quardacaso concittadino del Wimpheling):

747Storia, cit., pp. 106-107. 748Rerum, cit., passo a p. 121q1. 749Storia, cit., vedi pp. 108-109.

144

Page 145: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“Gli abitori non sono natii di questa provincia, comunemente detta Franconia, o Francia orientale, a differenza di quella altra che propriamente si chiama Gallia; ma vi sono venuti d’altronde: cioè da Troia, secondo Unibaldo e tutti gli altri seguaci suoi; e secondo il Dotto Renano da lo oceano della Germania, come dopo le novelle de’ Monaci, raccolte con quella più brevità che sarà possibile, ci sforzeremo fare manifesto.”750

“Tamen hic quando de Francis dicendum, commitere non potui, quin de origine nobilissimae gentis longe compertiora traderem quam a quoquam in hunc usque diem prodiga sciam. Nihil autem huc afferam quod non testimonijs autorem fide dignis sim comprobaturus. Neque enim Hunnibaldos et similes scriptores si dijs placet, sequar, quorum somnijs nihil inanius. Primum omnium, satis demirari nequeo veterum istorum licentiam, qui quoties de origine rei cuiuspiam parum constaret, statim ad fabulas confugerint, fortassis in hoc Romanos et alias nationes imitati. Hinc est quod Francos nobis ex Troia deducunt, et de saepe mutatis horum sedibus atque extructa tandem Sicambria meras ineptias comminiscuntur. Nec mirum si rudibus illis seculis olim aussi sunt talia configere haud dubie monachi, nam praeter hos tum nemo norat literas.”751

In realtà è Johannes Thritemius a individuare erroneamente l’origine della monarchia francese nella radice troiana, fondandosi sulle tesi di Unibaldo, per supportare la precedenza storica dei Franchi rispetto ai romani e giustificare di conseguenza la vittoria di Carlo Magno su Roma e la translatio imperii ai Franchi752. Riguardo a questo autore abbastanza chiara appare la distanza del Giambullari: “E delle favole basti questo: vegnamo ora alla verità. Furono gli antichi Franchi, secondo che co’ buoni autori diligentemente mostra il Renano, popolo marittimo della antica e vera Germania, a’ confini de’ Sassoni e Cauci.”753

“Igit Franci maritimus populus fuit, Oceani septentrionalis littus colens iuxta Chaucos ut arbitror Saxones. ”754

Pertanto, sebbene il Tritemio accolga come legittimo il passaggio dell’autorità imperiale dai Carolingi ai Germanici, il Giambullari mostra di non assecondare eccessivamente la sua esaltazione della monarchia francese. Del resto, in linea con le posizioni del Gello e con la stessa logica della Storia, i riferimenti a Carlo Magno sono piuttosto brevi e fugaci atti a rappresentare il permanere di un’idea, quella imperiale, che altrove rinascerà compiutamente e concretamente ma secondo basi statuali. Anche per questo si capisce bene la vicinanza al Renano che respinge le leggende di Unibaldo, evita ogni discussione sulle prerogative imperiali di Carlo Magno e individua nei re Sassoni gli alfieri dello sviluppo della libertà germanica, dopo il declino dei Carolingi755. Il mito della origine troiana della monarchia francese, infatti, assume accanto all’altra tradizione del Rex Christianissimus che accompagna con annessi poteri taumaturgici la figura dei re di Francia una valenza di chiaro sostegno alle pretese francesi al trono imperiale. Rivendicazioni che risalgono addirittura ai tempi di Dante,

750Storia, cit., p. 108. 751Rerum, cit., passo a p. 29d3. 752Rinviamo a B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., p. 30. 753Storia, cit., passo cit. a p. 109. 754Rerum, cit., passo a p. 29d3. 755B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., pp. 32-33.

145

Page 146: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

e che traggono nuova linfa dallo scontro cinquecentesco tra Valois e Asburgo756. Linea sviluppata anche dal Postel in direzione francese in antitesi, come ampiamente visto, rispetto, alla prospettiva germanica filoasburgica sostenuta dal Giambullari. Divergenza, confermato del resto, anche riguardo a Paolo Emilio. Mentre il Giambullari lo utilizza come fonte della Storia, il visionario francese lo reputa inattendibile, in quanto demolisce la radice troiana della monarchia francese757. Questo discrimine peraltro non impedisce comunque al Giambullari il ricorso per la storia francese al Gaguin, già menzionato, convinto assertore della matrice troiana della monarchia francese758. La sconfessione del mito dell’origine troiana della monarchia francese, espressa in questo passaggio, conferma pertanto ulteriormente che il senso complessivo della Storia d’Europa risiede nella giustificazione della translatio imperii nel mondo tedesco. In tal senso anche l’assimilazione dei Franchi a Cauci e Sassoni appare tutt’altro che casuale. I Cauci, infatti, primeggiano tra le tante tribù germaniche descritte da Tacito, esplicitamente richiamato in proposito dal nostro canonico, i Sassoni raccoglieranno dai Franchi la guida dell’impero una volta esaurito il ruolo direttivo dei carolingi discendenti di Carlo Magno. Nella Storia, pertanto, il Giambullari scrive, in chiave evidentemente celebrativa della matrice germanica di queste tribù: “La grandezza dei quali volendoci dimostrare Plinio, non disse i Cauci semplicemente, ma le genti (cioè nazioni diverse) de’ Cauci; e Cornelio Tacito, accennando questo medesimo, dice che i Cauci non solamente posseggono uno spazio immenso di territorio, ma che e’ lo empiono ancora per tutto. Di questi dunque uscirono i Franchi; e da principio furono pirati, come i Sassoni loro vicini; corseggiando le maremme tutte di Gallia.”759 L’importanza del punto e la centralità del problema nella riflessione storico-letteraria del nostro canonico è percepibile anche da una lettera scritta a Vincenzio Borghini il 7 marzo 1548 concernente la legge salica e ripuana, nella quale ancora una volta è dato scorgere la conoscenza ed il non fortuito rapporto con la letteratura storica tedesca medievale e umanistica, attraverso la quale viene ancora tributato un grande rilievo alla translatio imperii nelle mani dei sassoni e all’origine germanica e non troiana dei francesi secondo le tesi del Renano: “Scrive Eginardo nella vita di Carlo Magno queste parole: “Post susceptum imperiale nomen, quam adverteret multa legibus populi sui deesse, etiam Franci duas habent leges plurimis in locis valde diversas, cogitavit que deerant, addere; et

756In proposito rinviamo a Frances A. Yates, L’idea di monarchia in Francia in Charles Quint et l’ideè d’ empire, in Fétes et cérimonies au temps de Charles Quint, a cura di J. Jacquot, Centre nationale de la recherche scientifique, Paris, 1960, ora in Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, cit., pp. 147-152, in particolare p. 147. 757In proposito rinviamo a Claude-Gilbert Dubois, Celtes et Gaulois, cit., p. 63; cfr. inoltre il De rebus gestis Francorum, cit., a p. 2aII dove leggiamo : “Franci se Troia oriundos, esse contendunt. Ea capta, incensaque, nobilissimam civium manum, quos ferrum hostium ignisque non absumpsisset, duce Francione ad Maeotin paludem se contulisse: nec procul ab ea urbem condidisse: quam ad Valentiniam usque Caesarem Valientiniani filium incoluerint: ab eo primum honore auctos , ac in decem annos immunitate donatos, quod rebellantes Alanos in ditionem nominis Romani redegissent: deinde cum circumacto eo temporis spacio ad vectigal pensitandum revocarentur, imperiumque detrectaret, sedibus pulsos, Duce Marcomiro in eam Germaniae regionem quae nunc Franconia est, concessisse.” 758De origine Francorum, cit., cfr. fol. IIbIII in cui leggiamo: “Franci at pleraque aliae nationes a troianis praediisse gloriant. Quibus ob raptam a Paride Helenam in exilium actis …ad Meotydem lacum que Tanais influit, proxime Alanos frazione duce consedit. Ubi ex noie ducis appellatione suscepta: sycambria sibi non mediocrem urbem panoniis finitimam exstruxerunt[…]”. 759Vedi nota 359.

146

Page 147: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

discrepantia unire: prava quoque ac perperam prolata corrigere. Sed in iis nihil aliud ad eo factum est, quam quod pauca capitula, et ea imperfecta legibus addidit.” 760 Riferimento importante anche perché la biografia di Eginardo viene proposta proprio nella silloge basileese del 1532 a testimoniare la continuità degli interessi del Giambullari in proposito e l’assidua riflessione del canonico laurenziano sulle tematiche imperiali e sul rilevante ruolo giocato nelle sue considerazioni dal testo in questione. La lettera infatti continua con la citazione del libricino composto dal conte di Huenara anch’esso presente nella suddetta silloge: “Et hermanno conte di Huenara, in quel libretto che egli scrive a lo Imperatore Carlo V. De la origine e de le sedie prime de Franchi, a questo proposito dice così: “Duas francos habuisse leges, ipsorum authores testantur salicam atque Ripuariam; quibus nullus Regum ante Carolum magnum adijcere quicque temptavit. Ea quum apud ipsos plurimi semper momenti habitae sint; ac in latinam linguam posterioribus saeculis translatae reperiantur; eo maiorem adversarijs autoritatem prestabunt.

Il che dice perché con alcuni vocaboli che sono in quelle vuol provare che i Franchi anticamente sono Germani. Et per questo ancora soggiugne poco di sotto:

“Quod si quis dicere velit Ripuariam legem, solis Ripuarijs fuisse promulgatam; qui francores quidem socij, non de eadem gente erant: opponam illi salicam quae proculdubio antiquissima fuit; secundum quam indicare solebant Franci.”761 La stessa dedica rivolta dallo Huenara a Carlo V insieme al fatto che il suo autore vi intraprende una sistematica demolizione delle tesi troiane di Hunibaldo, documentano ulteriormente della linea filogermanica e antifrancese del testo e ci confortano ulteriormente sull’orientamento assunto dal Giambullari nella Storia762. Poi nel prosieguo della lettera, riguardo alla distinzione tra Franchi e Sassoni, il Giambullari chiama in causa il Renano che evidenzia come la legge salica penalizzi fortemente questi ultimi:

760Vita et gesta Caroli cognomento Magni, Francorum regis fortissimi, et Germaniae suae illustratoris, autorisque optime meriti, per Eginhartum, illius quandoque alumnum atque scribam adiuratum, Germanum conscripta in Vitichindi Saxonis Rerum, cit., pp. 107i6-125L3, il passo citato dal Giambullari nella missiva si trova a p. 121L1. 761Eiusdem Hermanni comitis nuenarii brevis narratio de origine et sedibus priscorum francorum in Vitichindi Saxonis rerum, cit., pp. 99i2-107i6. In realtà alle pp. 99i2-102i3 si trova la lettera dedicataria Invictiss. et clementiss. Ro. Im. Carolo austriaco…Hermannus a Nuenare, sacri imperij Germanici Comes, perpetuam felicitatem, ex Colonia Calendis Februarij. I passi citati nell’epistola si trovano nella seconda parte del breve scritto, rispettivamente, alle pp. 105-106i5. 762Così infatti lo Huenara inizia alle pp. 102i3-103i4 il suo scritto: “De origine et sedibus Francorum pirusquam in Gallias eruperint, eorum qui hactenus eius gentis historiam scripserunt, nemo satis fideliter accurateque tractasse videt. Quidem enim antiquiores, que seculum illud infelicissimum esset, ad fabulas plerunque, plapsi sunt: quoniam delectum non habebant. Nec sine bonarum literarum cognitione de rebus historiae exactum poterant, perferre iudicum. Fuerunt enim inter eos qui a troiano excidio Francorum deducerent gentem, idque tam aperte astruentes, ut etiam regum nomina adscriberet, nescio quid graecanicae, proprietatis subolentia. His omnibus prior ansam dedit Hunibaldus, quem vixisse putant non multo post Thedosij imp. tempora : licet mihi non multo fidei faciat autor tam fabulosos et barbarus: quem quum multis ex causis, tum vel maxime ob id suppositium putaverim, que Theodosij vel Gratiani temporibus nondum adeo degeneraverat in extrema barbariem Latinus sermo, ut tam abiecto stylo scribere potuisset. Praeterea quum, sicut ipse testatur, tam vehemens tunc Francorum in Ro. odium vigeret, ut multis in locis ne vestigia quidam Ro. Relinquenda putaverint, quo illorum memoriam extirpare e Germania atque Gallia possent, mihi verisimile non videtur, Hunibaldum ea ipsa lingua gentis suae historiam tradere voluisse, quam tam acriter, insectabantur omnes, sed opinor studiosum aliquem nonnulla ex Hunibaldo collegisse, eaque suo more sine ordine, sine sudicio sic in volutine redegisse, quemadmodum nunc apud quosdam habentur.[…] ”.

147

Page 148: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“Il Beato Renano ancora nel II libro delle cose di Germania, ragionando de lo stato de la Gallia et della Germania, sotto i re imperatori franchi, dice ipsi franchi nunc salicam legem, nunc romanam, nunc Gombetam praeferebant. Salici Franci maius privilegium habebant. Nam hii solidum xii denararium pro multa solvebant. Si Frisius aut saxo offendisset Salicum Francum, XL. denararium solido multabatur.763 Del resto, nonostante l’attribuzione storico-geografica del fiume Sala alla Germania, attraverso il ricorso a Paolo Emilio ed all’Irenico, Giambullari riconduce evidentemente la legge Salica ai Franchi: Ma perché la tal legge si chiami salica, avvertite che sala è una fiumana della Germania per la quale penetrando (come dice Strabone) Druso nel Brutten, soggiogò quella nazione; et morissi poi finalmente in questo paese medesimo, tra la Sala e l’Albi fiumare notissime della Germania,: et però dice Paolo Emilio nel secondo libro delle istorie di Francia, “A sala flumine salios francos inizio distos sunt qui tradant: atque inde salicam legem noncupatam.764 Et nello VIII, nella vita di Filippo lungo, il medesimo Emilio: “Caeteri Francorum proceres defendebant, ius regni Franciae, virorum tantum, non et mulierum esse; legis salicae verba haec identidem recitantes: in terram salicam, mulieres ne succedant: terram salicam Regnum, Franciamque, interpretabantur. Salicorum Francorum gentem fuisse Ammianus Marcellinus refert: Il medesimo ancora non molto di sotto: “Utriusque tempestatis inclinationem passos Francos: cetera potius ius divina humanaque dissimulari, silerique quorum legem salicam abrogari765 Ma come i Ribuarij, o i Ripuarij non siano Franchi ma compagni dei Franchi, Advertite che lo Irenico nella sua Germania nel libro XII dice così: “Ribuaria, Lociis saxonie est. Saxones et quorum Ribuaria nomine Tellus. Huius loci Geblacense et alii mentionem fecerunt. Così da distinguere pur nel comune ceppo germanico Franchi e Sassoni nel sottolineare piuttosto la translatio imperii dai Franchi ai Sassoni invece che dai Romani ai Germanici, visto che i ripuarii coincidono con i Sassoni così da confermare l’accordo col Renano, marcando una certa distanza con lo Huenara766: “Erano adunque i Ribuarij sassoni e non Franchi. Ma perché lo Imperio nel tempo del conte Ugo e della madre era già trasferito ne’ Sassoni, i monasterij di quella…che assegnate, volendo mostrare che non contraffacevano per quello atto alle leggi imperiali, dicevano,

763Rerum, cit., passo a p. 90m1. 764Pauli Aemylii Veronensis, historici clarissimi, de rebus gestis Francorum, ad christianissimum Galliarum Regem Franciscum Valesium, eius nominis primus, libri Decem, Parisiis imprimebat Michael Vascosanus sibi et Galeotto a Prato, MDXLIIII, (d’ora in poi de rebus gestis Francorum), passo a p. 45f5, lib. II. 765Ivi, lib. VIII, passo a p. 178zIII. 766Il quale peraltro già nella lettera dedicatoria a Carlo V: Invictissimo et clementissimo Imp. Carolo Austriaco, eius nominis v. Hispaniarum, Pannoniae, Dalamtiae, Siciliaeque regi longe potentissimo, Hermannus a Nuenare, sacri Imperii Germanici Comes, perpetuam felicitatem, ivi, pp. 99i2-102i3, esalta la Translatio imperii dal mondo latino a quello franco-germanico e distingue Franchi e Galli, al riguardo vedi il seguente passo alle pp. 100i2-101i3: “Haec Galliam tripartitam toties a nostris maioribus oppugnatam, tandem omni ex parte perdomuit, ipsiusque non modicam partem in hanc nationem transplantavit, ut ab alpibus, unde Rhenus effundit, usque ad occiduum oceanum Germanici iuris sit, quod Gallia prius Belgica dicebat. Reliquum autem Galliae de suo nomine Franciam appellari etiam hoc tempore videmus: unde constat Gallorum non tam victores quam exstinctos fuisse. Haec denique Ro. Imperium tanto tempore toti terrarum orbi non formidabile solum, sed etiam onerosum, brevi tempore contrivit, ipsamque Italiam victricem quondam gentium victoris ferre iugum compulit. Sic Germanorum virtuti cedere coacti sunt Romani, quos neque ferocia Annibalis cum tota Africa neque potentia Antiochi cum sua Asia, nec Pyrrhus, quamvis Graeciae esset imperator, frangere potuerunt.[…]”.

148

Page 149: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

legge…salica et Rebuaria, che è la Salica quanto agli ordinamenti de’ Franchi: et la Robuaria quanto a quegli de’ Sassoni, rispetto ad Arrigo primo et ai tre Ottoni suoi discendenti che furono Sassoni tutti e quattro. Questo è quanto per hora ho da dirvi della legge salica et robuaria: se altro me ne verrà per le mani ve ne farò parte. Et il simile sarete contento fare voi ancora, circa le più antiche memorie, de Privilegii et di altre scritture, pertinenti a la vita di Firenze o del dominio di quella, che per il vero ogni notizia che se ne habbia; mi fia carissima.”767 Del resto, il Giambullari, nella evidente fedeltà al Renano confermata anche tornando sul testo, non può che evidenziare chiaramente l’alterità di Galli e Franchi, in accordo anche con il Huenara e soffermandosi sulle lotte di questi ultimi contro Roma: “Di questi dunque uscirono i Franchi; e da principio furono pirati…E venedone ancora bene spesso per la fiumara del Reno dentro alla seconda Germania a predarla e correrla tutta. De la quale cacciati per forza d’arme da lo imperatore Costantio padre di Costantino, e ripinti di là dal Reno, circa il dugentonavantaquattresimo anno della Salute, non restarono però per questo di ritornare a predarla sotto Diocliziano; come aperto mostra Eutropio, oltre a tanti panegiristi, quanti scrissero in quella età lodando ed esaltando que’ principi de lo havere liberato la Batavia, che oggi dì è Olanda, da la violenza de’ Franchi, e restituito all’Imperio i confini e termini suoi; e Costantio massimamente, che fu capo di quella impresa. Lodarono eziandio Costantino suo figliuolo per aver non solamente abbattuti i Franchi, che erano tornati pure a predare, ma preso ancora Ascario e Ragaiso, duoi re di questo popolo indomito, e per ispavento di tutti gli altri, dopo diversi tormenti orribili, avergli messi nel teatro pubblico ad essere stracciati e smembratida le ferocissime bestie quivi condotte per questo effetto.”768

“ Proinde facile est videre videre quae nam proprie Francorum sedes fuerint et quidem avitae : siquidem non frustra addit Panegyristes, ex origine sui, sive ex originis suae sedibus, nempe tractus littoralis Oceani Germanici. Hinc quum in Galliam itinere pedestri incursare libuisset, praecipue Bataviam per Chaucos et Frisios infestabant, et extremae Galliae.[…]Aut haec ipsa, inquit, quae modo desinit esse Barbaria, non magis feritate Francorum velut hausta desederat, quam si eam circumfusa flumina et mare alluens operuisset. Id praecipue factum sub Costantio patrem Costantini. Bataviae liberationem omnes Panegyristae Con stantio ferunt acceptam, quorum unus ad Maximianum et Costantinum orans sic Costantij patris meminit. Multa ille, inquit, Francorum milia, qui Bataviam aliasque…Rhenum Terras invaserant, interfecit, depulit, abduxit.769 […]Sed et Eutropius in Diocletiano refert Francos et Saxonas mare Gallicum infestasse. Per haec, inquit, tempora etiam Carausius, qui vilissime natus, in Serenae militiate ordine famam egregiam fuerat consecutus, quum apud Bonomiam per tractum Belgicae et Aremoricae, pacandum mare accepisset, quod Franci et Saxones infestabant…”770 […] Itaque Constantinus adhuc adulescens patrem imitatus, Francos depellere est aggressus, et affuit fortuna. Siquidem duos Francorum reges cepit, Ascarichum et Ragaysum qui primi sunt quorum apud idoneos autores fiat mentio, nec illorum vitae

767Lettera nel manoscritto Memorie e opere, cit., pp. 23-24. 768Storia, cit., p.109-110. 769Rerum, cit., passo a p. 30d3. 770Ivi, cit., p. 31d4.

149

Page 150: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

pepercit, sed in terrorem Francorum, diris excruciatos supplicijs trucidari iussit. ”771

Affrontato il nodo della derivazione dei Franchi, all’interno dell’ampia digressione storico-geografica sui popoli germanici, il Giambullari, ritorna sul problema con cui si apre l’azione della storia a causa della superficialità di Arnolfo: gli Ungheri. Essi infatti, invadono la Germania, depredandola davanti agli occhi del nuovo imperatore Ludovico, del tutto impotente. La situazione, inoltre, è aggravata dalle contese interne all’aristocrazia germanica, ulteriore spia del malessere dell’impero. Ancora Reginone, attento ad evidenziare il permanente stato di guerra interno all’aristocrazia imperiale, è il riferimento del Giambullari772. Intanto in Italia, Berengario entra a Verona e trionfa su Ludovico Bosone recuperando il regno d’Italia: “…e presentatosi di notte fino a le mura secondo l’ordine posto prima con alcuni cittadini suoi amici che lo avevano fatto venire, fu ricevuto subito dentro con le genti che aveva seco. Ed egli non dando sosta alcuna o indugio a colorire il disegno suo, dirizzatosi al monte ed a le abitazioni della chiesa di San Pietro, dove, e per la bellezza del luogo e per maggior suo comodo, abitava il re Lodovico, prima che i nemici appena il sentissero, si impadronì per forza del tutto. Lodovico, udito lo strepito e vedutosi senza difesa, celatissimamente si fuggì in chiesa, e tacitamente vi si nascose di maniera che e’ non fu né conosciuto né visto se non solamente da uno de’ soldati di Berengario. Costui, dubitando e temendo che Lodovico non fusse ucciso se da gli altri fusse trovato, cercò di assicurarsi con Berengario de la vita almeno del prigione; e per questo andatone a lui…”Poi che Iddio vi ama tanto, che e’ vi ha fatto signore del vostro avversario, ben dovete voi ancora, per amor suo vincendo l’ire e gli sdegni vostri, usare di quella clemenza, che da lui stesso ci è comandata”. Berengario, come persona savia ed astuta, si accorse a queste parole che ei sapeva il nascoso; e per farglielo confessare amorevolmente: “Credi tu però…uomo di poco giudicio, che io vogilia uccidere quel re che Dio ha dato nelle mie mani? Or non debbo io molto più imitare il santissimo David, che potendo con ogni sicurtà uccidere Saulle suo avversario, lo lasciò libero e in santa pace, non perché e’ non potesse farne a suo modo, ma perché gli

“In huius vero collis summitate preciosi operis ecclesia est fabbricata, et in honore beatissimi Petri apostolorum principis consacrata, ubi et pro amoenitatem ecclesiae, locique munitionem Ludovicus manebat. Berengarius denique, ut prefati sumus noctu civitatem ingressus, clam Ludovico suis cum miltibus pontem pertransiens, in ipso aurorae crepusculo hunc usque advenit. Qui clamore strepituque militum excitatus sciscitat quid esset, in ecclesiam fugit, nullusque eum praeter Berengarij militum unum ubi esset agnovit. Qui misericordia motus, noluit hunc prodere, sed celare. Timens vero idem, ne ab alijs repertus proderetur, vitaque multaret. Berengarius adijt, eumque ita convenit, Quandoquidem tanti deus te habuit, ut tuum proprias in manus traderet hostem, debes et te eius monita, imo precepta magnifacere : infit enim, Estote misericordes, sicut et pa. Ve. Mi. Est. Nolite iudicare, et non iudicabimini: nolite condemnare, et non condemnabimini. Intellexit itaque Berengarius, ut vir non incallidus, hunc quo ipse lateret scire locum, eumque hac sophistica responsione decepit. Putas ne me insulse quem mihi domius tradidit hominem imo regem velle occidere? Numquid et David sanctus regem Saulem a deo sibi in manus traditum servavit, non quod uccidere? Nunquid et David sanctus regem Saulem a deo sibi in manus traditum servavit, non quod uccidere non potuit, sed quia non voluit? His sermonibus miles inclinatus locum ostendit, in quem confugerat Ludovicus. Qui captus, et

771Ivi, cit., passo a p. 32d4. 772Storia, cit., pp. 111-114, e soprattutto nota sul passaggio 256-263 a p.111.

150

Page 151: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

piacque conservarlo?[…]Il soldato persuaso da questo dire…insegnò subito a Beregario dove fusse il re Lodovico. Berengario…fattolo venire al suo cospetto, gli parlò in questa maniera: “Fino a quanto tu vorraiperò, o Lodovico, senza fede, usare malamente quella benignità e quella pazienza che abbiamo avuto verso di te? Potrai tu giammai denegare di non essere stato altra volta in podestà nostra[…]Or non mi giurasti tu allora spontaneamente…di non tornare più nell’Italia, o noiarmi lo stato mio?[…]per non mancare de la mia promessa a colui che mi ti insegnò, ti concedo e ti do la vita…eccetto che gli occhi, perché questi voglio a Verona…” Così disse allora Berengario…comandò che gli fussero tratti gli occhi: il che fu eseguito subito…Berengario…si rimase re della Italia…”773

ante Berengarij praesantiam ductus, huiusmodi a Berengario sermonibus increpatur. Quousque tandem abutere Ludovice patientia nostra ? Num inficiari potes te illo tempore meijs praesidijs, mea diligentia circumclusum, comovere etiam contra non potuisse, meque misericordia inclinatum, quae tibi nulla debebatur, te dimisisse? Sensisti ne inquam te periurum in istis esse victum? Confirmasti sane mihi teipsum nunque Italiam ingressurum. Vitam tibi sicut ei qui te mihi prodidit promiserat, concedo: oculos vero tibi auferri non solum iubeo sed compello. His dictis Ludovicus lumine privatur, et Brengarius regno potit.”774

Il Giambullari, torna, però a trattare degli Ungheri, chiamati in causa, quasi in una speculare corrispondenza con Arnolfo, da Leone V imperatore orientale per fronteggiare le violenze e la guerra intrapresa dai Bulgari capeggiati dal loro capo Simeone. Nonostante la loro conversione al cristianesimo, essi costituiscono una terribile spina nel fianco dell’impero bizantino, avendo ottenuto da Costantino IV il possesso delle due Misie terre dalle quali come l’autore precisa “ancora che molestati poi molte volte da gli altri imperatori che successero, non furono però cacciati giamai, o rimossi…anzi sempre si stettero dove a dì nostri si stanno ancora.”775 Prima del racconto sullo scontro tra Leone ed i Bulgari viene ribadito sulla base del passo dell’Irenico già incontrato la provenienza dei Bulgari dalla Scandia e la loro origine germanica. Fonte privilegiata del dissidio bizantino-bulgaro in cui Leone chiede l’intervento degli Ungheri, i quali poi si rivolgono alla predazione della nostra penisola. Il racconto del Giambullari riceve evidente linfa da Liutprando: “Gli Unghieri predato e corso tutti i paesi detti di sopra, arrivando a confini della Italia, avanti che entrassero in quella, mandarono alcuni de’ loro che, fingendosi d’altra nazione, considerassino copertamente la qualità del paese e la materia e forze di quello, e ne recassero notizia intera. Costoro considerando il tutto con diligenza e squadrato bene ogni cosa, ritornati alle genti loro, riferirono pubblicamente, il paese ricchissimo e abbondantissimo, con città grandi e forti, con castella quasi infinite; ma si copioso di abitatori, che a loro non pareva a proposito il tentarlo con quello esercito: perché se bene per esperienza non si sapeva

“Nam Bulgarorum gentem atque Graecorum tributariam fecerant, ne quid inexpertum his esset, quae sub meridiano atque sub orientali degerent climate nationes visere fatagunt: immenso taque innumerabilique exercitu miseram petunt Italiam. Quumque iuxta fluvium Brennam defixis tentorialis, imo centonibus, triduo exploratoribus directis qui terrae situm gentisque multitudinem seu raritatem considerarent, repedantibus nuncijs huiusmodi responsa suspiciunt. Planicies haec nonnullis plena colonis, uno et cernitis ex latere montibus asperrimis atque fertilibus, altero mari cingitur Adriatico: oppida vero tum nonnulla, tum munitissima: gentis

773Ivi, passo alle pp. 114-115. 774Liuthprandi, cit., passo alle pp. 245x3-246x3. 775Storia, cit., passo a p. 118.

151

Page 152: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

se la gente veduta era armigera ed animosa, o pure timida e mercantile, e’ si vedeva nientedimeno sì popoloso tutto il paese, che il meglio era tornare a casa; dove mettendo insieme più gente, ed esercitando quella vernata la gioventù in su l’armi, potrebbono a primavera venirvi sì gagliardi e tanto provvisti, che non arebbono di che temere; anzi col numero e tcon la fierezza sapventerebbono tanto i nimici, che non ardirebbono pure di aspettare, non che di opporsi armati resistere. Alla moltitudine piacque il consiglio, e così chi la guidava. Laonde, senza intromettersi ad altra impresa, si tornarono in Ungheria; e, secondo l’ordine posto, attesero tutto quel verno ad esercitare i giovani, a fornirsi di archi e di frecce, ed a prepararsi copiosamente di tutte le cose a loro necessarie, per venire a acotanta impresa. Alo entrare nel mese di aprile, uscirono in su la campagna, e con esercito innumerabile, per la solita strada de’ Barbari, cioè per la via del Frigoli (porta piacevolissima, lasciata aperta da la natura per gastigare le colpe d’Italia), se ne vennero senza contrasto, non solamente a la già spianata Aquileia. Ma a Padova e a Verona, e finalmente sino a Pavia. Berengario, udendo come e venivano, e meravigliandosi…di questa nuova gente, della quale sapeva appena il nome, fece subito dare a le armi in Toscana, in Lazio, in Umbria, in Romagna e per tutta la Lombardia; e così posto insieme un esercito per tre volte maggiore che lo unghero, ne andò subito contro al nemico.[…]776Di maniera che vedendosi egli tanto gagliardo in su la campagna, si prometteva il trionfo certissimo: ed attribuendo molto più alla virtù delle genti sue che a Dio, non solamente cercava lo aiuto vero, ma né in parte lo umano ancora. Con ciò sia che, ritiratosi con alquanti famigliari in uno castelletto vicino…attendeva molto più a diletti suoi, che a la cura di tanto esercito. Gli Ungheri veggendosi a petto, una

quanque ignoretur imbecillitas aut fortitudo, immensa tamen conspicitur multitudo. Neque enim hanc tam paucis copijs invadere hortamur: verum quum nonnullae sint res quae nos pugnare compellant, triumphus scilicet assuetus, animi fortitudo, pugnandi scientia, opes paesertim quorum desiderium fatigamur, que hic tot insunt, quot toto in orbe nec vidimus nec videre speravimus: nobis tamen consultis, neque enim longum arduumve remeandi iter est, quod decem potest et eo minus diebus perfici, revertamur quatenus vere omnibus gentis nostre collectis fortissime redeamus, sitque his tum in fortitudine, tum nostra in moltitudine terror. Nec mora, his auditis, ad propria revertuntur, totamque hyemis asperitatem in fabricandis armis, in acuendis spiculis, in docendis iuvenibus belli notitiam ducunt. Sol necdum piscis signum deserens, arietis occupabat, quum immenso atque immumerabili exercitu collecto Italiam petunt. Aquileiam et Veronam pertranseunt munitissimas civitates, et Ticinum quae nunc alio excellentiori vocabolo Papia vocatur, nullis resistentibus veniunt. Rex igitur Berengarius tam praeclarum novumque facinus satis mirari non potuit: antehac enim neque nomen gentis huius audierat. Italorum igitur Thuscorum, Volscorum, Camerinorum, Spoletinorum quosdam libris, slios nuncijs directis, omnes tamen in unum venire praecepit, factusque est exercitus triplo Hungarorum validior.[…]Quumque sibi Berengarius tot adesse copias cerneret, superbie spiritu inflatus, magisque triumphum de hostibus moltitudini suae quam Deo tribuens, solus cum paucis quodam in oppidulo degens, volutati operam dabat. Quid igitur? Tantam mox ut Hungari contemplati multitudinem animo costernati, quid facerent, deliberare non poterant praeliari penitus formidabant, fugere omnino nequibant: verum inter utramque hanc aestuationem fugere magis quam praeliari iuvat: persequentibus

776È un dato che l’autore ricava basandosi ancora su Liutprando citato direttamente a confutare le stime svolte da altri autori grazie ancora alla sua vicinanza agli eventi, in una precisazione che interrompe la collazione Storia, cit., p. 26: Gli scrittori da cento anni in qua, dicono che il re Berengario si oppose a costoro con quindicimila cavalli solamente; il che non pare appena credibile: ma Liutprando, che scrisse pochi anni dopo, e dice che la moltitudine degli Ungheri era quasi infinita, dice ancora che lo esercito di Berengario fu tre volte maggiore di quella.” 777Storia, cit., passo alle pp. 125-131. 778Liuthprandi, cit., pp.237u5-240u6.

152

Page 153: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

moltitudine tanto grande…cominciarono a mancare di animo, e a non sapere troppo bene che partito dovessimo prendere, non volendo combattere a di svantaggio sì manifesto, e potendosi male ritrarre per le tante fiumare che si avevano lasciato dopo. Giudicarono nientedimeno che assai meglio fusse il fuggirsi: per il che diloggiati una notte senza rumore, si condussero fino in su l’Adda prima che i nostri li racquistassero. Nel passare l’Adda con troppa fretta ve ne affogarono quantità grande…Veggendosi adunque a sì mal partito, mandarono ambasciatori a’ Cristiani ad offerire di lasciare la preda, e rifare ogni danno dato, se e’ volevano lasciargli andare…Ma le genti di Berengario, che già pensavano molto più a le funi e a le catene da legare i prigioni, che a le armi da conquistargli, negarono tutti gli accordi, e…gli ingiuriarono acerbamente. Gli Ungheri, mal contenti de la risposta, ripigliarono il partito primo, e fuggendo come e’ potevano, si condussero presso a Verona. Ma raggiunti in quella campagna dalla cavalleria de’ Lombardi, cominciarono a scarammuciare...ed ebbero sempre vantaggio gli Ungheri mentre i Lombardi non ingrossarono; ma come le moltitudine sopraggiunse, ritornarono a marciare via, e i nostri pure a seguirgli. Pervenuti dunque a la Brenta, e passatala prestamente, si trovarono tanto stracchi, e si spedati e lassi i cavalli, che, disperatisi del fuggire, si fermarono su la fiumara. A la quale arrivati i Lombardi, e fermati gli alloggiamenti, divisi solamente dal fiume, mandarono gli Ungheri nuovamente a cercare un altro partito; cioè di lasciare liberamente tutti i prigioni, le robe, l’armi, i cavalli, riserbatone solamente uno per uomo da potersi tornare a casa; e di obbligarsi a non tornare mai più in Italia durante la vita loro, dandone per sicurtà tanti statichi, quanti i Lombardi stessi volevano, pure che ellino acconsentissero di lasciarneli andare in pace. Ma gli orgogliosi Cristiani, insuperbiti vie più che prima, non accettarono i prieghi loro, e non volsero accordo alcuno. Gli Ungheri, tornati gli ambasciatori, e uditosi apertamente che non bisognava sperare accordo, disperatisi di ogni cosa e della vita principalmente, si ragunarono tutti insieme, e cominciarono a consigliarsi insieme come

Christianis, Abduam fluvium natando ita ut nimia festinatione plurimi submergerentur, transeunt. Hungari denique consilio non malo accepto per internuncios Christianos rogant, quatenus preda omni cum lucro reddita ipsi incolumes remeare possent. Quam petitionem Cristiani funditus abdicantes, his proh dolor insultabant, potius que vincula quibus Hungari vincirentur, quam arma quibus necarentur exquirunt. Quumque pagani Christianorum animos hoc pacto mulcere nequirent, vetus rati consilium melius, coepta sese liberare fuga satagunt, sic que fuggendo in Veronenses campos perveniunt. Christianorum primi horum iam novissimos insequuntur, sit que eodem pugnae praeludium, in quo victoria habuere pagani: validiore vero propinquante exercitu fugae non immemores, coeptum iter percurrunt. Veneruntque Christicolae cum idololatris iuxta fluvium Brennam: equi enim nimium defatigati fugiendi copiam negabat(nt?) Hungaris. Simul igitur utraeque acies convenere, memorati tantummodo fluvij alveo separatae. Hungari denique nimio terrore coacti, omnem supellectilem, captivos, arma omnia, equos, singulis tamen quibus cum remeare possent retentis dare promittunt: hoc praeterea in honorem suae petitionis adiungunt, ut si vita tantum comite datis omnibus illos remeare permitterent, se nunquam Italiam amplius ingressuros filijs suis obsidibus datis. Verum heu Cristiani superbiae tumore decepti, minis paganos ceu iam victos insequuntur, eisque continuo huiusmodi apologiam remitttunt. Si contraditum nobis, praesertim a contraditis iamque canibus mortuis munus reciperemus, foedusque aliquod iniremus, insanos capite non sanus iuret Orestes. […]Hac igitur legatione Hungari desperantes, collectis in unum fortissimis, tali sese mutuo sermone solantur. Si haec quae in praesentiarum cernitur, luce perdita, nihil est, quod deterius provenire possit hominibus, et quia locus precij nullus, fugiendi spes omnis ablata, colla submittere mori est, quid verendum est nobis tela inter ipsa ruere, morte mortem inferre? Numquid non fortunae et non rimbecillitati casus deputandus noster? Viriliter enim pugnando soccumbere, non est mori, sed vivere. Hanc famam

153

Page 154: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

fusse da governarla. Era per avventura tra loro un soldato assai bene di tempo, molto pratico nelle guerre, e molto famoso per le vittorie. Costui, veggendo tacere i capi maggiori, e che nessuno ardiva risolverla, salito in luogo eminente, e rivoltosi due o tre volte con gli occhi per ogni banda, cominciò a parlare in questa maniera: dove, dove sono fuggiti al presente, valorosi compagni miei quelle rare vostre virtù, ferocità, fortezza e audacia, co’l dipregio stesso della morte, le quali fino al giorno presente con somma gloria di tutta Scizia, vi hanno alzati sopra alle stelle?[…]Dove sono quegli animi eccelsi, che per farsi immortali al mondo, soggiogarono la Pannonia, la Tracia, la Macedonia, la Schiavonia, la Germania, la Gallia, e quella istessa Italia, dove noi, loro figliuoli, pensiamo ora solo fuggire, o a darci forse prigioni con vergogna vie più che eterna? […]è possibile che i maggiori nostri ci lasciassero tante province, tante vittorie, tanti trofei; e che noi vogliamo lasciare a chi verrà dopo noi tanta vergogna, cotanto obbrobrio sì sempiterno? […]Non lasciarono seguir più oltre, né aspettarono più argomento a ripigliare il furore usato: ma tutti ugualmente e da ogni banda, riscaldati già dalla rabbia antica…guadata la fiumara, furono prima dentro agli alloggiamenti de’ loro nimici, che le guardie se ne accorgessero. Quivi, trovando il tutto sprovvisto, e ciascun dedito a’ suoi piaceri, cominciarono si fatta strage, anzi più tosto macello orribile, che ben presto furono al di sopra, non solo per la fierezza loro…ma perché gli Italiani, al solito loro (dice Liutprando) poco amici l’uno dell’altro, non soccorrevano i loro vicini[…]La uccisione fu grandissima, sì per esser grande lo esercito, e sì per lo sdegno immortale degli Ungheri. I quali ricordandosi iratamente come poco avanti non avevano voluto i cristiani accordarsi a le cose giuste, non accettavano priego alcuno, né avevano misericordia di qualità, di sesso, di età, ma tutto mettevano a filo di spada. Appresso non contenti de la vittoria e di avere spento il nemico si voltarono i di seguenti a predare il paese intorno…”777

tantam…haereditatem ut a patribus nostris accepimus, etiam relinquamus haeredibus. Nobis debemus, nobis saltem credere expertis, qui copiarum paucitate nonnunquam plurimus stravimus. Invalidae plaebis sane congregatio plurima ad caedem tantum est exposita. Sed et fugientem saepissime mars perimit: dimicantem fortiter protegit. Hi enim qui nobis supplicantibus non miserentur, ignorant, neque mente percipiunt, quia vincere quidam bonum est, supervincere nimis invidiosum. Hac itaque exhortatione utcunque animos recreati, tres in partes insidias disponunt, recta ipsi fluvium transeundo hostes in medios ruunt. Christianorum enim plurimi longa propter internuncios expectatione defatigati, per castra ut cibo recrearentur descenderant, quos tanta Hungari celeritate confoderunt, ut in gula cibum transfigerent, alijs quibusdam fugam equis negarent ablatis. Eoque illos lvius perimebant, quod sine equis eos esse conspexerant. Ad augmentum sane perditionis Christianorum non parva inter eos erat discordia. Nonnulli Hungaris non solum pugnam non inferebant, sed ut proximi caderent anhelabant, atque hoc ipsi perversi perverse fecerant, quatenus dum proximi caderent, soli ipsi liberius quasi regnarent. Qui dum proximorum necessitatibus subvenire negligunt, eorumque necem diligunt, ipsi propriam incurrunt. Fugiunt itaque Christiani, saeviuntque pagani, qui prius placare muneribus nequibant, supplicantibus postmodum parcere nesciebant. Interfectis denique fugatisque Christianis, omnia Hungari regni loca, saeviendo percurrunt. ”778

154

Page 155: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Certamente all’interno della generale ispirazione fornita da Liutprando invocato direttamente nel passaggio in questione dall’autore per ben due volte, e recuperato in modo estremamente accurato come dimostra la collazione, non vanno trascurati i passaggi in cui il Giambullari arrichisce notevolmente le valutazioni della sua fonte accentuandone notevolmente l’impatto e la forza dei concetti espressi dalla sua fonte. Una dinamica già utilizzata per evidenziare l’esempio e l’azione di Alberto che offre una lezione alla nobiltà italiana a indicare forse che l’eccessivo gusto per la descrizione del Giambullari non è determinato da motivazioni esclusivamente estetico-letterarie. Significativi in tal senso appaiono l’orazione fatta dal soldato unghero e soprattutto l’ampio passaggio sulla divisione degli italiani. Elementi tutti già chiaramente connotati in Liutprando col quale si rivela una sostanziale identità di giudizio ma che vengono utlteriormente amplificati sulla base dei due motivi centrali di questo passaggio, uno più generale, l’altro più particolare. Da un lato, infatti, emerge l’arroganza e la superficialità di Berengario e dei Cristiani che soccombono per la loro leggerezza nonostante la schiacciante superiorità militare che a lungo annichila anche moralmente gli Ungheri. Dall’altro, il motivo delle colpe italiane rinvenibile nella strutturale divisione italica che viene trattato dal Giambullari fin dal primo libro dell’opera come abbiamo visto nella presa di Roma da parte di Arnolfo. Del resto in proposito, non può ignorarsi neanche la considerazione posta tra parentesi nell’ampio passo citato a proposito del Frigoli da cui gli Ungheri penetrano in Italia che richiama esplicitamente queste valutazioni. Responsabilità indirettamente sottolineate e aggravate dall’evidenza attribuita alla ferocia con cui gli Ungheri predano l’Italia e l’intero orbe cristiano779. Rispetto a queste coordinate, risalta ancora di più la netta affermazione che contrariamente a Berengario, invece Venezia consegue contro gli Ungheri riportata dal Giambullari sulla falsariga del Sabellico, a conferma di una propensione favorevole alla Serenissima780. Svolta una parentesi spagnola incentrata sulla minaccia esercitata dai Mori, verso la Res publica christiana, l’obiettivo si sposta decisamente sulla situazione tedesca ed in particolare sulla Sassonia, pienamente coinvolta nel gorgo di distruzione generato dagli Ungheri che vengono chiamati contro di essa dagli infedeli schiavoni. L’autore, introduce una fonte ad hoc, sulla storia di questa regione nevralgica dell’Impero come vedremo specialmente nel prosieguo: Widukindo abate di Corvay781 autore del Saxonis Rerum782. Nel codice autografo differentemente rispetto alla lezione a stampa Widukindo veniva menzionato direttamente addirittura a p. 5 come rilevato dal Kirner, invece ancora in queste pagine possiamo desumere l’utilizzazione di questo autore soltanto dalla collazione e non da una citazoine diretta: “E per questo, convenuti segretamente con gli Unghieri, pure allora tornati d’Italia li condussero nella Sassonia, senza altrimenti considerare, che per caare uno occhio al vicino, li cavavano a sé tutti duoi. Gli Ungheri…predarono e guastarono il tutto…Ma quando non vi trovarono più da rubare…per la via della Dalmazia se ne tornavano già lieti a casa quando scontrati in uno altro esercito de’ loro medesimi che

“Praedictus igit exercitus Ungarorum a Sclavis conductus multa strage in Saxonia facta, et infinita capta praeda, in Dalmatiam reversi, obvium invenerunt alium exercitum Ungarorum, qui comminati sunt bellum inferre amicis eorum, eo que auxilia eorum sprevissent, dum illos ad tantam praedam duxissent. Unde factum est ut secondo vastarent Saxonia ab Ungaris, et priori exercitu in Dalmatia secundu expectante,

779L’attenzione del Giambullari, viene attestata anche dal ricorso a Buonfino nella descrizione delle razzie italiane degli Ungheri citato proprio in Storia, cit., a p. 131. 780Ivi, pp. 132-135, in particolare sulla citazione del Sabellico p. 133 e relativa nota della Marangoni. 781Sul quale vedi la voce Witichind in Répertoire des sources historiques, cit., II vol., pp. 4783-4784. 782Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io. Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII; d’ora in poi Vuitichindi.

155

Page 156: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

venivano pre a predare…lasciando la Dalamzia tanto diminuita e sì consumata di vettovaglie, che i popoli furono costretti lasciare quello anno il paese voto, e cercarsi il vitto per il mondo, non essendo restato a casa da potersi mantenere vivo.”783

ipsa quoque in tantam penuriae miseriam ducta sit, ut alijs nationibus eo anno relicto proprio solo pro annona servirent.”784

Peraltro, la fonte dominante in fatto di vicende tedesche e specificamente sassoni torna ad essere come nella prima parte del II libro della Storia d’Europa Beato Renano fedelmente seguito dal Giambullari anche a proposito dell’origine dei Sassoni e delle loro vicende storiche: “Dico seguitando il dotto Renano, che i Sassoni, da Tacito non nominati, ma da Tolomeo sì, furono popoli ferocissimi del mare di Germania, cioè o degli estremi liti di quella vicini a’ Franchi, o piuttosto usciti delle Isole: e che e’ furono pirati, come in Sidonio si può vedere, ed avanti a lui in Eutropio, che descrivendo le cose dello imperadore Diocleziano, dice così: “In questi tempi medesimi usurpò la porpora imperiale Carausio, che vilissimamente nato, ma famosissimo per la milizia, avendo avuto la cura per tutta la Piccardia e la Fiandra di tener sicuro lo Oceano, corseggiato da’ Franchi e da’ Sassoni”…”785

“Saxonum non meminit Cornelius Tacitus sicut nec Francorum quod incelebres essent et oscuri, meminit Ptolomeus…Accolasque maris Germanici partim fuisse docet, sed potissimum insulares. Recenset enim Saxonum insulas, itaque Franci vicini fuere, eosdem mores et instituta sequentes. Piratae Franci quod supra docuimus, piratae et Saxones. Traditum enim est in Historiis Carausium quondam tractui Belgicae et Armoricae tendo praefuisse, quod Franci et Saxones maritimas Galliorum oras infestarent Diocletiano principe.”786

Sassoni che diversamente dagli incontenibili assalti all’impero romano di Franchi ed Alemanni l’imperatore Valentiniano riesce almeno in un primo tempo a contenere: “Questi vedendo che i Franchi e che gli Alamanni, entrati nelle provincie romane, arrichivano di quelle prede, e bramando far così essi ancora, si preparavano a venir via; quando lo Imperatore Valentiniano, primo di questo nome, affronatili gagliardamente ne’ confini de’ Franchi, in sì fatta maniera gli oppresse, che volentieri stettero in dietro. Anzi, indirizzati a que’ paesi che lasciarono voti i Svevi e gli altri popoli armigeri che passarono con gli Alemanni, fermarono le sedie lungo l’Albi, ed a quelle parti della Franconia dove sono i Vestfali adesso; e così vennero primieramente dalle isole a la terraferma, e dai liti dentro fra terra. Ma

“Porro quum Saxones stimularet aemulatio quippe qui viderent Francos Alemannosque mutatis sedibus, cotidianis Provinciarum praedis ditari, decreverunt et ipsi in Romanos fines incursionem facere, sed praevenire Valentinianus qui in Francorum finibus eos obtrivit priusquam Rhenum transirent, mirum ni volentibus adiuvantibusque Francio, ut qui soli cuperent invadere Galliam absque socijs Saxonibus. …Valentinianus, Saxones, gentem in Oceani littoribus et paludibus invijs sitam, virtute atque agilatate terribile, in Romanos fines eruptionem mditantem, in Francorum finibus oppressit. Porrò Saxones sic repulsi, vacuas suevorum et aliorum nationum quae se

783Storia, cit., pp. 139-140, dove ancora una volta ivi le parole non riportate amplificano nei toni la descrizione della crudeltà degli Ungheri rispetto a Widukindo dal quale comunque la dipendenza del passo in questione appare piuttosto evidente. 784Vuitichindi, cit., passo cit. a p. 10a5. 785Storia, cit., passo a p. 141. 786Rerum Germanicarum, cit., passo cit. a p. 53g3.

156

Page 157: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

poiché, dopo la morte di Aezio, sotto Valentiniano terzo, si impadronirono i Franchi di tutta la Gallia bellica e della seconda Germania, i Sassoni, allargando i primi confini, occuparono essi ancora in qualche parte il terreno de’ Franchi e de’ Camavi; quello cioè dove sono ora gli Vestuali.”787

Alemannis demigrnatibus pridem coniunxerant, sedes ad Albim occupant, et ad Rhenum vergentem regionem ubi hodie est Vuestphalia proxime Francos, ex insulis in continentem et ex ora litorali in terras interiores effusi. Postea quum Valentiniano terbio post Etij mortem Franci Belgicam utramque et Germaniam secundam sui iuris fecissent, Saxones etiam partim Francorum et Chamauorum loca invaserunt, ub nunc sunt Vuestuali.”788

Tuttavia, la penetrazione franca al tempo di Valentiniano III, permette anche l’espansione dei sassoni non più contenuti dall’argine romano e che tuttavia, si trovano a questo punto inevitabilmente coinvolti in un epico conflitto per la supremazia con gli stessi Franchi che prevalgono definitivamente soltanto con le vittorie di Carlo Magno che battezza questo popolo, come Giambullari riferisce sulla scorta del Renano. Elementi strettamente legati all’idea centrale fin qui sviluppata dal canonico laurenziano e decisamente confermata nella missiva del 48’ al Borghini sulla translatio imperii ai Sassoni: “Combatterono appresso molti anni coi Franchi stessi, quando suggetti e quando rubelli, come sotto a Lottario primo, sotto al secondo, sotto Martello, sotto Pipino, e finalmente sotto il gran Carlo. Il quale interamente domando questa indomita nazione, dopo molte ribellioni cavò di Sassonia dieci mila uomini con le mogli e co’ figliuoli, e gli pose in Brabante ed in Fiandra perché abitassero quelle provincie, o fussero parte invece ddi statichi. Abbattè eziandio e ridusse in cenere lo idolo di questa gente chiamato Irmensul, e gli fece cristiani, battezzando il valorosissimo duca loro Vittichindo, il quale, per mantenere la religione dei passati suoi e per difendere la libertà, trentatré anni continovi aveva sostenuta la guerra con grandissimi danni e dati e ricevuti. Costui finalmente, divenutoli pure amico e suggetto, e da lui tenuto a battesimo, condottosi all’ora estrema, lasciò lo stato a Uiberto suo figliuolo.”789

“Cum hac gente Franci multis saeculis bella gesserunt. Luitharius Hildeberti frater, Ludeuvichi F. domitos a se Saxones, quum promissum tributum, id erat quingentorum boum, non persolverent, bello repetens, absque gloria sed non absque damno, Suessionem redijt. In hos quum aliquot temporum intervalla, Dagobertus alterius Luitharij F. movisset, transito Rheno, comissa pugna grave vulnus accepit in capite animosus adolescenses, sed tamen evasit. Ea re pater Luitharius accepta filio suppetias venit. Berchtoldum Saxonum principem obtruncat in fuga comprehensum, et penetrata regione, vastatisque cunctis, mares pueros omnies occidit, quos gladio suo reperit longioreis. Sub Carolo Martello rebellarunt. Pipinus eos huc adegit, ut singulis quibusque annis trecentos equos velut tributum penderent. Sed edomandae gentis vera laus Carolo Magno Pipini F. reservabatur. Is tandem XXXIII anno hoc bellum confecit, quo nullum neque difficilius neque longius unquam a Francis gestum est. Transtulit decem milia Saxonum cum uxoribus et liberis in Germaniam inferiorem, hoc est in Flandriam et Brabantiam ex magna parte. Columnam vero ligneam illam quam sub divo positam gentiler adorabant, evertit, Irminsul

787Storia, cit., passo alle pp. 141-142. 788Rerum Germanicarum, cit., passo a p. 54g3-55g4. 789Storia, cit., passo a p. 142.

157

Page 158: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

ab illis appellabatur. Et Vuitkindus Saxonum princeps Crhistianam pietatem professus est, susceptore Carolo Aug. Salutaribus aquis ablutus, plebe ducis exemplum haud segniter aemulante.”790

Anche nella costruzione di quest’ampia parentesi storica sui Sassoni si ripropone puntualmente il motivo della translatio imperii con una ulteriore evidente allusione al passaggio dai Franchi agli Ottoni della sovranità imperiale nel riferimento a Ottone duca di Sassonia sotto l’imperio di Arnolfo. Ottone, infatti, padre di Arrigo che sarà il primo imperatore della casa di Sassonia, viene esaltato alla stregua di un imperatore, secondo Giambullari scrive sulla falsariga di Vitichindo (piuttosto che di Beato Renano) stando alla collazione: “A Viberto successe Bruno, mediante però Gualberto maggior fratello, che si morse senza figliuoli; ed a Bruno poi Ludolfo, padre di Bruno, di Tanquardo e di quello Ottone che fu padre di Arrigo primo. Morto dunque Tanquardo e Bruno, il quale con la nobiltà di Sassonia fu per la fede ucciso con tutto lo esercito, da’ Normanni dove oggi si chiama Eobestorpo, successe Ottone al ducato. Il quale ancora che egli avesse lo imperatore per superiore, fu nientedimanco di tanta riputazione, che Arnolfo padre di Lodovico lo scelse per genero suo, e gli diè per moglie Lucarda, e per nuora tolse Matelda, sorella di esso Ottone, maritandola a Lodovico. E tutta questa grandezza venne ad Ottone per la bontà, per la prudenzia e per la virtù che egli aveva mostrato sempre, e massimamente nella milizia.”791

“Ultimus vero Carolorum apud orientales Francos imperantium Lothovicus ex Arnulpho fratruele Caroli, huius Lotharij regis proavi, natus erat. Qui quum accepisset uxorem nomine Liudgardam, sororem Brunonis ac magni ducis Ottonis, non multis post haec vixerat annis. Horum pater Liudolphus, qui Romam profectus transtulit reliquias beati Innocentij pape. Ex quibus Bruno quum ducatum administraret totius Saxoniae, duxit exercitum contra Danos, et inundatione repentina…”792

A questo punto il nostro canonico lascia la Sassonia e Renano per trattare della storia inglese sulla scorta di Polidoro Virgilio. Tuttavia, i Sassoni rimangono protagonisti visto che il racconto del Giambullari concerne la dominazione dell’isola assunta dagli Angli che costituiscono appunto una delle tante tribù di matrice sassone menzionate e descritte dal Renano793. Il nome Inghilterra è sostanzialmente un portato di questa affermazione politico-militare che affonda le sue radici storiche nell’epoca illustrata dalla Storia d’Europa come mostra il racconto del Giambullari che prende le mosse dalla collocazione storico-geografica dello scenario degli eventi in questione. Come vediamo dalla collazione se piuttosto chiara risulta l’ipsirazione tratta da Polidoro, i passaggi che hanno ispirato la complessiva e unitaria descrizione dell’isola e delle sue parti sono tratte da punti diversi dell’Historia Anglica anche se tutti compresi nel primo libro dell’opera polidoriana: “La Inghilterra, isola, dunque, notissima nel mare Gallico e di Germania…ha…da

“Britannia omnis…insula in Oceano contra Gallicum littus posita, dividitur in partes

790Rerum Germanicarum, cit., passo a p. 89m1. 791Storia, cit., pp. 142-143. 792Vuitichindi, cit., passo a p. 9a5. 793Vedi Storia, cit., p. 143.

158

Page 159: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

mezzogiorno la Francia…Dividesi ordinariamente in quattro generazioni: Angli, Scoti, Uvali e Cornovagliesi. Questi ultimi, che sono la fronte della isola, guardano contro alla Francia, e sono divisi da gli Angli mediante il fiume Tamigia, e da gli Uvali mediante la riviera Sabrina, modernamente detta Severne. Gli Angli oppositi alla Germania, tra i Cornovalesi, gli Scoti e gli Uvali, hanno per confine la Tueda o Tuesa da tramontana, la Sabrina da occidente e la Tamigia da mezzogiorno. Gli Scoti parte da tutti gli altri la Tuesa verso Levante, un seno di mare a ponente, e nel mezzo i monti Orduloci, che a’ moderni sono Cheviet. Gli Uvali, che sono quasi come in una isola per avere il mare d’ogn’intorno, eccetto che da levante, dove nasce il grossissimo fiume Sabrina, sono distinti da tutti gli altri mediante il fiume predetto ed alcune montagne piccole. La lunghezza di tutta l’isola da Totonesia di Cornovaglia sino a Catanesia di Scozia, è circa a miglia ottocento, e la larghezza da Meneva di Uvaglia (altrimenti San Davit) sino in Dorobernio, circa a miglia trecento. Il giro poi, o vogliamo dire il circuito di tutta insieme, secondo la misura di Polidoro, non abbraccia duemila miglia, come già la descrisse Cesare, ma solamente mille ottocento.”794

quatuor: quorum unam incolunt Angli, aliam Scoti, tertiam Vualli, quartam Cornubiensis. […]Cornubia, primam insulae partem continent, quae ad meridiem vergens, inter Thamesim et mare intercedit[…]Hanc autem Angliam primam Britanniae partem ab ortu et austro, Oceanus: ab occidente sole, Vualliae et Cornubiae fines: a septentrione, Tueda lumen, quod flumen discriminat Anglos ab Scotis, terminat. […]Scotia altera Britanniae pars a Grampio olim monte incipiebat, ad extremum limitem in septentrionem producta…ad Tuedam Flumen, interdum ad Tinam usque patebat[…]Secondum Tuedam…Anglorum Scotorumque regni terminum. Hanc a Northumbria ultima Angliae regione, quae ad oceanum spectat Germanicum, Tueda separet, cuius princeps oppidum est Bervicum…Hoc quondam Ordolucarum oppidum fuisse dixerim. Ab occidente vero Scotiae limes aliquando Cumbria fuit…inter has duas regiones mons Cheviota interius eminet.795[…] Vuallia tertia pars insulae iuxta umbilicum Angliae, ad laevam iacet, quae instar finus, quasi peninsula intra Oceanum, excurrit, a quo circunquaque cingitur, praterque ab ortu, ubi Sabrina flumine terminatur, quod Vuallos ab Anglis separat.796[…]omnem insulae longitudinem recta linea metiuntur, dicuntque esse DCCC milliariorum, sicut latitudo ex Meneva sive Fano David, usque ad pagum, quem Hyermuthum vocant[…]ita circuitus omnis insulae constat non amplius octies decies centenis millibus passuum, atque sic minus ducentis milliarijs, quam Caesar supputarat.[…]”797

Analisi geografico-fisica complessiva che come vediamo richiama la pluralità delle regioni inglesi alla quale, il Giambullari fa seguire una corrispondente informazione delle diversità di popoli e identità culturali e politiche che si sono succedute sull’isola con la chiamata da parte dei Britanni degli Angli, vista l’incapacità del vallo di Adriano di difenderli contro la ferocia di Pitti e Scoti, una volta partiti i Romani. Questi ultimi, infatti, sono costretti a tornare sul continente per la guerra provocata da Attila in Francia e lasciano incustodito il muro. Pertanto, ancora una volta l’elemento barbaro che erediterà il diritto imperiale viene posto in grande risalto secondo un evidente contrappunto con i detentori della dignità imperiale, i romani, il cui dominio presenta falle continue e profonde. Viene ribadito attraverso la

794Ivi, passo alle pp. 143-144. 795 Anglicae historiae, cit., pp. 3a3-5a4, lib. I. 796Ivi, passo a p. 8a5, lib. I. 797Ivi, p. 10a6, lib. I, poco dopo nella stessa pagina viene menzionato in proposito anche Tacito.

159

Page 160: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

selezione di un passo tutt’altro che breve un dato costante della Storia che esalta una tribù dei sassoni: “I primi che la abitassero, cioè i Bretoni o Albionesi, che l’uno e l’altro nome ebbe l’isola, sono gli Uvali certamente, i quali certamente come scrivono Gilda e Beda e Polidoro ne’ tempi nostri, espugnati e cacciati di tutto il resto, si ridussero nella quasi che isola, che di sopra assegnammo loro; e per essere quel sito forte di monti, paludi e luoghi salvatici, vi si sono mantenuti sempre. E’ perché e’ parlano la antiqua lingua natia, gli Anglesi venutivi di Sassonia li chiamarono alla germanica, Uvali, cioè forestieri e di lingua diversa da la loro, perché non intendevano la loro favella.[…]I Cornovalesi per quel tanto che scrive Cesare, venuti appoco appoco de la Francia a predare quella fronte della isola che gli è vicina, entrando nelle maremme, e cominciandole ad occupare quando in un luogo e quando in un altro, vi si rimasero finalmente e vi sono infino al dì d’oggi. I Siluri, oggi estinti, mostra Tacito nel suo Agricola, che vi venissero già di Spagna, e arguiscelo da molti segni, che io non replico ora altrimenti, non potendo per via di quegli sapere quando e’ vi siano venuti. Il che non interviene delle altre nazioni forestiere, Pitti, Scoti ed Anglesi: con ciò sia che que’ primi l’anno ottantasettesimo dopo la natività di Gesù Cristo, si fermarono ad abitarla con questa occasione. Roderico…uscito con molte navi di Scizia, per andare corseggiando l’Oceano, pervenuto con esse in Ibernia, dove allora si stavano gli Scoti, venuti essi ancora per molti anni avanti pure della Scizia, ricercò di potervisi fermare per istanza, con le genti che aveva seco. Gli Scoti che non potevano cacciargli e ricevere non gli volevano, conoscendoli troppi, ed armati, e poveri, si scusarono con la strettezza di quel paese mal capace appena di loro; e da un’altra banda, mostrandosi desiderosi del ben essere di questi antichi parenti suoi, insegnarono loro la Inghilterra, dicendo come ella era vicina, abbondante, ricca, molto grande e per la maggior parte disabitata. Il che dicevano gli Scoti de la parte di Tramontana, dove l’armi romane non avevano luogo né nome. Confortarongli

“In Hanc Britannos illos, qui post amissam patriam caedibus superfuerant, se ad extremum recepisse memorie proditum est, illicque partim montium, partim sylvestrium locorum ac paludum, quibus ea regio maxime constat, pertugio, tutas sedes sibi locasse, quas etiam nunc tenent. Hanc terram deinde Angli Vualliam, et ipsos Britannos eius incolas homines Vuallos dixerunt: nam apud Germanos Vuallsman, significatur peregrinus, incola, hospes, dvena homo, hoc est, qui aliam a Germanis habeat linguam: Vuall enim eorum lingua vocatur externus799[…]In sola hac insulae parte, etiam ad hoc tempus perdurat natio Britannorum, quae a principio ex Galljis advecta insulam occuparat, si illis credimus, qui…ex Armoricis civitatibus primos Britanniae habitatores esse oriundos.800[…]Hanc olim maritimam oram Silures late tenuisse, testat Plinius libro quarto, cum de Hybernia loquitur, ita scribens: Super eam haec sita abest brevissimo transitu a Silurum gentem XX milia passum.801[…]Sed Pictos undecunque dictos, satis constat populos Scytiae fuisse. Itaque ij duce Rodorico, mults navibus praedebundi oceanum ingressi, in Hyberniam insulam pervenere, ubi novas sedes a Scotis sibi petiverunt: nam Scoti qui a Scytis etiam originem traxerant, quamquam aliam ipsi, ut infra ostendetur, inventam volunt, tum eam insulam tenebant : qui cum in rem suam haud fore ducerent, gentem bellicosam et inopem in insulam admittere, charitatem simulantes, locisque anugustiam excusantes, docuerunt, haud abesse procul Britanniam, insulam magnam simulque opulentissimam, atque incolis fere carentem : hortatique sunt, ut illam peterent : quibus pariter operam suam polliciti. Picti, quos magis praedae, quam imperij cupiditas solicitabat, nihil contantes, insulam versus navigant : in quam primum delati, aquilonalem eius partem occupant, ubi deinde raros conspicientes incolas, praedam agere, incursiones facere, longius vagari incipiunt. Quod confestim Britannorum principes animadvertentes, armato milite

160

Page 161: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

adunche a fare questa mpresa, e si offersero di essere con loro. I Pitti, molto più vaghi della roba che che del dominio, se ne andarono alla parte loro accennata, e pervenuti nella isola da la banda di tramontana, fermarono quivi gli alloggiamenti, e se la presero per loro stanza. Veggendo appresso gli abitatori molto rari, cominciarono a fare correrie, ed a predare il più che e’ potevano, assicurandosi ad allargarsi molto più che non conveniva. Per la qual cosa i maggiori dell’isola, ragunata una banda gagliarda, gli assalirono a lo improvviso, e uccisane la maggior parte insieme con Roderico, ricacciorno gli latri alle selve, ed a quella ultima punta di tramontana che si chiama la Catanesia. I Pitti, fuggiascamente quivi raccoltisi, senza più molestare altrui, ebbero di grazia potere starsi. Riposatisi dunque qualche anno, e parendo loro star bene, desiderarono perpetuarsi. Ma veggendosi senza donne, mandarono ambasciatori in fra terra a pregare gli isolani di imparentarsi con esso loro. Di che facendosi beffe i Britanni, che così allora si chiamavano, e negando apertissimamente di volere questa parentela, i Pitti, ancora che fieramente sdegnati della risposta, dissimularono il mal concetto, riserbandosi la vendetta a quando più vedessero il comodo. E per avere da moltiplicare, mandarono in Ibernia a gli Scoti, ricercandoli di quel medesimo che negarono loro i Britanni. Consentirono a ciò gli Scoti, ma con questa condizione: che sempremai che tra’ Pitti mancasse il legittimo successore dello Stato, succedessero in ciò le donne. Il che promesso e giurato solennemente, si mantenne poi lungo tempo.[…]Erano già nello Imperio Teodosio e Valentiniano, quando Fergusio, il primo re che gli Scoti avessero…partitosi da la Ibernia con una banda grossa di gente, se ne venne a quella parte della Inghilterra dov’è oggi il regno di Scozia. Quivi fermatosi per istanza, e cominciato a moltiplicare, lasciò per successore del regno Reutare suo nipote, che da Beda è chiamato Reuda. A costui successe Eugenio, che’ venuto co’ Pitti a battaglia, fu rotto e morto da essi con tanta perdita delle sue genti, che, disperatisi, i vivi di potervisi

obviam ierunt, ac Pictos, ut sit, sine metu in agris palantes raptim adorti, eorum duce interfecto, primo praelio vicerunt. Picti qui acceptae plagae superfuere, sese in extremam insulae partem, quam tempestate nostra Cathanesiam dicunt, receperunt : quos longo post tempore, tradunt tenuisse quicquid terrarum a muro,opere Romanorum praeclaro, de quo alibi dicemus, usque ad Grampium montem, ad otum magis vergens, pertinebat. Atque Picti, per hunc modum, in ea parte insulae rerum potiti sunt. Et haec gens ex advenis, alera est, quae post Romanos, Britanniam adivertit, in eaque regnum obtinuerit, qui fuit annus saltatis LXXXVII. Picti ex infelici suorum exitu, laetam fortunam consecuti gaudebant,quod in Britannia demum terra sedes firmassent : sed facile(m) prospiciebant futurum, ut genus suum penuria mulierum…non ultra hominis aetatem duraret : quippe quibus nec domi spes prolis, nec cum finitimis adhuc connubia essent : tum ex communi consilio, legatos ad Britannos mittunt, societatem connubiumque novo populo petitum. Legatio gravatissime audita est, adeo simul omnes spernebant, simul negabant sanguinem ac genus cum externis miscere. Id etsi Picti aegre tulerunt, inuriam tamen alias ulciscendam iudicantes, ad Scotos in Hyberniam mittunt,. Illi mulieres in matrimonium ea conditione dederunt, ut quoties de creando rege, deficiente genere, discrimen oriretur, tum ex prosapia foeminei sexus, regem dicerent : id quod apud Pictos semper deinceps servatum constat.802[…]Fuit is annus decimus sextus, cum Thedosius princeps cum Valentiniano Augusto amiate suae filio, inperare coepit, salutatis vro humanae CCCCXLIII. Interea…deinde ex hybernia in Brytanniam profecta, sedes in insula collocarti. Huius autem Scotorum manus dux, velut autor est Bedas, fuit Reuda. At Scotici Annales tradunt multo ante Reudam, Ferugusium in Britanniam venisse, dedisseque agmini signa rubrum leonem, quibus nunc reges ututntur, et ob res feliciter gestas, primum omnium a sua gente regem esse dictum, ac illi postea Reutherem nepotem, quem Bedas Reudam vocat, successisse, regnique fines late propagasse.803[…]Secuti sunt reges apud

161

Page 162: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

mantenere, abbandonata l’isola in tutto, se ne fuggirono a diverse parti. Ma, cominciando non dopo molto a temere i Pitti i Romani, richiamarono gli Scoti di Norvegia e di Ibernia; e restituito loro il paese, si collegarono con esso loro. Tornarono dunque gli Scoti…e sotto al re Eugenio secondo, figliuolo del secondo Fergusio, in compagnia de’ confederati, cominciarono a correre l’isola, ed a guastarla sì fattamente, che Aezio capitano de’ Romani, fu forzato a mandare di Francia uno esercito ragionevole a difesa de gli isolani. Questo raffrenò in gran parte le prede e le correrie de gli Scoti; ma non in tanto però, che apertamente non si vedesse che, se i Romani per avventura se ne partivano, tornerebbono gli Scoti e’ Pitti a lo esterminio di essi Britanni. Ed a questi volendo ovviare per quanto e’ potevano, i soldati di Aezio tirarono dal levante a’l ponente della isola un gagliardissimo bastione tra i confini britanni, che terminava da levante in su ‘l fiume Tina, e in su Lesca da occidente, come scrive Gilda Britanno; avvenga che molti autori e moderni e antichi assegnino questa impresa allo imperatore Adriano, e tutto il resto quasi a Severo. Ma questo non fu bastante a salvargli poi da gl insulti, ancora che lo murassimo di calcina e pietre grandissime. Perché ritornati i romani in Francia per la orribilissima guerra d’Attila, gli Scoti, dalla ferocità naturale eccitati, rompendo il muro grossissimo, che non aveva chi il difendesse, penetrati nel cuore della isola, si fattamente la conquassarono co’l ferro, con gli strazi e co’l fuoco, che i male arrivati Britanni, disperatisi d’ogni altro aiuto, furono stretti a chiamare gli Angli (popoli, come io diceva, della Sassonia), che sotto mercede ed a prezzo gli venissero a mantenere. Vennero dunque gli Angli lo anno della salute quattrocentoquarantanove; e sotto Engisto loro capitano, ch alcuni altri fan Vortigerno, ottenute molte vittorie contro a gli Scoti, riempirono i paesani d’una buona e ferma speranza di dovere liberarsi affatto dalla noia di questa gente. Ma poco durò la falsa bonaccia, perché gli Angli desiderosi di impadronirsi di tutta questa isola, che piaceva loro sommamente, attendevano solo ad

Scotos, Eugenius primus, et Fergusius secundus. Eugenius commisso cum Pictis, qui id temporis in Romanorum fide erant, praelio, interficitur. Quare Scoti disperata iam salute, aliquo terrarum concessuri, protinus alij alio ex insula fugerunt. Post annos tris et quadraginta, Scoti exules a Pictis, quibus Romana potentia iam formidolosa erat, partim ex Hybernia, partim ex Norvegia, ad pristinas sedes evocati, duce Fergusio rediere. Fergusio successit Eugenius filius. Is facto cum Pictis foedere, ita Britannos premere coepit804,[…]Aetius fatigatus commotusque precibus Britannorum qui adhuc in fide erant, legionem unam illis ex Gallia ausilio misit. Sunt Picti et Scoti varijs inde cladibus ab Aetianis affecti, resque Britannica per bono coepit esse loco. Et ne deinceps ea quies ab hostibus turbaret, visum est ducibus legionarijs peropportunum, ut murus…construeretur inter Romanam provinciam, et Pictorum fines : id quod, teste Gilda, factum est : verum cum caespitibus magisque lapidibus esset aedificatus, haud satis firmus postea ab hostium impetu fuit. Atque tum ille demum murus confectus est ab Aetianis ducibus, non ab Hadriano, neque a Severo Imperatore, sicut nonnulli falso memoriae prodiderunt, si Gildae autori Britanno credimus. Quiescebat Britannia unius legionis presidio, cum Burgundionibus Galliam vexantibus, Aetius suos ex insula necessario revocavit…Scoti post legionarium militum dicscessum, cum Pictis confestim in res Britannicas invadunt, greges armentorum, ac reliqui pecoris abducunt, agros ferro et igne populantur.805[…]subito enim barbarorum impetu miseri Britanni rursus opprimunt, atque eo calamitatis adducti, ut urgente fato, coacti sint ad perniciem suam accersere in insulam Saxones Anglos, hominem quidem maxime omnium valentes[...]Atque ita missi sunt in Germaniam quamprimum, qui illos ad opem ferendam, pecunijs, donis, promissis tentarent, hortarentur, allicerent, ac demum ausilio venire non negantes, in Britanniam protinus ducerent. Saxones post acceptum nuncium, ut qui stipendij faciundi avidi erant, delecta fortissimorum iuvenum manu, in navesque imposita, Hengisto et Horso, ij

162

Page 163: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

ingrossarsi, chiamando ogni dì genti nuove da casa loro, e sotto colore della guerra facendo venire ed armi e soldati. Ma quando parve loro essere tanti che e’ non avessero di che temere, accordatisi occultamente con gli Scoti e co’ Pitti, e levato il romore come defraudati delle lor paghe, si rivolsero contro a’ Britanni, e con uccisione e strage infinita, e con rovina di ferro e fuoco, e’ gli cacciarono fuori del paese; ed impadronitisi d’ogni cosa, mutando il nome della isola di Britannia la fecero Anglia, da’ moderni detta Inghilterra; e la divisero in sette regni senza la Scozia[…]”798

fratres erant, ducibus, insulam confestim cursu petiverunt. Fuit is annus salutis humanae CCCCXLIX.806[…]Angli quorum bene nagnus in insula numerus erat, nam formicarum ritu, continuo cursu, eo commeabant, gens inops et vehemens, ac non modo Cantium, sed bonam insulae partem, quae ad Scotiam pertinet, ad occidentemque solem spectat, iam occuparant, rati tempus esse, cum tentando esset belli fortuna, primum cum Scotis et pictis foedus faciunt, deinde ad unum pene temporis punctum, in Britannos perfidiose arma vertunt, perindeque saeviunt, ac si offensionem non utique beneficium ab eis accepissent. Britanni…qui ut omnino infirmi fusi, caesi, profligatique sunt, et impraesentia omni disperata armorum ope, ut pecudes dispersae, alij alios duces secuti, se in loca devia, in sylvas, in paludes abdiderunt.[…]Tum Saxones perinde quasi rerum iam potiti, speciatim in principes debacchantur, ut illis domitis, perditisque, facilius in totius insulae possessionem venirent, quod solum auebant. 807[…]Tum demum Angli Saxones totius insulae praeter Scotiam, et loca, quae Picti habebant, imperio potiti, eam inter se, sicut infra ostendetur, partiti sunt, et illud quidam non communi consilio, aut certa ratione factum est, sed prout fortissimus quisque sibi partem aliquam terrae vindicare potuerat, in ea suum principatum instituit. Britannis vero qui patriae excidium evaserant, portio insulae data est, quae ad occidentem Hanc deinde Angli Vualliam, et Britannos eius incolas Vuallos dixerunt, quia Germani, omnes externos, qui aliam habeant linguam, sermone patrio, vocant Vuallsmen, id est, alienos homines, pro quibus insulae dominatum iam adepti habebant eos Britannos, qui caedibus superfuerant.808

Dall’affermazione degli Angli che tradiscono l’accordo stipulato con i Britanni e conquistano l’isola, il canonico laurenziano opera un salto storico-logico di diversi secoli per narrare le vicende dell’isola sotto il re Adovardo costretto a fronteggiare tra i diversi nemici, soprattutto i temibili Dani. Eventi contemporanei all’arco temporale svolto dalla Storia come vediamo: 798Storia, cit., passo alle pp. 145-148. 799Historiae Anglicae, cit., p. 8a5, lib. I. 800Ivi, p. 9a6. 801Ivi, p. 6a4, lib. I.

163

Page 164: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“Divisato sin qui e la isola e gli abitatori , ci rimane a contare le istorie di que’ tempi che noi scriviamo. Laonde, cominciandoci da’l valoroso Alvredo, da alcuni chiamato Alfredo, coronato da papa Adriano II, l’anno ottocentosettantadue della salute, diciamo di lui brevemente, che e regnò ventotto anni; ne’ quali combattè più volte co’ Dani, da Polidoro chiamati Daci, che apportati nella isola, avevano tolto a Bertolfo il regno di Mercia, predato i Nortumbri, ed ucciso Edemondo re di quella parte della isola, che prima è percossa dal Sole. Ed avvenga che molte volte si trovasse egli pure al disotto con questa ferocissima gente, de la quale a tempo e luogo ragioneremo, aiutandosi nientedimanco gagliardamente, gli condusse pure alla fine in tanto esterminio, che parte abbandonando la impresa, ritornarono a casa loro, e parte se ne fecero cristiani; e di questi ultimifu quel Gormo, che Alvredo fece col tempo re de’ Nortumbri. Finite le guerre in questa maniera, eidifcò monasteri e chiese sontuosissime, e dotolle di gran ricchezze. Fondò in Ossonia lo studio pubblico, e condusse molti uomini singolari. Fece leggi santissime…Ebbe di Etelviva sua donna duoi figliuoli maschi; Adovardo il vecchio…e Adevoldo…e tre figliuole, Elfreda, Etelgera ed Etelvida; la prima delle quali maritata ad un principe grande nella Mercia, condattasi a provare i dolori del parto, mai più volle potere sentirgli, affermando che egli era pazzia estrema il dare opera ad un piacere che seco apporta pena sì grande. Lo anno dunque della salute novecentouno, morendosi il re Alvredo, successe Adovardo suo primogenito; il quale coronato solennemente, regnò anni ventiquattro[…]Adunque, giudicando Adovardo prudentemente che la prima cosa gli bisognasse assicurarsi bene de lo stato, cominciò subito e ocn molta sollecitudine a restaurare le forza del regno, munire i luoghi più deboli, rivedere le fortezze, visitare le

Alvredus rerum potitus, primo quoque tempore, voti causa, Romam profectus est, ubi regiae coronae honore ab Hadriano Secondo Romano pontifice rursus honestatur. Qui fuit annus salutatis DCCCLXXII…non quieverunt interim Daci, qui primum Merciam ingressi, Bertulphum regem imperio spoliarunt…deinde Northumbros adorti…et interfecto Edmundo illorum rege…ac iis ita superatis Gunthormum unum ex suis ducibus regem constituerunt810[…]habent enim coenobia magnifico apparatu constructa…muneribus opulentissima […]Certat nominis celebritate cum hoc Oxoniensi gymnasio, accademia, quae Cantabrigiae apprime floret[…] tulit sanctissimas leges[…] Suscepit ex Ethleviva uxore, filios mares Edovardum cognomento Seniorem, et Adelvodum: foeminas tris, Elfredam, Ethelgeram, sue Elginam, et Etheluitham. Elfreda locata fuit quidam Ethelredo inter Mercios principi viro, accepta Merciae parte, dotis nomine. Haec venerae voluptatis spernendae valde memorabile edidit exemplum: a viro enim gravidata, cum pariendo vehementer laborasset, postea eius rei memor, perpetuo viri complexum abhorruit, dictitans stultissimum esse, eiusmodi volutati indulgere, aut operam dare, quae tantum doloris factura esset, Alvredus provecta iam aetate, levi morbo tentatus testamentum fecit, quo Edovardum filium instituit haeredem811[…]Successit Alvredo Edovardus filius…quem Athelredus Cantuariensis archiebiscopus more maiorum coronavit, anno a natali Christi DCCCCI. […]Edovardus inito principatu, cuncta sibi e Repubblica, a rimo facienda existimans, loca omnia praesidijs munire, urbes quas hostibus adversum se opportunissimas fore ducit, singulas obire, suorum atque hostium res pariter attendere, barbarorum insidias antevenire, magno studio maturat, ut hoc pacto suos bellis continuis assuetos partim in officio, atque fide teneat, partim ne ijdem

802Ivi, pp. 35-36d2, lib. II. 803Ivi, passo alle pp. 49-50e2, lib. III. 804Ivi, passo a p. 51e3, lib. III. 805Ivi, passo alle pp. 48e1-49e2, lib. III 806Ivi, passo a p. 52e3, lib. III. 807Ivi, passo a p. 55e5 lib. III. 808Ivi, passo a p. 59f1 lib. III.

164

Page 165: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

città che fronteggiavano co’ suoi nimici, rifornirle, affortificarle, riordinare la milizia, esercitarla, considerare le forze degl iavversarii, bilanciarle con le sue, e antivedere in maniera tutto ciò che per lui faceva, che i Dani, signori allora di Nortumbria, cioè del reame di Nordgales…e di quella parte di isola che è volta verso levante, ancora che avidissimi di guerreggiarlo, non ebbero occasione alcuna da muoversi né da scoprirsi contro di lui: e nientedimeno, con tutta questa sua diligenzia, non potette egli vietare che Costantino re di Scozia non molestasse i confini del regno, predando ed ardendo tutto quel che gli era più comodo. Bene è vero che trovandosi Adovardo in su l’armi, riparò subito a questo insulto; perché affrontatosi con lo Scoto, non solamente lo ruppe lo volse in fuga, ma gli uccise tanti de’ suoi, che egli ebbe di grazia di fare la pace, rispetto a lo avere perduto nella giornata la maggior parte delle sue forze.[…]pacificatosi con lo Scoto…sopraggiunse tanto improvviso e tanto gagliardo sopra degli Uvali che volentieri stettero in pace; e senza trarre altrimenti spada, si accordarono a ciò che e’ volle: il che venne molto a proposito; perché i Dani, signori ancora di Norgales…sopportando mal volentieri che Adovardo venisse grande, e non avendo animo di manometterlo con l’armi loro solamente, istigarono tanto Adevoldo, fratello minore di Adovardo, giovane ambizioso e cupidissimo di dominare, che adunato subitamente un uno esercito di tutti que’ che e’ potette avere, con lo aiuto di essi Dani cominciò a correre il regno. Ma Adovardo, non manco presto a difendere che Adevoldo fusse a l’offendere, uscitoli incontro armato, non solamente fermò la furia, ma lo messe in tanta paura, che, abbandonate le genti, procacciò di fuggirsi a’ Dani. Ma seguitato da Adovardo con tanta celerità che e’ si disperò di di potere andarvi, rivolse i passi a’l mare di Germania; ed imbarcatosi con gran prestezza, se ne passò alla terra ferma. Quivi, posatosi quasi un anno, per rinnovare la guerra lasciata, se ne andò per

remoto metu, latius licentiusque effusi ab hostibus de improvviso opprimantur, atque ita ipsis Dacis in primis novitatis avidis, qui id temporis Northumbris et orientalibus Anglis dominabantur, occasio movendi belli modis omnibus adimeretur. Veruntatem huic studio bellum Scoticum subito praevertendum fuit, quod Constantinus rex continenter Anglicos fines vexabat. Edovardus primo quoque tempore bellum ei intulit, quod multa utrinque caede gestum est: sed Scotus maioribus affectus incommodis, non invitus ab armis discessit, pace ab Anglo impetrata. Edovardus post haec, Vuallos vacillantes ad sanitatem reduxit, totamque Merciam, ut infra dicetur, post obitum Elfredae sororis suae recepit: nec eo tamen pacto hostium insidias ritardare, in otiove esse potuit: enimvero Daci qui tum in Northumbria erant, permoleste ferentes res Anglicas in dies singulos crescere, subito bellum moliuntur: et quoniam ipsi illud movere non audebant, idcirco alieni armis odium explere nituntur. Itaque ad Adelvoldum iuvenem Edovardi fratrem suapte natura regnandi avidum clam adeunt, solicitantque, admontes tempus idoneum esse, quo facile possit, si modo velit, regnum espulso fratre obtinere[…]His monitis…perpulerunt, ut…in regnum fratris, ac confestim comparato exercitu, hostiliter illud invaserit. Sed rex cum nihilo segnius iniuriae obviam ivisset, tum inops consilij, ut qui omnia temere fecerat, metuque perculsus, fugae se dedit, ac ad Dacos in Northumbriam se recipere contendit, ut ab illis adiutus praelium conserte. Quod ubi rex novit, tanta celeritate est insecutus, ut iuvenis omittere incoeptum iter, ac ad mare tendere, indeque transmarinas partes petere cactus sit: ubi vix annum moratus, inde ad Northumbros belli innovandi causa redijt. Hunc Daci qui Edovardum metuebant, perbenigne acceperunt, ducemque belli sibi constituere. Adelvoldus accepto imperio, plenus irarum adversus fratrem, ingenti vi armorum eius regni fines ingreditur, cuncta ferro igneque vastantibus Dacis: et in Merciam conversus pariter dat omnia praedae: post haec, alio

809Storia, cit., passo alle pp. 149-152. 810Historiae anglicae, cit., passo a p. 96i1, lib. V. 811Ivi, passo alle pp. 103-104i5, lib. V. 812Ivi, passo alle pp. 105-106i6, lib. VI.

165

Page 166: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

mare a’ Nortumbri. Costoro, che temevano già di Adovardo, lo riceverono benignamente; e, fattolo generale delle genti loro, vennero seco in su la campagna. Adelvoldo pieno di rabbia contro al fratello, entrato ne’ suoi confini, arde e guasta tutto il paese, e saccheggia dove egli arriva. Né contento a predare i confini soli, fa il medesimo nella Mercia…Quindi rivoltosi a mezzogiorno, e passato il fiume Tamigia, si condusse a Basingstocco; dove improvvisamente assaltato dallo esercito di Adovardo, e combattendo da disperato, finalmente restò ucciso. La battaglia fu sanguinosa, e morivvi di molta gente: né per la morte del generale cessò punto o mancò la zuffa. Perché se bene l avevano fatto coloro capo di tutto lo esercito per consumare gli Inghilesi con gli Inghilesi, avevano nientedimeno capitani particolari…ed a questi soli ubbidivano…E costoro…mantenevano la pugna in modo…che dopo un lungo combattimento, gli Inghilesi al fine si straccarono; e…abbandonarono il campo a’ nemici. Né gli seguitarono altrimenti i Dani; anzi stracchi de la battaglia, ancora che vincitori, cercarono di avere la pace. La quale nientedimanco non volle altrimenti fare Adovardo, per tenergli con più timore; e concesse loro una tregua… ”809

versum contendens, Thamesim transit, ac usque ad pagum, quem vocant Basyngstochum, crudeliter omnem regionem populatur. Rex contra instructa acie, fit hosti ita furenti obviam, quem soluto agmine venientem magno impetu adoritur. Certatum est eo loci summis utriusque partis viribus: fuit atrox pungna, ac diu anceps, multis utrinque cadentibus. Adelvoldus in primis inter hostes fortiter praelians occubuit, cuius ob interitum, nihil tamen paelium a Dacis est intermissum, quippe qui suos habebant duces, quorum virtutibus freti, Adelvoldo summam imperij tradidere, quo Anglus suis ipsius armis confceretur. Dum sic aliquandiu alacriter pugnatur, postremo regij milites victi terga vertunt. Daci vero longo fessi certamine, non modo a persequendo facile desistunt, sed praeter spem eo parelio superiores, bello deinceps abstinendum ducentes, pacem a rege petunt: quibus Edovardus ut maiori sit terrori, non pacem, sed inducias dat.”812

Dunque una presenza sassone che si irradia anche oltre la Manica a livello storico-geografico a cui il Giambullari concede uno spazio consistente a ulteriore legittimazione della translatio imperii indirettamente sostenuta ancora nella conclusione del secondo libro della Storia nel giudizio generale formulato su Lodovico imperatore tedesco che muore nel 911: “senza figliuoli, e senza altra memoria o nome, che di essere stato mal fortunato, e di aver lasciato andar male il paese della Moravia, occupato dopo la morte del figliuolo del re Suembaldo, e dagli Ungheri eda’Polloni, ed in gran parte ancora dai Boemi…”813. 4. Libro terzo: la translatio imperii al mondo tedesco, da Corrado di Franconia ad Arrigo di Sassonia L’apertura del terzo libro della Storia che descrive l’elezione del duca Ottone di Sassonia al soglio imperiale segue secondo un procedimento coerente le premesse storico-geografiche poste a favore dei Sassoni nel secondo libro in contrapposizione alla denuncia della decadenza franco-carolingia che domina il primo libro. Giambullari non rimarca soltanto che Ludovico è l’ultimo esponente della dinastia carolingia che assume la corona imperiale ma evidenzia anche come la sua elezione inauguri una consuetudine mantenuta poi per il suo successore

813Storia, cit., passo alle pp. 152-153.

166

Page 167: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Ottone, la mancanza dell’investitura papale. La designazione imperiale si connota quale momento essenzialmente ed esclusivamente tedesco: “Dopo la morte di Lodovico, che senza la benedizione papale, e senza esser venuto mai nella Italia, se ne passò a gli antichi padri, essendo mancato in lui la vera stirpe di Carlo Magno; i grandi tutti della Germania adunatisi a far nuovo principe, e convenuti insieme più volte, eleggevano unitamente e d’accordo Ottone duca di Sassonia…”814. Parole in cui ancora percepiamo una critica ai carolingi e specificamente a Ludovico per il legame totalmente spezzato tra Italia e Germania a causa dell’incapacità degli eredi di Carlo a cominciare dagli errori commessi da Arnolfo. Peraltro, Ottone propone al suo posto Corrado di Franconia la cui elezione però non conferisce all’impero maggiore stabilità. Infatti gà indicative in questo senso appaiono le brevi notazioni che l’autore dedica preliminarmente al periodo di governo di Corrado del quale dice: “fu coronato in Germania nel novecentododici, e non venne di qua da’ monti, sì per la brevità della vita, e sì per le molte guerre che gli occorsero di là dall’Alpi.”815 Guerre determinate oltre che dal costante problema ungherese dall’instabilità interna dell’impero prodotta dai dissidi dei suoi principi e aggravata dalla morte di Ottone che segue di pochissimo l’elezione di Corrado816. In realtà motivo di contrasto reale assume proprio la primazia esercitata dalla casa di Sassonia, già sottolineata nell’altro libro e di nuovo rimarcata all’inizio di questo: “I maggior principi della Germania erano in questi tempi Arnolfo duca di Baviera, Burcardo duca di Svevia, Giselberto duca di Lotteringhia, Eberardo conte de’ Franchi e fratello di esso Currado; e tra tutti il più reputato e di molto maggior potentia, Arrigo duca de’ Sassoni e de’ Turingi…”817

“Hac autem tempestate Ludovicus rex moritur, Conradus ergo Francorum ex genere oriundus, vir strenuus, bellorumque exercitio doctus, rex cunctis a populis ordinatur. Sub quo potentissimi principes Arnoldus in Baioaria, Burcardus in Svevia, Everhardus comes potentissimus in Francia, Giselbertus dux in Lothoringia erant. Quos inter Henricus Saxonum et Thuringorum dux praepotens clarebat.”818

Una egemonia mal digerita da Corrado che teme Arrigo di Sassonia, figlio di Ottone quale potenziale leader di una sommossa di principi contro la sua autorità. Pertanto, coadiuvato da Attone arcivescovo di Magonza, già precedentemente introdotto in chiave negativa per l’inganno perpetrato ai danni di Adalberto, Corrado cerca di liberarsi con un inganno dello scomodo Arrigo. Il fallimento di Attone e Corrado viene raccontato sulla falsariga di Widukindo come mostra chiaramente la collazione specialmente per quanto riguarda le parti dialogate come puntualmente rilevato già dalla Marangoni. Diversamente il Giambullari arrichisce i passi narrativi tratti da Liutprando secondo un procedimento utilizzato anche in seguito. All’interno di questa rielaborazione, spicca soprattutto il collegamento diretto istituito dal canonico laurenziano tra la salvezza di Arrigo e del casato di Sassonia ed il disegno della volontà divina che condurrà poi quest’ultimo al trono imperiale. Una sottolineatura che non ci

814Ivi, passo a p. 157. 815Ivi, passo a p. 158. 816Ibidem. 817Ivi, passo cit. alle pp. 158-159. 818Liuthprandi, cit., passo a p. 240u6.

167

Page 168: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

sembra affiori in termini analoghi nei corrispondenti passi di Widukindo e che in relazione a tutta l’analisi da noi condotta fin’ora ed ai motivi essenziali del prosieguo della Storia va menzionata: “sì per la memoria di Ottone suo padre, che aveva fatto lo imperatore, e governatolo quando e’ visse; e si ancora per la somma virtù che manifestamente in lui si scoprivano. De le quali Currado, che ben sapeva di avere poco amici tutti gli altri principi detti, sospettando non poco…non volle che il duca Arrigo redasse tutta quella autorità e quella potenzia che era stata di Ottone suo padre. Ma perché i Sassoni fieramente si conturbarono di questo fatto, desiderando di mitigarli, cominciò a parlare di Arrigo molto onoratamente, e a lodarlo quanto e’ poteva; promettendo volere accrescergli onore e stato…Coloro nientedimanco poco attendendo alle fallaci promesse finte, confortavano il duca loro, se lo Imperatore amorevolmente non consentiva a consegnargli ciò che giustamente se li aspettava, che egli a forza e per suo dispetto se ne pigliasse quanto e’ voleva.[…]Le quali cose considerando Currado, e veggendo stare i Sassoni a l’erta…giudicò in fra sé medesimo convenire al bisogno suo…levarsi al tutto dinanzi Arrigo. Ma non gli parendo da romper guerra, e massime ad un armato che aveva più gente e più pratica nella milizia, ricorse al generabilissimo padre arcivescovo Atone…e gli aperse il bisogno suo, e quanto in questo desiderasse. Attone, al solito suo, per condurre il duca a la mazza, cominciò a intrinsecarsi con esso lui, e a mostrarglisi tutto suo, e in segno di grande amore artatamente faceva fare una ricchissima collana d’oro per donarla poi ad Arrigo quando più gli fosse a proposito. […]819Lavoratasi la collana in casa stessa dello arcivescovo; ed egli molte volte era solito andarsi a starsi con quel maestro, e aver per un passatempo il vedergnene lavorare. Avvenne dunque una volta che[…]820 sospirò profondissimamente senza vedersene la cagione. Il maestro di ciò ammirato, lo

“Igitur pater patriae et magno duce Ottone defuncto, illustri et magnifico filio Henrico totius Saxoniae ipse reliquit ducatum. Quum aut ei essent et alij filij, Thancmarus et Luitolfus, ante patrem suum obierunt. Rex autem Cunradus quum saepe expertus esset virtutem novi ducis, veritus est ei tradere omnem potestatem patris. Quo factu est ut indignationem incurreret totius exercitus Saxonici : ficte tamen pro laude et gloria optimi ducis plura locutus, promisit se maiora sibi daturum, et honore magno glorificanturum. Saxones vero huiuscemodi simulationibus non attendebant, sed suadebant duci suo, ut si honore paterno eum nollet sponte honorare, rege invito quae vollet obtinere posset. Rex autem videns vultum Saxonum erga se solito austeriorem, nec posse publico bello eorum ducem contenere, suppetente illi fortium militu manu, exercitus quoque innumera multitudine, egit ut quoque modo interficere dolo. Ad hocque negocium habens, ut fertur, maxime idoneum Mogociacae sedis episcopum, nomine Hattonem.[…]Hac igitur perfidia quid nequius? Attamen uno capite caeso, multorum capita populorum salvant? Et quid melius eo consilio, quo discordia dissolveretur, et pax redderetur? Ea itaque varietate virum nobis proprie a summa clementia concessum aggressus est, fecitque ei torquem auream fabricari, et invitavit ad convivium, quo magnis ab eo muneribus honoraretur. Interea pontifex opus considerandi gratia ingreditur ad aurificem: et visa torque ingemuisse fertur. Gemitus causam aurifex interrogat. Cui respondit : qua optimi viri, et sibi charissimi, scilicet Henrici sanguine illa torques deberet intingui. Aurifex audita silentio texit, et opere perfecto traditoque, missionem petit et accipit : et obvians duci eunti adea negocia, indicavit ei quae audivit. Ipse autem

819Storia, cit., a questo punto a p. 160 il Giambullari asserisce: “Ma non permesse il giusto signore, il quale tirava Arrigo a lo Imperio, che lo scellerato disegno si conducesse a’l proposto fine, e scoperselo in questa guisa.” 820Ivi, l’autore aggiunge: “entrato un dì tutto solo a vedere la collana, già condotta assai bene avanti, e lodatala assai con lo orefice…”.

168

Page 169: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

dimandò amorevolmente perché tanto di cuore sospirasse. Attone, […]821confidandosi…“Sospiro, (disse) perché questa collana sarà presto bagnata co’l sangue del maggiore amico che io abbia.” Stettesi cheto l’orefice a questo dire, e avendo già inteso prima a chi si avesse a dare la collana, conobbe subitamente chi dovesse morire con essa. Attese dunque alla opera sua senza dimostrazione alcuna, e quando ella fu finita… se ne andò, come prima potette farlo, trovare esso duca Arrigo, e rivelandogli quanto avesse e visto e udito…Era per avventura quella stessa mattina venuto un mandato del santo padre a convitare esso Arrigo ad un banchetto con lo Arcivescovo, quando egli, per lo avviso del buono orefice, sospettoso di questo invito… “Direte (disse) a monsignor lo Arcivescovo, che Arrigo non ha il collo punto più duro che si avesse già il duca Alberto, e che noi abbiamo giudicato molto più a nostro proposito lo starci a casa, e provvedere al servizio suo, che aggravarlo di tanta spesa.” Quindi rivolto a gli uomini suoi, comandò che i soldati si apparecchiassero, e che a lo Arcivescovo di Magunzia subitamente fusse levato ciò che e’ teneva nella Turinghia e nella Sassonia. Oltre di questa indirizzatosi a danni di Burgardo e Bardone, amici e parenti del re Currado, li ridusse in breve a tale termine con gli incendi e con le rapine, che e’ furono mal grado loro forzati a fuggirsi via, e lasciare le robe e gli Stati, che si divisero poi per Arrigo tra’ soldati e amici suoi.[…]”822

vehementer iratus, vocat legatum pontificis, qui iampridem aderat invitandi eum gratia : Vade, inquit, dic Hattoni, quia durius collum non gerit Henricus quam Adalbertus : et quia melius rati sumus domi sedere, et de eius servtitio tractare, quam comitatus nostri multitudine modo eum gravare : et statim omnia quae iuris ipsius erant in omni Saxonia vel Thuringorum terra occupavit. Burghardum quoque et Bardonem, quorum alter gener regis erat, in tantum afflixit, et bellis frequentibus contrivit, ut terra cederent, eorumque omnem possessionem sui militibus divideret. Hatto autem videns fuis calliditatibus finem impositum, nimia tristitia ac morbo pariter non post multos dies confectus interijt. Fuere etiam qui dicerent quia fulmine coeli tactus, eoque ictus dissolutus post tertium diem defecisset.”823

Parimenti da Widukindo, Giambullari ricava anche la vicenda della spedizione del fratello dell’imperatore Eberardo in terra sassone. Corrado infatti è alle prese con la ribellione del duca di Baviera Arnolfo. La spedizione di Eberardo non consegue gli obiettivi sperati grazie all’abilità dell’ambasciatore sassone Dietmaro: Currado…mandò Eberardo suo fratello con una banda molto gagliarda a predare e guastare il paese attorno del duca;[…]Eberardo, avviatosi contra Eresburgo, città di Sassonia, vi era già vicino ad un miglio, bravando e minacciando superbamente, e dolendosi in un certo modo di non poter quasi vedere i Sassoni, almanco

Rex autem misit fratrem cum exercitu in Saxoniam, eam devastandam. Qui appropians urbs, quae dicit Heresburg, superbe loquutum tradunt : qua nihil ei maiori curae esset, quam que Saxones pro muris se ostendere non auderet, quo cum eis dimicare potuisset. Adhuc fermo in ore eius erat, et ecce Saxones ei occurrerunt miliario ab urbe, et inito

821Ivi, nel testo della Storia leggiamo un non trascurabile “come fu la voglia di Dio…”. 822Ivi, passo cit., alle pp. 159-162. 823Vuitichindi, cit., passo alle pp. 10a5-12a6. Inoltre, cfr. Chronicum…Uspergensis, cit., dove questo passaggio è praticamente identico alle pp. CCVIs1-CCVIIs2.

169

Page 170: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

su per le mura e tra’ merli, per castigargli de lo error loro; quando improvvisamente affrontato da essi, e venuto a battaglia sanguinosissima dopo una lunga contesa, e dopo la morte del glorioso padre arcivescovo Attone, che lasciò la pelle in questo conflitto, fu sforzato pur finalmente a mostrar le spalle a’ nemici, e, con la perdita delle genti e di tutto il fardaggio loro, fuggirsi nella Franconia, ed appena campò la vita. La uccisione fu sì grande, e de’ Franchi massimamente, che per i giocolari e buffoni molte volte poi si cantava: “Dove è così inferno, che riceva tanti Franchi?” Currado, udita la rotta del suo fratello, abbandonò la Svevia, e, con quella più gente che aver potette, a un tratto se ne tornò in Sassonia. Quivi accampatosi a Gruona, città dove allora si trovava Arrigo, mandò certi uomini suoi a dirgli, che se e’ si arrendeva liberamente, lo troverebbe suo buon amico e non avversario, come forse si dava a intendere. Sopragiunse a questa l’mbasciatore Dietmaro Sassone, vicino de’ Pruteni, uomo esercitatissimo nelle guerre, di gran consiglio e di molta sagacità; e senza aspettare altrimenti che Arrigo rispondesse, o che gl’imbasciadori seguitassero più avanti, così polveroso com’era de’l cavalcare, disse al Duca sì altamente che ciascuno lo poteva intendere: “Dove volete voi, signor duca, che si alloggi lo esercito che io ho menato?” Il che diceva egli fintamente, non avendo seco altro esercito che cinque persone sole. Arrigo, il quale, per non si trovar fornito di gente, disegnava quasi di arrendersi, udite queste parole dimandò subito quanta gente avesse condotta. E Dietmaro sagacissimo, con gran prontezza rispose: “Trenta insigne”. La qual cosa credendo Arrigo, si rivolse agli �mbasciatori, e disse che non voleva in maniera alcuna darsi in mano a’ nimici suoi, ma difendersi valorosamente sino a la morte, per mantenersi con quel dominio che gli aveva lasciato il padre. Gl’imbasciadori, ingannati essi ancora da le finte parole di Dietmaro, ritornati in campo a Currado, lo avvisarono del nuovo esercito sopravvenuto al suo avversario, e lo messero in tanto sospetto,

certamine tantam caede Francos multati sunt, ut a mimis declamaret, ubi tantus ille infernus esset, qui tantam multitudinem caesorum capere posset. Frater aut regis Everhardus liberatus a timore absentiae Saxonum, nam eos praesentes vidit, et ab ipsis turpiter fugatus discessit. Audiens autem rex male pugnatum a fratre, congregata omni virtute Francorum, perrexit ad requirendum Henricum. Quem compertum in praesidio urbis quae dicitur Grona, tentavit illud oppugnare praesidium. Et missa legatione pro spontanea dedizione, spondet se per hoc sibi amicum affuturum, non hostem experturum, Huic legazioni intervenit Thiatmarus ab oriente, vir disciplinae militaris peritissimus, varius consilioque magnus, et qui calliditate ingenij multos mortales superaret. Hic supveniens legatis regis presentibus interrogat, ub vellet exercitum castrametari. At ille iam suasus cedere Francis, accepit fiduciam, audiens de exercitu, credens ita esse. Thiatmarus vero ficte loquebatur : cum quinque enim tantummodo viris venerat. De numero aut legionum sciscitate duce, ad triginta fere legiones se, perducere posse respondit: et ita delusi legati regressi sunt ad regem. Vicit vero eos calliditate sua Thiatmarus, quos ipse dux ferro vincere non potuit Henricus. Nam ante lucanum relictis castris Franci unusquisque redijt in sua.”825

824Ivi, passo cit., alle pp. 159-162. 825Vuitichindi, cit., passo alle pp. 10a5-12a6, cfr. ancora le parole quasi coincidenti nel Chronicum…Uspergensis, cit., a p. CCVIIs2.

170

Page 171: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

che diloggiato la notte con tutta la gente, il più segretamente che fu possibile, s ene tornò nel paese suo. E così vinse Dietmaro con le parole quel principe potentissimo, che lo assediato suo duca Arrigo non poteva batter con l’armi.”824 Diversamente dai continui insuccessi della parte imperiale, invece i Sassoni passano da un successo all’altro. Una volta respinto l’assedio di Eberardo, tocca ai danesi, puniti per le loro continue scorrerie piratesche. La digressione sulla loro collocazione geografica e sui loro trascorsi storici il Giambullari la ricava dalla medievale Danorum istoriae826 di Saxo Grammatico827: “la Dania…non è solamente la Juzia, cioè quella punta della Germania che da’l fiume Eidora, termine comune a lei ed ai Sassoni, si distende nel mar germanico verso la Scandia ed è quello stesso luogo dove gli antichi posero i Cimbri; ma contiene ancra in se stessa la Fionia, la Selandia, la Scania ed alcune altre isolette circonvicine: la qualità delle quali, siccome è variata molto e distinta l’una da l’altra…tutta questa si chiama oggi Danimarca, e che i termini o confini suoi sono la Sassonia quanto a la Juzia, e quanto a’l resto l’onda marina. La quale circondando questo regno quasi per tutto, lo divide ancora in più parti, dove con distanzie non molto piccole, e dove con brevi e stretti canali, secondo che i seni si ingolfano fra la terra, e gli scogli o capi si allargano fra quel mar che lo chiude intorno.[…]La Fionia è molto copiosa di ciò che diletta i sensi mortali, ed è amenissima sopra ogni altra: ma la Scania è di pesci sì abbondante, che ne golfi e ridotti suoi (secondo che afferma Sasso) oltre il pigliarsene con le mani quella quantità che l’uom vuole senza aiuto di reti d’altro, a mala pena possono le navi aprirsi tal volta la via coi remi per andare a’l viaggio loro; tanto fuor d’ogni credere ve ne abbonda la moltitudine.[…]come apertamente si vede in Sasso…e massime nella vita di Regnero…che ancora giovanetto roppe ed uccise il re di Svezia, che aveva ammazzato Sivardo re di Norvegia…vinse gli Scani e quelli di

“Ex his Iutia…que sicut positione prior, ita situ porrectior Theutoniae finibus admovetur. A cuius complexu fluminis Eydori interrivatione discreta, cum alquanto latitudinis escremento, septentrionem versus in Norici freti littus excurrit. […]Huius itaque regionis estima, partim soli alterius confinio limitanta, partim propinqui maris fluctibus includunt. Interna vero circonfusus ambit Oceanus, qui sinuosis interstitiorum anfractibus, nunc in angustias freti contractioris evadens, nunc in latitudinem sinu diffusiore procurrens, complures insulas creat.[…]Fionia…cospicua necessariarum rerum ubertate laudanda: quae insula amoenitate cunctas nostrae regionis provincias antecedens…Scaniae…optimam praedae magnitudinem quotannis piscantium retibus adigere soliti. Tanta siquidem sinus omnis piscium frequentia repleri consuevit, ut interdum impacta navigia vix remigij con amen eripiat. Nec iam praeda artis instrumento, sed semplici mani officio capiatur.829[…]Regnerus in regnum succedit, quo tempore rex Suetiae Fro, interfecto Norvagiensum rege Syvardo,830[…]Iuti gens insolens Scanis in societatem contractis… obritivit…831[…]arma in Britanniam erexit, regemque eius…pugna perstrictum occidit. Inde Scotiae ac Petiae insularumque quas australes vel meridianas vocat, ducibus interfectis, Syvardo ac Rathbartho filijs vacuas gubernatore provincias in potestatem addixit. Norvagiam quoque principe suo violenter

826Saxonis Grammatici Danorum historiae libri XVI, trecentis ab hinc annis conscripti, tanta dictionis elegantia, rerumque getarum varietate, ut cum omni vetustate contendere optimo iure videri possint. Accessit rerum memorabilium Index locupletissimum, Basileae apud Io. Bebelium, Anno MDXXXIIII; d’ora in poi Danorum historiae. 827Sul quale, cfr. Répertoires des sources historiques, cit., vol. II, pp. 4163-4164.

171

Page 172: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Juzia…che se gli erano ribellati; saccheggiò la Bretagna, ed uccise il re di quella: passò in Iscozia e nelle isole da Mezzogiorno, ove morti o cacciati i veri signori, pose al governo di quelle Sivardo e Ratbarto suoi figliuoli: cacciò ancora di Norvegia il signore naturale, e insieme con tutte quelle isole, che i Romani chiamarono Orcade, la dette ad un altro suo figliuolo detto Frilevo. Vinse e cacciò Araldo suo emolo, fatto re da’ nemici suoi e constrinselo a fuggirsi nella Germania. Passò in Svezia contro il re Sorlo, per vendicare i figliuoli di Eroddo: né solamente lo vinse in duello di quattro contra di otto, ma e in battaglia campale di esercito contro ad esercito; ed ucciselo finalmente, con tutte le genti che erano per lui. Combattè eziandio gli Sciti e contro a Ruteni, e di tutti acquistò vittoria. Superò i Finni, trionfò de’ Biarmesi: e ne’ più vivi sassi de’ maggiori monti fece intagliare memorie gloriosissime delle infinite vittorie sue. In questo mentre, Ubbo suo figliuolo non legittimo gli ribellò Svezia e Selandia, ma con infelice successo, restando e vinto e prigione del padre; il quale nientedimeno gli perdonò poco dopo lo errore commesso, e la pena che e’ meritava. Appresso, venutogli nuova che Dassone, figliuolo del re di Ponto, gli aveva ad inganno tolto Svezia, e ucciso Vitserco suo figliuolo che di quella aveva il governo, rifatto lo esercito si tornò di nuovo in Svezia; dove rotto e preso Dassone, e tenutolo alcuni giorni in sua podestà, lo liberò graziosamente, e sotto non grave tributo gli concesse il predetto regno. Ebbe ancora tante altre chiare vittorie…ma tutte finirono miseramente. Con ciò sia che, a lo estremo di quelle caduto nelle mani de’ nemici suoi, fu da essi aperto nel petto, e, così vivo, dato a pascere aspidi e vipere con le viscere sue più intime e più vitali. La qual cosa rapportata a’ figliuoli in Dania, fu cagione che, ragunato infinito esercito, se ne venissero in quella parte della Inghilterra, dove Ella in

exutam Fridlevo parere praecepit, eundemque Orchadibus proprio duce defectis praeferre curavit. Interea Danorum quidam pertinacioris erga Regnerum odij obstinatis ad rebellandum animis Haraldi quondam profugi partibus advoluti, prostratam Tiranni fortunam attollere conati sunt. Qua demeritate insolentissimos belli civilis adversum regem spiritus excitaverunt, externisque liberum domesticis implicuere periculis. Ad quos costringendos Regnerus cum insularium Danorum classe profectus, rebellium agmen elisit, Haraldumque superati exercitus ducem fuga in Germaniam actum, honorem improbe partum impudenter abijcere compulit.[…]Cumque Regnerus oneratis tributo Saxonibus de morte Heroddi certum e Suetia nuncium accepisset, liberosque suos Sorli suffecti regis calumnia avitis bonis exutos cognosceret…Suetia petijt. Cui occurens cum exercitu Sorlus, publice ac privatim dimicandi opzione facta, singularem degligenti conflictum…cum septena filiorum manu ex provocatione pugnaturum admovit. Cum quibus Regnerus tribus filijs in certaminis societatem assumptis, utroque exercitu inspectante congeressus, agone victor excessit.[…]Qua victoria Regnerus omnis periculi superandi fiduciam nactus, Sorlum cum universis quas ductaverat copijs impetitum occidit. […]Scithae…eodem obtriti discrimine referentur…Ruthenorum rex…formidolosa Regneri arma fuga praecurrere maturavit.832[…]ubi Biarmorum rege interfecto, Finnorum vero fugato, Regnerus saxis rerum gestarum apices prae se ferentbus, hisdemque superne locatis, aeternum victoriae suae monimentum affixit. Interea Ubbo…abiecta paterni respectus verecondia, capiti suo regium arrogavit insigne[…]Ubbonemque pristinae gratiae redditurum paterna charitate complectens, traiecta in Rusciam classe, comprehensum Daxon, catenarumque poena coercitus, apud Utgarthiam custodiae relegavit. Siquidem tunc

828Storia, cit., pp. 163-165. 829Danorum historiae, cit., passo a p. 2a2 nella Saxonis Grammatici sialandici viri eloquentissimi, in gesta danorum praefatio, da p. 1a a p.3a3. 830Ivi, passo a p. 84o6. 831Ivi, p.85p1. 832Ivi, p. 86p2. 833Ivi, p. 87p3. 834Ivi, p. 88p4.

172

Page 173: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

maniera si disusata aveva ucciso il misero vecchio. La onde, con battaglia orribile e fiera, avendolo e vinto e preso, non contenti a morte ordinaria e semplice, miserabilmente lo lacerarono appoco dappoco, e per maggior dispregio poi lo insalarono. Il che fatto, lasciato al governo di quello stato Agnero ed Ubbo loro fratelli, se ne tronarono in Dania Sivardo e Ivaro. ”828

Regnerum adversus charissimi filii interfectorem, clementissima animi moderatione usum esse constatabat, cum ad concupitae ultionis satietatem exilium fontis, que necem sufficere maluit.833[…]Comprehensus enim atque in carcerem coniectus, noxios artus colubris consumendos advertit, atque ex viscerum suorum fibris tristem viperis alimoniam praebuit.834 […]”

Esaurita l’ampia parentesi sui Dani, il canonico laurenziano torna ai problemi dell’attualità derivati dalla ribellione di Arnolfo di Baviera che alleato degli Ungheri ne favorisce le discese e le razzie in Stiria, Carinzia e Carnia descritte sotto il profilo storico-geografico attraverso il ricorso a Pio II. Successivamente razziano la Bulgaria e di nuovo la Germania e l’Alsazia anche perché osserva l’autore: “non durarono certo molta fatica, e per non essere allora munito il paese di tante grosse e belle città, e di tante castella e fortezze, quante a’ nostri tempi vi sono. Con ciò sia che la frequenza della Germania non ebbe tanto la origine sua da Carlo Magno, e da’ discendenti, quanto da gli Ottoni, da gli Arrighi e da’ Federighi, come ampiamente mostra lo Irenico; e dal timore delle prede, incendi e rapine che vi facevano gli Ungheri ogni anno, correndola tutta a loro piacimento, e quando più tornava lor bene per non esservi altro che ville e borghi, senza cittadi o castella grosse che potessero tenergli a freno. Il che avveniva certamente per mantenervisi ancora in parte quella salvatica rigidità e salvatichezza rigida e fiera, che si legge in Cornelio Tacito.”835 Un’altra considerazione estremamente indicativa della prospettiva filo-tedesca e specificamente ottoniana che permea la Storia sotto diversi punti di vista. In primo luogo la fonte di riferimento indicata dal Giambullari stesso nell’Irenicus. In secondo luogo il richiamo positivo alla moderna civiltà urbana europea e tedesca già presentato dall’autore nel primo libro della Storia a pagina 22 proprio in collegamento a Tacito836. Un elogio dunque non occasionale né isolato che inoltre evidenzia in questo punto un forte contrasto con la realtà lasciata da Carlo Magno e soprattutto dai suoi inadeguati successori. Gli Ottoni, pertanto, sono gli autentici padri fondatori della moderna civiltà europea poi edificata anche dagli altri imperatori tedeschi, non i carolingi. Appare evidente, anche da questo passaggio la valenza contemporaneistica del disegno storiografico del Giambullari in cui passato e presente sembrano avere più di un contatto del tutto fortuito. Anche perché la devastazione soltanto parziale di Basilea compiuta dagli Ungheri appena usciti dall’Alsazia consente all’autore una celebrazione della sua ricchezza e bellezza contemporanea correllata ad una digressione sulla sua storia e sul suo sviluppo attinta dal Renano. Anche se il Giambullari rispetto alla prosa del Renano cambia l’ordine dei passaggi in questione mantenendone però inalterata la logica e la sostanza. Una sostanza che come le parole del Renano attestano parla tedesco, in perfetta linea con quanto sinora riscontrato e sostenuto. Nella riproposizione della nascita e della storia della città come narrate dal Renano, Giambullari aggiunge secondo quanto risulta dal confronto due espliciti elogi alla Basilea contemporanea, che accentuano ulteriormente la già positiva immagine offerta nel racconto della sua crescita e dalla sua floridezza. Dal Renano. Basilea dunque, emblema dei progressi, della forza dello splendore dell’Europa imperiale germanica contemporanea, nonché città

835Storia, cit., passo alle pp. 171-172. 836Vedi supra alle cap. II prima parte pp. 38-39.

173

Page 174: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

simbolo dell’umanesimo europeo di stampo erasmiano di cui ovviamente il Renano è esponente e fautore: “Spogliata e guasta la Alsazia, si accamparono a Basilea; città oggi veramente ricca e magnifica, ma che allora veniva suso, e cominciava alquanto a distendersi. Con ciò sia che, dopo la inondazione generale de gli alemanni da noi detta nell’altro libro, essendo già abbattuta e distrutta Augusta de’ Raurici, le nuove genti de la vecchia Germania usicte non cercarono più di rifarla, come luogo da loro odiato, ed in oltre non tanto comodo a’l condurvi le robe quanto il lito vicino al fiume: ma fermatesi lungo due torri vecchie, edifizi forse romani, in su lo stesso passo del Reno, e che ancora a dì nostri vivono, l’una in capo del ponte, l’altra poco lontana deputata a l’uso del sale, donde pare che ella abbia il cognome, cominciarono dappoco dappoco a farvi delle casette, primieramente da barcaruoli e da albergatori, e nello ultimo da mercanti, che d’ogni luogo vi concorrevano. E in questa maniera, perduta ed estinta in tutto non che la stanza di Augusta, ma la memoria, gli uomini a questo nuovo ricetto moltiplicando, e tirandovi tutto il buono che di altronde cavare potevano, lo augumentarono sì fattamente, che di semplice borgo divenuto prima castello, indi terra ed appresso città grossissima, si mostra oggi tanto magnifico e così bello, che molti si pensano il nome di Basilea cioè Reale, esser dato a questa città o dalla nobiltà e magnificenza degli edifizii, o da Arrigo re che, secondo il credere di alcuni, anticamente le diè principio; avvenga che l’una e l’altra etimologia non sia vera, essendo ella Passilea, e non Basilea, da’l passaggio quivi della acqua, e non da’l re o da’l regno, come aperto mostra il Renano.”837

“Ego longe aliam opinionem de Basilea habeo. Nam puto Basileam dictam…non quod a rege Henrico condita sit, sed a traiectu quem lingua Romanensis, hoc est Gallica passim, vocat. Unde etiam Bassella Mosellanica quam vulgo Passel appellamus, sibi nomen vendicavit, ut sit dicta Basilea quasi Passilea. Traiectum esse enim hoc loco fuisse verisimile est etiamdum stante Augusta, quod hic propter vallem per quam torrens e Birsa ductus fluit, ripa sit humilior, et ob multas causas ad transitum aptissima, apud Augustam autem prorsus abrupta. Proinde consentaneum est hic transmittere solitos quibus cum Rauricis res esset, ut Germanorum, Tacito teste, et dubio procul postea Alemannorum, in ripa tantum commercium. Huc facit, quod in Olinone perpetuum praesidium habebat Dux Sequanici tractus, non tam ob defensionem provinciae, quam ad tuendum istum precipue traiectum, ad quem locus ille recta respondet, Antiquam villam exiguum viculum attingens, et nunc prorsus sylvescens/ retento tamen nomine. Et quia munimento opus habebat traiectus adversum Germanos, et mox Alemmannos, ideo duo propugnacela erexere Romani, quorum fundamentis turres istas duas impositas credo quas hodie videmus, alteram in capite pontis, alteram paulo inferius a sale hodie nomen habentem quod in ea asservatur. Iam post triumphabundam illam Alemannorum in Galliam immigrationem, primum domus utrinque edificate sunt naviculariorumque et pandochiorum, initium futurae duobus oppidis. Mox vero locus frequentior coepit, ut etiam mercatores illic habitarent, nm circa omnis generis hominum turba confluire solet.”838

Comunque nonostante la furia ungara e l’incendio, la città non riceve un danno irreparabile secondo quanto Giambullari ricava dall’opera di un altro autore del XVI secolo di origine e cultura germanica, il De Germanorum prima origine, moribus, institutis…di Hulderic Mutius839. La stessa attenzione posta dal canonico laurenziano al destino della città che riesce

837Storia, cit., passo alle pp. 172-173. 838Rerum Germanicarum, cit., passo alle pp. 138s1-139s2. 839De Germanorum prima origine, moribus, institutis, legibus et memorabilibus pace et bello gestis omnibus omnium seculorum usque ad mensem Augustum anni trigesimi noni supra millesimum quingentesimum, libri Chronici XXXI ex probatioribus Germanicis scriptoribus in Latinam linguam translati, autore H. Mutio,

174

Page 175: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

a sopravvivere e a riprendersi rapidamente dall’espugnazione ungara costituisce un ulteriore segnale del particolare rilievo che questi passaggi assumono nell’economia della Storia. Senza contare il fatto che la fonte di riferimento del Giambullari, il Muzio ha una chiara propensione germanica già manifestata nella lettera noncupatoria. L’autore tedesco dichiara di voler perseguire con il suo scritto un intento chiarificatore delle imprese e della grandezza germanica messe in ombra dalle carenze riscontrate nelle fonti greco-latine. Anche questo autore è mosso da una pulsione celebrativa che lo porta alla traduzione in latino delle qualità e delle gesta di questo popolo registrate in lingua tedesca dagli autori germanici840. Sulla falsariga del Muzio scrive il Giambullari: “Era adunche in su’l crescere, quando gli Ungheri, espugnatala per viva forza, la spogliarono e de le robe e de gli abitanti, e attaccato il fuoco in più luoghi, la abbandonarono per desolata. Ma non ebbe effetto il nimico pensiero di quelli; perché il fuoco dopo la lor partita, venendo manco per sé medesimo, non le fece notabil danno. Entrati appresso nella Lottaringhia, in parte oggi detta Loreno, corsero la maggior parte di quel paese atterrando co’l ferro e co’l fuoco tuttociò che e’ trovarono debole. Il che fecero ancora in Francia, secondo che scrive il Muzio…”841

“Ex Svevia vertuntur in Rauracorum agrum ubi Basileam, quae urbs felicissime crescebat, vastatam et direptam incendunt, sed discendentibus hostibus ignis exstinctus est, neque multum dedit damni. Inde progressi in Lotharingiam pervenerunt, in cuius agris nullum aedificium erectum passi sunt omnia solo aequant.”842

Rispetto alla buona condizione generale di Basilea, molto diversa appare invece la situazione della Francia guastata dagli Ungheri e dalle malversazioni dei baroni sulle rendite dei vescovadi e dagli appettiti del duca Ruberto che cappeggia il malcontento nobiliare contro il debole governo di Carlo Il Semplice, come il Giambullari riferisce traendo prevalentemente ispirazione da Paolo Emilio: “Era per questi tempi una pessima consuetudine in tutto il regno di Francia, con i principi seculari, chiamando se stessi Abati, si pigliavano, quasi come in un feudo, le badie più grasse e migliori; e dando ai monaci ed a agli abati veri, da loro chiamati Decani, solamente il vittoe ‘l vestito, si appropriavano tutte l’entrate…e le consumavano…ne’ soldati[…]Ma Carlo ragunato un concilio, dichiarò che le cose de’ vescovadi non si potessero toccare, ma fussino interamente sacre e appartate…e desiderava di fare il medesimo di quelle de’

“Summi proceres profani locupletissimorum cenobio rum opes beneficio Regum acceperant, ac monachis tantum in sumptum suppeditabant quantum necessarius usus postulabat: ex eisque ipsi deligebant, qui non Abba (nam sibi nomen velut amplissimum arrogabat) sed decurio vocitaretur. Permultas aetates is mos tenuerat844. Iam Episcoporum iura invadebant. Simplex, coacto concilio, divitias Pontificum sanctas esse constituit. Coenobiorum libertas sanciri nondum poterat, quod eorum facultatibus Robertus magister equitum ac Hugo fratres militem

Basileae apud Henricum Petrum, mense augusto, Anno MDXXXIX; d’ora in poi De Germanorum prima origine. 840Ivi, Eustathio Quercetano summo Philosopho et medico H. Mutius, dove leggiamo: “et cum lingua notitiam rerum consequendi gratia diligenter meliores autores qui Germanorum res gestas Germanice scripserunt, conquirebas, in quibus ubi olfecisti, pro tuo exquisito iudicio, multa preclara esse et digna quae ad Graecos et Latinos transmittantur, rogabas me ut memorabilium ea quae aut omnino non, aut certe non tam bona fide neque tam clare essent apud Latinos, transferrem in linguam Romanam.” 841Storia, cit., passo a p. 173. 842De Germanorum prima origine, cit., lib. XII, passo a p. 100n2.

175

Page 176: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

monasteri; ma la forza di chi le aveva già occupate, non lasciò toccare questa parte, perché Ugo e Ruberto, che avevano in mano la milizia, la pascevano di queste entrate. […]Queste e le altre malevolenze del re considerando il duca Ruberto…cominciò con alcuni suoi a tracciare di levare il reame a Carlo…”843

alebat, ac iam cum factionis suae hominibus occupare Regni ius contendebant.”845

Nella lotta che si svolge tra Carlo e Ruberto si conferma ulteriormente la centralità di Arrigo di Sassonia che mantiene rapporti leali con Carlo il Semplice e rifiuta di aderire alla congiura nonostante le offerte di Giselberto, secondo quanto ricavato da un lungo passo di Ekkerardo: “Arrigo duca di Sassonia, ancora che non suggetto né obbligato, era venuto amichevolmente a la città di Aquisgrana ad una dieta del re Carlo; e aspettando già quattro giorni (come il duca Ruberto e molti altri) avanti a la camera di esso Carlo, o di essere intromesso là dentro o che il re si lasciasse vedere fuori, non solamente non fu ammesso alla sua presenzia, ma né gli fu risposto eziandio ad ambasciata che fusse fatta. La qual cosa vedendo Arrigo, e dispiacendoli fieramente si partì senza altra licenzia; e rivoltosi a circostanti, disse in modo che e ‘ fu sentito: “O che Aganone regnerà qualche volta con Carlo; o che Carlo con Aganone qualche volta rovineranno.” Di questa partita di Arrigo si turbò malamente Carlo; e conoscendo avere fatto male, mandò subito dopo lui Erineo arcivescovo Redense a fare infinite scuse, e a pregarlo con ogni in stanzia che e’ dovesse tornarea corte…Arrigo, per la benigna natura sua, lasciò persuadersi dallo arcivescovo; e tornato a la corte fu onoratamente ricevuto da esso Carlo, ed ebbelo da indi innanzi quanto e’ volle familiare. A tutte queste male disposizioni si aggiunse per mala sorte lo incitamento di Giselberto duca del Loreno[…]Dopo la morte del padre…il duca Regenero, avendo ottenuto egli lo stato che fu del padre, insuperbitone più del dover eper la mala natura sua, cominciò a cercare di nuocere; ma, come giovane e male accorto,

“Est autem alius quidam Historiographus, tempora Caroli huius, cuius prae manibus habemus[…]Et post pauca : interea Galliarum urbibus ac oppidis firmiter obtentis, cum paschalis solennitas immineret, Aquisgrani palatio sese rex recipit. Huc ex omni Gallia principes confluunt: huc etiam mediocres multo favore veniunt: adsunt et duces, ex Saxonia quidem Heinricus, ex Gallia Rupertus. Quotidie secus sores regij cubicoli manent: quotidie eggressum regis a penetralibus aulae prestolantur. Cum vero nullum eis a rege responsum per dies quatuor daret, Henricus id molestissimus ferens, dixisse fertur, aut Haganonem quandoque cum Carolo regnaturum, aut Carolum eum haganone ad rerum mediocritatem deventururum, indignansque inconsulto discessit. Quod rex moleste ferens, eum revocare cupiebat, et pro hacte metropolitanum Remensium Herineum dirigebat. Cuius lutulenta et amica oratione persuasus dux Heinricus, ad regem redit, multoque ambitionis honore ante eum admissus, in praecipuo gratiae loco familiarissime recipitur. Hac tempestate Regenherus vir nobilis, partium Caroli fidissimus tutor, finem vitae accepit, cuius exequijs Carolus interfuit: hisque peractis, Giseberto eius filio iam adulto, paternum honorem coram principibus, qui confluxerant, liberalissime contulit. Hic cum esset opibus et genere inclytus…satis

843Storia, cit., passo a p. 174. 844A questo passo allude il Giambullari quando richiama esplicitamente la diversa indicazione sull’inizio del fenomeno del Gaguin a p. 174 dove dichiara: “E se noi crediamo al Ganguino, gli autori ed inventori di così fatta usanza furono il predetto duca Ruberto ed Ugo il grande, altrimenti Parisiense, ancora che il parlare di Paolo Emilio accenni l’origine un poco più lontana.” 845De rebus gestis Francorum, cit., passo a p. 60hIIII.

176

Page 177: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

non la seppe guidare in modo che e’ non fusse tosto scoperto. Di questa malignità sua adiratosi Carlo…con prestezza fece uno esercito, e se ne venne contro al Loreno; dove non bastando la vista a’ popoli di contrapporsegli apertamente, si ritirarono per le città e per gli altri luoghi sicuri. Ma, Carlo, e col non offendergli, e con le promesse libere e larghe, di lasciargli in quel modo medesimo che elli stavano sino allora, gli rassicurò di maniera, che non solamente gli condusse a la voglia sua, ma gli armò contro di Giselberto. Il quale ritiratosi in Arburgo, castello fortissimo, che da una banda ha la Mosa, dall’altra il Gulo, fiumare amendue non minime, e da tutto il restante precipizii e balzi grandissimi, aspettava pur di vedere che espediente pigliasse il re, credendosi risolutamente che e’ dovesse tornarsi a casa. Ma veduto poi assediarsi e per acqua e per terra, e che ogni di si combatteva il castello e si stringeva di giorno in giorno; deliberò di non aspettare, giudicando molto più sicuro ogni altro partito che il venire a le mani di Carlo. Calatosi dunque una notte giù da le mura, e passato il fiume notando, si condusse al Reno finalmente con duoi compagni soli, e se n’andò in Sassonia a’l suocero; dove qualche anno stette in esilio…Arburgo, dopo la partita di Giselberto, subitamente si diede al re; ed egl inisignoritosi…di tutto lo stato di Giselberto…E nientedimeno, dopo qualche anno ad in stanzia del duca Arrigo di Sassonia, perdonò Carlo a Giselberto, e ricevettelo nella sua grazia; ma con questa condizione, che di tutto lo stato suo, distribuito dal re, come è detto, e’ non riavesse per allora se non quelle sole cose che si trovassino essere vacate per la morte de donatarii; e de’l resto aspettasse la vacazione, perché il re non voleva in maniera alcuna rivocare le grazie, o annullare quelle cose che aveva fatte. Accettò Giselberto la condizione, e riebbe Traetto, Gulo, Caprimonte ed alcune altre città che si trovarono senza signori; e di quelle preso il possesso, cominciò a combattere or con questo or con quello possessore delle cose sue, tanto che finalmente a poco a poco

beatis, in nimiam prae insolentia temeritatem praeceps ferebatur, multaque pro abiectione regis moliebatur. Quo agnito Carolus a Celtica cum exercitu rediens, cum bellum pararet inferre Belgis, quorum dux erat Giselbertus, Belgae mox non in aperto cum Giselberto nisi sunt resistere, sed oppidijs ac municipijs sese recludunt propere. Ad quos rex legatos dirigens, promisit eis se omnia donaturum, si ad se confluerent, quae a Gisilberto prius in beneficio haberent. Quo capti mox ad regem per Sacramenta redeunt, et contra Giselbertum pariter confurgunt. Ille vero in oppido Harburg, quod hinc Mosa, et inde Gullo fluvijs vallatur, alias autem immani hiatu, multoque horrore veprium tutissimum videbatur, cum paucis tunc claudebatur. Huc rex cum copijs properat obsidinem locat hinc et inde navalem, alias vero equestrem. Et cum violentius instaret, Giselbertus clam per murum dilapsus, fluvium enatando transmeavit, et cum duobus clientibus Rhenum, exulaturus, pertransiens, annis aliquot apud socerum suum Heinricum patrimonio exulavit. Oppidani vero absque duce relicti, se subdiderant regi. Evoluto autem tempore, Heinricus egit apud regem, ut Giselbertus reciperetur in gratiam: ea tamen conditione, ut beneficijs, quae ipsi insolenter deduxerat, quaeque rex faventibus sibi postea contulerat, quamdiu possessores eorum viverent, careret, ea vero, quorum possessores per annos exilij sui excesserant, regis miseratione reciperet. Recepit itaque Traiectum, Iupilam…Capremontem, quae a defunctis derelicta vacabant, caeteros vero qui sua habebant, ingenti cede vexabat, donec omnia sua recipiebat. Postea multa contra regem machinans, socerum adijt, ac plurimum regi adhaerere dissuasit, Celticam solam regi sufficere posse afferens, Belgicam vero atque Germaniam rege alio plurimum indigere, unde ut ipse dux Heinricus creari rex non abnueret, multiplici permovebat suasione. Heinricus vero cum illicita eum suadere adverteret, dictis suadentis admodum restitit, et ut a nefarijs quiesceret, crebro admonuit.”847

846Storia, cit., passo alle pp. 176-177. 847Chronicum…Uspergensis, cit., passo alle pp. CCXs3-CCXIs4.

177

Page 178: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

riebbe tutto.Né diventò amico di Carlo…ma inimico capitalissimo…e veggendo non esser tale che ei potesse levargli il regno, tentò primieramente il suocero suo…mostrandogli la comodità che e’ ne aveva…ma ricusando fare questa cosa il buon duca Arrigo, e dannandola come ingiusta ed iniqua…”846 L’atteggiamento tenuto da Arrigo risponde ancora una volta ad una precisa istanza provvidenziale che determina la sconfitta di Roberto, nonostante la pochezza di Carlo. Quest’ultimo infatti è il legittimo erede di Carlo Magno. Tuttavia, traspare evidente la disistima che circonda Carlo il Semplice nella Storia vista l’enfasi con cui si sottolinea la ben diversa energia con cui Roberto conduce le sue truppe. I suoi soldati del resto vengono motivati in chiave antigermanica quale baluardo contro le aspirazioni di egemonia sui franco-galli imputate ad Arrigo che sostiene Carlo. Notazione che evidenzia ulteriormente, sia la preponderanza sassone, sia questo doppio piano imperiale e nazionale su cui si muove l’Europa. Un binario in cui evidentemente il Giambullari attribuisce preponderanza all’elemento germanico. Tutti motivi che il nostro trae chiaramente da Paolo Emilio, anche se in parte ampliati e rielaborati o proposti in un ordine diverso. Roberto pronuncia nella Storia un discorso per spronare i suoi soldati, e la sua morte letta quale espressione di un decreto divino, viene nel testo dell’Emilio associata strettamente alla morte del vescovo Erineo che l’aveva incoronato re di Francia pochi giorni prima, morte invece non menzionata dal Giambullari: “Carlo, udito il nuovo tumulto…se ne venne in su la campagna, e con quella gente che aveva, che erano per la maggior parte Fiamminghi e Todeschi, uscì gagliardo contro a Ruberto (poco avanti gran conestabile, ed allora da Erineo arcivescovo Remense solennissimamente coronato re), co’l quale erano tutti que’ Gallie que’ Franchi che non volevano sopportare in maniera alcuna che la Francia avesse ad essere soggetta ad Arriigo ed alla Germania, come affermavano pubblicamente i nimici di esso Carlo, che egli aveva deliberato di sottometterla. Venutisi, dunque, a petto questi duoi eserciti vicino a Soisson di Ciampagne, città dagli antichi già detta Augusta Vessonum, subitamente furo a battaglia: perché la gente di Carlo, la quale, rispetto a la troppo rimessa e fredda natura del re, secondo Paulo Emilio, non aveva si può dir, capo, essendo ciascuno de’ soldati suoi e capitano e confortatore di sé medesimo, impetuosssimamente vi dette dentro. Il che fece la parte avversa, concitata dallo esempio e dalle belle parole di esso Ruberto,[…]Così diceva Ruberto; e ancora che la virtù sua, la memoria di Oddone suo fratello, la morte dello avolo per difesa già della Francia, la

“Franciae quoque domestica bella, quorum consilia diu coacta fuerant, erupere. In Fulconis locum suffectus fuerat Hereus pontifex Rhemorum, non alienus a Roberti causa. Simplex ferox erat, quod Lotharingiam amissam tanto ex intervallo Francis recuperasset. Id summae gloriae gloriae ducebat, militique Lotaringo succinctus erat…Henricum Othonis Saxonum ducis…cum Franco Rege foedus icit, eique poscenti Germanorum copias auxilio misit contra adversariorum factionem: Germanisque magis quam suis sese credebat commitebatque Simplex. Ea res novam flammam invidiae apud Francos illi conflavit, auxitque eam mox quod credebatur in animum induxisse, se Franciamque Henrico …subiicere, ne bello a Germanis vexaretur, sed eorum auxiliis, si opus esset, iuvaretur. Id vero universa prope Francorum nobilitas onn ferens, ad aemulum Regni Robertum studia viresque inclinavit. Consensu hominum permotus Herueus, eum inunxit. Miraculo mortalibus fuit quod die tertio ab ea inunctione obiit Archiepiscopus. Omen in Robertum vertit. Seulfus suffectus in Suessionum finibus in aciem descensum.

178

Page 179: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

solenne coronazione ancor fresca, e, quello che molto più stimavano coloro, il voler difendere la patria da la servitù che il re Carlo le procacciava, lo facessero sommamente degno di onore e di riverenzia, non però moveva egli molto i soldati suoi: perché vedendosi incontro il legittimo e giusto re, coronato prima che nato, ed uscito per dritta linea non solamente di padre re, ma di tanti avoli imperatori, ed una ultima quasi reliquia di Carlo Magno, non potevano, ancora che per le false calunnie mortalmente lo disamassero, non temere e non reverire la sua maestà. Per la qual cosa vedendosi Ruberto far poco frutto con le parole… cominciò tra primi, a far pruove maravigliose di sua persona, abbattendo, uccidendo…che bene avrebbe forse rivolti in fuga gli avversari o nimici suoi, se la divina giustizia, che punire lo volle de gli spergiuri, non gli avesse guidato e condotto a l’elmo uno incontro di lancia…e per morto lo pose in terra.[…]Finita la sanguinosa giornata[…]Carlo, non capace per avventura di tanta felicità, non seppe usar la fortuna sua: perché non apprezzando forse il nimico, che si debbe sempre stimare, no attese a seguire avanti, ed a spigner con l’armi, quelli avversarii che e’ non poteva più guadagnarsi con le carezze…Anzi, voltosi tutto a mandar lettere ed ambasciatori a più gagliardi de nimici suoi, gli invitava e gli confortava…a quietarsi e vivere in pace[…]e dove, se e’ fusse stato d’altra natura, assicurava questa vittoria a’ suoi discendenti il regno di Francia…”848

Pugnatum ut de Regnum par erat, cum pro Simplice Flandri, Lotaringi, germani praeliarentur, pro Ruberto nuper Magistro equitum, nunc novo Rege, qui Francorum aegerrime ferebant Franciam a Germania, cui leges dedisset, iura petere. Cum altera pars sub Simplicis Regis signis, velut Duce careret, sibi quisque Dux adhortatorque erat, nec alterius imperium expectabat. Altera nimis ardentem Ducem habebat, et magis recentii Regii nominis quam vitae memorem. Maiestas in utroque sancta : in latero, quod ante rex fuisset quam natus, quod patre ac tot maioribus augustos ortus, quod una esset reliqua Caroli Magni agnata soboles. Alterum commendabat recens sacrum, sua virtus, Odonis fratris memoria, avi mors pro Francorum rebus obita, ac causa belli in vulgo iactata, libertas, nomenque Francorum hactenus gentibus nobilissimum, ne Germanis Regibus, ne Augustis exteris serviret. Nec tunc fortuna Franciae rem ambiguam decrevit. Altera acies perpaucis militum desideratis, novum Regem suum dum acerrime ante signa pugnat, circumventum, amisit: alterius caedes ingens militum facta, Semplice Regi incolumi, qui unus petebatur. Id exitio Semplici fuit, quod sublato aemulo, cum non haberent hostes pro quo Rege pugnarent, in morem victi animum demisit, quem potius bello vicisse videri velle oportuisset: oratoresque aliquanto post ad hostes, Hebertumque hostium principem misit prope supplices, ac alteros ad Henricum Germanorum Regem, qui Lotaringiam ei redderent, novaque auxilia peterent. […]”849

L’aperta condanna dell’atteggiamento di Carlo il Semplice prosegue nella pagina seguente della Storia attraverso un giudizio che Giambullari estende dal singolo a tutti i successori di Carlo Magno, a rimarcare, appunto, il proprio orientamento non certo filo-francese, dando piena evidenza all’estrema decadenza che colpisce la stirpe carolingia nei successori di Carlo Magno: “Ed è certo che di tutte le cose nostre avviene il medesimo che di noi stessi; i quali, dopo il nostro nascere al mondo, ancora che ei si consumi sempre il migliore, andiamo in un certo modo e crescendo e augumentando sino al mezzo della età nostra; ed appresso apertissimamente già logorandoci e sminuendo, ci risolviamo poi finalmente in polvere e vento. E le cose nostre nascendo il più delle volte da’ principj deboli e bassi, si sollevano e ingagliardiscono appoco appoco; ma come ele sono al sommo dello arco, irreparabilissimamente danno la volta, e col tempo mancano in tutto. Il che per non cercar

848Storia, cit., passo alle pp.178-181.

179

Page 180: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

gli esempi di fuori, manifestissimamente si vide nella stirpe di questo Carlo: essendo stato in Pipino il Grosso prudenza grande e molto valore; in Carlo Martello una invitta virtù eroica: nel re Pipino una quasi divinità; e in Carlo meritatamente chiamato Magno, uno animo capacissimo della terra tutta e del cielo. E qui si ferma il colmo dello arco. Perché Ludovico Pio fu minore assai di suo padre; e Carlo Calvo più vicino ancora alla lode che al biasimo; il Balbo non si vede appena che e’ fusse vivo; e nel Semplice sopraddetto mancò veramente in tutto il valore…”850 A questo punto, l’autore ritorna ai conflitti in corso tra gli Anglo-Sassoni, gli altri popoli britannici e i Dani, tutt’altro che placati nonostante la tregua conclusa da Adovardo e che hanno impedito di sostenere fattivamente Carlo il Semplice. Il decisivo scontro con i Dani e l’immagine di un’Inghilterra finalmente pacificata e rinnovata dal suo sovrano sotto il profilo religioso e legislativo sono attinti da Polidoro Virgilio, sebbene Giambullari rispetto al testo di partenza, attui un’inversione, posticipando la vicenda di Egina moglie del re e madre di Adelstano, rispetto ai provvedimenti assunti in materia religiosa da Adovardo e alla piena sintonia raggiunta col pontefice dopo l’iniziale distanza: “Perché durante la tregua…i Dani che malvolentieri la osservavano, non per voglia ma per forza stavano in pace, non potendo uscire in campagna per la gran carestia del vivere; e attendevano segretamente a procacciarsi nuovi compagni, ed a provvedersi il più che e’ potevano di ciò che loro pareva a proposito, per al maturare delle biade potere da capo rifare la guerra. La qual mala disposizione conoscendo il re Adovardo, non aspettò che e’ fussino i primi; anzi entrato in Nortumbria con esercito molto grosso, dette il guasto a tutto il contado; e predando ed ardendo il paese, gli costrinse a stare in cervello, e ad avere di grazia la pace. E sollecitò Adovardo, quanto e’ poteva, sapendo per veri avvisi la guerrabche da una altra parte della isola gagliardamente gli apparecchiava Erico, il re di quegli Angli che si chiamano Orientali…con ciò sia che costui come Dano, �marrito�a�o di tutti gli Anglesi, attendeva segretamente a �marrito� donde e’ poteva Normanni e Dani di nuovo, e a fornirsi bene di soldati, per potere cacciandone gli Angli, insignorirsi di tutta l’isola. Ma facendo le cose nell’ultimo troppo scoperte senza prudenzia alcuna, Adovardo che lo sapeva, pacificatosi co’ Nortumbri, ed avuti da loro gli statichi, se ne venne nel regno di Erico; e guastandoli non solamente le ricolte…lo costrinse a fare la giornata. La quale fu a’ Dani molto dannosa: perché…Erico, superato e rivolto in fuga, non

“Interea frumentum propter siccitatem, angustius provenerat, id quod in causa fuit, cur ne statim inducie a Daco violatae sint, qui tamen interim quietis impatiens solicitabat finitimos ad bellum faciendum, cum ijs secreta consilia continenter conferendo. Cui futuro periculo Edovardus obviam eundum ratus, repente in Northumbros movit, populatoque agro, tot damna intulit, ut inde ultro in officio permanserint. Imminebat praeterea ex altera parte bellum ab illis, qui Orientalibus Anglis praeerant, quorum rex erat Ericus. Is Angelico nomini infectissimus, alios Dacos in societatem belli adducere secreto studebat, quo iunctis armis, simul Anglorum opes uno tempore tererent. Caeterum cum omnia ab eo temere fierent, interim Edovardus eius insidias praeveniens, fines regni ingressus, agrum multo crudelissime devastat. Dacus qui iam suos in armis habebat, ira pariter atque ulciscendi cupiditate ardens, preceps in hostem fertur. Ita pugnam ferociter conferunt, quae ut a Daco temere inita, ita exitu calamitosa fuit, post tetram suorum eadem. Ericus nullo fere negozio victus fugatusque est, quem mox ob eam odiosam, funestamque plagam acceptam, crudelius solito imperantem ipsi Orientales Angli saevo dominatu irritati interfecerunt. Nec perinde illis hoc factum bono fuit, ut fore putarant, quando brevi post tempore viribus debilitati, in Edovardi potestatem venire compulsi sunt. […]Edovardus Orientalium

849De rebus gestis Francorum, cit., passo a p. 61hV. 850Storia, cit., passi alle pp. 178-181.

180

Page 181: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

potendo sfogare la rabbia ne’ suoi nimici, la rivolse ne’ suoi suggetti, contro a’ quali crudelissimamente portandosi, fu da loro finalmente ucciso. Il che fu la rovina loro, e la desolazione di quel regno, ridusse fra poco tempo tutta la Mercia in sua potestà: perché, essendo mancato di vita il suo cognato Eltelredo signore de Merci, senza aver lasciato figliuoli, Elfreda moglie di quello e sorella di Adovardo, dopo lo aver governato un pezzo i suoi popoli con gran giustizia, lasciò il tutto al re Adovardo. Il quale dopo questo legato, impadronitosi di tutto il restante de’ Merci, fu il primo re di Inghilterra che i sette regni de gli Angli riducesse in un corpo solo, eccetto però quella parte che rimase ancora a’ Nortumbri. Pacificato…tutto il reame, il re Adovardo si rivolse a fare nuove leggi: le quali se ben furono utili e sante, furono levate pure da’ Normanni…Edificò eziandio la rocca di Betfordia, fortissima per la natura del luogo e per la maniera della muraglia. Rivolsesi ancora alla cura della religione, non tanto per voglia sua, quanto per le minacce di papa Giovanni Decimo: il quale sapendo che la religione cristiana raffredava sinistramente fra gli Inglesi occidentali per non vi essere vescovo alcuno che mostrasse la via d’Iddio, e che questo avveniva per la �marrito�a del re, che datosi tutto alla guerra, non solamente non procurava che le chiese avessero i vescovi, ma impediva eziandio i sacerdoti da la esecuzione dello ufizio loro; sapendo, dico, questi disordini, si turbò gravemente, come al grado suo si apsettava, ed aspramente con le lettere ne riprese il re, minacciandolo se e’ non faceva tornare i vescovi a le lor chiese, che dichiarerebbe scomunicato e nimico della santissima religione e lui stesso e tutto il regno. De la qual cosa vergognandosi il re fortemente, operò con Plermondo arcivescovo di Canterbeia, che raccolto un concilio provinciale, rassettasse il culto divino, e creando que’ vescovi che mancavano, li mandasse a le chiese loro. Il che pienissimamente eseguito… volle che lo arcivescovo andasse a Roma a scusarlo col santo Padre…e così fu fatto. Appresso, mancatagli già la primiera donna, de’ la

Anglorum regno potitus, Merciai deinde omnem in suam potestatem redegit: vita enim funto Ethelredo, qui Mercijs praefuerat, sine liberis, Elfreda eius uxor non minus iuste quam prudenter aliquot annos Merciai rexit: qua morta, Edovardus Merciai reliquam recepit. Per hunc demum modum, is rex fines regni ita propagavit, ut iam preter Scotiam, totius insulae imperium obtineret, licet penes Dacos, in Northumbria, aliquid adhuc ditionis esset. […]Edovardus ad extremum pacato iam regno, le gibus condendis maxime studuit, quae etsi salutares erant, apud posteriores tamen facile antiquatae sunt. Construxit arcem prope Bedfordiam, opere et loci munitissimam. Genuit ex Edgina puella forma eleganti, filium nomine Adelstanum, qui eius successor fuit. Est opere praecium, si statis vulgo facere volumus, qui prodigijs delectatur, apposite subijcere praesagium, quo Edgina puella spem conceperat, gignendi filium, qui quandoque esset regnaturus: somniavit enim ex utero suo lunam exortam, quae totam Angliam pleno lumine illustraret. Id quod cum quidam matronae narrasset, illa non aspernata somnium, quod postea eventu mirabili extitit, puellae obscuris natae parentibus, bonis educandi moribus curam suscepit. Hanc itaque iam viro maturam Edovardus cum forte villam quandam animi causa peteret, conspicatus, eiusque repente forma captus compressit, ex qua, ut dictum est, Adelstanum genuit. Item ex Elfreda uxore postmodum liberos virilis sexus suscepit Etheluardum et Eduinum, qui statim post eius obitum, vita excesserunt : foeminas vero…Edgina seu Elgina locata est Carolo Semplici francorum regi, et Editha Sithrico northumbrorum regulo. Sustulit Edovardus ex altera uxore nomine Edgina filios duos, Edmundum, et Eldredum, qui deinceps post Adelstanum regnarunt. Per idem temporis, Christiana pietas multum apud Occiduos Anglos frigescebat, quia nullius in ea regione erat episcopus, qui populum doceret, eiusque rei culpa in rege residebat, quod per eum, qui magis bello, quam rei divinae inserviret, non liceret sacerdotibus suo ufficio fungi. Qua re Ioannes decimus pontifex Romanus valde commotus, per literas Edovardum vehementer

851Storia, cit., passo alle pp. 182-184. 852Anglicae Historiae, cit., passo alle pp. 107-108k1, lib. VI.

181

Page 182: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

quale ebbe due figliuoli…e sei figliuole, che l’una fu moglie di Carlo il Semplice e un’altra di Aitrico re de’ Nortumbri; si ammogliò la seconda volta, e generò Emondo e Eldredo, che regnarono dopo Adelstano[…]Egina, fanciulla povera e di condizione molto bassa, ma bella e tenera ancora di età, sognò che dal corpo suo nasceva una luna, la quale piena di luce, illuminava tutta Inghilterra. Il che narrando ella semplicemente ad una matrona, colei non si facendo beffe de’l sogno, si dispose insegnarle costumi buoni e maniere nobili e grandi…allevandola dunque con questi modi, accadde che essendo la fanciulla già da marito ì, e bellissima fra tutte l’altre, il re Adovardo trovandosi un di in su la caccia �marrito da cacciatori, capitò per sorte a la villa dove ella stava; e vedutala, e piaciutagli sommamente, se ne accese fuori di misura. Per il che arrecatala a’ suoi piaceri ne acquistò il detto Adelstano.”851

castigavit, minatusque est, se illum unam cum populo, religionis hostem denunciarunt, nisi mature accersiret episcopos, qui pristinam religionis disciplinam servandam curarent. Quod ubi rex intellexit, negligentiam risarcire studens, ita egit cum Pleimundo Cantuariensi archiepiscopo, qui Athelredo post annum quam sedere coeperet decimumoctavum, vita funto, paulo ante successarat, ut ille conventum fecerit, in quo plures episcopi creati sunt, qui dioceses regerent. Postea Pleimundus vir doctrina et vitae integritate clarus, facti purgandi causa Romam profectus, pontificem placavit.”852

Nelle pagine successive l’autore cambia decisamente scenario storico e geografico ritornando all’impero d’oriente. Tuttavia, il canonico laurenziano si dilunga sulle vicende bizantine nella misura in cui esse spiegano le dinamiche politico-militari europee e precipuamente italiane in relazione al problema saraceno. La stessa ampia digressione sui successori di Leone V, in cui Bisanzio viene di nuovo rappresentata in versione non idilliaca, quale corte degli intrighi è funzionale in questo senso a dimostrare l’impotenza e la debolezza dell’Impero d’Oriente. Impero malamente governato da Alessandro successore di Leone, tutto intento ai piaceri della carne e intenzionato ad estromettere l’infante Costantino dal trono. Progetto quest’ultimo che non si realizza, sia per lo scoppio della guerra con i Bulgari, sia per la morte di Alessandro provocata dai suoi eccessi. Costantino, tuttavia, recupera solo per breve tempo il potere imperiale prima del nuovo accantonamento subito ad opera di Romano Lacapeno853 divenuto ammiraglio della flotta imperiale in modo del tutto fortuito come risulta dal racconto della sua ascesa tratto da Liutprando: “Questo ammiraglio, per quanto ne gli scrittori se ne vegga, aveva nome Romano Lacapeno, ed era nato in Armenia d’una stirpe si bassa e vile e, oltre a questo cotanto povera[…]la fortuna…lo fece con altre ciurme venire a servizio delle galee sotto Leone Filosofo…Dove portandosi molto bene per lo ufizio che aveva a fare, e mostrandosi ardito e di ingegno, venne in grazia al suo capitano, e per quello agl ialtri maggiori e finalmente allo imperatore…Durando la guerra co’ Saracini, fu inviato costui di notte e segretamente a scoprire il nimico esercito…e nello andare a questa faccenda, mentre che egli attraversava

“Imperante quoque Leone Costantini huius genitore, Romanus Imperator quanquam…id est, pauper, ab monibus tamen…id est, utilis habebat. Erat autem ex mediocribus ipsis qui navali pugna stipendia ab Imperatore acceperant. Qui quum sapieus et iterum…in pugna nonnulla, id est, utilia faceret, a sibi praeposito adeo honoratus est, ut primus navium fieri mereretur. Quadam autem nocte, dum Saracenos exploratum abiret, essetque in eodem loco palus, atque harundinetum non modicum, contigit leonem ferocissimum ex harundineto profilire, cervorumque multitudinem in paludem

853Storia, cit., vedi pp. 184-190.

182

Page 183: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

un pantano pieno di cannucce selvatiche, sentì uno strepito grande causato da un leone, che seguendo un branco di cervi per voglia di cibarsi, gli aveva cacciati in quella palude. Ma Romano che non sapeva o vedeva questo, si immaginò che i nimici fussino là dentro per fare una imboscata, o qualch’altra astuzia di guerra. La onde tornato con celeritate a la armata, e fattisi dare alcuni compagni, e una maniera di fuoco il quale abbrucia dentro nella acqua e non si spegne se non con lo aceto solo, tacitamente lo condusse tra quelle canne, ed attaccatolo dove più gli parse a proposito si ridusse a la sua galea. Ritornato di poi…la seguente mattina per vedere se trovavano cosa alcuna da poterne fare conghiettura, vide come tutto il pantano era arso, eccetto che in luogo solo, dove non si era condotto il fuoco per avere forse il vento contrario. Per il che, dispostosi di vedere se colà dentro fusse qualcosa, impugnata la spada, e con la cappa in su’l braccio, ragionando co’ suoi compagni, si accostò al luogo predetto. Era per avventura tra queste canne il leone che noi dicemmo, il quale non avendo forse altrimenti potuto fuggire il fuoco, si era ridotto dove non era giunta la fiamma, ed acceccato quivi dal fumo, vi si stava tutto rabbioso: ma sentendo parlar costoro, si gittò al suono della voce. I compagni di Romano, veduto questo animale, subitamente fuggirono tutti, ma egli…gittata la cappa tra le branche alla fiera, e svoltatosi un po’ per un canto a darle la via, le tirò con la spada sì fattamente alle giunture di dietro, che non potendo il leone più reggersi, rimase a sedere in terra. La qual cosa vedendo i compagni, che se ne erano prima fuggiti, tornarono a finire di ucciderlo. E raccontando poi il tutto in nave, dove portarono il leone con loro, celebrarono sì fattamente la virtù di Romano, che lo imperadore non solamente gli fece donativi grandi, e gli dette condotta ed onori non piccoli, ma sentendosi venire a morte, e lasciando il figliuolo ancor tenero alla tutela di Alessandro, volle che tutta l’armata di mare fusse in arbitrio di costui solo: e così lo fece grande ammiraglio…persuadendosi…che non dovesse bramare lo imperio, anzi guardarlo

demergere, unumque eorum capere, sicque rabiem ventris mitigare…Id est, Romanus autem eorundem sonitum audiens, timuit valde. Putavit enim multitudinem Saracenorum esse, qui conspectum se fraude aliqua vellent perimere. Mane autem primo exurgens quuum diligentissime omnia consideraret, conspectis vestigijs, id est, confestim quid hoc esset agnovit. Leone itaque in harundineto acervuus harundinibus plenus, in quem leo confugiens, illo ab igne est salutatus. Ventus quippe contraria ex parte flans, ignem ne ad acervuum usque perveniret amovit. Romanus praeterea post ignis extinctionem, uno tantum cum assecla ensem solum dextera, sinistra autem pallium gestans, locum omnem peregrans lustrat, si forte os ex eo vel signum aliquod reperiret. Iam vero quum in eo esset, ut nihil inveniens repedaret, quid hoc monstri esset quod acervus ille sit ab igne salvatus, studuit visere. Quumque duo prope assisteret, secumque rebus ex nonnullis fabularent, leo hos tantum audivit, quoniamquidem ob caligantes oculos…id est, ob fumus videre non potuit. Volens igitur leo animi sui feritatem quam ab igne coceperat, in hos evomere, saltu rapidissimo quam illorum voces audierat, inter eos prosilijt. Romanus vero, non ut suus assecla pavitans, sed ea potius mente consistens, ut etsi fractus, caderet orbis, impavidum ruinae ferirent, pallium quod manu gestabat, inter brachia misit. Quod dum pro nomine leo discerperet, Romanus hunc a tergo totis viribus inter clunium iuncturas ense percussit. Qui dissociatis divisisque cruribus quia stare non poterat, penitus cecidit. Leone igit interfecto, Romanus seminecem asseclam suum solo stratum eminus vidit, quem et vocare voce praecipua coepit. Sed quum nullum daret omnino responsum, idem Romanus propter eum astitit, pedesque pulsans, surge, inquit, miser. Qui confurgens prae admiratione dum leonis immanitatem conspiceret, non habuit ultra spiritum. Stupebant autem omnes de isto Romano haec audientes. Unde factum est, ut tam pro caeteris quam pro praeclaro hoc praesenti facinore non multo post a

854Ivi, passo alle pp. 190-192. 855Liuthprandi, cit., passo alle pp. 260y4-261y5. 856Ivi, passo alle pp. 263-264y6.

183

Page 184: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

per Costantino, ed essergli fidelissimo sempremai per la mercè che gli aveva fatta. Ma Romano…dimenticatosi lo obbligo suo, fece coronare Cesare non solo sè medesimo, ma la moglie e tre suoi figliuoli, Cristofano, Stefano e Costantino; e di maniera seppe aiutarsi, che e’ fu quasi che imperaodore, anzi che egli usurpò lo stato al suo genero.”854

Leone Imperatore tanto donaret honore, ut omnes naves ipsius essent in manibus, eiusque iussionibus obedirent.[…]Leo denique Graecorum pijssimus Imperator…regni sui haeredem, Alexandrum fratrem germanum, unicumque filium Constantinum, qui nunc usque superest, et feliciter regnat, parvulum, …et infantem dereliquit.855[…]Denique Romano imperatore costituto, Christophorum quem ante imperij dignitate habuerat, Imperatorem constituit. Post impij vero sui ordinationem uxor eius filium ei peperit nomine Stephanum. Rursus concepto foetu alium ei peperit nomine Constantinum. Quos omnes imperatores constituens, contra ius fasque et secum Christophorum primogenitum domino suo Imperatori Comnstantino porphyrogenito praeposuit…”856

Del resto, il negativo profilo di Romano, viene ulteriormente confermato dalla disastrosa condotta di guerra con i Saraceni in terreno asiatico. Questione “de la quale non ragiono altrimenti, per esser successa in Asia, cioè fuori di tutti i confini e termini a’ quali si allarga la istoria nostra…” dichiara il Giambullari che ne evidenzia esclusivamente le tragiche ripercussioni propagatesi in Italia. Infatti, Romano spopola Calabria e Puglia per ingrandire un esercito, poi distrutto dai Saraceni, provocando la ribellione delle due regioni contro Romano che chiama in suo soccorso addiritura il re dei Mori: “Venuta la pessima nuova di Calavria e per tutta la Puglia, oltre allo avere portato unversqalmente dolori e pianti per la morte di tante genti, ella vi recò eziandio sì grave sdegno contro a Romano, governatore dell oImperio greco, che facendosi beffe di lui…si ribellarono finalmente, e non volsero più ubbidirlo. Romano turbato, di questa cosa, tentò con dolci parole di ridurli a lo antico giogo; ma veduto di perder tempo con lusinghe, e di non gli potere forzare con esercito, rispetto a la guerra d’Asia, scrisse ni Africa a’ l re de’ Mori, che per servizio suo volesse passare in Italia con tanto esercito che gli ricuperasse Puglia e Calavria, con questo che tutta la roba fosse de’ Mori, e la terra sola de’ Greci. Il Moro, cupidissimo di guadagno, e nimicissmo de’ Cristiani, non apsettò farsi pregare. Anzi, adunata quella più gente che potette mettere insieme, se ne venne per mare in Calavria[…]arrivati i Mori in Italia, non solamente predarono la Clavaria e la Puglia, vote (come si disse) di

“Romanus (ut latius sumus dicturi) cum Costantino qui nunc usque superest, leonis imp. Filio Costantinopolitanum regebat imperium. Et sicut fieri assolet, primo quo Romanus suscepit imperium anno, nonnulae ei gentes, praesertim…, hoc est, orientales, visae sunt rebellare. Factum est aut dum Imp. Exercitum ad espugnandas eas transmitteret. Apuliam et Calabriam binas regiones quae ei tunc temporis serviebant, huic rebellasse. Quumque Imp. Maximis orientem versus copijs directis exercitus huc multitudinem destinare non posset : rogavit primo ut sui fidelitatem pristinam sponte redirent. Qui quum renuerent, atque hoc se facturos minime dicerent, ad Aprhicanum mox Imp. Dirigit regem, eum precio rogans ut se adiuvet, virtutisque eius auxilio Apuliam sibi atque Calabriam subdat. Hac ex legatione rex Aphricanus accitus, innumerabilis ratibus copias in Calabriam Apuliamque direxit, binasque has regiones Imperatoris dominati potentissime subdidit. Sed dum processu

184

Page 185: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

gioventù, ma tutta la terra ferma che è tra le due marine, da la punta di Otranto insino a la Campagna romana; e…si impadronirono d’ogni cosa…”857

temporis has regiones dimitterent, Romam versus aicem gyraverunt, montemque Garelianum maxima pro tuitione sibi vendicaverunt, multasque munitissimas civitates debellantes vi ceperunt.”858

La pressione e le incursioni dei Mori appaiono inarrestabili e si rivelano una continua fonte di problemi e turbamento per la penisola, tanto da determinare l’alleanza tra il pontefice Giovanni X di Tausignano ed il principe di Capua. Un’alleanza che il Giambullari racconta sulla falsariga di Liutprando dopo aver sostanzialmente smentito sul piano delle fonti l’esistenza ed il tragico epilogo di un altro accordo nato in funzione antimoresca, tra il suddetto pontefice ed il marchese Alberigo di Toscana. Giambullari, infatti, contesta sul piano delle fonti che una volta vinti i Mori, Alberigo sarebbe stato cacciato da Roma dal pontefice e avrebbe chiamato gli Ungheri per vendicarsi di Giovanni X, opponendo alle versioni di Platina e Biondo le asserzioni di Liutprando per le quali rinvia al IV libro della sua Storia d’Europa. Inoltre, sotto il profilo squisitamente logico, il canonico sottolinea anche come il marchese di Toscana non avrebbe avuto certo bisogno del supporto militare degli Ungheri per prendere Roma e il pontefice859. Considerazioni che testimoniano ulteriormente, rispetto ai passi dedicati al marchese di Toscana Adalberto nel I libro, l’importanza non secondaria attribuita a questa regione. L’alleanza invece documentata appunto da Liutprando, elimina la presenza dei Mori dall’Italia. Nondimeno l’assetto della penisola viene turbato da una nuova congiura ordita ai danni di Berengario che chiama in suo aiuto gli Ungheri, come Giambullari riporta attenendosi fedelmente per entrambe le vicende a Liutprando: “papa Giovanni predetto, collegatosi con Landolfo di Benvenuto, principe di Capua, e per consiglio suo mandato in Costantinopoli a chiedere soccorso a Romano per sanare il male ch’egli aveva fatto, ragunò un gagliardo esercito di Spuletini, Camerinesi, Toschi e Romani, e de genti che mandò il Greco, e personalmente andò a combattergli; e dopo una sanguinosa battaglia finalmente gli volse in fuga. Ma non potette già espugnargli, perché ritiratisi su nel monte, dalla naturale fortezza di quello aiutati, si difesero gagliardamente. I Greci, tenendosi più ingiuriati da questi Mori che nessuna delle altre nazioni, rispetto a lo essere stati traditi e spogliati del loro dominio, fermatisi a piè del monte, e dove era la salita manco difficile fabbricato un castello, vi tennero poi lo assedio sì lungamente…che i Mori o di fame o di ferro vi si morirono interamente, e si diedero prigioni e schiavi. E così finì questa peste. In questi tempi medesimi, o non molto avanti, essendo venuto a mancare il ricco marchese

“Ioanne itaque…papa costituto, Landolfus vir quidam strenuus bellorum exercitio doctus, Benventanorum et Capuanorum omnium princeps clarebat…Quod princeps ut audivit, papam per internuncios ita convenit[…]His auditis, papa confestim nuncios Costantinopolim dirigit, suppliciter Imperatoris auxilia sibi dare deposcens[…]Affuit et papa Ioannes cum Landolfo pariter Beneventanorum principe potentissimo, Camerinis etiam atque Spoletinis. Horrida denique inter eos pugna exoritur. Verum dum Christianorum partem Poeni praevalere conspicerent, in Gareliani montis summitatem confugiunt, angustasque tantum vias defendere moliuntur. Ex parte vero illa qua difficilior erat ascensus, Poenisque ad fugiendum aptior: Graeci castrum die illa constituunt, in quo residentes, Poenos ne fugerent observabant, quotidieque oppugnantes non mediocriter trucidabant. […]Hoc in tempore Adelbertus thuscorum potens marchio morit. Filusque eius Vuido s Berengario rege marchio patris loco

857Storia, cit., passo a p. 194. 858Liuthprandi, cit., p. 247x4. 859Storia, cit., pp. 195-197.

185

Page 186: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Alberto, signore di tutta Toscana, successe nel luogo suo il marchese Guido, suo primogenito, e fu confermato da’l re Berengario: ancora che pochi mesi di poi lo facesse prigione in Mantova, insieme con la madre sua donna Berta, e tenesselo qualche tempo per levargli forse il dominio, come pare che accenni Liutprando. Ma, qualunque se ne fusse la causa, chèe non la ho vista specificata, lo rilassò finalmente libero, senza torli nulla de’l suo;[…]essendosi massimamente scoperto che il marchese Alberto di Ivrea, per lo addietro stato suo genero, e Oderico palatino, insieme con il conte Gilberto e messer Lamberto arcivescovo di Milano, macchinavano di ribellarsi per la cagione che…Il Conte Oderico palatino, per alcuno demerito suo trovandosi in carcere di Berengario,fu dato da lui a guardia al predetto messer Lamberto; il quale, per avere speso eccessivamente in ottenere lo arcivescovado da Berengario, desideroso di riaversi e insanguinarsi, avuta la occasione del prigione, convenne con esso lui, che barattato le catene di ferro ad oro, ebbe i danari che e’ volse, e lasciassi fuggire il conte. Appresso, chiedendo poi Berengario il prigione, rispose questo santo arcivescovo, che non gli e lo poteva rendere senza grave suo pregiudizio, cadendo nella irregularità qualunche religioso consentisse o intervenisse in alcuna cosa dove l’uomo perdesse la vita, come la perderebbe il conte Oderico se e’ venisse nelle sue mani. Berengario adiratosi di questa cosa, ancora che ei mostrasse di non curarla, non seppe tanto dissimulare il nascoso pensiero dello animo, che lo arcivescovo, o epr alcuni segni veduti o per la mala coscienza sua, non cominciasse a temere di lui, e non bramasse di assicurarsi. Ma non conoscendovi modo più certo che il levargli di mano lo scettro, convenne segretamente co’ principi sopraddetti, che si mandasse in Borgogna a Ridolfo figliuolo del duca Riccardo, ad offrirgli il regno d’Italia, quando egl isi disponesse a venire a cacciarne il re Berengario. Maneggiandosi dunque questo trattato tra i predetti signori, accadde che trovandosi trovandosi il marchese Alberto di Ivrea, Oderico e Gilberto

constituit. Berta aut eius uxor cum guidone filio, post mariti obitum minoris non facta est que vir suus potentie. Quae tum calliditate et muneribus, tum hymenei exercitio dulcis, nonullos sibi fideles effecerat. Unde contigit ut dum paulo post a Berengario simul cum filio caperetur, et Mantue in custodia teneretur, suas civitates et castella omnia Berengario minime reddiderit, sed firmiter tenuerit, eamque postmodum de custodia simul cum filio liberarit.[…]His temporibus idem Adelbertus gener regius, Iporegiae civitatis marchio, atque Oldericus palatij comes, qui ex suevorum sanguine duxerat originem, necnon et Gilebertus praedives comes, et strenuus Lanthbertus etiam Mediolanen. Archiepiscopus, nonnulique alij principes Italiae Berengario rebelles extiterant. Causa autem rebellionsi hec fuit, dum Lanthbertus defuncto antecessore suo Mediolanens. Archiepiscopus ordinari debuisset, non parvam ab eo rex Berengarius contra sanctorum instituta patrum accepit pecuniam, quantam cubicularij, quantam hostiarij, quantam pavonarij, ipsi etiam altilium custodes accipere deberent. Lanthbertus igitur archipraesulatus amore vehementer animatus, quecumque rex posceret, quanto cum dolore tribueret ex hoc intelligere poteris, quod subsequens lectio declarabit. Oldericum palatij comitem, quem praediximus, vinctum tunc Brengarius tenebat. Quumque Lanthbertum archipiscopum constiueret, Oldericum ei donec quid de eo sgeret deliberaret, commendavit. Is autem pecuniae multae quam pro episcopatu erogarat, non immemor, hoc cum pacto coepit de eius infidelitate discutere. Paucis denique interpositis diebus, rex Berengarius nuncijs directis, Oldericum ad se venire praecipit. Quos ironica hac responsione convenisse non dubium est. Sacerdotis officio penitus carere debeo, si iugulandum quempiam in manus alicuius travidero. Intellexerunt itaque nuncij hunc publicem rebellasse, quem a rege sibi traditum absque eius licentia noverant dimisisse. Qui regressi protinus ad regem, Terentianum illud pro responsione dederunt. Huic commendes si quis tecte curatum

860Storia, cit., passo alle pp. 198-200. 861Liuthprandi, cit., passo alle pp. 249x4-251x5.

186

Page 187: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

conti, con alcuni seguaci loro, nella montagna di Brescia a ragionare de’ modi e de’l quando, sopravvennero a caso a Verona, dove era allotta il re Berengario, Dursatto e Bugatto, due signorotti degl iUngheri amicissimi suoi, co alcune compagnie di soldati che andavano a buscare preda ove si avessero veduto il comodo. Berengario amorevolmente gli ricevette, e dopo molti ragionamenti, narrò loro la congiura che facevano i suoi nemici, e pregogli con grande in stanzia che se, e’ lo amavano, lo vendicassero di alcuni di quelli che, in un monte vicino, quivi a cinquanta miglia, procuravano di torgli il regno. Gli Ungheri udito questo, amando quel re sommamente e desiderando di guadagnare, fattosi dare buone guide se ne andarono subito al monte, non per la visa ordinaria, ma per montagne asprissime e per luoghi disabitati; e vi giunsero sì d’improvviso e con impeto così fatto, che gli avversarii del re non ebbero spazio di pigliar l’armi, non che di mettersi a la difesa. Furono adunque uccisi la maggior parte: e con essi il conte Oderico, il quale non volle arrendersi mai: molti ancora fatti prigioni; tra quali furono Gilberto conte e il marchese Alberto, che per la sagacità ed astuzia sua agevolment euscì loro di mano. Con ciò sia che, veduto venire i nimici dsa tante bande che non si era modo a salvarsi, gittando lungi da sé tutte le cose che potevano in maniera alcuna dimostrare la grandezza sua, si rivestì d’uno abito vile, e lasciassi pigliare da gli Ungheri. Da quali poi dimandato vpoi chi e’ fosse, rispose che era povero fante d’un capo di squadra, e che aveva alcuni parenti in Calcinaia, castelletto vicino a quivi; dove, se e’ volevano menarlo, farebbe ricomperarsi da loro per quella taglia che patissero le sue facoltà. E così menato al castello , e non conosciuto altrimenti, fu venduto per piccolo pregio ad un degli stessi soldati suoi, che, fingendosi suo parente, lo riscosse per quello che e’ volle col mostrare di non estimarlo. Ma Gilberto conosciuto da gli Ungheri, battuto e spogliato, fu condotto a Verona, e presentato al re Berengario. A piè del quale gittatosi subitamente, ancora che e’ movesse la sala a riso co’l mostrare quella parte, inchinandosi, che si debbono tenere coperte…commosse

velis.[…]Quo tempore Rodulfus rex superbissimus Burgundionibus imperabat.[…]Igitur Italienses nuncijs directis hunc ad se venire, Berengarium vero expellere petunt. Inter agendum autem contigit Hungaros Veronam his ignorantibus advenisse, quorum duo reges Dursac et Bugat amicissimi Berengario fuerant. Adelbertus denique marchio atqeu Oldericus comes palatij, Gilebertus etiam comes, pluresque alij dum in montem Brixiniae civitatis, quae quinquaginta militarijs a Verona distat, conventicola ob Berengarij deiectionem haberet: rogavit Berengarius Hungaros, ut si se amarent, super inimicos suos irruerent. Hi, vero, ut erant necis avidi, bellandi cupidi, a Berengario mox praeduce accepto, per ignotas vias a tergo hos usuqe adveniunt, tantaque illos celeritate confodiunt, ut nec induendi sumendi ve arma spatium haberent. Captis igitur caesisque multis Oldericus palatij comes, qui se viriliter defenderat, occidit. Adelbertus autem marchio et Gilebertus vivi capiuntur. Verum Adalbertus ut erat vir non bellicosus, sed sagacitatis mirae nimiaeque callidatis, dum irruere Hungaros undique cerneret, essetque illi omnis spes fugiendi ablata, baltheum, armillasque aureas, omnemque preciosum apparatum proiecit, vilibusque se militis induit vestimentis, ne ab Hungaris quis esset dignoscerentur. Captus igit sciscitatusque quis esset, militis cuiusdam militem se esse respondit. Rogavitque se ad vicinum castellum duci vocabolo Calcinaria, in quo parentes qui eum redimerent, se habere asserebat. Ductus igitur, quia non agnitus, vilissimo precio comparatur. Emit autem illum suus ipsius miles nomine Leo. […]Gilebertus autem quia agnitus flagellat, vinctus seminudusque ante Berengarij regis praesentiam ducitur, Enimvero dum ante eum sine femoralibus curta indutus endromade ductus regis ad pedes concitus caderet, genitalium ostensione membrorum ad risum omnes commovit. Rex aut, ut erat pietatis amator, misericordia, que ei nulla debebat, inclinatus ei non ut populus optavit, malum pro malo reddidit: verum confestim lotum, optimisque vestibus indutum, abire permisit. Cui et ait, insiurandum a te nullum exigo, fidei tuae te ispum committo. Si male contra

187

Page 188: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

pure esso re a tanta compassione, che, fattol olevare su e vestito onoratamente, incontamente lo fece libero; e senza voler da lui né obbligo né sacramento, lo lasciò nello arbitrio suo, dicendogli: “Io non ti voglio stringere a nulla: fa di te a tuo piacimento, ricordandoti sempre, che se tu farai male in verso di me, tu ne arai alla fine a dar conto a quel Giudice sommo e vero che vede sempre tutte le cose.” …Con ciò sia che stimulato dal marchese Alberto di Ivrea e da gli altri nemici di Berengario, si trasferì personalmente in Borgogna a’l duca Ridolfo, ad invitarlo al regno d’Italia.”860

me egeris, rationem te scias deo redditurum. Hunc denique Adelbertus, caeterique qui cum illo rebelles extiterant, accepti immemorem beneficij ad Rodulfum ut adveniat dirigunt. […]”861

In relazione all’invito indirizzato a Ridolfo duca di Borgogna ad intervenire nella penisola contro Berengario, prima di raccontare le fasi dello scontro, il Giambullari spiega l’origine del nome di Borgognoni avvalendosi principalmente del Renano e si dilunga su alcuni avvenimenti della loro storia, chiaramente correlati all’ultimo periodo dell’impero romano ed al suo crollo: “E per questo diciamo, che e’ par certo assai verisimile il nome di Borgognoni essere più antico di Tiberio o di Cesare (come ha notato bene il Renano), e però non venire da’ borghi come già si credette Orosio. Poiché Plinio annovera i Borgognoni, da latini detti Burgundiones , per una parte di Vandali tra li estremi e ultimi popoli di tramontana. Ma perché non ce n’è certezza ne lume, bastici che questa gente (come in Mamertino panegirista si legge), cacciata da’ Gotti, per forza d’arme fuori de gli antichi paesi suoi, penetrando tra gli Alamanni a loro dispetto e con molto sangue, si fermò ad abitare nel terreno di quegli, dove oggi si dice Pfalzia (altrimenti Palatinato), da Ammiano Marcellino detta Palas, ovvero Capellatium, e quivi continuamente poi si mantenne sino al quattrocento decimoquinto anno della nostra salute.”862

“Plinios Burgundiones primi Germanorum generis, hoc est Vandalici facit, eos inter ultimos Septentrionis populos referens, ut plane vetustius nomen arbitrer, quam quod primum Caesaris Tyberijque aetate natum sit, a Burgis hoc est casrellis limitum, quam opinionem secutus Orosius innumeros qui subscriberent reperit. Agathias Graecus author Burguziones vocat, et Gotici generis esse tradit nimirum propter vicinitatem. Autor est Mamertinus Panegyrista Burgundiones penitus a Gothis excisos, Alemannorum agros invitis illis proinde non citra sanguinem occupasse, qui oppresssis antea ausilio venire voluerint. Caeterum ignoraturi eramus quem nam Alemaniae tractum invasissent Burgundiones, nisi Marcellinus hanc rem explicasset.”863

Dopo la parentesi sull’origine dei borgognoni tratta dal Renano Giambullari recupera decisamente Liutprando per narrare le manovre di Ridolfo sollecitate dalle richieste dei nobili lombardi e il complotto ordito da Flamberto per assassinare Berengario, successivamente vendicato da Milone. Il Giambullari che trae particolari ed espressioni da Liutprando, tuttavia, accentua ulteriormente la tragicità e l’ingiustizia della morte di Berengario nei passaggi dedicati alla falsità di Flamberto. Prima però di intraprendere il racconto della discesa in Italia di Ridolfo, Giambullari fa pronunciare una lunga orazione a Gilberto per vincere le ultime

862Storia, cit., passo a p. 201. 863Rerum Germanicarum, cit., passo a p. 52g2.

188

Page 189: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

resistenze del duca di Borgogna che finalmente parte senza ulteriori indugi864, e di seguito, dice: “Postosi dunque in viaggio, fra bervi giorni si presento sì gagliardo in su la campagna di Lombardia, che ribellandosi i Lombardi a gara come ad impresa più che sicura, non rimase al re Berengario se non solamente la sua Verona: dentro a la quale ritirandosi egli al solito suo, lasciò libero allo avversario tutto il resto del suo reame. Ridolfo, senza colpo di spada, coronato re della Italia, dopo tre anni del regno suo cominciò a venire a noia…Là onde i sudditi suoi…rivoltandosi a Berengario, e tornando sotto al suo giogo, moltiplicarono si fattamente in favore di quello, che la metà di tutto quel regno era già dalla parte sua, quando egli con esercito assai ben grosso uscito in su la campagna per non perdere la occasione, se ne venne contro a Paicenza dodici miglia, appiccato fiera battaglia con le genti del Borgognone, combattè con tanta prudenza e con tanto valore, che e’ lo roppe per viva forza, e ocn uccisione grandissima lo cacciò di su la campagna. Ma la fortuna, che altrimenti aveva ordinato, gli rapì di mano la vittoria, e lo condusse in fondo alla ruota in questa maniera. Aveva non molto avanti maritato Ridolfo una sua sorella, detta Gualdraba, a Bonifazio marchese di Camerino…Pe ril che Bonifazio, come vero cognato, avendo raccolto insieme una banda grossa di Spuletini e Camerinesi, insieme con un conte Gherardo, no espresso altrimenti ne gli scrittori, veniva a’l soccorso del re Ridolfo; ma non con tanta prestezza, che e’ si trovasse nella giornata se non dopo la rotta, de’ Borgognoni e vittoria di Berengario. Vero è che e’ non giunse però tanto tardi, che ogni cosa fusse finita, ma giunse quando lo esercito di Ridolfo era tutto rivolto in fuga, e le genti di Berengario, senz aordine e senza modo, saccheggiando le tende inimiche, erano tutte volte alla preda. Veduto dunque il grave disordine, e trovandosi le genti fresche, dette drento animosamente e con impeto sì furioso, che i nimici, non potendo altrimenti unirsi, furono costretti a volgere le spalle. Da l’altra banda le genti di

“Profectus itaque eodem Gilibertus ante triginta dies in Italiam eum adventate coegit. Qui susceptus ab omnibus nil Berengario ex omni regno praeter Veronam dimisit, totumque tenuit per triennium viriliter regnum. Quum duodecim sibimetipsi horis hoc placeat, displiceat hoc, modo diligat illud, mox aspernetur, qui fieri potest, ut omnibus semper aequinamiter placeat? Igitur intra triennium iste rex Rodulfus quibusdam bonus, alijs gravis est visus. Unde factum est, ut totius regni media pars populi Rodulfum, media Berengarium vellet. Parant itaque civile bellum non modicum : et quoniam Placentinae civitatis episcopus Vuido Berengarij partibus favebat, duodecim longe a Placentia miliarijs iuxta Florentiolam bellum parant. Tum perquam horrida pugna oritur civilis et atra, heu quater ante Kalendas Sextilis tamen ipse Dum parat horrendos radios emittere phebus, Buccina martis adest, gnato pater ipse perennem, Infert interitum, perimitque patrem genitura. Proh dolor acer avus letum parat ecce nipoti. Sternendus per eum, furijs pulsatus ab atris, Fratrem qui fodit, fratrem fodit eminus alter. Berengarius ipse ruit medios rex percitus hostes et properat fertur ceu coelo fulgur ab alto. Dum coquit arentes cancri grave fidus aristas: non aliter dirus miserum rex ipse Rodulfus, deijcit innocuum striato mucrone popellum.[…]Dederat Rodulfus Vualdradam sororem suam tam forma que sapientia quae nunc usque superest, hoestam matronam, coniugem Bonifacio comiti potentissimo, qui nostro empore Camerinorum ac Spoletinorum extitit marchio. Hic collecta moltitudine, cum Gariardo comite Rodulfo regi in auxilium veniebat, atque ut erat vir tam callidus quam aaudax, mqaluit potius in insidijs positus cum suis rei exitum expectare, quam primum belli impetum sustinere. Iam Rodulfi pene omnes milites fugerant, et Berengarij dato victoriae signo colligere spolia satagebant: quum Bonifacius atque Gariardus subito ex insidijs properantes, hos tanto levius, quanto

864Storia, cit., pp. 203-205.

189

Page 190: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Ridolfo, udito il nuovo rumore e veduto il soccorso grande, ripigliarono le forze e l’animo, e ritornati contro a’ nimici, con uccisione non piccola li cacciarono de la campagna e di tutti gli alloggiamenti, senza lassargli mai rifar testa. E andò questo giuoco della fortuna tanto contrari al cominciamento che Ridolfo vinto del tutto, ne rimase al tutto vincente; e Berengario, che aveva vinto, non solamente perdè la giornata e lo esercito, ma la riputazione ancora e tutto lo stato. Con ciò sia che i Lombardi, veduto il fine di questa battaglia e la calamità del re Berengario, disperatisi d’ogni aiuto, per salute di sé medesimi abbandonaronotutti il perdente, e accostaronsi al vincitore; eccetto però la città di Verona, dove fuggendo il re Berengario, salvò la vita per quella volta, con alcune poche persone che fuggirono con esso lui. Ridolfo, impadronito in questa maniera di tutto il regno, con lo esercito vincitore si ridusse lieto a Pavia. Quivi, premiati i soldati suoi e licenziatili appresso benignamente, non dimorò molti mesi poi; chè…ragunò i baroni maggiori, e con parole assai amorevoli e brevi conchiuse loro, che poi per la grazia divina e mediante la virtù loro aveva guadagnato il regno d’Italia e…desiderava…per rivedere il dominio antico, trasferirsi fino in Borgogna; e per questo pregava tutti, che…gli conservassero quello stato[…]In tanta pace e quiete, i Veronesi, che per esser tra loro Berengario…cominciaron a mancare di quello amore e di quella fede che avevano sempre portata al predetto re;…ma bramavano ancora di ucciderlo; se non tutti universalmente, almeno una buona parte persuasa a cosa sì brutta da uno de’ loro cittadini chiamato Flamberto, compare del re Berengario, che gli tenne a battesimo un suo figliuolo. Costui…il re…fattolo venire a’l cospetto suo l’ultimo giorno della sua vita, con maniera dolce e benigna cominciò a dirgli così: “Se e’ non fussero tante e sì potenti e gagliarde le cagioni dello amore tra noi, potremmo forse e con gran ragione dubitare de la fede tua calunniata appresso di noi da diverse persone, che tutte affermano come tu cerchi torne la vita. […]A cagione

inopinatius fauciabant (o sauciabant o sauciabat). Pepercerat Gariardus nonnullis, hasta eos et non ferro percutiens, Bonifacius nulli parcens immensam fecerat stragem. Signum itaque victoriae Bonifacius ceperat, conveniuntque qui ex Rodulfi parte confugerant, persequentesque Berengaricos fugam illos inire cogebant. Berengarius vero in incognitum a domino Veronae perrexit asylum. Tanta quippe tunc interfectorum strages facta est, ut militum usque hodie permagna raritas habeatur. His ita peractis, regnum sibi rex Rodulfus potentissime subiugavit, Papiamque concite veniens, congregatisque omnibus, quoniam inquit, superni muneris largitate mihi contigit devictis hostibus regni solium adipisci: nunc cordi est meum vestrae regnum fidei commendare, Burgundiamque patriam veterem visere. Cui mox Italienses, si bonum tibi, inquiunt, videtur, praesto sumus. Igitur post Rodulfi regis abscessum, malo Veronenses accepto consilio, vite Berengarij insidiari moliuntur: quod Berengarium non latuit: autor autem ac repertor tam saevi facinoris Flambertus quidam erat, quem sibi, quoniam ex sacrosancto fonte filium eius susceperat, compatrem rex effecerat. Pridie vero quam pateretur, eundem ad se Flambertum venire praecipit. Cui et ait. […]Si mihi tecum hactenus non et multae et iustae causae amoris essent, et quonquo modo quae dicuntur credi possent, insidiari te vitae meae aiunt: sed non ego credulus illis. Meminisse autem te volo, quantaecunque tibi accesiones et fortunae et dignitatis fuerunt, eas te non potuisse nisi meis beneficijs consequi. Unde et hoc animo in nos esse debes, ut dignitas mea in amore atque fidelitate tua conquiescat. Neque vero cuiquam salutem ac fortunas suas tantae curae fuisse unquam puto, quantae mihi fuit honos tuus. In quo mea omnia studia, omnem operam, curam, industriam, cogitatinem omnem fixi. Unum hoc sic habeto. Si a te mihi servatam fidem intellexero, non mihi tam mea salus chara, quam pietas in referenda gratia iocunda. His espletis, aureum non parvi ponderis poculum rex ei porrexit atque subiunxit: Amoris salutatisque meae causa

865Storia, cit., passo alle pp. 205-210. 866Liuthprandi, cit., passo alle pp. 252x6-254y1.

190

Page 191: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

che, sebbene tu hai potuto in parte conoscere l’animo nostro verso di te ne’ molti e singolari benefizi (e sia detto senza rimprovero) che ti abbiamo fatti sin qui, conoscendolo da ora innanzi molto più chiaro da la maniera che teco usiamo in accusa cotanto grave, tu raddoppi e moltiplichi in infinito quello amore che tu ci hai portato; e lo dimostri in siffatta guisa, che manifestamente apparisca a tutti quanto l’onore e la grandezza mostra sicuramente può riposarsi nella fede e nello amor tuo. E renditi certo, che, trovandoti quale speriamo, non ci sarà tanto cara la propria salute nostra, quant gioconda la gratitudine che vedremo in te, e la scambievole benevolentia che potremo dire di avere conosciuto.” Indi, fatto venir da bere, e portogli di sua mano una ricchissima coppa d’oro, assaggiata prima da lui: “Bevi…con esso meco in testimonianza dello amor nostro; e serbando per te la coppa con quella benivolentia che io te la dono, ricordati della carità che facciamo insieme, e che il tuo legittimo re e compare dorme sicuro in su la tua fede”: Lo scellerato Flamberto[…]andò a conchiudere il tradimento: e…sollecitò i compagni tanto, che la notte seguente vennero armati dove lo innocentissimo re, senza guardia alcuna, tutto sicuro si riposava, allato a la stessa chiesa dove fu preso il re Lodovico; essendo solito levarsi la notte a la ora di mattutino, ed entrare co’ religiosi a lodare il suo Creatore. Il che eseguendo ancora quella notte al solito suo, giunse Flamberto co’ suoi seguaci: i quali, per essere non pochi, facendo pure qualche strepito, venne il re su la porta a vedere che cosa era questa. Veduto, dunque, cotanti armati e Flamberto con esso loro, lo dimandò che cosa e’ cercavano a quella ora e in quella guisa. Il traditore, per cavarlo fuori de la chiesa, avvicinatosi più a lui “State…di buona voglia: questi sono amici e servitori vostri, che sapendo che voi siete qua su senza guardia alcuna, per lo amore che vi portano, sono venuti armati da voi per guardia e sicurtà vostra; apparecchiati se maligintade alcuna apparisse, a combattere contro a ciascuno che pensasse volervi offendere: e però sarà bene che voi meco gli conosciate, e riceviateli allegramente”. Il re da queste parole ingannato, uscì lieto verso di loro; ed

quod continetur bibito, quod continet habeto. Vere autem et absque ambiguitate post potum introivit in illum sathanas. Beneficij quippe praesentis et praeteriti immemor insomnem illam in regis necem populos instigando pertulit noctem. Rex autem nocte illa quemadmodum et solitus erat, iuxta ecclesiam non in domo quae defendi potest, sed in tuguriolo quodam manebat amoenissimo. Sed et custodes nocte eadem non posuerat, nihil suspicans mali.[…]Se primum quatiens strepit Gallus…Hic rex ecclesiam petit, ac laudes domino canit. Flambertus properans volat, Quo enim multa simul manus: ut regem perimat bonum. Rex corum (o eorum) vigil inscius audit dum strepitum, nihil formidans properat citus Hoc quid visere sit, videt Armatas militum manus. Flambertum vocat eminus. Quid turbae est ait: en bone vir quid nunc quid populus cupit armatas referens manus ? Respondit vereare nil. Te non ut perimat ruit. Sed pugnare libens cupit hac cum parte tuum petit mox quae tollere spiritum. Deceptus properat fide rex hac, in medios simul tunc captus male ducitur : a tergo hunc ferit impius Romphaea: cadit heu pius, Felicemque suum deo commendat pie spiritum. Denique quam innocentem sanguinem suderit, quamque perverse perversi egerint, nobis reticentibus lapis ante cuiusdam ecclesiae ianuam positus sanguinem eius cunctis transeuntibus ostendens insinuat. Nullo quippe delibitus aspersusque liquore discedit. Nutrierat sibi rex Berengarius familiariter lautemque iuvenem, imo heroem quondam, Milonem nomine, memoria satis ac lauda dignum. Cuius si rex fretus consilijs esset, fortunas sibi omnes non tantum adversari sentivisset, nisi quia forte et hoc divinae providentiae consilium fuit, ut aliter fieri non posset. Is sane nocte eadem qua rex Berengarius deceptus est, adhibitis sibi copijs, nocturnas ei vigiliarum custodias voluit exhibere. Rex vero promissionibus Flamberti deceptus, Milonem se non solum custodire non sivit, verum etiam atque etiam vehmenter prohibuit. Milo autem sicut vir fidelis et rictus, ac beneficij sibi a rege collati non immemor, quem defendere quia defuit, non potuit, cito acriter vindicare curavit. Tertia quippe post regis necem die, Flambertum

191

Page 192: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

entrando sicuramente tra essi per dimenticarsi con tutti e per ringraziarli…lo scellerato Flamberto fattoli strada, lo lasciò trapassare avanti, e rivoltoseli poi a le spalle, con uno partigianone…lo passò da reni a ‘l petto, e così gli tolse la vita. Ma quanto e’ morisse innocentemente…lo dimostra ancora una pietra bagnata dal sangue suo, che avvenga che lavata infinite volte, non ha mai lasciato la macchia[…]Seguita la morte del re, un valoroso giovane e nobile, per nome detto Milone, allevato da esso r, che non soleva lasciarlo mai, non essendosi trovato a la fine sua, rispetto a lo averlo egli mandato la stessa notte ad altri servigi, si dispose di vendicarlo. Convenutosi adunque con alcuni suoi fidatissimi, la terza notte seguente pose le mani addosso a Flamberto , e alcuni di quegli altri che erano stati capi con lui ad uccidere il suo signore; e, con vituperio grandissimo, tutti quanti fece appiccargli. Indi levatosi su la parte e gli amici del morto re, crearono esso Milone conte di Verona; ed egli con lo aiuto loro cacciati e spenti tutti i nimici, la mantenne con somma pace e tranquillità…”865

eique in tam nephario scelere conniventes, vi captos, suspendio vitam finire praecepit. Fuerunt sane in hoc viro nonnullae perfectaeque virtutes, quae deo propitio suis in locis vita comite silentio non tegent.”866

Il terzo libro, si chiude in Germania con un evento capitale nella logica della Storia. Corrado infatti, prossimo alla morte designa quale suo successore al trono imperiale Arrigo di Sassonia. Si completa la translazione dell’autorità imperiale che l’autore come abbiamo cercato di evidenziare, prepara fin dall’esordio della sua storia. Come già notato in precedenza, anche in questo frangente il canonico laurenziano associa profondamente l’investitura imperiale di Arrigo con la volontà divina. Certamente in questi termini si esprimono già le fonti seguite dal Giambullari in tale punto, Liutprando e Vitichindo. Tuttavia, costante appare la sottolineatura del connubio tra volontà divina e assunzione della missione imperiale da parte della casa di Sassonia anche nelle pagine precedenti della Storia. Inoltre, come del resto già sottolineato altrove, pur riprendendo spunti offerti dalle due fonti medievali, l’autore li arrichisce e li svolge in una tonalità ed una prospettiva più marcata ed esplicita. Senza dimenticare il discorso pronunciato da Corrado sul giudizio divino a cui lui verrà sottoposto dopo la sua morte che non presente nelle due fonti menzionate contribuisce ulteriormente a sottolineare la preponderanza del divino nelle scelte e negli avvenimenti che portano all’attribuzione della dignità imperiale alla casa di Sassonia. Corrado prima di raccomandare ai principi tedeschi di vivere in pace e di eleggere Arrigo, svolge alcune considerazioni non prive di nodi teologici abbozzati forse non inconsapevolmente dal Giambullari almeno nel primo periodo quando si parla dei meriti di Cristo e della mancanza di meriti umani nei seguenti termini: “Eccovi, amici carissimi, colui che voi faceste già vostro re, condotto oramai a quel passo, che terminando le miserie e gli affanni umani, lietamente conduce i savi a’l felice e beato regno che, per divina bontà, non per merito nostro alcuno, co’l santo sangue di Gesù Cristo sì largamente n’è preparato.”867 867Cfr. con Benedetto da Mantova, Il beneficio di Cristo. Con le versioni del secolo XVI. Documenti e testimonianze, a cura di Salvatore Caponetto, Firenze-Chicago, Sansoni editore, 1972, a p. 25 in cui leggiamo

192

Page 193: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Nel prosieguo poi si tocca la questione dell’onniscienza divina quando Corrado parla del giudizio divino a cui verrà sottoposto dopo la morte fisica: “Venuto è quello ultimo tempo che, rendendo il terreno alla terra, debbe Currado, partir da voi per andarsene ignudo e solo, nella guisa che e’ venne a’ l mondo, a render conto a quel giusto Giudice che il tutto vede prima che e’ sia, no che poi fatto lo abbiamo: e perché né la nobiltà né la virtù né la forza non possono in maniera alcuna vietare o differire che non si faccia questo viaggio, prima che io mi diparta da voi, avendovi amato in vita, voglio amarvi ancora nella morte. E per questo, co’l maggiore studio che io so e posso, amorevolmente vi esorto, dolcemente vi priego ed instantissimamente vi gravo, che ricordandovi ciò che noi siamo, posposti gli affetti vili delle cose caduche e vane, volgiate l’animo a’l Creatore…Al quale non potendo noi crescer gloria o giovargli in maniera alcuna, perché egli è beatissimo per sé medesimo, dobbiamo sempre per amor suo, eziandio con sinistro nostro, procacciare giovamento al prossimo in ciò che si può, per essere membra di Gesù Cristo. Il quale nello orribil giudizio(secondo che e’ ci ha predetto) ne dirà poi, tutto quello che avete fatto a uno di questi miei minimi lo avete fatto a me stesso.”868 Valutazioni comunque propedeutiche alle successive esortazioni per la salute dell’impero rivolte ai principi tedeschi: “confortovi a vivere in pace…vi priego che la cupidità non vi tiri, non vi alletti l’ambizione e non vi accechi la vanagloria. Anzi, se voi mi aggiustate fede, e conoscete ciò che richiede il tempo presente, eleggete uniti e in accordo per vostro re della Germania, il prudentissimo Arrigo duca di Sassonia e Turingia: fatelo signor vostro, e ad esso date il governo e il dominio intero del tutto; perché egli è veramente savio, sommamente giusto, e di tanto valore nelle armi, che e’ merita non solamente avere la Germania, ma lo imperio di tutto il mondo.”869

“Septimo denique regni sui anno, vocationis suae ad domini tempus agnovit. Quumque memoratos principes se adire fecisset, solummodo Henrico non praesente. Ita convenit. Ex corruptione ab incorruptione, ex mortalitate ad immortalitatem vocationis mea agnosco, et ut cernitis praesto est: proinde pacem et concordiamque vos sectari etiam atque etiam rogo. Me hominem exeunte nulla vos regnandi cupiditas titillet, nulla praesidendi ambitio inflammet. Henricum Saxonum et Thuringorum ducem prudentissimum regem eligite, dominum constituite. Is enim est et scientia pollens, et iustae severitatis censura abundans.”870

ed al fratello: “che se bene voi avete gli eserciti e la comodità di poterne fare, avete le cittadi, gli amici, l’armi, l’animo e le insigne reali, con tutto quello che a imperdore s’appartiene; voi non avete quella fortuna, quella prosperità, quel consenso de’ cieli e volere di Dio, che

“Sunt nobis frater copiae exercitus congregandi atque ducendi: sunt urbes et arma cum regalijs insignijs, et omne quod decus regium deposcit, praeter fortunam atque mores. Fortuna frater cum nobilissimis moribus Henrico cedit, rerum publicarum

“seguitiamo…la verità che c’insegna san Paulo, e diamo tutta la gloria della nostra giustificazione alla misericordia di Dio e ai meriti del suo figliuolo, il quale col sangue suo ci ha liberati dallo Imperio della Legge e dalla tirannide del peccato e della morte, e ci ha condotti nel regno di Dio per donarci eterna felicità.” 868Storia, cit., passo alle pp. 211-212. 869Ivi, cit., passo a p. 212. 870Luithprandi, cit., passoalle pp. 240u6-241x1; inoltre cfr. il passo sostanzialmente analogo in Chronicum…Uspergensis, cit., p. CCVIIs2.

193

Page 194: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

guidano e conducono Arrigo a reggere lo imperio. Piacciavi, di grazia…consentire alla voglia nostra, a cagione che pacificandosi così con Arrigo, possiate lieto e sicuramente godervi il non mediocre stato che ordinariamente vi si appartiene[…]Vogliate, adunque, farvelo amico, presentandogli la corona e tutte le altre insegne che degli altri imperatori passati ci restano, che provarlo per avversario, contrastandogli quello che o presto o tardi gli è riservato.[…]Qui rompendogli il parlare Eberardo, per non lasciarlo affaticare tanto rispose[…]interamente si era disposto a consentire[…]Currado, liberatosi da questa cura, posposto e abbandonato ogni altro pensiero, si diede a quella altra vita: e dopo non molti giorni cirstianissimanente morendo, fu sotterrato con somma pompa nel monastero Fuldense, o…in Vilinaburgo, con molte lacrime di tutti i Franchi.”871 “Eberardo…avendo avvisato prima del tutto Arrigo, se ne andò in persona a trovarlo…I principi…adunatisi tutti a Fritzlaria, città della diocesi maguntina…approvarono e confirmarono Arrigo re de’ Germani[…]et offrendogli lo arcivescovo Maguntino di coronarlo solennemente, secondo l’usanza de’ re passati: “Basti (rispose Arrigo) che per la grazia di Dio e benignità di voi altri sono stato alzato a quel grado che nessuno de’ miei ebbe mai; del resto ci riputiamo noi indegni.[…]”872

secus Saxones summa est. Sumptis igitur his insignijs, lancea sacra, armillis aureis, cum clamyde, et veterum gladio regum, ac diademate, ito ad Henricum, facito pacem cum eo, ut eum foederatum possis habere in perpetuum. Quid enim necesse est ut cadat populus Francorum tecum coram eo? Ipse enim vere rex erit et imperator multorum populorum. His dictis frater lacrymans se consentire respondit. Post haec autem ipse rex moritur, vir fortis et potens, domi militiaeque optimus, largitate serenus, et monium virtutum insignijs clarus : sepeliturque in civitate sua Quidelingaburg, cum moerore ac lacrymis omnium Francorum. (Ut ergo rex imperarat Everhardus adijt Henricum, seque cum omnibus thesauris illi tradidit, pacem fecit, amicitiam promeruit, quam fideliter familiariterque usque in finem obtinuit. Deinde congregatis principibus et natu maioribus exercitus Francorum in loco qui dicit Fridifleri, designavit eum regem coram omni populo Francorum atque Saxonum.873 Quumque ei offerretur unctio cum diademate a summo pontifice, qui eo tempore Herigenus erat, non sprevit, nec tamen suscepit : Satis, inquiens, mihi est, ut prae maioribus meis rex dicar et designer, divina annuente gratia ac vestra pietate : penes meliores vero nobis unctio et diadema sit : tanto honore nos indignos arbitramur. Placuit itaque sermo iste coram universa multitudine, et dextris coelum levatis, nomen novi regis cum clamore valido salutantes frequentabant.) ”874

871Storia, cit., passo alle pp. 213-215. 872Ivi, p. 219, questo passo che in realtà coincide con la parte tra parentesi risultante dalla collazione, appartiene al IV libro della Storia d’Europa ma costituisce in realtà a livello logico un unico momento con la conclusione del III libro. 873Fino a questo punto il passo in questione corrisponde in Chronicum…Urspergensis, cit., pp. CCVII-CCVIIIs2. 874Vitichindi, cit., passo alle pp. 12a5-13b1.

194

Page 195: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Capitolo III La Storia d’Europa e alcuni confronti con la storiografia coeva 1. Paolo Giovio Le considerazioni svolte sulla Storia d’Europa del Giambullari necessitano di un’ulteriore verifica condotta sulle trattazioni di storia europea o universale di autori coevi al canonico laurenziano. Confronto utile ad approfondire e sottolineare le peculiarità ed il significato politico del disegno storiografico del Giambullari. Secondo un criterio temporale, seguiamo in primo luogo la Historia sui temporis di Paolo Giovio875, pubblicata a Firenze nel 1550 dal Torrentino dopo una composizione prolungatasi per più di un trentennio, con relativa precedente circolazione delle sue parti manoscritte ad opera del suo autore. La prima edizione della Historia segue il definitivo distacco del Giovio dall’ambiente della Curia romana consumatosi nel 1548, provocato dalla non corresponsione di una pensione e dalla mancata nomina episcopale alla diocesi di Como da parte di Paolo III. Giovio, pertanto, si trasferisce a Firenze dove Cosimo lo accoglie a braccia aperte. Sotto la tutela del casato dell’attuale duca di Firenze, del resto, prima al servizio di Leone X e Clemente VII, nonchè in stretto rapporto con Ippolito de’ Medici, si è svolta tutta la carriera curiale del Giovio876. Ora, ormai venuto meno il più che trentennale rapporto con la Roma pontificia, Cosimo offre al Giovio l’agio economico negatogli dal Farnese e la possibilità di pubblicare attraverso la stamperia del Torrentino la sua Historia. Immediatamente tradotta in volgare nel biennio 1551-1553 da Ludovico Domenichi, stretto collaboratore dello stampatore ducale e amico del Giovio, in due volumi877, nella versione di riferimento alla nostra analisi. Un testo pertanto, stampato grazie al patronato mediceo del duca ampiamente celebrato dal Giovio. Cosimo, infatti, viene caratterizzato nel ruolo di pacificatore e ordinatore che mette fine alle plurisecolari lotte intestine alla città di Firenze, trattate nelle Istorie Fiorentine del Machiavelli. Infatti, i fiorentini simili per carattere ai Greci dai quali derivano, hanno intrapreso un corso rovinoso per la città arrestato soltanto dal casato dei Medici che “quasi per ispatio di cento anni, avendola confermata con utilissime leggi, con singolar gloria l’hanno…accresciuta; et acciocché nulla mancasse alla suprema felicità di quella bellissima città sovragiunse Papa Leone per beneficio dal cielo venuto al mondo; et Clemente ancor che differente da lui per costumi.”878 Cosimo subentrato ad Alessandro vittima del tirannicidio di Lorenzino, vincendo i fuoriusciti a Montemurlo, è riuscito a garantire la sopravvivenza e l’autonomia dello stato fiorentino salvandolo in modo definitivo dai pericoli causati in passato dal temporaneo trionfo degli umori popolari nel 1494 e nel biennio 1528-1530 dell’ultima repubblica fiorentina879. La tendenza palesemente medicea delle pagine gioviane su questi avvenimenti capitali della storia fiorentina, non sarebbe sfuggita alla critica di molti esponenti del repubblicanesimo cittadino: dall’ex fuoriuscito Benedetto Varchi, agli esuli Giambattista Busini e Donato Giannotti a Federigo degli Alberti880. Comunque le considerazioni dello storico comasco oltre

875Vedi la relativa voce Giovio Paolo di Zimmermann Price T. C., in DBI, vol. LVI, pp. 430-440, E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 366-377 e soprattutto id., Paolo Giovio: The Historian and the Crisis of Sixteenth Century, Princeton, University Press, Princeton 1995. 876Giovio Paolo, cit., pp. 430-432 . 877La prima et seconda parte dell’Historie del suo tempo di Mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera tradotte per M. Ludovico Domeniche, in Fiorenza, MDLI-MDLIII, Torrentino. 878Ivi, libro XXV, seconda parte, rinviamo alle pp. 34e1-35e2. 879Zimmermann, Paolo Giovio, cit., vedi in particolare pp. 256-258. 880Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 263-264 e E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., pp. 374-375. In proposito inoltre, cfr. anche E. Cochrane, Paolo Giovio e la Storiografia del Cinquecento in Paolo

195

Page 196: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

che dalla gratitudine personale nei confronti di Cosimo, nascono anche dal sincero apprezzamento della capacità cosimiana di garantire l’autonomia e la forza dello stato fiorentino e dalla convinzione che la vita della repubblica fiorentina costituisca un serio ostacolo al ristabilimento della libertà d’Italia. Del resto, la predilezione per il regime principesco viene da lontano nel mondo gioviano, dall’impressione in lui suscitata dall’esempio sforzesco di fine Quattrocento, che aveva chiaramente superato la dimensione dell’Italia comunale ormai anacronistica e incapace di superare il settarismo delle fazioni. Questo è il problema cruciale del Giovio storico degli avvenimenti contemporanei che a livello europeo decidono il destino e l’assetto della penisola italiana sul declinare del quattrocento. Il suo sguardo come ha sottolineato, il Dionisotti881, recupera una prospettiva europea a livello spaziale paragonabile a quella del Piccolomini. Il Giovio, libero dalle angustie di una prospettiva municipale o di lunga durata come quella esemplificata dal Biondo, in virtù del suo status di umanista della Curia pontificia, è in grado di percepire e di indagare storicamente l’incidenza preponderante esercitata dall’Europa sulla crisi italiana nel periodo che va dal 1494 al 1544882. Date che riguardano appunto lo svolgimento del conflitto franco-asburgico in Italia iniziato con la discesa nella penisola di Carlo VIII e temporaneamente sospeso dalla pace di Crepy del 1544. Lo scontro in atto, infatti, assume una valenza europea e mondiale come l’autore chiarisce fin dalle prime battute delle sue Historiae: “Era allora tutto il mondo in pace e in riposo… e soprattutto l’Italia…quando in quella s’accese una guerra maggiore e più terribile d’assai che l’openione degli uomini non era: la qual guerra dapoi in spatio di pochi anni travagliò non pure tutta l’Europa, ma le lontane parti anchora dell’Asia e dell’Aphrica volgendo sottosopra in ogni luogo o ruinando gli imperii delle chiarissime nationi […]talche in cinquant’anni, ne quali si conferisce tutta l’historia, Marte et Fortuna pare che non habbiano lasciato libera parte alcuna del mondo afflitto da tante ruine”. Una condizione di decomposizione e conflitto, in realtà iniziata, con la caduta dell’impero romano e la fine della pax universale da esso instaurata e garantita a livello mondiale. I barbari infatti, seppur capaci di abbattere l’impero, non riescono certo a sostituirlo a livello di stabilità politica ed equilibrio generale. Gli organismi politici barbari hanno durata breve, l’Europa costituisce ormai un terreno di scontro continuo tra pretendenti di ogni tipo, coinvolta in guerre locali e intestine. Scrive infatti il Giovio: “dapoi che la potenza degli imperatori restò spenta, la quale avendo già levato, via tutti i re, aveva ridotto ogni cosa all’ubbidienza d’un solo, essendosi tutti i più feroci popoli per la memoria dell’antica libertà ribellati, il mobilissimo imperio battuto e lacerato hor da uno et hor da un altro furor di barbari s’andò dividendo in regni piccioli, et signoria di molti. Diventarono poi le cose de’ Gothi grandemente illustri, i quali per parer di vendicare l’ingiurie di tutto il mondo, con crudel rabbia ruinando l’honorate memorie della virtù e grandezza romana, assisoli fra tutti gli altri popoli trimpharono del popolo vincitore del mondo. Attila anch’egli imperatore degli Hunni…lasciò singolar memoria delle cose da lui fatte[…]furon parimente illustri…l’arme de’ Tartari…ma non durarono poi lungo tempo gli imperii de Gothi, de gli Hunni, o de Francesi, o de’ Tartari nelle terre altrui. Perciochè si come da principio quelle guerre avevano avuto terribili et repentine furie, così non molto dapoi, non essendo fondate sopra stabili forze in breve spatio di tempo invecchiarono. Et guerreggiarsi poi con alquanto minor crudeltà fino alla memoria de’ nostri padri…che

Giovio. Il Rinascimento e la memoria. Atti del convegno (Como 3-5 Giugno 1983), Raccolta storica pubblicata dalla Società storica Comense, vol. XVII, Como, 1985, pp. 19-30, in particolare pp. 19-21. 881C. Dionisotti, Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, cit.. 882Ivi, vedi in particolare pp. 425-428.

196

Page 197: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

mentre alcune nationi dopo i lunghi travagli delle guerre, godevano l’acquistata pace, l’altre, che poco dianzi s’erano riposate, s’infiammavano di guerre o straniere o civili.” Risuona pertanto, in questo excursus introduttivo alla narrazione vera e propria, un topos della idealizzazione del modello romano e della sua insuperabilità, tipico dell’umanesimo italiano. In tal senso significativo è anche il punto di discontinuità al permamente stato di guerra che coinvolge i diversi stati: il 1494. Quest’anno rappresenta il momento di piena fioritura della civiltà umanistica italiana e di massima stabilità e autonomia politica degli stati della penisola e secondo le parole gioviane, di quella pace generalizzata “quale dopo Augusto non si ricordava nessuna età degli antichi”883, istantaneamente e definitivamente interrotta dalla discesa di Carlo VIII. Anche il Giambullari, iniziando la sua narrazione dall’887, anno in cui si determina la divisione dell’Impero in regni autonomi, mette in risalto lo stato di decadenza in cui versa, confermato del resto anche dalle continue guerre interne ai ceti aristocratici del continente. Tuttavia, come abbiamo visto, oltre alla tradizione dell’impero romano che rimane sullo sfondo, è soprattutto la rifondazione cristiana dell’impero compiuta dai Sassoni il vero modello a cui rapportare la corruzione attuale e le speranze di renovatio riposte in Carlo V884. D’altronde, anche il Giovio, auspica per buona parte delle Historiae, che l’imperatore asburgico compia la pacificazione dell’Europa cristiana e guidi una crociata contro il grande nemico turco. Questa propensione filoimperiale emerge anche dal modo in cui lo storico comasco sottolinea inequivocabilmente le responsabilità francesi nel conflitto con gli Asburgo, fin dal ritratto non particolarmente positivo di Carlo VIII: “il quale benché ne di mano, ne di consiglio non valesse molto; nondimeno come appresso diremo giovanetto di ventitré anni, fondatosi nelle forze d’un grandissimo e ricco regno, turbò la pace in Italia, e con l’armi e con l’ardire illustrò grandemente le cose di Francia, che a noi erano oscure.” Una personalità, raffigurata in tutto il suo giovanile e impetuoso ardire, le cui ambizioni sono favorite da un regno potente. Diversamente da Massimiliano le cui notevoli qualità, non sono sostenute da un regno altrettanto potente e coeso. Infatti, nella frammentaria e varia realtà dell’impero germanico “le vere ricchezze erano appresso delle terre franche, le quali collegate insieme, e accompagnate le forze loro fanno il numero di settanta città grosse, et di comune consenso invincibili difendono la libertà loro.” In questo senso è significativo, che il Giovio individui nella frustrazione di Francesco I per la legittima elezione imperiale di Carlo V la causa prima della ripresa delle ostilità franco asburgiche, e commenti la successione a Massimiliano nei seguenti termini: “Succesegli nello Stato Carlo suo nipote figliuolo di Filippo, senza alcun dubbio, potentissimo fra tutti gli altri imperatori, per la grandezza de’ regni di Spagna, et di Napoli; i quali per eredità gli erano toccati. Costui poco da poi nell’elettione de l’imperatore, la quale secondo il solito si faceva in la Magna, hebbe per competitore Francesco re di Francia, il quale s’era fondato su la speranza d’haver a corrompere gli elettori con denari; ma non gli riuscì il suo disegno, perché i baroni tedeschi s’accordarono insieme per conservar l’honor pubblico della natione. Et ciò fu cagione di quel grande odio preso, il qual si scoperse poi fra loro, nascendone mortal guerra.”885 Carlo V, viene considerato a lungo dall’autore la figura capace di pacificare e stabilizzare la situazione italiana ed europea. Giovio, aderisce alla linea perseguita dal Gattinara, ed è 883Ivi, prima parte,cit., libro I, passi cit. alle pp. 1a1-3a2. 884Vedi infra cap. II, paragrafo II e ssg.. 885Ivi, seconda parte, cit., libro XIX, passo cit. a p. 2a1.

197

Page 198: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

fautore dell’accordo imperiale-pontificio a livello italiano ed europeo come unico antidoto all’impasse dei conflitti in atto. Pertanto, egli, vede negativamente la politica filofrancese di Clemente VII, mentre celebra nella pace di Bologna il raggiungimento dell’auspicata concordia tra papa e imperatore886, chiaramente sottolineata nella descrizione del loro incontro: “Et nel mezzo sopra una altissima sedia v’era il Papa con la mitera in capo, ch’aspettava l’imperatore. Il quale havendo tolti in sua compagnia solamente i più nobili baroni…su per gli scaglioni fu accompagnato da due cardinali. Et come egli comparve, così subito tutti gli occhi si rivolsero a guardare i due grandissimi signori del mondo.”887 Del resto, la fiducia del Giovio nel giudizio dell’imperatore sembra essere premiata dalla restituzione del ducato di Milano a Francesco Sforza, compiuta da Carlo V per stabilizzare l’assetto italiano e garantire la pacificazione della penisola. Giovio esalta la lungimiranza dell’imperatore che smentisce decisamente i sospetti di diversi esponenti della Curia sull’ambizione di assoluto dominio del sovrano asburgico. L’autore, infatti, afferma a proposito della buona fede imperiale che “tanta era l’altezza del giudicio di Cesare, tanta la religione del suo temperatissimo animo, et tanto finalmente il desiderio della pace e della concordia…”888. Pertanto, l’incoronazione imperiale di Clemente VII consacra Carlo V come degno depositario e prosecutore della tradizione e della grandezza imperiale romana: “Ora la somma della solennità fu questa, che’l Papa di sua mano diede l’insegne dell’Imperio Romano all’Imperatore. Fatta dunque sempre oration solenne il Papa essendogli egli inginocchiato davanti, gli diede lo scettro d’oro…col quale religiosamente comandasse alle genti: et la spada ignuda con la quale perseguitasse i nimici del nome Christiano…”889. La positiva risoluzione imperiale di Bologna si aggiunge alla buona notizia della fuga di Solimano e degli ottomani da Vienna fino a quel momento cinta d’assedio890. L’anno successivo, tuttavia, Solimano occupa la Serbia, mentre Carlo è impegnato nella dieta di Ratisbona a risolvere le controversie scoppiate con i principi territoriali dell’Impero germanico intenzionati ad affermare la loro autonomia politica dall’autorità imperiale. Opposizione trasversale alle spaccature religiose che vanno dal Langravio d’Assia al Duca di Sassonia, che usano l’eresia luterana per fini politici, alla stessa cattolica Baviera che osteggia la forza della casa d’Asburgo. Scrive, infatti, il Giovio: “Havendo l’imperatore pacificata l’Italia…se ne venne a Ratisbona su’l Danubio, dove per molte cagioni, specialmente per guarire gl’animi de’ Luterani, era comandata una dieta di tutta la Magna; percioche in quel tempo era molto lacerata la religion christiana nelle città celeberrime; et perciò molti popoli divisi in parti guerreggiavano insieme, tal che mentre la Magna fiorita d’armi, di ricchezze e d’ingegni attendeva agli errori pazzi, essendo tutta in discordia, et avendo interrotta l’autorità della religione, parea, ch’ella fosse per ricevere una gravissima ferita; et ciò massimamente perché il veleno di quella horribil peste era entrato negli animi de’ grandi, i quali empia, et arrogantemente difendevano quelle opinioni. Tra questi erano il signor Federigo duca di Sassonia et Filippo Langravio d’Assia contrarij

886Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 73-76, 79-86 e 94 a proposito del dissenso dalla politica francese di Clemente VII, e sul favore per Carlo V e la convergenza con la politica del Gattinara pp. 78, 95 e 107. 887Ivi, libro XXVII, passo cit. a p. 182. 888Ivi, al riguardo cfr. pp. 185aa1-187aa2 e passo cit. a p. 185aa1, in proposito vedi anche Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 108-109 e 111-112. 889Ivi, in proposito passo a p. 194bbII. 890Ivi, p.185Aa1.

198

Page 199: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

all’Imperatore Carlo et al re Ferdinando, et nimici vecchi della casa d’Austria; lo stato, et dignità della qual casa esse pensavano, che molto s’havesse a scemare et indebolire con quel travaglio della religione. Et anco il Signor Guglielmo Duca di Baviera, il quale…aveva aspirato all’Imperio, non potea sopportare di buon animo che’l re Ferdinando nella elettione passata…fosse stato eletto re de’ Romani.”891 Proprio l’urgenza ottomana, costringe Carlo a rinviare la soluzione del problema luterano, per approntare una resistenza comune con i dissidenti tedeschi, contro Solimano. Il Giovio, è chiaramente favorevole alla decisione di Carlo V, di cui esalta il ruolo di difensore e autentico leader della cristianità europea in questo difficile momento892, pur mantenendo una totale avversione verso l’eresia luterana e gli obiettivi antimperiali dei principi territoriali. Egli, infatti, estraneo al partito carafiano, nonostante le sue amicizie e frequentazioni spirituali, e la consapevolezza degli eccessi e degli errori della Curia, si pone comunque in una posizione di sostanziale di difesa della tradizione ecclesiastica893. Molto diversa pertanto appare la valutazione e la percezione dell’impero germanico nell’ottica antiprotestante gioviana rispetto a quella sviluppata dal Giambullari. Nella Storia d’Europa, infatti, proprio quella che alcuni secoli dopo sarebbe diventata la culla del luteranesimo, diviene restauratrice del significato dell’istituto imperiale profondamente indebolito dagli inadeguati successori di Carlo Magno. Il canonico di S. Lorenzo, pone nella translatio del titolo imperiale alla dinastia di Arrigo e di suo figlio Ottone il grande di Sassonia, la rinascita della forza politica e militare dell’istituzione imperiale chiaramente sostenuta da un disegno provvidenzialistico. Arrigo, infatti, mette fine ai dissidi interni all’Impero, sedando la ribellione della Baviera e pacificando più in generale l’Europa cristiana. Inoltre, svolge il ruolo di puntello della stabilità del regno franco, e agisce per la tutela e addirittura per la diffusione del credo cristiano. In tal senso sono significative le vittorie su Boemi, Borussi e Danesi con relativa evangelizzazione di quei popoli e territori, ma soprattutto l’affermazione riportata contro gli Ungheri nel 934894. Questi ultimi, molto più dei Saraceni, costituiscono come detto, il corrispettivo del pericolo ottomano nell’Europa del Cinquecento. Soltanto la dinastia sassone, infatti, riesce a sanare nuovamente questo vulnus aperto nell’Europa cristiana dalla legerezza dei successori di Carlo Magno, in primis da Arnolfo. Per capire la centralità del problema costituito dagli Ungheri basta, del resto, vedere le tantissime pagine dedicate alle loro razzie e devastazioni. Inoltre, a proposito della grande vittoria di Arrigo, è significativo il ricorso al Chronicon del Carione, in maniera opposta a quella utilizzata dal Giovio. Quest’ultimo, infatti, ricava dal Carione notizie attinenti allo scontro avvenuto tra i principi territoriali per l’elezione di Ludovico il Bavero nel 1314. Le pagine gioviane danno un’immagine dell’impero germanico inequivocabilmente caratterizzata dalla divisione e dal prevalere di interessi politici di corto respiro. Diversamente, il Giambullari ne fornisce un’immagine positiva e provvidenzialmente giustificata, secondo quella linea di vicinanza ai principi della Lega di Smalcalda sostenuta negli anni quaranta da Cosimo in funzione antifarnesiana. Il duca del resto, non avrebbe abbandonato il sostegno alle diffuse tendenze eterodosse della sua corte e dell’Accademia anche durante il corso degli anni Cinquanta895. Il ritratto di Ottone I quale sovrano completamente rivolto al rafforzamento della res publica christiana che emerge dal racconto delle sue imprese, del resto, è 891Ivi, libro XXX, passo a pp. 328ss4-329tt1. 892Ivi, vedi pp. 330tt1-333tt2. 893Sulle amicizie e la posizione nel seno del cattolicesimo cfr. Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 149-150, 208-209 e 216-217, inoltre, sulla sua ortodossia, cfr. anche C. Dionisotti, Medio Evo barbarico, cit., p. 426. 894Storia, cit., si rinvia ai libri IV e V, pp. 219-352, in particolare sulla grande vittoria ottenuta contro gli Ungheri con l’esplicito rinvio al Chronicon…Carionis, cit., a p. 327 in cui il Giambullari scrive “essendo rimasi morti sulla campagna, come si vede nel Carione, quaranta migliai d’Ungheri, con poco danno degli Alemanni[…]”. 895In proposito rinviamo a M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 313-393.

199

Page 200: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

emblematico dell’alterità delle prospettive del Giambullari rispetto a quelle gioviane. Basti pensare alla congiura capeggiata da Giselberto ed Eberardo fallita senza grande spargimento di sangue e sofferenza dei popoli dell’impero, e al ruolo di garante della corona francese di Ludovico assunto dall’imperatore. Tutte le azioni ottoniane sono improntate alla fede cristiana più profonda come nel caso in cui rifiuta di attribuire una diocesi ad un suo conte quale pagamento per il suo sostegno in armi e uomini. L’imperatore infatti, non vuole che il potere secolare sfrutti impropriamente delle risorse adibite alla sfera ed alle necessità spirituali. In realtà, la propensione dello storico comasco per Carlo V non è incondizionata. Essa riposa nella convinzione che Carlo V, sia l’unica figura in grado di garantire la libertà d’Italia e di rafforzare l’Europa cristiana, in armonia con il pontefice. Alla visione universale dell’umanista di Curia, Giovio aggiunge anche una non trascurabile componente di patriottismo italico, venato di nostalgia di quel meraviglioso periodo di stabilità vissuto dalla penisola nella seconda metà del XV secolo fino alla discesa di Carlo VIII. In tal senso appare significativo lo sdegno e l’orrore espresso nelle Historiae a proposito del sacco di Roma. Il vescovo di Nocera non tollera in alcun modo le scelleratezze perpetrate dai Barbari e mette sul banco degli imputati un filoimperiale come il Colonna, seppur con delle attenuanti896, e soprattutto il Borbone. Quest’ultimo, infatti, comandante in capo dell’esercito imperiale, ha diretto le truppe all’assalto di Roma, nonostante il rinnovato accordo raggiunto tra Clemente e Carlo V: “L’animo tutto si raccapriccia a volere raccontare le miserie e’ tormenti de Barbari, i quali essi adoprarono nell’infelice popolo già vincitore di tutte le nationi. Perché queste cose ne raccontare, ne udir si possono senza molte lagrime; tal che quella santissima città potè molto ben conoscere, come Iddio era contrario in tutto alla salute sua; se i Santi Avocati di Roma, anchor che con vano conforto, volendo la loro divinità farne notabil vendetta, non havessero fatto sacrificio di quel traditore, et crudelissimo assassino nell’entrar proprio nella città presa. Perciocché Borbone si morì, mentre che con la scellerata mano egli appoggiava la scala alle mura…”897.

Anche a proposito del passaggio per Roma di Carlo V nel 1535, Giovio non manca di stigmatizzare la ferocia dimostrata dalle truppe imperiali a danno della capitale del cristianesimo universale e della sua popolazione nel 1527898. D’altro canto, nel passo delle Historiae in cui viene data notizia della morte di Clemente VII, il giudizio gioviano sul pontefice defunto non è particolarmente positivo, e allude criticamente alle sue scelte francesi e al sacco899, registrando invece in ben altro modo la successiva convergenza con Carlo V: “Questo huomo, il quale per altro era veramente accortissimo, et havea esperienza di grandissime cose, havea imparato a pubblicare l’ultime risoluzioni dell’animo suo, e a terminare i suoi disegni, con poco chiaro ed espedito spirito, si come importò allora grandemente la salute di tutti, quando consigliandosi lui noi ruinammo tutti vituperosamente

896Sul Colonna vedi Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 85-86. 897Ivi, al riguardo cfr. libro XXIV, pp. 21-22c3, in particolare passo riportato a p. 22c3. 898Ivi, libro XXXV, a p. 561a1, leggiamo: “l’imperatore partito da Napoli…entrò in Roma…Haveva menato seco per presidio una legione di soldati vecchi Spagnoli et settecento uomini d’arme, et ciò con minor allegrezza del popolo; perciochè molti riconoscevano ancora quei medesimi terribili volti de soldati, i quali rinnovavano in loro la memoria del sacco fresco, et di tutti i supplicii, che havevan patito, e accrescevasi anchora la noia e’l dispiacer loro, perché Papa Paolo con esempio nuovo aveva messo una taglia a tutti i collegii de mercanti et de gli artefici; et ciò per honorar molto con importuna spesa gl’Imperiali, de quali essi havevan ricevuto ingiurie et danni grandissimi.” 899Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 134-135; sulle scelte politiche di Clemente VII cfr. anche L. Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, Roma, Desclèe e C. Editori pontifici, 1955-1964 (ristampa), XVII voll., in particolare vol. IV, parte II: Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo: Adriano II e Clemente VII, 1956, pp. 198-275, 353-364.

200

Page 201: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

d’una ruina poco men che prevista. Ma in questo luogo parmi et veramente ch’e si deve scusarlo, essendo egli precipitato in quelle miserie con non minor viltà de suoi capitani, che tradimento de nimici, poi ch’egli poi con eccellente consiglio, felicemente derivato dalla illustre equità dell’Imperatore, acquistò la pace, et liberò gran parte dell’Italia dalla dolorosa stranezza de’ soldati spagnoli.”900 Giambullari, invece, riporta ai lettori in tutt’altro modo il sacco di Roma compiuto da Arnolfo. In quel caso, infatti, l’azione imperiale è volta a sostenere il papato, riaffermando le ragioni del legittimo Formoso contro il malvagio antipapa Sergio. La presa di Roma non offende un sacro e immutato primato, perso ben prima dell’ingresso di Arnolfo nella città. I continuatori della Romanitas, ormai secondo l’ottica della res publica christiana sono i popoli germanici. Del resto, in tal senso, va registrato anche il ruolo marginale interpretato dai pontefici nella Storia d’Europa rispetto alla predominanza del ruolo attribuito all’autorità imperiale in relazione alla sua funzione e legittimazione cristiana. Proprio nella richiesta di aiuto formulata ad Arnolfo, si sancisce un nesso di dipendenza e subordinazione del destino della penisola e del papato dal potere imperiale. Rapporto che appare analogamente stabilito dal Giovio nell’incoronazione di Bologna. Tuttavia, mentre incrollabile è la fede ghibellina del Giambullari, ed evidente l’esaltazione dell’operato degli imperatori della casa di Sassonia, la fiducia gioviana in Carlo V invece, si appanna notevolmente sul finire degli anni Trenta nel momento di comporre l’ultima parte delle Historiae, quando le sue decisioni contrastano decisamente con gli obiettivi primari della cristianità. Giovio, in realtà, appare sempre più esasperato e logorato dalla perenne conflittualità che alberga tra i principi cristiani e favorisce grandemente i disegni di Solimano901. Nonostante i buoni tentativi di accordo promossi energicamente dal nuovo pontefice Paolo III Farnese, di cui comunque l’autore non tace certo le interessate mire nepotistiche902. Se Giovio pertanto stigmatizza l’alleanza di Francesco I con gli Ottomani in funzione antimperiale, parimenti non condivide le chiusure di Carlo V a trovare un vero e duraturo accordo con il monarca francese. L’imperatore, infatti, si rifiuta di concedere a Francesco I Milano, limitandosi a proporgli l’acquisizione della Fiandra903 che come scrive il Giovio: “era…molto lontana dall’utile del Re di Francia, ma comoda all’imperatore, il quale voleva esser veduto desideroso della pace publica…Et queste cose erano tenute tanto segrete dall’imperatore, che non le voleva comunicare col Cardinal Farnese legato…la qual cosa a gli uomini, di giudicio parea che fosse indegna di nobile e religioso principe”904. Senza contare l’atteggiamento conciliativo dell’imperatore verso i principi territoriali che aderiscono alla Riforma Luterana, del cui sostegno ha bisogno per affrontare e sconfiggere definitivamente la Francia ed affermare in modo sempre più incisivo il suo primato in Europa.

900Ivi, libro XXXII, passo alle 424Ggg4-425Hhh1. 901Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 152-153. 902In proposito ad esempio, ivi, Libro XXXIV , vedi il giudizio gioviano espresso a p. 493Qqq3: “Esso Paolo in governar la Chiesa, con certo illustre temperamento in apparenza di diverse virtù, manteneva talmente insieme il nome di Pontefice et di principe, che in ogni suo consiglio si vedeva una singolar pietà, et nondimeno mostrava una volontà chiara di far grandi i suoi. Perciochè per la prima cosa, quello ch’era in ciò di grandissima importanza, mostrava di non volere essere di questa o di quella parte, ma comun padre di tutti. Et perciò non si poteva egli punto persuadere, che volesse rinovare quella lega, che s’era fatta in Bologna…per difendere la pace d’Italia, ma chiaramente per tener fuora Francesi, aspettando egli dall’uno e l’altro qualche dono degno della sua fortuna.” Inoltre, sul nepotismo di Paolo III, cfr. Zimmermann, Paolo Giovio, cit., p. 156. Inoltre sulla politica del pontefice cfr. L. Pastor, Storia dei Papi, cit., in particolare vol. V, Storia dei Papi nel periodo della riforma e restaurazione cattolica: Paolo III, 1959, pp. 432-482. 903Al riguardo vedi Zimmerann, Paolo Giovio, cit., pp. 153, 167-168 e 172. 904Historiae, libro XXXIX, passo a p. 768Cc4.

201

Page 202: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Egli, ancora all’insaputa del legato pontificio, organizza ad Hagenau nel 1540905 una dieta la cui segretezza fa domandare all’autore “che cosa si poteva egli felicemente consigliare, ne deliberare…senza l’auttorità del Papa? Il quale dovea esser supremo arbitro et diffinitore di quelle cose.”906 Pertanto, Giovio quasi capovolge l’iniziale immagine di Carlo all’interno della sua crescente disillusione per le profonde responsabilità dei principi cristiani. Carlo, infatti, non assicura l’equilibrio e la libertà d’Italia nè complessivamente quella dell’Europa cristiana. Basta vedere in tal senso la poca fiducia che Giovio ripone nei colloqui di Nizza e poi nella stessa pace di Crepy907. Il giudizio sull’operato di Carlo V è alla fine delle Historiae, sostanzialmente e complessivamente negativo. L’imperatore, infatti, è stato incapace, sia di assicurare la libertà d’Italia, favorendo esclusivamente il proprio dominio assoluto sulla penisola attraverso la diretta acquisizione di Milano, sia gli obiettivi di unità e crociata indicati dal cattolicesimo universale romano. Pertanto, le Historiae finiscono per essere una denuncia piena di delusione e sconforto. Ben altro è il messaggio conclusivo della Storia del Giambullari, attenta a esaltare la rifioritura dell’Impero sotto l’egida della Sassonia, secondo un sentire ghibellino evidentemente lontano dalla nostalgia per l’equilibrio italiano della seconda metà del quattrocento. Giambullari sostiene la politica di accordo con il mondo protestante perseguita da Carlo V fino a Muehlberg, secondo quella linea antiromana chiaramente manifestata dalle numerose fonti tedesche della Storia d’Europa, evidentemente inaccettabile per Giovio, al di là della comune propensione filo-cosimiana. Inoltre differenze tra i due, emergono anche all’interno del comune ripudio delle lotte delle fazioni fiorentine. Giovio, infatti, recupera il Machiavelli delle Historie fiorentinae, e non la posizione dantesca invece totalmente condivisa e riproposta dal Giambullari nel Gello, confermando inoltre la tesi della ricostruzione di Firenze ad opera di Carlo Magno, decisamente negata invece dal canonico laurenziano908. 2. Cosimo Bartoli Percettibilmente debitrice dell’influsso gioviano sarebbe stata invece la linea storiografica di Cosimo Bartoli, sia ne La vita di Federigo Barbarossa stampata dal Torrentino nel 1559909, sia nei Discorsi Historici Universali pubblicati a Venezia nel 1569910 dallo stampatore di origine senese Francesco de’ Franceschi911. Il Bartoli, per scrivere la sua biografia del Barbarossa, attinge direttamente al profilo tracciatone negli Elogia dal Giovio912. Certamente come rileva la Bryce sulla biografia bartoliana incide anche l’influenza culturale del Giambullari. Il Bartoli, infatti, affronta la biografia di uno dei personaggi di cui il Giambullari avrebbe probabilmente trattato nella sua Historia d’Europa se avesse potuto portarla secondo i suoi propositi fino alla conclusione del XIII secolo. Inoltre, l’influenza del canonico laurenziano, è indicata indirettamente anche dall’uso di alcune delle fonti della biografia bartoliana: Ottone di Frisinga, l’Irenicus, il Krantio. Tuttavia, il contesto in cui il Bartoli

905Zimmermann, Paolo Giovio, pp. 194-195. 906Vedi nota n. 30. 907Zimmermann, Paolo Giovio, pp. 153-154,197 e 199. 908In proposito vedi supra cap. I. 909La vita di Federigo Barbarossa, imperatore romano, di Messer Cosimo Bartoli. Allo illustrissimo et ecc. S. il S. Cosimo De Medici, duca di Firenze, et di Siena, in Firenze, appresso M. Lorenzo Torrentino, MDLIX. 910Discorsi historici universali di Cosimo Bartoli gentiluomo, et accademico fiorentino, In Venetia, appresso Francesco de’ Franceschi Senese, 1569. 911Sul quale rinviamo a De Franceschi Francesco, voce di L. Baldacchini, in DBI, vol. XXXVI, 1988, pp. 30-35 e soprattutto in Dizionario de Tipografi e degli editori italiani, cit., la voce Franceschi, Francesco de ed eredi, cit., pp. 450-453. 912J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 247.

202

Page 203: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

inserisce queste fonti appare ben diverso da quello allestito dal Giambullari. Infatti, sebbene del tutto preponderante sia, specie nel primo e in parte nel secondo libro della Vita, la dipendenza dal profilo biografico dell’imperatore intrapreso da Ottone di Frisinga e continuato dal Rahewin913, fin dalle prime battute l’opera bartoliana lascia trapelare una linea non propriamente filoimperiale. Basta considerare come l’autore dichiari che il contrasto tra Guelfi e Ghibellini tedeschi abbia ”più volte disturbato la quiete dello Imperio, et mandato sottosopra la Germania; ne haveva questo veleno nociuto solamente oltre a monti, ma sceso ancora in Italia aveva divisi non solamente i popoli, et i cittadini d’una medesima terra…et da que tempi in qua ha tanto nociuto” augurandosi “che i discendenti nostri non habbino a vedere quel che in questi tempi ho veduto io, cosa certamente disdicevole, non pure a cristiani, ma a qual si voglia sorte di Barbari.”914 Valutazione che sottolinea in modo negativo il rapporto tra realtà politica italiana e tedesca, e gli influssi della seconda sulla prima, con un evidente riferimento al presente, che avrebbe trovato conferma e sviluppo nel prosieguo dell’opera. Dunque una linea antimperiale che appare in qualche modo sostenuta anche dal ricorso al Biondo quale fonte esplicitamente menzionata a proposito dell’incoronazione imperiale di Federigo.915 Una scelta mai fatta dal Giambullari nel descrivere le incoronazioni degli imperatori tedeschi nella Storia, nonostante l’impiego altrove effettuato del Biondo. Inoltre, quest’incoronazione assume nell’economia della vita bartoliana una rilevanza non episodica come dimostra nel secondo libro lo sdegno suscitato alla corte di Federigo dalla lettera papale consegnata da due alti prelati nel punto in cui ricorda la subordinazione dell’imperatore al potere spirituale del pontefice, chiaramente derivato dalle modalità dell’incoronazione imperiale: “Ma Federigo…e tutta la sua corte…come quegli che essendo Oltramontani, non possono sentire né sofferire parola alcuna, per la quale si habbia a vedere, che gli Imperatori acquistino, o autorità o reputazione, o dignità alcuna dalla coronazione de’ Papi; né intendono questo atto della Coronazione se non come una Cerimonia, che detti Papi sieno obligati di fare, si adirarono grandemente quando sentirono nominare la incoronazione come benefizio ricevuto dai Papi…” Pertanto, prosegue il Bartoli: “parendo loro che quella sola parola della lettera del papa fusse molto piena d’arroganzia, et che derogassi assai alla Maestà dell’Imperio, hebbono varii ragionamenti non molto piacevoli…”916. Questione del resto, che non si esaurisce poi con la temporanea pacificazione imperial-pontificia, rivelandosi in tutta la sua gravità con l’ascesa al soglio pontificio del cardinal Rolando nominato Alessandro III. Federigo, infatti, gli oppone l’antipapa Ottaviano perché, come riferisce l’autore, Alessandro è “persona ecclesiastica, et da saper mantener il credito, et la riputazion de la sedia apostolica.”917 È abbastanza evidente la vicinanza del Bartoli alle ragioni del papato, anche perché nell’intreccio dell’opera difendere quelle posizioni significa anche tutelare la libertà d’Italia. I comuni capeggiati da Milano, infatti, si alleano con Alessandro, contro Federigo. Come suggerisce la Bryce, nella descrizione di questo conflitto, l’autore sviluppa pienamente una prospettiva patriottica di stampo antiimperiale. Basta vedere, in tal senso che le fonti che raccontano la strenua resistenza di Milano all’imperatore, fino alla distruzione del 1558 con i relativi soprusi dei ministri imperiali, la sua ricostruzione

913Ivi, sul contributo e l’influenza di Giambullari e in generale sulle fonti della biografia bartoliana. 914La vita, cit., passo alle pp. 41-42d1. 915Ivi, p. 76e7, in proposito cfr, inoltre J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 244 e 245. 916Ivi, passi alle pp. 105-106h2. 917Ivi, passo alle pp. 177-178m2.

203

Page 204: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

e la definitiva imperiale a Legnano, sono Donato Bossio e Bernardino Corio.918 Fonti, di stampo umanistico, chiaramente celebrative delle gesta di Milano, schierate contro l’ingerenza imperiale in Italia e a favore dell’autonomia politico-militare di Milano. Analogo discorso vale per l’incontro tra Federigo e Alessandro a Venezia per la pace del 1177 e per la riconciliazione tra Papa e imperatore. Momento il cui ricordo, appare di per sé significativo in relazione alla mitizzazione compiutane dalla storiografia veneta, che lo identifica come una tappa decisiva della evoluzione storico-politica veneziana e della sua autonomizzazione dall’impero. Momento descritto sulla base dei resoconti del Sabellico, del Corio e del Merula919. Certo, il Bartoli, riporta anche le critiche di quest’ultimo alla ricostruzione del Sabellico a proposito della sconfitta marittima inferta dai veneziani ad Ottone figlio di Federigo. Il Merula, infatti, sostiene che Ottone non sia esistito e che Federigo abbia svolto operazioni militari esclusivamente via terra. Riguardo all’esistenza di Ottone, sulla quale peraltro anche il Sabellico appare contradditorio, il Bartoli ricorre a tre fonti tedesche per documentare la storicità del personaggio: l’Irenicus, l’abbate Uspergense, il Nauclero920. Fonti pertanto, usate ben diversamente rispetto al Giambullari, per supportare la tesi della sconfitta navale dell’Impero, attraverso la certificazione dell’esistenza storica del figlio del Barbarossa921. A proposito della seconda obiezione, il Bartoli riporta invece la posizione espressa da Bernardino Corio che conferma la sconfitta marittima di Ottone. Comunque, l’autore in perfetta coerenza con la sua pulsione patriottica a favore delle libertà d’Italia, è soprattutto interessato a certificare e celebrare il contributo veneziano a questa riconciliazione tra pontefice ed imperatore. Conclude infatti che: “le diverse oppenioni di costoro convengono tutte in questo; che questa riconciliazione seguisse in Venezia, et che Sebastiano Ciano doge in quel tempo ne avessi con tutta la città sua lode grandissima…”922. Tuttavia, a proposito di questo riavvicinamento, ricorre ancora alla penna del Corio923. Come vediamo pertanto, in questo passaggio, evidentemente le fonti tedesche utilizzate chiaramente, sono le stesse consultate dal Giambullari nella sua Storia ma con ben diversa frequenza e conseguente valorizzazione. Il Bartoli comunque si avvale significativamente del supporto di autori germanici,o ltre che per certificare l’esistenza del figlio di Federigo, del resto anche per comprovare il mancato sostegno del duca di Sassonia, Arrigo, alla spedizione decisiva dell’imperatore contro i Comuni che lo avrebbe visto sconfitto a Legnano. Leggiamo, infatti:

918Ivi, cfr. pp. 192n1-235p6. Inoltre, sulla prospettiva patriottica bartoliana in relazione all’utilizzo del Corio e del Bossi, vedi J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 245-246. Sui due storici cfr. anche le voci Bernardino Corio di F. Petrucci, in DBI, vol. XXIX, Roma, 1983, pp. 75-78, e ivi, la voce Bossi Donato di S. Peyronel, vol. XIII, Roma, 1971, pp. 298-299. 919Rinviamo sulla storiografia umanistica celebrativa di Milano e Venezia nel loro progresso storico-politico e nella raggiunta autonomia dall’Impero, con particolare attenzione al Corio e alla valenza della pace del 1177 a N. Rubinstein, Il Medio Evo, cit., pp. 437-443; inoltre da ultimo, sulla storiografia veneziana sui suoi miti e sul modo di presentarli con particolare attenzione proprio al nodo storico-politico del 1177 vedi Filippo de Vivo, Venetian Power in the Adriatic in “Journal of the History of Ideas, vol. 64, n. 2, 2003, pp. 159-176, in particolare vedi pp. 159-163. 920Sull’uso di queste fonti nel punto in questione cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 246. 921Non va trascurato in tal senso come il Bartoli accompagni la citazione di un’altra fonte comune al Giambullari, Alberto Krantio, e del fatto da lui riferito a p. 157k8, con le seguenti parole: “la qual cosa voglio che da me sia accennata piuttosto che a pieno descritta, come quello che non prestando molta fede al detto Scrittore lascerò a chi legge il poterne fare a suo modo giudizio.” In proposito cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, p. 245. 922Ivi, passo a p. 233p5. 923Ivi, cfr. pp. 233p5-235p6.

204

Page 205: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“ne mi par da lasciare qui indietro, quel che l’abbate Uspergense, et il Mutio raccontano cioè, che mentre Federigo era all’assedio di Alessandria, egli fu abbandonato d’Arrigo duca di Sassogna, il quale presa la scusa d’esser vecchio, si che Federigo stava co suoi nella contumacia de la escommunicatione, et maledizione del Papa, sotto pretesto di religione, se ne andava in Germania, ancora che alcuni credessino piuttosto che secretamente egli fusse stato corrotto acciò per via di denari, et che Federigo gli andò dietro…pregandolo…di non lo abbandonare in tanta necessità[…]Et che sua maiestà fu quasi forzata a far questo, perché con il duca Arrigo se ne andavano la maggior parte de suoi soldati, i quali invero erano il nervo ed il meglio delle forze imperiali…”924. Rispetto all’esaltazione del ruolo di Venezia e Milano nella tutela dell’autonomia italiana, appare invece in secondo piano Firenze pur menzionata in più di un’occasione dall’autore. Del resto, la tesi tradizionalmente sostenuta dal Villani e dal Machiavelli di uno sviluppo politico e storico avviatosi a Firenze successivamente al 1250, sembra implicitamente condivisa anche nella biografia bartoliana. Firenze viene, in effetti, menzionata sempre in stretta relazione col potere imperiale. I nobili della città, infatti, vengono in un primo momento privati dall’imperatore del controllo delle mura, poi riconsegnate loro in seguito al valoroso comportamento di molti fiorentini a sostegno della conquista di Gerusalemme. Leggiamo, infatti che il Barbarossa “si transferì in Firenze, nel qual luogo fu riverito, et onorato grandemente, ma rammaricandosi i Nobili di questa città, che il governo pubblico di essa, gli aveva privati delle terre et Dominio già loro, e delle loro Contee et Signori” e “privò la città del dominio infino su le mura, rendendole a conti e marchesi, come attenenti all’Imperio, il che fece ancora delle altre città di Toscana…”. Diversamente, in seguito al soccorso fiorentino a Gerusalemme “restituì di poi loro dieci miglia di contado attorno alle mura, quale dicemmo che aveva loro tolto, e reso a Baroni et Nobili.”925 Una posizione quindi di totale dipendenza dal potere imperiale, anche se tra le righe trapela il malcontento e la volontà di emancipazione da questa condizione di subordinazione, che richiama alla mente, senza neanche un eccessivo sforzo d’immaginazione, la vicenda delle fortezze cedute da Cosimo a Carlo V nel 1537 e riacquistate nel 1543926. Del resto, la considerazione iniziale sul disordine italo-germanico con la sua allusione alla contemporaneità, lascia trasparire un’attenzione al momento storico presente, alla luce del quale potrebbe rileggersi il significato complessivo della biografia del Barbarossa. In primo luogo, nella caratterizzazione ambivalente del sovrano germanico, ambizioso e potente, si potrebbe ravvisare, sulla scorta di un’ipotesi abbozzata dalla Bryce927, una sorta di maschera di Carlo V e del potere asburgico. In effetti, questa congettura appare almeno parzialmente supportata anche dalla dedica del manoscritto latino della biografia rivolta al cardinale Alessandro Farnese in data 6 marzo 1556, come apprendiamo da una lettera inviatagli dal preposto di S. Giovanni il giorno successivo, quando ancora le sorti delle guerre in Italia non sono state definite. Senza dubbio, 924Ivi, passo a p. 222m8-223p1. 925Ivi, passi alle pp. 246q4 e 254r4. Sui quali cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 247. 926Sulla questione delle fortezze a livello complessivo, naturalmente rinviamo ancora una volta a G. Spini, Cosimo I, cit.; inoltre cfr. R. Cantagalli, Cosimo I de’ Medici granduca di Toscana, Milano, Mursia, 1985, in particolare pp. 49 e 143. 927J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., vedi p. 249 dove però il parallelo è affermato a proposito dell’incontro tra Federigo e Alessandro III a Venezia del 1177 in analogia con l’incoronazione di Carlo V da parte di Clemente VII a Bologna nel 1530. Anche se, in contraddizione con il senso dell’incoronazione di Bologna favorevole al predominio imperiale, l’incontro del 1177 nelle pagine del Bartoli, sulla base delle fonti usate, come afferma la stessa Bryce, rappresenta una Canossa per l’imperatore. Pertanto, ci sembra più plausibile individuare come possibile riferimento alla contemporaneità in relazione al complessivo orientamento bartoliano, un’implicita allusione al conflitto ispano-pontificio e alla guerra di Siena in corso nel momento in cui l’autore completa il manoscritto nella versione latina, quando ancora il predominio asburgico sull’Italia non è assoluto. Situazione certamente più vicina alla battaglia di Legnano rispetto alla situazione definitasi con Cateau-Cambrésis come la stessa Bryce osserva nella pagina seguente.

205

Page 206: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

la lettera si riferisce esclusivamente alle fatiche letterarie che il Bartoli fa pervenire al cardinale, attraverso Stefano del Bufalo analogamente ad un’altra lettera del 1567 relativa ai suoi Discorsi historici928. Tuttavia, non va trascurata la particolarità della situazione politica italiana al momento della lettera del marzo 1556, quando nonostante gli imperiali tengano Siena da oltre un anno, Paolo IV ed Enrico II sono ben lungi, dall’arrendersi alla forza asburgica. Soltanto a luglio dell’anno successivo, infatti, Cosimo acquisirà Siena dopo che Filippo II aveva trattato anche con Carlo Carafa per assegnargli eventualmente la repubblica. Tanto più che lo scontro ispano-pontificio si chiude definitivamente ancora più in là, nel settembre, con la pace di Cave che sancisce l’egemonia imperiale nella penisola929. Inoltre, non va dimenticato il significativo ruolo avuto dal Farnese, sia nell’elezione papale del Carafa, sia nella costruzione del nutrito schieramento antimperiale, composto da esuli napoletani e fiorentini accolti a Roma, anche se, successivamente, tra settembre e agosto aderisce apertamente alla fazione filo-imperiale930. D’altronde, non va trascurato in questo senso la dedica della traduzione del De consolatione philosophiae di Boezio che il Bartoli indirizza in data 1 gennaio 1551 ad uno dei capi della rivolta napoletana antimperiale del 1547, il principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. Dedica scritta dunque prima che il principe di Salerno venisse dichiarato ribelle dal viceré di Napoli, ma resa pubblica nella stampa torrentiniana della traduzione del 1552, successivamente alla condanna e alla fuga del Sanseverino931. Esule in Francia dove aderisce al calvinismo, poi il Sanseverino aderirà all’invito di Carlo Carafa nell’estate del 1557 accorrendo a Roma, per offrire il suo contributo alla lotta antispagnola932. Del resto, la difficoltà di ascrivere la prospettiva bartoliana ad un’opzione filo-imperiale viene alimentata anche dal ruolo giocato nella biografia del Barbarossa dalla Sassonia. Non dimentichiamo, infatti, che Federigo prima di essere sconfitto a Legnano subisce la defezione del duca di Sassonia e delle sue fortissime truppe. Il peso della Sassonia, sembra confermato anche da altri episodi come il contrasto nato con l’Austria per il possesso della Baviera concessa poi dall’imperatore alla prima, di cui si parla nel prima libro della Vita933. Duca di Sassonia che però proprio in ragione del mancato sostegno alle mire del Barbarossa subisce un destino analogo a quello che colpisce il duca di Sassonia Giovanni Federico dopo la sconfitta di Muhlberg: perdita del ducato e della dignità imperiale934. Se letta, in chiave allusiva della contemporaneità la Vita potrebbe alludere all’alleanza ventilata tra Paolo IV e un principe protestante come Alberto di Brandeburgo in funzione antispagnola proprio nel corso del 1556?935 928Le lettere inviate da Firenze in data 7 marzo 1556 e 14 giugno 1567 da Cosimo Bartoli al card. Alessandro Farnese si trovano in Lettere d’uomini illustri conservate in Parma nel regio Archivio dello Stato, a cura di Amadio Ronchini, Parma, 1853, II voll., in particolare vol. I, a pp. 597-599, in proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 241 nota 1 e 251-252 e 282. 929Sulla guerra di Siena rinviamo a R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559): i termini della questione senese nella lotta tra Francia ed Asburgo ed il suo risolversi nell’ambito del Principato mediceo, Siena: Accademia degli Intronati, 1962, e id., Cosimo I,cit., pp. 177-236. Cfr. inoltre, Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, Torino, Utet, 1979-1995, voll. XXIV, in particolare vol. XIII, tomo I, F. Diaz, Il granducato di Toscana, Utet, Torino, 1989 (prima edizione 1976), in particolare pp. 109-127, vedi inoltre Firpo, Gli Affreschi, cit., pp. 379-393. 930In proposito rinviamo a L. Pastor, Storia dei Papi, cit., in particolare vol. VI: Storia dei Papi nel periodo della riforma e restaurazione cattolica: Giulio III, Marcello II, Paolo IV, 1963, pp. 344-346 e 364-421, e soprattutto A. Aubert, Paolo IV. Politica, Inquisizione e storiografia, Firenze, Le Lettere, 1999, (II ediz.), pp. 58-63, e id. voce in Enciclopedia dei Papi, Treccani, Roma, 2000, pp. 128-142 in particolare pp. 135 e ssg.; inoltre cfr. la voce Farnese Alessandro di C. Robertson, in DBI, Vol. XLV, Roma, 1995, pp. 52-70, in particolare vedi p. 60. 931In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., in particolare p. 173. 932A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 66-67. 933Sulla pacificazione vedi La vita, cit., pp. 95-96g1. 934Ivi, sulla vendetta del Barbarossa, pp. 235p7-240q1. 935A. Aubert, Paolo IV, cit., in particolare p. 52.

206

Page 207: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

In ogni caso, notazioni non certo favorevoli al centralismo imperiale del Barbarossa, severamente punito a Legnano. Del resto, la possibilità di caricare il testo di possibili allusioni ad altri piani, al di là delle frequentazioni certificate con personaggi come il Farnese ed il principe di Salerno, va ponderata e ridimensionata in relazione alla condizione medicea del Bartoli e all’avallo ducale alla stampa della Vita da parte del Torrentino, nonostante le perplessità esposte sulla dedica del manoscritto latino. Senza dimenticare, che i rinvii alla Sassonia, sono coerenti con il tenore “evangelico” delle lezioni dantesche tenute dal Bartoli negli anni Quaranta, ribadito, pur con le dovute cautele, nel testo a stampa dei Ragionamenti Accademici del 1567936. Comunque, questi orientamenti bartoliani consentono forse di capire perché il preposto di S. Giovanni si adoperi per la stampa della Storia d’Europa, pubblicata da Francesco de Franceschi, di origini senesi, attivo per quasi un quarantennio come stampatore nella città lagunare occupa senza dubbio un ruolo considerevole nell’ambito dell’editoria veneziana, come attesta anche la sua costante partecipazione alla vita della corporazione dei “libreri, stampatori e ligadori” veneziani. Infatti, all’interno della corporazione svolge diversi incarichi e mansioni istituzionali in modo reiterato a partire dal 1572. Il fatto che il suo catalogo editoriale in cui figurano più di duecento edizioni, abbia un taglio prevalentemente rivolto alla pubblicistica professionale e specialistica, ai testi di carattere tecnico-scientifico, medicina, matematica, architettura, botanica, astronomia, meteorologia, fisica, arte e scienza militare, teoria musicale e diritto, fa risaltare maggiormente la stampa della Storia del Giambullari del 1566. Una particolarità, che probabilmente oltre che sulla base delle sollecitazioni bartoliane, di cui il Franceschi aveva pubblicato un’opera di metrologia nel 1564, e ristampato un volgarizzamento l’anno successivo937, si spiega proprio con la impostazione filo-tedesca e antiromana della Storia d’Europa. In questo senso, come già rilevato, ricordiamo che lo stampatore veneziano subisce due processi del S. Uffizio, per la detenzione di libri proibiti rinvenuti in un suo magazzino nel 1571, e nel 1599 per aver importato dalla Germania, in società con G. B. Ciotti, Roberto Meietti e i Sessa alcune opere messe all’Indice, tra cui la sesta centuria di Magdeburgo.938 Tre anni dopo la stampa dell’opera del canonico fiorentino, sempre dal Franceschi vengono pubblicati i Discorsi historici universali del Bartoli. Certo, nello scritto bartoliano a causa della frammentarietà, causata dalla differenza di argomenti e fatti narrati, difficilmente è individuabile una linea unitaria e complessiva che congiunga tra loro questi discorsi. Infatti, se l’autore sceglie di partire dai fatti per addivenire a giudizi più generali, tuttavia, come rileva la Bryce, la smisurata quantità delle vicende riportate produce un evidente squilibrio con l’esigenza della riflessione storiografica. Limiti oggettivi del resto, già osservati da Furio Diaz, molto severo sul valore dei Discorsi bartoliani protesi a magnificare il principato cosimiano, anche se in modo a volte mascherato dietro un inconsistente moralismo retorico939. Indubbiamente, l’esaltazione del regime istituito da Cosimo e l’idealizzazione del duca assunto a figura paradigmatica, costituiscono, come

936In proposito cfr. A. D’Alessandro, I Ragionamenti di C. Bartoli in “Annali dell’istituto di filosofia. II, Firenze, Olschki, 1980, pp. 53-109; inoltre, P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., in particolare pp. 369-372 e da ultimo M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 180-183. J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 254-280 e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 180-183. 937Del modo di misurare e il volgarizzamento in fiorentino del De re Aedificatoria di Leon Battista Alberti, pubblicato presso Torrentino nel 1550, per i quali rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, pp. 180-183 e 186-192. 938Rinviamo alla voce Franceschi Francesco de, cit., in particolare pp. 450-452. 939In proposito rinviamo a F. Diaz, Il Granducato di Toscana, cit., in particolare pp. 209-213 e id., L’idea di una nuova élite sociale negli istorici e trattatisti del principato in Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del ‘500, (Raccolta degli atti del convegno tenutosi a Firenze dal 9 al 14 maggio 1980), Firenze, Olschki, 1983, III voll., nel II vol., pp. 665-681, in particolare cfr. pp. 672-673. Cfr,. inoltre M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 179-180.

207

Page 208: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

osserva anche la Bryce, il motivo dominante dell’opera, nella quale viene adombrata anche se in modo incompleto la teorizzazione del principato assoluto940. In questa direzione è emblematico del resto anche, l’ampio richiamo alle pagine gioviane sulle vicende dell’ultima repubblica fiorentina. Oltre all’implicito consenso riservato dal Bartoli alla moderazione del Capponi941, il giudizio sull’ostinato e distruttivo radicalismo della fazione antiottimata del Carducci, viene ricalcato sul XXVII libro delle Historiae del Giovio942. Dal libro XXXVIII del Giovio, del resto, il Bartoli recupera il resoconto della vittoria di Cosimo contro gli esuli a Montemurlo943. Passaggio fortemente vituperato dagli ex fuoriusciti e significativamente recuperato dal prevosto di S. Giovanni a conferma della sua ammirazione per lo storico comasco, e della sua propensione medicea. Estremamente evidente anche dalle reiterate lodi delle gesta di Cosimo nella guerra di Siena, alla quale è costretto a intervenire per la minaccia costituita dall’arrivo di Piero Strozzi, al suo legittimo ducato, acquisito attraverso l’elezione dei cittadini fiorentini944. Tuttavia, la mancata applicazione di un rigoroso metodo filologico alle fonti e l’ipoteca medicea per quanto profonda non possono esaurire l’analisi e la riflessione sul testo bartoliano, come ha rilevato il Vasoli, temperando parzialmente la negatività del giudizio espresso dal Diaz945. Il Vasoli, infatti, individua nei paradigmi del Bartoli l’esigenza di andare oltre la giustificazione tout court della realtà del principato, attraverso la proposta di un modello di principe in cui accanto all’elemento machiavelliano si scorge la non spenta eco della erasmiana Institutio principis christiani, anche in relazione alle letture di testi dell’evangelismo italiano effettuate dal preposto di S. Giovanni. Una prospettiva non priva di una componente idealistica, secondo il Vasoli, non meramente assimilabile al conformismo controriformato trionfante, capace di tratteggiare l’ideale di un principe magnanimo, clemente, pacifico ma risoluto in caso di guerra, in grado di mantenere i patti conclusi. Un principe, pertanto, che assicuri la sicurezza e la stabilità dell’organismo politico, coadiuvato nello svolgimento delle sue funzioni dal consiglio del ceto di intellettuali che si sviluppa con l’istituzione ed il consolidamento del principato946. Ritornando alle fonti, rileviamo come la presenza gioviana nei Discorsi vada al di là della propensione medicea, riallacciandosi anche nel segno di una certa continuità alla precedente storiografia bartoliana. Il preposto di S. Giovanni, infatti, ricorre più volte allo storico comasco per descrivere la difficile situazione in cui versa l’Europa, dilaniata dalla lotta dei principi cristiani animati dalla cieca ambizione e insensibili alle priorità della Res publica christiana. Ad esempio, il Bartoli recupera il passaggio gioviano sullo sconsiderato attacco di Carlo V ai Francesi a Torino dopo l’impresa di Tunisi.947 Riprende, dal XXXIX libro della Historia, l’episodio in cui Carlo offre la Fiandra e non Milano a Francesco I che lo aveva accolto con grande liberalità, illudendosi sulle sue reali intenzioni, anche perché raggirato

940J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 281, 293 e 301, in proposito cfr. anche la dedica dell’opera indirizzata al duca il I ottobre 1568 e il giudizio sulle gravi carenze dello scritto bartoliano, espresso da F. Diaz, Il Granducato di Toscana, cit., pp. 209-213. 941Sul quale vedi P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., p. 414, in particolare nota n. 241. 942Ivi, p. 36e2, cfr. inoltre in proposito a ulteriore conferma anche pp. 78k3-81L1. Senza trascurare che ivi, alle pp. 36e2-37e3 viene ricavata dal capitolo XIX della Storia d’Italia del Guicciardini una valutazione sostanzialmente positiva del moderatismo del Capponi rispetto al radicalismo degli Arrabbiati. Sull’impiego dell’opera guicciardiniana vedi infra. Cfr. anche al riguardo J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 292-293. 943Ivi, cfr. pp. 173-174y3. 944Ivi, in particolare vedi pp. 83-84L2. Inoltre, sulla capacità militari o meglio sulla rapidità, l’accortezza ed il tempismo delle risoluzioni di Cosimo vedi pp. 201-202Cc1e p. 173y3, e pp. 277-278mm3 in proposito inoltre, cfr. J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 295-296. 945In proposito rinviamo all’intervento di C. Vasoli, Osservazioni sui “Discorsi historici universali” di Cosimo Bartoli in Firenze e la Toscana dei Medici, cit., vol. II, pp. 727-738. 946Ivi, e inoltre vedi supra la nota 71. 947Ivi, p.9b1, pp. 198bb3-199bb4 e pp. 218ee1-219ee2.

208

Page 209: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

dalle assicurazioni dei ministri imperiali948. Né tralascia di commentare sempre sulla falsariga del XL libro gioviano, il fallimento dell’impresa di Algieri, già percepibile nella preparazione della spedizione949. Inoltre dallo stesso libro, in un altro dei suoi discorsi, ricava la considerazione formulata dal Giovio sulla perdita dell’Ungheria da parte di Ferdinando d’Asburgo, scrivendo: “Ma quale maggiore chiarezza si può havere che la discordia di Cristiani sia la rovina loro, et la grandezza del Turco? Che quella che per tanti et tanti anni, con tante spese, con tanti apparati di guerre, con tante stragi, rovine, et incendij, con tanto spargimento di sangue, sacchi, et su versione et rovine di tante città, si è veduta continovare si lungo tempo, in fra Carlo quinto imperatore et Francesco re di Francia?”950 Tutti passi significativamente tratti dall’ultima parte delle Historiae gioviane, in cui il pessimismo sui destini della cristianità europea prende decisamente il sopravvento e si incrina profondamente la fiducia precedentemente riposta in Carlo V come garante della sicurezza della Res publica christiana. Una selezione quella compiuta dal Bartoli che si ricollega alla prospettiva non certo filoimperiale e pro Asburgo della biografia di Federigo. Sebbene nella stessa pagina dei Discorsi che denuncia la discordia dei principi cristiani vi sia, poco più avanti, un passo connesso alla realtà storico-politica attuale in cui soltanto Filippo II e l’imperatore cercano realmente di neutralizzare il pericolo turco: “Ma mentre che addormentati in un profondo letargo, molti che potrebbono, non vogliono attendere al comune bene, lasciando solo allo Imperadore et a Filippo re di Spagna gli intrighi delle guerre Turchesche, attendono alle cose loro proprie et particulari, non si svegliando per il publico bene, contro al comune nimico non si accorgono, che quando pure accadessi, il che non piaccia a Dio, che si abbassasse in qualche modo la possanza di casa d’Austria, ne nascerebbe subito la manifestissima rovina loro… ”. 951 Presa d’atto delle delicatissime frontiere mediterranee e balcaniche dell’Europa cristiana, piuttosto che avallo positivo o elogio dell’egemonia spagnola in Italia. Infatti, al di là della singola notazione che indica piuttosto un rimprovero ad un impegno collettivo disatteso da molti principi europei e la necessità della funzione storica degli Asburgo come antemurale della cristianità952, la questione della libertà d’Italia è ripresa in molteplici occasioni nei Discorsi, e fatto salvo il ben diverso momento storico, rispetto alla biografia di Federigo, in termini piuttosto simili. In questa direzione appare estremamente rilevante il ricorso alla Storia d’Italia di Francesco Guicciardini. Il Bartoli, infatti, ricava dal primo libro della Storia d’Italia, la valutazione delle nefaste conseguenze derivate all’Italia dai timori di Ludovico Sforza, criticato nuovamente in altri due passaggi953, che hanno provocato la discesa nella penisola di Carlo VIII. Inoltre, ripropone il giudizio del fautore della politica antimperiale della Lega di Cognac954, sull’incapacità del conte Rangone di fermare le truppe imperiali ed evitare lo scempio della capitale universale del cattolicesimo, sconvolta dal sacco di Roma. Il conte purtroppo “si lasciò sfuggire di mano la maggiore e più bella occasione…nella quale non pure liberava

948Ivi, a p. 305-306qq1 leggiamo: “Francesco Re di Francia volle usare et usò veramente grandissima liberalità, con Carlo V, nel riceverlo in Francia…”. 949Ivi, p. 82l1. 950Ivi, pp. 256ii4-257kk1. 951Ivi, p. 257kk1. 952Al riguardo rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 298-299. 953Ivi, pp. 57-58h1 e 270LL4. 954Ivi, cfr. pp. 27-28d2. Riguardo alla centralità del 1494 anche nella storiografia guicciardiniana cfr., oltre a F. Gilbert, Machiavelli, cit., pp. 260-262, anche G. M. Barbuto, La politica dopo la tempesta. Ordine e crisi nel pensiero di Francesco Guicciardini, Napoli, Liguori, 2003, in particolare pp. 111-112, 115 e 123.

209

Page 210: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Roma et un Papa con tutta la corte et la città insieme ma tutta la Italia dalle armi et dalle insolentie Tedesche et Spagnole.”955 Alla sua inettitudine fanno da contraltare nelle pagine bartoliane le notazioni sul padre di Cosimo, Giovanni delle Bande Nere, valoroso condottiero fedele alla causa della libertà italica e alla lega di Cognac956. La rilevanza del sacco di Roma, del resto, viene confermata anche da un altro passaggio attinto questa volta dal XXIV libro della Historia gioviana certo non tenero verso gli autori del misfatto perpetrato contro la capitale del cattolicesimo. Bartoli, sulla falsariga gioviana, allude significativamente alle responsabilità di Clemente VII e all’evitabilità della catastrofe se si fossero tempestivamente attaccate le truppe del Borbone ormai sfinite e male armate: “Et quale altra causa fu quella che rovinò al tempo di Papa Clemente Roma, se non il fidarsi troppo delle promesse del viceré? Et la astutia degli Imperiali in non si lasciar mai intendere, et massimo Borbone il quale con quel suo esercito spogliato di artiglierie et d’armi, affamato, et quasi al certo rovinato, sarebbe indubitamente stato distrutto se chi era a capo della Lega avessi voluto raggiungerlo in Roma il giorno dipoi, et vincere gloriosamente i vincitori.”957 Inoltre, spesso nei Discorsi traspare l’insofferenza dell’autore per la presenza di armate straniere, in primo luogo spagnole e tedesche, in Italia, come quando Carlo ordina agli italiani guidati dal cardinale Ippolito de’ Medici di rimanere a guardia di Vienna appena difesa dall’attacco turco, e l’autore sulla falsariga del XXX libro del Giovio critica la decisione imperiale dichiarando che “non pareva ragionevole che in Italia avessero a tornare i Tedeschi e gli Spagnoli, et essi Italiani rimanere in Ungheria, considerato il pericolo della Italia, se essa rimaneva spogliata di tanti Signori, di tanti capitani et di tanti soldati veterani, rimanendo in preda alle voglie de gli Spagnoli et de Tedeschi…”958. Gli stessi apprezzamenti negativi espressi sul governo del Mendoza a Siena, fortemente indiziato tra le righe di non secondarie responsabilità nella ribellione della città al giogo imperiale ci forniscono ulteriori conferme in questa direzione.959 Peraltro, la valutazione in questione, si ricollega alla volontà di mettere in cattiva luce la gestione imperiale della situazione senese e l’errore commesso da Carlo nell’affidare la città al Mendoza, facendo risaltare per contrasto l’importanza dell’intervento di Cosimo, chiave del successo imperiale e della stabilità della situazione italiana. Scrive infatti l’autore: “Haveva Carlo Quinto imperatore per suo ambasciatore in Roma Don Diego di Mendoza, il quale per alcuni accidenti trasferitosi a Siena, si impadronì totalmente di quella città; ma in breve tempo, mediante i tristi portamenti suoi, et de suoi ministri, che non avevano rispetto alcuno ne alla salute, ne alla utilità di quella città, si accorse della sua poca prudentia; perciochè ribellatosele Siena, et chiamati in suo soccorso i Francesi, tolse grandemente di riputazione in Italia all’Imperio, et intrigò l’imperatore in una grave, et pericolosa guerra, alla quale non bastaron le forze imperiali a por fine, senza i danari il valore et la prudenzia del duca Cosimo de’ Medici.”960. Del resto, questa idealizzazione del duca di Firenze va inquadrata nella politica sempre più autonoma e dinamica che Cosimo svolge, pur nel formale allineamento a Filippo II, nello

958Ivi, passo a p. 281nn1.

955Ivi, passo a p. 115p2. 956Ivi, cfr. pp. 136r4-137s1, sull’impiego della Storia d’Italia rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 282. 957Ivi, passo a p. 230ff3.

959Ivi, passo a p. 83L2: “avendo Don Diego…preso a governare la città di Siena, e per gli suoi mal consigliati ordini, come quello che andava più tosto dietro ad una vana gloriosa ambizione, che ad alcun modo di ben reggere i popoli, perduta la obbedientia e la devozione di quello stato…” 960Ivi, a p. 272nn4.

210

Page 211: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

scacchiere italiano, facendosi forte anche del ricostituito connubio con Roma, non certo ben visto dal sovrano spagnolo. Dall’intesa con Roma, sarebbe arrivato, infatti, il titolo granducale con grave disappunto del sovrano spagnolo e dell’imperatore, peraltro impegnato in questo periodo, sia nella ricompattazione interna dell’impero dopo la pace di Augusta, sia nel terribile scontro con gli ottomani961. Tuttavia, se Cosimo da un lato è il principe nuovo subentrato secondo la ciclica successione delle forme di governo propugnata da Aristotele, Polibio e Machiavelli a rifondare la forza e la coerenza del corpo politico disfatto dal collasso della repubblica fiorentina, dall’altro non corrisponde alla figura invocata dal Machiavelli nell’ultimo capitolo del Principe per restaurare la libertà italica. Quella speranza, infatti, è definitivamente tramontata anche se il Bartoli la richiama esplicitamente quando, prendendo spunto dall’instabilità degli stati italiani, afferma: “non avendo avuto l’Italia un capo solo, che la habbi saputa governare: ma per por fine a questo ragionamento non mi distenderò in addurre altri esempi che sarebbono infiniti quelli che si potrebbono mettere a campo ne io lo poteri fare senza mio gran dispiacere, sapendo che tutta la disunione et tutte le rovine, che sono accadute ne’ tempi passati alla detta Italia, sono occorse dal non havere ella havuto, un capo solo, che la guidi et dallo essere chiamato per le passioni de Principi particulari di quella, hor questo Re, hor questo altro, che con le armi forestieri hanno purtroppo crudelmente afflitta e tormentata la detta Italia senza che ella habbia mai potuto ripigliare quel vigore, o quelle forze, o quel modo di reggersi con il quale già al tempo de’ Romani seppe pure et vincere et reggere tutto il mondo con infinita sua lode e gloria.”962 È una considerazione tuttavia, evidentemente rivolta ad una dimensione di speranze esaurite, anche se la partecipazione e il pathos dell’autore sono fuori discussione. Indizio ulteriore di una non infondata continuità di motivi tra i Discorsi e la precedente Vita, anche se sviluppata dall’autore in una ben diversa condizione storico-politica della penisola.963 Infatti, la priorità assoluta nei Discorsi historici bartoliani consiste soprattutto nella tutela e nella conservazione dell’ordinamento politico, nella necessità di ottenere pace e ordine dopo decenni di guerre e crisi politiche. Significativo in tal senso il diverso modo in cui rispetto allo scritto del 1559 viene percepito e configurato il mito veneziano. Nella biografia del Barbarossa, Venezia era rappresentata in chiave di ascesa e dinamismo politico, perno della vittoria militare sull’imperatore e delle conseguenti trattative politiche della “Canossa” del 1177. Ora invece, il mito della città lagunare, proposto esclusivamente sulla base del Bembo e del Sabellico, viene celebrato in relazione alla solidità dell’edificio politico ed istituzionale veneziano che “già per mille cento quaranta anni o più ha saputo talmente reggersi, e mantenersi che ella non si è mai data in preda al potere, o alla forza del vento del vulgo o della plebe…”964. Non è casuale, che il Bartoli, in questa direzione, diversamente dal Giovio,

961In proposito rinviamo a Diaz, Il Granducato, cit., pp. 183-190, inoltre R. Cantagalli, Cosimo I, cit., in particolare pp. 237-294, e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 393-404, infine cfr. anche per il nuovo corso del rapporto mediceo-pontificio e sui contrasti con la Spagna, L. Pastor, Storia dei Papi, cit., in particolare vol. VII: Pio IV(1559-1564), pp. 508-548 e vol. VIII: Pio V(1566-1572), 1964, pp. 263-313. 962C. Bartoli, Discorsi historici, cit., passo a p. 275. 963In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 292, 294-295 e 297-298; cfr. inoltre C. Vasoli, Osservazioni, cit., p. 738, R. Albertini, Firenze dalla repubblica al principato, cit., pp. 291-292, in particolare nota 4. Inoltre sull’ultimo capitolo del Principe cfr. F. Gilbert, Machiavelli, cit., pp. 209-222. 964C. Bartoli, Discorsi historici, cit., passo a p. 39e4; inoltre sulla storia politica veneziana si rinvia a Wiliam J. Bouwsma, Venice and the Defense of Republican Liberty. Renaissance Values in the Age of the Counter Reformation, Berkeley and Los Angeles: University of California press, 1968, in particolare sugli eventi del 1177, pp. 55-56.

211

Page 212: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

scagioni l’azione del Giannotti965 dall’accusa di aver agito, in veste di segretario dei dieci di guerra, durante l’ultima repubblica fiorentina, contro gli interessi del popolo fiorentino, seguendo le direttive degli Arrabiati966. Il Giannotti, infatti, è un noto sostenitore della armonia del sistema misto veneziano e del mito della città lagunare.967 La costante preoccupazione per la stabilità dei regimi politici è del resto testimoniata anche dal modo in cui l’autore affronta il tema delle congiure, stigmatizzate per le motivazioni degli attori coinvolti e per gli esiti comunque controproducenti. Nei Discorsi il Bartoli, offre un accurato elenco delle congiure attuate e fallite contro i Medici e si avvale sull’argomento del contributo machiavelliano, anche se abbandona l’oggettività con cui il segretario fiorentino ne parlava nei suoi Discorsi.968 Sul valore della religione per la stabilità di un regime politico, invece il Bartoli recupera integralmente la lezione machiavelliana. La religione, infatti, costituisce un fattore di aggregazione e coesione del corpo politico, irrinunciabile e viene pertanto valutata in chiave eminentemente politica969. In questa direzione va inquadrato il giudizio dell’autore, ricavato dal Guicciardini, sugli enormi danni prodotti da Enrico VIII a tutto il regno con le sue scelte religiose e politiche: “Anzi fece tal danno a tutto il suo Regno, che non solo andò fluttuando a tempi suoi, ma anchora oggi che sono già passati trentasei anni da quel motivo, non ha mai presa forma di buon governo; sollevandosi ora gli eretici, ora i Cattolici, con infinita spesa travagli o spargimento di sangue; accomodandosi a Re, et alle Regine che sono successe, hor l’una hor l’altre, di queste religioni senza che quel Regno habbi potuto sperare quiete o cosa stabile, secondo che sarebbe necessario, onde si vede pur troppo manifesto, che le soverchie voglie de’ Principi inducon i lor popoli e i lor Regni a manifesta rovina.”970 Comunque, fatte salve le priorità del nuovo momento storico e il diverso approccio generale dei Discorsi rispetto alla Vita del Barbarossa, l’attenzione tutt’altro che spenta dell’autore alla libertà d’Italia e la contrarietà alla presenza straniera e imperiale nella penisola confermano la persistente divergenza con le linee prevalenti della Storia d’Europa. Il Bartoli, infatti, continua a negare decisamente il binomio tra Italia e Germania, e l’implicita correlazione tra Asburgo e penisola italiana, sostenuti invece dal Giambullari. Emblematico in questo senso, è il passo dedicato alla discesa nella penisola di Carlo il Bavaro, dipinto come un uomo posseduto dall’avidità, che conculca la libertà e l’autonomia di Milano, strappandola per un certo periodo a Galeazzo Visconti, proprio sulla falsariga del profilo biografico di Galeazzo Visconti composto dal Giovio . Del resto, Ludovico era stato oggetto dell’attenzione gioviana anche nelle Historiae come accennato, riguardo agli insanabili conflitti interni all’impero germanico.

971

Infine, un altro elemento indicativo della posizione bartoliana, emerge dai passaggi dei Discorsi che affrontano la questione degli scontri tra Guelfi e Ghibellini a Firenze, sulla base dei resoconti di Leonardo Bruni. Il Bartoli esprime chiaramente la sua linea antighibellina descrivendo l’episodio dell’uccisione di Messer Buondelmonte Buondelmonti, già da lui

965Su Donato Giannotti cfr. la relativa voce Giannotti Donato, in DBI, vol. LIV, pp. 527-533; cfr. inoltre G. Cadoni, l’Utopia repubblicana di Donato Giannotti, Milano, Giuffrè, 1978. 966Ivi, p. 80k4. 967In proposito rinviamo a C: Vasoli, Osservazioni, cit., pp. 732-733, J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 290-291 e 293, inoltre a proposito del mito veneziano in Donato Giannotti, vedi F. Gilbert, Machiavelli, cit., pp. 145-157 e R. Albertini, Firenze dalla repubblica al principato, cit., pp. 145-166. 968In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 281 e 285-286. 969Sul punto in questione vedi C. Vasoli, Osservazioni, cit., pp. 737-738 e J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 299. 970Discorsi universali, cit., passo a p. 271qLl4. 971Ivi, pp. 85-86l3.

212

Page 213: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

raccontato nella orazione funebre del Giambullari972. Nel resoconto dei Discorsi, infatti, l’autore emette una decisa condanna a carico dei capi ghibellini: gli Uberti e Lamberti, colpevoli di una giustizia sommaria ottenuta con un’azione extralegale, compiuta da privati973. Ancora da Leonardo Bruni, il Bartoli attinge il racconto sulla volontà della fazione ghibellina, istigata da Senesi e Pisani nell’incontro di Empoli, di distruggere Firenze, e impedita soltanto dalla fermezza e dall’autorità di Farinata degli Uberti974. In conclusione pertanto, la storiografia bartoliana risente profondamente dell’influenza gioviana, mentre presenta una certa distanza rispetto alla propensione ghibellina del Giambullari. 3. Girolamo Bardi e Lodovico Guicciardini Queste divergenze, del resto, non sarebbero venute meno ne Le età del mondo cronologiche975…(di qualche anno successive ai Discorsi bartoliani) composta da Girolamo Bardi anche lui fiorentino, appartenente al noto e illustre casato già ricco e potente intorno all’XI secolo, che avrebbe dato alla Repubblica fiorentina il primo priore della sua storia nel 1282. Il Bardi, nato intorno al 1544 diviene monaco camaldolese a Santa Maria degli Angeli di Firenze dedicandosi essenzialmente agli studi, con particolare attenzione appunto alla storia sacra e profana. Tuttavia, non trascorre molto tempo che lasciato l’abito di San Romoaldo, si trasferisca a Venezia, vivendoci molti anni come prete secolare. Nella città lagunare l’8 febbraio 1593 il Bardi viene eletto piovano della Chiesa dei SS. Matteo e Samuele morendo circa un anno dopo, il 28 marzo del 1594976. Il suo interesse cronologico testimoniato anche dalla composizione de Le vite di tutti i Santi, brevemente descritte per tutti i giorni dell’Anno…977 non avrebbe mancato di suscitare apprezzamenti di diversi contemporanei tra i quali spicca certamente l’elogio formulato dal Sansovino nella sua Cronologia universale del mondo, accanto a quelli del Possevino, di Guido Grandi, di Agostino Fortunio, e nel secolo 972In proposito, rinviamo al capitolo I. 973Ivi, passo a p. 183z4. 974Ivi, cfr. p. 67i2 in altri punti come a p. 274mm1 l’autore, per gli scontri tra guelfi e ghibellini, rinvia al Machiavelli, Giovanni Villani e Matteo Palmieri; in proposito cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 284. 975Le età del mondo chronologiche, nelle quali dalla creatione di Adamo, fino all’anno MDXXXI di Christo, brevemente si racconta la origine di tutte le Genti, il principio di tutte le Monarchie, di tutti i Regni, Repubbliche et Principati, La salutifera incarnatione di Christo, con la successione de’ Sommi Pontefici romani, La creatione de’ Patriarchi, Le Congregationi de’ Religiosi, Le Militie de’ Cavalieri, i Concili universali et nazionali, Le Heresie, i Schismi, Le Congiure, Paci, Ribellioni, Guerre, et Prodigii, la denominatione di tutti gli Huomini in ogni professione illustri. Con la particolar narratione delle dette cose successe d’anno in anno, nel mondo, Fatte da Girolamo Bardi Fiorentino, con privilegio, in Venetia, appresso i Giunti, MDLXXX. 976Per l’abbandono dell’abito camaldolese vedi Flaminio Cornaro, Ecclesiae Venetae et Torcellanae antiquis monumentisnunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venetiis, G. B. Pasquali, 1749 in particolare, Appendix novissima, a p. 349. L’uscita dall’ordine camaldolese viene ignorata da G. Fontanini, Biblioteca dell’eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini…con le annotazioni del signor Apostolo Zeno istorico e poetacesareo cittadino veneziano, II tomi, Venezia, MDCCLIII, presso G. B. Pasquali, (sul quale cfr. la voce Giusto Fontanini di D. Busolini in DBI, vol. XLVIII, Roma, 1997, pp. 747-752) che critica aspramente il Bardi per non avere menzionato nel titolo delle sue opere il suo istituto religioso tomo II, p. 288 ivi, sul punto in questione il camaldolese viene difeso da Apostolo Zeno. Inoltre vedi ancora Cornaro, Appendix, cit., p. 396 sul giorno della morte. Negri in Storia, cit. sostiene erroneamente che Bardi sia morto a Firenze nel monastero di S. Maria degli Angeli a Firenze. Sulla morte a Venezia dove fu parroco cfr. anche Filippo Brocchi, Collezione alfabetica di uomini e donne illustri della Toscana dagli scorsi secoli fino alla metà del XIX compilata da F. B. e G. B., Firenze, Tipografia Bonducciana, 1852, p. 38. 977Le vite di tutti i Santi, brevemente descritte per tutti i giorni dell’Anno; ovvero Martirologio Romano, riordinato conforme all’uso del nuovo Calendario Gregoriano; tradotto dalla lingua latina nella volgare da Girolamo Bardi, in Venetia presso Bernardo Giunti 1585 in Negri, Storia, cit..

213

Page 214: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

successivo dell’astronomo gesuita Giambattista Riccioli978 e di Iacopo Gaddi979, fino alle critiche settecentesche di Giusto Fontanini980. Valutazioni peraltro ascrivibili ad uno scritto coevo e molto simile a Le età che esce quasi contemporaneamente per lo stesso editore nel medesimo anno intitolato: Chronologia universale981. La Cronologia viene stampata soltanto qualche mese dopo Le età e viene dedicata al granduca Francesco De’ Medici, destinatario già due anni prima di una versione incompleta dell’opera982. Gli eventi storici raccontati secondo la modalità annalistica sono preceduti da una sorta di introduzione complessiva di natura

978Sul quale rinviamo a livello biografico e riguardo alle sue opere astronomiche orientate in chiave anticopernicana a Luigi Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi: nella pietà, nelle arti, e nelle scienze con le loro opere o fatti principali compilato da[…]Luigi Ughi ferrarese, Ferrara, Rinaldi, 1804, II tomi, in particolare tomo II, p. 285 e Joucher Christian G., Adelung, Allgemeines Gelehrten- Lexikon. Fortsetzungen und Erganzungen von H. W. Rotermund, Leipzig,: Gleditsch [et al.] 1784-1897, 7 bde, in particolare bd. 6. , p. 156. 979Cfr. la relativa voce Gaddi Jacopo di F. Tarzia in DBI, vol. LI, 1998, Roma, pp. 159-160. 980Nella edizione accresciuta Della eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini arcivescovo d’Ancira libri tre…, in Roma nella stamperia di Rocco Bernabò, MDCCXXXVI, il Fontanini scrive infatti a p. 632-633 ricordando il Martirologio del Bardi, della Chronologia: “e ci è il Martirologio romano, volgarizzato parimente da Girolamo de Bardi camaldolese, autor pure di una vasta Cronologia universale, che però ha la disgrazia di essere abbandonata, come tessuta all’uso di chi non ha in bocca altro, che nuovi sistemi, che poi sono cose comuni, e altrettanto vane, quanto fondate in aria, e che in oggi non serve più incomodarsi a seguire, e molto meno ostinarsi a difendere in hac luce literarum, come fanno quelli, i quali per avversione alla verità conosciuta, non hanno scrupolo d’ingegnarsi a dar per vere le cose false, e le false per vere.” 981Il titolo perfettamente identico diverge nella prima parte dove inizia come Cronologia universale, titolo col quale la indichiamo d’ora in poi per distinguerla da Le età. Peraltro un diretto riferimento alla sua prossima uscita si rinviene a p. 124 de Le età riguardo ai mesi in cui entrano in carica i consoli “Ma avendone lungamente parlato nella mia Historia universale, et nella cronologia, che fra pochi giorni verrà in luce…”. 982Ivi, “Al serenissimo Don Franceso De Medici Granduca di Toscana mio Signore”, Di Venetia alli XXV. Di Novembre MDLXXXI in cui a testimonianza dei precedenti rapporti col Gran Duca a proposito dello scritto in questione e del lungo lavoro sotteso alla preparazione di questa fatica letteraria leggiamo: “La onde dovendo dopo tante fatiche, et dopo tanti anni finalmente pubblicare al mondo la mia presente Universal Chronologia, parte della quale già due anni sono fu da me, inviata alla altezza vostra serenissima…”. Peraltro ulteriori e più accurate notizie sulla gestazione della Cronologia si trovano nel Proemio che segue la dedica al Gran duca. Infatti l’autore, dopo una premessa generale sulla preminenza della storia su tutte le altre scienze come maestra di vita il cui apprendimento è assolutamente propedeutico per l’attività politica, racconta che l’idea di comporla è nata “considerando anticamente Eusebio et a nostri tempi Giovanni Lucido, Honofrio Panvinio, Carlo Sigonio, Gherardo Mercatore, et altri, si indussero a fare una certa sorte di Historia utilissima et necessaria, cavata dalla Chronica, detta comunemente da loro Chronicon, o Cronologia, che non vuol dire altro che ragione di tempo…alla quale invenzione di Eusebio, avendo i detti autori aggiunte molte cose, l’hanno ridotta con la industria loro in tale stato, che non par che gli si possa desiderare maggior chiarezza, Della qual sorte di Historia, io compiacendomi molto, et perciò desiderando che il Mondo ne avesse una molto più particolare di quella che i detti Auttori, nonostante che ciò difficilissima mi fusse, risolvei di fare la presente Cronologia…” nell’”anno mille cinquecento settanta tre nella città di Venezia et quivi praticando con diversi huomini di lettere, un giorno fra gli altri parlandosi delle Historie et della confusione de tempi, che in molti historici si vede fui dopo molti pareri essortato da alcuni et fra gli alti da Tomaso Porchachi, di fare ad mitatione di Eusebio ma con maggior distintione et con più capi particolari, una Cronologia universale[…]Et perciò in presenza di Tomaso Porchachi et di Aldo Manutio…fattone un publico instromento scritto di mia propria mano et autenticato da Girolamo Savino publico notaio di Venetia, come appare con la casa de Giunti, cominciai a metter mano il primo di Giugno, alla presente Cronologia essendomi ritirato…nella Badia della Follina…dove diedi fine alla presente fatica l’anno medesimo, per tutto il mese di Dicembre, essendomi in questo mentre gravemente infermato, si che più volte fui in procinto di morire…et dopo varii accidenti occorsi l’anno mille cinquecento settantacinque a stamparla, Al che mentre si attendeva, avendosi cominciata in Venezia a sentire la peste, interessasi l’opera, si stette fino a tutto l’anno mille cinquecento settantaotto a principiarla, nel qual anno fino al presente tempo, essendo occorsi varii accidenti, si è pure dato fine alla opera di fogli ottocento…”. Inoltre, nella presente leggiamo anche un richiamo in conclusione ad altre opere stampate come le Età, cit., in via di pubblicazione o mai pubblicate come la famigerata Historia universale (della cui esistenza manoscritta dà notizia soltanto il Negri, Storia, cit.,) : “Presentola adunque, a voi curiosi lettori, promettendovi che si come pochi mesi fa pubblicai a vostro beneficio, il Sommario et le Età cronologiche, che fra pochi mesi, io vi presenterò anco Gli Annali de Veneziani, le vite de Sommi Pontefici Romani. Due trattati uno della venuta di Alessandro terzo Pontefice a Venezia, et l’altro, che gli Elettori dello imperio siano instituiti dalla Chiesa Romana et una Historia universale partita in più Tomi…”.

214

Page 215: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

storico-geografica sull’origine delle genti delle diverse regioni del mondo: I Discorsi Cronologici983. Questo preambolo che precede la vera e propria esposizione storica aperta dalla creazione di Adamo, costituisce la prima parte dell’opera in una divisione complessiva di quattro fasi in cui la seconda parte si arresta all’anno zero984 la terza va dalla nascita di Cristo fino al 994985, la quarta arriva al 1580986. L’oggetto storico della Chronologia coincide con quello de Le età in cui l’arco temporale affrontato sempre secondo lo stile annalistico e la divisione in quattro parti è esattamente lo stesso. Tuttavia, accanto a questa notevole affinità, vi sono differenze che vanno dalla dedica dell’opera ad alcuni elementi concernenti la stessa impostazione generale dei due scritti. Ne le Età del mondo infatti vi sono quattro dediche diverse, una per ognuna delle quattro parti in cui l’opera è suddivisa. La prima parte dello scritto bardiano che va dalla creazione di Adamo alla nascita di Cristo viene dedicata a Lionardo Mozzanigo, la seconda che arriva fino al 1095 a Girolamo Zeno, la terza che giunge al 1493 a Giovanni Mozzanigo, la quarta e ultima che si ferma al 1580 ad Angiolo Strozzi987. Un fiorentino dedicatario della quarta parte interrompe il monopolio veneziano delle prime tre, sebbene si tratti comunque di un fiorentino collegato all’ambiente della Serenissima per i rapporti intercorsi tra due membri della sua famiglia ed i tre gentiluomini veneziani menzionati nelle prime tre dediche durante un periodo di permanenza nella città lagunare988. Pertanto, la partizione delle quattro fasi dell’opera si polarizza su punti di discontinuità storica diversa oltre ad essere quantitativamente una narrazione più ampia e accurata. Nella sua quarta parte inerente alla storia che va dal 1494 in avanti, infatti, se lo stile annalistico viene conservato a livello formale, nella sostanza ogni evento storico viene descritto con notevole accuratezza e inserito in un quadro complessivo difficile da ricavare nella centrifuga polverizzazione delle prime tre fasi de Le età come nel costante schematismo della Chronologia. Tuttavia, l’ispirazione identica delle due opere è chiaramente delineata oltre che dagli elementi enucleati, anche dall’equivalenza delle fonti utilizzate. Pertanto, per la nostra analisi e per un raffronto con la Storia d’Europa riteniamo utile considerare Le età come scritto più profondamente capace di illuminare le prospettive storiografiche bardiane integrandole però con la più sintetica Cronologia, frutto di una gestazione sostanzialmente unitaria, al pari di un altro lavoro precedente ad entrambi: Sommario Cronologico dalla creazione d’Adamo, fino all’anno di Cristo 1578…pubblicato sempre dai Giunti nel 1579 e dedicato al granduca Francesco de’ Medici. La cui maggiore schematicità e brevità indica la sua natura di lavoro preparatorio alla pubblicazione de Le età e alla Chronologia989.

983Ivi, pp. 1-64. 984Ivi, pp. 1-270. 985Ivi, pp. 1-265. 986Ivi, pp. 266-515. 987Ivi, Al clarissimo signore Lionardo Mozzanigo del clarissimo signor Niccolò, dedica datata 12 luglio 1581; Al clarissimo signore Girolamo Zeno del clarissimo signor Simone; Ivi, Al clarissimo signor Giovanni Mozzanigo, del carissimo signor Marcantonio; Al molto illustre et generoso signore Angiolo Strozzi. 988Ivi, leggiamo: “Il gentilissimo Signor Pirro suo fratello; el virtuosissimo Signor Giovambattista Strozzi parente e amicissimo sudo, che mentre furono a Venenzia più d’una volta trattarono domesticamente con loro restandoli non meno obligati al valore, alla bontà, et alla cortesia di ciascuno di essi…”. Il Negri, Storia, cit., diversamente rileva una dedica nell’edizione del 1581 al granduca Francesco e una lettera ai lettori in cui l’autore asserisce di aver composto l’opera in sette mesi e rinvia alla prossima pubblicazione degli Annali de’ Veneziani in realtà mai avvenuta. 989Sommario cronologico, nel quale dalla creatione di Adamo fino all’anno MDLXXVIIII di Cristo. Brevemente si racconta la origine di tutte le Genti, il Principio di tutte le Monarchie, di tutti i Regni, le Repubbliche, et Principati, la Salutifera incarnatione di Cristo, con la successione de’ Sommi Pontefici Romani…, Di Venetia appresso i Giunti 1579, d’ora in poi Sommario, con dedica “Di Venetia alli 6 di Giugno” indirizzata “al serenissimo Don Francesco de’ Medici gran duca di Toscana”; in proposito cfr. anche Negri, Storia, cit. e Enrico Narducci, Giunte all’opera “Gli scrittori d’Italia” del conte Gemmaria Mazzuchelli tratte dalla biblioteca Alessandrina, Roma, Salviucci, 1884. Chiaramente il Sommario costituisce una sorta di fase intermedia dell’opera successiva come evidenzia sia la lunghezza di circa 200 pagine (non numerate dall’autore) inclusi gli ampi e circostanziati elenchi di fonti (posti alla fine della prima e della terza e ultima parte in cui è

215

Page 216: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Ne Le età l’autore propone lo schema delle quattro monarchie e delle sei età del mondo. Centrale in questa divisione delle epoche storiche la nascita di Cristo che inaugura la sesta ed ultima età990, la cui preminenza rispetto alle precedenti viene confermata anche dallo spazio maggioritario complessivamente dedicatogli dal Bardi. Le prime cinque età anche a livello logico, infatti, costituiscono una sorta di preambolo che copre soltanto la prima parte dell’opera. Certo, oltre alla presenza dello schema delle sei età, la ripartizione in quattro parti de Le età indica evidentemente la compresenza di ulteriori significative fratture storiche oltre alla nascita di Cristo, nel caratterizzare il senso complessivo degli eventi narrati. Il 1096 infatti, offre un radicale cambiamento di scenario e di priorità. Si passa dallo scontro interno alla Res publica christiana tra papato e impero nelle persone del pontefice Urbano II successore di Gregorio VII e dell’imperatore Enrico IV, all’improrogabile esigenza dell’orbe cristiano, di organizzare una crociata contro i maomettani991. Il 1494 poi, è un punto di discontinuità ampiamente proposto dalla storiografia umanistica e si pone evidentemente come un punto particolarmente delicato e carico di valenze per chi scrive di storia negli stati italiani come indica del resto il fatto che la narrazione storica bardiana che va dal 1494 al 1580 occupi più della metà della lunghezza complessiva dell’opera992. Un primo punto di distanza con la Storia d’Europa che solo indirettamente ma non meno significativamente richiama la contemporaneità storico-politica. Peraltro, visto il punto di partenza cronologico de Le età dalla creazione di Adamo, l’esame dei due autori attraverso le fonti selezionate e le loro modalità d’impiego, può estendersi anche al Gello del Giambullari. Il trattatello del canonico laurenziano presenta del resto, oltre alla valenza linguistica un significato storico-politico non trascurabile esplicitamente indicato dal Giambullari, come visto, nella sua Storia d’Europa. In proposito si percepisce, nonostante un certo grado di analogia tra le fonti utilizzate nel Gello e quelle della prima parte delle Età del mondo certificato da testi dell’antico testamento (in particolare la Genesi, l’Esodo, e i Giudici, libro dei Re), da Beroso, Lucido, Diodoro Siculo, Giuseppe Flavio, Orosio, Eusebio, Cassiodoro, Esdra, Tucidide, Senofonte, Herodoto, Plutarco, Dionisio, Livio, Giustino, Florio, Polibio, Appiano, Svetonio, ed altri e nonostante l’utilizzazione della della cronologia ebraica,993 un certo grado di differenza nell’impostazione generale994. Risulta evidente come lo schema delle quattro età imperiali che ha al suo centro la fase dell’impero romano applicato dal Bardi come vedremo, sia assente nel Gello anche tenuto conto dell’ambito fiorentino e toscano dell’opera. D’altra parte il Giambullari respinge nel suo trattatello la realtà della cultura greco-romana e la derivazione della moderna Etruria da quella radice ideale e politica. Quella tradizione viene aggirata e subordinata ad una precedente e divisa l’opera; la prima parte che va dalla creazione di Adamo alla nascita di Cristo , la seconda che va fino al 1076 a p. 88, la terza che arriva al 1578, a p. 198), nonché il procedere telegrafico anno per anno mantenuto anche per gli anni più vicini al 1578 e che invece verrà progressivamente abbandonato nei resoconti degli anni più vicini al 1580 nell’opera pubblicata nel 1581 dove la contemporaneità assumerà un peso assolutamente predominante specialmente con riguardo al periodo 1560-1580 a livello quantitativo. 990Riguardo alla schema della periodizzazione delle sei età e delle quattro monarchie con attenzione anche alla storiografia del XV e XVI secolo rinviamo a G. Falco, La polemica sul Medio Evo, cit., pp. 29-41. 991Ivi, pp. 375-379. 992Infatti, questa che corrisponde esattamente alla quarta parte in cui è divisa l’opera, va da p. 761 a p. 2221. 993L’adozione bardiana della cronologia Ebraica da parte del Bardi viene confermata esplicitamente dall’autore nella Cronologia nella parte iniziale dell’avviso al lettore a cui segue la seconda parte dell’opera: “Essendo pervenuti dopo così lunga narratione de Siti, et delle origini, et de costumi, et delle Forze de’ Tanti Regni, Repubbliche et Principati, che in varii tempi sono stati veduti nel Mondo; alla particolar dimostrazione delle cose successe, sopputate da noi con l’autorrità de’ migliori Chronologi, conforme al calcolo de gli Hebrei per le seguenti tavole…”. 994Sulle fonti sia antiche che coeve è senza dubbio più accurato e completo rispetto all’elenco de Le età, cit., sia quelli contenuti nel Sommario, cit., sia quelli della Chronologia, uno che precede la sua prima parte, uno posto alla fine dell’ultima parte dell’opera, un altro nel preambolo alla seconda parte dello scritto Al Lettore. A proposito di un completo elenco delle fonti della storia antica rinviamo al Sommario pp. 31-32 alla fine della prima parte.

216

Page 217: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

incontrovertibile matrice ed eredità costituita dall’aramaico e dal sostrato storico attinto dalle opere linguistiche e dalla traduzione eterodossa della Bibbia di Sebastian Muenster. Diversamente, il discorso del Bardi culmina nella nascita di Cristo sotto l’impero di Augusto nel momento in cui il mondo regolato e unito secondo i dettami della pax romana è finalmente in una condizione di ordine e serenità. Certamente all’interno della successione dei quattro imperii: Assiro, persiano, greco-macedone, romano quest’ultimo costituisce il fulcro della prima fase della narrazione bardiana anche a livello quantitativo995. Inoltre ulteriore segnale della possibile distanza dalle prospettive aramaiche del Giambullari, lo fornisce la notazione della rifondazione di Firenze da parte di Carlo Magno nell’802, tratta probabilmente secondo la indicazione delle fonti alla fine della pagina dalla Chronica del Palmieri996. Peraltro anche nella Storia d’Europa alla evidente centralità del concetto e della tradizione imperiale non corrisponde un’esplicita e chiara adesione allo schema dei quattro imperi. Senza dubbio il Giambullari ricorre ad autori che condividono quello schema come ad esempio il Carione, tuttavia non dedica molto spazio o rilievo alla successione degli imperi precedenti alla rinascita ottoniana. Nella prima parte della Storia soltanto un fuggevole cenno viene speso per la restaurazione di Carlo Magno momento felice ma irrimediabilmente concluso nell’attualità, segnata dalla decadenza dell’impero e dal debole e inefficace governo dei discendenti del grande sovrano carolingio. Ben altro spazio e preminenza rispetto a Carlo Magno, il Giambullari attribuisce ad Arrigo di Sassonia e soprattutto ad Ottone I, come detto, una predilezione dal chiaro significato politico. Il Bardi invece concede uno spazio sostanzialmente equivalente a questi sovrani ed in particolare a Carlo Magno e ad Ottone I997. Certamente non manca di riferire tutte le gesta di Arrigo ed Ottone I e lo sforzo di pacificazione e compattamento compiuto all’interno dell’impero da entrambi, ma senza quella partecipazione e giustificazione provvidenziale manifestamente percepibile invece nella Storia d’Europa. Anzi, l’aureola di tutore e pacificatore della Res publica christiana conferita dal Giambullari ad Ottone viene sostanzialmente meno nel Bardi. Lo storico camaldolese evidenzia esclusivamente lo sforzo di pacificazione e compattamento politico-militare della Germania intrapreso con alterna fortuna da Arrigo e dal figlio Ottone. Infatti, a proposito di Arrigo scrive: “Henrico accomodò le difficoltà de’ Germani” tracciando poi un bilancio abbastanza lapidario, anche se positivo, del lungo regno di Ottone I: “Ottone fu Imperatore dopo Henrico, avendo preso lo Imperio del 936 di Christo, e tenutolo anni 36 mesi 10 giorni 6 il quale pacificatosi co’ nimici, procurò la salute della Germania.”998 Ancora in maniera piuttosto sbrigativa dopo alcune pagine torna direttamente sul figlio di Arrigo rilevando che “Ottone superò gli Sclavi, e domò i ribelli, procurando indarno di quietare lo Imperio.”999 Mentre sulla falsariga di Liutprando il Bardi stigmatizza l’agire di Berengario che “travagliava la Italia”1000. Tuttavia, sono notazioni che si perdono all’interno di una narrazione frammentata in mille rivoli, fatti e scenari che sembrano trovare una loro 995La storia di Roma infatti nella prima parte dell’opera va da p. 124 a 343 con la quale si esaurisce il racconto della quinta età. 996Ivi, Nelle quali dalla incarnatione di Christo, fino all’anno MXCVI, p. 247bb4 in cui leggiamo: “Carlo fece molte leggi nuove, et restaurò Firenze.”. 997Ivi, sul primo vedi pp. 238-252, sul secondo pp. 298-313. 998Ivi, passi riportati alle pp. 291 e 298. 999Ivi, p. 307. 1000Ivi, p. 308 e in precedenza anche p. 287: “La Italia era travagliata da Berengario”.

217

Page 218: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

cifra unitaria soltanto nell’impressione di un continuo contrasto interno all’Impero e all’Italia. Indubbiamente, anche il procedimento annalistico, peraltro praticato nella storiografia veneziana, ostacola oggettivamente la decrittazione della sua inclinazione ove essa sia presente1001. Vedremo in proposito però come facilmente il Bardi a dispetto dello stile generale utilizzato nell’opera saprà segnalare in modo netto la propria posizione in altri momenti. Comunque la stessa polverizzazione della narrazione in diversi e giustapposti teatri di per sé denuncia già implicitamente la mancanza di categorie e idealità unificanti. Inoltre, sebbene il Bardi menzioni il trasferimento del diritto di elezione imperiale compiuto dal Papa Gregorio V durante il regno di Ottone III, suo nipote, ai sette grandi elettori tedeschi, dopo la vittoria definitiva riportata contro Crescentio che aveva per anni tiranneggiato Roma e l’Italia1002, ne mantiene ben fermo il carattere di pura e semplice concessione papale ribadita in più di un’occasione1003. Specificazione che ridimensiona fortemente la portata di una possibile propensione filoimperiale bardiana, anche se l’agire politico di Ottone III istituisce una chiara dipendenza della penisola dalle risoluzioni imperiali, meno lontana dalla prospettiva generale del canonico laurenziano. Del resto, anche la valutazione della donazione di Costantino non suona molto ghibellina: “Costantino riedificata la nuova Roma trasferì lo scettro Imperiale da Roma in quella, donando alla Chiesa molti privilegij…”1004. Tanto più che molte delle fonti utilizzate dall’ex camaldolese per ricostruire le vicende storiche medievali pur coincidendo con quelle consultate dal Giambullari sono usate in modo diverso nel tracciare una valutazione complessiva della traslazione dell’impero al mondo germanico. Le fonti in questione appartengono al medioevo tedesco e all’umanesimo italiano e vengono utilizzate anche nella Storia d’Europa: Liutprando, Reginone, l’abbate Uspergense, Widukindo oltre a Zonara per gli svolgimenti bizantini, Procopio, il Biondo, Paolo Emilio, Enea Silvio Piccolomini, il Renano dei Germania libri Tres, l’Irenico dei Duodecima volumina…, il Munster della Cosmographia, Hulderico Muzio, Erasmo Stella. Anzi il Bardi, che si procurava le fonti di autori germanici nel veneziano Fondaco dei Tedeschi1005, ricorre anche ad altre fonti del mondo germanico non compulsate dal canonico laurenziano: la Cronica di Sassonia, la Cronica di Colonia, la Cronica di Norimberga, Giovanni Nauclero, l’Aventino, l’Epitome della Germania del Wimpheling e ancora altri scrittori di cronache tedesche1006.

1001Sulla storiografia veneziana nel XVI secolo cfr. G. Cozzi, “Pubblica storiografia” veneziana del ‘500 in “Bollettino dell’Istituto di Storia della Società e dello Stato”, V-VII, 1963-64, pp. 215-294; ora in id., Ambiente veneziano, ambiente veneto. Saggi su politica, società, cultura nella Repubblica di Venezia in età moderna, Venezia, Marsilio, 1997, pp. 13-86, in particolare sulla utilizzazione dello stile annalistico nel Bembo pp. 29-31. 1002In proposito pp. 324-325; inoltre sulle divisioni e l’oppressione determinata da Crescentio vedi più diffusamente le pp. 318-325 in particolare p. 319 in cui leggiamo: “Roma era tiranneggiata da Crescentio, di maniera, che la Italia era tutta in arme.” 1003Ivi, cfr anche p. 2210. 1004Ivi, passo a p. 93. 1005In proposito cfr. E. Cochrane, Historians and Historiography, cit., p.; cfr inoltre, in generale sul fondaco dei Tedeschi H. Simonsfeld, Der Fondaco dei Tedeschi in Venedig und die Deutsch-Venetianischen Handelsbeziehungen, Stuttgart. Verlag der J. G. Cotta’schen buchhandlung, 1887. 1006Per queste indicazioni rinviamo all’elenco della Cronologia universale, cit., più completo ed esauriente dei riferimenti sulle fonti contenuti ne Le età dove i nomi del Renano, del Muenster, del Muzio, dell’Irenico mancano. In realtà l’elenco più completo è quello contenuto nel Sommario alla fine della prima parte, in particolare p. 32 che ricorda anche il nome dell’Irenicus assente nel relativo elenco della Cronologia universale. Ivi, il ricorso al Muenster viene rammentato in due elenchi parziali tra gli “Historici che parlano de Germani” e nel novero degli “Historici Corografi universali da quali si son cavate molte cose aspettante a questo sommario”. In realtà se ci atteniamo anche all’altro elenco del Sommario posto alla fine dell’ultima parte dell’opera, pp. 198-200, le fonti in comune con il Giambullari di ambito germanico e filoimperiale o relative al mondo scandinavo aumentano ulteriormente attraverso la menzione di Wudukindo, del Krantio, di Olao Magno, Erasmo Stella, Sasso Grammatico, il Cuspiniano in proposito vedi soprattutto pp. 199-200.

218

Page 219: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Basta pensare al modo in cui sebbene entrambi gli autori ricorrano a Widukindo, il Bardi come abbiamo visto riporti freddamente e rapidamente la notizia dell’ascesa imperiale di Ottone I che assume invece in Giambullari una rilevanza ed una centralità testimoniata dalla accurata descrizione della sua incoronazione. Altra conferma in questa direzione la offre la trattazione bardiana all’interno della lotta per le investiture della figura di Enrico IV. Quella sorta di fascinazione che è percepibile nel ritratto che dell’imperatore svevo offre la Chronica di Nauclero1007 esaltandone, al di là della condanna per le persecuzioni inflitte alla Chiesa, le eccezionali qualità personali e militari del principe malconsigliato da cattivi ministri1008, appare del tutto assente nella caratterizzazione del Bardi. Il camaldolese, infatti, scrive che Enrico “colmo di ogni vitio nefando, non tralasciava ne luogo, ne occasione di far male, e alla Chiesa, e a Baroni.”1009 Già nelle pagine precedenti l’autore aveva evidenziato a proposito dell’inizio del conflitto tra papato e impero negli anni 1161-1162 che “Henrico si dichiarò nemico della Chiesa” contrapponendo al legittimo pontefice Niccolò II l’antipapa Cadolo e che a seguito della sconfitta dell’antipapa “era tutto veleno contra il pontefice”1010. Inoltre, nonostante l’accordo raggiunto nel 1164, l’autore evidenzia come già nel 1168 “Henrico diventò insolentissimo, travagliando continovamente la Chiesa, et i principali della Germania.”1011 In ben due punti pertanto viene rafforzata la negatività della figura dell’imperatore svevo nocivo alla Chiesa e alla stabilità dell’equilibrio politico dell’impero, nel cui seno deve fronteggiare la ribellione della Baviera e della Sassonia1012. Ulteriore conferma in questa direzione, l’autore la fornisce nel passo inerente il 1076 in cui gli elettori imperiali insorgono alla pretesa di Enrico di eleggere personalmente il pontefice attraverso la convocazione di due “conciliaboli”. Scrive infatti l’autore: “Era talmente cresciuta ne’ fautori dello scelerato Imperatore la perfidia, che adunati due conciliaboli, uno in Pavia, et uno in Vormatia, terminarono, che lo Imperatore potesse eleggere il Papa, et creare i Vescovi. Il che talmente sdegnò gli Elettori, che intimarono la Dieta per l’anno seguente, avendo fra tanto Gregorio celebrato il terzo Sinodo in Laterano, nel quale fu scomunicato Henrico Imperatore. […]I Principi di Alemagna fecero una dieta contra Imperatore, il quale non cessando di travagliare la Chiesa fu di nuovo scomunicato, essendo in questo mezzo vinto da’ Sassoni, che lo travagliavano.”1013

1007Iohannis Naucleri praepositi tubingen. Chronica, succinctim copraehendentia res memorabiles seculorum omnium ac gentium, ab initio mundi usque ad annum Christi nati MCCCCC. Cum Auctario Nicolaj Bselij ab anno Domini M. D. I. in annum M.D. XIIII. Et Appendice nova, cursim memorante res interim gestas, ab anno videlicet M. D. XV. Usque in annum presentem, qui est post Christum natum M. D. XLIIII. Rhapsodis partim D. Cunrado Tigemanno, partim Bartholamaeo Laurente …, Coloniae ex officina Petri Quentel anno Christi nati MDXLIIII. 1008Scrive infatti a p. 696 in relazione alla sua ascesa al trono: “Anno divini 1057…Henrico III defuncto, fili eius Henricus admodum puer succedens, regnare coepit. Fuit aut hic Henricus ore facundus, ingenio acer, elemosynis largus, in re militari fortunatissim, nam sexagesies collatis signis dimicavit, et licet malor ducto consilio, fuerit sancte Romanae ecclesiae persecutor[…]”, (sulla problematica convivenza in Nauclero di devozione cattolica e propensione imperiale causata dal suo patriottismo tedesco evidente nell’ammirazione espressa per la figura di Enrico IV cfr. inoltre G. Falco, La polemica sul Medio Evo, cit., pp. 63-68) diversamente il Bardi commenta il medesimo evento della sua ascesa al trono nei seguenti termini a p. 350: “Henrico quarto fu imperatore di Occidente, havendo preso lo Imperio del1056 et tenutolo anni 49, mesi 10, giorni 3, essendo morto nel fin di questo il padre. La Germania era tutta in arme…”. 1009Ivi, p. 358. Concetto il cui senso viene reiterato in almeno altri due passi, a p. 353: “Henrico si dichiarò nimico della Chiesa…”. 1010Passi riportati ivi, alle pp. 353 e 354. 1011Ivi, passo a p. 357. 1012Ivi, in proposito cfr. pp. 359-360. 1013Ivi, passo a p. 362. In proposito confronta a titolo esemplificativo la profonda analogia della valutazione svolta dall’autore nel Sommario, cit., a p. 33 che apre appunto significativamente la seconda delle tre parti in cui viene divisa l’opera.

219

Page 220: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Le pagine seguenti che esauriscono la seconda parte dell’opera continuano sulla falsariga dei due motivi dominanti in questo scontro Papato-impero, della ingiustificabile persecuzione imperiale alla Chiesa1014 e dei conseguenti disagi provocati anche alla penisola italica, della sollevazione militare e del malcontento degli Elettori di Baviera e Sassonia1015. Appare non meno significativo che nel pieno del contrasto tra Papato ed Impero l’autore ponga uno stacco netto nel 1096 che apre la terza parte de Le età e vede Urbano II propugnare con successo l’unità dei principi cristiani per compiere una crociata, nonostante le resistenze di Enrico IV. Il Bardi infatti, sottolinea che “quantunque lo scismatico Imperatore Henrico, facesse ogni opera per deviare si Santa Impresa, non fu però mai possibile di rimuovere l’animo de’ Fedeli da si Santo pensiero, onde avendo tutti dopo l’essortationi del Santo Pontefice, con lieto aplauso, gridato Iddio, voler così, si sottoscrissero…molti Principi grandi di diverse parti di Occidente…”.1016 Pertanto, la salvaguardia spirituale dell’Europa cristiana nella concezione bardiana viene chiaramente riconosciuta al pontefice mentre nella Storia d’Europa i veri tutori della Respublica christiana sono gli imperatori della casa di Sassonia. Il contrasto tra Chiesa e Papato comunque, nonostante l’intermezzo della crociata, non si placa fino al 1122 e si ripropone in termini non troppo dissimili con il Barbarossa che al pari di Enrico IV danneggia la Chiesa e l’Italia1017. Punto tutt’altro che trascurabile per i segnali abbastanza univoci sull’alterità del Bardi rispetto alla linea espressa dal Giambullari e su un suo possibile accostamento invece alle pulsioni bartoliane nel riscoprire le realtà municipali italiane in funzione delle tanto agognate libertà d’Italia con particolare attenzione ancora una volta al mito di Venezia. In questa direzione va collocata l’ampia digressione dell’autore sulla vittoria navale veneziana ottenuta contro il figlio del Barbarossa nell’ambito dell’ultima fallimentare spedizione dell’imperatore contro i Comuni italiani. La rilevanza del passaggio è segnalata anche a livello testuale dal venir meno a livello sostanziale dal telegrafico procedere annalistico. L’episodio in questione ed il conseguente incontro veneziano tra pontefice e imperatore occupano, infatti, ben tre pagine de Le età1018. In questo passaggio l’autore si dichiara apertamente stupito del diffuso scetticismo che circonda il concreto verificarsi di questi due avvenimenti, chiaramente documentati dalle stesse fonti tedesche e annuncia la pubblicazione di un’opera focalizzata sulla certificazione dell’effettivo svolgimento di quella grande battaglia: “certo che io resto molto meravigliato, che ritrovandosi molti historici di Alemagna, che confessando liberamente raccontano questa giornata, da alcuni trascuratamente venga taciuto, anzi espressamente negato, il fatto d’arme essere stato a Pirano, sotto la scorta del Doge Sebastiano Ziani, per il Papa, et di Ottone figliuolo di Federigo, per il padre: conciosia, che chiaramente si veda, che non potendo essere stato altrimenti, che come abbiamo raccontato noi nell’anno innanzi, et che gli Historici Tedeschi in più d’un luogo narrano, non so perché si taccia, o si niega da coloro, che per erudizione di dottrina, et per altre parte riguardevoli lo doverebbeno espressamente dire: ma avendone a parte fatto di ciò un lungo trattato, dove lungamente n più d’un luogo, et con infinite auttorità ho dimostro la verità di questo fatto, tralasciando ogn’altra cosa quivi mi riserbo a dimostrare quanto chi

1014Molto più problematico sul punto Nauclero, che in proposito in definitiva accusa il Papato di aver rivendicato una potestà temporale che non le apparteneva abrogando i diritti storici assunti dall’impero in materia di nomina di papi e di assegnazione di abbazie e vescovadi, senza dimenticare la sostanziale sconfessione delle conseguenze della donazione di Costantino, tutti punti sui quali rinviamo a G. Falco, La polemica sul Medio Evo, cit., in particolare pp. 66-67. 1015Sulla conflittualità interna all’impero e sullo scontro con la Chiesa rinviamo alle pp. 363-376; peraltro successivamente la Sassonia rimane solitaria a capeggiare la ribellione antimperiale per la sopravvenuta pacificazione tra l’imperatore ed il duca di Baviera sulla quale cfr. in particolare p. 376. 1016Ivi, passo a p. 377. 1017In proposito vedi p. 437-438. 1018Ivi, vedi pp. 451-453.

220

Page 221: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

negando erri la presente Historia conforme alle scritture de’ Veneziani, il quale dopo queste nostre età si vedrà pubblicamente…”1019 Si tratta della Vittoria navale ottenuta dalla Repubblica venetiana contra Ottone figliuolo di Federico primo imperatore…pubblicata da Francesco Ziletti nel 15841020 il cui intento celebrativo emerge in modo evidente già nella dedica rivolta dall’autore in data 13 gennaio 1583 al Doge ed al Consiglio dei dieci1021. Il Bardi infatti mette la sua documentazione a disposizione di una nuova rappresentazione pittorica della battaglia, visto che quella che si trovava nella Sala del Maggior Consiglio a palazzo ducale è andata distrutta in un incendio1022. Intento celebrativo non disgiunto dalla volontà di replicare a “coloro che” nonostante “l’erudizion di dottrina” negano l’effettivo svolgimento della battaglia e cercano di sminuire il ruolo veneziano nelle vicende del 1177. Come rilevato da Tommaso de Vivo, tra i detrattori delle prerogative e dei meriti storici veneziani va annoverato senza dubbio Carlo Sigonio assertore in pieno clima di Controriforma dell’esigenza pontificia di affermare il primato romano sulla cristianità con particolare riguardo alle realtà politiche concorrenti della penisola. Il Bardi inaugura la tendenza veneziana a documentare le prerogative politiche della Serenissima attraverso l’evidenza delle fonti scritte e delle immagini, poi perseguita anche da altri storici veneziani memori delle istanze bardiane e particolarmente sensibili agli attacchi di parte romana o asburgica specie nei momenti in cui a livello direttamente politico-militare le fortune e le prerogative veneziane sono profondamente minacciate. In questo senso non va trascurato che proprio la sua Vittoria navale venga ripubblicata nel 1619 a cura di Antonio Pinelli nel momento di massima intensità dello scontro ispano-veneziano nell’Adriatico1023. Inoltre, allo scritto del 1584 il Bardi fa seguire la Dichiaratione di tutte le Storie che si contengono ne’ quadri posti nuovamente nelle sale dello Scrutinio, e del Gran Consiglio del Palagio ducale…del 1587. Opera quest’ultima celebrativa non soltanto della battaglia del

1019Ivi, passo alle pp. 452-453. Nel precedente Sommario, cit., aveva portato a sostegno dell’effettivo svolgimento della battaglia a p. 108 il Corio ed il Sabellico oltre ai “brevi della Rep. di Venezia, veduti da me…” ed in cui si rinvia a quanto “di ciò abbastanza detto nella mia istoria universale, che dopo la Cronologia verrà in luce…”. 1020Vittoria navale ottenuta dalla repubblica venetiana contra Ottone, figliolo di Federico primo imperatore. Per la restituzione di Alessandro Terzo, Pontefice massimo venuto a Venetia. Descritta da Girolamo Bardi fiorentino, in Venetia appresso Francesco Ziletti MDLXXXIIII. Sulla vittoria navale del 1177 e sulla sua rilevanza nella iconografia e nella mitologia veneziana cfr. anche P. Ulvioni, Cultura politica e cultura religiosa a Venezia nel secondo Cinquecento. Un bilancio, in “Archivio storico italiano”, 1983, CXLI, pp. 591-651, p. 612. 1021Ivi, infatti il Bardi si rivolge “Al Serenissimo doge di Venetia Nicolò da Ponte et alli illustrissimi et eccellentissimi Signori Capi del Consiglio dei Dieci” (Su Nicolò da Ponte cfr. la relativa voce Da Ponte Nicolò di G. Gullino in DBI, vol. XXXII, Roma 1986, pp. 723-728) non va dimenticato inoltre, che proprio un anno prima che quest’opera vada in stampa, il Bardi manifesti la sua pulsione veneziana attraverso la pubblicazione di un altro intervento letterario Delle cose notabili della città di Venetia, Libri II…, in Venetia, presso gli eredi di Luigi Valvassori, et Giovan Domenico Micheli, MDLXXXIII. 1022Ivi, il Bardi scrive: “Havendosi a rinnovare nella Sala del maggior Consiglio le Historie, che rappresentavano le nobilissime pitture di Giovan Bellino, et di molti altri pittori illustri, consumate questi anni adietro dallo incendio, nelle quali si conteneva la venuta di Alessandro…et la Illustre vittoria ottenuta da quella illustrissima Repubblica…”. 1023Rinviamo a Tommaso de Vivo, Venetian Power, cit., sull’edizione secentesca della Vittoria navale e soprattutto sulle caratteristiche della storiografia Bardiana pp. 165-170, ivi, inoltre a proposito della sua incidenza nella storiografia veneziana successiva fino ai cambiamenti di impostazione determinati dal Sarpi e per le differenze con quest’ultimo vedi pp. 171-176. Inoltre, sulla storiografia di Sigonio, cfr. G. Costa, Le antichità germaniche, cit., che esalta Giustiniano come vendicatore della romanità oppressa dall’elemento germanico, mettendo in evidenza la positività di quest’ultimo soltanto in relazione alla sua integrazione nella Koinè greco-romana e cattolica come nel caso dei Longobardi la cui opera economico-legislativa è direttamente correlata con la conversione al cattolicesimo, o di Teodorico ostrogoto che garantisce la Chiesa cattolica e consolida la civiltà romana a livello politico e di restaurazione degli antichi monumenti, mentre d’altra parte minimizza i danni arrecati a Roma dal sacco perpetrato da Alarico e dai Visigoti nel 410 d. C., in particolare pp. 79-85.

221

Page 222: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

1177 ma di tutte le grandi battaglie della storia veneziana e dello sforzo ormai ultimato di rappresentarle a Palazzo ducale, secondo l’ideazione formulata dai due senatori veneziani Jacopo Contarini e Jacopo Marcello, esposta a livello letterario dal Bardi.1024 Dunque una forte pulsione veneziana quella della storiografia bardiana che viene alimentata anche dal motivo pontificio e antimperiale precedentemente evidenziato. Nella Vittoria navale infatti l’autore sostiene nuovamente il potere temporale dei papi in base alla donazione di Costantino e alle prerogative concesse da Carlo Magno e Ludovico il Pio alla Chiesa romana, con la conseguente denuncia della violazione di esse compiute da Enrico IV e V1025. D’altra parte il Bardi conferisce il massimo rilievo al ruolo che la Serenissima svolge a tutela, sia delle prerogative pontifice e della libertà italiana nei confronti della minaccia dei mori, sia delle ragioni della cristianità, come esemplificato dal contributo veneziano offerto nella prima crociata1026. Quest’impressione del resto viene supportata anche dal passaggio de Le età in cui Giulio II “cominciò a condiscendere alla restituzione della loro grandezza…facendo ogni opera che quella Repubblica ornamento dell’antica libertà d’Italia, 1024Dichiaratione di tutte le Storie che si contengono ne’ quadri posti nuovamente nelle Sale dello Scrutinio, et del Gran Consiglio del Palagio ducale della Sereniss. Repubblica di Venezia, nella quale si ha piena intelligenza delle più segnalate vittorie conseguite di varie nazioni del mondo da Veneziani. In Venezia per Felice Valgrisi 1587, opera poi edita per Altobello Salicato nel 1602, 1606 e 1660. Al riguardo rinviamo a G. Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia: notizie storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani di Giammaria Mazzuchelli bresciano, Brescia: Bossini 1753-1763, vol. II, parte prima, p. 178. L’edizione del 1587 è dedicata dal Bardi in data 19 dicembre 1586 a Giovanni Cornaro, il cui casato viene celebrato per le imprese compiute in favore della Repubblica veneziana, in primo luogo la donazione di Cipro effettuata dall’avola di Giovanni, Caterina Cornaro a Venezia puntualmente poi menzionata alle pp. 55, 59-60 dell’opera. Inoltre sulla trasposizione letteraria di quanto proposto per le pitture dal Contarini e dal Marcelli vedi l’esplicito riferimento dell’autore alle pp. 63-64. Cfr. inoltre sulla nuova iconografia di Palazzo Ducale per quanto riguarda la ritrattistica dogale in AA.VV., I dogi, a cura di G. Benzoni, Milano, Electa, 1982, il saggio di Giandomenico Romanelli, Ritrattistica dogale: ombre immagini e volti, pp. 125-162, a p. 133 e soprattutto, sul contributo artistico del Tintoretto, P. Ulvioni, Cultura politica e cultura religiosa, cit., pp. 609-612 e ancora sullo scritto bardiano in questione anche G. Cozzi, “Storiografia veneziana”, cit., pp. 75-76, in particolare la nota n. 107 a p. 76. Inoltre, sull’iniziativa bardiana e sul suo significato, cfr. anche Wiliam J. Bouwsma, Venice, cit., pp. 224-227 e sul valore delle immagini come fonte storica secondo la prospettiva bardiana cfr. Tommaso de Vivo, Venetian Power, cit., a p. 169. 1025Ivi, leggiamo infatti in linea con quanto osservato ne Le età…alle pp. 4a2-5a3 che “Che essendo stata la Chiesa, et la dignità pontificale nell’Età più antiche, dalla Religiosa pietà, et liberalità, di molti imperatori Romani grandemente essaltata, et aggrandita, et principalmente da Costantino il Magno, Carlo il Grande, et Lodovico il Pio; si che oltre la plenaria et assoluta autorità spirituale, che si estendeva in ogni parte dell’universo, possedeva anco con giusti titoli, et con vere ragioni la Città di Roma, il Latio…il Piceno…l’Umbria….la Romagna…parte di Lombardia et Toscana…Ma essendo poi nata secondo la diversità de tempi, diversa disposizione verso la Chiesa, et de Pontefici Romani, ne gli animi de gli altri imperatori, che a quelli succederono, et in particolare al quarto, et al quinto Arrigho; i quali veduto quanto la maestà dello Imperio si fosse ridotta in stato di gran lunga disuguale alla grandezza di prima; non tralasciarono cosa intentata, quantunque violenta, per aggiudicarsi li stati temporali; che santa Chiesa, con giuste ragioni riteneva ne sopradetti luoghi d’Italia, calpestando anco l’auttorità spirituale, che nviolabilmente se gli aspettava in tutte le parti dell’Universo; perciochè ritrovandosi per la diversità de gli accidenti molte delle Provincie della medesima Germania smembrate dal sacro Impero de loro predecessori…il che tollerandosi mal volentieri da’ soprannominati Cesari…senza alcun rispetto empiamente confuse le cose sacre et le profane; perturbarono con con inusitata asprezza la quiete, et lo stato de’ sommi Pontefici…”. 1026Ivi, alle pp. 2a1-3a2 riguardo all’invincibilità veneziana sul mare leggiamo: “Ma quello che la resero più raguardevole, et veneranda, fu l’essere stati i veneziani in gran parte cagione, che i cristiani di Ponente, nel passaggio che fece Gofredo in terra santa, s’impadronissero e recuperassero di mano de gli infedeli di Soria il sacrosanto sepolcro di Cristo.[…]Ma ne qui fermandosi l’armi de’ Veneziani, anzi impiegandosi ogni giorno più a beneficio de fedeli; fecero quasi che nel medesimo tempo, l’istesso contra i Mori d’Africa, et di Barbaria; i quali perturbando con le armate loro le riviere d’Italia incenerirono molti luoghi del Mare inferiore, scorrendo fino alla Città di Roma, con grave pericolo et evidente danno de gl’Italani, et de Pontefici Romani in particolare[…]Conciosia, che rotti e fugati più d’una volta i Mori, liberarono tutta l’Italia, et massimamente i Pontefici dalla violenza di quelli[…]Da quali beneficij indotti gli Italiani, non solo onorarono universalmente tutti i Veneziani; ma gli Ottoni Imperatori di quei tempi, et i Pontefici primi, donatigli molte preminenze, riconoscendo la salvezza loro dalle religiose armi de’ Veneziani, di comun consenso gli chiamarono Difensori et propugnacolo della Christiana religione ”.

222

Page 223: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

non fosse depressa dall’autorità et dalla forza de’ Barbari…”1027 dopo che in precedenza aveva capeggiato l’attacco generalizzato contro i cittadini della Serenissima agendo lui stesso come evidenzia l’autore “con le armi temporali…”. Valutazione ni cui non è difficile percepire una critica per quanto indiretta all’operato del pontefice nel momento in cui cerca di costringere all’impotenza Venezia, l’unico insostituibile baluardo delle libertà italiane e papali. L’errore di Giulio II viene del resto rimarcato dal repentino cambiamento che la sua precedente politica subisce1028. La stessa dedica della Vittoria navale indirizzata al doge Niccolò da Ponte ed al Consiglio dei Dieci indica la necessità di esaminare attentamente la consistenza ed il rapporto tra le pulsioni veneziana e pontificia proposte dal Bardi1029. Il giudizio espresso dall’ex camaldolese ne Le età sulla politica decisamente non filocuriale nè filospagnola perseguita dal da Ponte, durante il cui dogato (1578-1585) il partito dei giovani inizia a prevalere in seno al patriziato veneziano sull’indirizzo più blando e accondiscendente verso Spagna e Papato dei “vecchi”1030, infatti, rappresenta un nodo importante, come vedremo, per ponderare appieno le linee salienti della storiografia bardiana. Fin’ora comunque la componente antimperiale dell’autore pienamente assodata, riceve ulteriore conferma nel modo in cui le fonti tedesche vengono private di credibilità perché attribuiscono erroneamente la morte di Enrico VII all’avvelenamento dei fiorentini1031. Non meno rilevante appare in questa direzione il ritratto negativo di Lodovico il Bavaro colpevole di esercitare la dignità imperiale, ottenuta con la designazione degli elettori, contro l’autorità del pontefice. Ludovico perseguita la Chiesa e viene più volte scomunicato dai pontefici anche perché colpevole della generale confusione, divisione e distruzione che colpisce la Germania1032. Questi motivi antimperiali e contemporaneamente filoveneziani e filopapali pertanto, confermano una certa vicinanza con la prospettiva della storiografia bartoliana ancora più evidente se scorriamo le fonti della quarta ed ultima parte dell’opera, prevalentemente riconducibili all’ambito dell’umanesimo italiano e in gran parte coincidenti con quelle consultate anche dal preposto di S. Giovanni: Giovio, il Tarcagnota, Surio, Corio, Machiavelli, Buonfino, Giovanni Villani ed i già menzionati Collenuccio, Palmieri, Paolo Emilio, Enea Silvio. Senza dimenticare, però per il Bardi anche le fonti principali attinte per le storie nazionali: Bellaio ed Tile prevalentemente per la Francia, Lillio ed Lesleo per

1027Le età, cit., passo a p. 847. 1028Ivi, passo cit. a p. 845 inoltre sull’attacco generalizzato a Venezia cfr. pp. 844-846. 1029Vedi supra p. 24 e nota n. 157. Inoltre sulla crescente rilevanza effettiva del Consiglio dei Dieci nel governo della Serenissima secondo un processo di oligarchizzazione che depotenzia e svuota nella pratica le competenze e le prerogative del Senato veneziano cfr. in AA.VV., I dogi, cit., il saggio di G. Benzoni, A proposito del doge, cit., pp. 45-72, in particolare pp. 62-63. 1030Sulla formazione culturale, sugli orientamenti anticuriali e sulle propensioni politiche del Da Ponte e dei “giovani” e sulla sua elezione al dogado rinviamo a A. Stella, Chiesa e Stato nelle relazioni dei nunzi pontifici a Venezia. Ricerche sul giurisdizionalismo veneziano dal XVI al XVIII secolo, Città del Vaticano, 1964, pp. 12-16; cfr. anche in AA. VV., I dogi, cit., il saggio di Ugo Tucci, I meccanismi dell’elezione dogale, pp. 107-124, in particolare p.122. Sul continuo contrasto del Da Ponte con le rivendicazioni romane in fatto di prerogative ecclesiastiche e di indici dei libri proibiti a detrimento della autonomia della Serenissima e della tutela dei suoi interessi cfr. P. F. Glendler, L’inquisizione romana e l’editoria a Venezia 1540-1605 (traduzione italiana di Antonella Barzazi dell’americano The Roman Inquisition and the Venetian Press 1540-1605, Princeton Univeristy Press, 1977), Roma, Il Veltro, 1983, pp. 70 e 74, 233, 244, 249, 287 e 335; cfr. inoltre sull’orientamento dei giovani P. Ulvioni, Cultura politica e cultura religiosa, cit., in particolare pp. 615-616, e soprattutto G. Cozzi, La società veneziana del Rinascimento in un’opera di Paolo Paruta: “Della perfettione della vita politica”in “Atti della deputazione di Storia Patria per le Venezie”, a. 1961, pp. 13-47, ora in id., Ambiente veneziano, ambiente veneto, cit., pp. 155-183, in particolare vedi pp. 175-181 e 183. 1031Le età, cit., p. 591 dove leggiamo: “Henrico ritiratosi dallo assedio di Firenze, morì a Buonconto del Sanese, di suo male, e non come dicono gli Historici Germani, di veleno procuratogli da’ Fiorentini, avendo prima fatto parentado con Federigo di Sicilia.” 1032In proposito ivi, cfr. pp. 592-619 e a titolo esemplificativo la seguente considerazione dell’autore a p. 614: “La Germania era tutta in arme, et parzialità per la empietà di Lodovico.”

223

Page 224: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

l’Inghilterra e la Scozia, Tarassa per la Spagna. Fonti peraltro abbandonate a partire dal 1561 quando l’autore prosegue il suo sommario secondo la diretta osservazione dei fatti storici narrati o attraverso la testimonianza di osservatori in prima persona degli stessi, sulla falsariga del metodo applicato dal Giovio nelle sue Historiae1033. Inequivocabile appare in questa ultima parte dell’opera la condanna dell’eresia protestante fin dal suo capostipite Lutero del quale l’autore si occupa anche per il periodo precedente il 1517 con un breve profilo biografico in cui scrive che il monaco sassone: “passato a Roma, e quivi nel mille cinquecento e otto, avuta una sentenza contra, sene ritornò sdegnato in Germania, dove nella medesima città di Vertimberga…cominciò negli anni avvenire nelle dispute, a traviare dalla Santa Fede, disputando, et tenendo opinioni in ogni parte detestabili.”1034 Condanna, peraltro, rivolta anche alla “nefanda dottrina” di Zwingli1035, alla setta anabattista1036, a Calvino1037 fino al palese apprezzamento per la morte di peste occorsa in Inghilterra nel 1551 ad un altro alfiere della riforma protestante: Martin Bucero, di seguito alla notizia dell’azione di proselitismo svolta in Prussia da Andrea Hosiander: “nuovo Heresiarca uscito dalla diabolica setta di Luthero in campo con nuovi dogmi scandalosi, et ripieni dì incredibile impietà, attribuendo all’huomo prerogative degne della sua scelleratezza…”1038. Né sfugge all’autore la profonda connessione del problema della dissidenza religiosa con la dissidenza politica innanzitutto a proposito della situazione interna all’impero germanico. Collegamento, peraltro già presente nel Giovio e nello stesso Bartoli e che diviene per l’ex camaldolese un ulteriore puntello al principio della subordinazione dell’Impero al papato affermata anche per l’epoca contemporanea (non solo medievale) in antitesi alle asserzioni di Lutero che sostiene invece “la Germania et lo Imperio non esser sottoposti alla maestà Papale, ma doverseli con ogni potere resistere, allegando il Pontefice, et il Clero esser soggetti dello Imperio denegando in tutto e per tutto alla ragione Pontificia…”1039 In questa direzione, d’altra parte assume un ben preciso significato il giudizio finale espresso su Carlo V certamente influenzato dall’istanza gioviana, ma addirittura più severo perché imperniato oltre che sul sacco del 1527, su un evento escluso dalla narrazione storica del comasco: la grande affermazione imperiale del 1547’ a Muehlberg. L’immagine dell’imperatore infatti, viene grandemente offuscata, dalle atrocità del sacco di Roma del 1527 commesse dai suoi ministri1040 e soprattutto dall’imperdonabile e inspiegabile politica di conciliazione con i principi protestanti, perché successiva alla vittoria di Muehlberg, espressa dall’interim di Augusta1041. I travagli degli ultimi anni del suo impero, pertanto, sono percepiti dall’autore

1033Ivi, oltre all’elenco delle fonti che si trova alla fine della narrazione inerente al singolo anno vi è una parziale ricapitolazione delle fonti italiane e straniere utilizzate che lo integra a p. 1562 con la citazione dl Tarcagnota e la precisazione sui due Guicciardini e precede alla pagina seguente, (p.1563), l’annuncio bardiano del diverso modo di reperire i fatti storici narrati a partire dal 1561. 1034Ivi, passo a p. 943, cfr. inoltre, a titolo esclusivamente esemplificativo, vista la frequenza di notazioni offerte in proposito dall’autore, anche le pp. 973-974. 1035Ivi, passo a p. 1081. 1036Ivi, p. 1137. 1037Ivi, p. 1417 o, in termini ancora più evidenti, a p. 1448 sulla diffusione del calvinismo in Francia.. 1038Ivi, passo a p. 1335. 1039Ivi, p. 959. 1040Sacco ampiamente descritto alle pp. 1066-1067. 1041Ivi, rinviamo complessivamente alle pp. 1521-1523, in particolare a p. 1522 dove leggiamo che Carlo V “havendo permesso, che con inusitata immanità fosse da suoi avari ministri ingannato, et con tante ingiurie vilmente schernito il Sommo Pontefice Romano Clemente Settimo, supremo vicario di Cristo, né meno avesse assentito per le impenitenti domande de’ Germani, al pestifero Interim, certa cosa è che ei sarebbe stato

224

Page 225: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

come una meritata e sacrosanta punizione divina per questa decisione che ha gravi ripercussioni per la diffusione dell’eresia anche fuori dai confini imperiali e precipuamente in Inghilterra: “la concessione a’ Germani dello scandaloso Interim (se ben fatto da lui con buona intenzione) che fece stupendo meravigliare ciascuno, non si sapendo la cagione, poiché vittorioso de suoi ribelli, avendo in mano la spada della Giustizia, pareva che fosse in potere suo lo sradicare…le scandalose zizzanie dell’heretica gravità, che contaminata quella Cattolica provincia, si dilatarono tanto oltre, che infettata la Inghilterra, hanno poco meno che ridotto il rimanente in estrema rovina, et miseria, onde non fu gran maraviglia, se per giusto decreto di Dio, negli ultimi anni del suo Imperio, provò con tanta acerbità di ria fortuna tanti travagli, avendo non solo poco prima sentita la seconda ribellione de’ Germani, eccitati dal duca Mauritio favorito grandemente da lui, ma perturbato dalla sollevatione de’ Sanesi, si vidde torre molte città inpiamente, et nella Fiandra, et quello che più lo accorò, vidde su gli occhi propij la rovina del suo florido esercito a Metz, et fu travagliato da tante noiose infermità, che finalmente ultimata la vita in Spagna, terminò il lungo corso della sua vita ”1042. Il contrasto tra il corso felice di gran parte del regno di Carlo e l’ultima problematica fase del suo impero trova del resto eco e in parte spunto viste le coincidenze letterali, in un’altra fonte fiorentina de Le età connotata in senso antiasburgico: i Commentarii…delle cose più memorabili seguite in Europa specialmente in questi Paesi Bassi…di Lodovico Guicciardini1043. In quest’opera infatti, dedicata al duca Cosimo e pubblicata in prima edizione veneziana nel 1566 dall’inquieto stampatore Domenico Farri1044, la menzione delle vittorie e dei celebri prigionieri dell’imperatore risulta identica a quella de Le età: “Hebbe un perpetuo corso di felicità, intanto che oltre al grandissimo Imperio ch’ei dominava, et alle molte illustri vittorie conseguite, come la gran giornata di Pavia,

“Hebbe insino a penultimi anni, la Fortuna quasi sempre prospera, in tanto che oltre al grandissimo Imperio, oltre a molte precarissime vittorie da lei concedutegli come

reputato il maggiore di qualunque altro degli Imperatori Tedeschi: ma lo havere lasciato, spinto dalla propria passione, et da una certa vana, ambizione, che era in lui, che la città santa di Roma…fosse dalle fetide mani degli empii suoi soldati con tanta inaspettata barbarie violata, in gran parte venne a denigrare quello splendore di caritevole pietà, che nel principio del suo Principato, con tanta sua gloria, et applauso acquistato si aveva, et ciò tanto più lo rese nella memoria de’ posteri degno di eterno basimo…”. 1042Ivi, passo a p. 1523. 1043Per le relative notizie biografiche su Lodovico Guicciardini rinviamo alla voce di D. Aristodemo, Guicciardini Lodovico in DBI, vol. LXI, Roma, 2003, pp. 121-127 e a Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano di Luigi Guicciardini. Contributo per la iconografia fiorentina all’avvento di Cosimo I, Firenze, L’Arte della stampa, 1942, in particolare pp. 25-27; cfr. inoltre Zambrini Francesco, Cenni biografici intorno ai letterati illustri italiani: o breve memoria di quelli che co’ loro scritti illustrarono l’Italico idioma, Faenza: Montanari e Marabini, 1837, p. 315 e soprattutto a Inghirami Francesco, Storia della Toscana, tomo XIII, 1844, p. 164 e a Melchiorre Roberti, Il Belgio descritto da un fiorentino del Cinquecento, Firenze, Regia deputazione di storia patria, 1915, pp. 3-14; Casati Giovanni, Dizionario degli scrittori d’Italia dalle origini fino ai viventi, Milano, Ghirlanda, III voll., 1925-1934, III vol., p. 55 e Imperatori Ugo E., Dizionario degli italiani all’estero: dal sec. XIII sino ad oggi, Genova: Emigrante, 1956, p. 361. 1044Commentarii di Lodovico Guicciardini Delle cose più memorabili seguite in Europa specialmente in questi paesi Bassi, dalla pace di Cambrai, del MDXXIX, infino a tutto l’anno MDLX, libri tre. Al Gran Duca di Fiorenza et di Siena. In Vinegia appresso Domenico Farri, 1566 (sull’editore rinviamo alla voce Farri, Giovanni, Domenico, Onofrio e Giovanni Antonio di Marcello Brusegan in Dizionario dei Tipografi, cit., pp. 424-428 in particolare sulla sua attività da quando assume nel 1550 e fino al 1603, rispetto ai fratelli Giovanni e Giovanni Pietro, la titolarità della bottega creata dal padre Cristoforo quindi nel pieno della crisi dell’editoria che coinvolge Venezia nella seconda metà del XVI secolo, sulla scarsa partecipazione alla vita dell’Arte dei ligadori e stampatori veneziani e all’interesse suscitato negli “Esecutori contro la bestemmia” e nel “Sant’Uffizio”, vedi in particolare ivi, pp. 424-427). La lettera dedicatoria ovviamente rivolta a Cosimo viene inviata da Anversa in data 1 gennaio 1965.

225

Page 226: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

la miserabil presa di Roma, la grave e pericolosa ribellione di Germania, hebbe anco prigioni i Re Francesco di Francia, et Arrigo di Navarra, il Sommo pontefice Clemente VII, i Duchi Carlo di Cleves, et Gian Federigo di Sassonia et di Brunswich, Filippo Langravio di Hassia, con molti altri Principi segnalati[…]”1045

la gran giornata di Pavia, la miserabil presa di Roma,…la meravigliosa ribellione di Alemagna, ella gli diede anco prigioni, quasi tutti i suoi avversarij, come Francesco I, Re di Francia, Henrico re di Navarra, Clemente Settimo, Pontefice Romano, Guglielmo, Duca di Cleves, Giovanfederigo, duca di Sassonia, Ernesto Duca di Brunswich, Filippo, Langrave d’Hessia, et altri Principi et signori.”1046

Nondimeno anche le negative vicende politico-militari iniziate con la ribellione di Maurizio di Sassonia fino alla morte fisica del grande sovrano sono riferite in maniera analoga; leggiamo infatti nei Commentarii: “Ma in questi suoi ultimi tempi, pareva della medesima Fortuna molto abbandonato, peroche egli vidde, et gustò molte cose d’amaro sapore, come la ribellione d’Alamagna, la ribellione dello Stato di Siena, la perdita di diverse terre nel Piemonte, la perdita di più terre, et sue, et dell’Imperio in queste bande, la rovina del suo esercito a Metz: et poi tante gravi et continue malattie che presto il condussero a morte.”1047 Anche la collazione concernente le vicende di Cristiano di Danimarca ci conforta sull’indirizzo sostanzialmente antiasburgico fin qui rilevato: “Nel qual tempo Christierno Re di Danimarca, di Norvegia, et di Svetia, che per le sue orrende crudeltà usate verso i suoi popoli, onde era avvenuto, ch’ei per tema di loro se ne era fuggito, del Regno insino l’anno 1523, trovandosi già tanto tempo esule in questi paesi dello Imperatore suo cognato (conciosia ch’egli aveva per moglie Isabella sua sorella) fatta finalmente con molte difficultà un’armata per mare, andò per tentare la recuperatione del suo Imperio: nel quale, cioè in Danimarca, et in Norvegia, i popoli fuggito lui, avevano chiamato, et eletto per re Federigo Duca d’Olsatia suo Zio: et in Svetia, circa due anni appresso ribellatisi, avevano creato per Re Gustavo della famiglia de gli Henrichi. Contra quelli adunque spingendosi Christierno, et arrivato in quei Mari, perseguitato dalla fortuna, o più tosto da’ suoi horribili peccati, avendo fatto l’armata naufragio, et perduti molti de’ suoi soldati, fu facilmente rotto et fatto prigione da

“In questo tempo Christierno Re di Danimarca, di Norvegia, et di Svetia, il quale temendo per le orrende crudeltà, et inumanità usate, l’ira dei suoi popoli, et qualche soprastante movimento, s’era fuggito dal Regno insino l’anno MDLXXIII. Trovandosi già tanto tempo esule in questi paesi dell’imperatore suo cognato ( conciosia che egli aveva per moglie Isabella sua sorella) fatta finalmente con molte difficoltà un’armata per mare, andò per recuperare la ricperatione del suo Imperio: nel quale, ciè in Danimarca, et in Norvegia, i popoli fuggito lui, avevano chiamato, et eletto per re Federigo Duca d’Olsatia suo zio: et in Svetta circa due anni appresso ribellatisi, avevano creato per Re Gustavo della famiglia degli Henrichi. Or arrivato Christierno in quei mari, perseguitato dalla Fortuna, o piuttosto da suoi horribili peccati, avendo fatto l’armata naufragio et perduti molti de suoi soldati, fu facilmente rotto, et fatto prigione

1045Le età, cit., passo cit. a p. 1522. 1046Commentarii, cit., passo a p. 134i3. 1047Ibidem, cfr. con ultimo capoverso del passo a p. 29 del presente capitolo.

226

Page 227: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Federigo, il quale poi insino alla morte lo ritenne meritatamente in carcere…”1048

dalli avversarij onde poi insino alla morte fu meritatamente custodito in carcere.”1049

A proposito del Guicciardini inoltre non va trascurato l’arresto subito nei Paesi Bassi dove vive dal 1550 al 1589 anno della sua morte, ad opera del Duca d’Alba. L’Inghirami ne individua la causa nelle parole di biasimo rivolte all’indirizzo del Duca nelle Memorie…sopra quanto avvenne in Savoia1050. Invece, Roberti, e successivamente Paolo Guicciardini che evidenziano l’iniziale amicizia con il Duca D’Alba e la buona accoglienza ricevuta alla corte spagnola di Anversa, addebitano l’arresto sulla falsariga della testimonianza del De Thou alla proposta fatta al governatore spagnolo di abolire le tasse della quaresima in quanto non conformi alle “nuove tendenze religiose di quei tempi”. Proposta verbale in difesa di artigiani e commercianti addirittura accompagnata da una formulazione scritta all’interno del crescente e diffuso malcontento provocato dalle decisioni del duca d’Alba che arresta il Guicciardini nel 15671051. Rispetto all’indubbia convergenza in direzione antiasburgica non possono tralasciarsi alcuni motivi di differenziazione tra i due storici. Nello stesso giudizio concernente Carlo V, sopra riportato, infatti, dove il Guicciardini parla come vediamo di “Fortuna” il Bardi interpreta i travagli imperiali come conseguenza della punizione divina che sanziona le nefaste scelte imperiali del Sacco di Roma e dell’Interim di Augusta del 1548. Viceversa, nel Guicciardini la notizia dell’ Interim viene riportata in modo del tutto neutro1052 e manca la volontà punitiva bardiana verso i protestanti. Non va trascurato in questo senso a livello biografico un altro arresto di cui Lodovico è vittima nel maggio 1569 a Bruxelles su denuncia del Sant’Uffizio per relazioni con i protestanti1053. Nei Commentarii inoltre l’autore tributa un chiaro elogio all’irenico Erasmo1054, e soprattutto interpreta la disgrazia di Carlo V come la conseguenza dell’indomita lotta per la libertà che vede protagoniste le città franche dell’Impero germanico quelle cioè “che riconoscendo in certi pagamenti determinati, l’autorità dell’Imperio, si governano in tutte l’altre cose per se medesime: non intente ad ampliare il loro territorio, ma a conservare la propria libertà”1055. Emblema della resistenza al centralismo asburgico è Magdeburgo perché durante l’assedio che subisce per ordine dell’imperatore ad opera di Maurizio di Sassonia, quest’ultimo si risolve all’alleanza con la Francia e concede alla città un accordo che ne salvaguardi l’autonomia politico-religiosa, come apprendiamo dal Guicciardini: “Essendo restata ostinatamente la città di Maidemburgo, una delle terre franche di Germania…senza voler accordar con Cesare…et l’imperadore vi mandò un esercito, sotto il

1048Le età, cit., passo alle pp. 1133-1134; cfr. come anche in precedenza l’ex camaldolese riferendo dell’organizzazione del regno effettuata da Federico, una volta sventata la minaccia costituita dal tentativo militare di Cristiano del 1523 dichiari: “fra tanto dato nuova forma al governo della Dania, e perciò fatte molte provisioni, si stabilì nel Regno, preparando contro il Barbaro Tiranno molte genti, in caso che ritornasse ad assalirlo.” A p. 1001. 1049Ivi, a p. 11a6. Inoltre sulla positività dell’opinione dell’autore su Federico in antitesi a Cristiano cfr. anche le parole spese sulla morte del re danese a p. 15a8: “Nel principio dell’anno MDXXXV morì Federico Re di Danimarca, principe benigno et giusto, a cui successe il figliolo Cristiano degno veramente del padre.” 1050F. Inghirami, Storia della Toscana, cit., dove viene avanzata l’ipotesi secondo la quale il Guicciardini fu allontanato da Firenze a causa di alcuni nemici interni alla corte medicea. 1051Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano, cit., pp. 126-127 e Melchiorre Roberti, Il Belgio, cit., pp. 5-6, e in particolare passo virgolettato a p. 6. 1052Ivi, p. 61d7. 1053Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano, cit., p. 27. 1054Ivi, passo a p. 21b3 sulla sua morte: “Del mese di Luglio morì a Basilea Desiderio Erasmo Rotteradamo Holandese, d’età intorno a settanta anni, huomo di tanta letteratura, et di esquisita dottrina in tutte le scienze, che all’età sua (come si vede per infinite sue opere e movimenti) non hebbe forse pari, degno veramente d’esser agguagliato a gli Heroi, et d’esser celebrato da ciascuno.” 1055Ivi, passo cit. a p. 54d3.

227

Page 228: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

governo del Duca Mauritio di Sassonia, per ridurla con l’arme all’ubbidienza imperiale. Il quale Mauritio statovi col campo molti mesi attorno, fece diverse attioni militari…ma rispondendogli quelli di dentro…non si veniva alla conclusione. In questo tanto essendo sollecitato Mauritio dai figluioli del Langrave, di mantener la promessa di far restituire il padre loro…in libertà…egli ne pregava…Cesare…Imperò non se ne risolvendo ancora sua maestà i Francesi compresi questi humori operarono che…essi Mauritio dall’amicitia di Cesare segretamente alienarono: et seco et con altri Alemanni fecero…più stretta congiuntione…Mauritio finse ultimamente nel mese di Novembre di far un accordo con quella città, assai onorato et utile in apparenza per l’Imperatore, ma in effetto benché copertamente, fu tale che la Religione Luterana, di che era la questione, et la libertà della terra non furono alterate. La onde i Maidemburghesi quando si scoperse poi il secreto di questo accordo per tutta l’Alemagna, n’acquistarono honore et grado, n’acquistarono honore et grado, parendo a ciascuno, che essendo eglino stati i soli in quella Provincia, a contendere con un tanto Imperatore armato, et vittorioso, avessero dato grandissimo esempio di fortezza et di costanza, a tenersi più d’un anno, come fecero et alla fine ottenere condizioni donde fusse poi proceduto, che tutta la Germania nella pristina libertà si fusse agevolmente vendicata. Et nel vero, chi considera bene all’impresa di questa terra, dette la volta la buona fortuna di Cesare.”1056 Muehlberg dove peraltro, come sottolinea il Guicciardini l’imperatore ha prevalso grazie al suo valore sulle numerose forze della Lega Smalcaldica, ha costituito soltanto una parentesi, prima del completo fallimento dei suoi propositi accentratori.1057 Nel Bardi, invece la notizia dell’assedio a Magdeburgo è riferita senza enfasi, e appare del tutto secondaria e ininfluente nel determinare l’orientamento antimperiale di Maurizio. L’ex camaldolese individua le ragioni del mutamento di alleanze di Maurizio, da una parte nell’avversione per le risoluzioni adottate al concilio di Trento, dall’altra all’avvilimento provocato dal mancato adempimento all’impegno assunto da Carlo V di liberare il Langravio d’Assia1058. In definitiva, il nesso tra dissenso politico e religioso ben presente ad entrambi, viene giudicato con accento diverso a proposito della Germania, in una luce sostanzialmente positiva dal Guicciardini e negativa dal Bardi, nel quale i motivi antiasburgico e antiprotestante coincidono. Evidente invece risulta la propensione filo-tedesca del Guicciardini, pienamente espressa nella sua opera maggiore di carattere storico-geografico: la Descrittione…di tutti i paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore…1059. Già la dedica indirizzata a Filippo II in data 20 ottobre 1566 sembra in qualche modo alludere alla difficile fase attraversata dai Paesi Bassi in relazione alla decisa centralizzazione perseguita dal sovrano spagnolo in contrasto con la storia, le istituzioni e le esigenze di quei popoli. L’assenza fisica diventa tra le righe anche motivo di distanza spirituale e chiusura mentale alle priorità dei Paesi Bassi e al valore di quelle terre:

1056Ivi, pp. 68e2-69e3, anno 1551. 1057Ivi, pp. 53d3-55d4. 1058Le età, cit., alle pp. 1329-1330 infatti leggiamo: “Fra il qual tempo Cesare publicò molti editti contra gli Heretici nella nuova Dieta fatta in Augusta…alla qual Dieta Mauritio Duca di Sassonia non vuolse intervenire, ma mandati i suoi procuratori protestò a Cesare di non volere accettare il Concilio che tuttavia, si seguitava a Trento, se i teologi della confessione Augustana non avevano la istessa autorità di diffinire le cose della religione, come il Concilio. Del che grandemente commossosi Cesare si preparò per diffendersi dalle arme di quel Duca, che di già si era mosso con le sue genti contro la città di Madesburgo[…]richiesto Cesare…a rilasciare il Langravio, costantemente lo denegò, allegando no essere obligato…poiche conforme alle obligationi, non erano stati interamente osservati gli ordini, et i capitoli, che concernevano le cose della religione: di che sdegnatisi quei Principi fecero nuova unione fra loro…”. 1059Descrittione di M. Lodovico Guicciardini patrizio fiorentino, di tutti i Paesi Bassi, altrimenti detti Germania inferiore. Con più carte di Geographia del paese, e col ritratto naturale di più terre principali, al gran Re cattolico Filippo d’Austria, in Anversa, MDLXVII, appresso Guglielmo Silvio.

228

Page 229: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“Io haro finito forse a tempo…questa mia descrittione, per poter mandare nelle presenti occasioni…un ritratto al naturale di questi suoi bellissimi, et nobilissimi paesi Bassi, acciochè ella riveduto, et riconosciuto a parte a parte per iscritto, et in pittura, un membro tanto importante di tutto il suo Imperio, s’accenda di desiderio, di tornar quanto prima a rivederlo, et esaminarlo effettualmente in propria forma, et natura; si come per molte cause, et ragioni, richiede, et ricerca tutta la Provincia.”1060 Infatti, fin dalle prime pagine la Descrittione è funzionale, da un lato ad esaltare i Paesi Bassi come la parte più civile e progredita a livello economico, urbano, artistico, politico della Gallia Belgica, dall’altro a rimarcare l’origine germanica del suo popolo. L’autore ricorre in questo senso soprattutto a Cesare che nega la provenienza gallica dei Fiamminghi, e a Tacito che certifica anche a livello linguistico la matrice tedesca delle genti fiamminghe. Derivazione, del resto, sostenuta per costumi e leggi anche con l’ausilio del cosmografo coevo Gemma Frisio. Il Guicciardini inoltre, sulla falsariga tacitiana ripropone quel nesso tra vigoria fisica e militare e spirito di libertà ed autonomia propri delle stirpi germaniche in rapporto ai Fiamminghi. In questa direzione celebrativa la geografia svolge pienamente il suo compito attraverso una panoramica estremamente positiva dei caratteri, delle risorse naturali e delle attività economiche svolte nelle Fiandre.1061 La centralità ed il primato dell’elemento germanico evidenziate indirettamente attraverso questo celebrativo prospetto geografico-storico dei Paesi Bassi, richiama fortemente il Giambullari piuttosto che le età bardiane. Né va tralasciato in questo senso, il collegamento di tipo artistico che l’autore della Descrittione stabilisce direttamente con la penisola a proposito della diretta filiazione della grande arte fiamminga del Cinquecento dalla tradizione e dal genio italico1062. Apparentamento probabilmente non avulso da istanze almeno latamente o nascostamente politiche. Certo, rispetto alla Storia d’Europa la prospettiva guicciardiniana si caratterizza in chiave anticentralistica e cittadina, attenta ad esaltare il pluralismo della forma costituzionale dei Paesi Bassi e le sue prerogative di autonomia dalla monarchia asburgica. In questo senso non va trascurato l’accostamento del sistema istituzionale e politico dei Paesi Bassi all’organizzazione propria dello stato francese, sia riguardo alle strutture governative, sia in materia di attribuzione di benefici ecclesiastici soltanto formalmente conferiti dal pontefice. Il Guicciardini giudica l’assetto politico francese quale “governo veramente ottimo, et approvato da tutti gli uomini” rimarcandone la continuità “essendo passati più di mille anni, che dura in quel reame, senza variazione alcuna”1063. Inoltre, si conferma nell’analisi delle istituzioni politiche l’attenzione attribuita al livello locale e all’elemento cittadino che costituisce l’autentico perno della evoluta civiltà olandese come attesta in modo esemplare il caso della città di Anversa. Fulcro a livello politico ed economico della realtà olandese, Anversa è nonostante la sua soggezione formale all’impero, una repubblica, autonoma nella sostanza che risponde all’ideale polibiano del governo misto. Infatti scrive il Guicciardini: “ha…per suo signore, et Principe il duca di Brabante, come Marchese del Sacro Imperio, ma con tanti e tali privilegi obtenuti ab antico, che ella come da per se (salvo sempre il iure et superiorità del Principe) quasi a modo di città libera, et di Repubblica si regge e si governa. Anzi questo è un modo a mio giudizio poco differente, se fusse pero totalmente osservato, da la forma, che da Polibio…alla vera e felice Repubblica, perché vuole che ella sia mescolata de tre stati Monarchia, Aristocratia, et Democrazia, dove il Principe ritenga il suo imperio, gli ottimati la loro autorità, et il popolo la potestà et l’armi. Questo è quel temperamento, che mantenne molti secoli la Repubblica de Lacedemoni, questo è quel

1060Al Gran Re cattolico[…]D’Anversa alli XX d’Ottobre MDLXVI. 1061Ivi, pp. 3b2-28d2 inoltre, a proposito del carattere germanico dei Fiamminghi e degli autori attraverso cui il Guicciardini lo certifica cfr. le considerazioni di G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 65-76. 1062Melchiorre Roberti, Il Belgio, cit., vedi in particolare pp. 8-10. 1063Ivi, p. 32d4.

229

Page 230: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

temperamento, che ha lungamente mantenuto, et manterrà felice (a Dio piacendo) la città d’Anversa…”1064. Del resto, non vanno dimenticati proprio a giustificazione della prevalenza del motivo cittadino nella Descrittione due elementi, uno più strettamente inerente l’opera stessa, l’altro di tipo biografico. La pubblicazione e le numerose ristampe dell’opera beneficiano delle sovvenzioni del figlio di Filippo II Don Carlos e dei contributi di Leida, Utrecht e Anversa che conferisce al Guicciardini addirittura una pensione. Ludovico figlio di Jacopo fratello del più noto Francesco, nato nell’agosto 1521 emigra a ventisei anni da Firenze, sia per ragioni di mercatura, sia probabilmente a causa del passato antimediceo del padre unico tra i fratelli ad avversare i Medici prima e durante l’assedio di Firenze. Da quel momento Ludovico inizia una peregrinazione da Lione a Bruges ed Anversa nel tentativo con i vari Guicciardini dediti in questi centri alla mercatura di intraprendere con successo l’attività per poi dedicarsi dopo un sostanziale fallimento, all’attività letteraria con ben altri risultati1065. Al di là di questi elementi, comunque i motivi di autonomia plurisecolare e primato di Anversa sono ulteriormente ribaditi anche nel breve discorso…delle cause della grandezza di Anversa1066 e perfettamente in linea con la preminenza assegnata alle città franche dell’Impero nei Commentarii.1067 Posizioni che sono in parte convergenti con quelle bardiane almeno nella loro valenza antiimperiale come vedremo più avanti (e quindi in antitesi rispetto alla Storia d’Europa), anche in relazione alle valutazioni che l’ex camaldolese svolge sulla situazione dell’impero d’occidente (al di là del timido tentativo di salvare le apparenze), nelle pagine conclusive dell’opera che seguono gli eventi del 1580 e costituiscono una sorta di sintetica panoramica finale sui diversi stati del continente e sui loro governi. Giudizi finali ricchi di spunti significativi, sia per quanto concerne la limitata autonomia offerta all’idea imperiale dall’autore, sia ancora con specifica attenzione alla situazione tedesca1068. Il Bardi infatti afferma a sostanziale ed esplicito svuotamento del valore e del significato dello schema delle sei età che “pochi sono stati quei popoli, et quelle nationi, che non habbino più di una volta provate gravi e perniciose revolutioni; poiché nella prima età, prevaluti alle altre genti gli Assirij, continovorono per lungo spatio di tempo…ma essendo superati da’ Persi, et questi da Greci, et i Greci da Romani…Né qui finendo la instabile alteratione, i medesimi Romani, che più degli altri, per la forma del governo parevano doversi perpetuare, soprapresi prima dalle guerre civili, et perciò ridottisi in molte difficoltà, passarono poco appresso, sotto il grave dominio de’ Cesari, dipendendo dallo arbitrio, et dal valore di un solo; la qual sorte di Dominio, apportati seco mille strani accidenti…non havendo mai durato molto lo Imperio in una stirpe sola; finalmente divisosi, fu ridotto, e da gli Heruli, et da Goti, e da’ Vandali, e da Longobardi in termini gravi, et pericolosi; conciosia che depredato et dalla barbarie di quelli e dalla ambitione de’ proprii abitatori, lacerato e guasto, si è andato a poco a poco reducendo in istato di gran lunga differente da quello che egli era; di maniera che estintosi lo imperio de’ Greci dalle armi degli Infedeli…et finalmente caduto sotto la tirannide de Turchi; essendo restato in Occidente più tosto l’apparenza, et la immagine dello Imperio, che la esistenza di questo. ”1069

1064Ivi, su Anversa complessivamente pp. 62i4-126q4 e passo riportato a p. 90n4. Inoltre sull’esaltazione della città nell’opera in questione cfr. Melchiorre Roberti, Il Belgio, cit., pp. 11-13. 1065Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano, cit., pp. 25-26. 1066Questo Discorso di M. Ludovico Guicciardini delle cause della grandezza di Anversa viene pubblicato nei Tre discorsi appartenenti alla grandezza delle città. L’uno di M. Ludovico Guicciardini. L’altro di M. Claudio Tolomei. Il terzo di M. Giovanni Botero. Raccolti da Messer Giovanni Martinelli, in Roma, appresso Giovanni Martinelli MDLXXXVIII, alle pp. 5aa3-8aa4. 1067Ivi, a p. 8aa4 l’autore dichiara “che se tu ne cavi Parigi, non troverai di qua da monti terra più ricca, ne più potente di lei. Onde per più vie somministra favore, e vigor grande a tutti questi paesi Bassi.”. 1068Ivi, pp. 2204-2221. 1069Ivi, passo cit. alle pp. 2205-2206.

230

Page 231: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Non soltanto, la forza storico-politica di questo schema sembra scolorirsi nel presente ma addirittura ne viene sottilmente sminuito il valore in termini assoluti nel momento in cui si addebita la nascita dell’impero romano, che costituiva nell’immaginario europeo paradigma esemplare dell’ideale imperiale, all’irrimediabile crisi della Roma repubblicana sconvolta dalle guerre civili. Corollario generale che trova puntuale riscontro nella caratterizzazione dell’impero germanico nel segno dell’impotenza del potere centrale di Rodolfo II rispetto ai principi territoriali, in sostanziale continuità col giudizio formulato sull’ultimo periodo dell’impero di Carlo V, vista la costante equazione tra debolezza del potere politico e trionfo dell’eresia (peraltro con allusione in questo caso anche a Inghilterra e Paesi Bassi). Scrive il Bardi che in Germania si trova “la dignità imperiale, donata a questa natione da Gregorio V di questo nome; della quale essendo oggidì Capo Ridolfo di tal nome secondo…riservandosi le ragioni del comandare, et le vere ricchezze di questa Regione appresso i Principi particolari, et appresso le terre Franche, le quali unitesi in numero di sessanta insieme, diffendono contro ciascuno la libertà loro, in modo, che a’ Cesari poco o nulla rimane, da gli stati ereditarij impoi in questa Provincia; nella quale sono anco mancati gli huomini grandi, et famosi nelle lettere e nelle armi, poiché immersi nelle false dottrine, hanno rivolti tutti i loro pensieri alle proprie sodisfattioni sensuali, avvenendo a questi lo istesso, che alla Inghilterra, e alla Fiandra, che è di mescolare nelle fatiche loro qualche opinione contraria al vero, e contraddicente alle determinazioni di Santa Chiesa; la onde non volendo far mentione de gli huomini famosi, che vi si ritrovano, per tema di non lodare qualch’uno di dottrina, che fosse Heretico di opinione et di operazioni, farò al suo luogo poi mentione tra gli uomini illustri, di alcuni uomini di quei paesi, eccellenti in qualche professione.”1070 Dove chiaramente l’elemento costituito dalle città franche rimarcato per la sua consistenza di realtà economico-politica autonoma all’interno dell’assetto imperiale, diversamente che nel Guicciardini, viene però mal visto in quanto corrosivo e antitetico rispetto all’effettiva preponderanza ed efficacia del potere centrale e formale dell’imperatore.

Dunque un Bardi fortemente critico anche sull’operato degli Asburgo d’Austria a cui Carlo V assegna la potestà imperiale in seguito alla divisione dei suoi domini, che svaluta ulteriormente la realtà imperiale contemporanea. La sua attenzione verso gli sviluppi imperiali più recenti viene segnalata anche dalle vite di Ferdinando primo e Massimiliano II che compone per la nuova edizione della traduzione di Lodovico Dolce delle Vite degli imperatori romani composte da Pedro Mexia. Rispetto a Le età nella rapida biografia dell’imperatore Ferdinando i fatti come l’Interim e la successiva ribellione del duca Maurizio di Sassonia a Carlo V sono riportati in modo però molto più asettico e neutro anche se ferma resta la condanna dell’eresia luterana e della ribellione dei principi territoriali tedeschi all’autorità imperiale1071.

1070 Ivi, passo alle pp. 2210-2211. 1071Vite di tutti gl’Imperatori romani, composte in lingua spagnuola da Pietro Messia, et da M. Lodovico Dolce nuovamente tradotte et ampliate. Alle quali da Girolamo Bardi monaco camaldolese sono state in questa quinta impressione aggiunte le vite di Ferdinando I et di Massimiliano II imperatori, in Venezia, appresso Alessandro Griffio 1578, la parte aggiunta dal Bardi va da p. 531 a 547. La dedica del Bardi si rivolge ad “Alessandro Calini gentiluomo bresciano. Di Venetia addì 28 Aprile 1578”. A proposito dell’Interim del 1548 infatti leggiamo a p. 539: “sopravvenne l’anno MDXLVIII, nel mezo del quale, hauto dopo molti ragionamenti un sinodo in Augusta insieme all’Imperatore, furono pubblicate le quindici costituzioni aspettanti alla Religione, con patto espresso da osservarsi fino alla Resolutione del Concilio di Trento, La qual provisione fu chiamata INTERIM” e della successiva ribellione di Mauritio di Sassonia a p. 541 “per la guerra avvenuta in Germania tra l’Imperadore suo fratello et Mauiritio duca di Sassonia.” Sulla costante stigmatizzazione dell’eresia luterana e della ribellione dei principi tedeschi all’autorità imperiale cfr. p. 536 e ancora 539. Inoltre gli espliciti rinvii ad una successiva istoria universale (diversa dalla Cronologia per il numero dei tomi che sarebbero dovuti essere 16 e non 2, ma di cui ci ragguaglia soltanto il Negri, Storia, cit., dicendo peraltro che è rimasta manoscritta e non indicandone comunque l’ubicazione) a latere delle pagine con annesse indicazioni di fonti come ad esempio alle pp. 536 dove si nominano il Roseo ed il Giovio, a p. 539 ancora Roseo ed il Surio ci confortano, al di là della

231

Page 232: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Del resto, vanno tenute presenti, sia la diversa ampiezza e il differente grado di organicità tra Le età e le due piccole biografie imperiali pubblicate ben tre anni prima, sia la mancanza in queste ultime di una compiuta valutazione dell’operato di Carlo V. Ne Le età, in netto contrasto con il tenore delle parole spese per Carlo V, saltano subito agli occhi gli elogi rivolti a Filippo II per le sue qualità individuali e per la sua potenza, basata su risorse molto più effettive di quelle a disposizione degli Asburgo d’Austria e notevolmente rafforzata dalla recente acquisizione del Portogallo: “è reputato essere Principe fra gli altri potentissimo, et formidabile, le cui forze quando fossero unite insieme, sarebbono di infinito terrore al mondo, ma separate, et tutte fra se diverse di costumi, di abiti, di aria di Cielo, et di Clima, sono anco così mal disposte verso il proprio Principe, dinegando obbedire a’ ministri di lui, onde già molti anni vinendo sempre in guerra, hanno destrutti i proprii paesi, come dalle cose descritte si può vedere. Questo Principe adunque, et per la grandezza degli stati, et per la moltitudine delle forze, potentissimo di tutti i Principi Christiani, vien comunemente reputato il contrappeso delle forze de’ Turchi, et la principal diffesa de’ Fedeli; et avendo nuovamente aggiunto a proprii Regni quello di Portogallo, cresciute con la reputazione le forze, si ha acquistato appresso ciascuno opinione di valore, et di bontà singolare, avendo ridotta tutta la Spagna sotto il dominio di lui; et a Portoghesi fatte quelle essentioni, et agevolezze, che gli sono state possibili. Et se bene l’avaritia insaziabile, la sfrenata libidine, et la crudeltà più che barbara di alcuni de’ suoi, lo hanno reso odioso a ‘ proprij sudditi, di tutte le province, et sospetto a’ Principi christiani, temendo, che non si voglia insignorire delli stati altrui: Tuttavia piacevolissimo di sua natura, et di animo grato, và con molta sollecitudine procurando di sincerare ciò non nascere da lui, ma dalla colpa di coloro, che dovrebbono conforme alla sua buona intenzione, eseguire i voleri, et le deliberazioni di lui, non havendo mai altro in mente, né in pensiero, che assicurare il mondo di contentarsi di, tutto ciò, che debitamente se gli aspetta. Questi avendo appresso di se uomini in ogni attiene singolari, ha nella Spagna molti prelati et per la dottrina et per la bontà esemplari, de’ quali al presente sono gli Arcivescovi di Toledo, et di Siviglia, di Granata di Valencia, et di Hispala, con molti vescovi, come di Salamanca, di Corduba, et il Bracarense, con molti altri prelati minori…de’capitani più celebri il Duca d’Alva, il Marchese di Aiamot, Don Sancio di Aula, senza molti altri capitani illustri d’Italia, che in varii luoghi lo servono, oltre a gli uomini di stato, come il cardinal Spinosa, et altri molti che per brevità non si nominano. ”1072 Questo quadro per quanto celebrativo presenta tuttavia due possibili fattori di contraddizione interna. Da una parte l’odio nutrito dai sudditi dei tanti domini asburgici verso Filippo II a causa delle malversazioni di ministri corrotti ed incapaci, dall’altra il sospetto che il figlio di Carlo V agisca non tanto per la difesa dell’Europa cristiana contro il nemico ottomano quanto per soddisfare la propria ambizione di potenza. Problemi del resto appena suggeriti in chiusura d’opera ma già affiorati in alcuni punti specifici dello scritto bardiano. In proposito ci sembra interessante il riferimento al Duca d’Alba fatto in relazione a due eventi di indubbia importanza quali la guerra ispano-pontificia del 1556-1557 e l’insurrezione dei Paesi Bassi. A proposito dell’ultima parte delle guerre d’Italia certamente non è del tutto semplice e immediato definire il ruolo assegnato al Duca d’Alba a causa delle fonti impiegate dall’autore. Il Bardi, infatti, ricorre a Mambrino Roseo, al Tarcagnota ed a Onofrio Panvinio, ricchi di ripensamenti e sfumature nella valutazione degli eventi concernenti la figura di Paolo

distinzione tra la Cronologia e l’ipotetica Storia universale, viste le fonti ravvisate nella prima, di una sostanziale continuità tra Le età e queste due biografie per la quale vedi infra p. seguente. 1072Ivi, passo alle pp. 2208-2209

232

Page 233: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

IV ed la guerra ispano-pontificia del 1556-15571073. In realtà l’autore, come dimostra il confronto filologico e le sue stesse indicazioni sulle fonti1074 attinge copiosamente alle aggiunte del Roseo al Delle Historie del mondo…del Tarcagnota1075. Queste aggiunte costituiscono un passo indietro almeno parziale rispetto all’indirizzo filocarafiano della precedente Prosecuzione del Compendio delle storie del Regno di Napoli del Collenuccio, nella direzione dell’orientamento più marcatamente filospagnolo del Tarcagnota, peraltro mediato nelle pagine bardiane dall’influenza dell’ultimo rifacimento della biografia di Paolo IV compiuto dal Panvinio nel 15681076. D’altra parte, sulla falsariga del Delle Istorie viene registrato il clima di sospetto suscitato dal pontefice con gli arresti dei funzionari e dei sostenitori asburgici comminati dal Papa, la confisca del feudo dei Colonna, l’influenza a Roma dell’esule fiorentino Pietro Strozzi, il radicato odio antiasburgico di Paolo IV, l’ambasceria in Francia del Carafa, la fortificazione di Roma e l’arruolamento di soldati. Tuttavia l’autore non manca di sottolineare la reciprocità del sospetto alimentato anche dal contegno del Duca d’Alba1077 che nei fatti rende inevitabile un conflitto, che nessuna delle due parti intimamente avrebbe voluto, con la marcia su Paliano1078, come traspare dalle parole bardiane: “Da i quali andamenti si fece giudicio, che ciascuna delle parti, non pensando di muoversi guerra, si provvedessero per sospetto l’un dell’altro, ma gli effetti, che si videro poi di havere il Vice Re, che fu il primo a muoversi, levò cotal dubbio dalla mente de gli uomini…”1079. In questa direzione non va trascurato d’altra parte come l’autore riferisca le parole di Regnard, ambasciatore spagnolo alla corte di Francia, che risponde alle lamentele di Enrico II per la rottura della tregua compiuta dalla Spagna sostenendo “che ciò non era avvenuto per consentimento di esso Re Filippo suo Signore, che ne aveva avuto dispiacere, et aveva scritto al Duca d’Alva, che si togliesse dalla impresa” e di seguito, alle ulteriori obiezioni del sovrano francese sulla ben diversa sostanza della situazione reale l’ambasciatore spagnolo “detestando l’ostinazione del Duca D’Alva, affermava e replicava, che dal suo Re gli era di nuovo stato scritto, che dovesse lasciare l’armi, né molestare in conto alcuno lo Stato ecclesiastico, restituendo quel che aveva tolto.”1080 Senza contare l’insincera proposta di

1073Ivi, rinviamo alle pp. 1562 e 2196. Inoltre sulla loro storiografia e sui capovolgimenti prospettici che assume se del caso rinviamo a A. Aubert, Paolo IV, cit., in particolare pp. 163-194. 1074Il Bardi ricorre Historie del Mondo…1562 del Tarcagnota ma aggiornate fino a includere gli eventi della guerra ispano-pontificia dallo stesso Roseo, ma in una prospettiva anti-carafiana (rispondente peraltro all’ottica del Tarcagnota ed all’indirizzo del nuovo pontificato di Pio IV) come confermato nel Sommario a p. 200 dove il Bardi diversamente da Le età specifica a proposito degli “Historici universali” di utilizzare “Giovanni Tarcagnotta ed il Roseo che scrivono dal principio del mondo fino al 1558”. Sulle linee storiografiche dei due storici rinviamo a A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 189-194. 1075Delle Historie del mondo, Parte terza. Aggiunte da M. Mambrino Roseo da Fabriano alle Historie di M. Giovanni Tarcagnota…in Vinegia, MDXCII, appresso i Giunti (d’ora in poi Delle Historie). 1076Historia B. Platinae De vitis Pontificum Romanorum, A. D. N. Iesu Christo Usque ad Paulum II. Venetum, Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum Onuphriy Panvinij accessione nunc illustrior reddita. Cui Eiusdem Onuhrji Accurata atque fideli opera, reliquorum quoque Pontificum vitae, usque ad Pium V. Pontificem Max. nunc recens adiuncta sunt. Inoltre a proposito dell’evoluzione della posizione storiografica del Roseo vedi A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 189-194. 1077Le età, vedi pp. 1419-1423 e cfr. Delle Historie, cit., pp. 512-515; inoltre in proposito cfr. A. Aubert, Paolo IV, cit., p. 192. 1078Sulla linea storiografica del Roseo durante il pontificato carafiano rinviamo ad A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 189-191, in particolare sulle responsabilità del Duca d’Alba, p. 193. 1079Le età, cit., passo alle pp. 1423-1424, cfr. con Delle historie a p. 519: “Il duca d’Alva avendo le sue genti in punto….se ne venne nel mese di settembre a San Germano, e dopo l’haver preso Pontecorvo, che fu principio della Guerra…”.. 1080Ivi, rinviamo alle pp. 1442-1443, passi cit. a p. 1443; cfr. Delle Historie a p. 525-526: “Dicono, che gli aveva l’ambasciator risposto, che non era stato di consentimento del Re suo, il quale ne aveva avuto dispiacere, et che aveva scritto al Duca d’Alva, che si togliesse da quella impresa. …Regnard…di nuovo detestando

233

Page 234: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

cessazione delle ostilità formulata dal Duca al Papa nel momento in cui si trova ben dentro al territorio dello stato pontificio, e non pone come precondizione doverosa ad ogni trattativa, il proprio ritiro dal territorio pontificio invaso ed occupato al momento. La volontà di pacificazione e di conciliazione manifestate dal Duca, pertanto, costituiscono, esclusivamente una facciata dietro alla quale si nasconde perfino l’intenzione di deporre Paolo IV ed eleggere un nuovo pontefice, punita con la scomunica al Duca quale “scismatico in voler dare un altro Papa alla Chiesa…”1081. Lo stesso soccorso recato ai Colonna eretici nonché parimenti scomunicati ha costituito una palese e sprezzante contravvenzione della “sentenza del Sommo Vicario di Cristo, la quale da ciascun Cristiano, o giusta o ingiusta, deve sempre esser temuta…”1082 Contemporaneamente poi, il Bardi ricorda il divieto di Paolo IV alla partecipazione del cardinal Carafa all’incontro di Grottaferrata con il duca per cercare un’intesa generale e giustifica in termini assai vaghi la sua chiusura “o…che temesse di qualche inganno, o pure per altra cagione…”1083. Del resto, si sottolinea come nel momento in cui Filippo II “mostrando per suoi agenti, segni di umanità, et di umiltà verso il Papa, il che fu la principal cagione che le cose della pace si venissero disponendo a quel fine che si desiderava”1084 Paolo IV, svaniti i timori di un accordo lesivo dell’onore ed del prestigio della Chiesa di Roma, cambi atteggiamento a dimostrazione della sua buona fede. Una chiarezza di fondo da parte pontificia ulteriormente comprovata poi, una volta trovato l’accordo tra Papato e Spagna dall’impegno profuso per favorire l’intesa franco-spagnola1085. L’immagine in linea con il ritratto di Papa zelante della religione e della sfera spirituale avulso dalle questioni temporali e dalla guerra provocata sostanzialmente dai suoi parenti, campione della Controriforma viene del resto certificata nel giudizio bardiano sulla sua morte: “Conciosia che zelantissimo dell’honore di Dio, rinovata con maggior diligenza, et con più conveniente severità la Santa Inquisitione, contra coloro, che si aderivano alla Heretica pravità, haveva severissimamente fatti castigare tutti coloro, che erano stati trovati colpevoli di così nefande opinioni, generando gran terrore in tutti i suoi sudditi, i quali avvezzi a vivere con più licenza, che non si richiedeva allo stato loro…lo tassavano di molte cose, rimproverando come per particolare difetto de suoi più intimi, lo stato della Chiesa aveva patito una guerra tanto pericolosa, che se i nemici non avessero avuto tanto rispetto alla Maestà Pontificale, sarebbono incorsi nello istesso infortunio, che ne’ tempi di Clemente VII

l’ostinatione del Duca d’Alva, affermava e replicava, che dal suo Re, gli era stato nuovamente scritto, che dovesse lasciar quell’armi, né molestasse in conto alcuno lo stato della Chiesa, anzi restituisse il mal tolto.” 1081Ivi, passo a p.1435; cfr. inoltre pp. 1432 e soprattutto sulla volontà del duca d’Alba di sostituire a Paolo IV un altro pontefice p. 1434. In proposito cfr. il passo Delle Historie, cit., a p. 521 dove i timori scatenati dall’avanzata del Duca d’Alba sono evidenti: “La presa di questi luoghi apportò gran spavento in Roma; perché molti, che si avevano pensato, che fosse la guerra del Duca d’Alva più tosto difensiva, che offensiva, et che avesse armato per difendersi…e sospettarono, che avesse avuto ordine…di usurparsi quelle terre, ma il Duca d’Alva volendo mostrare, che non le pigliava per ritenerle per il suo Re, ma per aver particolar gara co’l Papa, che minacciava torgli il Regno, faceva dipinger nelle porte dei luoghi che veniva pigliando, l’arme del sacro Collegio, protestando di tenerle ad instanza di esso, e per il Papa futuro.” 1082Ivi, passo a p. 1432, cfr. Delle Historie, cit., a p. 520 dove il Papa rispondendo all’accusa del Duca d’Alba di aver dato ricetto ai nemici di Cesare replica che lui: “non solo aveva dato ricetto a suoi ribelli, ma a scomunicati, et interdetti, sprezzava la sententia del pastore che giusta o ingiusta deve esser temuta.” 1083Ivi, vedi pp. 1435-1436. 1084Ivi, passo a p. 1479. 1085Ivi, cfr. pp. 1485-1486 cfr. ancora Delle Historie, cit., a p. 563: “Il Re Filippo dopo l’aver ottenuta la bella vittoria di San Quintino, scrisse lettere alla Signoria di Vinetia, dandole nuova di quella felice vittoria, e soggiungendo, che con tutto ciò egli non voleva perseverare nella guerra contra la Chiesa, e che molto desiderava, che fosse composta, e quietata, pregandola che quando fra la Chiesa, et il Duca d’Alva suo generale fosse stata qualche controversia nel venire alla pace, ella avesse voluto entrar nel mezzo per troncarla, perchè egli in lei rimetteva ogni differenza[…]Molti Cardinali in questo tempo, che si erano sempre adoperati, et avevano al Papa persuasa la pace, alla quale non mostrava egli essere renitente, quando vi avesse veduta servata la reputazione della Chiesa…”

234

Page 235: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

si era incorso. Tali erano le querele del popolo Romano verso la persona del morto Pontefice Paolo quarto: Pontefice se gli si leva l’impeto, et la colera, che era naturalmente in lui, di somma bontà, pietà, et Religione Cattolica…”1086 Anche se evidentemente non si tace del temperamento iracondo di Paolo IV né dell’odio e della paura che la sua azione riformatrice ed inquisitoriale suscita. Elementi chiaramente enucleati e sviluppati nel Delle istorie. Fatto che conferma ancora una volta ed esplicitamente il costante richiamo a quelle pagine, fatto salvo il ben diversi accenti bardiani. Infatti, se nel Delle Istorie si parte da questi sentimenti connessi alla lotta all’eresia per concludere col dubbio amletico se Paolo IV sia stato uomo “di buona volontà o maligna” ne Le età l’accento viene posto come vediamo sulla immoralità e poca religione dei sudditi del pontefice1087. Il Bardi, complessivamente fa sua l’immagine di Paolo IV campione del cattolicesimo, avulso da ogni responsabilità diretta nella guerra contro la Spagna di cui vengono incolpati i nipoti sulla falsariga dell’ultimo Panvinio e della linea processuale impostata contro i Carafa da Pio IV1088. Prospettiva che trova riscontro anche nella menzionata vita di Ferdinando che è in realtà precedente di ben tre anni alla pubblicazione della Cronologia. Biografia nella quale il Bardi elogia anche il ruolo svolto da Ferdinando nelle vesti di pacificatore tra Paolo IV e Filippo II nei seguenti termini: “s’intromesse tra Filippo e’l Papa, che per consiglio del cardinal Caraffa suo nepote guerreggiava, con quel Re, che gl’indusse a far pace, con contento universale di tutti i Principi Cristiani.” Paolo IV anche qui alfiere della pace generale dell’Europa come documenta il plauso comminato per l’intesa raggiunta tra Filippo II ed Enrico II ancora con il contributo di Ferdinando: “Ferdinando fece ogni opera che Filippo si pacificasse con Arrigo Re di Francia…La qual pace pubblicata per tutta la Cristianità fu grandemente lodata da Paolo IV…”. Tra le righe tuttavia l’autore lascia affiorare degli nidizi che contraddicono questo generale clima di ritrovato idillio dell’Europa cristiana e insinuano alcune ombre anche sulla asserita felicità di Paolo IV. In primo luogo Ferdinando deve attendere la morte del pontefice napoletano e l’elezione di Pio IV per ottenere la sanzione papale alla nomina già ottenuta dagli elettori imperiali. In secondo luogo si ricordano le spaccature del conclave che ha elevato alla tiara Angelo de’ Medici alla fine di un lungo scontro interno, elemento presente anche nel Roseo1089 e nei Commentarii del Guicciardini. Lodovico in realtà assume una

1086Ivi, pp. 1538-1539. 1087Delle Historie, cit., pp. 609-611, in particolare alle pp. 610-611 leggiamo: “Fu questo Pontefice nell’attioni del suo governo così vario, che lasciò il mondo dubbioso nel giudizio della sua vita, se era stato uomo retto, e di buona volontà, o pure maligno, quantunque il popolo Romano sdegnato lo reputasse senza dubbio cattivo.” 1088Sulla prospettiva panviniana della biografia di Paolo IV del 1568 rinviamo a A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 175-180. 1089La vita di tutti gli imperatori romani, cit., passi e riferimenti alla mancata sanzione di Paolo IV all’elezione di Ferdinando a p. 542 poi sancita da Pio IV, la cui meritoria opera di riapertura e conclusione del Concilio di Trento viene celebrata nella pagina seguente. Sui contrasti interni al conclave ne Le età vedi pp. 1542-1543 in cui leggiamo: “Intanto, cioè dopo la morte del sopraddetto Pontefice Paolo quarto, si erano rinchiusi i Cardinali nel Conclavi, per fare la nuova elettione, per infino nel sesto dì di Settembre passato, dove per le molte emulazioni, che erano fra loro, stettero appresso quattro mesi, senza fare resolutione di cosa tanto importanti, finalmente la notte della natività di nostro signore, elessero concordemente al Pontificato, il Cardinal Giovanni de’ Medici…Principe letterato, et apparente di buona qualità, come presto diede manifesto segno, il quale facendo nel principio del suo Pontificato, fra le altre cose, la restituzione di Paliano, et del restante suo stato a Marco Antonio Colonna, chiamò poi come si dirà, il Concilio.” momento di riapertura del

235

Page 236: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

posizione più univoca rispetto all’ex camaldolese e nell’insieme di segno opposto in quanto incentrata sulle esclusive responsabilità di Paolo IV e dei suoi parenti nel provocare e alimentare il conflitto, sulla buona e generosa disponibilità di Filippo II e del Duca d’Alba verso il pontefice, sui rilievi all’eccessivo rigore inquisitoriale di Papa Carafa, sugli elogi a Pio IV1090.

concilio “Il Pontefice Pio, considerato il perturbatissimo stato della religione, non pretermettendo l’occasione, che ne porgeva la pace universale, intimò…con gran soddisfazione di molti Principi, la continovazione del Concilio Generale, il quale per causa delle guerre, per molti anni si era intermesso…” vedi ne Le età, p. 1555 e su tutti i suddetti elementi cfr. anche il Sommario a p. 193. Sul Roseo vedi nel Delle istorie, cit., sul conclave che elegge Pio IV, p. 613 dove leggiamo: “Durò tutto questo conclave, che alcuni cardinali vi s’infermarono a morte…Fu finalmente assunto al Pontificato la notte dopo quella di Natale di quest’anno Gian Angelo Cardinale de’ Medici, huomo letterato, et d’integra vita, con grande applauso del popolo…”. Inoltre, l’attenzione alla mancata conferma papale a Ferdinando poi concessa da Pio IV e al lungo conclave che lo designa alla tiara si trova in un’altra opera del Tarcagnota Del sito, et lodi della città di Napoli con una breve istoria de re suoi, et delle cose più degne altrove ne medesimi tempi avenute di Giovanni Tarchagnota di Gaeta, Appresso Giovanni Maria Scoto, MDLXVI, in Napoli, in particolare pp. 168-169. 1090Nei Commentarii infatti a p.. 103g4 l’autore indica piuttosto chiaramente le consapevoli responsabilità romane nel conflitto:”Ma già in questo mezzo per varie cagioni, et principalmente perché il pontefice aveva spogliato Marcantonio Colonna di Paliano, et del resto del suo stato con maggiori disegni, si roppe guerra tra esso Pontefice e questo re.”; evidenzia poi l’ostinazione di Paolo IV che non intende accettare le oneste condizioni offertegli da Marcantonio Colonna e dal Duca d’Alba dopo S. Quintino (battaglia che segna secondo l’autore l’inizio del declino francese e in cui mette in risalto il risolutivo contributo militare apportato dai Borgognoni all’affermazione asburgica in proposito vedi ivi pp. 106g6-109g7 e 111g8) “di maniera che non volendo l’ostinato pontefice accettare honeste condizioni, risolverono d’andar sollecitamente all’improviso, a capitolare con l’armi Roma…” Soltanto nel momento in cui il duca di Guisa riceve l’ordine di Francesco II di tornare in patria il pontefice è costretto ad avviare le trattative di pace (ivi p. 114h1) e a p. 115h2 il Guicciardini chiosa sull’accordo di Cave nei seguenti termini: “Di maniera che il Papa provocatore della guerra, et vinto, ottenne per bontà del Re, quelle condizioni che se fusse stato provocato, et vincitore appena harebbe potuto ottenere.” Del resto il giudizio sulla morte di Paolo IV del Guicciardini a p. 144i8 è perfettamente in linea con i passi precedenti e costituisce un ulteriore segnale del diverso atteggiamento verso la politica inquisitoriale carafiana rispetto al Bardi: “terminò la vita sua in Roma, il Sommo Pontefice Paolo IV. Con grandissima letizia del popolo romano, et di tutti i suoi sudditi. Perché oltre a che egli sotto ombra di religione, una strettissima et pericolosissima inquisitione contra l’heresie, aveva introdotta, tutti i suoi popoli nel suo Pontificato et per le guerre et per altri gravami, et pessimi governi de suoi parenti, sommamente avevano patito.” Invece, la narrazione della difficoltosa elezione di Pio IV e il giudizio positivo sulla sua figura che troviamo a p. 145k1: “Dopoi la morte del sopradetto Pontefice Paulo IV. S’erano rinchiusi nel conclave per fare la nuova elettione insino il sesto dì di Settembre. Dove per le loro malvagie emulazioni, et discordie, ben presso a quattro mesi, senza far risolutione di cosa tanto imoportante dimorarono. Pur finalmente la notte della Natività del nostro Signore, elessero concordemente al Pontificato, il Cardinal Giovann’Agnolo de’ Medici da Milano, fratello del marchese di Marignano, d’età intorno a sessantadue anni, il quale si fece chiamare Pio IV. Principe letterato, et apparente di buone qualità, come presto ne diede manifesto segnale, facendo fra le altre cose restituzione di Paliano, et del restante del suo al signor Marcant’Antonio Colonna” coincidono in maniera letterale al passaggio de Le età, cit., alle pp. 1542-1543 al pari dell’apprezzamento guicciardiniano per la riapertura del concilio operata da Pio IV a p. 154k5: “Al principio di Dicembre, il Pontefice Pio, considerato il perturbatissimo stato della religione, non pretermettendo la bella occasione, che ne porgeva la pace universale, intimò generalmente per tutto con gran sadisfattione di molti Principi et popoli, la continuatione del Concilio Generale…” che ritroviamo identica ne Le età, cit., a p. 1555, su questi due passaggi bardiani vedi supra nota n. 223. Inoltre, ancora in direzione anticarafiana nel Guicciardini va ricordata la valutazione positiva di Marcello II che contrasta con le critiche rivolte all’indirizzo di Giulio III a p. 94f7 dei Commentarii dove leggiamo: “Passò di questa vita il Pontefice Giulio III. Principe letterato, et capace d’ogni grado, ma negligente, et molto involto ne suoi piaceri. Così…fu poi eletto al pontificato Marcello[…]Et veramente che la sua morte dolse oltra modo a

236

Page 237: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Ne Le età, tuttavia, pur nella complessiva continuità con la biografia di Ferdinando evidenziata, il Bardi opera nella prima un cambiamento di estrema rilevanza attribuendo il ruolo di pacificatrice del conflitto ispano-pontificio a Venezia. L’autore mette in grande risalto lo sforzo veneziano, peraltro supportato successivamente anche da Cosimo I1091, per la pacificazione tra Spagna e Papato1092. In questa direzione è emblematico di un indiretto dissenso antispagnolo il fatto che la Serenissima nella sua volontà di pacificazione sia comunque più vicina alla Santa Sede vista l’aggressione portata dal Duca d’Alba allo stato pontificio: “avendo i Veneziani…veduta la guerra mossa dal Duca d’Alva al Papa, mandati ambasciatori al Re Filippo, pregandolo a far levare il Duca d’Alva da quella impresa, mostrandogli, che quando non lo facesse, non poteva quel Senato far di meno di non pigliare l’armi in diffensione di Santa Chiesa, fecero ogni loro potere per ridurre l’una parte, et l’altra alla pace.”1093 L’impegno veneziano per la pace è dimostrato inoltre dal rifiuto di aderire militarmente ad una delle parti, nonostante le numerose avances di cui sia il Papato che la Spagna la fanno oggetto. I veneziani sono, infatti, vanamente sollecitati a partecipare al conflitto, sia dal cardinal Carafa in una missione diplomatica nella città lagunare ufficialmente volta a favorire la pace, sia da Filippo II che promette ai veneziani in caso di intervento le terre del duca di Ferrara1094. Soltanto in seguito alla battaglia di S. Quintino si determina in direzione della pacificazione uno stretto collegamento tra Filippo ed i Veneziani, la cui costanza1095 nel ricercare l’accordo generale, congiunta con l’impegno cosimiano, viene premiata come il Bardi asserisce: “maneggiandosi con somma prudenza, et dal Duca di Firenze, et da’ Veneziani la pratica della pace, fu col mezzo loro conclusa, avendo ciascuno di loro, oltre

infinite persone: perché egli era Principe assai letterato, et dava intenzione et grande speranza a gli uomini, di voler riordinare, et ricorreggere la disordinata, e scorretta Corte Romana, capo della Chiesa universale, per poter più facilmente raddrizzare le sue membra.” 1091Il Bardi infatti sottolinea come il Duca di Firenze non attacchi lo stato pontificio scrivendo a p. 1451: Cosimo non interviene contro lo stato pontificio nonostante i timori papali: “ma saputosi poi, che quel Duca non si moveva, né faceva moto alcuno a’ danni di quella città, fu di gran contento alla corte, et al Pontefice massime, che rimase di lui interamente soddisfatto, onde gli venne a pigliare affettione avendo…inteso…che egli non era per partirsi dalla devozione della Chiesa, né era per nuocergli in conto alcuno, non ostante gli obblighi che aveva allo imperatore.” 1092Il primo passo in proposito ne Le età, cit., si trova a p. 1446 a proposito dell’impegno speso in questa direzione dal nuovo doge Lorenzo Priuli in sintonia con il Senato. 1093Ivi, passo riportato alle pp. 1452-1453. 1094Ivi, in proposito rinviamo rispettivamente a p. 1454 dove leggiamo “Intanto il cardinal Caraffa mandato Legato a Venezia dopo questa tregua, per eccitare quel Senato contra il re di Spagna, avendo dato voce di andarvi per accomodare la pace…” e alle pp. 1459-1460: “Intanto Filippo sdegnatosi oltre modo contra il Duca di Ferrara, mandò prima a dolersene con i Veneziani, invitandogli a prendere l’armi contra di lui, collegandosi seco, promettendogli di dargli in preda le terre del Duca, che si acquistassero…ma il Senato Veneziano, lento di sua natura nelle resolutioni di imprendere nuova guerra, essendo massimamente quel Duca grato al Dominio, non accettò la offerta, ma ben si mosse con ogni sollecitudine a tentare di procurare lo accordo fra questi Principi…”. 1095La febbrile attività del Senato e degli ambasciatori veneziani per la pace è ribadita ivi, anche alle pp. 1467-1468. In proposito cfr. anche Del sito et lodi della città di Napoli, cit., sul ruolo dei veneziani nelle trattative di pace p. 166 dove il Tarcagnota parla del loro impegno per la pace ulteriormente stimolato da Filippo II in seguito alla battaglia di S. Quintino: “Onde essendo più volte da molti cardinali, et da gli Oratori Veneziani stato col Papa, ragionato di Pace, si incominciò con queste nove a stringere la prattica; tanto più che il Re Filippo non essendo punto per queste vittorie gonfio, mandava di nuovo umilmente ad offerire per mezzo de Veneziani la pace.” A livello complessivo come detto, le posizioni del Bardi e del Tarcagnota non possono assimilarsi, visto il risalto dato da quest’ultimo alla sincera volontà di pace dimostrata dal Duca d’Alba ad un Paolo IV renitente a p. 165, alla collera e ai sospetti di Paolo IV che indica come cause scatenanti del conflitto perché portano il pontefice all’arresto dei filoasburgici, alla scomunica dei Colonna, alla confisca e alla fortificazione di Paliano pp. 164-165. In proposito cfr. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 193-194.

237

Page 238: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

allo Ambasciatore ordinario, che avevano in Roma, mandatovi un loro Secretario di nuovo…”1096. Un insieme di elementi che, oltre a riaffermare il particolare legame tra Venezia e S. Sede, esprime tuttavia anche un primo segnale della contiguità dell’autore con la linea politica propugnata da Nicolò da Ponte fin dal 1556 all’interno del Senato della Serenissima. Il Da Ponte, infatti, sostiene l’improrogabile necessità del ritiro del duca d’Alba dal territorio pontificio e di una pace che freni l’incontenibile e pericolosissima minaccia portata dall’egemonia spagnola alle libertà d’Italia1097. Del resto, la critica bardiana alla politica spagnola affiora anche nel giudizio inerente la pacificazione generale del 1559 che non elimina le fratture politico-religiose europee aggravate anzi ulteriormente dall’ultima fase dello scontro tra Asburgo e Valois in quanto: “Imperoche, i Principi istessi, et i sudditi loro medesimi, si ritrovavano in grandissima difficoltà, mediante una guerra così lunga, poiché da così evidente danno gli Heretici, che si servivano delle occasioni, dilatavano in infinito le discordie loro, facendo ne’ medesimi campi di ambedue gran progresso…”1098 La pace non dissolve magicamente i disagi socio-economici ed il malcontento provocato dai lunghi anni di guerra, e favorisce la diffusione ed il pullulare dell’eresia. Il quadro europeo viene turbato da molti fattori in questo senso: dall’ascesa al trono di Elisabetta che restaura anglicanesimo in Inghilterra, dalla diffusione del calvinismo scozzese, dalla morte di Enrico II, dall’eresia che Filippo II deve sgominare fin dentro la Spagna. Tutti fattori ampiamente analizzati dall’autore in queste pagine sulla falsariga dei Commentarii del Guicciardini, secondo una chiara coincidenza filologica, che conferma la generale convergenza storiografica1099. Inoltre, un’altra spia del dissenso bardiano può scorgersi anche quando l’ex camaldolese tratta dell’insurrezione delle Province Unite con riguardo alle considerazioni svolte sul ruolo giocato in quel frangente dal Duca d’Alba. Indubbiamente il Bardi non è favorevole alle ragioni dei calvinisti, né al contegno dei nobili guidati dal principe d’Orange che disubbidendo alla reggente di Filippo II Isabella Farnese mostrano la loro avversione al sovrano spagnolo e rendono necessario l’invio del Duca d’Alba1100. Tuttavia, l’autore non condivide la condotta del Duca che ignora completamente gli inviti di Isabella ad agire con cautela perché “gli Spagnoli, in quelle parti…erano molto odiati”1101 e procede con una politica del pugno di ferro che sconcerta i Fiamminghi1102. La negatività del giudizio bardiano, del resto, traspare abbastanza chiaramente nel racconto della statua che il Duca d’Alba si fa edificare ad Anversa per ricordare la sconfitta dei nobili ribelli. Episodio narrato dall’autore nel momento in cui annuncia la decisione di Filippo II di richiamarlo dalle Fiandre per sopraggiunti motivi d’età. Notizia particolarmente gradita ai Fiamminghi perché riferisce il Bardi:

1096Ivi, passo a p. 1482. Il contributo veneziano sarà ricordato nuovamente a p. 1525. 1097In proposito rinviamo a A. Stella, Chiesa e Stato, cit., in particolare p. 13, cfr. inoltre Da Ponte Nicolò, cit., in particolare p. 726. 1098Le età, cit., passo a p. 1532. 1099Ci riferiamo alle pp. 1532-1540 de Le età che corrispondono perfettamente alle pp. 139-144 dei Commentarii, cit., tranne che sul giudizio concernente Paolo IV. 1100A proposito della ribellione rinviamo ne Le età alle pp. 1671-1679 e soprattutto sull’impossibilità di giungere ad un accordo tra Isabella e gli insorti pp. 1691-1698, in particolare p. 1698 dove leggiamo: “che il Principe di Oranges, et gli altri Capi…mettendo ogni cosa sottosopra, non volevano ubbidire a quel che Madama comandava.” 1101Ivi, passo a p. 1699. 1102Ivi, alle pp. 1699-1700 leggiamo: “Queste cose così fatte dal Duca, misero gran spavento negli animi de’ Fiamminghi, i quali non aspettavano, che con tanta rigidezza si procedesse contra di loro…”

238

Page 239: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“non amavano molto il Duca d’Alva, che se ben molti lo conoscevano essere huomo giusto, et geloso dell’honore et utile del suo Re, lo reputavano troppo severo et vendicativo delle ingiurie, et di poca pietà; oltra che lo tassavano d’avaritia insaziabile, et di crudeltà più che barbara; essendo anco augumentato lo sdegno delle genti, per aversi, a perpetua sua memoria, castigata la congiura del Principe d’Oranges, de i Conti di Agamont, et de’ loro seguaci, quali con la morte, et quali con l’esilio, fatto dirizzare la sua statua di bronzo nel castello di Anversa, che aveva l’Oranges, il Conte di Orno, e quel di Agamont, sotto i piedi; il che era in generale a tutti spiaciuto: ma particolarmente a’ parenti et amici loro, et nel secreto lo biasimavano, tassandolo di superbo et di ambizioso; poi che i Principi cristiani più potenti, quanto più erano in grandezza costituiti, sempre più avevano fuggito quella iattanza di farsi essi levare statue, per le vittorie grandi, che ottenessero contra i Cristiani ribelli soggiogati da loro, allegando lo esempio di Carlo Quinto Imperatore, che nel debellare il Duca di Sassonia et il Langravio, non aveva usato simil grandezza, contentandosi solo di avergli castigati.”1103 L’ingiustificabile megalomania del Duca d’Alba ha addirittura superato i potenziali eccessi di un imperatore della grandezza (per quanto criticato dall’autore), di Carlo V! L’avversione antispagnola dell’autore, tuttavia, non si limita al solo Duca ma ricomprende lo stesso Filippo anche se in modo allusivo e coperto, in quanto coautore dell’indirizzo centralizzatore e autoritario la cosiddetta “castiglianizzazione” impresso alla politica spagnola e attuato in modo deciso nei Paesi Bassi dal Duca. Del resto, le stesse notazioni dell’autore sulla ferocia dimostrata dagli spagnoli nel saccheggio di Anversa del 1576 testimoniano di una posizione complessiva o comunque tutt’altro che transeunte o circoscritta al solo Duca d’Alba.1104 In questa direzione è illuminante anche la dichiarazione formulata dai fiamminghi nella finzione letteraria sui motivi della ribellione. Essi “non avevano prese le armi in mano per ribellarsi dal Re, e dalla casa d’Austria, ma per non potere più sopportare la tirannide degli Spagnoli, che con inaudita avarizia avevano espilato in modo il paese, che eternamente se ne risentirebbe…” che suona almeno latamente critica e richiama idealmente le considerazioni sul sacco di Roma1105. Una serie di indizi dunque che denotano una certa distanza del Bardi dalle direttrici della politica spagnola anche se espressa cautamente vista l’ipoteca, irrimediabilmente posta, sulle libertà italiane dall’egemonia spagnola nel momento in cui l’ex camaldolese scrive. D’altra parte, un’ulteriore verifica in questa direzione, la fornisce il modo in cui l’autore tratta dei rapporti che intercorrono tra gli Asburgo di Spagna e di Austria e la Serenissima a proposito della minaccia costituita dall’impero ottomano. Al riguardo costituiscono una sorta di cartina di tornasole, sia la costituzione della lega che sconfigge gli ottomani a Lepanto, sia la successiva pace separata conclusa dai veneziani con il nemico turco1106. In vista della futura Lega e di Lepanto il Bardi ribadisce a chiare lettere a distanza di poche pagine, l’insostituibile ruolo della Serenissima di antemurale della cristianità. L’autore infatti mette in risalto in relazione alla montante minaccia militare turca che preme su Zara il grande soccorso di uomini e soldati che da ogni parte della penisola accorrono nella Serenissima per sostenerla nella lotta antiottomana “non restando (dalla dignità pontificia in poi) in Italia, altro dell’antica gloria, et della grandezza del Senato Romano, che la Rep. di Venezia, veniva universalmente da tutti tenuta la reputazione d’Italia, et il propugnacolo del

1103Ivi, sui motivi d’ufficiali della sostituzione e per il passo sull’edificazione della statua vedi p. 1991. 1104Ivi, leggiamo a p. 2113: “gli Spagnoli…scorsa la città di Anversa, la depredarono tutta, riportandone un grosso bottino , avendo con inaudita crudeltà, senza perdonare né a sesso, né ad età, fatto indicibil stragge dentro delle case…” 1105Ivi, passo a p. 2139. 1106In proposito vedi infra pp. 42-44 e cfr. F. Chabod, Venezia nella politica italiana del Cinquecento, in La civiltà veneziana del Rinascimento, G. C. Sansoni, Firenze, 1938, pp. 27-55 ora id., Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, 1967, pp. 663-683, in particolare pp. 677-678.

239

Page 240: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Cristianesimo…”1107. Il passo citato, assume in realtà una valenza ulteriore di celebrazione e legittimazione del primato italiano di Venezia quale erede della grandezza romana identificata però con il suo Senato invece che con il potere imperiale, assumendo in questo modo anche una valenza antimperiale e antiasburgica. In questa direzione del resto, vanno anche le considerazioni svolte nella conclusione de Le età sul trapasso dalla Repubblica all’impero nella storia romana e sulla debolezza dell’eredità asburgica1108 oltre alle non poche pagine dedicate alla storia repubblicana romana all’interno dell’opera1109. Alla luce di questi elementi favorevoli alle prerogative politiche della componente aristocratica non appare casuale allora lo stesso interesse dimostrato dal Bardi per Tacito. I suoi Annali, infatti, oltre a costituire una delle fonti de Le età1110 sono oggetto, nella traduzione di Giorgio Dati1111, di una nuova edizione del 1598 curata proprio dal camaldolese anche se stampata postuma1112. La stessa traduzione del Dati esule era nata del resto dal desiderio di ritornare a Firenze ed esprimeva l’accettazione del regime cosimiano capace di conciliare il potere centrale e la libertà dei cittadini diversamente dal precedente regime di Alessandro de’ Medici1113. Elementi che sono in linea con la luce sostanzialmente positiva in cui il Bardi valuta ne Le età il Regime cosimiano. A parte l’evidenza data dall’autore all’impegno profuso anche da Cosimo per sanare il conflitto scoppiato tra Spagna e Papato nel 1556-57 sono indicative anche le considerazioni svolte sulla condotta del duca fiorentino nella guerra di Siena. L’autore che

1107Ivi, passo a p. 1876. 1108Vedi supra pp. 27-28. 1109Ivi, complessivamente pp. 124-328, in cui sono emblematiche le notazioni a p. 297 su Silla che “si dichiarò dittatore, et riformò a sua voglia la Repubblica, levando la potestà a tribuni della Plebe, et crescendo il numero de’ Pontefici, di maniera che Roma pareva più tosto Imperio d’un solo, che unione di molti,…” e Giulio Cesare rispettivamente a p. 317 “Usurpatosi violentemente Cesare la suprema autorità della Repubblica, et ridotti tutti i negotii in se stesso…procurò d’esser creato Re della Repubblica il qual nome odiosissimo appresso a Romani, cagionò che molti…cospirarono di levargli insidiosamente la vita…” molto diverso il contegno tenuto a parole verso Ottaviano Augusto con il quale a p. 328 si addiviene in modo definitivo all’impero, in virtù proprio del formale rispetto da questi sempre manifestato al Senato, infatti in proposito ivi l’autore rimarca come, in seguito all’uccisione di Cesare, Antonio “indusse il popolo alla divisione, parte del quale favorendo il Senato et Ottavio, che s’era unito con Cicerone nimicissiom d’Antonio, et parte seguitandoli, la Repubblica si ridusse in malissimo termini di confusione…” e molto diverso è il tono a proposito dell’assunzione all’impero di Ottaviano rispetto alle notazioni di Cesare a p. 328: “Fu il primo imperatore legittimo della Repubblica Romana[…] et ordinata la Repubblica senza alterare molto l’ordine antico, tenne lo imperio per 43 anni…”. 1110Ma vedi per la maggiore precisione il Sommario dove a p. 199 leggiamo: “Cornelio Tacito, ne suoi Annali, che sono da Augusto fino a Nerva in 16 libri.” 1111Sul quale rinviamo alla voce Dati Giorgio di C. Giamblanco, in DBI, vol. XXXIII, Roma, 1987, pp. 29-31. 1112La dedicatoria del Bardi rivolta all’abate di S. Tommaso di Torcello, il Trevisani, in Gli annali di Cornelio Tacito cavalier romano de’ fatti, e guerre de’ Romani così civili, come esterne: seguite dalla morte di Cesare Augusto, per fino all’imperio di Vespasiano;…da Giorgio Dati fiorentino nuovamente tradotti di latino in lingua toscana, in Venetia, appresso Giovanni Alberti (sul quale rinviamo alla voce Alberti Giovanni di Alessandro Scarsella in Dizionario dei tipografi, cit., pp. 11-13), 1598(contiene anche le Historiae), (traduzione del Dati pubblicata postuma per la prima volta nel 1563 e sulla quale vedi P. Simoncelli, Il cavaliere dimezzato. Paolo del Rosso “fiorentino e letterato”, Milano, Franco Angeli, 1992, pp. 161-162 in particolare nota n. 17) reca tuttavia la data del 16 febbraio 1583 e alludendo probabilmente alla vita di Ferdinando I, dice “Dovendosi di nuovo pubblicare al modo le vite degli imperatori Romani, (egli) vi aveva aggiunte molte cose”. In proposito cfr. La biblioteca degli autori Greci e latini volgarizzati, vol. XXXV, raccolta Calogerana, p. 426 e Francesco Inghirami, Storia della Toscana, cit., Tomo XII, p. 154. Certo nella traduzione del Dati il rapido ritratto tacitiano del principato augusteo si pone in termini sostanzialmente diversi da quanto riscontrato ne Le età, Augusto infatti viene descritto non come conservatore (secondo l’immagine avvalorata dal Bardi ne Le età) quanto piuttosto quale instauratore di un nuovo ordine che mette nell’angolo e svuota delle proprie prerogative il Senato anche se in modo graduale a p. 2a1: “cominciò appoco dappoco ad innalzarsi, tirando a sé le faccende del Senato, quelle de’ Magistrati, e insieme l’autorità delle leggi: non vi essendo più nessuno che gli si opponesse: conciosia che tutti i più potenti, et animosi cittadini parte in guerra, parte nella proscrizione spenti si ritrovassero. Il rimanente de’ nobili gli aveva d’onori, e di facoltà accresciuti, secondochè eglino al servire più pronti si dimostravano. Lande ritrovandosi eglino per la novità delle cose di buon grado, et riputazione, amavano meglio godersi la sicurezza dello stato presente, che cercare, con lor pericolo di riassumere il reggimento antico.” 1113Dati Giorgio, cit., vedi p. 30 e soprattutto P. Simoncelli, Il cavaliere dimezzato.

240

Page 241: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

sottolinea la tirannide perpetrata in precedenza sulla città dal Mendoza sordo agli avvertimenti sinceri e lungimiranti di Cosimo sulle manovre francesi per indurre Siena a ribellarsi e sul malcontento della cittadinanza1114 rimarca, infatti, la clemenza usata dal duca fiorentino ai senesi1115 e giustifica pienamente la concessione della città a Cosimo decisa da Filippo II “poiché con le proprie forze, se bene con il suo aiuto lo aveva con lunga guerra acquistato…”1116 Soprattutto riprova della buona disposizione verso il Duca Cosimo appare l’attenzione posta dal Bardi sull’attribuzione nel 1569 del titolo granducale da parte di Pio V. Una rilevanza inequivocabilmente condita di umori antiasburgici in linea del resto con gli altri spunti de Le età già evidenziati. L’autore, infatti, riportata la notizia della risoluzione pontificia1117 riprende poi la questione a proposito della corona di cui il papa cinge Pio V a Roma in seguito all’accettazione dell’investitura del titolo granducale, dilungandosi sulle pressioni asburgiche volte a impedire questa cerimonia. L’ambasciatore imperiale oppone alla decisione pontificia l’assenza di una potestà papale nella fattispecie specifica ed esercita nel contempo numerose pressioni su Cosimo per farlo desistere dalla partecipazione alla cerimonia in questione, anche se vanamente. Scrive il Bardi che l’ambasciatore imperiale saputo dei preparativi in atto: “ne aveva…dato avviso a Cesare, et poco appresso aveva con molta persuasione tentato di distorrre il Gran Duca da cotale dimostrazione, dicendogli, che irritandosi contra la’nimo di Cesare, et de gli altri Principi dello Imperio, darebbe mala sattisfattione di se stesso a quella Corte…promettendogl allo incontro…che Cesare lo avrebbe investito, conferendogli il titolo di Grande, con amplissimi privilegij. A cui risposto il Gran Duca, che essendo Principe, che non riconoscendo lo stato suo di Firenze da altri che da Dio, et da suoi cittadini, non doveva, né di ragione poteva rifiutare qualsi fosse forte di gratia, che il Pontefice, come Principe Supremo di tutti gli altri, in casa del quale lui si trovava, gli avesse voluto fare. Dalle quali parole comprendendo lo Ambasciatore la intenzione del Gran Duca…né fece umilmente protesto al Pontefice, dicendogli non potersi dalla santità di lui conferire honori, et titoli, o dignità, se non ne propij vassali. Al che risposto con gravità Pontificia il Pontefice Pio, sarere di poter fare legittimamente tal coronatione, et conoscer molto bene quanto se gli convenisse in quel luogo, poiche anco Cesare istesso, non si poteva denominare col titolo di Augusto, se non dopo che fosse stato coronato di mano dello stesso Pontefice della stessa Corona Imperiale…”1118. Cosimo del resto, sostiene convintamente di fronte al pontefice la necessità di addivenire ad una Lega fondata sull’intesa veneto-spagnola che supporti la Serenissima fulcro della

1114Le età, dove in realtà le lamentele del contegno del Mendoza sono rivolte allo stesso imperatore soggetto pertanto ad un’ulteriore implicito rilievo negativo del Bardi in questo modo. A p. 1354 leggiamo infatti: “perciochè più di una volta querelatisi con lo imperatore de’ mali portamenti di Diego Mendozza lo ro Governatore per lo Imperio, né essendo mai stati uditi, si risolverono fomentati come fu fama, da’ ministri di Francia, e da’ nimici di Cosimo di scacciare…gli Spagnoli, donde ne nacque la propria rovina. I sanesi adunque passati secretamente sotto la devozione del Re di Francia…tramarano di scacciare della città i ministri di Cesare, che troppo severamente gli tiranneggiavano, il che pervenuto alle orecchie del duca Cosimo, ne avvertì come interessato dell’amicizia di Cesare, Diego Mendozza, il quale…non solo disprezzò i ricordi di quel principe, ma rifiutò ancora gli aiuti, che gli offerse quel duca…”. 1115Ivi, a p. 1446: “il Duca Cosimo…continovava l’assedio di Monte Alcino, per scacciare totalmente i Francesi di Toscana, il che finalmente gli venne fatto, giovandogli molto la clemenza dimostrata a Senesi della città…onde acquistatasi la gratia loro, indusse i medesimi a rendersegli.” 1116Ivi, passo a p. 1473. 1117Le età, passo a p. 1786. 1118Ivi, passo riportato alle pp. 1911-1912, ma per l’arrivo della bolla papale con il titolo granducale a Firenze il successivo viaggio a Roma di Cosimo e dopo il superamento delle resistenze imperiali l’incoronazione papale cfr. complessivamente ivi le pp. 1909-1913, una serie di elementi e di momenti chiaramente assenti nel Sommario dove la cerimonia è riportata a p. 194 in quattro righe, in cui comunque si ribadisce l’assoluta potestà pontificia nel dare titoli.

241

Page 242: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

resistenza cristiana, in funzione antiturca, a ulteriore suggello della volontà dell’autore di accostare per interessi e linee di azione politica le due grandi realtà politiche italiane.1119 Anche in seguito alla grande vittoria di Lepanto, magnificata dall’autore secondo una mitologia della epicità della battaglia e del valoroso contributo di sangue offerto dai veneziani1120, con la nascita delle prime crepe nell’alleanza asburgico-veneziana alimentate anche dalla tutt’altro che spenta forza ottomana1121, Cosimo ricorda agli Spagnoli di rispettare i patti sottoscritti “essortando…alla osservanza delle cose convenute, giurate et promesse…”. In realtà gli avvertimenti del Gran Duca e la capacità spagnola di valorizzare l’insostituibile contributo veneziano in funzione antiturca, risultano tardivi per la già conclusa pace separata veneto-turca1122. Del resto, il Bardi poche pagine prima aveva sottolineato le gravi inadempienze compiute dagli spagnoli che avevano praticamente obbligato Venezia a risolversi in questa direzione: “Conciosia che vedendo i Veneziani, quanto gli Spagnoli fossero proceduti lentamente negli apparati della guerra, che erano apsettanti alle parti loro, et come più tosto pareva che ambissero la dessolatione della Rep. che altrimenti, tralasciata la tanta sollecitudine di armare, avevano imposto al Barbaro, che trattasse con ogni miglior conditione la pace tra la Rep. et il Turco, allegando se essere esposti a desiderare la pace per molti respetti, ma in particolare per essere necessariamente astretti a far spese maggiori delle forze loro[…]Si aggiungeva poi a tutte queste difficoltà, che le forze del Turco erano cresciute in modo, che non haveriano potuto i Veneziani da se stessi farli resistenza, et aspettare i tardi aiuti de’ confederati non gli metteva conto; perché in quel mezzo, che essi fossero giunti, haveriano potuto et essi , et tutta Italia insieme havere tal danno dal Turco, che non haveriano potuto mai più darvi rimedio.[…]Per queste, et altre onestissime ragioni, si risolse quel Senato di volere far pace con Selimo, prima che per la tardanz adegli aiuti forestieri, andassero tutte le cose in rovina…”1123. Inequivocabili i termini di giustificazione della decisione veneziana da parte del Bardi che conferma la sua propensione antispagnola e mostra pertanto come già prospettato, una sostanziale convergenza con tutte le fasi della politica veneziana sostenute in prima battuta da Niccolò da Ponte e dal Consiglio dei Dieci, dalla stipulazione della Lega Santa alla

1119In proposito ivi a p. 1911 leggiamo come Cosimo “dimostrò al Pontefice…quanto fosse necessario per lo interesse comune del Cristianesimo, et della Italia massime, che si ponesse ogni studio in fare che la Lega avesse fine tra la Chiesa, et il Re di Spagna, et la Rep. di Venezia, poiché ogni picciol danno , che intervenisse a quella Repubblica, era di grandissimo detrimento alla Cristianità, et alla Italia in Particolare…”. Inoltre dopo la formazione della Lega dopo lo scontro di Lepanto l’autore ricorda in modo elogiativo l’invio granducale di alcune galee a sostegno della Lega veneziano-sapgnola alle pp. 1989-1990 1120Ivi, in proposito rinviamo alle pp. 1959-1980. 1121In proposito, ivi, vedi p. 2027 dove Venezia fatica lungamente a convincere gli Spagnoli ad unire le forze navali per attaccare nuovamente i Turchi che si stavano rinforzando e martellavano le isole veneziane sottolinea infatti l’autore: “Nel che ritrovando anco qualche durezza, finalmente dopo molte cavillose consulte, con gran biasimo della militia de nostri tempi, permisero gli spagnoli che col Soranzo si partissero da Messina, venti delle loro galere sottili…”. Del resto anche nella narrazione concernente la formazione della Lega del 1538 con Carlo V il Bardi aveva ricordato i sospetti veneziani sulla buona fede dell’imperatore a cui era seguito l’inizio delle trattative con Solimano quando il Doria torna con il suo esercito in Italia “onde vennero poi a sospettare piùi soldati veneziani, che il Doria veramente per ordine di Cesare nonavesse voluto combattere, per lasciare i veneziani in continova guerra col turco, et vedere il mal loro[…] essendo entrato nel pensiero de Veneziani, che la tardanza del Doria, et il non aver voluto combattere in così bella occasione, non fosse stata fatto per altro, che per cupidigia di annichilare le forze della Rep. per poterla più facilmente deprimere.” alle pp. 1201-1202 sulla pace cfr. ivi p.1218 a cui segue la rotta di Carlo V ad Alfieri a p. 1219-1291 dove i suoi errori costati molte vittime tra gli italiani a p. 1221 sono messi in evidenza dalla seguente considerazione “Andrea Doria che aveva di quest’impresa (come huomo di mare) disconsigliato molto lo Imperatore…”. Sui motivi di divisione con gli spagnoli sia nel 1537-40 sia nel 1570-1573 cfr. F. Chabod, Venezia nella politica italiana del Cinquecento, cit. 1122Ivi, Passo a p. 2047. 1123Ivi, passo alle pp. 2040-2041.

242

Page 243: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

conclusione della Pace separata. Adesione decisamente confermata dal racconto dell’ambasciata dello stesso Da Ponte a Roma per spiegare al pontefice Gregorio XIII le ragioni veneziane. Motivazioni ribadite dalla successiva spiegazione del doge Mozanigo che giustifica, sia la scelta di creare la Lega, sia l’uscita dall’alleanza per i troppi e smisurati sacrifici sostenuti da Venezia rispetto agli altri confederati, i cui ritardi avevano compromesso tutti i vantaggi acquisiti a Lepanto1124. Particolarmente significativo per il tono celebrativo del resoconto della missione romana del Da Ponte rafforzato dall’antitesi tra la vecchiaia fisica del patrizio veneziano e la velocità fisica e la capacità persuasiva con cui compie la propria missione: “Onde fu subito ispedito dal Senato, Nicolò da Ponte, vecchio di ottanta quattro anni, che andasse ambasciatore al Papa per informarlo delle cagioni, che lo avevano sforzato a fare questa pace con il Turco; et scusandosi esso per la vecchiezza era male atto a fare questo viaggio, gli fu dal Senato replicato, che si voleva che a ogni modo egli andasse, perché non potevano trovare, chi meglio di lui potesse, o sapesse servire alla sua Patria, in negozio di tanta importanza, et perché il Pontefice sdegnato, non solo non voleva ascoltare lo ambasciatore ordinario di Venezia, ma pareva anco ch’ei non volesse ch’egli stesse più in Roma; due giorni dopo la ellettione si partì il Ponte da Venezia, con somma prestezza (che saria stato difficile ad un gagliardo giovine, non che a un vecchio di quella età) in sei giorni corse meglio di trecento miglia, e giunto a Roma…con una grave, et copiosa, et chiara oratione ragguagliò talmente il pontefice della necessità, che aveva astretta quella Repubblica a fare quella pace, che non solamente acquietò con le vive ragioni l’animo alterato del Papa, ma lo mosse anco a laudare la fatta pace, come necessaria alla salute e alla conservatione della Repubblica.”1125 Dunque una serie di indizi che ci confortano ulteriormente sulla forte propensione veneziana del Bardi secondo una venatura chiaramente antiasburgica al di là dei continui elogi rivolti a Filippo II anche in chiusura d’opera. Pertanto non sorprende l’evidenza data all’accesso alla carica di doge del Da Ponte nel 1578 che “ritrovate le cose della città in somma pace, attese a conservarle in cotal stato”1126 e soprattutto il tributo celebrativo speso per lui e per tutto il patriziato veneziano nelle pagine conclusive dell’Opera dove la panoramica di personaggi veneziani di rilievo occupa uno spazio aasolutamente prevalente rispetto a quello dedicato agli altri organismi politici europei. Il Bardi ribadisce la celebrazione del mito di Venezia modello inarrivabile di libertà e prudenza politica attraverso il viver civile del suo popolo e la prudenza politica del suo patriziato, insostituibile propugnacolo delle libertà italiche. Asserisce, infatti l’autore che: “passando oramai in Italia diremo, potentissimi di tutti gli altri ritrovarvisi i Veneziani, i quali per lo splendore delle cose fatte da’ loro maggiori, et per la moltitudine de gli uomini di alto affare, che vi sono stati in ogni tempo, vengono comunemente reputati l’ornamento et il propugnacolo d’Italia. Questi regnato per lungo spatio di tempo in forma Rep.…avendo in Italia e fuori uno Stato floridissimo, et copioso di tutti i comodi. Et si come di prudenza Civile eccedono tutti gli altri popoli del mondo; essendo gravi di consiglio, nella fortuna avversa costanti, et nella prospera moderati, hanno comunemente tutti uno incredibile, et uniforme desiderio di mantenere la propria libertà, che già mille e poco meno di dugento anni sono, liberatisi dalla crudeltà de’ Barbari settentrionali, che inondarono l’Italia, si hanno sempre

1124Ivi, pp. 2042-2043. 1125Ivi, passo riportato a p. 2043, sulla missione del Da Ponte cfr. anche Sommario a p. 197 in cui l’autore dice che i “veneziani…dimostrarono colPapa mediante la desterità di Paolo Thiepolo, et di Nicolò Da Ponte Ambasciatori della loro Rep. le cagioni che la indussero a far pace.” 1126Ivi, passo a p. 2181. Ivi, infatti l’elogio complessivo dell’ex camaldolese si protrae nelle pp. 2212-2215 e riprende nelle pp. 1217-1222, passo riportato alle pp. 2212-2213.

243

Page 244: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

conservati liberi: La onde vestendo con gli abiti lunghi, dicono liberamente il parere loro in Senato, istudiandosi ogni uno di intendere, et di valere nella cognizione de governi di stato, et di qui è avvenuto, che si sono sempre ritrovati, et tuttavia si ritrovano fra loro molti uomini riguardevoli de’ quali intorno al governo di stato sono fra tutti reputati singolari: Nicolò da Ponte al presente Doge della Rep. il quale et con il mezzo della prudenza civile, et con la propria vrtù, asceso con un perpetuo corso di felicità al più supremo honore della Repubblica è dotato di cognizione, et d’intelligenza di lettere filosofiche…”1127. Del resto, un ultimo aspetto non trascurabile della narrazione bardiana, stante la recisa condanna dell’eresia ugonotta in Francia e dei relativi conflitti religiosi in atto, riguarda il modo in cui attraverso alcuni elementi traspaia quasi un anelito di ottimismo sulle vicende transalpine collegato all’ascesa al trono di Enrico III. Oltre alla descrizione della fastosa e cordiale accoglienza veneziana per il passaggio del sovrano che torna in Francia per prendere la corona dopo aver rinunciato al trono polacco1128, significativo è il giudizio finale espresso dal Bardi sulla situazione francese e su Enrico III: “Signoreggia nella Francia Arrigo di tal nome terzo, il quale se bene né di senno, né di consiglio non par che vaglia molto, essendo immerso solamente ne’ piaceri: tuttavia ne tempi addietro mentre era Duca d’Angiò, fatte alcune attioni illustri, si acquistò la gratia di tutti, et fu in opinione comunemente di ogni uno di essere principe di alto affare, et di molta prudenza dotato. Questi inviluppato in tutto quel Reame in diverse revolutioni, et travagli, non ha mai sentito altro che molestie[…]Tuttavia retto fra tante difficoltà dal prudente consiglio della madre, del Duca di Numera, et di molti altri Signori, è andato a poco a poco rimovendo molte di quelle difficoltà, che prima lo circonvenivano, avendo appresso di sé molti uomini singolari, come il marescial di Araz de’ Gondi di Firenze, Filippo Strozzi, il Duca di Nivers…”1129 Certamente non è un giudizio apologetico e tuttavia, si sorge la speranza di un superamento delle divisioni che invece ancora a lungo avrebbero travagliato la storia e la vita francese. Inoltre, non può sfuggire l’elogio al partito fiorentino legato fortemente alla madre di Enrico III, Caterina de’ Medici che nelle speranze dell’autore potrebbe guidare il sovrano ed i destini della Francia verso quella ricomposizione e quel rafforzamento tanto necessari in ambito europeo per controbilanciare la soverchiante egemonia spagnola. La citazione di questi nomi, nell’ultimo ventennio del XVI secolo, tuttavia, non comporta più automaticamente una cifra avversa al Granduca di Firenze e non solo per i passi tutt’altro che antimedicei de Le età. Infatti, proprio l’antimachiavellismo di stampo francese funzionale a delegittimare eticamente l’immagine del partito fiorentino a corte per indebolirne il potere e l’influenza e trovare un capro espiatorio delle difficoltà interne, indicando proprio nel Gondi e nella regina madre gli artefici della strage di S. Bartolomeo, produce un effetto di ricompattamento in chiave difensiva contro gli attacchi all’elemento fiorentino in quanto tale, che accantona la pregiudiziale del regime politico vigente a Firenze1130. Pertanto, una storiografia bardiana

1127Ivi, infatti l’elogio complessivo dell’ex camaldolese si protrae nelle pp. 2212-2215 e riprende nelle pp. 1217-1222, passo riportato alle pp. 2212-2213. 1128Ivi, sulla visita di Enrico III a Venezia nel 1574, pp. 2062-2063 in particolare a p. 2063 leggiamo sulla sensazione suscitata dall’apparizione del re francese: “partitosi se ne passò poi in Francia; avendo ripiena la città di Venezia, et tutti gli altri luoghi di molto contento.” 1129Ivi, passo alle p. 2209-2210. 1130In questo senso, si spiega anche la menzione di Iacopo Corbinelli tra i grandi intellettuali legati al Gran Duca Francesco nekll’ambito della lode rivolta a quest’ultimo ivi nelle pagine 2216-2217 dove leggiamo: “si vede oggidì in Italia con molta potenza Francesco de’ Medici Gran Duca di Toscana, il quale dominando con titolo di grnade, le Rep. di Firenze, di Siena, et DI Pisa…è reputato fra tutti gli altri Principi d’Italia, et per la grandezza dello Stato, et per la copia delle genti, et per la moltitudine de’ denari, di molta autorità, et di molto valore.Questi…ha appresso di sé molti uomini grandi…Guido Guidi, Francesco Buonamico, Pietro Rucellai,

244

Page 245: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

assai lontana dalle propensioni teutoniche sostenute nella Storia D’Europa su una falsariga per molti aspetti analoga a quella bartoliana. Motivo sostanziale che come accennato avvicina molto di più la storiografia di Lodovico Guicciardini a quella del canonico laurenziano. 4. Natale de’ Conti La linea di sostanziale almeno formalmente ineccepibile condivisione della Controriforma e dell’egemonia spagnola nella penisola sarebbe stata riproposta con ben altra veemenza e unilateralità rispetto alle oscillazioni bardiane nell’opera di un altro storico, romano di origini, ma veneziano d’adozione Natale De’ Conti1131: Historiae sui temporis1132. L’autore rintraccia in Paolo Giovio il suo principale riferimento a livello, sia di arco storico, sia di priorità problematiche fin dalla prima pagina della sua opera. Infatti, la narrazione storica contiana parte proprio dal periodo di pace tra Spagna e Francia seguito al trattato di Crepy punto nel quale si interrompono le Historiae gioviane1133. Al di là del risultato raggiunto rispetto al modello di riferimento anche il De Conti sceglie quale asse portante delle dinamiche storico-politiche continentali in atto, il permanente conflitto franco-asburgico soltanto temporaneamente sopito a cui si intersecano la guerra smalcaldica e l’ultima fase delle guerre d’Italia. Sui contrasti confessionali che lacerano l’impero germanico evidente appare la condanna dell’eresia protestante e della ribellione dei principi smalcaldici dei quali comunque il Conti sottolinea la notevole forza militare peraltro in linea con le notazioni gioviane1134. L’autore mette in primo piano le chiare ambizioni politiche che animano il langravio d’Assia e Giovan Federico di Sassonia, sostenuto anche dalla tradizione degli imperatori della casa di Sassonia: “His tot populorum urbiumque; Smalcaldicae foederationis auxilijs elati Philippus Lantgravius et Federicus Saxonum Dux, Principes nobilitate, potentia, autoritate praestantes, ut qui sibi viderentur ita plurimum posse suos terminos dilatare, sua fortuna minime contenti, ad maiora aspirare incipiunt. Visum est autem optime consuli rebus tam potentis foederationis, si imperium etiam ad novam illam religionem detorquerent, ut non solum potentia, sed etima dignitate Imperatoria foederationem insignirent. Ad illud consiluim capiendum incitabat Federicum veterum Imperatorum suae familiae recordatio; cum duo Henrici, tres Otthones, et nuper Lotarius atque Adulphus in memoriam veniebant, ad quos omnes e sua familia imperium fuerat delatum. Confirmabant vero in ea sententia preter federatos multae etiam cum externis principibus amicitiae, et affinitates. Atque ut manifestius belli Germanici magnitudo appareat, et quantae fuerat difficultatis Germaniam vincere, quae

Paolo Mini…Iacopo Corbinelli, Borghini, Silvano Razzi, Adriano Adriani…Scipione Ammirato, Giovambattista Strozzi il Giovane…” altrimenti incomprensibile in quanto il Corbinelli esule antimediceo alla corte di Francia da molti anni in proposito rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., ivi in particolare III capitolo. 1131In proposito rinviamo alla relativa voce Conti Natale di R. Ricciardi in DBI, vol. XXVIII, Roma, 1983, pp. 454-457, in particolare sulle origini del De Conti, p. 454. 1132Natalis Comitis Universa Historiae sui temporis libri triginta. Ab anno salutatis nostrae 1545. usque ad annum 1581. Cum duobus Indicibus Laurentij Gotij civis Veneti: Altero Antiquorum et recentium nominum variorum locorum…, Venetiis, Apud Damianum Zenarum, MDLXXXI. 1133Ivi, a p. 1: “Nos igitur his ita cognitis, dabimus operam pro viribus, ut ea cognoscantur, que gesta sunt ubique gentium, ab iis temporibus et rebus gestis incipientes, quae scripta Pauli Iovij attigerunt: persequemurque ad ea usque tempora[…]Gallia itaque, omnis, et Italia, et reliquiae orbis terrae provinciae, gentes, imperia, suavissima tranquillitate perfruebantur, cum pax inter duos potentissimos Christianorum principes fuisset composita…” 1134Ivi, passo alle pp. 5-6 in cui si parla della risoluzione dell’imperatore a produrre il massimo sforzo bellico: “atque um multa esssent, quae ab huiusmodi provincia Caesaris animum possent revocare, deterreque a tanta mole bellorum, coniuratorum esimia opulentia scilicet, excellens observantia rei disciplinaeque militaris, peditum et equitum armatorum ingens numerus…”

245

Page 246: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

non nisi suis armis posse superari; quippe quod he una provincia multo plures exercitus Romanorum profligasse dicatur…”1135 Il Conti è consapevole che la Germania costituisca il fulcro dell’impero, come dimostra anche la successiva descrizione geografico-economica volta ad evidenziarne la ricchezza di metalli, il florido sviluppo urbano, il gran numero di città libere 1136. Dato sancito anche storicamente dalla translatio del diritto di elezione imperiale attribuito dai pontefici ai principi tedeschi al tempo di Ottone III1137, in controtendenza rispetto alla posizione espressa in merito dal Bardi. Tuttavia, entrambi gli storici, indicano la responsabilità protestante nel provocare la guerra con Carlo V. I principi territoriali tedechi, infatti, agiscono in flagrante violazione delle leggi fondamentali dell’impero e per non subire il bando imperiale punizione giuridicamente necessitata per i reati commessi, assaltano gli amici dell’imperatore1138. Tuttavia, la potenza militare smalcaldica non si accompagna ad una pari capacità strategica di afferrare le occasioni propizie non sfruttate dal titubante Langravio d’Assia che non ha il coraggio di attaccare l’imperatore1139. Di contro a questa reiterata mancanza di risoluzione e capacità tattico-militare emerge la grandezza di Carlo V, chiaramente protetto dalla volontà divina che sancisce la sconfitta delle soverchianti forze tedesche, in primo luogo sassoni: “Enimvero mirabile fuit illud, quod Caesar non modo tam confusas, et fluctuantes res Germanicas composuerit, verum etiam quod illud fecerit intra tam breve spatium, ut incredibile prope videri possit, cum tantae vires in illum insurgerent, quantas vix ulla humana potentia multis annis potuisset infringere et profecto adversus alias omnes vires Christianas potuissent, resistere, siquis voluisset adversus tantam federationem iniqua arma importare, sed ubi quis contra aequitatem legesque pugnat, Deum habet adversarium plerunque, cuius potentiae qui exercitus, quae classes, qui armati, quae astra, qui imperatores possent resistere? Nam et Roma orbis terrae prope domina tanti esse duxit Rhenum transire, ut cum Iulius Caesar id fecissset, supplicationes Diis immortalibus decretae sint, et Carolus cognomento Magnus appellatus triginta annos asumpsit in perdomanda Saxonia, cum Carolus quintus eius nominis imperator universam Germaniam intra quindecim mensium spatium subiugaverit.”1140 Appare ancora una volta più lampante pertanto l’eccentricità della prospettiva del Giambullari che assume la tradizione imperiale della casa di Sassonia come fulcro della sua storiografia mentre il Conti condannando le mire di egemonia imperiale del duca di Sassonia, colpisce proprio quella stessa tradizione imperiale su cui il Duca fonda le proprie

1135Ivi, passo cit.a p. 3. 1136Ivi, p. 3-4. 1137Ivi, a p. 4 leggiamo: “Nam facultas eligendi Imperatoris ex Italia primum in Germaniam traslata est a Gregorio Quinto Pontifie Maximo, cum fuisset expulsus a Romanis anno salutatis nostrae quarto post noningentos et octaginta: quem postea Ottho in Italiam cum exercitu transgressus sedi apostolicae restituit. Ea de causa pontifex Germanus per arma Germanica in imperium restitus consulente etiam ipso Ottone faultatem erigendi imperatoris Romanis ereptam ad suos Germanos transtulit.” 1138Ivi, cfr. p. 5: “et quoniam multa contra leges imperatorias patriasque commissisent, neglecta Augusti Imperatoris autoritate, Philippus Lantgravius et Federicus hostes imperj iudicarentur, iisque; indiceretur imperatorium exilium. Nam Caesar quamvis egre ferebat contemptum imperii, et catholice religionis per eam provinciam magis ac magis in dies serpere, firmioresque radices agere, quae superioribus temporibus tanta observantia iustitiam, ac pietatem coluisset, tamen cum modo Pannonicis, modo Numidicis bellis distraheretur, neque tunc quidem rem illam aggressus esset, nisi vel post exilium acrius odium exarsisset, multaque damna cesariensis amicis fuissent illata, ac neque ab imperatoriis quidem urbibus sibi temperatum fuisset.” 1139Ivi, p. 13: “Philippus ob imperitiam rei militaris tam opportunam invadendi hostis facultate praetermittens postea inductus est in summas difficultates cum rerum omnium iactura. Non enim in colligendis magnis exercitibus solum, aut in comparandis classibus, aut castris in putissimo loco legendis, et muniendis consistit virtus imperatoria, sed multo magis in arripiendis opportunitatibus, quae sese offerunt rei praeclare gerendae.” 1140Ivi, p. 57, cfr. inoltre sulla protezione divina di cui gode Carlo V p. 25.

246

Page 247: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

rivendicazioni. Giambullari infatti, nella sua prospettiva filoasburgica, appare quantomeno favorevole ad un compromesso tra principi protestanti e imperatore come osservato. Carlo V invece viene collocato nelle parole del De Conti al di sopra di Cesare e Carlo Magno, proprio in virtù della protezione divina che ne guida le azioni ed il successo contro quei Sassoni che gli altri due personaggi ben più a lungo avevano dovuto fronteggiare e combattere. Sassoni che vengono nel De Conti proposti in una prospettiva perfettamente capovolta rispetto alla Storia d’Europa dove sono caratterizzati quali beneficiari della provvidenza divina e principali attuatori dei suoi disegni. Peraltro, sul modo di considerare Carlo V, il Conti marca una netta differenza anche rispetto al Bardi. Differenza inoltre, che sembra avvalorata dal consenso che l’autore offre all’interim di Augusta promosso da Carlo V nel 1548, almeno riguardo alle intenzioni dell’atto, e dal giudizio espresso su Paolo IV e la guerra contro la Spagna, integralmente ricalcato sui teoremi del processo ai nipoti del pontefice napoletano da Pio IV. L’Interim viene letto come provvedimento temporaneo, comunque adottato nell’ottica del pieno ristabilimento del cattolicesimo, possibile soltanto attraverso il pieno espletamento dell’opera conciliare1141. A proposito di Paolo IV cadono le oscillazioni e le sfumature bardiane, ed emerge l’immagine di un Carafa papa santissimo nella sfera spirituale, e tuttavia iracondo e testardo a causa della sua veneranda età. Sobillato dal nipote, sospetta ingiustamente di Filippo ed agisce quasi in maniera tirannica a Roma. Avulso dal campo temporale, Paolo IV prende in questo ambito decisioni sostanzialmente fallaci, fino a determinare lo scoppio della guerra contro Filippo II del tutto incolpevole e ben disposto verso il pontefice, su istigazione dei nipoti1142. Questi ultimi pertanto giustamente sono poi scacciati dal pontefice da Roma e, dopo la sua morte, condannati nel processo intentato da Pio IV1143. Condanna pienamente condivisa dall’autore come si evince dal puntuale elenco dei torti compiuti dai Carafa, dalla difesa della decisione di Pio IV (nonostante contravvenga in questo modo alle garanzie loro promesse durante il conclave che lo avrebbe designato al soglio pontificio)1144 e dalla considerazione sulla riabilitazione di Pio V, che non mette in discussione in nessun modo la sostanziale veridicità del verdetto del precedente pontefice: 1141Ivi, a p. 61 “In Augustanis comitiis, quoniam illa instituta fuerant a Caesare, ut collapsa religio in Germania instauraretur profligarenturque; hereses, multa pertractata sunt ad cultum divinum pertinentia, atque quoniam nullo pacto inter se de iis rebus convenire poterant, quidam Caesar perscripsit quae servanda censeret, quaedam concessit, donec de illis fieret concilij decretum, atque hanc formulam Interim appellarunt.” 1142Ivi, leggiamo a p. 199: ”quare monebant ut sibi cavaret ab Hispana faccione, hec tametsi videbantur esse viro sapienti non negligenda, tamen non debebant esse tanti, ut incognita causa statim ad maximorum regum inimicitiam suscipiendam possent impellere, et ad privatos cives sunt tqnquam columnae principum sublimitatem suis humeris sustinentes, sed etiam quia vix est atrocis tyrannidis quavis minima suspicione, que nulla probabili causa fulciatur, ita commoveri, ut ad exitium internecionemque civium, et honestarum familiarum infamiam procedatur. Haec autem contingebant, quia Pontifici falso persuasum fuerat, quod Philippus rex et ipsum, et Carafam purpuratum per nonnullos Neapolitanos Garzie opera interfici curaret, atque Nannio Abbati viro Apulo caput amputatum est, quod venenum dictus est paravisse, cum esset cubicularius secretus, nam Mattheus stendardus Pontifici nepos nuntiaverat se venenum in inferiore culina Pontificis reperisse, enimvero cum multi viri sapientes Pontificium ipsum ab ea falso suscepta opinione deducete conarentur, vellentque demonstrare hanc esse apertissimam nonnullorumque malitiam, et calunniam, quia Philippus optime esset affectus erga dignitatem Pontificiam, neque esset quidpiam, vel clam, vel palam nulla presertim accepta inuria moliturus, nunquam ab illa opinione dimoveri potuit, est enim id sive naturae vitio insitum plerisque senibus, sive consuetudine quibusdam confirmatum, sive ex imperia rerum, ut, ubi esacerbati fuerint, vel aliquam opinionem, sue bonam, seu malam imbiberint, nullis omnino rationibus dimoveantur. Illud vero contingit plerunque imperitis rerum humanarum, qui pertinaciam ac temeritatem pro constantia complectuntur his accedabat, quod Ponifex natura esset iracundus, ac pene implacabilis hisce suspicionibus commotus iubet nonnullas peditum cohortes con scribi ad sui corporis custodiam…” 1143Ivi, sui delitti compiuti dai Carafa e sulla loro caciata a cui si contrappone la santità dei provvedimenti adottati dal Pontefice in campo spirituale in materia inquisitoriale e libraria, vedi pp. 261-264 e 269-270 e 274. 1144Ivi, sulla condanna e sull’esecuzione p. 274 e sulla difesa della risoluzione di Pio IV in particolare l’autore ivi scrive: “Sed tamen ita sit divino instituto ut homicidarum ultores inopinantes inveniant, atque malorum hominum mala munera in ipsos largitore convertantur.”

247

Page 248: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“condemnationem Carafarum rescindit. Revocat quae adversus illos a Pio Quarto facta fuerant, iubet Carafica insignia erigi, ubi fuerant devastata, imperata revocationem fieri sententiae et condemnationis, sed ex ea parte tantum qua videbatur infamia in innocentes aut posteros redundare…”1145. Tuttavia, nel seguito, la beatificazione di Carlo V viene sminuita dai sospetti nutriti dai principi tedeschi che la mancata liberazione del langravio d’Assia e il tentativo di far eleggere Filippo come imperatore del Sacro Romano Impero in base alla auspicata remissione della corona di Re dei Romani da parte di Ferdinando, siano dettati dalla smodata ambizione di Carlo piuttosto che dalla sua convinzione religiosa1146. In secondo luogo, nonostante gli elogi rivolti a Filippo, è indicativa la giustificazione della pace separata contratta dai Veneziani con gli Ottomani nel 1573, provocata appunto dall’ambiguità spagnole e dalla preoccupazione che Venezia si rafforzi nel Levante minando in qualche modo l’ampiezza dell’egemonia spagnola in Italia e nel Mediterraneo1147. Peraltro, nella versione latina non abbiamo riscontrato alcuni passi che presentano una valenza antispagnola non del tutto repressa che invece troviamo nella volgarizzazione del 1589 svolta da Giovan Carlo Saraceni che contiene anche tre libri in più1148. Egli, oltre a completare l’opera del De Conti con “opportune postille…e due copiosissime tavole” come scrive nella dedica della sua traduzione al senatore Jacopo Soranzo, opera alcune integrazioni tutt’altro che accessorie, le quali alterano la prevalente neutralità e la pianezza contiana1149. In particolare il racconto dell’episodio della morte di Don Carlos posto dopo l’incipit del libro XIX sugli arresti di Strael e del consigliere del duca d’Agamonte ad opera del duca d’Alba nel De Conti, viene preceduto nel Saraceni da una digressione sui delitti perpetrati dai tiranni per perpetuare e garantire il loro arbitrio. Come non leggere un’allusione ad un coinvolgimento diretto di Filippo nella morte del figlio raccontata nella pagina seguente?1150 Tanto più che il Saraceni di seguito alle considerazioni sulle nefandezze dei tiranni constata l’importanza del compito dello storico che risiede proprio nel rivelare e preservare memoria di

1145Ivi, passo riportato a p. 347. 1146Ivi, passo a p. 99 dove l’autore evidenzia il disvelamento del vero animo con cui Carlo aveva condotto la guerra smalcaldica sotto pretesto di una motivazione di tipo esclusivamente religiosa, una smodtqa ambizione di imperio assoluto sull’impero germanico. 1147Ivi, cfr. pp. 512-513 con l’ambasceria del Da Ponte da Gregorio XIII illustrata in modo analogo a quanto fatto dal Bardi a p. 513, con la sottolineatura della grande abilità nell’occasione dimostrata dal Da Ponte e sull’atteggiamento filoveneziano dell’autore riguardo alla guerra cipriota vedi Natale de’ Conti, cit., pp. 455-456. 1148Delle historie de suoi tempi di Natale de’ Conti. Parte prima e seconda. Di latino in volgare nuovamente tradotta da M. Giovan Carlo Saraceni, in Venetia appresso Damian Zenaro, 1589. 1149Ivi, All’Illustrissimo et eccellentissimo il Signor Iacopo Soranzo…In Vinegia il primo di Gennaio MDLXXXIX. In proposito vedi Conti Natale, cit., a p. 456 e soprattutto A. Guillon in Biographie universelle, IX, Paris, 1854, pp. 121-122 e in generale F. L. Schoell, Etudes sur l’humanisme continental à la fin de la Renaissance, Paris, 1926. 1150Ivi, parte seconda, cit., a p. 1-2 leggiamo: “Grave invero e molesta cosa mi pare, che gran parte de i Tiranni a beneplacito suo già cercarono non solo signoreggiare le facoltà e le vite de i privati, ma imporre etiandio leggi a l parlare, e quasi a i pensieri interni: né solo per capriccio più tosto che per ragione, voltarono sossopra il mondo: ma volsero ancora, che i loro errori, come chiarissime virtù, fossero da i popoli pregiati e celebrati; chiamando la ferigna crudeltà, giustizia regia; l’avaritia, prudenza di raccogliere e risparmiare il danaro per mantenere gl’imperij; la superbia, decoro e ritirata sopreminenza; la intemperanza, liberalità verso gli inferiori; la timidità cautela, e considerata circospettione; la sfrenata ingordigia di comandare grandezza d’animo ch’ad alte cose aspiri; i parricidij poi e le nefande uccisioni de i figliuoli, de i fratelli, de i propinqui, sicurezza di dominare; ed in somma il dispregio delle leggi divine et humane, ragione di Stato, e conservatione de i regni; quasi non possino i regni per giustizia e bontà del Principe mantenersi: e si recano a grandissima ingiuria l’udire a dire quelle cose che, che non s’arrrossiscono di fare.” con cui cfr. Natalis Comitis Historiarum, cit., a p. 400.

248

Page 249: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

queste scelleratezze in modo da indicare chiaramente ai capi di governo come non si deve agire1151. Passaggio ancora più significativo se consideriamo che apre il libro in cui viene narrato l’odio crescente e generalizzato che il duca d’Alba genera con la sua ferocia e rigidità nei Paesi Bassi, in piena convergenza questa volta con il testo in latino del De Conti1152. Pertanto in questo senso, rinveniamo una forte analogia con la prospettiva bardiana quando l’atteggiamento del Duca d’Alba appare smisurato anche rispetto alle risoluzioni prese in precedenza da Carlo V quando non uccide Giovan Federico di Sassonia1153. Certo, sul punto specifico, l’elogio contiano alla moderazione dimostrata da Carlo segna ancora un’allontananmento dal Bardi più critico come detto verso l’imperatore. Peraltro, la convergenza complessiva tra i due storici è confermata anche dal diverso e positivo giudizio dato sulle risoluzioni prese nell’impero da Ferdinando II capace di mantenere, nonostante le forti tensioni confessionali che coinvolgono tutti gli stati europei, dai Paesi Bassi alla Francia, la pace con i principi elettori agendo evidentemente da pompiere1154. Del resto, ulteriori e quindi non occasionali accenti antispagnoli il De Conti li offre nel libro XXIV quando spiega la sostituzione del Duca d’Alba nelle Fiandre in base ai pessimi risultati prodotti dal suo governo: “Philippus quia res parum feliciter succederent Albano Duci, qui per nimiam severitatem irritaverat potius, quam exstinxerat ulla ex parte incendia Bellorum Belgicorum, censet eum esse ex illis finibus revocandum, quod semper maiora odia in eum succrescerent…”1155 La sostituzione del Duca tuttavia, non cambia in una situazione generale, in cui gli Spagnoli hanno perpetratato nel tempo un regime di ruberie e prepotenze via via crescenti, che per quanto parzialmente giustificate anche dai bisogni di cassa di Filippo II, hanno condotto il popolo fiammingo alla ribellione aperta contro il sovrano spagnolo. Del resto, anche la successiva descrizione dei Paesi Bassi, delle qualità positive dei suoi abitanti originari e del sistema di governo vigente piuttosto ampia e tutt’altro che negativa sembra accentuare le responsabilità spagnole nell’attuale situazione di generale e incontrollato caos in cui versa la realtà olandese1156. La cifra unitaria di questa storiografia dell’ultima parte del XVI secolo, comunque, peraltro già individuabile nel Giovio e nel Bartoli, consiste nel rapporto sinallagmatico tra questione religiosa e situazione politica come consapevolmente manifestato dal De Conti in più di un

1151Ivi, leggiamo: “Onde scatrurendo parecchi principi dell’età passata d’infiniti errori (che poco curano gli uomini da bene le false maldicenze) allora da ogn’infamia si reputavano quasi liberi e sicuri, se gl’historici non scoprissero al mondo le loro poltronerie, et odiose operazioni: perciò con severissimi editti imposero, che si ripurgassero le historie dal raccontare i falli de’ Prencipiall’altrui cura dissegnati. Ma quanto più lodevol freno sarebbe a richiamare quelli, che le città governano e signoreggiano, da tutti i malvagi pensieri, l’infamia di spietati e rei tiranni: la quale sola può da ogni scelerità sola ritardarci? […]Imperochè non è l’historia ritrovata per adulare, o quasi una mercantia di vanità e di bugie, o ridutto de circolatori o Zarettoni: ma si ben come specchio della vita humana, e vivace esemplare della virtù et de vitii, per informare gli huomini al viver giusto e prudente al dispetto degli tiranni; i quali non volendo il rinfacimento delle loro vergogne udire, han cercato in molti modi di occultarle.” 1152Cfr. Natalis Comitis universae historiae, cit., pp. 406-417 e 2-23. 1153Ivi, p. 413. 1154Ivi, p. 419 dove leggiamo : “in Germaniam vero maxima semina perturbationum excitabatur nisi Caesari prudentia illla statim oppressiset…”. 1155Ivi, passo a p. 530. 1156Ivi, p. 531, in particolare sulle violenze degli spagnoli l’autore scrive: “At regio Belgarum interea non multo feliciore fortuna fruebatur, cum aliae urbes modo intestinis armis propter dissensionem de religione vexarentur, modo affligerentur ab exteris, mutuasque rapinas, incursiones, caedes, incendia, populationes paterentur, aliaeque; variis modis vexarentur, perferrentque multa atrocia praesertim ab Hispanis copiis. Nam cum multa stipendia deberentur Hispanis a Philippo Rege ob exhaustum regium erarium per diuturnitatem bellorum multorum annorum ex ordine assiduorum, ceptum est laborare summa inopia rei pecuniariae in illis regionis.[…]”.

249

Page 250: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

punto delle sue Historiarum. L’autore infatti, prendendo spunto dai conflitti religiosi scoppiati in Francia osserva a proposito delle guerre: “Nam nunquam fere sola religio fuit causa bellorum, sed vel liberior et amplior vivendi licentia expetita per simulationem religionis, vel immoderata libido dominandi, vel aliqua res huiusmodi mortales incitavit ad arma hostiliter suscipienda adversus resistentes, cum turpitudo desiderii, et illegittima apperentia rerum parum honestarum, aut simulatione defendendae religionis, aut alicuius causae honestioris contegatur, quo multi et fautores inveniantur, et confluant adiutores, quia manifestam turpitudinem pauci ad modum complectuntur.”1157 Valutazione a cui consegue in modo evidente il corollario esposto dopo alcune pagine con riguardo alla situazione tedesca per cui la conformità della religione è funzionale alla stabilità degli stati1158. Certo nel De Conti vi è una pronunciata pulsione controriformata che difficilmente possiamo ritrovare nel Giovio o nel Bartoli come dimostrano anche le veementi critiche rivolte al cardinal Madruzzo1159. Tuttavia, il vero punto di incontro, superiore anche alla discriminante dell’ortodossia, come dimostrato anche dalle notevoli critiche rivolte al modo di condurre la crisi dei Paesi Bassi da parte spagnola, risiede nel modo in cui le problematiche religiose si affrontano a livello politico. Il piano religioso anche nel De Conti, si interseca strettamente con la sfera politica e con le idealità proprie del suo ambito secondo una prospettiva non favorevole alla Spagna ed essenzialmente filoveneziana. Di fondo, quindi, abbiamo rilevato nella sostanza negli storici coevi e successivi del Giambullari motivi essenzialmente di carattere politico dietro alle stesse istanze religiose espresse, condizionate peraltro dall’ineludibile impatto della Controriforma. Domina comunque, anche se secondo angolazioni differenti il tema della libertà politica italica. 5. Jacques-Auguste de Thou Questo tentativo di percorso finalizzato a contestualizzare la prospettiva storiografica del Giambullari evidenziandone le peculiarità ed i possibili motivi di convergenza e divergenza con il panorama storiografico coevo o di poco successivo, si concluderà con Jacques De Thou1160 che scrive le Historiarum sui temporis…1161 tra la fine del XVI e i primi anni del XVII secolo. La lettera dedicataria indirizzata dal Buckley, curatore dell’edizione settecentesca inglese, al re Giorgio II, risulta già chiarificatrice dell’indirizzo perseguito dal De Thou, attraverso un parallelo istituito con la missiva scritta ad Enrico di Navarra dallo storico francese. Buckley

1157Ivi, passo a p. 237. 1158Ivi, a p. 258 leggiamo: “Nam religionis cum ceteris Christianis coniunctio et communitas plurimum facere proponebatur non solum ad divinas, sed etiam ad humanas vires coniungendas…”. 1159Conti Natale, cit., p. 456. 1160Sul quale rinviamo a C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 1963 in particolare ivi, nella Parte seconda, La formazione e l’opera storiografica di Jacques Auguste de Thou, pp. 292-324, cfr. inoltre, la voce Thou (Jacques Auguste de) in Nouvelle Biographie Gènerale depuis les temps les plus reculès jusq’a nos jours…, publièe par MM. Firmin Didot Frères, Tome Quarante=Cinquième, Paris, MDCCCLXVI, pp. 255-262 1161Consultiamo l’opera storica del De Thou nell’editio princeps: quella inglese della prima metà del Settecento: Jac. Augusti Thuani historiarum sui temporis, Londini Excudi curavit Samuel Buckley, MDCCXXXIII. Riguardo a tutte le edizioni delle Historiarum… e in particolare a quella londinese rinviamo a S. Kinser, The works of Jacques-Auguste de Thou, The Hague, 1966, in particolare pp. 6-166, in proposito cfr. A. Soman, The London Edition of De Thou’s History: A Critique of some well-documented Legenda in “Renaissance Quarterly”, vol. XXIV, n.1, 1971, pp. 1-12, inoltre id., De Thou and the Index. Letters from Christophe Dupuy (1603-1607), Genève, Droz, 1972.

250

Page 251: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

infatti, prendendo spunto dalla celebrazione del re di Navarra, divenuto re di Francia secondo un chiaro disegno divino volto a pacificare quel regno1162, si lancia in un lungo elogio di Giorgio II e del suo governo. Così facendo, tuttavia, lo stampatore inglese compie un evidente salto logico e storico-temporale rispetto al De Thou, nel momento in cui ne riprende il memorabile giudizio sulla casa di Orange per celebrarne meriti ben successivi alla vita del francese. Meriti appunto, individuati dal Buckley, nella restaurazione della monarchia in Inghilterra attraverso la “gloriosa rivoluzione” del 1688 con cui si preparano i felici destini monarchici di Giorgio II di Hannover1163 Dunque De Thou viene riletto, secondo una prospettiva anglofila in cui si ricorda emblematicamente la lotta per la libertà politica del continente che gli olandesi conducono nel nome della Riforma prima contro gli Asburgo, poi nei confronti dei Borbone: “cuius rei omen faustissimum iam nunc ex eo capimus, quod illustrissimi Principis arausionensis precibus generose pariter ac prudenter annuens, filiam natu maximam, regiam virginem regiisque thalamis ad prime dignam, uxorem illi destinaris. Cum et ipse Aloisia magni illius Gulielmo primi Arausuniensis filiam ortum ducas, et Domus tua lege a Gulielmo tertio, magno illo reipeublicae nostrae iam periturae sospitatore, cum omnium regni Ordinum consensu lata, ad imperium Britannicum evecta est; nullum hoc illustrius magni gratique animi indicium dare poteras, quam quod principem ex hac nobilissima heroum gente tibi in generum accipere non dedigneris. Hae felices nuptiae te ad omnes illas rationes, quibus et religio reformata et Europae libertas optime conserventur, animum attentissime advertere plane monstrant. Memorabile illud Thuani de illustrissima hac Arausionensi familia judicium, quod ante annos centum et viginti tulit, vaticinium merito censeri possit ; cum intra unius saeculi spatium in eadem gloriosa religionis et libertatis causa, contra praepotentem dominationem primo domus Austriacae, dein Borboniae, tuenda, idque iis temporibus, cum opibus copiisque maxime florerent, bis spledide fuerit adimpletum.”1164. Buckley celebra cioè il regime inglese, sia per la sua libertà politica inscindibilmente legata al protestantesimo, sia per i meriti della politica dell’equilibrio capace di contenere la volontà di potenza del re Sole1165. Come evidenziato da Alfred Soman, del resto, l’editore inglese tende a rappresentare lo storico francese quale uomo dell’Illuminismo in lotta mortale con il suo secolo1166. Nel De Thou, invece, evidentemente, l’elogio delle libertà olandesi e della ribellione dei Paesi Bassi risponde a ben altra linea, antiasburgica e precipuamente antispagnola. In questo senso del resto, fin dalla prefazione, lo storico francese distingue chiaramente il ramo asburgico austriaco e la situazione germanica dal centralismo di marca casigliana. La figura di Ferdinando e di suo figlio Massimiliano, infatti, e le scelte prese in direzione della conciliazione politico-religiosa per superare lo stato di generale conflittualità civile e militare creato da Carlo V, ricevono dallo storico francese una certa considerazione:

1162Ivi, Serenissimo potentissimoque Magnae Britannie regi, Georgico II in data VII Kal. Jan. A. D. MDCCXXXIII dove leggiamo alle pp. I-II: “Henrico quarto Galliarum regi Historiam suam dicavit Thaunus, quod magnum illum principem iis ornatum virtutibus perspexerit, quae regiis honoribus dignissimum, muneribus officiisque ex omni parte parem redderent; et ad solium divini numinis auspiciis evctum existimarit, ut rem Gallorum publicam ex turbata et distracta pacatam florentemque faceret.” In proposito verifica la dedica originaria del De Thou al Christianissimo Franc. Et Navar. Regi Henrico IV riportata ivi alle pp. 1-19 e indicata come auctoris praefatio in cui leggiamo a p. 1: “…te presertim rege, qui raro Dei beneficio, profligatis rebellionum monstris et extincto factionum fomite, pacem Gallia reddidisti, et cum pace duas res insociabileis aliis creditas miscuisti, libertatem et principatum.” 1163L’elogio degli Orange è svolto ivi, nel VI tomo a p. 374. 1164Ivi, alle pp. VI-VII. 1165ivi, pp. VII-VIII. 1166A. Soman, The London edition, cit., in particolare pp. 1-2 e 8.

251

Page 252: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“Id vidit Ferdinandus sapientissimus princeps, qui bellis longe maximis ac periculosissimis sub Carolo V fratre in Gernamania exercitatus, cum experientia didicisset, coepta armis adversus Protestanteis hactenus male cessisse, postquam felicibus auspiciis imperium inivit, religionis pacem solemni decreto sanxit; quam repetitis vicibus semper postea confirmavit. Et cum videret melius per amica colloquia religionis negotium procedere, eiusque rei aliquoties sub fratre indictis Ratisponae et Wormatiae olim conventinbus periculum fecisset, paulo ante mortem post peractum Tridenti concilium Protestantibus, qui ad illud non venerant, satisfacere cupiens,novum rursus cum iis colloquium ex Maximiliani filii prudentissimi principis consilio instituere voluit; ad idque Georgium Cassandrum virum doctum et moderatum delegit, qui cum adversae partis pastoribus controversa Augustanae confessionis capita amice retractaret. Sed adversa viri optimi valetudo, et utriusque accelerata mors, fructum ex eo speratum Germaniam invidit. Idem Germanorum exemplo postea Poloni otimates in sua repubblica statuerunt.”1167 Anche la Polonia copia l’assetto raggiunto in Germania, sebbene la prematura morte di Giorgio Cassander abbia impedito di acquisire intese ancor più profonde1168. De Thou, appare pertanto fin dalle prime battute delle Historiarum, visti i tragici risultati che la linea repressiva ha provocato in Francia, convinto sostenitore della politica di conciliazione: “Sed quando hunc sermonem semel ingressus sum, ut verbo expediam, dicam ingenue, nam sub te licet, bellum non esse legitimum modum tollendae ex ecclesia scissurae: Protestanteis quippe apud nos, qui per pacem numero et auctoritate in dies minuebantur, inter arma ac dissensiones semper crevisse; et, sive praepostero relgionis ardore, sive ambitione ac rerum novandarum studio, a nostris longe perniciosissimo errore peccatum esse, qui bellum internecinum contra Protestanteis saepius susceptum ac compositum, toties, infaustis Galline auspiciis, magno religionis ipsius periculo, renovarunt.”1169 L’uso della forza, infatti, lacera il tessuto politico-spirituale del corpo politico come documentato anche dall’invio del Duca d’Alba nei Paesi Bassi che ha messo a ferro e fuoco quelle province sostituendo malamente Margherita1170. Indubbiamente, a questa tendenza distruttiva e controproducente, si oppone la linea politica di accordo con i protestanti, perseguita da Enrico IV, dopo la vittoria militare, attraverso l’editto di Nantes nella cui preparazione svolge un ruolo non secondario proprio De Thou.1171 La piena sintonia di questa introduzione con l’orientamento politico di Enrico IV, d’altra parte, trova lampante conferma nella decisione reale di diffonderla attraverso la pubblicazione in un opuscolo a parte, tradotta in francese dal riformato Jean Hotman, a indicare le finalità conciliative ed ireniche dell’iniziativa, segnalate da Corrado Vivanti. Prospettive pienamente condivise dal De Thou, che nell’operare del sovrano individua l’unica efficace e definitiva cura per rimuovere ogni ulteriore rischio di lacerazione del corpo civile-religioso statuale,

1167Ivi, Auctoris praefatio, cit., pp. 7-8. 1168Al riguardo cfr. C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa, cit., p. 322. 1169Historiarum sui temporis, cit., in Auctoris praefatio, passo a p. 8. 1170Ivi, Auctoris praefatio, cit., a p. 9 dove leggiamo: “tum et Albanus cum potenti exercitu in Belgium missus, qui, abdicata Margaritae Parmensi, quae cum summa moderatione provincias illas administraverat, auctoritate, ferro et flammis omnia miscuit, arces ubique destruxit, libertatem insolitis vectigalibus ad belli subsidia impositis labefactavit, et civitates opulentas infracta libertate quasi praevalida corpora cibo subtracto ad maciem adduxit…”. 1171Ivi, Auctoris praefatio, cit., vedi pp. 11-14. Inoltre sulla partecipazione in prima persona del De Thou alla politica di concordia con gli Ugonotti di Enrico tanto da essere il negoziatore per conto del re dell’editto di Nantes vedi Thou (Jacques Auguste De), cit., p. 258 e soprattutto C. Vivanti, Formazione e opera storiografica di Jacques-Auguste de Thou, cit., pp. 311-312 e 322.

252

Page 253: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

secondo un’indirizzo in cui sfera politica e religiosa si coniugano inscindibilmente nella logica del gallicanesimo. Proprio i circoli vicini allo storico francese elaborano l’ideologia monarchica gallicana e irenica che supporta il nuovo sovrano e la sua azione interna ed internazionale1172. Dimensioni, quella politica e religiosa in cui le assonanze con il Giambullari non mancano. L’elemento ghibellino, infatti, costituisce un punto d’incontro estremamente profondo tra i due letterati. A fine Cinquecento e all’inizio del Seicento, del resto, il pensiero ghibellino è tutt’altro che dissolto o comunque in posizioni di debolezza nel panorama spirituale europeo, pur rimodulandosi diversamente a seconda dello Stato, dei circoli culturali di riferimento e delle forze in campo in lotta per l’egemonia europea1173. In Francia, superata la terribile crisi delle guerre di religione, Enrico IV viene celebrato in una chiave ghibellina esemplificata dal mito dell’Ercole Gallico. Ideologia che è funzionale alla riaffermazione della dignità del potere regale dopo gli scossoni subiti dall’istituto monarchico ad opera delle guerre civili e delle teorie monarcomache da un lato, ed esprime una volontà di renovatio imperii a livello europeo strettamente connessa all’affermazione dell’egemonia francese sul continente europeo dall’altro. Suggestioni a cui corrispondono, a livello diplomatico, diversi progetti e più di un passo da parte di Enrico IV verso quel titolo imperiale tutt’altro che svalutato.1174 Tendenze ghibelline, chiaramente presenti nelle Historiarum fin dalle prime pagine, dove De Thou conferisce ai Galli un chiaro primato all’interno dell’impero romano, certificato dalla capacità di mantenere inalterato, anche dal momento in cui sono sconfitti da Cesare, la propria libertà: “vix decennio a fiorentissimo Romanorum duce C. Caesare in fidem accepti aut bello domiti sunt: nam et inter eos Hedui et Sequani amici populi Romani et Arverni fratres appellati sunt: sub iisque nominibus Gallia, quandiu imperium stetit, libertatem quadammodo retinuit…”.1175 Primato del tutto funzionale ad affermare nell’ambito delle stirpi germaniche, una volta attestato lo stretto legame intercorrente tra Galli e Germani per la derivazione della stirpe germanica dei Baiori della Vindelicia, dai Boiori Galli secondo l’ auctoritas tacitiana, il diritto gallico all’imperio europeo, secondo una logica non molto distante da quella postelliana. Le prerogative franco-galliche, d’altra parte, sono storicamente testimoniate dalla restaurazione dell’impero d’Occidente e dalla guida così assunta sulla nuova Europa scaturita dal crollo di Roma, attraverso la dominazione della componente normanna in Inghilterra e nell’Italia meridionale. Questa affermazione della leadership imperiale gallica, inoltre, viene confermata da imperatori del calibro di Enrico IV e Federico II. Senza trascurare, poi l’ipotesi secondo cui i Veneti stessi deriverebbero dai Galli1176. La Serenissima, del resto, è il primo

1172C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa, pp. 292-293 e 308-311. 1173In proposito F. Yates, Astrea, cit., e C. Vivanti, Henry IV, the Gallic Hercules in “Journal of the Warburg and Courtauld and Institutes”, 30, 1967 ora in id., Incontri con la storia, cit., pp. 265-291, in particolare pp. 269-270. 1174C. Vivanti, Lotte politiche e religiose, cit., nella parte prima: Il mito dell’Ercole Gallico e gli ideali monarchici di renovatio pp. 74-132 in particolare pp. 74-89; cfr. inoltre id., Henry IV, cit.. 1175Historiarum, cit., lib. I, passo a p. 11. 1176Ivi, lib. I, pp. 11-12 dove leggiamo in chiave fortemente apologetica: “De Gallis quid attinet dicere, quos ab omni aetate laudis bellicae, et justitiae fama apud exteros clarisse constat, saepe se popolosa gente in vicinas et longiquas regiones estendente, saepe etiam afflictis principis et eorum salutarem opem implorantibus humaniter praebito auxilio?[…]Fidem faciunt et sparsae tot ubique terrarum Gallici nominis coloniae. Nam et major et melior Italiae pars de Cisalpinae Galliae nomine appellatur. Et si ambitiosa et fabulosa Romanorum ad res Illiacas origines suas referentium commenta rejiciamus, quis dubitat, quin Veneti non ab Henetis Paphlagonibus, sed a Venetis, ut et Straboni videtur, in Armorica nostra sitis originem ducant ? Neque enim Caesari fides tribuenda est, qui hos ab illis nomen sumpsisse nulla verisimili ratione scripsit. Quorsum enim illa Senonum, Boiorum, Cenomanorum, atque adeo Insubrum nomina in Italia pertinent, nisi ut intelligamus Gollos olim haec loca tenuisse, et ad tradendam posteris originis suae memoriam de suo nomine appellasse ? Jam ad

253

Page 254: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

stato a riconoscere la legittimità del potere monarchico di Enrico IV in cui vede l’unico effettivo contrappeso capace in Italia di contrastare la soffocante egemonia spagnola e la Controriforma cattolica. Del resto, Venezia, costituisce, proprio per questa linea antispagnola e per la volontà di rendersi autonoma dall’ingerenza della Santa sede chiaramente manifestata nella questione dell’Interdetto, una freccia irrinunciabile all’arco di Enrico IV per scardinare l’egemonia spagnola in Italia1177. D’altra parte, suggerire questa sorta di legame tra Francia e Venezia, non appare certo molto distante dalla relazione che il Giambullari ha determinato nella Storia d’Europa tra Germania ed Italia. L’esigenza dell’asse privilegiato rimane invariata anche se è chiaro che la potenza di riferimento è costituita dai Borbone e non dagli Asburgo. Ma, come in quegli apprezzamenti al ramo austriaco si celava un atto d’accusa agli strumenti ed ai disegni applicati da Carlo V, qui nell’attacco al ramo spagnolo si vuole colpire la propensione universalistica mantenuta dopo il fallimento dell’imperatore borgognone, da Filippo II attraverso una politica fondata sulle posizioni della Controriforma cattolica. In questa direzione, De Thou, non solo motiva l’ascesa sul trono imperiale degli Asburgo di Spagna con la decadenza delle fortune dei Galli1178 (quindi acquisita fortuitamente), ma nella sostanza invalida lo stesso merito spagnolo nella diffusione del cattolicesimo tra i popoli dell’America latina recentemente scoperta. L’autore, infatti, interpreta l’azione spagnola quale strumento inconsapevole della provvidenza divina che è in grado di trasformare anche le cattive intenzioni degli uomini in espressioni della gloria di Dio. Ben altri, in verità, sono i motivi che hanno spinto scientemente gli spagnoli in America latina “quod eventus docuit, illuc lucri potius et praedae quam pietatis causa profectos…”1179 Del resto, aggiunge De Thou, il fulcro dell’impero al di là della sovranità asburgica, è costituito dalle tante realtà politiche che lo costituiscono. Quelle realtà con cui, non casualmente Ferdinando e Massimiliano devono scendere a compromessi e tra le quali naturalmente emerge la Sassonia, nelle prime pagine del secondo libro, in quanto appunto protagonista della translatio imperii dai Franchi ai Germanici compiuta sotto gli Ottoni secondo quanto lo storico francese riferisce puntualmente:

Germanos respice : none et Boiorum in Vindelicia, qui hodie Baiori sunt, ad Boios Gallos primordia retulit Tacitus? Quod ne minus vero consentaneum videatur, facit quod Caesar ipse scribit, fuisse aliquando tempus, quo Germanos Galli virtute superarent.[…]Demum Aetio,cuius apud Francos et Visigotos summa gratia et auctoritas erat, a Valentiniano occiso, pertaesa Romanorum Gallia protinus ab imperio deficit; ejectisque Aquitania Gothis, Franco-Gallorum regno sub Childerico et Clodoveo felicibus auspiciis apud nos coepit, circa annum salutatis CDLXXX; quod post dissolutionem imperii ad haec usqeu tempora omnium clarissimum et florentissimum toto orbe cristiano fuit, ucm Faramundus avus antea XXX circiter annis inter Francos regnasset. Nam ex regnum nostrorum seconda familia prodiere Carolus Tudes sive Martellus, qui memorabili proelio Saracenos profligavit; Pipinus, qui Longobardos Italia ejecit, et Carolus, qui Romanum imperium primis in occidente fundavit, et regunm patris in Italia coeptum firmavit. Nec omitti debent Sicilia reges a Tancredo Normano ducti sub termia regum nostrorum familia; quorum genus rerum potium est usque ad Henrici VI Friderici Aenobardi filii tempora, qui Constantia Rogerii ultima filia uxore ducta in regnum successit. Ab eo Manfredus spurius, et Conradinus Friderici II imperatoris nepos orti: quibus rursus medio sublatis Carolus Provinciae comes Ludovici IX frater Neapolitanum regnum quasi iure hereditario Gallis principibus debitum occupavit. Hac eadem Francia nostra repetis vicibus vicinae Britanniae reges dedit. Nam Gulielmus nothus Normanniae dux in Angliam cum delectis transmisit, et caeso Haraldo regnum occupavit circa annum Christi MLXVI.” 1177Sul riconoscimento veneziano a Enrico IV, sui rapporti franco-veneziani e sulla questione dell’interdetto si rinvia a Wiliam J. Bouswma, Venice and the defense of Republican Liberty, cit., pp. 246-247 e 339-482. 1178Ivi, leggiamo a p. 14 “ab eo siquidem Henrico isabella genus duxit, quae Ferdinando Arragonio, de quo nunc fermo est, nupsit, Caroli V et Ferdinandi I imperatorum avo: sub quo paulatim senescente Gallorum fortuna Hispanicum nomen adolevit; ut merito dici possit, ubi Galli desierunt, ibi rerum potiri Hispanos incepisse.” 1179Ivi, passi riportati a p. 14 cui segue ivi la considerazione finale che “nam ut plerumque in rebus humanis, sic et in religionis negozio precipue usu venire cernimus, ut Deus quae a corrupta et mala voluntate nostra proficiscuntur, ad gloriam suam et in bonum vertat.” Sulla negatività del modo di gestire le colonie ed i sudditi dei regni degli Asburgo di Spagna vedi C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia, cit., p. 317.

254

Page 255: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“Nam postquam imperium, quod in secunda regum nostrorum familia a Carolo Magno incepit, qui Galliam primum, dein Germaniam, ac totam fere Italiam tenuit, ad Germanos translatus est, omnes illae provinciae in Italia et extra Italiam in limite nostro sub imperio occidentali et imperii Germanici legibus ordinatae sunt.” ricordando poi, come questa translatio sia permanente in virtù del trasferimento del potere di elezione imperiale ai principi territoriali tedeschi che Ottone III ottiene da Gregorio V dopo averlo liberato dalle persecuzioni di Crescenzio: “Translatum autem fuit imperium ad Germanos ab Othone I, Henrici Aucupis filio; mansitque in ejus familia usque ad Othonem III nepotem, qui veritus, ne imperium a patre et avo in Germania firmatum ad Italos aut etiam Graecos transferetur, legem tulit, qua scitum est, licere solis Germanis principibus imperatorem eligere. Id ut facilius Otho impetraret, cum Gregorio V Saxone sobrino suo, quem post ejectum Roma Crescentium et Johannem Graecum expulsum in sedem restituerat, posteris aeque damnosa ac ignominiosa pactione transegit, ut qui rex Romanorum deinceps crearetur, non prius imperator et Augustus haberetur, quam eum Romanorum pontifex inaugurasset. Ita Romanorum pontifex ab imperatoribus primum creari aut constitui solitus, arbitrium summi inter Christianos principatus costituendi paulatim ad se traxit.” 1180 Un riferimento dal chiaro sapore antiromano, volto a supportare appunto la definitiva autonomizzazione storica dell’autorità imperiale dal vincolo papale e dalla sua presunta superiorità, smentita in primo luogo nei fatti dall’aiuto richiesto all’imperatore.1181 Del resto, celebrare la matrice tedesca dell’impero medievale, significa indirettamente sostenere, visto il legame istituito tra Galli e Germani, la candidatura Francese alla sua guida. Specialmente considerando il fatto che Enrico IV ha restaurato la forza francese rispetto al momento in cui la decadenza dei Galli aveva determinato la casuale ascesa imperiale degli Spagnoli. La stessa celebrazione della libertà politica dell’impero fondato sul pluralismo politico dei principati secolari ed ecclesiastici e delle città libere, sul sistema delle diete e sul tribunale camerale, e garantita dal principio dell’elezione dei sette elettori imperiali, rientra nell’indirizzo filofrancese dell’autore: “Et quod magis admirabile est, cum ex diversis administrationum generibus constet, summa concordia ab eo tempore inter eos exstitit; nisi si quando semina dissensionum inter eos jacta sunt, quibus id effectum est, ut excusso imperii jugo, pontifices in Italia rerum potiti sint, et ad alias nationes atque adeo Germanos ipsos paulatim pontificii nominis terror pervaserit, salva tamen et incolumi in Germania ad nostra usque tempora imperii maiestate.”1182 L’accento posto dal De Thou sull’imprescindibilità dei sette elettori quale architrave del sistema imperiale fornisce una piena giustificazione, sia della Lega stretta tra Francesco I ed i principi tedeschi nel 1544, sia delle mire imperiali di Enrico IV. L’alleanza del 1544, infatti, nasce dall’illegale elezione quale re dei Romani di Ferdinando in quanto decisa da Carlo V senza consenso dei sette elettori imperiali in flagrante violazione della Bolla d’oro del 1356: costituisce, significativamente il punto di partenza vero e proprio, in continuità e prosecuzione con la Historia gioviana:

1180Ivi, lib. II, passo a p. 52. 1181Il chiaro tenore antiromano del passo in questione riceve ulteriore conferma dalla censura che da inaugurasset viene effettuata sull’edizione parigina dell’opera Iac. Aug. Thuani Historiarum sui temporis. Pars I, Parisiis 1604, a p. 92. 1182Ivi, lib. II, passo a p. 55 e a proposito della descrizione delle strutture politiche dell’impero vedi pp. 53-55.

255

Page 256: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“Sed exorto Luthero, distractis principum et populorum animis, et quo sibi ac religionis, prospicerent diversas se in factionibus scindentibus, Carolus V tot successibus elatus, arridente fortuna, occasionem arripuit imperii, cuius ipse pars erat, sibi suisque proprio iure asserendi: id sibi tot victorias spondere, atque adeo sibi deberi tum confidebat, tum vero et rem tentare honorificum et quodammodo necessarium existimabat. Nam cum aliquot ante annis, ut imperium in familia firmaret, Ferdinandum fratrem regem Romanorum Coloniae renunciasset, id septemviri et alii Germani principes, quod contra Carolinae constitutionis leges factum esse dicerent, magnopere improbabant, et sine septemvirorum consensu potuisse fieri negabant. Itaque et eo nomine Saxo, Hessius, Willemus et Ludovicus Baiori fratres libertatis Germanicae tuendae causa clam foedus icerant cum Francisco…”1183. La fondamentale valenza di questo passaggio risulta del resto, anche dal fatto che questo evento costituisca il punto di partenza vero e proprio, in ideale continuità e prosecuzione con la Historia gioviana, della narrazione storica del De Thou. Peraltro, all’interno della comune centralità dell’ispirazione ghibellina potrebbe scorgersi una certa differenza tra Giambullari e De Thou proprio nell’attenzione attribuita dal secondo alle strutture particolari dell’Impero. Nella Storia d’Europa infatti, l’ascesa imperiale della dinastia di Sassonia, comporta un evidente compattamento politico-militare, sia in termini di diminuita conflittualità interna, sia in chiave di esterna capacità di opposizione anti-ungherese e anti-saracena che, tuttavia, coesiste perfettamente con la molteplicità delle realtà statuali e politiche europee. Inoltre, nella percezione dello storico francese non va trascurato il movente politico che pro Francia e pro Enrico IV lo porta ad accentuare fortemente il pluralismo tedesco per colpire implicitamente ogni velleità centralistica asburgica. In realtà, se l’Europa di Giambullari individua il suo fulcro con il filtro della Sassonia in Carlo V, quella dello storico francese riconosce una posizione ed in un ruolo pressoché specularmente identico a Enrico IV e alla ricostituita potenza francese. D’altra parte, il ghibellinismo in De Thou, come visto, significa prospettiva antiromana cioè antipapale, sia a livello temporale, sia a livello spirituale. Nella prima direzione appunto l’evidenza attribuita nelle Historiarum, all’acquisizione del diritto di elezione imperiale da parte tedesca senza più alcuna ingerenza romana, come segnalato, non ha bisogno di ulteriori commenti. A proposito della questione spirituale, fin dal primo libro dell’opera, l’autore si esprime negativamente sui pontefici romani, come documenta ad esempio un lungo passaggio dedicato all’iniziativa delle indulgenze adottata da Leone X1184. Nel secondo libro all’interno del IX capitolo dove viene stimata la forza militare radunata dalle città e dai principi tedeschi della Lega di Smalcalda si individua chiaramente nel Pontefice romano il vero sobillatore e in ultima istanza l’autentico responsabile del contrasto in atto tra Carlo V e le membra del suo impero:

1183Ivi, passo a p. 55. Dove non passa inosservato l’accento posto dall’autore sulla fortuna di Carlo V e sulla sua sensazione di onnipotenza che indirettamente allude ad una certa propensione all’arbitrio da parte dell’imperatore. Del resto, in proposito già nel primo libro a p. 24 in relazione alla piena affermazione imperiale nella penisola nel 1530 “arridente fortuna nullam amplificandae potentiae occasionem praetermttens Caesar, ut imperium Germanicarum in familia firmaret, Ferdinandum fratrem Romanorum regem Coloniae renuntiandum curavit.” 1184Ivi, a p. 18 scrive: “Peccatum tum in sacris muneribus dispensandis admissum Leo Mox longe graviore cumulavit: nam cum alioqui ad omnem licentiam sponte sua ferretur, Laurentii Pucii cardinalis, honimis turbidi, cui nimium tribuebat, impulsu, ut pecuniam ad immensos sumptus undique corrogaret, missis per omnia Cristiani orbis regna diplomatis omnium delictorum expiationem ac vitam aeternam pollicitus est, constituo pretio…quod licentiose nimis a pontificiis ministris passim atque in Germania precipue febat, ubi qui redimendam pecuniam Romae a pontifice conduxerant, per lustra et popinas quotidie sine pudore in aleae lusum ususque turpissimos potestatem extrahendi animas functoum ex igne espiatorio profundebant. Tunc exortus Martinus Lutherus[…].”

256

Page 257: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

“Et ille quidem, qui se pastorem, qui se agni pacifici vicarium profitetur, quos verbo Dei in pace debere debuerat, ferro et flammis atrociter exagitat : pontificem Romanum dico, qui tot turbarum auctor Caesarem prudentissimum alioqui et clementissimum principem ad arma contra nos capessanda suscitat, ut acceptam scilicer a Germanis, nam id vulgo jactantur, in urbe postremo capta et direpta duce Carolo Borbonico injuriam, eodem, cujus auspiciis illata est, ministro et vindice in infonteis ulciscatur. Quod etsi iniquissimum est, tamen patienter ferendum esset, quando nos falsam doctrinam amplecti passim blaterant, si nullum justius aut magis necessarum orbi Cristiano, et ipsius adeo cervicibus bellum immineret.”1185 Si tratta di una lunga orazione dell’inviato di Ulrich di Wittemberg, il cui tenore antipontificio viene rafforzato dall’allusione alla pressione ottomana che costituisce gravemente l’ultimo pensiero di chi si ritiene depositario del diritto di proteggere il gregge cristiano e si scaglia contro chi è sempre rimasto fedele all’imperatore ed al vincolo della sua autorità1186, fino appunto all’esplicita e perentoria accusa di aver determinato la guerra nel seno dell’impero: “[Hac ratione] pontifex Caesarem ad bellum palam pro religione gerendum, omesso omni alio praetextu, obstrinxit, quod id ad dignitatem suam, et sacrae sedis ac concili auctoritatem summopere pertinere arbitraretur. Cum ergo disssimulationi amplius locus non esset, Caesar publico diplomate Saxonem et Hessum proscribit…”1187 Non possiamo ancora una volta che sottolineare una certa vicinanza con la Storia del Giambullari. La casata di Sassonia, infatti, riceve un impero dilaniato dai conflitti interni, dallo smarrimento della propria identità cristiana rappresentata in modo assolutamente inadeguato da figure come Stefano VI, e deve riportarlo a nuova vita sprirituale e politica. È certamente indicativo in questo senso, del resto, il carattere provvidenziale delle decisioni degli Ottoni, che agiscono in base ad una vera e propria missione divina. Allo stesso modo De Thou, a supporto delle mire imperiali di Enrico IV delinea il ruolo francese fin dall’alleanza con i principi di Smalcalda. Le ragioni di disgregazione dell’unità imperiale e cristiana sono addebitate al papa e a Carlo V. D’altra parte, ulteriore indiretta conferma dell’orientamento dello storico francese emerge dal tributo conferito a Francesco I in occasione della sua morte secondo i registri usuali atti ad esaltarne il ruolo di mecenate delle Lettere e dello sviluppo della cultura umanistica a livello nazionale ed europeo. Un canone consueto di esaltazione delle aspirazioni egemoniche a livello continentale della monarchia francese che risulta dunque indice significativo della posizione sostenuta dal de Thou1188. Del resto, la celebrazione del grande antagonista di Carlo V, costituisce un ulteriore titolo storico di legittimazione delle aspirazioni imperiali antiasburgiche nutrite da Enrico IV.

1185Ivi, passo alle pp. 63-64. 1186Ivi, p. 64: “Nunc cum quotidie Turcam cum potentissimo exercitu in Pannoniam discendere afferatur, jamque et Paestae et Budae prafectos frequenteis delectus habere, quid aliud cogitare illum putemus, qui sibi cristiani gregis custodiam arrogat, quam belli tam justi curam omettere, ut lupis ovile incustoditum prodat, et ipse lupis saevior miseras oveis, a quo sibi potius caveant, anxias membratim discerpat? Quid enim meruimus, qui ipso religione et libertate tot annos oppressa foedus percussimus? 1187Ivi, passo a p. 70. 1188Ivi, a p. 105-106 leggiamo: “Inter omneis tanti principis laudes, quae ex iis, quae jam diximus, intelligi possunt, merito haec primum locum obtinet, quod literas et literatos immense dilexerit[…]Ex huius consilio postea professores linguae Sacrae, Graecae, et Latinae, philosophiae item, medicicnae et mathematicarum disciplinarum instituit, qui attributis pro tempore amplissimis stipendiis Lutetiae in ludo Cameracensi publice praelegerent. Horum ope discussis ignorantiae tenebris, lux literis, et per literas veritati in Gallia, atque adeo tota Europa, restituta est: ut cum alii principes ambitiosi aliunde conqusitis vanam gloriam acupentur, ipse parens literarum appelari meruerit.[…] ”. Sulle prerogative avanzate a proposito della dignità imperiale da Francesco I cfr. P. Merlin, La forza e la fede, cit., p. 166.

257

Page 258: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

D’altra parte, soltanto la nuova Francia del Borbone, ha l’effettiva capacità di rilanciare i destini di un’Europa cristiana coesa e politicamente unificata nel segno di un ideale imperiale realmente condiviso ed attivo. Come chiaramente visto, per quanto Ferdinando e Massimiliano abbiano agito in discontinuità con la linea di Carlo V, non hanno raggiunto risultati del tutto positivi. Enrico investito dalla provvidenza del trono di Francia, pacificatore dei conflitti interni si pone come modello e guida della rinascita europea nel segno di una riacquisita unità politico-spirituale del suo stato. Del resto proprio le mancanze romane accrescono i doveri della sua missione sotto il profilo spirituale. In questo senso, è emblematica la condanna dei risultati raggiunti dal concilio tridentino del tutto negativo e controproducente verso quelle istanze ireniche fortemente sostenute dallo storico francese1189. D’altra parte, non casualmente diverso appare il giudizio sull’Interim di Augusta che pur nelle sue insufficienze, tuttavia, rappresenta un piccolo passo nella direzione irenica, e comunque si pone quale evidente reazione alla linea intransigente perseguita da Paolo III, emblematicamente suggellata dallo spostamento del concilio da Trento a Bologna, secondo pretestuose giustificazioni “causa obtendebatur, quod aer minus illic esset salubris…”1190. Paolo III del resto già ampiamente deplorato dallo storico francese per i continui rinvii opposti alla riunione del concilio Tridentino viene considerato molto negativamente nel giudizio finale stilato dal De Thou1191. Tutti elementi questi, funzionali nel libro seguente a presentare e giustificare l’Interim di Augusta determinato in primo luogo dalle resistenze pontifice a ritornare a Trento, nonostante le proteste imperiali. Lo stesso Pole viene coinvolto nella linea pontificia, quasi costretto a rifarsi una verginità ideologico-politica rispetto alla ben diversa linea di cui è latore nel collegio cardinalizio e nel concilio, attraverso la composizione di uno scritto che difende le ragioni papali contro le richieste imperiali: “Haec eo scripto continebantur, cuius auctorem fuisse Reginaldum Polum, unum ex delegatis illis judicibus praecipuae et dignitatis et doctrinae inter cardinaleis, scribit in eius vita Lud. Becatellus archiepiscopus Racusinus; deplorando sane tanti viri conditione, cui nocesse fuerit, ut sectarii mali suspicionem, cuius falso insimulabatur, purgaret, pontifici in ea causa, in qua minime illum sincere versari sciret, industriam suam elocare.”1192 Pertanto, nella prospettiva dell’autore appare del tutto comprensibile che l’imperatore conosciuto il tenore dello scritto pontificio consegnatogli dal Mendoza e anzi prima di conoscerlo decida che quest’ultimo avrebbe capeggiato la conciliazione foriera della conclusione dell’Interim di Augusta1193. Del resto, a voler togliere ogni possibile anche minimo merito dell’imperatore nella politica che conduce all’Interim, De Thou sottolinea la politica feroce e insensata condotta da Carlo V 1189In proposito C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia, cit., pp. 317-321. 1190Historiarum sui temporis, p. 156. 1191Ivi a p. 212, il De Thou si esprime nel seguente modo sul pontefice di casa Farnese: “Vir fuit prudentiae summae ac moderationis…sed qui, plus justo privatis charitatibus indulgens, existimationis suae ac Reipublicae Christianae periculum parvi fecerit, dum quorum ambizioni ac libidini satisfaceret.[…]calumniose Caesarem et Galliae regem incusasset, quod hic cum Protestantibus, ille cum Anglo amicitiam coluisset, cum ipse cum Turco Alexandri VI exemplo occultum commercium habuisset; quod denique in consiliis capiendis ac ceteris rebus fuit semper astrologos…consuluisset.” Inoltre sui rinvii della riunione del Tridentino cfr. C. Vivanti, Lotte politiche e pace religiosa, cit., p. 313. 1192Ivi, p. 171. 1193Ivi p. 171 leggiamo: “Caesar, cardinali Tridentino iam Augustam reverso, cum ex Mendozae literis, etiam antequam scriptum illud in eius manus venisset, exiguam spem esse de concilio instaurando cognovisset, rem ad Imperii ordines…detulerat, negotiamque Mendozae dedisse dixerat, ut, si pontifex in sententia perseveraret, concilium vitii palam argueret: quod etsi non omnem de concilio spem praeciderat, tamen, quia longior mora interponeretur, existimare e re publica esse, ut interim via aliqua conciliationis ineatur…”.

258

Page 259: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

dopo l’affermazione di Muehlberg. L’imperatore, infatti, agisce secondo un intendimento tutt’altro che conciliativo, in perfetta aderenza alla linea violenta e repressiva del duca d’Alba: “Hunc victoriae fortuna Caesaris virtutem et prudentiam adjuvante partae defuit animus, qui ea moderate et sapienter uti sciret. Nam cum nec mens Caesar esset, nec vires, ut tot urbes, populos principes, quos insolita felicitatem in ordinem coegerat, vi et praesidiis tenere et Germaniae rempublicam in regnum hereditarium trasformare posset, reliquum erat, ut humanitate et clementia maiestatem et existimationem tueretur. Verum cum super ea re variarent Castaldi et Albani sententiae, Caesar, corrupto tot prosperis successibus sudicio, potius Albano, qui severitate fructum victoriae conservari debere sentiebat, assensus est; traductisque per totam Germaniam et Belgium integro biennio injuriose captivis, sub Hispaniarum, quod invidiam augebat, custodia, non triumphum ex victoria, sed truculentissimum odium ex triumpho reportavit.”1194 Pertanto, è piuttosto la ancor maggiore cecità e intransigenza dimostrata da Roma rispetto a Carlo V a creare le premesse dell’Interim. Nonostante la discriminante costituita dalla valutazione di Carlo V, pertanto, i due storici si muovono secondo suggestioni molto simili anche sotto il profilo religioso. Istanze in entrambi i casi che sono strettamente legate all’umanesimo cristiano di stampo erasmiano, all’irenismo, alla conciliazione, all’apertura. In questa direzione emblematico il tributo espresso alla fine del terzo libro delle Historiarum tra i vari umanisti italiani e tedeschi, a Beato Renano in collegamento con Erasmo1195. Quel Beato Renano che come evidenziato, è fonte centrale della Storia D’Europa, funzionale alla rappresentazione della nuova Germania, su cui rinasce l’impero ottoniano e si plasma l’Europa germanico-cristiana che secoli dopo, nell’epoca storica del Giambullari sotto l’egida di Carlo V detiene la leadership politico-spirituale del continente e incarna quell’ideale imperiale-universale impropriamente rivendicato quale monopolio della Chiesa di Roma. L’imperatore, infatti, secondo la prospettiva formulata dal partito erasmiano presente alla corte asburgica ha il ruolo di arbitro e riformatore della Chiesa corrotta e malata1196. Quando il Giambullari scrive la Storia d’Europa il concilio è la prospettiva attesa per la riforma e la renovatio cristiana della società europea; dopo alcuni decenni De Thou auspica una stagione di conciliazione tra riformati e cattolici francesi realizzata dal sovrano secondo le istanza gallicane che si ponga quale modello e avvio di una stagione di rinnovamento spirituale di dimensione continentale. Del resto, la convergenza irenica tra i due storici, emerge anche in relazione alle parole di elogio spese dal De Thou che riprende il giudizio di Ludovico Beccadelli, sul cardinal Pole leader di quel partito valdesiano orientato in seno alla Curia romana verso il compromesso dottrinale con i protestanti in linea con l’indirizzo di compromesso politico capeggiato nella corte asburgica dal partito erasmiano. Né quest’elogio appare isolato visto che il De Thou si

1194Ivi, passo alle pp. 154-155. 1195Ivi, p. 121-122 in particolare sul Renano, il Carlostadio ed il Peutinger leggiamo: “Nec multo post XIII Kal. Jun. Beatus Renanus Selestadiensis annum agens LXII “Argentinae, cum e balneis rediret, moritur; vir in humanioribus literis, antiquitate et pia doctrina exercitatissimus, ingenio miti, ut qui in cogitatione de constituenda ex omnium consensu in religione concordia consenuerit ; summus Des. Erasmi observator, qui eandem viam in his turbis instituit. Huius etiam anni initio…matura mors Joannem Schonerum Carolostadiensem iam septusagenarium Norimbergae nobis eripuit, ubi ille domicilium fixerat, astronomiae, quam post Regiomontanum opere illo egregio resolutarum tabularum maxime illustravit, scientia insignem, et illa in primis, quae ex positu astrorum de cuiusque fortunis judicium fert[…]Exeunte anno…Conradus Peutingerus….vir ut natalibus, sic digitate clarus, et cuius memoriam tabula Peutingeriana postea a M. Velsero edita apud doctos renovavit.” In proposito inoltre cfr. C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia, cit., p. 316. 1196Cfr. P. Merlin, La forza e la fede, cit., pp. 162-163.

259

Page 260: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

produce in una vera e propria esaltazione di un altro grande esponente del partito curiale valdesiano filo-imperiale: il cardinale Cristoforo Madruzzo1197. Certamente trascorsi tanti anni, conclusosi il concilio all’insegna della Controriforma, quei motivi erano ripresi in antitesi a Carlo V e a quella stagione conciliare che avrebbe dovuto negli auspici originarii esserne lo strumento e l’attuazione. Lo storico francese, pertanto, propone l’apertura di un nuovo concilio capace finalmente di rispondere alle attese di riconciliazione e di rinnovamento generali. Del resto, se de Thou tra le sue fonti annovera Sleidano1198 e Buchanan che appartengono comunque al mondo riformato, Giambullari non meno significativamente propone tra le sue fonti della Storia d’Europa Muenster, Ziegler, Huldericus Mutius, Carione. Cambiano gli attori dunque, ma la linea ispiratrice dei due storici, volta ad associare profondamente sfera politica e ambito religioso, è tutt’altro che distante. In conclusione questo rapido confronto con le Historiarum del De Thou ci conforta ulteriormente a proposito delle linee ghibelline ed ireniche della Storia d’Europa in chiave filo-germanica, a conferma evidententemente dell’interesse con cui vanno valutate e considerate le posizioni del canonico laurenziano, all’interno della riflessione e del dibattito sulla genesi e sull’evoluzione dell’idea d’Europa.

1197In proposito si rinvia a P. Simoncelli, Il caso Reginald Pole. Eresia e santità nelle polemiche religiose del Cinquecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977, pp. 239-240. 1198Historiarum sui temporis, cit., su Giovanni Sleidano, l’autore manifesta la sua stima all’interno del testo nel rinvio al suo racconto della cerimonia di incoronazione di Enrico II a Reims, sulla quale il De Thou sceglie di non dilungarsi. Inoltre a p. 114 leggiamo nei due periodi con cui inizia il capitolo XII del terzo libro: “Inde Durocortorum Remorum VI Kal. Sextil. venit, ut ibi more majorum inauguraretur. Cuius ritus quoniam formula publice edita est, et alioqui a Joanne Sleidano diligentissimo rerum nostrarum observatore perscripta, de ea dicere supersedebo.” Passaggio che segue un riferimento alla sconfitta di Muhlberg su cui il De Thou promette di tornare (ivi infatti nel libro IV, vol. I, pp. 135-140) più ampiamente e alla cattura del duca di Sassonia comunicate ad Enrico dallì’ambasciatore di Carlo con una pungente considerazione sul ridicolo senso dell’ostentazione degli spagnoli ivi: “Sub id tempus, cum rex ad Cantiliam….venationibus se exerceret, per Caesaris legatum de pugna infeliciter a foederatis commissa, de qua postea dicemus, et Saxone duce capto certior fit, produca etiam inusitatae amplitudinis ocrea, quam Saxoni post pugnam detractam dicebant, ridiculo hispanicae ostentationis exemplo.” Senza dimenticare inoltre a proposito dello Sleidano che il suo nome viene menzionato nell’elenco delle fonti posto all’inizio di ogni libro, cfr. ad esempio quelli delle pp. 4 e 51.

260

Page 261: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Bibliografia Manoscrittti Archivio di Stato di Firenze: Archivio delle decime Archivio Diplomatico fiorentino, spoglio di S. Maria Novella Mediceo avanti il Principato, filza 118, documento 250, lettera del 20 maggio 1524 di Pierfrancesco Giambullari Mediceo del Principato, filza 1176, inserto n. 3, c. 38, Cristiano Pagni a Pierfrancesco Riccio il 31 marzo 1550 da Pisa. Mediceo del Principato, filza 397, c. 15 Pierfrancesco Riccio a Cristiano Pagni il 1 aprile 1550 da Firenze. Mediceo del Principato, filza 397, cc. 111-112 da Pierfrancesco Riccio a Cristiano Pagni il 5 Aprile 1550. Mediceo del Principato, filza 397, cc. 172-174 Portio a Cosimo da Livorno 9 Aprile 1550 Mediceo del Principato, volume n. 1171, inserto n. 1, Foglio n. 20, lettera inviata da Marzio Marzi de’ Medici Priore di S. Lorenzo a Pier Francesco Riccio preposto di Prato il 13 febbraio 1543 Biblioteca mediceo-laurenziana Cod. 1 dell’Archivio capitolare di S. Lorenzo, Libro dei partiti del Capitolo di S. Lorenzo, 1516-1544. Cod. manoscritto 2317 dell’Archivio capitolare di S. Lorenzo Cod. mss. 2299, Libro dei Partiti del capitolo di S. Lorenzo 1544-1562. Cod. mss. 2479 Ricordi del Camerlingo di Sancto Lorenzo, dell’Archivio capitolare di S. Lorenzo mss 1155 in pergamena dell’Archivio capitolare di S. Lorenzo mss. in pergamena 1159 dell’Archivio capitolare di S. Lorenzo mss. in pergamena 1153 dell’Archivio capitolare di S. Lorenzo nelle pergamene dell’Archivio capitolare 1149 (10 maggio 1534) Biblioteca nazionale di Firenze Carte strozziane, classe XXV, 551, Carte e memorie varie di Vincenzo Borghini Cod. Magliabechiano 111, classe XXIV Cod. Magliabechiano 132, classe XXVI Cod. Magliabechiano 299, classe XXXVII Cod. Magliabechiano 391, cl. XXV Cod. Magliabechiano 395 cl. XX Cod. Magliabechiano 412 classe XXV Collezione genealogica Passerini. Indice delle famiglie nobili, (nella) Giambullari, Passerini carta 158bis e L. Passerini-Illustrazione dell’”albero genealogico della famiglia Giambullari”, carta n. 188. Repertorio numerico del Poligrafo Gargani (nel), carta Giacomo Giandolini 947, e carta Giamberti Gianfaldoni 948 Biblioteca Riccardiana di Firenze ms. 2023 ms. 2305

261

Page 262: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Biblioteca corsiniana di Roma (Accademia dei Lincei) Priorista delle famiglie fiorentine, codice manoscritto n. 415 Bibliografia stampata AA. VV., (Vocabolario della Crusca) seconda impressione…, in Venezia, MDCXXIII, Appresso Iacopo Sarzina. AA. VV., A History of the University in Europe, Cambridge Univeristy Press, 1992-2004, II vol., Universities in Early Modern Europe (!500-1800), edited by H. De Ridder-Symoens, 1996 AA. VV., Apparato et feste nelle nozze dello illustrissimo Signor Duca di Firenze et della Duchessa sua Consorte, con le sue Stanze, Madrigali, Commedia et intermedii in quella recitati, Impressa in Fiorenza per Benedetto Giunta 1539 AA. VV., Guillaume Postel 1581-1981. Actes du colloque International d’Avranches 5-9 septembre 1981, Guy Trèdaniel, Paris, Edtions De La Maisnie, 1985 AA. VV., Index de Venise 1549 Venise et Milan 1554 in Index des livres interdite, Directeur J. M. De Bujanda, Centre d’études de la Renaissance, éditions de l’Universitè de Sherbrooke, librarie Droz, XI, voll., 1985-2002, vol. III, 1987 AA. VV., Letteratura italiana. Gli autori. Dizionario bio-bibliografico e indici, vol. I, a cura di Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1990 AA. VV., Letteratura latina medievale (secoli VI-XV). Un manuale, a cura di Claudio Leonardi e di Ferruccio Bertini, Enzo Cecchini, Lucia Cesarini Martinelli, Peter Dronke, Peter Christian Jacobsen, Michael Lapidge, Emore Paoli, Giovanni Polara, Firenze, Sismel, 2002 AA. VV., Lettere d’uomini illustri conservate in Parma nel regio Archivio dello Stato, a cura di Amadio Ronchini, Parma, 1853, II voll. AA. VV., Omnium gentium mores, leges et ritus, ex multis clarissimimis rerum scriptoribus, a Ioanne Boemo Aubano Teutonico nuper collecti, et novis sine recogniti. Tribus libris absolutum opus, Aphricam, Asiam, et Europam describentibus. Accesit libellus de Regionibus Septentrionalibus, earumque Gentium ritibus, veterum Scriptorum saeculo fere incognitis, ex Iacobo Zieglero Geographo diligentiss. Necnon Mathiae a Michou de Sarmatia Asiana, atque Europea, libri duo. Non sine indice locupletissimo, Venetiis, MDXXXXII. AA. VV., Pietro Giordani nel II centenario dalla nascita, Atti del Convegno di studi, Piacenza, 16-18 marzo 1974, cassa di risparmio di Piacenza, 1974 AA. VV., Prose fiorentine, Firenze, Tartini e Franchi, 1716-1731, voll. 17 AA. VV., Repertorium fontium historiae medii aevi, primum ab Augusto Potthast digestum nunc cura collegii historicorum e pluribus nationibus emendatum et auctum, Romae, MCMXCVII, apud Instituto storico italiano per il Medio Evo, Voll. I-IX/4, 1962-2003 AA. VV., Storia d’Europa, V voll., Torino, Einaudi, 1994,vol. III a cura di Gherardo Ortalli AA. VV., Storia della Letteratura, Fabbri, Milano 1967 AA. VV., The New Cambridge Medieval History, Cambridge, VII voll., 1994-2000 AA. VV., Tiraboschi: miscellanea di studi, a cura di Anna Rosa Venturi Barbolini, Modena, Biblioteca Estense Universitaria, 1997 AA. VV., Tutti i trionfi, carri, mascherate [sic] o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del magnifico Lorenzo vecchio de Medici…infino a questo anno presente 1559, a cura del Lasca, Firenze, L. Torrentino, 1559. AA. VV., Vocabolario degli Accademici della Crusca, con tre indici delle voci, locuzioni, e proverbi Latini, e Greci, posti per entro l’Opera. Con privilegio del sommo pontefice, del Re Cattolico, della Serenissima Repubblica di Venezia, e degli altri Principi, e Potentati d’Italia, e fuor d’Italia, della Maestà Cesarea, del Re Cristianissimo…in Venetia, MDCXII, appresso Giovanni Alberti, 1612. AA. VV., Vocabolario degli accademici della Crusca, in Firenze, nella tipografia galileiana di M. Cellini e c., (quinta impressione) 1863-1866, XII voll.

262

Page 263: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

AA. VV., Vocabolario degli accademici della Crusca, in questa terza impressione Nuovamente corretto e copiosamente accresciuto… , In Firenze MDCXCI, nella stamperia dell’Accademia della Crusca, III voll. AA.VV., Il Medioevo dagli orizzonti aperti, Atti della giornata di Studio per Roberto Lopez, Genova, 9 giugno 1987, Genova, cooperativa grafica, 1989. AA.VV., Nascita dell’Europa ed Europa carolingia: un’equazione da verificare, settimana di studio 19-25 aprile 1979, II voll., Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1981. Agazia, Agathius de Bello Gothorum et aliis peregrinis historiis, per Christoforum Persona Romanorum, priorem sanctae Balbinae, e greco in Latinum traductus in Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit rerum copiosissimus index, Basilare ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI Albertini R., Firenze dalla repubblica al principato. Storia e coscienza politica, Torino, Einaudi, 1995 (ristampa del 1970) Albonico S., Nota ai Testi in Storici e politici del Cinquecento, a cura di Angelo Baiocchi, testi a cura di Simone Albonico, Riccardo Ricciardi, Miano-Napoli, 1994 Albonico S., Pierfrancesco Giambullari. Nota introduttiva in Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di Angela Baiocchi, Ricciardi editore Milano-Napoli, 1994 Alighieri D., La Divina Commedia, a cura di Natalino Sapegno, Firenze, La Nuova Italia, 1993 (prima edizione 1955), III voll. Amerbach B., Die Amerbachkorrespondenz, Basel: verlag des Universitatsbibliothek, 1942-1983, X voll. Ammirato S., Istorie fiorentine di Scipione Ammirato. Parte prima con l’aggiunte di Scipione Ammirato il giovane contrassegnate in carattere in corsivo, Firenze, per L. Marchini e G. Becherini, 1824-1827, XI tomi. Aquilon P., Appendice. Catalogue de l’exposition organisée a la bibliothéque municipale d’Orléans le 15 juillet 1975 in AA. VV., L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979 Aristodemo D., Guicciardini Lodovico in DBI, vol. LXI, Roma, 2003, Arnaldi G., Cangrande della Scala in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1970, V voll., vol. II Arnaldi G., Il canto di Giustiniano, in “La Cultura”, II, 2002 Arrighi V., Eleonora de Toledo, in DBI, vol. XLII, Arrighi V., Figiovanni Giovan Battista, in DBI, vol. XLVII, Roma, 1997 Asso C., La teologia e la Grammatica. La controversia tra Erasmo ed Edward Lee, Firenze, Olschki, 1993 Aubert A., Itinerari della consapevolezza. Un progetto di ricerche ed una collana di studi sulla crisi religiosa del Cinquecento, in “Archivio Storico Italiano”, CLIX, 2001 Aubert, Paolo IV. Politica, Inquisizione e storiografia, Firenze, Le Lettere, 1999, (II ediz.) Backus I., Historical Method and Confessional Identity in the Era of the Reformation (1378-1615), Brill: Leiden-Boston, 2003 Baldacchini L., De Franceschi Francesco, in DBI, vol. XXXVI, 1988 Ballistreri G., Giovanni Francesco Bini (Bino), in DBI, vol. X, Roma 1968 Barbi M., Dante nel Cinquecento in “Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, classe di filosofia e filologia, 1890, vol. VII Barbuto G. M., La politica dopo la tempesta. Ordine e crisi nel pensiero di Francesco Guicciardini, Napoli, Liguori, 2003 Bardi G., Delle cose notabili della città di Venetia, Libri II…, in Venetia, presso gli eredi di Luigi Valvassori, et Giovan Domenico Micheli, MDLXXXIII. Bardi G., Dichiaratione di tutte le Storie che si contengono ne’ quadri posti nuovamente nelle Sale dello Scrutinio, et del Gran Consiglio del Palagio ducale della Sereniss. Repubblica di

263

Page 264: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Venezia, nella quale si ha piena intelligenza delle più segnalate vittorie conseguite di varie nazioni del mondo da Veneziani. In Venezia per Felice Valgrisi 1587 Bardi G., Le età del mondo chronologiche, nelle quali dalla creatione di Adamo, fino all’anno MDXXXI di Christo, brevemente si racconta la origine di tutte le Genti, il principio di tutte le Monarchie, di tutti i Regni, Repubbliche et Principati, La salutifera incarnatione di Christo, con la successione de’ Sommi Pontefici romani, La creatione de’ Patriarchi, Le Congregationi de’ Religiosi, Le Militie de’ Cavalieri, i Concili universali et nazionali, Le Heresie, i Schismi, Le Congiure, Paci, ribellioni, Guerre, et Prodigii, la denominatione di tutti gli Huomini in ogni professione illustri. Con la particolar narratione delle dette cose successe d’anno in anno, nel mondo, Fatte da Girolamo Bardi Fiorentino, in Venetia, appresso i Giunti, MDLXXX. Bardi G., Le vite di tutti i Santi, brevemente descritte per tutti i giorni dell’Anno; ovvero Martirologio Romano, riordinato conforme all’uso del nuovo Calendario Gregoriano; tradotto dalla lingua latina nella volgare da Girolamo Bardi, in Venetia presso Bernardo Giunti 1585. Bardi G., Sommario cronologico, nel quale dalla creatione di Adamo fino all’anno MDLXXVIIII di Cristo. Brevemente si racconta la origine di tutte le Genti, il Principio di tutte le Monarchie, di tutti i Regni, le Repubbliche, et Principati, la Salutifera incarnatione di Cristo, con la successione de’ Sommi Pontefici Romani…, Di Venetia appresso i Giunti 1579 Bardi G., Vittoria navale ottenuta dalla repubblica venetiana contra Ottone, figliolo di Federico primo imperatore. Per la restituzione di Alessandro Terzo, Pontefice massimo venuto a Venetia. Descritta da Girolamo Bardi fiorentino, in Venetia appresso Franceco Ziletti MDLXXXIIII. Bartoli C., Discorsi historici universali di Cosimo Bartoli gentiluomo, et accemico fiorentino, In Venetia, appresso Francesco de’ Franceschi Senese, 1569. Bartoli C., La vita di Federigo Barbarossa, imperatore romano, di Messer Cosimo Bartoli. Allo illustrissimo et ecc. S. il S. Cosimo De Medici, duca di Firenze, et di Siena, in Firenze, appresso M. Lorenzo Torrentino, MDLIX. Battaglia S., Introduzione alla teoria del poeta teologo, in “Cultura e scuola”, XIII-XIV (gennaio-giugno 1965) Battaglia S., Processo a Dante nel Cinquecento, in “Filologia e Letteratura”, Anno XIII, fasc. I Battaglia S., Teoria del poeta teologo in Esemplarità e antagonismo nel pensiero di Dante, vol. II Battini A., Gli atlanti del cinquecento Mercatore e la cartografia moderna, in Alla scoperta del mondo l’arte della cartografia da Tolomeo a Mercatore, presentazione Francesco Sicilia, testi Mauro Bini, Ernesto Milano, Annalisa Battini, Laura Federzoni, Modena, Il Bulino, 2001 Battista A. M., La ‘Germania di Tacito nella Francia illuminista’ in La Fortuna di Tacito dal sec. XV ad oggi, Atti del colloquio di Urbino, 9-11 ottobre 1978, a cura di Franco Gori e Cesare Questa, in “Studi Urbinati”, 1979 Benzoni G., A proposito del doge in AA.VV., I dogi, a cura di Benzoni G., Milano, Electa, 1982, Berni F., Rime poesie latine e lettere edite e inedite ordinate e annotate per cura di Antonio Virgili aggiuntovi la Catrina, il Dialogo contra i poeti e il Commento al capitolo della primiera, Firenze, successori Le Monnier, 1885 Bertoli G., Contributo alla biografia di Lorenzo Torrentino stampatore ducale a Firenze (1547-1563) in AA. VV., Studi in onore di Arnaldo d’Addario, a cura di Luigi Borgia, Francesco de Luca, Paolo Viti, Raffaella Maria Zaccaria, Lecce, Conte editore, 1995, IV voll.. Bibliander T., De optimo genere grammaticorum Hebraicorum commentarius Theodori Bibliandri, Basileae 1542 Bietenholz P. G., Basle and France in the Sixteenth Century. The Basle Humanists and Printers in their Contact with Francophone Culture, Genève, Droz, 1971

264

Page 265: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Bietenholz P. G., Johann Stoffler in Contemporaries of Erasmus. A Biographical Register of the Renaissance and Reformation, a cura di Peter G. Bietenholz, Toronto/Buffalo/London, University of Toronto Press, III Voll., 1985-1987, nel III vol. Biondo F., Blondii Flavii forliviensis de Roma Triumphante libri X, Romae instauratae libri III, Italia illustrata, Historiarum ab inclinato Romanorum imperio Deca III, Basileae 1531 Bonfini A., Antonii Bonfinii Rerum ungaricarum decades tres, nunc demum industria martini Brenneri Bistriciensis Transsylvani in lucem aeditae, antehac nunquam excusae. Quibus accesserunt cronologia Pannonum a Noah usque hac tempora, et coronis Historiae Ungaricae diversorum Auctorum, Basileae ex Roberti Vuinter officina, anno MDXLIII Bonomi I., Introduzione a Giambullari P. F., Regole della lingua fiorentina, Firenze, Accademia della Crusca, 1986, pp. XVII-XVIII. Borghini V., Storia della nobiltà fiorentina. Discorsi inediti o rari, a cura di J. R. Woodhouse, Pisa, Edizione Marlin, 1974 Bouwsma W. J., Concordia Mundi. The Career and Thought of Guillaume Postel (1510-1581), Cambridge, Mass. 1957 Bouwsma W. J., Venice and the Defense of Republican Liberty. Renaissance Values in the Age of the Counter Reformation, Berkeley and Los Angeles: University of California press, 1968 Bramanti V., Ritratto di Ugolino Martelli (1519-1592), “Schede umanistiche”, n. 2 (1999) Brocchi F., Collezione alfabetica di uomini e donne illustri della Toscana dagli scorsi secoli fino alla metà del XIX compilata da F. B. di G. B., Firenze, Tipografia Bonducciana, 1852 Brusegan M., Farri, Giovanni, Domenico, Onofrio e Giovanni Antonio in Dizionario de Tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappella, Editrice Bibliografica, Milano, 1997, vol. I Brusegan M., Franceschi, Francesco de ed eredi in Dizionario de Tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappella, Editrice Bibliografica, Milano, 1997, vol. I Bryce J., Cosimo Bartoli (1503-1572). The Career of a Florentine Polymath, Genève, 1983 Buonarroti M., Il carteggio di Michelangelo. Edizione postuma di Giovanni Poggi, a cura di Paola Barocchi e Renzo Ristori, Firenze, Sansoni, IV voll., 1965-1979 Busolini D. Giusto Fontanini in DBI, vol. XLVIII, Roma, 1997 C. Bartoli, Del modo di misurare e il volgarizzamento in fiorentino del De re Aedificatoria di Leon Battista Alberti, pubblicato presso Torrentino nel 1550 C. Eubel-G. Van Gulik, Hierarchia Catholica Medii Aevi sive Summorum Pontificum, s.r.e. cardinalium, ecclesiarum,antistum series, X voll., 1898-1910 in particolare vol. III 1C. Vivanti, Il mito dell’Ercole Gallico e gli ideali monarchici di renovatio in Id., Lotte politiche e religiose in Francia fra Cinque e Seicento Cadoni G., l’Utopia repubblicana di Donato Giannotti, Milano, Giuffrè, 1978 Calabrò G., L’idea di Europa di Chabod, in “La Cultura”, a. XLII, n. 2, agosto 2004 Cantagalli R., Cosimo I de’ Medici granduca di Toscana, Milano, Mursia,1985 Cantagalli R., La guerra di Siena (1552-1559): i termini della questione senese nella lotta tra Francia ed Asburgo ed il suo risolversi nell’ambito del Principato mediceo, Siena: Accademia degli Intronati, 1962 Cantimori D., Eretici italiani del Cinquecento, a cura di A. Prosperi, Torino, Einaudi, 1992 Cantimori D., Umanesimo e luteranesimo di fronte alla Scolastica, in “Rivista di Studi Germanici”, II, 1937 Cantimori D., Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1975 Capitani O., Enrico VII in Enciclopedia dantesca, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1970, V voll., vol. II. Cappelletti G., Le chiese d'Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia, Giuseppe Antonelli, 1844-1870, XXI voll..

265

Page 266: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Carion J., Cronica Ioannis Carionis conversa ex Germanico in Latinum a doctissimo viro Hermanno Bono et ab autore diligenter recognita, halae suevorum ex officina Petri Brubachij, Anno MDXXXVII, mense Septembri. Carrer L., Scritti critici, a cura di Giovanni Gambarin, Bari, Laterza, 1969 Casati G., Dizionario degli scrittori d’Italia, vol. III, 1934 Ceard J., Le “De Originibus” de Postel et la linguistique de son Temps in AA. VV., Postello, Venezia e il suo mondo, a cura di Marion Leathers Kuntz, Firenze, Olschki, 1988 Cecchi A., Il maggiordomo ducale Pierfrancesco Riccio e gli artisti della corte medicea, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes in Florenz”, XII. Band – 1998 – Heft 1 Celtis K., Oratio protreptica eiusdem in amorem germaniae, cum excusatione praesentis operis, ad illustrissimi principi PalatiniElectoris Cancellarium Florentium de Phenningen, utriusque censurae Doctorem in Irenicus F., Germaniae exegeseos volumina duodecima Francisco Irenico ettelingiacensi exarata. Eiusdem oratio protreptica, in amorem Germaniae, cum praesentis operis excusatione, ad illustriss. Principis Palatini Electoris Cancellarium Florentium de Pheningen, utriusque censure Doctorem. Urbis Norimbergae descriptio, Conrado Celte narratore, Norimbergae 1518 Chabod F., Alcune questioni di terminologia: Stato, nazione, patria nel linguaggio del Cinquecento, in Chabod F., Alle origini dello Sato moderno, Università degli studi di Roma, facoltà di lettere e filosofia, anno accademico 1956-1957, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1957 Chabod F., L’idea di Europa. Prolusione al corso di Storia moderna nell’Università di Roma 22 gennaio 1947 nella “Rassegna d’Italia”, II, 1947, n. 4 e 5 Chabod F., Nazione ed Europa nel pensiero dell’Ottocento in “Quaderni ACI, 6 (1951) Chabod F., Storia dell’idea d’Europa, a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta, Bari, Laterza, 1995, (prima edizione 1964) Chabod F., Venezia nella politica italiana del Cinquecento, in La civiltà veneziana del Rinascimento, G. C. Sansoni, Firenze, 19381Sul quale rinviamo alla voce Dati Giorgio Giamblanco C., Dati Giorgio in DBI, vol. XXXIII, Roma, 1987 Chevalier U., Répertoire des sources historiques du moyen age. Bio-bibliographie, Kraus reprint corporation, New York, New edition, printed in Germany, 1960, II voll. (prima edizione 1905) Cinelli C., Gotti Aurelio in DBI, vol. LVIII, Roma 2002 Cipriani G., Il mito etrusco nel Rinascimento fiorentino, Firenze, Olschki, 1980 Cochrane E., Paolo Giovio e la Storiografia del Cinquecento in Paolo Giovio. IL Rinascimento e la memoria. Atti del convegno (Como 3-5 Giugno 1983), Raccolta storica pubblicata dalla Società storica Comense, vol. XVII, Como, 1985 Cochrane H., Historians and Historiography in the Italian Renaissance, The University of Chicago Press, Chicago- London, 1985 Conti Natale, Delle historie de suoi tempi di Natale de’ Conti. Parte prima e seconda. Di latino in volgare nuovamente tradotta da M. Giovan Carlo Saraceni, in Venetia appresso Damian Zenaro, 1589. Conti Natale, Natalis Comitis Universa Historiae sui temporis libri triginta. Ab anno salutatis nostrae 1545. usque ad annum 1581. Cum duobus Indicibus Laurentij Gotij civis Veneti: Altero Antiquorum et recentium nominum variorum locorum…, Venetiis, Apud Damianum Zenarum, MDLXXXI. Copenhaver B. P., Polidoro Virgilio in Contemporaries of Erasmus, a cura di Bietnholz P. G., 1985-1987, III vol., 1987 Cornaro F., Appendix novissima ad Ecclesias Venetas et Torcella., p. 349. Costa G., Le antichità germaniche nella cultura italiana da Machiavelli a Vico, Bibliopolis, Napoli, 1977 Cozzi G., “Pubblica storiografia” veneziana del ‘500 in “Bollettino dell’istituto di Storia della Società e dello Stato”, V-VII, 1963-64

266

Page 267: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Cozzi G., Ambiente veneziano, ambiente veneto. Saggi su politica, società, cultura nella Repubblica di Venezia in età moderna, Venezia, Marsilio, 1997 Cozzi G., La società veneziana del Rinascimento in un’opera di Paolo Paruta: “Della perfettione della vita politica”in “Atti della deputazione di Storia Patria per le Venezie”, a. 1961, Croce B., Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Bari, Laterza, 1945, II voll. Curcio C., Europa. Storia di un’idea, Firenze, Vallecchi, 1958, II voll. Cutolo A., Introduzione in Liutprando, Tutte le opere (la restituzione, le gesta di Ottone I, La relazione di un’ambasceria a Costantinopoli 891-969) di Liutprando da Cremona, a cura di Alessandro Cutolo, Milano, Bompiani, 1945 Cutolo A., introduzione in Tre cronache medievali. Vite di Carlo Magno, Berengario II, Federico Barbarossa (742-1168), Milano, Bompiani, 1943 D’Addario A., Alle origini dello Stato moderno in Italia. Il caso toscano, a cura di P. Simoncelli, Firenze, Le Lettere, 1998 D’Alessandro A., “Il Gello” di Pierfranacesco Giambullari mito e ideologia nel principato di Cosimo I, in La nascita della Toscana. Dal Convegno di studi per il IV centenario della morte di Cosimo I de’ Medici, Firenze, Olschki, 1980 D’Alessandro A., Cultura e politica nell’Accademia fiorentina: note alle lezioni su Dante di Pierfrancesco Giambullari in “Medioevo e Rinascimento”, ottobre 2002 D’Alessandro A., I Ragionamenti di C. Bartoli in “Annali dell’istituto di filosofia. II, Firenze, Olschki, 1980 D’Alessandro A., La scoperta di un passo di Ateneo nei rapporti tra Guillaume Postel e Pierfrancesco Giambullari, in AA.VV., Postello, Venezia e il suo mondo, a cura di Marion Leathers Kuntz, Firenze, Olschki, 1988 D’Amico J. F., Ulrich von Hutten and Beatus Rhenanus as Medieval Historians and Religious Propagandists in the Early Reformation, in D’Amico J. F., Roman and German Humanism, 1450-1550, edited by Paul F. Glendler, printed by Galliard, Great Yarmouth, Great Britain, 1993 D’Amico J., Beatus Rhenanus and Italian Humanism, in Renaissance Humanism: Foundations, Forms, and Legacy, ed. Albert Rabil, Jr., vol. I, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1988 D’Amico J., Papal history and Curial Reform in Renaissance. Raffaele Maffei’s Brevis Historia of Julius II and Leo X, in Archivium Historiae Pontificiae 18, Roma, 1980 Davidsohn R., I primordi della civiltà fiorentina, vol. IV, parte II. Industria, arti, commercio e finanze, Sansoni, Firenze di id., Storia di Firenze, Sansoni Firenze, 1956-1965, voll. VIII, (traduzione italiana di Geshichte von Florenz di Eugenio Dupré Thesaider). Davis T. Ch, Il buon tempo antico in “Florentine Studies”, ed. N. Rubinstein, Londra, 1968 De Blasi N., Cosimo Bartoli in DBI, vol. VI, Roma, 1964 De Gaetano A. L., Giambattista Gelli and the Fiorentine Academy: the Rebellion against Latin, Firenze, Olschki, 1976 De Thou J.-A, Jac. Augusti Thuani historiarum sui temporis, Londini Excudi curavit Samuel Buckley, MDCCXXXIII, VII tomi. De Thou J.-A., Iac. Aug. Thuani Historiarum sui temporis. Pars I, Parisiis 1604 De Vivo Filippo, Venetian Power in the Adriatic in “Journal of the History of Ideas, vol. 64, no. 2, 2003 Del Beccaro F., Carrer Luiigi in DBI, vol. XX, Roma, 1977 1Della Istoria d’Europa di Pierfrancesco Giambullari libri sette, a cura di Aurelio Gotti, Firenze, Felice Le Monnier, 1856 Di Filippo Bareggi C., In nota alla politica culturale di Cosimo I: l’Accademia fiorentina in “Quaderni Storici”, 1973, n. 23 Diaz F., Il granducato di Toscana, Utet, Torino, 1987, in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, voll. XXIV, 1979-1995

267

Page 268: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Diaz F., L’idea di una nuova élite sociale negli istorici e trattatisti del principato in Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del ‘500, (Raccolta degli atti del convegno tenutosi a Firenze dal 9 al 14 maggio 1980), Firenze, Olschki, 1983, III voll., nel II vol. Dionisotti C., Discorso introduttivo in Pietro Giordani nel II centenario della nascita. Atti del Convegno di studi Piacenza, 16-18 marzo 1974 Dionisotti C., Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, in “Lettere italiane”, XXIV, 1972 Domonkos L., Willibald Pirckheimer in Contemporaries of Erasmus, III voll., 1985-1987, vol. III Dubois C-G., Le Dèveloppement Littèraire d’un mythe nazionaliste avec l’èdition critique d’un traitè inèdit de Guillaume Postel De ce qui est premier pour reformer le monde, Paris, Vrin, 1972 Eginardo, Vita et gesta Caroli cognomento Magni, Francorum regis fortissimi, et Germaniae suae illustratoris, autorisque optime meriti, per Eginhartum, illius quandoque alumnum atque scribam adiuratum, Germanum conscripta in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae, apud Io. Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII Emilio P., Pauli Aemylii Veronensis, historici clarissimi, de rebus gestis Francorum, ad christianissimum Galliarum Regem Franciscum Valesium, eius nominis primus, libri Decem, Parisiis imprimebat Michael Vascosanus sibi et Galeotto a Prato, MDXLIIII Felici L., Tra Riforma ed eresia. La giovinezza di Martin Borrhaus (1499-1528), Firenze, Olschki, 1995 Firpo M., Gli affreschi di Pontormo a san Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997 Firpo M., Il Beneficio di Cristo e il concilio di Trento (1542-1546) in “Rivista di storia e letteratura religiosa”, 1995 Firpo M.-Marcatto D., Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, VI voll., Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1981-1989 Flaminio C., Appendix novissima ad Ecclesiae Venetiae et Torcellaneae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venetiis, Fontanini B., Il beneficio di Cristo. Con le versioni del secolo XVI. Documenti e testimonianze, a cura di Salvatore Caponetto, Firenze-Chicago, Sansoni editore, 1972. Fontanini G., Biblioteca dell’eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini…con le annotazioni del signor Apostolo Zeno istorico e poetacesareo cittadino veneziano, II tomi, Venezia, MDCCLIII, presso Giambattista Pasquali Fontanini G., Della eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini arcivescovo d’Ancira libri tre…, in Roma nella stamperia di Rocco Bernabò, MDCCXXXVI Forti F., Cacciaguida, Enciclopedia dantesca, Roma, 1970, V voll., vol. I Fragnito G., Fattore religioso e consolidamento del principato mediceo, in “Rivista di Storia religiosa”, vol. CXI, fascicolo I, gennaio 1999 Fragnito G., Un pratese alla corte di Cosimo I. Riflessioni e materiali per un profilo di Pierfrancesco Riccio, in “Archivio di studi pratesi”, 1986 Frangenberg T., Bartoli, Giambullari and the Prefaces to Vasari’s Lives (1550), in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes” LXV, the Warburg Institute University of London, 2002 Fubini R., Biondo Flavio in DBI, vol. X, Roma, 1968 Gaguin R., Compendium Roberti Ganguini supra Francorum gestis, impressit…Thilmannus Kerver in inclito Parisiorum gymnasio, 1507 Gandi G., Le corporazioni dell’Antica Firenze. Prefazione dell’on. Ferruccio Lantini presidente della confederazione naz. Fascista dei commercianti con gli stemmidelle arti e

268

Page 269: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

numerose illustrazioni di Firenze scomparsa, edito a cura della confed. Naz. Fascista dei commercianti, 1928 Garin E., L’Umanesimo italiano e la cultura ebraica, in Storia d’Italia, Annali, voll. I-XIX, Torino, Einaudi, 1978-2003, vol. XI, Gli ebrei in Italia, parte prima, 1996 Gelli G. B., Capricci del bottaio, in Gelli G. B., Opere, a cura di Delmo Maestri, Torino, Utet, 1976 Gelli G. B., Dell’origine di Firenze. Introduzione, testo inedito e note a cura di A. D’Alessandro, “Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria”, vol. XLIV, n. s., XXX, 1979 Gelli G. B., Letture edite e inedite sopra la Commedia di Dante, a cura di C. Negroni, Firenze 1887, II voll. Giambullari P. F., Commento sopra il I canto dell’Inferno di Pier Francesco Giambullari in Barbi M., Dante nel Cinquecento in “Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, classe di filosofia e filologia, 1890, vol. VII Giambullari P. F., Degl’influssi celesti. Terza lezione, nel consolato di Carlo Lenzoni in P. Giambullari, Lezioni di messer Pier Francesco Giambullari aggiuntovi l’origine della lingua fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Milano, per Giovanni Silvestri, 1827 Giambullari P. F., Della carità in Lettioni d’accademici fiorentini sopra Dante, Firenze, Doni, 1547 Giambullari P. F., Gello, a cura di Giuseppe degli Aromatari (pseudonimo Subasiano) nel tomo VI della raccolta degli “Autori del ben parlare”, impressa in Venezia, nella Salicata, 1643, in tomi XIX Giambullari P. F., Historia dell'Europa, a cura di C. Bartoli, Venezia, 1566, appresso Francesco de Franceschi senese Giambullari P. F., Il Gello, per il Doni, in Fiorenza 1546 Giambullari P. F., Istoria d’Europa di Messer Pierfrancesco Giambullari dal DCCC al DCCCCXIII, Pisa, presso N. Capurro, co’ caratteri di F. Didot, 1822 Giambullari P. F., Istoria d’Europa di Messer Pierfrancesco Giambullari dal DCCC al DCCCCXIII, testo…di lingua , Milano, N. Bettoni, 1827 Giambullari P. F., Istoria d’Europa…dal DCCC al DCCCCXIII, Milano, casa editrice di M. Guigoni, 1873 Giambullari P. F., Istoria dell’Europa di Pierfrancesco Giambullari dal 800 al 919. Volume unico, a cura di Antonio Fontana, Milano, 1830 Giambullari P. F., Lezioni di messer Pier Francesco Giambullari aggiuntovi l’origine della lingua fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Milano, per Giovanni Silvestri, 1827 Giambullari P. F., Lezzioni di M. Pierfrancesco Giambullari, lette nella Accademia fiorentina, Firenze, Torrentino, 1551 Giambullari P. F., Narrazioni scelte dalle Istorie dell’Europa di Pierfrancesco Giambullari, ad uso delle scuole ginnasiali, con note del prof. Giuseppe Bonamici, Verona, Donato Tedeschi e figli editori, 1892 Giambullari P. F., Pierfrancesco Giambullari accademico fior. De’l sito, Forma, et Misure, dello Inferno di Dante, in Firenze per Neri Dortelata, MDXLIIII Giambullari P. F., Pierfrancesco Giambullari Fiorentino, de la lingua che si parla et scrive in Firenze. Et uno Dialogo di Giovan Batista Gelli sopra la difficoltà dello ordinare detta lingua, in Firenze, Torrentino, 1552 Giambullari P. F., Saggio di poesie edite e inedite di P. F. Giambullari, a cura di Domenico Moreni, nella stamperia Magheri, Firenze, 1820. Giambullari P. F., Storia d’Europa, a cura di G. Marangoni, Milano, Vallardi, 1910 Giambullari P. F., Storia dell’Europa dal DCCC al DCCCCXIII, a cura di L. Carrer, Venezia, Tipi del Gondoliere, 1840 Giambullari P. F., Storia dell’Europa dall’800 al 913, Napoli, tipografia del Tasso, 1832

269

Page 270: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Giambullari P. F., Storia dell’Europa di Francesco Giambullari, con un discorso e copiose annotazioni di Gabriele di Stefano, terza edizione, II voll., Napoli, Gabriele Rondinelli editore, 1862 (prima edizione 1840). Gilbert F., Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a Firenze nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1970 Giordani P., Opere, XIV voll., a cura di Antonio Gussalli, Milano, per Francesco Sanvito, 1854-1863 Giovio P., La prima et seconda parte dell’Historie del suo tempo di Mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera tradotte per M. Ludovico Domenichi, in Fiorenza, MDLI-MDLIII, Torrentino. Giuseppe F., Flavii Iosephi antiquitatum Iudaicarum libri XX ad vetera exemplaria diligenter recogniti…, Vaeneunt Luteciae Aedibus Iacobi Izeruer sub signo geminorum Pullorum in via divi Iacobi, MDXXXV Glendler P. F., L’inquisizione romana e l’editoria a Venezia 1540-1605 (traduzione italiana di Antonella Barzazi dell’americano The Roman Inquisition and the Venetian Press 1540-1605, Princeton Univeristy Press, 1977), Roma, Il Veltro, 1983. Guarini E. F., Città e stato nella storiografia fiorentina del Cinquecento, in AA. VV., Storiografia repubblicana fiorentina (1494-1570), a cura di Jean Jacques Marchand e Jean-Claude Zancarini, Firenze, Franco Cesati editore, 2003 Guenther I. e Peter G. Bietenholz P. G. Jacob Ziegler in Contemporaries of Erasmus, 1985-1987, III voll.,. III vol. Guicciardini L., Commentarii di Lodovico Guicciardini Delle cose più memorabili seguite in Europa specialmente in questi paesi Bassi, dalla pace di Cambrai, del MDXXIX, infino a tutto l’anno MDLX, libri tre. Al Gran Duca di Fiorenza et di Siena. In Vinegia appresso Domenico Farri, 1566 Guicciardini L., Descrittione di M. Lodovico Guicciardini patrizio fiorentino, di tutti i Paesi Bassi, altrimenti detti Germania inferiore. Con più carte di Geographia del paese, e col ritratto naturale di più terre principali, al gran Re cattolico Filippo d’Austria, in Anversa, MDLXVII, appresso Guglielmo Silvio Guicciardini L., Discorso di M. Ludovico Guicciardini delle cause della grandezza di Anversa viene pubblicato nei Tre discorsi appartenenti alla grandezza delle città. L’uno di M. Ludovico Guicciardini. L’altro di M. Claudio Tolomei. Il terzo di M. Giovanni Botero. Raccolti da Messer Giovanni Martinelli, in Roma, appresso Giovanni Martinelli MDLXXXVIII Guicciardini P., Il ritratto vasariano di Luigi Guicciardini. Contributo per la iconografia fiorentina all’avvento di Cosimo I, Firenze, L’Arte della stampa, 1942 Guillon A., Thou de Auguste-Jacques in Biographie universelle, IX, Paris, 1854 Gullino G., Da Ponte Nicolò in DBI, vol. XXXII, Roma 1986 Heckethorn C. W., The Printers of Basle. In the XV and XVI Centuries. Their biographies, Printed Books and Devices, London, printed by unwin brothers at the Gresham press, 1897 Holtzmann W:, Reginone di Prum in Enciclopedia italiana, Roma, istituto Treccani, 1949, vol. XXVIII Huenara H., Eiusdem Hermanni comitis nuenarii brevis narratio de origine et sedibus priscorum francorum in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae, apud Io. Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII Il libro di Montaperti, a cura di Cesare Paoli in Documenti di Storia Italiana,, Firenze, presso G. P. Viesseux, coi tipi di M. Cellini e C. alla galileiana, 1889 Imperatori U. E., Dizionario degli italiani all’estero: dal sec. XIII sino ad oggi, Genova: Emigrante,1956

270

Page 271: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Inghirami F., Storia della Toscana compilata ed in sette epoche distribuita da Francesco Inghirami, Fiesole, Poligrafica fiesolana, 1841-1844, XVI voll. Irenicus F., Germaniae exegeseos volumina duodecima Francisco Irenico ettelingiacensi exarata. Eiusdem oratio protreptica, in amorem Germaniae, cum praesentis operis excusatione, ad illustriss. Principis Palatini Electoris Cancellarium Florentium de Pheningen, utriusque censure Doctorem. Urbis Norimbergae descriptio, Conrado Celte narratore, Norimbergae 1518 Istoria dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pierfrancesco Giambullari. Testo di lingua, Torino, L’Unione tipografico-editrice, 1861 Jacquiot J., La medaille dans l’humanisme allemand in AA. VV., L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979 Jocher C. G./Adleung J. C., Allgemeines Gelehrten-Lexikon. Fortsetzungen und Erganzungen... von H. W. Rotermund, Leipzig: Gleditsch. 1784-1897, 7 Bde Jordanes, Iornandis de origine actuque getarum liber in Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit rerum copiosissimus index, Basilae ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI . Kindermann H., Teatro europeo del Rococò, in Sensibilità razionalismo nel Settecento, Firenze, 1967 Kinser S., The Works of Jacques-Auguste de Thou, The Hague, 1966 Kirner G., Sulla storia d’Europa di Pierfrancesco Giambullari, Pisa, Tipografia T. Nistri e C., 1889 Kuntz M. L., Guillaume Postel and the World state: Restitution and the Universal Monarchy in “History of European Ideas 4”, n. 3-4, Oxford, 1983 Kuntz M. L., Guillaume Postel Prophet of the Restitution of All Things. His Life and Thought, The Hague-Boston-London 1981 Kuntz M. L., Venice, Mith and Utopian Thought in the Sixteenth Century: Bodin, Postel and the Virgin of Venice, Galliard (printers), Norfolk, 1999 Laurens P., Rome et la Germanie chez les poètes humanistes allemands in AA. VV., L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979 Le Mollé R., Giorgio Vasari. L’homme des Médicis, Grasset, Paris, 1995 Lenzoni C., In difesa della lingua fiorentina e di Dante, Firenze, Torrentino, 1557 Lictenau K., Chronicum abbatis Urspergensis, continens historiam rerum memorabilium, a nino Assyriorum rege ad tempora Friderici II Romanorum imperatoris, et Germanicarum Imperatorum res praeclare ac fortiter rpo salute publica gestas, bona fide ab autore conscriptas, complectens: Diligenter per Eruditum quondam virum et historiarum peritissimum recognitum, et beneficio veterum manu scriptorum exemplariorum ab infintis mendis repurgatum. Paraleipomena rerum memorabilium, a Friderico II, usque ad Carolum V. Augustum, hoc est, ab anno domini MCCXXX usque ad annum MDXXXVII, ex probatioribus qui habentur scriptoribus in arctum coacta, et historiae Abbatis Urspergensis per eundem studiosum annexa, Argentorati apud Cratonem Mylium, mense martio, MDXXXVIII Linacre T., Thomae Linacri Britanni De emendata structura Latini sermonis libri sex. Cum Indice copiosissimo in eosdem, Seb. Gryphium excudebat, Lugduni, 1541 Liutprando, Liuthprandi Ticinensis ecclesiae levitae, rerum ab Europae Imperatoribus ac regibus gestarum, historiae in Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io. Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII

271

Page 272: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Lo Re S., Biografie e biografi di Benedetto Varchi, in “Archivio Storico Italiano”, anno CLVI, 1998, disp. IV Lo Re S., La Vita di Numa Pompilio di Ugolino Martelli. Tensioni e consenso nell’Accademia fiorentina (1542-1545), in “Bruniana e Campanelliana”, 2003 Lopez R., La nascita dell’Europa scoli V-XIV, Torino, Einaudi, 1966 (traduzione di Naissance de l’Europe, Parigi, Armand Colin, 1962) Machiavelli N., Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò Machiavelli, a cura di S. Bertelli, XI voll., Milano, Giovanni Salerno, 1979 (III vol.) Maffei G., Storia della letteratura italiana del cavaliere Giuseppe Maffei, terza edizione originale nuovamente corretta dall’autore e riveduta da Pietro Thouar, II voll., Firenze, Le Monnier 1853, (1 edizione 1825) Maffei R., Commentariorum urbanorum Raphaelis volaterrani, octo et triginta libri, accuratius quam antehac excusi, cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto. Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem latio donatus, Basileae, in officina frobeniana, Anno MDXXX Maffei R., Commentariorum urbanorum Raphaelis volaterrani, octo et triginta libri, accuratius quam antehac excusi, cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto. Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem latio donatus, Basileae, in officina frobeniana, Anno MDXXX. Manselli R., Clemente V in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1970, V voll., vol. II Marangoni G., Prefazione in Giambullari P. F., Storia d’Europa, a cura di G. Marangoni, Milano, Vallardi, 1910. Marconcini C., L’Accademia della Crusca dalle origini alla prima edizione del vocabolario (1612), Pisa, tipografia Valenti, 1910. Marconi S., Giannotti Donato, in DBI, vol. LIV, Roma 2000 Marino E., Eugenio IV e la storiografia di Flavio Biondo, in “Memorie Domenicane”, 1973 (IV) Mattia da Micou, Mathiae a Michov De Sarmatia Asiana atque Europea liber duo in Novus orbis regionum ac insularum veteribus incognitarum, una cum tabula cosmographca, et aliquot aliis consimilis argument libellis quorum omnium catalogus sequenti patebit pagina, Parisiis apud Galeotum a Prato, MDXXXII, VIII Novembris Mazzacurati G., Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977. Mazzacurati G., Dante nell’Accademia fiorentina (1540-1560) (tra esegesi umanistica e razionalismo critico), in “Filologia e Letteratura”, Anno XIII, fasc. I Mazzuchelli G., Gli scrittori d’Italia: notizie storiche e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani di Giammaria Mazzuchelli Bresciano, Brescia, Bossini, 1753-1763, II voll.. Mele E., Le fonti spagnole della “Storia dell’Europa” del Giambullari in “Giornale critico della letteratura italiana”, LIX, 1912 Menchi S. S., Erasmo in Italia 1520-1580, Torino, Bollati-Boringhieri, 1987 Merlin P., La forza e la fede. Vita di Carlo V, Roma-Bari, Laterza, 2004 Mexia P., Vite di tutti gl’Imperatori romani, composte in lingua spagnuola da Pietro Messia, et da M. Lodovico Dolce nuovamente tradotte et ampliate.- Alle quali da Girolamo Bardi monaco camaldolese sono state in questa quinta impressione aggiunte le vite di Ferdinando I et di Massimiliano II imperatori, in Venezia, appresso Alessandro Griffio 1578 Roseo M., Delle Historie del mondo, Parte terza. Aggiunte da M. Mambrino Roseo da Fabriano alle Historie di M. Giovanni Tarcagnota…in Vinegia, MDXCII, appresso i Giunti. Miglio M., Storiografia pontificia del Quattrocento, Bologna, Patron, 1975 Milanesi M., Il Tolomeo sostituito. Studi di storia delle conoscenze geografiche nel XVI secolo, Milano, Unicopli, 1984. Monsagrati G., Brighenti Pietro in DBI, vol. XIV, Roma, 1972

272

Page 273: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Monsagrati G., Giordani Pietro in DBI, vol. LV, Roma, 2000 Moreni D., Continuazione delle memorie istoriche dell'ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo in Firenze dalla erezione della chiesa presente a tutto il regno mediceo, Firenze, 1816, II tomi Mortara A., Notizie intorno alla vita ed alle opere di Pier Francesco Giambullari, in P. F. Giambullari, Istoria dell’Europa, Torino, Utet, 1861 Moyer A. E., Textualizing Florence: Fiorentine Studies in the Age of Cosimo I, University of Pennsylvania, 2003. Muenster S., Briefe Sebastian Muensters lateneische und deutsch, a cura di K. H. Burdmeister, C. H. Boehringer Sohn-Ingelheim Am Rhein, 1964 Muenster S., Chaldaica Grammatica, antehac a nemine attentata, sed iam primum per Sebastianum Muensterium obscripta et aedita…[Colophon: Basileae, apud Io. Frobenium, anno 1527]. Muenster S., Cosmographei Basel 1550, a cura di R. Oehme, Theatrum orbis terrarum Ltd., Amsterdam 1968 Muenster S., Cosmographiae universalis Lib. VI in quibus, iuxta certioris fidei scriptorum traditionem describuntur, omnium habitabilis orbis partium situs, propriaque dotes. Regionum Topographicae effigies. Terra ingenia, quibus fit ut tam differentes et varias species res, et animatas et inanimatas, ferat. Animalium peregrinorum naturae et picturae. Nobiliorum civitatum icones et descriptiones. Regnorum initia, incrementa et translationes. Omnium gentium mores, leges, religio, res gestae, mutationes : Item regum et principum genalogiae, ex Henricii Petri officina, Basileae, 1552 Muenster S., Dictionarium Hebraicum ex Rabinorum commentarijs collectum, adiectis iis chaldaicis vocabulis quorum in Bibliis et usus: ab autore Sebastiano non solum dermo locupletum, sed a multis passim mutatis emendatum, ut hac interpolatione liber renatus videatur et plane novuus, Basileae apud Io. Froben, an. MDXXV, mense Novembre Muenster S., Ditionarium Chaldaicum, non tam ad chaldicos interpretes quoque Rabbinorum intelligenda commentaria necessarium: per Sebastianum Muensterum ex baal Aruch et Chal. Biblijs atque Hebraeorum peruschim congestum, Basileae apud Io. Fro. anno M. D. XXVII Muenster S., Germaniae atque aliarum regionum, quae ad imperium usque Costantinopolitanum protenduntur, descriptio, per Sebastianum Muensterum ex Historicis atque Cosmographis, pro tabula Nicolaei Cuse intelligenza excerpta. Item eiusdem tabulae Canon. MDXXX Muenster S., Hebraica Biblia planeque nova Sebastiani Muensteri translatione, post omnei monium hactenus ubivis gentium evulgata, et quoad fieri potuit, hebraicae veritati conformata: adiectis insuper e Rabinorum commentarijs annotationibus haud poenitendis, pulchre et voces ambiguas et obscuriora quaequa elucidantibus, 2 voll., Basilea ex officina Babeliana, impendiis Michaelis Insingrinii et Henrici Petri, 1534. Muenster S., Kalendarium Hebraicum [Sebastiani Muensterii opera], ex Hebraeorum penetralibus iam recens in lucem aeditum: quod non tam hebraicae studiosis quam historiographis et astronomiae peritus subsernire poterit, Basileae, apud J. Frobenium, 1527 Muenster S., S. Muensterii, Dictionarium Trilingue, Henricus Petrus Augusto, anno MDXXX Muenster S., Typi cosmographici et declaratio et usus, per Sebastianum Muensterum in Novus orbis regionum ac insularum veteribus incognitarum, una cum tabula cosmographca, et aliquot aliis consimilis argument libellis quorum omnium catalogus sequenti patebit pagina, Parisiis apud Galeotum a Prato, MDXXXII, VIII Novembris Muratori L., Dissertazioni sopra le antichità italiane nella dissertazione XXIII, Dell’origine o sia dell’etimologia delle voci italiane in Dal Muratori al Cesarotti. Opere di Lodovico Antonio Muratori, a cura di Giorgio Falco e Fiorenzo Forti, V tomi, Riccardo Ricciardi, Verona, 1978, nel tomo I Mutius H., De Germanorum prima origine, moribus, institutis, legibus et memorabilibus pace et bello gestis omnibus omnium seculorum usque ad mensem Augustum anni trigesimi noni

273

Page 274: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

supra millesimum quingentesimum, libri Chronici XXXI ex probatioribus Germanicis scriptoribus in Latinam linguam translati, autore H. Mutio, Basileae apud Henricum Petrum, mense augusto, Anno MDXXXIX Narducci E., Giunte all’opera “Gli scrittori d’Italia” del conte Giammaria Mazzuchelli, tratte dalla Biblioteca Alessandrina, Roma, Salviucci, 1884 Nauclerius J., Iohannis Naucleri praepositi tubingen. Chronica, succinctim copraehendentia res memorabiles seculorum omnium ac gentium, ab initio mundi usque ad annum Christi nati MCCCCC. Cum Auctario Nicolaj Bselij ab anno Domini M. D. I. in annum M.D. XIIII. Et Appendice nova, cursim memorante res interim gestas, ab anno videlicet M. D. XV. Usque in annum presentem, qui est post Christum natum M. D. XLIIII. Rhapsodis partim D. Cunrado Tigemanno, partim Bartholamaeo Laurente…, Coloniae ex officina Petri Quentel anno Christi nati MDXLIIII. Negri G., Istoria degli Scrittori fiorentini. La quale abbraccia intorno a duo mila Autori, che negli ultimi cinque Secoli hanno illustrata co i loro scritti quella nazione, in qualunque materia, et in qualunque Lingua, e Disciplina…, in Ferrara MDCCXXII, per Bernardino Pomatelli Stampatore vescovale Norchiati G., Trattato de' diphtonghi toscani, Venezia, Melchiorre Sessa, 1539 Oldoni M., Introduzione critica in Liutprando da Cremona, Italia e Bisanzio alle soglie dell’anno mille, a cura di Massimo Oldoni e Pierangelo Ariatta, Novara, Europia, 1987 P. Aquilon, La réception de l’Humanisme allemand a Paris a travers la production imprimèe: 1480-1540, in AA. VV., L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979 Pampaloni G., Gli Alighieri, Dante e il buon tempo antico. (Il canto XVI dell’Inferno) in AA. VV., Studi in onore di Arnaldo D’Addario, cit., III vol. Pastor L., Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, Roma, Desclèe e C. Editori pontifici, XVII voll., 1955-1964 (ristampa) Perini L., La vita e i tempi di Pietro Perna, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2002 Petri Y., Gendere, Kabbalah, and the Reformation. The Mystical Theology of Guillaume Postel (1510-1581), Leiden-Boston, Brill, 2004 Petrucci F., Bernardino Corio in DBI, vol. XXIX, Roma, 1983 Petrucci F., Cesarini Alessandro, in DBI, vol. XXIV, Roma, 1980 Peyronel S., Bossi Donato in DBI vol. XIII, Roma, 1971 Piccolomini E. S., Aenae Sylvii Historia Bohemica in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae, apud Io. Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII Piccolomini E. S., Pii.II. pon. Max. Asiae Europaequae elegantissima descriptio, mira festivitate tum veterum, tum recentium res memoratu dignas complectens, maxime sub Federico III. Apud Europeos Chrstiani cum Turcis, Prutenis, Soldano, et caeteris hostibus fidei, tum etiam inter sese vario bellorum eventu commiserunt. Accessit Henrici Glareani, Helvetij, poetae laureati compendiaria Asiae, Africae, Europaequae descriptio, Parisijs apud Galeotum a prato, ad primam Palatij regij columnam, 1534 Pignatti F., Bernardo Giambullari, in DBI, vol. LIV, Roma, 2000 Pignatti F., Pierfrancesco Giambullari, in DBI, vol. LIV, Roma 2000 Pinto G., Della Bella Giano in DBI, vol. XXXVI, Roma, 1988 Pirchkeimer W., Germaniae ex variis scriptoribus perbrevis explicatio. Authore Bilibaldo Pirhkeymero Consiliario Cesareo, Augustae apud Hainricum Steiner, Norimbergae, Anno MDXXX Plaisance M., Còme Ier ou le prince idéal dans le dédicaces et les traités des annés 1548-1552, in Jean Dufournet, Adelin Fiorato, Augustin Redondo, Le pouvoir monarchique et ses supports idéologiques : XIVème-XVIIème siècles, Publications de la Sorbonne Nouvelle, 1990

274

Page 275: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Plaisance M., Culture et politique à Florence de 1542 à 1551: Lasca et les Humidi aux prises avec l'Académie Florentine, in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l'èpoque de la Renaissance, vol. II, Universitè de la Sorbonne nouvelle, Paris 1974 Plaisance M., L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici, Vecchiarelli editore, Roma, 2004 Plaisance M., Le accademie fiorentine negli anni ottanta del Cinquecento in Piero Gargiulo, Alessandro Magini, Stéphane Toussaint, éds., Neoplatonismo, musica, letteratura nel Rinascimento. I Bardi di Vernio e l’Accademia della Crusca, Prato, “Cahiers Accademia”, I, 2000 Plaisance M., Le retour à Florence de Doni: d’Alexandre à Còme in appendice al seminario “Una soma di libri”. L’edizione delle opere di Anton Francesco Doni (Pisa, Facoltà di lettere, ottobre 2002, curato da Gabriella Albanese Plaisance M., Les Dédicaces à Còme Ier: 1546-1550 in Charles Adelin Fiorato, Jean-Claude Margolin, éds., L’écrivain face à son public en France et en Italie à la Renaissance, Paris, Vrin, 1989, pp. 173-187, ora in L’Accademia e il suo principe Plaisance M., Une première affirmation de la politique culturelle de Còme Ier: la transformation de l'académie des "humidi" en académie florentine (1540-1542) in AA.VV., Les écrivains et le pouvoir en Italie à l’époque de la Renaissance, vol. I, Universitè de la Sorbonne Nouvelle, Paris 1973 Platina B., Historia B. Platinae de vitis pontificum romanorum A. D. N. Cristo usque ad Paulum II venetum, Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum onuphrii Panvinij accessione nunc illustrior reddita…, Coloniae, apud Maternum Chorinum, MDLXXIIII. Platina., Historia B. Platinae De vitis Ponitificum Romanorum, A. D. N. Iesu Christo Usque ad Paulum II. Venetum, Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum Onuphriy Panvinij accessione nunc illustrior reddita. Cui Eiusdem Onuhrji Accurata atque fideli opera, reliquorum quoque Pontificum vitae, usque ad Pium V. Pontificem Max. nunc recens adiuncta sunt. Polidoro V., Polydori Vergilii urbinatis anglicae historiae libri XXVI, Basileae, apud Io. Bebelium anno MDXXXIIII Polman P., L’élèment Historique dans la Controverse religieuse du XVIé Siècle, Gembloux imprimerie J. Duculot, éditeur, 1932 Postel G. Linguarum duodecim characteribus differentium Alphabetum, introductio ac legendi modus longe facilimus. Linguarum nomina sequens proxime pagella offeret, Guillielmi Postelli, Barentonii diligentia, Prostant Parisiis apud Dionysium Lescuier 1538 Postel G., De Etruriae regionis, quae prima in orbe Europaeo habitata est, Originibus, Insittutis, Religione et Moribus, et in primis DE AUREI SAECULI DOCTRINA et vita praestantissima quae in divinationis sacrae usu posita est, Gulielmi postelli Commentatio, Florentiae, MDLI Postel G., Gulielmi Postelli Baren. Doleriensis de Originibus seu de Hebraicae linguae et gentis antiquitate, deque variarum linguarum affinitate, liber. In quo ab Hebraorum Chaldeorumve gente traductas in toto orbe Colonias Vocabuli Hebraici argumento, humanitatisque authorum testimono videbis: literas, leges, disciplinasque omnes inde ortas cognosces : communitatemque notiorum idiomatum aliquam cum Hebraismo esse, Prostant Parisiis : apud Dionysium lescuier, sub Porcelli signo e regione D. Hilarii [Parigi] : excudebat Petrus Vidovaeus, vigesima septima Martijs 1538 Potthast A., Wegweiser durch-die Geschichts Werke des europaischen mittelalters bis 1500. Vollstandiges inhaltsverzeichniss zu Acta Sanctorum boll.- Bouquet- Migne- Mon. Germ. Hist.-Muratori- Rerum Britann. Scrpiptores, anhang quellenkunde fur die geschicte del europaischen staaten wahrend des mittelalters, Berlin, W. Weber, 1896, Biblioteca Historica Medii Aevi, II voll.

275

Page 276: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Procopio di Cesarea, Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit rerum copiossimus index, Basileae ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI Procopio, Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit rerum copiosissimus index, Basilare ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI Procopio, Procopii de bello Persico. Impressum per magister Eucharium Silber alias Franck…, 1509, nonis Martio Prosperi A., Tra Evangelismo e Controriforma: G. M. G. (1495-1543), Roma, 1969 Raffaele L., Una dotta spia dell’Austria, Roma, Tipografia operaia romana cooperativa, 1921 Raimondi E., I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Milano, Vita e pensiero, 1989 Reginone di Prum, Reginonis monachi Prumiensis annales, non tam de Augustorum vitis, quam aliorum Germanorum gestis et docte et compendiose disserentes, ante sexigentos fere annos editi, Maguntiae mense augusto, Anno MDXXI, Ioannis Schoeffer Reynolds B. R., Latin Historiography: a Survey, 1400-1600, in “Studies in the Renaissance”, 1955 Rhenanus B., Beati Renani selestadiensis rerum germanicarum libri tres. Adiecta est in calce epistola ad D. Philippum Puchaimerum, de locijs Plinij per St. Aquaeum attactis, ubi mendae quaedameiusdem autoris emaculantur, antehac non a quoquam animadversae, Basilare, in officina frobeniana, anno MDXXXI Ricci A., Lorenzo Torrentino and the Cultural Programme of Cosimo I de’ Medici in AA. VV., The Cultural Politics of Duke Cosimo I de’ Medici, edited by Konrad Eisenbichler, Aldershot, Ashgate, 2001 Ricciardi R., Conti Natale in DBI, vol. XXVIII, Roma, 1983 Ridè J., Un grand projet patriotique: Germania illustrata, in AA. VV., L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979 Ridolfi R., La biblioteca del cardinale Niccolò Ridolfi, in “La Bibliofilia”, anno XXXI, 1929, maggio Rill G., Bonfini Antonio in DBI, Roma, 1970, vol . XII Ritter F., Histoire de l’imprimerie Alsacienne aux XVe et XVIe siècles, éditions F.- X. Le Roux, Strasbourg-Paris, 1955 Roberti M., Il Belgio descritto da un fiorentino del Cinquecento, Firenze, Regia deputazione di storia patria, 1915 Robertson C., Farnese Alessandro in DBI, vol. XLV, Roma, 1995 Romanelli G., Ritrattistica dogale: ombre immagini e volti in AA.VV., I dogi, a cura di Benzoni G., Milano, Electa, 1982, Romeo R., Idea e coscienza di nazione fino alla prima guerra mondiale. Appunti, in “Clio”, 1978, anno XIV, n.1 marzo Rotondò A., Carnesecchi Pietro, in DBI, Roma, vol. XX, 1977 Rozzo U., La cultura italiana nelle edizioni lionesi di Sèbastiene Gryphe 1531-1541, in “LA Bibliofilia”, 1988, disp. II Rubinstein N., Il Medio Evo nella storiografia italiana del Rinascimento, in “Lettere italiane”, 24, 1972 Ruysschaert J., Juste Lipse, éditeur de Tacite in La Fortuna di Tacito dal sec. XV ad oggi, Atti del colloquio di Urbino, 9-11 ottobre 1978, a cura di Franco Gori e Cesare Questa, in “Studi Urbinati”, 1979 Sabellico M. A., Opera M. Antonii Coccii Sabellici in duos digesta tomos Rapsodiae Historiae enneadum XI, Quinque priores uno continentur, altero sex reliquiae cum D. Casparis Hedionis Historica synopsi, qua huius auctoris institum summa fide et diligentia ad

276

Page 277: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

annum MDXXVIII persequitur. His veluti una perpetuaque oratione res memorabiles ab orbe condito in praesens usque tempus gestae, ea perspicuitate narrantur, ut innumeri loci, obscuri apud reliquos historicos Basileae, ex officina Hervagiana, anno MDXXXVIII Salvini F., Fasti consolari dell’Accademia fiorentina di Salvino Salvini. Consolo della medesima e rettore genrale dello studio di Firenze. All’altezza reale del serenissimo Gio. Gastone gran principe di Toscana, in Firenze, 1717, nella stamperia di S. A. R Santi P., Biblia, latino. 1528. Pagnini. Biblia. Habes in hoc libro utriusque In strumenti novam tralationem aeditam a Sancte Pagnino, [ Lugduni, per A. du Ry, 1527]. Sapori A., Una compagnia di Callimala ai primi del Trecento, Firenze, Olschki, 1932 Saxo G., Saxonis Grammatici Danorum historiae libri XVI, trecentis ab hinc annis conscripti, tanta dictionis elegantia, rerumque getarum varietate, ut cum omni vetustate contendere optimo iure videri possint. Accessit rerum memorabilium Index locupletissimum, Basileae apud Io. Bebelium, Anno MDXXXIIII; d’ora in poi Danorum historiae. Scapecchi P., Una carta dell’esemplare riminese delle Vite del Vasari con correzioni di Giambullari. Nuove indicazioni e proposte per la torrentiniana, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes in Florenz”, XII. Band – 1998 – Heft 1 Scarsella A., Alberti Giovanni in Dizionario de Tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappella, Editrice Bibliografica, Milano, 1997, vol. I Schoell F. L., Etudes sur l’humanisme continental à la fin de la Renaissance, Paris, 1926. Sciarrini M., “La Italia Natione”. Il sentimento nazionale italiano in età moderna, Milano, Franco Angeli, Roma, 2004 Secret F., Notes sur Guillaume Postel, VII, Guillaume Postel et Sebastian Muenster, in “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, XXII, 1960 Simoncelli P., Evangelismo italiano del cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo politico, Roma, Istituto storico per l'età moderna e contemporanea, 1979 Simoncelli P., Il caso Reginald Pole. Eresia e santità nelle polemiche religiose del Cinquecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977 Simoncelli P., Il cavaliere dimezzato. Paolo del Rosso “fiorentino e letterato”, Milano, Franco Angeli, 1992 Simoncelli P., Jacopo da Pontormo e Pierfrancesco Riccio. Due appunti, in “Critica Storica”, 17, 1980 Simoncelli P., La lingua di Adamo. Guillaume Postel tra accademici e fuoriusciti fiorentini, Firenze, Olschki, 1984. Simoncelli P., Pontormo e la cultura fiorentina, in “Archivio Storico italiano”, anno CLIII, 1995, disp. III. Simonsfeld H., Der Fondaco dei Tedeschi in Venedig und die Deutsch-Venetianischen Handelsbeziehungen, Stuttgart. Verlag der J. G. Cotta’schen buchhandlung, 1887. Soman A., De Thou and the Index. Letters from Christophe Dupuy (1603-1607), Genève, Droz, 1972. Soman A., The London Edition of De Thou’s History: A Critique of some well-documented Legenda in “Renaissance Quarterly”, vol. XXIV, n.1, 1971 Sozzini L., Opere, edizione critica a cura di Antonio Rotondò, Firenze, Olschki, 1986 Spini G., Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo, Firenze, Vallecchi, 1980 (prima ediz., Firenze, Vallecchi 1945) Spini G., Il principato dei Medici e il sistema degli stati europei nel Cinquecento in Firenze e la Toscana dei Medici nell’europa del Cinquecento, Firenze, Olsckhi, 1983, III voll., vol. I Stella A., Chiesa e Stato nelle relazioni dei nunzi pontifici a Venezia. Ricerche sul giurisdizionalismo veneziano dal XVI al XVIII secolo, Città del Vaticano, 1964 Tacito C., De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti equitis ro. Ab excessu Augusti. Annalium libri sedecim, ex castigatione Aemylij Ferretti, Beati Renani, Alciati, ac Beroaldi, Lugduni apud Sebastianum Gryphium, 1542

277

Page 278: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Tacito C., Gli annali di Cornelio Tacito cavalier romano de’ fatti, e guerre de’ Romani così civili, come esterne: seguite dalla morte di Cesare Augusto, per fino all’imperio di Vespasiano;…da Giorgio Dati fiorentino nuovamente tradotti di latino in lingua toscana, in Venetia, appresso Giovanni Alberti, 1598 Tarcagnota G., Del sito, et lodi della città di Napoli con una breve istoria de re suoi, et delle cose più degne altrove ne medesimi tempi avenute di Giovanni Tarchagnota di Gaeta, Appresso Giovanni Maria Scoto, MDLXVI, in Napoli. Tarzia F., Gaddi Jacopo in DBI, vol. LI, 1998, Roma,. Tateo F., Coccio Macantonio detto Marcantonio Sabellico in DBI, vol. XXVI, Roma 1982 Thou (Jacques Auguste de) in AA. VV., Nouvelle Biographie Gènerale depuis les temps les plus reculès jusq’a nos jours…, publièe par MM. Firmin Didot Frères, Tome Quarante=Cinquiéme, Paris, MDCCCLXVI Timpanaro S., Il Giordani e la questione della lingua in AA. VV., Pietro Giordani nel II centenario dalla nascita, Atti del Convegno di studi, Piacenza, 16-18 marzo 1974, cassa di risparmio di Piacenza, 1974 Tiraboschi G., Storia della Letteratura italiana del cav. Abate Girolamo Tiraboschi. Dall’anno MD fino all’anno MDCCC, Firenze, presso Molni, Landi e c., 1805-1813, IX tomi., (prima edizione Modena, 1772) Tolomeo, Geographia universalis vetus et nova complectens Claudii Ptolemaei alexandrini enarattionis libros VIII. Quorum primus nova translatione Pirkeimheri et accessione commentarioli illustrior quam hactenus fuerit, redditus est. Reliqui cum greco et alijs vetustis exemplaribus collati, in infinitis fere locis castigatiores facti sunt. Addita sunt insuper Scholia, quibus exoleta urbium, montium, fluviorumque nomina ad nostri seculi morem exponentur. Succedunt tabulae Ptolemaicae, opera Sebastiani Muensteri novo paratae modo. His adiectae sunt novae tabulae, modernam orbis facies literis et pictura explicantes, inter quas quidam antehac Ptolomeo non fuerunt additae. Ultimo annexum est compendium geographicae descriptionis, in quo varij gentium et regionum ritus et mores explicantur. Praefixus est quoque universo operi index memorabilium popilorum, civitatum, fluviorum,montium, terrarum, lacuum et c., Basileae apud Henrichum Petrum mense martio anno MDXL Torcellan G., Giornalismo e cultura illuministica nel Settecento veneto, in Settecento veneto, Torino 1969 Tucci U., I meccanismi dell’elezione dogale in AA.VV., I dogi, a cura di Benzoni G., Milano, Electa, 1982, Turchini A., Giberti Gian Matteo, in DBI, vol. LIV, Roma, 2000 U. Chevalier, Otto di Frisinga in Rèpertoire des sources historiques, 1960, II vol. (1905 prima edizione) Ughi L., Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi: nella pietà, nelle arti e nelle scienze con le loro opere o fatti principali compilato da […]Luigi Ughi ferrarese, Ferrara, Rinaldi, 1804, II tomi. Ulvioni P., Cultura politica e cultura religiosa a Venezia nel secondo Cinquecento. Un bilancio, in “Archivio storico italiano”, 1983, CXLI Valacca C., La vita e le opere di Messer Pierfrancesco Giambullari, prima parte 1495-1541, Bitonto, Tipografia editrice N. Garofalo, 1898, Vallone A., Aspetti dell’esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce, Milella, 1966 Vasari G., La vita di Michelangelo. Nelle redazioni del 1550 e del 1568, curata e commentata da Paola Barocchi, V voll., Milano-Napoli, Ricciardi, 1962 Vasari G., Le Vite de’ più eccellenti scultori, pittori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568 testo a cura di Rosanna Bettarini, commento secolare a cura di Paola Barocchi, Firenze, Sansoni editore, 1966-1987, VIII voll. Vasina A., Calcoli Fulcieri Vasina in Enciclopedia dantesca, vol. I

278

Page 279: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

Vasoli C., A proposito della Storia d’Europa del Giambullari, in “Nuova rivista storica”, LXXVII (1993) Vasoli C., Osservazioni sui “Discorsi historici universali” di Cosimo Bartoli in Firenze e la Toscana dei Medici Verga M., Storie d’Europa. Secoli XVIII-XXI, Roma, Carocci, editore, 2004 Vico G. B., Principj di Scienza Nuova d’intorno alla comun natura delle nazioni, in questa terza impressione dal medesimo autore in un gran numero di luoghi corretta, schiarita e notabilmente accresciuta 1744, in Vico G. B., Opere, a cura di Fausto Nicolini, Napoli, Riccardo Ricciardi, Verona, 1953 Villani G., Cronica di Giovanni Villani a miglior lezione ridotta coll’aiuto de testi a penna, Firenze, per il Magheri, 1823-1825, VII tomi, in particolare tomo II Vivanti C., Gli umanisti e le scoperte geografiche, in Il nuovo mondo nella coscienza italiana e tedesca del Cinquecento, a cura di A. Prosperi e W. Reinhard, Bologna 1992 Vivanti C., Henry IV, the Gallic Hercules in “Journal of the Warburg and Courtauld and Institutes”, 30, 1967 Vivanti C., I ”commentarii” di Pio II in Vivanti C., Incontri con la storia. Politica, cultura e società nell’Europa moderna, a cura di Miguel Gotor e Gabriele Pedullà, presentazione di Maurice Aymard, Torino, Seam, 2001 Vivanti C., La formazione e l’opera storiografica di Jacques Auguste de Thou in id., Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 1963 Vocht D. H., History of the Foundation and Rise of the Collegium Trilingue Lovaniense, Louvain, Librarie Universitaire, 1951-1955, IV voll. Watt. M. A., The Reception of Dante in the Time of Cosimo I in AA. VV., The Cultural Politics of Duke Cosimo I de’ Medici, edited by Konrad Eisenbichler, Aldershot, Ashgate, 2001 Weill G., Vie et caractère de Guillaume Postel, traduzione in francese di Francois Secret, Milano, Archè, 1987 (prima edizione 1967) Widukindo, Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io. Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII Wimpheling J., Epitome germanorum, opera Iacobi Vumphelingii selestadiensis et quorum contexta, ac nuper per eruditum quondam recognita, in Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io. Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII Yates F. A., Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1978 Yates F. A., L’idea di monarchia in Francia in Charles Quint et l’ideé d’ empire, in Fétes et cérimonies au temps de Charles Quint, a cura di J. Jacquot, Centre nationale de la recherche scientifique, Paris, 1960 Zambelli P., Balami Ferdinando (Ferrante Siciliano), in DBI, vol. V, Roma, 1963 Zambrini F., Cenni biografici intorno ai letterati illustri italiani: o breve memorie di quelli che co’ loro scritti illustrarono l’Italico idioma [Zambrini Francesco ed.], Faenza: Montanari e Marabini, 1837 Ziegler J., Syria ad Ptolomaici operis rationem. Praeterea Strabone, Plinio, et Antonio auctoribus locupletata. Palestina, iisdem auctoribus, Praeterea historia sacra, et Iosepho, et divo Hieronymo locupletata. Aegyptus, iisdem auctoribus. Praeterea Joanne Leone Arabe grammatico, secundum recentiorum locorum situm, illustrata. Schondia, tradita ab auctoribus, quin eius operis prologo memorantur. Holmiae, civitatis regie, Suetiae,

279

Page 280: PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA …padis.uniroma1.it/bitstream/10805/846/1/vitalifrancesco34.pdf · 1Su Bernardo e Pierfrancesco Giambullari cfr. in DBI, la voce di F.

deplorabilis excidijs per Christiernum Datiae cimbricae regem historiae. Regionum superiorum, singulae tabulae Geographicae, Argentorati apud Petrum Opilionem, MDXXXII Zimmermann P. T. C., Giovio Paolo in DBI, vol. LVI, Roma, 2001 Zimmermann P. T.C., Paolo Giovio: The Historian and The Crisis of Sixteenth Century, Princeton University Press, Princeton 1995. Zorzi F. G., Francisci Georgici Veneti minoritanae familiae De Harmonia mundi totius cantica tria, Venetiis in aedibus Bernardini De Vitalibus calchographi an. DMXXV, mense Septembre

280