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Laboratorio Montessori ISSN 1974-8787 « Pictura est laicorum literatura » di Sabrina Scarpetta ...e quest'è un'arte che si chiama dipignere, che conviene avere fantasia e operazione di mano, di trovare cose non vedute, cacciandosi sotto ombra di naturali, e fermarle con la mano, dando a dimostrare quello che non è sia. E con ragione merita metterla a sedere in secondo grado alla scienza e coronarla di poesia. »Cennino Cennini, Libro dell'Arte. (Umberto Eco, Il nome della rosa, Primo Giorno, Sesta). La pittura è l'arte che consiste nell'applicare pigmenti sospesi in un elemento portante (o in un mezzo) ed un agente collante ad un supporto come la carta , la tela , la seta , la ceramica , il legno o un muro . Il processo in pratica consiste nel cospargere di colore una superficie. L'insieme di forme, colori e segni risultanti possono avere lo scopo di imitare la realtà visibile o di trasporre su una superficie elementi metafisici o astrazioni più o meno slegate dall'elemento figurativo. La pittura gode un posto di primo piano su tutte le arti. Basti pensare a come il concetto stesso di "opera d'arte" (visiva) sia più spontaneamente associato a dipinti piuttosto che a sculture o opere di architettura , per non parlare poi delle cosiddette "arti minori". Oltre ai fattori storici che hanno determinato la divisione tra arti "maggiori" e "minori" (individuate a partire dai saggi di Leon Battista Alberti distinguendo gli aspetti intellettuali rispetto alla manualità, poi canonizzate dalle Accademie nel XVII secolo), la pittura ha un'innegabile facilità di fruizione rispetto alle altre forme artistiche. Quale opera bidimensionale non necessita di particolari sforzi per essere percepita: basta guardarla frontalmente, a differenza di una scultura che si esprime su tre dimensioni, per non parlare della maggiore complessità delle architetture. Ciò significa anche una immensamente maggiore fruibilità, si pensi alla semplice economicità delle riproduzioni fotografiche di pittura, che possono circolare con estrema facilità, impossibile per le opere d'arte tridimensionali. Witelo, un matematico e fisico del XIII secolo originario della Slesia, scriveva che "L'occhio non può comprendere la forma vera delle cose con il semplice sguardo (aspectus), ma sì con l'intuizione diligente (obtudus)". Mentre l'aspectus, semplice visione esteriore, è sufficiente per la pittura e gran parte della scultura, l'obtudus, inteso come sguardo penetrante, raziocinate, è necessario ad esempio per comprendere un'opera architettonica.

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Laboratorio Montessori

ISSN 1974-8787

« Pictura est laicorum literatura »di Sabrina Scarpetta

...e quest'è un'arte che si chiama dipignere, che conviene avere fantasia e operazione di mano, di trovare cose non vedute, cacciandosi sotto ombra di naturali, e fermarle con la mano, dando a dimostrare quello che non è sia. E con ragione merita metterla a sedere in secondo grado alla scienza e coronarla di poesia. »Cennino Cennini, Libro dell'Arte.

(Umberto Eco, Il nome della rosa, Primo Giorno, Sesta).

La pittura è l'arte che consiste nell'applicare pigmenti sospesi in un elemento portante (o in un mezzo) ed un agente collante ad un supporto come la carta, la tela, la seta, la ceramica, il legno o un muro. Il processo in pratica consiste nel cospargere di colore una superficie. L'insieme di forme, colori e segni risultanti possono avere lo scopo di imitare la realtà visibile o di trasporre su una superficie elementi metafisici o astrazioni più o meno slegate dall'elemento figurativo.

La pittura gode un posto di primo piano su tutte le arti. Basti pensare a come il concetto stesso di "opera d'arte" (visiva) sia più spontaneamente associato a dipinti piuttosto che a sculture o opere di architettura, per non parlare poi delle cosiddette "arti minori". Oltre ai fattori storici che hanno determinato la divisione tra arti "maggiori" e "minori" (individuate a partire dai saggi di Leon Battista Alberti distinguendo gli aspetti intellettuali rispetto alla manualità, poi canonizzate dalle Accademie nel XVII secolo), la pittura ha un'innegabile facilità di fruizione rispetto alle altre forme artistiche.

Quale opera bidimensionale non necessita di particolari sforzi per essere percepita: basta guardarla frontalmente, a differenza di una scultura che si esprime su tre dimensioni, per non parlare della maggiore complessità delle architetture. Ciò significa anche una immensamente maggiore fruibilità, si pensi alla semplice economicità delle riproduzioni fotografiche di pittura, che possono circolare con estrema facilità, impossibile per le opere d'arte tridimensionali.

Witelo, un matematico e fisico del XIII secolo originario della Slesia, scriveva che "L'occhio non può comprendere la forma vera delle cose con il semplice sguardo (aspectus), ma sì con l'intuizione diligente (obtudus)". Mentre l'aspectus, semplice visione esteriore, è sufficiente per la pittura e gran parte della scultura, l'obtudus, inteso come sguardo penetrante, raziocinate, è necessario ad esempio per comprendere un'opera architettonica.

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Esistono diverse tecniche pittoriche, che si differenziano sia per i materiali e gli strumenti usati sia per le superfici sulle quali è eseguita l'opera.

Le prime superfici sulle quali l'uomo realizzò primitive forme d'arte pittorica, geometrica e figurativa, furono le pareti di una caverna oppure di una casa o di un tempio.

Nel Medioevo il supporto preferito dai pittori era la tavola di legno, per poi passare con il tempo alla tela, con la quale si ovviò al problema del peso e della relativa instabilità del pannello ligneo.

Altri supporti possono essere: la carta, il metallo, il vetro, la seta, una parete e qualunque altra superficie in grado di mantenere in modo permanente il colore; infatti una eventuale degradazione del dipinto in un lasso di tempo breve costituirebbe, più che un'opera pittorica, una performance artistica.

Sulle pareti l'affresco, il murale e il graffito. Su tavola la pittura a tempera, i colori ad olio ed i colori acrilici. Su carta la pittura a tempera, l'acquerello e il guazzo o guache. Su tela la tempera, la pittura ad olio e la pittura acrilica. Su ceramica le pitture vascolari con ossidi e fondenti. Su seta ed altre stoffe il batik, lo Shibori, il Serti e l'acquerello. Altre tecniche figurative sono: la miniatura, l'acquaforte, l'acquatinta e, in generale, tutte

le tecniche grafiche in grado di produrre opere uniche (ad esempio il disegno) o multiple (stampa da matrice, ma anche digitale).

Nell'esecuzione di opere pittoriche, poi, oltre ad una vasta gamma di superfici e di colori che possono presentarsi puri - pigmenti - o più normalmente già uniti al cosiddetto medium - paste, resine, oli, emulsioni -, si aggiunge la possibilità di utilizzare vari strumenti: pennelli, spatole, aerografo, spray, punte ed anche attrezzi che non nascono per uso artistico ma che che vi sono adattati dalla perizia o dalla fantasia dell'artista.

L'elenco non può considerarsi né esauriente, né tassativa, in quanto possono essere utilizzate, oltre alle superfici più varie, anche tecniche e materiali eterogenei, realizzandosi così opere a tecnica mista (ad esempio il collage con la pittura) o opere polimateriche (ad esempio colori uniti od abbinati a tessuti, carte, materiali inerti, oggetti).Altre forme particolari di arti figurative possono essere il mosaico, l'arazzo o il ricamo.

La pittura a tempera è una tecnica pittorica che utilizza pigmenti in polvere mescolati con vari leganti tra cui tuorlo d'uovo ed acqua distillata. Non va confusa con la tecnica a guazzo.

I supporti sono preferibilmente cartoni compressi o tavole di legno stagionato opportunamente preparate con un imprimitura ottenuta con polvere di gesso di Meudon e colla. La preparazione assai accurata impegna sia la parte frontale che la parte posteriore, onde evitare deformazioni ed impanciature a causa della differente capacità di assorbimento dell'umidità delle due facce.

Un supporto compatto come la muratura ben intonacata e rasata è da secoli un valido supporto per il colore a tempera.

Pur non presentando la stabilità e la profondità di materiale colorato dell'affresco, ha il vantaggio, contrariamente ai colori ad olio, della stabilità delle tinte

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che resteranno sempre uguali a se stesse variando solamente in maniera impercettibile dal momento della stesura alla piena asciugatura.

Il termine tempera è un termine ambiguo: sostanzialmente si riferisce all'azione con cui il pittore 'stempera' o 'mestica' i pigmenti puri unendoli a un legante Con il nome generico di colore a tempera vengono indicate tutte le tecniche dove, come legante dei pigmenti,non vengono utilizzati olii, ma altre sostanze, quali l'uovo, la cera, il latte e la colla.

La denominazione di colore a tempera deriva dal verbo stemperare, ovvero diluire. la tempera più usata in passato era quella cosìdetta all'uovo, quella in cui l'uovo era l'elemento legante. Un altro tipo di tempera particolarmente noto è quella in cui il legante usato è la colla. L'utilizzo della tempera diluita, tecnica utilizzata da molti artisti del Novecento, è detta guazzo.

Fino alla fine del XV secolo questo tipo di tecnica era quella con cui si dipingeva tutto ciò che aveva come supporto tavola, tela o muro a secco.

Nella tradizione pittorica occidentale, dal medioevo al XVIII secolo, questo legante non era identificato necessariamente con l'acqua, o meglio, l'acqua ne era solo uno degli elementi. Spesso alla ricetta di questo legante (medium) partecipava anche l'olio di lino o di noce, la cui presenza porta comunemente a definire una tecnica pittorica come 'pittura ad olio'. In realtà molte pitture antiche, come quelle fiamminghe, venete o fiorentine, che vengono definite ad olio sono tecniche miste, in cui i primi strati erano eseguiti con una sorta di tempera. Perciò il rosso d'uovo, nelle antiche stemperature, non aveva la mera funzione di legante ma, in virtù delle caratteristiche chimiche del tuorlo, anche quella di creare emulsioni di olio e acqua. In alcune antiche ricette, a formare i leganti (medium) per pittura, intervenivano oltre ad acqua e rosso d'uovo anche olii, essenze, resine, balsami e perfino cere.

Da ciò si evince che le odierne definizioni di tecniche a tempera o ad olio mal si attagliano a molte delle antiche produzioni artistiche. Spesso i pittori antichi (un esempio sono il Tintoretto o il Veronese), e in specie per opere di grande formato, eseguivano un primo abbozzo con una sorta di tempera oleosa (perciò non strettamente tempera) e in seguito proseguivano il dipinto su questo strato magro ingrassandolo con maggiori quantità di olii e di resine. Questa sorta di tecnica mista è stata ripresa anche in età moderna da quei pittori, come Giorgio De Chirico, che studiarono in profondità le antiche tradizioni pittoriche in tutti i loro risvolti tecnici. Molte opere di questo maestro sfuggono alle definizioni di tempera od olio ma sarebbero da chiamarsi, come molte opere antiche, con la definizione di tecnica mista.

Un pigmento è una sostanza utilizzata per cambiare colore ad un materiale. Ciò che distingue un pigmento da un colorante è l'incapacità di sciogliersi tanto nei comuni solventi come l'acqua tanto nel substrato da colorare, perciò si dice che i pigmenti si disperdono.

Le caratteristiche principali che si richiedono a un pigmento sono l'insolubilità nel solvente o nel veicolo in cui è disperso, una stabilità fisica, ad esempio resistenza alla luce o al calore, inerzia chimica nei confronti delle sostanze con cui verranno mescolati come leganti, additivi o altri pigmenti.

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I pigmenti sono commercializzati in polvere, pasta o dispersi in un mezzo appropriato, ma si tratta sempre di particelle estremamente fini, dell'ordine dei micron o anche meno. La distinzione si opera in base alla loro natura ed origine e possono essere divisi principalmente in inorganici, organici, naturali o sintetici. La classificazione chimica più adottata è quella della AATTC nel Colour Index, insieme ai coloranti, in base alla struttura chimica.

Il principale campo di applicazione dei pigmenti è quello delle vernici, ma trovano largo impiego anche nel campo delle materie plastiche, fibre sintetiche, inchiostri da stampa, gomma, carta, stampa dei tessuti, cosmetica.

I pigmenti sono inoltre fondamentali nella realizzazione delle opere d'arte perché è grazie alla loro stabilità che si deve la resistenza al tempo.

Riflessione della luce incidenteUna qualunque sostanza ci appare colorata solo in presenza di luce perché è

formata da molecole in grado di assorbire selettivamente la luce incidente a ben determinate fasce di lunghezza d'onda, riflettendo il resto. Nel caso del bianco tutte le lunghezze d'onda vengono riflesse, mentre nel nero tutte le lunghezze d'onda vengono assorbite.Un fotone che colpisce una molecola del pigmento, eccita un elettrone facendolo passare da uno stato fondamentale ad uno stato eccitato su di un orbitale più esterno. Solo i fotoni di una ben determinata energia sono in grado di farlo e sono quelli corrispondenti alle lunghezze d'onda assorbite. La luce riflessa sarà priva di queste lunghezze d'onda e ci apparirà colorata. L'energia assorbita dall'elettrone viene normalmente restituita a lunghezze d'onda che cadono all'esterno della fascia visibile (ad esempio nell'infrarosso) e quindi non sarà percepibile dal nostro occhio.

In natura i pigmenti inorganici si trovano in rocce e minerali e spesso richiedono lunghe lavorazioni per essere purificati; un esempio noto a tutti è il blu oltremare che nel passato veniva estratto dal prezioso lapislazzuli.

Negli animali, i pigmenti sono localizzati soprattutto nel tegumento, determinando la colorazione di pelle, pelo, penne e gusci, ma anche in tessuti e liquidi interni quali sangue e bile. Dal punto di vista chimico i pigmenti hanno origine assai diversa, con gamme di colori proprie di ogni categoria. Le più diffuse sono le melanine che vanno dal giallo al rosso, al bruno, al grigio, fino al nero; tra queste c'è la melanina, il pigmento che determina il colore della pelle umana.

Nei vegetali, i pigmenti sono contenuti nei plastidi, in particolare nei cloroplasti, e sono rappresentati principalmente da clorofille di colore verde, carotenoidi e flavonoidi con colori dal giallo all'arancione tipici dell'autunno, tannini nelle cortecce e pigmenti florali, vasto gruppo che contempla anche gli antociani.

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Meno che rispetto al campo farmaceutico, la chimica dei coloranti e dei pigmenti immette sul mercato nuovi prodotti. La ragione principale risiede nei costi di ricerca, brevetto e produzione che non sempre vengono ripagati in tempi accettabili. Tuttavia esistono molteplici pubblicazioni accademiche e private che indagano lo sviluppo di nuovi pigmenti in applicazioni innovative come nell'optoelettronica o nei settori più maturi come nella tintura di materiali plastici (Aspirinato di rame).

Il guazzo o gouache è un tipo di colore a tempera reso più pesante ed opaco con l'aggiunta di un pigmento bianco (per esempio biacca o gesso) in una miscela con la gomma arabica. Il risultato è un colore più opaco che il normale colore a tempera.

La tecnica si diffuse in Francia nel XVIII secolo, anche se di origine molto più vecchia essendo già in uso in Europa nel XVI secolo, era usato soprattutto per i bozzetti preparatori dei lavori ad olio. Nel XIX secolo si diffuse maggiormente per via dell'impiego nella produzione dei cartelloni pubblicitari.

Il pigmento quando si asciuga diventa leggermente più chiaro e questo rende difficile trovare la giusta tonalità. Un altro problema è che può fessurarsi se applicato in strati troppo spessi; questo inconveniente può essere alleviato usando mezzi di ispessimento come l'acquapasto. Può risultare molto efficace se applicato alla carta colorata, come per esempio nelle opere di William Turner. Il guazzo visto ad una certa distanza somiglia all'olio, asciugandosi prende un tono perlaceo per il bianco che contiene. Il termine guazzo può essere usato anche per indicare un dipinto completamente eseguito con questo tipo di colore.

Il guazzo è il primo tipo di colore ed ancora il più utilizzato per la produzione di decalcomanie; utilizzato anche per ambienti di scenografia.

L'imprimitura è la preparazione del supporto pittorico, consiste nel primo strato di materia che viene applicato al fondo grezzo (sia esso tela, tavola, carta o altro) prima di dipingervi.

Tale preparazione ha una grande importanza, essa può determinare la resistenza e la resa pittorica del dipinto. Non va confusa con quello che, nel linguaggio pittorico, viene definito 'abbozzo' o 'preparazione' di un quadro (che è una fase dell'esecuzione del dipinto e non della finitura del supporto).

L'imprimitura si presenta come uno strato uniforme che ha la duplice funzione di isolare il supporto dalla pittura vera e propria e di regolare la saturazione dei leganti (ad esempio l'olio). Tradizionalmente l'imprimitura si ottiene con diverse ricette a base di colle varie (di coniglio, di farina, di caseina) unite a gesso, bianco di piombo, bianco di Spagna, a uovo, a miele, a olio di lino variando gli elementi ed i dosaggi secondo la tecnica che verrà adottata per l'esecuzione dell'opera (diverse sono ad esempio le imprimiture grasse, adatte alla pittura a olio e quelle magre, adatte alla tempera).

Frequenti nella pittura antica sono le imprimiture a base di terre, come nella pittura veneziana e spagnola (terra di Siviglia), nonché a base di bolo rosso. Anticamente si usavano anche particolari imprimiture nere, ottenute con grafite o nero di vite.

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Oggigiorno i pittori, salvo eccezioni, prediligono generalmente imprimiture bianche e l'industrializzazione dei materiali per belle arti ha fornito e reso d'uso comune nuove imprimiture a base di resine acriliche.

Il blu oltremare è un pigmento inorganico di colore blu. Noto sin dall'antichità è un silicato di sodio e alluminio con inclusioni di solfuri e solfati; in altri termini è un calcare mineralizzato contenente dei cristalli cubici di lazurite. Il colore blu è dovuto al radicale dell'anione S3

- che contiene un elettrone spaiato.In natura si trova una composizione simile nel lapislazzuli, una pietra

semipreziosa che fino al XIX secolo, attraverso una costosa e lunga lavorazione, era utilizzata per la sua produzione. Tale pigmento si identifica oggi come oltremare genuino.

Il nome blu oltremare deriva dal fatto che il lapislazzuli veniva estratto principalmente in Oriente e dai porti del vicino Oriente (Siria, Palestina, Egitto) arrivava in Europa; da qui Oltremare, nome che questi territori avevano in epoca medievale.

Il bacio di Giuda - Cappella degli Scrovegni

Il blu di lapislazzuli nel cielo degli affreschi di Giotto alla Cappella degli Scrovegni

Il più antico uso conosciuto di questo pigmento risale al VI - VII secolo nei dipinti dei templi afghani vicini al più noto giacimento di lapislazzuli. L'uso di questa pietra è documentato in dipinti cinesi del X e XI secolo, in India nei dipinti murali dell'XI, XII e XVII secolo, nei manoscritti anglosassoni e normanni dal 1100 in poi.

Il blu oltremare era un pigmento di difficile lavorazione e, a meno di utilizzare in partenza del minerale molto puro, ciò che si otteneva dopo la macinazione era una polvere blu tendente al grigio chiaro. All'inizio del XIII secolo fu introdotto un metodo per migliorarne la qualità di cui ci rimane una descrizione fatta dall'artista del XV secolo Cennino Cennini.Il minerale,finemente macinato, mescolato con cera fusa, resine ed oli viene avvolto in un panno e impastato in una soluzione diluita di lisciva. Sul fondo del contenitore si raccolgono le particelle blu, mentre le impurità e i cristalli incolori rimangono nella

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massa. Il procedimento va ripetuto almeno tre volte. Il residuo finale, costituito in gran parte da materiale incolore e poche particelle blu, è apprezzato come smalto per la sua trasparenza blu chiara.

Fu ampiamente utilizzato nel XVI e XV secolo insieme al vermiglione e all'oro nei manoscritti illuminati e nei dipinti su tavola dei maestri italiani. Dall'inizio del XVI secolo fu importato in Europa l'azzurro oltremare, dove il lapislazzuli, che era letteralmente pagato a peso d'oro, era presente solo per il 2-3%.Pur avendo un'ottima resistenza alla luce e alle basi, il pigmento viene facilmente scolorito dagli acidi. Per questo motivo era utilizzato negli affreschi solo a secco, cioè applicato in miscela con dei leganti sull'intonaco asciutto come negli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova.

È stato a lungo considerato il blu per antonomasia e, in virtù anche del suo costo, uno dei colori più ricchi e preziosi, spesso associato al rosso porpora e all'oro, in particolare nell'iconografia della Madonna. Gli artisti europei lo usavano con parsimonia sostituendolo quando possibile con un altro pigmento, più economico, l'azzurrite. Sino all'introduzione della pittura ad olio era considerato "blasfemo" mischiare questo colore ad altri.

Sul finire del XVII e nel XVIII secolo a causa di una carenza di azzurrite ci fu una forte richiesta di pigmento blu. Nel 1814 Tassaert osservò la formazione spontanea di un composto blu, simile, se non identico, al blu oltremare in una fornace per la produzione di calce a Saint-Gobain, cosa che spinse la Societé pour l'Encouragement d'Industrie ad offrire un premio per trovare un metodo di produzione artificiale del prezioso pigmento. Tali processi di produzione furono ideati indipendentemente da Jean Baptiste Guimet nel 1826 e da Christian Gmelin, divenuto poi professore di chimica a Tubinga, nel 1828. Mentre Guimet mantenne il suo procedimento segreto, Gmelin lo pubblicò permettendo così la nascita dell'industria dell'oltremare artificiale.

Il metodo di Guimet e Gmelin, tutt'ora in uso, consiste in una miscela in parti uguali di caolino, carbonato o solfato di sodio e zolfo con l'aggiunta di piccoli quantitativi di sostanze riducenti come carbone, colofonia o pece posta in muffola per circa 24 ore ad una temperatura di 800°C. La massa ottenuta, dopo raffreddamento fuori del contatto dell'aria, deve essere macinata e lavata con acqua per eliminare i residui solubili.

Ciò che si forma è un silicato di sodio e alluminio nel cui reticolo cristallino sono inglobate delle molecole di polisolfuro sodico a cui si deve il colore. Sostituendo lo zolfo con il selenio la colorazione vira al rossastro, mentre con il tellurio al giallo.

Il pigmento ha un'ottima resistenza alla luce, al calore e agli alcali, mentre viene attaccato dagli acidi, anche deboli, con sviluppo di acido solfidrico e scomparsa del colore. Oltre i 400°C può decomporre liberando biossido di zolfo.

Il blu oltremare trova ampia applicazione nella produzione di vernici, inchiostri da stampa, materie plastiche, carta e cosmetici.

Gradaz

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ioni di blu

Carta da zucchero

Blu alice

Acquamarina Ciano

Blu polvere

Blu chiaro

Zaffiro

Pervinca Celeste

Blu fiore di granturco

Blu scuro

Lavanda

Blu Dodger

Azzurro

Blu acciaio

Ceruleo

Blu Savoia Denim

Blu ceruleo

Blu reale

Cobalto BluBlu di Persia

Blu pavone

Int. Klein Blue

Blu notte

Indaco

Blu di Prussia

Blu oltremare

Blu marino

Pigmenti inorganici in vendita in un mercato indiano

Blu oltremare

Nome IUPACAlluminosilicato di sodio polisolforatoNomi alternativiPigmento blu 29Color Index: 77007

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Caratteristiche generaliFormula bruta o molecolare Na8-10Al6Si6O24S2-4

Aspetto polvere bluNumero CAS 57455-37-5Numero EINECS 3-099-283Densità (g/cm3, in c.s.) 2,35

Solubilità in acqua insolubileIndicazioni di sicurezzafrasi S: S 14-29

Le sostanze chimiche vanno manipolate con cautela.Il lapislazzuli (meno comune lapislazuli) è una delle pietre preziose considerate tali da più tempo nella storia. La storia di questa gemma risale al V millennio a.C., fu molto usata per la fabbricazione dei gioielli trovati nelle tombe faraoniche in Egitto.È di colore azzurro intenso prevalentemente (ma ne esistono anche campioni di colore più vicino al celeste, a seconda della quantità di calcite), e da questo deriva il suo nome, composto dal latino lapis (pietra) e lazuli, genitivo del latino medioevale lazulum, derivato dall'arabo (al-)lazward, a sua volta dal persiano lāzhward (لوژورد) che significa appunto "azzurro".Lo stesso termine "azzurro" deriva da lāzhward, con la perdita della L iniziale, assimilata con la lam dell'articolo determinativo arabo.Il lapislazzuli è una roccia e non un minerale perché è composto da diversi minerali (prevalentemente lazurite, pirite e calcite).Il Lapislazzuli si trova in giacimenti soprattutto in Afghanistan (Miniera di Sar-e-Sang, in Badakhshan, citata anche da Marco Polo), Cina e Cile. È presente anche in alcune effusioni dei vulcani campani e laziali.

Con il lapislazzuli si creava, attraverso la macinazione e altri procedimenti, il più pregiato blu degli affreschi medievali, dalla tonalità intensa ed estremamente resistente nel tempo. Il costo di questa materia prima era paragonabile a quello dell'oro, se si pensa che le uniche miniere conosciute erano in Afghanistan. La ricchezza del materiale aveva anche un significato devozionale: nell'arte sacra ritrarre la divinità con materiali preziosi era una sorta di offerta che si faceva nei loro confronti.

Il lapislazzuli è anche stato usato, e lo è tuttora, in gioielleria, nell'intaglio e nella scultura. Famose sono le coppe e i vasi in lapislazzuli che appartennero ai Medici, famiglia regnante a Firenze nel XIV - XV secolo.

Il colore e le inclusioni di pirite, che danno l'idea del cielo stellato, hanno reso nell'immaginario umano il lapislazzuli una pietra poetica e legata al cielo.

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Piero della Francesca (Sansepolcro, 1412 – Sansepolcro, 12 ottobre 1492) è stato un pittore e matematico italiano.

La sua opera pittorica - centrata quasi esclusivamente su temi di carattere religioso - servì come punto di riferimento per molti artisti rinascimentali, primo fra tutti l'altro grande maestro della prospettiva nel Quattrocento, Melozzo da Forlì.

Fu un uomo pienamente rinascimentale e dunque fiducioso nelle capacità umane tanto da ritenere che queste, se ben indirizzate, potessero far affacciare l'uomo al dogma. Fin dalle prime opere note si evidenziano le caratteristiche tipiche di Piero: estrema attenzione all'organizzazione prospettica e ritmica, semplificazione geometrica dei volumi, movimento colto nell'attimo in cui esso può eternarsi, passaggi intermedi tra una tonalità di colore ed un'altra per evitare bruschi contrasti, luce non fisica ma intellettuale, che pervade tutte le sue opere: in generale, una realtà decantata dalla mente umana.

La Flagellazione di Cristo è una tempera su tavola realizzata tra il 1444 e il 1469. Il dipinto venne trafugato dal Palazzo Ducale di Urbino il 6 febbraio del 1975, e recuperata poi a Locarno, in Svizzera, il 22 marzo dell'anno successivo, in entrambe le occasioni insieme alla Madonna di Senigallia dello stesso autore.

L'opera, conservata a Urbino nella Galleria Nazionale delle Marche, è danneggiata da tre lunghe fenditure orizzontali e da alcune cadute di colore. Alla base del trono, a sinistra, si legge OPUS PETRI DE BURGO S[AN]C[T]I SEPULCR[I]. A destra, sotto i tre personaggi in primo piano, almeno fino al 1839, secondo il Passavant si leggeva la scritta convenerunt in unum, tratto dal Salmo II, che fa parte del servizio del Venerdi santo, riferito alla Passione di Cristo: Adstiterunt reges terrae et principes convenerunt in unum adversus Dominum et adversus Christum eius.

Si può pensare alla tavola come fosse divisa, in senso verticale, in due aree rettangolari: da sinistra alla colonna a metà piano, l'area in cui è rappresentata la flagellazione e dalla colonna all'estremità destra, l'area occupata dai tre personaggi in primo piano: le due aree stanno fra loro in un rapporto aureo, pari al numero aureo 1,618.

La luce proviene da due punti differenti, da sinistra e da destra, e illumina anche il riquadro del soffitto sotto cui è collocato il Cristo; la forza straordinaria dell'arte di Piero sta propriamente nell'avere connaturato il colore, che in lui è

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immediatamente luce, con la forma, fino a fargli assumere valore plastico. Quanto più guadagna in astrazione, tanto più la forma perde in movimento, dando alla rappresentazione una fissità atemporale: la realtà del fatto particolare coincide con la totalità del reale, il tempo coincide con lo spazio ed è pertanto dato una volta per sempre.

Il risultato espressivo è l'impersonalità, l'assenza di emozioni, la calma solenne nella dignitosa severità manifestata dai personaggi rappresentati: "e tuttavia non esiste Flagellazione più emozionante della sua, quantunque su nessun volto si scorga un'espressione in rapporto con l'avvenimento; anzi, quasi a rendere il fatto più severamente impersonale, Piero introdusse nel meraviglioso dipinto tre maestose figure in primo piano, impassibili come macigni" (Berenson).

L'interpretazione tradizionale vede nel gruppo dei tre personaggi di destra Oddantonio II da Montefeltro, al centro, il duca di Urbino assassinato il 22 luglio 1444 da una congiura ordita dai notabili urbinati Serafini e Ricciarelli, i quali sarebbero i due personaggi ai lati, che potrebbero però identificarsi anche nei suoi due consiglieri, Manfredo dei Pio e Tommaso di Guido dell'Agnello, anch'essi responsabili della sua morte a causa della loro politica impopolare che condusse alla congiura; la morte di Oddantonio, in quanto vittima innocente, verrebbe così assimilata alla Passione di Cristo. Questa interpretazione si basa su elementi piuttosto vacui, che non giustificano il senso complessivo del quadro, per questo gli studiosi si sono sforzati di trovare altre strade per sciogliere quello che è stato definito come "un enigma di Piero della Francesca".

La Sacra Conversazione è un'altra famosa opera di Piero della Francesca, nota

anche come Pala di Brera. Si tratta di una tavola votiva realizzata con intenti celebrativi per la conquista di alcuni castelli in Maremma da parte del duca Federico da Montefeltro. Secondo altre interpretazioni il dipinto intenderebbe celebrare la

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nascita dell'erede del duca Federico, Guidobaldo da Montefeltro o commemorare la morte della moglie Battista Sforza.

L’opera è concordemente datata dalla critica tra il 1472 ed il 1474. A suffragare questa ipotesi vi è una nota settecentesca nei registri del convento di San Bernardino a Urbino, dove il dipinto rimase sino al 1810, anno delle requisizioni napoleoniche, quando pervenne alla sede odierna, la Pinacoteca di Brera a Milano, in cui si legge che l’opera fu eseguita nel 1472 da un certo fra’ Bartolomeo, detto fra’ Carnevale da Urbino. La data del 1474 è confermata dall’assenza delle insegne dell’Ordine della Giarrettiera che Federico da Montefeltro, il personaggio inginocchiato sulla destra, commissionario dell’opera, ricevette proprio in quell’anno.

Per quanto riguarda la paternità dell’opera, è ormai scartata da tutti gli studiosi l’attribuzione a fra Carnevale ed è riconosciuta unanimemente come opera autografa di Piero dello Francesca. Tuttavia, già nel 1891 il critico Cavalcaselle, che per primo pose in discussione l’attribuzione a fra Carnevale, notava un divario rispetto al resto dell’opera nelle mani del duca Federico: Longhi avanzò il nome di Pedro Berreguete raccogliendo un pressoché totale consenso tra gli studiosi. Sono stati effettuati esami che rivelano l’uso di una pennellata ad olio che appare molto scura, probabilmente olio di lino, diverso da quello di noci usato da Piero, da cui risulta quel "lustro" particolare che stona con l'omogeneità del dipinto.Verosimilmente l’opera fu commissionata per il convento di San Bernardino in occasione della nascita di Guidobaldo da Montefeltro, figlio di Federico, avvenuta proprio nel 1472. A proposito di tale evento si legge ancora nella nota che il Bambino presenterebbe le sembianze del piccolo Guidobaldo, mentre la Vergine quelle della duchessa Battista Sforza, morta nello stesso anno e sepolta proprio in San Bernardino.

L’opera presenta al centro la Madonna in trono con Gesù Bambino addormentato. Attorno vi è una schiera di angeli e santi. In basso a destra si trova, appunto, inginocchiato e in armi, il duca Federico. Fa da sfondo alla composizione l’abside di una chiesa dalla struttura architettonica classicheggiante.

La Madonna è la figura più grande della tela e il suo volto è il punto di fuga dell’intera composizione.

Il Bambino ha appeso al collo un ciondolo color corallo che cela rimandi al rosso del sangue, simbolo di vita e di morte, ma anche della funzione salvifica legata alla resurrezione di Cristo.

Federico è esposto più all’esterno, fuori dall’insieme degli angeli e dei santi, come prescriveva il canone gerarchico dell’iconografia cristiana rinascimentale. Le mani, giunte in preghiera, sono insanguinate: sarebbe questo il sangue del fratello Oddantonio, morto nel 1444 a seguito di una congiura, cui pare abbia partecipato Federico che non era erede legittimo del ducato.

I santi ai lati vengono generalmente identificati in Giovanni Battista, Bernardino da Siena (la cui presenza spiega la collocazione nel convento) e Girolamo a sinistra della Madonna; a destra invece si troverebbero Francesco, Pietro martire e Andrea. Nel penultimo Ricci ravvisava invece un’effige di fra’ Luca Pacioli, matematico contemporaneo e conterraneo (era anch’egli di Borgo San Sepolcro) di Piero. Altri invece ritengono il volto un’aggiunta posteriore per equilibrare la composizione. La presenza del Battista è giustificata dal fatto che egli era patrono

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della moglie del duca, mentre san Girolamo è il protettore degli umanisti. San Francesco è presente in quanto la tavola secondo alcune ipotesi sarebbe stata originariamente destinata alla chiesa francescana di San Donato degli Osservanti, che peraltro ospitò per un periodo la tomba del duca Federico.

Gli abiti, molto ricercati, le pietre degli angeli e l’armatura sono dipinti con minuziosi particolari, secondo un gusto tipicamente fiammingo.La struttura architettonica, classicheggiante, messa in risalto dalla fascia di marmo rosso e dalle tarsie marmoree sul sfondo, conferisce maggiore sacralità e monumentalità all’opera. L’impianto prospettico è esaltato dai contrasti fra luce e ombra che si creano nei cassettoni della volta a botte.

L’intera struttura architettonica riecheggerebbe i ritmi di quella reale del convento creando una stretta correlazione e una perfetta corrispondenza tra il dipinto e l’ambiente. Secondo il critico Clark le strutture dipinte sarebbero ispirate dalla chiesa di Sant’Andrea a Mantova di Leon Battista Alberti.

L’abside termina con una conchiglia cui è appeso un uovo di struzzo.La conchiglia è simbolo della nuova Venere, Maria - infatti è perpendicolare

alla sua testa - e della bellezza eterna. Infatti, a differenza della dea greca, nata su una conchiglia da Urano, figlio di Cronos, il Tempo, la bellezza della Vergine non verrà appassita dall’inesorabile corso del tempo, divoratore di ogni cosa, ma rimarrà immutata ed eterna nel Regno di Dio, che vince il tempo e la morte. Secondo un'altra ipotesi, che vede nella figura ovoidale una perla piuttosto che un uovo, il significato della conchiglia sarebbe da associare al dogma dell'Immacolata concezione: la conchiglia genera la perla senza alcun intervento maschile.

L’uovo di struzzo è invece metafora di molti significati. Secondo M. Meiss l’uovo è infatti simbolo alchemico-cristiano dei quattro elementi, come testimoniano vari testi di epoca medioevale. Tuttavia è inteso più comunemente come simbolo di vita, della Creazione. In numerose chiese dell’Abissinia e dell’Oriente cristiano-ortodosso viene spesso appeso nel catino absidale un uovo proprio con quest’ultimo

valore, come segno di vita, di nascita e rinascita del Cristo, in Cristo. Proprio questa valenza rimanderebbe alla nascita del figlio del duca, tanto più che lo struzzo era uno dei simboli della casata del committente. Inoltre l’uovo, illuminato da una luce uniforme, esprime l’idea di uno spazio centralizzato, armonico e geometricamente equilibrato: "centro e fulcro dell'Universo"

Secondo il critico Ragghianti l’opera sarebbe mutilata su tutti i lati. Nella sua ricostruzione l’intera opera sarebbe apparsa “incorniciata in primo piano da pilastri laterali (di cui si scorgono ancora i cornicioni terminali) e da un arcone in controluce”. La sua ricostruzione è apparsa plausibile anche a molti altri studiosi e critici.

Ragghianti, che aveva già notato e provato una simile mutilazione anche in un’altra opera di Piero della Francesca, l’Annunciazione di Perugia, cercò di individuare l’estensione originale della tavole basandosi sulla concordanza armonica

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della composizione: egli vi ravvisava uno “stacco” fra la massa complessiva dei personaggi e il vuoto soprastante. L’equilibrio armonico tra le due parti sarebbe stato garantito dalla sezione aurea impostata sulla linea – parallela alla base – tangente l’apice della testa di Maria. Inoltre secondo questa estensione l’uovo verrebbe a trovarsi sul centro geometrico di tutta la composizione ribadendo l’equilibrio e la simmetria ricercata dai pittori umanisti.

Successivi studi compiuti sull’opera hanno dimostrato che effettivamente l’opera potrebbe aver subito una riduzione: difatti mancano lungo i bordi le consuete sbavature, solitamente presenti in un’opera pittorica indipendentemente la perizia dell’esecutore. L’opera potrebbe dunque essere stata ridotta sui quattro lati e poi accuratamente piallata ai bordi.Gli esami effettuati hanno infatti mostrato evidenti tracce di questa piallatura. Purtroppo risulta difficile datare l’evento.

"Battesimo di Cristo" è un dipinto realizzato tra il 1448 ed il 1450, conservato alla National Gallery di Londra.

Tavola commissionata dalla badia camaldolese di Bornio, formata da due quadrati sovrapposti sormontata da un semicerchio il cui centro è occupato dalla colomba (simbolo dello Spirito Santo), dalla coppa sostenuta dal Battista e dalla figura di Cristo, questo asse mediano genera una partizione calibrata ma non simmetrica: infatti l'albero a sinistra che divide la tavola in rapporto aureo ha maggior valore di cesura che non il gruppo centrale.La luce zenitale annulla le ombre rendendo omogenea tutta la composizione.

I tre angeli, vestiti di colori differenti, diversamente dalla norma iconografica non reggono i vestiti di Cristo ma si tengono per mano, in segno di concordia: molti critici vedono in loro la celebrazione tenutosi in quegli anni a Firenze per l'unificazione della chiesa occidentale con quella orientale (tra di esse uno dei temi maggiormente discussi fu quello della Trinità, in cui aveva avuto un ruolo di spicco il

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camaldolese Ambrogio Traversi). Tale simbolismo sembra essere testimoniato anche dalla presenza, subito dietro il neofita, di personaggi vestiti all'orientale.

La composizione manifesta l'idea di appartenenza dei soggetti al tutto: la colomba dello Spirito Santo è accostabile alle nuvole sullo sfondo, Gesù è assimilabile al bianco tronco d'albero che ha accanto a sé. Alcune note: gli alberi quanto più sono lontani dal Cristo, tanto più sono scuri; il motivo della linea curva si ripropone nelle anse del fiume Giordano e nella postura del giovane battezzando sulla destra; a testimonianza della sintesi geometrica tanto cara a Piero, Giovanni Battista forma con il braccio destro e con la gamba sinistra due angoli della stessa ampiezza.

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARISSIS PUGLIA

CORSO ABILITANTE SPECIALE D.M. 85/05CLASSE A061- STORIA DELL’ARTE

DISCIPLINA: LABORATORIO DI DIDATTICA STORIA DELLE TECNICHE ARTISTICHE

USO DELLA TECNICA PITTORICA DELLA TEMPERA SU TAVOLAIN PIERO DELLA FRANCESCA

DOCENTE: PROF. SPEDICATO

CORSISTA: DOTT.SSA SABRINA SCARPETTA

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ANNO ACCADEMICO 2006-2007