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PROVINCIA DI GENOVA Piano provinciale di gestione dei rifiuti MARZO 2003

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PROVINCIA DI GENOVA

Piano provinciale di gestione dei rifiuti

MARZO 2003

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SOMMARIO Prefazione………………………………………………………………...……………...….….pag. 1 Quadro normativo di riferimento………………………………………………………..……... “ 2 Il piano regionale di gestione dei rifiuti…………………………………………...……...……. “ 5 Aree idonee e non idonee alla realizzazione di impianti per la gestione dei rifiuti, nel territorio della provincia di Genova ………………………………………………….………….“ 11

Repertorio delle aree a destinazione produttiva e per impianti tecnologici idonee per l’insediamento degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti…………..… “ 14

Area 1 Genovese…………………………………..……………….…………... “ 15 Area 2 Tigullio…………………………………………………………………. “ 20 Aree non idonee per l’insediamento di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti speciali……………………………………….…………………….... “ 22

Piano provinciale di gestione dei rifiuti. Stato attuale……………………………...………….. “ 24 La produzione di RSU nella provincia di Genova…………………………………… “ 24 Sistema di smaltimento esistente…………………………………………….……...... “ 45 Raccolta differenziata. Organizzazione esistente…………………………...………... “ 49 Il sistema dei trasporti………………………………………………………….…….. “ 61

Piano provinciale di gestione dei rifiuti. Fase transitoria………………………………..….…. “ 63 Piano provinciale di gestione dei rifiuti. Schemi di sistema…………….………………...…… “ 68

Schemi di sistema. Considerazioni generali…………………………………………. “ 75 Schemi di sistema. Discarica………………………………………………….……… “ 77 Schemi di sistema. Raccolta differenziata……………………………….…………… “ 82 Organizzazione territoriale della RD………………………………….……………… “ 92

Valle Stura……………………………………………………………………… “ 93 Alta Val Trebbia………………………………………………………….…….. “ 94 Val d’Aveto e Valli Graveglia e Sturla………………………………………… “ 94 Val Fontanabuona……………………………………………………………… “ 95 Valle Scrivia……………………………………………………………………. “ 96 Val Petronio…………………………………………………………...……….. “ 97 Lavagna, Chiavari, Leivi……………………………………………………….. “ 99 Zoagli, Rapallo, S. Margherita Ligure, Portofino……………………...………. “ 99 Camogli, Recco, Pieve Ligure……………………………………………...….. “ 99 Arenzano, Cogoleto…………………………………………………………….. “ 100 Area Genovese…………………………………………………...…………….. “ 102

Raccolta differenziata. Valutazioni economiche………………………………..……. “ 105 Schemi di sistema. Stazioni di trasbordo e compattazione………………….………... “ 118

Sostenibilità ambientale…………………………………………………………...…………… “ 119 Sostenibilità ambientale di piano………………………………...…….…………….. “ 120 Sostenibilità ambientale dei. sistemi…………...….………………………..….….… “ 124

Modello di confronto fra i sistemi di gestione proposti. Premessa e scopo del lavoro………………………………………………………...…………...…..… “ 125 Articolazione dell’analisi…………………………………..…………………... “ 126 Elementi di riferimento…………………………………………………….…... “ 127 Il modello di valutazione……………………………….……………………..... “ 129 I risultati del modello………………………………………….………….….… “ 142

Rifiuti speciali………………………………………………………………………….……..... “ 145 Costituzione dell’Autorità d’ambito…………………………………………………...………. “ 159 Allegato “Schema di Convenzione” art.30 del D. L.vo n. 267/2000 Appendice “Attivazione di un processo di partecipazione per la localizzazione dei siti dedicati agli impianti di trattamento dei rifiuti”

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PIANO PROVINCIALE DI GESTIONE DEI RIFIUTI

Prefazione

La produzione dei rifiuti rappresenta uno dei problemi, ancora irrisolto, legati all’attuale sistema socio-economico, ad un modello dei consumi che tende a consolidarsi più che a modificarsi perché porta con sé degli innegabili vantaggi quotidianamente apprezzabili in termini di disponibilità di beni e di loro fruibilità. Alla visibilità dei vantaggi non si contrappone peraltro, per l’utenza diffusa, la coscienza del debito ambientale che tale contesto introduce e mantiene, generando una sorta di fiducia qualunquistica che le istituzioni, gli organismi tecnici e la stessa tecnologia possano rivelare, di fronte al problema “vero” una volta che diventasse tale, la soluzione.

Tale imprevidente ed indifferente posizione cessa e si modifica dando luogo ad una espressione contrapposta, diffidente e conflittuale, presso la comunità prescelta per pagare, da sola, il debito contratto da tutti, dove la pubblica utilità del “sacrificio” viene vissuta come una intollerabile ingiustizia. La casistica riferibile a tale tipo di circostanza è vastissima: la scelta sulla localizzazione degli impianti di smaltimento ha sempre dato luogo ad impatti non trascurabili sulla popolazione coinvolta, che spesso hanno determinato la revisione delle scelte nei termini di una vera e propria rinuncia all’attuazione di quanto programmato.

In questo difficile quadro risulta quanto mai condivisibile la scelta

(positiva!) di una impostazione procedimentale del processo decisionale introdotto dal decreto legislativo n. 22/97- che modifica il ruolo degli Enti che partecipano al processo - individuando, attraverso forme di cooperazione da definirsi da parte degli Enti medesimi, il momento decisorio sulle scelte localizzative, coincidente con l’espressione della volontà di chi detiene la titolarità del pubblico servizio. A tale risultato, tuttavia, è possibile giungere solo attraverso lo sviluppo di un percorso complesso che consente di integrare le singole azioni istituzionali, che possono trovare proprio in tale integrazione l’unica strada per la soluzione del problema comune.

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Quadro normativo di riferimento La normativa precedente l’emanazione del Decreto Legislativo 5 febbraio

1997, n. 22, attribuiva i compiti di pianificazione in materia di rifiuti alla Regione attraverso la redazione di un piano regionale, definito “di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti”, da adottarsi da parte dell’organo consiliare.

Tale piano, ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 915/82, doveva prevedere: - i tipi e i quantitativi di rifiuti da smaltire; - i metodi di trattamento ottimali in relazione ai tipi e alle quantità; - le zone, nonché le modalità di stoccaggio temporaneo e definitivo, ivi

comprese le discariche controllate; - per i rifiuti tossici e nocivi, le piattaforme specializzate per i trattamenti. Sulla base di tali disposizioni la Regione Liguria ha adottato un primo e

quindi un secondo documento pianificatorio, quest’ultimo in vigore fino all’adozione del nuovo piano previsto dal D. L.vo n. 22/97, dove fra l’altro venivano individuate le localizzazioni e i tipi di impianti che avrebbero dovuto essere realizzati. Le previsioni del piano erano articolate su base decennale.

L’impostazione normativa attuale in ordine alla pianificazione delle attività

di smaltimento dei rifiuti innova radicalmente il quadro pregresso, movimentando l’azione e distribuendo competenze, coinvolgendo nel processo decisionale tutti i livelli istituzionali, Stato, Regione, Provincia, Comuni attraverso forme di cooperazione.

In particolare, ai sensi dell’articolo22 del D. L.vo n. 22/97, la Regione è

chiamata ad operare le scelte di carattere generale sui seguenti aspetti: - formulazione dei criteri per l’individuazione da parte delle Province

delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti;

- formulazione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento e la determinazione di disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare;

- determinazione delle condizioni e dei criteri tecnici in base ai quali gli impianti per la gestione dei rifiuti, ad eccezione delle discariche, possono essere localizzati nelle aree destinate ad insediamenti produttivi.

Le Province, sulla base delle indicazioni regionali, ai sensi dell’articolo 20 del D. L.vo n. 22/97 e dell’articolo 32 della Legge Regione Liguria n.18/99, devono provvedere: - alla individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di

coordinamento di cui all’articolo 20 della Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove già adottato, sentiti i Comuni, delle zone idonee alla

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localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani, con indicazioni plurime per ogni tipo di impianto, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti;

- all’individuazione delle eventuali gestioni subprovinciali; - all’individuazione all’interno dell’ATO (ambito territoriale ottimale) di

aree di raccolta differenziata che ottimizzino il sistema della raccolta in relazione alla tipologia ed alla quantità di rifiuti prodotti, all’economia dei trasporti, alle soluzioni tecniche adottate e alle dimensioni e caratteristiche territoriali dell’ATO di riferimento;

- all’individuazione dei metodi e delle tecnologie di smaltimento più idonei in relazione alle quantità e caratteristiche dei rifiuti, agli impianti esistenti e alle prescrizioni del piano regionale;

- all’individuazione delle frazioni di rifiuto oggetto di raccolta differenziata in relazione agli obiettivi e relative modalità di recupero;

- alla stima del fabbisogno di discariche necessarie per lo smaltimento della frazione non recuperabile dei rifiuti urbani per un periodo non inferiore a dieci anni.

Il piano provinciale deve inoltre essere corredato di studio di sostenibilità

ambientale di cui alla L.R. n. 38/98. Le procedure per l’approvazione del piano provinciale di gestione dei rifiuti sono quelle specificate dall’articolo 33 della stessa L.R. n.18/99.

Le Province inoltre, ai sensi dell’articolo 23 del D.L.vo n. 22/97 e

dell’articolo 27 della L.R. n. 18/99, promuovono e coordinano le forme e i modi di cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale.

I Comuni, in base a quanto disposto dagli articoli 21 e 23 del D. L.vo

n.22/97 e dagli articoli 25 e 27 della L.R. n. 18/99, effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui al Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Ai fini della gestione dei rifiuti urbani dell’ambito secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità, i Comuni si organizzano mediante una delle forme associative di cui agli articoli 30 e 31 del D. L.vo n. 267/2000 . Tale organizzazione si attua con la costituzione di un ‘”Autorità d’ambito” alla quale i Comuni aderiscono scegliendo una delle forme di cooperazione per le quali la Provincia deve predisporre gli schemi costitutivi e la carta dei servizi.

Quanto sopra sommariamente evidenziato, desumibile comunque dalla

lettura delle norme, è rivelatore di una vera e propria svolta negli intendimenti del legislatore per quanto riguarda l’approccio alle problematiche di gestione dei rifiuti, laddove non solo si è assistito al superamento dell’impostazione pianificatoria centralista, tendendo a valorizzare il contributo irrinunciabile degli Enti presenti sul territorio, ma anche laddove si assiste ad un forte coinvolgimento

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dei soggetti economici e dei consumatori con l’obiettivo di giungere ad un sistema che punta sulla riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti e sul loro riuso, recupero e riciclaggio.

In questa nuova ottica diventa facilmente intuibile quanto una

pianificazione delle azioni nel settore debba orientarsi verso la predisposizione di schemi fisiologici di sistema più che morfologici, più comportamentali che strutturali.

Infatti una volta stabilita la filosofia del sistema, lo schema strutturale ne

discende in maniera del tutto automatica ed altresì l’individuazione dei siti da destinare alla realizzazione degli impianti segue una logica sequenziale, pur se in ossequio a criteri di carattere generale dettati dal piano regionale.

Come più sopra accennato la redazione del piano regionale diventa

essenziale proprio in funzione della evidenziazione di tali criteri, che costituiscono vincolo per la Provincia ai fini della predisposizione di una mappa che da una parte esclude porzioni di territorio che per vari motivi rientrano fra le zone di salvaguardia e dall’altra evidenzia la fruibilità di spazi per l’insediamento di tutte le componenti impiantistiche di sistema. Proprio sulla definizione di tali componenti deve incentrarsi il piano di gestione dei rifiuti provinciale

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l piano regionale di gestione dei rifiuti

Con deliberazione del Consiglio Regionale del 29.2.2000, n. 17, pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione Liguria in data 5.4.2000, è stato approvato il “Piano regionale di gestione dei rifiuti ai sensi degli articoli 29 e 30 della legge regionale n. 18/1999”.

Il Piano è organizzato in otto capitoli. Oltre ai principi ed obiettivi generali

e all’analisi dello stato di fatto sulla produzione di rifiuti a livello regionale a confronto con il quadro nazionale, nel Piano un’ampia parte è dedicata all’illustrazione delle diverse ipotesi di gestione dei rifiuti sia in ragione delle tecnologie disponibili sul mercato internazionale, sia in ordine al nuovo tipo di organizzazione dei flussi che, attraverso i consorzi di filiera, consente di impostare la gestione dei rifiuti in funzione di obiettivi diversi ed articolati rispetto all’obiettivo di soddisfacimento della capacità di smaltimento, che ha rappresentato in passato l’unico argomento di dibattito per fronteggiare il sempre più cospicuo problema della produzione.

Ai fini dell’allestimento del piano provinciale di gestione dei rifiuti,

tuttavia, le indicazioni fornite dal piano regionale per la parte sopra accennata costituiscono solo base di partenza e disponibilità di dati per una successiva elaborazione nonché innesto sulla realtà concreta del territorio.

Effetto diretto, invece, è destinato a produrre il capitolo “Criteri di

individuazione delle aree idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti”, dove vengono dettate le regole per la scelta dei siti dove possono essere realizzati gli insediamenti che nel loro complesso costituiscono il sistema di “smaltimento” a servizio della comunità provinciale. Tali regole sono vincolanti e si intendono propedeutiche alla formulazione del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, di cui il piano di gestione dei rifiuti costituisce specifica settoriale.

Data l’importanza da attribuirsi a tali criteri e al rapporto causale sulle

scelte territoriali della Provincia si ritiene necessario riproporli nel seguito, quali elementi indispensabili ad una lettura indipendente del presente documento.

(N.B. Nel riproporre lo stralcio del Piano regionale vengono mantenuti

espressi i numeri di paragrafo originali per non alterare i riferimenti interni) 8.1 Criteri generali L’inserimento, in Zone a destinazione produttiva (industriale o artigianale) o finalizzate ad

impianti tecnologici, degli impianti di gestione e trattamento dei rifiuti, ad esclusione delle discariche, è ritenuto criterio preferenziale di localizzazione.

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L’eventuale localizzazione in zone diverse dalle zone destinate ad attività produttive o ad impianti tecnologici potrà essere presa in considerazione tenendo conto dei criteri individuati al paragrafo 8.4.

Al di là delle procedure di valutazione dell’impatto ambientale, che devono essere seguite nei

casi previsti per legge, lo strumento operativo da adottarsi può essere rappresentato dallo studio organico di insieme da approvarsi contestualmente al progetto dell’impianto stesso, secondo quanto già previsto dalle norme di attuazione del vigente P.T.C.P. (artt. 84 e 85).

In linea generale si può affermare pertanto che le nuove localizzazioni dovrebbero interessare

le zone che gli strumenti urbanistici in vigore hanno destinato agli impianti produttivi o agli impianti tecnologici con priorità alle zone nelle quali tali impianti sono già stati realizzati.

Pare opportuno fare osservare come la compresenza, nelle ridette zone produttive di funzioni

commerciali congiuntamente all’artigianato o all’industria, non deve essere vista come fattore di incompatibilità ma, al contrario, soprattutto per gli impianti di conferimento selettivo, come un vantaggio in termini di minori oneri per il conferimento e come una ulteriore garanzia per la qualità dell'impianto.

Ove non sia possibile localizzare gli impianti di recupero e di smaltimento nelle zone di cui

sopra nonché individuare dei siti idonei alla realizzazione di discariche, dovranno essere ricercate zone che rispettino i requisiti indicati dal Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico che, agli artt. 83, 84 e 85 delle Norme di Attuazione, stabilisce che impianti di trattamento dei rifiuti e discariche possono essere realizzati in aree che non siano soggette al regime normativo “Conservazione”, per qualsiasi assetto considerato né in quelle soggette al regime di mantenimento che siano al contempo ricomprese in un sistema di aree di interesse naturalistico ambientale.

Per quanto concerne la possibilità di localizzare impianti per la gestione dei rifiuti nelle zone

agricole, occorrerà effettuare una valutazione caso per caso in ordine a: • presenza di idonee condizioni di stabilità; • condizioni di degrado paesistico superabili o attenuabili con la realizzazione dell’impianto; • interferenze alle visuali più ricorrenti dai percorsi storici ovvero da quelli che rivestono

interesse sotto il profilo turistico; • possibilità di attuare interventi correttivi e mitigazioni; • condizioni progettuali ed operative per il ripristino del sito alla cessazione dell’attività.

8.2 Criteri per l’inserimento degli impianti di gestione rifiuti in aree produttive o

destinate ad impianti tecnologici Fattori escludenti

Non sono idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento: 1. Zone di Conservazione come definite dal P.T.C.P. o di Mantenimento ove comprese nei

sistemi di interesse naturalistico ambientale, in strutture urbane qualificate (SU), parchi urbani (PU) e valori di immagine (IU);

2. Le aree golenali e tutte le aree di ambito fluviale che possano concorrere alla riqualificazione ambientale dello stesso ed il cui utilizzo sia in contrasto con le finalità previste dalla L.R. n. 9/93 che, oltre ad assicurare la difesa del suolo e la tutela dei corpi idrici, persegue “la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi” (art. 1, comma 1);

3. Le aree collocate nelle fasce di rispetto da punti di approvvigionamento idrico a scopo potabile (200 metri o altra dimensione comunque maggiore definita in base a valutazioni delle caratteristiche idrogeologiche del sito), ai sensi del D.P.R. 236/88;

4.1 Le aree individuate a rischio inondazione in base al piano di bacino o piano di bacino stralcio redatto ai sensi della L.R. 9/93;

4.2 Le aree inserite nelle mappe rischio di cui all’art. 6 della L.R. 45/96 “Disciplina delle attività di protezione civile in ambito regionale”;

4.3 Le aree a rischio idrogeologico elevato e a rischio idrogeologico molto elevato inserite nei provvedimenti regionali attuativi del D.L. 180/98 “Misure urgenti per la prevenzione del

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rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania” convertito con legge n, 267/98 e successive modificazioni;

5. Le aree che ricadono entro la fascia di rispetto da strade, autostrade, gasdotti, oleodotti, cimiteri, ferrovie, beni militari, aeroporti e siti di importanza storica e paesistica.

Fattori penalizzanti 1. Zone sottoposte a regime normativo dal Mantenimento sia nell’assetto morfologico che

vegetazionale come da artt. 64 e 71 del P.T.C.P.; 2. Aree carsiche comprensive di grotte e doline ai sensi della L.R. 14/90 relativamente alla

localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti con esclusione delle discariche;

3. Aree su terreni sciolti alluvionali sedi di corpi idrici sotterranei utilizzati per approvvigionamento idropotabile;

4. Zone gravate da usi civici; 5. Zone che interessano direttamente o in termini di interferenze visuali grandi infrastrutture

di comunicazione, si ti e percorsi di importanza storica e paesistica. Fattori preferenziali L’obiettivo generale è favorire la localizzazione degli interventi in zone destinate, dagli strumenti urbanistici, alle attività produttive o impianti e quindi dotate delle pertinenti condizioni in termini di accessibilità, servizi e compatibilità paesistica. In generale la localizzazione ottimale deve garantire le seguenti condizioni: 1. Aree destinate da Piano Regolatore Generale a: zone destinate ad attività produttive o ad

impianti tecnologici; 2. Dotazione di infrastrutture esistenti, viabilità di accesso esistente o facilmente realizzabile,

disponibilità di collegamenti stradali e ferroviari esterni ai centri abitati; 3. Baricentricità del sito rispetto al bacino di produzione e di smaltimento dei rifiuti e con

l’utilizzazione dell’energia o del materiale prodotto; 4. Inserimento in aree degradate quali, tra le altre, discariche esistenti o non più attive, cave

dismesse, al fine di apportare comunque una riqualificazione generale dell’area quali zone definite dal P.T.C.P. come TRZ e, in subordine Trasformabilità, Modificabilità (di tipo a e b);

5. Affioramenti litologici che presentino limitata permeabilità per porosità o fratturazione; 6. Idonea distanza da edifici residenziali; 7. Zone con aree di contorno all’impianto di dimensioni tali da permettere la realizzazione di

opere di mitigazione. 8.3 Criteri per l’individuazione delle aree funzionali alla localizzazione degli impianti di

smaltimento e recupero dei rifiuti – insediamenti in aree non industriali Fattori escludenti Non sono idonei alla localizzazione degli impianti, tra cui le discariche, le zone con le caratteristiche fisiche ed urbanistiche di cui al precedente paragrafo 8.2.1. nonché relativamente alla realizzazione delle discariche di 1° cat. e 2° cat. B e C, le aree carsiche comprensive di grotte e doline ai sensi della L.R. 14/90.

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Fattori penalizzanti Costituiscono fattori penalizzanti alla localizzazione degli impianti, tra cui le discariche, le zone che presentano caratteristiche fisiche ed urbanistiche simili a quelle riportate nel punto relativo ai “fattori penalizzanti” relativo ai “criteri per l’inserimento degli impianti di gestione rifiuti in aree produttive o destinate ad impianti tecnologici”. Fattori preferenziali Nell’ambito delle zone non individuabili nel precedente paragrafo relativo ai “ criteri per l’inserimento degli impianti di gestione rifiuti in aree produttive o destinate ad impianti tecnologici” e pertanto non destinabili urbanisticamente a Zona Produttiva o ad Impianti Tecnologici, costituiscono fattori preferenziali per la localizzazione degli impianti e delle discariche, gli stessi fattori precedentemente individuati al già citato paragrafo al punto 3. 8.4 Criteri integrativi per le singole tipologie di impianto In aggiunta a quanto precedentemente indicato, vengono di seguito stabiliti i fattori escludenti, penalizzanti e preferenziali specifici per le singole tipologie di impianto. 8.4.1. Discariche di 1° cat. e 2° cat. tipo B e C Fattori escludenti 1. Aree carsiche comprensive di grotte e doline ai sensi della L.R. 14/90; 2. Aree su terreni sciolti alluvionali sedi di corpi idrici sotterranei utilizzati per

approvvigionamento idropotabile; 3. Distanza minore di 500 metri tra il perimetro della discarica e il perimetro del più

prossimo ”centro edificato”. Il centro edificato, come definito dalla legge 865/1 è delimitato, per ciascun centro o nucleo abitato, dal perimetro continuo che comprende tutte le aree edificate con continuità ed i lotti interclusi. Non possono essere compresi nel perimetro dei centri edificati gli insediamenti sparsi e le aree esterne, anche se interessate dal processo di urbanizzazione.

Fattori penalizzanti 1. Aree caratterizzate dalla presenza di rocce con elevata permeabilità per fessurazione,

fratturazione o porosità (serpentiniti, conglomerati etc.); 2. Aree agricole di pregio quali le colture permanenti (vigneti, frutteti, oliveti) e seminativi in

terre irrigue; 3. Caratteristiche orografiche(dimensione del bacino imbrifero, acclività dei versanti etc.) tali

da rendere necessarie ingenti opere di regimazione idraulica tra cui, principalmente, il tombinamento dei corpi idrici superficiali.

Fattori preferenziali 1. Sedime costituito da roccia compatta a prevalente componente argillosa(argilliti,

argilloscisti etc.); 2. Caratteristiche orografiche tali da permettere la regimazione delle acque esclusivamente

mediante opere superficiali; 3. Riqualificazione di aree degradate con particolare riferimento alle cave abbandonate o non

più in coltivazione, presenti su affioramenti di rocce compatte a prevalente componente argillosa (argilliti, argilloscisti etc.).

8.4.2. Discariche di 2° cat. tipo A per inerti Fattori penalizzanti 1. Aree carsiche comprensive di grotte e doline ai sensi della L.R. n. 14/90; 2. Aree agricole di pregio quali le colture permanenti (vigneti, frutteti, oliveti) e seminativi in

terre irrigue

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3. Caratteristiche orografiche(dimensione del bacino imbrifero, acclività dei versanti etc.) tali da rendere necessarie ingenti opere di regimazione idraulica tra cui, principalmente, il tombinamento dei corpi idrici superficiali.

Fattori preferenziali 1. Caratteristiche orografiche tali da rendere possibile la regimazione delle acque

esclusivamente mediante opere superficiali; 2. Riqualificazione di aree degradate con particolare riferimento alle cave dismesse; 3. Tra le cave dismesse dovranno essere privilegiate quelle presenti nelle aree di affioramento

di rocce ofiolitiche (rocce verdi) come individuate nel “Piano di Protezione dell’Ambiente dai pericoli derivanti dall’amianto” approvato con deliberazione del Consiglio Regionale 105/96.

8.4.3. Impianti di termoutilizzazione Fattori penalizzanti 1. Condizioni climatiche – orografiche sfavorevoli alla diffusione degli inquinanti, ad esempio

ove condizioni di calma di vento ricorrono con maggiore frequenza.

Fattori preferenziali 1. Zone destinate ad attività produttive o ad impianti tecnologici o contigue alle stesse; 2. Preesistenza di reti di monitoraggio di controllo ambientale; 3. Sostituzione di emissioni esistenti nell’area da utenze industriali, civili e termoelettriche al

fine di produrre un globale miglioramento dell’ambiente; 4. Impianti di termodistruzione già esistenti; 5. Vicinanza di potenziali utilizzatori di calore ed energia. 8.4.4. Impianti a tecnologica complessa Fattori escludenti 1. Aree con presenza di centri edificati, che non possono garantire il permanere di una fascia

di rispetto di almeno 100 metri (verificare per gli impianti che implicano un’aia di maturazione esterna) fra il perimetro dell’impianto e il perimetro dei centri stessi. Nel caso in cui gli impianti prevedano un’aia di maturazione esterna, tale distanza dovrà essere adeguatamente aumentata e comunque non dovrà risultare inferiore a 200 metri.

Fattori penalizzanti 1. Aree su terreni sciolti alluvionali sedi di corpi idrici sotterranei utilizzati per

approvvigionamento idropotabile e aree carsiche comprensive di grotte e doline ai sensi della L.R. 14/90 se il sedime dell’impianto delle aree di maturazione e stoccaggio non risulta impermeabilizzato artificialmente.

Fattori preferenziali 1. Zone destinate ad attività produttive o ad impianti tecnologici o contigue alle stesse; 2. Aree con destinazione agricola relativamente agli impianti di compostaggio. 8.4.5. Centri di conferimento per la raccolta differenziata Fattori preferenziali Al fine di indirizzare le attività di progettazione e realizzazione dei futuri centri di conferimento, si individuano i seguenti criteri: 1. I centri devono essere concepiti come strutture al servizio di ambiti sovracomunali, per le

fasce territoriali di entroterra, con alta frammentazione amministrativa; 2. La realizzazione deve essere con preferenza gestita da enti sovracomunali, come le

Comunità Montane, in grado di contemperare esigenze e necessità dei diversi ambiti territoriali che ad esse fanno capo;

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3. L’impianto deve essere dimensionato e strutturato in modo tale da garantire una capacità di trattamento del materiale congruente con gli obiettivi della raccolta differenziata indicati nel D.Lgs. 22/97;

4. Luoghi abitualmente frequentati, come supermercati, grandi centri commerciali e altri spazi pubblici di richiamo della popolazione;

5. Avere buona accessibilità. Sulla base di tali criteri si è sviluppata la proposta di pianificazione

settoriale nel seguito riportata in ossequio anche agli elementi contenuti nella Descrizione Fondativa del PTC .

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Aree idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti per la gestione dei rifiuti, nel territorio della Provincia di Ge nova L’individuazione delle aree in argomento è stata effettuata tenuto conto, da

un lato, delle analisi e delle sintesi interpretative contenute nel Piano Territoriale di Coordinamento, con specifico riferimento alla valutazione effettuata in ordine alla suscettibilità alle trasformazioni dei diversi Ambiti nei quali è stato articolato il territorio provinciale sulla scorta delle analisi e delle pertinenti sintesi interpretative effettuate con la Descrizione Fondativa dello stesso Piano e, dall’altro, dei criteri localizzativi indicati nel Piano regionale di gestione dei rifiuti approvato con D.C.R. 29.2.2000, n. 17, in precedenza riportati, per la definizione degli aspetti di ordine territoriale connessi alla formazione del Piano provinciale di gestione dei rifiuti.

In sede di definitiva approvazione del PTC, avvenuta con D.C.P. n. 1 del

22 gennaio 2002, nella relativa Struttura, sub Capitolo 7 concernente l’organizzazione del Sistema dei Servizi di Livello Territoriale, si fa, per converso, esplicito rinvio al Piano Provinciale per le Gestione dei Rifiuti per quanto attiene alle relative localizzazioni ed impianti.

Il repertorio delle Aree Idonee alla localizzazione degli impianti per lo

smaltimento ed il trattamento dei rifiuti urbani e di quelle Non Idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento e di recupero di rifiuti speciali, di seguito riportato, costituisce quindi, da un lato applicazione dei “Criteri di individuazione” definiti nell’ambito del “Piano regionale di gestione dei rifiuti, ai sensi degli artt. 29 e 30 della Legge regionale n. 18/1999”, approvato con Deliberazione del Consiglio regionale n. 17 del 29.02.2000, e,dall’altro, il risultato dell’applicazione, sotto gli aspetti urbanistico-territoriali, paesistico-ambientali ed idrogeologici, degli elementi conoscitivi e delle pertinenti sintesi interpretative contenute nella Descrizione Fondativa del Piano Territoriale di Coordinamento provinciale, di cui deve tenersi conto in sede di formazione del predetto Piano provinciale di Gestione dei Rifiuti, atteso che tal ultimo Piano costituisce, ai sensi dell’art. 32, 1° comma, della L.R. 18/1999 “specificazione settoriale del piano territoriale di coordinamento (PTC) di cui all’art. 17 della L.R. 36/1997”.

Tali integrazioni, rispetto ai criteri di individuazione del Piano Regionale,

hanno riguardato, infatti, specifici aspetti derivanti dalla elaborazione della Descrizione Fondativa del PTC, ed in esito a questa, dalla determinazione, per ciascun Ambito in cui è stato articolato il territorio provinciale, della “Stabilità ambientale e della suscettività alle trasformazioni”, così come definita nel Capitolo 7 della predetta Descrizione Fondativa del PTC, nonché, in particolare, nella parte della Struttura del medesimo PTC ove sono stati illustrati, sub Capitolo 1, i “Valori e Crisi del Territoriale Provinciale”.

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Si ricorda, in proposito, che il PTC della Provincia di Genova, prima di

essere definitivamente approvato, è stato esaminato dalla Regione Liguria, con esito favorevole all’ulteriore corso del relativo procedimento di approvazione, con D.C.R. n. 24 del 19.6.2001.

In particolare i criteri integrativi corrispondono ad alcuni degli Elementi di

Valore individuati nella Descrizione Fondativa del PTC sub Temi : Suolo, Sistema Insediativo, Paesaggio, pertinenti alla pianificazione della gestione dei rifiuti.

I criteri che hanno integrato quelli del Piano regionale di gestione dei rifiuti, sono dunque: Tema Suolo: * Assenza di rischi di tipo idraulico : il criterio, peraltro già annoverato tra i Fattori escludenti regionali, è stato considerato per gli ulteriori contributi che potevano derivare dall’analisi effettuata per ciascun Ambito Territoriale del PTC. Tema Sistema Insediativo: * Aree verdi di pausa e cornice: il criterio, introdotto con il PTC, è volto ad evitare che aree libere da edificazione rimaste intercluse nel tessuto urbano od immediatamente prossime a questo e, per tali ragioni, costituendo una irrinunciabile risorsa per la rigenerazione ecologica delle aree urbane , possano essere interessate dalla realizzazione di impianti per lo smaltimento dei rifiuti. Trattandosi di elementi di Valore, segnalati dal PTC, il criterio è stato ricondotto alla categoria regionale dei Fattori escludenti, che risulta così ampliata. * Il territorio non insediato: il criterio, introdotto dal PTC, è volto a tutelare quelle parti del territori provinciale ove sono assenti segni tangibili dell’attività antropica (es. terrazzamenti, aree agricole abbandonate); si tratta di un criterio frutto di una analisi volta al superamento della distinzione operata con il Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico regionale, tra i regimi normativi dell’ANI-MA e dell’ANI-CE, atteso che è stata diffusamente riscontrata l’assenza di effettive diversità negli elementi costitutivi del territorio non insediato, tali da giustificare l’applicazione di regimi normativi differenti. Questa analisi, predisposta sulla base di apposite istruzioni fornite dalle competenti Strutture regionali preposte alla pianificazione paesistica, ha portato a differenziare le aree non insediate (ANI) in due sotto categorie: 1- ANI N – aree non insediate naturalistiche: aree non insediate di vasta

estensione, situate in ambito costiero o interno, di elevato valore naturalistico-ambientale, caratterizzate da un basso livello di antropizzazione, che si evidenzia nella pressoché totale assenza di modificazione del territorio, di apprezzabili forme di insediamento stabile e avente limitate condizioni di accessibilità, per lo più a carattere pedonale;

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2- ANI A – aree non insediate agricole: aree comprese nel territorio non insediato, caratterizzate tuttavia da segni di antropizzazione legati esclusivamente ad uso agricolo del suolo, come fasce, colture agricole e boschive, e dalla presenza di caselle, depositi agricoli, ad esclusivo servizio dell’attività, senza per altro costituire insediamento di presidio.

Tali categorie sono state applicate al territorio portando, da un lato alla identificazione, nella cartografia allegata al Tema Sistema Insediativo del PTC, del Territorio Non Insediato TNI, corrispondente alle ANI N, e, dall’altro, al Territorio Rurale TR, comprendente sia le Aree Non Insediate Agricole- ANI A - che gli Insediamenti Sparsi Agricoli –IS A - ottenuti per diversificazione nell’ambito della categoria generale IS. Il Territorio Non Insediato TNI è pertanto riconducibile alla categoria regionale dei Fattori escludenti, che risulta così ampliata. Tema Paesaggio: * I manufatti emergenti, reali e virtuali: il criterio, peraltro già annoverato tra i Fattori escludenti regionali, è stato considerato per gli ulteriori contributi che potevano derivare dall’analisi effettuata per ciascun Ambito Territoriale del PTC. * Il territorio naturalistico: il criterio, introdotto dal PTC, opera una selezione che integra quanto già evidenziato attraverso il criterio della tutela del territorio non insediato, indicato nel Tema del Sistema Insediativo, segnalando specifici luoghi del territorio provinciale assoggettati, per il valore espresso, a tutela.

Tali criteri sono stati, quindi, applicati al fine della valutazione di idoneità o meno dei siti per la collocazione degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti, ma, soprattutto, al fine della identificazione delle Aree non idonee per l’inserimento degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti speciali, così come espressamente indicato nel Piano provinciale.

Infine, con riferimento alle aree idonee alla localizzazione degli impianti di

smaltimento e recupero dei rifiuti, si è anche tenuto conto, da un lato delle disposizioni normative in materia di biodiversità (disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. 646 dell’8 giugno 2001 relativa ai Siti di Importanza Comunitaria- SIC- ed alla Zone di Protezione Speciale- zPS), di zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante (D.M. 9 maggio 2001) nonché delle indicazioni contenute nei Piani di Bacino Stralcio redatti ai sensi della Legge n. 183/1989 e del D.Lgs. 180/1998 e, dall’altro, della dislocazione della produzione di RSU nel territorio della Provincia di Genova, al fine di dimostrare come la localizzazione delle predette aree idonee alla localizzazione degli impianti risponda al requisito della baricentricità rispetto al bacino di produzione dei rifiuti (cfr. Descrizione Fondativa del PTC provinciale, Tema 5.2 Ambiente – Profilo: Comparto rifiuti “La

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dislocazione della produzione di RSU nel territorio provinciale” da pag. 57 a pag. 58 )

Repertorio delle aree a destinazione produttiva e per impianti tecnologici, idonee

per l’inserimento degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti.

Il repertorio delle aree giudicate idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti si fonda anche sulle indicazioni contenute nei Piani e negli Strumenti Urbanistici Generali dei Comuni della Provincia di Genova concernenti le zone a destinazione produttiva (industriale e artigianale) o per impianti tecnologici, atteso che tale riferimento, oltre a corrispondere ad uno dei “fattori preferenziali” indicati nel Piano Regionale di gestione dei rifiuti, dovrebbe rappresentare il risultato di un percorso di analisi e pertinenti valutazioni già elaborato da ciascun Comune per localizzare aree idonee alla realizzazione di insediamenti che, per le loro caratteristiche di destinazione d’uso, esigenze di accessibilità e morfologia del suolo, tutela dell’ambiente, sicurezza, collocazione nel paesaggio e rispetto al sistema insediativo locale, sono del tutto confacenti alla localizzazione degli impianti del tipo qui trattato.

Per contro il parametro della destinazione d’uso urbanistica è fortemente

“volatile”, atteso che si sono già verificati casi eclatanti di sottrazione della destinazione d’uso urbanistica per le funzioni produttive, nel momento in cui sono state effettuate opzioni di utilizzazione dei relativi siti anche ai fini della localizzazione di impianti per lo smaltimento dei rifiuti (in applicazione dei principi tutt’ora vigenti del D.Lgs. 398/1997); in tali circostanze si è assistito al capovolgimento delle motivazioni che avevano condotto i Comuni alla localizzazione di nuove aree da destinare allo sviluppo di funzioni produttive, ancorché le stesse scelte fossero effettivamente “sostenibili”, specie per quanto attiene alle condizioni di accessibilità, alla separatezza rispetto al sistema insediativo residenziale, all’ammissibilità idrogeologica ed alla tutela degli elementi territoriali rari, irriproducibili o riproducibili a costi elevati.

In questo senso si ritiene, pertanto, cha il fattore della destinazione d’uso

urbanistica, in quanto suscettibile di valutazioni a posteriori imprevedibili scatenati dall’opzione sopra richiamata, non possa essere considerato alla stessa stregua degli altri, ed oggettivi, fattori preferenziali, e, quindi, da assumersi come fattore residuale, aggiuntivo significativo, ma non esclusivo ai fini della selezione dei siti idonei alla localizzazione di impianti per lo smaltimento dei rifiuti.

Ciò, infatti, non esclude, d’latra parte, che possano esistere nell’ambito del

territorio provinciale, localizzazioni che, sebbene non caratterizzate dalla destinazione d’uso urbanistica per gli usi produttivi o per impianti tecnologici, rispondano in modo ottimale agli altri “fattori preferenziali” indicati dal Piano Regionale e caratterizzati da una più evidente oggettività; ci si riferisce, in

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particolare, a tutte quelle zone che possiedono i seguenti requisiti prestazionali oggettivi ed ottimali:

1. viabilità di accesso esistente o facilmente realizzabile, specie se di

livello territoriale (strade statali ed ex statali, strade provinciali principali, assi di scorrimento urbano), meglio se esterna ai centri abitati;

2. collocazione baricentrica rispetto al bacino provinciale di produzione dei rifiuti e di utilizzazione dell’energia o del materiale prodotto;

3. aree caratterizzate da degrado, quali, tra le altre, discariche esistenti o non più attive, cave dimesse, ambiti morfologicamente modificati, zone definite dal PTCP come TRZ e, in sub ordine Trasformabilità, Modificabilità ( di tipo a e b);

4. aree poste ad idonea distanza da edifici residenziali; 5. presenza di aree libere di contorno che consentano la possibilità di

realizzare opere di mitigazione, quanto meno in termini di piantumazione di essenze ad alto fusto, ovvero dove sia già presente un contorno boscato.

I requisiti dianzi elencati corrispondono, d’altra parte, ai “fattori

preferenziali” indicati dal Piano Regionale per la gestione dei rifiuti, che possono, quindi, essere applicati, a prescindere dalle destinazioni d’uso contenute nei Piani e negli Strumenti urbanistici, a tutte quelle parti del territorio provinciale ove si riscontri l’esistenza di una prevalenza dei predetti fattori prestazionali preferenziali.

E’, infatti, da precisarsi che eventuali altri siti, oltre a quelli in seguito

specificatamente elencati dal presente Piano Provinciale, potranno essere in ogni modo individuati dall’ATO o mediante accordi interistituzionali, talchè il successivo repertorio deve considerarsi una prima applicazione dei criteri qui complessivamente richiamati, suscettibile di modificazioni ed integrazioni purchè debitamente argomentate nel senso esposto, non costituendo, dunque, elemento del Piano rispetto al quale eventuali diverse localizzazioni ne comportino l’obbligo dell’aggiornamento o della variazione.

Ciò premesso, in applicazione del Criterio Generale indicato dal Piano

regionale secondo il quale “in linea generale si può affermare pertanto che le nuove localizzazioni dovrebbero interessare le zone che gli strumenti urbanistici in vigore hanno destinato agli impianti produttivi o agli impianti tecnologici con priorità alle zone nelle quali tali impianti sono già stati realizzati”, visti i piani urbanistici dei Comuni, tenuto conto delle relative indicazioni per quanto attiene alle zone produttive, industriale ed artigianali, e quelle destinate ad impianti tecnologici, nonché degli ulteriori contributi ed affinamenti sviluppati nel corso del procedimento di formazione del Piano, corrispondono ai criteri, ai requisiti ed ai vincoli più sopra richiamati le seguenti localizzazioni, la cui articolazione

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territoriale riprende le aree e gli ambiti individuati in sede di Piano Territoriale di Coordinamento:

AREA 1 – GENOVESE Ambito 1.3 – Genova: • Genova: (il repertorio tiene conto anche dell’indagine sui “Principali siti di

alterazione antropica del territorio, allegata al nuovo PUC).

1. Zona T – imp. Tec. – della cava di Chiesino, Val Varenna, TRZ di PTCP, con sup. compl. 135.000 mq (Tav. 15 PUC - sito alterato n. 14); il sito è stato interamente acquisito dall’AMIU per la realizzazione di un impianto di compostaggio verde e per un impianto di recupero di rifiuti inerti; l’allestimento di entrambi gli impianti è in corso; la sua localizzazione non è, peraltro, idonea alla realizzazione di impianti ed utilizzi di scala provinciale, in ragione della criticità ed insufficienza della viabilità di accesso e della collocazione marginale rispetto al bacino provinciale ; non risulta sottoposta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001, né ad altri vincoli di natura idrogeologica ed ambientale;

2. Zona T.d. – imp. Tec. – della discarica di Scarpino, con sup. compl. 406.000 mq (Tav. 16 PUC – sito alterato n. 16); la zona è parzialmente compresa in area ad alta suscettività al dissesto idrogeologico; il sito è già utilizzato per le esigenze di smaltimento attuali e presenta la possibilità di ampliamento che verrà valutata nell’ambito dei pertinenti procedimenti; l’assenza di una idonea viabilità di accesso, peraltro prevista nel PUC del Comune di Genova, ma non oggetto di specifici programmi di attuazione, ne attenuano la validità ai fini della collocazione dei impianti di scala provinciale, presentando, quindi, soltanto alcuni dei requisiti ottimali più sopra elencati (nn. 3,4,5); non risulta sottoposta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

3. Zona T – imp. Tec. – corrispondente al riempimento del Rio Muro Grosso, in area Soc. Autostrade ai margini dello svincolo di Ge-Est A12, occupata da depositi di materiale autostrade, con sup. compl. circa 10.000 mq (Tav. 28 PRG – sito alterato n. 46); la zona è caratterizzata da media suscettività al dissesto idrogeologico; inoltre, la ridotta estensione, rende la zona non idonea alla localizzazione di impianti di scala provinciale; non risulta sottoposta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

4. Zona DT – produttiva – corrispondente alla cava dismessa di San Gottardo (cava Zanacchi), Val Bisagno (Tav. 19 PRG); la zona è caratterizzata da alta suscettività al dissesto idrogeologico e quindi necessita di verifiche puntuali, oltre ad essere posta ai margini del tessuto urbano della Val Bisagno; l’area, di proprietà privata, è attualmente utilizzata per le attività residue connesse con l’attività di cava e per la

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produzione di materiali da costruzione; il Comune di Genova aveva preceduto ad adottare una variante al PUC per destinare la zona ad impianti tecnologici in coerenza con i programmi di intervento dell’AMIU, il cui iter di approvazione non si è concluso per mutati orientamenti al riguardo da parte della stessa Azienda; è collocata in posizione baricentrica e non risulta sottoposta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

5. Valletta Rio Bagnara – Distretto di Trasformazione TR 9/7, destinato a funzioni di smaltimento e trattamento di rifiuti, con discarica di inerti e servizi speciali (raccolta differenziata, impianti tecnologici – Tav. 40/45 PUC); sup. compl. : 80.700 mq; la disponibilità del sito per l’eventuale realizzazione di un impianto è subordinato alla realizzazione di un rilevato (discarica di inerti) che ne modifichi le caratteristiche orografiche, per cui gli eventuali interventi per l’installazione di impianti non sono di immediata attuabilità; la posizione è ottimale sia dal punto di vista dell’accessibilità (diretta dalla A12 e dalla viabilità urbana primaria) che, soprattutto, per la baricentricità rispetto al bacino provinciale; non risulta sottoposta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

6. Area portuale – L’applicazione dei criteri indicati nel Piano regionale, specie per quanto attiene alla destinazione d’uso delle aree, è stata effettuata con riferimento ai contenuti del vigente Piano Regolatore del Porto di Genova, che assegna, infatti, al territorio portuale diverse funzioni corrispondenti alla specializzazione delle attività (commerciale, industriale, passeggeri, nautica da diporto, petrolifera, urbane, servizi portuali e tecnologici); rispetto ai requisiti più sopra indicati, possono essere considerate ai fini della localizzazione di impianti per lo smaltimento dei rifiuti le zone del PRP destinate alle funzioni produttive commerciali ed industriali, con esclusione, comunque, di quelle che già oggi presentano vincoli oggettivi, derivanti dall’applicazione della disciplina di cui al D.M. 9 maggio 2001 in materia di impianti a rischio di incidente rilevante (Superba, Carmagnani, Porto Petroli, Agip, ILVA, Silomar, Petrolig), che non possono essere disponibili in tempi brevi e medi, come nel caso delle aree delle acciaierie di Cornigliano, e che si trovano collocate a diretto contatto con il tessuto urbano della città. Tutte le zone del tipo sopra indicato sono raggiungibili attraverso una pluralità di collegamenti, ferroviari e stradali anche con accessi diretti alla rete autostradale e non richiedono specifici e rilevanti interventi per la costruzione di nuove infrastrutture viarie. E’ garantito il requisito della baricentricità rispetto al bacino provinciale di produzione di RSU e la possibilità di realizzare servizi integrati con le attività di trattamento dei rifiuti già svolte all’interno del sistema portuale. Non vi sono, in generale, vincoli derivanti dalla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646/2001 né indicazioni pertinenti alla pianificazione di bacino.

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E’, comunque, da evidenziarsi che l’intero ambito portuale è soggetto alla disciplina di cui alla L. 84/1994, che riserva all’Autorità Portuale le funzioni di pianificazione, da subordinarsi al raggiungimento di una formale intesa fra il Comune di Genova e la stessa Autorità.

Ambito 1.5 – Scrivia: • Busalla:

7. Zona dell’attuale impianto tecnologico della discarica in loc. Birra; (Busalla: PRG approvato con DPGR 981 05.10.93) sup. compl. : 101.500 mq. La discarica è in attività e data la sua localizzazione può ritenersi idonea per rientrare nel circuito degli impianti finali di servizio che saranno necessari per soddisfare le esigenze di smaltimento dei residui del trattamento dei rifiuti nella configurazione finale di sistema; la zona non è soggetta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

• Montoggio:

8. Zona produttiva corrispondente al dismesso insediamento della “Cementifera Ligure” in loc. Trefontane, lungo la SP 13; (PdF appr. con DPGR 8 2.1.91); sup. compl.: 57.900 mq. Necessita di approfondimenti sotto il profilo geomorfologico e della stabilità dei versanti; direttamente accessibile dalla S.P.n.13 di Creto, ma in posizione scarsamente baricentrica rispetto al bacino provinciale; non risulta soggetta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

Ambito 1.6 – Valichi:

• Lumarzo:

9. Aree in versante destro della Valle delle Ferriere, dislocate lungo la viabilità

veicolare di nuovo impianto prevista dal P.R.G. approvato con D.P.G.R. 113/2002 (Tav. P1.2 – zonizzazione – scala 1:5000): il sito presenta quasi tutti i fattori preferenziali indicati al punto 8.2.3 del Piano regionale di gestione dei rifiuti (la soppressione della zona di espansione industriale-artigianale-commerciale Diac-1 avvenuta per effetto della D.C.C. n. 24 del 26.09.2001 e del conseguente D.P.G.R. n. 113 del 18.07.2002 di definitiva approvazione del PRG, ha sottratto soltanto il requisito preferenziale della destinazione d’uso a fini produttivi, per il quale valgono le valutazioni più sopra esposte); il sito è accessibile attraverso la rete della viabilità territoriale, atteso che collocato nella posizione ove si incontrano la principali strade provinciali e statali esistenti (SP 226 della Valle Scrivia; SS 45 Genova-Trebbia; SP 225 Fontanabuona, con successiva SP 333 Gattorna-Recco) e la previsione di una nuova viabilità

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veicolare da parte del recente PRG di Lumarzo ne permette l’urbanizzazione di dettaglio; la collocazione è baricentrica rispetto al bacino provinciale ed è solo in parte interessato da Territori non Insediati del PTC provinciale.

Il Piano di Bacino stralcio ex L. 183/1989 del Torrente Lavagna, sottopone due aree comprese nel più vasto versante destro, al regine normativo riservato alle “Aree ad alta suscettività al dissesto di tipo “VNI-MA A” di cui all’art. 17, segnatamente c1), mentre la totalità del versante destro è soggetta la regime normativo delle zone “VNI-MA B” di cui al ridetto art. 17, c2), e le disposizioni di cui all’art. 24 – Norme per la realizzazione di infrastrutture pubbliche di particolare rilevanza – consentono entro appositi limiti ivi indicati, di derogare alla disciplina sopra richiamata. Il vigente PTCP comprende le zone in argomento nell’ambito del regime normativo di tipo ANI-MA, per il quale sono applicabili le disposizioni di ncui all’art. 83 – Discariche e Impianti di trattamento dei rifiuti - delle relative Norme di Attuazione, atteso che le stesse zone non sono soggette al regime delle Conservazione, né sono comprese all’interno di sistemi di aree protette di interesse naturalistico soggette al regime di Mantenimento. Non vi sono localizzazioni di aree sottoposte alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646/2001, né esistono impianti soggetti alla disciplina di cui al D.M. 9 maggio 2001. Il sito è collocato in un ambito territoriale a bassissima densità di abitazioni e distante dai centri abitati.

In sub ordine alle aree sopra indicate, esiste nel versante sinistro della stessa valle delle Ferriere, in fregio alla SP 225 ed al confine con il territorio del Comune di Bargagli, una porzione della zona Diac2 di completamento per attività industriali-artigianali-commerciali prevista dal vigente P.R.G. di Lumarzo, libera da insediamenti, che presenta tutti i fattori preferenziali e non soggetta a nessuno dei vincoli sopra richiamati; tale zona, oltre alla destinazione d’uso produttiva, è stata altresì riclassificata, in sede di approvazione del predetto P.R.G., da ANI-MA a ID-CO, ove è, dunque, ammessa, la realizzazione di nuovi impianti produttivi.

• Torriglia:

10. Zona dell’attuale impianto tecnologico della discarica in loc. Vallà; (PRG

approvato con DPGR 251 06.10.99); sup. compl. : 104.000 mq.; collocata in posizione non ottimale rispetto al bacino provinciale ed accessibile da una viabilità di modesta portata; non risulta soggetta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

Ambito 1.7 – Trebbia: • Rovegno:

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Zona industriale con capannone esistente, non utilizzato di consistente dimensione, in fregio alla SS 45 nei pressi della loc. Piano della Taverna, (PRG approvato con DPGR n. 199 11.8.99); sup. compl. : 29.400 mq.; collocata in posizione eccessivamente decentrata rispetto al bacino provinciale; direttamente accessibile dalla SS 45, distante dagli abitati, senza particolari criticità di tipo idrogeologico ed ambientale; non risulta soggetta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

AREA 2 - TIGULLIO Ambito 2.1 – Golfo: • Rapallo:

11. Zona produttiva D2, corrispondente alla cava dismessa di San Pietro di Savagna, con progetto di Piano Particolareggiato per la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi industriale ed artigianali, operante dal giugno 1994 ed in larga parte ancora da realizzare; sup. compl. : 28.000 mq.; collocata in posizione baricentrica rispetto al bacino provinciale di levante, ma accessibile da una viabilità di modesta portata sebbene direttamente connessa alla rete autostradale; non risulta soggetta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

Ambito 2.3 – Petronio: • Sestri Levante:

12. Zona dell’attuale impianto tecnologico della discarica in loc. Ca’ da Matta.;localizzazione eccessivamente decentrata anche rispetto al bacino provinciale di levante ed accessibile da una viabilità secondaria insufficiente per il raggiungimento di impianti di livello provinciale; non risulta soggetta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

Ambito 2.4 – Fontanabuona: • Carasco:

13. Zona Z.P.1, in loc. Costa del Canale, sponda sinistra del Torrente Sturla,

di fronte alla cava Stangoni; (PdF approvato con DPGR 340 15.3.85); sup. compl. : 21.300 mq. Necessita di approfondimenti sotto il profilo geomorfologico e della stabilità dei versanti limitatamente alla parte sommitale della parete ; la collocazione è idonea per quanto attiene

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all’accessibilità ed alla baricentricità rispetto al bacino di levante; non risulta soggetta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

Tribogna/Uscio: 14. Zona dell’attuale impianto tecnologico della Discarica di Rio Marsiglia;

(Tribogna: PdF approvato con DPGR n.1144 4.11.87, Uscio: PRG approvato con DPGR n.1116 22.10.87); sup. compl. : 43.900 mq; la zona è parzialmente caratterizzata da media suscettività al dissesto idrogeologico; l’impianto di Rio Marsiglia dispone di una discreta capacità di ampliamento che potrebbe farla rientrare nel sistema impiantistico complessivo finale come discarica di servizio; la collocazione è ottimale per quanto attiene alla viabilità di accesso ed alla dislocazione del bacino provinciale; non risulta soggetta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001;

Ambito 2.7 – Aveto: • Rezzoaglio:

15. Zona dell’attuale impianto tecnologico della discarica in loc. Malsappello; (PRG approvato con DPGR n.860 26.10.95); sup. compl. : 47.000 mq.; inidonea per quanto attiene al requisito della baricentricità rispetto al bacino provinciale; non risulta soggetta alla disciplina di salvaguardia di cui alla D.G.R. n. 646 dell’8.6.2001.

Tenuto conto di quanto sopra complessivamente rappresentato, si può

affermare che:

• fra quelle sopra elencate, l’area portuale di Genova (n.6) e le aree di Lumarzo (n.9) potrebbero ospitare la collocazione di un impianto di termovalorizzazione, per le motivazioni ivi indicate;

• gli impianti di separazione e pretrattamento dei rifiuti potrebbero essere collocati nelle zone della cava di San Gottardo (n. 4), Rio Bagnara (n. 5), Tre Fontane (n. 8), Piano della Taverna (n. 10), San Pietro di Savagna (n. 11), Costa del Canale (n. 13)l, che garantiscono una adeguata distribuzione sul territorio;

• le discariche di Scarpino, Birra, Vallà, Cà da Matta, Rio Marsiglia e

Malsapello, rimarranno come discariche di supporto al sistema per lo smaltimento dei rifiuti e del processo di termocombustione;

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• le residue localizzazioni possono essere utilizzate per impianti a corredo e complemento del sistema (nn. 1,3).

Si ribadisce, in ogni caso, che altri siti potranno essere individuati dall’ATO

o mediante accordi interistituzionali, talchè il repertorio delle aree sopra individuato può essere suscettibile di integrazioni, purchè debitamente argomentate nel senso esposto, non costituendo, dunque, elemento del Piano rispetto al quale eventuali diverse localizzazioni ne comportino l’obbligo dell’aggiornamento o della variazione.

La disposizione dianzi indicata, costituisce, quindi, elemento normativo di

flessibilità del Piano provinciale di gestione dei rifiuti.

Aree non idonee per l’inserimento degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti speciali

Sono da considerarsi non idonee alla localizzazione degli impianti , tutte

quelle aree che, a prescindere dal presentare i Fattori Escludenti ed i Fattori Penalizzanti, specificatamente indicati al punto 8.3 dei medesimi criteri regionali, risultino comprese entro le delimitazioni relative agli Elementi di Valore individuati nella Descrizione Fondativa del Piano Territoriale di Coordinamento, sub Temi: Suolo, Sistema Insediativo, Paesaggio sottoposte all’indirizzo della Tutela Assoluta, fatta salva l’ipotesi che, in applicazione della vigente normativa in materia di Accordi di Programma e Accordi di Pianificazione, si individuino ulteriori localizzazioni comportanti modificazione delle delimitazioni dianzi richiamate.

Per le aree che ricadono nelle delimitazioni relative agli Elementi di

Valore individuati nella Descrizione Fondativa del Piano Territoriale di Coordinamento, sub Temi: Suolo, Sistema Insediativo, Paesaggio – ma assoggettate a Tutela Attiva nella Struttura dello stesso Piano, Capitolo 1 – Valori e Crisi del territorio provinciale – la localizzazione di impianti per la gestione, smaltimento e recupero dei rifiuti è possibile ove:

siano comunque rispettati i Criteri di cui ai punti 8.3 e 8.4 del Piano regionale;

si dimostri, mediante lo Studio Organico d’Insieme indicato al punto 8.1 – Criteri generali – del Piano regionale di Gestione dei Rifiuti, in applicazione degli artt. 84 85 del vigente Piano Paesistico regionale, che l’elemento di valore indicato dal Piano Territoriale di Coordinamento non viene compromesso.

In particolare, laddove si tratti di localizzazioni che interessino il territorio

rurale, il predetto Studio Organico d’Insieme è tenuto a considerare i seguenti aspetti:

1. deve trattarsi di zone con idonee condizioni di stabilità, vale a dire che non devono riscontrarsi criticità sotto il profilo geologico ed

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idrogeologico, ovvero superabili con la messa in sicurezza connessa con la realizzazione degli impianti;

2. devono sussistere condizioni di degrado paesistico superabili o attenuabili con la realizzazione dell’impianto, vale a dire che deve trattarsi di siti compromessi nella morfologia (sbancamenti, terrapieni e rilevati, cave, discariche) ovvero zone con assetti vegetazionali alterati, ovvero ancora caratterizzati da assetti vegetazionali affatto rari o irriproducibili e sui quali sia possibile effettuare interventi di riqualificazione;

3. non devono verificarsi interferenze con le visuali più ricorrenti dai percorsi storici ovvero da quelli che rivestono interesse sotto il profilo turistico, vale a dire che non deve trattarsi di siti esposti in primo piano alla vista dalle principali direttrici di percezione del paesaggio, specie se ricalcanti percorsi storici ed escursionistici;

4. deve esserci la possibilità di effettuare interventi correttivi e mitigazioni, vale a dire che non deve trattarsi di zone prive di copertura vegetale;

5. devono esserci condizioni progettuali ed operative per il ripristino del sito alla cessazione dell’attività, vale a dire che non possono essere scelte localizzazioni che presentino condizioni di acclività tali da richiedere significative operazioni di rimodellamento del suolo (riempimenti, terrapieni e rilevati).

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Piano provinciale di gestione dei rifiuti. Stato attuale. La produzione di RSU nella provincia di Genova La produzione di RSU nel territorio della Provincia di Genova risente di

alcuni fattori condizionanti quali: - le differenze socio economiche dell’entroterra rispetto alla costa - l’incremento della produzione nei mesi estivi dovuto alle presenze

turistiche - lo sviluppo ancora modesto del sistema per la raccolta differenziata dei

rifiuti recuperabili - il peso relativo della produzione di rifiuti assimilabili agli urbani e

rientranti nel circuito pubblico dovuta alle attività commerciali e di servizio.

Si riporta nel seguito la tabella relativa al quantitativo, espresso in

tonnellate/anno, di RSU prodotto da ciascun comune della provincia di Genova dal 1996 al 1999. I dati sono stati forniti direttamente dai Comuni interessati, su richiesta della Provincia. Peraltro si sottolinea che alcuni Comuni non hanno fornito i dati richiesti; conseguentemente, nella successiva tabella i numeri riportati in carattere corsivo non sono valori reali, ma stime desunte dalla media calcolata sull’intero ambito ovvero per desunzione dalla produzione degli stessi comuni in anni diversi. Ciò consente di avere la valutazione di massima della produzione globale dell’ambito, dato essenziale per poter procedere alle successive ipotesi di allestimento del sistema e di calcolo dei flussi.

Comuni 1996 1997 1998 1999

Arenzano 6754 7247 7299 7685 Avegno 787 810 786 761 Bargagli 1144 1206 1192 1328 Bogliasco 2289 2308 2222 2392 Borzonasca 668 797 691 708 Busalla 3335 3350 3208 3540 Camogli 4182 3758 4101 3438 Campo Ligure 1214 1296 1438 1296 Campomorone 2708 2951 2889 3037 Carasco 1542 1626 1672 1772 Casarza Ligure 1989 2091 2153 2265

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Casella 1185 1608 1685 1797 Castiglione Chiavarese 487 536 562 586 Ceranesi 1334 1585 1671 1714 Chiavari 15041 15110 15902 17956 Cicagna 964 999 1046 1090 Cogoleto 4510 4505 4412 4570 Cogorno 2063 2095 2110 2297 Coreglia Ligure 38 39 36 50 Crocefieschi 199 229 350 357 Davagna 1030 1030 1071 1104 Fascia 40 65 70 71 Favale di Malvaro 122 130 133 144 Fontanigorda 315 315 315 321 Genova 300193 307447 309003 317651 Gorreto 49 83 122 97 Isola del Cantone 598 669 621 649 Lavagna 7981 8229 8366 8094 Leivi 893 950 1080 1120 Lorsica 114 117 123 133 Lumarzo 527 622 753 780 Masone 1502 1451 1496 1499 Mele 1274 1532 1523 1538 Mezzanego 334 411 380 345 Mignanego 1506 1598 1600 1699 Moconesi 1100 1250 1388 1432 Moneglia 2450 2051 2181 2259 Montebruno 123 124 124 129 Montoggio 823 962 871 1085 Ne 605 776 740 981 Neirone 373 404 395 413 Orero 188 202 205 213 Pieve Ligure 1207 1031 1350 1366 Portofino 811 857 935 934 Propata 120 127 253 184 Rapallo 16331 17957 17500 17864 Recco 5660 5885 5814 5917 Rezzoaglio 430 434 565 484 Ronco Scrivia 1940 1984 1986 2102 Rondanina 34 81 80 100 Rossiglione 1148 1113 1558 1136 Rovegno 252 276 470 458 San Colombano C. 832 866 879 909

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Sant'Olcese 2060 2167 2344 2485 Santa Margherita L. 7927 8185 8533 9559 Santo Stefano D'Aveto 1020 454 529 638 Savignone 1734 1828 1806 1893 Serra Riccò 2771 2771 2940 3075 Sestri Levante 11252 11404 11207 11315 Sori 2084 2142 2122 2181 Tiglieto 329 335 346 332 Torriglia 1100 1262 1172 1345 Tribogna 194 211 218 228 Uscio 1067 1067 1116 1157 Valbrevenna 400 472 471 455 Vobbia 304 310 241 199 Zoagli 859 869 1078 1200

Totale 436439 448652 453370 467806 Per quanto attiene i risultati della raccolta differenziata si riporta nel

seguito l’analisi eseguita dagli Uffici della Provincia relativa agli anni dal 1996 al 1999.

Ai fini della rilevazione di cui trattasi sono state fornite delle tabelle da compilare a cura dei Comuni nelle quali dovevano essere indicati i quantitativi di rifiuti urbani raccolti in maniera indifferenziata nonchè i quantitativi di rifiuti raccolti in maniera differenziata divisi per tipologia. Tali dati sono stati forniti dai Comuni e potrebbero non coincidere con quanto dichiarato sui MUD perchè alcuni dati (in alcuni casi non supportati da riscontri documentali ma stimati sulla base di informazioni acquisite dai servizi di raccolta) sono stati integrati o corretti a seguito di chiarimenti intercorsi con i tecnici dei Comuni stessi. In alcuni casi sono stati utilizzati dati raccolti dalla Soc. Ecotec, autore di alcune elaborazioni dei dati MUD relativi agli anni 1996 e 1997.

ANNO 1996 I dati sotto riportati sono stati forniti da 64 Comuni della Provincia di Genova su 67 e gli

stessi vanno riferiti ad una popolazione residente di circa 914 mila unità. Non sono stati forniti dati dai Comuni di Leivi, Serra Riccò, e Uscio.

Ai fini del calcolo della raccolta differenziata sono stati considerati i quantitativi di tutte le

frazioni avviate al recupero per le quali erano state attivate forme di raccolta differenziata e le frazioni di rifiuti pericolosi avviati a smaltimento. Non sono stati considerati i rifiuti ingombranti e le eventuali frazioni di legno e di metallo, raccolti separatamente ma successivamente avviati a discarica.

In mancanza di precisi criteri per definire come effettuare il calcolo della percentuale di raccolta differenziata, non sono stati considerati i rifiuti speciali assimilabili agli urbani conferiti direttamente dai produttori presenti sul territorio agli impianti di smaltimento finale, nè sono stati scorporati quantitativi di rifiuti solidi urbani derivanti dallo spazzamento e che non sono suscettibili di riutilizzo.

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Durante il 1996 nei 64 Comuni sono state raccolte 431.708 tonnellate complessive di rifiuti

solidi urbani di cui:

⎜ 407.239 tonnellate di rifiuti solidi urbani tramite l’ordinario sistema di raccolta ⎜ 1506 tonnellate di rifiuti solidi urbani ingombranti e legno (circa 0,35%) raccolti tramite sistemi differenziati ma con conferimento finale in discarica ⎜ 11.144 tonnellate di vetro (2,58%) da destinare al recupero (vetrerie) ⎜ 9.778 tonnellate di carta e cartone (2,26%) da destinare al recupero (cartiere) ⎜ 797 tonnellate (0,18%) di rottami metallici (ex ingombranti ecc.) da destinare al recupero (rottamatori e fonderie) ⎜ 718 tonnellate di residui vegetali (0,17%) da destinare al recupero (compostaggio) ⎜ 238 tonnellate di plastica (0,06%) da destinare al recupero (consorzio Replastic ) ⎜ 163 tonnellate di legno da destinare al recupero (0,04%) ⎜ 51 tonnellate di alluminio (0,012%) da destinare al recupero (rottamatori e fonderie) ⎜ 39 tonnellate di pile da destinare allo smaltimento (0,009%) ⎜ 29 tonnellate di farmaci scaduti da destinare allo smaltimento (0,007%) ⎜ 9 tonnellate di batterie da destinare al recupero (0,002%)

Dai dati esaminati relativi al 1996 la percentuale di rifiuti raccolti in maniera

differenziata che non sono stati conferiti in discarica è risultata pari a circa il 5,32% Sono stati computati alcuni dati relativi a rifiuti non derivanti da raccolta differenziata da

rifiuti domestici e tuttavia, trattandosi di rifiuti che altrimenti sarebbero stati conferiti in discarica (es. verde da manutenzione di verde pubblico), sono stati comunque inseriti nel conteggio globale.

I rifiuti raccolti in maniera differenziata avviati ad altre forme di smaltimento (Rifiuti urbani pericolosi quali pile e farmaci) sono stimati intorno allo 0,016% e comunque tale percentuale è ricompresa nel quantitativo sopra riportato pari al 5,32%.

Sulla base del numero degli abitanti residenti è quindi stata stimata la produzione

giornaliera pro capite di rifiuti urbani pari a 1,29 Kg/giorno di cui 1,23 Kg/giorno vengono smaltiti in discarica. I dati complessivi sono riportati sulla tabella Allegata. Nota: RSUI disc. = rifiuti solidi urbani ingombranti a discarica RSUI/Ferro = rifiuti solidi urbani ingombranti e rottame ferroso a recupero

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ANNO 1997 I dati sotto riportati sono stati forniti da 65 Comuni della Provincia di Genova su 67 e gli

stessi vanno riferiti ad una popolazione residente di circa 911 mila unità. Non sono stati forniti dati dai Comuni d Serra Riccò e Uscio.

Durante il 1997 nei 65 Comuni sono state raccolte 444.814 tonnellate complessive di rifiuti

solidi urbani di cui:

⎜ 415.550 tonnellate di rifiuti solidi urbani tramite l’ordinario sistema di raccolta ⎜ 1.589 tonnellate di rifiuti solidi urbani ingombranti e legno (0,36%) raccolti tramite sistemi differenziati ma con conferimento finale in discarica ⎜ 12.824 tonnellate di vetro (2,88%) da destinare al recupero ⎜ 12.734 tonnellate di carta e cartone (2,86%) da destinare al recupero ⎜ 1.936 tonnellate di residui vegetali (0,44%) da destinare al recupero (compostaggio) ⎜ 1248 tonnellate (0,28%) di rottami metallici (ex ingombranti ecc.) da destinare al recupero (rottamatori e fonderie) ⎜ 923 tonnellate di plastica (0,21%) da destinare al recupero (consorzio Replastic ) ⎜ 375 tonnellate di legno (0,08%) da destinare al recupero ⎜ 120 tonnellate di inerti (0,03%) da destinare al recupero (riempimenti) ⎜ 52 tonnellate di alluminio (0,012%) da destinare al recupero ⎜ 49 tonnellate di stracci (0,011%)da destinare al recupero ⎜ 36 tonnellate di pile (0,008%) da destinare allo smaltimento ⎜ 26 tonnellate di farmaci scaduti (0,006%) da destinare allo smaltimento ⎜ 13 tonnellate di batterie al piombo (0,003%) da destinare al recupero

Sono state anche raccolte esigue quantità di tubi al neon e di oli minerali esausti ma in quantitativi poco rilevanti ai fini del calcolo complessivo delle varie frazioni.

Dai dati esaminati nel 1997 la percentuale di rifiuti raccolti in maniera differenziata che non

sono stati conferiti in discarica si aggira intorno al 6,82%.I rifiuti raccolti in maniera differenziata avviati ad altre forme di smaltimento (pile, farmaci e neon) sono stimati intorno allo 0,014% e comunque tale valore è ricompresao nella percentuale complessiva di 6,82.

Sulla base del numero degli abitanti residenti è quindi stata stimata la produzione giornaliera

pro capite di rifiuti urbani pari a 1,34 Kg/giorno di cui 1,25 Kg/giorno vengono smaltiti in discarica.

Si allega tabulato con i dati raccolti. (Nota: RSUI disc. = rifiuti solidi urbani ingombranti a discarica RSUI/Ferro = rifiuti solidi urbani ingombranti e rottame ferroso a recupero)

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ANNO 1998 I dati sotto riportati sono stati forniti da 62 Comuni della Provincia di Genova su 67 e gli

stessi vanno riferiti ad una popolazione residente di circa 901 mila unità. Non sono stati forniti ancora dati dai Comuni di Davagna, Lumarzo, Serra Riccò e Uscio. Il Comune di Lorsica ha inviato dati per i quali sono stati richiesti chiarimenti e che pertanto non sono stati inseriti

Ai fini del calcolo della raccolta differenziata sono stati adottando i criteri già visti per gli anni

1996-97. Durante il 1998 nei 61 Comuni sono state raccolte 447.495 tonnellate complessive di rifiuti

solidi urbani di cui:

⎜ 409.940 tonnellate di rifiuti solidi urbani tramite l’ordinario sistema di raccolta ⎜ 1.285 tonnellate di rifiuti solidi urbani ingombranti e legno (0,29%) raccolti tramite sistemi differenziati ma con conferimento finale in discarica ⎜ 15.521 tonnellate di carta e cartone (3,47%) da destinare al recupero ⎜ 13.289 tonnellate di vetro (2,97%) da destinare al recupero ⎜ 2.376 tonnellate di residui vegetali (0,53%) da destinare al recupero (compostaggio) ⎜ 1818 tonnellate (0,41%) di rottami metallici (ex ingombranti, elettrodomestici, apparecchiature elettroniche ecc.) da destinare al recupero (rottamatori e fonderie prevalentemente) ⎜ 1371 tonnellate di legno (0,31%) da destinare al recupero ⎜ 1302 tonnellate di plastica (0,29%) da destinare al recupero ⎜ 261 tonnellate di inerti (0,06%) da destinare al recupero (riempimenti) ⎜ 92 tonnellate di raccolte multimateriale (carta, plastica, ingombranti metallici, legno ecc.) da destinare al recupero previa selezione (0,020%) ⎜ 60 tonnellate di alluminio (0,013%) da destinare al recupero ⎜ 46 tonnellate di stracci (0,010%)da destinare al recupero ⎜ 43 tonnellate di pile (0,010%) da destinare allo smaltimento ⎜ 36 tonnellate di pneumatici (0,008%) da avviare al recupero ⎜ 31 tonnellate di farmaci scaduti (0,007%) da destinare allo smaltimento ⎜ 24 tonnellate di batterie al piombo (0,005%) da destinare al recupero

Sono state anche raccolte esigue quantità di tubi al neon, di fatto irrilevanti ai fini del calcolo complessivo delle varie frazioni.

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Dai dati esaminati, nel 1998 la percentuale di rifiuti raccolti in maniera differenziata che non sono stati conferiti in discarica si aggira intorno all’ 8,11%. I rifiuti raccolti in maniera differenziata avviati ad altre forme di smaltimento (Pile, farmaci e neon) sono stimati intorno allo 0,017% e comunque tale percentuale è ricompresa nel quantitativo sopra riportato pari all’ 8,11%.

Sulla base del numero degli abitanti residenti è quindi stata stimata la produzione giornaliera

pro capite di rifiuti urbani pari a 1,36 Kg/giorno di cui 1,25 Kg/giorno vengono smaltiti in discarica.

Si allega tabulato con i dati raccolti. (Nota: RSUI disc. = rifiuti solidi urbani ingombranti a discarica RSUI/Ferro = rifiuti solidi urbani ingombranti e rottame ferroso a recupero)

ANNO 1999 I dati sotto riportati sono stati forniti da 59 Comuni della Provincia di Genova su 67 e gli

stessi vanno riferiti ad una popolazione residente di circa 898 mila unità. Non sono stati forniti ancora dati dai Comuni di Davagna, Lumarzo, Moconesi, Montebruno, Tribogna e Uscio. I Comuni di Lorsica e Fontanigorda hanno inviato dati per i quali sono stati richiesti chiarimenti e che pertanto non sono stati inseriti.

Ai fini del calcolo della raccolta differenziata sono stati adottando i criteri simili a quelli visti

per gli anni precedenti. Durante il 1999 nei 58 Comuni sono state raccolte 462.649 tonnellate complessive di rifiuti

solidi urbani di cui:

⎜ 418.432 tonnellate di rifiuti solidi urbani tramite l’ordinario sistema di raccolta ⎜ 854,535 tonnellate di rifiuti solidi urbani ingombranti e legno (0,18%) raccolti tramite sistemi differenziati ma con conferimento finale in discarica ⎜ 18.664 tonnellate di carta e cartone (4,03%) da destinare al recupero ⎜ 13.200 tonnellate di vetro (2,85%) da destinare al recupero ⎜ 3.891 tonnellate di legno (0,84%) da destinare al recupero ⎜ 2.682 tonnellate di residui vegetali e di frazione organica (0,58%) da destinare al recupero (compostaggio) ⎜ 2.070 tonnellate (0,45%) di rottami metallici (ex ingombranti, elettrodomestici, apparecchiature elettroniche ecc.) da destinare al recupero (rottamatori e fonderie prevalentemente) ⎜ 1501 tonnellate di plastica (0,32%) da destinare al recupero ⎜ 823 tonnellate di inerti (0,18%) da destinare al recupero (riempimenti) ⎜ 127 tonnellate di pneumatici (0,027%) da avviare al recupero ⎜ 109 tonnellate di stracci (0,024%)da destinare al recupero ⎜ 56 tonnellate di alluminio (0,012%) da destinare al recupero ⎜ 44 tonnellate di batterie al piombo (0,009%) da destinare al recupero

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⎜ 37 tonnellate di pile (0,008%) da destinare allo smaltimento ⎜ 31 tonnellate di farmaci scaduti (0,007%) da destinare allo smaltimento ⎜ 18 tonnellate altri RUP (neon, oli minerali ecc.) e oli vegetali esausti (0,004%) da destinare allo smaltimento ⎜ 4 tonnellate di raccolte multimateriale (carta, plastica, ingombranti metallici, legno ecc.) da destinare al recupero previa selezione (0,001%)

Dai dati esaminati, nel 1999 la percentuale di rifiuti raccolti in maniera differenziata che non

sono stati conferiti in discarica si aggira intorno al 9,35%. I rifiuti raccolti in maniera differenziata avviati ad altre forme di smaltimento (Pile, farmaci e neon) sono stimati intorno allo 0,018%, altri rifiuti pericolosi avviati al recupero (batterie al piombo, oli minerali esausti) sono stimati nello 0,010% e comunque tali percentuali è ricompresa nel quantitativo sopra riportato pari al 9,35%.

Per quanto riguarda i rifiuti inerti, complessivamente la frazione raccolta in maniera differenziata rappresenta lo 0,18% degli RSU.

Non inserendo nelle frazioni da considerare come raccolta differenziata i RUP e gli inerti la percentuale di raccolta differenziata ottenuta nel 1999 diventa pari al 9,14%.

Tale diminuzione percentuale non è particolarmente significativa a livello d’ambito; tuttavi nei comuni dove è stata organizzata tale attività di raccolta differenziata, l’esclusione dal conteggio di tale frazione determina una diminuzione significativa dei risultati ottenuti: Santa Margherita Ligure dal 29,81% passa al 25,62% , Chiavari passa dal 24,04% al 23,46%, Arenzano dal 15,19% al 10,74%.

A fronte di tali considerazioni si vuole invece porre l’attenzione sul calcolo della raccolta

differenziata che si otterrebbe se venisse sottratto dal quantitativo complessivo dei rifiuti urbani raccolti una quota del 10% che sarebbe quella costituita dai rifiuti da spazzamento per la quale non sarebbe possibile effettuare una cernita o differenziazione. Tale ipotesi era peraltro stata presa in considerazione dal Ministero dell’Ambiente in una bozza di Decreto. A livello provinciale la raccolta differenziata considerando tutti i RUP, gli inerti e tenendo conto di un 10% di RSU da spazzamento diventa pari al 10,39%. Nel grafico allegato relativo al 1999 la colonna %Rac.Dif.* rappresenta appunto il calcolo sopra citato, mentre la colonna %Rac.Dif. T.Q. rappresenta la raccolta differenziata tal quale.

Si evidenzia inoltre il singolare dato dei pneumatici raccolto dal solo Comune di Chiavari che

rappresenta lo 0,7% della raccolta differenziata di quel Comune. Sulla base del numero degli abitanti residenti è quindi stata stimata la produzione giornaliera

pro capite di rifiuti urbani pari a 1,41 Kg/giorno di cui 1,28 Kg/giorno vengono smaltiti in discarica.

Si allega tabulato con i dati raccolti. (Nota: RSUI disc. = rifiuti solidi urbani ingombranti a discarica RSUI/Ferro = rifiuti solidi urbani ingombranti e rottame ferroso a recupero)

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CONFRONTO RISULTATI ANNI 94, 96, 97, 98 e 99 I dati sotto riportati mettono in evidenza le percentuali raccolte delle varie frazioni (le più

significative) nei 5 anni esaminati (anche per il 1994 si era fatta una rilevazione dati). Si sottolinea che sono stati forniti dati da non tutti i Comuni come sopra precisato e pertanto vanno riferiti ad una utenza variabile.

1994 1996 1997 1998 1999 Abitanti residenti ------- 914.039 911.101 900.789 897.591 Raccolta Diff. % 3,4 5,32 6,82 8,11 9,35 RSU tot. Kg/Ab. anno ------ 472 488 497 515 RSU a discarica Kg/Ab.anno

------ 447 458 457 467

R.S.U. Ingombranti a discarica %

------ 0,35 0,36 0,29 0,18

Rottame ferroso % 0,1 0,19 0,28 0,41 0,45 Vetro % 2 2,58 2,88 2,97 2,85 Carta/cartone % 1,27 2,26 2,86 3,47 4,03 Plastica % 0,003 0,06 0,21 0,29 0,32 Alluminio % 0,01 0,012 0,012 0,014 0,012 Residui vegetali % ------ 0,17 0,44 0,53 0,58 Legno al recupero % ------ 0,04 0,08 0,31 0,84 Inerti % ------ ------ 0,03 0,06 0,18 Pneumatici% ------ ------ ------- <0,01 0,03 Stracci % ------ ------ 0,01 0,01 0,02 Raccolta Multimateriale %

------ ------ ------- 0,02 <0,01

RUP e altri 0,01 0,018 0,017 0,022 0,028 Dall’esame della tabella si rileva che la raccolta differenziata dal 1994 al 1999 ha subito un

incremento non sufficiente a raggiungere l’obiettivo del 15% su base provinciale. Mentre i RUP e l’alluminio si attestano sui medesimi valori percentuali (mediamente 0,02%

per i RUP e 0,012% l’alluminio) si sono riscontrati sensibili incrementi soprattutto nella carta/cartone che dal 98 ha superato il vetro, nel legno, nel rottame metallico (frazione che include gli elettrodomestici ecc.) e nella frazione vegetale . Quest’ultima è costituita prevalentemente da verde pubblico da sfalci e potature di giardini e, in minore quantità da residui di mercati.

Lievi incrementi percentuali sono state registrati anche per la plastica, che comunque non

rappresenta una quota importante della raccolta differenziata, ed il vetro che comunque sembrano attestarsi su percentuali stabili.

Guardando i dati relativi agli ingombranti che pur se raccolti in maniera differenziata vengono smaltiti in discarica, si osserva che fino al 1998 gli stessi rappresentavano una percentuale complessiva intorno allo 0,3 pressoché costante, nel 1999, a fronte di incrementi nelle frazioni “legno” e ingombranti metallici”, la quota a discarica è stata dimezzata.

Una ulteriore riflessione è suggerita dall’esame dei dati in esame relativi al periodo 1994 -

1998 in relazione ai risultati raggiunti, dei dati sui rifiuti urbani prodotti mediamente in un anno da ogni cittadino residente e del quantitativo di rifiuti urbani che lo stesso cittadino produce annualmente e che vengono avviati a discarica.

Dal 1994 ad oggi la raccolta differenziata è passata dal 3,4% al 9,35% quindi è aumentata la percentuale di rifiuti recuperati o comunque sottratti al conferimento in discarica.

Dal 1996 al 1999 i rifiuti prodotti mediamente da ogni cittadino residente della Provincia di Genova sono passati da 472 Kg. a 515 Kg., quindi ci troviamo di fronte ad un aumento della produzione di RSU.

I rifiuti urbani conferiti in discarica (totale rifiuti urbani prodotti dal quale sono stati sottratti i rifiuti della raccolta differenziata finalizzata al recupero o ad un più corretto smaltimento) annualmente da ciascun cittadino erano 447 Kg. nel 1996 mentre nel 1999 risultavano pari a 467 Kg.

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Tali valori fanno trarre le seguenti considerazioni: 1) la raccolta differenziata calcolata come visto sopra e, salvo pochi casi, basata

principalmente sui normali sistemi di raccolta (campane ecc.) registra un incremento significativo ma molto inferiore ai livelli imposti dal Decreto Ronchi;

2) è aumentata la produzione pro-capite complessiva di RSU in quanto sono aumentati sia

gli RSU recuperati che quelli smaltiti in discarica (quest’ultimo incremento è però più contenuto); 3) se l’obbiettivo della raccolta differenziata era quello di diminuire la quantità di rifiuti

conferiti in discarica, i dati raccolti evidenziano che a fronte di un incremento di raccolta differenziata la discarica continua a ricevere un quantitativo di rifiuti da ciascun cittadino superiore al passato sia pure di poco pertanto non c’è nessun miglioramento sotto questo profilo;

4) il cittadino quindi mediamente produce più rifiuti, vanificando gli effetti della raccolta

differenziata atti a rendere meno importante l’utilizzo delle discariche. Una ulteriore considerazione è che la quota pro-capite di rifiuti prodotta nella Provincia di

Genova risente indubbiamente degli incrementi di popolazione che si verificano nella stagione estiva a causa del turismo. Una stima più corretta dovrebbe quindi tenere conto anche di questo fattore penalizzante per le aree dove è importante la risorsa del turismo. Particolarmente significativo il dato di Portofino che raggiunge una quota pro-capite di rifiuti prodotti superiore ai 4 Kg./giorno. Elevate produzioni rispetto alla media provinciale nel 1999 si registrano inoltre a Moneglia, Propata, Rondanina, Rovegno e Santa Margherita Ligure.

Vi sono invece Comuni che producono mediamente quantitativi giornalieri di RSU inferiori alla media mensile quali Coreglia Ligure, Favale di Malvaro e Mezzanego.

Si sottolinea che i risultati ottenuti elaborando i dati forniti dai Comuni sono confrontabili tra di

loro ed evidenziano una progressione nel tempo; l’introduzione di criteri di calcolo da parte del Ministero dell’Ambiente potrebbe portare a risultati diversi pur partendo dagli stessi dati in oggi disponibili.

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Sistema di smaltimento esistente. L’attuale sistema di smaltimento nella provincia di Genova è esclusivamente

fondato sull’esercizio della discariche. Tutte quelle attualmente in attività sono state realizzate successivamente all’entrata in vigore della Deliberazione del Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984, e pertanto sono dotate di strutture rispondenti alle specifiche tecniche costruttive previste dalla stessa deliberazione. Se ne descrivono nel seguito le caratteristiche essenziali relative allo stato di funzionalità degli impianti.

L’unico impianto di grandi dimensioni del territorio genovese è la discarica

di Monte Scarpino , sita nel comune di Genova, attiva dagli anni sessanta priva di presidi ambientali, dismessa nella sua parte antica e attualmente in funzione come nuova realizzazione denominata Scarpino 2, conforme al progetto approvato con deliberazione della Giunta Regionale n. 891 del 29 febbraio 1988 e successive modifiche ed integrazioni. La parte antica della discarica, la cosiddetta Scarpino 1, è stata sistemata mediante impermeabilizzazione superficiale, gradonatura, regimazione idrica ed inerbimento delle scarpate; tali dispositivi tuttavia hanno permesso solo l’attenuazione dei fenomeni di inquinamento da percolato, essendo la zona caratterizzata da una circolazione idrica sotterranea molto copiosa il cui sistema drenante porta alla superficie una media di 80 mc/h di percolato attraverso il collettore di fondo che scarica a valle del corpo di Scarpino 2. Fino a tutto il primo semestre del 2000 il percolato, non trattabile con i consueti sistemi depurativi, affluiva nel rio Cassinelle e quindi nel torrente Chiaravagna, con gravissima compromissione delle caratteristiche di qualità delle acque interessate; da qualche mese è stato posto in opera il collettore dedicato al veicolamento del percolato al sistema depurativo dell’impianto di trattamento di reflui urbani di Sestri Ponente (il destino finale previsto dall’ampio progetto di riqualificazione dell’area di Scarpino è il depuratore di Valpolcevera) i cui effetti hanno cominciato ad essere visibili già dopo due mesi dall’entrata in funzione del collettore. La gestione attuale della discarica di Scarpino è sostenibile, pur essendo attualissima la problematica relativa alla viabilità di accesso, da tempo oggetto di attenzione sociale. Allo stato attuale (novembre 2000) la capacità residua di Scarpino 2 è di circa 1.100.000 mc corrispondente a 2,5 anni di utilizzo per lo smaltimento, con un trend di produzione di rifiuti da destinare alla discarica desunto dal dato annuale ultimo disponibile (riferimento 1999).

La discarica in località Birra nei comuni di Busalla e Savignone è stata

realizzata sulla base di un progetto approvato con deliberazione della Giunta Regionale n. 3457 del 7 agosto 1986 alla quale sono state approvate due successive varianti, l’ultima con deliberazione delle Giunta Provinciale n. 820 del 23 dicembre 1999. La discarica in loc. Birra è stata installata nella valletta già a suo tempo destinata a sito di conferimento dei rifiuti urbani del comune di Busalla; con l’approvazione del progetto e la nuova realizzazione è stata altresì prevista

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un’operazione di “bonifica” del vecchio sito di discarica da attuarsi mediante rimozione e risistemazione dei rifiuti vecchi nel nuovo impianto dotato dei requisiti di difesa ambientale e sicurezza. Al momento attuale la discarica è stata utilizzata in forza di una autorizzazione parziale alla coltivazione di un primo lotto funzionale e pertanto la disponibilità in termini di capacità di smaltimento è pari a circa 230.000 mc.

Nell’ex ambito territoriale “area metropolitana” è presente una terza discarica

a servizio dei comuni della Val Trebbia e dove attualmente conferisce anche un comune rivierasco; si tratta della discarica in loc. Vallà nel comune di Torriglia . Il progetto dell’impianto è stato approvato con deliberazione della Giunta regionale n. 892 del 29 febbraio 1988 alla quale è stata apportata modifica per approvazione di variante con deliberazione sempre della Giunta Regionale n. 632 del 3 marzo 1995. Anche in questo caso il sito utilizzato per la nuova realizzazione è coincidente con il sito utilizzato per diversi anni dal comune di Torriglia per lo scarico dei rifiuti urbani, perpetuato in allora in modo del tutto inadeguato. Il nuovo impianto dispone di una volumetria utile progettuale di 125.000 mc. Dopo cinque anni di gestione la discarica è ancora dotata di una residua capacità di smaltimento di circa 80.000 mc.

Con deliberazione della Giunta Regionale n. 838 del 24 febbraio 1984,

successivamente modificata con deliberazione della Giunta Regionale n. 301 dell’1 febbraio 1990, è stato approvato il progetto ed autorizzata l’installazione dell’impianto di discarica in loc. Rio Marsiglia a servizio dell’intera Comunità Montana Valfontanabuona e di alcuni Comuni aderenti al Consorzio istituito per la realizzazione e la gestione della discarica stessa. L’impianto dispone di una volumetria progettata e approvata pari a 730.000 mc, conseguibile con successivi interventi parziali, che rende la discarica di Rio Marsiglia il secondo impianto provinciale per dimensione. Dopo circa quattordici anni di gestione l’attuale disponibilità potenziale e pari a circa 420.000 mc, dei quali sono già da ora direttamente fruibili, per interventi già realizzati, circa 280.000 mc.

Fra gli impianti di discarica attualmente attivi, figura la discarica in loc.

Malsapello nel comune di Rezzoaglio, in previsione di realizzazione già nel precedente piano regionale, in relazione alle problematiche della vallata per la situazione climatica invernale e gli aspetti legati ai trasporti. L’impianto è stato approvato con deliberazione della Giunta Regionale n.5419 del 5 agosto 1994 per le opere riguardanti la realizzazione del primo lotto; successivamente la Giunta Provinciale , con deliberazione n. 296 del 7 giugno 2000, ha autorizzato la realizzazione del secondo lotto di discarica. La capacità residua di smaltimento attualmente disponibile è pari a circa 30.000 mc, peraltro incrementabili con la realizzazione di ulteriori lotti funzionali conformemente all’iniziale progetto di massima.

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Infine, a completamento del quadro generale sulla disponibilità impiantistica nella provincia, si fa presente che il comune di Sestri Levante ha , da circa tre anni, realizzato un progetto di discarica sul suo territorio, in loc. Ca’ da Matta, progetto che ha seguito la strada alternativa dell’ordinanza sindacale per motivazioni di necessità a fronte della situazione di emergenza di smaltimento all’epoca denunciata dallo stesso Comune. Con l’entrata in vigore del nuovo piano regionale si è definito uno spazio per l’inserimento dell’impianto fra quelli esistenti ed autorizzabili con la normale procedura di approvazione tramite il passaggio in conferenza dei servizi; pertanto la discarica al momento risulta formalmente autorizzata con provvedimento della Giunta provinciale n. 613 dell’8 novembre 2000. L’impianto ha una capacità residua di smaltimento di poco meno di 40.000 mc.

In definitiva il quadro generale sulla disponibilità di smaltimento all’interno

dell’ambito provinciale è il seguente:

GENOVA Loc. Monte Scarpino 1.100.000 mc BUSALLA Loc. Birra 230.000 mc TORRIGLIA Loc. Vallà 80.000 mc TRIBOGNA USCIO Loc. Rio Marsiglia 280.000 mc REZZOAGLIO Loc. Malsapello 30.000 mc SESTRI LEVANTE Loc. Ca’ da Matta 40.000 mc

La potenzialità di smaltimento, quella oggi direttamente disponibile senza

ulteriori interventi di espansione degli impianti, all’interno dell’ambito è pari a circa 1.760.000 mc. Con il trend attuale di utilizzo degli impianti esistenti la potenzialità teorica calcolata fornisce all’ambito un’autonomia di circa quattro anni. Questa valutazione è comunque teorica a fronte di elementi condizionanti, alcuni che espandono i tempi, altri che li riducono:

- la raccolta differenziata , attestatasi intorno al 10% della produzione di RSU alla fine del 1999, è di fatto aumentata già nel corso del 2000 e in fase di crescita costante;

- alcuni comuni dell’ambito esportano i loro rifiuti ( Valle Stura, Arenzano, Cogoleto) e non incidono pertanto sui tempi di esaurimento delle discariche elencate;

- alcune discariche sono difficilmente accessibili e la loro gestione è organizzata in funzione di un conferimento limitato;

- l’utilizzo degli impianti esistenti dovrebbe essere limitato al massimo perché gli stessi possano entrare a far parte del sistema complesso che con il presente piano si intende promuovere nel medio e lungo termine per evitare di ipotizzare la costruzione di nuove discariche di servizio almeno per il prossimo decennio.

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Raccolta differenziata. Organizzazione esistente. La raccolta differenziata dei rifiuti urbani è stata istituita, con vari gradi di

organizzazione, in tutti i comuni dell’ambito. Sui risultati ottenuti fino a tutto il 1999 si è già detto estesamente. Tali risultati sono comunque stati conseguiti essenzialmente con i tradizionali sistemi di raccolta tramite campane dislocate sul territorio, impiegate principalmente per la raccolta differenziata del vetro e della carta, e in secondo ordine per la raccolta differenziata della plastica per liquidi e dell’alluminio. Considerata l’attuale organizzazione del sistema, i risultati ottenuti in termini di percentuale di RD sui rifiuti totali prodotti sono da considerare non particolarmente deludenti, anche se molto lontani dagli obbiettivi indicati dalla legge.

Per migliorare la resa della raccolta differenziata (e qui si vuole sottolineare

che la RD che si rivela importante nell’economia di sistema è di fatto solo quella che riduce l’esigenza di smaltimento mediante l’avvio dei rifiuti a forme di recupero), c’è la necessità di promuovere l’evoluzione del servizio mediante la diversificazione dell’offerta di servizio e mediante incentivazione dell’utenza. Questo ultimo aspetto è alquanto delicato e il passaggio dalla TARSU alla tariffa di smaltimento dovrà necessariamente prevedere una valutazione molto ponderata ed una incentivazione esplicita dei comportamenti finalizzati alla riduzione dei rifiuti da smaltire. Infatti l’arretratezza culturale sul tema specifico può essere superata solo attraverso forme molto concrete di “incoraggiamento”, in genere di tipo palesemente economico, ovvero assicurate dall’agio dell’opzione offerta in alternativa all’attuale modalità di conferimento.

A tale proposito si ritengono di pregio le iniziative intraprese, in genere

purtroppo solo a livello sperimentale, della raccolta cosiddetta “porta a porta” che, oltre che rappresentare una comodità per le famiglie, consente di ottenere un prodotto non inquinato da fattori esterni non controllabili, come la miscelazione impropria di materiali disomogenei fra loro che ne determinano una caduta di valore, talvolta determinante ai fini del successivo recupero.

Per consentire una maggiore flessibilità del sistema di raccolta e una miglior

resa del sistema di trasporti si è reso necessario ipotizzare la realizzazione di centri di raccolta e prima selezione dei rifiuti recuperabili nonché delle frazioni che necessitano di particolari forme di smaltimento. Tale impostazione organizzativa è stata promossa con il Piano regionale della raccolta differenziata approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 98 del 26 novembre 1996. In tale piano venivano previsti diversi livelli di interventi integrati fra di loro per raggiungere la massima efficacia nella riduzione dei rifiuti all’origine con la predisposizione di impianti e attrezzature tese a favorire il recupero delle frazioni nobili, anche attraverso operazioni preliminari di cernita e selezione, e la raccolta differenziata dei rifiuti da non destinare a discarica.

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Sulla base di tali indicazioni è stata sviluppata un’ipotesi di realizzazione di una rete di “ecocentri” o “isole ecologiche”, alcuni dei quali sono già stati realizzati e messi in funzione. Nel seguito vengono brevemente descritti gli impianti al momento esistenti o dei quali è già stata perfezionata la procedura per la realizzazione.

Comune di Genova

1) Tipo di impianto: Isola ecologica con stoccaggio provvisorio delle varie tipologie di rifiuti Ubicazione: Località Volpara (Via Lungobisagno Dalmazia 3) Bacino d’utenza: Comune di Genova (in particolare Valbisagno) con possibilità di estensione ai Comuni convenzionati con AMIU 2)Tipo di impianto:Isola ecologica con stoccaggio provvisorio delle varie tipologie di rifiuti Ubicazione: Loc. Rialzo Via Argine Polcevera Bacino d’utenza: Comune di Genova (in particolare Sampierdarena, Cornigliano, Bassa Val Polcevera) 3)Tipo di impianto: Isola ecologica con stoccaggio provvisorio delle varie tipologie di rifiuti Ubicazione: Loc. San Quirico (area tra Via Semini e Via Gastaldi) Bacino d’utenza: Comune di Genova (Valpolcevera) Tipologia di rifiuti che possono essere conferiti presso le tre isole ecologiche citate: ® rifiuti metallici (imballaggi, rottami e ingombranti metallici)

® rifiuti ingombranti misti

® rifiuti a base di legno (imballaggi, ingombranti, mobili ecc.)

® beni durevoli obsoleti (frigoriferi, televisori ecc.)

® detriti inerti da demolizione e materiali litoidi

® oli minerali esausti (da sostituzione su autovetture ecc.)

® oli esausti per freni

® oli vegetali esausti (oli da frittura)

® accumulatori e batterie esauste auto

® tubi al neon e lampade fluorescenti

®vernici, solventi, inchiostri, adesivi, e solventi con i relativi contenitori

®acidi e detergenti con i relativi contenitori

®rifiuti alcalini e gli aerosol con i relativi contenitori

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®pesticidi e prodotti fotochimici con i relativi contenitori

®filtri olio e contenitori olio motore

4)Tipo di impianto: Centro di selezione e trattamento della frazione secca di rifiuti domestici raccolti con il sistema porta a porta tramite un apposito sacco (sacco rosa) presso insediamenti civili nel territorio comunale. La potenzialità massima dell’impianto sarebbe pari a 10 tonnellate/giorno (l’impianto ha funzionato per circa 6 mesi nel 1999 attualmente non viene impiegato). Ubicazione: Corso Perrone 124 Bacino d’utenza: Comune di Genova Composizione della frazione secca da selezionare e trattare: ® vetro ® carta/cartone ® tessuti ® metalli ® plastica

Comunità Montana Val Petronio

Tipo di impianto: Centro di stoccaggio provvisorio rifiuti derivanti dalla raccolta differenziata con eventuale compattazione degli stessi. Ubicazione: Località Gallinara nel Comune di Casarza Ligure Bacino d’utenza: Comuni di Casarza Ligure, Moneglia, Sestri Levante e Castiglione Chiavarese. Tipologia di rifiuti che possono essere conferiti presso il centro: ® rifiuti ingombranti non recuperabili ® vetro ® carta/cartone ® plastica ® metalli di piccole dimensioni (es. lattine) ® altri tipi di metalli ® rifiuti in legno ® apparecchiature contenenti clorofluorocarburi (frigoriferi, congelatori ecc.) ® apparecchiature elettroniche ® rifiuti vegetali e rifiuti compostabili

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® oli esauriti da motore, trasmissione, ingranaggi ® accumulatori al piombo e pile ® oli e grassi animali e vegetali ® medicinali scaduti ® tubi fluorescenti al neon ed altri rifiuti contenenti mercurio ® imballaggi ex contenitori di vernici, inchiostri, adesivi, solventi, acidi ® imballaggi ex contenitori detergenti, prodotti fotochimici, aerosol

Comune di Santa Margherita Ligure

Tipo di impianto: Centro di raccolta rifiuti derivanti dalla raccolta differenziata, rifiuti urbani ingombranti e stazione di trasferimento di RSU in parte autorizzato ai sensi dell’art. 28 del D. Lgs. 22/97 in parte gestito in forza di comunicazione inviata ai sensi dell’art. 33 del D. Lgs. 22/97. Ubicazione: Via Dogali Bacino d’utenza: Comune di Santa Margherita Ligure Tipologia di rifiuti che vengono conferiti presso il centro: ® plastica ® carta ® vetro ® rifiuti di legno ® rifiuti ferrosi ® rifiuti di giardinaggio ® rifiuti inerti ® accumulatori al piombo e pile ® medicinali scaduti

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Comune di Chiavari

Tipo di impianto: Centro di raccolta rifiuti derivanti dalla raccolta differenziata, rifiuti urbani ingombranti e stazione di trasferimento di RSU. Ubicazione: ex Cava Bacezza Bacino d’utenza: Comune di Chiavari Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti ingombranti in legno o metallici ® carta/cartone ® rifiuti vegetali e frazione umida RSU (rifiuti mercatali, rifiuti compostabili ecc.) ® plastica

Comune di Ne

Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti derivanti dalla raccolta differenziata in parte autorizzato ai sensi degli art. 27 e 28 del D. Lgs. 22/97 in parte gestito in forza di comunicazione inviata ai sensi dell’art. 33 del D. Lgs. 22/97. Ubicazione: Località Valle Scura Bacino d’utenza: Comune di Ne Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti ingombranti in legno ® carta/cartone ® rifiuti ingombranti ferrosi e non ferrosi

Comune di Santo Stefano d’Aveto

Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti ingombranti derivanti dalla raccolta differenziata. Ubicazione: Località Campasso Bacino d’utenza: Comune di Santo Stefano d’Aveto Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti ingombranti in legno ® rifiuti ingombranti ferrosi e non ferrosi

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Comune di Rezzoaglio

Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti ingombranti. Ubicazione: Località Ponte Gramizza Bacino d’utenza: Comune di Rezzoaglio Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti ingombranti ferrosi e non ferrosi ® rifiuti ingombranti non recuperabili

Comunità Montana Alta Valle Stura

1) Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti solidi urbani e ingombranti derivanti dalla raccolta differenziata. Ubicazione: Rimessa comunale mezzi e materiali sita nelle vicinanze della chiesa e del campo sportivo nel Comune di Masone Bacino d’utenza: Comune di Masone e comuni della Comunità Montana Alta Valle Stura (Rossiglione, Campo Ligure e Tiglieto) Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti in legno ® rifiuti ingombranti ferrosi ® plastica 2)Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti solidi urbani e ingombranti derivanti dalla raccolta differenziata. Ubicazione: Località Cava dell’Oro (vicinanze Strada Provinciale n° 1) nel Comune di Rossiglione ma vicino al confine con il Comune di Tiglieto Bacino d’utenza: Comune di Tiglieto essenzialmente e altri Comuni della Comunità Montana Alta Valle Stura Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti in legno ® rifiuti ingombranti ferrosi ® carta 3)Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti solidi urbani e ingombranti derivanti dalla raccolta differenziata. Ubicazione: Località Rossiglione Inferiore nel Comune di Rossiglione

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Bacino d’utenza: Comune di Rossiglione essenzialmente e altri Comuni della Comunità Montana Alta Valle Stura Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti in legno ® rifiuti ingombranti ferrosi ®vetro 4)Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti solidi urbani e ingombranti da smaltire e/o recuperare già autorizzato ai sensi dell’art. 28 del D. Lgs. 22/97 per il quale è previsto un ampliamento gestito in forza di comunicazione inviata ai sensi dell’art. 33 del D. Lgs. 22/97. Ubicazione: Località Valle Calda nel Comune di Campoligure Bacino d’utenza: Comune di Campoligure prevalentemente e altri comuni della Comunità Montana Alta Valle Stura Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti ingombranti misti (legno ecc.) ® rifiuti ingombranti ferrosi ® carta e cartone ® lattine

Comune di Arenzano

Tipo di impianto: Centro di messa in riserva di rifiuti solidi urbani da raccolta differenziata e ingombranti da recuperare gestito in forza di comunicazione inviata ai sensi dell’art. 33 del D. Lgs. 22/97. Ubicazione: Via Aurelia di Levante Località Lupara Bacino d’utenza: Comune di Arenzano Tipologia di rifiuti raccolti presso il centro: ® rifiuti di legno ® plastica ® materiali ferrosi ® vetro

Comune di Cogoleto

Tipo di impianto: Centro di messa in riserva (non ancora esistente) di rifiuti solidi urbani da raccolta differenziata e ingombranti da recuperare che verrà gestito in forza di comunicazione già inviata ai sensi dell’art. 33 del D. Lgs. 22/97.

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Ubicazione: Località Molinetto Bacino d’utenza: Comune di Cogoleto Tipologia di rifiuti che verranno raccolti presso il centro: ® rifiuti di legno ® plastica ® materiali ferrosi ® vetro ® alluminio ® carta bianca e carta colorata ®tessili

Comunità Montana Alta Val Trebbia

Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti solidi urbani e ingombranti da avviare al recupero o allo smaltimento con fasi di compattazione per alcune frazioni (progetto approvato). Ubicazione: Località Vallà nel Comune di Torriglia Bacino d’utenza: Comuni di Torriglia, Propata, Fascia, Rovegno, Rondanina, Gorreto, Montebruno e Fontanigorda Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti di legno ® plastica ® materiali ferrosi e non ferrosi (inclusi ex elettrodomestici) ® vetro ® carta

Comunità Montana Valfontanabuona

Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti solidi urbani e ingombranti da avviare al recupero o allo smaltimento con fasi di adeguamento volumetrico di compattazione e triturazione di alcune frazioni (progetto approvato). Ubicazione: Località presso discarica di RSU di Rio Marsiglia nei Comuni di Uscio e Tribogna Bacino d’utenza: Comuni di Avegno, Bargagli, Bogliasco, Carasco, Cicagna, Cogorno, Coreglia Ligure, Favale di Malvaro, Lorsica, Lumarzo, Moconesi, Neirone, Orero, S. Colombano Certenoli, Sori, Tribogna ed Uscio

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Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti di legno ® plastica ® materiali ferrosi e non ferrosi di piccole e grosse dimensioni (inclusi ex elettrodomestici) ® vetro ® carta e cartone ® farmaci scaduti ® batterie e pile ® rifiuti compostabili (ramaglie, potature ecc.) ® pneumatici ® inerti misti di demolizione e costruzione ® rifiuti ingombranti non recuperabili

Comunità Montana Alta Valle Scrivia

1) Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti ingombranti da avviare al recupero o allo smaltimento (progetto e gestione autorizzati). Ubicazione: Località Capoluogo nel Comune di Vobbia Bacino d’utenza: Comune di Vobbia essenzialmente Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti ingombranti non recuperabili ® rifiuti ingombranti ferrosi e non ferrosi (esclusi i frigoriferi ecc.) 2) Tipo di impianto: Centro di stoccaggio rifiuti solidi urbani da raccolta differenziata e ingombranti da avviare al recupero o allo smaltimento con fasi di adeguamento volumetrico tramite compattazione o triturazione per alcune frazioni (progetto in fase istruttoria). Ubicazione: Località Birra nel Comune di Busalla Bacino d’utenza: Comuni di Vobbia, Valbrevenna, Casella, Davagna, Savignone, Montoggio, Busalla, Crocefieschi, Isola del Cantone, Ronco Scrivia e Mignanego Tipologia di rifiuti che potranno essere conferiti presso il centro: ® rifiuti di legno ® plastica

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® materiali ferrosi e non ferrosi di piccole e grosse dimensioni (inclusi ex elettrodomestici) ® vetro ® carta e cartone ® farmaci scaduti ® batterie e pile ® rifiuti compostabili (ramaglie, potature ecc.) ® oli vegetali esausti ® inerti misti di demolizione e costruzione

Comune di Camogli

Tipo di impianto: Centro di conferimento e stoccaggio provvisorio per la raccolta differenziata di rifiuti da avviare al recupero (progetto in via di autorizzazione. Ubicazione: Località Bana nel Comune di Camogli Bacino d’utenza: Comune di Camogli Tipologia di rifiuti che potrebbero essere conferiti presso il centro: ® vetro ® carta/cartone ® legno industriale già verniciato e mobili ® rifiuti vegetali (residui da potatura e da sfalcio) ® frazione organica da rifiuti solidi urbani ® plastica (bottiglie e flaconi) ® rifiuti ingombranti ® imballaggi in metallo

Comune di Recco

Tipo di impianto: Centro di conferimento e stoccaggio provvisorio per la raccolta differenziata di rifiuti da avviare al recupero. Ubicazione: Località Valle della Nè Bacino d’utenza: Comune di Recco Tipologia di rifiuti che potrebbero essere conferiti presso il centro: ® vetro

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® pile esauste ® accumulatori esausti al piombo ® farmaci scaduti ® carta/cartone ® legno industriale già verniciato e mobili ® rifiuti vegetali (residui da potatura e da sfalcio), cassette da avviare al compostaggio ® plastica ® materiali ferrosi (ex elettrodomestici, rottame ecc.) ® detriti inerti da demolizione ® cuoio, pellami e tessili ® oli minerali esausti ® oli vegetali ed animali esausti ® alluminio

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Il sistema dei trasporti. La logistica dei trasporti è una variabile dipendente dalla localizzazione dei

siti di smaltimento dei rifiuti e pertanto si presenta oggi con caratteristiche contingentemente collegate all’attuale dislocazione degli impianti.

Sono di interesse limitato le operazioni di trasporto che convergono su

impianti dislocati nelle vallate interne; essi sono stati previsti e realizzati proprio in funzione del decentramento delle zone servite rispetto ad una ipotetica baricentricità d’ambito e al fine anche di minimizzare costi e disagi dovuti alla componente trasportistica, tenuto conto della modesta entità della produzione di rifiuti nei comuni montani, tutti piccoli comuni, della provincia di Genova.

Di rilevanza non trascurabile, sotto diversi aspetti, è invece il complesso delle

operazioni di trasporto quando l’impianto di smaltimento serve un’utenza ampia e le distanze da percorrere assumono un peso significativo. Gli aspetti da considerare sono sostanzialmente due: i costi di trasporto e l’incidenza del traffico in entrata e uscita dall’impianto sia sulla viabilità complessiva (impatto generalmente non condizionante), sia sulle comunità insediate in vicinanza dell’impianto stesso, in prossimità del quale i tracciati si unificano in un unico percorso.

Tale situazione in oggi osservabile in relazione all’utilizzo della discarica di

Scarpino, alla quale conferisce circa l’88% dell’utenza complessiva dell’ambito, è da analizzare in relazione alle proposte del piano che indirizzeranno l’autorità d’ambito, una volta costituita, nella scelta fra le opzioni tecnologiche di sistema.

In ogni caso il problema non è nuovo ed in parte già risolto mediante la

realizzazione di centri funzionali per il contingentamento dei RSU raccolti, ai fini della limitazione del numero di mezzi da movimentare dal luogo di produzione all’impianto di smaltimento.

Nel territorio provinciale sono presenti le “stazioni di trasferimento” elencate

di seguito: - Genova Val Bisagno loc. Volpara - Genova Via Lungomare Canepa - Rapallo loc. Tonnego - Lavagna loc. Madonna della Neve - S. Margherita Ligure Via Dogali - Chiavari loc. Cava di Bacezza

tutte gravitanti su Scarpino per lo smaltimento, oltre alla stazione di trasferimento attiva nel comune di Borzonasca, la cui produzione è avviata alla discarica di Malsappello.

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Il traffico medio giornaliero relativo ai rifiuti urbani che affluisce all’impianto di Scarpino è dell’ordine di 70 – 80 mezzi pesanti.

Si precisa che complessivamente il traffico che affluisce alla discarica di

Scarpino vede il transito di circa 200 mezzi (comprensivi della quota sopra indicata) tra i quali figurano mezzi che trasportano rifiuti derivanti da attività private.

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Piano provinciale di gestione dei rifiuti. Fase transitoria. Il sistema attuale di smaltimento si basa esclusivamente sull’utilizzo di

impianti di discarica, impianti dove vengono confinati i rifiuti così come vengono prodotti e dove i fenomeni naturali determinano la trasformazione chimica e fisica degli stessi, cui consegue un impatto sull’ambiente per tempi che non possono essere preordinati né determinati con certezza in conseguenza di svariati fattori in gioco. La discarica rappresenta il sistema di smaltimento meno evoluto, il cui utilizzo per il futuro è condizionato dall’attualizzazione di norme tecniche che ne limiteranno la fruibilità.

Il sistema pertanto dovrà subire una trasformazione basata sul principio

dell’uso delle migliori tecnologie disponibili da mettere in atto nei tempi più brevi possibili, anche ricorrendo all’attivazione del sistema per gradi intermedi.

E’ necessario precisare che il piano regionale ha dato atto, nella sua parte

riportante le norme da applicarsi nella fase transitoria, di una procedura che consentirebbe di ampliare gli impianti di smaltimento esistenti per una capacità di servizio che non vada oltre il termine di due anni di autonomia. Tale norma transitoria sarebbe comunque superata, secondo quanto contenuto nella circolare esplicativa regionale sull’argomento, dall’atto di adozione dello schema di piano provinciale e comunque dalla decorrenza dei termini procedurali per la sua approvazione.

In ordine alla problematica che si sarebbe determinata come conseguenza del

mancato rispetto di detto termine e cioè la impossibilità di procedere con l’approvazione di progetti di ampliamento di impianti esistenti, la Regione Liguria ha emanato una norma contenuta nella L. R. n. 8/2002 con la quale vengono ridefiniti i tempi per l’approvazione dei piani provinciali e viene nel contempo ripristinata la facoltà di approvare progetti di impianti qualora gli stessi siano individuati come facenti parte del sistema di smaltimento complessivamente descritto nel documento provinciale di pianificazione ancorchè non approvato.

Sulla scorta di tale disposizione, all’inizio del 2002 si è dato corso all’esame

del progetto di ampliamento della discarica di Monte Scarpino pervenendo alla favorevole conclusione del procedimento in conferenza dei servizi e che consentirà di aumentare la disponibilità di smaltimento di circa 1.000.000 di metri cubi. In particolare il progetto prevede lo sviluppo della coltivazione come sopraelevazione della quota massima già prevista nella precedente autorizzazione alla gestione dell’impianto (pari a circa 440 metri), con un abbancamento di rifiuti ad arrivare fino a quota massima pari a 460 ed interessando, nella parte più a monte, una porzione superficiale del corpo di Scarpino 1. Tale intervento non determina modifiche del perimetro dell’impianto.

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A seguito delle verifiche effettuate nel corso del 2001 sullo stato effettivo delle discariche in esercizio e dei volumi autorizzati e disponibili si è pervenuti al quadro conoscitivo illustrato nella seguente tabella:

Volume

autorizzato (mc) Capacità residua

al 31/12/00 RSU smaltiti nel

2001 (t/a) Capacità residua

al 31/12/01 Monte Scarpino 3.296.600 1.101.400 398.675 673.178Rio Marsiglia 730.000 365.000 18.900 323.000Birra 297.171 (*) 3.713 12.706 286.142Ca’ da Matta 58.000 49.730 9.559 31.274Malsappello 43.900 22.000 3.056 17.000Vallà 125.000 75.000 2.538 (#) 70.000Totale 4.546.671 1.616.843 445.434 1.400.597

(*) dato non confrontabile (#) dato stimato

Il dato corrispondente al totale dell’ultima colonna oggi va incrementato di

circa 1.000.000 di metri cubi in relazione all’ampliamento della discarica di Scarpino. Inoltre utilizzando i dati relativi alla gestione di Scarpino in ordine alla corrispondenza fra la massa dei rifiuti ed il volume occupato in discarica si ricava una necessità di volumi di smaltimento rapportati all’intera produzione di RSU pari a circa 480.000 mc/anno.

In termini strettamente statistici la capacità di smaltimento di cui dispone il

sistema delle discariche in esercizio è tale da coprire un periodo di 5 anni, fino a tutto il 2006. Tuttavia nella realtà gestionale consolidata il fattore limitante è costituito proprio dalla capacità di smaltimento della discarica di Scarpino che, con l’attuale ritmo di coltivazione, ha una durata prevedibile di 3,5 anni, fino cioè alla prima metà del 2005.Questa ipotesi si basa peraltro sulla stima più critica, nella quale non viene considerata la flessione del quantitativo di RSU da smaltire in discarica, determinata dallo sviluppo del sistema della raccolta differenziata e dalla conseguente riduzione delle esigenze di smaltimento.

Fino all’allestimento del sistema nuovo, il piano provinciale deve garantire la

copertura dell’esigenza di smaltimento, anche prevedendo l’approvazione di ulteriori ampliamenti collegati al mantenimento dell’autonomia di smaltimento nell’ambito provinciale. Tali eventuali ampliamenti sono ammessi nei limiti delle necessità legate al superamento del periodo transitorio per tutti gli impianti esistenti e funzionanti previa verifica di fattibilità sotto il profilo geo-tecnico e morfologico, nonché sotto il profilo della sicurezza e stabilità dei rilevati.

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Sulla discarica di Scarpino si ritiene di dover fornire un quadro più dettagliato dello stato di fatto e delle ipotesi di impiego.

La discarica di Scarpino è ubicata nel comune di Genova alle spalle della

circoscrizione di Sestri Ponente. L’accesso utilizza la viabilità ordinaria fino all’insediamento di Borzoli, in Val Polcevera, indi si sviluppa attraverso una ex pista militare a suo tempo migliorata allo scopo.

La discarica è in uso da alcuni decenni e si configura distinta in due corpi

contraddistinti con i nomi di Scarpino 1 e Scarpino 2. Le due realtà sono diverse sotto ogni profilo e tali da farle considerare due impianti, con connotazione e caratteristiche proprie.

Scarpino 1 è la discarica storica, in uso dagli anni ’50 e chiusa

definitivamente all’inizio degli anni ’90. Essa occupa la parte più a monte dell’area valliva ed è priva dei dispositivi di salvaguardia ambientale ad iniziare dalla assenza di impermeabilizzazione di fondo. Dopo la chiusura è stata realizzata la copertura superficiale e la regimazione idrica superficiale con sistemazione a gradoni profilati, impermeabilizzati ed inerbiti. Pur in presenza di tali accorgimenti, la presenza altresì di una diffusa e vasta circolazione idrica sotterranea ed “emergenze” idriche dalle rocce che ne costituiscono la vasca, determina una produzione di percolato, in quantità variabile tra 50 e 90 mc/h, con caratteristiche chimiche tali da renderlo intrattabile con i consueti processi a costi sopportabili. Tale massa viene tuttavia captata da una rete di fondo e raccolta in un vasca di accumulo posto a valle dell’intero insediamento.

Con decreto del Ministro dell’Ambiente in data 22 settembre 1997 sono state

approvate le proposte progettuali relative all’intervento di risanamento ambientale del Ponente genovese e concesso un finanziamento di L. 34.145 milioni a valere sui fondi di cui al Piano triennale di tutela ambientale 1994/96 e sul Piano straordinario di cui all’art. 6 della Legge 135/97; tale piano di intervento, successivamente descritto come intervento di Area vasta per il risanamento ambientale della discarica di Scarpino, prevedeva, fra l’altro, il trattamento preliminare del percolato di discarica e il convogliamento in collettore dedicato fino al depuratore di Cornigliano. Attualmente tale collettore è stato messo in opera fino all’impianto di depurazione di Sestri Ponente ed il percolato, pretrattato, rimosso dal recettore superficiale in cui scaricava, il rio Cassinelle, con conseguente graduale miglioramento delle caratteristiche del corpo idrico e riduzione del principale fattore di impatto sull’ambiente dovuto alla vecchia discarica.

Scarpino 2 è l’impianto nuovo, realizzato secondo i criteri tecnici dettati dalla

normativa di settore, il cui progetto è stato approvato con deliberazione della Giunta regionale nel 1988. La discarica dispone di tutti i presidi indispensabili per un corretto funzionamento e disponeva alla fine del 2000 di una volumetria residua di

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circa 1.100.000 mc, corrispondente a circa due anni e mezzo di coltivazione, aumentata come più sopra detto di circa 1.000.000 di metri cubi, che prolungano la vita della discarica fino alla prima metà del 2005.

La viabilità di accesso all’impianto rappresenta un problema di rilevante

entità che potrebbe non essere considerato determinante solo nel caso in cui si preveda in tempi brevissimi l'esaurimento dell'impianto che ne viene servito.

L’ampliamento dell’impianto e l’allungamento dei tempi di utilizzo vanno invece ad acuire tale problematica, rendendone insostenibile il mantenimento dello stato attuale infrastrutturale.

In ragione di quanto esposto il proseguimento nell’uso della discarica di

Scarpino è legato alla realizzazione di una viabilità alternativa all’attuale percorso; pur non essendo l’Amministrazione provinciale competente all’approvazione del progetto viario, l’acquisizione e la verifica della documentazione relativa al nuovo tracciato stradale, corredata delle notizie circa la fattibilità economica e la tempistica di realizzazione, costituisce elemento rilevante nell’ipotesi di gestione di nuovi volumi.

Si sottolinea che la realizzazione del nuovo sistema viario è giustificato oltre

che dal proseguimento dell’esercizio di Scarpino in funzione dei tempi per l’allestimento del nuovo sistema di smaltimento, ma altresì dall’ipotesi di utilizzo successivo della discarica come discarica di servizio al sistema stesso per un periodo almeno pari alla validità del contenuto del presente piano che sviluppa il proprio progetto operativo sul periodo decennale.

E’ prevedibile che durante il periodo di transizione dallo stato attuale alla

completa disponibilità del sistema impiantistico finale, intervenga il recepimento, da parte dello Stato, della direttiva comunitaria sulle discariche che comporta l’individuazione delle tipologie di rifiuto conferibili; per quanto riguarda i RSU, questi potranno essere conferiti in discarica solo se pretrattati. Da ciò discende la necessità di prevedere l’allestimento di impianti di pretrattamento che consentano la continuazione dell’esercizio delle discariche stesse nel rispetto delle disposizioni di settore.

Piano provinciale di gestione dei rifiuti. Schemi di sistema. Il piano regionale di gestione dei rifiuti propone e mette a confronto diverse

ipotesi per l’allestimento definitivo del sistema di gestione dei rifiuti urbani. Vengono di seguito illustrate le varie ipotesi di soluzione che traggono spunto dalle schematiche indicazioni dello stesso piano regionale.

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Il quantitativo di rifiuti solidi urbani relativo all’intera provincia, sul quale vengono effettuati i calcoli per la stima della potenzialità degli impianti è pari a 300.000 tonnellate/ anno. Il dato rappresenta la produzione annua di rifiuti dell’intero territorio provinciale, alla quale è stata sottratta la percentuale del 35%, quale obbiettivo predefinito di raccolta differenziata all’origine.

Termovalorizzazione dei rifiuti non preselezionati Consiste nel trattamento termico di combustione dei rifiuti non pretrattati, con

recupero energetico. Si ipotizza la realizzazione di un unico impianto a servizio dell’intera

provincia. Pertanto l’impianto stesso necessita di una potenzialità di smaltimento pari a 300.000 tonnellate /anno, corrispondenti ad una capacità media giornaliera di circa 820 tonnellate. Il potere calorifico si aggira intorno a 2.000 kcal/kg.

Il residuo da conferire in discarica è pari a circa il 30% del peso iniziale e a circa il 17% del volume iniziale, corrispondente a 90.000 tonnellate/ anno fra scorie e ceneri leggere. Le ceneri leggere devono essere gestite come rifiuti pericolosi e deposti pertanto in impianti adeguati ovvero trattate per giungere alla completa inertizzazione. Tale operazione determina un aumento del volume del residuo in quanto lo stesso viene addittivato di materiale legante; peraltro la quota percentuale delle ceneri leggere sul totale dei residui di combustione dipende dalla tecnologia utilizzata, potendo passare da un quantitativo modestissimo (intorno allo 0,3% del peso iniziale del rifiuto) nei forni a griglia, fino a circa il 15% in forni a letto fluido.

Separazione secco – umido. Termoutilizzazione del secco. Frazione umida al

trattamento. E’ un trattamento che trasforma il rifiuto in una frazione secca da destinare

alla termoutilizzazione ed una frazione umida da avviare ad un trattamento adeguato. La separazione della frazione secca del rifiuto dalla frazione umida non

comporta l’utilizzo di un’unica tecnologia consolidata. In realtà gli ultimi anni hanno assistito ad un notevole impulso nello sviluppo delle tecniche di pretrattamento dei rifiuti urbani, orientamento peraltro sostenuto anche dagli input normativi che impongono la cessazione dell’uso degli impianti di discarica per il conferimento di rifiuti che non siano stati sottoposti ad un preliminare trattamento.

Ciò posto, i dati quantitativi sono da intendersi come indicazione statistica,

suscettibile pertanto di variazioni in termini di unità percentuali che dipendono dalla scelta della specifica tecnologia impiantistica, ma comunque di scarso rilievo ai fini della presente esposizione.

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In linea di massima tale trattamento origina una frazione secca pari a circa 180.000 tonnellate/anno e una frazione umida pari a circa 120.000 tonnellate/anno corrispondenti rispettivamente al 60% e al 40% del peso iniziale. La frazione secca, dotata di un potere calorifico che si aggira intorno a 3.000 kcal/kg, è destinata alla termoutilizzazione.

La frazione umida è destinata ad un trattamento successivo che ne riduce il

peso, per perdita di umidità, del 15% del valore iniziale e dà luogo a scarti in quantità pari a circa 36.000 tonnellate/anno (12% del valore iniziale) da conferire in discarica e ad una frazione umida trattata di quantità equivalente da conferire ugualmente in discarica, salvo un eventuale impiego in ripristini ambientali di scarso pregio, e comunque mai utilizzabile per coperture.

L’impianto di termoutilizzazione , che si prevede unico per l’intero ambito

provinciale, deve provvedere all’incenerimento di 180.000 tonnellate/anno di rifiuti pretrattati corrispondente ad una capacità media giornaliera di smaltimento pari a circa 494 tonnellate.

Per l’operazione di separazione secco – umido si prevede l’installazione di

non meno di tre impianti di trattamento. Il residuo da conferire in discarica risulta variabile fra il 41% (123.000 t/anno)

e il 29% (87.000 t/anno) a seconda del destino della frazione umida trattata così suddiviso: 17% del peso iniziale fra scorie e ceneri (51.000 t/anno), 12% del peso iniziale come scarti del trattamento della frazione umida (36.000 t/anno) , 12% come frazione umida trattata (36.000 t/anno).

Separazione secco – umido e parziale produzione di CDR. Termoutilizzazione

del secco e del CDR. Frazione umida al trattamento. Il sistema presenta caratteristiche analoghe alla descrizione precedente salvo

che una quota dei rifiuti, dopo essere stati selezionati, vengono trasformati in CDR, avente le caratteristiche merceologiche parametrate e standardizzate.

L’ipotesi scaturisce dal percorso proposto a suo tempo da un provvedimento

regionale che indicava la via della produzione di CDR come soluzione gestionale dei rifiuti prodotti nei comuni del levante. Pertanto il sistema qui descritto prende in considerazione una diversificazione di trattamento dei rifiuti urbani per ottenere frazioni con caratteristiche diverse, da avviare comunque alla termoutilizzazione e al recupero energetico, ed, almeno in parte, una individuabilità territoriale delle componenti tecnologiche del sistema.

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La produzione dei rifiuti viene distinto in due quote: quella riferibile all’area metropolitana genovese pari a circa 246.000 tonnellate/anno e quella relativa alla produzione dei comuni del levante pari a circa 54.000 tonnellate/anno.

La produzione dell’area metropolitana genovese subisce un trattamento

analogo a quello descritto al punto precedente con identiche percentuali di resa; i quantitativi assoluti risultano i seguenti: frazione secca 147.600 t/anno, frazione umida 98.400 t/anno, scorie e ceneri 41.820 t/anno, scarti dal trattamento della frazione umida 29.520 t/anno, umido trattato 29.520 t/anno.

La quota di rifiuti prodotta nei comuni del levante viene avviata ad un

impianto di produzione di CDR. Il processo trasforma il 30% della massa in Combustibile Derivato da Rifiuti , corrispondente a 16.200 t/anno, con un potere calorifico pari a circa 4.000 kcal/kg da avviare alla termoutilizzazione, dalla quale consegue una produzione di scorie e ceneri che si aggira intorno al 5% della massa iniziale di rifiuti, corrispondente a 2.700 t/anno. Il 70% residuale viene avviato ad un trattamento che provoca una perdita in peso per disidratazione corrispondente al 20% del peso iniziale, un recupero di materiali pari al 5%, la produzione di scarti corrispondente al 30% (16.200 t/anno), ed un residuo umido trattato pari al 15% (8.100 t/anno) per l’eventuale utilizzo del quale vale quanto già detto al paragrafo precedente.

Nello scenario così configurato l’impianto di termoutilizzazione potrebbe

essere destinato alla combustione della sola frazione secca ovvero alla co-combustione della frazione secca e del CDR. Nel primo caso l’impianto di termoutilizzazione dovrebbe provvedere allo smaltimento di 147.600 tonnellate/anno di rifiuti pretrattati corrispondente ad una capacità media giornaliera di smaltimento di 404 tonnellate; nel secondo caso l’impianto dovrebbe consentire lo smaltimento di 163.800 tonnellate/anno di rifiuti pretrattati e di CDR corrispondente ad una capacità media giornaliera di smaltimento pari a circa 450 tonnellate.

Nel caso esaminato il residuo da conferire in discarica può variare tra il 43%

(127.860 t/anno) e il 31% (90.240 t/anno) della massa iniziale a seconda della possibilità di impiego dell’umido trattato.

Anche in questo caso si prevede la realizzazione di un unico impianto di

termovalorizzazione per soddisfare le esigenze dell’intero ambito, almeno due impianti di separazione secco-umido nell’area metropolitana genovese ed un impianto di produzione di CDR nel territorio del levante.

Capacità di incenerimento

tonn/anno

Capacità di incenerimento

media giornaliera

Esigenza di smaltimento in

discarica

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tonn/giorno tonn/anno (%)

Termovalorizzazione dei rifiuti non preselezionati 300.000 820 90.000

(30)

Separazione secco-umido Termoutilizzazione del

secco Frazione umida al

trattamento

180.000 494 123.000 (41)

(come sopra) Frazione umida trattata al

recupero 180.000 494 87.000

(29)

Separazione secco-umido Parziale produzione di

CDR Termoutilizzazione del

secco e del CDR Frazione umida al

trattamento

163.000 450 127.860 (43)

(come sopra) Frazione umida trattata al

recupero 163.000 450 90.240

(31)

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Schemi di sistema. Considerazioni generali. Rispetto al panorama di soluzioni prospettate dal piano regionale, si è ritenuto

di poter escludere alcune ipotesi, in ragione di valutazioni di carattere generale che nel seguito vengono illustrate.

Le tre opzioni considerate si possono far confluire in due diverse logiche di

sistema: - ridurre il numero di impianti che costituiscono il sistema, aumentando

peraltro il peso ambientale del singolo impianto; - ridurre il peso ambientale dei diversi impianti che costituiscono il sistema,

aumentandone il numero ed incidendo su molteplici realtà territoriali. Nel primo caso rientra il termoutilizzatore unico che trasforma tutto il rifiuto,

non pretrattato, prodotto nell’intero ambito provinciale. Con questa scelta si minimizza il numero di “casi” di conflitto con le comunità locali interessate, mentre si deve prevedere un maggior peso del conflitto sociale che l’unico “caso” determina, anche in rapporto alla concentrazione del peso ambientale.

Nel secondo caso rientrano i sistemi che prevedono il pretrattamento dei

rifiuti su diversi poli industriali, più accettati in quanto tali sistemi si riconoscono più equi, anche se in fase di scelta dei siti verranno ad innescarsi i normali fenomeni di disconoscimento della correttezza del processo decisionale e dell’autorità ad esso deputata da parte delle comunità interessate. Peraltro il peso ambientale del complesso di impianti di pretrattamento e dell’impianto finale di termodistruzione risulta distribuito ed impattante sulla realtà territoriale locale in maniera singolarmente inferiore.

Ognuna delle ipotesi considerate presenta pertanto una sua logica che deriva

dall’aver soppesato vantaggi e svantaggi dell’opzione. Le ulteriori ipotesi del piano regionale – si fa in particolare riferimento al

pretrattamento dei rifiuti e all’incenerimento sia della frazione secca che della frazione umida trattata – comporta la necessità di individuazione di una molteplicità di siti per la realizzazione del sistema e l’allestimento di un impianto di termoutilizzazione la cui riduzione in termini di capacità di smaltimento a seguito del pretrattamento dei rifiuti non verrebbe percepita come un vantaggio da parte della popolazione (la riduzione di capacità annua di smaltimento è quantificabile in circa ¼ rispetto al termovalorizzatore del rifiuto cosiddetto “tal quale”).

L’altra ipotesi del piano regionale che non è stata considerata è quella che

prevede la trasformazione di tutto il rifiuto prodotto in CDR e successiva combustione in impianto dedicato. Tale sistema è stato accantonato per il fatto che

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l’utilizzo del CDR come combustibile alternativo è ancora in fase poco più che sperimentale ed inoltre perché rappresenterebbe il sistema che necessita della maggiore esigenza in termini di utilizzo della discarica a valle del trattamento. A tale proposito si fa presente che nelle ipotesi di sistema proposte, viene sempre considerata la possibilità di poter utilizzare il residuo umido del trattamento per recuperi ambientali, operazione che, anche se perpetuata solo in modo parziale, ha come effetto immediato e vantaggioso il minore utilizzo della discarica come impianto finale; la conseguenza implicita che ne deriva è l’allungamento della vita del complesso sistema di smaltimento, nel quale la discarica, essendo l’unico impianto ad esaurimento , costituisce il fattore limitante.

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Schemi di sistema. Discarica. La discarica costituisce l’anello finale del sistema, il tipo di impianto

ineliminabile per poter chiudere il ciclo di smaltimento, qualsiasi sia il sistema tecnologico prescelto. La morfologia del territorio ligure, la diffusa urbanizzazione della fascia costiera, i vincoli legati alla rete idrografica, agli aspetti paesistici ed idrogeologici costituiscono altrettanti elementi condizionanti alla realizzazione di tale tipologia di impianto.

Risulta pertanto essenziale tentare di ridurre, per quanto possibile, la

dipendenza funzionale del sistema dall’utilizzo delle discariche, risultato che si può ottenere mettendo in atto tutte le possibili azioni alternative a tale pratica.

Le tipologie di residui che si possono ottenere dall’installazione degli impianti

sono le seguenti: - scorie da combustione - ceneri volanti da impianti di abbattimento fumi - scarti da selezione del rifiuto - residuo umido trattato Le scorie da combustione sono sostanzialmente rifiuti inerti, tuttavia le prove

di cessione, i cui risultati sono reperibili in letteratura, non consentirebbero il deposito in impianti non impermeabilizzati a causa della presenza di metalli in concentrazione non sempre rientrante nei limiti di legge per gli scarichi nei corpi idrici superficiali. Pertanto l’ipotesi di utilizzo di discariche di 2° categoria tipo A è subordinata alla esecuzione del test di cessione sul rifiuto concretamente prodotto e ai risultati che ne derivano. D’altra parte, indipendentemente dall’esito del test di cessione, le scorie da combustione rientrano nella categoria dei rifiuti riutilizzabili presso i cementifici per la produzione di cementi nelle forme usualmente commercializzate.

Le ceneri volanti da impianti di abbattimento dei fumi di combustione, hanno

un contenuto in metalli tale da richiedere un trattamento di inertizzazione ai fini di un più agevole smaltimento. La loro destinazione è la discarica, i cui requisiti minimi sono quelli previsti per la 2° categoria tipo B, dotata di impermeabilizzazione, presso la quale i rifiuti conferibili devono comunque possedere un eluato entro limiti stabiliti.

Gli scarti da selezione dei rifiuti costituiscono un residuo alquanto

disomogeneo. A tutti gli effetti esso può essere e deve essere conferito in discariche aventi le caratteristiche tipiche delle discariche di 1° categoria.

Il residuo umido trattato è un rifiuto urbano del quale si è accelerata la

maturazione. Esso presenta delle analogie con il rifiuto compostato, di cui peraltro

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non presenta i requisiti di qualità. Il destino alternativo alla discarica di 1° categoria, è l’impiego in recuperi ambientali previa verifica delle caratteristiche sia del residuo e dello scostamento dai requisiti del compost, sia delle modalità strutturali e gestionali dell’operazione di recupero.

Si analizzano di seguito le tre ipotesi di sistema per quanto riguarda le

esigenze di smaltimento in discarica relativamente alla situazione maggiormente impegnativa e, ovviamente più prudente.

Termovalorizzazione dei rifiuti non preselezionati. Si prevede la produzione di circa 90.000 tonn/anno di residui costituiti da

scorie e ceneri. Il quantitativo relativo di ceneri volanti è, come si è già sottolineato, variabile in dipendenza della tecnologia di combustione adottata. In via prudenziale si ipotizza che circa il 10% dei residui siano costituiti da ceneri da inertizzare mediante l’impiego di una quantità di pari misura di materiale legante. In tal modo tutto il residuo potrebbe essere conferito in discarica di 2° categoria tipo B. Il quantitativo globale da smaltire nei dieci anni successivi all’allestimento del sistema sarebbe pari a 1.000.000 di tonnellate corrispondente a 570.000 mc. Si precisa che, salvo verifiche per garantire la stabilità dei rilevati, le attuali discariche di 1° categoria potrebbero essere riconvertite a discarica di 2° categoria tipo B, essendo il requisito essenziale per il deposito già disponibile nelle opere di impermeabilizzazione del fondo.

scorie 80.000 tonn./anno

45.600 mc/anno

456.000 mc/10 anni

ceneri (compreso materiale legante)

20.000 tonn./anno

11.400 mc/anno

114.000 mc/10 anni

totale 100.000 tonn./anno

57.000 mc/anno

570.000 mc/10 anni

Separazione secco – umido. Termoutilizzazione del secco. Frazione umida al trattamento. Si prevede in questo caso la produzione di 123.000 tonn/anno di residui così

distinti: 51.000 tonn/anno di scorie e ceneri che, in base alla precedente teoria di calcolo, produrrebbero circa 560.000 tonnellate (317.000 mc) da smaltire nell’arco dei dieci anni in discarica di 2° categoria tipo B alle quali sono da aggiungere 720.000 tonnellate di scarti e umido trattato, il cui peso specifico, cautelativamente, si assume pari a 1. La necessità di capacità di smaltimento in discarica nell’arco del decennio è di 1.037.000 mc. In questo caso la capacità di smaltimento residua delle discariche esistenti potrebbe dimostrarsi insufficiente, con la conseguenza che potrebbe doversi realizzare uno o più nuovi impianti di discarica al servizio al sistema. Al momento si può solo ipotizzare una localizzazione già individuata per la realizzazione di una discarica per inerti da attrezzare convenientemente per le esigenze emergenti.

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scorie e ceneri 56.000 tonn./anno

31.700 mc/anno

317.000 mc/10 anni

scarti 36.000 tonn./anno

36.000 mc/anno

360.000 mc/10anni

umido trattato 36.000 tonn./anno

36.000 mc/anno

360.000 mc/10 anni

totale umido in discarica

128.000 tonn./anno

103.700 mc/anno

1.037.000 mc/10 anni

totale umido al recupero

92.000 tonn./anno

67.700 mc/anno

677.000 mc/10 anni

Separazione secco – umido e parziale produzione di CDR. Termoutilizzazione del secco e del CDR. Frazione umida al trattamento. La produzione di residui che deriva da tale sistema è calcolato in 127.860

tonn/anno così distribuite: 44.520 tonn/anno fra scorie e ceneri che darebbero luogo a 490.000 tonnellate (278.000 m3) da smaltire nel decennio; 45.720 tonn/anno di scarti dal trattamento e 37.620 tonn/anno di umido trattato che complessivamente darebbero origine a 833.000 tonnellate da smaltire nel decennio: Il totale delle esigenze di smaltimento nell’arco di dieci anni ammonta a circa 1.323.000 tonnellate di rifiuti da depositare in discarica corrispondente a 1.111.000 mc. Anche in questo caso la capacità di smaltimento dei residui in discarica potrebbe superare la capacità di smaltimento residua delle discariche esistenti con le conseguenze già evidenziate al punto precedente.

scorie 37.800 2.600

tonn./anno

21.520 1.470

mc/anno

229.900 mc/10 anni

ceneri (compreso materiale legante)

8.400 200

tonn./anno

4700 110

mc/anno

48.100 mc/10 anni

scarti 29.520 16.200

tonn./anno

45.700 mc/anno

457.000 mc/10 anni

umido trattato 29.520 8100

tonn./anno

37.600 mc/anno

376.000 mc/10 anni

totale umido in discarica

132.340 tonn./anno

111.100 mc/anno

1.111.000 mc/10 anni

totale umido al recupero

94.720 tonn./anno

73.500 mc/anno

735.000 mc/10 anni

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Si ritiene comunque che siano da escludere o comunque da non conteggiare al momento, salvo reali emergenze, le discariche di Rezzoaglio e di Torriglia per lo scopo predetto, oltre alla discarica di Sestri Levante destinata all’esaurimento in tempi molto brevi. Tale selezione oltre a derivare dalla valutazione circa il contributo modesto che le discariche predette sono in grado di fornire come capacità di smaltimento, dipende anche dalla loro ubicazione, oggettivamente decentrata rispetto al reale baricentro del territorio di produzione dei rifiuti e pertanto in via presuntiva anche rispetto al l’ipotetico baricentro del sistema di smaltimento, qualunque sia, fra le opzioni considerate, la specifica articolazione.

Nel paragrafo riguardante il sistema di smaltimento esistente e nel successivo

paragrafo relativo al superamento della fase transitoria si è prospettata una estensione della capacità di smaltimento in discarica di circa un milione di mc già positivamente esaminata. Inoltre non è stata esclusa la possibilità di ampliamento ulteriore delle discariche in esercizio, previa la dovuta valutazione tecnica. Il complesso della capacità di smaltimento ottenibile, oltre a garantire l’attuale logistica di conferimento, incrementa il volume di smaltimento disponibile per un valore che sembra essere sufficiente per coprire i fabbisogni di discariche nei prossimi dieci anni, considerando il regime transitorio limitato ai prossimi tre anni e le necessità di discariche di supporto con il sistema a regime nei successivi sette.

Tuttavia si ritiene utile ribadire che esiste una disponibilità di massima su

numerosi siti, variamente dislocati nel territorio provinciale, per la realizzazione di discariche per rifiuti speciali inerti. Si precisa che a seguito di direttive regionali, le scorie da combustione dei rifiuti urbani erano state a suo tempo annoverate fra le tipologie conferibili in discarica di 2° categoria tipo A, ipotesi praticabile senza diversi vincoli se, come più sopra evidenziato, le caratteristiche di rilascio del rifiuto sono tali da non determinare fenomeni di inquinamento delle acque; in caso contrario il deposito definitivo del rifiuto in argomento potrebbe richiedere la garanzia strutturale della impermeabilizzazione del fondo con captazione del percolato raccolto e trattamento dello stesso.

A tale proposito è quanto meno opportuno considerare che la Direttiva

1999/31/CE del 26 aprile 1999 relativa alle discariche di rifiuti Allegato 1 definisce i requisiti generali per la realizzazione delle discariche. In tale allegato fra l’altro viene prevista la realizzazione di una “barriera geologica” che “risponda a requisiti di permeabilità e spessore aventi, sul piano della protezione del terreno, delle acque freatiche e delle acque superficiali, un effetto combinato almeno equivalente a quello risultante” dai criteri riportati e che per le discariche per rifiuti inerti corrisponderebbero all’effetto di protezione ottenibile con un rivestimento del fondo di spessore di almeno 1 m con coefficiente di permeabilità K uguale o inferiore a 1,0 x 10 –7. Tale requisito è prefissato salvo (ed è quanto prevede lo stesso Allegato 1) che gli Stati Membri decidano di applicare solo parzialmente tale Direttiva alle discariche per rifiuti inerti.

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Si rinvia alla deliberazione del Consiglio Provinciale n. 114/25772 del 12

novembre 1996 per l’elenco dei siti, per il dettaglio dei criteri generali per l’individuazione di tali siti e delle schede monografiche relative a ciascuno, facendo presente in linea generale che ogni singola individuazione è da sottoporre alle verifiche specifiche nel momento in cui le proposte dovessero essere tradotte in progetti attuali laddove le stesse proposte non abbiano già avuto un esito:

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Schemi di sistema. Raccolta differenziata.

Dall’analisi dei dati raccolti fino al 1999 relativi ai risultati della raccolta

differenziata dei rifiuti urbani, si evidenzia la tendenza al graduale aumento in

termini percentuali delle rese delle raccolte delle frazioni merceologiche

recuperabili dei rifiuti ma, contestualmente, il mancato allineamento dei valori

agli obiettivi fissati dalla normativa in materia.

Si deve constatare peraltro l’affermazione della tendenza da parte dei

Comuni all’adeguamento del sistema di raccolta e all’incremento di dispositivi

atti a accrescere la potenzialità del servizio. I numerosi progetti presentati e

approvati nell’ultimo triennio, in parte non ancora completamente realizzati ed

operativi, sono riferibili a due categorie:

- impianti di tipo complesso ricadenti in zone fortemente antropizzate e

tendenti a coprire esigenze di conferimento di soggetti produttori di rifiuti

assimilabili agli urbani per fronteggiare la richiesta di un’utenza anche non

domestica e sostanzialmente individuabili come centri di primo livello, ma dove

avviene oltre al contingentamento dei materiali talvolta anche il primo

trattamento degli stessi consistente in adeguamento volumetrico tramite

compattazione o triturazione;

- impianti, generalmente situati in zone con insediamenti di piccole

dimensioni, di tipo semplice poco diversificati a coprire le esigenze di un’utenza

non concentrata, ma priva in precedenza di presidi qualificati per il conferimento

degli urbani recuperabili; tali centri sono stati realizzati in primo luogo per la

raccolta dei rifiuti ingombranti.

Il servizio di raccolta dei rifiuti è formalmente esteso a tutto il territorio

provinciale, ma sia il servizio di raccolta del rifiuto domestico indifferenziato

sia, e in modo più condizionante per l’andamento del sistema complessivo, il

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servizio di raccolta differenziata, presentano tutt’ora delle carenze riguardanti

l’organizzazione e la capillarità del servizio stesso in ordine alla congrua

distribuzione sul territorio e fruibilità dei dispositivi di raccolta da parte degli

utenti. I dati di RD elaborati evidenziano rese molto basse in termini percentuali

nella maggior parte dei piccoli comuni e della quasi totalità dei comuni montani.

Il comune di Genova soffre della frequente indisponibilità di spazi ed è

caratterizzato da una tale concentrazione degli insediamenti, soprattutto in

alcune zone della città, ragioni per la quali si manifesta talvolta un inadeguato

rapporto fra il numero o meglio la capacità dei contenitori stradali e i potenziali

fruitori.

In ordine alla questione considerata si osserva che la raccolta

differenziata mediante il tradizionale sistema dei contenitori stradali, pur se

limitatamente alle quattro tipologie già largamente attive, può intercettare fino al

25% della produzione di rifiuto domestico. Per ottenere tale risultato le azioni da

mettere in atto da parte del pubblico servizio riguardano sostanzialmente proprio

la logistica del sistema e interessa diversi aspetti:

- il raggiungimento dell’utente in termini di insediamento dei

contenitori stradali ad una distanza che non dovrebbe superare i 150 metri dal

luogo di origine ed aggregati ai cassonetti per la raccolta del rifiuto

indifferenziato;

- il mantenimento di un rapporto fra il numero di poli di raccolta e

utenti serviti non superiore a 1/500;

- la razionalizzazione dei ritiri per il ripristino della capacità di raccolta,

in particolare nei casi di impossibilità di rispetto del precedente parametro.

E’ necessario far rilevare che il raggiungimento della quota pari o

superiore al 35 % di raccolta differenziata è un obiettivo non raggiungibile con il

solo contributo dell’utenza domestica e trova altresì un fattore limitante nella

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mancata diversificazione progressiva delle tipologie recuperabili per le quali non

sia prevista la raccolta separata. In altri termini il progresso percentuale deve

contare sulle seguenti azioni:

- raccolta separata dei rifiuti assimilabili agli urbani e consistenti in

carta, cartone imballaggi in legno e plastica, vetro e metalli;

- raccolta separata della frazione organica derivante dalle attività di

ristorazione e commerciali di settore di vendita di alimentari sfusi, mercati ecc.,

dalle attività di sfalcio e potatura di spazi verdi pubblici e privati;

- avvio sperimentale e estensione progressiva della raccolta della

frazione organica domestica a partire dalle zone rurali e dai comuni montani.

Sul primo punto occorre prendere atto che allo stato attuale

l’applicazione della tassa di smaltimento dei rifiuti corrisposta dai soggetti

economici per il conferimento diretto nei cassonetti stradali dei rifiuti prodotti

non incentiva la separazione all’origine. E’ pertanto necessario che il sistema di

conferimento dei rifiuti venga modificato. La modifica necessaria consiste nella

introduzione del servizio del ritiro “porta a porta” per gli esercizi di dimensione

modesta ovvero con la messa a disposizione, per un certo numero di esercizi

aderenti all’iniziativa, di dispositivi di raccolta stradale dedicati alle sole attività

commerciali della zona. Il sistema così configurato esclude la possibilità di

deposito del vetro per motivi di sicurezza degli operatori del servizio di raccolta;

pertanto per quanto riguarda la raccolta del vetro è necessario che la stessa

proceda secondo lo schema di selezione all’origine e deposito separato.

L’organizzazione di ritiro del rifiuto differenziato è facilmente

applicabile ai punti vendita della grande distribuzione che si traduce nella

disponibilità, per i gestori dei centri, di contenitori appositi a specifica tipologia

di conferimento e raccolta.

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Tali punti di raccolta potranno essere indirettamente fruibili altresì dalla

clientela dei centri commerciali la quale troverà all’interno dei mercati dei punti

di deposito di rifiuti, successivamente trasferiti dall’organizzazione interna ai

contenitori destinati alla raccolta degli “assimilabili” appartenenti alla stessa

tipologia. Nello schema di sistema ora descritto trova una iniziale possibilità di

sviluppo l’applicazione dello “sconto” sulla tassa di smaltimento computabile

attraverso un sistema a punti, la misura del quale andrà quantificata mediante

l’applicazione di parametri oggetto di accordi tra gli operatori economici,

direttamente coinvolti nella erogazione dell’incentivo–premio, e il gestore del

servizio di smaltimento, sostenitore finale del credito dell’utente.

In ordine al secondo punto è necessario dare impulso allo realizzazione

di impianti che complessivamente possano trattare almeno 30.000

tonnellate/anno corrispondente a circa il 6,5% della produzione totale di RSU.

Tale ipotesi minima deriva dall’analisi di alcune situazioni verificate relative

alla raccolta differenziata dell’organico, verosimilmente originato dalla sola

attività di manutenzione di spazi verdi pubblici. Pertanto si può ritenere che la

potenzialità di sviluppo del settore sia ampia, anche se unicamente riferita alle

attività di sfalcio e potatura di parchi e giardini, essendosi fino a questo

momento attualizzata la raccolta differenziata dell’organico solo in taluni

comuni, in modo sporadico. Al momento è in fase di avvio un impianto di

compostaggio verde con potenzialità di trattamento fino a 9.000 tonnellate/anno.

A questo se ne dovranno aggiungere altri, anche diversamente dimensionati se

rapportati al bacino di utenza ovvero di analoga o superiore capacità dal

momento che il trasporto non costituisce un elemento critico per

l’organizzazione, anche in funzione della possibilità concreta e non

particolarmente onerosa di effettuare la riduzione volumetrica all’origine tramite

convenzionali attrezzature di triturazione.

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Il passaggio ulteriore, più avanzato organizzativamente ma che può

anche essere contestuale funzionalmente, riguarda la raccolta differenziata dei

residui da attività di ristorazione (da organizzarsi con sistemi dedicati o con

ritiro porta a porta) o da attività mercatali per quanto attiene almeno i centri di

vendita di media e grande dimensione. Non sono esclusi dal processo i residui

industriali che originano dalla lavorazione e dal confezionamento di alimenti,

nonché i fanghi di depurazione di liquami di origine civile e industriale, purché

compatibili. Nel dare corso all’attività di trattamento di questa frazione ed in

prima battuta alla progettazione degli impianti, sarà necessario considerare una

adeguata distribuzione sul territorio degli impianti stessi in quanto, a differenza

dei residui da sfalcio, il processo di trasformazione dei rifiuti qui considerati si

attiva rapidamente anche in situazioni non condizionate, per cui devono essere

previsti tempi di stoccaggio contenuti.

Il terzo punto ha una rilevanza quantitativamente modesta (almeno nella

fase sperimentale di avvio e i cui risultati decreteranno l’opportunità di allargare

l’operazione) e tuttavia per i piccoli Comuni coinvolti in questa azione reca

vantaggi gestionali, anche indiretti, che possono incidere in modo non

trascurabile sull’organizzazione della raccolta e del trasporto dei rifiuti

indifferenziati. L’operazione darebbe luogo alla produzione di una frazione

“indifferenziata” secca selezionata all’origine, moderatamente fermentescibile e,

pertanto, stoccabile per tempi più adeguati all’economia del trasporto a

destinazione finale.

Le aree da prescegliere per avviare la sperimentazione sono individuabili

nelle zone montane ad economia rurale; ad esempio i comuni della Valle Stura, i

comuni della Valle Scrivia esclusi in via preliminare i comuni di Busalla e

Ronco Scrivia, i comuni della Val Trebbia, i comuni di Rezzoaglio e S. Stefano

d’Aveto, i comuni di Ne, Mezzanego e Borzonasca, il comune di Castiglione

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Chiavarese nonché alcuni comuni della Val Fontanabuona risultano avere le

caratteristiche adatte: economia tradizionale agricola, popolazione limitata,

insediamenti spesso dispersi, sensibilità al problema (che spesso è stato

affrontato e risolto a livello individuale mediante gli stessi sistemi rapportati ad

una scala familiare).

Gli impianti destinati a produrre compost, dimensionati sull’utenza

residente, devono presentare requisiti minimi e consentire una gestione

semplice. Il compost ottenuto sarà preferibilmente destinato all’utenza agricola

locale, dando luogo ad un circuito di massima economia di mercato all’interno

del sistema. La logistica dell’operazione, per quanto lontana dall’essere

sofisticata, necessita tuttavia di cura per un unico elemento condizionante

costituito dall’agio, e conseguentemente dal livello di accuratezza, della raccolta

separata da parte dell’utenza direttamente coinvolta nella fase sperimentale. Al

fine di agevolare i cittadini interessati al programma e consentire altresì il

mantenimento di condizioni igieniche adeguate nei presidi di raccolta (cassonetti

stradali dedicati), è necessario che il sistema provveda alla fornitura di

contenitori appositi alla popolazione: tali contenitori possono essere di cellulosa

ovvero di materiale polimerizzato prodotto con materie prime vegetali (es.:

Mater-Bi Marchio registrato); in entrambi i casi deve essere garantita la totale

biodegradabilità in tempi compatibili con i tempi di maturazione del rifiuto

organico che costituisce la principale componente della massa da trattare.

Per gli eventuali rifiuti da sfalcio e soprattutto per quelli derivanti dalle

operazioni di potatura che dovessero rientrare nel circuito dovrà essere

predisposto un sistema di triturazione a monte del trattamento di compostaggio.

Per la produzione di compost possono essere impiegati anche i fanghi

provenienti dalla ordinaria manutenzione degli impianti di depurazione.

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In definitiva si riassumono le azioni programmate per lo sviluppo ed il

consolidamento della raccolta differenziata dei rifiuti recuperabili con

l’indicazione delle stime quantitative, assolute e percentuali, che dalle predette

azioni risultano prevedibili.

Si assume come plausibile il dato che, sulla totalità della produzione di

RSU e assimilabili a livello provinciale, il 60% sia di provenienza domestica

(0,8 kg/giorno per utente [fonte AMIU 1999]) ed il 40% derivi da attività

produttive, commerciali e di servizio. Tradotto in termini assoluti i valori

quantitativi corrispondenti risultano pari a circa 280.000 tonnellate/anno e

188.000 tonnellate/anno rispettivamente. Della seconda quota considerata fanno

parte oltre agli imballaggi, complesso di tipologie essenzialmente riconducibili

alle attività commerciali, anche i rifiuti derivanti dalle attività di servizio e degli

uffici sostanzialmente costituiti dalla frazione cartacea.

RSU di provenienza domestica: 280.000 tonn./anno Sistema di raccolta: Contenitori stradali

Frazioni: Carta e cartone, Plastica, Vetro, Alluminio

Valore obiettivo: 25% del totale pari a 70.000 tonn./anno

Percentuale assoluta: 15%

Azioni proposte: Dotazione di dispositivi stradali ai piccoli

centri e agli insediamenti frazionali

N. Poli stradali/N. Utenti = < 1/500

Riorganizzazione del servizio di ritiro

RSU assimilabili: 188.000 tonn./anno

Sistema di raccolta: Contenitori stradali dedicati

Ritiro “porta a porta”

Contenitori in uso esclusivo per Centri della grande distribuzione

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Frazioni: Carta e cartone, Plastica, Vetro, Alluminio

Valore obiettivo: 40% del totale pari a 75.200 tonn./anno

Percentuale assoluta: 16%

Azioni proposte: Organizzazione del ritiro “porta a porta”

Sistemazione di cassonetti stradali dedicati

al ritiro degli imballaggi da attività

commerciali e di servizio

Installazione convenzionata di cassonetti o

cassoni dedicati nei centri della grande

distribuzione

Sottoscrizione di accordi fra il gestore e gli

esercenti per gli incentivi all’utenza diffusa

Per entrambi gli obiettivi sopra descritti la Provincia intende

coordinare gli accordi che interessano le categorie e promuovere accordi fra

l’Autorità d’ambito e i Consorzi di filiera per le fasi di recupero a valle

della raccolta.

Frazione organica (manutenzione verde pubblico e privato e

assimilabili: 30.000 tonn./anno

Sistema di raccolta: Conferimento diretto (verde pubblico)

Contenitori dedicati (mercatali e ristorazione)

Ritiro settimanale stagionale (verde privato)

Valore obiettivo: 100% pari a 30.000 tonn./anno

Percentuale assoluta: 6,4%

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Azioni proposte: Organizzazione del conferimento

Dotazione di sistemi di triturazione (opzionali)

Organizzazione della raccolta

Frazione organica domestica (sperimentale):2.000 – 3.000 tonn./anno

Sistema di raccolta: Cassonetti dedicati (ritiro settimanale)

Valore obiettivo : 100% pari all’ipotesi di sperimentazione

Percentuale assoluta: fino allo 0,6%

Azioni previste: Dotazione cassonetti dedicati di piccole dimensioni

Fornitura dei contenitori all’utenza aderente al

programma

Realizzazione impianti di compostaggio con le

caratteristiche tecniche minime specificate nel

seguito

Al programma sopra delineato, contribuisce all’ulteriore incremento

della raccolta di rifiuti recuperabili l’organizzazione del ritiro dei rifiuti

domestici ingombranti, le cui componenti recuperabili (legno, plastiche, metalli,

vetri) possono essere oggetto di cernita immediata, se conferiti a centri di

raccolta di secondo livello, ovvero avviati a centri pubblici o privati che

provvedono al necessario trattamento, se il conferimento è effettuato in centri di

primo livello. Considerando le sole frazioni costituite da legno e metalli, si stima

una potenzialità di recupero, in base alla tendenza desumibile dall’analisi dei

dati disponibili, fino al 2,5% dei rifiuti urbani prodotti. Per il raggiungimento di

tale obiettivo si ritiene essenziale, ma anche sufficiente, l’effettiva offerta del

servizio di ritiro da parte dei Comuni.

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Riassumendo le azioni programmate per il conseguimento degli obiettivi

di raccolta differenziata, si ottiene il seguente schema:

Produzione annua di RSU e assimilabili nella provincia di Genova t. 468.000 100% Carta, cartone, vetro, plastica, alluminio di provenienza domestica raccolti tramite contenitori stradali t. 70.000 15%

Carta, cartone, vetro, plastica, alluminio assimilabili con sistema di raccolta dedicato t. 75.200 16%

Frazione organica da manutenzione verde pubblico e privato e assimilabili t. 30.000 6,4%

Frazione organica domestica da attività di raccolta sperimentale nei piccoli centri t. 3.000 0,6%

Totale rifiuti da raccolta differenziata recuperabili t. 178.200 38,5%

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Organizzazione territoriale della RD.

Il territorio della provincia di Genova è articolato in diverse realtà locali

riconducibili a tre tipologie di tipo economico insediativo:

- unità territoriali montane, con bassa densità insediativa, ricomprendenti

Comuni di modeste o modestissime dimensioni, tradizionalmente riuniti

in Comunità Montane, ad economia di tipo rurale ed offerta turistica di

tipo essenzialmente abitativo;

- aree costiere, con discreta densità insediativa, comprendenti Comuni di

piccola o media dimensione, ad economia di tipo produttivo – turistica

con notevoli fluttuazioni stagionali in termini di utenza;

- area genovese, con elevata densità insediativa, comprendente il

territorio del Comune di Genova connotata da una realtà economica

complessa di produzione e servizi, che da sola ospita 2/3 della

popolazione dell’intera provincia.

La prima tipologia di unità territoriale ha esigenze minime in termini di

richiesta organizzativa; le azioni riguardanti il servizio all’utenza sono svolte

generalmente in economia dai diversi Comuni almeno per quanto riguarda le fasi

di raccolta e trasporto dei rifiuti. In diversi casi vanta altresì autonomia per quanto

riguarda la presenza di un impianto finale di smaltimento.

Le unità territoriali che possono identificarsi, tutte o in parte, in tale realtà

sono le seguenti:

- Valle Stura

- Alta Valle Scrivia

- Alta Val Trebbia

- Val d’Aveto

- Valli Graveglia e Sturla

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- Val Fontanabuona

- Val Petronio

Fra quelle elencate l’Alta Valle Scrivia e la Val Petronio presentano un

assetto più complesso, anche se per motivi diversi, e quindi le soluzioni proposte

hanno una loro peculiarità; inoltre, pur ritenendo inseribile nella fattispecie anche il

territorio dell’alta Val Polcevera, lo stesso non viene qui proposto in quanto la

vicinanza al territorio del Comune di Genova determina sostanzialmente la

mancanza di vantaggi di una trattazione separata.

Per le unità territoriali in argomento la strutturazione minima richiede la

presenza di uno o più centri di primo livello, dove dovrà essere sempre presente la

raccolta degli ingombranti e degli inerti da demolizione, inoltre dovrà essere

realizzato in ciascuna di esse un centro di compostaggio con una capacità di

trattamento di almeno 360 tonn./anno, provenienti dalla raccolta separata dei rifiuti

organici domestici ed eventualmente dalle attività di sfalcio e potatura di

manutenzione del verde pubblico e privato. In questa ultima ipotesi il gestore del

servizio dovrà provvedersi di un impianto adeguato di biotriturazione. Rispetto a

tale programma resta da valutare attentamente la situazione geografica dei Comuni

appartenenti alla Comunità Montana Aveto, Graveglia e Sturla che potrebbe

costituire un fattore ostativo alla realizzazione di un unico impianto di

compostaggio; d’altra parte la scarsa produzione di rifiuti urbani dei singoli

comuni costituisce senz’altro elemento pregiudiziale alla realizzazione di più

impianti.

Valle Stura

Campoligure, Masone, Rossiglione, Tiglieto.

Produzione annua RSU: 4270 tonn.

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Impianti di primo livello: 4 (uno in ciascun comune) già progettati e

approvati. Prevista la raccolta degli ingombranti (metallici in tutti i centri, misti in

quello ubicato a Campoligure.

Impianto di compostaggio: 1 da progettare con potenzialità di trattamento

fino a 800 tonn./anno.

(Nota: un impianto di discarica per rifiuti inerti ubicato nel comune di

Campoligure è stato progettato e approvato per una volumetria di 30.000 mc; non

ancora in esercizio. I RSU vengono smaltiti in provincia di Alessandria)

Alta Val Trebbia

Fascia, Fontanigorda, Gorreto, Montebruno, Propata, Rondanina, Rovegno,

Torriglia.

Produzione annua di RSU: 2705 tonn.

Impianti di primo livello: 1 (Torriglia) progettato e approvato con fase di

compattazione per alcune frazioni. Prevista la raccolta degli ingombranti. Da

prevedere l’ampliamento per la raccolta dei rifiuti inerti.

Impianto di compostaggio: 1 da progettare con potenzialità di trattamento

fino a 400 tonn./anno.

Val d’Aveto e Valli Graveglia e Sturla

Rezzoaglio, S. Stefano d’Aveto (versante padano)

Produzione annua RSU: 1122 tonn.

Borzonasca, Mezzanego, Ne (versante tirrenico)

Produzione annua RSU: 2034 tonn.

Impianti di primo livello: 4 centri di stoccaggio di rifiuti ingombranti; il

centro ubicato nel comune di Ne consente il conferimento di carta e cartone; il

centro ubicato nel comune di Borzonasca è in fase di riprogettazione che prevede

anche l’allargamento delle tipologie di raccolta e un aumento di potenzialità. Per i

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due Comuni della Val d’Aveto è prevista la revisione organizzativa del sistema con

allestimento di un centro di primo livello nel comune di Rezzoaglio.

Impianto di compostaggio: da valutare, sulla scorta dei rilievi già fatti,

l’opportunità di realizzazione di un impianto di piccole dimensioni; l’ubicazione

preferibile è nel comune di Rezzoaglio in funzione del fatto che nello stesso

comune è ubicato l’impianto di discarica a servizio dei cinque Comuni che

renderebbe il conferimento dell’organico, raccolto in modo differenziato

all’origine, gestibile con la sola introduzione di un nuovo elemento

nell’organizzazione della raccolta e del trasporto su scala settimanale.

Val Fontanabuona

Avegno, Bargagli, Bogliasco, Carasco, Cicagna, Cogorno, Coreglia L.,

Favale di Malvaro, Lorsica, Lumarzo, Moconesi, Neirone, Orero, San Colombano

Certenoli, Sori, Tribogna, Uscio.

Produzione annua RSU: 17.280 tonn.

Impianti di primo livello: 1+3. 1 (loc. Rio Marsiglia nei comuni di Uscio e

Tribogna) progettato e approvato, non ancora funzionante. Prevista la raccolta di

diverse tipologie di rifiuti recuperabili, di rifiuti inerti ed ingombranti con fasi di

adeguamento volumetrico tramite compattazione e triturazione di alcune frazioni.

Prevista altresì la raccolta di rifiuti compostabili quali ramaglie e residui di

potatura. 3 centri per la raccolta dei rifiuti ingombranti progettati e approvati nei

comuni di Cogorno, Lorsica e Uscio; un quarto progetto analogo è stato presentato

ma non approvato, ubicato nel comune di Orero e per il quale in conferenza dei

servizi è stata richiesta l’individuazione di diversa localizzazione all’interno dello

stesso comune.

Impianto di compostaggio:1 da progettare con potenzialità di trattamento

fino a 800 tonn./anno per il trattamento dell’organico domestico da sperimentarsi

inizialmente nei comuni più piccoli (se : Avegno, Coreglia L., Favale di Malvaro,

Lorsica, Lumarzo, Neirone, Orero).

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(Nota: la realizzazione di un secondo impianto di compostaggio sarebbe

sostenibile; tuttavia l’interesse per la zona, soprattutto per il territorio al confine

con la piana dell’Entella, è da indirizzare verso la realizzazione di uno degli

impianti di più grande dimensione per il trattamento dell’organico non domestico,

non necessariamente da localizzare in uno dei comuni appartenenti alla Comunità,

ma dove i Comuni della bassa Fontanabuona potrebbero avere accesso, insieme

con altri della zona costiera).

Valle Scrivia

Busalla, Casella , Crocefieschi, Davagna, Isola del Cantone, Montoggio,

Ronco Scrivia, Savignone, Valbrevenna, Vobbia.

Produzione annua RSU: 13.180 tonn.

Impianti di primo livello: 1+3. 1 (localizzato in comune di Busalla in sito

adiacente la discarica per RSU in loc. Birra) progettato, ma non ancora approvato

per irrisolte questioni inerenti il pubblico demanio. Il progetto prevede la raccolta

di diverse tipologie di rifiuti recuperabili, di rifiuti inerti ed ingombranti, con fasi

di adeguamento volumetrico tramite compattazione e triturazione per alcune

frazioni. Prevista altresì la raccolta di rifiuti compostabili quali ramaglie e residui

di potatura. 3 centri per la raccolta dei rifiuti ingombranti progettati e approvati nei

comuni di Crocefieschi, Isola del Cantone e Vobbia.

Impianti di compostaggio: 1 da progettare con potenzialità di trattamento

fino a 600 tonn./anno inizialmente a servizio dei comuni di Montoggio, Casella,

Valbrevenna e Savignone. La presenza del comuni di Busalla e Ronco Scrivia

lungo la direttrice di vallata costituisce una interruzione dell’assetto insediativo

tipico delle vallate montane e il coinvolgimento della popolazione di detti comuni

nella sperimentazione sembra non facilmente sostenibile, almeno in un primo

tempo. A valle troviamo i comuni di Isola del Cantone, Vobbia e Crocefieschi che,

pur riproponendo nell’insieme una porzione di territorio a tipica economia rurale,

hanno una produzione totale di RSU molto bassa per giustificare l’allestimento di

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un ulteriore impianto di compostaggio. Non se ne esclude comunque a priori la

fattibilità, dovendo nel caso mantenersi il progetto al di sotto di 400 tonn./anno di

potenzialità massima.

Val Petronio

Casarza Ligure, Castiglione Chiavarese, Moneglia, Sestri Levante.

Produzione annua RSU: 16.425 tonn.

Impianto di primo livello: 1 (ubicato nel comune di Casarza L.) progettato

e approvato. Prevista la raccolta di diverse tipologie di rifiuti recuperabili, di rifiuti

inerti e di ingombranti con fase di adeguamento volumetrico tramite compattazione

per alcune frazioni.

Impianto di compostaggio: 1 da progettarsi con potenzialità almeno pari a

1.000 tonn./anno. L’impianto presenta delle peculiarità in quanto la presenza

all’interno della Comunità Montana di due comuni rivieraschi ne determina un

impiego non esclusivamente finalizzato al trattamento dell’organico domestico, ma

ne implica una funzione più ampia: il coinvolgimento della popolazione nella

sperimentazione che comporta la raccolta differenziata dell’organico domestico

deve essere riservato agli abitanti del comune di Castiglione Chiavarese ed

eventualmente agli abitanti degli insediamenti frazionali degli altri comuni, mentre

costituiranno apporto essenziale alla raccolta differenziata dedicata gli scarti

vegetali provenienti dalla manutenzione del verde pubblico e, in misura minore,

del verde privato, nonché la raccolta differenziata dell’organico assimilabile

proveniente essenzialmente dagli esercizi commerciali e di ristorazione.

Nella programmazione degli interventi non si esclude una maggiore

capillarizzazione del servizio di raccolta di rifiuti ingombranti e l’eventuale

conseguente realizzazione di ulteriori isole di raccolta.

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Le realtà locali appartenenti alla seconda tipologia di tipo economico

insediativo sono date dalle aree costiere, spesso fortemente urbanizzate, con

presenze turistiche rilevanti e la cui redditività è essenzialmente fondata sulle

attività di servizio.

Da levante verso ponente i comuni, non già inseriti nelle unità territoriali

descritte e che sono inseribili nelle realtà locali qui in trattazione sono i seguenti:

Lavagna

Chiavari

Leivi

Zoagli

Rapallo

S. Margherita Ligure

Portofino

Camogli

Recco

Pieve Ligure

Arenzano

Cogoleto

In ordine alla possibile o conveniente aggregazione dei suddetti comuni c’è

da osservare che, a parte i comuni di Leivi, Zoagli e Pieve Ligure, tutti vantano una

consolidata autonomia organizzativa spesso corrispondente alla disponibilità di

propri centri per il conferimento dei rifiuti oggetto di raccolta differenziata.

Tuttavia è configurabile una suddivisione in ambiti di servizio secondo il seguente

schema:

• per la gestione di centri di primo livello dotati di dispositivi di primo

intervento sui rifiuti

Lavagna, Chiavari, Leivi

Zoagli, Rapallo, S. Margherita Ligure, Portofino

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Camogli, Recco, Pieve Ligure

Arenzano, Cogoleto

Lavagna, Chiavari, Leivi

Produzione annua RSU: 27.170 tonn.

Impianti di primo livello: 2 progettati e approvati, entrambi associati a

stazioni di trasbordo di RSU (1 a Chiavari e 1 a Lavagna quest’ultimo di titolarità

privata e a servizio del Comune in base al relativo contratto di concessione) per

raccolta differenziata di diverse tipologie di rifiuti recuperabili, fra i quali gli

ingombranti. Dovrà essere previsto un ampliamento delle tipologie da estendere

almeno ai rifiuti inerti e la dotazione in almeno uno dei due centri di dispositivi di

compattazione e triturazione.

Zoagli, Rapallo, S. Margherita Ligure, Portofino

Produzione annua RSU: 29.560 tonn.

Impianti di primo livello: 1 progettato e approvato (nel comune di S.

Margherita Ligure) associato ad una stazione di trasbordo RSU. Consente la

raccolta di diverse tipologie di rifiuti recuperabili compresi ingombranti e rifiuti

inerti. Si ritiene necessaria la progettazione e la realizzazione di un centro di

adeguate dimensioni e capacità da porre al servizio del comune di Rapallo e per

l’eventuale accesso da parte degli altri comuni per il contingentamento e

l’eventuale primo trattamento consistente in adeguamento volumetrico e

triturazione. Si ritiene inoltre tale intervento fra quelli prioritari anche in

considerazione del fatto che la produzione di rifiuti del comune di Rapallo e della

aggregazione di comuni così configurata è seconda solo al comune di Genova.

Camogli, Recco, Pieve Ligure

Produzione annua RSU: 9.490 tonn.

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Impianti di primo livello: 1 (in comune di Camogli) progettato e approvato

per la raccolta di diverse tipologie di rifiuti recuperabili fra cui ingombranti.

Formalmente risulta progettato e approvato anche un impianto in comune di Recco

con più che adeguata potenzialità; tuttavia tale impianto, la cui approvazione risale

al 1999, non è mai stato installato. Ai fini della migliore funzionalità del sistema si

reputa necessaria o l’installazione del predetto impianto, anche a seguito di analisi

di una variante sulla sua localizzazione, o il potenziamento dell’impianto sito nel

comune di Camogli, che risulta peraltro meno preferibile in quanto poco

baricentrico, che potrebbe accogliere anche i rifiuti recuperabili provenienti dagli

altri due comuni.

Arenzano, Cogoleto

Produzione annua RSU: 12.255 tonn.

Impianti di primo livello: 2 (uno per comune) agenti in forza di

comunicazione ex articolo 33 del D. L.vo n° 22/97. Quello ubicato nel comune di

Cogoleto non risulta essere in esercizio. E’ necessario peraltro prevedere un

potenziamento almeno di uno dei due impianti con previsione di raccolta degli

inerti e degli scarti da manutenzione verde ed eventuali dispositivi di adeguamento

volumetrico e di triturazione.

• per quanto attiene il trattamento dei rifiuti compostabili

tutti i comuni sopra elencati, esclusi i comuni di Arenzano e Cogoleto, con

la conveniente aggiunta dei comuni della Val Fontanabuona e di Borzonasca,

Mezzanego e Ne.

Impianto di compostaggio:1 da progettare con potenzialità di trattamento

fino a 6.000 tonn./anno. Lo stesso sarà a servizio dell’eventuale raccolta

differenziata dell’organico domestico dell’utenza inserita nei progetti sperimentali

e dell’organico derivante dalla manutenzione del verde pubblico e privato nonché

della raccolta differenziata dei rifiuti organici assimilabili provenienti dai mercati e

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dagli esercizi commerciali e di ristorazione. In alternativa si ritiene comunque

efficace anche la realizzazione di tre impianti di dimensioni più modeste ciascuno

localizzato i uno dei tre ambiti di servizio sopra individuati (non si considera qui

l’ambito costituito dai comuni di Arenzano e Cogoleto). In tale ipotesi gli impianti

dovrebbero avere una potenzialità di almeno 2.500 tonn./anno di rifiuti trattabili

nei due ambiti del Tigullio, e di almeno 1.500 nell’ambito del golfo Paradiso.

Inoltre l’ambito di servizio comprendente i comuni di Lavagna, Chiavari e Leivi

dovrebbe essere allargato ad alcuni comuni della Val Fontanabuona e prevedere

altresì l’accesso di Borzonasca, Mezzanego e Ne.

L’area genovese rappresenta la porzione di territorio più problematica e la

componente territoriale più determinante nel conseguimento degli obiettivi di

gestione. Nell’area genovese vengono compresi , oltre al comune di Genova, i

comuni dell’alta Val Polcevera, Campomorone, Ceranesi, Mignanego, Serra Riccò

e Sant’Olcese, e il comune di Mele, che, pur facendo parte della Comunità

Montana Argentea, dal punto di vista infrastrutturale ha delle connessioni dirette

proprio con la parte occidentale del territorio del comune di Genova.

Gli interventi possibili su questa area sono quelli già illustrati nella parte

relativa agli schemi di sistema ed in particolare le azioni che interessano la

produzione di rifiuti assimilabili agli urbani e l’organizzazione del servizio di

raccolta agli stessi dedicato. Si tratta quindi in primo luogo di mettere in atto dei

sistemi capillari di servizio all’utenza specifica; a tale proposito peraltro si

sottolinea che il Comune di Genova ha adottato nel corso del 2001 varie ordinanze

per la disciplina del conferimento da parte dell’utenza commerciale di rifiuti da

imballaggi, in particolare per la carta e il cartone, per il vetro e per i contenitori in

plastica e legno da parte dei rivenditori al dettaglio di prodotti ortofrutticoli.

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Per quanto riguarda l’allestimento di impianti per il miglioramento del

servizio, dall’analisi della situazione attuale si deduce quanto segue.

Area genovese

Genova, Campomorone, Ceranesi, Mignanego, Sant’Olcese, Serra Riccò,

Mele.

Produzione annua RSU: 331.200 tonn.

Impianti di primo livello: 3 (Val Bisagno loc. Volpara, Val Polcevera loc.

Rialzo e loc. San Quirico) progettati e approvati, in funzione, destinati alla raccolta

differenziata di diverse tipologie di rifiuto, alcune chiaramente di provenienza

industriale od artigianale non necessariamente da destinare al recupero. La raccolta

è prevista anche per inerti da demolizione e rifiuti ingombranti di tutti i tipi. Data

l’estensione del territorio di Genova, il cui sviluppo urbano è di alcune decine di

chilometri, si ritiene necessario attrezzare con centri di primo livello le zone di

estremo levante e di estremo ponente. Non è da escludersi un eventuale terzo

centro aggiuntivo per i servizi dell’area portuale.

Impianto di secondo livello: 1 (Corso Perrone) progettato e approvato, non

funzionante dal 1999. Tale impianto sarebbe destinato alla selezione e trattamento

della frazione secca di rifiuti domestici raccolti con il sistema porta a porta. Il

riavvio dell’impianto non può che essere subordinato alla attuazione dei

programmi di ritiro “porta a porta” o raccolta differenziata dedicata, aventi come

fine il recupero dei rifiuti assimilabili agli urbani.

Impianti di compostaggio: 1 (ex Cava Chiesino Val Varenna) progettato e

installato mediante procedura semplificata con potenzialità di circa 9.000

tonn./anno. Da prevedere la realizzazione di 2 ulteriori impianti con potenzialità di

trattamento compresa fra 6.000 e 9.000 tonn./anno per il trattamento dei residui del

verde nonché degli organici domestici e degli assimilabili differenziati all’origine.

Nell’area genovese, ai fini dell’utilizzo degli impianti di compostaggio, sono da

ritenersi inclusi i comuni di Arenzano e Cogoleto.

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Caratteristiche tecniche minime per la gestione dell’attività di

compostaggio in piccole comunità.

Il modulo-tipo per la gestione dell’attività si svolge nell’arco temporale di

16 settimane; in tal caso l’impianto deve essere strutturato in 4 “celle”.

Il gestore deve provvedere alla fornitura di contenitori appositi all’utenza

(inizialmente si prevede la distribuzione di 2 contenitori a settimana a ciascuna

famiglia); il deposito nei cassonetti dedicati deve essere effettuato una volta alla

settimana in un giorno stabilito.

Nelle prime 4 settimane il gestore si occupa del ritiro e del conferimento

dei rifiuti nella prima cella. Al termine di questo periodo viene strutturato il

cumulo per il trattamento dell’organico, che verrà lasciato maturare per 90 giorni.

Alla fine dei 90 giorni il compost maturo deve essere rimosso dalla cella che si

rende disponibile per un nuovo ciclo.

La gestione dell’operazione come sinteticamente illustrata consente di

effettuare in ciascuna cella 3 cicli all’anno; i valori quantitativi dei rifiuti depositati

in ciascuna cella sono dipendenti dal limite strutturale della cella stessa ovvero dal

quantitativo che viene assunto come limite funzionale per il buon andamento del

processo. Oltre tale valore il numero di celle da realizzare dovrà essere

convenientemente incrementato. L’esempio illustrato nel grafico riguarda un

impianto con potenzialità di trattamento fino a circa 1.400 tonn./anno.

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Nell’ipotesi di base ogni anno si possono programmare 12 cicli di

maturazione secondo il seguente schema:

1° cumulo

2° cumulo 3° cumulo 4° cumulo

raccolta e accumulo (numero progressivo gg dell’anno):

1-30 31-60 61-90 91-120

121-150 151-180 181-210 211-240

241-270 271-300 301-330 331-360

trattamento (numero progressivo gg dell’anno); nell’ultimo giorno di

ciascun periodo il cumulo maturo viene rimosso, rendendo la cella disponibile per

un nuovo ciclo di raccolta:

31-120 61-150 91-180 120-210

151-240 181-270 211-300 241-330

271-360 301-30 331-60 1-90

Lo spazio occorrente per realizzare tale semplice impianto è molto

modesto: si calcola che per l’allestimento di un cumulo che possa contenere 30

tonnellate di materiale sia necessaria una piazzola di 28-30 mq preferibilmente

cordolata su tre lati, all’interno della quale il cumulo non supera 2,5 metri di

altezza al colmo.

Le tecniche di trattamento che possono essere impiegate sono diverse; si

ricorda peraltro che la presenza di una fase di bio-ossidazione iniziale del cumulo

comporta la necessità di dotare l’impianto di un sistema di abbattimento delle

emissioni in atmosfera.

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Raccolta differenziata. Valutazioni economiche 1. Introduzione e modalità di raccolta dei dati

Il dibattito sui costi “reali” della raccolta differenziata è acceso da diversi anni e,

purtroppo, non è ancora giunto ad una conclusione anche a causa della disomogeneità delle

situazioni a livello nazionale e della conseguente impossibile standardizzazione dei dati che ne

derivano.

Una risposta d’insieme dovrebbe essere fornita in prima istanza dal rapporto annuale

2002 che l’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti presenterà alla fine del prossimo mese di Ottobre.

Nel frattempo, per una valutazione logica e corretta dei dati provenienti dalla raccolta

differenziata nelle sue diverse tipologie, anche in rapporto alla raccolta tradizionale, si è reso

necessario riferirsi a studi effettuati su campioni di aree a bassa e media urbanizzazione e città di

medio-grandi dimensioni, dove già nel 1996 si era superata la quota del 10% di raccolta

differenziata e prendendo quale periodo di riferimento la seconda metà degli anni ’90, cioè i dati

disponibili più recenti.

In particolare, il campione di riferimento in questione copre il 12% della popolazione

nazionale e il 40% del totale della raccolta differenziata effettuata nel periodo preso in esame.

L’analisi dei costi delle raccolte differenziate è stata condotta con una doppia

metodologia:

• analisi statistica dei dati disponibili da un campione selezionato di aree

• stima ingegneristica sulla base di coefficienti tecnici validati nel confronto con

alcuni comuni e operatori significativi, sia pubblici che privati.

Il confronto con la stima ingegneristica consente di integrare le informazioni desumibili

da una analisi statistica dei dati che, per quanto derivanti da fonti ufficiali che hanno in genere

già sottoposto a validazione i dati raccolti, sono comunque alterati da criteri di contabilizzazione,

modalità contrattuali, presenza di ricavi non dichiarati etc.

Per quanto i casi analizzati non possano essere definiti esaustivi e benché permangano

seri limiti sulla qualità dei dati, i risultati appaiono credibili.

E’ importante infatti richiamare:

• l’ampiezza del campione analizzato,

• la sua significatività,

• la ridotta oscillazione nei valori riscontrati (comparabile a quella riscontrata per la

gestione del rifiuto indifferenziato e priva delle anomalie che caratterizzavano analoghe indagini

condotte nella prima metà degli anni ‘90),

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• la confrontabilità tra i dati statistici e le stime ingegneristiche.

L’analisi statistica è stata condotta sullo stesso campione precedentemente analizzato. I

costi dei servizi di raccolta differenziati sono risultati disponibili su un campione ridotto (in parte

anche per la differente diffusione delle raccolte differenziate), ma comunque molto significativo

(30% del campione totale).

Risulta necessario, inoltre, chiarire come, nelle aree e nel periodo presi in esame, la

raccolta differenziata fosse in buona parte effettuata con sistemi domiciliari, e, più precisamente:

frazione organica: 80% dei comuni circa

carta 50% circa

plastica 40% circa

vetro 13% circa

Tipologia di raccolta attiva per tipo di materiale nei comuni esaminati

stradale domiciliare Piattaforma non definito Carta % comuni 27,0% 52,8% 8,5% 11,7%

% tonnellate 37,2% 53,6% 2,2% 7,0% Vetro % comuni 81,4% 12,8% 1,4% 4,3%

% tonnellate 82,9% 13,3% 1,1% 2,7% Organico % comuni 10,3% 82,5% 0,4% 6,8%

% tonnellate 5,1% 92,9% 0,0% 2,0% Plastica % comuni 47,9% 37,9% 12,3% 1,8%

% tonnellate 35,3% 60,1% 3,1% 1,5%

Le raccolte differenziate domiciliari presentavano tassi di recupero superiori a quelli

delle raccolte stradali. La superiore efficacia delle raccolte domiciliari risultava chiaramente

visibile quando si misuravano le prestazioni in termini di tassi di raccolta differenziata sul totale

dei rifiuti (meno visibile risulta invece quando si misura in termini di kg/ab). Il confronto era

particolarmente rappresentativo per la carta e la plastica. In ambedue i casi, i comuni ove le

raccolte stradali costituivano la forma principale di raccolta avevano in media un rendimento pari

a ca. il 60% di quello che si ottiene nei comuni ove si adottava in prevalenza la raccolta

domiciliare

Rendimenti delle raccolte differenziate per modalità (% su totale rifiuti)

recupero sul totale rsu (%) stradale domiciliare carta media pesata 5,7% 7,7% media aritmetica 6,3% 10,5%

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plastica media pesata 0,9% 1,2% media aritmetica 1,2% 2,0% organico media pesata 5,9% 9,6% media aritmetica 10,7% 11,3% vetro media pesata 6,2% 6,5% media aritmetica 7,4% 8,2%

2. Analisi dei costi: sintesi dei risultati

L’analisi statistica dei dati forniti dai comuni nelle province campione ha mostrato i

seguenti risultati

Costi di gestione delle raccolte differenziate nei comuni

media

aritmetica

50° percentile:

nel 50% dei casi il

costo è <

80° percentile:

nell’80% dei casi il

costo è <

carta 122 101 186

vetro 49 27 68

organico 268 258 402

plastica 342 220 590

(valore stimato con ricavo di

300 l/kg)

(642) (520) (890)

L’oscillazione dei costi dichiarati, ancorché rilevante, è confrontabile con quella che

può essere stimata per via ingegneristica considerando le varie modalità organizzative, le diverse

condizioni insediative o vari fattori di inefficienza o di vantaggio. L’80% dei dati ricade per la

carta nel range 22 - 270 lire/kg, per la frazione organica nel range 75 - 476 lire/kg, per il vetro

nel range tra 0 e 101 lire /kg.

Più complessa è la validazione dei dati relativi alla plastica, per effetto dei ricavi

derivanti dai contributi versati dai raccoglitori privati che solo in rari casi sono scorporabili con

certezza (pertanto i dati sono presentati anche con un valore stimato che include un ricavo di 300

lire/kg). Un problema analogo, ma di minor impatto, sussiste anche per il vetro, dove il costo

sopportato dai comuni è in genere già scontato del valore del vetro recuperato (ca. 30 lire/kg)

I costi desunti per via dell’analisi statistica sono stati confrontati con i costi derivanti da

una analisi ingegneristica (supportata anche da verifiche dei coefficienti tecnici con alcuni

comuni-campione rappresentative di diverse modalità gestionali).

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Costi di gestione dei servizi di raccolta (lire/kg)

area intensiva area mista area estensiva

indifferenziato a cassonetti CL 80 93 111

indifferenziato a cassonetti CP 120 135 151

indifferenziato a sacchi 165 172 231

organico a bidoni 169 227 316

carta a bidoni 133 179 262

carta a campane 72 88 112

vetro a bidoni 116 162 255

vetro a campane 54 69 80

plastica a sacchi 714 985 1.076

plastica a cassonetti CL 577 662 1.018

In questa analisi si sono determinati i costi di riferimento distinguendo in funzione di:

1. modalità organizzative del servizio (servizi domiciliari e stradali o con diversi mezzi

di raccolta).

2. contesto residenziale e territoriale: distinguendo tra

• area intensiva, con alta densità abitativa (tipicamente un medio-grande centro

urbano o un bacino di centri urbani)

• area mista, con presenza di aree sia ad alta che a bassa densità (tipicamente un

bacino con un centro urbano principale e centri minori ad insediamento orizzontale),

• area estensiva, con bassa densità abitativa (tipicamente un’area rurale o a

insediamento orizzontale).

Queste analisi hanno mostrato che:

• i sistemi di raccolta differenziata, comprese le raccolte domiciliari, hanno costi

inferiori al costo medio della raccolta e smaltimento del rifiuto indifferenziato (confermando i

risultati dell’analisi statistica). In non pochi casi hanno anche un costo inferiore al solo costo di

smaltimento.

• la raccolta della plastica presenta costi strutturalmente elevati, probabilmente

mascherati dalle compensazioni dei raccoglitori privati nell’analisi statistica;

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• per la raccolta del vetro e della plastica il differenziale di costo tra raccolte

domiciliari e stradali è molto elevato, anche a fronte dei maggiori recuperi conseguibili;

• le raccolte domiciliari, principalmente per effetto della minor produttività/addetto,

presentano costi più elevati delle raccolte stradali, pur consentendo il raggiungimento di

obbiettivi di recupero superiori

• la differenza di costo tra raccolte domiciliari e stradali può essere enfatizzata nel caso

di servizi in aree a forte dispersione insediativa

• la densità abitativa - e quindi il contenimento dei tempi di percorrenza - può incidere

in maniera rilevante sui costi penalizzando le aree marginali (ma anche, per effetto della

congestione, le aree metropolitane)

Queste variabili, per quanto rilevanti e determinanti, non costituiscono però gli unici

fattori che possono incidere sui costi delle raccolte differenziata. Una specifica analisi di

sensitività ha mostrato che, soprattutto per le raccolte differenziate, anche altre variabili (in

primo luogo: il rendimento di intercettazione) possono determinare variazioni molto rilevanti nei

costi.

3. I costi delle riaccolte differenziate

Riportiamo qui di seguito i costi registrati e quelli stimati con analisi ingegneristica

delle diverse tipologie di raccolta differenziata per l’area presa in esame.

3.1 Carta

lire/kg

n° comuni n° abitanti t/a kg/ab anno media pesata media aritmetica

totale 243 2.291.695 55.398 24 130 122

Costo di riferimento:

• il costo medio è risultato di 122 lire/kg

• il 50% dei comuni ha avuto un costo inferiore a 101 lire/kg

• l’80% dei comuni ha avuto un costo inferiore a 186 lire/kg

Costi stimati con analisi ingegneristica

area intensiva area mista area estensiva

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carta a bidoni 133 179 262

carta a campane 72 88 112

Sensitività del costo del servizio di raccolta della carta a bidoni

variazione del costo di raccolta per

variazione del 10% dei singoli parametri

lire/kg % rispetto al valore di

riferimento

costo automezzi 4,8 2,7%

costo contenitori 2,7 1,5%

costo personale 7,7 4,3%

incidenza spese generali 3,0 1,7%

efficienza intercettazione 13,3 7,4%

rendimento addetti 15,4 8,6%

3.2 Vetro

lire/kg

n° comuni n° abitanti t/a kg/ab anno media pesata media aritmetica

totale 214 1.791.186 41.771 23 40 49

Costo di riferimento:

• il costo medio è risultato di: 49 lire/kg

• il 50% dei comuni ha avuto un costo inferiore a: 27 lire/kg

• l’80% dei comuni ha avuto un costo inferiore a: 68 lire/kg

A questi costi dovrebbero essere aggiunti i ricavi dalla vendita del materiale non

raffinato (pari a ca. 30 lire/kg)

Per la raccolta del vetro a campane il costo medio è stato di: 43 lire/kg

Per la raccolta del vetro porta a porta il costo medio è stato di: 150 lire/kg

Costi stimati con analisi ingegneristica

area intensiva area mista area estensiva

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vetro a bidoni 116 162 255

vetro a campane 54 69 80

Sensitività del costo del servizio di raccolta del vetro a campane

variazione del costo di raccolta per

variazione del 10% dei singoli parametri

lire/kg % rispetto al valore di

riferimento

costo automezzi 1,4 2,0%

costo contenitori 2,3 3,3%

costo personale 2,6 3,7%

incidenza spese generali 1,2 1,7%

efficienza intercettazione 6,4 9,2%

rendimento addetti 4,7 6,7%

3.3 Plastica

lire/kg

n° comuni n° abitanti t/a kg/ab anno media pesata media aritmetica

BG 27 119.409 718 6 47 23

MI 74 875.280 3.908 4 310 357

PD1 6 34.407 171 5 920 1.000

RE 37 375.378 1.131 3 279

FI 11 111.166 442 4 487 665

totale 155 1.515.640 6.370 4 309 342

Costo di riferimento:

• il costo medio risulta di ca. 342 lire/kg (ma deve essere incrementato del contributo

Replastic)

• il 50% dei comuni ha avuto un costo inferiore a: 220 lire/kg

• l’80% dei comuni ha avuto un costo inferiore a: 590 lire/kg

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109

Il costo di raccolta della plastica è in gran parte dei casi al netto delle compensazioni

Replastic. Il costo reale è pertanto superiore (un valore credibile potrebbe essere di ca. 300

lire/kg in più), ma non è allo stato possibile identificare i costi della raccolta grezzi.

Costi stimati con analisi ingegneristica

area intensiva area mista area estensiva

plastica a sacchi 714 985 1.076

plastica a cassonetti CL 577 662 1.018

Sensitività del costo del servizio di raccolta della plastica con cassonetti CL

variazione del costo di raccolta per variazione del 10% dei singoli

parametri

lire/kg % rispetto al valore di riferimento

costo automezzi 12,2 1,8%

costo contenitori 36,2 5,5%

costo personale 14,2 2,1%

incidenza spese generali 11,1 1,7%

efficienza intercettazione 37,5 5,7%

rendimento addetti 30,3 4,6%

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110

3.4 Frazione organica

lire/kg

n° comuni n° abitanti t/a media pesata media aritmetica

BG 28 260.329 5.978 193 187

MI 26 246.352 7.162 197 243

PD1 23 183.251 8.511 352 396

RE 3 7.760 258 207

totale 80 697.692 21.910 257 268

Costo di riferimento:

• il costo medio è risultato di: 268 lire/kg

• il 50% dei comuni ha avuto un costo inferiore a: 258 lire/kg

• l’80% dei comuni ha avuto un costo inferiore a: 402 lire/kg

I costi fanno riferimento alla raccolta della frazione organica (alimentare) e non alla sola

raccolta del rifiuto verde (in genere contabilizzato a parte).

Costi stimati con analisi ingegneristica

area intensiva area mista area estensiva

organico a bidoni 169 227 316

organico cassonetti CL 141

Sensitività del costo del servizio di raccolta della frazione organica a bidoni

variazione del costo di raccolta per variazione del 10% dei singoli parametri

lire/kg % rispetto al valore di riferimento

costo automezzi 6,4 2,8%

costo contenitori 1,8 0,8%

costo personale 10,2 4,5%

incidenza spese generali 3,8 1,7%

efficienza intercettazione 22,5 9,9%

rendimento addetti 20,3 9,0%

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111

4. L’impatto delle raccolte differenziate sul costo complessivo di gestione dei rifiuti

Nelle aree analizzate, nelle quali era possibile un confronto omogeneo i costi

complessivi del sistema di raccolta differenziato sono risultati inferiori o equivalenti ai costi

complessivi di gestione del rifiuto indifferenziato.

Nelle aree a maggiore urbanizzazione, il costo complessivo delle raccolte differenziate è

pari a ca. il 35% del costo di raccolta e smaltimento del rifiuto indifferenziato. Nelle aree a minor

densità di popolazione, dove risultano costi più elevati di raccolta differenziati e costi inferiori di

raccolta e smaltimento dell’indifferenziato, il costo del sistema di raccolta differenziato è

superiore del 10% al costo di gestione del restante rifiuto.

Costo di raccolta e smaltimento per rsu e Rd

lire/kg costo complessivo

(compreso smaltimento)

n° comuni media pesata media aritmet. dev stand coeff variaz

TOTALE rsu 182 365 381 118 31%

rd 182 165 157 96 61%

rsu+rd 182 310 307 81 26%

Nel dibattito di questi anni è però ricorsa l’affermazione che - anche a fronte di costi

unitari più bassi per la raccolta differenziata - la crescita delle raccolte differenziate, non potendo

determinare una significativa contrazione dei costi delle raccolte indifferenziate, avrebbe

determinato una crescita dei costi totali.

E’ interessante osservare come, secondo l’analisi sopra riportata, non vi sia alcuna

correlazione tra costi complessivi di gestione dei rifiuti (rd + rsu indifferenziato) e quota di

raccolta differenziata.

In altri termini, da questa analisi non risulta alcun elemento che giustifichi il senso

comune secondo il quale lo sviluppo della raccolta differenziata determina una crescita dei costi

complessivi del servizio.

Nell’interpretazione di questi dati si deve comunque tener presente che tutte le aree

analizzate sono caratterizzate da costi di smaltimento finale del rifiuto indifferenziato nel range

superiore rispetto ai valori correnti in Italia, particolarmente consistenti soprattutto in alcune

province della Lombardia. Gli elevati costi di smaltimento sono anzi da ritenere tra i fattori che

hanno incentivato la diffusione delle raccolte differenziate.

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112

Sia dall’analisi statistica che dalla stima ingegneristica è emersa una grande variabilità

dei costi in funzione sia delle modalità organizzative che dei contesti territoriali in cui sono

costretti ad operare i servizi.

Ma anche altri elementi possono essere importanti.

Perciò i valori simulati sono stati sottoposti ad una analisi di sensitività sui vari fattori

che determinano i costi effettivi del servizio.

Questa analisi ha considerato 6 variabili:

1. il costo degli automezzi

2. il costo dei contenitori

3. il costo del personale

4. la produttività del personale

5. il rendimento di intercettazione

6. il numero di turni giornalieri

Da questa analisi risulta che i fattori più critici - in particolare per le raccolte

differenziate - sono:

• l’efficienza di intercettazione (cioè la quantità di materiale effettivamente raccolto, la

resa in kg/ab): una oscillazione del 30% sulla resa di raccolta differenziata (ad esempio passare

da un recupero del 10% ad un recupero del 7%) può tradursi in una crescita dei costi complessivi

tra il 22-30%. Per la raccolta della frazione organica, ad esempio, passando da una

intercettazione di ca. 50 kg/ab ad una di ca. 80 kg/ab il costo della raccolta passa da ca. 300 a ca.

200 lire/kg

• il numero di turni giornalieri: passare da 2 turni giornalieri a 1 turno giornaliero di

impiego dei mezzi (quindi con un maggior numero di squadre) può tradursi in un maggior costo

del 20 -30%.

In generale risultano molto sensibili a questi due parametri le raccolte domiciliari e in

particolare la raccolta della frazione organica e della carta.

Importante è anche la produttività degli addetti - un parametro significativo nella

raccolta manuale - mentre di minor consistenza è la variazione nel costo del personale o nel

costo dei mezzi.

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Sensitività del costo del servizio al variare dei parametri tecnico-economici

costo

automezzi

costo

contenitori

costo

personale

efficienza

intercettaz.

rendimento

addetti

turni

giornalieri

variabilità attesa ±10% ±10% ±20% ±30% ±20% da 2 a 1

indiff. cassonetti CL 2,0% 3,4% 4,6% nd 10,3% 20,0%

organico a bidoni 2,8% 0,8% 9,0% 26,5% 18,5% 28,2%

carta a bidoni 2,7% 1,5% 8,6% 29,7% 17,7% 27,0%

vetro a campane 2,0% 3,3% 7,4% 22,7% 13,9% 19,8%

plastica casson. CL 1,8% 5,5% 4,2% 16,7% 9,4% 18,3%

5. Ottimizzazione dei costi nella progettazione dei servizi

Nella progettazione dei servizi appare possibile contemperare l’esigenza di

massimizzare i recuperi e di contenere i costi.

In linea generale, per massimizzare i recuperi sembra necessario incentivare le raccolte

domiciliari, in particolare della frazione organica e della carta. I superiori recuperi che si

ottengono con le raccolte domiciliari possono compensare - con un minor costo di smaltimento -

il maggior costo specifico delle raccolte domiciliari rispetto alle raccolte stradali.

Ciò nonostante, per non determinare insostenibili diseconomie, è necessario che nella

progettazione dei servizi si ricerchi:

1. l’ottimizzazione locale dei servizi: le condizioni assai diversificate del territorio

nazionale suggeriscono una differenziazione dei servizi proposti (tipo di automezzi, presenza e

dimensioni dei contenitori, frequenze di raccolta, etc.); ad esempio in aree caratterizzate da basse

produzioni di rifiuti e da elevata dispersione degli insediamenti possono risultare più efficienti

modalità diverse dalle raccolte domiciliari, mentre in aree turistiche o fortemente terziarizzate si

potrebbero combinare servizi diversi e personalizzati...

2. la creazione di bacini territorialmente adeguati: i costi di tutte le raccolte - e in

particolare delle raccolte differenziate - sono molto sensibili ai fattori organizzativi; il passaggio

da gestioni comunali a gestioni consortili su aree vaste consente il conseguimento di economie di

scala, grazie a un più efficiente impiego delle risorse umane e di mezzi.

3. il sostegno alla partecipazione dei cittadini: elevati recuperi, che dipendono

essenzialmente dall’adesione dei cittadini, consentono di raggiungere significative economie,

soprattutto per la raccolta della carta e dell’organico; nella gestione dei servizi si dovrebbe

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considerare che i costi sopportati per favorire la partecipazione dei cittadini sono un investimento

produttivo.

6. Individuazione di costi standard per la modulazione della tariffa

Nell’applicazione della tariffa si dovrà considerare con attenzione il problema

dell’individuazione dei costi standard.

Mentre appare agevole individuare costi standard per le infrastrutture e i beni di

investimento - anche se ciò può essere più problematico per gli impianti di smaltimento -, molto

più complessa è la definizione di costi standard per la gestione dei servizi, a meno di non

riconoscere una ampia variabilità.

In particolare, le condizioni territoriali e residenziali giocano un ruolo essenziale nella

determinazione dei costi. In aree con molti centri sparsi e un insediamento orizzontale i costi

sono, a pari condizioni di servizio, strutturalmente più elevati che in un’area urbana non

congestionata. Queste diverse situazioni sono però difficilmente classificabili e comunque non

riducibili alla dimensione del comune in termini di popolazione.

Bibliografia di riferimento

Bianchi D., Costi ed efficacia delle raccolte differenziate. Analisi, statistiche e stime

Provincia di Torino, Programma provinciale di gestione rifiuti

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115

Schemi di sistema. Stazioni di trasbordo e compattazione.

La situazione esistente relativa a questa tipologia di impianto sembra rispondente alle

esigenze attuali. Infatti tutti i centri di maggiore dimensione sono dotati di stazioni di trasferimento, dove di norma avviene un contingentamento dei rifiuti su mezzi di maggiori dimensioni, e talvolta una prima operazione di compattazione, con lo scopo di ridurre la dimensione del convoglio in termini di unità di trasporto.

Nella fase a regime è da prevedere la realizzazione di una stazione di trasferimento per il

comune di Sestri Levante, eventualmente al servizio di tutti i comuni della Comunità Montana Val Petronio: Attualmente il Comune di Sestri Levante è titolare di un impianto di discarica ubicato nel suo territorio e pertanto la carenza evidenziata risulta al momento organizzativamente irrilevante.

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Sostenibilità ambientale. Secondo quanto disposto dalle norme tecniche per la valutazione di

sostenibilità ambientale emanate dalla Regione Liguria in attuazione delle legge regionale n. 38/98 “la valutazione della sostenibilità delle scelte di trasformazione deriva dal confronto fra la situazione con intervento e la situazione senza intervento, così come delineate dall’analisi condotta secondo i punti di valutazione prescelti e descritte dagli indicatori. L’efficacia della scelta di trasformazione è misurata dal conseguente miglioramento della qualità dei sistemi ambientali, insediativo e socio-economico rispetto alla condizione iniziale, in termini di diminuzione della pressione o miglioramento della infrastrutturazione ecologica. Una trasformazione può essere di massima valutata come sostenibile qualora implichi:

- il miglioramento dello stato dell’ambiente conseguente ad un

abbassamento della pressione esercitata dalle attività umane sullo stesso; - il miglioramento dello stato dell’ambiente conseguente ad un

miglioramento della infrastrutturazione ecologica, a parità di pressione; - il miglioramento dello stato dell’ambiente conseguente ad un

miglioramento della infrastrutturazione ecologica malgrado un aumento della pressione.”

Sulla base di tali criteri l’elaborazione del piano provinciale e delle proposte

in esso contenute potrebbero non corrispondere ad una ipotesi di sostenibilità ambientale completamente visibile. Infatti tutte le opzioni considerate prevedono l’incidenza dei sistemi su comparti attualmente indisturbati e quindi da modificarsi tenendo conto di un impatto che comunque dovrà essere considerato sensibile.

D’altra parte l’opzione zero, cioè la situazione attuale, è di per sé insostenibile

in quanto in contrasto con la moderna impostazione dei sistemi di smaltimento e addirittura incompatibile con quanto previsto a livello legislativo. Infatti l’utilizzo delle discariche con la formula attuale è, dal 23 agosto 2002, privo di presupposti normativi e l’esercizio delle stesse è garantito in forza di un’autorizzazione regionale che avrà vigore fino all’emanazione della normativa nazionale di recepimento della direttiva europea 99/31/CE. La disciplina che verrà emanata interviene sulle modalità tecniche di allestimento degli impianti di discarica e altresì sulle tipologie di rifiuto ivi conferibili in ossequio a quanto già a suo tempo stabilito dall’art. 5 del D. L.vo n° 22/97.

Ciò premesso si consideri che il piano di gestione dei rifiuti è impostato su un

criterio di sostenibilità che si riconosce in base alla conformità a quanto previsto dal decreto legislativo n. 22/97 in merito ai contenuti e agli obiettivi che lo stesso si è prefisso.

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Pertanto più che l’impostazione data dalle norme tecniche citate, si dovrà seguire nella proposta di sostenibilità un’impostazione legata alla valutazione comparata dei vari scenari della trasformazione, così come individuati nel precedente capitolo ad essi dedicato.

Nel seguito si illustrano le analisi relativamente a due aspetti specifici, il

primo riguardante le questioni di carattere generale della “filosofia” della trasformazione, il secondo relativo all’analisi degli scenari e al confronto fra gli stessi.

Sostenibilità ambientale del piano In questa analisi è necessario prendere in considerazione i seguenti aspetti: - tecnologia di processo e di innovazione del sistema; - riduzione della produzione dei rifiuti; - promozione del recupero di materiali. In merito alla innovazione tecnologica si sottolinea come qualunque delle

ipotesi considerate come sistema a regime, rappresenti di fatto un progresso di rilevantissima entità. Come si può constatare leggendo le caratteristiche dei tre sistemi descritti per la gestione provinciale dei rifiuti solidi urbani, non sono state fatte scelte di tipo tecnologico precise, ma sono state date solo ed esclusivamente indicazioni sulla scelta di processo.

In tutti i casi considerati viene ipotizzata la realizzazione di un impianto di

termoutilizzazione dei rifiuti, la cui capacità è in dipendenza dalle fasi di processo che eventualmente precedono l’incenerimento. Ciò posto e in accordo con quanto previsto dal decreto legislativo n. 22/97 deve essere favorita la tecnologia dalla quale possa risultare la maggiore resa energetica. Tale affermazione può essere giudicata secondo due diversi criteri, quello del recupero globale di energia e quello della resa pro chilogrammo di energia del rifiuto (in questo caso preselezionato). Va da sé che le condizioni di esercizio dell’impianto migliorano con il miglioramento del combustibile che lo alimenta e che pertanto l’ipotesi di preselezione del rifiuto viene giudicata vantaggiosa per il funzionamento dell’impianto di recupero energetico.

E’ difficile definire in dettaglio uno degli aspetti quantitativi di maggiore

rilevanza per quanto attiene gli inquinanti atmosferici: si tratta della formazione dei cosiddetti gas serra che come è noto scaturiscono dalla trasformazione e demolizione della materia organica. Relativamente a questo aspetto la discarica rappresenta il tipo di impianto maggiormente a rischio rispetto a tutte le altre ipotesi qui considerate, in quanto dà origine ad un biogas ricco di metano che notoriamente comporta un’influenza sull’effetto serra di ventuno volte superiore a quello dell’anidride carbonica. Pertanto l’indirizzo generale del piano verso la termoutilizzazione dei

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rifiuti per produzione di energia e risparmio sui combustibili convenzionali rappresenta di per sé una componente rilevante di sostenibilità ambientale.

Per quanto attiene le ipotesi di realizzazione di impianti di pretrattamento di

rifiuti solidi urbani che in tal modo originano frazioni omogenee per essere avviate alle successive fasi, fra esse rientrano sia la normale separazione secco-umido, che si configura come una separazione non spinta delle frazioni con maggiore contenuto in termini energetici e una frazione cosiddetta umida compostabile o stabilizzabile, e la produzione di CDR che richiede un intervento tecnologico di livello superiore dal quale origina peraltro un combustibile con caratteristiche estremamente apprezzabili. Anche in questo caso non sono state definite tecnologie specifiche in quanto il mercato è attualmente in fase di notevole evoluzione e pertanto non risulta conveniente limitare le possibilità di scelta rispetto all’attuazione degli interventi che richiederanno tempi non brevissimi e per i quali è sicuramente auspicabile una concorrenza fra le varie proposte che potranno derivare dagli agenti sul mercato.

In conclusione, rispetto a questo primo fattore esaminato, la sostenibilità

ambientale si sposta in senso migliorativo da una tecnologia semplice ad una tecnologia più articolata. In tale direzione stanno andando sostanzialmente tutte le ipotesi di realizzazione di sistema in scenari simili a quello genovese, dove la strutturazione del sistema stesso non risente di necessità di aggiustamento o di assorbimento di sistemi parziali già in attività.

In relazione al secondo fra i fattori considerati nell’analisi di sostenibilità di

piano e cioè la riduzione nella produzione di rifiuti, la sostenibilità ambientale del sistema complessivo per la gestione dei rifiuti solidi urbani è fortemente legata alle azioni finalizzate per il raggiungimento di precisi risultati quantitativi.

Vale appena il caso di sottolineare che il decreto legislativo n. 22/97 fonda la

propria filosofia in maniera considerevole su tale aspetto. Si ricorda che lo stesso decreto legislativo impone il raggiungimento di quote di raccolta differenziata all’origine dei rifiuti recuperabili che dovrà essere almeno pari al 35% della produzione globale entro il 2003.

Rispetto a tale obiettivo è necessario considerare che la partecipazione

volontaria del cittadino utente non corrisponde, né può ragionevolmente corrispondere, all’esigenza del rispetto normativo. In merito alla potenzialità si riferisce che nel corso di una sperimentazione interna su un campione di dipendenti dell’Amministrazione Provinciale, stimolati ad un comportamento che tendesse alla massima resa in termini di recupero di materiale rispetto ai rifiuti domestici prodotti, i risultati ottenuti si sono attestati intorno a valori pari al 25%.. Anche se tale sperimentazione non può essere ritenuta particolarmente significativa in quanto

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viziata dal fine, ciò che è evidente è che i risultati ottenibili in termini generali non possono che essere inferiori.

Ne consegue che il raggiungimento dell’obiettivo del 35% e l’eventuale

superamento dello stesso può essere perseguito solo attraverso una modifica di sistema, che faccia rientrare nel circuito della raccolta differenziata all'origine una serie di soggetti attualmente trascurati o non adeguatamente coinvolti, quali i produttori di materiale recuperabile dal circuito dei rifiuti assimilabili agli urbani.

E’ fin troppo evidente che la raccolta differenziata potrebbe raggiungere

ottimi risultati quando i beni e cioè “i prodotti e i processi che li generano fossero progettati e realizzati avendo come fine il recupero dei residui” (Viale 1999). Il coinvolgimento di chi produce i beni di largo consumo dovrebbe essere considerata una via preferenziale per una parziale soluzione della produzione dei rifiuti attuale.

In attesa che una simile politica possa essere avviata e sostenuta, il

raggiungimento dell’obiettivo di riduzione nella produzione dei rifiuti a livello locale può sfruttare meccanismi di incentivazione che possano premiare i comportamenti cosiddetti virtuosi. In altre parti della presente trattazione sono già state sottolineate le varie possibilità di resa in termini di RD grazie ad un intervento sulla tariffa di smaltimento imposta agli utenti, meccanismi peraltro già in atto in altri paesi europei, dove presso i centri della grande distribuzione sono organizzati sistemi di accreditamento di valore economico ai conferitori dei materiali avviati poi al circuito di recupero, sia nella forma cosiddetta “a perdere” sia nella forma definita “a rendere”.

La pianificazione provinciale non dispone di strumenti specifici per ottenere i

risultati auspicati nella precedente trattazione. Di fatto la possibilità di intervento è limitata all’analisi dell’organizzazione del sistema esistente per la raccolta differenziata e alle proposte di miglioramento che a tale sistema può essere accreditato. Rispetto a tale problematica risulta essenziale la strutturazione territoriale dei centri di conferimento e eventualmente di primo intervento sui rifiuti conferiti, in modo che la maggior parte degli utenti possa avere un punto di conferimento conosciuto ed agevole per sentirsi incoraggiato alla partecipazione. Oltre che una copertura territoriale del servizio, il presente piano ha sviluppato anche proposte di diversificazione del servizio offerto per quelle tipologie di rifiuto spesso recuperabili, ma più spesso smaltite impropriamente per carenza di servizio o di conoscenza circa le prerogative del servizio stesso.

Nella provincia di Genova il servizio di raccolta differenziata risulta istituito

in tutti i comuni e gli ecocentri diffusi in modo abbastanza soddisfacente anche se non completamente rispondente alla domanda. E’ noto che la gestione di tali strutture di primo livello risulta economicamente gravosa per i gestori del servizio e tuttavia obbligatoriamente da conservare e da sviluppare, nella prospettiva che l’utilizzo

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attualmente modesto delle loro potenzialità, possa in breve essere convertito ad attività con ritorno economico anche attraverso modificazioni sostanziali delle modalità di conduzione.

In ordine al quantitativo di residui comunque generato dai trattamenti negli

impianti di smaltimento dei rifiuti, è opportuno segnalare che i quantitativi minimi risultanti perché ne venga effettuato lo smaltimento finale in discarica derivano dalla termovalorizzazione del rifiuto non preselezionato.

Il terzo aspetto fondamentale ai fini del giudizio di sostenibilità ambientale

del piano riguarda il recupero di rifiuti. Due risultano i processi da considerare e precisamente il recupero di materiali

che vengono selezionati attraverso lavorazioni di tipo industriale a valle della raccolta indifferenziata e l’utilizzo del rifiuto a valle dei trattamenti.

Le operazioni di separazione dei rifiuti nel processo di selezione secco-umido

o nella produzione di CDR comportano il recupero di quantitativi modesti di materiali che possono essere destinati al riutilizzo. Fra essi figurano metalli di vario tipo, legno, plastica, che sottoposti a cernita danno luogo a frazioni sufficientemente omogenee e pulite. Tale quota si ribadisce essere non particolarmente rilevante e, in riferimento alle successive operazioni di termovalorizzazione, la cernita non sempre è opportuna in funzione del potere calorifico del rifiuto da avviare al recupero energetico. Nell’ipotesi di realizzazione di un unico impianto di incenerimento sul rifiuto non selezionato, le frazioni metalliche risultanti vanno a costituire una scoria nella quale l’individualità del materiale viene dispersa.

I residui che risultano dai processi di selezione sono distinti in frazione secca

o CDR da avviare alla termovalorizzazione, con resa energetica differenziata, e in umido da sottoporre ad un successivo trattamento che ne diminuisce il contenuto in acqua ed eventualmente che ne opera una stabilizzazione.

Tale frazione umida trattata rappresenta una quota importante e

particolarmente incidente nell’ipotesi che se ne richieda lo smaltimento in discarica. Dai dati di letteratura le caratteristiche di tale frazione sono purtroppo tali da non consentirne una destinazione a priori verso utilizzi ambientali che ne farebbero di fatto una frazione recuperabile.

Già si è detto della possibilità di utilizzo dell’umido trattato per organizzare

ripristini ambientali non di pregio, ma avendo ben presente che la potenzialità inquinante di tale residuo si mantiene elevata. Esso tuttavia ben si presta ad essere utilizzato in impianti ambientalmente presidiati, come possono essere le discariche

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per rifiuti inerti di nuova costruzione, senza rappresentare perciò un problema di impatto soprattutto sociale per il conferimento in discariche di prima categoria.

I residui che si ottengono a valle della termovalorizzazione dei rifiuti incidono

quantitativamente in maniera diversa a seconda del materiale combustibile in alimentazione. Pur essendo in generale i quantitativi piuttosto rilevanti esiste una possibilità di riutilizzo presso attività industriali quali ad esempio i cementifici che li recuperano per la produzione di cementi speciali. L’elemento limitante in tal caso è la capacità di assorbimento da parte del mercato di materie prime dei quantitativi prodotti che si ribadisce essere di proporzioni comunque rilevanti.

Le azioni efficaci che possono essere avviate riguardano essenzialmente il

controllo delle caratteristiche della frazione umida perché possa essere consentita la sua utilizzazione in modo alternativo rispetto al conferimento in discarica, azione che può essere perpetuata attraverso una scelta corrispondente a tale esigenza delle tecnologie che potranno essere proposte dagli installatori. D’altra parte, l’opzione alternativa per la minore incidenza dei residui sul sistema complessivo di smaltimento non può prescindere dalla considerazione che la termovalorizzazione del rifiuto non preselezionato risulterebbe il sistema più efficace e che rispetto al sistema attuale indurrebbe una riduzione del volume del rifiuto da abbancare in discarica dell’ordine dell’85%.

Sostenibilità ambientale dei sistemi. I sistemi proposti sono stati selezionati fra le varie ipotesi formulate nel piano

regionale; si ritiene peraltro di sottolineare come, non diversamente da quanto giudicato dalla Regione, le basi su cui proporre elementi di valutazione non possano essere pienamente rispondenti ai criteri tecnici generali contenuti nella proposta metodologica per la valutazione di sostenibilità redatte dalla stessa Regione. Infatti in ordine alle scelte di trasformazione si ritiene che la logica di sostenibilità non possa essere misurata in termini di miglioramento dello stato dell’ambiente in senso stretto, e cioè sulla singola situazione locale, ma complessivamente in rapporto alla modifica infrastrutturale che paragona lo stato attuale con il sistema a regime.

D’altra parte la modifica infrastrutturale che ne verrà generata è obbligatoria

in quanto l’opzione di mantenimento dello stato attuale non è contemplata, essendo fra l’altro in contrasto con le previsioni normative di operatività consentita del sistema a brevissimo periodo. Si ricorda che non è più possibile utilizzare le discariche per il conferimento dei rifiuti urbani non trattati dal mese di agosto 2002 e che l’attuale deposito in discarica è reso possibile da un intervento autorizzatorio regionale in deroga alla norma che ne vieta il mantenimento in esercizio con le modalità gestionali in atto.

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Ciò detto si è ritenuto di riproporre un’analisi di sostenibilità ambientale relativamente a tre opzioni di sistema illustrate nel presente piano, confrontandone i risultati, che corrispondono alle tre situazioni seguenti:

- termovalorizzazione del rifiuto non pretrattato; - separazione secco umido, con o senza parziale produzione di CDR,

frazione secca al termovalorizzatore, frazione umida in discarica; - separazione secco umido, con o senza parziale produzione di CDR,

frazione secca al termovalorizzatore, frazione umida al recupero. La metodologia utilizzata è stata scelta, oltre che per il fine qui descritto (i

parametri utilizzati sono quelli già proposti nello studio regionale) anche per lo sviluppo di iniziative tendenti alla presentazione del percorso che determina le decisioni cercando di dotare il metodo di una ampia leggibilità da parte della maggior quantità possibile di soggetti coinvolti.

Modello di confronto fra i sistemi di gestione proposti. Premessa e scopo del lavoro Al fine di selezionare il sistema, tra quelli individuati dalla Regione Liguria

nel 1999, più idoneo ad ospitare le unità tecnologiche (separatori secco-umido, discariche di servizio, impianti di produzione di combustibile derivato da rifiuti, termovalorizzatore), essenzialmente in base ai criteri di valutazione definiti dalla Regione stessa è stato predisposto uno strumento di valutazione delle opzioni tecnologiche già individuate.

Tale strumento, consentendo il confronto fra le diverse alternative attraverso

l’evidenziazione delle diverse implicazioni che intervengono nella scelta di una soluzione, permette altresì, per la formalizzazione adottata nell’esplicitazione del processo di scelta, di disporre di un efficace elemento di supporto all’azione di comunicazione che l’Amministrazione pubblica deve sviluppare nei confronti della collettività.

Lo strumento individuato per l’effettuazione del confronto tra i diversi sistemi

di trattamento, di cui si descrivono nel seguito caratteristiche e modalità di applicazione, si avvale dell’analisi multicriteri.

Si osserva che la metodologia adottata può, con opportuni adattamenti, essere impiegata anche nell’individuazione dei siti in cui localizzare le diverse unità del sistema scelto. In tal senso può rappresentare l’integrazione a valle della fase di scelta oggetto del presente documento.

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Articolazione dell’analisi I sistemi di trattamento dei rifiuti solidi urbani scelti fra quelli proposti dalla

Regione Liguria del 1999, sono i seguenti:

• A) Termovalorizzazione senza trattamento di preselezione • B) Separazione secco-umido, termovalorizzazione del

secco, frazione umida trattata in discarica • B1) Separazione secco-umido e parziale produzione di

Combustibile Derivato da Rifiuti (CDR), termovalorizzazione del secco e del CDR, frazione umida trattata in discarica

• C) Separazione secco-umido, termovalorizzazione del secco, frazione umida trattata al recupero

• C1)Separazione secco-umido e parziale produzione di Combustibile Derivato da Rifiuti (CDR), termovalorizzazione del secco e del CDR, frazione umida trattata al recupero

In tutti i casi la termovalorizzazione prevede la produzione di energia

elettrica. Il recupero della frazione umida trattata non consiste in una termovalorizzazione, ma in eventuali ripristini ambientali.

Per i differenti sistemi proposti, la Regione Liguria ha fornito degli elementi

di confronto di tipo qualitativo e quantitativo che consentono di valutarne le diverse prestazioni e permettere la scelta fra di essi. Le indicazioni della Regione sono state impiegate come elementi di input nel modello di confronto che è stato utilizzato.

Per disporre di ulteriori elementi di analisi per lo sviluppo del confronto si è arricchita la fase iniziale di acquisizione di informazioni assumendo riflessioni ed esperienze maturate in altre realtà che hanno affrontato o stanno affrontando il problema del trattamento dei rifiuti.

Più specificamente l’analisi è stata articolata in tre fasi:

1) Individuazione di alcuni soggetti da intervistare allo scopo di acquisire ulteriori esperienze e sensibilità su quali siano i criteri di valutazione e l’importanza che gli intervistati attribuiscono a ciascuno dei criteri considerati

2) Formalizzazione dei risultati delle interviste, degli indirizzi e

valutazioni espressi anche dalle diverse amministrazioni, regionale , provinciale e comunale, secondo alcune chiavi interpretative attraverso la costruzione di un modello di valutazione dei differenti sistemi di trattamento considerati.

3) Elaborazione del modello di confronto e definizione di una

graduatoria di rilevanza tra i diversi sistemi considerati

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Nell’analisi successiva verranno considerati i sistemi di trattamento di cui ai

precedenti punti A), B), C) dove alla lettera B) vengono analizzate le ipotesi B), considerata l’ipotesi di riferimento, ed una sua variante B1), e alla lettera C) l’ipotesi C) di riferimento e la sua variante C1). La doppia opzione con o senza parziale produzione di CDR collegata alle due ipotesi B) e C) è, per la sua strutturazione impiantistica, pressochè ininfluente, almeno in questa sede, sia sull’articolazione del sistema, sia sull’impatto complessivo dello stesso nei confronti della situazione ambientale.

Elementi di riferimento Per acquisire elementi di conoscenza su come è stato affrontato o su come

potrebbe essere affrontato il problema della scelta del sistema di trattamento dei rifiuti sono stati intervistati alcuni soggetti qualificati per la loro esperienza e sensibilità sui diversi aspetti del tema oggetto di studio.

Per formulare il modello di valutazione fra le alternative definite sono stati

individuati due gruppi di soggetti in grado di fornire risposte e indicazioni su tre grandi fattori che condizionano le scelte:

• ambiente, • società, • tecnica ed economia

Gli intervistati, ai quali è stato proposto un questionario articolato su diversi

argomenti, oltre al responsabile del Settore Ambiente della Provincia e del Servizio Acqua e Suolo, sono stati:

• 2 esperti tecnici-tecnologi (il Responsabile di una S.p.A.

comunale avente l’incarico di trattare i rifiuti della provincia di Reggio Emilia, il Responsabile di un impianto di teleriscaldamento prodotto dal recupero di energia da combustione di rifiuti della provincia di Reggio Emilia);

• 1 rappresentante Amministratore di Azienda Speciale di Igiene Urbana (il Presidente dell’AMIU di Genova)

• 3 dirigenti di Enti Organismi pubblici esperti in materia di rifiuti (un Dirigente dell’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti del Ministero dell’Ambiente, un Dirigente dell’Unità tecnica dell’Agenzia Nazionale di Protezione Ambientale ANPA, un Dirigente presso la Direzione Scientifica dell’ARPA Liguria),

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• 5 amministratori (il Presidente dell’UNCEM dell’Emilia Romagna e al tempo stesso Sindaco di un Comune del modenese; l’Assessore all’Ambiente del Comune di Forlì; l’ex Presidente della C.M. laziale del Velino, già Sindaco del Comune di Amatrice (Roma) ed attualmente Segretario dell’UNCEM Lazio; l’Assessore all’Ambiente della Regione Liguria; l’Assessore allo Sviluppo Sostenibile del Comune di Genova).

Le interviste, pur riguardando lo stesso tema, sono state orientate in modo da

cogliere i diversi punti di vista con cui i singoli soggetti intervistati hanno affrontano o affrontano l’argomento del trattamento dei rifiuti.

Obiettivo dell’intervista è stato, in particolare, quello di acquisire sia i criteri

rilevanti che entrano in gioco nella scelta di un sistema di trattamento RSU sia quali diverse importanze hanno gli stessi criteri tra di loro nel processo di confronto dei sistemi.

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Il modello di valutazione . La metodologia adottata Il tema dell’individuazione del sistema di trattamento dei rifiuti e, ancora di

più, quello dei siti in cui andare a localizzare gli impianti di trattamento dei rifiuti, per la complessità che riveste e soprattutto per la delicatezza che presenta su talune problematiche a forti contenuti emotivi, non può essere affrontato impiegando una metodologia di valutazione che utilizzi come metro di confronto esclusivamente criteri monodimensionali quali possono essere quelli, ad esempio, quelli tecnici od economici.

Una simile metodologia, infatti, non risulta tenere conto dei tanti aspetti importanti che presenta la realtà quali sono, ad esempio, quelli che riguardano l’atteggiamento della collettività verso iniziative a forte impatto sulla qualità della propria vita o la compatibilità di interventi a forte valore industriale con l’assetto e la vocazione del territorio.

Le tematiche ambientali, proprio per il fatto che tendono ad assommare nei

processi di scelta una pluralità estremamente diversificata di aspetti e fattori, necessitano di strumenti di analisi che tendano a recuperare, in un unico modello interpretativo, le diverse esigenze sia dei soggetti attivi che partecipano alla formulazione della decisione sia di quelli passivi che subiscono le conseguenze delle scelte dei primi.

In tal senso la complessità che caratterizza la scelta più conveniente di un

sistema di trattamento di rifiuti richiede che vengano opportunamente considerati i molteplici fattori rilevanti per il conseguimento dell’obiettivo, che è quello della scelta più conveniente, e che vengano altresì definiti i giudizi sui diversi fattori nel modo più consistente e coerente al fine di prendere una decisione.

L’impostazione metodologica che occorre dare deve possedere forti

connessioni sia con la realtà oggettiva sia con la saggezza del buon senso. Deve altresì possedere il pregio della trasparenza e della riconoscibilità da parte della maggiore quantità possibile di soggetti.

Tra le poche metodologie di analisi multicriteri disponibili, è stata ritenuta

valida, per l’applicabilità al caso in oggetto, quella della teoria delle priorità, meglio nota come Analytic Hierarchy Process (AHP).

Tale metodologia tenta di sintetizzare, in un unico quadro, obiettivi da

conseguire, criteri di valutazione, sensibilità diverse dei criteri, parametri, alternative di scelta (tutti questi denominati “nodi” del processo decisionale).

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Il primo compito da affrontare nella metodologia AHP è la strutturazione concettuale del problema da affrontare ponendo su 4 livelli gli elementi che entrano in gioco nel processo decisionale:

1° livello: obiettivo del confronto 2° livello: criteri prioritari 3° livello: parametri esplicativi dei criteri 4° livello: alternative da confrontare

Strutturato il processo, all’analista-decisore spetta il compito, innanzitutto, di

valutare la rilevanza di ciascun criterio rispetto agli altri utilizzando il metodo del confronto a coppie (ad esempio, nel caso di tre criteri, confrontando il primo con il secondo, il primo con il terzo, il secondo con il terzo).

Il confronto a coppie viene eseguito valutando quanto un criterio risulti, a

parere di chi deve fornire la valutazione, più, meno od ugualmente rilevante rispetto ad un altro.

Si consideri, ad esempio, la scelta di un’auto fra più modelli proposti

differenziati fra di loro per caratteristiche e prestazioni. Si voglia, poi, effettuare la scelta fra i modelli utilizzando i seguenti criteri di

valutazione: ”affidabilità meccanica”, ”estetica”, “robustezza”, “prezzo”, “dotazione di optional”?

Il primo passo, in un processo razionale di scelta, deve condurre a definire

quali sono i criteri rilevanti fra quelli indicati confrontandoli fra di loro valutando quanto ciascuno di essi è più rilevante o meno rispetto agli altri.

Dal confronto fra i criteri si ottiene una graduatoria di importanza fra gli stessi

rispetto all’obiettivo definito (nel caso “la scelta dell’auto”). Stesso procedimento di confronto viene poi eseguito per i diversi parametri

(3° livello). Sempre nello stesso esempio della scelta dell’automobile, considerando il criterio “dotazione di optional” si deve esprimere quale è il parametro più rilevante ed in quale misura, fra i seguenti : “optional per la navigazione”, “optional per il comfort di guida”, “optional per attività esterne al veicolo” (pic - nic, pioggia, sport, ecc.).

Dai diversi confronti fra i parametri si giunge ad ottenere la priorità fra gli

stessi rispetto al nodo superiore del 2° livello (nel caso “dotazione di optional”). Completata la fase dei confronti tra gli elementi del 3° livello, si passa alla

valutazione del “contributo” delle diverse alternative (4° livello) da valutare rispetto ai parametri del 3° livello.

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Il termine contributo ha un significato lato: si può intendere, a seconda del caso, preferibilità, capacità di rispondere ad un esigenza, importanza, ecc.

Nell’esempio citato, considerando il parametro “optional per il comfort di

guida”, per contributo si potrebbe intendere il primo significato e cioè, quanto è preferibile disporre, ad esempio, di un “sedile foderato in pelle” rispetto al “comando della radio dal volante” oppure alla “regolazione degli specchietti laterali” o, infine, al “riscaldamento del sedile” e via dicendo.

Anche in questo caso, dal confronto a coppie, si perviene a definire una

graduatoria dei diversi parametri rispetto al nodo superiore del 3° livello (nel caso “optional per il comfort di guida”).

Con la metodologia AHP si perviene a definire la graduatoria tra le diverse

alternative con riferimento ai criteri ed ai parametri individuati tenendo conto delle rispettive rilevanze.

Le qualità più significative di una simile strutturazione sono la semplicità di

raffigurazione dei legami e, contemporaneamente, la ricchezza dei contenuti che si intende esprimere.

In sintesi, la metodologia AHP consente di:

• esplicitare i diversi fattori che entrano in gioco nella valutazione

• il problema decisionale viene rappresentato secondo una formulazione prossima a quella che tende a seguire il decisore

• attraverso la metodologia si assumono ulteriori elementi che aiutano il decisore a valutare con maggiore ricchezza di informazioni le alternative, pur non sostituendosi ad esso

• è possibile con tale strumento dare trasparenza alla valutazione

• la decisione, da scelta, diviene processo

Nell’applicazione del modello occorre effettuare, come già osservato ma è opportuno ricordarlo, delle valutazioni ed è evidente che ogni soggetto ha valori, sensibilità e conoscenze diverse dagli altri; questo fatto determina valutazioni e, conseguentemente scelte differenti.

Nella tavola 1 seguente è raffigurato il processo decisionale articolato nei 4

livelli di cui si è trattato.

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Confronto tra soluzioni alternative (esemplificazione parziale) Tavola 1 1° livello 2° livello 3° livello 4° livello (Alternative)

Obiettivo

Criterio A Criterio B

Parametro 1 Parametro 2 Parametro 3

A B C

Criterio C

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L’applicazione del modello Nell’applicazione del modello AHP sono stati considerati sostanzialmente

gli indicatori e le valutazioni che la Regione Liguria ha inteso dare in merito alla scelta dei diversi sistemi di trattamento dei rifiuti (o scenari come vengono definiti con significato equivalente dalla Regione stessa) con l’aggiunta di una voce fra gli indicatori, che si ritiene di importanza non trascurabile in riferimento alla realtà territoriale e logistica dell’ambito provinciale.

Gli indicatori, per applicare la metodologia AHP, sono stati raggruppati per

criteri omogenei ed espressi secondo la seguente gerarchia:

• 1° livello Obiettivo: “Confronto tra sistemi di trattamento rifiuti”

• 2° livello Criteri di analisi:

• Criterio ambiente • Criterio società • Criterio tecnica – economia

• 3° livello esplicita i parametri entro cui si articola ciascuno dei tre criteri del 2° livello e precisamente:

• Criterio Ambiente: • Riduzione del volume dei rifiuti trattati (parametro

che esprime i quantitativi di rifiuti destinati a discarica nei differenti sistemi)

• Recupero dei materiali (parametro semiquantitativo che considera gli effetti della progressione della raccolta differenziata tenendo conto del maggiore recupero nei sistemi con impianti di preselezione e produzione di compost)

• Impatto aria: emissioni (parametro semiquantitativo connesso con il quantitativo di rifiuti destinati alla termovalorizzazione nei diversi sistemi)

• Impatto acqua: inquinanti (parametro che indica l’impatto sull’acqua ed esprimibile in funzione dei quantitativi di rifiuti destinati a discarica anche in presenza di impianti di depurazione e captazione; non è stata valutato per insufficienza di elementi l’impatto del termovalorizzatore sulle ricadute atmosferiche)

• Impatto acqua: consumi (parametro che tiene conto del consumo dell’acqua nel termovalorizzatore ed è,

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quindi, proporzionale ai quantitativi di rifiuti termovalorizzati)

• Inquinamento del suolo (parametro che tiene conto delle stesse considerazioni fatte per gli impatti sull’acqua)

• Occupazione del suolo (intesa come superficie del suolo occupata dal complesso degli impianti)

• Criterio Società: • Accettabilità sociale (parametro che ricomprende

diversi fattori quali: la preferibilità della situazione attuale rispetto ad una con nuovi impianti, l’innovatività della tecnologia considerata, le dimensioni degli impianti)

• Eventi incidentali (parametro che considera che in ogni passaggio tecnologico aggiuntivo ed in ogni trasporto aggiuntivo può verificarsi un evento non desiderato; non è stata considerata la gravità del possibile evento)

• Tempistica della trasformazione (intesa come velocità nella trasformazione dal sistema attuale al sistema a regime e di superamento della situazione presente anche mediante il raggiungimento di obiettivi intermedi)

• Criterio Tecnica - Economia: • Recupero energetico (valutato come produzione

totale di energia derivante dalla termovalorizzazione dei rifiuti)

• Costi (parametro che tiene conto dei costi di realizzazione del sistema, di gestione e di smaltimento rifiuti)

• Costi di trasporto (parametro che considera il numero degli spostamenti ed i quantitativi movimentati nei diversi sistemi)

• 4° livello Alternative da confrontare: sono i sistemi da sottoporre

a valutazione.

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Il procedimento analitico AHP descritto è stato implementato in un programma software denominato “Expert Choice” che presenta le caratteristiche metodologiche descritte nel paragrafo precedente.

Tale strumento è stato impiegato per procedere alle elaborazioni ed ai

confronti. Nella tavola 2 a pagina seguente è raffigurata la formalizzazione del

modello con i diversi componenti, criteri, parametri e alternative, considerati nel lavoro.

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Gli elementi raccolti durante le interviste Le interviste sono state fatte a soggetti che hanno avuto differenti

esperienze in materia di trattamento e smaltimento rifiuti. Tutti gli intervistati hanno concordato sulla rilevanza di tre grandi criteri:

quelli che riguardano gli aspetti tecnici ed economici, quelli a valenza ambientale e quelli a valenza sociale.

Di fatto, nella scelta fra i vari sistemi, tutti coloro che hanno già affrontato

il problema della termovalorizzazione dei rifiuti concordano sulla necessità di forzare, il più ragionevolmente possibile, sulla raccolta differenziata e sulla successiva separazione tra componente umida e secca del rimanente.

La combustione dei residui derivanti dalla separazione, poi, a parte il fatto

che le disposizioni di legge sono esplicite in materia, ai fini di un migliore bilancio gestionale del complesso, non può non contare sul recupero energetico.

Maggiore difficoltà nella scelta del sistema viene evidenziata nelle realtà,

come quella laziale, dove il problema del trattamento di termovalorizzazione trova ancora notevoli resistenze ad essere affrontato soprattutto da parte della popolazione (emblematico quanto accaduto al termodistruttore di Colleferro la cui realizzazione, già in fase avviata, è stata bloccata).

Molto meno problematica si presenta la situazione in Regioni come

l’Emilia Romagna dove, da tempo, il problema dello smaltimento dei rifiuti ha trovato un percorso di soluzione relativamente agevole tanto che, di fatto, ogni provincia dispone o si sta attrezzando per disporre di impianti di trattamento con termovalorizzatori con recupero energetico non incontrando, da parte della collettività, resistenze insormontabili o opposizioni di principio al problema di smaltire all’interno di ciascuna provincia i residui prodotti.

Le interviste effettuate hanno evidenziato, praticamente in modo concorde,

la strategicità degli aspetti socio - ambientali da parte sia della componente “politica” che di quella tecnica del gruppo intervistato che, dando per scontato la sicurezza ed il bassissimo impatto delle tecnologie oggi in funzione, attribuiscono il ruolo chiave della salvaguardia ambientale, la cui soluzione risulta propedeutica ad un successivo confronto con la popolazione per la eventuale approvazione di ogni soluzione di sistema.

Qualche differenza si è manifestata nell’attribuzione dei pesi ai diversi

criteri a seconda dell’esperienza degli intervistati. La componente “politica” degli intervistati, vale a dire gli amministratori

pubblici, ha espresso la grande difficoltà ad avviare il dibattito con la collettività sul tema dei rifiuti anche in presenza di un adeguato pacchetto di misure offerto in

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compensazione dei disagi introdotti dalla presenza sul proprio territorio di impianti dedicati al trattamento dei rifiuti; in particolare è stato evidenziata l’incapacità diffusa, su quasi tutto il territorio nazionale, incontrata dall’Amministrazione pubblica, oggi più che in passato, a procedere ad un’azione di sintesi delle diverse esigenze e proporre soluzioni condivisibili.

Di fatto, viene osservato, attualmente l’Amministrazione pubblica può

arrivare a proporre soluzioni di assetto del sistema di trattamento dei rifiuti spingendosi a prevedere interventi più o meno consistenti a favore della collettività ma non può più considerarsi, almeno per i problemi ambientali, punto di sintesi delle necessità collettive in quanto investita del potere decisionale per elezione popolare.

Ad ogni buon fine, potendo contare su una discreta convergenza dei diversi

intervistati sulla rilevanza che i differenti criteri hanno nelle valutazioni che essi sono in condizione di proporre è possibile indicare la seguente ponderazione dei parametri adottati per il confronto indicata nella seguente tavola 3. Rilevanza dei criteri di confronto tra i sistemi di trattamento degli RSU Tav. 3 Criteri Peso espresso da: Amministratori Tecnici

• Criterio tecnica – economia 30 - 50 25 • Criterio società 35 - 25 15 • Criterio ambiente 35 - 25 60

Con riferimento alla tavola appena citata, vale la pena di osservare, senza,

peraltro, volere assolutamente attribuire alcun valore esaustivo alle risposte del piccolo campione intervistato, che i più sensibili agli aspetti ambientali sono risultati i tecnici rispetto agli amministratori.

Le ipotesi adottate Nel modello considerato si è adottata, come ipotesi base, quella che

considera come pesi dei criteri i seguenti:

• Criterio tecnica – economia 30 • Criterio società 30 • Criterio ambiente 40 TOTALE 100

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Per quanto concerne i parametri di secondo livello, per calcolare i diversi pesi dei parametri, sono state tradotte, in termini di input numerici per il confronto a coppie, le indicazioni quantitative espresse dalla Regione Liguria (paragrafo 4.6.3.1. “Pesi degli indicatori”). Tali valutazioni, riportate nella tavola 4 a pagina seguente, sono state utilizzate considerando ogni punteggio come espressione diretta dell’”importanza” del parametro (il punteggio più alto è 5, quello più basso è 1); in considerazione di questo, facendo la differenza algebrica tra un punteggio di un parametro e quello di un altro si ottiene un numero che, nel modello, viene inserito come valore del confronto a coppia tra i parametri. Nel modello il risultato della differenza viene preso con il proprio segno; nel caso i due parametri abbiano lo stesso punteggio e, quindi, la differenza sia 0, si è considerato il valore 1. Poiché per due parametri uguali il valore del confronto che viene adottato è 1 (il modello non accetta valori uguali a 0), tutte le differenze sono aumentate di 1 punto. Esemplificando (tavola 4): la differenza tra il parametro ”riduzione del volume dei rifiuti” e “impatto acqua: consumo” è +2 e nel modello viene inserito il valore +3; facendo, invece, la differenza tra “riduzione del volume rifiuti” e “impatto aria: emissioni” si ottiene –1 e nel modello viene inserito il valore -2. Le differenze vengono a significare che, nel primo caso, il primo parametro è 3 volte più rilevante del secondo, mentre nel secondo caso, il primo parametro è 2 volte meno rilevante dell’altro.

Per quel che concerne le valutazioni relative alle alternative poste a confronto va osservato che per calcolare il contributo (come espresso in un precedente paragrafo) sono stati adottati i punteggi espressi dalla Regione Liguria al paragrafo 4.6.3.2. “Applicazione del modello”.

Anche in questo caso i punteggi sono stati utilizzati per calcolare i diversi

contributi forniti dalle tre alternative/sistema a ciascun parametro.

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Rilevanza parametri

CRITERIO Ambiente Società Tecnica PARAMETRO Economia

Riduzione del volume dei rifiuti trattati ***** Recupero dei materiali **** Impatto aria: emissioni **** Impatto acqua: consumi * Impatto acqua: inquinamento **** Inquinamento del suolo **** Occupazione del suolo ** Eventi incidentali *** Accettabilità sociale ***** Tempistica della trasformazione ***** Recupero energetico ***** Costi di gestione del sistema ***** Costi di trasporto dei rifiuti ***

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Sostenibilità del Sistema ipotizzato rispetto ai parametri adottati

Situazione

Attuale

Termovalorizzatore

RSU senza selezione

Separazione secco-umido

con/senza produzione CDR

Secco al termovalorizzatore

Umido trattato a discarica

Separazione secco-umido

con/senza produzione CDR

Secco al termovalorizzatore Umido trattato al

recupero

Sistema A B C

Criteri

Parametro Riduzione del volume dei rifiuti * * * * * * * * * * * Recupero dei materiali * * * * * * * * * * * Impatto aria: emissioni * * (1) * * * * * * * * * * * Impatto acqua: consumi * * * * * * * * * * * * * * Impatto acqua: inquinamento * * * * * * * * * * Inquinamento suolo * * * * * * * * Occupazione suolo * * * * * * * * * * * *

1

Eventi incidentali * * * * * * * * * * * * * * Accettabilità sociale * * * * * * * * * * * * * Tempistica della trasformazione * ** * * * * * * * *

2

Recupero energetico * **** *** *** Costo di trasporto dei rifiuti **** *** ** ** Costi di esercizio ***** *** ** ***

3

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I risultati del modello Considerazione metodologica In ogni processo di scelta che coinvolge più elementi esiste sempre una

prima fase in cui si decide di considerare idonei al confronto alcuni elementi scartandone altri.

Nel caso in esame la decisione di considerare un sistema di trattamento

rifiuti idoneo ad essere valutato dipende dal fatto che lo stesso risponda ad alcuni pre-requisiti il cui verificarsi oppure no consente, appunto, di inserirlo o meno nel novero di quelli valutabili.

Le esperienze di altre regioni italiane hanno dimostrato come la via scelta

al trattamento dei rifiuti sia diversa da territorio a territorio; ad esempio sensibilità e disponibilità della collettività, conformazione del territorio, antropizzazione e informazione/comunicazione differenti hanno portato a soluzioni, per modi e tempi di attuazione, differenti.

Da molti anni in Liguria e nella provincia di Genova viene approfondito tale argomento con il risultato che oggi, nonostante, lo si deve osservare, l’informazione sia spesso lacunosa e talvolta anche imprecisa, esiste un vasto movimento di opinioni che in più occasioni è stato rappresentato in sedi ufficiali e, almeno in altrettante, sui mezzi di comunicazione.

La Provincia di Genova, nel corso del lavoro di acquisizione e valutazione dei molteplici aspetti che devono essere trattati per la formulazione del Piano provinciale dei rifiuti, ha raccolto una cospicua mole di elementi in diverse occasioni di confronto con le rappresentanze locali.

Quanto raccolto ha consentito all’Ente di operare una preselezione dei

sistemi da valutare tenendo conto, prima delle valutazioni di carattere tecnico ed economico, delle condizioni del territorio sotto il profilo dell’accettabilità degli stessi sistemi (accettabilità intesa in senso lato, vale a dire, dalla situazione morfologica delle aree alla disponibilità della popolazione alla realizzazione di nuove strutture di trattamento nel proprio territorio di residenza).

Dai contatti è emersa chiaramente la difficoltà a prendere in considerazione la soluzione che prevede l’impiego di un termovalorizzatore che tratta i rifiuti tal quali.

I risultati del confronto Applicando Expert Choice al problema del confronto tra i sistemi, così

come è stato illustrato nei capitoli precedenti, si è ottenuta una graduatoria di valutazione fra le diverse soluzioni ipotizzate.

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Nella tavola 6 è riportata la gerarchia delle soluzioni dei diversi sistemi considerati nell’ipotesi prescelta in base all’attribuzione dei pesi dei criteri.

L’ipotesi sviluppata è quella che è apparsa più vicina alle valutazioni

espresse dal complesso degli interlocutori intervistati ed appare ragionevolmente condivisibile.

La tavola esprime, con punteggi decrescenti, il raggiungimento dell’obiettivo partendo dal sistema che più risulterebbe idoneo a soddisfare i criteri ed i parametri individuati. Tav. 6 Criteri Pesi Tecnica – Economia 30% Società 30% Ambiente 40% TOTALE 100% Risultato dell’applicazione del modello: Graduatoria Sistema Punteggio 1° Sistema C (Frazione secca separata alla termovalorizzazione, umido

trattato a ripristino ambientale) 369 2° Sistema A (Termovalorizzazione senza preselezione) 325 3° Sistema B (Frazione secca separata alla termovalorizzazione, umido

trattato in discarica) 306

Nella tavola 7 sono riportate le graduatorie ed i punteggi dei diversi sistemi così come risultano dal confronto in ciascuno dei tre criteri singolarmente considerati.

Ad esempio, riferendosi al criterio Ambiente, il Sistema C risulta il più

idoneo a rispondere ai parametri entro cui tale criterio si articola; dopo viene il Sistema A seguito dal B.

L’analisi consente, in pratica, di stabilire la graduatoria tra i diversi sistemi

come se il criterio considerato fosse l’unico ad avere importanza nella valutazione mentre gli altri due non avessero alcun rilievo.

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E’ evidente che, come emerge chiaramente dalla tavola 7, a seconda del criterio considerato, la graduatoria fra i sistemi cambia in quanto si modificano i contributi espressi dai vari sistemi al raggiungimento dell’obiettivo.

Il Sistema A, ad esempio, è più idoneo a raggiungere l’obbiettivo nel

criterio Tecnica – Economia mentre è il meno idoneo nel caso del criterio Società. Il Sistema B, in generale, è quello mediamente meno idoneo fra tutti i

sistemi essendo l’ultimo in graduatoria sia nel criterio Ambiente che in quello Società, mentre è secondo nel criterio Tecnica – Economia.

Anche la differenza tra le graduatorie dei sistemi nell’ambito dei singoli

criteri rappresenta un elemento utile di indicazione dal momento che esprime quanto, con riferimento ad uno specifico criterio, sia maggiore o minore il grado di rispondenza di un sistema rispetto ad un altro.

A tale proposito si può osservare, ad esempio, che nel caso del criterio

Ambiente tra il primo (C) ed il secondo (A) la differenza di punteggio è contenuta (22 punti) mentre ben maggiore è, sempre fra i primi due classificati, la differenza nel caso del criterio Società (1° il Sistema C, 2° il Sistema B) a dimostrazione del fatto che nel primo caso i due sistemi soddisfano in modo molto simile i determinanti del criterio mentre nel secondo caso i due sistemi presentano gradi di soddisfacimento dei determinanti in modo sensibilmente diverso.

Graduatoria delle diverse alternative secondo ciascuno dei criteri adottati Tav. 7

(graduatoria dei sistemi e rispettivi punteggi) AMBIENTE SOCIETA’ TECNICA – ECONOMIA

Sistema C 364 Sistema C 424 Sistema A 393 Sistema A 342 Sistema B 354 Sistema C 329 Sistema B 294 Sistema A 222 Sistema B 278

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Rifiuti speciali.

Secondo quanto previsto dal panorama normativo di riferimento, non esiste vincolo circa un’autonomia di smaltimento nel territorio dell’ambito se non per la gestione dei rifiuti urbani. La gestione dei rifiuti speciali non è soggetta a privativa di alcun tipo in carico a soggetti erogatori di pubblico servizio, né esiste pertanto l’obbligo di pianificarne i flussi in ambito provinciale; lo smaltimento dei rifiuti speciali è infatti unicamente regolato dalla scelta del produttore in ragione delle proposte di mercato, fermo restando la necessità che il produttore dei rifiuti si affidi a soggetti autorizzati.

Ciò premesso, si prende atto che esiste un interesse del livello locale legato

all’uso del territorio e quindi all’eventuale realizzazione di impianti di discarica, la cui disponibilità facilita, per determinate tipologie di rifiuto, il soddisfacimento delle esigenze di smaltimento da parte dei produttori, soprattutto per la cosiddetta utenza diffusa.

Nel seguito viene riportata l’analisi, a suo tempo commissionata alla Soc.

Ecotec, dei dati contenuti nei MUD relativi ai rifiuti speciali. Tale analisi riguarda i rifiuti prodotti nel 1997 (MUD ’98), e rappresenta l’ultimo lavoro completo di cui vi è disponibilità.

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5. Rifiuti – Sezione generale Questa sezione intende analizzare l’aspetto “Rifiuti” nella sua accezione più generale, elencandone le tipologie prodotte dai soggetti che hanno compilato la dichiarazione MUD per il 1997, eseguendo confronti con le produzioni dell’anno precedente, accennando ai trattamenti effettuati, al trasporto e allo stoccaggio. I dati risultanti rivestono notevole interesse, in quanto, potenzialmente, provengono da tutte le aziende, le imprese e gli enti che producono e/o in qualche modo trattano rifiuti speciali e pericolosi. Purtroppo, proprio a cavallo dei due anni presi in considerazione (1996 – 1997), è stato introdotto un nuovo sistema di codificazione dei rifiuti, che semplifica di molto la schematizzazione e la classificazione, ma che, di fatto, ci impedisce di effettuare confronti puntuali e mirati. 5.1 Tipologie di rifiuto I rifiuti sono suddivisi, al momento, in 19 macrocategorie, cui sono state da noi assegnate brevi sigle convenzionali utili alla redazione del nostro studio e alla realizzazione dei grafici, e che sono elencate nella tabella qui di seguito:

Tabella D – Elenco schematico delle tipologie di rifiuti Cava Rifiuti derivanti dalla prospezione, l’estrazione, il trattamento e l’ulteriore lavorazione di

minerali e materiali di cava Alimenti Rifiuti provenienti da produzione, trattamento e preparazione di alimenti in agricoltura,

orticoltura, caccia, pesca ed acquacoltura Legno e carta Rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di carta, polpa, cartone, pannelli e

mobili Tessile Rifiuti della produzione conciaria e tessile Petroliferi Rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas naturale e trattamento

pirolitico del carbone Chimica inorganica

Rifiuti da processi chimici inorganici

Chimica organica Rifiuti da processi chimici organici Vernici inchiostri Rifiuti da produzione, formulazione, fornitura ed uso (PFFU) di rivestimenti (pitture,

vernici e smalti vetrati), sigillanti, e inchiostri per stampa Foto Rifiuti dell’industria fotografica Termici Rifiuti inorganici provenienti da processi termici Metalli Rifiuti inorganici contenenti metalli provenienti dal trattamento e ricopertura di metalli;

idrometallurgia non ferrosa Metalli Plastica Rifiuti di lavorazione e di trattamento superficiale di metalli, e plastica Olii Oli esausti (tranne gli oli commestibili 05 00 00 e 12 00 00) Solventi organici Rifiuti di sostanze organiche utilizzate come solventi (tranne 07 00 00 e 08 00 00) Assorbenti Stracci Imballaggi, assorbenti; stracci, materiali filtranti e indumenti protettivi (non specificati

altrimenti) Altro Rifiuti non specificati altrimenti nel Catalogo 1 Costruzioni Rifiuti di costruzioni e demolizioni (compresa la costruzione di strade) Medicina Rifiuti di ricerca medica e veterinaria (tranne i rifiuti di cucina e di ristorazione che non

derivino direttamente da luoghi di cura) Trattamento rifiuti Rifiuti da impianti di trattamento rifiuti, impianti di trattamento acque reflue fuori sito e

industrie dell’acqua RSU Rifiuti solidi urbani ed assimilabili da commercio, industria ed istituzioni inclusi i rifiuti

della raccolta differenziata A loro volta queste macrocategorie contengono il dettaglio dei rifiuti (in complesso 753 categorie), come si può osservare nell’allegato n.2 a questo lavoro, in cui sono evidenziate le categorie presenti nella dichiarazione MUD 1997.

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Per iniziare, analizziamo appunto il dato sulle tipologie di rifiuti prodotte:

Grafico 35 – Tipologie di rifiuti dichiarate nei MUD 1997

campione 16.755

1997 Cava 85 Alimenti 137 Legno e carta 31 Tessile 8 Petroliferi 64 Chimica inorganica 226 Chimica organica 637 Vernici inchiostri 1.334 Foto 1.752 Termici 120 Metalli 99 Metalli Plastica 476 Olii 2.073 Solventi organici 844 Assorbenti Stracci 1.795 Altro 1.759 Costruzioni 1.201 Medicina 1.386 Trattamento rifiuti 357 RSU 1.920 Errore 451 Da questi dati, deriva la seguente suddivisione percentuale:

0

500

1000

1500

2000

2500

Cava Tessile Chim org. Termici Olii Altro Trattamrif.

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Grafico 36 – Suddivisione percentuale delle tipologie di rifiuti prodotte – 1997

Già da questa schematizzazione appaiono piuttosto chiaramente quelle che sono le categorie di rifiuti più importanti. Ora, analizzando le quantità di rifiuti prodotte, tentiamo di effettuare un parallelo con il numero di dichiarazioni compilate per ogni categoria di rifiuto, al fine di verificare se a più alto numero di dichiarazioni corrisponde anche una maggiore produzione.

Olii12,4%

Solventi org.5,0%

Assor Strac10,7%

Altro10,5%

Costruzioni7,2%

Medicina8,3%

Trattam rif.2,1%

RSU11,5%

Foto10,5%

Vernici inch.8,0%

Chim org.3,8%

Termici0,7%

Metalli0,6%

Metalli Plastica2,8%

Cava0,5%

Errore2,7%

Legno e carta0,2%

Alimenti0,8%

Tessile0,0%

Petroliferi0,4%

Chim inorg.1,3%

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Grafico 37 – Quantità di rifiuti prodotte (in tonnellate) – 1997

campione 16.755

rifiuto tonn. Cava 33.809,47 Alimenti 5.550,83 Legno e carta 2.031,76 Tessile 73,96 Petroliferi 17.824,81 Chim inorg. 77.281,75 Chim org. 2.857,79 Vernici inch. 828,31 Foto 698,94 Termici 75.564,12 Metalli 1.037,68 Metalli Plastica 9.888,36 Olii 10.459,29 Solventi org. 322,57 Assor Strac 14.015,45 Altro 17.939,08 Costruzioni 103.140,44 Medicina 1.962,45 Trattam rif. 29.354,42 RSU 19.472,89

3 3 .8 0 9

5 .5 5 12 .0 3 2 7 4

1 7 .8 2 5

7 7 .2 8 2

2 .8 5 88 2 8 6 9 9

7 5 .5 6 4

1 .0 3 8

9 .8 8 81 0 .4 5 9

3 2 3

1 4 .0 1 51 7 .9 3 9

1 0 3 .1 4 0

1 .9 6 2

2 9 .3 5 4

1 9 .4 7 3

-

20.000

40.000

60.000

80.000

100.000

120.000

Cava

Alim

enti

Legn

o e

cart

a

Tess

ile

Petr

olife

ri

Chim

inor

g.

Chim

org

.

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org.

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Cost

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Med

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a

Trat

tam

rif.

RSU

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Grafico 38 – Suddivisione percentuale delle quantità di rifiuti prodotte – 1997

Con l’aiuto della seguente tabella, confrontiamo le dichiarazioni (in percentuale) con le quantità. Tabella E – Raffronto fra le percentuali di dichiarazioni e le percentuali di produzione dei rifiuti

rifiuto % dichiar. % quantità rifiuto % dichiar. % quantità Cava 0,5 8,0 Alimenti 0,8 1,3Legno e carta 0,2 0,5 Tessile 0,0 0,02Chimica inorganica 1,3 18,2 Chimica organica 3,8 0,7Vernici inchiostri 8,0 0,2 Fotografia 10,5 0,2Termici 0,7 17,8 Metalli 0,6 0,24Metalli Plastica 2,8 2,3 Olii 12,4 2,5Solventi organici 5,0 0,1 Assorbenti Stracci 10,7 3,3Altro 10,5 4,2 Costruzioni 7,2 24,3Medicina 8,3 0,46 Trattamento rifiuti 2,1 6,9RSU 11,5 4,6

E’ interessante osservare come, nella quasi totalità dei casi, non esista corrispondenza fra numero di dichiarazioni e quantità di rifiuti prodotte. Ciò è dovuto, essenzialmente, a tre aspetti principali:

. il primo è legato al mero peso specifico di alcune tipologie di rifiuti, come è possibile osservare per quelli provenienti dalle attività estrattive (Cava) ed edilizie (Costruzioni) –molto pesanti- o per quelli provenienti da attività mediche e ospedaliere (Medicina) –molto leggeri-;

. il secondo è legato alla scarsa quantità in assoluto di rifiuto prodotto dai pur numerosi soggetti dichiaranti, come nel caso delle categorie “Vernici Inchiostri”, “Solventi organici”, “Chimica organica”, “Fotografia”, “Olii” e “Assorbenti Stracci”;

. il terzo è, infine, legato, come vedremo poco più avanti, alla presenza di veri e propri colossi della produzione rifiuti all’interno di una cerchia ristretta di soggetti dichiaranti. Ciò avviene, ad esempio, nel caso della “Chimica inorganica” (Stoppani), “Termici” (ENEL), “Trattamento rifiuti” (AMGA).

Con la tabella e il grafico seguenti, tentiamo di concludere il discorso strutturale sulla produzione delle diverse tipologie di rifiuti, calcolando la produzione procapite di ogni soggetto dichiarante.

Termici17,8%

RSU4,6%

Cava8,0%

Vernici inch.0,2%

Chim org.0,7%

Foto0,2%

Chim inorg.18,2%

Petroliferi4,2%

Legno e carta0,5%

Tessile0,02%Alimenti

1,3%Trattam rif.

6,9%Medicina0,46%

Costruzioni24,3%

Metalli0,24%

Metalli Plastica2,3%

Altro4,2%

Assor Strac3,3%

Solventi org.0,1%

Olii2,5%

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campione 16.755

tonn. prodotte tonn. procapite Cava 33.809,47 397,76Alimenti 5.550,83 40,52Legno e carta 2.031,76 65,54Tessile 73,96 9,24Petroliferi 17.824,81 278,51Chim inorg. 77.281,75 341,95Chim org. 2.857,79 4,49Vernici inch. 828,31 0,62Foto 698,94 0,40Termici 75.564,12 629,70Metalli 1.037,68 10,48Metalli Plastica 9.888,36 20,77Olii 10.459,29 5,05Solventi org. 322,57 0,38Assor Strac 14.015,45 7,81Altro 17.939,08 10,20Costruzioni 103.140,44 85,88Medicina 1.962,45 1,42Trattam rif. 29.354,42 82,23RSU 19.472,89 10,14

Grafico 39 – Quantità media rifiuti prodotti da ogni dichiarante (in tonnellate) – 1997

Come accennato in precedenza, all’interno delle diverse categorie di produttori di rifiuti, esistono soggetti che incidono in maniera particolarmente decisa sulla quantità totale. Con la serie di grafici che illustriamo in queste pagine, si intende mettere in evidenza, per alcune tipologie di rifiuti, proprio questo aspetto.

3 9 8

4 16 6

9

2 7 9

3 4 2

4 1 0 , 4

6 3 0

1 0 2 1 5 0 , 4 8 1 0

8 6

1

8 2

1 0

0

100

200

300

400

500

600

700

Cava

Alim

enti

Legn

o e

cart

a

Tess

ile

Petr

olife

ri

Chim

inor

g.

Chim

org

.

Vern

ici i

nch.

Foto

Term

ici

Met

alli

Met

alli

Plas

tica

Olii

Solv

enti

org.

Asso

r St

rac

Altr

o

Cost

ruzi

oni

Med

icin

a

Trat

tam

rif.

RSU

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Grafici 40 – 45 Incidenza dei principali soggetti dichiaranti sulla produzione di

determinate categorie di rifiuti

Rifiuti da processi chimici inorganici

Altri44,2%

Stoppani55,8%

Rifiuti da processi termici

Enel90,3%

Altri9,7%

Rifiuti alimentari

Centrale del Latte35,6%

Altri64,4%

Rifiuti lavorazione legno e carta

Cartiera di Voltri

37,4%

Altri62,6%

Rifiuti petroliferi

Castalia21,8%

Altri78,2%

Rifiuti da trattamento rifiuti e acque reflue

AMGA62,1%

Altri37,9%

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5.2 Trattamento rifiuti La compilazione dei MUD prevede, dunque, che ogni soggetto dichiarante specifichi nella tabella BA (vd. allegato 3 – Struttura dei moduli di dichiarazione) il tipo di rifiuto prodotto, compilando una tabella per ogni differente tipologia di rifiuto. Così, ad esmpio, la Luigi Stoppani spa, ha compilato 6 tabelle BA, concernenti i seguenti tipi di rifiuti: 060405 Rifiuti contenenti altri metalli pesanti; 110105 Soluzioni acide di decapaggio; 150102 Imballaggi in plastica; 170200 Legno, vetro e plastica; 170405 Ferro e acciaio; 190700 Percolato di discarica. Per ognuno di questi rifiuti speciali è quindi stata dichiarata la quantità prodotta, ricevuta da terzi, trasportata, prodotta fuori dell’unità locale, stoccata e trattata. Fra tutti questi aspetti, in diverso modo importanti, abbiamo voluto sottolineare quello legato al trattamento dei rifiuti, andando ad analizzare nel dettaglio quali soggetti hanno dichiarato l’effettuazione di trattamenti, rilevando i dati che seguono:

Grafico 46 – Rifiuti trattati

campione 16748 16755

1996 1997 Trattati 362 393 Non trattati 16386 16362

Grafici 47 e 48 – Percentuale di rifiuti trattati sul totale delle produzioni

Si può notare come, praticamente a parità di dichiarazioni, vi sia un leggerissimo incremento dei trattamenti, che prevedono 12 possibili modalità: Trattamento chimico-fisico, Disidratazione, Inertizzazione, Sterilizzazione, Disinfezione, Termodistruzione, Trattamento biologico, Selezione e/o cernita, Riutilizzo, Recupero di energia, Recupero di materiali, Compostaggio.

1997

Non trattati97,7%

Trattati2,3%

1996

Trattati2,2%

Non trattati97,8%

362393

0

50

100

150

200

250

300

350

400

1996 1997

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Vediamo, quindi, ora come si distribuiscono i trattamenti effettuati fra queste tipologie. campione 362 393

1996 1997 Chimico - fisico 83 143 Disidratazione 33 55 Inertizzazione 21 9 Sterilizzazione 2 5 Disinfezione 27 25 Termodistruzione

23 6

Biologico 1 2 Selezione / Cernita

64 73

Riutilizzo 72 36 Recupero energia

1 0

Recupero materiale

33 41

Compostaggio 2 3

Grafico 49 – Tipologie di trattamento dei rifiuti

5.3 Stoccaggio Osserviamo ora quanti produttori effettuano stoccaggio provvisorio dei rifiuti, o meglio, di quanti rifiuti prodotti viene effettuato lo stoccaggio provvisorio. Infatti, come detto più volte, un soggetto dichiarante può produrre svariati tipi di rifiuto, per ognuno dei quali deve compilare l’apposito modulo.

83

143

33

55

219

2 5

27

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Grafico 50 – Rifiuti stoccati provvisoriamente dai produttori

campione 16.748 16.755 1996 1997

Stoccati 8.555 9.002 Non stoccati

8.193 7.753

Come si può notare, a parità, praticamente, di rifiuti dichiarati, aumenta il divario a favore dello stoccaggio provvisorio, come è possibile notare anche dai grafici che seguono.

Grafici 51 e 52 – Percentuali di rifiuti stoccati provvisoriamente dai produttori

Qui di seguito, invece, si può analizzare il dato sullo stoccaggio definitivo in discarica dei rifiuti da parte dei loro produttori. Nel primo grafico non viene rappresentato, al contrario del solito, il confronto fra i due valori (in questo caso rifiuti stoccati e non stoccati definitivamente) in quanto il divario è tale da rendere illeggibile il grafico stesso, come è possibile dedurre dalla tabella annessa. campione 16.74

8 16.755

1996 1997 Stoccati 59 56 Non stoccati

16.689

16.699

8555 81939002

7753

0100020003000400050006000700080009000

10000

1996 1997

Stoccati

Non stoccati

1996

St occat i

5 1 ,1 %

N on

s t occat i

4 8 ,9 %

1997

St occat i

53 ,7%

Non st occat i

46 ,3%

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Grafico 53 – Rifiuti stoccati definitivamente in discarica dai produttori

Si riportano anche i valori percentuali del dato sopra esposto, anche se molto bassi e, quindi, scarsamente rappresentativi.

Grafici 54 e 55 – Percentuali di rifiuti stoccati definitivamente in discarica dai produttori

Può, forse, rivestire un certo interesse, invece, il confronto assoluto fra i due dati, dove si nota che, nel corso del 1997, si assiste ad un calo del 5,1% degli stoccaggi definitivi in discarica da parte dei produttori stessi del rifiuto. A questo proposito possiamo notare come proprio lo stoccaggio non definitivo rappresenti uno dei nodi di maggior spessore dell’intera dichiarazione MUD, e meriti, di conseguenza, un approfondimento. Infatti, la modulistica, alla voce Stoccaggio nella scheda DA RSU-Impianto, riporta la dicitura: ex art.12 dpr 915/82. Secondo una circolare del Ministro dell’Industria datata 5 marzo 1998 e contenente le indicazioni ed i chiarimenti necessari ai fini della compilazione del Modello Unico di Dichiarazione ambientale (MUD), lo stoccaggio deve intendersi, ai fini della dichiarazione, applicabile secondo le modifiche introdotte con l'art. 13 del D.Lgs. 22/97 e successive modificazioni e integrazioni. A sua volta il suddetto decreto legislativo recita:

Art. 13 - Ordinanze contingibili e urgenti - 1. Fatto salvo quanto previsto dalle disposizioni vigenti in materia tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della Provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell’ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Ministro dell’ambiente, al Ministro della sanita' e al presidente della regione entro tre giorni dall’emissione ad hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi. 2. Entro centoventi giorni dall’adozione delle ordinanze di cui al comma 1, il Presidente della Giunta regionale promuove ed adotta le iniziative necessarie per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti. In caso di inutile decorso del termine e di accertata inattività, il Ministro dell’ambiente diffida il Presidente della Giunta regionale a provvedere entro un congruo termine, e in caso di protrazione dell’inerzia può adottare in via sostitutiva tutte le iniziative necessarie ai predetti fini. 3. Le ordinanze di cui al comma 1 indicano le norme a cui si intende derogare e sono adottate su parere degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali, che lo esprimono con specifico riferimento alle conseguenze ambientali. 4. Le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della Regione d’intesa con il Ministro dell’ambiente può adottare, sulla base di specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini.

5956

0

10

20

30

40

50

60

1996 1997

1996

Non st occat i

99 ,6%

St occat i

0 ,4%

1997

St occat i

0 ,3 %

N on

s t occat i

9 9 ,7 %

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5. Le ordinanze di cui al comma 1 che consentono il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti pericolosi sono comunicate dal Ministro dell’ambiente alla Commissione dell’Unione Europea. e, all’Art. 6: l) stoccaggio: le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D 15 dell’allegato B, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R 13 dell’allegato C. Vediamo allora il punto D15 dell’allegato B: D15 Deposito preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti) I punti cui fare riferimento sono i seguenti: D1 Deposito sul o nel suolo (a esempio discarica) D2 Trattamento in ambiente terrestre (a esempio biodegradazione di rifiuti liquidi o fanghi nei suoli) D3 Iniezioni in profondità (a esempio iniezioni dei rifiuti pompabili in pozzi. In cupole saline o faglie geologiche naturali) D4 Lagunaggio (a esempio scarico di rifiuti liquidi o di fanghi in pozzi, stagni o lagune, ecc.) D5 Messa in discarica specialmente allestita (a esempio sistematizzazione in alveoli stagni separati, ricoperti o isolati gli uni dagli altri e dall’ambiente) D6 Scarico dei rifiuti solidi nell’ambiente idrico eccetto l’immersione D7 Immersione, compreso il seppellimento nel sottosuolo marino D8 Trattamento biologico non specificato altrove nel presente allegato, che dia origine a composti o a miscugli che vengono eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12 D9 Trattamento fisicochimico non specificato altrove nel presente allegato che dia origine a composti o a miscugli eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12 (a esempio evaporazione, essiccazione, calcinazione, ecc.) D10 Incenerimento a terra D11 Incenerimento in mare D12 Deposito permanente (a esempio sistemazione di contenitori in una miniera, ecc.) D13 Raggruppamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D12 D14 Ricondizionamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D13 Il punto R13 dell’allegato C, invece cita: R13 Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti) Qui di seguito si possono trovare elencati i punti da R1 a R12: R1 Utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia R2 Rigenerazione/recupero di solventi R3 Riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche) R4 Riciclo/recupero dei metalli e dei composti metallici R5 Riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche R6 Rigenerazione degli acidi o delle basi R7 Recupero dei prodotti che servono a captare gli inquinanti R8 Recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori R9 Rigenerazione o altri reimpieghi degli oli R10 Spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia R11 Utilizzazione di rifiuti ottenuti da una delle operazioni indicate da R1 a R10 R12 Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R1 a R11

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MUD 1998 MUD 1999 MUD 2000 CODICI PERICOLOSI NON PERICOLOSI PERICOLOSI NON PERICOLOSI PERICOLOSI NON PERICOLOSI 01 0,000 40.918.383,000 0,000 35.728.591,000 0,000 46.574.935,700

02 155,000 4.490.484,000 155,000 4.191.935,000 2,000 3.349.691,200 03 0,000 1.471.220,500 0,000 1.587.297,200 14,500 1.443.380,000 04 0,000 18.575,400 0,000 199.578,500 0,000 2.268,710 05 186.439,000 5.688.362,000 1.243.025,000 1.283.119,000 894.415,000 1.831.710,000 06 55.498.904,961 1.494.273,350 32.901.476,324 2.396.712,200 38.892.334,468 2.201.471,400 07 1.160.466,635 1.656.767,200 1.200.086,092 1.746.382,700 2.702.659,910 2.225.356,265 08 311.333,700 426.724,670 505.698,710 793.365,626 464.097,860 579.744,453 09 1.233.232,705 1.815.530,000 908.973,817 42.301,700 774.052,083 11.207,000 10 4,000 246.688.629,600 148.151,000 193.865.105,800 5.905.904,000 260.014.419,150 11 674.655,400 288.504,500 824.330,200 519.885,600 890.237,000 467.389,000 12 1.351.102,000 19.374.591,080 1.714.530,500 14.284.301,703 2.604.751,000 10.480.397,200 13 10.791.321,100 15.447,500 7.528.630,394 6.174,000 11.624.794,093 4.521,000 14 188.967,910 0,000 468.811,585 0,000 401.492,918 0,000 15 0,000 26.763.488,542 0,000 23.039.886,250 0,000 23.930.716,441 16 4.777.197,965 27.707.487,930 3.102.106,880 21.725.142,600 4.183.789,520 31.567.790,667 17 271.793,000 143.182.831,540 290.679,700 474.215.607,000 621.449,400 220.501.913,000 18 2.839.539,101 57.991,944 2.226.941,178 30.689,450 2.183.778,276 821.525,353 19 393.247,000 32.384.460,800 396.355,600 37.738.548,000 333.933,100 44.296.760,690 20 7.900,967 13.172.079,155 21.325,228 6.008.883,297 16.639,351 16.366.507,954 ND 3.835.157,700 72.842,540 5.399,500

Totale

(01 - 20) 79.686.260,444 571.450.990,411 53.481.277,208 819.403.506,626 72.494.344,479 666.671.705,183

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Costituzione dell’Autorità d’ambito. L’attuazione delle previsioni di piano è affidata alla cosiddetta “Autorità

d’ambito”, espressione della forma associativa fra i Comuni dell’ambito provinciale (Ambito Territoriale Ottimale).

Secondo quanto disposto dalla Legge Regionale n. 18/99, i Comuni di

ciascun ATO organizzano la gestione dei rifiuti solidi urbani dell’ambito mediate le forme associative previste dalla legge n. 142/90 (sostituita dal Decreto Legislativo n. 267/2000).

A tale fine la Provincia deve predisporre gli schemi costitutivi delle varie

forme di cooperazione con la relativa carta dei servizi, fra le quali i Comuni, riuniti in conferenza, devono pronunciarsi per la scelta attraverso il calcolo di una doppia maggioranza, che rappresenti almeno la metà più uno degli abitanti del territorio interessato e la metà più uno del Comuni dell’Ambito.

Gli schemi costitutivi delle forme associative prevedono la costituzione di

un Consorzio ovvero una Convenzione di cooperazione. Indipendentemente dalla scelta della forma di cooperazione, che dà luogo

a diverse modalità procedurali per il funzionamento dell’organismo costituito, l’Autorità d’ambito deve procedere sostanzialmente all’approvazione di ciò che negli schemi riportati viene definito “piano degli interventi” che consta dei seguenti punti:

- i progetti preliminari, completi dei relativi piani economici e finanziari, degli interventi previsti nel piano provinciale;

- i progetti preliminari dei servizi di raccolta e dei sistemi dei trasporti, completi dei relativi piani economici e finanziari;

- la definizione dei tempi per la realizzazione degli interventi di cui al primo punto;

- lo schema di assetto gestionale che espliciti le attività di raccolta, i servizi e gli impianti di smaltimento e recupero da affidare in gestione;

- il piano degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi, articolato su base decennale per i servizi di smaltimento e su base quinquennale per i servizi di raccolta e spazzamento;

- la previsione dell’importo delle tariffe articolate per singole voci di costo, da effettuarsi almeno su base triennale, nonché le modalità progressive di attuazione garantendo la gradualità degli adeguamenti tariffari;

- gli obiettivi e gli standard dei servizi di gestione dei rifiuti eventualmente articolate per aree.

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L’Autorità d’ambito è pertanto l’organismo attuatore del piano provinciale, ma altresì quello dove vengono assunte le decisioni finali sull’organizzazione del sistema sia in ordine alla scelta tecnologica, sia in relazione alla definitiva scelta dei siti occorrenti all’installazione del sistema prescelto.

Il piano degli interventi sottoposto ad approvazione dell’Autorità d’ambito

non implica la necessità che le varie fasi della gestione dei rifiuti debbano essere attribuite ad un unico soggetto; di fatto , a differenza di altre forme di cooperazione fra Comuni per la gestione di un servizio, nel caso in esame possono essere salvaguardate forme di gestione in economia o l’affidamento del livello gestionale ad Enti (come le Comunità Montane) o altri soggetti anche non istituzionali che vedono i Comuni partecipare a forme di aggregazione anche parziale, non riferibili cioè all’intero ambito.

L’uniformità richiesta per l’erogazione del servizio deve piuttosto

riguardare le garanzie minime che il soggetto prescelto è in grado di fornire e a tale scopo il soggetto stesso è tenuto all’osservanza dei livelli di qualità prestazionale desumibili dalla carta dei servizi.

Non vi è dubbio invece che la realizzazione e la gestione del sistema degli

impianti di smaltimento e di recupero di materia ed energia costituisca un onere ed un dovere comune e che le decisioni ad esse relative debbano essere assunte in modo unitario da parte dell’assemblea.

In comuni diversi potrà perciò avvenire che vengano applicate tariffe

diverse per l’intero svolgimento del servizio, dalla raccolta differenziata ed indifferenziata, attraverso il trasporto locale, l’eventuale contingentamento, i successivi trasporti, il trattamento intermedio e finale, fino al conferimento in discarica dei residui non più recuperabili. Per ciascuna delle voci anzidette l’economia di gestione deve essere perseguita con le modalità più appropriate al caso locale e alle variegate realtà del territorio dell’ambito, fermo restando che andranno comunque superati i particolarismi, per quanto consolidati, in funzione dell’efficacia e della economicità del sistema complessivo.

Per la costituzione dell’Autorità d’ambito, i Comuni, come già più sopra

accennato, devono pronunciarsi per aderire a una delle due forme di cooperazione ipotizzate: l’Assemblea dei Sindaci, in data 31 luglio 2001, si è pronunciata in favore della Convenzione di cooperazione, il cui schema viene riportato in allegato. Una volta stabilita la forma associativa è necessario procedere al completamento, anche eventualmente mediante aggiustamenti e modifiche, dello schema relativo alla forma prescelta che, previa ratifica da parte del Consiglio Provinciale, dovrà essere sottoscritto da tutti i Comuni facenti parte dell’ATO, quale documento finale di adesione. I passaggi successivi sono disciplinati dalla L. R. n. 18/99 e peculiari della forma costitutiva dell’Autorità d’ambito.

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ALLEGATO 1

CONVENZIONE art. 30 del D. Lgs. 267/2000

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L.R. 21/06/99 n° 18 “Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli Enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia”, art 27 comma 5. Schema di Convenzione ai sensi dell’art. 30 delD. Lgs. n. 267/2000 per la costituzione della Comunità d’Ambito...........................................................................................................................................160

1. Costituzione e denominazione.....................................................................................................160

2. Durata e sede. ..............................................................................................................................160

3. Finalità.........................................................................................................................................160

4. Obblighi degli enti convenzionati ...............................................................................................160

5. Funzioni.......................................................................................................................................161

6. Piano degli interventi ......................................................................................................................5

7. Comitato di garanzia……………………………………………………………………………...6

8.Quote di partecipazione................................................................................................................162

9. Trasmissione atti fondamentali della Comunità d’Ambito agli enti convenzionati. ................162

10. Tutela dei diritti degli utenti..........................................................................................................6

11.La Conferenza dei sindaci..............................................................................................................7

12. Convocazione della Conferenza....................................................................................................7

13. Funzionamento della Conferenza.................................................................................................7

14. Commissioni consultive.................................................................................................................8

15. Spese di funzionamento.................................................................................................................8

16. Norma finale di rinvio. ..................................................................................................................8

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L.R. 21/06/99 n° 18 “Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli

Enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia”, art 27 comma 5. Schema di

Convenzione ai sensi dell’art. 30 del D. Lgs. n. 267/2000 per la costituzione della Comunità

d’Ambito.

1. Costituzione e denominazione. 1. In applicazione della L.R. 21/06/99 n° 18 in seguito denominata “legge regionale”, art. 27,

comma 5, e art. 26, commi 1 e 2, tra i 67 Comuni della provincia di Genova è stipulata una convenzione ai sensi dell'art. 30 del Decreto Legislativo n. 267/2000, al fine della costituzione della "Comunità di Ambito".

2. Durata e sede.

1. La durata della convenzione è a tempo indeterminato e cessa per l'esaurimento del fine. 2. La Comunità d’Ambito Genovese ha sede .La Provincia è l’Ente incaricato del

Coordinamento.

3. Finalità.

1. La Comunità d’Ambito ha lo scopo di organizzare la gestione dei rifiuti nell’Ambito

Territoriale Ottimale Genovese, coincidente con il territorio provinciale, in attuazione della legge regionale.

2. La Comunità d’ambito opera per superare la frammentazione delle gestioni, per conseguire economicità gestionale e per garantire efficienza ed efficacia alla gestione dei rifiuti.

3. La Comunità d’Ambito opera per il conseguimento dell’autosufficienza per la gestione dei rifiuti urbani all’interno del proprio territorio.

4. Obblighi degli enti convenzionati 1. Gli enti convenzionati si obbligano a delegare alla Comunità d’Ambito le funzioni relative

all’affidamento dei beni di loro proprietà inseriti nel “PIANO DEGLI INTERVENTI” funzionali allo svolgimento dei servizi affidati al gestore. La quota della tariffa relativa all’ammortamento degli eventuali mutui accesi sui beni, è versata direttamente dal gestore agli enti proprietari in conformità a quanto stabilito dalla Comunità d’Ambito in sede di definizione delle modalità per l’introitazione della tariffa.

2. Gli enti convenzionati si obbligano a mettere a disposizione della Comunità, e per essa del gestore, tutte le informazioni utili all’applicazione della tariffa, anche consentendo l’accesso alle proprie basi informative.

3. Gli enti convenzionati adottano tutte le misure atte a favorire lo svolgimento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti, quali ad esempio la concessione di autorizzazioni alla circolazione in sede protetta dei mezzi di raccolta dei rifiuti, la vigilanza in ordine al rispetto del divieto di sosta in prossimità dei punti di raccolta e simili.

4. Gli enti convenzionati si impegnano in particolare:

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- a favorire la individuazione delle aree idonee alla realizzazione sul

territorio comunale di tutte le attività e gli impianti di supporto alla

gestione dei rifiuti;

- a consentire la dislocazione sul suolo pubblico dei contenitori adibiti

alla raccolta indifferenziata e differenziata dei rifiuti.

5. Gli enti convenzionati si impegnano a verificare la coerenza dei rispettivi regolamenti emanati ai sensi dell’art. 21, secondo comma del D. Lgs. n. 22/97 e ad uniformarli ove occorra.

6. Gli enti convenzionati si obbligano a delegare la Comunità d’Ambito alla stipula delle convenzioni con il Conai e con i Consorzi previsti dall’art, 40 del D. Lgs. n. 22/97, riconoscendo al gestore i corrispettivi derivanti dalle convenzioni stesse.

5. Funzioni. 1. La Comunità d’Ambito Genovese, svolge le funzioni di cui all'art. 28 della Legge regionale. 2. In particolare spetta alla Comunità d’Ambito, ai fini del raggiungimento degli standard

tecnico-economici del piano regionale dei rifiuti: a) entro il 31.12.2003 l’individuazione dei tipi di impianti di trattamento e l’esatta

ubicazione degli stessi per il funzionamento del sistema di gestione contenuto nel piano provinciale in relazione ai criteri individuati dalla Provincia di Genova e precisati nel piano stesso;

b) la predisposizione, l'approvazione e l'aggiornamento del piano degli interventi, di cui al successivo art. 6;

c) la realizzazione degli interventi previsti nel piano provinciale e nel piano degli interventiI individuando i soggetti cui affidare la realizzazione e la gestione degli impianti e del complesso delle operazioni di raccolta e di trasporto, nonché le modalità con le quali il gestore può affidare la raccolta differenziata a soggetti terzi;

d) scelta delle forme di gestione dei servizi e delle procedure da seguire per l'affidamento degli stessi e dei beni di loro proprietà inseriti nel piano degli interventi;

e) la redazione dei rapporti sulla realizzazione del piano degli interventi e sulla capacità di smaltimento dell'ATO;

f) la determinazione della tariffa secondo i contenuti dell'art. 49 del D. Lgs. 22/97 e del metodo normalizzato ivi previsto, nonché delle modalità per la sua introitazione;

g) l’assegnazione ai soggetti gestori dei contributi di cui all’art.39, della legge regionale; h) la determinazione delle quote di partecipazione dei singoli Comuni alle spese della

Comunità d’Ambito secondo il criterio di cui al successivo art. 8. i) la stipula delle convenzioni con il CONAI e con i Consorzi previsti dall’art. 40 del D.

Lgs. 22/97; j) la determinazione del fabbisogno finanziario annuale e del riparto annuale delle spese;

3. La Comunità d’Ambito si dota di proprie forme di controllo sull’applicazione e sull’efficacia dei servizi di gestione dei rifiuti.

6. Piano degli interventi 1. La Comunità d’Ambito attua il piano provinciale di gestione dei rifiuti attraverso il piano

degli interventi;

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2. Il piano degli interventi è redatto sulla base dell’analisi della situazione esistente e degli obiettivi indicati dal piano provinciale di gestione dei rifiuti e contiene: a) i progetti preliminari, completi dei relativi piani economici e finanziari, degli interventi

previsti nel piano provinciale; b) i progetti preliminari dei servizi di raccolta e del sistema dei trasporti, completi dei

relativi piani economici e finanziari; c) la definizione dei tempi per la realizzazione degli interventi di cui alla lett. a); d) lo schema di assetto gestionale che espliciti le attività di raccolta, i servizi e gli impianti

di smaltimento e recupero da affidare in gestione; e) il piano degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi articolato su base

decennale per i servizi di smaltimento finale e su base quinquennale per i servizi di raccolta e spazzamento;

f) la previsione dell’importo delle tariffe articolate per singole voci di costo, da effettuarsi su base almeno triennale, nonché le modalità progressive di attuazione, garantendo la gradualità degli adeguamenti tariffari;

g) gli obiettivi e gli standard dei servizi di gestione dei rifiuti eventualmente articolati per aree.

3. Il piano degli interventi deve essere approvato entro 6 mesi dall’assolvimento del compito di cui all’art. 5, punto 2), lett. a);

7. Comitato di garanzia. 1. La Comunità d’Ambito nomina un Comitato di Garanzia composto da esperti in materia di

gestione dei rifiuti che ha il compito di verificare l’attuazione del piano degli interventi e l’attività dei gestori.

2. Il Comitato di Garanzia dura in carica 5 anni ed è composto da n. 3 componenti uno dei quali designato dalla Provincia.

3. Il Comitato di Garanzia riferisce alla Comunità d’Ambito e ai Comuni che ne fanno richiesta sullo stato di realizzazione del piano degli interventi. Almeno due volte l’anno il Comitato elabora una relazione sullo stato del piano che viene inviata dalla comunità d’Ambito ai Comuni ed alla Provincia.

4. Con atto a parte la Comunità detta le ulteriori modalità per il funzionamento del Comitato di Garanzia, i requisiti dei suoi componenti e le indennità loro spettanti.

8. Quote di partecipazione. 1. Le quote di partecipazione dei Comuni alla Comunità d’Ambito Genovese, sono determinate

annualmente in base alla quantità di RSU indifferenziati prodotta nell’anno precedente. 9. Trasmissione atti fondamentali della Comunità d’Ambito agli Enti convenzionati. 1. La Comunità d’Ambito provvede a trasmettere agli Enti convenzionati entro quindici

giorni dalla loro adozione gli atti fondamentali deliberati dalla Conferenza. Tale trasmissione non ha finalità di controllo, ma di informazione sull'attività della Comunità d’Ambito.

10. Tutela dei diritti degli utenti. 1. La Comunità d’Ambito.Genovese assicura che i soggetti gestori attuino, nei rapporti con gli

utenti, anche riuniti in forma associata, tutti i principi sull'erogazione dei servizi pubblici

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contenuti nella direttiva Presidente del Consiglio dei ministri 27 gennaio 1994 pubblicata sulla Gazz. Uff. n. 43 del 22 febbraio 1994.

2. Al contratto di servizio che disciplina la concessione al soggetto gestore è allegata la carta dei servizi.

3. Il contenuto dello “Schema di contratto di servizio per la gestione dei rifiuti” corredato dell’allegato tecnico e della Carta dei servizi sono vincolanti per l’affidamento e lo svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti.

4. Il contratto di servizio disciplina inoltre l'obbligo del gestore di fornire ai Sindaci dei Comuni dell'ambito tutte le informazioni da essi richieste in ordine al servizio prestato agli utenti dei propri comuni ed al riconoscimento dei loro diritti.

5. Il soggetto gestore, qualora diverso dal Comune medesimo, è obbligato ad adottare un Sistema di Qualità aziendale certificato nel rispetto della normativa ISO 9001. In Alternativa il soggetto gestore può proporre un sistema di Gestione Ambientale certificato nel rispetto della normativa ISO 14001 o EMAS.

11. La Conferenza dei Sindaci 1. La Comunità d’Ambito assume le proprie decisioni tramite la Conferenza dei Sindaci o loro

delegati, con le maggioranze indicate nell’articolo 13. 2. Presso la Provincia di Genova è istituita una Segreteria della Comunità d’Ambito per gli

adempimenti relativi al suo funzionamento. 12. Convocazione della Conferenza. 1. La Conferenza si riunisce almeno due volte l'anno per la determinazione del fabbisogno

finanziario annuale e per l’approvazione del riparto delle spese, ai sensi dell’art. 15. 2. La convocazione è disposta anche quando lo richieda almeno un sesto degli enti

convenzionati Ciascun Ente convenzionato può richiedere di mettere all’ordine del giorno proposte e problematiche attinenti l’organizzazione e la gestione del servizio.

3. La Conferenza è convocata mediante avviso contenente l'indicazione del luogo, giorno e ora dell'adunanza e l'elenco delle materie da trattare.

4. L'avviso deve pervenire agli interessati almeno otto (8) giorni prima di quello fissato per l'adunanza.

5. Nei casi d'urgenza la Conferenza può essere convocata ventiquattr'ore prima dell'adunanza mediante telefax recante in sintesi gli argomenti da trattare.

6. Almeno ventiquattr'ore prima della riunione, gli atti relativi agli argomenti posti all'ordine del giorno sono depositati nella segreteria della Comunità d’ambito a disposizione dei Comuni convenzionati. La presente disposizione non si applica ai casi d'urgenza di cui al comma 5.

13. Funzionamento della Conferenza. 1. La Conferenza è presieduta dal Presidente della Provincia di Genova o suo delegato. 2. La Conferenza è valida con la presenza dei Comuni che rappresentino la metà più uno degli

abitanti del territorio interessato e la maggioranza numerica dei Comuni dell’ambito genovese.

3. Le votazioni avvengono per appello nominale e le deliberazioni sono validamente assunte con il voto favorevole dei Comuni presenti in Conferenza che rappresentino la maggioranza delle quote di partecipazione alla Comunità d’Ambito e la maggioranza numerica dei Comuni convenzionati.

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14. Commissioni consultive. 1. Per lo studio di determinate materie ed iniziative afferenti le attività della Comunità

d’Ambito, la Conferenza può costituire commissioni consultive inserendovi, se opportuno, anche esperti esterni.

2. Nei provvedimenti di nomina sono specificati gli obiettivi delle commissioni e le condizioni regolanti la loro opera.

15. Spese di funzionamento 1. La Comunità d’Ambito è supportata da un’apposita segreteria tecnica costituita presso l’Ente

di coordinamento che potrà avvalersi anche del personale e degli uffici dei Comuni convenzionati secondo modalità da determinarsi da parte della Conferenza in via generale o in relazione agli specifici oggetti di propria di competenza. In fase di prima applicazione la Comunità d’Ambito fruirà del supporto organizzativo prestato dagli uffici provinciali.

2. Le spese di funzionamento della Comunità d’Ambito gravano sui Comuni convenzionati in proporzione alle quote di cui all’art. 8.

16. Norma finale di rinvio. 1. Per quanto non disciplinato dalla presente convenzione si osservano le norme previste dalla

vigente legislazione per i Comuni e le Province, in quanto applicabili. 2. I documenti di seguito indicati corredati dei rispettivi allegati sono parte integrante della

presente Convenzione:

- Schema di contratto di servizio per la gestione dei rifiuti - Carta dei servizi

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APPENDICE

ATTIVAZIONE DI UN PROCESSO DI PARTECIPAZIONE PER LA

LOCALIZZAZIONE DEI SITI DEDICATI AGLI IMPIANTI DI

TRATTAMENTO RIFIUTI

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Premessa I problemi della gestione del ciclo dei rifiuti e in particolare della localizzazione degli impianti di trattamento vanno assumendo un progressivo protagonismo nell’ambito delle priorità gestionali del territorio, che però risente ampiamente di un approccio emergenziale e rispecchia una cesura tra le culture ed i linguaggi tecnico-scientifici e la percezione delle comunità locali coinvolte. In altri termini, sempre più spesso si va affermando la difficoltà di contatto/dialogo/comprensione tra il sapere e l’argomentazione di tipo tecnologico/razionale e la disaggregata capacità di resistenza/opposizione delle comunità e degli attori locali. Dentro tale difficoltà di relazione tra razionalità strumentale ed identità culturali – sia personali che collettive – rischiano di crearsi blocchi non comunicanti, saperi autoriferiti che tendono a negare l’esistenza stessa di altri saperi e competenze, fino a rendere a volte impossibili le decisioni. Si è infatti di fronte ad uno scenario nel quale: • i saperi tecnici e le competenze amministrative che molto spesso hanno negato le

competenze/conoscenze delle comunità locali rispetto al proprio territorio, relegando alla marginalità un insieme composito ed indispensabile di conoscenze – storiche, simboliche, empiriche e non codificate – sul territorio di cui gli attori locali sono portatori, perdendone le potenzialità e percependoli come limiti anziché come potenziali contributi;

• gli attori locali che, dentro ad un più generale e progressivo processo di disgregazione delle identità locali e comunitarie, perdono la capacità di legare fra di loro problemi diversi, di costruire nessi e relazioni tra i fenomeni che riguardano il rapporto tra comunità ed ambiente per rifugiarsi nella sterile fenomenologie NIMBY, rifiutando aprioristicamente il confronto con le argomentazioni tecniche, nella speranza di esorcizzare il problema anziché di governarlo e di prendere decisioni ad esso pertinenti;

• la risultante dei punti precedenti tende a generare una palese mancanza di fiducia all’interno del rapporto decisori/tecnici/attori locali che determina a sua volta la scarsa consapevolezza della necessità di una cultura del rischio, di elementi multifattoriali di analisi, di modelli decisionali che accolgano l’incertezza e l’errore come elementi fondanti.

L’ipotesi che viene descritta muove da queste generali considerazioni per provare a definire e sperimentare luoghi, tempi e metodi con i quali costruire consapevolmente modelli di relazione, strategie di comunicazione e processi decisionali che sanino la cesura esistente tra sapere tecnico e competenze degli attori locali. Sarà quindi necessario orientare il processo di partecipazione, ed in particolare il lavoro che consapevolmente gli operatori svolgono all’interno di esso, riferendolo ad alcune linee guida fondamentali, quali: • applicare e tenere un approccio “bottom-up”, centrato sul far emergere le risorse che già la

comunità almeno potenzialmente possiede; • privilegiare l’attenzione alla continua ricerca di costruzione di relazioni tra i diversi attori

locali; • concepire la progettualità come un processo continuo e sistematico di osservazione

consapevole della realtà e non come mera prescrizione iniziale di strumenti, metodi ed esiti del progetto;

• prestare attenzione alle dinamiche gruppali e socio/affettive presenti all’interno della comunità;

• prestare attenzione non solo agli esiti del processo ma anche alle forme con cui viene condotto, cercando di mantenere una coerenza tra mezzi utilizzati e fini annunciati;

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• applicare un sistema di valutazione e monitoraggio che sappia evolversi sulla base dei risultati che verranno raggiunti.

Quella che di seguito verrà descritta sarà dunque un’ipotesi per la gestione della fase più delicata del processo di localizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti, e cioè quella della definizione puntuale dei siti sulla base dei criteri definiti precedentemente. L’ipotesi è quella di adottare una metodologia per la partecipazione degli attori locali che possa consentire il definire – sulla base di un elenco di siti rispondenti a tutti i criteri indicati dal piano e dal risultato delle metodologie di analisi multicriteri – una localizzazione degli impianti di trattamento il più possibile condivisa da tutti gli attori. L’elemento centrale di tale ipotesi è la definizione di una serie di criteri di classificazione delle aree considerate per la localizzazione degli impianti di trattamento, che deve avvenire sulla base di un processo di partecipazione e coinvolgimento degli attori locali e dei portatori di interessi diffusi. Inoltre la definizione preliminare dei criteri ha lo scopo di: • garantire a tutta la procedura leggibilità e trasparenza da parte delle comunità locali; • stabilire un clima di fiducia e di credibilità attorno a tutto il processo di pianificazione; • verificare la coerenza con gli altri atti e gli indirizzi di pianificazione territoriale e settoriale

ed eventualmente di introdurre criteri integrativi. La conclusione dell’iter permetterà di definire una graduatoria di siti potenzialmente idonei sulla base dei quali sarà possibile procedere a: • progettazione di massima dell’impianto; • effettuazione dello studio di impatto ambientale sul progetto preliminare dell’impianto. Le linee guida Una logica sistemico-relazionale Le azioni ipotizzate sono informate ad una logica sistemico-relazionale che consenta di assumere un punto di vista globale per esplorare l’ambiente e le sue evoluzioni, attribuendo senso e significato ad una serie di fenomeni che non sono riducibili a forme semplici. Diventa quindi fondamentale assumere come centrale il processo che lega fra di loro le singole azioni di comunicazione, di mediazione, di facilitazione, di animazione e di accompagnamento, considerando il territorio ed i suoi abitanti nella complessità delle interazioni e nella molteplicità dei significati che ciascuno assegna alla realtà. L’osservazione sistemica richiede la flessibilità dei modi di pensare, l’interdisciplinarità e la trasversalità nella costruzione della conoscenza. La costruzione di reti di conoscenze, di relazioni e di significati diventa in questa logica lo strumento per far assumere all’intervento una modalità che sappia evolversi sulla base dei risultati che vengono ottenuti, attivando moltiplicatori dell’informazione consegnando alla comunità gli strumenti per un suo possibile sviluppo. Un modello di comunicazione centrata sull’ascolto Centrale è l’attenzione che deve essere posta alla comunicazione intesa nella sua concezione costruttiva e non trasmissiva.

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Si ritiene infatti che produrre un cambiamento nei modi di partecipazione alle scelte comunitarie e nella percezione dei problemi ambientali richieda una revisione in senso ecologico dei modelli di comunicazione. La società, infatti, può rapportarsi ai problemi ambientali solo a partire dalle limitazioni determinate dai suoi modelli e strumenti di comunicazione. Per costruire una comunicazione ecologica non si tratta pertanto di lavorare sui contenuti della comunicazione, infarcendola di concetti ambientali, seppur eticamente o scientificamente corretti, bensì di dare spazio all’ascolto. L’obiettivo principale resta quello di costruire reti di relazioni tra soggetti ed attori che altrimenti sarebbero condannati alla distanza, all’incomunicabilità, all’autoreferenzialità. Un’opzione metodologica: partecipazione e attenzione al futuro Le linee di fondo della metodologia che verrà adottata – soprattutto per quanto riguarda il funzionamento della commissione non tecnica che più avanti verrà descritto – saranno mutuate dalla strategia della partecipazione. In particolare quattro saranno i punti cardine per tutte le attività: • la condivisione, fin all’inizio, della natura e dello scopo del processo da parte di tutti i

soggetti coinvolti; • l’adattabilità di tempi, modi e strumenti alle caratteristiche personali e professionali dei

soggetti coinvolti e del contesto in cui si svolge il processo; • la valorizzazione delle capacità e delle risorse disponibili nella comunità locale; • il sistematico coinvolgimento di tutti gli attori attivati nell’analisi e nella valutazione del

processo e dei risultati raggiunti. L’esplicito riferimento è peraltro alla metodologia denominata “Local Scenario Workshop”, che verrà descritta più avanti. Una competenza negoziale e di mediazione nella conflittualità Come è già stato sottolineato, il processo di conoscenza in cui spesso le comunità locali sono coinvolte porta a vivere fasi si incertezza che, se protratt, portano a modalità rigide di adattamento alla realtà. Ne deriva un modo di vedere le cose che non sempre è condiviso fra i soggetti della comunità di appartenenza e che fa emergere posizioni che si contrappongono ad altre. Si possono creare differenze riguardanti aspetti economici, sociali, culturali o anche personali che fanno cogliere la realtà in maniera parziale. Quanto più le persone si irrigidiscono sulle proprie posizioni, tanto più prevalgono forme di incomprensione e non accettazione che possono presentarsi sotto forma di conflitti veri e propri. In questa circostanza mediare significa aprire un dialogo in cui si possano considerare i diversi punti di vista per conoscere e comprendere esigenze e interpretazioni, considerate comunque legittime, con cui confrontarsi per trovare elementi comuni per modificare la realtà. La mediazione e la negoziazione sono considerate aree trasversali a tutto l’intervento, da intendersi come scelta metodologica cui attenersi e non solo come specifica attività di animazione. METODI Centrale nell’approccio metodologico che verrà utilizzato è l’attenzione al futuro. Il terreno che individuiamo come ambito di una possibile relazione tra soluzioni tecnologiche e soluzioni individualistiche, tra sapere tecnico e competenza simbolica degli attori locali, è quello legato alla costruzione di uno scenario.

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Uno scenario locale, una visione di un possibile futuro sul quale impegnarsi, prendersi impegni reciproci, ricombinare le soluzioni possibili. E’ chiaro il riferimento alla metodologia denominata Local Scenario Workshop, che con opportune modifiche, potrà essere adottata realizzando le seguenti fasi: • Comunicazione e introduzione

Breve presentazione della situazione locale, attuale stato della pianificazione, primo orientamento al futuro.

• Individuazione degli attori e degli stakeholders

Viene svolto uno screening nella comunità locale per individuare gli

attori, personali e collettivi ai quali proporre la partecipazione

all’intervento.

• Il futuro visto dai gruppi di interesse

I partecipanti sviluppano le proprie proiezioni sull’implementazione

dell’intervento.

A questo scopo si utilizzano gli scenari e altri spunti come ispirazione, elementi di critica e quadro di riferimento.

• Dibattito sui punti di vista, sessione plenaria Presentazione, chiarimento e discussione delle proiezioni dei gruppi di

interesse.

Gli elementi principali saranno presentati come punto di partenza.

• Gruppi tematici: Che fare? Obiettivo principale di questi gruppi è immaginare in qual modo sia

possibile realizzare gli ambiti d’azione prospettati.

• Scelta e valutazione delle idee

Le idee del gruppo di lavoro vengono ora classificate e presentate nel

corso di una riunione plenaria. Questa presentazione include anche un

parere della fattibilità delle idee.

• Valutazione

I partecipanti compilano uno schema di valutazione dei risultati e dei

metodi di lavoro.

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LA COMMISSIONE Il nodo, e l’elemento portante di tutto il processo di partecipazione, è costituito dallo strumento/luogo che viene proposto come sintesi e rappresentanza delle istanze locali e generali. Nell’ipotesi che qui viene presentata si immagina infatti la costituzione di una Commissione non tecnica che abbia il mandato di definire – all’interno di un ambito ben delineato precedentemente – la localizzazione dei siti nei quali posizionare gli impianti di trattamento dei rifiuti. La Commissione dovrebbe essere il luogo nel quale sono rappresentate tutte le istanze, ma dovrà essere composta in modo tale da consentire una sufficiente funzionalità ed efficacia operativa necessaria ad affrontare i momenti più difficili del percorso. La Commissione dovrà essere composta, in numero da definirsi, da: • L’Assessore allo Sviluppo Compatibile della Provincia; • Le aziende e i consorzi di gestione dei rifiuti; • Gli attori locali delle comunità locali interessate dal processo. In quest’ultima categoria saranno rappresentati: • Gli amministratori dei Comuni coinvolti; • Rappresentanti di portatori di interesse (sindacati, associazioni di categoria, ecc.); • Rappresentanti di associazioni ambientaliste, comitati di cittadini e soggetti particolarmente

sensibili alle tematiche oggetto del processo. Grazie ad un’apposita campagna di comunicazione ed informazione verrà esplicitato che la Commissione ha un ruolo informale e non ufficiale e quindi non è in grado di assumere decisioni che abbiano un valore giuridico. Le decisioni finali saranno assunte ufficialmente, auspicabilmente sulla base di quanto deciso dalla Commissione, da quei soggetti titolati a farlo sulla base del decreto legislativo n. 22/97. Il potere della Commissione risiederà dunque in: • Un potere politico – determinato dal fatto che tale struttura deve necessariamente nascere nel

quadro di un accordo volontario tra tutti i soggetti interessati, che abbia come presupposti fondanti il principio di trasparenza e leggibilità indicato precedentemente;

• Un potere reale – determinato dal fatto che i soggetti che sottoscrivono l’accordo volontario per la costituzione della Commissione, si impegnano formalmente a partecipare al processo e quindi che i risultati che emergeranno dalla Commissione saranno quelli che beneficeranno delle maggiori possibilità di localizzare in maniera condivisa gli impianti di trattamento dei rifiuti.

Il ruolo fondamentale della Commissione, i cui lavori dovranno essere preceduti da una fase di informazione e comunicazione e facilitati in corso d’opera da un’equipe di facilitatori (come descritto nell’allegato 1), sarà quello di: • Stabilire i criteri per la selezione dei siti; • Definire una graduatoria dei siti per la localizzazione degli impianti; • Elaborare la bozza di un documento programmatico che abbia come oggetto la sicurezza

degli impianti, i sistemi di compensazione, i sistemi di verifica e controllo degli impianti, che costituirà la base di discussione e di contrattazione tra la comunità locale prescelta per la localizzazione dei siti e il soggetto gestore.

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Allegato 1 LE FASI, GLI OBIETTIVI, LO STRUMENTARIO E I RISULTATI ATTESI La proposta per un processo partecipato che consenta la localizzazione dei siti per gli impianti di trattamento dei rifiuti, è strutturata attorno a due fasi principali: • L’esplorazione e l’informazione sull’iniziativa, gli obiettivi, la metodologia, le tecnologie e

tutto ciò che riguarda gli impianti di trattamento dei rifiuti; • La definizione di una priorità di siti per la localizzazione degli impianti di trattamento. Per ogni fase vengono descritte le sub-azioni di intervento; a sua volta ogni sub-azione avrà descritti gli obiettivi, gli strumenti proposti e i destinatari. Prima fase – ESPLORAZIONE

Sub-azione 1: Campagna di informazione generica Obiettivi Gli obiettivi prioritari di questa fase saranno: 1. Fornire un quadro informativo, illustrare gli obiettivi, le modalità, i tempi e le fasi del

progetto di concertazione; 2. Illustrare e definire i ruoli e le funzioni di ruoli all’interno del progetto, facilitando

l’individuazione dei referenti da parte delle comunità locali; 3. Illustrare i risultati attesi e l’importanza di partecipare al processo. Strumenti Gli strumenti che verranno adottati in questa sub-azione saranno: • Manifesti murali con visual e body copy rivolti ad esplicitare i benefici di prendere parte al

processo di concertazione; • Stampe su cartoncino monopatinato e plastificato a bordo dei mezzi pubblici delle aree

interessate dall’azione di concertazione. Tale campagna pubblicitaria interna avrà dunque headline e visual uguali a quella esterna, ma conterrà un body copy notevolmente arricchito di dati e informazioni relative al processo di concertazione;

• Un opuscolo informativo di 8 pagine; • Collaborazione e aggiornamento sito web provinciale con prevalenti funzioni di reperimento

di tutta la documentazione prodotta nel corso del processo; • Un video della durata indicativa di 20 minuti, che diventerà uno strumento di diffusione delle

informazioni relative alla gestione del ciclo dei rifiuti e al processo di concertazione per la localizzazione degli impianti di trattamento finale dei rifiuti, e una guida operativa al video.

Destinatari Tutta la comunità locale. Risultati attesi Incremento e condivisione dell’informazione sul processo e sui contenuti del processo; avvio del dibattito in sede locale; acquisizione di un quadro informativo comune; predisposizione di una rete di validazione delle reciproche conoscenze.

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Sub-azione 2: Definizione profilo di comunità Obiettivi Gli obiettivi prioritari di questa sub-azione saranno: 1. L’individuazione delle reti di relazione all’interno delle comunità locali nelle quali si va ad

operare; 2. Individuazione degli attori significativi, dei ruoli formali e informali, degli opinion leader; 3. Avvio di una fase di conoscenza diretta. Strumenti Gli strumenti che verranno adottati in questa sub-azione saranno ispirati alla logica della ricerca-azione-intervento e saranno pertanto caratterizzati da un contatto diretto con gli attori locali. Destinatari Tutta la comunità locale. Risultati attesi Definizione del profilo di comunità.

Sub-azione 3: Campagna di informazione specifica Obiettivi Gli obiettivi prioritari di questa sub-azione saranno quelli di definire azioni di informazione/comunicazione per pubblici specifici quali decisori delle amministrazioni locali, opinion leader, testimoni privilegiati della realtà locale, categorie professionali. Strumenti Gli strumenti che verranno adottati in questa fase saranno: • Produzione di un pacchetto di materiale informativo per pubblici specifici, che illustri in

maniera dettagliata il quadro di riferimento, la proposta e i ruoli specifici dell’azione di concertazione;

• Incontri bilaterali per la presentazione del processo, definizione dei ruoli e definizione di un piano di collaborazione per l’avvio delle fasi successive.

Destinatari Attori formali ed informali della rete di relazioni locali. Risultati attesi Informazione dettagliata sulle singole fasi del progetto di concertazione e definizione del livello di collaborazione dei singoli attori locali.

Sub-azione 4: Gruppi Focus

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Obiettivi Gli obiettivi prioritari di questa sub-azione saranno: 1. Creare relazioni per aree tematiche tra gli attori precedentemente contattati; 2. Avviare (utilizzando tecniche derivate dalla metodologia del local scenario workshop – cfr.

metodi) una produzione di idee sulle quali prendere impegni reciproci e ricombinare le soluzioni possibili.

Strumenti Gli strumenti principali che verranno adottati in questa fase saranno: • Costituzione di gruppi di discussione orientati al tema; • Azioni di facilitazione all’interno dei gruppi di discussione. Destinatari Attori formali ed informali della rete di relazioni locali. Risultati attesi Ottenere la definizione di uno scenario condiviso di ruoli e collaborazione per l’avvio dei lavori delle commissioni non tecniche.

Sub-azione 5: Costituzione e avvio dei lavori della commissione non tecnica Obiettivi Gli obiettivi prioritari di questa sub-azione saranno: 1. Restituire il lavoro elaborato dai gruppi focus in ordine al funzionamento delle commissioni

non tecniche; 2. Proporre calendari e metodi di lavoro; 3. Validare il lavoro dei gruppi focus. Strumenti Gli strumenti che verranno adottati in questa fase saranno: • Assemblea gestita con tecniche di facilitazione; • Produzione di strumenti riassuntivi; • Divulgazione a mezzo stampa. Destinatari Partecipanti dei gruppi focus e l’intera comunità locale. Risultati attesi La definizione e la condivisione della procedura di lavoro della commissione non tecnica; la validazione e l’accredito del loro operato. Seconda fase – DEFINIZIONE DEI SITI

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Sub-azione 1: Facilitazione dei lavori delle commissioni non tecniche Obiettivi Gli obietti prioritari di questa sub-azione saranno: 1. Rendere efficace ed efficiente il lavoro delle commissioni non tecniche; 2. Facilitare i lavori delle commissioni non tecniche. Strumenti Gli strumenti che verranno adottati in questa fase saranno: • Organizzazione della segreteria delle commissioni non tecniche; • Apporto di tecniche di facilitazione della discussione e dei processi di decisione. Destinatari Le commissioni non tecniche. Risultati attesi Svolgere in maniera efficace il lavoro di vaglio e selezione dei siti da parte delle commissioni.

Sub-azione 2: Facilitazione del rapporto commissione/territorio Obiettivi Gli obietti prioritari di questa sub-azione saranno: 1. Incrementare e mantenere la rete di ascolto e relazione tra la commissione e le comunità

locali; 2. Predisporre strumenti per l’ascolto e la comunicazione; 3. Giungere ad una scelta condivisa dei siti. Strumenti Gli strumenti che verranno adottati in questa fase saranno: • Campagna di stampa e cura dei rapporti con i media; • Creazione di un sistema di audit fra attori formali ed informali e le commissioni stesse. Destinatari I partecipanti alle commissioni e la rete di relazioni. Risultati attesi Ottenere una comunicazione ed una validazione continua dei lavori delle commissioni.

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Hanno partecipato alla realizzazione di questo documento: Alessandro Ambrosini

Fulvio Audino Paola Fontanella Aurelio Giuffré Maura Madero

Ettore Masetti (Ecotec) Raoul Saccorotti (DEMO-Ambiente e Territorio)

Pier Paolo Tomiolo Gianfranco Tripodo (Consulente)

Raffaella Vacca