Piano di Zona 2009-2011 -...

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Ambito Distrettuale Cremasco

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Le varie fasi del percorso di costruzione del Piano di Zona sono state segnate dalla produzione di documenti intermedi, di presentazioni, di incontri aperti, pubblici e di lavoro. In questi passaggi si sono utilizzate immagini della montagna, per simboleggiare lo “spirito del cammino”, per “segnare alcuni sentieri” per fermarci a guardare “panorami nuovi ”… L’immagine, a molti di noi particolarmente cara, che abbiamo scelto di utilizzare per la copertina rappresenta il “Re Laurino” visto da Someda di Moena, Val di Fassa: la montagna che richiama il profilo della figura umana, la vetta, la meta, … che ci riporta a pensare alla persona.

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Sommario

Premessa pag. 3

1- Il percorso di costruzione del nuovo Piano di Zona pag. 4

2- Le tesi/ipotesi di fondo del nuovo Piano di Zona pag. 7

3- L’analisi del contesto alla luce delle tesi/ipotesi pag. 17

4- Gli assi strategici pag. 31

a. La dimensione “comunitaria” del lavoro sociale pag. 31

b. La dimensione “promozionale” nel/del lavoro sociale pag. 32

c. La dimensione della “cura” nel lavoro sociale pag. 32

5- Le aree di priorità pag. 33

1) Lavoro educativo pag. 33

2) Ricomposizione delle frammentarietà pag. 34

3) Livelli essenziali di opportunità pag. 34

6- Innovazione: le nuove progettualità pag. 35

a. La Scelta Educativa pag. 36

b. La Domiciliarità pag. 41

c. Dalla Vulnerabilità all’Autonomia pag. 47

7- Continuità e Consolidamento pag. 54

a. Servizio Sociale Professionale - Segretariato Sociale pag. 54

b. Integrazione socio-sanitaria pag. 59

c. Accreditamento e titoli sociali pag. 60

d. Servizi Distrettuali Tutela Minori e Inserimento Lavorativo pag. 63

e. Accesso alla rete dei servizi pag. 65

f. Spazi di collaborazione con l’Amministrazione Provinciale pag. 67

8- Il sistema di finanziamento pag. 68

9- L’assetto istituzionale ed organizzativo pag. 71

10- Il modello gestionale ed il ruolo di Comunità Sociale Cremasca a.s.c. pag. 77

11- Strumenti di valutazione e verifica pag. 79

Allegato A: Scheda sintetica degli obiettivi del Piano di Zona 2009-2011 pag. 81

Allegato B: Fondo Unico Distrettuale: preventivo triennale pag. 102

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Premessa

Nel nostro percorso di “avvicinamento” ad una nuova prospettiva di lavoro sociale abbiamo beneficiato di diversi contributi e di importanti stimoli alla riflessione. Tra i molti scegliamo di richiamare, a premessa di questo lavoro, alcuni passaggi del documento di apertura del 2^ convegno internazionale “La Qualità del Welfare” che nello scorso mese di novembre 2008 alcuni di noi hanno avuto la fortuna di vivere. In queste parole ritroviamo espresse in modo molto efficace le idee che hanno guidato quest’anno di confronto e il punto di arrivo a cui si è giunti.

economia depressa in tutto il mondo acuisce il senso di smarrimento che ormai da anni è presente in chi cerca di perseguire politiche sociali e servizi alle persone degni di questo nome. Ormai è chiaro che il progredire della qualità dei sistemi di Welfare non dipende

dal denaro che viene iniettato al loro interno, così come non dipende dai criteri economicistici di efficienza e gestione. Se la disponibilità di risorse finanziarie ad libitum si è rilevata effimera, ci consola un’evidenza: che la qualità del Welfare non va cercata in meccanismi monetari, o in tecniche basate su di essi. Il denaro, e le sue molteplici forme equivalenti, per quanto importanti, non sono mai la forza primaria dalla quale esce l’auspicata “qualità umana” dei servizi”. Non lo sono nemmeno in presenza di ingenti risorse finanziarie. La fine dell’illusione secondo cui “più denaro” usato per incrementare la tecnicità delle prestazioni significhi “più qualità del Welfare” porta a chiederci nuovamente che cosa significhi “demercificare il Welfare”. Dobbiamo sperimentare strade alternative. In questa direzione, necessitiamo di tutt’altro genere di capitale: il capitale sociale basato sul senso civico, la reciproca fiducia, l’intelligenza delle buone pratiche in contesti situati.

La vera qualità del Welfare è qualità del vivere delle persone. Non tanto giustezza delle erogazioni standard o dei meccanismi della redistribuzione istituzionale, come si tende spesso ancora a pensare, bensì qualità delle azioni condivise dei cittadini motivati, impegnati a vario titolo nella costruzione del bene comune. Quella qualità della vita che chiamiamo “Welfare” è, in ultima analisi, appropriatezza e fecondità delle relazioni sociali, nell’intreccio del formale e dell’informale. Qualità dei rapporti e delle relazioni tra servizi sociali territoriali e comunità locali, tra operatori sociali e famiglie, tra cittadini e cittadini, senza etichettature limitanti che li confinino negli angusti ruoli di specialista, o utente, o familiare, o consumatore, ecc..

Le relazioni sociali di welfare sono “di qualità” quando esprimono quell’essenza finissima ed interstiziale che consiste nella cultura della cura (care), intesa come prendersi a cuore l’ALTRO. La qualità emerge dalla sollecitudine e dalla disponibilità a “fare bene le cose” che coloro i quali sono coinvolti nei problemi sociali, pur con i loro limiti riescono di volta in volta ad esprimere. Non si tratta di un’ingenua concezione volontaristica: la care costituisce il fondamento (l’humus) delle politiche pubbliche in tutti i tempi, non solo quelli di precarietà. In forza di policies così concepite, le Organizzazioni di Welfare sono chiamate a ripensarsi come sistemi riflessivi aperti alle relazioni sociali fra tutti gli stakeholders. La sussidiarietà, di cui tanto si parla, diviene vera politica (e non chiacchiera vuota) nel momento in cui le istituzioni trovano l’intelligenza per sostenere e abilitare le molteplici e spesso incognite “buone volontà”, individuali e collettive, professionali e non, capaci di coinvolgersi e operare bene. Esulando spesso dalla stretta osservanza di ruoli e procedure, la qualità sociale deve essere ricercata e ricostruita localmente, mediante una riflessività il più possibile condivisa fra i diversi attori.

[P.Donati, F.Folgheraiter]

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1. Il percorso di costruzione del

nuovo Piano di Zona

In questo paragrafo si descrivono le diverse fasi del lungo percorso di lavoro che ha portato alla redazione del presente documento. Ponendo il luce il percorso si intende evidenziare fin da subito la scelta di far del Piano di Zona stesso un’esperienza di comunità, un processo di partecipazione, un cammino di confronto e di condivisione da parte delle diverse componenti la comunità locale.

l primo Piano di Zona 2002-2004 ha permesso di avviare un percorso di conoscenza e di relazione che ha, di fatto, cambiato il modo di operare e che ha aperto una nuova strada di confronto e di incontro.

Nel corso dell’anno 2005 si è sperimentata una prima reale forma di partecipazione alla scrittura del secondo Piano di Zona e si sono messi a frutto gli sforzi di un lento e graduale lavoro d’integrazione delle diverse componenti che animano la nostra comunità locale.

Il Piano di Zona 2006-2008 è stato chiamato il Piano delle Risorse Sociali al fine di significare quanto il nostro contesto sia dinamico e ricco di espressioni vive e attive e per rappresentare una volontà di piena valorizzazione del lavoro di rete.

Nel corso del 2007 ha avviato la propria attività l’Azienda Speciale Consortile Comunità Sociale Cremasca, quale strumento operativo e di gestione per l’attuazione delle azioni definite in sede programmatoria. La novità del processo e l’urgenza di alcune dinamiche organizzative hanno però

eccessivamente distolto l’attenzione dalla dimensione programmatoria e dalla cura delle relazioni per la partecipazione.

Nell’anno 2008, giunti all’ultimo anno del secondo Piano di Zona, sì è ripreso un nuovo investimento sul versante programmatorio a partire dalle seguenti necessità:

� di ripristinare il giusto rapporto tra programmazione e gestione con una ridefinizione dei ruoli e degli attori rispetto alle diverse componenti;

� di presidiare in modo più puntuale la dimensione progettuale che permette di realizzare le azioni secondo modalità condivise, senza rischiare di cedere a fenomeni di delega verso il livello gestionale;

� di un nuovo slancio per una rappresentanza efficace e riconosciuta delle diverse componenti istituzionali e non, al fine di promuovere una partecipazione sempre più diffusa alle “logiche del Piano di Zona”;

� di rivedere i luoghi e gli spazi per la partecipazione, rilanciando il valore dei gruppi di progetto, oggi molto fragili, e dei coordinamenti, fortemente incentrati sui servizi e le unità di offerta;

� di una riflessione sul nostro modello di funzionamento complessivo al fine di una possibile maggiore semplificazione rispetto alla naturale complessità del processo.

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Alla luce di quanto detto sono state realizzate le seguenti fasi di lavoro: FASE UNO: (aprile - giugno 2008) di confronto e discussione per individuare le IPOTESI/TESI di fondo del Piano di Zona (cfr. Cap. 2 del Piano di Zona).

In questa fase l’Ufficio di Piano, su mandato del Coordinamento Politico, ha svolto un ruolo di regia del processo, elaborando le tesi/ipotesi da proporre alle diverse componenti per una riflessione e per una “interpretazione” degli assi portanti il nuovo Piano.

In questa fase sono stati realizzati momenti di confronto assembleari di tipo seminariale e di lavoro/confronto guidato dal titolo “Verso il Nuovo Piano di Zona”: il 19 maggio 2008 - 1^ Workshop – con l’intervento del Prof. Mozzanica - ed il 17 giugno 2008 - 2^Workshop “ – con l’intervento della Dott.ssa Manoukian.

FASE DUE: (settembre - dicembre 2008) momento di confronto e di analisi del nostro contesto territoriale alla luce delle tesi/ipotesi per il nuovo Piano di Zona. In questa fase è stata realizzata una lettura ragionata dell’ambito territoriale cremasco (cfr. Cap. 3 del Piano di Zona) per andare ad individuare le principali aree di bisogno in funzione delle quali definire le priorità per il prossimo triennio.

In questa fase è stato valorizzato il confronto all’interno del sub ambito territoriale per favorire sia un ruolo attivo della componente politica, sia della componente tecnica presente nei diversi comuni.

L’analisi ragionata è stata presentata anche in un incontro pubblico per le realtà del terzo settore (25 novembre 2008) ed ha beneficiato di contributi e di apporti da parte di diverse realtà della comunità locale.

La fase due si è conclusa con l’Assemblea Distrettuale dei Sindaci che in data 18 Dicembre ha approvato il documento preliminare per il Nuovo Piano di Zona. Questo documento contiene gli indirizzi politici dell’Assemblea che si traducano nella definizione degli assi strategici (cfr. Cap. 4 del Piano di Zona) e delle aree di priorità (cfr. Cap. 5 del Piano di Zona) per il prossimo triennio.

FASE TRE: (gennaio - marzo 2009) di sviluppo delle azioni del nuovo Piano di Zona. In questa fase è stato realizzato un nuovo investimento dei gruppi tematici/di progetto composti da operatori del pubblico e del privato sociale, chiamati a “redigere” il nuovo Piano, sviluppandone le azioni e le linee innovative di attuazione (cfr. Cap. 6 del Piano di Zona).

La scelta dell’Ufficio di Piano di assegnare alla dott.ssa Claudia Marabini dello Studio APS di Milano la formazione dei coordinatori dei gruppi, ha consentito di individuare una “forma” a cui ricondurre la conduzione ed il prodotto dei gruppi stessi. Nel percorso formativo sono stati condivisi modalità, strumenti e strategie per il coordinamento dei gruppi; ci si è anche soffermati sull’analisi delle criticità che avrebbero potuto ostacolarne il percorso. Di notevole interesse ed utilità sono stati i contributi forniti e le riflessioni maturate rispetto a dimensioni pregnanti per la realizzazione di una reale progettazione partecipata quali: la composizione dei gruppi, l’ingaggio dei partecipanti, la motivazione alla partecipazione, la distinzione tra rappresentatività rispetto ai problemi e rappresentanza verso l’organizzazione di appartenenza. Sicuramente stimolante, anche se di non facile ed immediata assimilazione, l’invito a spostare l’attenzione dall’analisi dei problemi connessi alle unità d’offerta alla centrature ed all’approfondimento dei problemi sperimentati dalle persone.

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Nell’impostazione generale sono stati previsti cinque incontri, il primo dei quali dedicato alla presentazione degli obiettivi, delle modalità e degli strumenti di lavoro, i due successivi alla “costruzione” dei problemi, e gli ultimi alla individuazione delle linee progettuali.

Sono stati inoltre utilizzati gli stessi strumenti per la descrizione delle problematiche, l’individuazione delle risorse e delle criticità, la raccolta dei dati e la stesura delle ipotesi progettuali.

La condivisione del percorso formativo e l’omogeneità data all’impostazione del lavoro dei gruppi hanno sicuramente rappresentato elementi di grande valore e condizioni base per il raggiungimento dei risultati ipotizzati in termini di qualità e di contenuti della partecipazione.

In questa fase l’Ufficio di Piano ha lavorato sulla riprogettazione delle attività consolidate del Piano di Zona (cfr. Cap. 7 del Piano di Zona) con particolare riferimento al Servizio Sociale Professionale, all’Accreditamento e ai Titoli Sociali e ai Sistemi e Regole di accesso ai servizi.

Sempre in questo periodo, in accordo con gli Uffici di Piano di Cremona e Casalmaggiore e con l’Azienda Sanitaria Locale, è giunto a completamento il lavoro progettuale per costruire aree di lavoro per l’integrazione sociosanitaria da porre quali obiettivi per il prossimo triennio (Allegato n. 2 all’Accordo di Programma). Il documento ha avuto anche un significativo momento di presentazione e di riflessione pubblica grazie all’organizzazione di un convegno provinciale a Cremona il 16 gennaio 2009.

L’Ufficio di Piano e Coordinamento Politico hanno poi riformulato il quadro complessivo del sistema di finanziamento (cfr. Cap. 8 del Piano di Zona) dell’attività distrettuale mediante la finalizzazione del Fondo Unico (Allegato B del Piano di Zona).

Il Coordinamento Politico ha concentrato, inoltre, la propria attenzione progettuale nella costruzione dell’Accordo di Programma quale occasione per ridefinire l’assetto istituzionale ed organizzativo per la realizzazione e la valutazione delle azioni del Piano di Zona (cfr. Cap. 9 e 10 del Piano di Zona). FASE FINALE: (marzo 2009) di socializzazione e di condivisione dell’elaborato finale quale sintesi del percorso svolto. Questa fase ha visto la realizzazione di due serate di presentazione (a Soncino il 20 marzo 2009 e a Pandino il 24 marzo 2009) e un incontro di condivisione e di riflessione rivolta in modo particolare ai soggetti della comunità locale (Crema 27 marzo 2009). L’Assemblea dei Sindaci quale componente politica rappresentativa delle comunità locali che compongono l’ambito territoriale, nella riunione del 31 marzo 2009 ha proceduto all’approvazione del Piano di Zona 2009-2011 e del relativo Accordo di Programma per la sua realizzazione.

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2. Le tesi/ipotesi di fondo del nuovo

Piano di Zona

Si riportano di seguito le quattro tesi/ipotesi elaborate dall’Ufficio di Piano per promuovere una nuova fase di riflessione sul lavoro sociale nel nostro contesto territoriale. Queste riflessioni sono esito di una scelta assunta dall’Ufficio di Piano di riprendersi spazi per pensare, “aree di sosta” per ritrovare condivisione di linguaggi e per rappresentarsi-raccontarsi, con un po’ di calma, il nostro modo di vedere e di dare significato al lavoro che si sta portando avanti. Un pensare che possa ridare un senso maggiormente condiviso all’agire.

1) TESI NUMERO UNO

attività condotta sino ad oggi ha portato, da un lato a dare al Piano di Zona del Distretto di Crema un’impronta metodologica innovativa, dall’altro ha di fatto strutturato percorsi, strumenti e azioni che hanno privilegiato l’erogazione di servizi e di prestazioni/risposte,

alimentando in modo graduale, ma forte, il concetto di risposta al sintomo.

Le azioni più a carattere promozionale e preventivo, finalizzate a sperimentare forme di promozione del benessere, della qualità della vita tali da rappresentare un contrasto ai fattori di rischio di disagio, hanno coinciso essenzialmente con iniziative sostenute dalle leggi di settore che solo parzialmente orientano verso progetti di sviluppo di comunità.

Fra gli indirizzi approvati dall’Assemblea dei Sindaci ed esplicitati nel documento programmatorio 2006/08, era stato previsto di “…dare senso ed attuazione all’azione di promozione e prevenzione attraverso la costruzione di reti di comunità, a partire dal coinvolgimento e dalla valorizzazione dei diversi soggetti del territorio”.

In tale prospettiva è stato sviluppato l’obiettivo relativo a “consolidamento e la qualificazione del servizio sociale professionale” in quanto elemento indispensabile e strategico per lo sviluppo di ogni azione sociale ed in grado di operare scelte operative e professionali coerenti con la logica promozionale del lavoro. Concretamente si è trattato di un investimento professionale, perché legato

all’efficacia e al significato dell’intervento sociale, che, in quanto tale, non può considerarsi terminato. Tale obiettivo ha aperto la via a successivi approfondimenti e confronti che potranno coinvolgere altri soggetti.

Inoltre, sempre nell’ambito dello stesso obiettivo, è stato promosso lo sviluppo della funzione di coordinamento tecnico di sub-ambito secondo una duplice direttrice: il supporto tecnico al servizio sociale di base, il raccordo e l’integrazione con il livello distrettuale e la partecipazione al processo programmatorio e di valutazione delle azioni previste dal Piano

di Zona, espletato dall’Ufficio di Piano.

Infine la dimensione promozionale dell’ambito sociale è stata sostenuta dal ruolo attivo espresso dal terzo settore (volontariato, cooperative, enti gestori …). L’impostazione data fin dal 1° Piano di Zona, che prevedeva la partecipazione del Terzo Settore alla programmazione attraverso i diversi rappresentanti, l’esperienza dei tavoli tematici, quella dei coordinamenti, fino al sostegno che ha

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portato alla costituzione del Forum del Terzo Settore, ha evidenziato l’impegno verso una visione globale, anticipatoria e di sostegno alle diverse componenti della società.

Il nostro nuovo Piano di Zona si deve finalmente aprire ad una dimensione promozionale e attiva che ponga il benessere delle persone e delle comunità al centro del fare e che fondi il proprio operato su di un’azione di cura territoriale intesa come piena valorizzazione delle diverse espressioni associative, aggregative e di comunità che sono presenti nel nostro contesto di riferimento.

Si riportano di seguito, quale contributi di riferimento teorico culturale, due passaggi di un articolo di F. Santamaria e G. Volpe dal titolo “Gli irrinunciabili per un welfare dei “piccoli mondi” pubblicato su Animazione Sociale, numero 6/7, Anno 2007.

La restituzione dei problemi alla comunità L’idea di un welfare che parte dal basso in secondo luogo è tale se si propone di “restituire” uno spazio d’azione significativo per la comunità. Proviamo anzitutto a soffermarci su cosa voglia dire questa “restituzione”. I significati di una restituzione. Giocando un poco con la parola possiamo notare che restituire può voler dire “ridare a qualcuno qualcosa che prima aveva e che gli è stato tolto”. Vorrebbe dire, nel nostro caso, ridare alla comunità il ruolo che le è proprio, che ha sempre svolto e che le è stato tolto per consegnarlo ad altri (servizi professionali, pubblici, o privati che siano istituzioni, libero mercato). Continuando il gioco, è lecito chiedersi se la comunità intenda riavere questo “fardello” o se è contenta di essersene alleggerita. La questione sembrerebbe quindi di carattere “contrattuale”, come se ci si dovesse mettere d’accordo su chi fa cosa e ci sia una “pietra che scotta” che ognuno cerca di lasciare in mano all’altro. La parola restituire potrebbe però essere interpretata come “riportare qualcosa a uno stato precedente” (come quando si restituisce un oggetto all’originale funzione). In questo caso, si tratterebbe quindi di riportare la comunità a un ruolo e a una capacità che le erano proprie ma che, per ragioni non facili da spiegare, sono andate perdute o si rischia che si perdano. Si apre uno spazio diverso per pensare a uno sviluppo in cui possa essere coniugata in un modo inedito, adattandosi allo scenario attuale, la capacità della comunità di farsi carico, aver cura e includere le persone più fragili. Anche in questo caso è lecito chiedersi se questa restituzione sia ancora possibile o se il processo in atto debba essere considerato irreversibile. Alcune strategie operative. Per quanto abbiamo potuto sperimentare nell’animazione delle comunità friulane, restituire alla comunità un ruolo importante in un modello di welfare rimanda a un insieme di strategie fortemente correlate. Può voler dire, anzitutto, arginare la delega crescente di quelle funzioni di cura e di risposta ai bisogni che da una parte rimanda alla crescita della domanda rivolta ai servizi, dall’altra è indice della perdita nelle comunità e nelle famiglie delle capacità per rispondervi autonomamente. In secondo luogo comporta il superare l’idea che si possa rispondere a qualsiasi bisogno sanitario o sociale con risposte semplici, strutturate, specialistiche. Ci sono bisogni davanti ai quali la risposta in termini di “servizio” non è né efficace né efficiente (sostenibile): questo è particolarmente vero se si parla di bisogni legati alla sfera relazionale ed affettiva. D’altra parte, davanti alla complessità attuale, neppure la comunità da sola è in grado di “auto-organizzare” risposte sufficienti: si pensi, per esempio, alla “crisi demografica” che potrebbe portare a confrontarsi con un gran numero di persone non autosufficienti. E’ necessario, in questa logica, intensificare modi di operare capaci di mobilitare le risorse disponibili verso obiettivi comuni, per poi integrare le risorse informali con i sistemi istituzionali, senza che ognuno dei due mondi perda la sua specificità. Questo richiede di intensificare il dialogo fra sociale, sanitario, culturale, sulla base non di presupposti ideologici o di normative, ma a partire dal comune compita di convergere insieme per offrire risposte coerenti e convincenti. Infine, restituire un ruolo alla comunità locale vuol dire delineare un sistema nel quale le persone possano dare valore alla partecipazione. E’ una questione di senso perché riguarda i valori di riferimento e le motivazioni delle persone, in risposta alla domanda a cui ogni persona deve quotidianamente fare sua rispetto al significato della propria esistenza. Per questo la sfida, come ripetuto più volte, è prima di tutto culturale.

La funzione pubblica e il ruolo delle istituzioni

Veniamo a un altro punto fermo nel pensare allo sviluppo di un welfare di comunità. I processi di comunità necessitano di investimenti adeguati e i tempi richiesti sono lunghi, poiché si tratta di processi incerti, difficili da governare e – ancor prima – da comprendere. Questo rimanda al compito precipuo delle pubbliche istituzioni.

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Una comunità locale resiste nella sua missio,, anche dove sopraggiunge la stanchezza o diventa difficile capire verso dove incanalare le energie, se sono presenti istituzioni e servizi che fanno la loro parte, evitando di chiudersi in una gestione contabile senza giocarsi sul territorio. Spetta ai servizi e alla politica promuovere la comunità, aiutando le persone (tutte) a crescere nella consapevolezza che i problemi sono “sociali”. Spetta a loro dare significato politico alle attività, significato spesso offuscato dagli aspetti teorici, metodologici e professionali in funzione di una sorta di neutralità tecnica cui delegare la gestione (“Siete voi gli esperti”). Ma, pena il rischio di indebolire e rendere insostenibili i processi avviati, occorre un’assunzione di responsabilità rispetto ai cambiamenti sociali, culturali ed economici del nostro tempo, contribuendo a rifiutare, anche come amministratori, deleghe di onnipotenza risolutoria rispetto alle dinamiche macrosociali. La risposta alle sfide, il far fronte ai problemi non possono essere lasciati in mano all’iniziativa dei cittadini soli o anche associati, per quanto animati da positive motivazioni e adeguate competenze. Ogni anziano e ogni famiglia deve essere sempre consapevole che, chiunque lo venga a trovare a casa per una qualche prestazione o servizio, svolge una funzione pubblica, rappresenta in fondo l’intera comunità nella sua tensione profonda a non abbandonare nessuno alla sua sorte. In altre parole, oggi più che mai, è necessario rivitalizzare non solo uno spazio pubblico in cui possano convergere gli attori sociali, ma anche una funzione pubblica che rimanda in primo luogo alla missione costituzionale degli Enti locali e dei servizi pubblici, ma anche alla missio degli altri attori, chiamati dalla stessa Costituzione a organizzarsi per farsi carico dei problemi che insorgono nella comunità. Garantire la funzione pubblica è il compito precipuo dell’Ente locale che è il responsabile primo della comunità, in quanto espressione della sovranità popolare. In realtà non è facile per gli amministratori svolgere questo ruolo, evitando il rischio della delega ai tecnici, ma anche il rischio dell’auto-delega (“Ci hanno eletto e decidiamo noi”), per sviluppare invece forme partecipative in dialogo con i soggetti che formano la comunità. La politica è tale solo se è capace di sintesi delle istanze locali attraverso processi di costruzione di senso e di traduzione di tali visioni in progetti e decisioni strategiche che nascono da una faticosa e incerta convergenza intorno a obiettivi. In tale quadro un altro importante nodo su cui riflettere è la sussidiarietà. Compito delle istituzioni è favorire il ruolo dei soggetti della comunità. Ai Comuni, in quanto sono le istituzioni più vicine ai cittadini, compete la promozione e la tutela della comunità. Il loro compito, sebbene questo sia un pensiero ancora diffuso, prima che attivare servizi, è fare spazio alla cittadinanza attiva: promuovere processi, sostenere il pensiero e l’azione dei cittadini e dei gruppi, più che gestire gli interventi. Il principio di sussidiarietà sta introducendo novità importanti, rispetto alle quali non è esagerato usare l’espressione “rivoluzione culturale”. Esso richiede, ancora una volta, l’impegno delle persone a rivedere funzioni e pratiche radicate di lavoro politico-amministrativo. E’ difficile riposizionare punti di vista, identità di ruolo, strategie e metodologie se non prevale l’idea che tali mutamenti non rappresentano un pericolo ma un’opportunità.

Alla luce di quanto sopra richiamato, risulta inevitabile partire dal concetto di promozione strettamente legato al concetto di prevenzione dove il principio universalistico di globalità della persona, intesa come insieme psico-fisico-relazionale, inserita nel suo contesto di vita, diventa il nucleo intorno al quale si può e si deve costruire una maggiore coesione sociale.

In tal senso si identifica l’area della promozione e prevenzione come l’insieme degli interventi e delle politiche sociali, volti a promuovere il benessere e l’agio delle persone appartenenti a una comunità, ed atti ad evitare l’aggravarsi dei problemi individuali e sociali. Si assume il lavoro promozionale e preventivo orientato allo sviluppo della comunità, al superamento del rischio e dello svantaggio, alla valorizzazione delle potenzialità e alle autonomie di ogni soggetto.

Le riflessioni e la formazione realizzate hanno condotto i componenti dell’Ufficio di Piano ad esigere alcuni momenti di pausa e di analisi rivedendo l’esperienza condotta come trampolino di lancio per nuove idee, nuovi metodi, nuovi obiettivi. In quest’ottica di riconversione del sistema di welfare si pone come necessario rivedere le logiche fino ad oggi adottate passando da una dimensione di assistenza a quella di attivazione e promozione.

Diventa quindi il territorio il luogo nel quale valorizzare la partecipazione, dove si possono analizzare i problemi comuni e costruire obiettivi condivisi, attraverso:

• la partecipazione alla programmazione, alla valutazione, alla progettazione specifica, alla tutela dei diritti;

• la valorizzazione delle risorse del sociale, professionali e di volontariato, nella progettazione e realizzazione degli interventi di sostegno e di promozione.

Le azioni di promozione vedono necessariamente protagonista anche l’intero Terzo Settore, capace di partire dalla globalità della persona inserita nel proprio contesto di vita (esempio: esperienza di

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associazioni che si occupano di promozione alla salute) e capaci di sostenere situazioni che rischiano di evolvere negativamente (esempio: gruppi di mutuo auto aiuto).

E’ caratteristica del Terzo Settore esercitare una azione di presa di coscienza, responsabilizzazione, educazione ( esempio: associazioni di consumatori, associazioni di familiari che operano per sensibilizzare, oratori…), con l’obiettivo di creare una situazione di benessere e di crescita sana.

In tale ottica possiamo pensare alle politiche sociali nella dimensione dell’integrazione, non solo con il mondo della sanità, ma anche con le politiche educative, scolastiche, del lavoro, della cultura, del tempo libero, urbanistiche, infrastrutturali, etc..

Dopo anni di attenzione al sistema dell’offerta di prestazioni e alla costruzione della rete dei servizi, ci proponiamo di porre al centro il tema delle opportunità, mediante l’individuazione dei “livelli essenziali di promozione/prevenzione” in un’ottica di un fare attivo che investe e che costituisce elemento vitale del sistema, aprendosi a nuove aree di interesse.

2) TESI NUMERO DUE

l nuovo Piano di zona si fonda sull’esperienza vissuta in questi primi sei anni di lavoro insieme a livello sovra-comunale. La valutazione dei risultati raggiunti ha evidenziato l’avvio di un processo virtuoso nei termini di maggior investimento di risorse e di attenzioni operative per il

sociale. Ciò nonostante siamo a registrare ancora un’eccessiva frammentarietà sia in relazione alle quantità/qualità di risorse destinate, sia in merito alle regole e alle modalità di impiego delle stesse.

Con l’anno 2004 ha preso avvio una seria valutazione delle risorse impiegate nel sociale (ricerca SDA-Bocconi) che ha evidenziato alcuni elementi che caratterizzano il territorio cremasco e che possono essere confrontati con la situazione attuale (dati consuntivo 2006).

a) La prevalenza dell’acquisto di servizi “Gli acquisti di servizi prevalgono ampiamente rispetto alla produzione diretta; nell’insieme del territorio la spesa diretta in servizi è pari a circa 3.000.000 Euro, la spesa diretta dei comuni che si traduce in contributi economici di diverso tipo (contributi alle famiglie, trasferimenti per finanziamento di rette presso servizi, es. RSA, CSE, …) è pari a circa 1.870.000 Euro, la spesa per acquisto di servizi supera i 5 Milioni di Euro.”

b) Le differenze in termini di spesa pro-capite “Tra le differenze, emerge soprattutto la disomogeneità nella spesa sociale nei diversi sub ambiti: i valori pro capite della spesa oscillano tra i 48 Euro del sub-ambito di Sergnano, e i 97 Euro del sub-ambito di Crema.”

Il confronto con i dati del 2006 che risultano in crescita evidenziano il permanere pressoché invariato delle differenze di spesa pro-capite tra i sub-ambiti e in aggiunta una differente “velocità” di crescita di alcuni territori rispetto ad altri.

Riguardo a questo punto la ricerca dello SDA-Bocconi ipotizzava due scenari futuri: “se ad una spesa pro capite più ridotta corrisponde una maggiore efficienza dei servizi, è probabile che il differenziale di spesa potrà essere mantenuto, se invece ad una spesa sociale più contenuta corrisponde un

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welfare meno ampio, è più corretto prevedere una tendenziale crescita della domanda nei sub ambiti caratterizzati da una minore spesa pro capite.”

Non trovandoci ancora in un contesto di efficienza, la crescita della spesa pro-capite si è verificata un po’ ovunque e in maniera contenuta proprio per iniziare a colmare le esigenze di ampliamento del welfare.

Analizzando la spesa nello specifico possiamo notare come la crescita più forte di alcuni territori sia legata per lo più all’effetto delle risorse distrettuali (spesa integrativa) e all’aumento di “spese obbligate” (rette per comunità minori, comunità per disabili, RSA…) che rimangono nell’ambito della programmazione di breve periodo.

c) La necessità di politiche preventive L’aumento della spesa “obbligata” pone un interrogativo sulle opportunità di programmazione di lungo periodo, che riduca gli effetti destabilizzanti sui bilanci comunali che tali situazioni comportano. Un’attenta politica di prevenzione potrebbe avere effetti positivi su questa componente della spesa sociale, lasciando maggiori margini di manovra per la reale programmazione della spesa sociale (spesa discrezionale).

Si riporta di seguito, quale contributo di riferimento teorico culturale, alcuni passaggi della postfazione di F. Longo alla ricerca pubblicata da R. Montanelli e A. Turrini “La governance locale nei servizi sociali” Egea 2006. Nei passaggi estrapolati, il Prof. Longo commenta e sintetizza gli “insegnamenti” di una ricerca realizzata su alcuni distretti lombardi che ha posto in evidenza dati di spesa sociale coerenti con quelli rilevati nell’ambito territoriale cremasco.

Purtroppo, la maggior parte degli strumenti di programmazione e valutazione sociale degli Enti pubblici hanno un focus prevalente sulla produzione pubblica o sui consumi degli utenti, trascurando l’analisi degli scostamenti tra bisogni e servizi. Invece, proprio perché, nel Welfare italiano, i tassi di copertura dei bisogni sono così modesti è necessario partire dall’analisi della distanza tra bisogni sociali ed offerta per comprendere il reale posizionamento strategico dell’offerta pubblica. Infatti, il posizionamento strategico emerge analizzando soprattutto il tasso di copertura del bisogno, il mix degli utenti di fatto selezionati e quindi implicitamente priorizzati, i consumi di servizi e la loro fonte di finanziamento. Invece nella prassi, la quantificazione e rappresentazione dei bisogni e degli scostamenti rispetto ai servizi è rara. Quando l’analisi dei bisogni è presente (ad esempio nei Piani di Zona o nei Piani sociali) rimane di solito come quadro di sfondo, utile per invocare un improbabile aumento di risorse, ma difficilmente viene utilizzata per definire i criteri di priorizzazione dei target o dei cluster sociali.

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I decisori sono abituati a riflettere all’interno del confine informativo dato dall’analisi della sola produzione e non dal confronto bisogno-produzione. Inoltre, di norma, si appoggiano alla logica di pianificazione incrementale che, partendo dal dato storico e dall’analisi di possibili aggiustamenti al margine, offusca la consapevolezza del proprio posizionamento rispetto ad altre realtà omogenee, spesso addirittura limitrofe. Differenziali di tassi di copertura o di spesa del 50 o del 100% non sono sostenibili tra realtà limitrofe omogenee, se non per assenza di una complessiva consapevolezza strategica. Non crediamo che questo sia frutto di malizia, cioè della volontà di nascondere informazioni note, ma dall’assenza di una diffusa cultura della valutazione, che parta dall’analisi del posizionamento strategico complessivo. L’acquisizione di una consapevolezza strategica potrebbe essere una rilevante risorsa per nuove energie progettuali e di innovazione. Forse potrebbe essere uno dei driver più efficaci e meno costosi per promuovere cambiamento e sviluppo dei servizi. Come è noto il settore sociali è storicamente uno dei più attenti e più ricchi nello sviluppare e utilizzare strumenti di pianificazione e di disegno delle policy. Ogni Ente è dotato di numerosi strumenti di programmazione propri e partecipa ad altri strumenti programmatori ad area vasta, oltre ad essere coinvolto in processi pianificatori finalizzati a promuovere maggiore integrazione tra sociale, socio-sanitario e sanitario. Tutti questi strumenti di programmazione appena citati hanno il loro focus prevalente sui servizi reali offerti dal sistema socio-assistenziale pubblico, escludendo dall’analisi l’azione di trasferimento monetario dell’INPS alle famiglie e l’autoriproduzione sociale delle famiglie stesse, che, come analizzato per il settore della non autosufficienza, in totale coprono circa il 70/80% dell’offerta di assistenza sociale.

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In altri termini, gli strumenti di programmazione così ricchi e diffusi che siamo abituati a vedere all’opera coprono circa il 20-30% delle risorse in gioco nel settore. Questo ci dà la precisa misura di quanto questi strumenti agiscano rispetto ad un ambito estremamente parziale del settore, pur essendo dotati di una lunga tradizione ed essendo portatori di una nobile cultura valoriale. Questa ricerca ci chiede di ripensare profondamente questi strumenti, se vogliono continuare a dare un contributo decisivo all’impostazione dei risultati finali del settore assistenziale. Complessivamente questa ricerca ci segnala la necessità di passare dal posizionamento strategico implicito, cioè dalla mancanza di piena consapevolezza sui gradi e sul mix di copertura dei bisogni nel confronto relativo con ambiti geografici omogenei, al posizionamento esplicito dove i decisori locali abbiano deciso i risultati finali attesi, alla luce delle risorse e della competenza amministrativa disponibile. Questo passaggio richiede anche una rimodulazione dei contenuti del dibattito politico locale, che deve diventare più focalizzato sulla definizione delle priorità sociali, alla luce della piena consapevolezza di coloro che saranno gli inclusi e gli esclusi dai servizi pubblici.

Un territorio che si propone di fare politiche unitarie deve porsi obiettivi condivisi in termini di spesa sociale per giungere a garantire livelli certi ed omogenei di inclusione sociale al di là del luogo di residenza del cittadino portatore di bisogno.

Occorre superare la logica incrementale che anno dopo anno stratifica e irrigidisce “la spesa”, bloccando possibilità di ripensamenti. Si delinea, quindi, una proposta di nuova definizione di priorità che trovino coerente attuazione nelle scelte di risorse stanziate e di politiche di inclusione realizzate.

Dopo anni nei quali ci siamo impegnati per conoscere quanto spendiamo nei servizi esistenti, la proposta prevede di valutare come meglio spendere le risorse sulle aree di bisogno considerate prevalenti, con il coraggio di andare oltre il consolidato. Non si tratta necessariamente di prevedere un incremento di spesa, ma di ripensare la spesa in modo maggiormente consapevole e con uno sguardo che consideri anche le risorse che, in modo indiretto, partecipano alla definizione del sistema di welfare locale.

Alla luce di quanto esposto, trova senso l’apertura alle seguenti linee di sviluppo per il nostro nuovo Piano di Zona:

� raggiungere una spesa sociale procapite minima in tutti i comuni; � destinare una spesa sociale procapite minima a politiche e interventi promozionali,

preventivi ed educativi; � destinare una spesa procapite minima per le diverse aree di intervento: domiciliarità,

residenzialità, … � costruire regole che diano attuazione a livelli di inclusione sociale consapevoli e

condivisi.

3) TESI NUMERO TRE

on i primi due Piani di Zona si è sviluppata una rete coordinata di relazioni e collaborazioni fra istituzioni pubbliche, terzo settore e privato sociale interessati ad attività ed azioni di tutela

sociale a livello territoriale.

In questi anni si è lavorato principalmente per la conoscenza degli attori sociali del territorio e per la costruzione di un linguaggio comune; si sono avviate esperienze isolate che hanno avuto ed hanno l’obiettivo di perseguire la continuità assistenziale rispetto ai bisogni dei cittadini considerati in condizione di maggiore debolezza.

Spesso però l’integrazione è stata ottenuta a livello organizzativo, a garanzia del bene dell’organizzazione stessa, con la puntuale definizione delle

C

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competenze dei suoi diversi componenti. Purtroppo in molti casi non ne è seguita una adeguata ricaduta positiva nei termini di incremento della qualità della vita dei cittadini, veri destinatari ultimi.

Si avverte pertanto il bisogno di un radicale cambiamento di prospettiva per costruire percorsi di reale promozione del benessere dei cittadini, secondo una visione maggiormente “individualizzata” cioè orientata all’individuo, alla persona, preso nella sua globalità ed inteso come portatore di risorse, non più come passivo fruitore delle diverse offerte in cui viene spesso etichettato, relegato in un ruolo passivo di utente, paziente, ospite, cliente.

Si riportano di seguito, quale contributi di riferimento teorico culturale, alcuni passaggi tratti dal “Manuale di qualità della vita – modelli e pratiche di intervento” di R. L. Schalock e M. A. Verdugo Alonso – Vannini editrice, febbraio 2006.

Fare uso di una programmazione centrata sulla persona L’individualizzazione è un valore cruciale di gran parte dei programmi dell’educazione, dell’assistenza sanitaria, dei servizi alla persona e un principio chiave nella politica sociale o nazionale come evidenziato nella programmazione dei servizi, dell’azione educativa, programmatica e riabilitativa per la persona. In anni recenti è stata messa a punto una varietà di approcci ai servizi alla persona, fra i quali si trovano quelli che si riferiscono alla programmazione integrale della vita, alla programmazione per l’avvenire della persona, alla programmazione essenziale dello stile di vita e alla programmazione basata sugli esiti. Queste procedure sono ormai conosciute e comunemente utilizzate per una programmazione centrata sulla persona. Le loro caratteristiche essenziali sono le seguenti (BUTTERWORTH, STEERE, e WITHNEY-THOMAS, 1997): � Un orientamento generale che prende le mosse dalla persona, sia nel modellare il processo della programmazione,

sia nella formulazione dei programmi. � Un’attenzione rivolta al coinvolgimento dei componenti della famiglia e degli amici nei processi della

programmazione e all’opportunità di affidarsi alle relazioni sociali, personali in termini di fonte primaria dei sostegni alla persona.

� Un focus sulle preferenze, sui punti di forza e sui sogni della persona piuttosto che sui suoi bisogni o sui suoi limiti. � Una visione dello stile di vita che la persona vorrebbe tenere e degli obiettivi che ha bisogno di raggiungere, senza

i vincoli delle risorse o dei servizi attuali. � Un approccio ampio che faccia uso di risorse e sostegni per la persona, che abbia carattere il più possibile locale,

informale e generale.

Costruire sostegni imperniati sui domini cruciali della qualità della vita Il paradigma dei sostegni è ampiamente riconosciuto come il modello di proposta dei servizi nei programmi sociali ed è crescentemente preso in considerazione negli ambiti dell’educazione e della cura della salute. Secondo una definizione generale, i sostegni sono risorse e strategia che vengono usati per potenziare il benessere di una persona e la sua percezione della qualità di vita.

Alla luce dell’analisi svolta e del contributo teorico riportato, si configura quindi una concreta e rivoluzionaria prospettiva di lavoro sostenuta da due solidi cardini:

- valorizzazione del lavoro di rete, per dare spazio concreto a quei termini che in particolare la 328/2000 utilizza: integrazione, promozione, sostegno, sussidiarietà, compartecipazione, concertazione, termini che richiedono ai soggetti eroganti servizi sociali, educativi e sanitari, una forma mentis aperta al confronto e alle cooperazione;

- spostamento dell’attenzione dai diversi attori/servizi del territorio alla persona, ora intesa quale punto centrale di riferimento per la riorganizzazione delle risorse e non più come oggetto da collocare negli spazi negoziati dai servizi medesimi.

Nel passaggio dalla dimensione della cura alla qualità della vita, l’attenzione non è più quindi posta sul fornitore di servizi, ma sulla persona al centro della rete; l’orientamento non è al processo bensì agli esiti; l’obiettivo non è il miglioramento dell’organizzazione quale valore a sé, ma l’innalzamento dei livelli di qualità della vita dei cittadini.

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Il nuovo Piano di Zona può diventare il luogo della qualità della vita intesa, a livelli diversi, come promozione dei diritti e dei doveri di cittadinanza, del benessere soggettivo ed oggettivo e della realizzazione di interventi ed azioni organizzati a sostegno del percorso di vita di ciascun cittadino.

Va acquisita un’ottica “sistemica” ed “ecologica” che consideri le molteplici dimensioni della relazione che lega la persona ed il suo ambiente; che valorizzi la relazione come metodo ed al contempo come esito.

La competenza professionale dei sostegni specialistici deve essere messa in relazione subordinata con l'esperienza e le risorse di coloro che vivono in presa diretta i problemi di vita, dei familiari, degli amici, dei sostegni informali e generici che la comunità deve promuovere, riconoscere e valorizzare.

Si tratta nel concreto di garantire ai cittadini la disponibilità dei diversi sostegni al fine di favorire l’accesso al giusto livello, valorizzando con ciò le risorse della comunità e, nel contempo, garantendo economicità, attivando un processo verso la responsabilizzazione e la crescita individuale oltre che, non da ultimo, verso la coesione sociale.

In quest’ottica la qualità della vita è funzione quindi di una continuità nelle relazioni all’interno della comunità che trova nel Piano di Zona un ambito ottimale di programmazione e verifica.

Se il Piano di Zona è stato finora un campo di prova per la crescita delle relazioni tra enti, si apre ora una nuova sfida: il Piano di Zona può promuovere luoghi di crescita delle relazioni tra persone, in un ottica di continuità non solo interistituzionale, ma di comunità, attraverso un lavoro sociale rivolto a osservare e facilitare quella “rete di persone” che è la vera protagonista del reciproco prendersi cura.

4) TESI NUMERO QUATTRO

el secondo Piano di Zona si è avviata una discussione sul tema dell’integrazione sociale e sono state poste all’attenzione alcune tematiche quali la gestione delle emergenze e la prima accoglienza, il tema della condizione di disagio abitativo ed il tema

dell’inserimento-reinserimento lavorativo.

Molti aspetti connessi a queste tematiche sono stati solo accennati in occasioni di confronto senza trovare un’adeguata realizzazione mediante interventi e misure di attuazione.

Solo da alcuni mesi è attivo in forma sperimentale un servizio di emergenza sociale, ma ancora lontana è la costituzione di una reale rete di strutture e soggetti impegnati nell’accoglienza di soggetti fragili.

Sul tema casa, eccezion fatta per alcune esperienze isolate e significative, siamo in una fase di iniziale consapevolezza della dimensione problematica del fenomeno, senza però aver avuto la forza e la giusta convinzione di partire verso interventi strutturati.

Riguardo all’inserimento lavorativo si sono registrati importanti passi in avanti soprattutto in relazione alla costruzione di una rete locale di soggetti impegnati in questo settore e ciò ha fatto emergere una vasta area di sviluppo e di

miglioramento che ancora deve essere esplorata.

N

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Nei diversi contesti, si è comunque delineata una valutazione condivisa di quanto il tema dell’integrazione sociale si stia strutturando su due percorsi che vedono, da una parte soggetti in condizione di forte disagio che chiedono aiuto per lasciare il proprio status e per progredire verso altre condizioni e dall’altra parte, una crescente schiera di soggetti che rischiano di avvicinarsi a posizioni di emarginazione sociale a seguito di percorsi di vita assolutamente regolari ma segnati dalla perdita del lavoro, da forti disagi abitativi e da condizioni di isolamento relazionale.

Alla luce di quanto accennato e a partire dall’analisi del contesto storico nel quale operiamo, occorre porre un’attenzione particolare ad un fenomeno di “emarginazione” diffusa che non ha più solo una matrice economica, ma che trova radicamento in un senso di isolamento e di povertà relazionale di fronte al bisogno.

Si riporta di seguito, quale contributo di riferimento teorico culturale, un passaggio di un articolo di R. Gnocchi, Responsabile Area grave emarginazione adulta Caritas Ambrosiana, tratto da “Le nuove forme di esclusione sociale” Solidalitas, Febbraio 2007.

I pendolari della povertà - L’odierna percezione delle forme di povertà Il termine povertà deve essere sempre ricondotto al contesto sociale, economico e culturale nel quale si svolge la riflessione: non si può parlare della povertà come di un’unica categoria omnicomprensiva, al cui interno collocare le forme estreme di indigenza, visibili nelle nostre strade, le immagini che ci giungono da altri continenti o il fenomeno delle cosiddette vite precarie. Per effetto di una sorta di rimozione si tende a parlare di povertà solo in determinate circostanze, magari in occasione di azioni promosse sul territorio per combatterla e sottolineate enfaticamente senza considerare che «combattere la povertà non è una forma di carità, ma la ricerca di maggior giustizia, e non può ridursi ad isolate iniziative spot da parte di chicchessia». Odiernamente, quando si parla di povertà e conseguentemente di poveri, è importante ricordare che si tratta di una fascia di popolazione ampia e diversificata la quale vive una precarietà costante, spesso alleggerita soltanto dalle strutture del welfare. A tale fascia di popolazione appartengono persone anziane e sole, giovani gravati da una flessibilità subita e non scelta, soggetti espulsi precocemente dal mondo del lavoro - troppo vecchi per iniziarne uno nuovo e troppo giovani per la pensione - persone che, pur avendo un lavoro, non riescono a coprire costi abitativi capaci di assorbire fino all’80% del reddito. Da non dimenticare, inoltre, quelle particolari famiglie monoparentali costituite - in seguito a separazioni o divorzi - da donne con figli. Ovvero povero è colui il quale vive una carenza di beni ma anche una assenza o una perdita di relazioni significative fondamentalmente tese alla promozione e alla salvaguardia dell’integrità della persona e delle dimensioni che la costituiscono tale. È possibile affermare che siamo passati da una prospettiva di povertà di reddito, nella quale si è poveri se il livello di reddito è inferiore alla soglia di povertà e non si è in grado di soddisfare i bisogni fondamentali, a una prospettiva di capacità e al paradigma dell’esclusione sociale; questo è un concetto che enfatizza la dimensione relazionale della povertà. Ovvero il problema della povertà è una questione di collocazione in alto o in basso all’interno di una scala rispetto alla quale il benessere materiale fornisce il parametro, ma è anche la collocazione del soggetto rispetto a un nucleo centrale di partecipazione sociale e visibilità. Si può affermare come la struttura stessa della povertà sia cambiata; non si è poveri perché manca qualcosa, perché si è senza lavoro, senza casa, o altro. Oggi ci sono sempre più poveri che sono tali malgrado abbiano un lavoro, una casa, ecc. La povertà non è mai il prodotto di un solo elemento, ma il risultato della compresenza di più fattori i quali si intrecciano dinamicamente, determinano processi involutivi per affrancarsi dai quali sono necessarie consistenti dotazioni di capabilities, di reti primarie, di strutture territoriali. Risorse non sempre a disposizione dei soggetti interessati e non sempre accessibili con la tempestività necessaria: i tempi e modalità di accesso ai servizi del territorio costituiscono una efficace esemplificazione di come tali risorse possano essere depotenziate o vanificate. Nella prospettiva fin qui delineata, gli elementi che concorrono a definire l’attuale situazione di povertà sarebbero l’indisponibilità di adeguate risorse economiche, l’insufficienza di uno stabile patrimonio relazionale, l’incapacità di affrontare criticamente l’induzione al consumo, l’impossibilità di fruire in tempi utili delle prestazioni sociali del territorio. Questi elementi, secondo Robert Castel, determinano situazioni di evidente vulnerabilità nelle quali sono coinvolti gruppi di popolazione privi degli strumenti per fronteggiare crisi individuali o familiari. Si tratta di processi dinamici, talora con andamento pendolare: «la povertà è un fenomeno molto più dinamico che in passato e comprende popolazioni eterogenee con tempi di permanenza nella povertà diversi. L’estensione della popolazione a rischio finisce per rendere la povertà un’esperienza relativamente frequente, meno permanente che in passato, collocata all’estremo di un continuum tra vulnerabilità ed esclusione sociale che costituisce un percorso inevitabile solo per una minoranza ristretta della popolazione a rischio».

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Il pendolarismo della povertà caratterizza fasce di popolazione ampie e diversificate: non è un questione delle sole fasce deboli, ma anche dei ceti apparentemente protetti. Il pendolarismo si specifica attraverso la percezione e l’oggettiva situazione di precarietà economica, abitativa e lavorativa che caratterizza fasi e momenti della vita delle persone e delle famiglie. Nel corso della vita l’effettivo rischio di essere - anche per un breve periodo - «poveri» è una concreta possibilità dalla quale nessuno può sentirsi escluso.

Le nuove forme di emarginazione e di povertà sociali ci chiamano a sviluppare una riflessione su come la comunità può essere accogliente e attiva nei confronti di chi vive uno stato di “solitudine” di fronte alla propria condizione di “sofferenza”.

In questa accezione si collocano gli sforzi per una programmazione che confermi la propria attenzione sui temi dell’emergenza sociale, della bassa soglia, della prima e seconda accoglienza, e dell’integrazione … e che si disponga ad affrontare temi nuovi afferenti all’area della salute mentale e delle componenti sociali ad essa connesse.

Anche in relazione a questa particolare tesi si delinea la proposta di un recupero del valore della comunità quale luogo di cura, di solidarietà che a partire da una dimensione volontaria di impegno fondata sul senso civico e sulla corresponsabilità possa riproporre esperienze di vicinanza, di accoglienza, di accompagnamento.

La proposta prevede un lavoro che possa far crescere la capacità di integrazione che la comunità, nelle sue forme spontanee e organizzate, potrà esprimere, andando oltre i servizi per i bisogni primari (da mangiare, un posto caldo per qualche notte, dei vestiti, …) ma che possa divenire condivisione di percorsi, promozione di progetti individualizzati di ascolto ed incontro, prima che di risposta e offerta.

Alla luce di quanto detto, lavorare per l’integrazione significa:

� leggere i fenomeni e quindi considerare il doppio binario delle vecchie e delle nuove povertà;

� agire in chiave preventiva e non solo riparativa, a partire dalla consapevolezza delle ricadute possibili sui minori e adolescenti presenti in nuclei familiari in situazione di disagio;

� promuovere un’integrazione che oltre ai servizi sviluppi la dimensione educativa, affettiva, relazionale;

� curare una ri-vitalizzazione delle comunità affinché diventino luoghi di accoglienza che, oltre ai segni di carità, accompagnino le persone verso la propria condizione di benessere;

� investire, anche in formazione, su nuove figure di “animatori” delle comunità per valorizzarne a pieno le potenzialità e le ricchezze.

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Spesa pro comune

€ -

€ 500.000,00

€ 1.000.000,00

€ 1.500.000,00

€ 2.000.000,00

€ 2.500.000,00

€ 3.000.000,00

€ 3.500.000,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39 41 43 45 47

spesa procapite

- €

10,00 €

20,00 €

30,00 €

40,00 €

50,00 €

60,00 €

70,00 €

80,00 €

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39 41 43 45 47

Analisi della spesa sociale pro-capiteanno 2006

€ -

€ 20,00

€ 40,00

€ 60,00

€ 80,00

€ 100,00

€ 120,00

€ 140,00

Discrezione Obbligata Integrativa

Integrativa € 10,90 € 10,79 € 23,53 € 13,00 € 6,25 € 6,55

Obbligata € 20,14 € 35,67 € 43,70 € 31,26 € 16,03 € 26,93

Discrezione € 31,47 € 29,45 € 62,53 € 48,54 € 28,43 € 42,38

Bagnolo Castelleone Crema Pandino Sergnano Soncino

3. L’analisi del contesto alla luce

delle tesi/ipotesi

In questa sezione si riporta una sintesi del lavoro svolto dall’Ufficio di Piano nel periodo settembre-ottobre 2008. Si tratta di portare in evidenza alcuni dati di contesto che possono assumere una rilevanza programmatoria perché richiamano l’attenzione su alcune aree di criticità rilette alla luce delle tesi/ipotesi precedentemente descritte.

a spesa sociale di un territorio si compone dei diversi interventi che i comuni hanno realizzato in un dato periodo di riferimento. Da questa analisi si possono evincere alcuni elementi di conoscenza quali:

� La spesa sociale dei 48 comuni si attesta in una fascia compresa tra 10 e 200 mila euro, tranne poche eccezioni che tendono verso i 500 mila euro.

� La spesa procapite dei 48 comuni è fortemente differenziata: da meno di 10 euro a più di 70 euro a persona.

� Buona parte delle risorse impegnate sono “bloccate” ed “imposte” da obblighi di legge o nell’ambito di adempimenti dovuti, senza la possibilità di agire in chiave programmatoria e innovativa.

� La maggior parte della spesa è finalizzata ad interventi di natura assistenziale nel senso “riparativo” del termine, anche se in realtà si tratta di contenere/gestire situazioni fortemente compromesse.

L

R ipartiz ione risorse comunali consuntivo 2006per tipo log ia d i destinatari

Anz iani22%

Minori29%Disabili

22%

SSP24%

Salute0%

Dipendenze0%

Immigrati1%

Adulti2%

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� Servirebbe una lettura della spesa “assistenziale” integrata da una lettura di eventuali spese che i comuni sostengono nell’area della cultura, delle politiche giovanili, … per verificare se c’è oltre alla volontà anche lo spazio per introdurre una dimensione programmatoria di valenza promozionale e preventiva.

Non volendoci soffermare alla lettura del solo dato economico censito in occasione dell’assolvimento del debito informativo da parte dei comuni, è necessario che ritorniamo a leggere il nostro contesto territoriale a partire dalla valorizzazione delle RISORSE che operano e che esercitano una “funzione sociale” pur non essendo SPESA per i comuni. In tale accezione acquista significato l’esercizio della sussidiarietà che, superando le dichiarazioni di principio o le posizioni ideologicamente sclerotizzate, diviene reale e costruttivo riconoscimento delle potenzialità insite nella comunità, come riscoperta della funzione pubblica di chi opera, a determinate condizioni, per il bene comune. Le risorse sono del territorio e per il territorio e non dei comuni per gli utenti dei servizi. Ragionare in termini di risorse significa andare oltre la sola posizione della spesa, del “quanto ci costa”, per introdurre concetti maggiormente orientati ai risultati, all’efficacia degli interventi, alla corresponsabilità diffusa del “farsi carico”. Andare oltre la spesa significa riuscire a superare una visione unicamente incentrata sulla rete dell’offerta, sul sistema dei servizi intesi come punti di erogazione di prestazioni riconosciute e codificate. Oltre i servizi, le dinamiche sociali di un territorio, sia di natura “curativa” che “promozionale”, si fondano anche e soprattutto sull’azione di comunità, sull’operato non formalizzato, ma diffuso e presente. A partire dalla famiglia, attraverso il volontariato spontaneo, fino all’associazionismo strutturato e alla cooperazione sociale,il nostro contesto territoriale è ricco di soggetti che, in maniera più o meno consapevole, alimentano la comunità, ne presidiano i fattori di bisogno, concorrono a leggere e ad intercettare la domanda e si attivano per porre in campo risposte, risorse, potenzialità. La dimensione programmatoria deve poter far conto su questo ampio bacino di attività, evitando di guardare in modo parziale alle sole aree di intervento sulle quali agisce in modo diretto mediante l’impiego di risorse economiche.

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Servizi per le persone anziane nel distretto di Cre ma (2006)

64,7%2,6%

2,5%1,5%1,8%

0,4%

2,1% 1%

4,2%

2,1%

17,4%

Nessun servizioAssistenti familiari (stima)Altri servizi territorialiTrasporto socialeAssistenza economicaTelesoccorsoTeleassistenzaCSASADCDIRSA

Invecchiamento popolazione

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

CREMA 85+ 2392 2340 3266 3996 4374 4633 4793 4963 5215 5308 5652 6084

CREMONA 85+ 3805 3591 4811 5672 5805 5861 5592 5496 5319 5278 5648 5996

CASALM 85+ 1071 977 1256 1422 1387 1359 1258 1222 1187 1221 1342 1441

1998 2003 2008 2013 2018 2023 2028 2033 2038 2043 2048 2053

a condizione anziana: l’analisi di alcuni dati significativi individuati come indicatori della condizione anziana pongono in luce alcune considerazioni:

� Il progressivo invecchiamento della popolazione cremasca rende quest’area di intervento sicuramente prioritaria in relazione alle dimensioni del fenomeno e alla complessità che ne consegue.

� L’esiguità del tasso di copertura delle attuali prestazioni domiciliari e la progressiva richiesta “inadeguata” di residenzialità, aprono la strada e sviluppi dell’offerta domiciliare, soprattutto in relazione a forme flessibili, integrate e differenziate (voucher SAD, voucher ADI, credit, … assistenza familiare,…) che tengano in giusto conto anche le possibilità di partecipazione dell’utenza al sistema di finanziamento.

L

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21

Frequenza valutazione sociale (2004-2006-2008)

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

2004 2006 2008

56

50

40

30

20

Persone in lista d'attesa per RSA (2004 - 2008)

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

>= 70 179 192 151 177 206 187 217 282 327

< 70 148 134 143 154 141 87 86 82 67

LUG 04 GEN 05 LUG 05 GEN 06 LUG 06 GEN 07 LUG 07 GEN 08 LUG 08

� L’elevato numero di anziani “fuori” dalla rete assistenziale impone di operare al fine di valorizzare esperienze di auto mutuo aiuto e di espressioni di volontariato all’interno delle quali il soggetto anziano possa essere risorsa per il proprio benessere e per il benessere delle persone che incontra.

� La molteplicità delle unità di offerta ormai presenti anche sul nostro territorio richiamano ad

un nuovo investimento sul concetto di continuità assistenziale, intesa come definizione di reti di cura in grado di porre al centro la persona anziana, modellando le proprie scelte organizzative in funzione di percorsi integrati.

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Evoluzione dell'utenza disabile in strutturaCSE-CDD-SFA-CAH

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

2004 2005 2006 2007 2008

SFA

CAH

CSE-CDD

Accertamenti anno 2007-2008

0

10

20

30

40

50

60

Provincia 44 50 24 11

Distretto Crema 25 20 9 4

Infanzia PrimariaSecondaria

InferioreSecondaria Superiore

Area della disabilità: l’analisi dei dati individuati come indicatori dei servizi per la disabilita pongono in luce alcune considerazioni:

� Il nostro contesto territoriale appare fortemente caratterizzato da una rete di offerta rivolta in modo quasi esclusivo a soggetti gravi e adulti. Le strutture, infatti, si sono “modellate” sul proprio target di utenza e, in conformità alle indicazioni regionali, hanno di conseguenza spostato il centro della propria attività sulla disabilita grave.

� I dati raccolti dimostrano in modo chiaro che sono però molti i minori disabili oggi inseriti nel contesto scolastico che, oltre a richiedere adeguate opportunità di cura e di educazione rispetto alla loro condizione attuale, ci richiamano ad una riflessione su quali opportunità potranno avere una volta terminato il ciclo di studi.

L’

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23

Minori in carico NPI

0 100 200 300 400

In carico nel 2006

Nuoviaccertamenti

2007

Totale utentiminori

Serie1 278 58 336

In carico nel 2006Nuovi accertamenti

2007Totale utenti minori

� Le nuove dimensioni di lavoro si rivolgono quindi alla promozione di opportunità per l’extra

scuola, per il tempo libero, per la componente affettiva e relazionale, per la formazione e il mantenimento dell’autonomia, per l’inserimento lavorativo,….

� Valore e ruolo devono essere riconosciuti alle esperienze già oggi presenti e portate avanti

grazie al volontariato e al terzo settore in generale, ma deve anche consolidarsi il processo per aprire le strutture “professionali” (CSE-CDD. …) per farle diventare opportunità per il territorio e per le persone, all’insegna della flessibilità, dell’adeguatezza delle risposte e della qualità della vita dei soggetti che vi accedono.

Accertamenti Alunno con Handicap Anno Scolastico 2007/2008

Totale Complessivo Domande 129

Secondaria Superiore11 (8,6%) Infanzia

44 (34,1%)

Primaria50 (38,7%)

Secondaria Inferiore

24 (18,6%)

Scuola:InfanziaPrimariaSecondaria Inf.Secondaria Sup. M = 80F = 49

Distretto di Crema = 58 Secondaria Superiore4 (7%)

Secondaria Inferiore9 (16%)

Infanzia25 (43%)

Primaria20 (34%)

M = 27F = 31

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Andamento delle prese in carico (n° minori)

170219

270

330364

424

0 15 3267 50 60

049

7092 100 110

050

100150200250300350400450

2004 2005 2006 2007 2008 2009

minori in carico dimissioni ingressi

Area Minori e Famiglia : abbiamo scelto di utilizzare i dati del servizio tutela minori per porre in luce le seguenti considerazioni:

� Il grave incremento di situazioni in carico al servizio tutela minori viene considerato come un forte elemento di preoccupazione rispetto alle forti fragilità del sistema in chiave preventiva e promozionale.

� Le famiglie che accedono al servizio sono ormai in una situazione di problematicità conclamata, ma le motivazioni di fondo del disagio che hanno determinato l’accesso sono connesse a problematiche che possono essere oggetto di specifiche e consapevoli strategie preventive e promozionali (trascuratezza, incapacità genitoriale; separazioni, …).

L’

Motivi di segnalazione (2006-2007)

0

10

20

30

4050

60

70

80

90

100

Conflit

to

Trasc

uratez

za

Incapa

cità

Maltratta

mento

Separa

zione

Toss

icodipe

nden

za

Psichia

tria

Abuso

Devia

nza

Abbando

no

Inade

mpienza

Sco

l.

Stranie

ro n

on acc

.

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� Il supporto alla genitorialità deve passare da “tinte” assistenzialistiche a “toni” educativi e promozionali, per valorizzare la famiglia quale centro di risorse e di potenzialità che devono trovare le migliori condizioni per la loro piena espressione. La situazione del servizio Assistenza Domiciliare Minori appare di contro ancora solo “accennata” senza un reale investimento da parte delle amministrazioni in relazione a detta tipologia di intervento.

� E’ certo di fondamentale importanza la collaborazione/integrazione tra i servizi territoriali, i servizi specialistici, la scuola, … ma è il volontariato, l’informale, la comunità educante che deve ritrovare valore e divenire luogo promozionale di primo piano.

� La dimensione promozionale ed educativa viene indicata quale scelta preventiva con possibili applicazioni in diversi contesti per la rimozione dei fattori di rischio di disagio e di emarginazione, anche in relazione al fenomeno del consumo da parte di preadolescenti, adolescenti e giovani di sostanze lecite ed illecite e per la promozione di stili di vita adeguati e consapevoli.

Servizi specialistici coinvolti

3228

2420

103 5 4

3339

32

18

73 5

10

10

20

30

40

50

SERD CPS NPI NOA CF CSSA USSM SIL

2006 2007

casi di ADM

0

20

40

60

80

100

120

140

casi di ADM 39 37 122 130

2004 2005 2006 2007

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Area Salute Mentale: i dati riportati nei grafici di seguito descritti permettono di “riportare al centro” le problematiche connesse alla salute mentale quale fenomeno che, seppur dalle dimensioni significative, è rimasto, fino ad oggi, al di fuori dalle priorità

definite a livello di ambito distrettuale.

� Il grafico di seguito indicato pone in evidenza l’andamento dei minori in carico al servizio NPI. Oltre a sottolineare la forte necessità che anche il territorio cremasco, nello scenario provinciale, possa beneficiare di risorse adeguate provenienti dal sistema sanitario, al fine di garantire risposte opportune alla forte situazione di bisogno, si richiama quanto già detto in relazione ai bambini disabili e alle famiglie con minori: priorità alla dimensione educativa, forte integrazione interistituzionale e valorizzazione del volontariato e del lavoro di comunità;

L’

PATOLOGIA

UTENTI IN CARICO

NEUROPSICHIATRIA INFANTILE

2007 % 2006 % 2005 %

RSV 249 25% 185 22% 175 22,5%

NEUROLOGICI 362 36% 322 38% 268 34,5%

DISTURBI SOMATICI 62 6% 59 7% 72 9,3%

DISTURBI DELLA CONDOTTA 67 7% 70 8% 50 6,4%

PSICOSI 35 4% 32 4% 28 3,6%

RITARDO MENTALE 25 3% 17 2% 12 1,5%

NEVROSI 155 16% 138 17% 151 19,6%

ALTRE 32 3% 16 2% 20 2,6%

TOTALE 987 100% 839 100% 776 100%

987

839

466486

514 558

571 597

625

766 776

0

200

400

600

800

1000

1200

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

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� In relazione ai soggetti adulti, oltre a prendere consapevolezza della forte rilevanza del fenomeno a partire dai soli dati di utenza del CPS di Crema, si aprono importanti spazi di sviluppo e di collaborazione per azioni di accompagnamento finalizzate alla socializzazione, per azioni di facilitazione rispetto alle problematiche connesse alla condizione abitativa e per il lavoro.

ACCESSO AL CPS NEI SUBAMBITI POPOLAZIONE >18 ANNI

ACCESSO AL CPS NEI SUBAMBITI POPOLAZIONE 18/64 ANNI

� Il Terzo Piano di Zona dovrà divenire l’occasione per un nuovo investimento di riflessione e di confronto al fine di integrare gli sforzi di tutti i soggetti coinvolti a partire da un nuovo riconoscimento della problematica connesse al tema della salute mentale.

0

25

50

75

100

125

150

175

200

225

250

275

300

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

CREMA BAGNOLO CASTELLEONE SONCINO SERGNANO PANDINO

0

25

50

75

100

125

150

175

200

225

250

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

2004

2005

2006

2007

CREMA BAGNOLO CASTELLEONE SONCINO SERGNANO PANDINO

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Utenti del servizio emergenza sociale per tipologia (gen-set 2008)

0

2

4

6

8

10

12

Serie1 10 5 1 1

minori s.n.a. minori adulti anziani

ntegrazione Sociale – Emergenza: l’analisi di alcuni dati che caratterizzano il nostro contesto ci permette di porre il luce le seguenti considerazioni: � Anche nel cremasco esistono situazioni di emergenza e di grave emarginazione ed i dati del

servizio pronto intervento e della Caritas lo confermano.

� L’analisi del sistema pone in luce come sia importante andare oltre la prima accoglienza, pur

consolidando la fondamentale azione che diverse realtà hanno posto in essere per la gestione delle situazioni di emergenza.

� Il territorio richiede un nuovo investimento per promuovere percorsi finalizzati a qualificare

l’azione di integrazione sociale di soggetti in condizioni di disagio, introducendo strumenti più raffinati di accompagnamento educativo, di supporto relazionale, di facilitazione verso percorsi di autonomia oltre che economica (casa, lavoro, …), anche intesa come fiducia che i soggetti coinvolti siano in possesso di potenzialità che possono riportare a stili di vita adeguati.

I

Utenti accolti dalla Caritas diocesana di Crema (gen-set 2008)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

stranieri 26 4

italiani 68 14

Alloggio Op. Shalom

Servizi erogati dalla Caritas diocesana di Crema (gen-set 2008)

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

stranieri 563 85

italiani 4855 827

Alloggio Op. Shalom

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29

0

100

200

300

400

500

600

ANDAMENTO GRADUATORIA ERPComune di Crema

Serie1 240 321 405 504

Anno 2004

Anno 2005

Anno 2006

Anno 2007

ntegrazione Sociale – Casa: l’analisi dei dati che caratterizzano il nostro contesto pone in luce che esiste anche una emarginazione sempre più diffusa dovuta a situazioni di difficoltà in relazione al tema della casa.

� I dati evidenziano una insufficienza di strumenti per fronteggiare la forte esplosione di

richieste che confluiscono sui servizi. Nel solo comune di Crema, ad esempio, si manifesta una forte condizione di vulnerabilità sociale da parte di fasce sempre più ampie di popolazione.

� L’indicatore richieste di alloggi di Edilizia Residenziale Popolare evidenzia l’esplosione

delle istanze per accedere a case a canone sociale, anche se le potenzialità di assegnazione sono veramente minime e inadeguate. Rispetto ad un patrimonio di oltre 800 alloggi in gestione si procede ad una media di 20-30 assegnazione annue.

� L’analisi della situazione sociale apre nuove aree di possibile intervento rivolte alla generalità dei soggetti che vivono situazioni di problematicità a partire da una “instabilità” economica.

� Si delinea sempre più la necessità di interventi di contrasto della vulnerabilità sociale ed

azioni educative che favoriscano la valorizzazione della dignità delle persone al di là di stereotipi imposti dalla società dei consumi.

I

0

10

20

30

40

ANDAMENTO ASSEGNAZIONI ERPComune di Crema

Serie1 33 17 19 39

Anno 2004

Anno 2005

Anno 2006

Anno 2007

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30

unitàd'offerta / realtà ospitanti

4

10

9

7

5

10

15

34

10

13

7

11

12

18

6

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

coop. Sociali associazioni fondazioni ditte enti

2004

2005

2006

2007

DAL 2003 AL 2007

assunti invalidi civili24%

assunti non invalidi civili

12%

assumibili3%

occupabili ma non produttivi

13%

non occupabili12%

drop out22%

deceduti1%

incerti13%

ntegrazione Sociale – Lavoro: l’analisi dei dati che caratterizzano la nostra esperienza di percorsi guidati per l’inserimento lavorativo pone in luce i seguenti aspetti: � L’apporto significativo della cooperazione sociale, con il rischio di saturazione della stessa.

� Il bisogno di ricalibrare il duplice binario dell’utenza: invalidi civili e svantaggio sociale,

con la particolare attenzione ad avviare / aprire sbocchi nuovi per gli “occupabili ma non produttivi”.

I

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31

Percorsi di inserimento lavorativo

39

4750

75

36 3741

57

0

10

20

30

40

50

60

70

80

2004 2005 2006 2007

interventi

persone con percorsi attivi

� L’incremento delle richieste e la maggiormente complessa tipologia del fenomeno, impone la necessità di uno sviluppo del servizio, anche mediante l’acquisizione di nuovi canali di finanziamento.

� La qualità dei servizi per l’inserimento lavorativo non richiede grandi investimenti di tipo

impiantistico/strutturale, ma investimenti sul capitale umano, sulle motivazioni, sulla costruzione delle relazioni con l’esterno. A maggior ragione nel settore così ai “margini” del sistema sociale, come quello delle politiche attive del lavoro, perché confinante con il mondo imprenditoriale for profit.

� E’ un aggancio imprescindibile da tenere come obiettivo in prospettiva breve/medio termine

per sviluppare ed incrementare, nella logica della Responsabilità Sociale, un investimento “promozionale” verso l’autonomia e l’integrazione delle persone. Il movimento da percorrere non è di uscire verso l’esterno ma piuttosto di portare maggiormente dentro al nostro sistema d’integrazione lavorativa anche il mondo del lavoro.

� Occorre quindi un nuovo impegno per aprire/rafforzare il “dialogo” con altre strutture

pubbliche e soprattutto del privato per definire nuovi strumenti di coinvolgimento e di opportunità di lavoro per uno sviluppo integrato nel settore.

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4 Gli assi strategici

Fare programmazione oggi significa porsi delle domande su dove vogliamo andare, con lo sguardo proteso verso un futuro incerto, senza dimenticare il passato con le esperienze che lo hanno caratterizzato e a partire da un forte radicamento nel presente che, nonostante tutto, non può e non deve assorbire in modo totalizzante la nostra capacità di riflessione.

he cosa sono gli assi strategici e a cosa servono per il nostro lavoro di costruzione del Piano di Zona? Con il termine asse strategico intendiamo definire la linea guida di un percorso che vogliamo fare insieme, come meta che vogliamo raggiungere, come significato che

vogliamo dare al nostro agire condiviso. A partire dalla “rappresentazione” delle nostre diverse visioni della realtà, cerchiamo di fare sintesi su alcuni elementi fondanti il nuovo Piano di Zona. Tale sintesi ci permette di affermare che: 1) il lavoro sociale chiama in causa l’intera comunità locale; 2) il lavoro sociale si deve rivolgere all’interezza dei soggetti che compongono la comunità locale; 3) il lavoro sociale deve avere un particolare atteggiamento di “cura “ per i soggetti più fragili e più deboli. 1) La dimensione “COMUNITARIA” del lavoro sociale

Assemblea Distrettuale dei Sindaci dell’Ambito Distrettuale Cremasco, consapevole delle molteplici potenzialità e risorse che compongono la comunità locale, intende promuovere una nuova stagione di costruzione di relazioni con tutti quei soggetti che a vario titolo

esercitano una funzione sociale. In tale prospettiva si esprime la volontà di agire in qualità di enti locali impegnati nella

promozione di tutele e opportunità per tutti i cittadini, attraverso la costruzione di una dinamica relazionale forte con tutti gli attori della rete formale ed informale che agiscono nei nostri comuni. Questa linea di indirizzo politico si realizza attraverso:

� esperienze di supporto alla famiglia, prima agenzia di promozione sociale; � esperienze di partecipazione della cittadinanza e di valorizzazione dei “mondi vitali” che

già oggi animano le nostre comunità locali; � esperienze di partnership forte con le realtà/associazioni del volontariato organizzato; � esperienze di progettazione congiunta con le diverse espressioni del terzo settore, con

particolare riferimento alla cooperazione sociale; � esperienze di raccordo tra livello programmatorio (Ufficio di Piano e Coordinamento

Politico) e livello gestionale (Comunità Sociale Cremasca); � esperienze di integrazione e di raccordo interistituzionale con i soggetti e gli enti che

operano nel territorio. A tale proposito, si da mandato alla componente tecnica dell’Ufficio di Piano di sviluppare,

in accordo con il Gruppo di Coordinamento Politico, una proposta che, a partire da quanto fino a qui realizzato, preveda luoghi certi, modalità stabili e stili condivisi di “presenza” e di “partecipazione”. Tutto ciò con l’obiettivo di favorire, sia il riconoscimento pieno del ruolo delle realtà strutturate, sia una nuova valorizzazione delle realtà spontanee ed informali.

La dimensione “comunitaria” del lavoro sociale diviene impegno assunto da parte degli enti locali di investire nel lavoro di rete, creando apposite condizioni partecipative, scelte organizzative e disponibilità di risorse affinché gli operatori sociali possano interagire con il contesto territoriale come “attivatori” di comunità.

C

L’

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33

2) La dimensione “PROMOZIONALE” nel /del lavoro sociale

Assemblea Distrettuale dei Sindaci dell’Ambito Distrettuale Cremasco ritiene di porre a fondamento dell’azione programmatoria connessa al Piano di Zona la chiara scelta di privilegiare la dimensione di lavoro di stampo preventivo – promozionale a beneficio

della collettività e dell’interezza dei cittadini, pur tenendo in considerazione le diverse tipologie di soggetti che vivono nelle nostre comunità. Questa dimensione dovrà permeare l’intero assetto delle politiche sociali e caratterizzare in modo innovativo il prossimo triennio di attività.

L’Assemblea dei Sindaci definisce di giungere alla strutturazione di un apposito stanziamento finalizzato alla progettazione e alla realizzazione di azioni, interventi, servizi di natura preventiva e promozionale, con particolare riferimento alle famiglie con minori, agli adolescenti e ai giovani.

A tale proposito, si da mandato alla componente tecnica dell’Ufficio di Piano di sviluppare, in accordo con il Gruppo di Coordinamento Politico, una proposta che, a partire da una lettura delle risorse già previste nei bilanci comunali e tenendo in considerazione i possibili canali di finanziamento aggiuntivo, possa prevedere la definizione di una quota di spesa procapite, omogenea per tutti i 48 comuni del distretto, finalizzata in modo esclusivo a politiche sociali promozionali.

La spesa sociale promozionale diviene un impegno assunto da tutte le amministrazioni per il prossimo triennio e, nell’ambito di una programmazione unitaria, potrà trovare modalità attuative sia di portata comunale, di sub ambito e di intero ambito distrettuale attraverso future progettualità da realizzarsi in partnership con le realtà del territorio.

3) La dimensione della “CURA” nel lavoro sociale

Assemblea Distrettuale dei Sindaci dell’Ambito Distrettuale Cremasco condivide la necessità di giungere ad un nuovo investimento di attenzioni e strategie che tendano a favorire modalità di presa in carico che non si risolvano nella “gestione” di casi,

nell’erogazione di prestazioni, nell’attivazione di servizi standardizzati e di un sistema di offerta auto referenziale.

La nuova dimensione del lavoro sociale pone al centro e valorizza le componenti dell’ascolto, dello “stare con”, dell’accompagnamento e della cura delle persone. Questa linea d’indirizzo politico prevede di sostenere, favorire e premiare, nel corso del prossimo triennio, azioni ed iniziative progettuali che aspirino a superare la “stratificazione” dei servizi e il consolidamento “a tutti costi” dell’esistente, introducendo elementi di novità e nuovi investimenti finalizzati all’obiettivo prioritario di “personalizzare/diversificare” l’intervento, di “adeguare” l’offerta al bisogno rilevato, di garantire l’accesso “al giusto livello” di opportunità.

La dimensione della cura si esprime con una spinta ad introdurre una cultura della “vicinanza” che permette di riconoscere la persona che chiede aiuto nella sua globalità, al di là e oltre il motivo specifico che in quel momento determina una condizione di fragilità o bisogno.

A tale proposito, si da mandato alla componente tecnica dell’Ufficio di Piano di sviluppare, in accordo con il Gruppo di Coordinamento Politico, una proposta di gestione di parte delle risorse connesse al nuovo Piano di Zona con l’obiettivo di sostenere iniziative e percorsi che perseguano l’obiettivo sopradescritto .

Il lavoro di cura diviene un impegno assunto da tutte le amministrazioni e, nell’ambito di una programmazione unitaria, potrà trovare apposite modalità di supporto a percorsi innovativi e a riconoscimenti di investimenti specifici in tale area di intervento.

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5. Le aree di priorità

A partire dal confronto che si è realizzato prima all’interno dell’Ufficio di Piano e successivamente nei diversi sub ambiti territoriali, è stato possibile individuale alcune aree di priorità in relazione alle quali è ipotizzabile sviluppare il nostro Terzo Piano di Zona.

Assemblea Distrettuale dei Sindaci dell’Ambito Distrettuale Cremasco, consapevole che un triennio di attività non permette di affrontare l’interezza delle questioni in campo, richiama l’attenzione sulle seguenti aree di priorità. Alcune di queste sono già state

oggetto di intervento durante i precedenti Piani di Zona, mentre altre sono delle novità in relazione alle quali si avvia un cammino di confronto e di lavoro congiunto.

Le Aree di priorità che vengono di seguito indicate, sono da intendersi come dei campi privilegiati di azione progettuale territoriale, andando oltre la suddivisione degli interventi per target di destinatari, puntando l’attenzione sulle dinamiche sottostanti agli interventi a favore delle famiglie, degli anziani, dei minori, dei disabili, degli adulti, …..

1) Il nuovo triennio ci vede impegnati a ripensare le politiche sociali del nostro territorio a partire da una connotazione ““ eedduuccaatt iivvaa”” dei nostri interventi, servizi, progetti, …. La dimensione educativa appare essere la via maestra per richiamare a fatti concreti il valore promozionale/preventivo dell’intervento sociale e permette a molte componenti, formali ed informali della comunità locale, di agire il proprio ruolo e di condividere i propri talenti. La dimensione educativa può trovare attuazione verso quei soggetti che vivono condizioni di fragilità o di bisogno personale – ambientale, ma soprattutto verso la generalità dei cittadini che, nel proprio processo di crescita e di sviluppo, cercano luoghi per la piena valorizzazione-espressione delle loro potenzialità e risorse.

In tale accezione vengono indicati come prioritari i seguenti campi di intervento:

� azioni di supporto al nucleo familiare con figli minori, con particolare riferimento a: o interventi di supporto alla genitorialità anche a favore di nuclei familiari stranieri; o interventi di valorizzazione del contesto domiciliare quale luogo di rilevanza

educativa; o interventi per la promozione dell’accesso a servizi/opportunità per la prima

infanzia; o interventi per la costruzione di reti familiari , finalizzate al mutuo aiuto e alla

condivisione di esperienze;

� realizzazione di azioni di aggregazione e socializzazione per adolescenti e giovani, con particolare riferimento a:

o interventi per la promozione del tempo libero; o interventi per le attività di accompagnamento per il successo scolastico e

formativo; o interventi di promozione del benessere e di contrasto a fenomeni di disagio;

� realizzazione di percorsi condivisi con le diverse “agenzie educative” con particolare riferimento a:

o accoglienza e strutturazione di percorsi per minori disabili in contesti scolastici ed extrascolastici;

o sviluppo di percorsi per l’accoglienza e l’accompagnamento educativo di minori stranieri.

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2) Il nuovo Piano di Zona si propone di compiere un ulteriore passo in avanti rispetto al difficile e mai concluso lavoro di rr iiccoommppoossiizziioonnee ddeell llaa ff rr aammmmeennttaarr iieettàà degli interventi che ruotano attorno al cittadino, ancora considerato solo come un utente di singole e differenziate prestazioni. Oltre all’integrazione interistituzionale, che pur rimanendo obiettivo da raggiungere ha visto molteplici sforzi profusi, si punta a promuovere una logica integrata che allarghi lo sguardo alle altre componenti della comunità locale, intese come risorsa e come possibilità di intervento che vanno oltre ed integrano le possibilità operative dei servizi.

Come già descritto in precedenza, a fondamento di questa area di priorità, si pone la volontà di giungere a considerare l’interezza della persona che vive in una comunità, che ha una rete di relazioni, che porta con se delle problematiche, ma che ha anche delle risorse proprie o della propria “rete” in grado di concorrere alla “cura” della situazione di bisogno.

In tale accezione vengono indicati come prioritari i seguenti campi di intervento:

� realizzazione di percorsi integrati di presa in carico di soggetti fragili, con particolare attenzione a:

o esperienze condivise a favore del mantenimento a domicilio, con particolare attenzione ai soggetti anziani;

o esperienze di supporto-sollievo-protezione per il nucleo familiare che si fa carico della cura di congiunti in condizione di fragilità (minori, anziani e disabili);

o esperienze di valorizzazione della rete informale esistente e di promozione di risorse comunitarie al momento inespresse;

o esperienze di sostegno dei cargivers sia dal punto di vista psicologico, sia sul versante formativo.

� realizzazione di percorsi integrati per lo sviluppo di azioni di “responsabilità sociale” in terreni nuovi quali:

o le problematiche abitative, con il coinvolgimento dei soggetti che per competenza ed esperienza operano nel settore;

o le problematiche del lavoro, non solo per i disabili ed i soggetti fragili, ma per fasce sempre più ampie di popolazione come vera emergenza di esposizione a situazione a rischio povertà;

o le problematiche connesse alla condizione di “vulnerabilità ” sia economica che relazionale, riconoscendo e valorizzando esperienze che la “società civile” ha da tempo posto in campo, ma che ancora rimangono “fuori dal sistema”;

o le problematiche inerenti il tema della “salute mentale” con particolare attenzione a processi virtuosi per l’inclusione sociale.

3) Il Terzo Piano di Zona ripropone quale dimensione di lavoro prioritario il tema della condivisione di ll iivveell ll ii eesssseennzziiaall ii ddii ooppppoorr ttuunnii ttàà, omogenei a livello territoriale. Quest’area d’intervento si traduce in molteplici possibili attuazioni, quali:

� offrire una garanzia, in relazione a determinate tipologie di opportunità, di risposte omogenee a livello territoriale/distrettuale, oltre la rigidità dei confini amministrativi di residenza, anche mediante la costruzione di una carta dei servizi sociali distrettuali;

� realizzazione di sistemi unitari di accesso a determinate tipologie di servizi, con riferimento anche a modalità omogenee di co-responsabilizzazione dell’utenza rispetto ai costi dei servizi.

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6. Innovazione: le nuove progettualità

Per richiamare mandato assegnato dall’Assemblea dei Sindaci ai Gruppi di progetto si riprende un’immagine che vuole metaforicamente rappresentare lo spirito della partecipazione parteciapata.

“Come nella preparazione di un buon pane servono diversi ingredienti e alcune attenzioni, per non compromettere la giusta lievitazione e l’esito finale, cosi anche noi cerchiamo di porre cura al nostro percorso di lavoro. C’è il ruolo fondamentale delle idee che, come lievito disciolto nell’acqua e “diffuso” in modo omogeneo nell’impasto, permette di “attivare”, fa si che si sviluppino delle “reazioni”, lavora per “far crescere” l’insieme degli elementi e degli ingredienti che, in tal modo, trovano la loro piena valorizzazione. Molte possono essere le risorse umane e le esperienze di comunità, come molte sono le tipologie di farine che possiamo usare: bianche o colorate, con i cereali o senza, raffinate o grezze. Ognuna porta con sé una propria “bontà”, ma sapientemente miscelate permettono di “creare” sapori nuovi e originali. Prima ancora della qualità delle “materie prime”, il raggiungimento di un buon prodotto dipende molto della cura delle giuste quantità, dalla corretta lavorazione degli ingredienti e dall’equilibrio tra le parti per l’armonia del sapore finale. Certamente servono anche le risorse economiche come servono, per completare l’impasto elementi preziosi e nobili quali il sale e l’olio. In quantità adeguate ed inseriti nel momento giusto della lavorazione, questi permettono di sviluppare fragranze e profumi nuovi. Sappiamo però che troppo sale nel momento sbagliato blocca la lievitazione, troppo olio rispetto agli altri elementi fa cambiare il sapore finale. Si può pensare di iniziare a fare il pane se si hanno in casa lievito, acqua e farina, anche se poco è il sale e con un solo cucchiaio di olio, mentre non si può neppure iniziare l’impasto se ci sono solo olio e sale, magari anche in quantità superiori rispetto alla reale necessità. Infine servono il calore delle relazioni vitali e la forza della passione delle persone e tra le persone. Serve il fuoco. Serve un forno che possa cuocere. Serve un “luogo” dove le energie agiscano per creare ambiente caldo, dove le relazioni diventino forza che sa trasformare e aggregare gli elementi, per un risultato finale che si annuncia con il proprio profumo e si gusta poi con la soddisfazione di chi, dopo aver seguito le diverse fasi della lavorazione, vede ora il prodotto finito, nutrimento a sostegno di nuove future mete.”

premessa di quanto elaborato dai gruppi, si riprendono alcune questioni trasversali che hanno segnato il processo di condivisione avvenuto. Appare fondamentale valorizzare il percorso realizzato di forte integrazione tra pubblico e privato, quale reale lavoro di rete e importante risorsa per il nostro territorio. Questo lavoro

richiede garanzie di continuità, non solo nella costruzione iniziale delle relazioni, ma anche e soprattutto nella manutenzione continua e qualificata.

Emerge da tutti i gruppi una limitata conoscenza del territorio e delle opportunità che già sono in atto. Appare, quindi, necessario realizzare una nuova campagna di raccolta dei dati di conoscenza del territorio, che non sia un semplice elenco di servizi, ma che rilevi elementi qualitativi e indicazioni operative sulle diverse tipologie e modalità di offerta. Questa mappatura, così costruita, potrà poi essere periodicamente aggiornata ed essere punto di partenza per la nascita di una carta dei servizi del distretto. I tempi limitati che hanno caratterizzato la fase di avvio del lavoro dei gruppi non hanno permesso di curare in modo pienamente adeguato la composizione degli stessi. Ciò ha determinato in alcuni casi una mancanza di equilibrio interno ai gruppi stessi per una parziale condivisione del mandato oppure per la presenza di tecnici con ruoli operativi accanto a figure con ruoli di responsabilità. Ciò nonostante si sono verificati grandi investimenti da parte del privato sociale e positive esperienze di dialogo tra amministratori locali, tecnici e operatori sociali.

Il proseguo dell’esperienza dovrà vedere oltre ad un consolidamento dell’azione di coordinamento dei gruppi e di supporto all’attività degli stessi, anche un nuovo ingaggio di persone/organizzazioni partecipanti che, con tempi adeguati e con una maggiore conoscenze delle risorse e dei limiti che caratterizzano il contesto, possano lavorare, oltre i progetti, per azioni di cambiamento sociale.

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LA SCELTA EDUCATIVA

1) Azione di supporto alla Famiglia

A) L’Assistenza Domiciliare Minori per la valorizzazione del contesto domiciliare

L’ analisi effettuata all’interno del gruppo di progetto ha posto in evidenza un limitato riconoscimento del ruolo e della significatività dell’Assistenza Domiciliare Minori quale servizio a favore dei minori inseriti in nuclei familiari che versano in situazione di temporanea difficoltà e che manifestano elementi di possibile rischio o pregiudizio per il minore stesso.

L’A.D.M. non viene quindi adeguatamente valorizzata quale servizio di carattere preventivo e temporaneo, di natura socio-educativa attuato da un educatore professionale, che opera in stretta collaborazione con il Servizio Sociale all’interno di un equipe, che coinvolge diverse professionalità appartenenti ad enti differenti (Scuola, Azienda Ospedaliera, ASL, Associazioni di volontariato e del tempo libero).

La domiciliarità non è solo causa e contenitore del disagio familiare, ma è anche una risorsa in termini di auto mutuo aiuto, perché valorizza i legami positivi tra famiglie vicine geograficamente o appartenenti a culture simili. Nella dimensione di lavoro domiciliare si ritrova quindi una spiccata valenza preventiva, in quanto si opera nel luogo principe da cui osservare le dinamiche familiari per poi poter intervenire.

Le criticità prevalenti evidenziate nella lettura dei dati sono: la scarsità delle risorse assegnate ai servizi sociali per occuparsi di tale contesto; la mancanza di omogeneità della strutturazione e organizzazione di servizi ADM nei diversi sub ambiti, sia in merito all’investimento economico (alcuni comuni investono anche risorse proprie, altri solo il contributo distrettuale), sia per quanto riguarda la scelta di assegnazione dei casi. In tal senso, si evidenzia che in alcune realtà territoriali l’ADM viene attivata solo a seguito di specifica segnalazione da parte del Tribunale per i Minori e non vengono attivati servizi di natura preventiva, soprattutto in relazione a famiglie con minori disabili e a famiglie di origine straniera. Sul territorio si rilevano anche delle esperienze positive d’investimento sul servizio da parte di alcuni comuni e l’attivazione di forme parallele al domicilio, mediante la strutturazione di contesti di aggregazione e contesti di gruppo e con attività di incontro per le famiglie. Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� promuovere un nuovo investimento culturale e operativo per la valorizzazione del contesto familiare e delle sue risorse;

� costruire strategie di intervento sociale finalizzate al mantenimento dei minori in famiglia con una riduzione dei fattori di possibile rischio;

� attivare il Servizio ADM su tutto il territorio distrettuale come intervento preventivo e non come sola risposta obbligata in occasione di provvedimento del Tribunale per i Minori;

� qualificare l’ADM come forma di sostegno all’intero nucleo familiare e non solo come erogazione di una serie di prestazioni a favore del minore;

� definire parametri omogenei in relazione a: natura dell’intervento, qualifica e formazione del personale impiegato, strumenti, tempi e modalità di lavoro;

� favorire occasioni di raccordo stabile tra il Servizio ADM e gli altri interventi di sostegno ai minori e alla famiglia (NPI, Tutela minori, scuola, ecc).

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B) Azioni di sostegno alle famiglie con minori disabili

L’ analisi posta in campo dal gruppo di progetto ha evidenziato che le famiglie con minori disabili non riescono a trovare, al di fuori del rapporto duale con i servizi sociali e/o i singoli professionisti dei servizi specialistici, contesti di sostegno per il confronto sui vissuti e sulle problematiche legate alla condizione dei figli, esternando spesso la loro condizione di solitudine. La diagnosi di un handicap rappresenta una sofferenza e suscita destabilizzazione.

Dall’osservatorio della Neuro Psichiatria Infantile (NPI) e dalla scuola sembra che negli ultimi anni i genitori affrontino con più coraggio la diagnosi di disabilità del figlio, atteggiamento che si verifica in modo particolare quando le famiglie accettano di farsi aiutare e sostenere nel proprio ruolo. Sembra ci sia un particolare investimento da parte dei servizi più sulle cure terapeutiche a favore dei disabili, che sul vissuto dei genitori. Questo sembra derivare da un approccio tecnico specialistico centrato sulla diagnosi e cura del minore disabile a scapito di un approccio relazionale per la rappresentazione del problema da parte dell’intero nucleo familiare.

Alla luce di quanto detto si evidenziano alcune aree di bisogno/criticità:

• il bisogno da parte delle famiglie di una maggiore tempestività e appropriatezza nel riconoscimento precoce della disabilità, in modo particolare nella fascia 0-3 anni;

• la complessità del lavoro sociale con la famiglia nel caso di una diagnosi di disabilità per un proprio componente avvenuta solo in età adolescenziale;

• le problematiche connesse ad una presa in carico tardiva in relazione al successo scolastico a causa di una limitata valorizzazione delle effettive potenzialità del minore;

• il bisogno da parte delle famiglie, anche con figli adolescenti, di un aiuto “materiale” nella gestione dei tempi “vuoti” in cui non ci sono attività scolastiche. Per molti disabili le vacanze estive rappresentano una fase critica che espone a rischi di regressione e peggioramento. Durante i periodi di vacanza, può accadere che da un lato i genitori non sappiano a chi affidare i figli per poter lavorare, dall’altro, ben più grave, questi soggetti si sentono abbandonati e di peso non avendo attività di stimolo e di supporto;

• la necessità di creare momenti di sollievo per le famiglie che si prendono cura di soggetti disabili, per evitare di sovrapporre criticità a quelle già esistenti. Il fenomeno di criticità aumenta con le patologie più gravi che riguardano malattie psichiche, autismo, ritardo mentale ed epilessie non curabili a causa di farmaco resistenza;

• la difficoltà di garantire opportunità e tutele per eventuali fratelli di un minore con handicap, a partire dal fatto che i genitori faticano a considerare i bisogni degli altri figli, tendono ad accelerare processi di autonomia degli stessi o addirittura assegnano ai fratelli ruoli di ‘sostegno’ al caregiver, riducendo le loro possibilità di vivere occasioni e situazioni di normalità.

Sul territorio sono anche presenti alcune esperienze positive di percorsi individuali di sostegno per i genitori con figli disabili. Alcuni grest e centri estivi hanno avviato delle sperimentazioni per inserimenti di ragazzi disabili e alcune associazioni propongono attività sportive extrascolastiche di integrazione con la persona disabile. E’ inoltre in fase di definizione un Protocollo di Intesa con la NPI per il supporto di situazioni relative a problematiche familiari o di coppia, di genitori di bambini seguiti dal servizio. Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� promuovere percorsi di accompagnamento della famiglia all’interno della quale è inserito il minore disabile, per lo sviluppo di dinamiche e relazioni favorenti la rielaborazione delle problematiche connesse alla disabilità;

� attivare strategie operative per il riconoscimento tempestivo dei segnali che se interpretati in modo corretto possono favorire la diagnosi precoce della disabilità;

� promuovere modalità di intervento che considerino la globalità della vita delle persone con disabilità, evitando settorializzazioni ed erogazione di interventi slegati da una visione unitaria;

� agire un processo di sensibilizzazione culturale per un riconoscimento sia della famiglia come risorsa, ma anche della famiglia come portatrice di bisogni e, per questo, meritevole di azioni di supporto e di sollievo.

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C) Interventi di supporto alla genitorialità e reti di aiuto tra le famiglie L’ analisi rileva un aumento dello stress dei genitori legato all’incalzare delle esigenze di gestione e organizzazione dei tempi dei vari membri della famiglia. Emerge la difficoltà di incontro-confronto tra i genitori su situazioni problematiche. Viene meno l’appoggio della famiglia di origine allargata, in quanto anche i nonni sono ancora in età lavorativa o hanno impegni personali come l’accudimento del proprio genitore anziano. Inoltre, molte giovani coppie quando formano una nuova famiglia si trasferiscono in paesi lontani dalla propria famiglia di origine, dove trovano una casa a minor costo, ma non conoscono le altre famiglie e non hanno o non si danno il tempo per costruire nuove conoscenze. Questa è una caratteristica specifica del territorio cremasco che vive da alcuni anni un fenomeno di immigrazione dalla zona milanese.

Lo stress sembra causato anche da una crisi di carattere economico e da difficoltà a gestire il budget familiare. Molti bisogni delle famiglie non trovano risposta nella rete primaria e di supporto all’interno del vicinato, che risulta debole; si percepisce un clima generalizzato di chiusura individualistica e di non condivisione. C’è una difficoltà nei genitori dovuta al disorientamento che provano nell’affrontare le problematiche loro e dei loro figli, dovuta anche alla carenza di valori e di regole da trasmettere che ha poi come effetto un disorientamento dei figli, soprattutto in fase adolescenziale. Gli atteggiamenti, effetto di questo disorientamento, sono alternativamente di chiusura, delega, isolamento, difficoltà a confrontarsi con gli altri (genitori, educatori, insegnanti) e a volte si innescano anche modalità di contrapposizione. Si percepisce principalmente dall’osservatorio delle realtà del privato sociale che si occupano di interventi per adolescenti, così come dalla scuola, un bisogno da parte dei genitori di essere sostenuti e accompagnati nel loro ruolo genitoriale, anche quando i figli sono adolescenti.

Le situazioni sono ancora più complesse in relazione a casi che vengono rilevati dalla NPI e dalla Tutela minori, relativi a difficoltà nella gestione del conflitto prima nella coppia e poi con i figli o a gestire situazioni problematiche connesse al processo di crescita dei figli. Dall’osservatorio dei centri di ascolto e dai servizi sociali di base, inoltre, emerge un aumento delle famiglie monoparentali, sia per l’effettiva mancanza di un genitore (donna immigrata con figlio), sia a causa di separazioni e/o divorzi. Altro elemento degno di nota riguarda le donne sole (straniere e non) con figli a carico che risultano in significativo aumento.

Il territorio ha posto in campo alcune esperienze positive: alcune associazioni propongono percorsi di scuola genitori; diversi gruppi parrocchiali, in cui sono presenti dei gruppi di famiglie, condividono momenti di socializzazione; vi sono alcune cooperative sociali che hanno scelto di occuparsi in via prioritaria dei servizi alla famiglia; è presente un Consultorio Pubblico con percorsi individuali ed è in fase di costituzione un Consultorio Diocesano; si sono sviluppati servizi per la prima infanzia, quali nidi famiglia, asili nido privati, ludoteche, taghesmutter, come servizi a favore delle famiglie con formule flessibili e ‘costruite’ sui bisogni delle famiglie; sono presenti alcune comunità di accoglienza per mamme e bambini e realtà che si occupano di famiglie in stato di bisogno. Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� ricostruire un tessuto sociale di fiducia reciproca attraverso la valorizzazione dei contesti di vita tra le famiglie, favorendo occasioni di incontro informali e conviviali;

� promuovere percorsi formativi in cui sia coinvolta tutta la famiglia con proposte differenziate e parallele per genitori e bambini/ragazzi;

� valorizzare i servizi già esistenti come occasione di incontro allargato tra le famiglie, promuovendo opportunità rivolte all’intero territorio e non solo ai propri utenti;

� mettere in rete le realtà del territorio che hanno contatti con le famiglie (scuola, parrocchia, comune) per dar vita ad interventi coordinati a favore delle stesse;

� promuovere progetti sperimentali per l’attivazione di banche del tempo tra le famiglie.

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2) Azione di promozione e prevenzione

A) Promozione del tempo libero e attività di prevenzione L’ analisi effettuata all’interno del gruppo di progetto ha posto in luce che le proposte per gli adolescenti non vedono un coinvolgimento diretto e attivo degli stessi. Spesso sono gli adulti che strutturano iniziative per i ragazzi, senza valorizzare attività organizzate in modo autonomo. Gli operatori infatti rilevano una difficoltà di aggancio e di costruzione di relazioni significative con i ragazzi e manifestano la necessità di attivare nuove modalità per avvicinarli all’interno di contesti informali di aggregazione.

L’analisi dei dati di conoscenza del territorio pone in evidenza alcune criticità: • la difficoltà dell’adolescente ad organizzarsi, sia nell’ambito scolastico, che nelle attività extra

scolastiche, a causa di un’eccessiva presenza da parte dei genitori che presidiano e organizzano ogni spazio, senza stimolare né favorire tempi non strutturati;

• la difficoltà di inserimento in contesti di aggregazione di preadolescenti e adolescenti che non si riconoscono nelle proposte aggregative attuali e che avrebbero bisogno di ‘accompagnamento’ verso opportunità e percorsi ad hoc;

• la mancanza di una rete di supporto che non sia specialistica (educatori, assistenti sociali, ecc.) ma volontaria, che andrebbe comunque formata alla relazione educativa, anche in situazioni di disagio;

• l’impreparazione dei servizi preposti al tempo libero, sia nei periodi scolastici che estivi, alla accoglienza dei minori stranieri;

• la mancanza di una continuità delle attività aggregative nel periodo invernale, se non collegate ad interventi di supporto scolastico.

Dall’analisi dei dati forniti dalla Prefettura, si rileva inoltre: • un abbassamento dell’età di primo uso di sostanze psicoattive (13 anni) e un aumento di consumatrici di

sesso femminile, principalmente come esperienza ricreativa (consumo in gruppo), ma, in alcuni casi, anche di giovanissimi, come fenomeno legato alla compensazione di situazioni di stress emotivo (si consuma da soli in camera);

• difficoltà da parte dei genitori nel riconoscere la situazione problematica in quanto il comportamento a rischio si colloca in un contesto sociale adeguato (il sabato sera faccio di tutto e di più, ma lavoro tutta la settimana o vado a scuola, faccio sport, apparentemente senza problemi);

• mancanza di spazi comunicativi per definire un posizionamento nel mondo degli adulti in relazione ai consumi, sia in relazione al rischio connesso, sia all’idea di legalità da trasmettere ai minori.

Alcune risorse che possono essere indicate come esperienze positive sono: - i Centri di Aggregazione Giovanile e doposcuola dei singoli territori per gli interventi promozionali; - la Rete degli oratori e grest; - i Centri ricreativi estivi comunali; - il Consultorio adolescenti e giovani.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� agganciare i ragazzi adolescenti nei contesti di vita e costruire con gli stessi relazioni significative; � arrivare nei loro luoghi di ritrovo per pensare insieme a ragazzi attività di promozione del tempo libero; � pensare percorsi estivi ad hoc per il target preadolescenti e adolescenti; � promuovere la rete delle agenzie promozionali ed educative, con particolare riferimento a: Ufficio Pastorale

Giovanile, Comuni, Cooperative, realtà dell’Associazionismo.

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B) Accompagnamento per il successo formativo I servizi di sostegno scolastico presenti sul territorio hanno spesso una connotazione sulle situazioni di disagio e non sono percepiti come risorse per le famiglie che vivono situazioni di normalità.

Dal lavoro di analisi e di confronto tra le realtà del privato sociale e del pubblico, il NPI e servizi sociali, si evidenzia un aumento negli ultimi anni della presenza sul distretto di ragazzi con difficoltà di integrazione sociale dovuta a: • difficoltà personali (cognitive, comportamentali, di apprendimento), spesso non segnalate nei precedenti

cicli scolastici e rese più acute dalla fase di sviluppo adolescenziale, con manifestazioni aggressive o di ritiro dagli impegni scolastici;

• difficoltà legate all’inserimento in nuovo contesto per i ragazzi extracomunitari, la cui presenza nei servizi di CAG e doposcuola risulta particolarmente significativa, fino a picchi del 50% delle iscrizioni. Alle difficoltà di comprensione linguistica si sommano le difficoltà di inserimento nel gruppo dei coetanei ;

• difficoltà legate alla poca adeguatezza dell’ambito familiare, con episodi di trascuratezza, incapacità dei genitori a compensare limiti e regole, a potenziare l’autostima, a gestire situazioni di conflitto nella coppia e con i figli;

• problemi legati all’organizzazione scolastica intesa come difficoltà a costruire percorsi individualizzati sia nel contesto scolastico che in collaborazione con i percorsi extrascolastici;

• difficoltà legate al malfunzionamento delle reti educative, troppo radicate su posizionamenti autoreferenziali, a discapito dell’analisi integrata dei bisogni del ragazzo;

• difficoltà legate al contesto culturale più allargato, centrato sul disagio e poco orientato a processi di integrazione e inclusione sociale.

Queste situazioni vengono rilevate in particolare dai dati dei CAG e doposcuola del territorio, ma anche dalla NPI che segnala un accesso al servizio di adolescenti con drop out scolastico, a rischio di abbandono o in situazioni di grave insuccesso scolastico.

La situazione, secondo le osservazioni del gruppo, appare segnata in termini problematici/critici da due fattori di fondo:

- non c’è una presa in carico condivisa: per situazioni non certificate non esistono accordi di programma tra istituzioni o modalità di intervento e collaborazioni consolidate. Appare ancora limitata la collaborazione tra la scuola, servizi specialistici, CAG e ADM e ciò non permette di individuare percorsi personalizzati;

- mancano le condizioni per avviare in modo tempestivo processi di segnalazione ed eventuale certificazione: risulta difficile individuare quanto incidano fattori socio-ambientali e difficoltà cognitive nel disagio di un ragazzo adolescente, a maggior ragione se è straniero.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� sostenere i servizi già esistenti e progettare eventuali nuovi servizi perché in essi possano afferire situazioni di normalità, disagio e disabilità;

� diminuire il carico della gestione delle situazioni di disagio nei servizi già presenti sul territorio, differenziando le proposte per fasce d’età e per bisogni (attività comuni e dove necessario interventi individualizzati per situazioni di disagio);

� investire nella formazione comune di personale educativo e volontario; � incrementare e coordinare i progetti di prevenzione specifica nelle scuole e nei servizi extrascolastici, con

un’attenzione anche alle nuove dipendenze (anche gioco, internet, ecc.).

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LA DOMICILIARITA’

1) Supporto e sollievo ai familiari che si prendono cura degli anziani e dei disabili

(CAREGIVER)

Dalle riflessioni e dal confronto effettuato nel gruppo domiciliarità è emerso come vi siano aspetti che caratterizzano e accomunano il lavoro di cura, a prescindere dal fatto che le persone assistite siano disabili o anziani. In termini generali si rileva che la qualità di vita dei caregiver è molto bassa, mentre alti risultano essere i rischi a cui va incontro questa categoria. Entrando nel dettaglio, un primo dato che affiora è il carico di lavoro, in molti casi eccessivo, che grava sui caregiver e che si configura a tutti gli effetti come un sovraccarico. Per i genitori di persone disabili emergono: la fatica di coordinare da soli l’organizzazione delle attività dei figli, la fatica di assumere in solitudine scelte significative nelle fasi di snodo e cambiamento della vita dei propri ragazzi, ma anche il disagio di sostenere relazioni caratterizzate da dinamiche disfunzionali e problematiche.

Per i familiari di anziani vengono segnalati come fattori su cui riflettere: la frequente necessità di garantire assistenza continuativa, anche 24 ore su 24, ed i limiti significativi che sperimentano i familiari quando l’età o le condizioni di salute non consentirebbero simili impegni (si pensi al caso del coniuge anziano o al problema di figli ultrasettantenni che si prendono cura dei genitori quasi centenari) o quando impegni di cura su più fronti (figli piccoli, genitori anziani), uniti a vincoli di lavoro, gravano su una sola persona. Un altro elemento di grossa fatica è rappresentato dalla gestione e dalla cura di familiari con problemi di demenza, sia per la tipologia di manifestazioni connesse alla malattia, sia perché i familiari sono lasciati soli ed hanno nella maggior parte dei casi il totale carico della cura. Non a caso i caregiver vengono frequentemente descritti nel gruppo domiciliarità come persone che non hanno respiro, privi di tempi per sé e di opportunità per ri-ossigenarsi.

Il sovraccarico assistenziale è collegabile ad aspetti di natura differente: • il caregiver fatica a chiedere aiuto perché nell’ambito di una cultura ed una visione moralistica del

problema, al familiari “toccano”le funzioni di cura e chi si sottrae viene giudicato in termini negativi; • i familiari fanno fatica a riconoscere le proprie ambivalenze rispetto al lavoro di cura; • la logica che attraversa la rete dei servizi spinge verso una delega ed una responsabilizzazione della

famiglia.

Un ulteriore elemento segnalato dal gruppo come significativo è, anche per i caregiver così come per gli anziani, la solitudine. Gli stessi problemi di salute che minano le possibilità di uscita e di socializzazione di anziani e disabili finiscono per vincolare e condizionare anche i caregiver, spesso “abbandonati” dai parenti stessi e/o costretti a rinunciare ai contatti con la rete amicale, agli interessi, agli hobbies e a modificare, in particolare quando si tratta di figli/e giovani, le consuetudini e le relazioni con il coniuge (significativa in proposito la riflessione circa l’aumento di situazioni di separazione formale o tacitata dei coniugi, nel caso di genitori di disabili) e con i propri figli.

I familiari che curano si vedono soli anche in relazione alla percezione che siano poche le persone con cui è possibile dialogare e condividere la propria esperienza e le proprie difficoltà; tale percezione è probabilmente potenziata dal fatto che i caregiver tendono comprensibilmente a concentrarsi in modo esclusivo sugli aspetti problematici della loro vita, rischiando di rendere pesante la relazione con l’altro, soprattutto se non c’è una condivisione del problema. La solitudine dei caregiver è tuttavia anche accentuata dal fatto che l’accesso limitato ai servizi di supporto alla domiciliarità lascia i familiari effettivamente da soli rispetto alla gestione di situazioni di emergenza o crisi.

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Tra i dati rilevanti, il gruppo evidenzia anche gli aspetti legati al vissuto di coloro che svolgono funzioni di cura. Alla forte volontà e determinazione nel garantire ai propri cari una idonea qualità delle cure ed il rispetto di volontà e scelte maturate nel tempo dai propri congiunti, si intrecciano dubbi e timori. La famiglia, come soggetto e luogo primario di cura, oscilla tra il desiderio di organizzare l’assistenza e l’ansia di non riuscire a farcela: mancano dei “punti di sicurezza” che aiutino a sostenere l’esperienza di cura; manca l’accompagnamento verso un’ipotetica rete. Le ambivalenze, le oscillazioni di umore, il confronto con sentimenti fortemente contrastanti, l’impatto con emozioni indesiderate, la presenza costante dei sensi di colpa, caratterizzano frequentemente lo stato emotivo dei familiari e questi vissuti influenzano fortemente la qualità della relazione e delle cure prestate, ma anche il grado di autostima dei caregiver. Effettivamente il rischio di agire atteggiamenti trascuranti e/o maltrattanti è notevolmente influenzato dalla situazione psicofisica del caregiver. Nella realtà tuttavia gli operatori rilevano che per chi svolge funzioni di cura non è facile occuparsi di se stessi e riflettere sulla propria situazione, e di conseguenza è raro che i caregiver esplicitino chiaramente delle richieste di aiuto.

Dalle esperienze di auto mutuo aiuto realizzate nel territorio, si è invece riscontrato che a partire dal racconto della propria situazione ed alla luce delle esperienze ascoltate, i caregiver attivano gradualmente una maggiore capacità di riflessione su di sé e sulla relazione con i propri cari. D’altro canto le esperienze e le testimonianze dei partecipanti al gruppo evidenziano come l’elaborazione di alcune questioni nodali costituisca un passaggio obbligato per consentire una gestione equilibrata dell’assistenza ai propri cari.

I nodi critici che è importante vengano elaborati riguardano l’accettazione della malattia o della situazione, unitamente alla capacità di guardare ad essa con occhi diversi - cogliendo non solo i problemi ma anche le risorse - ed il riconoscimento e l’accettazione dei propri limiti.

Il territorio ha posto in essere alcune prime esperienze positive: - gruppo di auto mutuo aiuto per familiari di pazienti con demenza per fornire sostegno emotivo e

psicologico; - gruppo di auto mutuo aiuto per l’azione di confronto e responsabilizzazione verso le esigenze della

comunità; - attività di socializzazione per pazienti con demenza e sollievo ai familiari; - orientamento ai genitori di disabili nelle fasi di snodo della vita dei figli; - interventi vari di supporto e sollievo ai disabili ed ai loro familiari; - interventi vari di supporto agli anziani e ai familiari (trasporto, spesa, ascolto …).

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� aiutare i familiari a riconoscere la legittimità dei sentimenti ambivalenti nei confronti dei propri anziani/ disabili, ambivalenza che il sovraccarico rischia di alimentare;

� promuovere un lavoro di sensibilizzazione culturale rispetto alla possibilità che venga veicolata un’altra cultura di essere “buoni figli/coniugi/ genitori”: condizione indispensabile per arrivare all’esplicitazione di richieste di aiuto;

� sensibilizzare gli operatori del territorio (Medici di medicina generale, Assistenti sociali, Sacerdoti) in merito ai bisogni e alle problematiche dei caregiver;

� riprogettare e differenziare l’offerta dei percorsi che forniscono sollievo, non solo pensando ai servizi che prendono in carico in “toto”, ma anche ipotizzando un diverso utilizzo di luoghi e spazi di vita che possano consentire ai familiari di “respirare”;

� riprogettare le modalità di accesso/utilizzo dei ricoveri di sollievo per gli anziani, attraverso un percorso di confronto con l’Azienda Sanitaria Locale finalizzata alla programmazione congiunta di posti letto riservati esclusivamente ai ricoveri di sollievo e relative modalità di accesso;

� sostenere, in collaborazione con le associazione del territorio, la domiciliarità attraverso l’utilizzo di volontari che si affianchino ai familiari nei luoghi di vita;

� promuovere il coordinamento, il reclutamento e la formazione di nuovi volontari, creando una rete tra associazioni e nuove forme di integrazione con i servizi.

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2) La solitudine degli anziani

Un problema considerato estremamente rilevante è quello della solitudine. Le persone anziane vivono questo problema in relazione alla oggettiva situazione di vita, alla perdita dei congiunti ed in particolare del coniuge, alla lontananza fisica e/o affettiva dei figli, alla mancanza di una rete amicale e alla scarsità di risorse ed opportunità relazionali presenti sul territorio.

I familiari, quando ci sono, non sempre possono o riescono a dare ascolto ed attenzione ai propri congiunti anziani.

In molti casi invece, soprattutto quando gli anziani non hanno figli, il tema della solitudine è aggravato (in particolare nei casi di persone con ridotta autonomia) da problemi di organizzazione e gestione degli aspetti assistenziali e da significative esigenze di tutela.

La situazione di solitudine viene sperimentata quando si assommano più situazioni, sia legate alla perdita o all’affievolirsi delle relazioni significative, sia all’impossibilità di allontanarsi dal contesto di vita, dalla propria abitazione per accedere a spazi e luoghi che consentono e agevolano la socializzazione.

L’assenza di punti di riferimento e l’impossibilità ad uscire creano anche isolamento. Gli anziani in alcuni casi si attivano per rompere lo stato di solitudine e di isolamento in cui vivono, ma lo fanno individuando luoghi che diano loro la percezione di non essere soli, ma che non sono pensati in origine per rispondere a questo tipo di problematica.

Dalle osservazioni dei partecipanti al gruppo emerge infatti come i luoghi di incontro degli anziani, in particolare di coloro che ancora presentano buone condizioni di autonomia siano, oltre alla propria casa, l’ambulatorio del medico, il supermercato, il cimitero, la chiesa.

Viene anche riportato il fatto che, in alcune situazioni, le condizioni climatiche, l’assenza di mezzi di trasporto o la complessità di accesso a forme di trasporto agevolato (si pensi per esempio al Miobus) costituiscono degli ostacoli rispetto all’opportunità di frequenza a servizi assistenziali/ricreativi (Centri Diurni Integrati, Centri Sociali) in particolare per gli anziani che presentano maggiori compromissioni e/o limitazioni a livello fisico; non di rado tuttavia sono gli anziani stessi a rifiutare la proposta di accedere a luoghi e servizi ad essi dedicati: esemplificative da questo punto di vista le problematiche di avvio dei CDI .

Gli anziani manifestano il loro disagio rispetto allo stato di solitudine contattando gli operatori dei servizi o telefonano ai Centri di Ascolto per sentire una voce amica e frequentemente chiedono ai volontari di recarsi presso la propria abitazione per poter parlare e per esprimere il loro disagio perché lasciati “troppo soli”. Non è tuttavia infrequente il fatto che solitudine ed isolamento vengono anche ricercate e rivendicate come opportunità di ritiro e chiusura verso l’esterno, nei confronti dell’altro.

A partire dai dati e dalle osservazioni riportate è possibile evidenziare che all’interno dei nuclei familiari le dinamiche relazionali tra genitori anziani e i figli o altri familiari significativi sono caratterizzate da aspetti problematici di varia natura: • la gestione della quotidianità e dell’onere assistenziale prevarica sugli aspetti affettivo- relazionale; • la storia e le dinamiche relazionali passate condizionano la qualità delle relazioni e del prendersi cura; • le modalità comunicative utilizzate dall’anziano non facilitano le interazioni per la consuetudine ad

utilizzare frequenti ripetizioni e lamentele; • gli atteggiamenti di negazione o di sottovalutazione, da parte degli anziani, di aspetti di difficoltà e limite

- motivati dal timore di dipendere o di dover rinunciare alle propria autonomia decisionale e agli stili di vita consolidati - creano contrappunto, disagi e preoccupazioni in coloro che hanno a cuore la salute dei congiunti.

In molti casi alla solitudine si associano altri aspetti controproducenti: si riduce la possibilità di accedere ad informazioni e conoscenze e vengono meno i significativi effetti positivi connessi al supporto relazionale ed è importante evidenziare in proposito che questi fattori potrebbero consentire di affrontare con più serenità e competenza eventi o situazioni di vita critiche frequenti nell’ultima fase di vita.

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E’ infatti noto che la quantità e la qualità delle relazioni sociali hanno un’influenza significativa sull’identità, sulla qualità di vita e sulla salute.

Solitudine ed isolamento si configurano pertanto come condizioni di vita sofferte e rifiutate, soprattutto quando imposte dagli eventi della vita stessa o da problematiche sanitarie, ma anche come soluzioni ricercate o scelte soprattutto se l’alternativa coincide con ipotesi relazionali o contestuali che connotano o sottolineano la dimensione di limite e di perdita.

La visione che i partecipanti del gruppo riportano in merito a questa problematica lascia infatti intravedere che la solitudine si configura “come un essere e sentirsi soli” nell’affrontare questioni legate all’ultima fase di vita e connotate culturalmente in modo negativo.

In questo senso il problema della solitudine apre interrogativi ed invita ad individuare ipotesi di intervento diversificate riferite all’esigenza concreta di relazionalità, di ascolto e vicinanza, di luoghi ed opportunità di incontro, di sollecitazione alla responsabilità individuale e familiare, di stimolo al territorio ed alla comunità. Tuttavia il tema della solitudine sollecita anche la necessità di considerare ed approfondire quali sono le altre “questioni” che accentuano il sentirsi soli nell’ultima fase della vita e quale può essere il ruolo dei servizi e della comunità.

Le criticità prevalenti individuate possono pertanto essere cosi sintetizzate: • i servizi di trasporto, anche quelli agevolati, prevedono modalità di prenotazione complesse; • le realtà territoriali di varia natura tendono prevalentemente a proporre iniziative centrate sull’oggetto; • scarsa valorizzazione delle potenzialità e delle risorse dell’anziano; • non viene sfruttata a sufficienza la potenzialità relazionale dei luoghi di vita usuali; • mancano esperienze condivise, formative, culturali relative all’ultima fase di vita; • assenza di preparazione emotiva rispetto alla elaborazione dei cambiamenti e delle perdite.

Le diverse realtà territoriali hanno posto, in relazione a quanto evidenziato, le seguenti esperienze positive: - funzione di monitoraggio ed ascolto svolta dal servizio telesoccorso; - progetti diversi di incontro/confronto tra generazioni in ambito scolastico; - iniziative agevolate presso la Multisala “Portanova”.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� promuovere la raccolta, a fini preventivi, di dati quantitativi ed eventualmente qualitativi relativi agli anziani soli (ed in particolare senza figli) presenti sul territorio del distretto. Una ricognizione in tal senso, effettuabile con la collaborazione delle anagrafi comunali e di figure significative (medico, parroco etc.), consentirebbe infatti di impostare idonei interventi di informazione e tutela nei confronti di una potenziale fascia di utenza critica;

� potenziare le opportunità di relazione e comunicazione a vari livelli: o tra gli anziani ed i loro familiari, e di in particolare con i caregiver – anche mediante interventi di supporto

ipotizzati a favore dei caregiver; o tra soggetti vari – riconsiderare ed arricchire di senso gli ambiti di incontro e socializzazione già presenti sul

territorio, andando oltre al “fare e progettare” esclusivamente per loro; o tra gli anziani stessi con l’obiettivo di attivarli perché possano essere utili ad altri; o tra persone di età differenti attraverso il potenziamento delle iniziative di incontro/ confronto tra le generazioni; � promuovere percorsi di preparazione all’invecchiamento con riferimento, in particolare, agli aspetti emotivi

legati all’elaborazione dei cambiamenti, delle perdite e dei lutti, senza tuttavia sottovalutare l’importanza di attivare processi di innovazione culturale rispetto alla concezione dell’età anziana ed alla possibilità di invecchiare in benessere.

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3) I disabili adulti

Ulteriore aspetto delle strategie di intervento di natura domiciliare è riferito ai soggetti disabili adulti prevalentemente a carico delle famiglie.

Sul territorio sono presenti un numero significativo di disabili per i quali non è attivo nessun progetto di intervento individualizzato: si tratta di adulti che hanno terminato il percorso scolastico, che non sono inseriti in servizi specifici e che non sono stati avviati ad attività lavorative. Vi sono anche molte situazioni di persone che, pur in presenza di progetti di inserimento nella rete dei servizi per la disabilità o di percorsi lavorativi, si ritrovano prive di reti amicali in grado di garantire la possibilità di vivere esperienze significative e stimolanti nel tempo libero.

In molti casi si tratta di persone che non sono mai state seguite dai servizi specialistici o che hanno perso da tempo il contatto con gli operatori. Infatti, appare problematico l’affiancamento della presa in carico di disabili adulti da parte di un servizio che possa seguire con continuità e competenza specifica gli stessi e le loro famiglie, come avviene più facilmente durante l’età evolutiva da parte del servizio di NPI.

D’altro canto emerge che spesso, sono i genitori stessi che tendono ad isolarsi, a rifiutare l’interazione con i servizi e a limitare le opportunità di contatto con la realtà esterna dei figli stessi.

Si rileva inoltre che spesso l’isolamento e un supporto farmacologico non calibrato sulle necessità e sulla realtà globale della persona (in età adulta ma non solo), accentuano ed amplificano la portata di problemi comportamentali (aggressività/ demotivazione), inficiando di conseguenza ulteriormente le opportunità sociali e riabilitative del soggetto.

In altri casi, tuttavia la possibilità di autonomia dalla famiglia è condizionata: dalla gravità della patologia, da carenze educative, familiari ed ambientali ed inoltre la diversità attiva un atteggiamento di protezione volto a garantire cure ed assistenza in parte necessarie ed in parte esito di preconcetti.

In assenza di progetti individualizzati che vedano i soggetti disabili occupati e coinvolti in attività territoriali, assumono maggiore rilevanza anche altre criticità.

Tra i problemi evidenziati dal gruppo sicuramente l’affettività e la sessualità rappresentano questioni impegnative da gestire nel quotidiano. Capita spesso che i genitori e/o il contesto sociale non siano in grado di comprendere e gestire adeguatamente le problematiche legate a queste sfera della vita, che i disabili manifestino senza freni inibitori i propri impulsi sessuali e/o che siano oggetto di avances o veri e propri approcci sessuali da parte di approfittatori.

In molte situazioni, inoltre, la vicinanza e la frequentazione esclusiva e costante tra genitori e figli contribuiscono a creare e consolidare dinamiche relazionali problematiche, che non favoriscono l’autonomia del soggetto e che espongono invece al rischio di un inserimento in età avanzata negli istituti, perché non sono più in grado di farsene carico o perché esplodono problematiche relazionali mai affrontate (es: aggressività agita).

Le riflessioni maturate portano ad ipotizzare che i problemi evidenziati siano connessi alla mancata elaborazione di alcune dimensioni ed al fatto che non vengano presidiate alcune fasi potenzialmente critiche della storia individuale e familiare della persona disabile.

Sembrano emergere delle connessioni tra i seguenti fattori: - le modalità con cui viene affrontata e gestita la fase di diagnosi; - l’accettazione della disabilità dei figli; - la possibilità /capacità di cogliere non solo gli aspetti di limite; - la tendenza ad isolarsi.

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Un altro elemento di fragilità rispetto alla possibilità che si concretizzino progetti di autonomia è determinato dal fatto che difficilmente le famiglie hanno intrapreso un cammino che aiuti loro e i propri figli disabili verso una dimensione adulta.

Rispetto invece al ruolo dei servizi si ipotizza che la mancanza di collegamento e di continuità educativa ed assistenziale tra servizi di varia tipologia e tra istituzioni e realtà territoriali rappresenti un elemento di rischio di isolamento ed istituzionalizzazione del disabile.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� coinvolgere le varie realtà territoriali per giungere ad una conoscenza più precisa del numero e delle situazioni di disabili adulti non seguiti dai servizi;

� presidiare il passaggio dalla gestione dei casi da parte del servizio di Neuro Psichiatria Infantile al CPS ed il collegamento tra scuola/ servizi e territorio per garantire continuità nella presa in carico specialistica e nella attuazione del progetto individualizzato;

� promuovere progetti che mirano al graduale allontanamento dal nucleo familiare attraverso opportunità differenziate quali sollievo, percorsi che portino alla micro residenzialità temporale, individuazione di ambiti di residenzialità nel territorio in cui vive il disabile;

� costituire una banca dati dinamica su risorse formali e informali per consentire di individuare gli interventi collegati alle necessità e interessi previsti nel progetto individualizzato;

� sviluppare interventi di rete capaci di “utilizzare” tutti i servizi attivi sul territorio, collegando le offerte delle associazioni e cooperative;

� investire su modalità che portino alla costruzione di relazioni di fiducia tra operatori e le famiglie; � avviare un lavoro di sensibilizzazione culturale rivolto alle famiglie, ai disabili ed al contesto territoriale che porti

nella direzione di riconoscere, valorizzare i bisogni e le capacità dei soggetti disabili e alla promozione della persona pur considerandone i limiti.

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DALLA VULNERABILITA’

ALL’AUTONOMIA

1) Problematiche abitative

A) Assegnazioni temporanee di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica Gli edifici di edilizia popolare (case ALER e comunali) disponibili per l’assegnazione sono insufficienti, rispetto alle richieste sempre in continuo aumento e questo anche quale conseguenza del fatto che i regolamenti ALER e Comunali prevedono i criteri per l’assegnazione degli alloggi e di decadenza dal diritto di abitarli, ma non viene progettata, né rappresentata agli utenti l’uscita dalla casa e le verifiche sull’evoluzione socio-economica della famiglia mirano esclusivamente alla determinazione dell’adeguamento del canone abitativo.

Di fatto, anche gli operatori si ritrovano a dire a chi è in emergenza sociale temporanea che non ci sono case disponibili a causa dell’estrema difficoltà legata al dover affrontare la scelta difficile ed impopolare di chiedere a una famiglia che da tempo risiede in una casa popolare di lasciare libero l’alloggio.

Nei pochi casi di assegnazione di alloggi di emergenza si verifica una erronea considerazione degli stessi come case popolari e viene meno il criterio di stretta temporaneità con cui sono stati pensati gli interventi.

La situazione è segnata anche dal fatto che ci sono case comunali e di proprietà ALER non assegnabili perché necessitano di lavori di ristrutturazione; inoltre non tutti i comuni hanno case popolari disponibili in modo proporzionato al numero di abitanti.

Si ipotizza che gli operatori considerino la problematica abitativa come aspetto a se stante, scollegato dalle altre sfere di vita della persona che non vengono monitorate adeguatamente.

Il confronto tra i soggetti impegnati sul tema ha posto in luce alcuni elementi positivi da valorizzare quali risorse a sostegno di una possibile progettualità:

- la diocesi ha alcune case di proprietà che sceglie di destinare all’accoglienza; - sono state realizzate alcune sperimentazioni di alloggi a canone moderato; - è in corso di realizzazione, nella città di Crema, un progetto innovativo a livello nazionale di housing

sociale promosso dalla Fondazione Housing Sociale; - sono presenti per la gestione delle emergenze Case di Accoglienza.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� promuovere soluzioni di risposta temporanea mediante interventi sia di impostazione culturale sia di natura organizzativa;

� favorire la creazione di un tavolo distrettuale temporaneo che metta a punto un progetto che preveda la reale attuazione di strategie finalizzate all’introduzione della temporaneità nei processi di assegnazione degli alloggi erp;

� potenziare l’offerta di risorse abitative anche temporanee laddove si renda necessario misurare la capacità di tenuta del soggetto.

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B) Promozione dell’ accesso al mercato privato della locazione Dall’analisi dei dati di contesto emerge che i proprietari delle case non affittano volentieri a certi target di persone: immigrati, persone con problemi di salute mentale, categorie “economicamente deboli” come le donne sole con bambini che fanno fatica a sostenersi, persone con un percorso di vita “irregolare”.

I proprietari delle case hanno vissuto in gran parte esperienze di poco guadagno se non addirittura di perdita quando hanno affittato le case a persone “in difficoltà”. I costi per i proprietari sono alti quando la casa viene lasciata “in pessime condizioni” o quando l’affittuario non paga e per avviare la procedura di sfratto sono necessarie ulteriori spese legali.

Persone socialmente fragili che escono da percorsi di accoglienza riescono, mediante opportune azioni di supporto, ad accedere ad alloggi privati, ma fanno poi fatica di fatto a conservarli: sembra mancare un accompagnamento globale verso l’autonomia delle persone che consideri tutte le sfere della loro vita.

Inoltre, la presa in carico del problema è prevalentemente da parte dei servizi pubblico – privati professionali, manca un’attivazione più ampia delle reti di sostegno comunitarie: si investe sul “caso” e sull’urgenza della prima accoglienza, meno sulla “terza accoglienza”, cioè su coloro che ormai sembra riescano a conservare un alloggio e avere una vita autonoma, ma manifestano un bisogno di contenimento -sostegno-supporto e di vicinanza da parte di persone appartenenti al medesimo contesto territoriale, per sostenere la loro vita nel tempo e non ricadere nel disagio.

Si ipotizza che i proprietari degli alloggi siano in gran parte molto distanti dai problemi abitativi per queste categorie di persone, e non si sentano corresponsabili e quindi che non esista ancora una cultura condivisa della responsabilità sociale.

Si ipotizza inoltre che i proprietari non si sentano sufficientemente “garantiti”, non solo economicamente, e adeguatamente supportati da pubblico e privato sociale coinvolti nella problematica.

D’altro canto, il confronto tra i soggetti impegnati sul tema ha posto in luce alcuni elementi positivi da valorizzare quali risorse a sostegno di una possibile progettualità:

- la disponibilità di case private sfitte con dichiarazione di interesse da parte delle associazioni dei proprietari di giungere ad accordi a determinate garanzie e mediazioni del pubblico e del privato sociale rispetto alle condizioni economiche e alla temporaneità dell’intervento;

- sono in atto percorsi di monitoraggio-sostegno di esperienze di persone fragili in affitto da privati, dando garanzie e facendo opera di mediazione;

- strutture per l’accoglienza e associazioni di volontariato hanno sottoscritto contratti di affitto ponendosi come garanti per persone fragili, di cui hanno monitorato e sostenuto il percorso di vita;

- sono presenti sul territorio realtà che si impegnano nel reperimento di alloggi per i propri assistiti; - sono inoltre presenti studi di professionisti che offrono consulenze gratuite rispetto alle

problematiche abitative.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� sensibilizzare la cittadinanza ad una cultura della responsabilità sociale; � promuovere percorsi di confronto con gli operatori del settore (associazioni dei proprietari, associazioni degli

inquilini, agenzie immobiliari, …) per la costruzione di protocolli di lavoro congiunto; � individuare i soggetti che possano fare da interlocutori-mediatori con i proprietari non solo alla stipula del

contratto ma anche in itinere durante la conduzione dell’alloggio.

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C) Sistema di credito e problematiche di vulnerabilità sociale L’ analisi effettuata all’interno del gruppo di lavoro ha permesso di far emergere come le agenzie di credito parlano un linguaggio molto lontano da quello delle persone, faticano a riconoscere la condizione di crisi dei propri interlocutori e ad agire in modo conseguente. La realtà bancaria locale raramente ha un atteggiamento di corresponsabilità verso le problematiche sociali che caratterizzano il contesto territoriale di appartenenza. In una dimensione prevalentemente finalizzata al profitto, il soggetto fragile è sottoposto a fattori di rischio e a possibili esposizioni: spesso le persone, soprattutto straniere, si impegnano in mutui insostenibili e poi entrano in meccanismi di prestito gravosi, perché non trovano altri aiuti, né riescono ad uscire autonomamente dalla situazione di estrema difficoltà.

Gli enti locali e i soggetti del terzo settore non sono abituati a considerare le agenzie di credito come possibili interlocutori rispetto ai problemi sociali. Limitate sono le azioni di collegamento, anche relazionale, con i referenti delle agenzie di credito, perché ci sia collaborazione a beneficio del territorio in campo sociale e per una sensibilizzazione delle banche locali in progetti di emancipazione territoriale. In questa prospettiva si giustifica il fatto che i progetti della Banca Etica presente sul territorio siano poco conosciuti e scarsamente diffusi.

Alla luce di quanto detto, si ipotizza che le banche sul territorio non siano state sufficientemente sensibilizzate e coinvolte e che non ci sia stato negli anni un processo di avvicinamento e di riflessione comune che permettesse di sviluppare una cultura di azione sociale condivisa.

Alcune esperienze positive dimostrano che banche sensibilizzate possono intervenire a sostegno di determinate categorie di persone, anche solo attraverso l’impiego di modalità comunicative accessibili e fornendo consulenza alla persona perché la stessa sia messa nelle condizioni ottimali di assumere degli impegni economici sostenibili e realistici rispetto alla propria condizione. Si rileva inoltre la possibilità di agire affinché le risorse che gli istituti di credito destinano alla promozione della propria immagine siano valorizzate nel campo del sociale:

- sono attive associazioni di consumatori che forniscono consulenze individualizzate e gratuite in relazione alle tematiche connesse alla componente di gestione economica;

- è in atto una promozione di azioni di sensibilizzazione e di gestione “etica” del risparmio; - è conosciuta l’esperienza di patronati che svolgono un lavoro di mediazione con le banche; - sono state avviate sperimentazioni di sostegno per la spesa della casa in affitto.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� creare spazi di collaborazione strutturata tra l’ente pubblico e le agenzie di credito presenti sul territorio, affinché dal confronto sulle situazioni di fragilità, si sviluppi un’abitudine a progettare insieme forme di sostegno e di aiuto;

� promuovere la conoscenza e lo sviluppo delle logiche di fondo e della possibile attuazione del credito etico; � sollecitare le agenzie di credito affinché possano essere predisposti, in collaborazione con l’ente locale e le

agenzie del territorio, progetti di emancipazione sociale, anche attraverso la valorizzazione dei budget che la banca ha a disposizione per “azioni sociali”.

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2) Problematiche occupazionali

La crisi socioeconomica in atto ha soltanto reso più complessa una problematica che già da tempo vede coinvolta la fascia di popolazione più fragile e vulnerabile in relazione alla sfera occupazionale. Questi soggetti sono quindi ancora più deboli rispetto al proprio sostentamento, alla cura dei propri familiari, alla realizzazione di sé, all’autonomia presente e futura che passa necessariamente attraverso l’inclusione sociale e la dignità di sentirsi parte dei processi produttivi.

Dal confronto emerge che sono molto diffuse nelle realtà profit prassi secondo cui, anche laddove ci sarebbe l’obbligatorietà di assunzione per certe categorie svantaggiate, si preferisce pagare la sanzione prevista dal non adempimento dell’obbligo di legge, pur di non farsi carico di soggetti problematici a vari livelli. Emergono una serie di criticità quali: • “ritardo” culturale nel promuovere formule e strategie di coinvolgimento del mondo delle imprese profit

per una riflessione congiunta con gli Enti Pubblici in relazione alla tematica del lavoro per i soggetti svantaggiati;

• debole integrazione tra il sistema pubblico e il privato sociale con conseguenti carenze della rete in termini di informazione, condivisione di metodologie, di linguaggi e di progettualità;

• crescita esponenziale del target di riferimento connesso alla presa in carico di fasce sempre più ampie di fragilità.

Si ipotizza che tale atteggiamento sia conseguenza di una mancata sensibilizzazione e del non coinvolgimento delle imprese produttive da parte dei soggetti pubblici e del privato sociale, in possesso questi di risorse e conoscenze tali da rendere i percorsi davvero integrati e allontanare così il rischio di atteggiamenti espulsivi e/o di emarginazione sociale. Si ipotizza infine che un miglioramento qualitativo dei processi già in atto e una condivisione integrata di progettualità possano far assumere agli operatori coinvolti il passaggio da una logica ancora fortemente assistenzialista verso un approccio nella linea della Responsabilità sociale. D’altro canto, il confronto tra i soggetti impegnati sul tema, ha posto in luce alcuni elementi positivi da valorizzare quali risorse a sostegno di una possibile progettualità:

- il Servizio di Inserimento Lavorativo e il Gruppo di Coordinamento delle realtà del privato sociale che si occupa di inserimento lavorativo è una realtà consolidata del territorio;

- la Cooperazione Sociale svolge un ruolo decisivo sia nella fase progettuale sia come sbocco occupazionale per i soggetti emarginati dal mercato ordinario;

- la Provincia di Cremona, in particolare l’Ufficio Collocamento Disabili, è un punto di riferimento per quanto riguarda l’inserimento lavorativo dei disabili;

- presenza di alcune aziende profit che già collaborano all’inclusione di persone fragili nel mondo del lavoro;

- attivazione di alcuni canali di finanziamento da parte della Fondazione Comunitaria della Provincia di Cremona e della Fondazione Cariplo che mettono a disposizione fondi per progetti di inclusione nel mondo del lavoro;

- esperienze formative di tutor aziendali finalizzate all’inserimento lavorativo di soggetti fragili. Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� coinvolgere in modo diretto le Amministrazioni Pubbliche in scelte progettuali e politiche sociali fondate sulla responsabilità sociale;

� attivare iniziative di sensibilizzazione per promuovere una nuova impostazione culturale che possa riconsiderare lo svantaggio anche nella sua dimensione di possibile risorsa;

� sensibilizzare le aziende profit attraverso l’individuazione di modalità operative per l’aggancio progettuale delle associazioni di categoria;

� potenziare il Servizio di Inserimento Lavorativo e allargare/potenziare il Gruppo di Coordinamento in atto; � rafforzare ed incrementare la formazione e la disponibilità di tutor aziendali; � operare per una maggiore convergenza tra gli operatori del settore, attivando un miglior collegamento con i

servizi specialistici; � orientare risorse economiche verso progettualità territoriali per la ricerca di nuove fonti di finanziamento.

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3) Interventi a contrasto all’emarginazione sociale

Dall’analisi dei dati condivisi dai partecipanti del gruppo e dai dati delle strutture di accoglienza del territorio, emerge che la vulnerabilità sociale di molte persone è strettamente connessa alla condizione di solitudine, isolamento, abbandono. Questa condizione coinvolge uomini e donne usciti da percorsi di accoglienza, anche portati a termine in modo positivo, uomini e donne che vivono fenomeni quali violenza, sfruttamento, prostituzione e tratta; donne maltrattate tra le mura di casa senza rete di supporto; nuclei familiari multiproblematici che non trovano una chiara presa in carico.

La presente progettualità concentra la propria azione in relazione a soggetti multi problematici in strada, con particolare riferimento alle categorie di prostitute, tossicodipendenti di strada e senza fissa dimora. Dai racconti dei membri del gruppo che si sono trovati a contatto con queste persone emergono vissuti di grande sofferenza e abbandono, aggravati dall’estrema solitudine esistenziale. Emerge inoltre che gli interventi dei privati o delle organizzazioni del terzo settore sono spesso deboli e ancora poco efficaci. Si rileva che queste situazioni rimangono in una condizione di scarsa visibilità, tale da non essere percepite dai servizi pubblici “strutturati”, mentre vengono intercettate talvolta dalle organizzazioni di terzo settore che agiscono in modo informale e flessibile “su spinta” solidale, dettata dall’emergenza, dalla prossimità e dal contatto diretto con queste persone. Il problema viene trattato da parte del terzo settore a livello solidaristico, senza adeguati supporti e agganci con i servizi pubblici.

Si ipotizza che a livello culturale ci sia una tendenza diffusa all’occultamento di realtà complesse e difficili in grado di mettere a nudo alcuni malfunzionamenti della nostra società. Da qui sembra derivare la scarsa visibilità e la difficoltà a dare dimensione al fenomeno, affrontato dalle organizzazioni di terzo settore, ma non sempre con una sufficiente forza di “restituzione” alla collettività, tale da sviluppare azioni di Responsabilità sociale.

Il confronto tra i soggetti impegnati sul tema ha posto in luce alcuni elementi positivi da valorizzare quali risorse a sostegno di una possibile progettualità:

- unità di strada e con attività di drop in; - attività di primo contatto con vittime della prostituzione in strada e percorsi di fuoriuscita dal

circuito; - centri di ascolto.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi :

� favorire una cultura, a tutti i livelli, improntata alla responsabilità sociale e quindi alla conoscenza del fenomeno ed al coinvolgimento attivo per la presa in carico dello stesso;

� fornire una rappresentazione visibile del problema che favorisca una maggior permeabilità tra inclusione ed esclusione;

� rafforzare ed implementare le organizzazioni di terzo settore che forniscono le risposte attraverso una stretta collaborazione con i servizi pubblici.

4) Disagio psichico: conoscenza e promozione

A) Conoscere il disagio psichico L’attività di confronto pone in evidenza la limitata conoscenza dei fenomeni connessi alle problematiche di soggetti con disturbi di salute mentale. La comunità locale ha poche informazioni, vive il disagio mentale come una minaccia di cui aver paura, non possiede modalità relazionali e tende all’isolamento. Emerge la quasi totale mancanza di azioni di sensibilizzazione “culturale” finalizzata a far conoscere i problemi delle persone con disagio psichico e le loro risorse. Azioni, quali cineforum, convegni, esperienze di volontariato, intraprese per favorire la conoscenza di altre problematiche o altre forme di disabilità, non sono mai state realizzate in modo significativo per una promozione della conoscenza del disagio psichico.

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In questo contesto si verifica di conseguenza che molte famiglie di soggetti con disagio psichico si ritrovano a vivere una condizione di “chiusura nel proprio problema”. Si ipotizza che anche le famiglie con congiunti con problemi di salute mentale, vivano a loro volta una situazione di limitata informazione, non vedendo nell’associazionismo una possibilità di confronto e di aiuto per la loro fragilità. Si ipotizza, inoltre, che il tema della salute mentale non catalizzi ancora un interesse “culturale” diffuso perché le agenzie di informazione o non trattano il tema o ne riportano solo gli aspetti più eclatanti connotandoli spesso negativamente in occasione di eventi o circostanze tragiche.

Si rilevano, di contro, alcune buone esperienza che già operano in relazione alla problematica: - presenza di associazioni di volontariato che sul territorio offrono occasioni di vacanza comunitaria e

tempo libero con volontari in prevalenza per disabili ma anche per soggetti multiproblematici; - presenza sul territorio distrettuale di cooperative sociali che lavorano su progetti di organizzazione del

tempo libero a favore di soggetti con problematiche connesse alla salute mentale. Si cita a tal proposito la collaborazione tra pubblico e privato sociale per la realizzazione del progetto “Casa tra la gente”;

- presenza di un’associazione di familiari di soggetti con disagio psichico che si impegna in un’azione di auto-mutuo aiuto.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� promuovere una cultura rivolta all’inclusione sociale attraverso l’informazione (convegni, testimonianze, cineforum…);

� favorire l’inclusione sociale attraverso iniziative che realizzino esperienze di condivisione uscendo dalla cultura che prevede solo il “servizio ad hoc” per chi ha problemi di salute mentale;

� promuovere in collaborazione con le scuole esperienze che facciano conoscere agli studenti la tematica della salute mentale;

� sostenere le realtà di volontariato, associazioni e cooperative sociali che sul territorio si occupano di malattia mentale affinché promuovano esperienze di confronto e condivisione sul tema.

B) Situazioni multiproblematiche Le persone che presentano problematiche su più versanti rendono difficile l’attribuzione chiara ad un unico servizio, proprio perché la multi problematicità, per essere compresa, chiama in gioco diversi interlocutori. Ciò comporta che questi soggetti vivano continui invii da un servizio all’altro con effetti di disorientamento. E’ molto forte il modello di lavoro professionale, l’appartenenza e la specializzazione e appare difficile la collaborazione tra mondo “sociale” e “sanitario” per logiche e linguaggi tradizionalmente distanti, che faticano ad incontrarsi, chiarirsi, integrarsi su un terreno comune. La famiglia non si sente sufficientemente “seguita” nel tempo e nella sua quotidianità da referenti ben individuati, spesso non sa dove aggrapparsi e cerca di ricorrere ad altri “specialisti”. Si ipotizza che la logica delle ripartizioni e della specializzazione sia forte perché il pensare la persona nella sua globalità comporta il rivedere l’approccio dei vari attori, andando oltre il proprio ruolo e/o i propri confini professionali.

Si crede inoltre che gli operatori siano molto identificati con l’emergenza e con la fase acuta e che questo non consenta la continuità di intervento nelle fasi successive. Si ipotizza infine che in alcuni casi prevalga un criterio riferito alle risorse economiche nella scelta di attribuzione della problematica complessa ad un servizio a scapito del reale bisogno della persona. Si rilevano quindi le seguenti criticità: carenze nel sistema di informazione; l’associazionismo in area psichiatrica è molto debole ed i familiari faticano ad uscire da una logica difensiva del loro problema; scarsa conoscenza e condivisione tra l’offerta di servizi e alcune progettualità innovative.

Si rilevano, di contro, alcune buone esperienza che già operano in relazione alla problematica:

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- collaborazione tra i servizi del territorio, in particolare CPS (progetto “Casa tra la Gente”), servizi sociali comunali, Comunità Sociale Cremasca (nello specifico il SIL), cooperative sociali nella realizzazione di alcuni percorsi progettuali per un’azione integrata tra servizi, nell’ottica del lavoro di rete;

- realtà di volontariato interagiscono con il CPS ed i servizi sociali territoriali nell’attivazione di alcuni percorsi integrati;

- presenza sul territorio di un’associazione di familiari di pazienti con disagio psichico che si impegna in un’azione di auto-mutuo aiuto.

Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� promuovere una ricomposizione della frammentarietà di intervento, a partire da una visione globale della persona portatrice di diversi bisogni, grazie ad un nuovo confronto tra i servizi, gli operatori ed i familiari;

� costruire le condizioni socio–organizzative affinché i servizi del territorio e le realtà locali lavorino secondo percorsi integrati;

� favorire modelli di tutoraggio “informale” per un accompagnamento nella fasi poste acute e nella normalità di vita.

C) Percorsi di sollievo e per il “dopo di noi” Dai racconti del gruppo emerge che le famiglie delle persone con problemi di salute mentale hanno scarse possibilità di avere un sollievo e i loro figli hanno scarse opportunità di fare esperienze di vita autonoma. I familiari delle persone con problemi di salute mentale non sono sereni rispetto al “dopo di noi”. Dagli operatori e dalle famiglie emerge la necessità di promuovere progettualità su percorsi volti alla progressiva acquisizione di autonomia di questi soggetti e di conseguenza spazi di sollievo per la famiglia. Si rileva inoltre che, ad oggi, non sono state attivate modalità di lavoro adeguate per il coinvolgimento dei familiari nella costruzione di soluzione condivise per il “dopo di noi”.

Nella prospettiva del “dopo di noi” le famiglie si scontrano con una realtà sociale troppo selettiva, nella quale ad esempio i privati non sempre sono disponibili ad affittare case a persone con fragilità di questo tipo e il mondo del lavoro offre ancora scarse possibilità di rendersi autonomi. Si ipotizza che la famiglia della persona con problemi di salute mentale sia ancora poco considerata dai servizi come soggetto attivo dell’azione. Si ipotizza che spesso la famiglia sia resistente nel fare in modo che altri si occupino dei loro figli perché ciò significherebbe rendere visibile il problema che li affligge.

Si rilevano, di contro, alcune buone esperienze che già operano in relazione alla problematica: - presenza sul territorio di un’associazione costituita da famiglie con congiunti che presentano problemi

psichici che sensibilizza e offre occasioni di auto-mutuo-aiuto; - progetti promossi dal CPS e finalizzati a rinforzare i supporti “informali” per la famiglia. Alla luce di quanto detto, si definiscono i seguenti obiettivi:

� sostenere sul territorio associazioni, cooperative, parrocchie perché in collaborazione con i servizi, in particolare con il CPS, possano pensare ad un percorso con i genitori per elaborare il loro diritto a spazi di sollievo ed il diritto dei propri congiunti a fare esperienze graduali di distacco e di vita autonoma;

� coinvolgere e sensibilizzare privati affinché affittino abitazioni a persone con fragilità mentali dando loro idonee garanzie dal punto di vista economico e dal punto di vista del sostegno;

� istituire un gruppo di lavoro stabile con figure designate da varie agenzie che lavorano sulla problematica della fragilità mentale che si confrontino sulle soluzioni residenziali individuate per persone con problemi psichiatrici e per l’attivazione di interventi idonei di sostegno e monitoraggio;

� sensibilizzare medici di base, parroci e altri possibili interlocutori quali soggetti che, unitamente ai servizi sociali, intercettano i familiari che non riescono più ad andare avanti perché li accompagnino a chiedere aiuto e a uscire da una condizione di isolamento e di non rilevanza/conoscenza per i servizi.

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7. Continuità e consolidamento

L’Ufficio di Piano ha attuato una revisione delle attività consolidate a livello distrettuale per una valutazione di quanto realizzato nei precedenti trienni di programmazione e per avviare una fase di riprogettazione che possa favorire un consolidamento costruttivo, evitando di stratificare l’esistente.

A) SERVIZIO SOCIALE PROFESSIONALE - SEGRETARIATO SOCIALE

on il nuovo piano di Zona, a partire dal lavoro di confronto, si vuole valorizzare nuovamente il contributo alla riflessione sviluppato dalle coordinatrici tecniche di sub ambito e mettere a tema alcune questioni fondanti il lavoro sociale nel nostro territorio.

Si ripercorrono le tappe principali nelle quali si è delineato il servizio sociale all’interno dei Piani di Zona e si riprende poi il quadro concettuale di riferimento per il lavoro sociale per giungere, infine, alla fotografia della situazione esistente e delle possibili prospettive di sviluppo.

Il sistema di welfare negli ultimi anni è stato investito da mutamenti sul piano normativo, organizzativo e formativo. La fase che attualmente sta attraversando i Servizi Sociali è contrassegnata da forti cambiamenti sul piano sociale e legislativo. In particolare la legge 328/2000 ha modificato il mandato istituzionale attribuito ai servizi a livello generale e locale; la legge sottolinea l’importanza di un sistema integrato d’interventi e servizi alla persona e alla famiglia e la pianificazione zonale diventa lo strumento per una programmazione partecipata dei vari soggetti presenti nella comunità. In questo contesto di grandi mutamenti il nostro distretto ha individuato un proprio percorso che ha visto la realizzazione di un modello organizzativo a rete e gli Assistenti Sociali quali attori, protagonisti impegnati in prima persona nel cambiamento. Sia il primo (2003-2005) sia il secondo (2006-2008) Piano di Zona del nostro distretto si sono caratterizzati per l’assetto organizzativo creato sul territorio e per il risalto dato al Servizio Sociale Professionale. I sub ambiti, costituiti dal comune capofila e da cinque aggregazioni di Comuni, sono stati ritenuti funzionali all’implementazione delle politiche sociali di Piano.

Il Servizio Sociale Professionale è stato riconosciuto come strumento capace di promuovere il cambiamento nel livello locale e dare attuazione alle politiche sociali zonali. Fra le azioni prioritarie già del primo Piano di Zona sono stati previsti l’ampliamento, il consolidamento, la qualificazione del Servizio Sociale.

Obiettivi che si sarebbero dovuti declinare nel: � garantire il raggiungimento ed il mantenimento dello standard di presenza di personale

definito nel rapporto di un Assistente Sociale ogni 5.000 abitanti in tutti i 48 comuni del distretto. Tutto ciò presupponendo che un numero adeguato di operatori fosse la precondizione per l’avvio di interventi e servizi in ambito sociale;

� stabilizzare i contratti degli operatori; � confermare e sviluppare la dimensione del coordinamento tecnico di sub ambito e distrettuale

mediante il riconoscimento dei ruoli relativi; � definire percorsi formativi, di supervisione e di accompagnamento per la crescita continua

dell’identità professionale. Per questo ogni amministrazione comunale è stata incentivata, con contributi finalizzati, a dotarsi di un operatore ogni 5.000 abitanti.

C

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Nelle tabelle che seguono si evidenziato i cambiamenti introdotti.

Tab. 1: presenze assistenti sociali anno 2003 (prima dell’avvio del pdz)

Bagnolo Castelleone Pandino Sergnano Soncino Crema Distretto

Tempo Ind.to 1 1(+1) 3 2 4 6 (+1) 16

Tempo det.to 1 1 1 0 0 0 4

Collaboratori 4 0 1 3 0 0 7

Interinali 0 2 0 0 0 0 2

Consulenti 0 1 0 0 1 0 1

Totale as 1 6 5 (+1) 5 5 4 6 (+1) 29

ORE 146 131 174 103 128 216 898

Ab. 2003 23.500 19.983 31.176 15.336 23.415 33.223 146.633

AS/Abit. 0,86 0,91 0,77 0,93 0,75 0,90 0,86

Tab. 2: presenze assistenti sociali anno 20052 Bagnolo Castelleone Pandino Sergnano Soncino Crema Distretto

Tempo Ind.to 2 1 (+1) 3 (+1) 2 3 (+1) 6 (+1) 15

Tempo det.to 2 2 4 0 2 0 10

Collaboratori 2 0 2 3 0 2 11

Interinali 0 0 0 0 0 0 0

Consulenti 0 1 0 0 1 0 2

Totale as 3 6 4 (+1) 7 (+1) 5 5 (+1) 8(+1) 37

ORE 146 139 210 103 180 251 1.029

Ab. 2003 23.500 19.478 32.946 17.551 24.752 33.486 151.713

AS/Abit. 0,86 0,99 0,88 0,81 1,01 1,04 0,94

Tab. 3: presenze assistenti sociali anno 2008

Bagnolo Castelleone Pandino Sergnano Soncino Crema Distretto

Tempo Ind.to 2 1 (+1) 5 (+1) 2 5 (+1) 5 (+1) 20

Tempo det.to 2 4 2 1 1 2 12

Collaboratori 1 0 0 1 0 0 2

Interinali 0 0 1 0 0 0 1

Consulenti 1 0 0 0 0 1 2

Totale as 4 5 5 (+1) 8 (+1) 4 6 (+1) 8 (+1) 36

ORE 156 146 230 128 182 250 1.092

Ab. 2003 22.797 20.896 34.232 19.994 24.893 33.415 156.227

AS/Abit. 0,95 0,97 0,935 0,88 1,01 1,03 0,97

1 Il numero degli operatori non coincide con la somma degli operatori suddivisi per tipologia contrattuale in quanto possono coincidere 2 I Comuni di Castelleone, Pandino e Soncino fino al 2005 avevano un operatore dedicato per n. 18 ore al Coordinamento e dal 2005 lo stesso operatore è dedicato a tempo pieno a funzioni di coordinamento, sia interne all’ente sia per il sub ambito; il Comune di Crema, già nel 2003, aveva un operatore dedicato a tempo pieno a funzioni di coordinamento; il Comune di Bagnolo Cr. dedica 16 ore al coordinamento ed integra la presenza dell’assistente sociale con un secondo operatore per un numero pari di ore; il Comune di Sergnano dedica 12 ore al coordinamento di sub ambito. 3 Il numero degli operatori non coincide con la somma degli operatori suddivisi per tipologia contrattuale in quanto possono coincidere 4 Il numero degli operatori non coincide con la somma degli operatori suddivisi per tipologia contrattuale in quanto possono coincidere 5 Si segnala che due Comuni sono sopra standard per un totale di 10 ore; ne deriva che la media di sub ambito è sovra stimata.

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Il dato più evidente è l’incremento nel numero degli operatori presenti sul territorio e il progressivo avvicinamento allo standard.

Entrando nel dettaglio dei dati e delle realtà dei sub ambiti, rileviamo però che: � in alcuni casi vi è stato un elevato turn over di operatori � vi sono contratti a tempo parziale � è presente tuttora il ricorso a contratti con cooperative a costi eccessivamente bassi � permangono presenze al di sotto dello standard nonostante i trasferimenti economici del

primo triennio siano stati dedicati esclusivamente a tale obiettivo, come si evince dalla tab. 4.

Tab. 4: risorse trasferite ai comuni per s.s.p. – anni 2003-2007 2003 2004 2005 2006 2007

Pandino € 66.024,00 € 33.372,89 € 20.634,51 € 23.760,00 € 24.624,00 Sergnano € 28.190,00 € 16.314,99 € 10.087,59 € 19.260,00 € 19.440,00 Bagnolo C. € 27.636,00 € 25.155,97 € 15.553,99 € 20.808,00 € 21.168,00 Soncino € 54.750,00 € 25.065,00 € 15.497,73 € 22.104,00 € 22.464,00 Castelleone € 38.304,00 € 21.391,15 € 13.226,18 € 20.268,00 € 21.600,00 Crema € - € - € 10.000,00 € 24.660,00 € 22.464,00

I fondi del primo triennio sono stati destinati al raggiungimento dello standard di 1 operatore ogni 5.000 abitanti e quindi la somma assegnata era finalizzata a coprire la spesa per gli operatori da assumere ex novo. Negli anni successivi sono stati finalizzati a coprire le ore dedicate al coordinamento di sub ambito in ragione di 18 ore settimanali per operatore, e le ore degli operatori dedicate a riunioni di coordinamento. Dall’anno 2003 si sono iniziati a sperimentare anche ruoli di coordinamento tecnico coincidenti con i sub ambiti, per creare un livello intermedio ed una vicinanza tra bisogni e risorse, problemi e mandato istituzionale, livello locale e distrettuale, in un continuo excursus di contrattazione e mediazione. Grazie ai luoghi di coordinamento, gli assistenti sociali possono contare su spazi di confronto e di progettazione. Con il coordinatore di sub ambito si crea quella figura tecnica che ha uno sguardo ampio sul cambiamento, sulla pianificazione zonale e, contemporaneamente, un occhio attento al livello locale ed una capacità gestionale su un livello territoriale più omogeneo e di dimensione ideale.

Il percorso di preparazione al Piano di Zona ha portato alla consapevolezza che oggi viviamo in una società in continua evoluzione, una società complessa che presenta grandi attese create sia dal progresso tecnologico, sia da un’economia di mercato che propone nuovi stili di vita orientati ad aspettative di benessere ed accesso ai beni e servizi. Contemporaneamente si assiste ad una trasformazione ed articolazione della domanda “assistenziale” di cui singoli cittadini e gruppi sociali sono portatori. Quello che alcuni autori hanno definito “la società del rischio” sembra produrre una dilagante fragilità sociale che gli individui avvertono e presentano sotto forma di disagi, non sempre leggibili attraverso le categorie concettuali sino ad oggi utilizzate. La domanda aumenta a fronte di sempre minori risorse economiche: problemi da riformulare, da costruire nell’interazione di diversi sguardi, da comprendere e successivamente affrontare anche con nuove metodologie e strumenti di lavoro.

Matura l’idea che il benessere debba essere espressione della società e che i destinatari dei programmi debbano essere sostenuti in un ruolo più attivo. In tale nuovo assetto le politiche sociali non coincidono più con le sole politiche pubbliche, la politica sociale deve divenire una funzione sociale diffusa: accompagnare la società nel cambiamento deve essere un obiettivo condiviso. I servizi sociali e il lavoro degli operatori sociali dei comuni del distretto cremasco, fanno riferimento al quadro e alla storia sopra descritti, ma non sono estranei ad influenzamenti che

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derivano da processi politici, sociali ed economici più generali, dalle trasformazioni sul piano normativo ed organizzativo, nonché da cambiamenti della domanda che esprime nuove e più complesse forme di disagio sociale, con forte aumento delle richieste di aiuto. Gli operatori sociali avvertono il limite di un lavoro basato sul modello tradizionale di “erogatore di prestazioni” come unica possibilità per affrontare il disagio. Dall’esperienza, dal confronto riflessivo e dal percorso formativo è possibile riformulare e rifondare la pratica del lavoro nel sociale a partire dagli oggetti di cui ci si occupa e dei loro significati per recuperare concetti e pensieri:

Accoglienza, ascolto ed orientamento della domanda sociale - Investire spazio e tempo nella dimensione dell’“ascolto” comune a situazioni e realtà diverse,

quelle gravi e complesse e altre per le quali può essere sufficiente un accompagnamento più leggero.

- Avere uno sguardo aperto sui problemi, connettere i dati più di tipo qualitativo, che dicono come stanno le persone nelle diverse situazioni, e costruire insieme il problema, prima ancora di pensare al tipo di risposta.

Accompagnamento, presa in carico, valorizzazione delle capacità delle persone, sviluppo dei legami sociali - La gestione delle situazioni di disagio richiede una conoscenza ravvicinata, che riguarda non

solo i dati strutturali, ma anche il modo in cui le persone si relazionano con le difficoltà che vivono e con i servizi ai quali le portano.

- Stretta connessione tra conoscenza-azione per avere sulle situazioni sociali, conoscenze attendibili, affidabili su cui contare per individuare i problemi e sviluppare ipotesi di intervento.

- Utilizzare una conoscenza che viene dall’esperienza; i ritorni delle azioni vengono utilizzati per riformulare le pratiche lavorative.

- Assumere una logica progettuale nel lavoro sociale, con le persone in difficoltà, significa lavorare per processi, ovvero successioni di iniziative che hanno tra loro un nesso; significa connettere le prestazioni a reali percorsi di autonomia.

Promozione di progetti, azioni di sviluppo di comunità, di promozione del benessere, di prevenzione dei fattori di rischio, lavoro di rete - Utilizzare le competenze professionali per il territorio, condividendo con altri le conoscenze per

istituire una rete di antenne sensibili in grado di prevenire i deterioramenti delle situazioni. - Riconoscere il territorio ambito privilegiato dove assumere iniziative, sperimentare

progettazioni che alimentino la corresponsabilità fra più interlocutori, rispetto alla gestione dei problemi sociali.

- La complessità dei problemi sociali e la loro imprevedibilità, richiede che siano riconosciuti e assunti da più soggetti; sul piano operativo questo comporta sostenere e presidiare dei processi dove intervengono professionalità e risorse diverse e di diversa appartenenza.

- Scoprire e potenziare le risorse del contesto locale, intese come altro rispetto ai finanziamenti dati o ai servizi erogabili.

Osservatorio permanente del territorio - Il lavoro degli operatori con le situazioni sociali, produce documentazione/materiale che

costituiscono una sorta di dati di tipo strumentale e di tipo qualitativo e sono elementi essenziali per avviare percorsi conoscitivi con gli utenti, con operatori di altri servizi, per produrre i necessari aggiustamenti nelle risposte offerte, che tengano conto delle trasformazioni della comunità e dei suoi bisogni.

- È interessante leggere un territorio alla luce non solo delle categorie tradizionali (anziani, minori, disabili…), ma dei problemi prevalenti che esso esprime, per avere dei problemi stessi una fotografia multidimensionale.

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Dentro una realtà sempre più frammentata che richiede competenze professionali specifiche, l’oggetto del lavoro sociale è l’assunzione dei limiti, la precarietà dei problemi, lo stare vicino e contenere i disagi, generare sensibilità e riflessioni sulle questioni sociali, affinché si producano esiti dignitosi, quali delle micro- ricomposizioni e convergenze. In questo contesto l’Assistente Sociale diventa la figura con competenza professionale in grado di misurarsi con le tematiche sociali, di operare con le situazioni di bisogno e di fragilità. L’Assistente Sociale si caratterizza per la sua poliedricità, per la capacità di fare partnership con enti pubblici, con il volontariato, con il terzo settore, con le reti familiari. Ci si attende che fornisca un contributo essenziale alla promozione della coesione sociale e all’efficacia dei servizi, sia attraverso il lavoro di prevenzione, sia attraverso le risposte ai problemi sociali. All’operatore è chiesto di agire competenze nell’attività di rete, con un grado elevato di mobilità e flessibilità. All’Assistente Sociale è chiesto di mantenere radici salde nella concreta realtà quotidiana e, nello stesso tempo, un’attenzione all’evoluzione indotta dal cambiamento e dall’ampliamento della domanda sociale, sia professionale che organizzativa che i Comuni mettono in atto.

In questo scenario gli Assistenti sociali esercitano un ruolo attivo nella localizzazione delle politiche sociali, escono dalla dimensione esclusivamente comunale ed entrano nella dimensione territoriale più ampia di sub ambito / zona, che permette di uscire dall’isolamento operativo e di aprire nuovi spazi dove riflettere sul senso del lavoro e su ciò che si fa, creando un confronto fra esperienze professionali diverse ed un contesto di autoformazione. L’obiettivo per il terzo triennio deve andare oltre il raggiungimento del solo standard quantitativo, che deve essere dato per confermato, nonostante alcune amministrazioni (meno di 10 su 48) ancora non l’abbiano raggiunto o per oggettiva difficoltà o, ancor più grave, per un ritardo nel maturare la natura strategica del Servizio Sociale Professionale.

Le linee progettuali di lavoro per il prossimo triennio definiscono l’obiettivo del Consolidamento del Servizio Sociale Professionale di natura Territoriale, da raggiungersi mediante i seguenti interventi:

� Garantire stabilità alla presenza dell’operatore: anche grazie all’intervento di Comunità Sociale Cremasca che in regime di gestione convenzionata attiverà nel corso del 2009 una gestione del servizio sociale in diverse realtà comunali ancora prive di soluzioni stabili.

� Potenziare il lavoro di equipe: l’operatore sociale opera in maniera integrata con altri operatori del sub-ambito e del distretto; ciò richiede flessibilità e disponibilità a condividere percorsi e momenti di confronto più allargato che vanno oltre la propria realtà comunale, anche per sviluppare maggiori competenze in relazione a progetti, azioni di sviluppo di comunità, partecipando con un ruolo attivo al lavoro di rete.

� Attrezzare adeguate azioni di supporto amministrativo: l’intervento sociale nelle sue diverse funzioni, trova ulteriore qualificazione grazie ad un supporto amministrativo che consente al servizio maggiore agilità nelle procedure e all’operatore maggior tempo dedicato alla specificità del suo lavoro, superando un’operatività ed un fare fine a se stesso.

� Riconoscere autonomia professionale, al di là e oltre le scelte organizzative: in questa realtà complessa, l’operatore sociale fonda il proprio agire professionale su principi e valori riconosciuti dal Codice Deontologico e che orientano le scelte di comportamento nei diversi livelli di responsabilità in cui opera, salvaguardando l’autonomia tecnico-professionale, con particolare riguardo ad alcuni passaggi significativi quali l’elaborazione del piano di aiuto, l’individuazione delle risposte volte a soddisfare e/o contenere il bisogno, la riservatezza sulle informazioni e sulle valutazioni che riguardano le persone.

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B) INTEGRAZIONE SOCIO SANITARIA

a ricerca di una reale e significativa integrazione tra i sistemi sociale e sanitario è già stata un obiettivo anche nei due precedenti Piani di Zona e molteplici sono state le aree di lavoro che ci hanno visti alla prova.

La ricomposizione delle frammentarietà è già stata indicata anche in passaggi precedenti del presente documento come una sfida in relazione a diverse tematiche. Nello specifico, la novità di questo terzo Piano si concretizza nel documento allegato n. 1 all’interno del quale si definiscono dei precisi obiettivi di integrazione condivisi tra i tre Uffici di Piano di Crema, Cremona e Casalmaggiore con l’Azienda Sanitaria Locale – Dipartimento ASSI.

Gli obiettivi sono sfidanti e di alto respiro, pur avendo una stretta correlazione con le indicazioni definite dalla L.R. 3/2008 e con risvolti operativi di possibile forte impatto sugli assetti organizzativi e delle risposte-offerte alle persone che si rivolgeranno ai servizi.

Di seguito si indica la sola elencazione delle aree di lavoro per l’integrazione socio sanitaria mentre si rimanda all’allegato n. 1 per una descrizione più puntuale: Scheda 1 - Segretariato Sociale e Punto Unico di Accesso

Scheda 2 - Sistema informativo Socio Sanitario

Scheda 3 - Terzo settore

Scheda 4 - Vigilanza socio assistenziale

Scheda 5 - Coordinamento sociosanitario

Scheda 6 - Minori e famiglia

Scheda 7 - Politiche giovanili

Scheda 8 - Salute e stili di vita

Scheda 9 - Salute mentale

Scheda 10 - Continuità assistenziale

Scheda 11 - Attività domiciliari

Scheda 12 - Disabilità e ufficio di protezione giuridica

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C) ACCREDITAMENTO E TITOLI SOCIALI

l nuovo Piano di Zona dovrà giungere ad un consolidamento del sistema di accreditamento sia delle strutture unità di offerta di area sociale, sia degli enti gestori di servizi in relazione a procedure di voucherizzazione e ai servizi funzione. Le linee di indirizzo regionali per il Terzo Piano di Zona indicano tale area di intervento tra le azioni prioritarie che devono trovare

attuazione in ogni ambito territoriale.

Ma come si pone questo intenso lavoro di apparente esclusiva rilevanza “gestionale” in un Piano che vuole porre la dimensione comunitaria e relazionale al centro delle proprie attenzioni? E’ possibile che oltre all’investimento sulle procedure, sulle regole e sulle modalità organizzative e gestionali, ci possa essere una nuova riflessione sul significato, sulle potenzialità che l’accreditamento e la voucherizzazione possono avere nella costruzione di percorsi di cura? L’esperienza 2008, con gli episodi di maggior consumo di alcuni sub ambiti rispetto ad altri, ha posto in luce un preoccupante accanimento sulle risorse, alla pseudo equità delle ripartizioni, mandando in secondo piano la logica della valorizzazione della risposta al bisogno al di là e oltre il luogo di residenza del portatore di bisogno.

Le modalità relazionali tra enti locali ed enti gestori di strutture ed unità di offerta fortemente caratterizzate dalla definizione – negoziazione di criteri e standard di accreditamento, potrà lasciare spazio ad un dialogo di stampo relazionale o avvallerà una relazione che sarà solo contratto, … definizione di tariffe, compravendita di prestazioni? Dal lavoro di confronto avvenuto all’interno dell’Ufficio di Piano sono emerse due piste di lavoro che divengono obiettivi per il prossimo triennio:

� Sviluppare un approccio qualitativo nel processo di voucherizzazione che ponga al centro i seguenti punti di attenzione:

- la destinazione mirata dei titoli sociali e lo sviluppo di capacità da parte degli operatori dei Comuni di orientare il cittadino, a partire dalla lettura del bisogno espresso, rispetto alle possibili risorse che il sistema può offrire, sostenendolo nell’esercizio della libertà di scelta e mantenendo la “regia” del piano individualizzato di intervento, condiviso con la persona e la famiglia. Dovranno in tal senso essere individuati e formati profili funzionali di “case manager” in grado di coordinare e attivare il lavoro di rete e di potenziare le risorse personali dell’individuo o dei suoi familiari;

- l’attivazione di forme di integrazione tra titoli sociali e prestazioni sociosanitarie. � Ridefinire un modello organizzativo per l’accreditamento e voucherizzazione che semplifichi

definendo regole certe e ruoli chiari, attraverso: - la costruzione di una nuova procedura e di nuovi criteri di accreditamento; - la definizione di criteri di accesso al beneficio chiari, condivisi e sostenibili; - la strutturazione di un sistema di finanziamento e gestione dei fondi; - la condivisione del ruolo di Comunità Sociale Cremasca, nell’ambito del processo di gestione

titoli sociali; - la definizione del ruolo del Servizio Sociale Professionale quale attivatore del voucher e

promotore del progetto individualizzato di aiuto; - la costruzione di agevoli modalità per l’assolvimento del debito informativo; - l’applicazione di strumenti di verifica e di valutazione.

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Si riporta di seguito una prima ipotesi di lavoro per la definizione dei parametri di accreditamento. Funzione di verifica degli standard autorizzativi Con l’entrata in vigore della l.r n. 12 marzo 2008, n.3 “Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario”, l’istituto della comunicazione preventiva per l’esercizio di unità di offerta sociali ha sostituito l’autorizzazione al funzionamento delle strutture sociali, così come disciplinata dall’articolo 50 della legge regionale n. 1/86, “Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia”, abrogata dalla l.r. 3/2008. Le modalità di presentazione della comunicazione e la relativa documentazione da allegare sono rimesse alla autonoma iniziativa regolamentare dei comuni, a cui la legge affida la programmazione e la realizzazione della rete sociale, privilegiando, anche in questo settore, ai sensi dell’art.11 comma 2°, le forme associate di decisione. L’ambito distrettuale cremasco si è mosso in collaborazione con gli altri distretti cremonesi e con l’ASL nel definire un regolamento comune su tutto il territorio provinciale. Funzione di Accreditamento L’accreditamento rappresenta ancora un tema abbastanza giovane nel campo dei servizi sociali sul quale le esperienze applicative sono ad una fase sperimentale e il dibattito teorico è ancora aperto. In generale è possibile definirlo come una procedura attraverso la quale viene dato credito a servizi/soggetti che soddisfano il possesso di alcuni requisiti qualificanti. L’obiettivo perseguito dalla L. 328/2000 è quello di garantire, attraverso questo strumento, un sistema di offerta qualitativamente omogeneo per tutto il territorio nazionale, almeno su un livello base (requisiti minimi). Secondo tale normativa spetta al livello regionale stabilire i requisiti di autorizzazione, sulla base dei requisiti minimi definiti a livello nazionale.

Per quanto riguarda la regione Lombardia, la strategia di politica sociale regionale si fonda su 3 principi fondanti:

� Libertà di scelta; � Sostegno alla famiglia nei compiti di cura; � Sostegno del ruolo privato.

Con la circolare n. 1 del 16.01.09 la Regione Lombardia ribadisce che l’art.4 della legge regionale n.3/08 disciplina i compiti delle unità d’offerta sociali e rimette alla Giunta regionale la loro individuazione (in allegato l’elenco delle unità d’offerta). Ai sensi dell’art.11 comma 1 lettera g) della l.r. n. 3/08, è compito della Giunta regionale definire i criteri per l’accreditamento delle unità d’offerta sociali. Tale adempimento costituisce il presupposto perché i comuni, ai sensi dell’art.13 comma 1 lettera d), definiscano i requisiti di accreditamento delle unità d’offerta sociali, per poi disporre in ordine al loro accreditamento ed alla stipula dei relativi contratti.

In virtù delle disposizioni vigenti e confermate dalla stessa legge regionale, i comuni, sono pertanto tenuti ad assumere i provvedimenti di competenza, con riguardo alla definizione dei requisiti di accreditamento, per le unità d’offerta previste dalla DGR 20943/05 ed inserite nella rete sociale. Come indicato dalla Regione Lombardia i provvedimenti relativi all’accreditamento delle unità d’offerta dovranno essere assunti entro il 31 marzo 2009, all’interno del processo di redazione dei Piani di Zona, nel caso non si portasse a compimento il percorso la scadenza può essere prorogata al 31.12.09. La Regione Lombardia ad oggi sottolinea l’importanza di definire i criteri e i requisiti di accreditamento rispetto ai servizi “struttura” ma la strategia distrettuale è volta ad analizzare anche i c.d. servizi “funzione” che non necessitano di un luogo fisico per l’espletamento delle prestazioni avendo come luogo privilegiato il domicilio della persona o altri contesti di vita (es. la scuola, il domicilio, ecc.).

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Pertanto la nostra attenzione sarà rivolta a definire nell’ambito del presente Piano di Zona i requisiti di accreditamento dei seguenti servizi struttura:

� Asili nido � Micro nidi � Nidi famiglia � Centri Prima Infanzia � Centri Socio Educativi � Comunità Alloggio Disabili � Comunità Educative � Comunità Famigliari � Alloggi per l’autonomia

Entro il 31 dicembre 2009 il distretto di Crema rinnoverà le linee guida per i servizi funzione già accreditati:

� Servizio di Assistenza Domiciliare (SAD) � Servizio di Assistenza ad Personam (SAP) � Attività integrative per persone disabili (AID)

Si prevede inoltre che il distretto di Crema, nel corso del triennio, giunga all’accreditamento di altri servizi funzione quali:

� Servizi di Formazione all’Autonomia (SFA) � Assistenza Domiciliare Minori (ADM)

Sarà possibile inoltre sviluppare linee guida per l’accreditamento di servizi struttura attualmente non rientranti nella rete di unità d’offerta regionale.

Sottolineiamo che nel corso del terzo piano di zona sarà importante presiedere queste funzioni attivando un confronto a livello provinciale con gli altri uffici di piano e con l’ASL, funzionale a declinare regole, prassi e procedure sempre più uniformi per l’intero territorio cremonese. A livello distrettuale andrà invece intrapreso un percorso volto a qualificare maggiormente le strutture socio-assistenziali presenti sul territorio, attraverso momenti di confronto con i diversi enti gestori attivi nelle varie aree d’intervento. Il percorso di lavoro si articolerà pertanto lungo tutto il triennio di programmazione zonale in un’ottica strategica volta a sviluppare un confronto costante con gli enti gestori e in un’ottica incrementale funzionale a individuare strumenti e procedure funzionali al governo della funzione di accreditamento. Per regolare l’offerta, al fine di sviluppare i servizi e qualificarli nel presente documento si identificano:

� i requisiti minimi di accreditamento � i requisiti che rappresentano obiettivi di qualità

Nell’ottica di sviluppare un sistema che preveda:

1° livello requisiti regionali

funzionali unicamente ad entrare nel sistema

a. requisiti medi

insieme di requisiti che potrebbero costituire la base comune a livello provinciale

� a cui potrebbe essere correlata la destinazione di una quota “x” del FSR

2° livello

b. requisiti di eccellenza

requisiti aggiuntivi che rappresentano l’eccellenza

� a cui potrebbe essere correlata la destinazione di una quota “x + …” del FSR

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D) SERVIZI DISTRETTUALI TUTELA MINORI E INSERIMENTO LAVORATIVO

e indicazioni di riprogettazione dei Servizi Distrettuali prevedono i seguenti obiettivi che, pur partendo da una valutazione complessiva dei servizi, vanno ad intercettare aree di criticità dell’attuale assetto e prevedono di concentrare l’attenzione in termini di sviluppo per il prossimo triennio.

Per quanto riguarda il Servizio Tutela Minori Integrata si definiscono i seguenti obiettivi per il triennio:

� Promozione e potenziamento del Servizio Affidi: - Acquisizione del Centro Adozioni e creazione del Centro Unico Affido e Adozioni in

collaborazione con l’ASL (per l’espletamento delle valutazioni dei nuclei affidatari e adottivi).

- Potenziamento del monte ore settimanale degli operatori del Servizio Affidi.

- Collaborazione con Associazioni di volontariato del territorio per la promozione dei temi legati all’accoglienza.

- Potenziamento delle risorse alternative ai nuclei familiari appartenenti alla banca dati del Servizio, attraverso la costituzione di convenzione con il terzo settore.

- Approvazione del regolamento del Servizio affidi al fine dell’inserimento dello stesso nel Coordinamento Nazionale Affidi.

� Qualificazione del Servizio Tutela Minori: - Continuità della formazione per ciascun operatore sociale inerenti i temi della tutela e

protezione del minore.

- Continuità del percorso di supervisione tecnica a cadenza mensile e creazione di un documento sul percorso svolto negli anni.

- Creazione di una bibliografia specifica attraverso l’acquisto di testi consultabili dagli operatori inerenti le tematiche della tutela e dell’accoglienza di minori. Tale risorsa ha l’obiettivo di rendere i testi consultabili anche dagli operatori sociali del territorio interessati.

� Potenziamento dei rapporti con il territorio: - Promozioni di momenti di scambio tra il Servizio Tutela Minori e i Sub-Ambiti territoriali

attraverso due momenti strutturati: 1. Relazione del documento “report delle attività di Servizio” . 2. Incontro tra gli operatori psico-sociali della Tutela Minori con i singoli operatori sociali dei

Comuni per un aggiornamento della casistica in carico al Servizio.

- Iniziative volte alla formazione, sensibilizzazione ed informazione circa le tematiche inerenti il disagio minorile ed interventi a sostegno della genitorialità, attraverso la costituzione di percorsi tematici rivolti ad un determinato pubblico (percorsi rivolti agli operatori operanti nel sociale, liberi cittadini, associazioni di volontariato, ecc…).

- Avvio del corso sperimentale, in collaborazione con il Comune di Crema, a carattere formativo ed informativo sulle tematiche della segnalazione dei minori, destinato ai plessi scolastici della scuola materna e della scuola primaria di Crema. Tale progetto ha un obiettivo secondario di estendere tale esperienza nei plessi scolastici del territorio distrettuale di appartenenza.

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Per quanto riguarda il Servizio di Inserimento lavorativo si definiscono i seguenti obiettivi per il triennio:

- Promozione e potenziamento del Servizio

- Consolidamento dei lavori del Coordinamento per l’Inserimento Lavorativo, composto da operatori sociali comunali, dei servizi specialistici e enti del terzo settore specializzati nel reinserimento lavorativo, con la firma di un protocollo d’intesa triennale con questi ultimi finalizzato alla realizzazione congiunta di attività in tema di inserimento lavorativo.

- Definizione di percorsi SFA propedeutici all’Inserimento Lavorativo;

- Valutazione e individuazione di prospettive da offrire ai soggetti che hanno già fatto percorsi SIL, ritenuti occupabili, ma non produttivi.

- Riavvio della stesura del questionario di ricerca-intervento sul livello di gradimento del Servizio (da somministrare ad A.S. e Aziende).

� Potenziamento dei rapporti con il territorio - Consolidamento dei consueti momenti di scambio tra il Servizio Inserimento Lavorativo e i

Sub-Ambiti territoriali attraverso due momenti strutturati, per offrire e raccogliere spunti di riflessione congiunta al fine di programmare risposte sempre più rispondenti alle necessità emergenti del contesto territoriale di riferimento: 1) Relazione del documento “report delle attività di Servizio”; 2) Disponibilità al chiarimento di casi specifici;

- Partecipazione ad attività formativa organizzata in collaborazione con l’Amministrazione provinciale rivolta agli operatori dei tre SIL del territorio.

- Rapporto con Ufficio collocamento disabili della provincia di Cremona: 1) Partecipazione al Nucleo Operativo Provinciale per il collocamento (in fase di riattivazione); 2) Partecipazione a gruppi operativi per il collocamento in collaborazione con gli operatori dell’Ufficio suddetto e con altri colleghi operanti sul territorio al duplice fine di: operare l’incontro domanda offerta in maniera ragionata; programmare e realizzare visite aziendali congiuntamente, anche attraverso il riconoscimento del ruolo dei rappresentanti delle cooperative sociali.

- Sviluppo della rete di aziende a sostegno dei percorsi di inserimento lavorativo.

- Ricerca di finanziamento per la stampa della “Guida del S.I.L.” da inviare alle Aziende;

- Attivazione di uno spazio dedicato e specifico per il S.I.L. all’interno del Sito della Comunità Sociale Cremasca;

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E) ACCESSO ALLA RETE DEI SERVIZI

li indirizzi per il Piano di Zona pongono quale primo paradigma per la programmazione quanto segue:

“ Il “governo” del sistema di accesso alle unità di offerta della rete, attraverso la definizione, nell’arco del triennio, di regole uniformi da parte dei comuni dell’ambito distrettuale rispetto ai criteri di accesso, alle modalità di fruizione, alla partecipazione alla spesa da parte dei cittadini di uno stesso territorio, con particolare attenzione a:

- assicurare risposte adeguate ai bisogni, uniformando verso l’alto gli standard qualitativi; - dare risposte uniformemente distribuite sul territorio; - assicurare regole di accesso chiare ed omogenee per i Comuni del distretto, superando

differenze tra i diversi comuni; - definire e conseguentemente adottare a livello zonale la carta d’ambito.

Si tratta quindi di definire regolamenti o protocolli a valenza distrettuale, anche attraverso un modello di tipo “incrementale” che, a partire dai servizi di sostegno alla domiciliarità e alla famiglia, possa essere diffuso anche attraverso lo strumento della carta d’ambito. Tale strumento, al pari della carta dei servizi prevista all’art. 9 della l.r. 3/2008, contribuisce alla corretta comunicazione/informazione al cittadino e agli operatori dei diversi servizi, evitando che le persone esauriscano le loro energie per procedere, per tentativi ed errori, nella ricerca di risposte adeguate ai loro bisogni”.

A partire dagli indirizzi regionali citati e dagli assi strategici definiti dall’Assemblea dei Sindaci, il Piano di Zona 2009-2011 sarà segnato da un nuovo impegno per dare realizzazione ai seguenti obiettivi:

� Offrire una garanzia, in relazione a determinate tipologie di opportunità, di risposte omogenee a livello territoriale/distrettuale, oltre la rigidità dei confini amministrativi di residenza, anche mediante la costruzione di una carta dei servizi sociali distrettuali.

� Realizzare sistemi unitari di accesso a determinate tipologie di servizi, con riferimento anche a modalità omogenee di co-responsabilizzazione dell’utenza rispetto ai costi dei servizi.

Obiettivi simili erano già stati declinati nel primo e nel secondo Piano di Zona, ma non si è riusciti a dare concretezza alle dichiarazioni d’intenti per la mancanza di un reale consenso politico sugli obiettivi stessi.

In tal senso, e a partire dai fallimenti pregressi, si ritiene di dover lavorare al fine di creare un forte consenso politico sulla scelta di definire regole unitarie e condivise, spostando al livello distrettuale la definizione di regole e lasciando la facoltà che ogni singola amministrazione attivi altre scelte locali di supporto al nucleo familiare coinvolto.

Il consenso di tutti è precondizione per dare significatività ad ogni scelta che verrà adottata. Si è visto negli anni passati che le singole amministrazioni comunali hanno abbandonato il progetto della condivisione di regole perché l’accento è stato posto in modo eccessivo sulla necessità – urgenza di natura economico-finanziaria, non riuscendo di fatto a fare sintesi di differenti politiche locali in un modello distrettuale.

Per ripartire in questo progetto di definizione omogenea di livelli di opportunità per i cittadini serve riporre a fondamento del processo la dimensione educativa e promozionale delle scelte che si andranno ad operare, la dinamica relazionale prima dell’urgenza economica. Si tratta di condividere, mediante un’adeguata azione di accompagnamento, regole/accordi in senso costruttivo e non limitativo … per la promozione delle opportunità di tutti e dei singoli.

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Al centro del processo si pone quindi la dimensione della corresponsabilità: - corresponsabilità tra enti locali che insieme costruiscono un sistema e che per questo

motivo sono chiamati a condividere dei modelli di accesso e di accoglienza; - corresponsabilità tra i comuni e gli utenti dei servizi, con i loro familiari, per agire le

migliori opportunità dei singoli in un patto di aiuto che valorizzi le possibilità dell’ente pubblico, rappresentante della comunità locale, e le risorse, anche economiche, della famiglia, pilastro della comunità stessa;

- corresponsabilità con gli enti gestori di unità di offerta che, nell’esercizio del loro ruolo, entrano in relazione di aiuto con i fruitori (utenti, famiglie, comuni) con una dimensione costruttiva e di partecipazione attiva che non può ridursi ad erogazione di prestazioni.

Al fine di facilitare l’unitarietà dei sistemi di accesso si crede opportuno valorizzare alcune esperienze di gestione distrettuale che hanno comportato una più agevole definizione di regole/criteri sovra comunali (accesso RSA, Titoli Sociali, Servizi Distrettuali). In tal senso si ritiene che sistemi di accesso gestiti a livello distrettuale possano facilitare regole distrettuali a beneficio di ogni singola amministrazione ed a integrazione di scelte autonome legate al contesto locale. In tal senso, s’ipotizza un modello organizzativo che fonda la propria azione sul punto di accesso a livello comunale, attraverso il quale viene veicolato un sistema di criteri e di regole definite a livello distrettuale. Un sistema di accesso unico a livello distrettuale può inoltre favorire l’azione di orientamento alla famiglia sia per l’individuazione della risposta adeguata e coerente al bisogno, sia per una migliore distribuzione territoriale della domanda, valorizzando le opportunità che nascono e crescono nell’ambito di una programmazione condivisa.

Nel corso del triennio 2009-2011 si ritiene di concentrare l’attenzione sulle seguenti aree di intervento:

- Servizi diurni e residenziali per disabili e anziani - Servizi funzione di area domiciliarità - Servizi Trasporti per accesso alla rete dei servizi - Servizi ausiliari alla domiciliarità

Si ritiene inoltre di definire i seguenti obiettivi per il triennio:

� Approvazione di uno schema di regolamento distrettuale per l’accesso al sistema dei servizi diurni e residenziali per disabili e, contestualmente alla revisione del sistema di finanziamento della rete disabilità (di cui al punto 8), delle regole di compartecipazione dell’utenza (anno 2009).

� Approvazione di uno schema di regolamento distrettuale per l’accesso al sistema dei servizi diurni e residenziali per anziani e delle regole di compartecipazione dell’utenza (anno 2010).

� Elaborazione della Carta dei Servizi d’Ambito a partire dai servizi gestiti a livello distrettuale (anno 2011).

Per il raggiungimento dei risultati sopra descritti agirà un gruppo di lavoro composto da rappresentanti politici e tecnici dei Comuni, gli enti gestori, le associazione dell’utenza, dei familiari e di tutela dei cittadini.

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F) SPAZI DI COLLABORAZIONE CON L’AMMIINISTRAZIONE PROVINCIALE

n linea con gli indirizzi regionali espressi nella Legge Regionale n. 3/2008 e nella DGR n. 8551 del 03/12/2008, il Piano di Zona del distretto di Crema si costruisce come percorso di governance e di programmazione partecipata. La suddetta Legge prevede la consultazione dei soggetti che concorrono alla programmazione, progettazione e realizzazione delle unità di

offerta sociali e sociosanitarie, in particolare i soggetti del Terzo Settore, le organizzazioni sindacali e gli altri soggetti di diritto privato che operano in ambito sociale e sociosanitario.

In quest’ottica, per il distretto di Crema, la partecipazione della Provincia assicura un sostegno alla programmazione zonale, garantendo nel contempo un quadro territorialmente più ampio per la definizione di alcune azioni da porre in essere congiuntamente con gli altri due distretti di Cremona e Casalmaggiore. In particolare, gli ambiti riconosciuti di competenza delle Province a sostegno dei Piani di Zona riguardano: o intervento nella raccolta dei fabbisogni formativi e nell’erogazione di percorsi di formazione

continua per il personale sociale; o la programmazione di interventi formativi di qualificazione e aggiornamento professionale; o il sostegno alla realizzazione di investimenti e interventi innovativi per le unità di offerta sociali

e sociosanitarie, d’intesa con i comuni interessati; o il concorso alla programmazione e realizzazione della rete delle unità di offerta sociale e

sociosanitaria, con specifico riferimento al sistema dell’istruzione, della formazione professionale e delle politiche del lavoro;

o l’organizzazione degli Osservatori; o il sostegno ai disabili sensoriali.

In particolare, nel Piano di Zona 2009-2011, si aspira a consolidare una reale collaborazione con l’Amministrazione Provinciale in relazione ai seguenti temi:

1. Fondo provinciale per i progetti a sostegno dei minori (Ex-onmi): viene confermato il budget provinciale e si delineano processi di miglioramento delle procedure connesse all’impiego dello stesso.

2. Piano Formativo: collaborazione con Asl e Uffici di Piano di Crema, Cremona e Casalmaggiore per la formulazione di una proposta formativa finalizzata ad intercettare finanziamenti regionali e per la successiva attuazione di percorsi formativi.

3. Osservatori: raccolta e rielaborazione dei dati a supporto della programmazione e per una lettura dei fenomeni sociologici e sociali maggiormente rilevanti a livello provinciale.

4. Ufficio Provinciale per la progettazione europea: sviluppo di una struttura tecnica in grado di promuovere progettualità che possano attingere a canali di finanziamento comunitari, estendendo l’azione già in essere in altri settori (quali cultura, ambiente, turismo, …), anche in relazione all’area dei servizi per la persona.

5. Assistenza ad personam relativa all’accompagnamento e trasporto per disabili frequentanti la scuola secondaria di 2°: definizione di un modello condiviso che precisi le rispettive competenze e che permetta di superare atteggiamenti di contrapposizione a favore di una ottimizzazione delle reciproche risorse in funzione della qualità e completezza dei servizi.

6. Bando Inserimento Lavorativo ex-Lege 68: valorizzazione delle reciproche competenze per giungere a modalità condivise di gestione delle procedure connesse all’inserimento lavorativo di soggetti disabili.

7. Progetti per l’integrazione di persone immigrate: a partire dalla piena valorizzazione delle positività presenti nel nostro contesto territoriale, condividere percorsi progettuali per offrire continuità alle stesse, integrandole con la nascente Agenzia Provinciale per l’Immigrazione.

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8. Il sistema di finanziamento

e linee guida regionali per la programmazione del Piano di Zona dichiarano che l’attuazione degli obiettivi e delle azioni previste è sostenuta da diversi canali di finanziamento che concorrono alla copertura dei costi: � Fondo Nazionale Politiche Sociali � Fondo Sociale Regionale � Fondo per le non autosufficienze � Risorse Autonome dei Comuni � Altre risorse (assegnazioni a seguito di intese a livello nazionale; concorso alla spesa da

parte dell’utenza, finanziamenti da altri enti concordati a livello di programma o di intese, ecc.).

Sempre la DGR VIII/8551 sostiene che la programmazione economica-finanziaria rappresenta la traduzione in termini “contabili” delle azioni previste nei piani: in questo senso, quanto più è ampia la programmazione associata, tanto più la quota delle risorse autonome dei comuni a cofinanziamento del Piano si avvicinerà alla spesa sociale dei comuni stessi. Viene riconosciuta l’autonomia locale nella gestione delle risorse di derivazione nazionale e regionale, ricordando che:

- il Fondo Nazionale Politiche Sociali è finalizzato prevalentemente a sostenere e sviluppare il sistema dei titoli sociali, le nuove unità di offerta, la realizzazione di progetti/interventi ex “legge di settore”, le azioni di programmazione e coordinamento svolte attraverso gli Uffici di Piano, nonché i costi derivanti da forme di gestione associata che rappresentano tutti i comuni dell’ambito;

- il Fondo Sociale Regionale è finalizzato al cofinanziamento delle unità di offerta afferenti

alle aree minori, disabili, anziani e al sostegno socio-educativo degli interventi per l’integrazione lavorativa delle fasce svantaggiate della popolazione. Il Fondo Sociale Regionale, pur costituendo una risorsa economica di fatto erogata agli enti gestori pubblici e privati situati nell’ambito distrettuale, rientra nel sistema di budget unico, in quanto il suo utilizzo deve essere deciso e gestito localmente all’interno di una unitarietà di scopi rispetto agli obiettivi e agli interventi definiti dalla programmazione associata;

- il Fondo per le non autosufficienze andrà destinato prevalentemente alle azioni di sostegno

alla domiciliarità; - le Risorse autonome dei Comuni rappresentano l’effettivo impegno alla programmazione

associata e all’attuazione della rete locale delle unità di offerta sociali; Fondo Nazionale Politiche Sociali e Fondo Sociale Regionale costituiscono in tal senso risorse aggiuntive e non sostitutive di quelle comunali.

Viene inoltre nuovamente ribadito che anche per la triennalità 2009-2011 dovrà essere istituito a livello di distretto un fondo di solidarietà, sia in attuazione dell’art. 4 comma 4 della l.r.34/2004, sia per rispondere al altri bisogni locali. Il Piano dovrà prevedere la destinazione del Fondo di Solidarietà per tipologia di intervento, le modalità di accesso da parte dei comuni, le modalità di utilizzo e, annualmente, la dotazione finanziaria.

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Si riconferma che le risorse del Fondo Nazionale Politiche Sociali e del Fondo Sociale Regionale non possono essere destinate a singoli comuni, ma saranno assegnate all’Ente capofila individuato nell’Accordo di Programma, che curerà la gestione dei fondi secondo criteri di massima trasparenza.

Quanto precedentemente affermato diviene impostazione di fondo del sistema di finanziamento del Piano di Zona, ma si ritiene di dover far proprie alcune linee di lavoro che a livello distrettuale possano favorire un nuovo investimento programmatorio alla luce delle seguenti considerazioni:

- il FNPS, oltre a subire contenimenti continui, appare sempre più vincolato a supporto di alcuni servizi/interventi consolidati, rendendo di fatto minima la possibilità di una reale sostenibilità delle progettualità innovative e dello sviluppo di servizi. In particolare il Servizio Distrettuale Tutela Minori ed i costi di organizzazione/gestione dell’attività distrettuale assorbono una quota rilevante del Fondo;

- il FSR, la cui ripartizione procapite non trova ancora piena attuazione, viene, nell’attuale

modello, finalizzato in larga parte a sostegno degli interventi di Tutela Minori e per la Rete dei servizi diurni per disabili a seguito della trasformazione di SFA in CSE;

- il Fondo di Solidarietà, elemento di pregio e di qualità del lavoro distrettuale, vede le quote a

carico dei comuni non modificate dal 2004, con la conseguente inadeguatezza delle stesse rispetto alla continua e significativa crescita dei servizi.

Alla luce di quanto detto, il nuovo Piano di Zona ha di fronte a se una nuova e delicata fase che deve vedere i comuni e le diverse componenti della comunità locale, enti gestori e non, impegnati in un lavoro comune che preveda i seguenti obiettivi :

1. Non caricare i servizi consolidati sul FNPS, scegliendo di destinare queste risorse alle aree indicate dalla Regione, con particolare riferimento alle voci Titoli Sociali e Progettualità.

2. Introdurre una modalità di utilizzo del FNPS che preveda detto fondo come un “moltiplicatore” di risorse rispetto a stanziamenti comunali, introducendo un sistema premiale che da un lato tuteli i piccoli comuni, ma che valorizzi anche la volontà di investimento sul sociale, ribadendo in modo pieno l’accezione che questo stanziamento ha come aggiuntivo e non sostitutivo delle risorse comunali. In questa prospettiva si inserisce la costituzione di un Fondo Distrettuale per la prevenzione e la promozione che possa essere finalizzato, in continuità con gli obiettivi delle ex leggi di settore, a favorire l’attualizzazione delle molte iniziative progettuali di cui il nostro territorio è ricco.

3. Rivedere in modo radicale il sistema di finanziamento dei servizi distrettuali Tutela Minori e Inserimento Lavorativo , giungendo a condividere un nuovo modello che possa introdurre adeguamenti del Fondo di Solidarietà sia in relazione alla composizione delle quote comunali, sia rispetto alle percentuali di rimborso rispetto ai servizi.

4. Rivedere in modo radicale il sistema di finanziamento della rete disabilità, definendo nuovi criteri di finanziamento sui fondi comunali e sul Fondo Sociale Regionale, introducendo oltre a parametri di accreditamento anche una programmazione di posti a contratto, con la conseguente necessaria condivisione di un sistema che si sviluppa e cresce a partire da indirizzi chiari e condivisi; a tale proposito diviene di importanza fondamentale l’introduzione di una corresponsabilità di tutti i soggetti in campo, enti pubblici, enti gestori, utenti e familiari, per perseguire la sostenibilità del sistema.

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5. Prendere atto che la struttura organizzativa e gestionale dell’ambito distrettuale necessita di adeguate risorse per dare continuità alle scelte intraprese e per beneficiare tutti delle potenzialità che il lavoro integrato a livello sovra comunale può produrre e che ha prodotto in questi anni. In modo particolare si fa riferimento alla necessità di un’azione distrettuale ed interdistrettuale per l’accesso ad altri canali di finanziamento, vera possibilità concreta per dare nuova linfa alla dimensione progettuale, al di là delle risorse nazionali, regionali e comunali sempre più esigue e di difficile reperimento. Da qui la necessità di rivedere le modalità di partecipazione da parte dei soggetti sottoscrittori e aderenti all’accordo di programma per l’attuazione del Piano di Zona.

Le piste di lavoro descritte nei 5 punti potranno trovare reale e concreta attuazione a partire dal Piano Operativo 2010 e per il 2011, essendo i bilanci comunali del 2009 ormai definiti e volendo avviare un serio percorso di condivisione che possa portare a scelte consapevoli e non percepite come imposte. Il 2009 è quindi un anno cruciale per condividere il nuovo sistema di finanziamento, introducendo, con la giusta gradualità e nel pieno rispetto delle diverse esigenze e situazioni, elementi di novità che possano dare sostenibilità all’azione programmatoria dell’ambito distrettuale.

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AAsssseemmbblleeaa DDiissttrreett ttuuaallee ddeeii SSiinnddaaccii

Comitato Ristretto

Ufficio di

Piano

Coordinamenti tecnici

di sub ambito

Gruppi tematici e di progetto

Coordinamento Sindaci di Sub ambito

FORUM TERZO

SETTORE

ORGANIZZAZIONI SINDACALI

Tavolo Locale del Terzo Settore

9. Assetto istituzionale ed

organizzativo

In questa sezione del documento si intende descrivere l’assetto istituzionale che presiede la programmazione e la realizzazione del Piano di Zona. I contenuti di questa sezione sono anche confluiti come parte fondamentale dell’Accordo di Programma.

l Piano di Zona è la risultante di piani incrociati di lavoro sia nella fase della costruzione, sia nella successiva e delicata fase di realizzazione. Per questo motivo è necessario porre attenzione a definire ruoli, compiti e funzioni degli organismi che presiedono la

programmazione, delle modalità scelte e dei soggetti coinvolti per la gestione e della importante azione di progettazione che traduce gli indirizzi programmatori in piste di lavoro che possono divenire azioni, interventi, servizi.

Gli organismi previsti dalla Regione Lombardia per il ramo di attività programmatoria sono: � Assemblea dei Sindaci � Ufficio di Piano � Tavolo Locale del Terzo Settore

A supporto di questi organismi definiti dal livello regionale si definisce di introdurre alcune “scelte organizzative” finalizzate a favorire l’efficacia del confronto e la partecipazione fattiva delle diverse componenti in campo. In questo senso assumono valore:

� Il Comitato Ristretto dell’Assemblea dei Sindaci � I Coordinamenti dei sindaci di sub ambito � I coordinamenti tecnici di sub ambito � I gruppi tematici e di progetto

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Assemblea dei Sindaci: come indicato nelle linee guida per la stesura del Piano di Zona, si prende atto che: “… la L.R. 3/2008 ha aggiunto ai compiti propri dell’Assemblea distrettuale dei Sindaci, previsti dall’art. 6 della L.R. 31/97 (formulazione di pareri e

proposte sulle linee di indirizzo e di programmazione dei servizi socio-sanitari e formulazione di parere sulla finalizzazione e sulla distribuzione territoriale delle risorse finanziarie), la diretta competenza circa l’approvazione del Piano di Zona, che costituisce dunque un atto non meramente consultivo, ma di amministrazione attiva in materia di programmazione della rete locale delle unità d’offerta sociali. La presidenza dell’Assemblea dei Sindaci è attribuita al Sindaco del Comune di Crema, ente capofila dell’Accordo di programma per l’attuazione del Piano di Zona. L’Assemblea dei Sindaci designa un altro sindaco per la sostituzione del presidente, in caso di assenza o impedimento dello stesso.

Sono compiti dell’Assemblea dei Sindaci: � Individuare e scegliere le priorità e gli obiettivi delle politiche locali. � Verificare la compatibilità impegni/risorse necessarie. � Deliberare in merito all’allocazione delle risorse del Fondo Nazionale Politiche Sociali,

Fondo Sociale regionale e quote autonome conferite per la gestione associata dell’attuazione degli obiettivi previsti dal Piano di Zona.

� Governare il processo di integrazione tra i soggetti sottoscrittori e aderenti al Piano di Zona. � Effettuare il governo politico del processo di attuazione del Piano di Zona. � Licenziare il documento del Piano di Zona quale documento di programmazione triennale. � Approvare il documento Piano Operativo, quale documento di programmazione annuale. � Approvare il report annuale sull’attuazione del Piano Operativo del periodo di riferimento e

del Piano di Zona complessivo. All’Assemblea dei Sindaci sarà invitato a partecipare, in qualità di sottoscrittore dell’Accordo di Programma, il Direttore Sociale dell’Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Cremona (o suo delegato). Anche l’Amministrazione Provinciale di Cremona sarà formalmente invitata a partecipare all’Assemblea dei Sindaci in qualità di ente sottoscrittore dell’Accordo di programma, mediante formale invio di lettera di convocazione sottoscritta dal Presidente dell’Assemblea indirizzata al Presidente e all’Assessore Provinciale alle Politiche Sociali.

Ufficio di Piano: il coordinamento operativo tra i diversi enti ed i diversi progetti di attuazione del Piano di Zona è svolto da un organismo di supporto tecnico ed esecutivo, rappresentato dall’Ufficio di Piano, quale soggetto di supporto alla programmazione, responsabile delle funzioni tecniche, amministrative e della valutazione degli interventi per il

raggiungimento degli obiettivi del Piano di Zona. In conseguenza dell’alto livello assegnato alla programmazione zonale, appare fondamentale che la pianificazione sia presidiata attraverso professionalità qualificate e modelli organizzativi che consentano di dare valore a tale funzione. A tale proposito si definisce che per questa terza triennalità l’Ufficio di Piano si avvalga della personalità giuridica dell’ente capofila dell’Accordo di Programma, individuato nel Comune di Crema, ente capo comprensorio che garantisce la presidenza dell’Assemblea dei Sindaci e il coordinamento dell’Ufficio di Piano.

L’Ufficio di Piano deve: � Supportare dal punto di vista tecnico l’operato dell’Assemblea dei Sindaci e del Comitato

Ristretto in relazione all’oggetto dell’Accordo di Programma. � Presiedere alla piena realizzazione delle azioni e delle iniziative prioritarie del Piano di

Zona. � Definire e verificare le modalità operative per l’attuazione dell’Accordo di Programma.

L’

L’

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� Redigere relazioni e valutazioni. � Informare gli enti aderenti sull’andamento dell’accordo stesso. � Pubblicizzare e rendere conosciute le nuove opportunità nei confronti della comunità locale

nelle sue diverse componenti, formali ed informali. � Programmare, pianificare e valutare degli interventi. � Costruire/definire i budget. � Amministrare le risorse complessivamente assegnate (Fondo Nazionale Politiche Sociali,

Fondo Sociale Regionale, Fondo per le non autosufficienze, quote dei comuni e di altri eventuali soggetti) mediante specifico contratto di servizio con Comunità Sociale Cremasca, che presidia la gestione diretta dei servizi e delle risorse.

� Coordinare la partecipazione dei soggetti sottoscrittori e aderenti all’Accordo di Programma.

L’Ufficio di Piano risponde, inoltre, nei confronti dell’Assemblea dei Sindaci, dell’ASL e della Regione, della correttezza, attendibilità e puntualità degli adempimenti previsti rispetto ai debiti informativi regionali

L’Ufficio di Piano è composto da: • N. 1 funzionario coordinatore - responsabile incaricato dal Comune di Crema in qualità

di ente capofila. • N. 6 operatore formalmente designati da parte dei 6 comuni referenti di ogni sub ambito

territoriale. • N. 1 rappresentante tecnico dell’Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Cremona; • N. 1 rappresentante della cooperazione sociale designato dal Tavolo Locale del Terzo

Settore. • N. 1 rappresentante delle associazioni di volontariato designato dal Tavolo Locale del

Terzo Settore. • N 1 rappresentante delle realtà di promozione sociale designato dal Tavolo Locale del

Terzo Settore. • N. 1 rappresentante delle realtà che operano nell’area sociale ed educativa per le Diocesi

di Crema e di Cremona designato dal Tavolo Locale del Terzo Settore. • N. 1 rappresentante degli enti gestori (Fondazioni e Aziende) di servizi di natura sociale,

sociosanitaria, designato dagli stessi enti gestori. • N. 1 rappresentante dell’Azienda Ospedaliera. • N. 1 rappresentante delle istituzioni scolastiche, designato dall’Ufficio Scolastico

Provinciale. Partecipa in modo attivo alle attività dell’Ufficio di Piano N. 1 rappresentante di Comunità Sociale Cremasca a.s.c. (il Direttore Generale o un suo delegato tecnico) per favorire la piena integrazione dei percorsi di attuazione del Piano di Zona e la piena correlazione tra le dinamiche programmatorie e i risvolti gestionali che ne conseguono.

Nell’ambito del contratto di servizio con Comunità Sociale Cremasca a.s.c., l’Ufficio di Piano per conto dell’ente capofila, si avvarrà della struttura tecnica amministrativa dell’azienda consortile sia per il normale funzionamento dell’attività ordinaria connessa allo svolgimento delle funzioni proprie degli organismi sopraindicati, sia per l’assolvimento operativo degli adempimenti e delle procedure di natura amministrativa connesse agli obblighi rendicontativi e all’assolvimento del debito informativo nei confronti di Regione Lombardia.

l Tavolo Locale del Terzo Settore: in conformità a quanto definito dalla normativa regionale, con il terzo Piano di Zona si costituisce il Tavolo locale del Terzo Settore quale luogo di confronto tra programmatori istituzionali e realtà sociale. Il Tavolo locale del terzo settore si

connota come luogo stabile di partecipazione che svilupperà la propria attività durante l’intero periodo di attuazione del Piano di Zona.

I

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I soggetti del Terzo Settore che hanno una rappresentanza nell’ambito territoriale possono concorrere all’attivazione del Tavolo Locale e partecipare alle attività proposte dallo stesso. I soggetti del Terzo Settore che aderiscono all’Accordo di Programma, mediante una formale sottoscrizione di un documento di adesione per esprimere la propria condivisione dell’impostazione di fondo del Piano di Zona e degli assi strategici che guidano l’attuazione dello stesso, partecipano anche al Tavolo Locale del Terzo Settore. Il Tavolo Locale del Terzo Settore funzionerà con due specifiche modalità operative:

• mediante incontri assembleari con la partecipazione di tutti soggetti che faranno richiesta di partecipazione;

• mediante incontri di una commissione operativa composta da un numero definito di rappresentanti per ogni tipologia di soggetto presente, secondo le seguenti modalità e aggregazioni:

- fino ad un massimo di 5 rappresentanti per le organizzazioni di volontariato e le associazioni familiari;

- fino ad un massimo di 5 rappresentanti per le cooperative sociali e gli organismi della cooperazione;

- fino ad un massimo di 5 rappresentanti per le associazioni e enti di promozione sociale, le fondazioni e i patronati;

- fino ad un massimo di 5 rappresentanti per gli enti operanti in area educativa e sociale riconosciuti dalle confessioni religiose.

Al Tavolo Locale, sia nelle attività previste al livello assembleare sia nelle attività della commissione operativa, partecipano inoltre:

o il presidente dell’Assemblea dei Sindaci, o suo delegato, che svolge anche le funzioni di presidente del Tavolo Locale e che ha la responsabilità del corretto funzionamento dei lavori;

o il coordinatore dell’Ufficio di Piano; o un rappresentante del Forum Cremasco del Terzo Settore; o un rappresentante tecnico dei servizi sociali comunali; o un rappresentante dell’ASL.

Il Tavolo Locale del Terzo Settore sarà chiamato inoltre, a designare N. 4 rappresentanti nell’Ufficio di Piano, come richiamato in precedenza descrivendo la composizione dell’Ufficio di Piano stesso. Non potranno partecipare alla definizione della rappresentanza ne essere designati come rappresentanti soggetti appartenenti a enti e organizzazioni che non hanno aderito all’Accordo di Programma.

Ai sensi della DGR 7797 del 30/07/08 il Tavolo Locale avrà come principale obiettivo la promozione della partecipazione dei soggetti del terzo settore:

o nella programmazione, progettazione e realizzazione della rete locale delle unità di offerta sociali;

o nella individuazione dei nuovi modelli gestionali e sperimentali nell’ambito della rete sociale;

o nell’esercitare il proprio ruolo, conformemente all’articolo 3 dello Statuto regionale, di tutela, interpretazione e espressione sia dei bisogni sociali che delle risorse locali;

o nella definizione dei requisiti di accreditamento delle unità di offerta sociali; o nella definizione dei livelli ulteriori di assistenza rispetto a quelli definiti dalla Regione; o nella determinazione dei parametri di accesso prioritario alle prestazioni sociali; o nell’organizzazione dell’attività di segretariato sociale; o nel promuovere e divulgare l'istituto dell’amministratore di sostegno in stretto accordo con

l’ufficio competente della Asl del distretto di riferimento.

Il Tavolo, per l’assolvimento dei suoi compiti, si darà proprie regole di funzionamento e di ordine dei lavori, favorendo la trasparenza e la comunicazione attiva, e potrà, laddove lo riterrà opportuno, costituire ulteriori gruppi di lavoro per aree tematiche.

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Per la propria attività, il Tavolo Locale si avvarrà del supporto tecnico e amministrativo previsto per l’Ufficio di Piano.

l Comitato Ristretto: l’Assemblea dei Sindaci nomina due componenti effettivi in rappresentanza di ogni sub ambito tra i Sindaci, gli Assessori alle Politiche Sociali ed i Consiglieri Comunali, che andranno a costituire il Comitato ristretto.

Il Comitato Ristretto si configura come un organismo finalizzato a facilitare l’azione di raccordo e di scambio comunicativo tra i diversi soggetti sottoscrittori e aderenti all’Accordo di programma. Detto Comitato avrà i seguenti compiti:

� Predisporre i documenti e le proposte di natura programmatoria da sottoporre all’approvazione dell’Assemblea dei Sindaci, con particolare riferimento al Piano Operativo annuale e al relativo report annuale, quale documento di monitoraggio dello stato di attuazione del Piano di Zona.

� Partecipare alla determinazione degli indirizzi politici per l’attività ordinaria dell’Ufficio di Piano;

� Partecipare alla formulazione di regolamenti in relazione a tematiche di competenza dell’Assemblea dei Sindaci.

Per facilitare l’organizzazione della propria attività, il Comitato Ristretto individua al proprio interno un componente che assume il ruolo di referente/coordinatore che oltre alla convocazione degli incontri, cura la definizione degli ordini del giorno ed il regolare funzionamento dei lavori dell’organismo. Al Comitato viene affidato inoltre il ruolo di attivare spazi di incontro e di correlazione rispetto alla costruzione delle politiche sociali distrettuali con gli organismi rappresentativi della comunità locale. A tale proposito il Comitato ristretto attiverà distinti percorsi di confronto con il Forum Cremasco del Terzo Settore e con le Organizzazioni Sindacali. In modo particolare, si definisce di attivare incontri di confronto in occasione della definizione dei principali documenti programmatori che segnano l’attività distrettuale, quali il Piano Operativo e il Report annuale.

Coordinamenti dei Sindaci di Sub Ambito: all’interno di ogni sub ambito è prevista una forma di coordinamento tra gli amministratori dei comuni che vi prendono parte al fine di approfondire il livello di conoscenza delle dinamiche distrettuali, per la formulazione di

proposte operative, per il raccordo tra le diverse municipalità rispetto a temi specifici inerenti una data porzione del territorio.

Sulla base dell’esperienza maturata nel corso del precedente triennio di attuazione del Piano di Zona, si conferma l’organizzazione funzionale per sub-ambiti come di seguito indicato:

� SUB-AMBITO 1 : Pandino (con ruolo di ente referente di sub-ambito), Agnadello, Dovera, Palazzo Pignano, Rivolta d’Adda, Spino d’Adda, Torlino Vimercati.

� SUB-AMBITO 2 : Sergnano (con ruolo di ente referente di sub-ambito), Camisano, Capralba, Casaletto Vaprio, Casale Vidolasco, Castel Gabbiano, Pieranica, Trescore Cremasco, Quintano, Vailate.

� SUB-AMBITO 3 : Bagnolo Cremasco (con ruolo di ente referente di sub-ambito), Campagnola Cremasca, Capergnanica, Casaletto Ceredano, Chieve, Cremosano, Monte Cremasco, Ripalta Cremasca, Ripalta Guerina, Pianengo, Vaiano Cremasco.

� SUB-AMBITO 4 : Soncino (con ruolo di ente referente di sub-ambito), Casaletto di Sopra, Cumignano sul Naviglio, Genivolta, Izano, Offanengo, Ricengo, Romanengo, Salvirola, Ticengo, Trigolo.

� SUB-AMBITO 5 : Castelleone (con ruolo di ente referente di sub-ambito), Credera-Rubbiano, Fiesco, Gombito, Madignano, Montodine, Moscazzano, Ripalta Arpina.

� SUB – AMBITO 6: Crema

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Coordinamenti Tecnici di Sub Ambito: all’interno di ogni sub ambito è prevista una forma di coordinamento tra gli operatori. La programmazione e la conduzione di dette attività di coordinamento viene affidata ad un operatore, di solito radicato nel comune dove svolge il

ruolo di referente per il sub ambito, che si occuperà delle seguenti funzioni: � parteciperà all'Ufficio di Piano; � coordinerà il gruppo degli operatori di sub ambito secondo gli indirizzi del Piano di Zona, � implementerà le politiche distrettuali nel livello locale, � programmerà e gestirà le risorse assegnate al sub ambito secondo le finalità definite nel

Piano Operativo e gli indirizzi dei Sindaci dei Comuni interessati, � curerà gli aspetti amministrativi e contabili connessi al sub ambito. Tavoli Tematici e gruppi di progetto: sono i luoghi della partecipazione, della progettazione partecipata tra tutti i soggetti sottoscrittori e aderenti all’Accordo di programma. Per non sottovalutare la complessità e la problematicità di gestione di detti gruppi, composti da soggetti

provenienti da riverse realtà, e vista la delicatezza del ruolo che questi gruppi svolgono, si è deciso di porre in essere alcune attenzioni per cercare di dare maggiore significatività alla composizione dei gruppi.

In primo luogo si prevede un maggior investimento sulle figure dei coordinatori. Ogni gruppo sarà “guidato” da due persone con esperienze e competenze acquisite sia nell’ambito di enti pubblici, sia all’interno di organizzazioni del privato sociale.

Ai coordinatori saranno offerte occasioni di incontro e di formazione per favorire linguaggi comuni, modalità omogenee di conduzione e strumenti condivisi di progettazione.

In secondo luogo, viene definito in modo chiaro il mandato e gli obiettivi di questi gruppi che sono stati costituiti con la chiara finalità di “costruire le progettualità che danno contenuto al terzo Piano di Zona”, ma che, terminata la fase progettuale preliminare all’approvazione del Piano di Zona (entro aprile), saranno i luoghi di confronto per il monitoraggio, la valutazione e l’eventuale ri-progettazione delle azioni nel triennio 2009-2011 di attuazione.

Infine i Gruppi di Progetto saranno fortemente interconnessi con l’Ufficio di Piano, quali luoghi di sviluppo tematico di riflessioni e piste di lavoro, con una costante azione di raccordo tra i due organismi.

l Coordinamento Provinciale degli Uffici di Piano: quale novità organizzativa del nuovo triennio, si pone in evidenza come i Comuni che compongono gli ambiti distrettuali di Crema, Cremona e Casalmaggiore ritengono necessario promuovere un’azione congiunta dal punto di

vista tecnico-operativo per interagire in modo unitario, sia verso il livello regionale, sia verso i soggetti operanti sul territorio provinciale, quali l’Amministrazione Provinciale e l’Azienda Sanitaria Locale. A tale scopo viene costituito il Coordinamento Provinciale degli Uffici di Piano con la designazione alla partecipazione attiva a detto organismo del coordinatore-responsabile dell’Ufficio di Piano di Crema. L’azione congiunta degli Uffici di Piano diviene occasione per favorire e per promuovere un’integrazione delle politiche sociali territoriali sia a partire dagli indirizzi espressi dal Consiglio Provinciale di rappresentanza dei Sindaci, sia mediante possibili momenti di incontro e di lavoro congiunto dei livelli esecutivi (Comitato Ristretto) delle tre Assemblee Distrettuali dei Sindaci.

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10. Il Modello Gestionale e il ruolo di

Comunità Sociale Cremasca a.s.c.

La gestione del Piano di Zona vede il ruolo attivo dell’Azienda Speciale Consortile dei 48 comuni cremaschi. Comunità Sociale Cremasca svolge il proprio ruolo di ente strumentale alla programmazione e di facilitazione/ottimizzazione delle dinamiche operative e gestionali connesse al raggiungimento degli obiettivi del Piano di Zona.

omunità Sociale Cremasca a.s.c.: sulla base del Piano Operativo annuale sviluppato dall’Ufficio di Piano e approvato dall’Assemblea dei Sindaci, viene definito il Contratto di Servizio con Comunità Sociale, grazie al quale si definiscono gli obiettivi gestionali e si

assegnano i budget costruiti in sede programmatoria. Nello specifico Comunità Sociale è impegnata in modo diretto in relazione alle seguenti partite:

� Gestione di servizi distrettuali: o Tutela Minori; o Inserimento Lavorativo; o Centro adozioni/affidi; o Consulenza tecnica per la verifica degli standard autorizzativi; o CSE/CDD “Il Sole” di Crema; o …

� Gestione servizi comunali: o Servizio Sociale professionale integrativo; o Trasporto sociale e telesoccorso; o …

� Governo dei servizi accreditati: o Gestione accreditamento del Servizio Assistenza Domiciliare; o Gestione accreditamento del Servizio Assistenza ad Personam; o Gestione accreditamento dei Servizi Integrativi per Disabili; o …

� Governo dell’accesso alla rete dei servizi: o Gestione delle situazioni di emergenza sociale, dimissioni protette, EINAF; o Gestione delle liste d’attesa per l’accesso alle RSA; o Gestione convenzionata dell’accesso e delle rette per i servizi diurni e residenziali

dedicati a persone disabili; o …

� Supporto alla programmazione del Piano di Zona: o Segreteria organizzativa; o Supporto tecnico alle commissioni di valutazione per i contributi economici; o Supporto tecnico alla progettazione territoriale e fund raising; o Raccolta e analisi dei dati; o Supporto tecnico per la realizzazione di iniziative formative; o …

� Gestione dei fondi distrettuali: o Supporto amministrativo per l’erogazione verso i Comuni e gli enti beneficiari; o …

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Il modello che definisce gli spazi di relazione tra il ramo programmatorio ed il ramo gestione distrettuale può essere graficamente visualizzato come segue:

AssembleaAssembleaDistrettuale Distrettuale

dei Sindaci con dei Sindaci con Ente CapofilaEnte Capofila

Comune di CremaComune di Crema

Comitato Ristretto

dell’AssembleaDei Sindaci

Ufficio di Piano

Coordinamenti tecnici di sub ambito

Gruppi tematici e di progetto

TAVOLO LOCALEDEL TERZO SETTORE

Assemblea dei Soci di Comunità Sociale

Assemblea dei Soci di Comunità Sociale

CDAe Presidenza

CDAe Presidenza

DirezioneDirezione

Struttura Amministrativa

Struttura Amministrativa

ServiziDistrettualiServizi

Distrettuali

AccreditamentoAccreditamento

In quanto coincidente con l’Assemblea dei Sindaci, organismo di validazione della gestione in coerenza con quanto definito in sede programmatoria

Essendo composto da amministratori, organismo interno

all’azienda di indirizzo, controllo

e di verifica rispetto alla gestione

Responsabilità diretta della gestione sia

rispetto ad aree definite dalla committenza

(Piano Operativo) sia rispetto ad aree

autonome dio sviluppo dell’attività aziendale

Organismo tecnico per la programmazione, radicato nell’ente capofila (Comune di Crema), con responsabilità dirette sulla correttezza amministrativa e sulla finalizzazione delle risorse

Organismo ristretto per il presidio dell’attivitàprogrammatoriae per la preparazione dei lavori a supporto dell’Assemblea

Organismo preposto alla programmazione e alla definizione di indirizzi politici in materia sociale, sociosanitaria e sanitaria

A partire dalla valutazione che i processi programmatori e le componenti gestionali sono fortemente correlati ed interconnessi, si condividono le seguenti modalità di relazione e di lavoro coordinato:

- Incontri congiunti tra i componenti del Comitato Ristretto ed i componenti del Consiglio di Amministrazione per la disanima di particolari temi oggetto di lavoro integrato che necessitano di elevato livello di condivisione e di raccordo.

- Incontri con cadenza definita tra il Coordinatore dell’Ufficio di Piano ed il Dir ettore Generale di Comunità Sociale Cremasca, per lo scambio informativo, per la costruzione di linee comuni di intervento e per il confronto costante in relazione all’attuazione del Piano Operativo/Contratto di Servizio.

- Partecipazione costante del Direttore Generale o di un tecnico delegato alle attività dell’Ufficio di Piano , quale luogo di confronto con i tecnici e gli operatori rappresentanti della comunità locale e delle istituzioni che sottoscrivono o aderiscono al Piano di Zona;.

- Specifici incontri tecnici di confronto in relazione a tematiche relative ai servizi sociali comunali e distrettuali tra il Direttore Generale (o suo delegato) il Coordinatore dell’Ufficio di Piano e i coordinatori tecnici dei sei sub ambiti territoriali.

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11. Strumenti di valutazione e verifica

La fase di monitoraggio e di valutazione rispetto al raggiungimento degli obiettivi appare delicata e meritevole di attenzioni. Per questo motivo ci si propone di adottare in occasione dei Piani Operativi annuali strumenti e modalità predefinite che favoriscano una misurabilità dei risultati ed una costante azione di verifica dell’attività in fase di realizzazione.

oerentemente con i tempi propri della programmazione e con i relativi strumenti di lavoro si ipotizza di attivare un sistema di reporting in grado di presidiare lo sviluppo delle attività caratterizzanti il nuovo Piano di Zona.

In particolare si prevede:

� Presentazione all’Assemblea dei Sindaci del Report annuale (entro gennaio dell’anno successivo) sulla base degli obiettivi definiti a preventivo con il Piano Operativo (da approvare da parte dell’Assemblea dei Sindaci entro il mese di marzo dell’anno di riferimento).

� Relazione di aggiornamento da presentare in Comitato ristretto (entro settembre dell’anno di riferimento) sulla base degli obiettivi definiti a preventivo con il Piano Operativo.

� Relazioni e momenti di valutazione congiunta all’interno dell’Ufficio di Piano e nel Tavolo Locale del Terzo Settore.

� Relazioni annuali su specifiche tematiche di particolare rilievo quali:

o Processi di Voucherizzazione

o Servizi Distrettuali Tutela Minori e Inserimento Lavorativo

o Progettualità innovative

o …

Nell’ALLEGATO A “ Scheda sintetica degli obiettivi del Piano di Zona 2009-2011” sono stati posti in evidenza gli obiettivi generali della programmazione zonale, collegandoli con le aree di lavoro a forte integrazione sociosanitaria. Nell’allegato vengono inoltre indicati, accanto alla declinazione degli obiettivi specifici, alcuni possibili primi indicatori di attività e di risultato, che dovranno essere necessariamente sviluppati e perfezionati, anche sotto il profilo della valutazione qualitativa oltre che quantitativa, in sede di Piano Operativo Annuale.

C

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Allegato A

Scheda sintetica degli OBIETTIVI

del Piano di Zona 2009-2011

In questo documento allegato al Piano di Zona si intendono

riportare in modo schematico gli obiettivi rilevanti per la prossima

triennalità.

Accanto all’Obiettivo Generale si declinano alcuni obiettivi

specifici, che già lasciano intravedere anche alcune possibili piste

di lavoro per il raggiungimento dei risultati attesi.

Viene richiamata la correlazione tra gli obiettivi propri della

programmazione zonale e gli obiettivi maturati dal confronto con gli

uffici di piano di Cremona e Casalmaggiore e l’ASL per

l’integrazione sociosanitaria, contenuti nel documento allegato 2

all’Accordo di Programma.

Si riportano inoltre alcuni possibili indicatori che possono favorire

una rilettura del grado di raggiungimento dell’obiettivo. Si tratta di

indicatori ancora molto generali e prevalentemente di tipo

quantitativo, rimandando ad una maggiore puntualità e allo sviluppo

di parametri qualitativi in occasione dei Piani Operativi annuali.

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Area Innovazione: le nuove progettualità - La Scelta Educativa

Obiettivo 1

Sviluppare interventi di Assistenza Domiciliare Minori per la

valorizzazione del contesto domiciliare

Obiettivi specifici

� promuovere un nuovo investimento culturale e operativo per la valorizzazione del contesto familiare e delle sue risorse;

� costruire strategie di intervento sociale finalizzate al mantenimento dei minori in famiglia con una riduzione dei fattori di possibile rischio;

� attivare il Servizio ADM su tutto il territorio distrettuale come intervento preventivo e non come sola risposta obbligata in occasione di provvedimento del Tribunale per i Minori;

� qualificare l’ADM come forma di sostegno all’intero nucleo familiare e non solo come erogazione di una serie di prestazioni a favore del minore;

� definire parametri omogenei in relazione a: natura dell’intervento, qualifica e formazione del personale impiegato, strumenti, tempi e modalità di lavoro;

� favorire occasioni di raccordo stabile tra il Servizio ADM e gli altri interventi di sostegno ai minori e alla famiglia (NPI, Tutela minori, scuola, ecc).

Alcuni possibili indicatori

� N. di eventi, manifestazioni, iniziative di promozione culturale e di sensibilizzazione sul tema � Grado di copertura del servizio ADM sul territorio distrettuale � N. e tipologia di soggetti/famiglie coinvolte/beneficiarie del servizio � Effettiva strutturazione di un modello distrettuale e grado di applicazione dello stesso sul territorio distrettuale � N. e Tipologia di accordi formali e di protocollo operativi tra diverse realtà istituzionali e non per la promozione

della domiciliarità nell’area minori e famiglia

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Area Innovazione: le nuove progettualità - La Scelta Educativa

Obiettivo 2

Realizzare azioni di sostegno alle famiglie con minori disabili

Obiettivi specifici

� promuovere percorsi di accompagnamento della famiglia all’interno della quale è inserito il minore disabile, per lo sviluppo di dinamiche e relazioni favorenti la rielaborazione delle problematiche connesse alla disabilità;

� attivare strategie operative per il riconoscimento tempestivo dei segnali che se interpretati in modo corretto possono favorire la diagnosi precoce della disabilità;

� promuovere modalità di intervento che considerino la globalità della vita delle persone con disabilità, evitando settorializzazioni ed erogazione di interventi slegati da una visione unitaria;

� agire un processo di sensibilizzazione culturale per un riconoscimento sia della famiglia come risorsa, ma anche della famiglia come portatrice di bisogni e, per questo, meritevole di azioni di supporto e di sollievo.

Alcuni possibili indicatori

� Effettiva attivazione di percorsi di accompagnamento � N. e tipologia di famiglie coinvolte nel processo � Percentuale di sviluppo/incremento di certificazioni relative a fascia di età 0-3 anni � N. e Tipologia di accordi formali e di protocollo operativi tra diverse realtà istituzionali e non per la promozione

della domiciliarità nell’area minori e famiglia � N. di eventi, manifestazioni, iniziative di promozione culturale e di sensibilizzazione sul tema

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Area Innovazione: le nuove progettualità - La Scelta Educativa

Obiettivo 3

Promuovere interventi di supporto alla genitorialità e reti di aiuto

tra le famiglie

Obiettivi specifici

� ricostruire un tessuto sociale di fiducia reciproca attraverso la valorizzazione dei contesti di vita tra le famiglie, favorendo occasioni di incontro informali e conviviali;

� promuovere percorsi formativi in cui sia coinvolta tutta la famiglia con proposte differenziate e parallele per genitori e bambini/ragazzi;

� valorizzare i servizi già esistenti come occasione di incontro allargato tra le famiglie, promuovendo opportunità rivolte all’intero territorio e non solo ai propri utenti;

� mettere in rete le realtà del territorio che hanno contatti con le famiglie (scuola, parrocchia, comune) per dar vita ad interventi coordinati a favore delle stesse;

� promuovere progetti sperimentali per l’attivazione di banche del tempo tra le famiglie.

Obiettivi di integrazione sociosanitaria

Si evidenzia il forte livello di correlazione tra gli obiettivi previsti dalla programmazione zonale con gli obiettivi di integrazione sociosanitaria definiti nella scheda 7 “Politiche Preventive e Promozionali” del documento di Integrazione Socio- Sanitaria ALLEGATO 2 all’Accordo di Programma.

Alcuni possibili indicatori

� Effettiva attivazione di spazi, luoghi e occasioni di incontro � N. e tipologia di famiglie coinvolte nel processo � N. e tipologia di realtà istituzionali e non coinvolte � N. e tipologia di proposte formative poste in essere a favore del target genitori � N. e tipologia di proposte formative poste in essere a favore del target famiglia � N. e tipologia di servizi/opportunità mappate e conosciute per una successiva promozione delle stesse � N. e Tipologia di accordi formali e di protocollo operativi tra diverse realtà istituzionali e non per la promozione

di opportunità di aggregazione � Effettiva attivazione di azioni sperimentali e loro grado di copertura territoriale

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Area Innovazione: le nuove progettualità - La Scelta Educativa

Obiettivo 4

Progettare azioni promozionali per il tempo libero e per attività di

prevenzione

Obiettivi specifici

� agganciare i ragazzi adolescenti nei contesti di vita e costruire con gli stessi relazioni significative; � arrivare nei loro luoghi di ritrovo per pensare insieme a ragazzi attività di promozione del tempo libero; � pensare percorsi estivi ad hoc per il target preadolescenti e adolescenti; � promuovere la rete delle agenzie promozionali ed educative, con particolare riferimento a: Ufficio Pastorale

Giovanile, Comuni, Cooperative, realtà dell’Associazionismo.

Obiettivi di integrazione sociosanitaria

Si evidenzia il forte livello di correlazione tra gli obiettivi previsti dalla programmazione zonale con gli obiettivi di integrazione sociosanitaria definiti nella scheda 8 “Salute e Stili di vita” del documento di Integrazione Socio- Sanitaria ALLEGATO 2 all’Accordo di Programma.

Alcuni possibili indicatori

� N. e tipologia di luoghi formali e non di aggregazione mappati e conosciuti per una successiva promozione degli stessi

� N. e tipologia di soggetti coinvolti � N. e tipologia di progetti aggregativi per il target specifico realizzati � N. e Tipologia di accordi formali e di protocollo operativi tra diverse realtà istituzionali e non per la promozione

di opportunità di aggregazione in relazione al target specifico � Effettiva attivazione di azioni sperimentali e loro grado di copertura territoriale

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Area Innovazione: le nuove progettualità - La Scelta Educativa

Obiettivo 5

Sviluppare azioni di accompagnamento per il successo formativo

Obiettivi specifici

� sostenere i servizi già esistenti e progettare eventuali nuovi servizi perché in essi possano afferire situazioni di normalità, disagio e disabilità;

� diminuire il carico della gestione delle situazioni di disagio nei servizi già presenti sul territorio, differenziando le proposte per fasce d’età e per bisogni (attività comuni e dove necessario interventi individualizzati per situazioni di disagio);

� investire nella formazione comune di personale educativo e volontario; � incrementare e coordinare i progetti di prevenzione specifica nelle scuole e nei servizi extrascolastici, con

un’attenzione anche alle nuove dipendenze (anche gioco, internet, ecc.).

Obiettivi di integrazione sociosanitaria

Si evidenzia il forte livello di correlazione tra gli obiettivi previsti dalla programmazione zonale con gli obiettivi di integrazione sociosanitaria definiti nella scheda 8 “Salute e Stili di vita” del documento di Integrazione Socio- Sanitaria ALLEGATO 2 all’Accordo di Programma.

Alcuni possibili indicatori

� N. e tipologia di servizi/opportunità mappati e conosciuti per una successiva promozione degli stessi � N. e tipologia di soggetti coinvolti � N. e tipologia di progetti di accompagnamento allo studio e al successo scolastico-formativo attivati � N. di eventi formativi realizzati e N di figure educative partecipanti � Effettiva attivazione di azioni sperimentali di prevenzione specifica e loro grado di copertura territoriale

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Area Innovazione: le nuove progettualità - La Domiciliarità

Obiettivo 6

Promuovere percorsi di supporto e sollievo ai familiari che si

prendono cura degli anziani e dei disabili (Caregiver)

Obiettivi specifici

� aiutare i familiari a riconoscere la legittimità dei sentimenti ambivalenti nei confronti dei propri anziani/ disabili, ambivalenza che il sovraccarico rischia di alimentare;

� promuovere un lavoro di sensibilizzazione culturale rispetto alla possibilità che venga veicolata un’altra cultura di essere “buoni figli/coniugi/genitori”: condizione indispensabile per arrivare all’esplicitazione di richieste di aiuto;

� sensibilizzare gli operatori del territorio (Medici di medicina generale, Assistenti sociali, Sacerdoti) in merito ai bisogni e alle problematiche dei caregiver;

� riprogettare e differenziare l’offerta dei percorsi che forniscono sollievo, non solo pensando ai servizi che si prendono in carico in “toto”, ma anche ipotizzando un diverso utilizzo di luoghi e spazi di vita che possano consentire ai familiari di “respirare”;

� riprogettare le modalità di accesso/utilizzo dei ricoveri di sollievo per gli anziani, attraverso un percorso di confronto con l’Azienda Sanitaria Locale finalizzata alla programmazione congiunta di posti letto riservati esclusivamente ai ricoveri di sollievo e relative modalità di accesso;

� sostenere, in collaborazione con le associazione del territorio, la domiciliarità attraverso l’utilizzo di volontari che si affianchino ai familiari nei luoghi di vita;

� promuovere il coordinamento, il reclutamento e la formazione di nuovi volontari, creando una rete tra associazioni e nuove forme di integrazione con i servizi.

Alcuni possibili indicatori

� N. e tipologia eventi, manifestazioni, iniziative di sensibilizzazione culturale � N. di eventi formativi realizzati e N. di figure professionali partecipanti � N. e tipologia di ricoveri/interventi di sollievo attivati � N. e Tipologia di accordi formali e di protocolli9 operativi tra diverse realtà istituzionali per la promozione delle

opportunità (anche innovative) di sollievo � N. e tipologia di associazioni e realtà del privato sociale coinvolti � Effettiva attivazione di azioni sperimentali di volontariato presso il domicilio � N. e tipologia di azioni di prossimità attivate

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Area Innovazione: le nuove progettualità - La Domiciliarità

Obiettivo 7

Sviluppare azioni di contrasto della condizione di solitudine degli

anziani

Obiettivi specifici

� promuovere la raccolta, a fini preventivi, di dati quantitativi ed eventualmente qualitativi relativi agli anziani soli (ed in particolare senza figli) presenti sul territorio del distretto. Una ricognizione in tal senso, effettuabile con la collaborazione delle anagrafi comunali e di figure significative (medico, parroco etc.), consentirebbe infatti di impostare idonei interventi di informazione e tutela nei confronti di una potenziale fascia di utenza critica;

� potenziare le opportunità di relazione e comunicazione a vari livelli: o tra gli anziani ed i loro familiari, e di in particolare con i caregiver – anche mediante interventi di supporto

ipotizzati a favore dei caregiver; o tra soggetti vari – riconsiderare ed arricchire di senso gli ambiti di incontro e socializzazione già presenti sul

territorio, andando oltre al “fare e progettare” esclusivamente per loro; o tra gli anziani stessi con l’obiettivo di attivarli perché possano essere utili ad altri; o tra persone di età differenti attraverso il potenziamento delle iniziative di incontro/ confronto tra le generazioni; � promuovere percorsi di preparazione all’invecchiamento con riferimento, in particolare, agli aspetti emotivi

legati all’elaborazione dei cambiamenti, delle perdite e dei lutti, senza tuttavia sottovalutare l’importanza di attivare processi di innovazione culturale rispetto alla concezione dell’età anziana ed alla possibilità di invecchiare in benessere.

Alcuni possibili indicatori

� Effettiva realizzazione di azioni di mappatura e di sviluppo di sistemi conoscitivi � Effettiva attivazione di azioni sperimentali/innovative di aggregazione, socializzazione e scambio e loro grado

di copertura territoriale � N. e tipologia di eventi, manifestazioni, iniziative frutto di integrazione con altre politiche di intervento (culturali,

turistiche, scolastiche, aggregative, …) � N. e tipologia di azioni formative/di sensibilizzazione sul target specifico � N. e tipologie di opportunità e servizi di prossimità attivati

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Area Innovazione: le nuove progettualità - La Domiciliarità

Obiettivo 8

Promuovere l’accesso ad opportunità territoriali da parte di disabili

adulti fuori dalla rete dei servizi

Obiettivi specifici

� coinvolgere le varie realtà territoriali per giungere ad una conoscenza più precisa del numero e delle situazioni di disabili adulti non seguiti dai servizi;

� presidiare il passaggio dalla gestione dei casi da parte del servizio di Neuro Psichiatria Infantile al CPS ed il collegamento tra scuola/servizi e territorio per garantire continuità nella presa in carico specialistica e nella attuazione del progetto individualizzato;

� promuovere progetti che mirano al graduale allontanamento dal nucleo familiare attraverso opportunità differenziate quali sollievo, percorsi che portino alla micro residenzialità temporale, individuazione di ambiti di residenzialità nel territorio in cui vive il disabile;

� costituire una banca dati dinamica su risorse formali e informali per consentire di individuare gli interventi collegati alle necessità e interessi previsti nel progetto individualizzato;

� sviluppare interventi di rete capaci di “utilizzare” tutti i servizi attivi sul territorio, collegando le offerte delle associazioni e cooperative;

� investire su modalità che portino alla costruzione di relazioni di fiducia tra operatori e le famiglie; � avviare un lavoro di sensibilizzazione culturale rivolto alle famiglie, ai disabili ed al contesto territoriale che porti

nella direzione di riconoscere, valorizzare i bisogni e le capacità dei soggetti disabili e alla promozione della persona pur considerandone i limiti.

Obiettivi di integrazione sociosanitaria

Si evidenzia la possibilità di correlazione tra gli obiettivi previsti dalla programmazione zonale con gli obiettivi di integrazione sociosanitaria definiti nella scheda 12 “Disabilità ed Uffici per la protezione Giuridica” del documento di Integrazione Socio- Sanitaria ALLEGATO 2 all’Accordo di Programma.

Alcuni possibili indicatori

� Effettiva realizzazione di azioni di mappature e di sviluppo di sistemi conoscitivi � N. e Tipologia di accordi formali e di protocollo operativi tra diverse realtà istituzionali per la ricomposizione

delle frammentarietà e per gestione congiunta delle fasi di passaggio � Effettiva attivazione di azioni sperimentali/innovative di allontanamento dal nucleo familiare verso altri contesti

residenziali e loro grado di copertura territoriale � N. e tipologia di azioni formative/di sensibilizzazione sul target specifico � Effettivo coinvolgimento e valorizzazione del volontariato del privato sociale

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Area Innovazione: le nuove progettualità - Dalla Vulnerabilità

all’Autonomia

Obiettivo 9

Sviluppare azioni innovative in relazione alla problematica

abitativa medianti interventi di assegnazione temporanea di

alloggi ERP, di mediazione per l’accesso alla locazione e al credito

Obiettivi specifici

� promuovere soluzioni di risposta temporanea mediante interventi sia di impostazione culturale sia di natura organizzativa;

� favorire la creazione di un tavolo distrettuale temporaneo che metta a punto un progetto che preveda la reale attuazione di strategie finalizzate all’introduzione della temporaneità nei processi di assegnazione degli alloggi ERP;

� potenziare l’offerta di risorse abitative anche temporanee laddove si renda necessario misurare la capacità di tenuta del soggetto;

� sensibilizzare la cittadinanza ad una cultura della responsabilità sociale; � promuovere percorsi di confronto con gli operatori del settore (associazioni dei proprietari, associazioni degli

inquilini, agenzie immobiliari, …) per la costruzione di protocolli di lavoro congiunto; � individuare i soggetti che possano fare da interlocutori-mediatori con i proprietari non solo alla stipula del

contratto, ma anche in itinere durante la conduzione dell’alloggio; � creare spazi di collaborazione strutturata tra l’ente pubblico e le agenzie di credito presenti sul territorio,

affinché dal confronto sulle situazioni di fragilità, si sviluppi un’abitudine a progettare insieme forme di sostegno e di aiuto;

� promuovere la conoscenza e lo sviluppo delle logiche di fondo e della possibile attuazione del credito etico; � sollecitare le agenzie di credito affinché possano essere predisposti, in collaborazione con l’ente locale e le

agenzie del territorio, progetti di emancipazione sociale, anche attraverso la valorizzazione dei budget che la banca ha a disposizione per “azioni sociali”.

Alcuni possibili indicatori

� Effettiva attuazione di modalità di assegnazione temporanea di alloggi ERP � N. e tipologia di azioni di controllo-monitoraggio in relazione al mantenimento dei requisiti per l’accesso e la

permanenza negli alloggi ERP � N. e tipologia di soggetti coinvolti � N. e tipologia di progetti di accompagnamento al mercato della locazione � N. e tipologia di soggetti coinvolti in esperienze di accesso mediato alla locazione privata � N. e tipologia di progetti di accompagnamento al credito etico; � N. e tipologia di soggetti coinvolti in accessi mediati al credito per la problematica abitativa

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Area Innovazione: le nuove progettualità - Dalla Vulnerabilità

all’Autonomia

Obiettivo 10

Sviluppare azioni innovative di responsabilità sociale per

fronteggiare la problematica lavorativa, con particolare riferimento

ai soggetti svantaggiati e in condizione di fragilità

Obiettivi specifici

� coinvolgere in modo diretto le Amministrazioni Pubbliche in scelte progettuali e politiche sociali fondate sulla responsabilità sociale;

� attivare iniziative di sensibilizzazione per promuovere una nuova impostazione culturale che possa riconsiderare lo svantaggio anche nella sua dimensione di possibile risorsa;

� sensibilizzare le aziende profit attraverso l’individuazione di modalità operative per l’aggancio progettuale delle associazioni di categoria;

� potenziare il Servizio di Inserimento Lavorativo e allargare/potenziare il Gruppo di Coordinamento in atto; � rafforzare ed incrementare la formazione e la disponibilità di tutor aziendali; � operare per una maggiore convergenza tra gli operatori del settore, attivando un miglior collegamento con i

servizi specialistici; � orientare risorse economiche verso progettualità territoriali per la ricerca di nuove fonti di finanziamento.

Alcuni possibili indicatori

� Effettivo sviluppo di convenzioni ex L. 381 per l’inserimento di soggetti svantaggiati � N. e tipologia di soggetti coinvolti in percorsi coordinati di inserimento lavorativo tra enti locali e cooperative

sociali nell’ambito dell’attribuzione di commesse di lavoro ex L. 381 � N. e tipologia di servizi/opportunità mappati e conosciuti per una successiva promozione degli stessi � N. e tipologia di eventi, iniziative e percorsi di sensibilizzazione per la responsabilità sociale d’impresa � Entità delle risorse assegnate per lo sviluppo del SIL � N. e tipologia di protocolli – accordi con realtà del mondo produttivo del profit per l’integrazione lavorativa

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Area Innovazione: le nuove progettualità - Dalla Vulnerabilità

all’Autonomia

Obiettivo 11

Promuovere interventi a contrasto dell’emarginazione sociale

Obiettivi specifici

� favorire una cultura, a tutti i livelli, improntata alla responsabilità sociale e quindi alla conoscenza del fenomeno ed al coinvolgimento attivo per la presa in carico dello stesso;

� fornire una rappresentazione visibile del problema che favorisca una maggior permeabilità tra inclusione ed esclusione;

� rafforzare ed implementare le organizzazioni di terzo settore che forniscono le risposte attraverso una stretta collaborazione con i servizi pubblici.

Alcuni possibili indicatori

� Effettiva promozione di iniziative-eventi di sensibilizzazione e di promozione di una cultura accogliente verso i soggetti maggiormente a rischio di emarginazione e di abbandono;

� N. e tipologia di servizi/opportunità operanti nell’area dell’emergenza e della prima accoglienza mappati e conosciuti per una successiva promozione degli stessi

� N. e tipologia di soggetti coinvolti � N. e tipologia di progetti di accoglienza attivati � N. e tipologia di eventi formativi realizzati in relazione alla tematica; � N. di convezioni-accordi attivati a supporto delle realtà che operano nell’area dell’emergenza e della prima

accoglienza;

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Area Innovazione: le nuove progettualità - Dalla Vulnerabilità

all’Autonomia

Obiettivo 12

Sviluppare azioni di conoscenza del fenomeno connesso al disagio

psichico e di promozione di azioni di supporto e sollievo

Obiettivi specifici

� promuovere una cultura rivolta all’inclusione sociale attraverso l’informazione (convegni, testimonianze, cineforum…);

� favorire l’inclusione sociale attraverso iniziative che realizzino esperienze di condivisione uscendo dalla cultura che prevede solo il “servizio ad hoc” per chi ha problemi di salute mentale;

� promuovere in collaborazione con le scuole esperienze che facciano conoscere agli studenti la tematica della salute mentale;

� sostenere le realtà di volontariato, associazioni e cooperative sociali che sul territorio si occupano di malattia mentale affinché promuovano esperienze di confronto e condivisione sul tema;

� promuovere una ricomposizione della frammentarietà di intervento, a partire da una visione globale della persona portatrice di diversi bisogni, grazie ad un nuovo confronto tra i servizi, gli operatori ed i familiari;

� costruire le condizioni socio–organizzative affinché i servizi del territorio e le realtà locali lavorino secondo percorsi integrati;

� favorire modelli di tutoraggio “informale” per un accompagnamento nella fasi poste acute e nella normalità di vita; � sostenere sul territorio associazioni, cooperative, parrocchie perché in collaborazione con i servizi, in particolare con

il CPS, possano pensare ad un percorso con i genitori per elaborare il loro diritto a spazi di sollievo ed il diritto dei propri congiunti a fare esperienze graduali di distacco e di vita autonoma;

� coinvolgere e sensibilizzare privati affinché affittino abitazioni a persone con fragilità mentali dando loro idonee garanzie dal punto di vista economico e dal punto di vista del sostegno;

� istituire un gruppo di lavoro stabile con figure designate da varie agenzie che lavorano sulla problematica della fragilità mentale che si confrontino sulle soluzioni residenziali individuate per persone con problemi psichiatrici e per l’attivazione di interventi idonei di sostegno e monitoraggio;

� sensibilizzare medici di base, parroci e altri possibili interlocutori quali soggetti che, unitamente ai servizi sociali, intercettano i familiari che non riescono più ad andare avanti perché li accompagnino a chiedere aiuto e a uscire da una condizione di isolamento e di non rilevanza/conoscenza per i servizi.

Obiettivi di integrazione sociosanitaria

Si evidenzia il forte livello di correlazione tra gli obiettivi previsti dalla programmazione zonale con gli obiettivi di integrazione sociosanitaria definiti nella scheda 9 “Salute Mentale” del documento di Integrazione Socio-Sanitaria ALLEGATO 2 all’Accordo di Programma.

Alcuni possibili indicatori

� N. e tipologia di servizi/opportunità mappati e conosciuti per una successiva promozione degli stessi � N. e tipologia di soggetti coinvolti � N. e tipologia di progetti innovativi di accompagnamento al reinserimento sociale attivati � N. e tipologia di azioni di supporto e sollievo al nucleo familiare � N. di eventi formativi realizzati e N. di figure educative partecipanti

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Area continuità e consolidamento

Obiettivo 13

Consolidare il Servizio Sociale Professione comunale - territoriale

Obiettivi specifici

� garantire stabilità alla presenza dell’operatore: anche grazie all’intervento di Comunità Sociale Cremasca che in regime di gestione convenzionata attiverà nel corso del 2009 una gestione del servizio sociale in diverse realtà comunali ancora prive di soluzioni stabili;

� potenziare il lavoro di equipe: l’operatore sociale opera in maniera integrata con altri operatori del sub-ambito e del distretto; ciò richiede flessibilità e disponibilità a condividere percorsi e momenti di confronto più allargato che vanno oltre la propria realtà comunale, anche per sviluppare maggiori competenze in relazione a progetti, azioni di sviluppo di comunità, partecipando con un ruolo attivo al lavoro di rete;

� attrezzare adeguate azioni di supporto amministrativo: l’intervento sociale nelle sue diverse funzioni, trova ulteriore qualificazione grazie ad un supporto amministrativo che consente al servizio maggiore agilità nelle procedure e all’operatore maggior tempo dedicato alla specificità del suo lavoro, superando un’operatività ed un fare fine a se stesso;

� riconoscere autonomia professionale, al di là e oltre le scelte organizzative: in questa realtà complessa, l’operatore sociale fonda il proprio agire professionale su principi e valori riconosciuti dal Codice Deontologico e che orientano le scelte di comportamento nei diversi livelli di responsabilità in cui opera, salvaguardando l’autonomia tecnico-professionale, con particolare riguardo ad alcuni passaggi significativi quali l’elaborazione del piano di aiuto, l’individuazione delle risposte volte a soddisfare e/o contenere il bisogno, la riservatezza sulle informazioni e sulle valutazioni che riguardano le persone.

Obiettivi di integrazione sociosanitaria

Si evidenzia il forte livello di correlazione tra gli obiettivi previsti dalla programmazione zonale con gli obiettivi di integrazione sociosanitaria definiti nella scheda 1 “Segretariato Sociale e Punti Unici di Accesso” e nella scheda 2 “Sistema Informativo socio-sanitario” del documento di Integrazione Socio- Sanitaria ALLEGATO 2 all’Accordo di Programma.

Alcuni possibili indicatori

� Grado di copertura del servizio rispetto all’ambito territoriale � Effettiva realizzazione di modalità stabili e sistematiche di coordinamento sovra comunale, di sub ambito e

distrettuale � N. e tipologia di eventi formativi finalizzati alla qualificazione professionale dell’Assistente Sociale

Professionale � N. e tipologia di soggetti coinvolti nei processi formativi � Effettiva garanzia di contesti e luoghi di lavoro professionale autonomo, di implementazione di strumenti

professionali e di supporti amministrativi adeguati

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Area continuità e consolidamento

Obiettivo 14

Accreditamento e Voucherizzazione

Obiettivi specifici

� sviluppare un approccio qualitativo nel processo di voucherizzazione che ponga al centro i seguenti punti di attenzione:

- la destinazione mirata dei titoli sociali e lo sviluppo di capacità da parte degli operatori dei Comuni di orientare il cittadino, a partire dalla lettura del bisogno espresso, rispetto alle possibili risorse che il sistema può offrire, sostenendolo nell’esercizio della libertà di scelta e mantenendo la “regia” del piano individualizzato di intervento, condiviso con la persona e la famiglia. Dovranno in tal senso essere individuati e formati profili funzionali di “case manager” in grado di coordinare e attivare il lavoro di rete e di potenziare le risorse personali dell’individuo o dei suoi familiari;

- l’attivazione di forme di integrazione tra titoli sociali e prestazioni sociosanitarie; � ridefinire un modello organizzativo per l’accreditamento e voucherizzazione che semplifichi definendo regole

certe e ruoli chiari, attraverso:

- la costruzione di una nuova procedura e di nuovi criteri di accreditamento;

- la definizione di criteri di accesso al beneficio chiari, condivisi e sostenibili;

- la strutturazione di un sistema di finanziamento e gestione dei fondi;

- la condivisione del ruolo di Comunità Sociale Cremasca, nell’ambito del processo di gestione titoli sociali;

- la definizione del ruolo del Servizio Sociale Professionale quale attivatore del voucher e promotore del progetto individualizzato di aiuto;

- la costruzione di agevoli modalità per l’assolvimento del debito informativo;

- l’applicazione di strumenti di verifica e di valutazione.

Obiettivi di integrazione sociosanitaria

Si evidenzia il forte livello di correlazione tra gli obiettivi previsti dalla programmazione zonale con gli obiettivi di integrazione sociosanitaria definiti nella scheda 4 “Vigilanza Socio - Assistenziale”, la scheda 10 “ Continuità Assistenziale” e la scheda 11 “ Attività domiciliari” del documento di Integrazione Socio- Sanitaria ALLEGATO 2 all’Accordo di Programma.

Alcuni possibili indicatori

� Entità di risorse distrettuali definite per l’erogazione di Titoli Sociali � Entità di risorse comunali definire per l’erogazione di Titoli Sociali � Grado di copertura territoriale dei Titoli Sociali � Grado di copertura territoriale dei voucher sociali � Ambiti di applicazione dei voucher sociali � Effettiva definizione di criteri di accreditamento per le unità di offerta - strutture e per i servizi funzione

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Area continuità e consolidamento

Obiettivo 15

Favorire azioni di riprogettazione dei Servizi distrettuali Tutela

Minori Integrata e Inserimento Lavorativo

Obiettivi specifici per il Servizio Tutela Minori Integrata

� promuovere e potenziamento Servizio Affidi mediante:

- creazione del Centro Unico Affido e Adozioni in collaborazione con l’ASL (per l’espletamento delle valutazioni dei nuclei affidatari e adottivi);

- Potenziare il monte ore settimanale degli operatori del Servizio Affidi;

- Collaborare con Associazioni di volontariato del territorio per la promozione dei temi legati all’accoglienza;

- Potenziare le risorse alternative ai nuclei familiari appartenenti alla banca dati del Servizio, attraverso la costituzione di convenzione con il terzo settore;

- approvare il regolamento del Servizio affidi al fine dell’inserimento dello stesso nel Coordinamento Nazionale Affidi;

� qualificare il Servizio Tutela Minori attraverso:

- continuità della formazione per ciascun operatore sociale inerenti i temi della tutela e protezione del minore;

- continuità del percorso di supervisione tecnica a cadenza mensile e creazione di un documento sul percorso svolto negli anni;

- creazione di una bibliografia specifica attraverso l’acquisto di testi consultabili dagli operatori inerenti le tematiche della tutela e dell’accoglienza di minori. Tale risorsa ha l’obiettivo di rendere i testi consultabili anche dagli operatori sociali del territorio interessati;

� potenziare i rapporti con il territorio:

- promozioni di momenti di scambio tra il Servizio Tutela Minori e i Sub-Ambiti territoriali attraverso due momenti strutturati: 1)Relazione del documento “report delle attività di Servizio” 2) Incontro tra gli operatori psico-sociali della Tutela Minori con i singoli operatori sociali dei Comuni per un aggiornamento della casistica in carico al Servizio;

- iniziative volte alla formazione, sensibilizzazione ed informazione circa le tematiche inerenti il disagio minorile ed interventi a sostegno della genitorialità, attraverso la costituzione di percorsi tematici rivolti ad un determinato pubblico (percorsi rivolti agli operatori operanti nel sociale, liberi cittadini, associazioni di volontariato, ecc…);

- avvio del corso sperimentale, in collaborazione con il Comune di Crema, a carattere formativo ed informativo sulle tematiche della segnalazione dei minori, destinato ai plessi scolastici della scuola materna e della scuola primaria di Crema. Tale progetto ha un obiettivo secondario di estendere tale esperienza nei plessi scolastici del territorio distrettuale di appartenenza.

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Obiettivi di integrazione sociosanitaria

Si evidenzia il forte livello di correlazione tra gli obiettivi previsti dalla programmazione zonale con gli obiettivi di integrazione sociosanitaria definiti nella scheda 6 “Minori e Famiglia” del documento di Integrazione Socio- Sanitaria ALLEGATO 2 all’Accordo di Programma.

Obiettivi specifici per il Servizio Inserimento Lavorativo

� promuovere e potenziare il servizio mediante:

- riattivazione dei lavori del Coordinamento per l’Inserimento Lavorativo, composto da operatori sociali

comunali, dei servizi specialistici e enti del terzo settore specializzati nel reinserimento lavorativo, con

la firma di un protocollo d’intesa triennale con questi ultimi finalizzato alla realizzazione congiunta di

attività in tema di inserimento lavorativo.

- definizione di percorsi SFA propedeutici all’Inserimento Lavorativo;

- valutazione e individuazione di prospettive da offrire ai soggetti che hanno già fatto percorsi SIL, ma

che sono occupabili, ma non produttivi.

- questionario di ricerca-intervento sul livello di gradimento del Servizio (da somministrare ad A.S. e

Aziende);

� sviluppare i rapporti con il territorio attraverso:

- promozione di momenti di scambio tra il Servizio Inserimento Lavorativo e i Sub-Ambiti territoriali

attraverso due momenti strutturati, per offrire e raccogliere spunti di riflessione congiunta al fine di

programmare risposte sempre più rispondenti alle necessità emergenti del contesto territoriale di

riferimento: 1) Relazione del documento “report delle attività di Servizio”; 2) Disponibilità al chiarimento

di casi specifici;

- partecipazione ad attività formativa organizzata in collaborazione con l’Amministrazione provinciale

rivolta agli operatori dei tre SIL del territorio. Per l’anno 2009 si propone una supervisione specifica per

il SIL e il gruppo di coordinamento di Crema;

- rapporto con Ufficio collocamento disabili della provincia di Cremona.

- ricerca di finanziamento per la stampa della “Guida del S.I.L.” da inviare alle Aziende;

- attivazione di uno spazio dedicato e specifico per il S.I.L. all’interno del Sito della Comunità Sociale

Cremasca.

Alcuni possibili indicatori

� Entità delle risorse impegnate nell’affido rispetto ad altre forme di intervento � Grado di copertura territoriale delle azioni comunicative e di reporting � N. e tipologia di iniziative di promozione dei servizi distrettuali TM e SIL � N. e tipologia di soggetti coinvolti in processi di sviluppo dei servizi TM e SIL(costruzione di partnership) � N. e tipologia di iniziative formative promosse per gli operatori dei servizi distrettuali TM e SIL

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Area continuità e consolidamento

Obiettivo 16

Definizione dei sistemi di accesso alla rete dei servizi

Obiettivi specifici

� approvazione di uno schema di regolamento distrettuale per l’accesso al sistema dei servizi diurni e residenziali per disabili e, contestualmente alla revisione del sistema di finanziamento della rete disabilità (di cui al punto 8), delle regole di compartecipazione dell’utenza (anno 2009);

� approvazione di uno schema di regolamento distrettuale per l’accesso al sistema dei servizi diurni e residenziali per anziani e delle regole di compartecipazione dell’utenza (anno 2010);

� elaborazione della Carta dei Servizi d’Ambito a partire dai servizi gestiti a livello distrettuale (anno 2011).

Obiettivi di integrazione sociosanitaria

Si evidenzia il forte livello di correlazione tra gli obiettivi previsti dalla programmazione zonale con gli obiettivi di integrazione sociosanitaria definiti nella scheda 12 “Disabilità e ufficio per la protezione giuridica” del documento di Integrazione Socio- Sanitaria ALLEGATO 2 all’Accordo di Programma, con particolare riferimento ai seguenti passaggi: � definire criteri uniformi di compartecipazione alla spesa per la frequenza di servizi socio assistenziali e socio

sanitari per disabili, almeno a livello di ambito; � promuovere l’integrazione istituzionale delle competenze sul sostegno ai disabili in età scolare, attraverso la

realizzazione di una banca dati comune; � definire, e rendere operativo, un protocollo di collaborazione per le funzioni di tutela ed in particolare

per l’amministratore di sostegno; � definire in maniera concertata i criteri di finanziamento di progettualità rivolte al singolo per la vita

autonoma e indipendente e per l’acquisto di strumenti tecnologicamente avanzati.

Alcuni possibili indicatori

� Effettiva attivazione del gruppo di lavoro � N. e tipologia di soggetti del privato sociale e dell’associazionismo familiare coinvolti nel processo � Effettiva realizzazione dei regolamenti distrettuali entro i termini definiti � Grado di copertura territoriale dell’applicazione delle procedure � Effettiva realizzazione della Carta dei Servizi d’Ambito entro i termini stabiliti � N. e tipologia di eventi e strumenti comunicativi per la promozione delle opportunità territoriali

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Area Sistema di Finanziamento

Obiettivo 17

Realizzare una revisione complessiva del sistema di finanziamento

dell’attività distrettuale

Obiettivi specifici

� liberare il FNPS dal carico dei servizi consolidati, scegliendo di destinare queste risorse alle aree indicate dalla Regione, con particolare riferimento alle voci Titoli Sociali e Progettualità;

� introdurre una modalità di utilizzo del FNPS che preveda detto fondo come un “moltiplicatore” di risorse rispetto a stanziamenti comunali, introducendo un sistema premiale che da un lato tuteli i piccoli comuni, ma che valorizzi anche la volontà di investimento sul sociale, ribadendo in modo pieno l’accezione che questo stanziamento ha come aggiuntivo e non sostitutivo delle risorse comunali. In questa prospettiva si inserisce la costituzione di un Fondo Distrettuale per la prevenzione e la promozione che possa essere finalizzato, in continuità con gli obiettivi delle ex leggi di settore, a favorire l’attualizzazione delle molte iniziative progettuali di cui il nostro territorio è ricco;

� rivedere in modo radicale il sistema di finanziamento dei servizi distrettuali Tutela Minori e Inserimento Lavorativo, giungendo a condividere un nuovo modello che possa introdurre adeguamenti del Fondo di Solidarietà sia in relazione alla composizione delle quote comunali, sia rispetto alle percentuali di rimborso rispetto ai servizi;

� rivedere in modo radicale il sistema di finanziamento della rete disabilità, definendo nuovi criteri di finanziamento sui fondi comunali e sul Fondo Sociale Regionale, introducendo oltre a parametri di accreditamento anche una programmazione di posti a contratto, con la conseguente necessaria condivisione di un sistema che si sviluppa e cresce a partire da indirizzi chiari e condivisi; a tale proposito diviene di importanza fondamentale l’introduzione di una corresponsabilità di tutti i soggetti in campo, enti pubblici, enti gestori, utenti e familiari, per perseguire la sostenibilità del sistema;

� prendere atto che la struttura organizzativa e gestionale dell’ambito distrettuale necessita di adeguate risorse per dare continuità alle scelte intraprese e per beneficiare tutti delle potenzialità che il lavoro integrato a livello sovra comunale può produrre e che ha prodotto in questi anni. In modo particolare si fa riferimento alla necessità di un’azione distrettuale ed interdistrettuale per l’accesso ad altri canali di finanziamento, vera possibilità concreta per dare nuova linfa alla dimensione progettuale, al di là delle risorse nazionali, regionali e comunali sempre più esigue e di difficile reperimento. Da qui la necessità di rivedere le modalità di partecipazione da parte dei soggetti sottoscrittori e aderenti all’Accordo di programma per l’attuazione del Piano di Zona.

Alcuni possibili indicatori

� Effettiva finalizzazione del FNPS in coerenza con le indicazioni regionali � Impiego del 90% delle risorse del FNPS assegnate nel triennio � Liquidazione entro il 31.12.2011 di almeno il 70% dell’assegnato nel triennio � Entità delle risorse destinate al Fondo Distrettuale per interventi di natura preventiva e promozionale � Effettiva realizzazione di una revisione del Fondo di Solidarietà a partire dal 2010 e percentuale di sviluppo � Effettiva realizzazione di una revisione del sistema di finanziamento della rete disabilità a partire dal 2010 � Entità delle risorse destinate al Fondo di gestione

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FFaammiiggll iiee ccoonn mmiinnoorr ii AAddoolleesscceenntt ii

Attività Consolidata Attività Innovativa

Titoli Sociali dedicati

TTuutteellaa MMiinnoorr ii

Supporto alla genitorialità Auto mutuo aiuto

Assistenza Domiciliare

Sostegno Famiglie con bambini disabili

AAggggrreeggaazziioonnee TTeemmppoo ll iibbeerroo

SSvvii lluuppppoo PPrrooggeett ttoo AAff ff iiddoo

Successo scolastico

FFaammiiggll iiee ccoonn aannzziiaannii ee ddiissaabbii ll ii aadduull tt ii

Attività Consolidata Attività Innovativa

VVoouucchheerr iizzzzaazziioonnee SSAADD

AAcccceessssoo aall llaa RReessiiddeennzziiaall ii ttàà

Supporto e sollievo ai CAREGIVER

Opportunità per l’anziano solo a casa

OOppppoorrttuunnii ttàà ppeerr ii ll ddiissaabbii llee aadduull ttoo aa ccaassaa

CCoonntt iinnuuii ttàà AAssssiisstteennzziiaallee

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SSooggggeett tt ii aa rr iisscchhiioo eemmaarrggiinnaazziioonnee

Attività Consolidata

Attività Innovativa

Titoli Sociali dedicati

Problematiche abitative

DDiissaaggiioo ppssiicchhiiccoo

PPrroobblleemmaattiicchhee ooccccuuppaazziioonnaallii

Emarginazione sociale

Temporaneità nell’ERP

Mediazione all’affitto

Mediazione per il credito

Conoscenza e sensibilizzazione

Gestione della multiproblematici

Sollievo e dopo di noi

Emergenza Sociale

SIL

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Allegato B

Fondo Unico Distrettuale:

preventivo triennale

In questo documento allegato al Piano di Zona si riporta una prima

formulazione di preventivo delle risorse che compongono il Fondo

Unico Distrettuale.

Concorrono alla composizione del Fondo Unico i seguenti canali di finanziamento:

FNPS : Fondo Nazione Politiche Sociali

F.SOL: Fondo di Solidarietà

FSR: Fondo Sociale Regionale

COMUNI: Risorse stanziate dai Comuni

F. Gestione: Fondo di Gestione derivante da risorse comunali

AP: Risorse provenienti dall’Amministrazione Provinciale

FNA: Fondo per le non autosufficienze

ASL: Risorse provenienti dall’Azienda Sanitaria Locale

Gli interventi sono stati aggregati in tre aree:

1) Continuità e consolidamento

2) Innovazione: nuove progettualità

3) Gestione e sistema

Si ribadisce che le cifre indicate, pur riferendosi ad un dato storico consolidato, sono

da considerarsi una stima indicativa che dovrà essere definita nel dettaglio in

occasione di ogni Piano Operativo annuale, sulla base degli effettivi stanziamenti

statali e regionali e delle scelte condivise a livello locale.

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PREVENTIVO RISORSE PIANO DI ZONA ANNO 2009

AREA 1. Continuità e consolidamento 2009 FNPS 09 FNPS 08 F.SOL FSR COMUNI F.Gestione AP FNA ASL

SSDB € 427.265,00 € 157.265,00 € - € - € - € 240.000,00 € - € - € 30.000,00 € -

Titoli Sociali € 1.869.370,00 € 483.439,00 € 40.000,00 € 22.045,00 € - € 620.000,00 € - € 108.955,00 € 444.857,00 € 150.074,00

Accreditamento € 10.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € - € 10.000,00

Tutela Minori Integrata € 1.291.877,70 € 114.199,69 € - € 245.481,91 € 530.177,14 € 402.018,96 € - € - € - € -

Integrazione lavorativa € 119.625,00 € 16.719,74 € - € 40.385,67 € 25.519,59 € 12.000,00 € - € 25.000,00 € - € -

Rete Disabilità € 1.459.585,00 € - € - € - € 480.457,50 € 979.127,50 € - € - € - € -

Telesoccorso € 30.000,00 € - € - € - € - € 30.000,00 € - € - € - € -

Rete delle unità d'offerta € 272.334,77 € - € - € - € 272.334,77 € - € - € - € - € -

AREA 2. Innovazione: nuove progettualità

Pronto intervento sociale/Emergenza caldo € 30.000,00 € 30.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € -

Fondo preventivo promozionale € 292.377,00 € 276.500,00 € - € - € - € 6.500,00 € - € - € - € 9.377,00

Trasporto Sociale € 38.000,00 € 6.000,00 € - € - € - € 32.000,00 € - € - € - € -

AREA 3. Area gestione e sistema

Gestione € 209.050,00 € 91.250,00 € - € - € - € 14.550,00 € 100.000,00 € - € - € 3.250,00

Azioni tecniche di sistema € 58.500,00 € 58.500,00 € - € - € - € - € - € - € - € -

Formazione € 10.000,00 € 10.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € -

Ufficio di Piano € 22.354,57 € 22.354,57 € - € - € - € - € - € - € - € -

€ 6.140.339,04 € 1.266.228,00 € 40.000,00 € 307.912,58 € 1.308.489,00 € 2.336.196,46 € 100.000,00 € 133.955,00 € 474.857,00 € 172.701,00

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PREVENTIVO RISORSE PIANO DI ZONA ANNO 2010

AREA 1. Continuità e consolidamento 2010 FNPS 10 F.SOL FSR COMUNI F.Gestione AP FNA ASL

SSDB € 431.580,00 € 191.000,00 € - € - € - € 240.580,00 € - € - € - € -

Titoli Sociali € 1.821.000,00 € 570.000,00 € - € 22.045,00 € - € 620.000,00 € - € 108.955,00 € 350.000,00 € 150.000,00

Accreditamento € 10.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € - € 10.000,00

Tutela Minori Integrata € 1.300.000,00 € 70.000,00 € - € 245.000,00 € 505.000,00 € 480.000,00 € - € - € - € -

Integrazione lavorativa € 120.000,00 € - € - € 41.000,00 € 27.000,00 € 27.000,00 € - € 25.000,00 € - € -

Rete Disabilità € 1.450.000,00 € - € - € - € 480.000,00 € 970.000,00 € - € - € - € -

Telesoccorso € 30.000,00 € - € - € - € - € 30.000,00 € - € - € - € -

Rete delle unità d'offerta € 298.000,00 € - € - € - € 298.000,00 € - € - € - € - € -

AREA 2. Innovazione: nuove progettualità

Pronto intervento sociale/Emergenza caldo € 30.000,00 € 30.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € -

Fondo preventivo promozionale € 310.000,00 € 300.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € 10.000,00

Trasporto Sociale € 40.000,00 € - € - € - € - € 40.000,00 € - € - € - € -

AREA 3. Area gestione e sistema

Gestione € 209.050,00 € 44.000,00 € - € - € - € 61.800,00 € 100.000,00 € - € - € 3.250,00

Azioni tecniche di sistema € 58.500,00 € 43.000,00 € - € - € - € 15.500,00 € - € - € - € -

Formazione € 27.000,00 € 27.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € -

Ufficio di Piano € 25.000,00 € 25.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € -

€ 6.160.130,00 € 1.300.000,00 € - € 308.045,00 € 1.310.000,00 € 2.484,880,00 € 100.000,00 € 133.955,00 € 350.000,00 € 173.250,00

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PREVENTIVO RISORSE PIANO DI ZONA ANNO 2011

AREA 1. Continuità e consolidamento 2011 FNPS 11 F.SOL FSR COMUNI F.Gestione AP FNA ASL

SSDB € 420.000,00 € 180.000,00 € - € - € - € 240.000,00 € - € - € - € -

Titoli Sociali € 1.841.000,00 € 690.000,00 € - € 22.045,00 € - € 620.000,00 € - € 108.955,00 € 300.000,00 € 100.000,00

Accreditamento € 10.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € - € 10.000,00

Tutela Minori Integrata € 1.280.000,00 € - € - € 245.000,00 € 495.000,00 € 540.000,00 € - € - € - € -

Integrazione lavorativa € 120.000,00 € - € - € 41.000,00 € 27.000,00 € 27.000,00 € - € 25.000,00 € - € -

Rete Disabilità € 1.450.000,00 € - € - € - € 480.000,00 € 970.000,00 € - € - € - € -

Telesoccorso € 30.000,00 € - € - € - € - € 30.000,00 € - € - € - € -

Rete delle unità d'offerta € 308.000,00 € - € - € - € 308.000,00 € - € - € - € - € -

AREA 2. Innovazione: nuove progettualità

Pronto intervento sociale/Emergenza caldo € 30.000,00 € 30.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € -

Fondo preventivo promozionale € 335.500,00 € 326.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € 9.500,00

Trasporto Sociale € 40.000,00 € - € - € - € - € 40.000,00 € - € - € - € -

AREA 3. Area gestione e sistema

Gestione € 210.000,00 € - € - € - € - € 106.750,00 € 100.000,00 € - € - € 3.250,00

Azioni tecniche di sistema € 59.000,00 € 22.000,00 € - € - € - € 37.000,00 € - € - € - € -

Formazione € 27.000,00 € 27.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € -

Ufficio di Piano € 25.000,00 € 25.000,00 € - € - € - € - € - € - € - € -

€ 6.185.500,00 € 1.300.000,00 € - € 308.045,00 € 1.310.000,00 € 2.610.750,00 € 100.000,00 € 133.955,00 € 300.000,00 € 122.750,00

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106

PREVENTIVO RISORSE PIANO DI ZONA ANNO 2009-2011

€ -

€ 1.000.000,00

€ 2.000.000,00

€ 3.000.000,00

€ 4.000.000,00

€ 5.000.000,00

€ 6.000.000,00

€ 7.000.000,00

€ 8.000.000,00

FNPS09 FNPS08 F.SOL FSR COMUNII F.Gestione AP FNA ASL

PREVENTIVO RISORSE PIANO DI ZONA 2009-2011

AREA 1

AREA 2

AREA 3

PIANO DI ZONA 2009-2011 FNPS FNPS08 F.SOL FSR COMUNI F.Gestione AP FNA ASL

AREA 1. Continuità e consolidamento € 16.399.637,47 € 2.472.623,43 € 40.000,00 € 924.002,58 € 3.928.489,00 € 7.077.726,46 € - € 401.865,00 € 1.124.857,00 € 430.074,00

AREA 2. Innovazione: nuove progettualità € 1.145.877,00 € 998.500,00 € - € - € - € 118.500,00 € - € - € - € 28.877,00

AREA 3. Gestione e sistema € 940.454,57 € 395.104.57 € - € - € - € 235.600,00 € 300.000,00 € - € - € 9.750,00

€ 18.485.969,04 € 3.866.228,00 € 40.000,00 € 924.002,58 € 3.928.489,00 € 7.431.826,46 € 300.000,00 € 401.865,00 € 1.124.857,00 € 468.701,00

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107

AREA 1 CONTINUITA' E CONSOLIDAMENTO 2009-2011

FNPS080%

F.SOL6%

AP2%

F.Gestione0%

FNA7%

ASL3% FNPS09

15%

COMUNII43%

FSR24%

AREA 2 INNOVAZIONE: NUOVE PROGETTUALITA' 2009-2011

FNPS0987%

ASL3%

FNPS080%

FSR0%

F.SOL0%

COMUNII10%

F.Gestione0%

FNA0%

AP0%

AREA 3 GESTIONE E SISTEMA 2009-2011

FSR0%

FNA0%

ASL1%AP

0%

FNPS080%

F.SOL0%

COMUNII25%

F.Gestione32%

FNPS0942%

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FNPS 2009 2010 2011

servizi € 318.184,43 € 291.000,00 € 210.000,00 titoli sociali € 483.439,00 € 570.000,00 € 690.000,00 progetti € 276.500,00 € 300.000,00 € 326.000,00 gestione € 159.750,00 € 114.000,00 € 49.000,00 udp € 22.354,57 € 25.000,00 € 25.000,00

€ 1.260.228,00 € 1.300.000,00 € 1.300.000,00

IMPIEGO FNPS 2009-2011

€ -

€ 100.000,00

€ 200.000,00

€ 300.000,00

€ 400.000,00

€ 500.000,00

€ 600.000,00

€ 700.000,00

€ 800.000,00

servizi titoli sociali progetti gestione udp

2009

2010

2011