Perugia nell'Ottocento

84
2/2008 1876-1880

description

rivista di storia di perugia

Transcript of Perugia nell'Ottocento

Page 1: Perugia nell'Ottocento

2/2008

1876-1880

Page 2: Perugia nell'Ottocento
Page 3: Perugia nell'Ottocento

Corrispondenze dall’800 2/2008

Sommario

CORRISPONDENZE DALL’800

Rubrica trimestrale“Corrispondenze dall’800”in collaborazione con l’ISUCallegato alla rivista piano.forteDirettore responsabile Alberto Giovagnoni

Direttore EditorialeMarinella Ambrogi

A curaDirezione Generale Provincia di Perugia

Ideazione e progettazioneMaurizio Terzetti

Divulgazione e comunicazione internetFerdinando Luciani

Comitato ScientificoRoberto AbbondanzaLuigi TittarelliMario Tosti

CollaboraratoriFranco BozziGabriele De VerisFrancesco FeliciErnesto Galli Della LoggiaFrancesco ImbimboAlessandra MiglioratiDaniela MoriAndrea ProiettiMatteo RossiSimone SlavieroLaura Zazzerini

Progetto graficoMarusca BelliniSimone Caligiana

Luigi Armoni, Orvieto, 1880 ca., lastraal collodio (Istituto centrale per ilcatalogo e la documentazione, Roma)

Per la concessione delle riproduzioni fotografiche si ringraziano:Accademia di Belle Arti “P. Vannucci” di Perugia, Archivio di Stato di Perugia, Biblioteca Comunale Augusta diPerugia, Biblioteca del Senato di Roma, Comune di Città di Castello, Comune di Gubbio, Comune di Foligno,Comune di Perugia, Comune di Terni, Istituto centrale per il catalogo e la documentazione di Roma, EnricoMezzasoma, Alberto Moriconi, Paul Scheuermeier, Università degli Studi di Perugia, www.ilmenante.it

Abbreviazioni utilizzate:ACS = Archivio Centrale dello StatoASMS = Archivio della Società Generale del Mutuo Soccorso di PerugiaASPg = Archivio di Stato di PerugiaASPP = Archivio Storico della Provincia di PerugiaBAP = Biblioteca Comunale Augusta di Perugiab. = bustafasc. = fascicoloSAUR = Saur allgemeines kunstlerlexikon Bio-bibliographischer Index A-Z, Saur, München - Leipzig

L’OPINIONEErnesto Galli Della Loggia 4 Perché focalizzare l’attenzione sull’Ottocento?

DIBATTITO SULL’UMBRIALuigi Tittarelli 7 La casa del nonno

Mario Tosti 16 Il decennio 1870 - 1880

CORRISPONDENZEMaurizio Terzetti 20 La Provincia e il suo Ufficio Tecnico tra il 1876 e 1880.

“Il tempo si sciupa in varie gite”Franco Bozzi 25 Per una storia dell’associazionismo operaio in Umbria.

L’età delle riforme.Dalle leghe di resistenza alla legislazione sociale sul lavoro.

Andrea Proietti 33 L’Umbria di Benedetto Maramotti 1868-1896.Dall’avvento della Sinistra al pensionamento 1876-1889.

Francesco Imbimbo 44 Le sedi delle Sottoprefetture circondariali dellaProvincia dell’Umbria

Simone Slaviero 54 L’Università di Perugia rischia di chiudere (seconda parte)Daniela Mori 58 La classificazione delle strade provinciali

Laura Zazzerini 66 Il Consiglio Provinciale nell’ultimo lustro degli anni Settanta

Matteo Rossi 70 ”Monumentomania”. La statuaria commemorativa inUmbria negli anni ’70 dell’Ottocento

Laura Zazzerini 73 Echi di cronaca locale: 1876-1880Gabriele De Veris 76 Tre anni di letteratura. «La favilla»: 1877 - 1879

IL QUADRO DELL’ANNOAlessandra Migliorati 79 Veduta esterna della Basilica di San Pietro.

L’unica opera nota di Marino Angelini

INTERVISTA AGLI AUTORIFrancesco Felici 81 A colloquio con Erminia Irace

Page 4: Perugia nell'Ottocento

4

Corrispondenze dall’800 2/2008

Figuriamoci se uno che di mestiere si occupa di storia può trovarequalcosa da ridire all’idea che in qualunque campo sia sempre

necessario risalire al passato, che la spiegazione di ogni fatto, la suacausa, possa essere conosciuta solo esaminando le premesse, gli antece-denti, dunque solo guardando all’indietro. E allora che cosa mai puòesserci da ridire se un’amministrazione umbra decide meritoriamente didare vita ad una pubblicazione di “materiali e ricerche per la storia dellaprovincia di Perugia” intitolata Corrispondenze dall’Ottocento?In linea teorica nulla. Il fatto è, però, che mi riesce difficile credere che un’amministrazionefaccia, sia pure in campo culturale, scelte solo “teoriche”. In questocaso, insomma, anche le scelte culturali rivestono un carattere politi-co-concreto che merita qualche osservazione. Osservazioni che posso-no essere introdotte da una semplice domanda: “storia della provinciadi Perugia”, va bene, ma dal momento che tale storia conta a tutt’og-gi, se non sbaglio i calcoli, la bellezza di 148 anni, perché mai occu-parsi solo dei primi 40 anni (tanti ne corrono infatti dal 1860 al 1900)concentrandosi cioè esclusivamente sull’Ottocento? Perché limitare aquesta frazione di tempo la ricostruzione delle vicende del passato?Tanto più che non furono certo quei 40 anni quelli più importanti,quelli in cui si svolsero i fenomeni massimamente decisivi per la storiadella provincia. E allora perché occuparsi specificamente di quel perio-do, da noi il più lontano?Mi vengono in mente solo due risposte possibili, entrambe, diciamocosì piuttosto problematiche in quanto gettano alcune ombre, sia puretra loro assai diverse, sulle intenzioni di chi ha dato vita a questa rivi-sta. Ma tant’è: sono proprio le osservazioni critiche quelle che chiedo-no di essere espresse con più sincerità.Perché dunque occuparsi solo dell’Ottocento? La mia prima risposta è:perché così non ci si occupa del Novecento. Mi spiego. Come tutti sap-piamo, in Italia la storia riveste, non da oggi, una straordinaria impor-tanza. La causa sta nella straordinaria importanza che nel nostro Paeseha avuto e continua ad avere la politica. Lo stesso Stato nazionale ita-liano, nato da una rivoluzione politica, dalla consapevole rottura volu-ta da una minoranza ideologicamente costituita, nei suoi 150 anni divita si è sempre fortemente identificato con gli assetti politici formati-si di volta in volta con un marcato carattere ideologico e insediatisi alungo al potere, fino al punto da far parlare ogni volta di un “regime”(il regime liberale, il regime fascista, il regime democristiano, ecc.).

Perché focalizzare l’attenzione sull’Ottocento?ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

L’O

PIN

ION

E

Page 5: Perugia nell'Ottocento

5

Corrispondenze dall’800 2/2008

Nella storia italiana l’alternanza di governi effettivamente diversi è unfatto recentissimo. Ora, in un sistema così peculiarmente caratterizza-to dalla centralità e dalla pervasività sociale della politica, dalla sua ten-denza a farsi ogni volta regime, la storia diviene per ogni attore unostrumento assai importante di legittimazione propria e di delegittima-zione dell’avversario. Se io “dimostro”, per esempio, che nel “bienniorosso” (1919-20) l’Italia ha corso davvero il pericolo di cadere in manoai “rossi”, allora è evidente che, di fatto, lo squadrismo fascista sarà inqualche modo giustificato e il suo regime ne uscirà rafforzato; cosìcome, per fare un altro esempio, se io “dimostro” che solo le sinistre ein particolare il Partito comunista si sono battuti contro il fascismo,mentre i cattolici e la Chiesa se l’intendevano sostanzialmente conMussolini, è altrettanto evidente che in questo modo delegittimo poli-ticamente la Democrazia cristiana e il suo governo. In Italia l’uso poli-tico della storia (cui non è estranea, naturalmente, la militanza politicadi molti storici) è stato praticato e ampio come forse in nessun altroPaese democratico. Un uso politico, come si capisce, focalizzato soprat-tutto sul Novecento, cioè sul periodo chiave per la definizione del pro-filo ideale delle maggiori forze protagoniste della storia del periodorepubblicano. Quest’uso politico della storia novecentesca l’Umbria lo conosce bene.Il semisecolare governo delle sinistre, rafforzato peraltro da quelloaltrettanto lungo di molti comuni, ha compreso immediatamentequale vantaggio esso era in grado di ricavare dal potersi presentarecome il legittimo erede dell’intera vicenda della Regione, come la con-clusione in certo senso perfettamente coerente della sua storia. E si èmosso di conseguenza alimentando un gran numero di iniziative (con-vegni, borse di studio, ecc.) a cominciare dall’Istituto per la Storiadell’Umbria contemporanea. Ne è venuto fuori, nei tre decenni passa-ti, un ritratto a tinta unica della storia della Regione. Dove campeggia-vano come snodi decisivi le lotte del pur circoscritto (in pratica alla solaTerni) proletariato industriale, le biografie e le vicissitudini di unpugno di militanti antifascisti (che non furono certo più di un pugnogli umbri esplicitamente contrari al regime), gli scarsissimi episodisignificativi di una Resistenza necessariamente durata solo pochi mesi,infine la costruzione politico-sindacale dell’insediamento sociale deipartiti di sinistra. In subordine, ma solo in subordine, anche le vicende di qualche espe-rienza cristiana, come quella di Capitini, o del cattolicesimo politico.Insomma un ritratto della storia umbra dal quale sono stati completa-mente espunti fatti rilevantissimi quali l’adesione massiccia al fascismoche la Regione aveva fatto registrare (segnalandosi sicuramente comeuna delle zone più “nere” del Paese), con relativa incomprensibile (oviceversa fin troppo comprensibile) conversione a sinistra dopo il ’44,ovvero le profonde e complesse trasformazioni sociali in senso moder-nizzatore avvenute durante il ventennio. Si dà il caso però che dopo circa tre decenni di piena egemonia questaspecie di “storia sacra” colorata in rosa, all’insegna della quale assesso-rati di ogni tipo si sono dati per tanto tempo a organizzare decine diconvegni, di manifestazioni, di celebrazioni, di rievocazioni, di dibatti-ti; sulla quale si sono formati centinaia di insegnanti; le cui vicendehanno riempito migliaia e migliaia di pagine (quasi tutte finanziate epoi stampate con denaro pubblico), questa “storia sacra”, dicevo, hacominciato a mostrare tutti limiti, le contraddizioni, talvolta le vere eproprie bugie, di cui era intessuta. Ma piuttosto che cominciare a scri-vere un’“altra” storia, piuttosto che avviare la ricostruzione di un passa-

L’O

PIN

ION

E

Page 6: Perugia nell'Ottocento

L’O

PIN

ION

E

to diverso, meno favorevole alla legittimazione del potere esistente,meglio lasciar perdere il Novecento - qualcuno forse si è detto - megliomuoversi su un terreno meno controverso, più tranquillo, tutto som-mato più rassicurante: il terreno dell’Ottocento, appunto.È questo il sospetto che a me viene, dunque. Che Corrispondenzedall’Ottocento sia espressione, sia detto senza offesa per nessuno, del desi-derio di parlare d’altro, di allontanarsi da terreni storiograficamenteminati. Desiderio non dico consapevole, ma inconsapevole mi pare certo.Parlare d’altro anche a costo di parlare di cose certamente meno signifi-cative, meno importanti, di quelle di cui si sarebbe potuto parlare facen-do una scelta diversa.Cose meno significative ma in compenso più accattivanti. Infatti, par-lare dell’Ottocento nel modo necessariamente informativo-rievocativocome questo giornale non può non fare, significa alla fine parlare conaccento inevitabilmente nostalgico del bel tempo che fu. Di com’eraallora un viaggio in ferrovia, e poi dei salotti e delle logge massonichein città, delle caserme, delle lotte dal sapore gozzaniano tra clericali eanticlericali. Significa insomma richiamare in vita l’universo dei “beiricordi” per antonomasia (anche quando in realtà sono bruttissimi),insieme alla rassicurante sensazione del progresso che da allora ad oggisi è compiuto. Significa cioè alimentare e sollecitare sì la conoscenza delpassato, ma una conoscenza che preferendo muoversi tra l’erudizione eil divertissement ben difficilmente accresce la consapevolezza dei pro-blemi dell’oggi, della loro profondità storica, appunto, né tanto menoaiuta a rafforzare alcun sentimento etico-politico legato a tale consape-volezza. Perché non provare allora a introdurre qualche cambiamento?

6

Corrispondenze dall’800 2/2008

Page 7: Perugia nell'Ottocento

7

Corrispondenze dall’800 2/2008

Il mio nonno materno, Francesco, nato nel 1875, era “stradino” delComune. Le vie e strade e vicoli affidati alla sua manutenzione com-

prendevano il rione (“borgo”) di Porta S. Angelo, o più popolarmente“Porsantangelo”, e “le Casoperaie”, cioè l’attuale Via Z. Faina, dovefurono costruiti alcuni tra i primi edifici di “edilizia popolare”, in con-siderazione dell’esistenza – nel rione – della SAFFA (fabbrica di fiammi-feri) e di altre attività – cambiate nel tempo – come il “Bacologico”, la“Filanda”, le “Maioliche”, ecc.; edifici oggi divenuti in gran parte resi-denze studentesche; altri rimasti di privata proprietà. Era conosciuto nelBorgo col soprannome di Ciancaribella (gamba che non voleva fare ilproprio dovere), a causa di una zoppia dovuta all’osteomielite; oppurecome Carabisiana, per via di una sua indulgenza per il sollievo da cer-care ai rigori degli inverni di allora, come pure al torrido solleone e aipolveroni delle strade “macadamisées” cui accudiva. Sua moglie, lanonna Adele, quasi coetanea, era operaia alla SAFFA. Li ricordo moltobene perché quando il nonno morì, per primo, avevo quasi dieci anni.La nonna lo seguì due anni dopo. Erano l’uno e l’altra di bassa statura,fragili. Il nonno più allegro e disposto a farmi compagnia. La nonna inombra, sempre vestita di scuro da quando, nel ’19, persero una figlia,Palma, bambina di nove anni uccisa dalla spagnola. Addirittura distruttadalla lunghissima e dolorosa malattia dell’altra figlia – la mia mamma –durante gli anni della seconda guerra, tanto da precederla nella tomba.

La casa del nonnoLUIGI TITTARELLI

DIB

ATT

ITO

SULL

’UM

BRIA

E. Mezzasoma, Esterno dell’abitazione, 2008

Page 8: Perugia nell'Ottocento

8

Corrispondenze dall’800 2/2008D

IBAT

TIT

OSU

LL’U

MBR

IA

Prima che venissero nel 1941 ad abitare con noi (papà, mamma e me)nella casa dove ancora vivo, erano stati in due abitazioni vicinissime traloro, ambedue ancora esistenti, nella parte alta del Borgo, uguali ad allo-ra esteriormente e forse poco cambiate nella disposizione interna.La prima è sulla destra salendo, separata dal monastero di S. Caterinadalla Via della Spada, vicolo lungo dieci metri dove dà una finestra coivetri opachi e chiusa da un’inferriata, e nessuna porta.La casa ha marcapiano e cornici alle finestre in granito grigio; ai latidelle finestre i davanzali sono ornati da portavasi scolpiti in forma diconchiglia. Il portone d’ingresso è incorniciato sobriamente come lefinestre. La facciata è dunque di purissime ed eleganti linee rinascimen-tali. Nel Borgo non manca qualche altro notevole edificio, medievale opiù tardivo, ma la massima parte delle abitazioni erano – e sono ancora– semplicissime, modeste e ripetevano la struttura verticale della casaedificata sul lotto gotico. La casa era di proprietà comunale e compren-deva due abitazioni, entrambe al primo e unico piano. Passando oggi, sidirebbe che vi è un secondo piano, con finestre più piccole, anch’essoabitato. Ma io credo che allora vi fossero soltanto le soffitte, dove forsenon sono mai salito. Al pian terreno c’erano i fondi per rimettere lalegna, il carbone, alcuni utensili casalinghi (sega, cavalletto, accetta, etc),qualche suppellettile e rottami diversi.Al piano superiore si saliva con due brevi rampe di scale: una decina digradini in pietra piuttosto larghi, d’ampia pedata e con l’alzata attenua-ta da una leggera inclinazione a salire: scala “importante”, come la fac-ciata, per un edificio altrimenti povero; come se avesse avuto una prece-dente destinazione “particolare”, forse attinente alla religione.Le due abitazioni erano uguali e composte da due stanze ciascuna:camera e cucina, come tutte quelle degli operai di allora (ultimi decen-ni dell’Ottocento e primi del Novecento, fino quasi alla seconda guerramondiale), in Porta S. Angelo o in qualsiasi altro borgo cittadino. Ilgabinetto (“la latrina”, “il cesso”) era uno solo, esterno, in fondo al cor-ridoio sul quale si aprivano le porte di accesso alle abitazioni: uno stan-zino con piccola finestra sulla parete di fondo, che dava su un ortino;sotto la finestra, per tutta la lunghezza della parete, un banchetto inmuratura (come uno scalino alto un po’ più di mezzo metro e largoaltrettanto) il cui piano era costituito da una tavola spessa che aveva alcentro due buchi tondi, larghi un palmo e distanti circa un metro l’unodall’altro, chiusi da tappi ugualmente di legno robusto, con manigliacentrale di ferro.Ai lati, sulla tavola erano appoggiati due o tre “broccoli” – cioè brocchedi rame con manico d’ottone – contenenti l’acqua per “scaricare” nonnella pubblica fognatura, ma in un pozzetto nell’orto.Non c’era acqua corrente, cioè “l’acqua in casa” come si diceva allora,portata con i tubi dall’acquedotto esterno fino ai rubinetti della cucinae della latrina. La maggior parte delle case del Borgo ne erano sprovvi-ste, comprese quelle di proprietà comunale. Per ogni uso occorrevaandare a prenderla coi broccoli “alla canella”, cioè alle fontanelle pubbli-che, tre o quattro lungo il Borgo. Solo i più ricchi avevano potuto per-mettersi fino allora quella “comodità”, che andava ad aggiungersi alla“luce”, cioè l’energia elettrica arrivata, nella maggior parte delle abitazio-ni, all’alba del XX secolo. “La luce”, perché allora l’energia elettrica ser-viva ancora soltanto per l’illuminazione. Il tempo degli elettrodomesti-ci era ancora di là da venire.Il pavimento dell’ingresso, quello del corridoio esterno del primo pianoe del gabinetto, come quelli delle due abitazioni erano di mattoni; oggidiciamo “in cotto”. Ma i mattoni di allora non erano perfettamente lisci

E. Mezzasoma, Il portone, 2008

E. Mezzasoma, Portavasi a forma diconchiglia. Particolare della finestra, 2008

Page 9: Perugia nell'Ottocento

9

Corrispondenze dall’800 2/2008

e levigati come il cotto attuale; bensì con superfici non compatte, rugo-se, assorbenti, e con spigoli irregolari. Non solo; una volta posti in operaper fare i pavimenti, la caduta di oggetti pesanti o anche il semplice uso,insieme al loro “licenziamento” (cioè sconnessione dal contesto a causadel movimento su travature di legno troppo elastiche e dell’insufficien-te o scadente calce con la quale erano stati murati), li frantumava; e ipezzetti venivano via col camminare degli abitanti. Occorreva semprerattoppare con la calce, perché altrimenti i “licenziamenti” si allargavano.I solai non calpestabili erano in travi e travicelli di legno e “pianelle”(simili ai mattoni, ma più lunghe e larghe e sottili). I muri interni, intonacati, erano “imbiancati”, cioè dipinti con una tecni-ca che prevedeva la preliminare applicazione della “colletta” e successiva-mente la stenditura della tinta. La tinta era prevalentemente acquosa eaderiva stabilmente e durevolmente alle pareti solo se la colletta era statadata sopra l’intonaco in quantità corretta: se poca, la tinta soprastante“non teneva”, cioè qualunque strofinio la asportava; se troppa, determina-va in breve tempo il suo distacco dal muro – insieme alla soprastante tinta(anche al sottostante intonaco) - e la caduta in croste (le “coppole”).Il soffitto era dipinto in colore diverso dalle pareti, ma la sommità diqueste ultime aveva una fascia della stessa tinta del soffitto, separata dalresto con motivi decorativi di varia altezza, in colori più vivi di quelli difondo. In basso le pareti avevano uno “zoccolo a olio”; cioè una fasciaalta 10 o 20 centimetri di una pittura che, essiccata, restava lucida epoteva essere ripetutamente lavata. Nelle cucine e nei cessi gli zoccoli,potendo, si dipingevano di altezza maggiore. Nell’abitazione dei nonni si entrava direttamente in cucina. C’era ilfocolare e il “versatore”, cioè sciacquaio. Il focolare era un parallelepipe-do in muratura alto un’ottantina di centimetri, largo un po’ più di un

DIB

ATT

ITO

SULL

’UM

BRIA

Paul Scheuermeier, Il focolare con a destrala cucina a carbone, 1924 - 1930

Page 10: Perugia nell'Ottocento

10

Corrispondenze dall’800 2/2008D

IBAT

TIT

OSU

LL’U

MBR

IA

metro e profondo poco meno. Era sovrastato dalla “cappa”, una coper-tura in muratura a forma di tronco di piramide con base di superficieuguale a quella del focolare, facce inclinate, tranne quella di fondo coin-cidente con la parete, e alla sommità il buco della canna del camino. Sulpiano del focolare, in posizione centrale e col margine posteriore a con-tatto con la parete, era murata una lastra di ghisa di notevole spessoresulla quale si accedeva il fuoco di legna: serviva per riscaldare la stanza eper far bollire il “caldaro” che pendeva sopra il fuoco, attaccato a unacatena fissata ad una mensola in ferro murata sulla parete di fondo, sottola cappa. Ai lati della lastra due “fornelli” per parte. Erano buchi qua-drati approntati sul piano del focolare dentro i quali si collocavano i verie propri fornelli, cioè oggetti in ferro a forma di tronco di piramide conbase quadrata di una ventina di centimetri di lato – la maggiore – e laminore di circa dieci, inseriti nella muratura con la base maggiore voltaverso l’alto. Sul fondo, la base minore era costituita da una piccola gri-glia. Sulla base maggiore, a livello del piano del focolare, si metteva unaserie di cerchi concentrici di ghisa, con tappo centrale, che permetteva-no di porre sui fornelli pentole di diverse dimensioni. Sulla facciata delfocolare c’erano due buche quadrate laterali in corrispondenza deisoprastanti fornelli. Servivano per dare loro aria, accendere da sotto conun po’ di carta il carbone posto nei fornelli e ravvivarlo con la ventola(“sventola”). Erano chiusi da sportellini di lamiera, per bellezza e per“mantenere” la brace o – al contrario – agevolare lo spegnimento delcarbone, secondo le necessità. Sempre sulla facciata del focolare, in posi-zione centrale, due ampie buche sovrapposte, anch’esse chiuse da spor-telli di lamiera: servivano, quella sotto per mettere piccole riserve dilegna, carbone, carbonella, quella sopra per riporre gli attrezzi necessariai fornelli: paletta, molle, scopetta, ventola, padelle, etc.Il versatore era un’ampia vasca rettangolare profonda un palmo e colforo di scarico sul fondo leggermente inclinato per agevolare il deflussodell’acqua verso l’ortino. Quello dei nonni mi pare che fosse di cemen-to (era grigio scuro), ma ce n’erano in pietra o marmo scavati a mano dauno “scarpellino”. Su uno dei lati la vasca finiva con un ripiano al livel-lo del suo bordo, abbastanza spazioso per appoggiare le stoviglie appenalavate, o le verdure da lavare, ecc. Ma soprattutto, per appoggiare i“broccoli” coi quali bisognava scendere alle fontanelle in strada perrifornirsi di acqua. Sopra lo sciacquaio c’era – appesa al muro - la “piat-tara”, una gabbietta di legno col fondo in listelli vicini gli uni agli altriquel tanto che bastava per reggere i piatti messi a scolare “per cortello”.Resta da dire dei mobili e delle suppellettili della cucina, ma parlandod’acqua, o meglio della sua scarsità in casa, e del grave disagio pel suoapprovvigionamento, vorrei sottolineare quanto grande differenza c’erarispetto alla straordinaria comodità odierna, originatasi fin dai primidecenni del Novecento ed “esplosa” nel secondo dopoguerra, di lavan-dini e lavapiatti nelle cucine, lavandino, water, bidet, doccia, vasca dabagno, lavabiancheria, nelle abitazioni anche modeste. E perché risultiil confronto più chiaro e netto, accenno al sistema di riscaldamento esi-stente nella casa dei nonni.Come ho detto, si accendeva il fuoco di legna sul focolare: d’estate soloper far bollire l’acqua nel caldaro, d’inverno anche per scaldarsi un po’.Con parsimonia si metteva legna affinché non si spegnesse durante lagiornata, ma si ravvivava solo alle ore dei pasti e alla sera, quando ci sitratteneva in cucina a sfaccendare e chiacchierare. Durante i tempi piùfreddi dell’inverno si faceva il “focone”, come dire un braciere basso diferro o rame, dove si metteva un po’ di brace presa dal camino e siaggiungeva poi carbonella. Le donne erano attente a tenere viva la brace,

Paul Scheuermeier, Sciacquaio di unacucina con le conche di rame, 1924 - 1930

Page 11: Perugia nell'Ottocento

11

Corrispondenze dall’800 2/2008

anche se coperta da un leggero strato di cenere perché bruciasse lenta-mente. Un’oretta prima di andare a dormire il focone veniva portato incamera da letto, per stiepidirla. Di notte però si riportava in cucina e sispegneva, perché c’era il pericolo grave che da una combustione stenta-ta derivasse ossido di carbonio, velenosissimo.Attingendo al focolare o al carbone acceso dei fornelli, si metteva infinebrace negli “scaldini”, una specie di pentolini con ampio manico, in ter-racotta o lamiera. Le donne che dovevano star ferme a lungo per cuci-re, rammendare, preparare i cibi, “scegliere l’erba”, sbucciare le patate,faccende impegnative – allora – anche in termini di tempo, se li mette-vano tra le gambe, sotto le ampie gonne; magari ci poggiavano sopra ipiedi (non direttamente sui bordi dello scaldino, ma su una cassettinain legno e latta bucherellata grande tanto da ricoprire tutto lo scaldino,tranne il manico che sporgeva da una fenditura del piano superiore dellacassetta); se si appisolavano, spesso erano risvegliate dalla puzza digomma emanata dai fondi surriscaldati delle ciabatte.È facile capire quanta difficoltà avessero nonno, nonna e la mia mammada ragazza a farsi il bagno, specialmente d’inverno. Si poteva farlo soloin cucina, riscaldandola quanto possibile col fuoco del focolare e l’aiutodel focone. Si faceva in un catino di lamiera zincata, o smaltata, diforma ovale, ampio e profondo almeno quanto bastasse per immerger-vi un bambino seduto o per consentire ad un adulto di stare in piedi,ma con la possibilità di attingervi acqua e lavarsi per tutto il corpo senzaallagare immediatamente la cucina. Occorreva approvigionare, connumerosi viaggi coi broccoli alla fontanella pubblica, l’acqua necessariaalla prima lavatura e al risciacquo. Occorreva scaldare nel caldaio e inqualche pentola accessoria una parte almeno di quell’acqua. E poi, soli-tamente la sera dopo cena, cacciando in camera tutti i familiari nonammissibili allo spettacolo, spogliarsi, lavarsi, risciacquarsi, asciugarsi erivestirsi con la massima rapidità. Solo il bagno dei bambini era unmomento di allegria familiare. Ma d’inverno c’era un serio rischio diprendersi un raffreddore, se non di peggio. Meglio andava nella cucinadelle poche abitazioni popolari cittadine che avevano non il focolare maun camino come quello delle case dei contadini, cioè ampio e basso,molto basso, tanto da potersi sedere accanto al fuoco, su piccoli sgabel-li posti ai due lati. Così era quello dell’abitazione del mio nonno pater-no, Luigi, conosciuto come Breccolino (sassolino) dalle centinaia dioperai della Valigeria (poi SAVIP) nella storica sede di Via Tornetta,oltreché nel “suo” borgo, “Porsusanna”. Della Valigeria era portiere, eperciò beneficiario di abitazione, luce, acqua e legna. Nella sua grandecucina, quando si faceva il bagno si ravvivava il fuoco e il catino si met-teva a terra davanti all’ampia bocca del camino, e sulla spalliera di unasedia, accanto, si mettevano asciugamani e biancheria pulita a intiepidi-re. Tutto il resto, velocemente, come dagli altri nonni. D’inverno, a parte la cucina più o meno tiepida, c’era freddo in casa delnonno Checco, in camera, alla latrina. Nella camera, a sera, si portavail focone, se c’era e per breve tempo; non bastava a scaldare bene la stan-za, e meno ancora le lenzuola e le coperte, gelate e umide. Si provvede-va a “scaldare il letto” con “prete”, “pretina” e scaldaletto. Il “prete”, unaspecie di gabbia cubica con gli spigoli di una quarantina di centimetriracchiusa al centro di una sorta di slitta oscillante lunga circa un metro,si metteva tra le lenzuola per tenere sollevato il lenzuolo “di sopra”, lecoperte e l’eventuale “coltrone”: un’imbottita con fiocchi di lana, in usoda noi così come il piumino altrove. Poi al suo interno si poggiava la“pretina”, cioè un tegame di terracotta pieno di brace coperta da un po’di cenere. Non troppa brace, per evitare che le lenzuola “s’avampassero”,

DIB

ATT

ITO

SULL

’UM

BRIA

Page 12: Perugia nell'Ottocento

12

Corrispondenze dall’800 2/2008D

IBAT

TIT

OSU

LL’U

MBR

IA

cioè diventassero brune per una leggera bruciatura. Più sbrigativo lo“scaldaletto”: un tegame di rame con il coperchio bucherellato e unlungo manico; ci si metteva brace e poi lo si muoveva su e giù, qua e làtra le lenzuola, con una certa lentezza, cercando di riscaldarle uniforme-mente da cima a fondo. Ma guai a spingere un piede al di là dell’areapercorsa dallo “scaldaletto”.Torniamo alla cucina, e ai suoi mobili. C’era un tavolo di legno conquattro gambe tornite, cioè ricavate da un lungo cilindro che il tornito-re trasformava in una specie di bottiglia lievemente panciuta e rovescia-ta, e qualche sedia. Sul piano del tavolo una tovaglia di “incerata”.Simile alla plastica odierna, era lavabile e proteggeva il piano, dove nonsolo si mangiava, ma si preparava il mangiare, si stirava il bucato, lebambine facevano i compiti, etc. Nel cassetto del tavolo stavano le posa-te. Sotto era infilata la “spianatora”, che si sfilava fuori e, messa sopra iltavolo, serviva per “fare la pasta”, con farina, acqua, sale, uova (non sem-pre): “taiatelli”, “taiulini”, “quadrucci”, ricavati dalla “sfoia” stesa col“rasagnolo”.Le sedie erano “teverine”, con zampe robuste, “piozzoli” grossi un dito,spalliera con due fasce incurvate col vapore, in legno molto chiaro. Ilpiano era di paglia gialliccia intrecciata: la “scarza”. C’erano poi la cre-denza, la “battilarda” e la “matt’ra”. La credenza era a due piani: sottocon sportelli di legno, sopra con ante di vetro. Sotto si tenevano pento-le, tegami, piatti etc.; sopra i bicchieri, le tazze e tazzine, bottiglie ecaraffe; e poi zucchero, orzo, caffè, ecc.La “battilarda” era come un comodino da camera da letto, un piccoloparallelepipedo di legno. Il piano superiore era costituito da un “ceppo”,cioè una tavola spessa almeno dieci centimetri di legno molto duro, sullaquale si “batteva” il lardo per il soffritto; con la “manaretta” : una sortadi corta ascia, molto pesante e di solito poco tagliente. Il “battuto” ser-viva sia per il sugo della “pastasciutta”, che per il brodo della minestra.

Paul Scheuermeier, Madia e credenza condavanti brocca e brocchetta di rame perprendere l'acqua, 1924 - 1930

Page 13: Perugia nell'Ottocento

13

Corrispondenze dall’800 2/2008

Le donne, ancora in maggioranza casalinghe, le mogli in primo luogo,allora cucinavano. Anche la pasta solitamente era “fatta in casa”: quella“compra”, venduta sempre sfusa, era troppo costosa per gli operai. Lamattina, durante le buone stagioni, passando per le strade dei borghi sisentiva il rumore del battuto e l’odore del soffritto (le cipolle!) e delbrodo sul fuoco. Il ceppo era protetto da un coperchio di legno ribalta-bile. Sotto il ceppo c’era un armadietto dove si teneva l’olio, il sale etc.Infine la “matt’ra” (madia), una specie di cassapanca molto alta, quasi unmetro. Il piano superiore, chiuso da un grande coperchio ribaltabile, eracome una vasca dentro la quale si impastava il pane. Il piano inferiorechiuso da due sportelli fermati con la “naticchia” serviva per riporre“staccia” (setaccio), “staccino”, una qualche riserva di farina, ecc. Mipare che la nonna Adele non facesse più il pane in casa, come la mag-gior parte delle donne che erano andate per prime a lavorare nelle fab-briche: “le fabbricarole”, come erano chiamate, con un’inflessione disospetto sulle conseguenze che potevano derivare, moralmente parlan-do, dalla maggior “libertà” cui dava adito il lavoro di fabbrica rispetto al“semplice” ruolo di casalinga, dal quale, peraltro, le fabbricarole nonerano affatto sollevate.Passiamo nella camera da letto dei nonni, seconda e ultima stanza dellaloro casa.C’era il letto con la testata in tubo di ferro verniciato di nero e un discodi lamiera incorniciato nel mezzo con dipinta una natura morta floreale(o un pavone con la coda aperta?). La forma della testata era con volutedi tubo tondeggianti e inarcata al centro, a contenere il disco decorativo.Le zampe del letto poggiavano di solito sul pavimento di mattoni. Mi ècapitato di vedere, non dai nonni, le zampe infilate in barattoli di conser-va dimezzati e riempiti di nafta. Era per non far risalire dal pavimento lecimici sui letti, subito dopo averli disinfestati (con nafta e pennello), ecambiate le lenzuola. Ma i materassi? Non so. Le cimici, come i pidocchi,erano “di casa”, in ogni casa, in ogni letto, su ogni testa (specialmente dibambino). Mi pare di aver detto abbastanza perché si capisca quanto dif-ficile era ottenere condizioni igieniche a malapena sufficienti. Ai lati del letto c’erano i comodini: armadietti col piano di marmo, uncassettino, uno sportello sottostante a chiudere due ripiani, Nel casset-tino le cose personali più private, sia degli uomini che delle donne: ilportafogli, la corona del rosario, etc. Dentro lo sportello, su un ripianole ciabatte, sull’altro il “pitale”, o “vaso da notte”, o “urinale”. Di notte,d’inverno non si andava al cesso; cesso in comune, fuori di casa, freddis-simo, a rischio di incontri sconvenienti: la pisciatina si faceva in came-ra, nel pitale.Oltre al letto e i comodini c’era – in camera – il “canterano”, o “comò”,e la “credenza” (altrove il “credenzone”, o, più raramente, il “visavì”). Ilcanterano era un mobile con quattro ampi cassetti per la biancheria e ilpiano quasi sempre di marmo, coordinato con quelli dei comodini. Sulpiano, contro il muro, una specchiera, che poteva essere più o menogrande e variamente incorniciata. Sul piano del comò stavano oggetti datoletta, portafotografie, un vaso di fiori, etc. La credenza era un arma-dio con un ampio cassetto in basso e, sopra, uno sportello molto gran-de a chiudere un vano dove, con le “crocette” appese a un robusto tubodi ferro, si tenevano abiti sia maschili che femminili: giacche e pantalo-ni uguali (la “muta”), giacche e pantaloni scompagnati, vestiti, gonne,soprabiti, cappotti. Il credenzone era ovviamente una grande credenza,talvolta conteneva anche le coperte pesanti da usare per l’inverno, o ilcoltrone. In basso poteva avere due grandi cassetti, anziché uno solo. Ilnonno Breccolino aveva in camera un credenzone; chiuso a chiave per-

DIB

ATT

ITO

SULL

’UM

BRIA

Pitale in rame

Page 14: Perugia nell'Ottocento

14

Corrispondenze dall’800 2/2008D

IBAT

TIT

OSU

LL’U

MBR

IA

ché ci teneva anche il suo fucile da caccia, ad avancarica. Il “visavì’” (vis-à-vis) l’avrà mia madre nella sua camera da sposa: un armadio con spec-chi allo sportello che riflettevano lo specchio posto copra il comò, eviceversa, nella finzione di una lunga galleria dove ognuno si vedevaripetuto all’infinito.In camera del nonno Checco c’era anche il “baule” col quale la sposaaveva portato con sé il “corredo” al momento del matrimonio: grandecorredo “ ’l dod’ce de’ gnicosa”; molto più modesto “’l sei de’ gnicosa”:sei lenzuola “di sotto”, robuste di canapa o cotone, sei “per sopra” piùmorbide, in cotone, o misto-lino (con cotone), o puro lino. E poi fede-re, asciugamani e – in notevole quantità – un “articolo” di biancheriafemminile che, ormai da qualche decennio, il progresso tecnico ha can-cellato totalmente: i “pannolini”.Stavo per dimenticare il “lavamano”: un elegante trespolo in tondino diferro piuttosto sottile con le tre zampe ricurve “a stringere” snellamenteverso il basso attorno a un cerchio di piccolo diametro, e a raccogliersi– dopo essersi morbidamente allargate come i fianchi di una ragazza –attorno a un cerchio più ampio, verso l’alto, ornato con un leggero man-corrente. Sul cerchio inferiore poggiava il “broccolino”, sul superiore la“bacina” in lamiera smaltata bianca a decori blu, per lavare mani e visoal mattino, appena alzati. Le donne, di solito, ché gli uomini, come ilnonno, per non “impicciare” si servivano del versatore in cucina. Daidue bordi superiori del lavamano si alzava un ferro verticale a sorregge-re uno specchio ovale, con la sua cornice, oscillante perché vi si potesseriflettere il viso di grandi e piccini. Ripiegati sul bordo ornamentale sta-vano gli asciugamani di tutti i familiari.Non dimentico “’l secchio”: un grande recipiente smaltato bianco, condue coperchi: il primo con un buco in mezzo, il secondo a chiuderetutto, più o meno ermeticamente: insomma un water portatile da usarein caso di necessità estrema (malattia, freddissimo inverno, etc.).Dalla casa finora raccontata i miei nonni materni passarono – in affitto- ad un’altra dirimpetto. Può darsi che il Comune l’avesse ripresa al suostradino andato in pensione. La nuova casa era al secondo piano, conquattro rampe di scale strette e con gradini molto alti. Aveva una stan-za in più, “la saletta”, che faceva anche da ingresso. Aveva il gabinettoprivato, con “tazza” e lavandino di porcellana. C’era l’acqua in casa,finalmente, e quindi la cassetta per lo scarico a ripulire la “tazza delcesso” e il rubinetto (”la canella”, di ottone) sopra il lavandino, cosìcome sopra lo sciacquaio di cucina. I mobili della cucina e della camera erano gli stessi di prima. Nella salettac’era un tavolo simile a quello di cucina, ma con un centrino ricamato alposto dell’incerata; sei sedie scure con zampe, pioli e spalliera piuttostoesili, cilindrici, e il piano di compensato con impresso in rilievo un moti-vo ornamentale, ad imitazione del ricamo d’un cuscino. C’era poi la“vetrina”: un armadio alto con due ante a vetri e tre o quattro ripianicoperti da tovagliette col bordo leggermente penzolante sul davanti, rica-mato. I vetri erano decorati con figure ottenute con la tecnica della sme-rigliatura, che ricavava decorazioni opache sul vetro trasparente: lussureg-gianti tralci di vite con larghe foglie e grappoli d’uva. Serviva a contenereil servizio di piatti “buono”, e quello dei bicchieri “a calice”, insieme atazze e tazzine da latte, thé, caffè; ricordo certe tazzine da caffè cilindrichecon decorazioni giapponesi (alberini contorti, laghetti, massi levigati, lageisha col kimono e i piedini da “musmè” e l’ombrellino), incredibilmen-te trasparenti. Anche il servizio buono di posate, nella sua monumentalescatola – rastrelliera. Penso che fossero in parte doni che la mia mammaaveva voluto fare ai nonni come segni di una certa agiatezza raggiunta.

Page 15: Perugia nell'Ottocento

15

Corrispondenze dall’800 2/2008

C’era infine “la macchina da cucire”, Singer a pedale: grande e per meproibitissima attrattiva.Mi pare che nella stanza da letto dei nonni ci fosse, ancora là nella casanuova, il letto della mamma, “a una piazza”, con le spalliere di “bando-ne”, cioè di lamiera di ferro scatolata sopra un leggero telaio e dipinta intoni vari di marrone ad imitazione delle venature di un qualche legno,più o meno pregiato e inverosimile. A bussarle con le nocche, risuona-vano come un tamburo, meglio dell’ovale dipinto che ornava la testatadel letto di ferro dei nonni, che a colpirlo rispondeva invece come uncoperchio sbattuto contro un altro, o percosso da un mestolo.Il lavamano c’era ancora, nonostante il gabinetto interno.In questa nuova casa c’era infine una soffitta; vi si entrava dalla saletta,per una porticina verniciata nello stesso colore della parete, per masche-rarla; era bassa e col soffitto spiovente “a morire”. A rigore, dovrebbeessere stata la soffitta di un appartamento sottostante, chi sa come venu-ta in dotazione a quello sopra. Era buia; ne uscivo fuori sempre impol-verato e venivo sgridato; c’era una gabbietta di legno e filo di ferro – dauccellino minuscolo - con ragnatele attorno; c’era il “secchio”, ormai indisuso, come i “broccoli”; il baule della nonna di legno nero, mezzovuoto; altre cose più piccole e confuse, cacciate giù in fondo dove nonsi arrivava nemmeno in ginocchio e per tirarle fuori all’occorrenza siricorreva al manico della scopa.Finisce qui il racconto di una piccola parte dei miei ricordi di oggi, certonon identici a quelli di qualche anno indietro, quando avrei potuto veri-ficarli, o meglio confrontarli con le memorie di papà e della zia Augusta.Due, anzi tre trasfigurazioni a confronto, di eventi, persone e oggetti chenella loro unicità e concretezza avevano lasciato segni diversi dentro cia-scuno di noi; con quelli dolorosi destinati a durare più e più lacerantidei pochi gioiosi. Per questo sarebbe stato bene che fossero rimasti solomiei. Ne ho scritto, tuttavia, per lasciare almeno un racconto di comeera la casa di un operaio perugino nei tre o quattro decenni attorno al1900, e per qualcuno ancora più tardi. Meglio sarebbe se delle abitazio-ni e dei luoghi e modi di lavorare e vivere di allora si avesse una testimo-nianza concreta: un “museo della civiltà urbana”, dove portare i ragazzidelle scuole a vedere e toccare “la vita” dei loro nonni e bisnonni.Capirebbero meglio l’importanza delle novità infinite sopraggiunte nelsecolo scorso e, forse, potrebbero domandarsi chi ha contribuito a rea-lizzarle, e come, e perché; e in qual misura ogni uomo e donna di quelsecolo vi ha concorso e in quale ne ha tratto vantaggio. Magari potreb-bero chiedersi anche – un esempio tra tanti possibili – com’è che ancoroggi ci siano, contemporaneamente, Dubai, e – poco lontano – ilDarfur; e perché, e per chi.

DIB

ATT

ITO

SULL

’UM

BRIA

Macchina da cucire Singer

Page 16: Perugia nell'Ottocento

16

Corrispondenze dall’800 2/2008D

IBAT

TIT

OSU

LL’U

MBR

IA

I l 20 settembre 1870 i bersaglieri italiani, con una breccia aperta nel-le mura romane all’altezza di Porta Pia, conquistarono militarmente

Roma, la capitale del Regno d’Italia. L’abbattimento del potere temporale del papato non esaurì peraltro laquestione romana: il tentativo di Cavour di risolvere il problema in basea una linea separatista, sintetizzata dalla formula “libera Chiesa in libe-ro Stato”, si era scontrato con l’intransigenza di Pio IX, che nel 1864 -con un documento intitolato il Sillabo allegato all’ enciclica Quanta cura- condannò i “principali errori” del mondo moderno: liberalismo, razio-nalismo, socialismo. La Destra rimase fedele all’impostazione cavouria-na e tentò più volte una conciliazione attraverso trattative con le gerar-chie ecclesiastiche. Ma le esigenze del bilancio la spinsero ad alienare nelPorta Pia, foto seppia, (Collezione privata)

Il decennio 1870 - 1880 MARIO TOSTI

Page 17: Perugia nell'Ottocento

17

Corrispondenze dall’800 2/2008

1867 l’asse ecclesiastico, approfondendo così quel solco fra Stato eChiesa che la conquista militare di Roma rese poi incolmabile.Nel 1871, con una legge detta “delle Guarentigie”, l’Italia riconobbe ilpapa come sovrano su un residuo lembo di territorio romano denomi-nato Città del Vaticano, gli assegnò una dotazione finanziaria annua,garantì al clero ampie libertà e lo sollevò dal controllo delle autorità civi-li. Tale legge non fu però riconosciuta da Pio IX, che si rifiutò di rico-noscere lo Stato italiano e nel 1874 un decreto della Santa Sede - ilcosiddetto non expedit (“non conviene” ) vietò ai cattolici di parteciparealle elezioni politiche e amministrative. Il nuovo Stato italiano nascevacosì con l’opposizione manifesta del potere che ben più a lungo di ognialtro aveva regnato sulla penisola, quello religioso e culturale dellaChiesa cattolica, e ciò accentuò la ristrettezza della classe dirigente libe-rale e il suo isolamento nel paese.Dopo il 1870, venute meno le differenze che avevano caratterizzato leposizioni della Destra e della Sinistra sui problemi del completamentodell’Unità, il contrasto fra i due schieramenti divenne meno netto.Soprattutto la Destra subì un processo di frantumazione in gruppi loca-li contrapposti, con una conseguente difficoltà a disciplinare e compat-tare i comportamenti di voto dei parlamentari. Le elezioni del 1874 videro un sensibile rafforzamento della Sinistra,soprattutto grazie ai consensi che arrivarono dalla borghesia meridiona-le, ma la questione che avrebbe provocato, di lì a poco, la caduta dellaDestra fu quella ferroviaria. Nel 1876 i parlamentari toscani si opposero al progetto del governo,presieduto da Minghetti, di riscattare le strade ferrate dai privati e asse-gnarne la gestione allo Stato. Si aprì allora una crisi di governo chedischiuse la strada a un nuovo esecutivo guidato dal leader della SinistraAgostino Depretis (1813-87). L’affermazione della Sinistra fu chiara e anche nei collegi umbri i candi-dati ministeriali conquistarono la maggioranza dei seggi. Segno deitempi fu l’affermazione nel primo collegio di Perugia di AriodanteFabretti, che, dopo le innumerevoli sconfitte del passato, superò al bal-lottaggio il moderato Reginaldo Ansidei, sindaco della città. Nonostantefosse mutato il colore della maggioranza alla Camera, gli umbri, comegiustamente ha rilevato Fiorella Barroccini, «continuavano a votare go-vernativo come avevano sempre fatto». A partire dal 1877 il prefetto, Benedetto Maramotti, si impegnò agarantire, in tutta la Provincia, ma in particolare a Perugia, il passaggioda amministrazioni moderate a governi di tono decisamente più demo-cratico, massonico e anticlericale. A Perugia si concretizzò così la prima giunta guidata da Ulisse Rocchi,anche se con una maggioranza consiliare e con gli assessori nuovamen-te moderati: Ansidei, Evelino Waddigton, Tiberio Berardi e Cesare Fani.Si delineava così, nel capoluogo, quella collaborazione tra i partiti libe-rali, con la perdita della identità politica, sfociata nel trasformismodominante degli anni Ottanta.Il cambio di governo del 1876 è stato definito, con molta enfasi, una “ri-voluzione parlamentare”. In realtà, gli anni successivi misero in eviden-za - piuttosto che una rottura istituzionale - un processo di allargamen-to delle basi sociali del nuovo Stato. L’avvento al potere della Sinistra fudovuto in realtà a fattori ben più complessi della questione ferroviaria,che si comprendono riferendosi ai contenuti del discorso programmati-co tenuto nel 1875 da Depretis nel suo collegio di Stradella (un picco-

DIB

ATT

ITO

SULL

’UM

BRIA

Agostino Depretis, foto b.n., (Collezioneprivata)

Pio IX, cartolina, (Collezione privata)

Page 18: Perugia nell'Ottocento

18

Corrispondenze dall’800 2/2008D

IBAT

TIT

OSU

LL’U

MBR

IA

lo comune tra Pavia e Piacenza): estensione del suffragio, elettività deisindaci, allentamento e redistribuzione del carico tributario, obbligato-rietà dell’istruzione elementare. Oltre a porsi l’obiettivo di alleviare le crescenti tensioni sociali, laSinistra era cioè portatrice di istanze di mutamento, il cui carattere com-posito era peraltro dovuto al fatto che le sue componenti settentrionalierano in larga misura espressione di interessi finanziari e commerciali,mentre le sue basi di consenso elettorale erano massicciamente disloca-te nel Mezzogiorno.Depretis resse il paese dal 1876 al 1887 con le sole parentesi di duegoverni di Benedetto Cairoli nel 1878 e nel 1879-81. Il suo potere poggiò su una prassi politica che già allora venne definita“trasformismo”, consistente nello stemperarsi delle distinzioni ideali eprogrammatiche e nella cooptazione di disparati gruppi di interesselocali, che si tradusse nell’inglobamento all’interno della maggioranzagovernativa di gran parte delle forze moderate e conservatrici. Il tracollo della Destra alle elezioni del 1876 indicò, in effetti, che nellaclasse dirigente italiana tra governo e opposizione non esistevano diffe-renze profonde, tali da ostacolare il passaggio di elettori e parlamentaridall’uno all’altro dei due schieramenti. Le conseguenze del trasformismo, destinate a pesare a lungo sulla vitapolitica italiana, furono quelle di una crescente identificazione dei cetidirigenti con i ruoli e le funzioni della macchina amministrativa delloStato, anziché con partiti politici contraddistinti da programmi diversie potenzialmente alternativi.Anche se ridimensionate rispetto alle premesse, le riforme della Sinistrafurono comunque di rilievo non trascurabile. La legge Coppino, del 1877, rese facoltativo l’insegnamento religiosonelle scuole elementari e introdusse l’obbligo di frequenza, dando unaprima risposta al grave problema dell’analfabetismo. In Umbria, nonostante che l’andamento della scolarizzazione fosse rite-nuto soddisfacente dagli ambienti ministeriali, si manifestarono opinio-ni diverse e il giornale repubblicano «La Provincia» riteneva, ad esem-pio, ben lontani dalle aspettative i risultati del programma di amplia-mento dell’istruzione e di apertura di nuove scuole nelle zone ruralidella Provincia. La scarsezza degli insegnanti preparati, la mancanza di un programmaunico di insegnamento, l’irregolare distribuzione delle scuole, i localipoco adatti e privi dei necessari arredi erano, secondo le critiche delgiornale perugino, alla base del fallimento; si sottolineava come non cifosse stata una vera direzione ed una costante vigilanza dell’andamentodell’insegnamento primario. Secondo le cifre riportate dal medesimo giornale a Perugia, su unapopolazione di 49.503 abitanti, 20.083 persone erano impossibilitatead usufruire delle scuole esistenti. Inoltre 14 borgate, per un totale di 6.000 abitanti, erano prive degliinsegnanti. A Foligno, su 21.686 abitanti, 6.159 non frequentavano.Lontano dalla scuola rimanevano, a Città di Castello, 8.811 abitanti suun totale di 24.088; a Temi erano 1.092 su 15.031; a Spoleto 3.040 su20.748; a Rieti 2.765 su 15.9678. Questi dati erano visibilmente parziali perché non prendevano in esamegli obbligati ma solo la popolazione assoluta dei comuni. Il giornale insisteva sulla necessità di pretendere insegnanti patentati esoprattutto di non considerare la scuola rurale inferiore a quella della

Page 19: Perugia nell'Ottocento

città. In Umbria lo scossone politico del ’76 produsse un improvviso ri-sveglio del dibattito tra i partiti; l’attività del prefetto, BenedettoMaramotti, negli anni successivi al ’76, fu caratterizzata da una conver-genza verso la nuova linea «ministeriale», secondo una scelta condivisa,in modo più o meno inatteso, dalla maggioranza dei moderati umbri.L’azione di Maramotti, in un primo momento, favorì l’allargamentodell’influenza a livello politico e amministrativo dei progressisti, adanno della Destra: furono gli anni in cui il prefetto collaborò con LuigiPianciani, Presidente del consiglio provinciale dell’Umbria e moltoinfluente nella regione.

19

Corrispondenze dall’800 2/2008

Bibliografia di riferimento:

T. Detti, G. Gozzini, Storia contemporanea. 1. L’Ottocento, Bruno Mondadori Editori,Milano 2000, in particolare pp. 280-281;F. Bartoccini, La lotta politica in Umbria dopo l’Unità, in Prospettive di storia umbra nell’etàdel Risorgimento. Atti dell’VIII Convegno di studi umbri, Gubbio-Perugia, 31 maggio-4 giugno1970, Università degli Studi, Perugia 1973, pp. 181-269; A. Proietti, Benedetto Maramotti. Prefetto e politico liberale (1823-1896), Istituti Editoriali ePoligrafici Internazionali, Pisa-Roma 1999;A. Mencarelli, Mente e cuore. Scuola elementare e istruzione popolare in Umbria tra Ottocentoe Novecento, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1993.

Luigi Pianciani, foto b.n., (Collezione privata)

DIB

ATT

ITO

SULL

’UM

BRIA

Page 20: Perugia nell'Ottocento

20

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

Un incidente

Nel 1876 i rapporti fra la Provincia di Perugia, il suo Consiglio e laDeputazione da un lato, e l’Ufficio Tecnico dall’altro sono

improntati a una grande instabilità.Se prendiamo la relazione che il consigliere Monti fa a proposito dellacorrezione del ponte sul Tevere a Ponte Felcino, emerge una tonalità“aggraziata” di quel rapporto, per cui mentre si riconosce che il proget-to dell’Ufficio va modificato, nondimeno si dà atto del lavoro svolto congrande competenza dall’istanza tecnica dell’amministrazione: “EssoUfficio concepì bene il rimedio al Ponte Felcino”. Ma le cose non sonosempre improntate allo stesso tipo di rapporto, perché il giorno dopo,quando a riferire in Consiglio è la Commissione per il preventivo delbilancio 1877, ci si trova di fronte a quest’altra considerazione: “ci limi-tiamo a far voti affinché i nostri ingegneri, abbandonando ogni idea dilusso nei lavori provinciali, si attengano a ciò che i regolamenti prescri-vono”. Poiché molto spesso, se non sempre, i lavori si riferiscono a inter-venti sul sistema viario, la commissione ritiene di riportare la questioneanche nel contesto “politico-amministrativo” e non solo “tecnico-pro-gettuale” che genererebbe più spese del dovuto: la mancata classificazio-ne delle strade provinciali, che evidentemente mette ancora a caricodella Provincia molte vie di comunicazione non di sua pertinenza. Il cosiddetto “incidente” che finisce per contrapporre l’amministrazionee l’Ufficio Tecnico avviene un momento dopo questo intervento, quan-do si entra nel dettaglio del bilancio preventivo. Arrivati alla “categoriasesta”: “Ponti e strade provinciali”, prende la parola il consigliereDanzetta, il quale “domanda se il fondo stanziato dall’articolo 1:Manutenzione delle strade e dei ponti provinciali non si possa ridurre aminor somma. Egli accenna alla strada Perugia-Cortona, che trovasi incondizioni assai buone, meno un piccolo restauro da farsi in un puntocorroso dalle acque del Lago Trasimeno. A parer suo, la quantità dighiaia che si adopera per questa strada eccede alquanto il bisogno”. Sichiedono su ciò chiarimenti all’ingegnere-capo. Il consigliere Bertanzi“udendo che questi dichiara di non assumere nessuna responsabilitàrispetto alla manutenzione delle strade perché regolata dagl’ingegneri diriparto, prega la Deputazione di studiare la riforma dell’Ufficio tecnico,dell’operato del quale è necessario che qualcuno sia responsabile davan-ti all’amministrazione”.

La Provincia e il suo Ufficio Tecnicotra 1876 e 1880 “Il tempo si sciupain varie gite”MAURIZIO TERZETTI

Page 21: Perugia nell'Ottocento

21

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Dopo una lunga discussione, l’incidente si chiude con l’impegno dellaDeputazione a presentarsi in Consiglio al più presto con un progetto diriforma dell’Ufficio Tecnico.

L’ingegnere-ispettore e i sei ripartiIl 3 luglio del 1877 la Deputazione si presenta all’appuntamento con lasua bozza di riforma dello statuto dell’Ufficio tecnico. Per guadagnaretempo si è iscritto l’argomento alla sessione straordinaria. Ne dà lettura il deputato Leoni C.: “Anzitutto, è stato sostituitoall’Ufficio centrale un Ufficio d’ispettorato: conservando a questo quasitutte le attribuzioni affidate all’Ufficio centrale, si è però stabilito chenon per il suo mezzo ma direttamente la Deputazione corrisponda congli Uffici di riparto. Gli affari sono tanto cresciuti che, se si volesse proseguire nell’attualesistema, sarebbe necessario aumentare il personale. D’altra parte, l’ingegnere ispettore, meno trattenuto dalle occupazionidell’Ufficio, potrà più frequentemente visitare le strade e i lavoro di manu-tenzione e di nuova costruzione, e così il servizio procederà più spedito eregolare e con criteri conformi alle viste del Consiglio e della Deputazione. A sei è stato portato il numero degli Uffici di riparto, l’uno indipenden-te dall’altro. Con ciò, l’opera degli ingegneri è resa più facile e proficua,la sorveglianza maggiore e più efficace, la responsabilità meglio assicu-rata; diminuiscono le spese per le indennità di trasferta e di soggiornofuori di residenza. Gli Uffici di riparto dipendono direttamente dalla Deputazione, laquale li sorveglia e controlla, giovandosi per la parte tecnica dell’Ufficiod’ispettorato. La differenze di classe e di stipendio stabilita per gli inge-gneri di riparto servirà di stimolo agli inferiori, i quali, se si meriteran-no la fiducia dell’amministrazione, potranno avanzare nella limitata car-riera che offre la Provincia. La sorveglianza dei lavori di manutenzione, invece di essere fatta da unpersonale speciale residente su diverse località, sarà esercitata interamen-te a loro cura e sotto la loro responsabilità dagli ingegneri di riparto, siadirettamente sia per mezzo degli assistenti addetti ai rispettivi Uffici eanche, in casi straordinari, per mezzo degli aiutanti, incaricandoli voltaper volta della visita delle strade. La maggiore spesa, quantunque poco sensibile, che potrà derivare daquesto sistema, sarà compensata dal profitto che si ritrarrà dall’operadegli assistenti nei lavori d’ufficio. Viene poi determinata la responsabilità di tutti gli impiegati per i servi-zi loro rispettivamente affidati, per modo che ciascuno abbia a rispon-dere dell’adempimento o della trascuranza dei propri doveri. Come l’in-gegnere capo dell’attuale Ufficio centrale prenderà il nome di ingegnereispettore, così viene proposto che gli ingegneri aggiunti agli Uffici diriparto siano proposti ingegneri di riparto di seconda classe quantunqueessi abbiano la nomina da un decreto della Deputazione giusta le dispo-sizioni dello statuto vigente”. Il progetto piace, ma non soddisfa. Da più parti si richiede una sospen-sione, la nomina di una commissione, maggiore riflessione. Monti ritie-ne che “maggiori studi siano sempre utili, non già per diffidenza ma per-ché così si conciliano meglio i voti dei consiglieri che rimangono piùtranquilli nella loro coscienza. La quistione dell’Ufficio tecnico è di somma importanza perché impli-ca i massimi interessi dell’amministrazione. La sua gravità è dimostrata

Page 22: Perugia nell'Ottocento

22

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

dal fatto che in pochi anni questa è la terza volta che si discute del suoordinamento”. Il Consiglio, perciò, ottiene la sua commissione. La compongono i con-siglieri Boschi, Coletti, Bertanzi, Monti e Mancini.

Eccessi di decentramento, mancanza di subordinazione Primo settembre 1877. Arriva in Consiglio il risultato dei lavori dellacommissione per l’Ufficio tecnico. Il relatore è il consigliere Mancini.La relazione si rifà alle “innovazioni” proposte dalla Deputazione, cheerano due: l’abolizione dell’ingegnere capo e l’istituzione di tre nuoviriparti (Terni, Foligno e Orvieto) che elevava a sei il numero dei riparti,ognuno dei quali, nelle intenzioni della Deputazione, avrebbe dovutoavere maggior copia di attribuzioni e maggiore responsabilità.Sul primo punto, molte ragioni hanno convalidato la sostituzione dellafigura dell’ingegnere capo con quella dell’ingegnere ispettore: il primo,infatti, assommava in sé “una soverchia quantità di attribuzioni eresponsabilità” per cui avrebbe anche potuto, e potrebbe, “eludere laresponsabilità perché troppo ampia ed indeterminata”. Consensi, invece, per l’Ufficio di ispettorato, che “sarà il consulente dellaDeputazione in tutte le materie tecniche, controllerà l’opera degli altriuffici tecnici della Provincia, eseguirà i collaudi con economia dell’ammi-nistrazione e con criteri uniformi”. Certo, l’ideale sarebbe far coesistere idue Uffici, ma ciò sarebbe davvero troppo “per l’importanza della ammi-nistrazione di una Provincia benché vastissima come l’Umbria”. Lo scoglio più grande della riforma è rappresentato dall’elevazione a seidel numero degli Uffici di riparto. “È nell’ordine di natura che l’accre-scimento di tutte le cose si effettui sempre a detrimento del loro nume-ro”: con questa massima la Commissione, sebbene non all’unanimità, sioppone al progetto della Deputazione. E, alla fine, la spunta su questa,rintuzzandosi in Consiglio anche qualsiasi motivazione fatta in nomedel “decentramento”.Di nuovo Mancini: “Ma del frazionamento del servizio tecnico alcunoha fatto una quistione di decentramento. In quanto a me credo che lecose migliori possano divenir pessime coll’esagerarle ed anche il decen-tramento, sommamente utile e pratico entro certi limiti, può diveniredannoso e di impossibile attuazione fuori di quelli. Chi di voi non vedeo signori che quando anche si voglia fare una quistione di decentramen-to il progetto della Deputazione in luogo di assecondarne il vero signi-ficato vi si oppone?” Però, anche se non potranno essere sei riparti, la Commissione concede,sperimentalmente, che “quando l’esigenza dei lavori lo richieda, laDeputazione potrà stabilire nel luogo che creda opportuno una sezionetemporanea assegnandovi l’ingegnere aggiunto e porzione del personaledi un ufficio di riparto. Questa sezione rimane dipendente dall’ufficioda cui è distaccata”. Finisce, dunque, che si vota positivamente per l’ingegnere ispettore e per ilmantenimento dei tre riparti esistenti di Perugia, Spoleto e Rieti (1 e 2 set-tembre 1877). La spaccatura, però, è ancora più profonda di quella segna-ta dalle divergenze fra Deputazione e Consiglio: rimane aperto e contrad-dittorio, infatti, il giudizio stesso sull’operato dell’Ufficio Tecnico, che, peralcuni “non procede né regolarmente né speditamente” a causa della “man-canza di subordinazione”, mentre per altri “non tutto è andato alla malo-ra, i lavori procedono, il personale tecnico provinciale fa il suo dovere”.

Page 23: Perugia nell'Ottocento

23

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

La Commissione d’inchiestaValutazioni tanto contraddittorie sono destinate a riaprire il problemadell’Ufficio Tecnico. Ciò avviene puntualmente durante la quinta adu-nanza della sessione ordinaria del 1878, il 29 agosto 1878, quando sidiscute la Relazione della Deputazione sulla gestione 1877-1878.Il consigliere Ansidei nota che lavori appaltati per Lire 200.000 hannoimportato, secondo i dati dei relativi collaudi, una spesa di Lire400.000. Il suo imperativo non conosce mezze misure: bisogna elimina-re tutto ciò che è lusso, risparmiare sulle opere stradali per provvedereall’incremento economico e morale della Provincia.Ma quali sono i lussi? “Bisogna cessare di fare i rettilinei, dal tenere la mas-sicciata della larghezza di quattro metri con una profondità di 25-30 cm,mentre basta la larghezza di metri 3,50 e la profondità da 12 a 15 cm.Tutto ciò è causa dello sbilancio provinciale. Egli [Ansidei, n.d.r.] sa davari appaltatori che potrebbe spendersi molto meno. Occorre quindi chegli ingegneri provinciali mutino affatto indirizzo. Non è necessario, oggisoprattutto che esistono le ferrovie, mantenere costante l’altimetria dellestrade e si debbono risparmiare i tagli e i riempimenti”. Un ultimo affon-do, molto tecnico: “La bravura degli ingegneri consiste nel seguire l’anda-mento del terreno ed a ciò essi dovrebbero porre tutto il loro studio”.Da cosa nasce, insomma, un aumento così abnorme della spesa?Sarà Bertanzi, che aveva già lanciato la parola d’ordine della riformadell’Ufficio Tecnico, a chiedere niente meno che la nomina di unaCommissione d’inchiesta. Alcuni consiglieri si schermiscono, tergiversano, cercano di aggirare l’o-stacolo. Ma la parola d’ordine pesante è stata pronunciata e non ci potràpiù tirare indietro. Mancini, oggi, è deputato: “Se fossero vere tutte lecensure fatte” dice “l’Ufficio tecnico sarebbe certamente colpevole. Essonon può rimanere sotto tali accuse e perciò anche a nome dellaDeputazione appoggia la nomina di una commissione d’inchiesta ancheper far cessare le voci che corrono nel pubblico a carico dell’ufficio tec-nico provinciale”. Egli ha preventivamente dalla sua l’argomento che“molte strade furono deliberate nei primi anni dell’esistenza delConsiglio quasi per acclamazione senza progetti stradali e senza badarealla spesa e ciò giustificherà in gran parte i lamentati inconvenienti”.Ad Ansidei dispiace che le sue considerazioni siano state prese comeaccuse. Quindi non si associa alla proposta di inchiesta e propone unodg di fiducia verso la Deputazione, che la impegni senza farla passareper le forche caudine di una Commissione d’inchiesta..Ma ormai, osserva il consigliere Coletti, che è un tecnico, dopo questadiscussione, non si può fare a meno dell’inchiesta, per lunga che possaessere e fonte di “inconvenienti morali”.Così la nuova Commissione è nominata espressamente per valutare laresponsabilità che può avere l’ufficio tecnico provinciale nelle differenzenotate fra i preventivi dei lavori e i consuntivi. Ne fanno parte i consiglie-ri Segni, Bertanzi, Danzetta, Rocchi e Pindaro Mancini.

Partita finaleL’inchiesta sulle maggiori spese doveva interessarsi anche dei molti pro-blemi legati ai costi del personale impiegato nell’Ufficio Tecnico inmaniera straordinaria, ai molti braccianti impiegati nei lavori stradaliper sopperire alla scarsezza dei raccolti che si verificava in quegli anni.Non potè farlo.

Page 24: Perugia nell'Ottocento

24

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

In pratica, infatti, fra mille difficoltà e vari accidenti, ridotta a due solicomponenti, non riuscì a presentarsi al Consiglio che l’11 settembre1880, due anni dopo il mandato. Largamente incompleta dopo esserestata rimaneggiata nel 1879, fornì il risultato di un’indagine riferita asole quattro strade: Sellanese, Arronese, Amerina e Finocchietana. Per il relatore Lattanzi la causa principale dell’aumento lamentato vafatta risalire agli spostamenti dell’asse stradale durante la costruzione o,per meglio dire, alla modificazione del tracciato, specie se si tratta di per-corsi in luoghi montani e scoscesi: “Gli spostamenti si eseguiscono perdue ragioni: o perché risulti che le quote calcolate nel progetto non cor-rispondano a quelle del terreno sul quale si opera o perché si vogliamodificare un tracciato correggendolo ove sembrasse difettoso, abban-donando l’andamento che per economia si era progettato”.Varianti su varianti, dunque, non sottoposte all’approvazione degliamministratori. Di esse, alcune si impongono perché i metri cubi diterra da scavare e rimuovere aumentano dietro pressioni locali lasciatenel vago sia da chi relaziona sia da chi aveva voluto l’inchiesta, altrenascono da studi geologici frettolosi, altre, infine, risulterebbero impo-ste dal superiore Ministero dei Lavori Pubblici. Un quadro appesantitodall’abitudine di “costruire superbi manufatti senza punto aver riguardoall’economia della spesa” come nel caso del Ponte di Guardea.Il dibattito che segue è molto accademico, parecchie conclusioni diLattanzi erano già presenti a chi ne aveva chiesto l’istituzione. Così ilConsiglio non può fare altro che rinviare ogni deliberazione in materiaall’epoca in cui la Commissione avrà completato il suo lavoro. Dari,Meniconi e Pompili entrano al posto dei dimissionari.La “partita” sembra giunta, se non alla fine, a un punto morto, in cuiprevale la stanchezza dei contendenti. E si giuoca, ormai, in condizionidi una certa parità. Gli ingegneri di riparto sono tenuti a emettere rapporti annuali e que-sti, acclusi agli Atti del Consiglio, finiscono per essere una testimonian-za della loro esistenza amministrativa che, spesso, si contrappone allavalutazione politica di Deputazione e Consiglio.Ciò vale, soprattutto, per il rapporto dell’ingegnere ispettore, GuglielmoBandini. Nel 1879 egli denuncia, fra l’altro, la sorveglianza assai trascu-rata e lavori di manutenzione affidati all’arbitrio dell’assistente locale.Né piccolo è, per lui, lo spreco che si fa della breccia, perché approvvi-gionata “secondo l’intendimento dell’appaltatore”. E poi “gli ingegneridi riparto non possono, per l’estensione dei riparti stessi, sorvegliare ilavori di nuova costruzione e di manutenzione, attendere alle visitenecessarie per prescrivere la breccia, redigere stati finali, attendere allacontabilità di ufficio”.Ci vorrebbero, a suo giudizio, i sei riparti che la Deputazione non erariuscita a far passare. In quel caso, il tempo che ora “si sciupa in variegite” sarebbe messo a maggiore profitto.

Page 25: Perugia nell'Ottocento

25

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Sotto la spinta delle rivendicazioni operaie, e per i mutati equilibripolitici (il 1876 è l’anno della "rivoluzione parlamentare", come

pomposamente fu chiamato il cambio di governo dalla Destra allaSinistra storica) lo Stato liberale veniva intanto affrontando tutto uncomplesso di problematiche civili e sociali. Nel 1877 il Ministro per laPubblica Istruzione Coppino varò una legge sull’istruzione obbligatoriache, pur fra limitazioni e timidezze, ebbe il merito di indicare "i doveridelle amministrazioni comunali e sanzioni precise contro i genitori chemantenessero nell’ignoranza i loro figliuoli" e segnò un passo verso lalaicità dell’insegnamento, sostituendo al catechismo cattolico "le primenozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino"1. In periodo crispino sipose mano ad una riforma strutturale delle Congregazioni di Carità edelle Opere Pie, che partiva dal convincimento "che quella dell’assisten-za fosse una funzione pubblica, che lo Stato aveva il diritto e il doveredi gestire assumendosi direttamente o attraverso gli enti territoriali loca-li ampie facoltà di ingerenza"2 negli istituti di beneficienza riordinati,accorpati e sottratti al controllo del clero. Ma è soprattutto sul proble-ma del riconoscimento giuridico delle società che si accendeva il dibat-tito tra fautori e avversari dell’intervento statale nel campo dell’econo-mia e del lavoro.Il problema era antico, forse quanto il mutuo soccorso medesimo, cer-tamente da quando le società si erano riunite a congresso. Nello schie-ramento dei partiti storici che avevano condotto al Risorgimento nazio-nale, la posizione conservatrice-moderata era tradizionalmente favore-vole al riconoscimento e alla regolamentazione legislativa di un fenome-no nato per tanti aspetti in forma spontanea e per iniziativa di singoli,non però all’ingerenza sulla vita interna delle associazioni; quella libera-le-progressista era invece nettamente contraria a qualsiasi tipo di con-trollo governativo o poliziesco. Per l’assoluta indipendenza delle societàdal potere politico si dichiaravano inoltre i repubblicani, eredi del mes-saggio di Mazzini, e le nuove formazioni che si riconoscevano nel verbointernazionalista, che in Italia aveva assunto caratteri bakuniniani piut-tosto che marxisti: i socialisti e gli anarchici. Sarà opportuno ricordare,a questo punto, come l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, piùnota sotto il nome di Prima Internazionale, era stata preceduta, nel ’62,dalla riunione dei rappresentanti di società mutualistiche inglesi e fran-cesi avvenuta nella taverna massonica di Londra; ed era stata fondata nel’64 nel famoso meeting di St. Martin’s Hall "per costituire un centro di

Per una storia dell’associazionismooperaio in Umbria.L’età delle riforme. Dalle leghe di resistenza allalegislazione sociale sul lavoro.FRANCO BOZZI

Michele Coppino, foto b.n., (Collezioneprivata)

Page 26: Perugia nell'Ottocento

26

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

collegamento e di cooperazione tra le società operaie esistenti nei diver-si paesi, che aspirino al medesimo scopo, e cioè: il mutuo soccorso, ilprogresso e l’affrancamento completo della classe operaia"3.Gli studi compiuti, anche su pressione di uno scenario futuribile tale daincutere i più acuti timori alle borghesie europee (il 1871 fu l’anno dellaComune di Parigi) sulle legislazioni straniere in materia – l’inglese, lafrancese, la tedesca – non avevano prodotto risultati: nessun progetto,durante il periodo della Destra storica, era approdato alla discussione par-lamentare. D’altronde l’economista Tullio Martello scopriva quali fosserogli umori dell’oligarchia capitalistico-agraria al potere: l’Internazionale eraun pericolo verso cui la società, per la propria auto-conservazione, avevail diritto di reagire con la forza; le Trade Unions, che le avevano prepara-to il terreno utilizzando il mutuo soccorso e lo sciopero, andavano consi-derate associazioni terroristiche e criminali; le coalizioni operaie tendentia influenzare l’andamento del mercato dovevano essere proibite4. Unprimo disegno di legge fu presentato invece sotto il governo Depetris, nelgiugno 1877, dal Ministro dell’Agricoltura Maiorana Caltabiano.Nell’ottica della Sinistra parlamentare la libera e spontanea diffusione delmutuo soccorso non era incompatibile con qualche forma di interventostatale che fosse ispirato da motivi etici ed economici. Ma i concetti diautorizzazione, tutela e controllo che spuntavano dal progetto erano talida mettere in allarme tutti gli oppositori. Cosicché il Congresso naziona-le delle società, convocato a Bologna nell’ottobre successivo, ne bocciòl’impalcatura e la filosofia. La Società perugina vi fu rappresentata dall’o-peraio Luigi Rosi e dal marchese Gioacchino Napoleone Pepoli. Costui,alto esponente della nobiltà felsinea, imparentato coi Bonaparte e coiMurat, già Commissario straordinario per la provincia dell’Umbria neimesi cruciali del plebiscito per l’annessione, amava assumere atteggiamen-ti sinistrorsi (si ricordano suoi articoli e discorsi favorevoli al mutuo soc-corso e alla cooperazione, contrari alla tassa sul macinato, aperti alle istan-ze di progresso sociale delle classi subalterne), suscitando sarcasmi e mot-teggi da parte di quella oligarchia di nascita e di censo cui egli stessoapparteneva. Lo stile di vita esagerato che gli era consueto si manifestòpure nei festeggiamenti tributatigli in occasione della sua venuta a Perugiaper rendere conto del mandato ricevuto5. La legge proposta, spiegava ilPepoli con il suo eloquio enfatico, non era una legge di amore ma disospetto. La pessima accoglienza indusse il ministero a ritirare il progetto. Un iter egualmente travagliato, ma dal più fortunato esito, ebbe il pro-getto Berti-Depretis. Se ne cominciò a discutere nel 1883, e sebbeneavesse impronta meno occhiuta e invasiva del precedente riscosse lapronta opposizione dello schieramento democratico extra-parlamentare.

Onofrio Bramante, L’epopea degli artieri(www.ilmenante.it)

Page 27: Perugia nell'Ottocento

27

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Negli stessi anni, in Germania, il cancelliere Bismarck aveva messo apunto il suo sistema paternalistico-autoritario di legislazione sociale,volto a soddisfare i bisogni primari della classe operaia e per ciò stesso asottrarre terreno all’avanzata dell’Internazionale; ma non era il sociali-smo di Stato prussiano che ispirava gli uomini della Sinistra, sibbene ilmodello inglese ispirato dal tradeunionismo e dal cooperativismo, chelasciava largo spazio alla libertà di associarsi e limitava l’intervento pub-blico al riconoscimento giuridico della sua utilità e alla tutela dei dirittidel lavoratore. Sul problema del riconoscimento il giornale della borghe-sia perugina così si esprimeva: "Un tal provvedimento entra senza dub-bio fra le leggi sociali, e potrebbe tornare di gran vantaggio alle classioperaie, se fosse lasciato libero da una soverchia ingerenza dello Stato, laquale mentre non varrebbe a soddisfare l’esigenza delle masse sofferenti,potrebbe stabilire precedenti e responsabilità grandissime per il gover-no". E sulla opportunità della ventilata tutela il giornale si mostravascettico: "perché le classi operaie non vivono di solo pane e perché temo-no che sotto il pretesto di accordare loro una garanzia, si nasconda loscopo di dominare le società ed entrare a dirigere il loro andamentoamministrativo"6. Fra discussioni, battute d’arresto e rifacimenti il pro-getto approdò finalmente alla Camera. Esprimendo il suo voto negati-vo, Andrea Costa "difese il punto di vista di quanti accettavano il rico-noscimento giuridico com’era stato proposto al congresso delle societàdi m.s. del 1877, cioè per semplice iscrizione al comune"7, ed equiparòle associazioni agli individui, che solo per il fatto di essere nati diventa-no titolari di diritti individuali. Comunque il progetto passò e la nuovalegge entrò in vigore il 15 aprile 1886. Si apriva così una complessa partita, in cui diversi attori intervenivanogiocando su tavoli diversi. La classe politica di derivazione risorgimen-tale, entrando col Crispi e i suoi successori nella spirale dell’involuzioneautoritaria, cercava di irreggimentare in un quadro normativo unico l’as-sociazionismo operaio, agendo sul doppio binario di repressione e rifor-me. Ed infatti nell’83 fu fondata la Cassa Nazionale di assicurazionecontro gli infortuni, a carattere volontario, ma divenuta obbligatoria dilì a qualche anno (la sede compartimentale per la Toscana e l’Umbria erapresso il Monte dei Paschi di Siena); nell’86 venne varata la legge cheimpediva il lavoro dei fanciulli minori di nove anni; nel ’98 si istituì unfondo di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia, al quale le SOMSpotevano attingere integrando i sussidi riconosciuti ai soci.Parallelamente però la vigilanza sulle società si faceva più stretta, e siincrudivano le misure poliziesche contro le neonate formazioni, che nel-l’età della Seconda Internazionale assunsero carattere prevalentementesocialdemocratico ed evoluzionista: i circoli umanitari, le leghe di resi-stenza, il Partito Operaio Italiano, lo stesso Partito Socialista. La repres-sione toccò il suo culmine fra il ’94 e il ’98, in corrispondenza coi Fascisiciliani e coi moti milanesi detti della fame, la cui eco fu avvertitaprofondissima anche nella nostra arretrata e sonnolenta regione8.Il movimento mutualistico e cooperativo reagì escogitando nuove e piùincisive forme di aggregazione e di lotta. Si pensava, da parte dell’oppo-sizione radicale e repubblicana, che gli strumenti tradizionali, ormai bencollaudati, fossero ancora in grado di svolgere una funzione utile per l’e-mancipazione del proletariato: cosicché furono fondate nell’86 laFederazione Nazionale Cooperative (che più tardi assunse il nome diLega delle Cooperative), e nel 1901 la Federazione Italiana Società diMutuo Soccorso. Anzi lo stesso Costa si faceva promotore di iniziative

Stemma di una Società Operaia di MutuoSoccorso

Page 28: Perugia nell'Ottocento

28

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

parlamentari volte a favorire le cooperative di lavoro, considerate unodei mezzi più efficaci per migliorare le condizioni di operai e artigiani.Un forte impulso ebbe anche la cooperazione applicata al credito,mediante la creazione di banche popolari cooperative, tanto che nell’85se ne potevano contare dodici nella Provincia dell’Umbria (in ordine diistituzione: Città della Pieve, Terni, Rieti, Todi, Deruta, Tuoro, Bastia,Poggio Mirteto, Gubbio, Gualdo Tadino, Umbertide, Perugia). Neldiscorso inaugurale rivolto all’Assemblea degli azionisti perugini ildeputato Guido Pompili sottolineò la differenza fra i normali istituti dicredito, miranti esclusivamente al profitto, e questo tipo di banche cheinvece rappresentavano la democrazia economica, imperniata sui treprincipi del risparmio, della previdenza e della cooperazione. Le banchepopolari si ponevano come "un’associazione, dove gli operai, e i conta-dini, i piccoli industrianti, tutti coloro a cui sono sbarrate le porte deglialtri istituti, accumunano le loro forze e i loro risparmi per fabbricarsida sé una istituzione di credito locale e autonomo che provvede ai lorobisogni, e fa a loro uniti ottenere quel credito che ai singoli era negato";andavano a completare l’edificio delle varie istituzioni cooperative e diprevidenza quali "le società di mutuo soccorso, di produzione e di con-sumo"; e sembravano particolarmente adatte al credito agrario, dandoimpulso a quel settore primario che andava considerato come l’originedi tutte le arti e il fondamento della civiltà9.In questo clima di melassa interclassista la Società Operaia perugina siapprestò a celebrare il venticinquesimo anno della propria esistenza. Ilconte Zeffirino Faina, uno dei principali esponenti della consorteriamoderata, mise a disposizione la sua villa ai Murelli per un banchettoaugurale, durante il quale – come informano le cronache – pronuncia-rono acconce parole di circostanza il Presidente della Società AlessandroRaspi e le autorità cittadine. Poi i convenuti tornarono in città al suonodell’inno garibaldino, lasciando al cronista la convinzione che la bellafesta popolare avesse "maggiormente consolidato il patto fraterno chedeve mai sempre tenere unita la grande famiglia operaia"10. Anchepadroni e operai dell’Officina Baduel, Bizzarri e C. si ritrovarono a ban-chetto a Colle del Cardinale, e brindarono insieme alla pace sociale ealla reciproca concordia. Il prof. Leopoldo Tiberi, socio benemerito del-l’organismo mutualistico, inneggiò applauditissimo "all’unione delcapitale e del lavoro, dalla cui guerra deriva la miseria e dalla cui armo-nia nasce la prosperità delle nazioni", e propose il titolare della ditta"come modello a coloro che hanno capitali da disporre e che invece litengono inoperosi con danno loro e delle classi operaie"11.Ma nel frattempo si andava manifestando – noncurante di tale zucche-rosa visione – un epifenomeno destinato a modificare profondamente leprospettive di lotta del movimento operaio. Se l’unione delle forze erastata foriera di così incoraggianti risultati nel mutuo soccorso, nella coo-perazione, nelle banche popolari, perché non usare il medesimo stru-mento (l’associazione) per opporsi ad un sistema di remunerazione dellavoro e di distribuzione della ricchezza che, lungi dall’essere naturale eimmodificabile come pretendevano gli economisti borghesi, si rivelavainiquo, sperequato, fondato sul privilegio degli espropriatori e sullosfruttamento degli espropriati? Da questa domanda – traduzione in ter-mini elementari dei concetti marxiani di pluslavoro/plusvalore, e annun-cio del lento ma inarrestabile formarsi di una coscienza di classe – cheindubbiamente sarà stata suggerita e stimolata nelle fabbriche e nellecampagne dai propagandisti socialisti (gli intellettuali "spostati", i "fuo-

Page 29: Perugia nell'Ottocento

29

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

riusciti della borghesia" di cui ha parlato il Michels12) nasce il fenomenodella resistenza, con il tumultuoso diffondersi delle agitazioni, il ribollen-te pullulare delle leghe, la proclamazione dei primi scioperi.Come è stato osservato dagli storici del movimento operaio, fin dal suosorgere – nel ’92 – il PSI considerò superata l’esperienza del mutuo soc-corso, e vide nelle leghe un più potente strumento per la tutela dei dirit-ti dei lavoratori e per la loro politicizzazione/sindacalizzazione, comple-tata dall’adesione al Partito e dalla partecipazione ad organismi territo-riali collaterali, quali le Camere del Lavoro13. Altro fattore di dinami-smo – in un mondo del lavoro strozzato dai dogmi liberisti e investitoda crisi e stagnazioni ricorrenti – fu il crescente, progressivo impegnodei cattolici, facilitato dall’allentarsi del non expedit e dal proporsi dellamoderna dottrina sociale della Chiesa. La pubblicazione delle enciclicheQuod Apostolici muneris del ’78, e Rerum novarum del ’91, provocò fortiripercussioni nella regione, anche in considerazione del ruolo che viaveva giocato, da Vescovo di Perugia, il regnante Papa Leone XIII14. Icattolici scendevano dunque in campo per favorire le società artigianeed operaie, le cooperative, le banche ad ispirazione religiosa; e, corri-spondentemente a quanto avveniva nel movimento socialista, le leghebianche e i sindacati contadini furono l’anello di congiunzione con ilfuturo Partito Popolare. In questa presenza, dei sacerdoti più ancora chedei laici, Luigi Bellini individuava il fatto nuovo del movimento conta-dino regionale agli inizi del nuovo secolo15.In apparenza l’età giolittiana fece registrare (nella Provincia come nelPaese) la fioritura rigogliosa del mutuo soccorso. "Il numero complessi-vo delle Società Operaie – scriveva infatti Fernando Mancini, Presidentedella Camera di Commercio ed Arti che aveva sede a Foligno – costitui-te nell’Umbria a tutto il 1908 è di 194"16. Anche la cooperazione rice-vette un forte impulso, sebbene inferiore alla media nazionale (nellostesso periodo erano censite in Umbria 61 cooperative: 38 di consumo,15 di produzione, 6 agricole, 2 edilizie) attraverso i tre filoni del mutua-lismo moderato, di quello socialista e di quello cattolico. A Perugia sistabilirono intese fra la Cooperativa di lavoro fra muratori, rifondatasulla antica emanazione della Società Operaia, e l’Ente per la costruzio-ne delle case popolari, anch’esso evoluzione del Comitato voluto dalVecchi poco prima della sua morte per aiutare gli operai rimasti disoc-cupati17. A Terni l’incremento della cooperazione, sotto la spinta dellamassa operaia organizzata dai socialisti, ma anche per iniziativa del per-sonale tecnico e impiegatizio presente nella corona di industrie, impre-se e amministrazioni ruotanti attorno al nucleo della Fabbrica d’armi edelle Acciaierie, si ebbe nei più svariati settori e con modalità talora ine-dite nel contesto regionale (come mostra il caso delle cooperative dicostruzioni edilizie) contribuendo non poco allo sviluppo, anche urba-nistico, di quella città18. I cattolici affiancarono le cooperative – speciedi consumo – alle leghe in lotta per il rinnovo dei patti colonici, allecasse rurali, ai primi gruppi democratico-cristiani e ai circoli di tenden-za modernista; ma per un don Giovagnoli che a Città di Castello racco-glieva nel 1905 gli studenti nella Nova Juventus, e per un don Rughi chenel 1908 organizzava a Gubbio uno sciopero con cinquemila contadini,c’era a Foligno un mons. Faloci Pulignani che conduceva una sua per-sonale crociata (durata quarant’anni, dall’opposizione alla Sinistra laico-liberale fino all’adesione al fascismo) contro i massoni da un lato, isocialisti dall’altro, e respingeva come una particella del disegno di "scri-stianizzazione generale" persino la proposta di creare una Cassa di soc-

Manifesto dell’Associazione generale operai

Don Luigi Rughi, foto b.n. (Comune diGubbio)

Page 30: Perugia nell'Ottocento

30

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

corso per gli infortuni sul lavoro19. Però, a completare il quadro, puòaggiungersi l’atteggiamento di benevola attenzione assunto nei confron-ti delle rivendicazioni operaie – dopo la svolta liberale Zanardelli-Giolitti – dai governi succedutisi alla guida del Paese. Nel quindicennioche dalla "svolta" conduce alla Grande Guerra registriamo: l’istituzionedel Consiglio superiore del lavoro; una dozzina di provvedimenti aven-ti lo scopo di agevolare il mutuo soccorso e la cooperazione; un primostanziamento pubblico pro-disoccupati; un decreto-legge per la regola-mentazione del lavoro femminile e minorile; la Cassa di maternità afavore delle operaie; ed altro ancora. Insomma una legislazione socialecui si affidava il compito di inglobare nel quadro dei diritti e dellelibertà statutarie quelle plebi che se ne sentivano escluse, trasformando-le in un popolo di cittadini coscienti ed estendendo per un tal tramitela base di consenso e di legittimazione dello Stato borghese.Che tutto ciò rappresentasse un avvicinamento alle posizioni del socia-lismo riformista si evidenzia non soltanto dalla lettura del cosiddetto"programma minimo", ma anche dai titoli di quei volumetti di propa-ganda popolare che si accompagnavano a «Critica Sociale», la rivistamilanese che diffondeva in tutta Italia il pensiero della coppia Turati-Kuliscioff. I titoli proposti nel periodo considerato (Sul lavoro delledonne e dei minori, Riforme tributarie e sociali, A difesa delle madrioperaie, ecc.) interpretavano infatti l’orientamento positivo e graduali-sta del Partito, ed esprimevano l’esigenza che si abbandonasse l’imposta-zione ideologica e dogmatica di indottrinamento delle masse per unapiù incisiva apprensione dello specifico e del quotidiano20. Un’istanzache purtroppo non avrebbe avuto seguito, per una serie di circostanzeed illusioni politiche – il mito soreliano dello sciopero generale, la ricor-rente sirena della rivoluzione – la cui analisi esula evidentemente dall’ar-gomento di cui qui si ragiona. Invece ciò a cui non ci si può sottrarre è una constatazione che ha inqualche modo del paradossale. Proprio nel momento in cui mutualismoe cooperazione, in virtù della oggettiva convergenza fra imprenditoriacapitalistica e proletariato industriale, toccavano il loro apogeo, e sem-bravano prefigurare un blocco sociale corporativamente garantito e reci-procamente integrato, si erano messi in moto gli elementi del loro cre-puscolo o trasformazione. Le società di mutuo soccorso erano già statesoppiantate, nella concezione classista, dalle leghe di resistenza, la coo-perazione aveva assunto carattere di proselitismo per l’iscrizione e lamilitanza nei partiti popolari. Il punto è che il socialismo italiano, a dif-ferenza di quello inglese che aveva strutturato il Labour Party sull’espe-rienza delle Trade Unions, non volle mai eclissarsi per dare vita ad unPartito del Lavoro apolitico, comprendente anche anarchici, repubblica-ni, e magari cattolici. Il rifiuto più netto fu espresso dal riformistaTurati: "Il Partito del Lavoro siamo noi, e nessun altro ci può sostituire,se noi non diserteremo e non traligneremo. Il Partito del Lavoro è il pro-letariato socialista e non sarà mai un partito di preti o di borghesi inmaschera proletaria, inteso ad asservire l’umanità lavoratrice a grettiinteressi bottegai"21.Esaurita la spinta propulsiva del mutuo soccorso, che pure tanto avevacontribuito alla sua crescita, si era aperta una nuova pagina – caratteriz-zata dall’acquisizione di una più matura coscienza di classe – nella sto-ria del movimento operaio.

Gruppo di soci della Società di Mutuo Soccorso,foto b.n. (Collezione privata)

Page 31: Perugia nell'Ottocento

31

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Note1 D. Bertoni Jovine, Storia dell’educazione popolare in Italia, Laterza, Bari 1965, p. 166, p. 185.2 F. Della Peruta, Le Opere Pie dall’Unità alla legge Crispi, in Problemi istituzionali e rifor-

me nell’età crispina. Atti del LV Congresso di Storia del Risorgimento Italiano (Sorrento,6-9 dicembre 1990), Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Roma 1992, p. 242.

3 K. Marx, Statuti provvisori dell’Associazione Internazionale degli Operai (1864), in G. M.Bravo, La Prima Internazionale. Storia documentaria, Editori Riuniti, Roma 1978, vol.I, p. 133.

4 T. Martello, Storia dell’Internazionale dalla sua origine al Congresso dell’Aja, FratelliSalmin Padova – Giuseppe Marghieri, Napoli 1873, passim. L’A. giustificava così ildivieto di coalizione: "Un’operaio [sic] che vuole agire contro la legge dell’offerta e delladomanda non può farlo perché gli manca la forza e i mezzi di lottare, di violentare cioèla natura stessa delle cose. Colla coalizione ci riesce" (ivi, p. 25). L’obiettivo di tantascienza economica e sociale era dunque questo: tenere l’operaio in condizione di peren-ne subalternità, farne un moderno schiavo senza neppure uno Spartaco che potesse ten-tarne il riscatto.

5 Cfr. ASMS Pg, “Congressi Esposizioni”, 1887, b. 69.6 Sul riconoscimento giuridico delle società di mutuo soccorso, «La Provincia dell’Umbria»,

3-4 aprile 1886. Il Berti, Ministro dell’Agricoltura, aveva presentato il progetto di concer-to con il Depretis, Ministro dell’Interno oltreché Presidente del Consiglio.

7 D. Marucco, op. cit., p. 118.8 Il Partito dei Lavoratori Italiani, che più tardi assunse il nome di Partito Socialista

Italiano, nacque a Genova nel 1892, e subito si diffuse in Umbria tramite un ceto intel-lettuale di estrazione borghese (medici, avvocati, insegnanti), per formazione e vocazio-ne riformista, quali potessero essere le etichette correntizie di ciascuno dei suoi compo-nenti. Sulla presenza del Partito nel territorio, sui protagonisti della fase nascente, sullerepressioni di fine secolo vedi la mia Storia del Partito Socialista in Umbria, Era Nuova,Ellera Umbra 1996, pp. 64 e segg.

9 Il testo del discorso viene riportato integralmente nel Supplemento a «L’Unione libera-le» del 29-30 ottobre 1885. Per ciò che riguarda l’ultimo problema sollevato, nel corsodi quello stesso anni il quotidiano perugino aveva condotto un’inchiesta, in molte pun-tate, intitolata L’agricoltura e i coltivatori dell’Umbria, nel corso della quale si affrontavaanche la questione del credito. In passato una funzione meritoria era stata assolta daiMonti frumentari, ma anch’essi con le riforme crispine erano stati trasformati in istitutidi beneficenza e come tali incorporati nelle Congregazioni di Carità. Non era andato inporto il progetto, più volte ventilato, di costituire con i capitali dei Monti un fondo perun istituto di credito agrario. D’altra parte si faceva fatica a reperire capitali da investirenell’agricoltura, giacché i lavori dei campi richiedevano nei prestiti modicità di interessie lunghezza di scadenze, mentre i capitali venivano attratti laddove più pronto era il rea-lizzo e più lauto il guadagno. Cfr. ivi, 20 aprile 1885.

10 «La Provincia dell’Umbria», 1-2 ottobre 1885.11 Ivi, 23-24 novembre 1885.12 Cfr. R. Michels, Storia critica del movimento socialista italiano fino al 1911, Il Poligono

editore, Roma 1979, pp. 187 e segg.13 Su tale passaggio organizzativo, che rappresenta al contempo una acquisizione della

nuova cultura socialista, e la penetrazione dello spirito solidaristico prefigurante la cittàfutura, ha osservato opportunamente il Vallauri: “Il fatto di essere espressione di unmestiere a livello provinciale e di avere poi un collegamento a livello nazionale farà delleleghe strumenti importanti di emancipazione. […] La nascita delle Borse del lavoro (poiCamere del lavoro) risponde all’esigenza di passare da una fase categoriale ad una fase ter-ritoriale dell’organizzazione, in quanto il compito di resistenza delle leghe non esauriscela problematica operaia”: C. Valluri, La nascita del P.S.I. e la crisi di fine secolo (1892-1900), in Storia del socialismo italiano, diretta da G. Sabbatucci, Il Poligono editore,Roma 1980, vol. I, p. 278.

14 Sull’argomento vedi i saggi di L. Proietti Pedetta, Permanenze e trasformazioni delleConfraternite laicali dopo l’Unità. Il caso di Perugia, e di M. Tosti, Tra carità e piccolo cre-dito agrario. I Monti frumentari in Umbria nell’800, ambedue compresi nel volume Studisull’episcopato Pecci a Perugia (1846-1878), a cura di E. Cavalcanti, Edizioni ScientificheItaliane, Università degli Studi di Perugia 1986.

15 “È una presenza ancora timida e incerta, ma che andrà sempre più rafforzandosi e chetroverà la sua espressione in un manifesto lanciato ai lavoratori dei campi, nel 1909, daiparroci delle parrocchie lungo il Tevere fra Umbertide e Bosco (località ad una decina dichilometri da Perugia), nonché nell’azione svolta da don Luigi Rughi a Gubbio (che saràsempre l’epicentro del movimento contadino cattolico in Umbria) e nelle colonne della«Vita umbra» [giornale cattolico perugino] ove, tra il 1908 e il 1909, è possibile coglie-

Page 32: Perugia nell'Ottocento

32

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

re una continua campagna stimolatrice per l’organizzazione delle masse rurali”: cfr. L.Bellini, Note per la storia del movimento contadino umbro (1900-1921), in Scritti scelti.Aspetti e problemi economici dell’Umbria nei secoli XIX e XX, a cura di L. Tittarelli,Editoriale Umbra, Istituto per la Storia dell’Umbria contemporanea, 1987, p. 91. Inaggiunta, sulla situazione emblematica dell’Eugubino, e sugli influssi che in sede localeebbe la Democrazia Cristiana di Romolo Murri, si può ricorrere al testo di M. V.Ambrogi - G. Belardi, Cattolici e socialisti a Gubbio fra ’800 e ’900. Appunti di economiae politica, Tipolitografia Petruzzi Corrado & C, Città di Castello 1985.

16 F. Mancini, L’Umbria economica e industriale. Studio statistico, Foligno 1910, p. 102.Segue l’elenco delle società registrate.

17 La Società Cooperativa di lavoro fra muratori si costituì il 13 febbraio 1903. L’EnteAutonomo Annibale Vecchi per la costruzione e il miglioramento delle case popolari fufondato il 30 aprile 1908, e ricevette il riconoscimento come corpo morale assiemeall’approvazione dello statuto con decreto reale del 24 settembre successivo. Fra i dueorganismi si stabilì un rapporto di collaborazione che portò all’edificazione delle primecase popolari nel Comune di Perugia. I documenti, da me consultati e parzialmenteriprodotti in appendice alla citata biografia del Vecchi (pp. 124-126) si trovavano in unagrossa cartella nell’Archivio storico dell’ex IACP (ora ATER) di Perugia.

18 Spiega in proposito Gianni Bovini, in un saggio minuzioso e ampiamente documentatocui si rimanda per la visione complessiva di riferimento: "L’esperienza delle cooperativeedilizie è esemplare per comprendere la natura ed i limiti del modello di industrializza-zione che a partire dall’ultimo quarto dell’Ottocento si afferma nel ternano". Essa èriconducibile a tre tipologie: l’iniziativa imprenditoriale, che almeno all’inizio si accom-pagna alla costruzione di case popolari, quella gestita direttamente dagli operai (che fini-sce per dar vita ad interi quartieri spontanei), quella infine promossa da impiegati, pro-fessionisti e dipendenti di società industriali e di enti pubblici. "Mentre le cooperative dimuratori si possono considerare come un anello di passaggio dall’attività primaria a quel-la secondaria, quelle di costruzione hanno come scopo di procurare ai soci abitazionisane ed economiche, di agevolarne l’acquisto o la costruzione con pagamenti rateali oipotecari": G. Bovini, La cooperazione di produzione e lavoro a Terni (1883-1922), inStudi sulla cooperazione, cit., pp.86 e 87.

19 Vedine la veemente condanna nell’opuscolo Barbanera in giro, Tip. Artigianelli di S.Carlo, Foligno 1891, particolarmente La beneficenza laica, cioè atea, pp. 121-123: “Io ladenuncio questa Cassa per gli infortuni sul lavoro come un nuovo attentato alla Fede deinostri Avi, a quella dei nostri amici, a quella dei nostri figli”.

20 Il concetto è stato bene espresso da G. B. Furiozzi, La Biblioteca di propaganda della“Critica Sociale”, nella raccolta di saggi Dal Risorgimento all’Italia liberale, EdizioniScientifiche Italiane, Napoli 1997, pp. 97 e segg.

21 Invero la formula laburista fu proposta, ma il tentativo non ebbe successo, giacché il PSIpreferì prendere a modello la socialdemocrazia tedesca. È ancora il Furiozzi ad illustrarel’esperimento e i motivi del suo scacco nel bel volume Il Partito del Lavoro. Un progettolaburista nell’Italia giolittiana, Edizioni Era Nuova, Ellera Umbra 1997. La frase diTurati, pronunciata al Congresso PSI di Milano del 1910, è riportata ivi alle pp. 91-92.

Page 33: Perugia nell'Ottocento

33

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

In Umbria lo scossone politico del ’76 produsse un improvviso risve-glio del dibattito tra i partiti.

Una reazione mista di incomprensione e timore colpì la consorteriamoderata umbra, che, ancora nelle elezioni del ’74, aveva ottenuto unlarghissimo consenso. In breve tempo, però, il timore iniziale lasciò spa-zio ad una cauta attesa.Essi speravano di ottenere dalla nuova maggioranza le garanzie e le certez-ze che, in passato, avevano avuto dai ministeri della Destra storica. In effet-ti, come risulta dalle pagine del «Corriere dell’Umbria», dopo lo smarri-mento iniziale, fu apprezzato il tono di Depretis, “ispirato a una modera-zione e a una prudenza che fino ad ora non era facile trovare nei discorsidella Sinistra”1. Le divisioni e i contrasti tra i due partiti liberali, però,rimasero ancora evidenti, soprattutto in occasione delle elezioni del ’76.Il ministro dell’Interno Nicotera, non appena insediatosi a palazzo Braschi,operò un vasto movimento di prefetti2. Maramotti non venne toccato. Ilprefetto, in linea con la scelta operata dal suo amico Ubaldino Peruzzi3 edeciso a restare in Umbria, si schierò con il nuovo corso politico. Questo atteggiamento causò a Maramotti, almeno nei primi anni digoverno della Sinistra e finché in Umbria non emersero i primi segni diun precoce trasformismo, un raffreddamento dei rapporti con i capimoderati. L’attività del prefetto negli anni successivi al ’76 fu caratteriz-zata da una convergenza verso la nuova linea “ministeriale”, secondo unascelta compiuta, in modo più o meno repentino, dalla maggioranza deimoderati umbri. L’azione di Maramotti, in un primo momento, favorìl’allargamento dell’influenza a livello politico e amministrativo dei pro-gressisti, a danno della Destra. In questi anni il prefetto ebbe rapporticontinui con Luigi Pianciani, presidente del consiglio provincialedell’Umbria e molto influente nella regione. Rimaneva intatto l’atteggiamento diffidente verso i cattolici, che, traenormi difficoltà, si andavano lentamente organizzando; il 1° gennaiodel ’76, infatti, era nato il settimanale cattolico «Il Paese», diretto da donGeremia Brunelli e ispirato direttamente dal vescovo Pecci.Maramotti nel corso dello stesso anno vietò a Perugia ben “cinque pro-cessioni per celebrare il giubileo di Pio IX”4.L’affermazione della Sinistra fu chiara. Nonostante fosse mutato il colo-re della maggioranza alla Camera gli umbri continuavano a votaregovernativo. Segno dei tempi fu l’affermazione nel I collegio di Perugiadi Fabretti, che, dopo le innumerevoli sconfitte del passato, superò al

L’Umbria di Benedetto Maramotti1868-1896Dall’avvento della sinistra alpensionamento 1876 - 1889ANDREA PROIETTI

Pio IX, foto b.n. (Collezione privata)

Page 34: Perugia nell'Ottocento

34

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

ballottaggio il moderato Ansidei, sindaco della città. A Terni vennericonfermato l’inossidabile Massarucci, a Rieti Solidati Tiburzi e aPoggio Mirteto Amadei; furono inoltre eletti, sempre per la Sinistra,Giuseppe Fratellini a Spoleto, Domenico Primerano, segretario genera-le del ministero della Guerra, a Città di Castello e Serafino FrenfanelliCybo a Todi. Nel conto della sconfitta della Destra figura anche l’elezio-ne a Orvieto del dissidente toscano Celestino Bianchi, direttore dellaNazione, che nella decisiva seduta parlamentare del 18 marzo avevavotato a favore della Sinistra. Alla destra resto davvero poco: GiacomoDe Martino, direttore generale delle ferrovie Romane, a Foligno eZeffirino Faina nel II collegio di Perugia.Il prefetto aveva lavorato per il successo dell’area governativa e, a partire dal1877, si impegnò Perugia per il passaggio da una amministrazione mode-rata a una d’intonazione democratica, massonica e anticlericale. Si concre-tizzò così la prima giunta guidata da Ulisse Rocchi, anche se con una mag-gioranza consiliare e con gli assessori ancora moderati. Venne a crearsi unasituazione non poco confusa, poiché entrarono in giunta gli ex sindaci,tutti moderati, Ansidei, Evelino Waddigton, Tiberio Berardi e Cesare Fani.Si delineava così quella collaborazione tra i partiti liberali che sfocerà neltrasformismo imperante degli anni Ottanta. Nell’estate del 1878, tuttavia,era ancora aspra la polemica dei moderati perugini nei confronti del pre-fetto, loro antico sostenitore. Egli, nel febbraio del 1880, aveva invano spe-rato di ottenere la nomina a senatore e se ne lagnava con Pianciani.Si recò alle urne la metà esatta dei 9.135 elettori umbri, con un ulteriorelieve calo, fra i più bassi del paese. I candidati della Sinistra subirono, dopoil successo del ’76, una chiara bocciatura. Nel I collegio di Perugia Fabrettifu sconfitto al ballottaggio dal moderato Tiberio Berardi, prefetto dellaDestra dispensato dal servizio nell’agosto del ’76. Faina, che Il decennio ’80 - ’90 si apriva nel quadro di una situazione politica relati-vamente immobile. Arretratezza economica, analfabetismo e clientelismodominavano la provincia. A partire dai primi anni Ottanta, però, le diver-sità tra le strutture economiche e politiche dell’area settentrionale e quelledell’area meridionale della regione si accentuarono. A Terni la repentinaindustrializzazione, con la costruzione e l’attivazione, 1884, delle acciaie-rie avrebbe avuto riflessi sconvolgenti in ogni aspetto della vita cittadina.Sul piano politico si registrava in Umbria, in linea col resto del paese,ma con una peculiare predisposizione a Perugia, la convergenza pro-grammatica tra la vecchia Destra e la Sinistra costituzionale. Il trionfo del ministerialismo, coincise con la crescita di una opposizionedemocratica, repubblicana e socialista. Nei suoi “rapporti” a Roma, il pre-fetto non mancava di seguirne l’evoluzione. I socialisti erano “in numero

Alceo Massarucci, foto b.n. (Biblioteca delSenato, Roma)

Il grande laminatoio delle Acciaierie diTerni, cartolina(Collezione Alberto Moriconi)

Page 35: Perugia nell'Ottocento

35

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

esiguo e senza capi” che potessero dirigerli5; malgrado ciò le forze ultrademocratiche non rimanevano del tutto immobili. Maramotti l’anno suc-cessivo avrebbe informato il ministero dell’Interno che i “repubblicaniteoretici e accademici” venivano sempre più superati dai cosiddetti“repubblicani socialisti” di tendenze collettiviste6. Questi ultimi “sembrache avessero stabilito il loro quartier generale a Foligno, capeggiati daDomenico Benedetti Roncalli, benché anche a Terni avessero un grannumero di proseliti e pure un certo numero a Perugia”; la loro presenzaera invece scarsa a Orvieto e Spoleto e aveva “poco seguito nel circonda-rio di Rieti, dove una sola distinzione politica si fa tuttora tra la cittadi-nanza, quella fra bianchi e neri, ossia tra liberali e clericali”7. Da segnala-re, inoltre, la presenza degli anarchici internazionalisti, soprattutto fra glioperai ternani. Tra queste forze, radicali, repubblicane, socialiste, anarchi-che, la collaborazione era scarsa e l’isolamento accresceva la debolezza diciascuna. I cattolici umbri, ancora nel 1884, continuavano a vivere nelloro consueto astensionismo politico, senza che prendesse piede nellaregione alcuna seria organizzazione intransigente. Del resto in questi anni,1880 - 1886, la stessa Opera dei Congressi, su indicazione del papa, avevain generale diminuito la sua combattività e il suo attivismo a livello poli-tico. In Umbria, come notava Maramotti, sembrava delinearsi un feno-meno significativo. Il partito reazionario si “assottigliava” sempre più, tra-sformandosi “parzialmente in conservatore”. Ciò avveniva, secondo il pre-fetto, sia per l’evidente improbabilità di una restaurazione, sia per “il biso-gno che sentono i nemici delle intemperanze radicali”, nel nuovo ordine,di appoggiare e dar forza al governo contro “la fiumana demagogica”8.Maramotti nel 1885 tentò di ottenere il trasferimento a Firenze e inmaggio ne scriveva all’amico Peruzzi9:“Si dice e si disdice, io non lo credo, ma, se fosse mai vero che il Gadda [pre-fetto di Firenze] entrasse in un movimento di prefetti, la pregherei di ricor-darsi di me. Mi creda quale sarò sempre suo dev.mo e aff.mo”10.Tutto ciò trova riscontro nel giudizio su Maramotti stilato nel 1887 alministero dell’Interno, dove si legge: “Manca di quella esteriorità splendida, che è necessaria a un capo di pro-vincia. Del resto è abilissimo amministratore ed è pure abile in politica enella polizia. La sua provincia è tutta nelle sue mani. È molto onesto e saessere energico e prudente a tempo opportuno. Ora desidera Firenze, ma nonè quella una sede per lui”11.

Agostino De Pretis, da una pagina de«L’illustrazione italiana» del 7-8-1887

Page 36: Perugia nell'Ottocento

36

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

Un desiderio che rimase insoddisfatto. Maramotti non avrebbe mailasciato Perugia. Il desiderio di andare a Firenze va letto anche alla luce della delusione edell’insoddisfazione per i mancati riconoscimenti che assaliva in queglianni il prefetto. Maramotti, che rivendicava con orgoglio il proprio pas-sato di uomo politico, i trascorsi al fianco di Farini in Emilia e l’elezio-ne in Parlamento nel ’60, non si sentiva un semplice funzionario e nonperdeva occasione per sottolinearlo, non tollerava le disparità di tratta-mento tra i prefetti. Anche se dal ministero si ribadiva, con una missivainviata il 20 dicembre 1884 a Maramotti, che egli godeva di “tutta laconsiderazione” che gli era “dovuta”12.Nel descrivere al ministero dell’Interno la condizione della provinciadurante il primo semestre 1885, Maramotti individuava una certa ten-denza “alle forme conciliative e temperate”. Registrava, inoltre, la debo-le presenza dei socialisti che avevano a Terni “il loro centro principale”,ma erano ben tenuti d’occhio dalla “vigilanza governativa”13. Sui catto-lici non vi erano novità.Le vicende politiche nazionali, soprattutto finanziarie, e internazionali,in primis il colonialismo, avevano messo seriamente alla prova la stabi-lità degli ultimi governi Depretis. Nel corso dei primi mesi dell’86, acausa di una forte opposizione guidata dai pentarchici e dal gruppo deidissidenti di Destra – Rudinì e Sonnino – contrari alla politica finanzia-ria del ministro Agostino Magliani il sesto governo Depretis entrò incrisi. Per superare tale impasse, Depretis, in accordo col re, decise diricorrere allo scioglimento della XV legislatura. Le elezioni si svolsero il 23 maggio ’86, Depretis uscì indebolito maconservò una maggioranza parlamentare. L’affluenza al voto fu del58,2%, in calo rispetto al 60,7% dell’82, con le solite differenze fraNord, Centro e Sud del paese.La campagna elettorale in Umbria fu ancora incentrata sullo scontro trale forze ministeriali, progressisti e moderati raccolti in liste concordate,e l’opposizione di sinistra, costituita questa volta dalla solita estrema edai liberali democratici vicini alla Pentarchia. Il prefetto, impegnato per la riuscita dei candidati ministeriali14,aveva più volte sottolineato negli ultimi mesi la debolezza dell’oppo-sizione di sinistra. Il 4 aprile ’87, quando si era formato l’ottavo gabinetto Depretis, Crispiaveva raggiunto un ruolo di preminenza, ottenendo il dicasterodell’Interno e “l’investitura” a probabile successore di Depretis. Nel nuovoGoverno, segno di un ritorno a posizioni più vicine alla Sinistra, era entra-to pure Giuseppe Zanardelli, ministro di Grazia, Giustizia e Culti. Sulleincidenze in Umbria del nuovo corso politico italiano, Ulisse Rocchi, inuna lettera del giugno ’87 a Pianciani, registrava con ironia che: “Sembraincredibile, eppure tutti i moderati, compreso il buon Maramotti, nonparlano più del Depretis, non si occupano degli altri ministri, ma sonotutti entusiasti per il Crispi”15. Per quanto riguarda l’azione dei partitinella provincia, Maramotti, sempre nel primo semestre ’87, notava che ilpartito repubblicano guadagnava terreno grazie ad una nuova tattica “checonsiste nella lenta e progressiva organizzazione del partito stesso e nelconvergere a quest’unico fine tutte le forze del mutuo soccorso. I repub-blicani, in altri termini, si aiutano tra loro come prima non si aiutavano einsieme accettano una regola ed una direzione, che tendono costante-mente a crescere per qualità e quantità”16.I socialisti, diffusi nella maggior parte “fra gli operai forestieri addettiagli stabilimenti industriali di Terni”, non dettero vita ad azioni atte a“disturbare l’ordine pubblico”17.Francesco Crispi, seppia (Collezione privata)

Page 37: Perugia nell'Ottocento

37

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Il partito “veramente” clericale, quello che crede in un ritorno del papa,scriveva il prefetto, “si assottiglia” ogni giorno di più. Gli altri, invece,ritenendo impossibile un ritorno al passato, “vengono a mano a manoingrassando le file del partito del partito liberale conservatore”. Il prefet-to, però, avvertiva che proprio costoro si dovevano temere più deglialtri, perché “più scaltri e politicanti”18.Nell’agosto dello stesso anno, dopo la morte di Depretis, avvenuta il 29luglio, Crispi assunse la guida del governo. Nell’incipit della relazioneper il secondo semestre 1887 Maramotti elogiava il nuovo indirizzopolitico del Ministero. In Umbria il maggiore focolaio di significativenovità politiche e sociali restava Terni, dove erano “tanti gli operai”19.Qui, nelle elezioni amministrative parziali dell’88 e in quelle generalidell’89, avrebbero prevalso le forze democratiche e repubblicane.Proprio nella “Manchester italiana” nell’88, affinché si affermassero leforze liberali, si dovette sacrificare “qualche utilissimo elemento di cor-retta amministrazione”20 e l’anno seguente il governo, per mezzo delprefetto Bernardino Bianchi, successore di Maramotti, avrebbe addirit-tura sciolto il consiglio comunale. Questi sforzi risulteranno però vaniperché nel ’90 i partiti democratici, scacciati in precedenza colla forza,avrebbero definitivamente riconquistato il comune.I cattolici intransigenti, nell’ambito di una rinnovata ostilità tra le duesponde del Tevere, avevano tentato di diffondere anche in Umbria laprotesta contro lo stato italiano. Nei rapporti periodici al ministerodell’Interno il prefetto, forse spaventato da un possibile trasferimento inuna sede non gradita, esprimeva, rispetto al passato, una maggiore par-tecipazione emotiva allo sviluppo degli eventi. Nell’ultimo anno, tutta-via, per Maramotti le cose non erano andate molto bene. In una nota del segretario generale del ministero dell’Interno del mag-gio ’87, il mese successivo l’insediamento dell’ultimo gabinettoDepretis, si legge che “Maramotti risiede da 20 anni a Perugia e non haancora girato per la provincia”21.In un’altra annotazione, sempre del maggio ’87, a proposito di questaaccusa a Maramotti, si puntualizzava che in realtà “qualche ispezioneegli l’ha fatta […] Certo non si muove troppo, ma quasi tutti i prefettifanno altrettanto [...]. Ad ogni modo [è un] un argomento da trattareoralmente col prefetto”22.Crispi, infatti, chiamò a Roma il prefetto per conferire con lui23. Il col-loquio non produsse, almeno in quel momento, nessun cambiamento.Anche le speranze nutrite dopo la formazione del primo governo Crispi

Acciaierie di Terni, 1910, cartolina(Collezione Alberto Moriconi)

Page 38: Perugia nell'Ottocento

38

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

si erano smorzate presto e per il prefetto si era aperto un periodo caricodi problemi, non soltanto sul fronte lavorativo. Nel gennaio dell’88,infatti, sua moglie Emira e sua figlia Emma si erano gravemente amma-late di febbre tifoidea: erano entrambe rimaste in pericolo di vita finoall’aprile successivo. Maramotti, comunque, durante questo triste perio-do non abbandonò mai la direzione dell’ufficio. Desiderava restare alproprio posto per affrontare le nuove problematiche politiche e ammi-nistrative, ma la sua più che ventennale esperienza alla guida della pre-fettura perugina era giunta al termine.Il 16 agosto 1889 il ministero dell’Interno comunicava al prefetto che,in base al r. d. del 13 precedente e a decorrere dal 1° settembre succes-sivo, era stato “collocato a riposo per sopraggiunti limiti di età”24.«L’Unione Liberale» di Perugia, “senza discutere il decreto del Re”, ren-deva omaggio all’opera “intelligente, coscienziosa, costantemente rivol-ta al pubblico bene” del prefetto, che, “più volte invitato dal Governo areggere più importanti province”, preferì, “per l’affetto vivissimo cheebbe sempre alle cose nostre, di rimanere fra noi”. Il quotidiano ne sot-tolineava: la lotta alla renitenza, che ha “restituito alla nostre campagnela sicurezza delle persone e degli averi”; il progresso della “viabilità” edella “pubblica istruzione”, ottenuto grazie alla sua “superiore abilità[...] come pubblico amministratore”; le “riforme civili”25.Non tutti, logicamente, erano così dispiaciuti per il pensionamento diMaramotti. «L’Unione Liberale» di Terni scrisse lapidaria che “ne eraproprio tempo”26.Le critiche più dure arrivarono dalle pagine della «Provinciadell’Umbria» il 29 agosto nell’articolo titolato Benedetto Maramotti, incui trovava irritante che i moderati locali rimpiangessero Maramotti:“Ora ci è facile dimostrare che l’Unione [L’U. Liberale di Perugia] ha tanto aprendersela col Governo per un atto giustissimo, consigliato da molte e buonissi-me ragioni, atto, che avrebbe dovuto compiersi assai prima, se il sistema dei favo-ritismi, su cui disgraziatamente si fonda e si collega la burocrazia col parlamen-tarismo, non avessero trattenuto o revocato più volte meditate disposizioni”27.L’aver tenuto un prefetto per oltre un ventennio a governare un territo-rio, continua il foglio dell’opposizione democratica perugina, era statoun fatto “così biasimevole, così senza precedenti, così apertamente irre-golare” da non meritare ulteriori discussioni. Infatti,“un prefetto, il quale si è creato in una provincia un cumulo di rilevantis-simi interessi personali, straordinariamente accresciuti dai recenti vincoli difamiglia, non può trovarsi convenientemente, né serbare facilmente quellaimparzialità e quell’autorità amministrativa, che non solo dovrebbe essererealmente, ma dovrebbe presumersi in un così alto magistrato”28.Maramotti, pochi giorni dopo il pensionamento, fu colpito dalla mortedi sua figlia Emma, avvenuta il 9 settembre ’89, in seguito a “febbrepuerperale”.

L’ultimo impegno: presidente della deputazione provincialedell’UmbriaI moderati umbri e perugini in particolare, non avevano perduto lastima nei confronti del loro “cittadino onorario”. Forse proprio per ripa-garlo dal pensionamento deciso da Crispi, il Comitato elettoraledell’Associazione liberale monarchica, presieduto da Zeffirino Faina e daRaffaele Omicini, lo scelse come proprio candidato per il consiglio pro-vinciale nelle consultazioni amministrative del 10 novembre successivo29.Il risultato del 10 novembre fu chiaro: vinsero i “soliti” moderati gover-

Page 39: Perugia nell'Ottocento

39

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

nativi, capeggiati da Zeffirino Faina, che si affermò per le provinciali nelmandamento meridionale di Perugia30.Nel mandamento settentrionale, 2.157 i votanti, furono elettiGuglielmo Calderini, radicale, appoggiato anche dalla sinistra costituzio-nale, con 1.130 voti, Maramotti con 908 voti e Bertanzi con 773 voti31.Maramotti conservava così un importante ruolo politico nella Destraumbra. Il 2 dicembre la maggioranza moderata del Consiglio, con 26 voti su 45presenti e votanti, elesse Maramotti alla guida della Deputazione32. Conquesta scelta, la destra perugina, pur allineata sulla politica crispina,contraddisse il presidente del Consiglio, artefice del collocamento ariposo del prefetto, confermando la grande influenza e del grande pote-re conquistato dal prefetto in Umbria. L’elezione di Maramotti a capodell’esecutivo provinciale era stato possibile proprio grazie a una delletante novità previste dalle importanti riforme crispine, applicate per laprima volta in questa occasione33.L’ex prefetto era così tornato a guidare i deputati provinciali. Consapevole dell’importanza del suo nuovo incarico, Maramotti, difronte al Consiglio, espresse il suo pensiero sul ruolo della deputazioneprovinciale, puntualizzando che,“nell’organismo della provincia, la Deputazione non può avere programma:questo è tracciato dal Consiglio colle sue deliberazioni, ed egli veglierà acchéesse siano eseguite secondo lo spirito loro. […] Presiederò la Deputazione conmente liberale, equanime, imparziale”34.Maramotti confermerà la sua capacità di attrarre intorno a sé il consen-so, come vedremo ancora crescente, della maggioranza dello schiera-mento liberale umbro, operando, come sempre aveva fatto, in direzionedi una decisa difesa “della libertà degli enti locali contro le proposte pre-sentate al parlamento, che tendevano a soffocare quella larva di autono-mia concessa dall’ultima legge comunale e provinciale”35.In Umbria, sul finire degli anni Ottanta e con forza negli anni Novanta, sidispiegheranno quelle novità politiche già rilevate da Maramotti quand’e-ra prefetto. Ci riferiamo soprattutto alla lotta elettorale in campo ammini-strativo, dove si assisterà ad una diffusa vittoria delle coalizioni democrati-co - progressiste: dopo Terni, toccherà a Foligno, a Orvieto e a Perugia. Nelle elezioni politiche, al contrario, non si sarebbe registrato nulla diparticolarmente innovativo. L’attività di Maramotti presidente della Deputazione, di minore impor-tanza rispetto a quella di prefetto, fu incentrata soprattutto sui proble-mi di bilancio, sulla costruzione di strade e di ferrovie, oltre, natural-mente, alle altre materie di competenza provinciale. Era sua ferma con-vinzione che la politica spettasse esclusivamente al Consiglio e laDeputazione dovesse attuare i programmi.Il 3 settembre ’91 l’ex prefetto era stato riconfermato alla guida dellaDeputazione con 31 voti su 39 espressi. Maramotti perciò, rispettoall’89, aveva incrementato la sua maggioranza. Le opposizioni, demo-cratica e radicale, stavolta si erano astenute, rinunciando a votare unproprio candidato, al contrario di quanto aveva fatto con Rocchinell’89. Questa situazione si sarebbe ripetuta anche negli anni successi-vi36; infatti, nel ’92 Maramotti sarà eletto con 28 voti su 32 votanti enel ’95 con 33 voti su un totale di 37.La politica umbra, i cui equilibri erano ben rispecchiati all’interno delconsiglio provinciale, era ancora caratterizzata dalla prevalenza del grup-po liberale moderato filogovernativo, guidato a Perugia dall’Associazioneliberale monarchica presieduta da Faina e ispirata dall’azione degli emer-genti Fani e Pompilj37.

Zeffirino Faina, olio su tela, (collezione privata)

Page 40: Perugia nell'Ottocento

40

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

L’ex prefetto – serio e devoto amministratore provinciale, tanto che rara-mente fu assente alle sedute del Consiglio – in quei primi anni Novantanutriva un’aspirazione più grande. Convinto del servizio fornito allapatria e avendone i requisiti previsti dalla legge, desiderava, ancor piùche in passato, entrare nella Camera vitalizia, ma, pur segnalato alnumero 50 di una lista di 83 candidati, non rientrò nel gruppo dei 60senatori effettivamente nominati da Giolitti.Con la mancata nomina a senatore, Maramotti vide svanire definitiva-mente la possibilità di sedere in una delle due Camere. Il giornale mode-rato emiliano «L’Italia Centrale» nell’aprile del ’96, commemorandolo,avrebbe lamentato che:“Per una delle dimenticanze possibili ed anche non rare, che avvengonoeziandio nei governi liberi, Benedetto Maramotti, deputato alla costituen-te e prefetto per tanti anni, non era stato nominato senatore del Regno”38.In compenso i moderati perugini avevano continuato a credere in lui ea premiarlo con attestati di pubblica stima. Così nel ’96, avrebbe ricor-dato il sindaco Rocchi:“La fiducia nel commendator Maramotti non tramontava però col tramon-tare degli anni, tanto che nelle ultime generali elezioni amministrative funominato anche consigliere di questo comune. Se vi è lamento da fare, si èche per troppo breve tempo ha potuto ricoprire questo posto, al quale, pos-siamo dire, nessuno al pari di lui poteva portare tanta competenza e saggez-za di giudizio. Nel breve tempo che vi è rimasto ha confermato sempre lasua indipendenza, ha seguito sempre il sentimento del dovere, ed il suo votonon è mai mancato a tutte quelle proposte che miravano al consolidamentodelle finanze comunali ed a procurare alla città un migliore avvenire. Èscomparso quando di lui si sentiva grande bisogno”39.Maramotti, partito da Perugia il 29 febbraio ’96, mentre viaggiava intreno verso Roma venne colpito da un grave malessere. Ne seguì unalunga malattia – affrontata nella capitale in una stanza dell’albergoAnglo-Americano in via Frattina – dalla quale non riuscì a guarire. Morìa Roma il 16 aprile ’96 all’età di settantadue anni40.Questo lutto colpì fortemente l’opinione pubblica umbra, che vedevauscire definitivamente di scena colui che per quasi ventotto anni, primada prefetto e poi da presidente della Deputazione, aveva gestito le sortidella provincia.Maramotti, cittadino onorario di Perugia, prefetto, presidentedell’Educatorio Regio di Sant’Anna, presidente della Giunta di vigi-lanza della libera Università di Perugia, consigliere provinciale, presi-dente della deputazione provinciale, consigliere comunale, fu perquasi tre decenni un punto di riferimento dell’amministrazione e dellapolitica umbra.Ulisse Rocchi, nel giorno della pubblica cerimonia funebre, lo comme-morava con un lungo discorso, nel quale, tra l’altro, sottolineava:“In politica addimostrò sempre convinzioni schiettamente liberali. Si è trova-to in momenti difficili, eppure, secondando sempre l’indirizzo politico deivari Ministeri che si sono succeduti durante la sua lunga carriera di funzio-nario governativo, seppe atteggiarsi nelle diverse sue posizioni in modo damantenersi la stima della grande maggioranza della popolazione, senza per-dere neppure la familiarità e l’amicizia di quelli dai quali per esigenze poli-tiche si era dovuto staccare. Non era una mente mediocre, perciò comprende-va come talora la sua posizione si trovava molto a disagio, ma il sentimentodel dovere e della giustizia, che mai venne meno in lui, valse a fargli supera-re anche certi momenti difficilissimi e vincere ostacoli molteplici e gravi”41.

Page 41: Perugia nell'Ottocento

41

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Le parole di Rocchi, che non risentono del tono enfatico tipico dellecommemorazioni, sono essenziali e aderenti alla realtà. È curioso che il nome di Maramotti, anche dopo la sua scomparsa, silegasse ancora a polemiche tra clericali e anticlericali.Uno dei punti caratterizzanti della personalità politica del prefetto fu l’anti-clericalismo, tutto politico, che nell’arco della sua carriera, dalla Garfagnanaa Perugia, in luoghi e momenti storici diversi, si mantenne sempre vivo. Un anticlericalismo che in Umbria era diffuso in tutti gli schieramentisia di destra sia di sinistra ed era tenuto vivo dalla propaganda di unainfluente massoneria. Sta di fatto che nella regione l’intransigentismocattolico non riuscì, per tutto l’Ottocento, ad organizzarsi e diffondersi.Per i cattolici le difficoltà persistevano, nonostante la costituzione nel ’96di alcuni circoli di gioventù cattolica nei centri più importanti della regio-ne e anche di circoli e comitati parrocchiali in quasi tutte le diocesi e in par-ticolare a Perugia e Foligno, ciò mentre, nel contesto nazionale, il movi-mento cattolico andava crescendo e l’Opera dei Congressi si rafforzava.Di conseguenza la polemica tra il governo italiano e quello pontificio,già cresciuta con Crispi nel corso del ’95 – alimentata ulteriormente dal-l’istituzione della festività del XX settembre e dall’inaugurazione delmonumento a Garibaldi sul Gianicolo –, avrebbe raggiunto vette ancorpiù elevate con il terzo gabinetto Rudinì, che, nel settembre e ottobredel ’97, avrebbe inviato le allarmate circolari ai prefetti affinché vigilas-sero sul risveglio del partito clericale.Nel contesto dello scontro fra istituzioni liberali e cattolici intransigenti vainserita la disputa nata in occasione dei funerali di Maramotti, che coinvol-se anche il prefetto di Perugia Bernardo Carlo Ferrari. «L’Unione Liberale»di Perugia del 16 maggio ’96, a un mese esatto dalla scomparsa diMaramotti, leggiamo che, in occasione delle onoranze alla sua memoria,svolte quella stessa mattina nel capoluogo umbro presso la chiesa del Gesù: “Sopra la porta della chiesa doveva essere posta una epigrafe dettata dalconte Vincenzo Ansidei; ma l’intolleranza pretina all’ultimo momento nonl’ha permesso, perché in essa si contenevano frasi che mal suonavano all’o-recchio dei reverendi padri”42.La vicenda umana e politica di Maramotti, forse, non poteva concluder-si in altro modo.Perugia e l’intera Umbria lo avevano salutato con i massimi onori. Persino«La Provincia dell’Umbria», che tanto l’aveva criticato, pubblicando inquattro striminzite righe la notizia dei funerali di Maramotti, riconosceva: “Ben poche volte ci era occorso di vedere riunita tanta moltitudine di popolo”43.

Note1 «Corriere dell’Umbria», 30 marzo 1876.2 Solo il 19 aprile 1876 Nicotera nominò 9 prefetti e altri 11 nel 1877; in tal modo, gra-

zie anche ai molti spostamenti, venne mutato il panorama prefettizio. 3 Il rapporto fra Maramotti e i coniugi Peruzzi era confidenziale. Scriveva il prefetto il 26

marzo 1877 a Emilia Peruzzi: “Avrei voluto poterle rispondere che la signora TommasaBoschi era nominata direttrice dei conservatori riuniti di Perugia e provarle col fattoquanto io apprezzi una sua amica direttrice, ed ambisca di concorrere in qualche modoal bene che Ella si propone sempre di fare [...]. A lei signora ed all’Egregio signorUbaldino Peruzzi esprimo tutta la mia riconoscenza per essersi ricordati di me, e nellaprima occasione che avrò di recarmi a Firenze mi sentirò onorato di potere personalmen-te offrire ad entrambi l’attestato della mia sincera devozione”, Biblioteca Nazionale diFirenze, Emilia Peruzzi, cass. 123, ins. 13, Perugia, 26 marzo 1877.

Page 42: Perugia nell'Ottocento

42

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

4 Questo episodio indispettì non poco il vescovo Pecci, che attaccò i “liberali” con una let-tera circolare, alla quale poi il «Corriere dell’Umbria» replicò pubblicamente.

5 ACS, Rapporti dei prefetti, b. 16, fasc. 46, s.fasc. 2, 26 febbraio 1884, II semestre 1883.6 Ivi, s.fasc. 3, 28 maggio 1885, II semestre 1884. 7 Ibid.8 Ibid.9 Non abbiamo elementi per dire se su questa decisione abbia in qualche modo influito la

morte del suocero, il senatore Luigi Chiesi, avvenuta a Roma il 18 febbraio 1884, dopouna lunga malattia.

10 BNF, Ubaldino Peruzzi, cass. 34, ins. n. 12, 5 maggio 1885 (c. int. “Gabinetto delPrefetto dell’Umbria”, s. n. p.).

11 ACS, scheda “Maramotti”.12 Ivi.13 ACS, Rapporti dei prefetti, b. 16, fasc. 46, s.fasc. 4, 17 ottobre 1885, I semestre 1885.14 In questo senso, è significativa l’accusa fatta da un corrispondente della Tribuna al

Comitato liberale monarchico di aver presentato una lista che “è quella stessa che il prefet-to Maramotti aveva prima indicata a nome del governo”; questo fatto è riportato, peressere nettamente smentito, sulle pagine de «L’Unione Liberale» di Perugia, Siamo sem-pre gli stessi, ivi, 8 - 9 maggio 1886.

15 Continuava ancora Rocchi: “Non voglio aggiungere altro, solo ti dico che i nostri vecchiamici si accontenterebbero anche del tipo moderato più puro, pur che scomparisca unavolta questo mascherare del Maramotti, che ora si atteggia tenero anche coi clericalimeno intransigenti. Ti raccomando una dimanda del delegato Bizzarri, che fu traslocato a S. Damiano men-tre era a Gubbio a tempo delle elezioni politiche, perché non fu abbastanza ubbidienteagli ordini del Maramotti [...]. Se puoi occuparti del trasloco del Maramotti e darmiqualche risposta delle altre richieste, te ne sarò gratissimo”, ASR, Archivio Pianciani, b.41, fasc. “Ulisse Rocchi”, Perugia, 11 giugno 1887.

16 ACS, Rapporti dei prefetti, b. 16, fasc. 46, s.fasc. 6, 22 settembre 1887, I semestre 1887. 17 Ibid.18 bid.19 ACS, Rapporti dei prefetti, b. 16, fasc. 46, s.fasc. 6, 15 maggio 1888, II semestre 1887.20 Ivi, s.fasc. 7, 16 agosto 1888, I semestre 1888.21 ACS, Fasc. pers., appunto non firmato (ma Giovanni Della Rocca), 20 maggio 1887.22 Ivi, copia non firmata, maggio 1887.23 Ivi, dispaccio telegrafico di Crispi a Maramotti, copia, 28 giugno 1887.24 Ivi., il capo della prima divisione del ministero dell’Interno, Eugenio Cicognani, a

Maramotti, minuta.25 Il Comm. Benedetto Maramotti, in «L’Unione Liberale» di Perugia, 26 - 27 agosto 1889.26 Il prefetto Maramotti a riposo in «L’Unione Liberale» di Terni, 24 - 25 agosto 1889.27 Benedetto Maramotti, in «La Provincia dell’Umbria», 29 agosto 1889.28 Ibid.; in questo passo probabilmente si faceva riferimento al matrimonio celebrato il 28

novembre 1888 tra la figlia di Maramotti Emma e Ciro Mavarelli, un possidente diUmbertide, cfr. ACS, Fasc. pers., Maramotti comunicava al ministero dell’Interno lavariazione dello stato di famiglia, Perugia, 4 dicembre 1888 (c. int. “Gabinetto delPrefetto dell’Umbria, n. p. 13”).

29 Le elezioni amministrative, in «L’Unione Liberale» di Perugia, 2 - 3 novembre 1889.30 Nelle elezioni per il consiglio comunale di Perugia, 40 consiglieri in totale, la lista mode-

rata, comprendente 32 candidati (la garanzia delle minoranza prevedeva che ogni eletto-re potesse indicare un numero di candidati inferiore al numero dei consiglieri da elegge-re), fece il pieno dei voti, Elezioni amministrative, in «L’Unione Liberale» di Perugia, 12- 13 novembre 1889.

31 Nel mandamento meridionale i votanti erano 2.044, ACPP, sess. ord. 1889, I ad., 2dicembre, pp. 116. Gli elettori iscritti alle liste elettorali nella regione erano 58.105(9,4% della popolazione residente), 27.563 per censo (47,4%) e 30.542 per titoli(52,6%); l’affluenza alle urne, per quanto riguarda le consultazioni provinciali, era statadel 54,3%, più bassa rispetto al 57,2% della media nazionale.

32 Il candidato dell’opposizione democratica Rocchi, con 13 voti, si piazzò dietro Maramotti,e 6 furono i voti dispersi, ACPP, sess. ord. 1889, I ad., 2 dicembre, pp. 115 - 116 eConsiglio Provinciale, in «La Provincia dell’Umbria», 5 dicembre 1889.

Page 43: Perugia nell'Ottocento

33 In precedenza l’organo esecutivo della provincia era presieduto dal prefetto. 34 ACPP, sess. ord. 1889, I ad., 2 dicembre, Discorso di Maramotti, p. 113.35 Discorso del deputato provinciale Bucci, in Benedetto Maramotti. Raccolta, Unione

Tipografica Cooperativa, Perugia 1896, p. 63.36 Quando la maggioranza liberale moderata che sosteneva Maramotti sarà così forte che

l’opposizione di sinistra nelle elezioni per il presidente della Deputazione finirà per aste-nersi del tutto.

37 L’Associazione liberale a partire dal 1895 sarà presieduta da Fani. A proposito dei mode-rati umbri, che si dimostravano in genere filo governativi, si deve ricordare che Fani ePompilj nel marzo 1896 avrebbero votato contro il governo di Rudinì, cfr. Il voto di saba-to, in «La Provincia dell’Umbria», 15 marzo 1896.

38 Dal giornale «L’Italia Centrale» del 19 aprile 1896, in Raccolta Maramotti, p. 21.39 Parole pronunciate dal cav. dott. Ulisse Rocchi sindaco di Perugia, in Raccolta Maramotti.,

pp. 42 - 43.40 Per ricostruire in dettaglio le fasi della malattia e della morte di Maramotti v. La morte

(annunzio nei giornali), ivi, pp. 5 - 22 e Commemorazioni, ivi, pp. 53 - 80.41 Parole pronunciate dal cav. dott. Ulisse Rocchi cit., pp. 40 - 41.42 Dal giornale «L’Unione Liberale» del 16 maggio 1896, in Raccolta Maramotti, p. 89.43 Cronaca, in «La Provincia dell’Umbria», 23 aprile 1896.

Questo articolo è una sintesi e una semplificazione della lunga parte dedicata all’Umbria nelmio volume A. Proietti, Benedetto Maramotti. Prefetto e politico liberale (1823-1896),Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Roma 1999, al quale si rimanda per ogni approfon-dimento dei contenuti, delle fonti e della bibliografia.

43

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Page 44: Perugia nell'Ottocento

44

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

Le sedi delle Sottoprefetturecircondariali della Provinciadell’UmbriaFRANCESCO IMBIMBO

Le Sottoprefetture previste nell’ordinamento italiano, vigente fino al1927, che riconosceva i circondari, furono un’eredità del Regno

sardo. In base al Regio Decreto 23 ottobre 1859, n. 3702 – emesso dalministro dell’Interno Urbano Rattazzi – in ogni circondario sorgeva unasottoprefettura, derivata dal modello francese della sous-préfecture (il ter-mine nella lingua italiana è attestato a partire dal 1802). La legge Rattazzi si applicava anche alla parte lombarda del Regno delLombardo-Veneto, annessa da poco al Regno di Sardegna. Ogni provinciaera guidata da un governatore, poi rinominato prefetto. Costituita laProvincia dell’Umbria con decreto n. 240, 15 dicembre 1860 serie n. 197del Regio Commissario generale straordinario per le Provinciedell’Umbria, marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, di cui: “Art. 2. LaProvincia dell’Umbria si divide in sei Circondarii, e cioè di Perugia,Spoleto, Rieti, Fuligno, Terni e Orvieto” e “Art. 4. I sei Circondarii predettiavranno a Capoluoghi le Città stesse di Perugia, Spoleto, Rieti, Fuligno,Terni e Orvieto, nelle quali risiederà l’intendente del Circondario”1. NelRegno d’Italia, il prefetto, alto funzionario di derivazione francese, simileai prefetti di dipartimento napoleonici, nasce ufficialmente con il RegioDecreto 9 ottobre 1861, n. 250, allorché i governatori assunsero il nomedi prefetti, gli intendenti di circondario quello di sottoprefetti e i consiglie-ri di governo quello di consiglieri di prefettura. Il sottoprefetto era dotatodi autonomia e competenze limitate essendo subordinato al prefetto. Le sottoprefetture saranno poi soppresse con l’art. 3 del R.D.L. 2 gen-naio 1927, n. 1, contenente norme sul riordinamento delle circoscrizio-ni provinciali, e le relative funzioni furono attribuite alle prefetture,conseguentemente, furono soppressi i circondari e i mandamenti comeripartizioni territoriali.Grazie all’azione dello Stato, in conseguenza della riorganizzazione geo-grafico-amministrativa del Regno d’Italia, a partire dal 1865, andavaassumendo una rilevante importanza l’immagine (adeguata alle nuoveesigenze patriottiche) dei diversi palazzi provinciali, quali sedi decentra-te dell’autorità. Tali palazzi accoglievano infatti gli uffici, le sale di adu-nanze e di ricevimenti, nonché gli alloggi del prefetto o del sottoprefet-to, quali emanazioni dirette del governo centrale (il prefetto rappresen-ta il potere esecutivo). Il prestigio politico dell’istituzione si manifestava anche nella cura postaalla funzionalità e al decoro dei palazzi monumentali, i cui programmidecorativi degli ambienti di rappresentanza, con temi ispirati ai valori

L’architettura è una specie di oratoria della potenza per mezzo delle formeFriedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli

Page 45: Perugia nell'Ottocento

45

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

civili e alle storie locali di ciascuna provincia, nel solco della riscopertadelle rispettive tradizioni, rivelano un unico disegno globale volto allaglorificazione della monarchia sabauda, che rappresenta il filo condut-tore nonostante l’apparente dispersione dei temi. Sottolineando, nonsolo per mezzo di allegorie, l’interesse dominante che è quello di pro-porre i simboli dello Stato illuminato nelle sue espressioni periferiche,evocati come manifestazioni del nuovo assetto politico. Non è improba-bile pertanto che i programmi iconografici (in uno stile che può esserediscusso o contestato, ma che comunque rappresenta un’epoca), stabili-ti in sede locale, dovessero ricevere una approvazione dal governo diRoma, quale cospicuo esempio di arte e comunicazione. La programmazione tematica per la decorazione dei palazzi provinciali,in particolare di quelli sorti ex novo, come pure l’impostazione delle pro-blematiche connesse al riuso dei vecchi edifici, soprattutto per le sedidelle sottoprefetture, costituirono la testimonianza materiale della storiae della cultura del luogo, e rappresentarono una sorta di valorizzazionedei beni culturali.Lo Stato liberale volle dare ai cittadini un’immagine solenne delle nuoveistituzioni; per questo prefetture e sottoprefetture furono sistemate inimportanti palazzi storici – nell’ex Stato pontificio per lo più già sedidelle delegazioni apostoliche – palazzi che accompagnano comunque lastoria delle città. Le sedi delle prefetture e sottoprefetture e l’alloggio diservizio dei sottoprefetti nei capoluoghi di circondario furono arredatisignorilmente. Era questo uno dei compiti della Provincia (art. 203, n.14 e 15 della legge comunale e provinciale del 20 marzo 1865 n. 2248proposta dal ministro dell’Interno Giovanni Lanza)2.La storia di una città si apprezza anche osservando i suoi palazzi, cellu-le del suo tessuto urbano, essendo l’edilizia magnatizia rappresentativaal massimo livello dell’immagine ufficiale cittadina. Il palazzo, nell’im-maginario collettivo, assume forti valenze rappresentative, coerentemen-te con il carattere della sua funzione. Palazzi come proiezione del pote-re centrale, istituzioni del potere politico ed economico. I palazzi sedi della prefettura e delle sottoprefetture qualificheranno laProvincia venutasi a formare a seguito dell’Unità nazionale. Immaginedella Provincia umbra che vantava segni secolari di identità: quei segniricorrenti istintivamente nella mente di ogni cittadino quali memoriestoriche. Elementi emblematici dell’assetto urbanistico sopravvenuto aquello antico, ma soprattutto a quello medioevale. Episodi architettonici: edifici trasformati nel corso del tempo, rivisitatinel doppio aspetto privato e pubblico. Concrezioni di storia che riman-dano a epoche e stili diversi. Proprietà di famiglie nobili (sontuosedimore aristocratiche, ma anche luogo di mecenatismo) o della borghe-sia, costituiscono una viva testimonianza della storia e della vita civile,nonostante le audaci trasformazioni d’uso, poiché vi si sono svolte alcu-ne pagine di importanti eventi storici. Attraverso questi edifici, di note-vole interesse per la storia dell’Umbria, è possibile, ricostruire la storiadelle città – di cui accrescevano il decoro – e della Provincia, nella suaimmagine istituzionale, sociale e artistica. Ripercorriamo la storia dellenostre città illustrando gli edifici che furono sede delle sottoprefetture,da secoli portano con essi la storia di personaggi e di famiglie legati allaterra umbra. Premettiamo che a Orvieto e Foligno le sedi della sottopre-fetture non furono mai di proprietà dell’Ente. Orvieto costituì un cantone della Repubblica romana (1798-1799),sede di Governo generale nella prima restaurazione, annessa all’impero

Page 46: Perugia nell'Ottocento

46

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

francese come sede di capoluogo di cantone della sottoprefettura di Todinel Dipartimento del Trasimeno. Restaurazione: con il motuproprio del6 luglio 1816 fu compresa nella delegazione di Viterbo come sede digoverno distrettuale. L’editto del 5 luglio 1831 del segretario di Statocardinale Bernetti sanzionava la creazione della Delegazione di Orvieto,che veniva in tal modo separata da Viterbo. Con l’editto del cardinaleAntonelli del 22 novembre 1850 diveniva provincia del circondario diRoma. Con l’Unità farà parte della Provincia dell’Umbria.L’amministrazione provinciale prese in affitto i locali prima dai marche-si Gualterio nel palazzo di piazza S. Giuseppe o “piazza del Moro”, (per-chè occupa l’angolo opposto alla Torre del Moro) ora denominata piaz-za Gualterio. 65. Orvieto. Affitto dei locali per l’alloggio e gli uffici delSottoprefetto. Contratto 14 agosto1863, Locatore Gio: Battista Gualterio3.Affitto di porzione di Palazzo Gualterio in piazza S. Giuseppe, per anni seigià principiati a decorrere dal febbraio 1862 e rinnovato fino al 1873. L’antica famiglia Gualterio ristrutturò il palazzo secondo un progettoiniziale del Sangallo poi modificato da Simone Mosca e da altri. Fudecorato con stucchi e affreschi, e impreziosito dal portale di IppolitoScalza, qui trasferito dal palazzo Buzi anch’esso di proprietà deiGualterio. Il senatore Filippo Antonio Gualterio (1819-1874) RegioIntendente Generale e primo prefetto dell’Umbria, fu l’ultimo dellafamiglia ad abitarvi. Il palazzo passò infine al Banco di Roma e gli ogget-

Planimetria del piano primo di Palazzo BracciTestasecca, Orvieto (ASPg, ASPP, Contratti,Palazzo Provinciale manutenzione, b. 3104,fasc. 2)

Page 47: Perugia nell'Ottocento

47

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

ti d’arte sono oggi conservati nel museo civico e nelle sale del palazzoComunale. Poi con contratto 333. Orvieto. Affitto del fabbricato ad usoalloggio e degli uffici del Sottoprefetto 2 ottobre 18734 (contraente PandolfiC.te Fabio5), nel palazzo dei conti Pandolfi di via del Duomo, dalla fac-ciata attribuita al Valadier e con le sale affrescate presumibilmente daAnnibale Angelini e Mariano Piervittori6. Dopo essere stato sede dellasottoprefettura fino al 1914 (con contratto rinnovato nel 1895, con-traente Pandolfi C.te Emilio) il palazzo fu poi acquistato dall’ingegnerNetti pioniere nel campo dell’energia elettrica, che aveva realizzato l’im-pianto elettrico cittadino nel 1896. Quindi la sottoprefettura ebbe sede nell’ordine: nel palazzo Serafini dal1914 al 1923, in quello Caterini dal 1923 al 1924 e, infine dal 1924 al1930 nel palazzo dei conti Bracci Testasecca 7, edificato su progetto diVirginio Vespignani in Piazza del Popolo e completato nel 1875.L’impostazione stilistica delle fronti è di un garbato eclettismo, conrichiami ad elementi cinquecenteschi nelle finestre e con un ricordobarocco nella convessità della facciata. Foligno nella Repubblica romana fu cantone del Dipartimento delClitunno con capitale Spoleto, durante l’impero francese (1809-1814)circondario sede di sottoprefettura nel Dipartimento del Trasimeno concapoluogo Spoleto, con la Restaurazione compresa nella Delegazioneapostolica di Perugia come governo distrettuale. Con l’Unità la sotto-

Planimetria del piano secondo di PalazzoBracci Testasecca, Orvieto (ASPg, ASPP,Contratti, Palazzo Provincialemanutenzione, b. 3104, fasc. 2)

Page 48: Perugia nell'Ottocento

48

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

prefettura di Foligno ebbe sede inizialmente nello storico palazzo Trinci,come documentato da una richiesta in data 19 novembre 1862 del sot-toprefetto che chiede il parere favorevole al Consiglio comunale per lachiusura dell’arco di ingresso degli uffici doganali, al fine di attivare ilprogetto di sistemazione del palazzo per uffici di sottoprefettura8.Quindi dal 1866 al 1895 nel palazzo dei conti Frenfanelli in piazza S.Salvatore, l’attuale piazza Garibaldi chiusa dal fronte di PalazzoFrenfanelli-Cibo-Sorbi (sec. XVIII-XIX): 72. Foligno. Affitto del localeper l’alloggio del Sottoprefetto. Contratto 3 settembre 1886 Proprietario C.teG. Battista Frenfanelli9. Dal 1866 a palazzo Marchetti-Lezi, in viaBenedetto Cairoli, invece furono ubicati i soli locali degli uffici di sot-toprefettura: 73. Foligno. Affitto del locale per gli uffici dellaSottoprefettura Contratto 17 settembre 1886. Il proprietario Matteo LeziMarchetti10. In seguito dal 1893 al 1909 vi sarà riunito anche l’alloggiodel sottoprefetto. Già residenza del governatore pontificio dopo il terre-moto del 1832, l’edificio di impianto secentesco, ma ridefinito intornoal 1785, è caratterizzato dall’altana chiusa a padiglione e dal ciclo diaffreschi di Marcello Leopardi e Liborio Coccetti. Nella sala d’Apollo, ladecorazione parietale del Leopardi con le Quattro parti del mondo sim-boleggiate da altrettante figure femminili, tra le quali si nota l’Americache impugna la fiaccola della libertà, in riferimento alla indipendenzadegli Stati Uniti11, proclamata proprio in quegli anni (1776).Spoleto, capoluogo del Dipartimento del Clitunno in epoca repubblica-na, poi durante l’impero francese capoluogo del Dipartimento delTrasimeno che comprendeva i circondari delle quattro sottoprefetture diSpoleto, Perugia, Foligno e Todi. A capo del dipartimento vi era un pre-fetto che pose la propria residenza a palazzo Ancaiani. L’edificio erettodalla nobile famiglia spoletina nella seconda metà del Seicento, fu resi-

Palazzo Ancaiani, fronte, Spoleto, foto b.n.(Collezione privata)

Page 49: Perugia nell'Ottocento

49

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

denza pubblica a partire dal 1809 (impero francese). Già residenza delgovernatore, del Prefetto del Trasimeno, con la Restaurazione fu vendu-to alla Camera apostolica nel 1820 e fu sede della Delegazione aposto-lica, ospitò quindi la sottoprefettura dall’Unità fino al 1927. Dapprimain affitto: 81. Perugia e Spoleto. Affitto del locale per la prefettura e sotto-prefettura, Contratto 21 marzo 1867. Il proprietario Demanio delloStato12, in piazza Vittorio Emanuele II, 3. Nella serie Inventari:Fabbricato provinciale con giardino annesso posto nel Comune di Spoleto(Città) destinato ad alloggio ed uffici della Sotto-Prefettura ed in parte adofficio tecnico provinciale. Città di Spoleto, Piazza Vittorio Emanuele,Piani 4, Vani 102. Dal Demanio nazionale acquisto fatto a trattativa pri-vata mediante atto del 4 aprile 1877 e volturato a nomedell’Amministrazione Provinciale dell’Umbria il 12 Novembre 1878 e tra-scritto il 27 dello stesso mese e anno per il prezzo di £. 32.513,25 (Vedi con-tratto n. 711 in data 27 aprile 1880 come si legge nel Registro deiContratti). Il prezzo pagato di £. 32.513 comprende un’annessa casa d’af-fitto la quale essendo stata ora venduta al Comune di Spoleto per £. 2.500si è questa somma stralciata dal prezzo complessivo13. Infine, con contrat-to n. 2948, 24 settembre 193614, si ebbe la cessione del palazzo dallaProvincia di Perugia al Comune di Spoleto.Terni, dopo la proclamazione della repubblica romana nel febbraio1798, entrò a far parte del dipartimento del Clitunno con capoluogoSpoleto, e durante l’Impero francese fece parte del dipartimento delTrasimeno sempre con capoluogo Spoleto. Col motuproprio di Pio VIIdel 6 luglio 1816, la provincia dell’Umbria fu divisa in due delegazionidi seconda classe, Perugia e Spoleto. Nella delegazione apostolica diSpoleto, Terni fu capoluogo di governo distrettuale. Dall’Unità d’Italiaal 1927, fu quindi capoluogo di circondario nella rinata Provinciadell’Umbria. La prima sede della sottoprefettura fu in affitto dai fratelliFonzoli nel palazzo di piazza Solferino: 63. Terni, Affitto dei locali per

Palazzo Fonzoli poi Gruber, fronte, Terni.L’ex palazzo della Sottoprefettura in piazzaSolferino, dal 1927 al 1936 sede dellaPrefettura e della Provincia, foto b.n.(Collezione privata)

Page 50: Perugia nell'Ottocento

50

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

l’alloggio e gli uffici del Sottoprefetto Contratto 10 ottobre 1865. LocatoriPietro e Luigi Fonzoli15 del fu Giuseppe. Scadendo col 22 novembre 1874 tale contratto, la Provincia individuòla nuova sede nell’intero piano nobile del palazzo ex Massarucci (ovveroil rinascimentale palazzo Spada pervenuto alla nobile famigliaMassarucci nel sec. XIX). Affitto della durata di un novennio a decorreredal 1º gennaio 1875 per annue Lire tremilatrecento (£. 3.300). 412. Terni,Affitto d’una parte dell’ex palazzo Massarucci destinata all’alloggio delSotto Prefetto e relativi uffici. 17 maggio 187516. Locatrice dell’ex PalazzoMassarucci posto sul Corso Vittorio Emanuele al civico n. 74 era la SignoraCarmina Panfani di Felice, moglie di Gioacchino Palombi, rappresenta-ta dal Signor conte Alceo Massarucci, che loca ed affitta la parte sovrac-cennata del palazzo dalla medesima acquistata per sentenza di delibera delTribunale Civile di Spoleto in data del 14 Novembre 1874. Infine, nuova-mente in piazza Solferino nel palazzo divenuto di proprietà del Gruber.Il Palazzo Provinciale posto nel Comune di Terni destinato agli Uffici dellaSottoprefettura, Esattoria consorziale, Posta, Telegrafo, Telefono, UfficioTecnico Provinciale, Alloggio del Sottoprefetto e due quartieri affittati. CittàPiazza Solferino Piani 4 Vani 99. Con atto Rotondi del 20 decembre 1886registrato a Perugia il 4 gennaio 1887 N. 987, dalla ditta Gruber17 fuacquistato lo stabile come sopra. La voltura fu eseguita il 14 gennaio e latrascrizione il 12 gennaio 1887 (vedi registro contratti n. 96318). Prezzopagato lire 67.000. Il prezzo dell’orto è compreso nelle lire 67.000 pagate alGruber nel 1° acquisto. Con contratto 16 febbraio 1889, trascrizione del 21febbraio e voltura del 12 marzo dello stesso anno fu fatto l’acquisto di diver-se parti di un vano terreno spettanti alle famiglie Cardelli Cantucci. Piano Primo: N. 32 ambienti formano l’assieme di questo piano, occupatidagli uffici della Sotto Prefettura, da quelli della Agenzia delle Impostedirette e dall’ufficio telegrafico. Piano secondo: Componesi il 2° piano di N. 33 ambienti, divisi in trequartieri, l’uno ad uso abitazione del Sottoprefetto, l’altro da affittarsi edil terzo destinato all’Ufficio tecnico Provinciale19. Il cosiddetto “palaz-zo di Piazza Solferino”, fu sede della sottoprefettura, poi dal 1927 al1936 ospitò la Prefettura e la Provincia di Terni, in attesa della costru-zione del nuovo grandioso palazzo progettato da Cesare Bazzani.Diverrà quindi la sede del Provveditorato agli Studi. Colpito, infine,dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale (agosto e settem-bre 1943), fu poi demolito.Rieti, durante la repubblica romana già compresa nel dipartimento delClitunno, fu sede di sottoprefettura durante l’impero francese, con

Planimetria del piano primo di PalazzoFonzoli poi Gruber, Terni, (ASPg, ASPP,Inventari, scatola n. 2, fasc. n. 3 “Terni”.)

Page 51: Perugia nell'Ottocento

51

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

una giurisdizione che giungeva fino al Tevere. Con la Restaurazionedivenne capoluogo di delegazione di terza classe con motuproprio del6 luglio 1816. Compresa nella Provincia dell’Umbria con decreto 15dicembre 1860, n. 197 del marchese Gioacchino Napoleone Pepoli,Rieti fu capoluogo di circondario retto da una sottoprefettura, fino al1923, quando il circondario di Rieti fu annesso alla Provincia diRoma, per poi diventare provincia autonoma nel 1927, con l’aggrega-zione del circondario di Cittaducale. La prima sede della sottoprefettura fu palazzo Piccadori Blasetti del XVIsec., in via di S. Domenico, 27 confinante con il fiume Velino: 66. Rietiaffitto dei locali per l’alloggio e gli uffici del Sottoprefetto. Contratto 15 giu-gno 1863. Locatore Carlo Piccadori Blasetti20, della durata anni treretroattivi dal 1º gennaio 1861 fino al 31 dicembre 1863. E ancora,contratto 692. Rieti Sottoprefettura Proroga per l’affitto del palazzo ad usodella S.º Prefettura, valevole per un anno. Rieti 20 luglio 187921.Contraente Marri Bartolomeo amministratore dei signori Piccadori. Siriportano di seguito i contratti relativi al palazzo dei marchesi Leoni divia Garibaldi n. 106, già Via degli Abruzzi (si noti che la famiglia Leonipossedeva altri edifici nella stessa via): 709. Rieti Atti relativi al contratto a trattativa privata per l’adattamentodel nuovo fabbricato della Sotto Prefettura. Appaltatore Vincenzo Fontana.Rieti 17 ottobre 188022 (palazzo Leoni). 728. Rieti Atti relativi all’affitto del palazzo Leoni per la S.º Prefettura.Contratto 22 maggio 1880. Fitto £. 2.70023.810. Rieti Sotto Prefettura Contratto per l’acquisto del palazzo Leoni24.Contraente Carlo Leoni 8 gennaio 1883.Il palazzo dei marchesi Leoni di Via degli Abruzzi, anticamente denomi-nata Via di Regno (perché costituiva la diramazione est del tratto urba-no della Salaria, che oltrepassato il confine pontificio entrava nel terri-torio aquilano, i.e. nel Regno di Napoli) ospitò la sottoprefettura.

Palazzo Leoni, fronte, Rieti, foto b.n.(Collezione privata)

Page 52: Perugia nell'Ottocento

Con Istromento di vendita di due case. Vendita beni eredità del fu TommasoViscardi, lì 6 giugno 1859 = per gli Atti di Giovanni Rossetti NotaroPubblico Rietino, il marchese Carlo Leoni acquistava due immobili incontrada Porta d’Arci. Nel 1877, come si evince dai registri catastali, ilpalazzo aveva inglobato i due edifici: il frantoio e l’abitazione della fami-glia Viscardi, ed era stato assegnato alla caserma dei carabinieri25.Fabbricato di proprietà dell’Amministrazione Provinciale dell’Umbriaposto nel Comune di Rieti destinato ad uso di Uffici Sotto Prefettura edalloggio Sotto Prefetto, in Via Garibaldi numero civico 60. Piani 4 Vani46. Con istromento dell’8 Aprile 1883, rogato da Notaio Bernardinettiregistrato a Rieti il 17 aprile dello stesso, al N. 294. L’AmministrazioneProvinciale dell’Umbria acquistava il fabbricato suddetto dal Signor CarloMarchese Leoni fu Pietro. La voltura venne eseguita il 20 giugno e la tra-scrizione il 9 Aprile 1883. (Vedi registro contratti N. 810) Prezzo pagatoLire 50.000. (Mod. A 1904, 1912)26. La coabitazione con i carabiniericontinuerà per un lungo periodo. Nel 1898 l’edificio fu gravementedanneggiato dal terremoto, i restauri furono ultimati nel 1903. Nel 1928, a seguito del riparto patrimoniale con la Provincia di Perugia,passò alla Provincia di Rieti, nata l’anno precedente, che lo assegnò allaR. Questura.

52

Corrispondenze dall’800 2/2008

Planimetria del piano primo di PalazzoLeoni, Rieti, (ASPg, ASPP, Contratti, scatolan. 1763, fasc. n. 709)

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Page 53: Perugia nell'Ottocento

Note1 Atti ufficiali pubblicati dal marchese G. N. Pepoli, Stamperia Reale, Firenze 1861, p. 938.2 Giorgio Solmi, La Provincia nell’ordinamento amministrativo vigente, CEDAM, Casa Ed.

Dott. A. Milani, Padova 1961 (3ª ediz. ), p. 389.3 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1730, fasc. n. 65.4 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1742, fasc. n. 333. 5 ASPg, ASPP, Contratti, Registro dei contratti stipulati nell’interesse della Provincia dall’an-

no 1862 all’anno 1907 (n. 363).6 Alberto Satolli (a cura di), Orvieto nuova guida illustrata, Edimond, Città di Castello

1999, p. 89.7 ASPg, ASPP, Contratti, Registro dei contratti soggetti a prosecuzione e registrazione periodi-

ca (n. 91).8 Giordana Benazzi, Francesco Federico Mancini (a cura di), Il Palazzo Trinci di Foligno,

Quattroemme, Perugia 2001, p. 110.9 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1730, fasc. n. 72.10 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1730, fasc. n. 73.11 Fabio Bettoni, Bruno Marinelli, Foligno Itinerari dentro e fuori le mura, Associazione

Orfini Numeister, Foligno 2001, pp. 116 -117.12 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1730, fasc. n. 81.13 ASPg, ASPP, Inventari di beni mobili ed immobili, scatola n. 2, fasc. n. 2 “Spoleto”.14 ASPg, ASPP, Contratti, Registro dei contratti stipulati nell’interesse della Provincia dall’an-

no 1907 all’anno 1955 (n. 200).15 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1729, fasc. n. 63.16 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1746, fasc. n. 412.17 Il Cotonificio Fonzoli (poi lanificio) fondato dai fratelli Pietro e Luigi Fonzoli nel 1846.

Nel 1868 subentrò come nuovo socio l’industriale tessile tedesco Federico Gruber, giàpresente a Genova e in Piemonte, che rilevò l’intera società nel 1869.

18 ASPg, ASPP, Contratti, Registro dei contratti stipulati nell’interesse della Provincia dall’an-no 1862 all’anno 1907 (n. 363).

19 ASPg, ASPP, Inventari di beni mobili ed immobili, scatola n. 2, fasc. n. 3 “Terni”.20 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1730, fasc. n. 66.21 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1762, fasc. n. 692. 22 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1763, fasc. n. 709.23 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1764, fasc. n. 728. 24 ASPg, ASPP, Contratti, scatola n. 1766, fasc. n. 810.25 Roberto Marinelli, Note e proposte per l’istituzione dei servizi culturali dell’Amministrazione

provinciale di Rieti, Provincia di Rieti, Rieti 1998, pp. 3 - 4.26 ASPg, ASPP, Inventari di beni mobili ed immobili, scatola n. 2, fasc. n. 4 “Rieti”.

53

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Page 54: Perugia nell'Ottocento

54

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

L’Università di Perugiarischia di chiudere(parte seconda)

SIMONE SLAVIERO

Il problema del riordinamento: la Commissione Palmucci

Nel 1873, anche il Prefetto Benedetto Maramotti era intervenutosulla questione, nel solenne Discorso al Consiglio provinciale,

ricordando che: “So bene che alcuni vagheggiano di spegnere le univer-sità minori e raccogliere tutto nelle principali. Ma là dove la civiltà è piùviva, siffatti propositi non ebbero mai il suffragio pubblico: e la dottaGermania che ha udito agitare per quasi trent’anni cotale questione, viha testé risposto aggiungendo ancor una alle molte Università che giàpossedeva. L’influenza di un Atene [sic] sui paesi circostanti la testimo-niano i secoli: e quella cultura pubblica, quella gentilezza di costumetanto propria di questa Provincia si deve forse in gran parte all’istitutodella cui vita avrete fra poco a giudicare”. Nonostante le parole di sti-molo pronunciate dal Prefetto, la situazione universitaria era rimasta installo, ma se la soluzione tardava a venire, i problemi incalzavano, comesintetizza brillantemente Uguccione Ranieri di Sorbello che riferendosial 1872 scrive: “Più gravi sembrarono in quella primavera i problemidell’Università dove le 100000 lire che riceveva da vari enti non basta-vano più. Prima di discutere un eventuale aumento di contributo si pro-pone, in Provincia, di restringere l’Università alla sola facoltà di Legge.Grida di fuoco da parte del rettore Pennacchi! Intere pagine vengonoaffidate sul giornale da vari contendenti e interloquenti. Il professor DalPozzo, che propugna il ridimensionamento, scrive che è stato costrettoa chiedere il porto d’armi perché minacciato… Insomma parole grosse,ma l’Università rimarrà indenne anche se la proposta di un ridimensio-namento tornerà ad affacciarsi nei decenni futuri”1. Effettivamente laProvincia dell’Umbria si ritrovò per le mani una vera e propria patatabollente e le pagine del «Corriere dell’Umbria» resero di pubblico domi-nio il duello verbale tra il Rettore e il prof. Dal Pozzo, sintomo di unasituazione davvero delicata e ricca di implicazioni. Infatti, oltre alle con-sueta amministrazione ordinaria – istruzione pubblica e convitti, strade,ricoveri di mendicità, ecc. – in quell’epoca la Provincia dovette misurar-si con i problemi di amministrazione dello Studio perugino, un tempogloria e vanto della municipalità ma le cui condizioni generali eranopessime, tanto che, alcuni autori ne hanno definito “irrilevante” l’inci-denza sul tessuto economico-sociale della città: “Fra il decreto Pepoli(15 dicembre 1860), che la dichiarava «libera»2 e la affida al Comunesul piano amministrativo, e la sua costituzione in ente autonomo nel

Giovanni Pennacchi, foto b.n. del ritratto(Università degli Studi di Perugia)

Page 55: Perugia nell'Ottocento

55

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

1886, l’università conosce due crisi. Nel 1872 si discute se ridurre ilcorso degli studi alla sola facoltà di Giurisprudenza. Nel 1882 viene sop-pressa quella di Scienze matematiche, fisiche e naturali ed è disattivatol’insegnamento di Archeologia. Uno stato precario dunque testimonia-to dal ristagno delle iscrizioni: 70 registrate in media all’anno nel decen-nio 1864-’74, a fronte delle 69 del 1874-’84. […] Strutturata nellefacoltà di Giurisprudenza e Medicina (quest’ultima incompleta) e nelleScuole di ostetricia, farmacia e veterinaria, l’Università registra unaumento delle iscrizioni che passano da 153, valore medio annuo delperiodo 1884-94, a 334 del decennio 1894-1904”3.Pertanto, il momento in cui la Provincia intervenne fu particolarmentedelicato e coincise con la seduta in cui si espose la relazione presentatadalla commissione Palmucci4, tenutasi il 19 agosto 1874. Al termine dellaseduta non si presero decisioni eclatanti, ma la portata della discussionesorretta dalla notevole relazione commissariale rappresentarono un segna-le forte per il futuro della nostra Università ed anche una chiara misura delpeso che la Provincia, allora giovane ente morale, dimostrò di avere nellatutela del bene pubblico: la Provincia non si sarebbe sottratta alle proprieresponsabilità, a patto che ciascuno si assumesse la propria. Alla discussione prendono parte molti consiglieri. Il Manassei ritiene che“la questione universitaria, presentata al Consiglio, ha fatto come la palladi neve che diventa in breve spazio una valanga”, in quanto sebbene sifosse partiti dalla richiesta di un sussidio di circa 2000 lire, si era attual-mente giunti a trattare la cifra di 26000 lire, richiesta difficilmente com-patibile con la circolare ministeriale (emanata dall’allora Ministrodell’Interno Cantelli) che raccomanda regimi di spesa assolutamenteoculati, mentre “secondo la proposta della commissione, trattasi quasi diconvertire l’università di Perugia in un istituto provinciale”: non sarebbedunque una questione di emozioni e di simpatie ma, secondo il suopunto di vista, di “fredda aritmetica”. A monte di questa discussione staperò un fatto che il Manassei non tralascia di osservare, vale a dire la non-obbligatorietà di un intervento da parte della Provincia nel campo del-l’alta istruzione, intervento che al contrario spetta al governo che a suavolta “vi provvede anche largamente. Abbiamo infatti in Italia 21 univer-sità, delle quali 17 governative e 4 libere. […] Per le università lo Statospende annualmente, per materiale e personale, lire 5,164,851 e la nostraprovincia concorre in questa spesa per lire 103,000 in ragione di popola-zione. […] Il relatore Palmucci nota una sola utilità pratica rispetto aimedici, di cui difetterebbero i nostri comuni minori, se non fosse inPerugia lo studio della medicina. Su questo però si può osservare che igiovani i quali riescono bene non si stabiliscono nei piccoli paesi ma cer-cano di farsi una posizione nei grandi centri. Nei piccoli paesi non riman-gono in generale che delle oscure mediocrità. Dice il relatore della com-missione che gli studenti a Perugia vivono assai bene e spendono poco.Ma lo studente, questo operaio dell’avvenire, può vivere economicamen-te anche in una grande città; ciò dipende dal suo volere; egli può abitareanche in una soffitta senza soffrirne […]. Dunque l’utilità delle piccoleuniversità non è quale vuol dirsi. Fra i proprietari dell’Umbria se ne con-tano 73,729 che hanno un estimo inferiore di 1,000 scudi e coloro chehanno un estimo maggiore sono 4,759. I primi, cioè, i 73,729 proprieta-ri che hanno meno a 1,000 scudi di estimo non mandano i loro figli acompiere gli studi all’università perchè non ne hanno i mezzi. È dunquegiusto gravarli di spese per mantenere un istituto che giova soltanto ai4,759 che hanno rendite maggiori?”. Evidentemente può cogliersi nelle

Enrico Dal Pozzo di Mombello, foto b.n.(Università degli Studi di Perugia)

Page 56: Perugia nell'Ottocento

56

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

parole del Manassei una contraddizione rispetto a quanto dichiarato anniprima, quando riteneva che l’Ateneo fosse d’interesse provinciale. Dalcanto suo, il presidente Ansidei riassume l’impegno della Provincia asostegno dello Studio perugino e, “Volgendo lo sguardo attorno, egliscorge che la metà dei consiglieri ha studiato in Perugia, e ne trae argo-mento per dimostrare la utilità dell’università rispetto all’intera provin-cia, e, come i consiglieri provinciali, egli osserva che anche i nostri rap-presentanti in parlamento hanno compiuto i loro studi in questa città.[…] Egli riconosce doversi lodare la Deputazione per il modo con cuiamministra la provincia, eliminando sempre ogni spesa superflua, ma,non bisogna dimenticare che si deve provvedere a ciascuna parte dellamedesima secondo le sue particolari condizioni. E così, mentre per il cir-condario di Rieti si dové anzitutto provvedere alle strade, per Foligno eTerni all’istruzione professionale, ove unica risorsa sono gli studi, si deveprovvedere al decoro ed al rifiorimento dell’università. E non è soverchioil far riflettere che non trattasi d’imporre alla provincia un peso troppogravoso, perciocché, sebbene la Deputazione tenda costantemente e conragione alla economia, nondimeno lo stesso deputato Faina, di cui eglideplora l’assenza, diceva anche ieri che 70,000 lire in più od in meno nonturbano l’economia del bilancio provinciale”. Palmucci5, finalmente,dice: “Parlando per esperienza propria, egli fa riflettere che nelle grandiuniversità, chi studia, per esempio, medicina, non viene notato dai pro-fessori, se non quando addimostri un ingegno eccezionale: quindi sonopochi coloro che vengono ammessi in qualche sala particolare di clinicae nella camera anatomica; gli altri non possono che a proprie spese pro-curarsi questi mezzi indispensabili di studio. All’incontro nelle universitàsecondarie, tutti gli studenti indistintamente si trovano a contatto deiprofessori, e possono esercitarsi gratuitamente nella camera anatomica enella sala di clinica; quindi nell’università di Bologna, ove ha egli fatto isuoi studi di complemento, si notava che negli esami di laura [sic], sidistinguevano gli studenti provenienti dalle università di Perugia eCamerino a preferenza di quelli che sempre erano stati nello stesso ate-neo bolognese, ed un illustre professore osservava che gli studenti diPerugia e Camerino, anche d’ingegno mediocre, superavano quelli diBologna, quantunque d’ingegno superiore. Ma se cessasse l’università diPerugia, sarebbero i giovani privati dei mezzi di istruirsi; quindi costrettia recarsi altrove, l’aggravio delle famiglie sarebbe assai maggiore di quel-lo che assumerebbe ora la provincia adottando la proposta della commis-sione. Né debbonsi dimenticare i vantaggi che presentano ai giovani stu-diosi e alle loro famiglie le piccole città, ove la vita è a miglior mercato edove i giovani sono esposti a minori pericoli e possono essere più facil-mente sorvegliati. Dippiù, soffrirebbero pure i pubblici servizi, ed icomuni dovrebbero sostenere maggiori spese, quando mancasse la uni-versità locale, perchè sarebbe scarso il numero dei medici, dei farmacisti,delle levatrici e dei veterinari. Attualmente più della metà dei medici,esercenti nell’Umbria, hanno studiato in quest’ateneo, e sono capaci esufficientemente colti. Il consigliere Manassei ha detto che il vero decen-tramento non può ottenersi se non decentrando le rendite.Quest’osservazione è giusta, ma non opportuna. L’università di Perugia èun antico istituto dotato di un patrimonio proprio: al certo, se la provin-cia non comincia a provvedere, sostituendosi al governo, il decentramen-to non potrà mai avverarsi. Egli fa riflettere inoltre che l’ordine del gior-no Ceci provvede solo in parte, mentre le proposte della commissioneprovveggono completamente allo scopo per il quale fu nominata […]. Il

Page 57: Perugia nell'Ottocento

57

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

consigliere Segni ha detto che non crede utile l’ingerenza della provincianegli affari universitari, perché potrebbe dar luogo a gravi inconvenientie lederebbe l’autonomia di quell’istituto. Voglia egli riflettere però che ilmunicipio accetterebbe volentieri questa ingerenza perché lo sottrarreb-be dall’influenza di rispetti umani, inevitabili nelle piccole città”.La Commissione Palmucci chiese al Consiglio un impegno annuo di26.500 lire a favore dello Studio, ma il Consiglio respinse sostanzial-mente la proposta riducendolo notevolmente.

ConclusioneLe decisioni della Provincia, come già anticipato, forse non furono allo-ra e neppure in seguito decisive per il futuro dell’Ateneo. Tuttavia sareb-be difficile e fuori luogo addossare all’Ente responsabilità negative checerto non potevano appartenergli: anzi, seppure modesto, il suo contri-buto fu senz’altro positivo. Del resto, nonostante tutte le difficoltà ilnumero degli studenti iscritti all’Ateneo perugino sarebbe cresciuto,come illustrava il rettore Torello Ticci nel discorso d’inaugurazione del-l’anno accademico del 1890. Un terzo di questi proveniva da fuori‘regione’, il che ne accresceva il “credito”, ma una parte degli studentiumbri non frequentava a Perugia allettati dalla ‘vicinanza’ della capitaledel regno con la nostra provincia: la concorrenza della università roma-na – che rappresentava una novità – non era vissuta come uno stimoloma solo come un sicuro danno per lo Studio perugino, un crucciocostante che veniva appena alleviato da considerazioni di questo tenoreche inducono a interpretare l’attrattiva dell’Ateneo romano come pas-seggera: “le grandi città capitali il più delle volte non sono acconcie aglistudi giovanili, vuoi per le agitazioni della politica, vuoi per le altreseduzioni che divagano le intelligenze, vuoi per la carezza del vivere”. Tutto da indagare invece il ruolo che la massoneria locale ebbe nel deter-minare le sorti dello Studio. Essa infatti, compenetrava tutte le maggio-ri istituzioni al punto che, scrive Renato Covino, “La stessa gestionedell’Università è in mano alle logge: per quasi tutto il cinquantenniopostunitario i rettori dell’Ateneo sono affiliati alla Massoneria”6.

Note1 U. Ranieri di Sorbello, Perugia della bell’epoca, Volumnia, Perugia 2005, p. 207.2 Lo Statuto della Università libera di Perugia (stampato nel 1863) recitava all’Art. 1:

L’Università di Perugia è dichiarata libera, ed è posta sotto l’immediata dipendenza delMunicipio di Perugia e sotto la sorveglianza del Governo.

3 Economia società e territorio, in A. Grohmann (a cura di), Perugia, Laterza, Roma - Bari1990, p. 136.

4 Guidata dal Palmucci, la commissione era composta dai consiglieri Luigi Valentini,Giuseppe Bianconi, Giacomo Bracci, Francesco Maria Degli Azzi Vitelleschi.

5 Luigi Palmucci, presidente della commissione del Consiglio provinciale fu tra l’altroRegio Provveditore agli Studi dell’Istituto Orientale. Il 30 novembre 1860, fu nominatonella stessa carica per le province di Perugia e Orvieto, prima di essere confermato talenella Provincia dell’Umbria. Egli era sposato con Giuseppa Becherucci, vedova diGiuseppe Pompili, con la quale visse a Portici. Acclamato accademico d’onore il 16 giu-gno 1864 dall’Accademia delle belle arti di Perugia. Il 10 ottobre 1901 è fattoGrand’Uffiziale dell’Ordine della Corona d’Italia.

6 R. Covino, L’egemonia moderata e le consorterie, in Le regioni dall’Unità a oggi, vol.L’Umbria, R. Covino e G. Gallo (a cura di), Einaudi, Torino 1989, p. 678.

Page 58: Perugia nell'Ottocento

58

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

Corografia di strade dell’Umbriasettentrionale, 1884(ASPg, ASPP, Miscellanea di disegni e piante)

Il Regio Decreto dell’11 agosto 1870, n. 5827, dichiarava “provincia-li alcune strade scorrenti nella Provincia dell’Umbria” e conteneva l’e-

lenco1 delle strade che poteva essere modificato con integrazioni, esclu-sioni e rettificazioni di percorsi, mediante un procedimento stabilitodalla legge sui lavori pubblici del 20 marzo 18652.Il Consiglio provinciale dell’Umbria, già dal 1870 e successivamentenegli anni 1872 e 1873, aveva approvato alcune deliberazioni che ave-vano costretto l’amministrazione provinciale ad avviare la procedura perla revisione che in particolare riguardava: la cancellazione della stradadella Mita, l’aggiunta delle strade Magione-Chiusi, Umbro-Cortonese eCasciana per Monteleone, da Cascia al Villaggio di Ruscio sottoMonteleone e la variazione del tracciato della strada Amerina.Nella riunione del Consiglio provinciale del maggio 1878, il deputatoEttore Graziani Monaldi presentando una Relazione,3 informava che larichiesta per la modifica della lista era stata trasmessa al Ministero deilavori pubblici fin dal 2 luglio 1874 e che il Ministero, prima di darcorso alla domanda, aveva inviato tre “note” con le quali, per tutelarefinanziariamente l’amministrazione provinciale e per accelerare lacostruzione delle strade, consigliava di sospendere la domanda per lacorrezione dell’elenco e di trovare un accordo con i comuni interessatiche dovevano costruire le strade di loro competenza, strade che unavolta ultimate, avrebbero avuto le condizioni per diventare provinciali.

La classificazione dellestrade provincialiDANIELA MORI

Page 59: Perugia nell'Ottocento

59

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

EIl Ministero dei lavori pubblici, sollecitava in questo modo, l’applicazio-ne della Legge 30 agosto 1868 “concernente la costruzione e sistemazio-ne delle strade comunali” con la quale, sotto la sorveglianza dellaProvincia, seguendo un iter stabilito, ogni comune dopo aver dichiara-to una strada comunale obbligatoria, per costruirla o sistemarla, potevacostituire un fondo speciale e accedere a sussidi statali4.Il deputato Ettore Graziani Monaldi concludeva quindi la Relazione,affermando che i suggerimenti del Ministero dovevano essere accolti eproponeva al Consiglio provinciale di approvare una deliberazione chesospendeva la richiesta di modifica dell’elenco, relativamente alle stradein questione, fino alla loro costruzione da parte dei comuni interessati. Nella sessione straordinaria del dicembre dello stesso anno, un’altraRelazione5 della Deputazione provinciale sulla viabilità, presentata alConsiglio dal deputato Ottavio Coletti, riferiva che: “…avendo ilMinistero dei lavori pubblici colla sua circolare del 22 luglio u.s., richie-sto alle amministrazioni provinciali talune indicazioni, concernenti laviabilità, allo scopo di avvisare al modo di favorirne ed affrettarne il

Strada Amerina, Andamento generale di dettanuova strada provinciale di serie pel tratto daGuardea al Ponte sul Tevere, 1885 (ASPg,ASPP Miscellanea di disegni e piante)

Page 60: Perugia nell'Ottocento

60

Corrispondenze dall’800 2/2008

completamento, la Deputazione provinciale si trovò costretta di proce-dere a nuovi studi su questa parte importante dell’azienda provincialeper vedere se fosse necessario di modificare le proposte come sopra for-mulate, ed in ogni caso per coordinarle alle idee manifestate dalMinistero; il quale volendo soddisfare ad un voto delle Camera deideputati, avrebbe divisato di estendere anche ad altre provincie le dispo-sizioni contenute nelle leggi 27 giugno 1869, e 29 agosto 1875, collequali appunto si provvide alla costruzione di strade provinciali in alcu-ne provincie del regno, che più difettano di viabilità.”6

Con la circolare ministeriale del 22 luglio 1878, si chiedeva allaProvincia quali fossero le strade necessarie perché si potesse ritenerecompleta la rete delle strade provinciali, quale fosse l’ordine d’importanzae di precedenza da assegnarsi ad esse e quali fossero gli accordi intervenu-ti con le provincie confinanti per le strade d’interesse interprovinciale.Nella Relazione sulla viabilità del dicembre 1878, la Deputazionerispondeva compiutamente alle domande del Ministero, consapevole didover cogliere l’importante occasione della legge in progetto e che dopopochi anni si concretizzerà con la “Legge che autorizza la spesa di lire225.126.704, per la costruzione di nuove opere straordinarie stradali edidrauliche nel quindicennio 1881-1895”, del 23 luglio 1881, n. 333,

ASPg, ASPP, Progetto Strada di Tancia,1884 (copertina)

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Page 61: Perugia nell'Ottocento

61

Corrispondenze dall’800 2/2008

Note1 Per sottolineare l’importanza di questo elenco di nomi e descrizioni delle strade provin-

ciali che potrebbe essere definito il primo “piano della viabilità” della Provinciadell’Umbria, si è deciso di pubblicarlo in questo numero della rivista (v. pp. 60 - 63).

2 A tal proposito si veda anche: D. Mori, La classificazione delle strade provinciali, in«Corrispondenze dall’Ottocento» n. 1, (2007), pp. 30 - 31.

3 La relazione intitolata “Classificazione delle strade provinciali, proposte circa il modo dicostruzione di alcune strade presentate dalla Deputazione provinciale al Consiglio nellasessione straordinaria del maggio 1878”, pubblicata anche separatamente, si trova tra gliallegati degli Atti del Consiglio provinciale dell’Umbria nel 1878, Perugia 1878.

4 Richieste di sussidi per la costruzione delle strade erano rivolte con frequenza daiComuni all’amministrazione provinciale che fu costretta a disciplinare la materia con un“Regolamento per l’assegnazione e il pagamento dei sussidi provinciali alle strade comu-nali obbligatorie” approvato dal Consiglio provinciale nella stessa adunanza del maggio1878. A tal proposito si veda anche: G.B. Furiozzi, La provincia dell’Umbria dal 1871 al1880, Provincia di Perugia, Perugia 1987, p. 44.

5 Relazione della Deputazione provinciale sulla viabilità presentata nella sessione straordinariadel dicembre 1878, pubblicata anche a parte, si trova tra gli allegati degli Atti del Consiglioprovinciale dell’Umbria nel 1878, Perugia 1878.

6 Con la “Legge relativa alla costruzione di strade nazionali e provinciali nelle provincie meri-dionali continentali” del 27 giugno 1869 si stabiliva di costruire o terminare le strade nazio-nali e provinciali in essa elencate. Le strade provinciali diventavano obbligatorie ed eranosuddivise in tre serie, secondo il modo in cui era ripartita la spesa tra lo Stato e le Provincia,tale suddivisione si ritrova anche nella “Legge che autorizza la spesa di lire 47.420.000 perla costruzione di strade nelle provincie che più ne difettano” del 30 maggio 1875.

ASPg, ASPP, Progetto Strada di Tancia,Pianta generale della località per la Stradadi Tancia, Tratto V°, Dall’edicola di MonteS. Giovanni al fosso Brulatte, 1884 (interno)

con la quale si disponeva per la realizzazione delle opere, dichiarate dipubblica utilità, in essa comprese. Nell’“Elenco III annesso alla TabellaB., Elenco delle spese stradali provinciali da eseguirsi negli anni 1881-1895”, unito alla legge, si trovavano, insieme ad altre che interessavano laProvincia dell’Umbria, anche la strada Casciana per Monteleone; troncodalla Forca di Ocosce per il villaggio di Ruscio a Leonessa e la stradaAmerina da Guardea al Ponte sul Tevere. In conclusione e per riprendere il discorso sulle strade di cui si è parla-to in principio, oggetto di revisione dell’elenco stradale, abbiamo appre-so che nel 1883 un regio decreto aggiungeva all’elenco delle strade pro-vinciali dell’Umbria quattro nuove strade e il tratto ultimato, grazieanche alla nuova legge, della strada Casciana per Monteleone. Nel 1884,un altro regio decreto modificava ancora l’elenco, includendovi le stra-de Umbro-Cortonese e Magione-Chiusi mentre per la costruzione defi-nitiva della strada Amerina si dovrà attendere ancora molti anni.

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Page 62: Perugia nell'Ottocento

62

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

ELENCO DELLE STRADE PROVINCIALI

della Provincia dell’Umbria1

StradaPerugia-Cortona

StradaPerugia-Foligno

Strada Assisana

Strada Tuderte

StradaMarscianese

StradaTodi -Orvieto

Strada Foligno-Todi

StradaMassatana

Strada Cassia -Orvietana

Strada Castrense

Strada Eugubina

Strada dei Loggi

Strada di Valfabbrica

Olmo, Magione e Passignano

Ponte S. Giovanni, Ospedalicchio,Bastia, S. M. Angeli

Assisi e Casali delle Viole

Borgo di Deruta, Casalina, Todi,casale Berti, Castel Todino,Quadrelli, S. Gemini

Villa S. Valentino di Cerqueto, Mar-sciano, S. Maria Liberatrice presso S.Venanzo ed Osteria dell’Ospedalet-to, Caseggiato della Capretta

Castello di Ponte Cuti, Osteriadella Cerasa, Castello di Prodo,Osteria di Prato

Caseggiato della Fiamminga, Beva-gna, Osteria del Bastardo, in vici-nanza del castello delle Torri e pressodel mura del castello di Colvalenza

Chiesa di S. Maria in Pantano

Sotto Monteleone, Borgo di Ficulleed Orvieto

Villaggio del ponte Felcino, Osteriadel Bosco, Villaggio dellaColombella, Villa del Piccione,Osteria delle Casaccie, Caseggiatodello Scritto, Città di Gubbio

Caseggiato di Ponte S. Giovannisulla strada Perugia-Foligno fino alPalazzone

Villa del Pianello, Valfabbrica eCasa Castalda

NUMEROD’ORDINE

DENOMINAZIONE DELLE STRADE

DEL PUNTO OVE A CAPO

DEI LUOGHI PRINCIPALIPER CUI PASSA

DEL LUOGO OVE HA TERMINE

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

Dalla porta Santa Croce di Perugia

Dalla porta di San Pietro di Perugia

Ponte sul torrente Tescio nella stra-da Perugia-Foligno

Osteria della Pallotta sulla stradaPerugia-Foligno, alla distanza dimetri 567 dalla città di Perugia

Presso la Parrocchia di Monte Corneo sulla strada Tuderte

Porta Romana della città di Todi

Dalla chiesa della Madonna dellaFiamminga, sulla strada Perugia-Foligno, in vicinanza di Foligno

Porta Nuova di Massa

Bivio di Monteleone sulla Pievaio-la, in vicinanza di Città della Pieve

Castagno del Capitano sulla Cassia-Orvietana

Porta Santa Margherita della cittàdi Perugia

Presso l’Osteria del Bosco nellastrada Eugubina

Villaggio del ponte Valleceppi sullastrada dei Loggi

Ponte sul fosso But-tinale, confine con laprovincia di Arezzo

Porta Romana diFoligno

Osteria del Passaggionella Strada Perugia-Foligno

Nella stradaFlaminia, sotto lacittà di Narni

Cerquacola sullastrada Todi-Orvieto

In prossimità delPonte sul fiumePaglia, nella stradaCassia-Orvietana

Casa Berti sullastrada Tuderte

Strada Tuderte,deviazione delleSettevalli

Confine con laProvincia di Viterbo

Confine con laProvincia di Viterbo,in prossimità delcasale Pecorone

Al caseggiato dellaterra di Scheggia,nell’incontro dellastrada nazionale delFurlo

Chiesa dellaMadonna del Pianosulla strada Tuderte

Cavalcavia presso lastazione di GualdoTadino, nella ferroviaRoma-Ancona

Page 63: Perugia nell'Ottocento

63

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Osteria della Branca

Osteria del Mulinello e Borgo diFossato, con deviazione per lastazione di Fossato di Vico sullaferrovia Roma-Ancona

Casali delle Pulci, Osteria della Resi-na, Villa di Pierantonio, Umbertide,Casali di S. Lucia, Città di Castello

Case di Campo Reggiano

Caseggiato di Lerchi

S. Giustino, Case di Monte Gioveed Osteria di Valpiana

Osteria di S. Sisto, Caseggiato delleCapanne, Osteria Nuova, Villaggiodelle Tavernelle, Osteria delPiegaro, Città della Pieve

Presso la stazione dell’Ellera sullaferrovia Aretina

Sotto il Piegaro

Case di Migliaiola, Villa delleMacchie e sotto Castiglion del Lago

Villa di Pozzuolo

Trevi, Spoleto, Terni, Narni eOtricoli

Villaggio di Grotti, Piedipaterno,Borgo Cerreto, Triponzo,Serravalle, Norcia

Presso l’Abbazia denominata di S.Lazzaro

Savelli e Civita di Cascia

NUMEROD’ORDINE

DENOMINAZIONE DELLE STRADE

DEL PUNTO OVE A CAPO

DEI LUOGHI PRINCIPALI PER CUI PASSA

DEL LUOGO OVE HA TERMINE

Strada della Branca

Strada Fossatana

Strada Tifernate

Strada Gubbio-Umbertide

Strada della Mita

Strada Citernese-Aretina

StradaUrbanienense

StradaPievaiola

Stradadi Strozzacappone

StradaPiegarese

StradaCastiglionese

StradaPozzuolese

Strada Flaminia

StradaNursina

Strada Vissana

Strada Abruzzese

14

15

16

17

18

19

20

21

22

23

24

25

26

27

28

29

Colonnetta itineraria pressoGualdo Tadino, sulla stradanazionale del Furlo

Deviazione di Valentano sullastrada della Branca

Osteria del Bosco nella stradaEugubina

Piazza della chiesa collegiale nellacittà di Umbertide, sulla Tifernate

Ponte sul torrente Nicone nellastrada Tifernate

Porta del Prato di Città di Castello

Ponte sul fosso Riascolo, in confinecon la Provincia di Arezzo

Sulla strada Perugia-Cortona, alpassaggio a livello presso la stazioneferroviaria di Perugia

Osteria dell’Ellera sulla stradaPerugia-Cortona

Dall’Osteria del Piegaro sullaPievaiola

Bivio di Panicale sulla stradaPievaiola

Strada Castiglionese, pressoCastiglion del Lago

Dalla Porta Romana di Foligno

Presso Spoleto, a metri 150 distanteda esso, sulla strada Flaminia

Nella Nursina, presso Triponzo

Alla Nursina, presso la chiesa diSanta Scolastica

Porta S. Agostinodella città di Gubbio

Sommitàdell’Appenninoal confine con laProvincia di Ancona

S. Giustino sullastrada Urbaniense

Porta di Santa Lucianella città di Gubbio

Ponte sul fosso dellaMita, in confine conla Provincia di Arezzo

Confine con la Pro-vincia di Arezzo, invicinanza di Citerna

Bocca Trabaria sullasommità dell’Appenni-no, confine con la Pro-vincia di Urbino e Pesaro

Confine con laProvincia di Sienain vicinanza dellastazione di Chiusi

Osteria di Strozzacappo-ne nella strada Pievaiola

Presso Monteleonedi Orvieto sullaCassia - Orvietana

Case di Bencino,al confine con laProvincia di Arezzo

Confine con la Provin-cia di Siena, presso lecosiddette Fornacelle

Ponte Felice sulTevere, confine conla Comarca di Roma

Al confine tra laProvincia Umbra equella di Ascoli

A Pontenuovo sulNera, distante daVisso metri 4958, 80

All’inforcatura di Ter-rarossa, confine conla Provincia di Aquila

Page 64: Perugia nell'Ottocento

64

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

S. Anatolia

Pontebari, Bruna, Mercatello

Casenuove, Rasiglia, Villamagina,Sellano

Casino Vincenti presso il ponte diTerria

Montefranco, Arrone

Osteria di Configni, Osteria diVacone, e Cantalupo in Sabina

Campitelli

Arrone, Ferentillo, Scheggino,Castel S. Felice

Casale Erroli denominatoCammartane

Lugnano, Gurdea, Tenaglie

San Giovanni Reatino, pressoTorricella, presso l’Osteria Nuova el’Osteria di Nerola nella Comarcadi Roma

Collebaccaro, PoggioFidoni,Cerchiara, Osteria di Tancia

Presso Contigliano per Fontecerro,sotto Cottanello

Convento di Roccasinibalda,Posticciola, presso Monte di Tora,Castel di Tora, Paganico, Ascrea

Poggio Moiano sotto Pozzaglia epresso Orvinio

Monte Santa Maria, Castelnuovodi Farfa, Granari, Torlonia, eMontopoli

NUMEROD’ORDINE

DENOMINAZIONEDELLE STRADE

DEL PUNTOOVE A CAPO

DEI LUOGHI PRINCIPALIPER CUI PASSA

DEL LUOGOOVE HA TERMINE

StradaCasciana

StradaSpoleto-Todi

StradaSellanese

StradaTerni-Rieti

StradaArronese

Strada Ternanaper Cantalupo

StradaSangeminese

StradaValnerina

StradaNarni-Amelia

Strada Amerina

Strada Quinzia

Strada di Tancia

Strada di Fontecerro

Strada del Turano

Strada Orviniense

Strada di PoggioMirteto

30

31

32

33

34

35

36

37

38

39

40

41

42

43

44

45

A Serravalle sulla Nursina

A metri 100 distante da Spoletosulla strada Flaminia

Osteria di Casenuove sulla stradanazionale di Colfiorito

Memoria di Pio VI sulla stradanazionale dell’Umbria, n. 30

All’arma di papa Urbano, dopoStrettura, sulla strada Flaminia

Alla strada Flaminia presso Terni

Terni

Città di Terni, porta Spoletina

Dalla Tuderte, sotto Narni, pressoil Ponte sul Nera

Amelia

Porta Romana di Rieti

Porta Romana di Rieti

Presso il ponte sul torrente Caneranella strada di Tancia

Dal passo di Belmonte sulla Quinzia

Dalla via Quinzia presso ponteRomeano

Dalla Quinzia presso Osteria Nuova

Cascia

Presso l’Osteria delBastardo sulla stradaFoligno-Todi

Al borgo di Cerretonella strada Nursina

Madonna deiFrustati presso Rieti

Presso l’Osteria di PonteCatenaccio, sulla stradanazionale dell’Umbria

Passo di Corese sullastrada Quinzia

Tuderte presso S.Gemini

A Pedipaterno, sullastrada Nursina

Amelia

Ad una nuova sta-zione sulla riva sini-stra del Tevere, pres-so il ponte di ferrodella Ferrovia od aquella di Castiglione

Ponte al PassoCorese, confine conla Comarca di Roma

Poggio Mirteto

Alla Ternana perCantalupo, pressol’Osteria di Vacone,dicontro allaconsorziale diMagaliansabina

Sul fosso di confine frala Provincia Umbra equella di Aquila neipiani di Collalto

Confine con laComarca di Roma

Un ramo a PoggioMirteto e l’altro allaColonnetta dellaMemoria sulla Ter-nana per Cantalupo

Page 65: Perugia nell'Ottocento

65

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Sotto Poggio Catino, Catino pressoRoccantica, alle Forche di Aspra,sotto Montasola e Cottanello

Chiesa della Madonna dellaMisericordia

Il primo tratto sotto Gavignano allaMadonna del Nocchieto, pressoStimigliano, Madonna del Piano

Madonna della Neve,Montebuono, Tarano e Rocchetta

Cappella Boccardi

NUMEROD’ORDINE

DENOMINAZIONEDELLE STRADE

DEL PUNTOOVE A CAPO

DEI LUOGHI PRINCIPALIPER CUI PASSA

DEL LUOGOOVE HA TERMINE

Strada per Finocchietto

Strada di Montorso

Strada Sabina

Strada consorzialedi Magliansabina

Strada consorzialedi Fara

46

47

48

49

50

Da Poggio Mirteto

Dalla Ternana per Catalupo, alpunto detto i Piani di Montorso

Da due punti sulla Ternana perCatalupo, uno denominato LajaGalantina e l’altro detto i Colli diTorri

Magliansabina

Da Fara

Sulla Ternana per Can-talupo, al ponte sul tor-rente Finocchietto

Presso PoggioMirteto al triviodetto di Santa Teresa

Il primo tratto sullaFlaminia a Pontefe-lice, il secondo rag-giunge il primopresso Laja Vescovio

Sulla via Ternana perCantalupo, pressol’Osteria del Vacone

Al ponte di Granicasulla strada diPoggio Mirteto

Nota1 Nell’elenco che pubblichiamo, trascritto dal regio decreto 11 agosto 1870, n. 5827, sono

descritte cinquanta strade provinciali per un totale di chilometri 1512. Nel 1878, dopoil passaggio da provinciale a nazionale della strada Urbaniense, la n. 20 e da nazionale aprovinciale del tratto della Flaminia, che andava dalla chiesa di S. Paolo a Foligno finoall’Osteria del Gatto, si era arrivati a chilometri 1530.L’elenco resterà lo stesso per tutti gli anni Settanta dell’Ottocento e solo con il regio decre-to 17 maggio 1883 saranno aggiunte quattro nuove strade: “1.° Strada dalla provinciale Pergola Fabriano presso Sassoferrato a Scheggia sulla naziona-le n. 29 da Fano al confine romano;2.° Strada dalla nazionale di Rieti per Labro e Morro al confine provinciale verso Leonessa;3.° Strada da Città di Castello per Apecchia e Piobbico alla nazionale di Fossombrone;4.° Strada Orte-Amelia e ponte sul Tevere ecc.”

Page 66: Perugia nell'Ottocento

66

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

Giuseppe Connestabile della Staffa, foto b.n.(Collezione privata)

Il Consiglio Provincialenell’ultimo lustro deglianni Settanta LAURA ZAZZERINI

Il Consiglio Provinciale nel secondo lustro degli anni Settantadell’Ottocento si rinnova con tornate elettorali a cadenza annuale con

le quali si provvede alla sostituzione di un quinto degli eletti. LaPresidenza del Consiglio passa dalle mani del perugino ReginaldoAnsidei, che occupa la carica nel biennio 1876-’78, a quelle dello spo-letino Luigi Pianciani che, eletto Presidente nel 1879, ad un mese dal-l’elezione alla carica di consigliere, verrà riconfermato nell’incarico avita. Capo della Provincia in qualità di Prefetto rimane ancoraBenedetto Maramotti.

Giuseppe Conestabile della Staffa(Perugia 1850-Eboli 1934)Primogenito del conte Scipione, sostenuto all’inizio della sua carrierapolitica dai clericali, passa nelle elezioni amministrative del 1892 alleliste liberal-monarchiche. Consigliere comunale e provinciale, vieneeletto Presidente della Deputazione provinciale nel 1906. Nel 1903sta per essere eletto sindaco della città di Perugia dopo Ulisse Rocchi,ma la sua nomina presta il fianco a troppe critiche a causa della suaforte passione per il gioco che lo ha portato a sperperare tutto il patri-monio di famiglia perdendo in una sola notte la tenuta e la villa diValvitiano e così tra i perugini c’è chi dice in quell’occasione: “Sefacem sindaco Peppino ce gioca anche la font de Piazz, ce gioca!”. Alsuo posto viene eletto Luciano Valentini. Giuseppe Conestabile rico-pre anche gli incarichi di Presidente della Banca Popolare Cooperativae dell’Accademia dei Filedoni. Nel 1912 è membro dellaCommissione unica nominata dal Comune e dalla Provincia per stu-diare la riforma universitaria: nella sua relazione propone l’abolizionedella Facoltà di Medicina e delle annesse Scuole di Veterinaria e ilpotenziamento della Facoltà di Giurisprudenza. Le controrelazioniavranno la meglio e la situazione dell’Università di Perugia resteràimmutata fino alla regificazione del 19251. “Iscrittosi al PartitoFascista fin dalla prima ora, servì il Regime come Podestà eCommissario in centri importanti della Provincia romana, ove halasciato di sé il più caro ricordo”. Nelle ultime ore della sua vita “rice-vuti i conforti religiosi, volle indossare la camicia nera ed essere avvol-to nel tricolore”2.

Page 67: Perugia nell'Ottocento

67

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Luigi Pianciani(Roma 1810-Spoleto 1890)Nasce in seno a una famiglia aristocratica, cattolica e papalina, figlio pri-mogenito del conte spoletino Vincenzo e di Amalia dei principi romaniRuspoli. Riceve la sua prima educazione nella scuola dei Gesuiti e prose-gue gli studi nell’Ateneo romano studiando legge. Laureatosi a vent’an-ni, svolge l’apprendistato professionale in qualità di segretario nello stu-dio dello zio materno, monsignor Alessandro Ruspoli, uditore presso laSacra Rota, ma tarda ad ottenere l’iscrizione all’albo che conseguirà sol-tanto tre anni e mezzo più tardi3. Negli anni Trenta dell’Ottocento LuigiPianciani, forse deluso dall’attività forense che non gli restituisce le sod-disfazioni sperate, torna a Spoleto per occuparsi delle attività e proprietàdi famiglia. Qui si dedica anche in prima persona alla Cassa di Risparmiodi Spoleto, che in quegli anni si trova a dover affrontare un delicato pro-blema di indirizzo politico, ricevendo tra l’altro l’incarico di redigere unapubblicazione capace di diffondere opportunamente le finalità dell’isti-tuto finanziario, ma il lavoro rimane inedito4. Più o meno a quegli stes-si anni risale il suo impiego nell’amministrazione delle Dogane Pontificieove opera come Ispettore generale in varie città dell’Umbria e delleMarche, una carica onorifica che mantiene fino al 1845.Il neoguelfismo di Pianciani presente nelle opere Considerazioni sulloStato Pontificio e Saggio sulla riforma delle prigioni nello Stato Pontificiosi spegne con il 1848, quando spinto dalla fuga di Pio IX a Gaeta egli siscopre un fervente democratico di dichiarata fede mazziniana, forte-mente avverso al dominio temporale dei papi. L’11 giugno 1849 LuigiPianciani viene arrestato dai Francesi sul Ponte Salario mentre tenta dirientrare a Roma per partecipare alla difesa della Repubblica Romana.Scarcerato il 15 luglio, si reca in esilio prima a Parigi e poi a Londra,Oxford, Bruxelles, Basilea e Ginevra5. Tornato a Spoleto nel 1861, l’an-no successivo vi fonda la Società di Mutuo Soccorso. Nel 1865 sia i cit-tadini di Spoleto, sia quelli di Poggio Mirteto lo eleggono: Piancianiopta per il primo Collegio, segnalandosi alla Camera con interventi dinatura politica e amministrativa, ma soprattutto contro il potere tempo-rale della Chiesa invitando il Governo a marciare su Roma. Nelle elezioni del 1867 ottiene la rielezione a Bozzolo in provincia diMantova. Da allora mantiene sempre la carica di deputato, eletto dal1876 in poi nei collegi romani di Roma V (Trastevere) e Roma I(Monti). È per due volte sindaco di Roma6 e avrebbe ricoperto la cari-ca di sindaco di Roma una terza volta nel 1889 se la legge sull’incom-patibilità delle cariche entrata in vigore l’anno precedente non glieloavesse impedito. Diventa membro del Consiglio provinciale di Perugiauna prima volta nel 1861 subentrando a un consigliere rinunciatario erimane in carica per due anni, poi viene rieletto nel 1878 e il 26 agostodello stesso anno diviene Presidente del Consiglio provinciale. Si spegnepoco dopo, il 17 ottobre 1890, rinunciando ai conforti religiosi, coeren-te con ideali con i quali era vissuto.

Giovanni Battista Polidori(Montecastrilli sec. XIX)Si trova a Roma, dove si era recato a studiare Giurisprudenza, nel 1847quando viene invitato a iscriversi nei ruoli della Guardia civica cittadina.Caduta la Repubblica Romana prende la via del Piemonte e da qui rag-giunge Nizza dove si guadagna da vivere impartendo lezioni di lingua eletteratura italiana. A Nizza si impegna nel dibattito politico per la causa

Luigi Pianciani, cartolina commemorativa(Collezione privata)

Page 68: Perugia nell'Ottocento

68

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

Ulisse Rocchi, foto b.n. (Comune di Perugia)

italiana e dà alle stampe nel 1856 Roma e il Congresso di Parigi, un’operanella quale sostiene che “la prima fonte dei nostri danni è l’osceno connu-bio tra lo scettro e la tiara”7. Nel novembre del 1859 viene impiegatocome segretario generale del Ministero della Pubblica Istruzione eBeneficenza in Romagna e nel mese successivo come capo divisione delMinistero della Pubblica Istruzione in Emilia, mentre nel maggio del1860 è capo divisione dello stesso Ministero a Torino. Con l’UnitàPolidori può rientrare a Montecastrilli: il Commissario generale Pepoli lonomina prima vice commissario a Norcia e poi a Terni. Con l’arrivo delGualterio viene destinato quale intendente di seconda classe a Borgataroe in seguito all’avanzamento di carriera viene destinato alle sedi diAvezzano, Firenzuola e Imola. Successivamente è prefetto di Caltanisettae infine a Sondrio fino a quando verrà messo a riposo nel 1876. Vieneeletto consigliere provinciale nel 1877 e deputato alla Camera nel 1880,ma vi rimase soltanto per un mese perché l’elezione venne annullata e siprocedette nuovamente al ballottaggio tra lui e Paolano Frenfanelli inquanto dal nuovo ballottaggio tra lui e Paolano Frenfanelli, seguito all’an-nullamento della precedente elezione, risultò vincitore quest’ultimo8.

Ulisse Rocchi(Perugia 1836-1919)Completati gli studi di medicina presso l’ateneo cittadino presta servi-zio come medico nei ranghi militari prendendo parte attiva alle guerred’indipendenza. Rientrato a Perugia diviene direttore dell’Ospedalecivico e nel 1874 fonda il quotidiano «La Provincia», di stampo demo-cratico e radicale, dichiaratamente anticlericale. Viene eletto nel 1877consigliere provinciale e rimarrà nel Consiglio per trent’anni. Nel 1878,come esponente del partito progressista-radicale, diventa sindaco diPerugia, carica che riveste fino al 1885 per poi essere rieletto dal 1893al 1902. La sua amministrazione viene ricordata per aver aperto le portedella città alla modernità avendola dotata di strutture estremamenteimportanti quali il tram, la nuova conduttura idrica e la rete elettrica cit-tadina. A completarne il profilo di uomo pubblico sono le presidenzedell’Istituto di Mutuo Soccorso, della Società Veterani e Reduci dellePatrie Battaglie e dell’Opera Pia Donini. Ulisse Rocchi “era un bell’uomo dagli occhi chiari e dolci e con i capelliche davano al biondo. Portava un colletto inamidato chiuso davanti, diun aspetto che oggi chiameremmo ecclesiastico, con una cravatta a pia-stra, baffoni a gronza senza punta e mosca sotto il labbro inferiore”9, maquello che ricordano di lui amici e avversari politici è il suo carattere“adamantino” e “integerrimo”10. Viene infatti riconosciuto come “unacoscienza senza macchia e senza paura, un uomo che aveva vissuto la sualunga vita consacrando tutte le energie della sua mente eletta e della suaanima nobilissima al pubblico bene”, un uomo che in tutte le alte cari-che ricoperte aveva portato “insieme all’onestà più austera, il criterio piùilluminato, un senso di praticità e di genialità come difficilmente accadedi ritrovare in quelli che assurgono ai fastigi dei poteri dirigenti”11. Gliavversari politici ne ammirarono la chiarezza e la coerenza di una perso-na “che in ogni lotta, in ogni competizione di partito, seppe meritare lastima e il rispetto”12. Fedele ai suoi principi, sempre apertamente profes-sati e al suo sistema di vita, Ulisse Rocchi chiede nelle sue ultime volontàun funerale civile al quale venga tolta ogni forma di solennità. Non vifurono fiori, vi fu soltanto il discorso del sindaco Valentini eppure segui-rono la salma in silenzio migliaia di perugini costernati dalla morte dicolui che per tanti anni era sembrato vegliare da sulla città.

Page 69: Perugia nell'Ottocento

69

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Note1 Le notizie biografiche su Giuseppe Conestabile della Staffa sono tratte da L. Catanelli,

Usi e costumi nel territorio perugino agli inizi del ’900, Edizioni dell’Arquata, Foligno1987 e da U. Ranieri di Sorbello, Perugia della Bell’Epoca, Volumnia, Perugia 1970.

2 «Assalto. Settimanale dei fasci umbro-sabini», 30/10/1934.3 Sulla sua educazione e sulla sua formazione di avvocato si vedano V. Pirro, Luigi

Pianciani gonfaloniere di Spoleto e cittadino d’Italia, in R. Ugolini (a cura di), LuigiPianciani tra riforme e rivoluzione, ESI, Napoli 1992, pp. 270-271 e F. Mazzonis,L’attività politica di Luigi Pianciani in Umbria, in R. Ugolini (a cura di), Vincenzo e LuigiPianciani ed il loro tempo, Cassa di Risparmio di Spoleto, Spoleto 1988, p. 62.

4 La pubblicazione Istruzione Popolare è conservata in Archivio di Stato di Roma, CartePianciani, b. 63, f. 13. Su di essa si veda F. Mazzonis, L’attività politica di Luigi Piancianiin Umbria, cit., pp. 64-65 e n. 30.

5 Sul periodo dell’esilio si veda il saggio di R. Ugolini, Luigi Pianciani negli anni dell’esilio,in R. Ugolini (a cura di), Vincenzo e Luigi Pianciani ed il loro tempo, cit., pp. 13-28.

6 Una prima volta dal 16/11/1872 al 26/7/1874 e una seconda volta dal 30/9/1881 al18/5/1882.

7 La citazione è riferita da Z. Cerquaglia, Il Comune di Montecastrilli da Napoleoneall’Unità d’Italia, Ediart, Terni 1999, p. 155.

8 Le notizie biografiche sono tratte da Z. Cerquaglia, cit., mentre le informazioni relativealla sua elezione alla Camera dei Deputati sono tratte da T. Sarti, Il Parlamento subalpi-no e nazionale, 1890, p. 253, in SAUR, I, 800, 601.

9 U. Ranieri di Sorbello, Perugia della Bell’Epoca, Volumnia, Perugia 1970, p. 272.10 I due aggettivi sono presenti sia nel necrologio de «Il Popolo. Organo dei repubblicani

umbro-sabini» (2/3/1919) sia in quello de «L’Unione liberale. Corriere dell’Umbria»(24/2/1919).

11 «Il Popolo. Organo dei repubblicani umbro-sabini», 2/3/1919.12 «L’Unione liberale. Corriere dell’Umbria», 24/2/1919.

Page 70: Perugia nell'Ottocento

70

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

Dagli anni ’70 del XIX secolo ha inizio anche in Umbria il fenome-no noto oggi con l’appellativo di “monumentomania”, fenomeno

davvero imponente che tanto contraddistinse la penisola italiana neglianni all’indomani dell’Unità. L’epopea risorgimentale aveva avuto la sualunga vicenda di lotte ed ardimenti, i suoi eroi e i suoi modelli, le sueguide spirituali e politiche che si volevano ora celebrare e additare allegenerazioni future; la grande diffusione della scultura celebrativa sem-brò rispondere pienamente all’esigenza di costruire un repertorio iconi-co dal forte valore simbolico, capace quindi di educare la popolazionead una coscienza nazionale, ai nuovi valori civili e sociali, alle nuoveideologie politiche. È a questo scopo che si moltiplicarono concorsi esottoscrizioni popolari per l’erezione di statue e monumenti ai “padridella patria”, Garibaldi su tutti, e ai tanti eroi che parteciparono alle bat-taglie indipendentiste anche a prezzo della vita. Pur in questo comuneobiettivo di unificazione, nessuna regione o città volle tuttavia perderela propria peculiare identità: così se da un lato s’invocava l’interventoaccentratore dello Stato nello sviluppo di una cultura nazionale, dall’al-tro si auspicava che quello stesso intervento non mortificasse troppo lespecificità locali. Ciò illustra l’altra faccia della “monumentomania” ita-liana, contraddistinta dall’erezione di monumenti e lapidi in onore deigenii loci, quegli illustri concittadini della storia passata distintosi peropere o imprese degne di prestigio non solo locale: un’intensa proget-tualità che affianca quella in onore degli eroi nazionali. Non sarà un caso allora che la prima opera scultorea pubblica ad aprirela “monumentomania” umbra sarà a gloria di Niccolò di Liberatore,detto “L’Alunno”, pittore folignate del XV secolo. Sebbene inauguratonel 1872, il monumento era stato ideato fin dal 1865 quando l’artistadi Foligno Ottaviano Ottaviani ne aveva illustrato il progetto alConsiglio comunale, il quale, entusiasta, aveva istituito un comitato conil compito di svolgere tutte le necessarie operazioni tra cui quella direperire fondi mediante una pubblica sottoscrizione. Oltre alla cittadi-nanza e al Comune, che fu costretto a versare onerose quote per fron-teggiare continui inaspettati intoppi, i costi furono coperti grazie adapporti economici di diversa provenienza fra i quali quelli della Cassa diRisparmio di Foligno che tuttavia non fu, come si è creduto, il maggiorcontribuente1. Non semplice fu la scelta del luogo ove erigere la statua:alla decisione definitiva si giunse solo dopo un attento studio del comi-tato che collaudò varie zone cittadine per poi preferire l’odierna piazzaAlunno, non solo per la buona illuminazione e per la corretta prospet-

“Monumentomania”.La statuaria commemorativain Umbria negli anni ’70dell’OttocentoMATTEO ROSSI

Monumento all’Alunno, Foligno (Comunedi Foligno)

Page 71: Perugia nell'Ottocento

71

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

tiva che l’area avrebbe concesso all’opera ma anche perché, dirimpettoalla stazione ferroviaria, il monumento avrebbe degnamente accoltoqualsiasi forestiero giunto a Foligno tramite treno; come spesso si veri-ficò in altre città per analoghe iniziative, anche a Foligno l’erezione dellastatua comportò un intervento di riqualificazione dell’area urbana inte-ressata2 ma non solo poiché l’inaugurazione del monumento, avvenutail 22 settembre 1872 alla presenza del ministro della Pubblica IstruzioneA. Scialoja3, rinnovò radicalmente l’interesse nei confrontidell’Alunno4aprendo le porte ad una decisiva rivalutazione critica del-l’artista che toccò il suo apice nella Mostra d’Arte Antica Umbra del1907, nella quale all’Alunno venne dedicata un’intera sala espositiva.L’elegante basamento ideato dal ternano Benedetto Faustini e realizzatodallo scultore folignate Nicola Brunelli possiede ai lati i ritratti marmo-rei del Perugino e di Raffaello posti a ricordare come l’Alunno fu pre-cursore di quei due geni; nella parte posteriore invece appare lo stemmadella città di Foligno mentre in quella anteriore la consueta formula dedi-catoria. Sembra che per il ritratto dell’Alunno, Ottaviani si ispirò al per-sonaggio con berretto sulla destra nel dipinto Il Martirio di S. Bartolomeo(1503) nel quale fu anticamente riconosciuto il volto del pittore5.Alla fine degli anni ’70 fu la morte di Vittorio Emanuele II a dare vigo-roso impulso alla scultura celebrativa: in tutta Italia si moltiplicaronomanifestazioni e onoranze funebri e non meno fece l’Umbria che com-memorò il sovrano il 12 febbraio 1878 a Perugia; in quell’occasione fuinaugurato nel cortile del Palazzo della Provincia il busto marmoreo conl’effige del sabaudo modellato da A. Passalboni, monumento non più inloco anche perché soppiantato dalla bronzea statua equestre di piazzaItalia, opera più degna ad onorare il sovrano dell’indipendenza naziona-le, voluta dai perugini proprio dal 1878 ovvero quando si capì la neces-sità di un monumento che non sfigurasse nei confronti di quello inonore di papa Giulio III, sito all’esterno della cattedrale di S. Lorenzo. Nel resto dell’Umbria la dipartita del “re galantuomo” segnò l’avvio diiniziative tese a celebrarne degnamente il ricordo ma che tuttaviavedranno realizzazione solamente negli anni seguenti. Così Città diCastello e Spoleto: nel 1878 entrambe decretarono l’erezione di unmonumento al sabaudo ma mentre il primo vedrà la luce soltanto nel1906, grazie all’Associazione Liberale Monarchica tifernate che commis-sionò il lavoro a V. Rosignoli, a Spoleto la statua sarà inaugurata nel

Monumento Vittorio Emanuele II, Città diCastello (Comune di Città di Castello)

Monumento V. Emanuele II di Spoleto, era inpiazza della Libertà ora non è più esistente,cartolina (Collezione privata)

Page 72: Perugia nell'Ottocento

72

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

1892 ma solo dopo continue vicissitudini. Nello stesso 1878 Terni volleesprimere il proprio cordoglio per la dipartita del sovrano con l’apposi-zione nella sala consiliare di una targa con medaglione bronzeo realizza-to da O. Ottaviani (operazione che subirà proroghe fino al 1885)6 men-tre Foligno progettò la lapide, con medaglione sempre di manodell’Ottaviani, posta nella facciata del Palazzo municipale; l’opera neglianni dopo la II Guerra mondiale fu sostituita, probabilmente in quan-to deturpata dai bombardamenti o a seguito della fine della monarchia,con quella odierna in memoria ai caduti.Anche al di fuori della commemorazione del defunto sovrano, moltifurono i progetti celebrativi concepiti negli anni 70 e destinati a concre-tizzarsi negli anni seguenti; come la lapide folignate a Mazzini e aQuadrio, voluta dal 1877 ma affissa nel 1880, o quella in ricordo ai“Fattori dell’Unità d’Italia” nel portico di Palazzo dei Priori a Perugia,deliberata fin dal 1872 ma inaugurata solo nel 1886; non si scordi nep-pure che la celebre statua di S. Francesco (oggi all’interno della cattedra-le di S. Rufino) fu commissionata, per le celebrazioni centenarie delsanto ad Assisi del 1882, al senese Giovanni Duprè fin dalla fine deglianni ’70 così come quella di S. Benedetto da Norcia, deliberata dalleautorità nel 1879.Nello stesso 1879 G. De Angelis promosse l’erezione in piazza Italia diun monumento che immortalasse i tragici fatti accaduti a Perugia nelgiugno 1859: il progetto si concretizzerà nel 1909 con l’obelisco diGiuseppe Frenguelli al Frontone; tuttavia, nel 1875, nel CivicoCimitero perugino fu innalzato il monumento ai Caduti di quel dram-matico evento, con l’urna contenente le spoglie di quegli eroi sovrasta-ta dalla turrita Perugia che detta l’epigrafe al Genio della Storia; ilmonumento realizzato da Ettore Salvatori prevedeva pure la presenzadel Grifo, purtroppo rubato recentemente. Il monumento ai Caduti èuno dei primi del camposanto che proprio dagli anni 70 avviava i lavo-ri di ampliamento diretti dall’Arienti destinati altresì, con l’innesto dimolteplici opere funerarie private, a rendere il cimitero “monumentale”.Una scultura, quella a cavallo fra XIX e XX secolo, che anche in Umbria trovòesito nelle piazze, nelle vie e nei cimiteri delle plurime città della regione.

Monumento ai caduti del 1859-1860 nelcimitero monumentale di Monterone (Perugia)

Note1 Nel rendiconto dell’anno 1868 della Cassa di Risparmio vengono annotate £. 270 per il

pagamento di metà di 12 azioni sottoscritte per l’erezione della statua all’Alunno, men-tre nel resoconto per l’anno 1870 altre £. 270 sono segnate come “saldo di 12 azioni dellaSocietà della Statua all’Alunno”; infine, fra le spese per l’anno 1872 sono riportate £. 500per le feste d’inaugurazione del monumento che portano il contributo della banca a untotale di £. 1.040. Vedi Archivio di Stato Sezione di Foligno, Moderno, Serie II, Cassa diRisparmio di Foligno, b. 1452.

2 Nel 1872, su progetto dell’ingegnere Pio Pizzamiglio, furono realizzati i due caselli dellacinta daziaria tuttora esistenti, per la cui costruzione fu abbattuto il medievale ingressodi corso Cavour.

3 I festeggiamenti continuarono il 23 e 24 settembre; vedi «Corriere dell’Umbria», n. 146,148, 149 e 150 rispettivamente del 21, 24, 25 e 26 settembre 1872.

4 In concomitanza all’inaugurazione del monumento, molteplici furono le iniziative fra cuile pubblicazioni di C. A. Meschia (Di Niccolò da Foligno detto l’Alunno e del suo monu-mento), di S. Frenfanelli (Niccolò l’Alunno e la scuola umbra) e di A. Rossi (I pittori diFoligno nel secolo d’oro delle arti italiane).

5 Il dipinto, rimasto incompiuto per l’improvvisa morte dell’Alunno, fu portato a terminedal figlio Lattanzio che, secondo una tradizione oggi ritenuta alquanto dubbia, volle dareal personaggio suddetto le sembianze del padre.

6 Oggi l’opera non esiste più in quanto distrutta dai bombardamenti della II Guerra mondialeche colpirono il vecchio Palazzo municipale sede dell’odierna Biblioteca comunale di Terni.

Monumento V. Emanuele II di Foligno,non più esistente, (tratta da Lutto dellacittà di Foligno per la morte del re VittorioEmanuele II, Foligno 1879)

Page 73: Perugia nell'Ottocento

73

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

Il 1876 si apre con l’omaggio della poetessa Alinda Bonacci Brunamontidella prima copia dell’edizione dei suoi versi, stampati dall’editore Le

Monnier, “alla sua Perugia”, mentre il Club Alpino Italiano raccoglie fondiper la spedizione in Africa equatoriale di Orazio Antinori1. A Todi l’esat-tore del dazio consumo trova in casa di due macellai carne di maiale dicontrabbando: riesce a sequestrare due animali, ma il il terzo animale nonriesce a trovarlo. Il giorno seguente nella Chiesa di Sant’Antonio un’anzia-na signora “si accosta al confessionale e va per prendere la mano del suopadre spirituale per portarla alla bocca. Santi del cielo. La vecchierella inve-ce di trovare la mano morbida e delicata del servo di Dio strinse nelle suescarne dita qualche cosa di strano. Pensò al diavolo, mise un grido e sven-ne”: il maiale era stato nascosto nel confessionale2! Nel mese di marzo sullalinea ferroviaria Terontola-Chiusi due treni, uno diretto a Perugia e l’altroa Roma, “prima di lasciarsi si diedero un caldo amplesso sulla rotaia discambio” portando al deragliamento di quattro vagoni “e se non s’ebberoa lamentare disgrazie ciò devesi attribuire all’abilità e al sangue freddo delmacchinista del treno diretto a Roma”3. Sempre nello stesso mese nelCircondario di Rieti viene soppresso il Comune di Rocchette che contavasoltanto 388 abitanti e annesso a quello di Torri4. A Perugia inizia in apri-le la demolizione della Chiesa di Santa Maria degli Aratri: “Un tale che dilà passava vedendo quella operazione ha esclamato. Tò demoliscono unpezzo del Paese!”5. A Ponte Felcino muore un operaio di sentimenti libera-li che “non credeva niente in materia religiosa”: portato in chiesa, vennerigettato in strada; fu allora deciso di seppellirlo fuori dalla città, ma lapopolazione non lo permise “dicendo che ciò avrebbe portato sfortuna evolle che fosse bruciato. Infatti fu dato fuoco al cadavere, dopo averlo untocon acqua ragia”: si faticò non poco a salvare dal fuoco uno dei becchi-ni…6. A Gubbio durante la Corsa dei Ceri il maltempo imperversa tantoche i ceraioli, tesi più che mai, finiscono per prendersi a coltellate provo-cando un morto e un ferito grave: i giornalisti pregano i religiosi di sfata-re la credenza secondo la quale le ferite d’arma bianca inferte durante lafesta dei Ceri per miracolo verrebbero sanate da Sant’Ubaldo. A giugno «IlPaese» grida allo scandalo perché a Perugia si è costituita una nuovaAssociazione Monarchico-Costituzionale che tra le altre cose persegue lalibertà di culto7. A San Sepolcro alcuni abitanti propongono di cambiareil nome al paese in favore di “Biturgia”8. Nel mese di luglio si inauguranella cattedrale di Terni la “nuova balustrata” a protezione del presbiteriorealizzata dall’architetto ternano Betto Faustini e molto ammirata per ilcontrasto che il marmo bianco di Carrara produceva con il colorito scuro

Orazio Antinori, foto b.n. (Università degliStudi di Perugia)

La Corsa dei Ceri, foto b.n. (Comune diGubbio)

Echi di cronaca locale:1876 - 1880LAURA ZAZZERINI

Page 74: Perugia nell'Ottocento

74

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

dell’altare9. A Perugia invece ci si lamenta perché le strade risultano piùpulite delle botteghe e perché l’ex monastero di Santa Caterina in PortaSant’Angelo è stato trasformato in un’osteria dove “l’esalazione de’ mosti ede’ vini hanno già annerito le pitture e la muffa vi ha fiorito sopra”10. Insettembre sempre a Perugia iniziano i lavori di sistemazione del Corsodiretti dall’ingegnere comunale Alessandro Arienti: l’opera è accolta conammirazione ed apprezzamento, ma taluni cittadini manifestano qualchedisagio dopo essere inciampati sulle macerie11. In novembre il regolaresvolgimento della Fiera dei Morti viene ad essere compromesso da unanevicata davvero straordinaria12. L’11 maggio del 1877 muore a Gubbio,lasciando a sua memoria tra l’altro uno splendido parco, FrancescoRanghiasci Brancaleoni, Cameriere segreto di Cappa e Spada di SuaSantità13 e il 21 luglio si spegne a Perugia l’illustre archeologo GiancarloConestabile della Staffa14. Sotto il portico del Palazzo provinciale diPerugia, nel febbraio 1878 si inaugura il busto di Vittorio Emanuele II rea-lizzato da Giulio Passalboni, allievo dell’Accademia di belle arti di Perugia,con i fondi raccolti dall’associazione monarchica e dal giornale «IlProgresso»15. Il 14 luglio a Nocera Umbra lo stabilimento dei BagniMinerali e idroterapici dà inizio alla propria attività, diretto dal celebreprofessore romano Pietro Castiglioni, mentre parte per Roma monsignorLuigi Rotelli per essere preconizzato Vescovo di Montefiascone16. A finemese esce la terza edizione riveduta e corretta della Guida illustrata diPerugia di Giovanni Battista Rossi Scotti arricchita di 12 litografie diTilli17. In settembre quattro scosse di terremoto lasciano a Montefalcocentinaia di persone senza tetto. Nel Duomo di Perugia viene esposta unatavola di Ulisse Ribustini raffigurante la Vergine con il Bambino che nonpiace troppo ai redattori de «Il Paese» perché nei volti “manca quel non soche di celeste e soprannaturale” che si addice alle figure sacre18. Il 31 marzo1879 muore l’insigne matematico e chimico Sebastiano Purgotti e il 2aprile si spegne Luigi Bonazzi “un eletto ingegno portato alle lettere”19. Il17 agosto inaugura a Perugia l’Esposizione provinciale e per l’occasione ilfotografo Cesare Polozzi mette in vendita 12 vedute dei principali monu-menti cittadini20. Sempre a Perugia in occasione del XII Congresso AlpinoItaliano giungono 60 mila alpinisti “tutti giovani allegri ed aitanti della

Annibale Angelini, L’interno della cupola diSan Pietro ripreso dall’alto in giù. L’opera fupresentata all’Esposizione provinciale del 1879

Page 75: Perugia nell'Ottocento

75

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

persona”21. Ad ottobre fa scandalo a Foligno un giornaletto anticlericaleche prima si stampava soltanto a Terni, «Il Cittadino ternano», tanto chegià dal numero del 19 ottobre una comunicazione ministeriale ne vieta lacircolazione in città22. Il 1880 si apre con un periodo di carestia: aUmbertide il sindaco Giuseppe Savelli dispone perché siano distribuitegratuitamente 200 minestre al giorno e la Società di San Vincenzo a Cittàdi Castello provvede a distribuirne 50023. A Perugia in maggio si decide ilrestauro del Palazzo vescovile con graffiti di Marzio Cherubini su disegnidi Domenico Bruschi24. A Costacciaro, grazie alla maestria dell’ingegnereBernardino Bartoletti che tramite tubature di terracotta “inverniciata” e unlungo sifone in ghisa riesce a portare l’acqua della sorgente Scirca in piaz-za, termina la penuria idrica25. In agosto Guglielmo Calderini presenta iprogetti per decorare gli esterni del Duomo di San Lorenzo a Perugia26.L’Arcivescovo di Spoleto il 20 di agosto verifica le condizioni del corpo disanta Chiara di Montefalco morta nel 1308 e, tolte le vesti, i medici al suoseguito trovano che il corpo “era fino ad allora rimasto non solo incorrot-to, ma anche flessibile e nelle braccia e nelle stesse cartilagini delle orec-chie”27. Due lutti segnano tristemente gli ultimi mesi dell’anno: il 29novembre muore Giuseppe Borgia Mandolini che era stato Gonfalonieredella città al tempo del Governo Pontificio mentre il 1° dicembre si spe-gne il capo del partito repubblicano Annibale Vecchi alla cui farmacia apartire dal 1848 avevano fatto capo tutti i liberali perugini28.

Note1 «Corriere dell’Umbria. Giornale politico, economico, amministrativo», 4/1/1876 e

14/1/1876.2 «Corriere dell’Umbria. Giornale politico, economico, amministrativo», 26/1/1876.3 «Corriere dell’Umbria. Giornale politico, economico, amministrativo», 9/3/1876.4 «Corriere dell’Umbria. Giornale politico, economico, amministrativo», 15/3/1876.5 «Corriere dell’Umbria. Giornale politico, economico, amministrativo», 8/4/1876.6 «Corriere dell’Umbria. Giornale politico, economico, amministrativo», 22/4/1876.7 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 10/6/1876.8 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 17/6/1876.9 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 22/7/1876.10 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 29/7/1876, 5/8/1876 e 11/4/1878.11 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 2/9/1876 e «Corriere dell’Umbria. Giornale

politico, economico, amministrativo», 26/2/1877.12 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 4/11/1876.13 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 26/5/1877.14 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 28/7/1877.15 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 14/1/1877, 16/2/1877 e «Corriere

dell’Umbria. Giornale politico, economico, amministrativo», 14/2/1877.16 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 13/7/1878.17 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 27/7/1878.18 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 28/9/1878.19 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 5/4/1879.20 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 23/8/1879.21 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 30/8/1879.22 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 25/10/1879.23 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 17/1/1880 e 24/1/1880.24 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 8/5/1880 e 3/7/1880.25 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 31/7/1880.26 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 14/8/1880.27 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 11/9/1880.28 «Il Paese. Rivista settimanale dell’Umbria», 4/12/1880 e «Il Progresso. Corriere

dell’Umbria», 2/12/1880 e 4/12/1880.

Page 76: Perugia nell'Ottocento

76

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

Il giornale «La Favilla. Rivista di letteratura e di educazione», fondatoe diretto da Leopoldo Tiberi e Giovanni Piccini, fu uno dei luoghi di

diffusione e di dibattito culturali nella Perugia del tempo. Iniziò le suepubblicazioni nel gennaio 1869 e le concluse nel 1910, con una lungainterruzione tra il 1879 e il 1886. Nelle sue pagine – stampate prima aPerugia, poi in Assisi e poi nuovamente in Perugia – diede spazio ai let-

terati e agli eruditi, ospitò poesie esaggi, fornì una ricca panoramicadelle nuove pubblicazioni. Perdare conto della varietà del conte-nuto della rivista esaminiamo leannate tra il 1877 e il 1879, in cuiuscirono 12 fascicoli della rivista,con una numerazione abbinata. Ilprimo numero (fasc I-I) del 12aprile 1877 comprendeva un sag-gio di P. E. Castagnola (FrancescoPetrarca e Giovanni Boccaccio);poesie e traduzioni; In Tunisia.Note di viaggi e studi di GiuseppeBellucci, un resoconto di viaggioche si snoda lungo tutto l’anno esi concluderà con i fascicoli III-IVdell’agosto 1978; una sezione biblio-grafica curata da G. Sangiorgio e C.Berarducci.Nel fascicolo III-IV del 15 giugno1877, oltre a varie poesi e e saggi,e ad una versione latina di un poe-metto (Uranie) di Manzoni, siapre una Polemica letteraria, a fir-ma di Cesare Berarducci, riguar-dante un articolo di P.E. France-sconi (Profili letterari. Ettore Bari-li, in Rivista Subalpina del 13maggio 1877), e il suo giudizio suipoeti umbri, colpevoli di non can-tare la vita dell’Umbria e dei suoiabitanti, di essere troppo conven-zionali e antiquati. Berarducci

«La Favilla», 1877 (Biblioteca ComunaleAugusta, Perugia)

Tre anni di letteratura.«La favilla»: 1877-1879GABRIELE DE VERIS

Page 77: Perugia nell'Ottocento

77

Corrispondenze dall’800 2/2008

CO

RR

ISPO

ND

ENZ

E

ricorda le opere di Tiberi, Morandi, Bini, Brunamonti (“che, quantun-que donna, riflette così bene ne’ versi suoi quella malinconia che è, perusare un frase del Carducci, la forma del mistero dell’essere e dello stra-zio sociale dell’età nostra, e canta la Natura e la Scienza...”). A Berarduc-ci replicherà – come riportato in nota – lo stesso Francesconi, che smor-za i toni della polemica e anzi lodando i poeti umbri. Il fascicolo V-VIdel 5 agosto 1877 si apre con un lungo e interssante saggio di P. E.Castagnola (Origini della lingua italiana), in cui si ripercorrono le tap-pe della nascita della lingua italiana, alla luce delle teorie di CesareCantù e Ariodante Fabretti, fino ad affermare la derivazione dell’italia-no dal latino rustico: “io mi ardisco asseverare che la lingua nostra, piut-tosto che chiamarsi figliuola della latina, dee dirsi discesa in linea piùretta da quell’idoma, da cui tutti gl’italiani dialetti, compreso il latinoplebeo, erano derivati” (p. 180).Nel numero successivo (fasc. VII-VIII) la rivista ospita un commentoalle Odi barbare, un saggio sulla pedagogia (Della pedagogia nelle suearmonie e antinomie, di Giuseppe Samosca), una Relazione di un viaggioalla Luna di Pico Sabellico (che si protrae nei due numeri successivi), euna ricca messe di Notizie letterarie, brevi o brevissime informazioni sulmondo culturale e la società del tempo: “Si annunzia il progetto d’innalzare a Perpignano una statua a France-sco Arago e a Lione un monumento al fisico Ampere” (p. 352); oppure“La Gazzetta Calabrese racconta che a Camorda (Aquila) il maestrocomunale andò dal Sindaco a chiedere il suo stipendio. I Sindaco gli die-de invece un carico di legnate, accompagnandolo con una grandine divituperi” (p. 355); e ancora: “Il ministro della pubblica istruzione inten-de aprire il concorso per un sillabario o libro di lettura per le scuole ele-mentari e rurali e di un altro sillabario o libro di lettura per le scuole ele-mentari urbane.” (p. 358). L’ultimo numero del 1877 (fasc IX-X) com-prende fra gli altri il seguito degli articoli di Sabellico e Bellucci, un sag-gio di Pier Leone Cecchi (Torquato Tasso e la vita italiana nel XVI secolo),e una ricca sezione bibliografica. Il pimo numero del 1878 (fasc. XI-XII)è dedicato in gran parte alla morte del re Vittorio Emanuele II (9 gen-naio 1878), sono infatti presenti tre carmi di Gnoli, Bini Cima e Bonac-ci Brunamonti (In morte del primo re d’Italia. Canto funebre):“Vorrei cantar: ma tremanoLe potenze dell’anima nel pianto:Chiede silenti lacrimeQuesto lugubre giorno e sdegna il canto” (p. 510)Nel numero successivo (fasc I-II, 8 giugno 1878) Leopoldo Tiberi pub-blica Il Palazzo del Popolo a Perugia, componimento poetico compostonel 1872 in occasione di nozze, e ripubblicato in occasione del restaurodel palazzo:“E tu di torri incoronata ergestila tua fronte, o Perugia, amabil gemma degli umbri colli, e il popol tuo di leggiE d’armi si guernì. Nell’ombre è ascosoDi tue franchigie comunali il primo Ricordo.Invan dimandi all’astro e al fioreL’istante in cui nel ciel l’uno s’affacciaL’altro nel prato”. (p. 94)Nel fascicolo III-IV (9 agosto 1878) viene riportato il Discorso letto nelteatro Metastasio d’Asisi per la distribuzione de’premi dell’esposizione di Bel-le Arti, Industrie ed Agricoltura nell’ottobre 1873 di Antonio Cristofani:

«La Favilla», 8-4-1876 (BibliotecaComunale Augusta, Perugia)

«La Favilla», 8-4-1876 (BibliotecaComunale Augusta, Perugia)

Page 78: Perugia nell'Ottocento

78

Corrispondenze dall’800 2/2008C

OR

RIS

PON

DEN

ZE

“A me non resta che fare un confidente appello allo zelo intelligente d’ogniordine di cittadini, pregandoli per quanto hanno a cuore i vantaggi moralie materiali della patria loro ed aiutare i nobili intendimenti della nostraaccademia.” (p. 181)Il fascicolo V-VI del 30 settembre 1878 contiene Una poetessa, saggio diC. U. Posocco su Maria Alinda Bonacci Brunamonti, e un inno (Guer-ra alla guerra) dello stesso autore:“Dai monti, dai piani – dell’itala terraUn grido risuoni – Sia guerra alla guerra.Sia guerra alla guerra – cruenta, fatale,Che danna migliaia – di vite a perir;Che, come la folgore, – i popoli assaleE lascia le spose, – le madri languir.”L’ultimo numero dell’anno (fasc. VII-VIII, 22 dicembre) contienediversi scritti di Posocco e di Giulio Gurrieri. Il numero successivo del-la rivista esce solamente a luglio (24 luglio 1879, fssc IX-X), con un sag-gio sulle varianti dei Promessi Sposi (a opera di Ferranti e Meschia) e unosul Consavo di Leopardi (G. Frosina Cannella).Il 31 dicembre 1879 esce l’ultimo numero del periodico (fasc XI-XII).Troviamo alcuni componimenti per il 12. congresso degli Club alpinoitaliano (Bini Cima, Brunamonti, Tiberi, Rossi Scotti), un discorso diCesare Ragnotti sul metodo didattico di Sebastiano Purgotti (1799-1879), scienziato, bibliotecario e insegnante; alcuni scritti (Brunelli,Guerrieri, Cozza) dedicati alla mostra di arte antica dell’agosto e settem-bre 1879; infine l’indice del IX anno. «La Favilla» con questo numerosospende le pubblicazioni per un lungo periodo, riprendendole nel 1886.

Page 79: Perugia nell'Ottocento

79

Corrispondenze dall’800 2/2008

ILQ

UAD

ROD

ELL’A

NN

O

Le opere presentate nella mostra “Arte in Umbria nell’Ottocento” (2006)illuminarono, è proprio il caso di dire, la realtà di una storia della pittu-

ra umbra dell’Ottocento per gran parte ancora da scrivere, quella della pit-tura di veduta e paesaggio, che aldilà di ritardi, chiusure e perdite di testi-monianze, ha tuttavia dimostrato una sua presenza costante e precipua vali-dità fin dalla metà del secolo, incrementata, nel periodo postunitario, da unallargamento di contatti e mercato oltre i confini regionali. Protagonisti cer-tamente i già titolati Matteo Tassi, Giuseppe Rossi, Napoleone Verga edAnnibale Angelini, quest’ultimo non solo ottimo prospettico e vedutista maanche sensibile interprete alla Vertunni della campagna romana, o ancora,in chiusura di secolo, solo per citarne alcuni, Ulisse Ribustini, Gigliarelli,Rossi Scotti, lo spoletino Moscatelli, o il ternano, nutrito alla scuola parte-nopea del “vero”, Alceste Campriani. Ma in quel contesto presenza fra le piùinteressanti certamente quella di Marino Angelini, figlio d’arte del più cele-bre Annibale, felicissima riscoperta di questi ultimi anni grazie a questo pre-zioso dipinto, unico noto a tutt’oggi del pittore. La tela, realizzata mentre ilpadre era impegnato in lavori di doratura all’interno della basilica romana,venne presentata dal pittore all’Accademia di Belle Arti di Perugia nel 1879nella stessa esposizione in cui Annibale figurava con i tre dipinti prospetticidell’Interno della basilica di S.Pietro in Roma, della Cupola della Basilica di S.Pietro vista da sotto e della Cupola della basilica di S. Pietro vista dall’alto ogginella Galleria Nazionale dell’Umbria. Vissuto a seguito del padre fra Romae Perugia e con questi formatosi all’Accademia di S. Luca, Marino avrebbeanche lui poi praticato con discreto successo il genere prospettico e paesag-gistico affinando ulteriormente quell’attenzione verso inquadrature menoscenografiche ed effetti di luce più naturalistici già certificati nell’opera diAnnibale fin dal settimo decennio del secolo. A questi risultati, tanto perAnnibale, quanto più per Marino era sicuramente determinante il lungopermanere nel cosmopolita ambiente romano dove, superfluo ricordarlo, ailocali pittori di paesaggio si sommava la massiccia presenza di artisti stranie-ri giunti nella capitale assetati della luce e delle bellezze naturali italiane. Maaltrettanto significativi dovevano essere per entrambi i soggiorni a Napoli,dove Annibale insegnava presso l’Istituto Reale fin dai primi anni Sessantae dove non mancava di guardare ai più recenti esiti della locale scuola di pae-saggio traendo spunto per uno dei suoi dipinti più suggestivi, Tramonto delsole del 1867, dall’Ofantino che un ancor giovane De Nittis presentava inquello stesso anno all’Esposizione Provinciale napoletana prima del defini-tivo trasferimento a Parigi. Da queste sollecitazioni quella luminosità inten-sa che esalta, nell’originalità del taglio prospettico, la mole della cupolamichelangiolesca ritagliata sullo sfondo di rosati cumulonembi, fa muoverepiacevolmente lo sguardo nella penombra della scalinata in primo piano edannota le anonime presenze umane del frate e delle signore in abiti d’epoca.

Veduta esterna dellaBasilica di San Pietro.L’unica opera nota diMarino AngeliniALESSANDRA MIGLIORATI

Nella pagina seguente:Marino Angelini (Perugia 1844 - 1902),veduta esterna della Basilica di San Pietro,1879, olio su tela, cm 120 x 102 (Perugia,Collezione privata)

Page 80: Perugia nell'Ottocento

80

Corrispondenze dall’800 2/2008IL

QU

ADRO

DEL

L’AN

NO

Page 81: Perugia nell'Ottocento

81

Corrispondenze dall’800 2/2008

A colloquiocon Erminia IraceFRANCESCO FELICI

Ermina Irace laureata in Paleografia e diplomatica sotto la guida diAttilio Bartoli Langeli, nel 1993 ha conseguito il titolo di dottore di

ricerca in Storia urbana e rurale, usufruendo in seguito di una borsapostdottorato presso il Dipartimento di Scienze storiche dell'Universitàdegli Studi di Perugia. Dal 1999 è ricercatore di Storia moderna pressola Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia. Le sue ricerche si sono sviluppate lungo due filoni principali, aventientrambi per oggetto la storia dell’Italia moderna, in particolare il terri-torio dello Stato pontificio, e riguardanti rispettivamente: le dinamichedi costruzione e di riproduzione del “sistema patrizio” e le pratiche dellamemoria culturale in ambito nobiliare, municipale e, nella lunga dura-ta, nazionale.

D Gli storici sono concordi nel sostenere che l’Umbria ha condivisola progressiva marginalizzazione dello Stato Pontificio in campoeconomico e sociale. Questo fatto riguardava anche le attività cul-turali?

R Indubbiamente anche le attività culturali erano interessate da questamarginalità, tuttavia, parlerei più di marginalità riferita alla “societàperiferica” che alla sfera individuale. Già nel corso del trentennio pre-unitario, soprattutto a Perugia, alcuni salotti erano sede di importan-ti fermenti che contribuivano a rendere meno negativo il quadro.Inoltre, nel capoluogo possiamo citare due esempi di eccellenza:l’Università e il manicomio, che godevano di stima a livello nazionale.A mio avviso, è una caratteristica degli umbri quella della “rimozio-ne di cose importanti”, un’analisi più approfondita ci consente diaffermare che questo “mito della marginalità” è stato eccessivamen-te coltivato.

D Possiamo accennare brevemente alla situazione dell’istruzioneprima e dopo il 1860?

R Se pensiamo al sistema dell’istruzione è evidente che era nelle manidel clero e che era in condizioni pessime. Facevano eccezione soltan-to quelle famiglie che potevano permettersi un precettore. Il nuovostato puntava molto sulla scuola e sull’ istruzione ed almeno inizial-mente operò una laicizzazione totale del sistema. Chiaramenterimaneva una scuola d’élite che privilegiava il genere maschile, tut-tavia la rottura con il passato era netta e l’impegno della nuovaamministrazione molto deciso.

Erminia Irace, Itale glorie, Il Mulino,Bologna 2003

INT

ERV

ISTA

AGLI

AUTO

RI

Page 82: Perugia nell'Ottocento

82

Corrispondenze dall’800 2/2008

Noi storici abbiamo spesso sottovalutato l’impatto che questo nuovosistema scolastico ebbe nella società che si stava ridefinendo.

D Come si posero gli intellettuali davanti alle novità portate dallostato unitario?

R I primi venti anni furono di grande partecipazione e coinvolgimen-to nelle nuove dinamiche, in primis coloro che avevano partecipatoal Risorgimento, poi anche gli altri, quelli meno politicizzati, quan-do capirono che non si sarebbe tornati indietro offrirono il loro con-tributo. Investivano molto sulla “sprovincializzazione dell’Umbria”,ma in realtà, questo investimento andò in gran parte deluso.Pensiamo all’Università che rimase vincolata al finanziamentomunicipale e che quindi non ebbe lo sviluppo che ci si aspettava.

D Possiamo tracciare un breve profilo della situazione culturale nelleprincipali città della Provincia dell’Umbria?

R Si parla molto delle esperienze legate a Perugia, Assisi e Spoleto,meno di altre realtà molto interessanti quali Foligno e Gubbio.Perugia, obbiettivamente era il luogo più vivace in quanto sede dipiù poli di aggregazione culturale: l’Accademia dei Filedoni, i salot-ti, l’Università, le scuole superiori e una pubblicistica specializzata.Nelle altre città umbre, ad eccezione di Terni, dopo il 1860, si anda-va riorganizzando la vita culturale attorno alle accademie. Con larottura dell’antico isolamento e l’avvicinamento a nuove esperienze,si percepiva non solo la necessità di un aggiornamento culturale, maanche l’esigenza di difendere e rafforzare le identità locali e le voca-zioni municipali. Queste finalità emergono nell’attività di AchilleSanzi a Spoleto e di Antonio Cristofani ad Assisi. Entrambi contri-buirono alla salvaguardia del patrimoni librario messo a repentagliodalle soppressioni delle corporazioni religiose.Sanzi si dedicò completamente alla valorizzazione della sua cittàdopo la delusione per la abolizione della provincia spoletina e duran-te la sua segreteria l’Accademia degli Ottusi (poi Spoletina) si tra-sformò in una “associazione di studi indirizzata a pubblica utilità”.Cristofani e l’Accademia Properziana miravano anch’essi alla diffu-sione dell’immagine di Assisi collocata in un contesto nazionale maesaltandone la specificità dovuta alla storia francescana.Significativa e degna di approfondimento fu l’attività che si svolse aFoligno, legata agli snodi viari, ed aperta a al transito delle persone cheportavano con sé un bagaglio di conoscenze spesso del tutto nuove.Particolare è il caso di Gubbio. Molti eugubini parteciparono attiva-mente al Risorgimento, viaggiarono e conobbero persone con lequali mantennero contatti anche dopo l’unità. Questi scambi, di persé già culturalmente rilevanti, contribuirono non poco alla rivitaliz-zazione dell’ambiente intellettuale eugubino.Recentemente si sono tenute mostre e convegni che si sono occupa-te di quelle esperienze, il che mi pare un buon segno per che credealla “necessità di non dimenticare”.

D Che rapporto c’era tra cultura e politica? R In realtà, uomini colti e politici spesso coincidevano, oppure appar-

tenevano alla stessa famiglia, o ancora finanziavano o scrivevanosulla stampa locale. Soprattutto questo contribuiva alla mancanza diun ruolo sistematico di spirito critico e ad una spiccata autoreferen-zialità che acuiva, in un’area comunque ancora periferica, “lo scarsodecollo di una opinione pubblica moderna e critica”. A cavallo tra i due secoli cultura e politica ancora coincidono ma

Erminia Irace, La nobiltà bifronte,Unicopli, Milano 1995

INT

ERV

ISTA

AGLI

AUTO

RI

Page 83: Perugia nell'Ottocento

dalla consapevolezza che non sono ancora stati risolti i vecchi ritar-di della provincia matura la convinzione che sia ormai superata laspinta della vecchia generazione risorgimentale, che non è statacapace di imprimere un impulso dinamico adeguato.

83

Corrispondenze dall’800 2/2008

INT

ERV

ISTA

AGLI

AUTO

RI

Page 84: Perugia nell'Ottocento

Provincia di PerugiaPiazza Italia, 11 - 06100 Perugia

Redazione:Tel. 075 3681.609 - 075 [email protected]