PERCORSO 3^ ELEMENTARE (2016/17)...Riscoprire il senso del perdono di Dio e consegnare ai genitori...

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1 Parrocchie di Mirano-San Michele e Vetrego PERCORSO 3^ ELEMENTARE (2016/17) Catechesi, ovvero, la Parola che risuona nella vita. ____________________________________________________________________________________________ Obiettivo: Presentare ai bambini il Signore Gesù, che è amico fedele e vuole far festa assieme a noi. Ci aiuta nelle difficoltà, ci sostiene e perdona quando sbagliamo e facciamo il male e con lui possiamo ripartire in pace. Riscoprire il senso del perdono di Dio e consegnare ai genitori il compito di trasmettere ai loro figli questa esperienza di fede. Destinatari: i bambini di 3^ elementare e il loro genitori. Cadenza: una volta ogni quindici giorni, al sabato mattina dalle ore 10:00 alle 11:30, da novembre fino a maggio. Il gruppo di genitori si riunisce di volta in volta per elaborare e organizzare l’incontro di catechesi. Modalità: narrazione da parte dei genitori di alcune pagine della bibbia, che saranno drammatizzate dai genitori dei bambini, aiutati da alcune catechiste esperte. Il percorso e gli incontri sono seguiti e sostenuti anche da un sacerdote. Luogo: Per Mirano San Michele: Patronato Pio X (Villa). I ragazzi sono divisi in 4 gruppi e utilizzeranno 4 stanze al secondo piano e la chiesetta al primo piano che accoglierà la narrazione. Per Vetrego teatro del Patronato Don bosco. Materiali: http://www.collaborazionepastoralemiranese.it/parrocchiasanmichelemirano/2--elementare.html ____________________________________________________________________________________________

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Parrocchie di Mirano-San Michele e Vetrego

PERCORSO 3^ ELEMENTARE (2016/17)

Catechesi, ovvero, la Parola che risuona nella vita.

____________________________________________________________________________________________

Obiettivo: Presentare ai bambini il Signore Gesù, che è amico fedele e vuole far festa assieme a noi. Ci aiuta nelle

difficoltà, ci sostiene e perdona quando sbagliamo e facciamo il male e con lui possiamo ripartire in

pace.

Riscoprire il senso del perdono di Dio e consegnare ai genitori il compito di trasmettere ai loro figli

questa esperienza di fede.

Destinatari: i bambini di 3^ elementare e il loro genitori.

Cadenza: una volta ogni quindici giorni, al sabato mattina dalle ore 10:00 alle 11:30, da novembre fino a maggio.

Il gruppo di genitori si riunisce di volta in volta per elaborare e organizzare l’incontro di catechesi.

Modalità: narrazione da parte dei genitori di alcune pagine della bibbia, che saranno drammatizzate dai genitori

dei bambini, aiutati da alcune catechiste esperte. Il percorso e gli incontri sono seguiti e sostenuti anche

da un sacerdote.

Luogo: Per Mirano San Michele: Patronato Pio X (Villa). I ragazzi sono divisi in 4 gruppi e utilizzeranno 4 stanze al

secondo piano e la chiesetta al primo piano che accoglierà la narrazione. Per Vetrego teatro del

Patronato Don bosco.

Materiali: http://www.collaborazionepastoralemiranese.it/parrocchiasanmichelemirano/2--elementare.html

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Incontri: Gli incontri, strutturati secondo la modalità già sperimentata in seconda elementare, vogliono ripercorrere

la storia di Zaccheo, commentandola attraverso alcune pagine del Vangelo di Luca, quali le parabole della

misericordia e alcune altre pagine significative in ordine la Sacramento del Perdono.

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INCONTRO PER GENITORI: pdf

(NN incontri)

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PRIMO INCONTRO "A GERUSALEMME, ACCOLTO DAI BAMBINI"

Gesù, che accoglieva i bambini e li metteva al centro dell'attenzione degli

apostoli, indicandoli come termine di paragone per chi vuole entrare nel regno

di Dio, ora lo accolgono a Gerusalemme, la città dei re. Gesù entra per

inaugurare il suo regno, che non è questione di cibo o di bevanda, ma gioia e

pace nello spirito. Gesù dalla croce chiede il perdono per tutta l'umanità.

Sembra che solo i bambini riescano a cogliere come Dio guarda il mondo, solo

i bambini riescono a guardare una persona al di la del male che ha fatto.

Materiale: doc / pdf

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SECONDO INCONTRO "TANTE COSE DA RACCONTARVI: UN UOMO

ARRAMPICATO"

"Dalla Galilea dove ho chiamato i primi discepoli, fin qui a Gerusalemme, ho

davvero tante cose da raccontarvi... luoghi visitati, persone incontrate,

situazioni affrontate. Se volete vi racconto un po' delle avventure che ho vissuto

con questi miei 12 amici che abbiamo già conosciuto l'anno scorso: Simone che

ho chiamato Pietro e Andrea suo fratello, i due fratelli Giacomo e Giovanni,

Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Giuda Iscariota, Taddeo, Simone lo zelota. Quest'anno

voglio farmi aiutare da un amico che ho trovato arrampicato sopra un albero ... vi voglio presentare Zaccheo...";

(Lc 19,1-10)

Materiale: doc / pdf

Gioco: jpg

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TERZO INCONTRO "COME LA CENTESIMA PECORA"

Ero perduto come una pecora... (Si riprende il racconto di Zaccheo e della

parabola della pecora perduta: Luca 15, 1-7)

Materiale: doc / pdf

Piccolo commento alla Parabola:

è rivolta agli scribi e ai farisei, nemici di Gesù che lo criticavano continuamente.

1) Gli esattori delle tasse: poveri spiritualmente (non se ne stanno in disparte

come certe persone di oggi quando si parla di Dio o di religione, ma …) si

avvicinarono per ascoltarlo! Hanno coraggio!

2) Ma i farisei lo criticavano per questo: i “puri” non potevano non criticare chi

aiutava gli “impuri”.

La Parabola:

• Cento pecore: un gregge, una notevole ricchezza! Cos’è una pecora? Per il

pastore ciò che conta non è il numero, ma l’animale in pericolo!

• Lascia pressoché tutto il gregge, per andare a cercare quella che si è smarrita! Chi glielo fa fare?

Per lui non contano né sacrificio, né tempo; conta solo quella pecora, un po’ birichina, che egli ama moltissimo.

• “Fate festa con me …” Perché? Per descrivere il passaggio dall’ansia per la perdita, alla felicità per il

ritrovamento? Per motivi economici? Andare, cercare, trovare, festeggiar costa più tempio e denaro di quanto

valga una pecora! Solo per amore!

• Così è anche quando una persona che si era persa viene ritrovata … Ecco il gran finale! Come il pastore è felice

per la pecora ritrovata … così Dio si rallegra per un peccatore pentito, perché È CONTENTO DI POTER PERDONARE!

La Parabola così come è raccontata da Matteo (18, 10-14)

• È rivolta ai Capi della sua Comunità affinché vadano alla ricerca del fratello perduto e gioiscano, facciano festa!

• Per i Pastori di oggi, il messaggio è chiaro:

1. Uscire dai recinti sacri e andare fra le spine del mondo a cercare il fedele smarrito.

2. Pregare è troppo poco, anzi è troppo comodo

3. Chiamare ma anche prestare attenzione, perché la risposta potrebbe anche essere debole: la pecora oltre che

smarrita, potrebbe essere ferita.

4. Fare festa, quando un fratello decide di rimettersi sulla strada giusta:

purtroppo questo essere molto contenti, tra i cristiani, è rarissimo; al massimo si dice: “Era ora”.

5. Perché Gesù sceglie la figura del Pastore per rappresentare se stesso? I Pastori ai tempi di Gesù erano persone

socialmente non stimate, erano ritenute ladri, delinquenti, pericolosi!

Gesù lo sceglie come simbolo di se stesso perché il pastore è un capo, è un compagno, è un uomo forte, capace

di difendere il gregge contro le bestie feroci, ma anche perché il pastore è pure delicato verso le pecore, conosce

la loro debolezza, si sa adattare alle loro situazioni, le porta sulle braccia, le ama teneramente.

Gesù paragonandosi al buon pastore prende su di sé tutte queste belle qualità:

la forza, la dolcezza, la solitudine, l’amore.

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QUARTO INCONTRO "ERO SEPOLTO IN CASA"

Ancora Zaccheo e Gesù che parlano e raccontano la parabola della moneta

perduta. Zaccheo si sente cercato come quella moneta... e Gesù non desiste

finché non la trova (Lc 15,8-10).

Materiale: doc / pdf

Gioco: pub / pdf / jpg Piccolo commento alla Parabola:

1. Immaginate lo STRESS di questa donna!

• si tratta di una misera casa (un monolocale) dove c’è tutto: cucina, stuoia a

terra per dormire, polvere, brocce agli angoli, riserve di cibo; lì vive giorno e

notte, lei, tutta la famiglia e dietro, in una specie di grotta, gli animali

2. Deve accendere una lampada:

• Non perché è notte, ma perché la caverna è misera, senza finestre.

• La dracma (o dramma): non era poca cosa, era la paga di un giorno di lavoro!

• Poteva essere una di quelle monetine con cui le donne arabe si ornano la fronte: è un piccolo capitale che le

donne di casa per non perdere, portavano sempre con sé sulla fronte; non se le tolgano mai, neppure quando

dormono!

• Per sfortuna una monetina si è persa! Ansia, paura; paura di essere sgridata e picchiata dal marito! Quindi ricerca

minuziosa, finalmente premiata.

3. “Fate festa con me …”

• Tutte e tre le parabole della misericordia finiscono con questa caratteristica della gioia e della festa.

• La gioia e la festa è la caratteristica della misericordia.

• Vuol dire che essere misericordiosi vuol dire essere gioiosi, o meglio che la misericordia produce gioia.

• Che misericordia è quella fatta col muso o quella che produce tristezza?

4. Attenzione:

• La moneta è persa, non “si è persa”.

• Il che vuol dire che Dio ricerca non solo coloro che si sono allontanati da Lui volontariamente, ma anche coloro

che si sono persi involontariamente, non per colpa loro, casualmente.

• Il Dio di Gesù Cristo è un Dio disponibilissimo: non ricupera solo i fuggiaschi, ma anche gli smarriti.

• DA CHI È RAPPRESENTATO DIO in questa parabola? Da una donna! Questa è una novità assoluta.

5. La Chiesa dovrebbe ritrovare e valorizzare questa preziosa moneta che si chiama donna!

Conclusione:

• Se la donna anziché cercare, avesse spazzato via, fuori della casa, le “immondizie”, non avrebbe più trovato la

monetina

• Se il pastore invece di andare a cercare fosse rimasto tranquillo nell’ovile a riposare, non avrebbe ricuperato la

pecora.

• Si fa presto a spazzare, a buttare; è più comodo riposare … ma a che prezzo? con quali perdite? Al prezzo di un

aumento di allontanamento della gente da Dio, al prezzo della perdita di molti fratelli.

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QUINTO INCONTRO "ANCHE IO SONO UN FIGLIO DI ABRAMO... IL

FIGLIO MINORE DI UNA PARABOLA"

Zaccheo racconta la parabola del Padre Misericordioso e dei due figli (Lc

15,11-32).

Materiale: doc / pdf

Gioco: jpg

commento alla Parabola:

Introduzione

Quella di Luca 15, 11-33 è conosciuta come la parabola di un figlio “prodigo”, sciupone, sprecone, spendaccione

con i soldi degli altri, non suoi, non guadagnati col suo sudore e con i suoi sacrifici. Il racconto rappresenterebbe

il ritratto fedele della storia di ogni uomo ribelle, che Gesù racconta allo scopo di mettere in guardia le persone

dall'attrazione e dal pericolo di vivere la propria libertà lontano da Dio, facendo a meno di Dio. Pensare a Dio, che

ci tiene ad imporsi a noi come “padrone” dell’uomo, affermando la sua superiorità a scapito della libertà delle

proprie creature, ci potrebbe far pensare che in fondo Dio ci toglie la gioia di vivere; perciò il, bene è bene per gli

altri ma per colui che lo fà diventa quasi un peso. Ecco che non sempre riconosciamo il male come tale, ma tante

volte lo sentiamo gratificante, appagnate, che stimola la voglia di vivere; esso quindi diventa una priorità: io sto

bene, quindi è bene!

Da questo modo di pensare si conclude che il figlio minore ha scelto sì, la strada del male, me essa era piacevole

e gratificante; mentre il figlio maggiore ha scelto la strada del bene, sì, ma una strada dura e faticosa. Se

pensassimo così, allora il figlio minore sarebbe l’immagine del peccatore e il figlio maggiore, il modello da seguire.

Ma non è poi così semplice... anche un bene fatto per compiacere in fondo non è dignitoso per chi lo fa, e il figlio

maggiore ubbidiva al Padre non certamente perché gli voleva bene.

Questi due figli hanno due caratteri diversi, incompatibili tra di loro, senza la possibilità di una vera comunicazione

(i due fratelli non entrano mai in relazione diretta tra loro, non si parlano mai, non si incontrano mai). La Bibbia

già a partire dai primi capitoli della Genesi ci presenta la storia di due fratelli: Caino che uccide Abele. Le storie di

lotte tra fratelli nella Bibbia sono numerosissime (Giacobbe con inganno ruba la benedizione di primogenitura che

spetta ad Esaù; Giuseppe viene venduto dai suoi fratelli e così via).

È questa la tragica condizione esistenziale in cui vivono gli uomini, sembra che la fratellanza non sia possibile.

Sembra mancare qualche cosa.

Le idee che si hanno su Dio

Il cuore della parabola è il Padre: tutto ruota intorno alla figura del Padre ed al suo dare la vita per i suoi figli.

Noi siamo portati a pensare a Dio come l'onnipotente, che si impone, che punisce e castiga, che ha creato l’inferno

e che sta sempre lì a controllare ogni nostra più piccola azione. Non solo, ma l’idea che abbiamo di Dio condiziona

tutta la nostra esistenza e condiziona anche il nostro rapporto con gli altri. Ben diversa è l'immagine di Dio che

esce da questa parabola. Una verità che sta molto cara a Gesù Cristo e che lo spinge a raccontare questa storia.

La parabola parla appunto di un rapporto conflittuale tra l’uomo e Dio: da una parte un amore gratuito,

incondizionato e a fondo perduto; dall’altra l’incomprensione di questo amore e il suo rifiuto. Parla di una eredità

che è data all'uomo per il semplice fatto che è figlio, non tanto perché se l'è meritata in qualche modo.

Gesù sta raccontando questa parabola a dei “fratelli maggiori” (ai farisei, ai giusti, ai buoni), i quali appunto perché

si ritengono buoni, giusti e persone religiose) non accettano di entrare nel banchetto del Regno, non accettano

un Padre così misericordioso!

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Chi è il Padre per loro?

Dovremmo domandarcelo anche noi: chi è Dio per noi?

Il rancore, l’odio reciproco dei due figli sono intimamente legati all’immagine che essi hanno di loro Padre.

Il Padre apparentemente sta in secondo piano, quasi fosse una persona senza spina dorsale; il suo comportamento

sembra addirittura scandaloso per la nostra coscienza di figli maggiori, di persone perbene: noi ci saremmo

comportati diversamente con un figlio così scapestrato, quale era il figlio minore; questo Padre, infatti, dà la Vita

per i suoi figli, perché pensa che essi ne abbiano bisogno. E lo fa umilmente, semplicemente donandosi: divide la

vita fra di loro.

Questo gesto, così pazzesco e assurdo, gli costa necessariamente la sua vita e costituisce il centro della Buona

Notizia. Noi siamo portati a mettere l’attenzione sui due figli, e ci identifichiamo nell’uno o nell’altro a seconda

del nostro temperamento e delle nostre simpatie. La figura di questo Padre cerchiamo in tutti i modi di cancellarla,

perché essa ci mette in crisi.

Il figlio più giovane

Ora disse: “Un uomo aveva due figli; e disse il più giovane di loro al padre: “Padre, da' a me la parte della sostanza

che mi tocca”. Egli poi divise tra loro la vita.

Due figli, il maggiore e il minore. Due caratteri e temperamenti distinti, due modi diversi di pensare, di rapportarsi,

di comportarsi. Intorno, una casa piena di ricchezza e di lavoratori tutti impegnati nel lavoro e lontano tanti ettari

di campi che si perdono all’orizzonte.

Del padrone non conosciamo molto. Finché i figli non si confrontano con questo padre, gettandogli addosso il

gelo, il vuoto e la morte che hanno nel cuore, non potranno assolutamente conoscerlo bene.

“Padre, da' a me la parte della sostanza che mi tocca”.

Oggi, come allora, è con la morte di una persona che la sua eredità viene trasmessa ai figli. In base al diritto

ebraico, l’eredità – in assenza di altri parenti – veniva così divisa: 1/3 per il figlio minore ed i rimanenti 2/3 per il

primogenito; era possibile al padre, mentre era ancora vivo, anticipare l’eredità ai figli, tuttavia l’erede non

avrebbe potuto disporne fino alla morte del testatore.

Queste notizie sono molto importanti, poiché mettono in luce una situazione piuttosto insolita per la legislazione

del tempo. Il figlio più piccolo avrebbe potuto sì chiedere l’anticipo dell’eredità ma non la disponibilità economica:

in teoria era il proprietario, ma in pratica il padre poteva continuare ad usarne liberamente. Il figlio minore

rivendica quindi un diritto non suo, richiede la disponibilità di somma di denaro che non gli è dovuta. Che cosa

significa questa richiesta di eredità?

Inoltre la parola greca utilizzata nel testo, in italiano significa ‘bene’ ma soprattutto significa ‘vita’: l’eredità, quindi,

non ha solo un valore economico ma anche umana-spirituale: è ciò che un padre lascia della sua vita al figlio, è la

trasmissione di quello che è lui stesso. La pretesa del figlio di questa eredità equivale ad una ‘rapina della vita del

padre’, equivale ad una richiesta della sua morte. Chiedendo l’eredità, il figlio considera suo padre come morto

per lui.

E’ come se gli dicesse “Tu sei la mia morte, crepa! Senza di te la mia vita rifiorirà!”.

Il figlio minore considera il Padre come colui che lo soffoca, che gli toglie la vita e la libertà: una volta tolto di

mezzo il padre - pensa in cuor suo – potrà finalmente realizzarsi pienamente come persona umana. È un po’ quello

che pensa in genere la gente: “Se non ci fosse Dio saremmo tutti più liberi”

Immedesimiamoci nel padre che si sente augurare la morte dal proprio figlio: queste parole, oltre esprimere il

fallimento della propria paternità, sono come una pugnalata al cuore. Di fronte alla pretesa dell’eredità, avrebbe

potuto reagire diversamente ed in maniera più autoritaria: ad esempio umiliando la prepotenza del figlio, far la

voce grossa, mandarlo fuori di casa senza un soldo.

Questo Padre però fa una cosa diversa, perché intuisce nel profondo del suo cuore che l’unico modo di liberare

suo figlio dalla morte che si porta nel cuore è prenderla su di sé. Per ora il dolore di questo padre resta in sordina;

verrà ripreso più avanti.Divide le sostanze: un terzo dell’eredità va così al figlio minore.

Finalmente il figlio è libero di andare alla ricerca della sua vita, verso l’emancipazione dal suo stato di inferiorità;

distruggere la sua identità di figlio per costruire quella di padrone della propria vita.

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E, non molti giorni dopo, raccolte tutte le sue cose, il figlio più giovane emigrò in paese lontano; e là sperperò la

sua sostanza vivendo da dissoluto.

Presumibilmente la maggior parte delle ricchezze dell’eredità consistono in beni immobili ed in terreni. Questo

figlio ha dovuto così convertire in liquidità tutti questi beni in pochi giorni (lett. non molti giorni dopo). Inquietante

questa fretta nello spendere ... alla fine questa eredità inizia così ad essere dilapidata e sprecata.

Sempre in una prospettiva realistica non possiamo pensare che questo ragazzo sia partito solitario con il suo

fagottino, se ci viene detto che è partito dalla casa paterna con tutte le ricchezze ricevute: viaggiando, privo di

protezione, avrebbe corso il rischio di essere derubato ed ucciso.

E’ quindi realistico che abbia assoldato un manipolo di ‘fedeli’, protettori della sua persona e custodi delle proprie

ricchezze e sia partito con una carrozza, un gruppo di servi e il tesoro.

Tra sé e sé penserà:

“ L’ho sognata, giorno e notte. L’ho sperata, questa mia libertà. L’emancipazione dal mio essere figlio. Ora non ci

saranno più ordini da seguire, etichette da rispettare. Adesso ci sono solo io, io e me stesso, adesso l’orizzonte si

allarga, devo andare lontano, più lontano”.

Il paese più lontano possibile dalla casa del padre. Il punto più distante del figlio dalla propria identità. Possiamo

negare ed infangare la nostra verità di figli prediletti ma non distruggerla, perché essa non dipende da noi stessi

e da ciò che facciamo. Agli occhi di Dio rimaniamo figli, anche se facciamo violenza a questa nostra verità, perché

ciò che siamo non può essere cancellato.

E allora più il figlio si allontana, più giunge nel paese dove non è più chiamato “figlio” ma solo “padrone” o

“schiavo”, a seconda delle ricchezze e del prestigio di cui disporrà.

Ora è tutto più semplice: la stima, il rispetto, la considerazione e soprattutto l’amore degli altri si possono

comprare. Un meccanismo molto semplice: io compro, tu vendi. Con il tempo però questo meccanismo porta alla

totale distruzione del rapporto gratuito tra le persone, l’unico modo di cui ogni uomo ha bisogno per potere essere

se stesso. Inoltre i soldi non sono infiniti. Prima o poi finiranno, soprattutto se non si lavora e non li si guadagna.

Per un po’ di tempo riuscirà con tutta probabilità a farsi prestare dei soldi proprio dagli abitanti del paese lontano.

Fino al giorno in cui le voci girano e si viene a sapere che questo ricco signorotto non ha più il becco di un quattrino:

è finito sul lastrico. Il gioco è finito, i creditori sono alla porta, non resta che scappare, per non essere gettati in

prigione o peggio ammazzati dagli aguzzini. Gli stessi suoi servitori d’un tempo se la sono data a gambe, ma non

prima di aver ottenuto una ricca buonuscita. Ora resta solo. Dove andare?

Ora, dilapidate tutte le sue cose, venne una carestia forte per quel paese; ed egli cominciò ad essere nell'indigenza.

E’ il momento in cui questo ragazzo deve fare i conti con la realtà: ora che non ha più niente, fa l’esperienza di

valere meno di niente; a nessuno importa più di lui, della sua vita. Ecco che, cadendo dalla posizione di essere

padrone, si ritrova improvvisamente nella condizione di schiavo, senza una casa, senza un soldo, senza nessuno e

coinvolto nella miseria in cui si trova tutto il paese. Anziché rassegnarsi, questo figlio mostra una certa

intraprendenza: ciò che conta ora è trovare qualcosa da mangiare, per non morire di fame; e andò a incollarsi a

uno dei cittadini di quel paese; e lo mandò nei suoi campi a pascere i porci. E desiderava saziarsi delle carrube che

mangiavano i porci e nessuno gliene dava. Istinto di sopravvivenza: di fronte al rischio di rimetterci la pelle,

morendo di fame, egli va in cerca di un nuovo padrone, al quale letteralmente ‘si incolla’.

Interessante l’uso di questo verbo ‘incollarsi’. Questo legame, questo attaccamento profondo, rimanendo sempre

libero e se stesso, si può avere solo con Dio: l’uomo infatti si può attaccare-incollare solo al suo vero Padre, al vero

Signore; solo così rimane se stesso, rimane figlio, rimane libero. Chi rifiuta questa relazione, chi rifiuta di essere

figlio, riconoscendo Dio come suo Padre, non potrà che attaccarsi a padroni diversi, questa volta come schiavo. In

questa situazione, mentre pascola dei maiali, bestie immonde per la cultura ebraica, sperimenta di valere meno

di loro.

Solo a questo punto dice: Quanti salariati del padre mio sovrabbondano di pani; io, invece, di carestia qui perisco.

Mi leverò e andrò da mio padre e dirò a lui: Padre, peccai verso il cielo e al tuo cospetto; non sono più degno di

essere chiamato tuo figlio: fa' me come uno dei tuoi salariati. E, levatosi, venne da suo padre.

Non sappiamo che cosa frulli per la testa di questo ragazzo. Quel che è certo che rischia di morire. Tornare o non

tornare è una questione di vita o di morte, nel vero senso della parola.

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La decisione di tornare o restare non si può vedere come se fosse una scelta presa a tavolino, con buon senso e

considerando tutti i pro e i contro. Il corpo si ribella con tutte le proprie energie alla morte, l’istinto di

sopravvivenza è più forte di ogni altra cosa. E per sopravvivere, il figlio ritorna.

Siamo portati a pensare che è in questo momento che avviene la conversione, il pentimento. Ma è davvero così?

Possiamo davvero credere che questo ‘disgraziato’ cambi idea dal giorno alla notte? Che in questa situazione

estrema di necessità nasca una conversione autentica oppure è solo la fame che lo spinge a far questo?

Quest’ultima ipotesi oltre ad essere la più realistica, trova anche una chiara conferma nelle sue parole

“Quanti salariati del padre mio sovrabbondano di pani; io, invece, di carestia qui perisco”.

Non ci deve far scandalizzare che il figlio voglia tornare solo per salvarsi la vita. Infatti già questo, già il tornare

solo per salvarsi la pelle è vitale! E’ un buon segno, di slancio positivo e non di egoismo! Un segno di resurrezione;

e infatti il verbo “levatosi” (usato nei Vangeli per indicare la risurrezione) indica una decisione che, al di là degli

intenti, lo fa passare dalla morte alla vita.

Chiariamo bene una cosa: questa non è la conversione evangelica! Nella parabola deve ancora arrivare, e giungerà

tra breve inaspettata, come un terremoto che sconquassa tutto, distruggendo l’immagine malefica che il figlio ha

di suo padre.

La conversione evangelica non è qualcosa che possiamo determinare noi, perché è iniziativa assoluta del Signore;

noi possiamo solo accoglierla o rifiutarla. Finora potremmo chiamare quello di questo ragazzo un ravvedimento.

Ma la conversione evangelica è ben di più. Comunque il figlio decide di tornare. Questa sua decisione gli evita la

morte. Ma la sua vera rinascita deve ancora avvenire, e avverrà quando vede il padre nella sua vera luce, quando

vede un padre nuovo, che non aveva mai prima immaginato. E questo ci fa capire che il figlio non aveva mai

conosciuto veramente chi era il Padre. E da che cosa lo capiamo? Dal fatto che, nel prepararsi le scuse, nel

prepararsi il discorsetto da fare, chiede di essere considerato e trattato come servo, non come figlio.

Il Padre

Possiamo nella vita stare a contatto ogni giorno e per lungo tempo con una persona senza scoprirne la propria

reale identità. Per Dio questo rischio è ancora più grande: dentro di noi qualcosa ci suggerisce che egli, in fondo,

è cattivo, anche e soprattutto quando le cose vanno male. Spesso pensiamo al Signore come un giudice crudele e

severo. Chi si avvicina a Dio con queste idee nella testa e con questi sentimenti nel cuore, è ancora distante,

lontano dalla vera conversione, non è ritornato ancora a Dio (“mentre ancora distava lontano”).

Il grande cuore del padre capisce i sentimenti del figlio e si commuove: capisce la sua sofferenza, il suo conflitto,

nel suo disperato tentativo di esprimergli qualche parola di pentimento. Ma qui risalta l’enorme distanza tra ciò

che noi pensiamo di Dio e la sua vera identità. Dio è onnipotente proprio in questo: lui soffre dentro di sé il male

che ci facciamo noi stessi, e se ci vede tornare, esulta di gioia. E’ così gli si getta addosso e lo bacia.

Questo gettarsi al collo deve essere carico di tutto il suo dolore, di tutta l’apprensione sofferta per il fatto di avere

un figlio in pericolo di vita. E’ un gesto liberatorio, che scarica in un attimo la tensione del Padre, sciogliendosi in

pianto. E’ un gesto di comunicazione fisica, di contatto, con il quale il Padre ricopre la povertà del figlio con le sue

grandi braccia e lo fa partecipe della sua sofferenza e dell’amore per un figlio perduto.

Ora è chiaro: il vero peccato non è scappare dalla casa del Padre, ma non volermi fare amare nel punto dove ho

più bisogno, non accettare di essere riportato a casa da figlio.

Qui il figlio fa l’esperienza della Buona Notizia. Qui avviene la conversione evangelica.

Non è lui a decidere con la sua volontà di pentirsi e a conquistare così il perdono ma è la presenza dell’amore del

Padre che lo ricrea, lo fa rinascere.

Le braccia aperte del Padre, che la paura avevano deformato in due mani soffocanti e opprimenti, ora diventano

quello che in realtà sono: due braccia aperte, che implorano di essere accolte ma che sono pronte anche ad

aspettarsi il mio rifiuto.

Ora disse il figlio a lui: Padre, ho peccato verso il cielo e al tuo cospetto; non sono più degno di essere chiamato

tuo figlio. Ma a che servono queste parole, preparate come un discorsetto? Rispetto alla dolcezza di questo

abbraccio che viene prima e indipendentemente dal nostro mostrarci contriti?

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Ora il padre disse ai suoi servi: “Presto portate fuori una veste, la prima, e vestitelo; e date un anello alla sua mano

e sandali ai piedi e portate il vitello, quello riempito di grano, immolatelo e, mangiando, facciamo festa, perché

costui, il figlio mio, era morto e rivive, era perduto e fu ritrovato.

Ecco la conversione evangelica: convertirmi al fatto che il Padre dà la vita e muore per me. E’ accettare che il dono

di questa vita, immeritato, mi fa entrare in una festa, nella quale gusto il mio essere rivestito da un amore fino

alla morte!

A questo punto il figlio non fa più niente ma contempla quello che gli viene fatto dal Padre. Essere rivestito, da

nudo che era, dell’amore del padre. La veste indica l’identità di figlio, la quale, anche se viene negata e infangata,

resta tale. Non dipende per nulla dal mio merito. C’è sempre agli occhi del Padre. Tutto ciò che era stato dal figlio

dilapidato gli viene ridonato. E l’anello. E poi i sandali: lo schiavo non porta sandali.

E portate il vitello, quello riempito di grano, immolatelo e, mangiando, facciamo festa: questa festa non è il lieto

fine di un film. È vittoria della vita sulla morte, è risurrezione! E noi siamo invitati a gioirne nel profondo del cuore,

per un peccatore che si pente e non ad arrabbiarci e a fare gli offesi come ha fatto il fratello maggiore.

Riflessione:

1) Se il peccatore (figlio prodigo) è trattato in quel modo (perdono, misericordia, festa…) a che serve essere giusti,

buoni, fedeli, praticanti?

2) A che serve lavorare nella vigna del Signore fin dalla prima ora (cioè a che serve essere sempre cristiani buoni

e fedeli fin da sempre) se poi alla fine della vita, si riceve lo stesso premio (o la stessa paga, cioè il Paradiso!) di chi

si è convertito all’ultimo momento?

(vedi per es. il buon ladrone, crocifisso con Gesú: “oggi sarai con me in Paradiso!”)

A proposito dei due fratelli della parabola: il loro comportamento é diverso: uno va via e l’altro resta, ma tutti e

due hanno la stessa concezione di lui, tutti e due hanno un’idea sbagliata del Padre, lo considerano come un

“padrone” e loro si considerano come dei SERVI.

3) Secondo voi, Dio ha fallito nella sua educazione? Non è riuscito a far comprendere ai propri figli che li amava?

Non è riuscito a comunicare loro il proprio amore?

E noi capiamo il suo grande amore verso ciascuno di noi? Ci consideriamo anche noi come dei servi verso Dio, per

cui ci pesa essere buoni, fedeli, onesti, morali, misericordiosi?

4) Il Padre vuol fare capire a tutti che un peccatore che si converte, in qualsiasi momento della sua vita, e che

viene accolto con amore e con una festa nella famiglia di Dio non è un estraneo ma un fratello, un membro della

stessa famiglia di Dio: lo capiamo noi? E perché, allora, certi modi di pensare, di criticare, di giudicare, di

condannare, di non

essere d’accordo con Dio?

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SESTO INCONTRO "IL FIGLIO MAGGIORE SI COMPORTA COME LA

FOLLA DI ZACCHEO"

Non c'è folla che tenga... l'amore ti abbraccia anche se fanno di tutto per tenerti

lontano.

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Commento alla parabola: Il fratello maggiore

Questa parabola Gesù la sta raccontando a dei fratelli maggiori. Sono i giusti, i buoni, le persone perbene, le quali,

proprio perché si sentono buone e perché ritengono di stare nel giusto (Lc 18,9). La Buona Notizia raccontata dalla

Parabola rappresenta per questi fratelli maggiori una ‘porta stretta’ nella quale essi faticano ad entrare, proprio

perché sono gonfi d’orgoglio. Anzi è impossibile che essi entrino. L’unico modo per entrare è che essi,

riconoscendo di non potersi salvare da soli, accettino di farsi salvare: così diventano piccoli, umili ed entrano nel

banchetto del Regno.

E cominciarono a far festa.

“Ora il suo figlio, il più vecchio, era in campagna. E quando, venendo, si avvicinò alla casa, udì sinfonie e danze. E,

richiamato uno dei servi, s'informava che mai fosse ciò. Ora egli disse a lui: iI tuo fratello venne e tuo padre

sacrificò il vitello riempito di grano perché sano lo riprese”.

Questa festa, questa gioia e questa musica sono una mazzata per il figlio maggiore. Il minore ha scelto di ribellarsi

ad un padre ritenuto “severo e dispotico”; il maggiore invece ha spalle forti e resiste. Ma in questo modo emerge

che per il maggiore, essere figlio non è una festa e una gioia, ma una condanna a morte. Egli è fedele al Padre

perché si aspetta che il padre premi la sua fedeltà, premi la sua obbedienza e che punisca coloro che non sono

come loro, fedeli e ubbidienti. Ma quando egli viene a sapere e si accorge che il fratello, non solo è stato accolto

ma che vi sono anche canti, balli e festa per questo cattivo e disgraziato, allora scoppia. Ferito nell’orgoglio, si

sente preso in giro da suo padre, si sente non voluto bene.

Ora si adirò e non voleva entrare. Ora il padre suo, uscito, lo consolava. Ora, rispondendo, disse a suo padre: Ecco,

da così tanti anni ti sono schiavo e non trasgredii mai un tuo ordine; e a me non desti mai un capretto perché

facessi festa con i miei amici. Ma ora quando venne il figlio tuo, costui, che divorò la tua vita con le meretrici,

immolasti per lui il vitello riempito di grano.

Anche il figlio maggiore sente il padre come un Padre cattivo, crudele, oppressore, avaro. E allora che fa?

Diversamente dal fratello minore che aveva scelto la strada di liberarsi di un padre così, andando via di casa, egli

si difende da lui decidendo di attuare la strategia del dovere: tenerselo buono attraverso una vita fatta di sudore

senza gioia. Senza un capretto, senza gusto e colore. E’ chiaro quindi che esploda di rabbia nel vedere il

trattamento riservato al fratello.

Immaginiamolo in questa lamentela: “Un capretto. Una carezza, un sorriso. Questo ti ho sempre chiesto. Speravo

che me lo dessi, come ricompensa del mio servirti sempre, del mio stare al tuo gioco, del mio esserti fedele. Ma

tu niente. Ho bisogno di sapere che sei orgoglioso di me". Ma questo padre evidentemente, oltre ad essere avaro,

è anche lunatico. Tutto dipende dalle sue lune, dall’umore del momento. Ora il sentire le danze e le musiche

dedicate al suo figlio delinquente e scialacquatore è per me un affronto insopportabile.

Ai delinquenti le cose vanno sempre bene, a me che sono buono, devoto, fedele, vanno sempre male. Ma dico,

mi avete preso per fesso? Ma, andate a quel paese, tutti quanti. Tu padre, per primo. Questa cosa che mi hai fatto

è una pugnalata alle spalle.

Prima mi hai rovinato la vita con i tuoi opprimenti comandamenti, adesso me la uccidi, accogliendo questo buono

a nulla. Se io avessi avuto solo la metà dei suoi soldi, adesso sarei ritornato con il capitale raddoppiato. Avrei fatto

fruttare questo patrimonio, saresti stato fiero di me. E invece questo tuo figlio, non solo non è stato in grado di

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investirli, ma è anche pieno di debiti. E tu osi fare finta di niente? Come se nulla fosse accaduto? Sorvoli. O forse

hai bisogno del vino e del buon cibo per dimenticare che razza di padre sei e che razza di figlio ti ritrovi.

Ora dubito della tua lucidità mentale. Probabilmente hai qualche rotella che non va più. E che succederebbe se

anch’io facessi come lui? Tu vuoi più bene a lui che a me. Ma non ti fai scrupolo di cosa passi dentro il mio cuore.

Sì, hai salvato un figlio perduto. Ma ne hai perduto uno già salvato. Bell’idea di giustizia che hai. Allora le

alternative sono due: o non ti rendi conto ritrovando lui stai perdendo me oppure devo concludere che a me non

ci tieni nemmeno un po’. Che rispondi?

Le parole del figlio maggiore le sentiamo profondamente vere; ma non è diverso da suo fratello: ha la stessa sua

idea: quella di un Padre che ama i figli solo se lo meritano. Deve ancora sperimentare che l’amore del Padre verso

i figli non è legato al loro lavoro, alla loro bontà, alla loro perfezione. L’amore che cerca, ce l’ha gratis, sempre. A

portata di mano. Deve capire che l’amore non si compra e non si vende, perché è dono.

Ora egli disse a lui: Figlio, tu sei sempre con me e tutte le cose mie sono tue. Ora bisognava far festa e gioire

perché il fratello tuo, era morto e visse.

Immaginiamo ora la risposta del padre con queste parole: “Figlio, sono contento di te. Di quello che sei da sempre,

fin da quando ti ho tenuto in braccio per la prima volta. Il giorno che hai imparato a pronunciare il mio nome sulla

tua bocca. I miei occhi brillano ora come allora, quando ti vedo. Coraggio aggrediscimi, picchia duro, dimmi tutto

quello che ti fa star male. Non perché io sia un padre ingiusto, non perché tu abbia ragione, ma perché è solo in

questa sincerità che ci potrà essere uno spiraglio di relazione tra me e te. Credi che io sia stupido? Che non capisca

fino in fondo tuo fratello? Sono già morto per lui, il giorno che partì. Ed oggi però mi sento rivivere perché è

successo un miracolo: lui è vivo. Devi capire che un Padre non decide di amare od odiare: ama e basta. L’amore

e l’odio, l’accoglienza o il rifiuto non dipendono da quello che voi fate ma da ciò che io sento per voi. Sì, sono un

buono a nulla, non son capace di cambiare il mio amore in odio. Nemmeno se mi uccidete.

E allora io ti dico: entra nel banchetto della vita, non farti scrupoli. In questo banchetto festeggiamo un figlio

morto e ritrovato. Ma questo figlio sei anche tu. Guai se pensassi che questo banchetto è per la celebrazione della

tua bontá, della tua fedeltá o della tua giustizia, perché io ogni giorno celebro una festa per tutti voi, giusti o

ingiusti, pentiti o non pentiti. Il dramma è che in questa festa tu non vuoi entrare. Te la sto offrendo la gioia del

banchetto.

Forza, figlio, il mio cuore freme affinché anche tu ritorni. Sì, non sei mai scappato lontano, ma anche tu nel cuore

sei distante da me. Mi credi un padre ingiusto che fa preferenze. Non è cosí! Fidati! Te ne prego, entra con noi.

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SETTIMO INCONTRO: UNA PREGHIERA SPECIALE, IL PADRE NOSTRO

(Lc 23, 39-43)

Il bene si avvera. Il figlio minore torna a casa del Padre e c’è una domanda che

rimane aperta, indirizzata al figlio maggiore di ritorno dai campi: “E tu… cosa

decidi di fare? Entri o te ne resti fuori?”.

Materiale: doc / pdf

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OTTAVO INCONTRO "IL COMANDAMENTO PIU' IMPORTANTE"

Caro Zaccheo, ma cosa centro io, bambino di Mirano con tutta questa tua storia

che mi hai raccontato? Io non sono mica cattivo, sono buono!

Certo che centri: "Il comandamento più importante sai qual è?" (Mt 22,36-40)

Così Zaccheo ha iniziato a voler bene davvero...

Materiale: doc / pdf

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Avviso genitori (Giornata dei genitori e prima Confessione)

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NONO INCONTRO "LA CONFESSIONE"

Anche a casa mia voglio far festa, voglio diventare come una casa accogliente per

tutti i miei amici ... anzi ti dirò di più, sarò accogliente anche verso quelli che sono

miei nemici.

"in verità io ti dico: oggi sarai con me in paradiso"

(Lc 23,32-43)

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DECIMO INCONTRO: LA FESTA DEL PERDONO

(Lc 23, 39-43)

Oggi sono invitato con tutta la mia famiglia ad una grande festa. Gesù oggi

riempie il nostro cuore di pace e lo libera dall'egoismo.

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UNDICESIMO INCONTRO: GENERAZIONE DI PERDONATI

(Brano di riferimento Lc 5, 17-26)

Ne è valsa la pena però. Non c’era modo di entrare in casa altrimenti.

C’era così tanta folla che bloccava la porta d’ingresso che in un attimo

ti abbiamo issato sul tetto, abbiamo fatto con una incredibile

precisione un buco proprio nella stanza dove si trovava Gesù e poi ti

abbiamo calato giù! Spettacolare!

Anche Gesù si è stupito della vostra impresa e sarà stato proprio per quello che mi ha guarito!

Materiale: doc / pdf

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DODICESIMO: GENERAZIONE DI PERDONATI

(Lc 22, 54-62)

Quella la sveglia che è suonata aveva la forma di un Gallo! Si proprio così, un gallo,

che ha cantato talmente forte che mi ha ricordato tutto! Soprattutto una cosa: Che

Gesù mi vuole bene! Che lui è mio amico e mi ha chiamato per nome!

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TREDICESIMO INCONTRO: GENERAZIONE DI PERDONATI

(Brano di riferimento Lc 7,36-50)

Lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono

perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al

quale si perdona poco, ama poco.

Materiale: doc / pdf

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