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SCIENZA POLITICA 5 Fabio Serricchio Perché gli italiani diventano euroscettici Gli italiani si stanno progressivamente allontanando dall’Europa. Un tempo annoverati tra i più europeisti, mostrano oggi crescenti segnali di insofferenza nei confronti dell’Unione Europea, che solo fino a pochi anni addietro vedevano con grande favore, in termini economici e politici, anche in una logica di scambio. Sul perché questo sia accaduto il dibattito è aperto. Questo studio contribuisce alla discussione, proponendo alcune chiavi interpretative che vanno oltre la considerazione della semplice avversione alla moneta unica e ai vincoli, sia pure stringenti, che l’Europa impone alle decisioni e dunque all’azione politica dei governi nazionali. E così, sulla scorta degli atteggiamenti euroscettici delle élites, si prospettano tra i cittadini timori identitari che, con l’inevitabile riduzione degli aiuti comunitari, effetto dell’allargamento dell’Europa a est, potrebbero aver decretato la cessazione del patto tacito su cui si è retta fino ad oggi la relazione tra gli italiani e l’Europa. Fabio Serricchio, nato a Isernia, ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza Politica, Politica Comparata e Europea, organizzato dal Centro Interdipartimentale per la Ricerca sul Cambiamento Politico (Circap) presso l’Università di Siena, dove ha poi svolto attività di ricerca. Insegna Organizzazione Politica Europea presso l’Università del Molise. 14,00 Fabio Serricchio Perché gli italiani diventano euroscettici

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Scienza Politica5

Fabio Serricchio

Perché gli italiani diventanoeuroscettici

Gli italiani si stanno progressivamente allontanando dall’Europa. Un tempo annoverati tra i più europeisti, mostrano oggi crescenti segnali di insofferenza nei confronti dell’Unione Europea, che solo fino a pochi anni addietro vedevano con grande favore, in termini economici e politici, anche in una logica di scambio.Sul perché questo sia accaduto il dibattito è aperto. Questo studio contribuisce alla discussione, proponendo alcune chiavi interpretative che vanno oltre la considerazione della semplice avversione alla moneta unica e ai vincoli, sia pure stringenti, che l’Europa impone alle decisioni e dunque all’azione politica dei governi nazionali. E così, sulla scorta degli atteggiamenti euroscettici delle élites, si prospettano tra i cittadini timori identitari che, con l’inevitabile riduzione degli aiuti comunitari, effetto dell’allargamento dell’Europa a est, potrebbero aver decretato la cessazione del patto tacito su cui si è retta fino ad oggi la relazione tra gli italiani e l’Europa.

Fabio Serricchio, nato a Isernia, ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza Politica, Politica Comparata e Europea, organizzato dal Centro Interdipartimentale per la Ricerca sul Cambiamento Politico (Circap) presso l’Università di Siena, dove ha poi svolto attività di ricerca. Insegna Organizzazione Politica Europea presso l’Università del Molise.

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Fabio Serricchio

Perché gli italiani diventano euroscettici

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CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa

Serricchio, FabioPerché gli italiani diventano euroscettici / Fabio Serricchio. - Pisa : Plus-Pisa university press, c2011. – (Scienza politica ; 5)

306.094 (21.)1. Europa – Unificazione – Aspetti socio-culturali

© Copyright 2011 by Edizioni Plus - Pisa University PressLungarno Pacinotti, 4356126 PisaTel. 050 2212056 – Fax 050 [email protected]

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ISBN 978-88-8492-815-3

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org

Collana di Scienza PoliticaDipartimento di Scienze Poltiche e Sociali dell’Università di Pisa

DirettoreLuciano Bardi

Comitato ScientificoMaurizio Cotta, Università di SienaRoberto D’Alimonte, Università di FirenzePierangelo Isernia, Università di SienaLeonardo Morlino, Istituto di Scienze Umane, FirenzeAlberto Vannucci, Università di Pisa

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INDICE

PREFAZIONE 7

CAPITOLO UNOPerché studiare l’identità europea 9

1.1 Opinione pubblica e teorie dell’integrazione europea 10

1.2 Cittadini e orientamenti verso i sistemi politici:il framework teorico 15

1.3 L’Italia come caso di studio 18

1.4 Disegno della ricerca, metodologia e dati 24

CAPITOLO DUEI cittadini e l’Europa:cos’è l’europeismo e cosa lo favorisce 29

Introduzione: le molteplici declinazionidell’europeismo e le possibili fonti 29

2.1 L’Identità europea 30

2.2 Nazionalismo e identità nazionale:prospettive macro e micro-sociologiche 36

2.3 L’identità europea e il suo contenuto 40

2.4 La questione delle identità multiple:coesistenza o competizione? 44

2.5 La concettualizzazione e la misurazionedell’identità europea nella letteratura 46

2.6 Il political support per l’integrazione europea:Easton e oltre 52

2.7 Identità, sostegno e senso di comunità 60

2.8 I fattori che promuovono i sentimenti europeisti.I primi tentativi di spiegazione: permissive consensuse teoria funzionalista 62

2.9 I cittadini e l’Europa. I fattori hard:i modelli economico-utilitaristici.Quando prevale il calcolo razionale 66

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2.10. I cittadini e l’Europa. Gli orientamentinon-utilitaristici, ossia i fattori soft:cognitive mobilization e identità nazionale 67

2.11. I cittadini e l’Europa. Gli altri orientamentinon-utilitaristici, ossia i fattori soft/2: le motivazioni politiche.Scorciatoie cognitive e fiducia per il sistema domestico 70

2.12 Le fonti dell’europeismo in Italia 73

2.13 Un riepilogo e un tentativo di operazionalizzazione:le possibili determinanti dell’identità europea 74

CAPITOLO TREGli italiani e l’Europa. Trends, profili, determinantie significato dell’identificazione 79

Introduzione 79

3.1 La misurazione dell’identità europea 80

3.2 L’identità europea nel tempo:l’Italia in prospettiva comparata 81

3.3 Gli italiani e l’Europa: la distribuzionedell’identità europea per profili socio-demografici 86

3.4 L’identità europea e l’arena politica nazionale:il ruolo della cultura politica e dei partiticome fornitori di cues 88

3.5 Un tentativo di mappare la posizionedei partiti italiani sui temi europei 93

3.6 Le determinanti dell’identità europeatra i cittadini italiani 96

3.7 Cosa significa essere europei?Il significato dell’attaccamento all’Europa 107

3.8 Il contenuto delle identità nazionale e europea 111

Conclusioni 122

CAPITOLO QUATTROLe conseguenze dell’identificazione con l’Europa:sostegno e comportamento di voto 127

Introduzione 127

4.1 Il sostegno per il progetto di integrazione europeacome conseguenza dell’identità europea 127

4.2 Il ruolo dell’identità europea nella spiegazionedella partecipazione alle elezioni per il Parlamento europeo 133

4.3 Il voto europeo: second order,mid-term o genuinamente europeo? 140

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4.4 La spiegazione del voto europeo: dati e ipotesi 143

4.5 Identità, sostegno e voto: quali le relazioni tra i concetti?Una proposta per un modello esplicativo complessivo 145

CONCLUSIONISe la crisi dell’Europa è una crisi di identità 149

APPENDICI

1) Informazioni sulle variabili utilizzate 159

2) Lista delle inchieste utilizzate 171

BIBLIOGRAFIA 173

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Prefazione

La ricerca presentata in questo studio è frutto di un percorso, non certo concluso, avviato durante le prime fasi del mio lungo e proficuo periodo senese. Luogo in cui ho avuto il privilegio di lavorare, trovando un ambiente professionale e stimolante. Si intuisce come il debito che abbia contratto con i senesi, così come mi piace chiamare le numerose persone con cui, a vario titolo e in momenti diversi, ho interagito e da cui ho sempre ri-cevuto fertili stimoli intellettuali, sia decisamente rilevante.

Nel periodo senese, gli anni del progetto IntUne sono stati senza ombra di dubbio i più intensi e prolifici. Dei contenuti e dei risultati del progetto si dice di più nel testo, qui voglio sot-tolineare come IntUne rivesta per questo studio un’importanza che va al di là dell’aspetto scientifico: la partecipazione a tutte le fasi dell’attività del gruppo Opinione Pubblica (Mass), coor-dinato da Paolo Bellucci dell’Università di Siena, dalla reda-zione del questionario alla fase di cleaning dei dati all’analisi dei dati stessi, dalla partecipazione attiva ai vari meetings pro-grammati per la discussione dei risultati preliminari, ha costitui-to per me, oltre che un’avventura umana particolarmente esal-tante, anche un’occasione unica di crescita e maturazione pro-fessionale, discussione, critica sempre costruttiva e confronto, anche e soprattutto grazie alla competenza e all’altruismo dei componenti quel gruppo di ricerca.

Gli inevitabili ringraziamenti, non certo di circostanza, van-no a Paolo Bellucci, per me molto più di un maestro, che ha a-vuto un particolare ruolo proprio nella fase di concepimento di questo saggio, in virtù dell’opera di stimolo che ha svolto nei miei confronti, spronandomi a dare finalmente uno sbocco alle ricerche. Ha, peraltro, più volte letto il testo, durante la sua ste-sura, indirizzandomi su un percorso meno impervio; all’amico e collega Gianluca Passarelli con il quale, fin dai tempi del dotto-rato a Siena, è cominciata, insieme con una collaborazione pro-fessionale, una sincera amicizia, che ha accettato di leggere il manoscritto, fornendomi spunti di riflessione e segnalandomi errori e omissioni; al professor Luciano Bardi, i cui consigli

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hanno reso questo lavoro più completo e meglio organizzato; alle tante persone, colleghi e studenti, con cui ho discusso dei temi del libro e che hanno, direttamente o indirettamente, con-tributo a chiarire alcuni aspetti. Ovviamente resto il solo responsabile degli immancabili errori.

Per chiudere un pensiero a quel grande progetto (o sogno?) di un’Europa unita. Questo libro è stato scritto, nella sua ver-sione finale, durante i turbolenti mesi della crisi finanziaria che ha messo in discussione l’esistenza stessa dell’Europa. Eventi che hanno rafforzato la convinzione, peraltro già piuttosto dif-fusa, che senza un’anima, senza quella identità di cui nel testo si parla ampiamente, l’Europa rischia di restare per sempre un progetto debole.

Questo libro è dedicato a Lia, mia figlia, cui auguro un futu-ro in una società più aperta. In un certo senso, più europea.

Isernia, Giugno 2011

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CAPITOLO PRIMO

PERCHÉ STUDIARE L’IDENTITÀ EUROPEA

Questo libro parla di italiani e di Europa. Analizza i rapporti che intercorrono tra i cittadini di uno dei Paesi fondatori della Comunità europea e l’Europa. È una storia di rapporti che mu-tano perché gli italiani, da sempre tra i più entusiasti sostenitori del progetto di costruzione dell’Europa unita, hanno cambiato atteggiamento. E guardano all’Europa, al progetto che ne com-porta l’integrazione, con maggiore scetticismo rispetto al passa-to, anche recente. Questo studio spiega le ragioni, senza avere la pretesa o la presunzione di fornire ricette e interpretazioni in-fallibili, ma piuttosto fornendo letture e spunti per il dibattito scientifico e per decisori e attori politici. E lo fa inquadrando, prima di tutto, il percorso proposto nell’ambito di un frame-work teorico piuttosto consolidato, che osserva l’Europa dalla prospettiva dei cittadini.

La costruzione dell’Europa, ideata almeno teoricamente come un progetto di integrazione a tutto tondo, si caratterizza nella prima fase unicamente con l’integrazione economica. So-lo successivamente, a partire dall’Atto Unico Europeo (1986) e ancora di più con il trattato di Maastricht (1992), il processo in-veste direttamente anche gli aspetti politici.

L’integrazione europea è senza dubbio un processo guidato dalle élites, che tuttavia riguarda in prima persona i cittadini, li investe. Per lungo tempo l’opinione pubblica – però – non è stata considerata un attore rilevante nel processo di unificazio-ne. Le grandi teorie che hanno spiegato il processo di integra-zione hanno per lo più sottolineato il ruolo degli Stati membri, individuando nelle élites, politiche ed economiche, il motore del processo, trascurando il punto di vista dei cittadini, salvo poi tentare un recupero in anni recenti. Vale la pena, allora, ri-percorrere, in rapida sintesi, le principali teorie che interpretano l’integrazione europea.

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1.1. Opinione pubblica e teorie dell’integrazione europea

Tra i nuovi attori apparsi sulla scena internazionale dopo la crisi dello Stato o la sua dissoluzione, che per taluni è stata solo parziale (Scartezzini 2000), il processo di integrazione che a partire dall’immediato secondo dopoguerra ha interessato l’Europa occidentale, portando alla costituzione prima della Comunità Economica Europea prima e poi dell’Unione Euro-pea, è sicuramente tra quelli che ha attirato le attenzioni mag-giori. Un nuovo soggetto, per molti versi originali e senza im-mediati termini di paragone, si affaccia sulla scena politica in-ternazionale, richiamando così l’attenzione degli studiosi, alla ricerca di una definizione e di una “casella” in cui collocare il nuovo organismo.

A lungo il processo di integrazione dell’Europa occidentale è stato oggetto di studio di quella branca della Scienza Politica che si occupa di relazioni internazionali. E così, secondo gli studiosi che si rifanno a questa tradizione, i soggetti che nasco-no da accordi tra Stati possono essere di due tipi, sopranaziona-le e internazionale, con l’accento posto su questo secondo attri-buto. L’organismo sopranazionale, capace di imporre regola-menti e norme agli stessi Stati membri, benché nasca dalla vo-lontà degli Stati nazionali, per molti aspetti ne comporta un su-peramento. Il soggetto definito semplicemente internazionale non ha invece questa prerogativa in quanto nasce da accordi in-ternazionali in cui il protagonista resta fondamentalmente lo Stato.

I passaggi salienti dell’integrazione europea inducono altri a pensare che l’Unione Europea appartenga piuttosto al primo ti-po, benché non manchi chi rilevi come il suo potere regolativo non sia tale in tutti gli ambiti di intervento (vedi Menon et al. 1992). Questo dibattito ha reso l’oggetto di studio particolar-mente interessante, con gli studiosi impegnati a definire la “na-tura dell’animale” e, più in generale, a declinare il significato del termine integrazione nell’ottica europeista.

Integrazione è, infatti, un termine e insieme un concetto che può assumere diversi significati: per taluni è una sorta di punto di arrivo, il prodotto della fusione di più unità (Haas 1971). Al-tri lo considerano più un processo e evidenziano le fitte transa-zioni tra le parti che avvengono durante il percorso (Deutsch et al. 1957). Per Inkeles (1975), integrazione è una condizione in

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cui le unità che in precedenza erano autonome cedono funzioni vitali ad un’altra unità, più estesa, ma mantengono altre funzio-ni vitali (1975:471). In ogni caso, l’integrazione comporta un certo livello di associazione tra gli attori (Keohane e Nye 1975) che investe tre dimensioni: economica, sociale e politica (Nye 1971).

Diversi autori si sono confrontati sui modi in cui può avve-nire l’integrazione: in sintesi, le tre teorie maggiormente rile-vanti che la spiegano sono quella della comunità di sicurezza di Deutsch (Deutsch et al. 1957), la neo-funzionalista elaborata da Haas (1971) e Schmitter (1971) e la teoria dell’unificazione po-litica di Etzioni (1969)1.

La visione di Deutsch, elaborata peraltro con riferimento a esperienze del passato, presenta tratti di indubbio interesse per lo studio del processo di integrazione europea, poiché indica al-cune condizioni indispensabili per lo sviluppo di una comunità di sicurezza, che l’autore classifica in pluralistiche (dove non necessariamente emerge un sistema o unità centrale) e amal-gamate (dove invece un’unità centrale è costituita). Alla base delle comunità, comunque definite, c’è il rifiuto dell’uso della forza che è una condizione di partenza, necessaria ma non suf-ficiente. Sono altri, infatti, gli elementi che Deutsch indica co-me indispensabili perché una nuova comunità amalgamata pos-sa svilupparsi. Tra queste, l’esistenza di una mutual responsi-veness e di una comunanza di valori (ad esempio, le ideologie politiche) tra i membri. Ma la lista di condizioni per l’effettiva formazione di una comunità di sicurezza amalgamata, quale in definitiva è l’Europa, nella visione dello studioso tedesco, è piuttosto articolata e conta vari punti: oltre ai due già citati, Deutsch annovera anche lo stile di vita comune, l’esistenza di aspettative positive circa i vantaggi derivanti dal processo di in-tegrazione, una fitta rete di comunicazioni e transazioni, la pre-senza di solidi legami tra i gruppi sociali più importanti, un’elevata mobilità geografica delle persone.

Da un diverso angolo visuale, la teoria neo-funzionalista, e-laborata soprattutto da Haas mediante l’osservazione diretta di

1 Non è questa la sede per discutere nei dettagli le teorie descritte, per le quali si rimanda a Sinnot (1995) e a Scartezzini (2000b).

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un’esperienza contemporanea, la stessa Comunità Economica Europea, spiega l’integrazione in maniera quasi meccanica. Il nucleo del neo-funzionalismo ruota intorno al concetto di spil-lover secondo cui l’integrazione, avviata intorno a materie o settori di intervento circoscritti e specifici (la Ceca si occupava solo della regolazione del mercato di carbone e acciaio), si è poi allargata ad altri settori funzionali a questa (l’energia ato-mica e l’Euratom, quindi le tariffe doganali, la circolazione dei capitali e così via). Insomma gli attori, che in questa analisi so-no gli Stati, si muovono in base ad un calcolo strumentale ed egoistico, dando vita, a piccoli passi e in maniera non pianifica-ta, a situazioni che via via costituiscono un’unità centrale, deri-vante dunque da comportamenti non necessariamente intenzio-nali e risultante da un processo poco governato o governabile.

Questa lettura dell’integrazione europea è stata messa in for-te discussione, perché ignora la volontà politica e affida a un meccanismo di causa-effetto il processo di unificazione; si limi-ta a ipotizzare, cioè, un percorso continuo che dall’integrazione funzionale, economica, arriva – per necessità – all’integrazione politica. La proposta di Etzioni (1969) enfatizza viceversa l’aspetto volontaristico, sottolineando il ruolo delle élites nel compimento dell’integrazione o unificazione politica. Etzioni, come i neo-funzionalisti, scorge una gradualità nel processo ma al contrario di questi non ignora il ruolo della volontà politica, affidato appunto alle decisioni adottate dalle élites.

La critica più forte al neo-funzionalismo arriva però dai teo-rici dell’intergovernativismo (Hoffman 1966; 1982; Taylor 1982), soprattutto nella lettura che ne fornisce Moravcsik, chiamata del liberal-intergovernmentalism (1993; 1998). Come in Etzioni, questa prospettiva enfatizza il ruolo dei governi na-zionali nella costruzione dell’Europa e pone l’accento sulla vo-lontarietà e sulla progettualità, vale a dire sull’intenzionalità dell’azione politica, orientata da una visione liberale. In questa lettura, però, il ruolo dei cittadini è marginale e così, implicita-mente, i temi del sostegno e soprattutto dell’identità europea sono negletti.

Un altro filone è costituito dagli studi di Pierson, definiti dell’istituzionalismo storico (Pierson 1996, 2000; Sandholtz e Stone Sweet 1997) che interpreta l’integrazione europea come un processo a tre stadi in cui gli attori, fondamentalmente i go-verni degli Stati membri, agiscono in base alle preferenze del

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momento. Al primo stadio gli stessi attori non sono in grado di conoscere le preferenze future e così il processo assume caratte-ristiche poco deterministiche.

Nonostante le critiche, il neo-funzionalismo ha svolto un ruolo di primo piano e di particolare influenza negli studi in tema di integrazione europea, compresi quelli che hanno inda-gato i meccanismi di formazione dell’identità. E non c’è dubbio che il suo potere esplicativo sia stato particolarmente elevato, almeno fino alle prime battute d’arresto del processo di integra-zione dell’Europa occidentale, avvenute negli anni ’60.

Questa disamina delle teorie maggiormente rilevanti nello studio dell’integrazione europea mostra l’assenza di un attore, invece decisivo, in questo processo: l’opinione pubblica, cioè i cittadini. Per la verità, in alcune riflessioni di Haas (1971) il ruolo dell’opinione pubblica è considerato, ma è soprattutto nella rivisitazione della teoria funzionalista operata da Nye che il ruolo dei cittadini è esplicitamente richiamato: come già illu-strato, Nye immagina l’integrazione articolata in tre dimensio-ni, economica, sociale e politica, a loro volta distinte in alcune sotto-dimensioni. Nel considerare quella politica, che qui inte-ressa più da vicino, Nye chiama direttamente in causa i cittadi-ni, riferendosi agli orientamenti di questi (1971: 24-48).

Dalla fine degli anni ’60 le teorie dell’integrazione, in defi-nitiva, riconsiderano il ruolo dell’opinione pubblica nel proces-so di costruzione dell’Europa (Sinnott 1995), anche se i primi passi assegnano ai cittadini un ruolo marginale: è questa la fase del permissive consensus (Lindbergh e Scheingold 1970) che i due autori definiscono in questo modo:

«Positive indicator simply suggest to us that policy makers can proba-bly move in an integrative direction without significant opposition (…) conversely significant opposition and persistent social cleavage do not necessarily mean that integrative steps cannot be taken, but ra-ther that the opportunities for blocking them are greater. Once again, than, we are discussing the problem o the hostile or congenial context as constraining or facilitating but not determining the growth of Community system» (Lindbergh e Scheingold 1970: 41-42).

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La riflessione di Inglehart (1977) individua invece un ruolo de-cisamente più attivo per l’opinione pubblica, in quanto suggeri-sce di considerare tre categorie di orientamenti. In primo luogo le abilità, che derivano dalla cognitive mobilization2 e consen-tono di distinguere i cittadini estranei dagli inerti e dai parteci-panti consapevoli; successivamente, i loro orientamenti di valo-re, e infine i fattori macro-strutturali, cioè di contesto.

Questo studio, condividendo il paradigma comportamenti-sta, studia l’integrazione europea assumendo il punto di vista dell’opinione pubblica. In particolare, focalizza l’analisi sugli orientamenti dei cittadini nei confronti dell’Unione Europea in quanto sistema politico e che è il risultato – certamente non de-finitivo – di un processo lungo e articolato.

Per entrare più nei dettagli, questo saggio approfondisce la natura dell’europeismo degli italiani, indagandone le fonti.

Quando si parla di europeismo bisogna naturalmente inten-dersi su cosa questo significhi e su come lo si misura. Tuttavia in letteratura i rapporti teorici, concettuali ed empirici tra le va-rie forme che possono assumere gli orientamenti nei confronti del sistema sopranazionale non sono quasi mai approfondite: ne consegue una sorta di sovrapposizione, ad esempio, tra il soste-gno e l’identità, ma anche tra l’identità e il senso di comunità.

Identità e sostegno non sono, tuttavia, i soli possibili tipi di orientamento; né il richiamo alla definizione generale di Europa può servire a inquadrare da vicino il problema, perché troppo ampia. In definitiva, si tratta di comprendere da un lato quali sono i modi in cui i cittadini guardano all’Europa – e come questi orientamenti si articolino – mentre dall’altro è indispen-sabile chiarire quale sia l’oggetto di studio, chiarire cioè cosa si intende per Europa, se ci si riferisce a un’entità puramente geo-grafica, piuttosto che geo-politica o, ancora, culturale. O invece soltanto a un sistema politico.

Il punto di partenza è l’elaborazione di una tipologia degli orientamenti che ne definisca da un lato i possibili modi. Poi, è indispensabile formulare anche una riflessione sull’oggetto-Europa.

2 Il concetto di cognitive mobilization deriva dal concetto di social mobiliza-tion di Deustch (Sinnot 1995).

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1.2. Cittadini e orientamenti verso i sistemi politici: il frame-work teorico

Il rapporto tra i cittadini e l’Europa, le relazioni che inter-corrono tra l’opinione pubblica dei paesi membri e il sistema politico sopranazionale, è piuttosto complesso. Gli orientamenti individuali verso l’Europa comprendono un range tipologico decisamente vasto che vanno dall’indifferenza al sostegno, dall’identificazione all’identità vera e propria all’orgoglio. Coinvolgono aspetti cognitivi, affettivi, valutativi (Almond e Verba 1963) e comportamentali (Niedermayer e Westle 1995). Possono essere rivolti all’intero sistema politico o solo ad alcu-ne componenti di questo (Easton 1965, 1975; Norris 1999) e sono riferibili a diverse tipologie o modi, come diffuso e speci-fico (Easton 1965) o, nella traduzione di Lindbergh e Schein-gold (1970), affettivo e utilitaristico.

La letteratura in materia di orientamenti individuali verso i sistemi politici ha avuto come oggetto principale le arene na-zionali: in questa direzione si muovono i contributi di Almond e Verba (1963; 1980) e, soprattutto, di Easton (1965). Si deve invece a Lindberg e Scheingold (1970) l’adattamento degli schemi eastoniani e, in parte, di Almond e Verba, all’analisi di quel sistema politico sovranazionale che è divenuto l’Unione Europea (Comunità Economica Europea all’epoca della rifles-sione dei due autori). In tempi più recenti, Scharpf (1999) attra-verso una rilettura dei contributi precedenti, propone una nuova concettualizzazione, introducendo due tipologie di legittimità: una orientata all’input, basata sull’identità e sul sentimento di appartenenza collettiva, l’altra all’output, cioè alle performance del sistema. Gli studi sugli orientamenti individuali verso l’Europa devono inoltre molto al progetto BIG (Beliefs in Go-vernment) e, più in particolare, al secondo volume pubblicato nell’ambito di questo progetto, curato da Niedermayer e Sinnot (1995). In Public Opinion and Internationalized Governance vengono poste le basi per molte ricerche future e si può senza dubbio affermare che i contributi di quella ricerca siano in gran parte ancora validi. In generale, dunque, il tema ha attirato l’attenzione di molti studiosi e recentemente numerosi progetti di ricerca, per lo più finanziati dalla Commissione europea nell’ambito dei vari programmi-quadro, hanno investigato i rapporti che legano i cittadini all’Europa, contribuendo alla co-

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noscenza di un fenomeno piuttosto complesso: tra questi il pro-getto Euronat e, più recentemente, il programma IntUne.

Ripercorrere le tappe principali e particolarmente rilevanti del percorso degli studi sugli orientamenti individuali verso i sistemi politici, partendo proprio dal contributo di Almond e Verba, pubblicato nel 1963, è allora piuttosto utile ai fini di questa ricerca.

The civic culture, rivisitato da Almond nel 1980, è impernia-to sul concetto di cultura politica, definita come «the particular distributions of patterns of orientations toward political objects among the member of a nation» (1963:14-15). La distinzione successiva è tra modalità e oggetti dell’orientamento: tre sono le modalità (cognitiva, affettiva e valutativa, tra di loro interre-late) mentre gli oggetti sono il sistema politico in generale, gli inputs, gli outputs, e i cittadini. La diversa combinazione di modalità e oggetti genera le celebri categorie, parochial, su-bject e participant.

L’apparato concettuale elaborato da Almond e Verba trova poi dei precisi riferimenti empirici, con la celebre inchiesta condotta in cinque nazioni.

Easton (1965;1975) a differenza di Almond e Verba non sottopone a prove empiriche il suo apparato teorico e le sue ipo-tesi, poste a un livello relativamente alto nella scala di astrazio-ne. Tuttavia, il suo contributo allo studio delle opinioni indivi-duali verso i sistemi politici occupa un posto di primissimo pia-no. Lo studioso canadese elabora la teoria del sostegno (sup-port) nell’ambito di un’analisi generale del sistema politico, dove il sostegno, insieme con le domande costituisce il versante degli inputs del sistema politico stesso. Questa proposta, speci-ficata poi da Norris (1999a) e da Dalton (1999; 2004) ha orien-tato differenti generazioni di studiosi3 e ha ispirato la riflessio-ne di Niedermayer e Westle (1995) che, rielaborando e adattan-do il concetto di support di Easton e i contributi successivi, sin-tetizzano il dibattito e individuano cinque oggetti, destinatari degli orientamenti individuali: il sistema nel suo insieme e le sue componenti principali, vale a dire la collettività politica,

3 Alla teoria eastoniana del political support, e ai suoi sviluppi, è dedicato un apposito paragrafo nel successivo capitolo.

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l’ordine politico, le autorità politiche e le policies. Gli oggetti sono poi a loro volta articolati in diversi elementi: nel caso del-la comunità politica (o collettività, che è il termine utilizzato da Niedermayer e Westle) sono considerati quello personale e quello territoriale. La motivazione di questa distinzione è piut-tosto semplice: riferendosi a una comunità sopranazionale, nel-la fattispecie l’Europa, l’unità di analisi può essere l’individuo o anche lo Stato membro in quanto per comunità politica si in-tende sia la comunità degli Stati, sia la comunità dei cittadini degli Stati membri e, contemporaneamente, europei. Gli autori considerano poi tre possibili modi per gli orientamenti, vale a dire il coinvolgimento psicologico, l’atteggiamento mirato alla valutazione, l’intenzione comportamentale (1995:50): se il pri-mo si riferisce a un atteggiamento che non ha natura valutativa e che comprende la semplice conoscenza, l’interesse, la salien-za, il secondo coincide largamente con il support, cioè con il sostegno politico, mentre il terzo è riconducibile a una serie di azioni come il voto e altre forme di partecipazione.

La sistematizzazione concettuale operata da Niedermayer e Westle rimane, a oggi, il più riuscito tentativo di inglobare in un unico quadro teorico-concettuale le diverse articolazioni in cui si dispiegano gli orientamenti individuali verso un sistema politico sopranazionale. Poggia sull’assunto che tra gli atteg-giamenti verso un sistema politico nazionale e uno sopranazio-nale (per esempio l’Europa, ma non solo) esista analogia. Essa ha inoltre il grande pregio di stabilire tra i modi dell’orientamento una relazione causale: il coinvolgimento psi-cologico precede l’atteggiamento valutativo che a sua volte precede l’intenzione comportamentale.

La figura 1.1 rappresenta schematicamente la mappa concet-tuale e costituisce un’utile guida per i contenuti del libro.

La proposta di Niedermayer e Westle costituisce – con alcu-ni adattamenti – la base concettuale per le successive analisi contenute in questo lavoro. Il primo degli adattamenti proposti consiste nel fatto che il focus di questo studio è sui cittadini e il livello di analisi è quindi individuale. Non sono considerati, cioè, i rapporti tra gli Stati e l’Unione Europea. Altri adattamenti e approfondimenti riguardano quello che Nie-dermayer e Westle chiamano coinvolgimento psicologico, alla base del meccanismo identitario, cioè l’attaccamento all’oggetto/gruppo. È particolarmente utile specificare questo

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aspetto, poiché negli autori citati non è chiaro cosa si voglia in-tendere per coinvolgimento psicologico. Nel considerarlo, si in-tegrano i contributi, fondamentali, della psicologia sociale allo studio dell’identità europea e quelli di derivazione più squisi-tamente politologica.

Pertanto questo volume pone in primo piano l’identità, che assume prima lo status di variabile dipendente (capitolo 3), quindi di variabile indipendente cioè esplicativa di altri feno-meni (capitolo 4).

Quanto all’Europa, va sgomberato subito il campo da possi-bili equivoci: l’entità cui si fa riferimento nella ricerca non esi-sterebbe senza l’esperienza, unica e per certi versi straordinaria, dell’Unione Europea; di quel processo – cioè – economico in prima battuta ma anche politico, di costruzione di istituzioni e regole comuni che, a partire dal secondo dopoguerra, ha inte-ressato inizialmente l’Europa occidentale per poi estendersi all’intero continente. E poiché l’identità europea è definibile come identità sociale, concetto che incorpora anche la defini-zione di identità politica, l’Europa è considerata non solo un si-stema politico ma anche una comunità sociale.

Coinvolgimento psicologico:

identità Valutazione: sostegno

Comportamenti: voto elezioni europee Coinvolgimento

psicologico: senso di comunità

FIG. 1.1. LA MAPPA DEGLI ORIENTAMENTI INDIVIDUALI VERSO L’EUROPA

1.3. L’Italia come caso di studio

Il volume approfondisce l’Italia, un caso di studio che pre-senta diversi spunti di specifico interesse per vari motivi, primo fra tutti il deciso di cambio di tendenza nel rapporto tra italiani e Europa. Oggi, riferendosi agli italiani, non sembra azzardato parlare in termini di crescente euroscetticismo, anche e soprat-tutto perché i risultati delle varie indagini demoscopiche forni-scono un deciso sostegno empirico a questa ipotesi.

Infatti, il livello di sostegno per il progetto di integrazione europea, misurato con l’indicatore di appartenenza, vale a dire

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la domanda che sollecita gli intervistati a dichiarare il loro giu-dizio sulla bontà dell’appartenenza della propria nazione all’Unione Europea registra, nel periodo che va dal 1992 al 2009, una flessione di oltre venti punti percentuali; esaminando l’andamento di un altro indicatore, la cosiddetta Moreno que-stion, cioè la domanda che rileva il sentimento di appartenenza all’Europa in contrapposizione all’appartenenza nazionale, nel medesimo periodo, i punti percentuali in meno sono dodici. Ancora, osservando questa volta i comportamenti, il tasso di partecipazione alle elezioni europee presenta un trend in netta discesa: oltre venti punti percentuali nell’arco temporale dei trent’anni che intercorrono tra la prima consultazione del 1979 e l’ultima del 20094. In definitiva, gli ingredienti per definire gli italiani non più come un popolo euroentusiasta-a-prescindere ci sono tutti. Non si ignora, certo, che il grado di favore con cui i cittadini guardano l’Europa registri un calo ge-neralizzato in tutto il continente che, in altre parole, la crescita dell’Euroscetticismo interessi gran parte dell’opinione pubblica dei maggiori Paesi europei, ma in Italia questo fenomeno assu-me particolari connotazioni, non tanto e non solo per essere piuttosto accentuato, in rapporto al passato più che nel confron-to con altri Paesi, ma perché si ha la percezione di un cambia-mento avvenuto piuttosto in profondità. È perciò quanto mai opportuno indagare le cause che hanno provocato questo drasti-co mutamento.

È plausibile ipotizzare che gli italiani abbiano sviluppato, nel corso degli anni, un senso non trascurabile di attaccamento alla nuova entità politico/sociale chiamata Europa, in virtù della circostanza che essa è stata considerata fonte di benefici e in-quadrata, soprattutto nel recente passato, come “portatrice” di un sistema politico più efficiente di quanto non fosse considera-to quello domestico. In altre parole, componenti politiche e uti-litariste si sono miscelate nella formazione degli orientamenti europeisti dei cittadini italiani. E se le motivazioni utilitaristi-che sono oggi affievolite dal timore di una riduzione degli aiuti

4 I dati sono illustrati e discussi nel corso della trattazione, più specificamente nel capitolo 3 con riferimento a sostegno e identità e nel capitolo 4 per i dati sul tasso di partecipazione alle elezioni europee.

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comunitari, indotta anche dall’allargamento dell’Europa ai Pae-si dell’Est, le stesse motivazioni politiche vanno approfondite e l’ipotesi che la stabilizzazione del quadro politico nazionale possa aver indebolito il desiderio di scambio con un sistema po-litico più efficiente, va tenuta in considerazione.

FIG.1.2. LA SODDISFAZIONE DEMOCRATICA NEL TEMPO

Fonte: Elaborazioni su dati IntUne per il 2007; EES per il 2009; EB per gli altri anni

Ma che vuol dire stabilizzazione del sistema politico nazio-nale? Non è compito di questo studio approfondire la discus-sione su una simile tematica ma il riferimento è alla transizione politica, se non completata, arrivata quantomeno ad uno stadio piuttosto avanzato. Tra gli effetti della legislazione elettorale post 1993, va indicata la maggiore stabilità dei governi, soprat-tutto se il termine di paragone è la turbolenta fase dei primi an-ni ’90, e se uno dei parametri di riferimento è un passato in cui la durata media di un esecutivo era di poco superiore ai dodici mesi. Questa interpretazione della stabilizzazione è indiretta-mente suggerita, tra gli altri, da Cotta e Verzichelli, i quali af-fermano che le varie riforme introdotte a partire dagli anni ’90 hanno effettivamente prodotto gabinetti più stabili, Presidenti

Italia

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1992 1993 1994 1995 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2009

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Anni

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del Consiglio più forti, maggiore coordinamento tra Ministri e ministeri, più elevata coesione delle maggioranze in Parlamento (Cotta e Verzichelli 2008:125). L’evoluzione del quadro politi-co nazionale trova, peraltro, una conferma empirica nella per-cezione dell’opinione pubblica: secondo le rilevazioni demo-scopiche, gli italiani soddisfatti del funzionamento della demo-crazia nazionale passano da un sedici per cento rilevato nel 1992 (ma era ancora più in basso, al dodici per cento solo un anno dopo) al quasi cinquanta per cento registrato nel 2009, come la figura 1.2 descrive.

Si tratta, tuttavia, di una conferma solo parziale. Se, infatti, la soddisfazione democratica dei cittadini registra un trend in-dubbiamente in crescita, altre evidenze empiriche propongono un’immagine dell’Italia sensibilmente diversa. Ad esempio, se-condo l’associazione no-profit Transparence International, che annualmente calcola il Corruption Perception Index (CPI), ba-sandosi sulla percezione dei fenomeni corruttivi nelle pubbliche amministrazioni da parte di esperti e operatori privati che inte-ragiscono con gli apparati istituzionali nelle nazioni di studio, l’Italia nel 2009 si trovava in una poco invidiabile posizione: sessantaquattresima su centottanta nazioni censite, insieme con Turchia, Arabia Saudita e Cuba, totalizzando un valore medio di 4,3 su una scala 1-10, molto indietro rispetto a quasi tutte le nazioni europee come la Spagna (6,1), il Portogallo (5,8), la Francia (6,9), la Germania (8) e l’Inghilterra (7,7). E lontanis-sima da Finlandia, Svezia e dal 9,3 totalizzato dalla Danimarca (seconda nella graduatoria generale). Tra le nazioni UE, la sola Grecia, con una valore del CPI di 3,8, si posizionava alle spalle dell’Italia.

Un esito sostanzialmente simile risulta dall’osservazione di altri indicatori, ad esempio quelli elaborati da World Bank nell’ambito del Worldwide Governance Indicators Project, che annualmente stima la posizione degli Stati nazionali conside-rando sei indicatori che includono la corruzione, l’accountability, la stabilità politica. Ebbene, in quasi tutte le graduatorie l’Italia, nel 2009, con l’eccezione di quelle relative agli indicatori che misurano la stabilità politica e l’assenza di violenza, si lascia alle spalle, tra le nazioni europee, la sola Grecia. Che la sopravanza però nella classifica relativa all’indicatore di rule of law, cioè l’equo trattamento riservato al cittadino di fronte alla legge.

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Esistono – insomma – sufficienti elementi per definire quan-tomeno controversa la questione della qualità del sistema poli-tico italiano poiché, come si è visto, dato oggettivo e percezio-ne dei cittadini non collimano.

Infine, ma non certo per importanza, tra i temi che defini-scono l’Italia come un caso interessante vi è l’attaccamento alla propria nazione, vale a dire la questione dell’identità nazionale: gli studi di alcuni psicologi sociali (Cinnirella 1997; Catellani e Milesi 1997) indicano chiaramente che attaccamento alla na-zione e all’Europa non sono in contraddizione, dunque identità nazionale ed europea possono coesistere. Bisogna aggiungere che gli italiani sono stati a lungo considerati poco attaccati alla nazione e quindi un classico caso di debole coscienza nazionale e che per taluni questo è il retaggio, persistente, di fattori storici di lungo periodo, rinvigoriti e enfatizzati poi dalla disgregazio-ne sociale, oltre che politica e militare, vissuta dopo l’8 Set-tembre del 1943 (Rusconi 1993; Galli Della Loggia 1998).

Qualunque sia la causa, il (supposto) debole livello di attac-camento alla nazione ha costituito una convincente spiegazione del forte europeismo degli italiani, in una prospettiva di scam-bio identitario. I dati provenienti dalle indagini demoscopiche in realtà smentiscono, almeno parzialmente, questa lettura: nel-la rilevazione IntUne del 2007 gli italiani che si dichiarano at-taccati alla propria nazione superano il 92 per cento degli inter-vistati. E negli anni successivi, considerando sia la rilevazione IntUne del 2009 sia gli Eurobarometro, le percentuali si con-fermano decisamente elevate.

Negli anni precedenti invece, considerando anche l’indicatore di orgoglio nazionale, contenuto in diverse inchie-ste quali World Value Survey, Issp e Eurobarometro, il dato ita-liano risulta essere in linea con quello della media dei Paesi eu-ropei: 88,3 per cento per l’Italia, 89,5 per cento per l’Europa (valore medio 1981-2009)5, con un trend crescente (figura 1.3).

5 La percentuale si riferisce alla somma di chi si ritiene molto e abbastanza orgoglioso della propria nazione. I dati provengono da varie inchieste demo-scopiche.

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FIG.1.3. L'EVOLUZIONE NEL TEMPO DELL'IDENTITÀ NAZIONALE Fonte: Elaborazioni su dati WVS per 1981 e 1991; IntUne per il 2007; EB per i restanti anni

Queste altissime percentuali potrebbero naturalmente riflet-tere la natura “banale” dell’identità nazionale, nel senso che es-sere e dichiararsi attaccato alla propria nazione può essere scon-tato, come sostiene Billig (1995). E se la sua proposta è sensata, allora l’intensità dell’attaccamento nazionale non fornisce in-formazioni dettagliate sul ruolo che il sentimento di vicinanza alla propria nazione riveste nella spiegazione dell’identità euro-pea. È allora opportuno accogliere la proposta di Segatti (2000) secondo cui l’enfasi va posta più che sull’intensità dell’attaccamento sul suo contenuto, cioè sulle dimensioni in cui si articola l’identità nazionale. L’invito è dunque di consi-derare anche le due anime dell’identificazione nazionale, vale a dire la matrice culturale e quella civica che assumono – in effet-ti – un ruolo diverso nella spiegazione dell’identità europea de-gli italiani.

Riepilogando, una possibile spiegazione del crescente euro-scetticismo degli italiani potrebbe reggersi sul seguente ragio-namento: venute meno le richieste di un sistema politico più ef-ficiente, in virtù di una certa stabilizzazione del quadro politico nazionale e con l’inevitabile riduzione degli aiuti comunitari, potrebbe essere cessato il patto tacito su cui si è retta fino ad

Italia

Europa (media)

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oggi la relazione tra gli italiani e l’Europa. Se questa adesso ar-riva a minacciare il patrimonio culturale e le tradizioni e nel contempo promette di concedere sempre meno aiuti economici, il favore con cui la si guarda potrebbe scemare. Tanto più se l’Euroscetticismo è una bandiera dei partiti che hanno ruoli ri-levanti nel governo nazionale. Sulla base di questo ragionamen-to saranno esplicitate le ipotesi da sottoporre a prova empirica.

1.4. Disegno della ricerca, metodologia e dati

L’analisi procederà come segue: dopo aver messo a fuoco il

concetto-base che costituisce la variabile dipendente, cioè l’identità europea, discutendo anche delle sue relazioni con i concetti di sostegno e di senso di comunità, viene discussa la letteratura sulle teorie che si sono avvicendate nella spiegazione dell’europeismo dei cittadini, nello specifico dell’identità euro-pea (cap. 2). Sono, quindi, analizzate le dinamiche e l’estensione dell’identità europea tra i cittadini italiani e, suc-cessivamente è proposta una spiegazione delle cause (dei pre-dittori cioè) dell’identità europea (cap. 3). Nel medesimo capi-tolo 3 si esplorano il significato e il contenuto dell’identità eu-ropea: in altre parole, cosa significa per gli italiani identificarsi con l’Europa? Cosa hanno in mente quando pensano all’Europa? E quali sono le relazioni tra il contenuto dell’identità europea e nazionale?

Nel capitolo 4 si approfondisce un tema che la letteratura ha sostanzialmente trascurato, quello delle conseguenze dell’identificazione con l’Europa. Si esamina cioè l’impatto dell’identità europea, vale a dire dell’orientamento psicologico, sugli orientamenti valutativi (sostegno) e comportamentali (comportamento di voto). In questo ultimo capitolo, quindi, l’identità europea assume lo status di variabile indipendente, esplicativa di altri fenomeni.

Le conclusioni riassumono i principali risultati raggiunti con questa ricerca e indicano possibili sviluppi futuri.

Questo studio è basato su dati provenienti da diverse fonti; le varie inchieste Eurobarometro, condotte ogni sei mesi dalla Commissione europea con lo scopo principale di interrogare i cittadini sui loro orientamenti nei confronti dell’Europa, costi-tuiscono certamente uno dei riferimenti più importanti per que-

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sta ricerca, unitamente ai dati rilevati nell’ambito dell’inchiesta IntUne e agli European Election Studies.

Le diverse inchieste Eurobaromentro utilizzate sono citate e descritte di volta in volta e caso per caso. Gli European Elec-tion Studies, nati nell’ambito degli Eurobarometro con lo speci-fico intento di studiare gli orientamenti del pubblico in tema di elezioni europee, ne sono poi diventati indipendenti. In occa-sione delle elezioni tenutesi nel 2009 il team di ricerca, compo-sto da ricercatori provenienti da svariate università europee, ha rilevato dati sui candidati alle elezioni per il Parlamento euro-peo, sui media, raccogliendo informazioni sulle modalità attra-verso cui gli organi di informazione hanno trattato il tema delle elezioni, sui programmi dei partiti in competizione per le ele-zioni europee (confluite nell’euromanifestos project), dati con-testuali di livello aggregato, di natura macroeconomica come inflazione, prodotto interno lordo o che caratterizzano il sistema elettorale e cosi via e, naturalmente, dati a livello individuale, ottenuti rilevando le opinioni dei cittadini. Lo studio principale utilizzato nell’ambito degli European Election Studies, salvo dove diversamente indicato, è appunto il Voter Study, cioè l’inchiesta condotta sugli elettori dei Paesi membri dell’Unione Europea. Il questionario è stato somministrato nei giorni imme-diatamente successivi al voto per il rinnovo del Parlamento eu-ropeo (cioè nei primi giorni di giugno 2009) a un campione di mille elettori per ogni stato membro della UE6.

Infine, il programma IntUne costituisce la terza fonte di dati. Finanziato dalla Commissione europea nell’ambito del VI Pro-

6 Nel 2009 gli European Election Studies sono stati gestiti nell’ambito del progetto Piredeu (Providing an Infrastructure for Research on Electoral De-mocracy in the European Union) dall’Istituto Universitario Europeo, con fi-nanziamenti della Commissione Europea, settimo programma quadro ( http://www.piredeu.eu/). La versione utilizzata è la Advance Release del 16 Aprile 2010, vale a dire l’ultima disponibile al momento della stesura di que-sto capitolo. Nell’indagine, prevalente è il metodo CATI, computer assisted telephone inteview, con l’eccezione di sette Paesi dell’Est Europa – Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia – in cui le interviste sono state condotte per il settanta per cento con il sistema CAPI (computer assisted personal interview, cioè faccia a fac-cia) e per il restante trenta per cento con il CATI.

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gramma Quadro dell’Unione Europea, IntUne7 – avviato nel settembre del 2005 sotto la direzione del Circap presso l’Università di Siena – ha coinvolto trenta istituti universitari dislocati in sedici Paesi europei e due non europei, Serbia e Turchia. Il progetto, particolarmente complesso, ha prodotto un notevole volume di dati, grazie a interviste a élites, esperti e cit-tadini e con l’analisi del contenuto dei media in alcuni selezio-nati paesi europei, con un focus particolare sulle tre dimensioni che compongono il puzzle della cittadinanza europea: identità, rappresentanza e ampiezza della governance. I dati utilizzati in questo volume provengono dalla Mass Survey, cioè l’indagine sui cittadini che, in due tornate, nella primavera del 2007 e del 2009, ha sollecitato gli europei di sedici nazioni (più la Serbia e, solo per il 2007, la Turchia) a esprimere un’opinione su una serie di questioni inerenti le tre dimensioni della cittadinanza e più in generale su temi europei e politici. Le interviste, circa mille per ogni paese, sono state condotte prevalentemente con il metodo CATI, salvo che in alcuni paesi dell’est Europa dove sono state integrate da interviste con il tradizionale metodo fac-cia a faccia (metodo CAPI, Computer Assisted Personal Inter-view). Con riferimento alla prima indagine del 2007, le rileva-zioni sono state effettuate, in genere, nella primavera, tra i mesi di Marzo e Maggio, con l’eccezione della Turchia, dove le in-terviste sono state effettuate nel mese di Settembre. In Italia queste sono avvenute tra il 3 e il 14 Aprile; nel 2009, invece, la rilevazione è stata condotta tra l’Aprile e i primi giorni di Giu-gno; l’Italia è stata interessata dalla rilevazione nei giorni com-presi tra il 15 e il 30 Aprile.

Il programma IntUne ha prodotto una quantità di risultati particolarmente rilevanti per la conoscenza della cittadinanza europea, parzialmente pubblicati nei vari working papers e in articoli a carattere nazionale, confluiti poi in una serie di sei vo-lumi, in corso di pubblicazione per i tipi della Oxford

7 IntUne sta per “Integrated and United: A quest for Citizenship in an ever closer Europe)” ed è un progetto finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Sesto Programma Quadro, Priorità 7 (Citizens and Governance in a Kno-wledge Based Society) e coordinato dall’Università di Siena (contratto no.CIT3-CT-2005-513421).

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University Press al momento di scrivere questo saggio. Un’eventuale gerarchia di importanza delle fonti dei dati por-rebbe IntUne al vertice. E questo perché – insieme con le ra-gioni esposte nella prefazione a questo volume, relative alla partecipazione dell’autore di questo saggio a tutte le fasi crucia-li delle due rilevazioni – il dataset Opinione Pubblica è ricco di indicatori, presenti per la prima volta simultaneamente nella medesima indagine, circostanza che consente di poter effettuare test di alcune ipotesi prima, di fatto, difficilmente sottoponibili a prove empiriche a livello individuale di analisi.

Per questo studio sono stati utilizzati, naturalmente, anche dati prodotti nell’ambito di altre inchieste: tra queste, l’International Social Survey Programme (ISSP), l’inchiesta Circap-Nomesis e i dati World Value Survey; quindi, a livello di esperti, la Chapel Hill Expert Survey. Una lista completa del-le inchieste utilizzate compare in coda a questo volume, nell’appendice n.2. E, con riguardo alla disponibilità e all’accessibilità dei dati, va rilevato un problema, tutto italiano, concernente il fatto che l’Italia ha cessato la partecipazione ad alcuni networks di ricerca internazionali, come ad esempio il già citato International Social Survey Programme (ISSP) e l’European Social Survey (ESS).

L’ISSP ha, infatti, condotto alcune inchieste particolarmente rilevanti per questa ricerca, che include l’Italia tra i casi di stu-dio, come i due moduli sull’identità nazionale. Nel primo, con-dotto nel 1995, l’Italia era presente. Non così nel secondo, con-dotto nel 2003. Stesso discorso per il modulo dedicato alla Citi-zenship, il cui (finora) unico modulo è stato condotto nel 2004, anno in cui l’Italia era già fuoriuscita dal consorzio ISSP8. For-tunatamente, diversi progetti di ricerca, tra cui il citato IntUne, hanno poi contribuito al dibattito non solo dal punto di vista te-orico-concettuale ma producendo anche dati sulla base di in-chieste demoscopiche, colmando in parte il gap evidenziato.

Infine, le analisi empiriche effettuate in questo studio sono condotte con l’impiego di svariate tecniche statistiche, dalle a-nalisi monovariate all’analisi fattoriale esplorativa e conferma-tiva, alle tecniche di regressione multipla fino ai modelli di e-

8 Di recente l’Italia è rientrata nel consorzio.

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quazioni strutturali, specificate di volta in volta e con l’ausilio di strumenti software per l’analisi dei dati quali Spss (versione 15), Stata (versione 11) e Amos (versione 7).

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CAPITOLO DUE

I CITTADINI E L’EUROPA: COS’È L’EUROPEISMO E COSA LO FAVORISCE

Introduzione: le molteplici declinazioni dell’europeismo e le possibili fonti

Molteplici sono gli atteggiamenti che si possono considerare come indicatori di europeismo: il senso di comunità, il sostegno per il progetto di integrazione, l’identità europea, il favore per il trasferimento di competenze di policy al sistema politico sovra-nazionale. E poiché in molti autori (Inglehart 1970; Duchesne e Frogniere 1995; Hix 1999) la distinzione non è affatto chiara, in questo capitolo viene proposta una descrizione dei diversi o-rientamenti, sulla scia di recenti contributi che affrontano il te-ma avanzando la proposta, sostenuta da prove empiriche, che le relazioni tra cittadini ed Europa riflettano un sistema strutturato di credenze e che tra queste ci sia non solo una distinzione ma anche una forma di gerarchia (cfr. Scheuer 2005 sul sistema di credenze; Serricchio 2007, sulle differenze tra identità e soste-gno).

Dunque, cosa si intende quando si parla di sentimenti euro-peisti dei cittadini? E come misurare questi atteggiamenti? Considerando le conseguenze sul piano empirico di una scelta simile, la questione non è di poco conto.

La mappa concettuale riprodotta nel capitolo 1 (figura 1.1), considera sostanzialmente tre classi di orientamenti: psicologi-ci, valutativi e comportamentali. Nella prima classe rientrano il senso di comunità, cioè il legame che unisce orizzontalmente i componenti del gruppo, e l’identità, che è il senso di attacca-mento all’Europa, il vincolo che lega verticalmente l’individuo al gruppo. La seconda classe comprende il sostegno per il pro-getto di integrazione europea e alcune sue specificazioni, come il sostegno per il trasferimento del policy making. Nella terza classe trova spazio la partecipazione elettorale, cioè il voto per il rinnovo del Parlamento europeo. In questo capitolo, allora, si

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discute in primo luogo della variabile dipendente. La seconda parte del capitolo è invece dedicata alla disamina e alla discus-sione delle teorie che spiegano la formazione di orientamenti pro/anti Europa tra i cittadini, che costituiscono un filone di studi particolarmente ricco, vale a dire delle variabili indipen-denti. 2.1. L’Identità europea

Sintetizzare gli studi sull’identità europea è un compito

niente affatto agevole, considerata la natura dell’argomento, va-sta e dai contorni non ben definiti e su cui convergono svariate tradizioni di ricerca, provenienti da diverse discipline: scienza politica, sociologia, filosofia, scienze giuridiche, storia, psico-logia sociale, antropologia sociale, finanche alcune branche del-la geografia.

Peraltro Jachtenfuchs (Jachtenfuchs et al. 1998) riconosce la difficoltà di isolare analiticamente il concetto di identità collet-tiva1, poiché esso si interseca a dimensioni concettuali e deno-minazioni, talvolta provenienti da discipline affini alla scienza politica, come senso di comunità, solidarietà, fiducia e legitti-mità.

Lo studio dell’identità europea è un tema particolarmente importante perché, fin dalla riflessione operata da Rousseau, contenuta nella sua teoria del contratto sociale, l’identificazione dei cittadini con la comunità politica è considerata un fattore cruciale di legittimazione popolare per un sistema politico. I-noltre, l’attenzione del mondo accademico per l’identità euro-pea è elevata: se si osserva il numero di pubblicazioni che la menzionano, si scopre che la frequenza con cui il termine com-pare negli abstracts e nei titoli delle riviste di scienza politica e sociologia (pubblicate in tutto il mondo) è in crescita costante, con un repentino aumento a partire dal 2001 (Vezzoni e Segatti 2006). Se quindi i contributi accademici dedicati all’identità eu-ropea sono numerosi, occorre individuare alcuni criteri di sele-

1 Nel testo i termini identità sociale, preferito dagli studiosi europei e identità collettiva, prediletto invece dagli studiosi statunitensi, sono impiegati come sinonimi.

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zione che guidino l’analisi; un primo criterio è quello di esami-nare principalmente i lavori che considerano il punto di vista dell’opinione pubblica, che analizzino – cioè – l’identità euro-pea dalla prospettiva dei cittadini. L’angolo visuale non è dun-que quello delle élites, che pure costituisce oggetto di attenzio-ne di un filone di ricerca molto florido (Wodak 2004; Hermann et al. 2004)2; un secondo criterio è quello di privilegiare i con-tributi miranti a comprendere cosa sia effettivamente l’identità europea, non cosa dovrebbe essere, sulla base di teorie filosofi-che o di aspirazioni. Si cerca di privilegiare, cioè, quello che Bruter chiama approccio bottom-up (Bruter 2005), che conside-ra dunque i meccanismi di formazione e s’interessa della teoria empirica trascurando l’aspetto normativo. Per questo, sono pre-si in considerazione soprattutto quegli studi che siano sorretti da evidenze empiriche, anche se non necessariamente basati su una metodologia di tipo quantitativo. Infatti, la prospettiva a-dottata in questo lavoro, condividendo il paradigma comporta-mentista, esamina l’identità europea come uno degli orienta-menti individuali, cioè dei cittadini, e la analizza attraverso dati raccolti dalle inchieste demoscopiche disponibili. L’approccio adottato è, in definitiva, micro-sociologico.

La psicologia sociale costituisce un punto di riferimento im-

portante per chi studia l’identità europea. Tre sono le prospetti-ve teoriche, elaborate nel campo della psicologia dei gruppi, u-tili per il suo studio (Catellani 1997): la teoria dell’identità so-ciale (Social Identity Theory, abbreviata, in italiano, in TIS) sviluppata da Tajfel in varie opere e momenti diversi (Tajfel 1978; 1981; Tajfel e Turner 1979; 1986); la teoria dell’entitativity (Campbell 1957); la teoria della categorizza-zione del sé (self-categorization theory) sviluppata da alcuni al-lievi di Tajfel (Turner 1985; Turner et al. 1987).

Per gli psicologi sociali, in particolare per i teorici della TIS, la componente personale dell’identità, costituisce un punto di partenza obbligato per definire l’identità sociale. Questa com-

2 Peraltro il livello di identificazione verso l’Europa delle élites è sensibil-mente più elevato di quello dell’opinione pubblica, come mostrano – tra gli altri – gli studi del 2004, citati.

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ponente individuale è definita come «il complesso di credenze che ciascuno possiede relativamente a sé stesso, insieme con le emozioni, i comportamenti, i significati e i valori che a tale cre-denze si associano» (Catellani e Milesi 1998: 223-224). Ma l’individuo, poiché inserito in un reticolo di relazioni, in un contesto sociale complesso e organizzato secondo categorie e gerarchie molteplici (Tajfel 1978; Tajfel e Turner 1979; 1986), sviluppa anche l’aspetto collettivo della propria identità, cioè «quella parte della percezione del sé che deriva dall’appartenenza ad un gruppo sociale (o semplicemente ad un gruppo), insieme con il significato emozionale e valoriale che deriva da questa appartenenza»3 (Tajfel 1981:314). Secondo la classica definizione di Abrams e Hogg (1990, 1999), l’identità sociale si riferisce allora al legame psicologico che unisce l’individuo al gruppo sociale o alla comunità cui appartiene.

I principi su cui poggiano i processi identitari sono essen-zialmente due: quello di continuità, secondo il quale l’individuo tende a costruire un’immagine di sé coerente e costante, e il principio della distintività, che fa leva sul desiderio di percepire sé stessi come unici e distinti, anzi diversi dagli altri (Tajfel 1981:224). Se da un lato il meccanismo identitario è incentrato sui valori individuali che accompagnano l’appartenenza, in quanto l’individuo proietta nel gruppo una parte della stima che ha di sé, altri autori evidenziano come gli stessi valori, le cre-denze e le emozioni debbano essere condivisi tra i membri della comunità, costituire un terreno comune. Questo meccanismo è piuttosto rilevante poiché, come sottolineano Catellani e Milesi, è cruciale condividere gli attributi criteriali del legame, che so-no appunto i significati emozionali e valoriali dell’appartenenza e cioè quei comportamenti, convinzioni, emozioni condivisi con gli altri membri del gruppo allo scopo di avere una confer-ma e un consolidamento di tale identità (Catellani e Milesi 1998: 228). È cioè indispensabile che i valori costituiscano un patrimonio comune, ingrediente indispensabile per la coesione interna al gruppo, anche perché quegli elementi operano in di- 3 La definizione di Tajfel è: «…that part of the individual self-concept which derives from his knowledge of his membership of a social group (or groups) together with the value and emotional significance attached to that member-ship» (1981: 255).

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rezione di un rafforzamento dell’identità personale4. La loro va-lenza è allora duplice.

Se l’identità sociale è quella parte del concetto di sé che de-riva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo, allora è necessario che, preliminarmente, l’individuo costruisca catego-rie sociali che corrispondano al gruppo cui appartiene (ingroup) e agli altri gruppi (outgroup). La teoria della categorizzazione del sé (Turner et al. 1987) fornisce la base teorica per la com-prensione delle dinamiche che conducono al processo di cate-gorizzazione sociale; si tratta di un’estensione del processo co-gnitivo di base, che ha l’obiettivo di semplificare la realtà, in-globandola in categorie significative ed è di per sé comparativa (ad esempio, sono di sinistra e dunque diverso da chi è di de-stra). Per Turner, dunque, i soggetti sono spinti ad identificarsi con un gruppo per avere un’identità nitida (distintiva, ma non necessariamente positiva), mentre per Tajfel il criterio è di una distintività necessariamente positiva.

In altre parole, alla domanda su cosa spinga i soggetti ad i-dentificarsi con un gruppo, Tajfel (1978) risponde che lo scopo principale è quello di mantenere un’immagine di sé positiva (principio della distintività positiva), che deriva dalla costru-zione di un’immagine solida del gruppo di cui si è membri, mentre Turner delinea, più semplicemente, il criterio della sola volontà di distinguersi. In entrambi i casi nelle relazioni inter-gruppo prevale la ricerca dell’identità sociale positiva o distin-tiva: scatta così il cosiddetto meccanismo dell’outgroup, che può portare alla discriminazione per altri gruppi o a favoritismi per i membri del proprio gruppo e, comunque, alla differenzia-zione.

Una teoria alternativa, riferibile alla realistic conflict theory (Sherif 1966) spiega i rapporti intergruppo prevalentemente con la rivalità, che sfocia nella vera e propria competizione necessa-ria per raggiungere le risorse scarse. Tale teoria è però falsifica- 4 Sull’appartenenza è opportuno approfondire la discussione. In alcuni casi essa non è in scelta ma, in qualche modo, attribuita o ascritta: è dunque pos-sibile appartenere ad un gruppo senza identificarsi con esso e questa è una considerazione importante per i fini di questa ricerca, perché molti autori condividono la tesi che l’identità europea sia soprattutto un’identità ascritta (per una sintesi, Bruter 2005).

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ta da Tajfel secondo il quale la scelta della categoria entro cui auto-collocarsi avviene in base all’accessibilità (cognitiva) e al-la corrispondenza con l’identità personale.

Per Tajfel, in sintesi, gli elementi di base che definiscono la teoria dell’identità sono:

1) l’individuo possiede la struttura cognitiva necessaria per classificare il mondo che lo circonda; deve cioè attuare un pro-cesso di classificazione sociale sulla base delle dimensioni de-gli attributi (esempio: affiliazione religiosa o nazionalità) che sono collegati ai suoi valori;

2) l’identità sociale, che è la somma delle identificazioni so-ciali individuali, scaturisce da quest’opera cognitiva di classifi-cazione;

3) questo comporta un processo di comparazione sociale tra l’ingroup e l’outgroup;

4) obiettivo principale di questa comparazione è porre in ri-salto i particolari positivi o comunque le distinzioni dell’ingroup rispetto all’outgroup. Il concetto-chiave sembra essere dunque quello della comparazione: l’immagine di sé non è cioè autoreferenziale ma è sempre definita in rapporto ad altri, e si attiva quando entra in gioco una comparazione. Il contesto riveste un ruolo decisivo in questa auto-attribuzione.

Esiste in psicologia sociale un approccio alternativo che sot-tolinea il carattere volontaristico (spesso dettato da calcolo uti-litaristico, vedi Banton 1983) delle scelte identitarie. Ma questa teoria si scontra con il concetto di razionalità limitata: l’individuo non possiede le informazioni necessarie per operare una tale scelta razionale. Dunque i meccanismi identitari resta-no affidati ad altri processi, quelli spiegati dalle teorie dell’identità sociale e dell’auto-categorizzazione, sebbene la prospettiva del calcolo razionale non vada del tutto accantonata quando il riferimento è l’Europa.

Il costrutto della group entitativity, delineato da Donald Campbell per poter rispondere alla domanda su come si possa-no percepire delle entità invisibili come i gruppi sociali (Cam-pbell 1958:17), specifica ulteriormente il processo identitario. Muovendo dalla teoria della Gestalt, Campbell sottolinea come la percezione di un gruppo come entità possa essere influenzata da fattori quali la prossimità e la similarità tra i membri di un gruppo, così come dalla percezione della condivisione di un de-stino comune o della salienza dell’appartenenza. Un aspetto

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cruciale risiede nella concettualizzazione della «group entitati-vity» non come una caratteristica, o qualità, detenuta, o meno, dal gruppo, piuttosto come una proprietà definiente che varia ed è in relazione a varie dimensioni della percezione del gruppo (Campbell 1958; Hamilton et al. 1998). Castano (2004) sottoli-nea proprio come lo sviluppo di un senso di identità comune tra gli europei presupponga che i cittadini percepiscano psicologi-camente come reale l’entità Europa. Dunque alcuni elementi come il retaggio culturale comune, le istituzioni o le leggi co-muni sembrano essere, in questa ottica, condizioni necessarie ma non sufficienti per lo sviluppo dell’identità europea. Il pro-blema è che l’Europa non è ancora percepita come entità reale perché, secondo Castano, i media dedicano alle problematiche europee, o meglio all’Europa come attore sulla scena politica internazionale, scarsa attenzione. Castano e i suoi colleghi (Ca-stano et al. 2003) hanno sottoposto a test empirico l’ipotesi a-vanzata, con una ricerca basata sulla tecnica dell’esperimento, in cui i partecipanti (per lo più studenti universitari belgi) veni-vano sottoposti ad alcune manipolazioni mediatiche con lo sco-po evidente di catturare eventuali cambiamenti di opinione, se-gnatamente il livello di identificazione con l’Europa, in base al-le notizie alterate. I risultati confermano che con l’aumento del livello di entitativity cresce il livello di identificazione verso l’Europa. Castano (2003) spiega anche che questo processo av-viene perché la percezione psicologica dell’entità sviluppa da un lato alcuni bisogni materiali, come ad esempio il senso di si-curezza, dall’altro il senso di trascendenza. La ricerca di Casta-no ha dunque il grande pregio di confermare che lo sviluppo di un’identità europea è, in linea di principio, possibile anche sen-za l’esistenza di un popolo europeo, inteso in senso tradizionale e perfino in assenza di un linguaggio comune. Più in generale, la teoria dell’entitativity fornisce utili argomenti per chi fosse alla ricerca delle possibili cause di sviluppo dell’identità, argo-mento approfondito più avanti. In ogni caso è da tenere in con-siderazione che le ricerche di Castano e dei suoi collaboratori sono state effettuate in un passato, sia pure recente, in cui la questione dei confini non era ancora ben definita. Oggi, con l’ingresso di Romania e Bulgaria, l’Unione Europea coincide in larghissima parte con l’Europa geografica e i mezzi di comuni-cazione di massa hanno sicuramente incrementato il loro livello

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di attenzione per le tematiche che riguardano l’Unione Europea come attore politico.

Le teorie della psicologia sociale offrono dunque un indi-spensabile contributo allo studio empirico dell’identità europea e sembrano anche indicare un percorso impervio.

Anche da una diversa prospettiva, più vicina alla sociologia, la possibilità di sviluppo di una simile identità è posta seriamente in discussione. Se un’importante tradizione di ricerca (Hoffman 1966; Inglehart 1970b) lega la formazione dell’identità europea ai meccanismi di formazione di quella nazionale, ricorrendo, e talvolta anzi auspicandole, a possibili analogie tra la formazione degli stati nazionali plurietnici e la nuova nazione europea, i se-guaci della teoria culturalista negano addirittura la possibilità che una compiuta identità europea possa svilupparsi, mentre alcuni politologi scorgono nel sentimento di attaccamento alla propria nazione (Carey 2002; McLaren 2002) un, possibile, forte ostaco-lo. Le relazioni tra identità nazionale e europea sono insomma piuttosto complesse e la discussione sull’identità nazionale, ne-cessario punto di riferimento per chi studi l’identità europea, su cosa sia, su come si formi e su come si rapporti all’identità euro-pea è, a questo punto, indispensabile.

2.2. Nazionalismo e identità nazionale: prospettive macro e mi-cro-sociologiche

Il tema del nazionalismo, da qualche tempo tornato di pre-

potenza al centro del dibattito accademico, assume per questa ricerca, e per gli obiettivi che si prefigge, una rilevanza partico-lare. Si tratta di un concetto complesso, multidimensionale, che può essere osservato e studiato da una prospettiva macro-sociologica (e utilizzato in questa declinazione per spiegare ad esempio la nascita delle nazioni) e anche micro-sociologica, con l’enfasi, cioè, sugli orientamenti degli individui. I due pia-ni, come apparirà evidente, sono strettamente intrecciati: il pri-mo, più generale, fornisce il necessario substrato teorico e con-cettuale al secondo, più pragmatico e empiricamente orientato.

Un tentativo di schematizzare i contributi che i vari autori offrono in tema di nazionalismo e identità nazionale deve ne-cessariamente considerare due grandi prospettive, che possono essere ricondotte alla riflessione di Renan (1882). Da un lato l’identità nazionale come risultato di elementi civici e etnici,

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che conduce alla riflessioni, tra l’altro, di Anthony Smith sulle componenti civiche e etniche dell’identità nazionale, dall’altro la nazione come entità spirituale. Questo secondo elemento del-la proposta di Renan ispira la riflessione di Anderson (1991) sulla nazione come comunità immaginata. Ma procediamo con ordine. In primo luogo Renan ha sviluppato una spiegazione dell’identità nazionale, utilizzata ancora oggi, imperniata su una dicotomia tra un modello francese, civico, basato su scelte e adesioni a determinate regole volontarie e motivate (in Renan è chiara l’influenza degli ideali della Rivoluzione Francese) e uno di derivazione tedesca, caratterizzato invece da elementi etnici e culturali, prestabiliti e perciò unici e irripetibili. La di-cotomia proposta può anche essere letta in un’altra ottica: na-zione come “demos” o nazione come “ethnos”. O ancora, de-clinando in chiave più moderna come fa Brubaker (1997), nella distinzione tra comunità della stirpe e comunità delle istituzioni politiche.

Nel medesimo filone celebre è la posizione di Max Weber (1974 trad. it) che distingue tra il popolo membro di una data polity – la nazione, formata da una comunità culturale e legata da vincoli di solidarietà – dalle strutture politiche, che formano poi lo stato. In Weber è anche stabilito un preciso nesso causale e temporale: normalmente è la nazione a produrre lo stato.

Anthony Smith (1991; 1992) propone una dicotomia, molto vicina alla classificazione di Renan, tra nazionalismo etnico, tipi-co dei popoli più arretrati e basato sulle tradizioni, e nazionalismo civico, caratteristico delle nazioni più avanzate e risultante da una cultura nazionale condivisa e dall’esistenza di leggi, norme e strutture politiche comuni. Per Smith le moderne nazioni hanno tutte una matrice etnica, intendendo con questo le etnie pre-moderne. All’interno di determinati confini, definiti da simboli, miti, storia, leggende, memorie collettive – insomma, da una cul-tura comune – si possono formare le nazioni. Lo sviluppo comun-que può avvenire in due direzioni: uno di stampo etnico, dove lo sviluppo dell’etnia avviene in senso verticale attraverso un pro-cesso di mobilitazione culturale, l’altro di matrice civico-territoriale, dove le aristocrazie etniche sviluppano un processo o-rizzontale che ingloba le regioni confinanti attraverso passaggi e meccanismi burocratici, cioè pratiche amministrative, più che po-litiche. Gli esempi citati da Smith a supporto delle sue tesi sono tre, determinatisi storicamente: la formazione della Francia, chia-

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ro esempio di sviluppo basato sulla burocrazia, su leggi e regole comuni, sul territorio, sull’economia unificata; quello dell’identità nazionale inglese, sviluppata sulla comune origine etnica anglo-sassone, combinata poi con altre etnie come i danish e i normanni e liberata dal mito grazie alla rivoluzione industriale, che ha indi-rizzato in chiave moderna l’antica mitologia libertaria dei sassoni; infine la costruzione dell’identità della Spagna, che si è evoluta intorno al regno di Castiglia soprattutto su basi religiose, con e-spulsione o emarginazione delle minoranze che non hanno accet-tato la conversione. Prova ne è l’esistenza di comunità che, ancora oggi, rivendicano l’autonomia e minacciano in qualche modo l’unità e l’identità nazionale: i baschi in primo luogo, ma anche i catalani. Il terminale di questo percorso, sia nell’esempio della Francia che dell’Inghilterra che della Spagna, è comunque lo svi-luppo di strutture e istituzioni politiche, lo stato cioè, che diventa elemento indispensabile per la coesione della comunità e che è più forte laddove la cultura comune è più coesa. L’altro processo considerato da Smith riguarda lo sviluppo verticale dell’etnia, che solo indirettamente è influenzato dallo Stato e dalla struttura am-ministrativa. È un processo tipico delle comunità arabe, ma anche ebraiche, dove la religione gioca un ruolo decisivo, soprattutto nella trasmissione dei miti fondanti la cultura della comunità, at-traverso i testi sacri. In questo scenario, secondo Smith, il passag-gio dalla nazione allo stato è più problematico.

La riflessione di Smith riveste – a ragione – un ruolo di pri-mo piano negli studi contemporanei sul nazionalismo e sull’identità nazionale e per questa ricerca assume un significa-to piuttosto rilevante soprattutto perché, più o meno esplicita-mente, elenca gli elementi considerati fondamentali per la co-struzione dell’identità nazionale: la presenza di un territorio che, storicamente, sia la dimora per quella comunità, l’esistenza di miti e memorie storiche collettivi; la condivisione di una cul-tura di massa; l’intervento di leggi, diritti e doveri sociali; infi-ne, la realizzazione di un sistema economico comunitario e la possibilità di liberi spostamenti nel territorio della comunità5.

5 Nel medesimo filone di Smith può essere ricompreso anche il contributo di Breuilly (1982), che enfatizza il ruolo delle moderne strutture burocratiche – istituzioni civiche anch’esse – nella formazione delle Nazioni.

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Lo stesso Renan ha una visione “spirituale” della nazione, definita come un’anima, un principio spirituale, appunto. Da questa riflessione si sviluppa la seconda grande prospettiva – che dall’autore francese conduce alla riflessione di Anderson (1991) – il quale interpreta la nazione come una comunità im-maginata, un’entità non necessariamente reale, ma certamente realizzata nella mente degli individui che compongono la col-lettività. La comunità immaginata diviene reale attraverso un processo di costruzione sociale, alla cui base c’è la cultura capi-talistica moderna. Si tratta di una costruzione mentale necessa-ria poiché, per Anderson, anche nelle comunità più piccole è impossibile che i membri abbiano conoscenze reciproche diret-te; è inoltre immaginata perché è limitata nei suoi confini e so-vrana all’interno di questi; infine, è immaginata quale comuni-tà, poiché si presuppone che sia un’associazione di cittadini li-beri e eguali. Presupposto di questa comunità immaginata è, per Anderson, l’esistenza di un linguaggio comune, che sia però scritto e stampato. Che possa insomma circolare. Nasce dunque un print capitalism che è alla base di una moderna nazione, do-ve la conoscenza (e la fiducia) siano veicolate dalla scrittura e dove dunque l’industria che se ne occupa svolge un grande ruo-lo. Il decisivo ruolo dei media, in questa analisi, è evidente. Ma il linguaggio ha pure il compito, importantissimo, di diffondere le norme che governano la comunità.

Anche per Gellner (1964) la nazione è un costrutto tipico dell’era moderna, derivato dalle condizioni socio-economiche emerse dopo l’industrializzazione di massa. Dunque la nazione è un prodotto diretto dell’industrializzazione, che ha imposto un modello organizzativo dove ciascuno deve poter far valere le proprie capacità e abilità. Queste non sono date, ascritte, ma vengono acquisite tramite la formazione e l’educazione. Paral-lelamente, per godere appieno dei diritti derivanti dalla cittadi-nanza, per essere membri della moderna nazione è necessario acquisire delle abilità, soprattutto una conoscenza delle norme che regolano la vita della comunità ed anche una cultura di ba-se. Torna dunque, come in Anderson, il ruolo svolto dal lin-guaggio, dalla comunicazione e dell’industria che la diffonde. E si afferma l’idea che alla base della legittimazione per il siste-ma politico di riferimento ci sia la conoscenza.

La medesima riflessione di Deutsch (1953), che ingloba la comunità politica in una rete di comunicazioni, può essere ri-

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condotta, nella schematizzazione proposta, al grande filone che privilegia elementi non convenzionali nel meccanismo di for-mazione delle nazioni.

Dunque, da un lato l’identità nazionale è il prodotto di un at-taccamento alla nazione imperniato su elementi civici e etnico-culturali; dall’altro, se la nazione – per dirla con Renan – è un principio o un’entità spirituale o – per usare le parole di Ander-son – è una comunità immaginata, allora l’identità nazionale è per lo più concepita in termini di attaccamento psicologico.

2.3. L’identità europea e il suo contenuto

L’utilità della discussione su nazionalismo e identità nazio-nale risiede nella circostanza che larga parte del dibattito teori-co sulla formazione dell’identità europea ruota intorno all’interrogativo se questa possa seguire, o sia addirittura obbli-gata a farlo, il percorso e i meccanismi che hanno contrassegna-to la formazione delle identità nazionali. Lo studio dell’identità europea, dal punto di vista teorico, concettuale ed empirico, non può dunque prescindere dallo studio, agli stessi livelli, dei meccanismi di identificazione verso la nazione, cioè dall’identità nazionale. I quali, lo abbiamo visto, seguono fon-damentalmente due strade: da un lato l’identificazione mediata da elementi civici e etnici, dall’altro l’adesione ad una comuni-tà immaginata. E proprio la considerazione del contenuto dell’identificazione con l’Europa può contribuire alla discus-sione in maniera sostanziale.

Sulla scia degli studi sulle componenti dell’identità naziona-le è possibile elaborare una tipologia dei diversi meccanismi che spingono l’individuo a identificarsi con l’Europa e che danno contenuto e significato a questo processo identificativo. Nel caso dell’Europa l’accento degli autori è posto maggior-mente sulla distinzione tra elementi civici ed etnici, mentre i possibili sviluppi della concezione di Anderson, di comunità immaginata cioè, sono almeno apparentemente trascurati ma non del tutto accantonanti.

Secondo Bruter (2005) sono allora due le prospettive teori-che, che danno naturalmente vita a distinti orientamenti empiri-ci: la prospettiva civica, che enfatizza il ruolo delle istituzioni, delle leggi, delle norme europee e dei diritti di cittadinanza nel-la formazione dell’identità e l’orientamento culturalista, mag-

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giormente scettico sulle reali possibilità di sviluppo dell’identità europea, che sottolinea invece la necessità di ele-menti comuni pre-esistenti, tra cui appunto la cultura. Accanto a questi due approcci, talvolta se ne trova accostato un terzo, definito strumentale, che lega l’identificazione con l’Europa ai possibili benefici derivanti dall’appartenenza stessa.

Per Bruter, l’identità politica è il senso di appartenenza a gruppi e strutture politiche: in questa visione la suddivisione tra una dimensione civica ed una culturale dell’attaccamento ri-chiama – appunto – la ripartizione dei meccanismi di identifi-cazione verso una struttura politica (o anche un sistema politi-co) e nei confronti di un gruppo politico. Questa differenziazio-ne ha radici teoriche piuttosto profonde e trova origine nel pen-siero di filosofi, storici e giuristi dell’800 e del primo ’900. Tre sono i grandi filoni di pensiero da cui Bruter fa derivare le spiegazioni per la matrice duale dell’identità europea. Il primo è riconducibile al Contratto Sociale di Rousseau (1762) e al la-scito della Rivoluzione Francese da cui Habermas (1992) fa de-rivare l’idea che le strutture politiche abbiano la prerogativa di favorire e anzi creare la cittadinanza e di indurre, in questo mo-do, quei meccanismi di legame tra membri di una comunità po-litica e, nel contempo, sviluppare i sentimenti di fedeltà al si-stema politico6.

Il dibattito scientifico, politologico, su questo tema è stato (ed è) particolarmente vivace (Jervis 1999). I meccanismi attra-verso i quali la costruzione e poi la presenza e l’attività di isti-tuzioni possa sviluppare identità comuni e, soprattutto, pro-muovere nuove identità (a livello aggregato, così come al livel-lo dell’opinione pubblica) sono diversi, riconducibili sostan-zialmente ad un modello di socializzazione e ad uno di persua-sione (Hermann e Brewer 2004:14-15). Nel primo caso, parti-colarmente interessante per gli scopi di questa ricerca, il focus è sull’esperienza individuale di interazione con le istituzioni. Un’esperienza capace di attivare la salienza del contesto e rin-forzare così la percezione della struttura politica come real en-tity, sviluppando dunque quei meccanismi di group entitativity

6 È un po’ il discorso sviluppato in tempi più recenti da Laffan (2004), che però è focalizzato sulle élites.

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già discussi. Inoltre le istituzioni, con le loro leggi e regole, promuovono esperienze e norme sociali condivise che rinforza-no l’identità collettiva e il senso di comunità (Hermann e Bre-wer 2004:14). Nel secondo modello, le istituzioni svolgono un ruolo più diretto, ad esempio promuovendo campagne divulga-tive o attraverso particolari scelte di policy.

Un’altra tradizione di ricerca enfatizza il ruolo delle norme condivise e dei valori alla base della nascita dell’integrazione europea nello sviluppo della nuova identità (Mancini 1998; Weiler 1999; Van Kersembergen 1997). Anche studiosi come Habermas (1994), Weiler (1997) e Shaw (1997) affermano che la costruzione di un’identità europea non può che basarsi su e-lementi civico-politici, trascurando invece le componenti etni-co-culturali: l’identità europea sarebbe principalmente di matri-ce civica e politica, mancando, di fatto, gli elementi comuni di natura etnica o culturale. È particolarmente interessante far no-tare che i tre autori declinino il civismo in chiave moderna, im-perniato su alcuni ideali chiaramente politici: fiducia per la de-mocrazia, tolleranza per le minoranze etniche, spirito di coope-razione transnazionale e, soprattutto, sostegno per un sistema di welfare che possa temperare le politiche di mercato improntate ad un rigido neo-liberismo e così perseguire e concretizzare l’ideale della giustizia sociale. In questa ottica, Weiler auspica un civismo imperniato sui valo-ri fondanti la Comunità europea e dunque capace di costruire una polity che si stacchi nettamente dalla classica matrice etno-culturalista (Weiler et al. 1995).

La connotazione prevalentemente civica dell’identità euro-pea è dunque il principale assunto della tradizione di ricerca che individua nel processo di integrazione e, segnatamente, nel ruolo che hanno avuto le istituzioni nel forgiarla, la variabile maggiormente esplicativa del meccanismo di formazione dell’identità collettiva (Laffan 2004). Una tesi rafforzata da quattro esempi del passato: Stati Uniti d’America, Regno Uni-to, Austria e Israele (Bruter 2005).

La matrice culturale dell’identità europea trova origine, sempre nella visione di Bruter, nella riflessione dei pensatori tedeschi Fichte (1845) e Herder (1913) che vincolano la legit-timità di una comunità politica alla nazione corrispondente, de-finita principalmente da un comune linguaggio ed una cultura condivisa, e nel pensiero di Renan (1882) che, anch’egli nel

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solco degli ideali della Rivoluzione francese, associa la legitti-mità dello Stato al desiderio dei suoi cittadini di vivere insieme.

Come detto, i teorici del filone culturalista sono tra i più scettici circa la possibilità di sviluppo di un’identità europea. Secondo Osterud (1999, citato in Ruiz-Jimenez 2004:2) essa può affermarsi cercando di emulare il processo di formazione dell’identità nazionale durante il periodo di costruzione degli Stati-nazione. Ma per Osterud è un percorso problematico de-stinato – forse – addirittura a fallire, considerata l’assenza a li-vello europeo degli elementi costitutivi dell’identità nazionale e cioè lingua, cultura, fattori geopolitici.

La natura duale, analizzata già nella rassegna degli studi sull’identità nazionale, teorizzata e argomentata da Bruter an-che per il caso dell’Europa, è però arricchita da una terza possi-bile componente, definita strumentale (Ruiz-Jimenez et al. 2004). L’idea alla base di questa proposta è che, accanto a mec-canismi civici e culturali, possano esistere meccanismi di ade-sione imperniati su un calcolo costi-benefici. Brass (1979) e Cinnirella (1997) sottolineano proprio il ruolo svolto dalla per-cezione dei potenziali costi e benefici derivanti dall’identificazione con un certo gruppo sociale. Del resto già Kelman (1969) e Hewstone (1986), di cui la ricerca di Cinnirel-la può considerarsi uno sviluppo, avevano teorizzato e testato la componente duale delle identità europea e nazionale: accanto ad una dimensione sentimentale coesiste una dimensione stru-mentale, legata alla percezione di possibili vantaggi. Passando in rassegna le fonti del sostegno per il processo di integrazione europea, sarà più chiaro come la motivazione economico-strumentale abbia avuto (e ancora abbia) un ruolo importante nel caratterizzare l’adesione della pubblica opinione all’opzione europeista. Lo studio di Ruiz-Jimenez e dei suoi colleghi ha il pregio di essere sostenuto da evidenze empiriche basate sull’unica (all’epoca) inchiesta di massa disponibile contenente items adatti, l’Eurobarometro 57.2 del 2002. Scopo dello studio è proprio quello di testare le tre teorie sulla formazione dell’identità europea (culturale, civica e strumentale) e tentare così di comprendere da un lato le dimensioni prevalenti della stessa identità europea, dall’altro la compatibilità di questa con l’identità nazionale. In sintesi, i risultati mostrano l’esistenza della dimensione strumentale e perciò la piena compatibilità con l’identità nazionale, basta invece su una matrice culturale.

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Per sintetizzare, l’identificazione di matrice civica può rife-rirsi allo Stato (inteso come struttura politica), quella di matrice culturale è riconducibile alla nazione; nel primo caso l’identificazione dei cittadini avviene per il tramite delle strut-ture politiche, delle istituzioni, diritti, norme, leggi che gover-nano la vita della comunità politica. Nel secondo il meccanismo di identificazione è definito dalla cultura comune, dalle simila-rità sociali, dai valori, dalla religione, dall’etnia. La psicologia sociale propone i termini di identità ascritta o ascribed, per de-finire la componente culturale/etnica e di acquisita, o achieved, per indicare la componente civica. L’identificazione di matrice strumentale è invece strettamente connessa alla percezione dei benefici che possono derivare dalla scelta identitaria.

L’ipotesi di questo saggio è che le varie dimensioni coesi-stono nella mente dei cittadini, anche se con modulazioni sen-sibilmente differenti. E che, allora, lo studio empirico di quale sia il significato e il contenuto che i cittadini italiani conferi-scono al loro sentimento di attaccamento all’Europa, affrontato più avanti, debba necessariamente tenerne conto.

2.4. La questione delle identità multiple: coesistenza o competi-zione?

La discussione su nazionalismo e identità nazionale, spiega-

ta con la necessità di confrontare i meccanismi di formazione identitari e il contenuto dell’identità europea, ha anche un altro aspetto che la rende particolarmente interessante: il tema della possibile coesistenza di diverse identità. Da una prospettiva squisitamente politologica, Duchesne e Frogniere (1995) stabi-liscono la compatibilità delle due identificazioni, enfatizzando il carattere cumulativo dell’identificazione per l’Europa. Si-milmente, Ruiz-Jimenez (Ruiz-Jimenez et al. cit.) sostiene la possibilità di coesistenza tra le identità collettive, rimarcandone il diverso contenuto: culturale nel caso dell’identità nazionale, civico e strumentale nel caso di quella europea. Anche Bruter (2004), come del resto Citrin e Sides (2004), ipotizza, testa e conferma la compatibilità delle identità nazionale ed europea.

La questione delle identità multiple, di grande evidenza per i possibili motivi di conflitto che potrebbero generarsi tra identità europea, nazionale e sub-nazionale, è stata fortunatamente og-getto di una serie di interessanti ricerche anche per opera di psi-

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cologi sociali, passate in rassegna da Catellani e Milesi (1998). Sousa (Sousa et al. 1996) ha ipotizzato la possibilità di coesi-stenza delle diverse identità, testata poi da Huici (Huici et al.1997) in uno studio condotto sugli andalusi in Spagna e gli scozzesi in Gran Bretagna. Indagando sull’identità nazionale e europea nei polacchi e negli olandesi, Mlicki e Ellemers (1996: 97-114) pervengono a risultati del tutto analoghi (ibid.:111). Altre ricerche producono risultati molto interessan-ti:comparando inglesi e italiani, Cinnirella mostra come, per gli italiani, identificarsi con il gruppo nazionale non sia affatto in contraddizione con una forte identificazione con l'Europa (Cin-nirella 1997:19-31). Un altro studio, condotto da Castano e Yzerbyt (1998) si è interessato ai belgi e agli italiani, misuran-do i tre livelli identitari (regionale, nazionale e europeo). Anche in questo studio i tre livelli risultano positivamente correlati. In conclusione, identità multiple possono coesistere: identità na-zionale e sub-nazionale e identità europea non sono cioè com-peting identities (identità in competizione) quanto piuttosto in-clusive identities (identità inclusive).

Se però la coesistenza di più identità territoriali, europea, nazionale e regionale, è possibile, assai meno chiaro è il mec-canismo attraverso il quale le diverse identità coesistono: è la questione del bilanciamento tra le identità collettive. Seguendo il ragionamento di Hermann e Brewer (2004) e di Bruter (2004) si possono formalizzare tre tipi di relazioni tra le diverse identi-tà sociali: un primo modello è quello di identità esclusiva che, tuttavia, è confutato dalle precedenti ricerche, discusse. Un se-condo, chiamato nested, prevede una rigida gerarchia tra le i-dentità ai vari livelli, e possiamo denominarlo modello dei cer-chi concentrici o anche Russian-matruska doll model. Vi è infi-ne un modello definito cross-cutting, dove la sovrapposizione tra i diversi livelli non tiene conto di alcuna gerarchia. Il signi-ficato dei primo e secondo modello, così come una sua possibi-le traduzione empirica, è abbastanza chiaro. Fin dal 1982, pe-raltro, l’inchiesta Eurobarometro contiene alcune domande che consentono di operazionalizzazione adeguatamente questi due modelli. Relativamente più difficile è operazionalizzare il mo-dello cross-cutting che tuttavia Marks (1999) implementa con gli items dell’Eurobarometro che misurano l’attaccamento terri-toriale.

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Accanto a questi due filoni va annoverata una serie piuttosto numerosa di contributi, soprattutto di natura politologica, elabo-rati nell’ambito dei progetti di ricerca dedicati all’identità o alla cittadinanza europea, di cui si è già discusso. Sono contributi in maggior parte non pubblicati, presentati sotto forma di working paper e dai quali giungono – però – alcune rilevanti indicazioni per la misurazione dell’identità europea. Il limite principale di simili studi (e il riferimento è al limitato contributo che possono fornire a questa ricerca) consiste nel fatto che, essendo elaborati nell’ambito delle fasi preliminari di alcuni progetti di ricerca, sono destinati ad orientare la progettazione e la costruzione di questionari ad hoc.

2.5. La concettualizzazione e la misurazione dell’identità euro-pea nella letteratura

I contributi che la letteratura offre in tema di misurazione

dell’identità europea sono classificabili – secondo un criterio basato sulla natura degli stessi studi – in due grandi filoni: da un lato gli studi di impronta squisitamente politologica, dall’altro i lavori, spesso sperimentali, degli psicologi sociali che, però, propongono concettualizzazioni ed operazionalizza-zioni basate su questionari sottoposti a gruppi limitati e dise-gnati ad hoc, dunque difficilmente implementabili a livello di inchieste di massa.

La concettualizzazione e l’operazionalizzazione dell’identità europea rinvenibile nella letteratura politologica risente forte-mente degli indicatori e degli items disponibili nelle inchieste di massa, come gli Eurobarometro, che presentano con una certa continuità diverse domande.

Nel loro classico e pionieristico studio Duchesne e Frogniere (1995) concettualizzano l’identità europea come la percezione che i cittadini hanno di essere membri di una comunità politica (1995:193). Il focus è sul senso individuale di identità politica, una nozione che gli autori definiscono vicina a quella di cittadi-nanza. Più in particolare, i due autori sono interessati a studiare le relazioni tra il senso di appartenenza alla comunità politica euro-pea e la percezione di appartenere ad altre comunità politiche, prima fra tutte la nazionale. In questo senso lo studio è teso a comprendere il livello o l’ammontare di identità politica europea (che risulta piuttosto basso) e la possibilità di compatibilità –

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confermata – tra l’identità europea e quella nazionale. La variabi-le dipendente è misurata con due indicatori contenuti negli Euro-barometro7: il primo, incluso negli anni 1975, 1978 e 1979 rileva l’appartenenza alla comunità geopolitica il secondo, incluso dal 1982 in poi, sia pure con qualche modifica nella formulazione nel corso del tempo, interpella gli intervistati sulla percezione della cittadinanza8. Lo studio di Duchesne e Frogniere, apparso nel 1995 nell’ambito del progetto Beliefs in Government, ha l’indubbio pregio di aver investigato a livello empirico sull’identità europea e aver espressamente considerato alcune possibili determinanti, benché analizzate singolarmente e non in un’ottica di analisi multivariata, come sarebbe stato – forse – più conveniente. Ci sono tuttavia alcuni limiti, il principale dei quali risiede nell’assenza di qualsiasi distinzione tra i concetti di iden-tità e sostegno che, anzi, spesso sono sovrapposti.

Lo studio di Citrin e Sides (2004) propone una concettualiz-zazione dell’identificazione europea più sofisticata del prece-dente studio, imperniata sugli assunti della psicologia sociale e riferita all’autocollocazione come membro di un gruppo. Anche il modo per misurare l’attaccamento all’Europa appare più arti-colato e avviene attraverso l’impiego di tre items, contenuti nel-le varie inchieste Eurobarometro9: il livello di identificazione, misurato con la classica, Moreno question; il livello di attacca-mento, misurato con la domanda che interpella gli intervistati sul senso di attaccamento a diverse entità territoriali e il livello di orgoglio europeo, operazionalizzato con la domanda tesa a rilevare il livello di orgoglio.

Michael Bruter (2005) introduce ulteriori elementi di appro-fondimento nella concettualizzazione dell’identità europea. Il da-taset impiegato risulta da un questionario utilizzato per interpella-re comunità studentesche in tre Paesi, Olanda, Francia e Inghilter-ra. Il suo maggiore apporto è da individuarsi nella distinzione tra la dimensione civica, riferita alle strutture politiche dell’Unione Europea, e culturale, legata alla comunità culturale europea, indi-viduando nelle memorie del passato uno degli indicatori principa-

7 Si tratta degli Eurobarometro 6, 10a e 12. 8 Una descrizione degli items è presente nella tabella 2.1. 9 La loro analisi è basata sulla wave 54.1 del 2000.

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li. Bruter considera anche un terzo tipo di identificazione, definita generale. La struttura multidimensionale ipotizzata trova confer-me empiriche effettuate attraverso analisi fattoriali. Inoltre un modello di regressione lineare analizza l’impatto di sei variabili indipendenti (che sono: ideologia prevalente dei giornali letti più di frequente, l’aver vissuto in un altro Paese europeo, aver viag-giato in altre nazioni europee, il parlare una lingua straniera, la soddisfazione per la democrazia, l’autocollocazione destra-sinistra) sulle due dimensioni identitarie. Un altro evidente pregio del lavoro di Bruter è da ricercarsi nell’aver stabilito e, parzial-mente confermato con test empirico, una precisa sequenza causale tra l’identità ed il sostegno, che risultano così concettualmente ed empiricamente differenziati. Il maggior limite del lavoro di Bruter consiste, come già discusso, nell’utilizzo di dati provenienti da un campione non rappresentativo.

Lo studio di Ruiz-Jimenez (2004) conferma la multidimen-sionalità dell’identità europea, aggiungendo la dimensione strumentale alle due già ipotizzate da Bruter. Il più evidente punto di forza di questo contributo consiste nell’introduzione e nell’utilizzo di nuovi items, inclusi nell’Eurobarometro 57.2 del 2002. Per contro il maggiore limite risiede nel fatto di non ope-rare alcun tentativo di considerare le determinanti delle diverse dimensioni dell’identità stessa e di confondere i concetti di i-dentità e sostegno.

L’intensità dell’identificazione con l’Europa è stata – in-somma – misurata in vari modi nel corso del tempo. Green (2007) propone un’utile classificazione dei diversi items, ripro-dotta con alcuni adattamenti nella tabella 2.1.

Nonostante l’attenzione crescente da parte delle scienze so-ciali, la centralità per la scienza politica e le implicazioni di ordi-ne politico pratico, il concetto di identità europea necessita anco-ra di una messa a fuoco per svariati motivi che, dopo l’articolata discussione, sono sufficientemente chiari. Le carenze si affaccia-no nei tentativi di definire esattamente il concetto ma si palesano interamente quando si cerca di misurarlo e catturarlo con indica-tori empirici. Il fatto è che, indubbiamente, identità europea è un termine (e insieme un concetto) omnicomprensivo e perciò trop-po vago. Per di più è utilizzato in termini generali, definito in modo intercambiabile con il termine identificazione europea (Bruter 2005; Westle 2006); oppure confuso con la cittadinanza o, ancora, trattato alla stregua del senso di comunità. Per cui è

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necessario effettuare alcune scelte di campo volte a definire, sia pure a grandi linee, le differenze (o le similitudini) tra i vari con-cetti, secondo la seguente proposta.

TAB. 2.1. La misurazione dell’identità europea nelle inchieste di massa

Denominazione Testo domande (1)Appartenenza geografica

A quale di queste entità geografiche direbbe di appartenere prima di tutto? E la successiva? - Il luogo in cui vive; - la regione in cui vive; - il paese (nazione); - l’Europa; - il mondo intero

(2) Pensarsi come europeo

Le capita di pensarsi come cittadino europeo? Spesso, talvolta, mai. Nota: l’item si presenta con alcune varianti sia nella formulazione della domanda che nella pos-sibilità di risposta

(3) Attaccamento all’Europa/Unione europea (attachment question)

(a) Quanto si sente attaccato (o: vici-no/emotivamente attaccato/identificato) all’Europa? Varianti: b) Unione Europea al posto di Europa

(4) Nazionale vs. europeo (Moreno question, anche chiamata future feeling question)

Nel prossimo futuro lei si vede come? -solo (nazionalità), (nazionalità) e europeo, euro-peo e (nazionalità), solo europeo Varianti: a) (nazionalità) solo, (nazionalità) e europeo, solo europeo [campione diviso con la versione a) nell’EB 61.0 2004] b) solo (nazionalità), prima (nazionalità) e poi europeo, prima europeo e poi (nazionalità), solo europeo, sia (nazionalità) che europeo

(5) Orgoglio di essere europeo

Lei direbbe di essere molto, abbastanza, non mol-to o per niente orgoglioso di essere europeo? (a) molto, abbastanza, non molto, per nulla (b) addizionale: non mi sento europeo

Fonte: adattamento da Isernia et al.(in corso di pubblicazione) Legenda: ECS=European Community Studies; EB=Eurobarometro; WWS=World Values Study; ISSP= International Social Survey Pro-gramme. La traduzione in italiano dal questionario originale inglese è dell’autore.

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L’identità europea è un‘identità sociale (o collettiva, impie-gando il termine preferito dagli studiosi statunitensi); e poiché il focus è sulle conseguenze politiche dell’identificazione verso l’Europa, cioè a quello che ne deriva in termini di legittimità e di sostegno per il sistema politico europeo, ed è considerata come un tipo di identità sociale (Bruter 2003; Hermann e Bre-wer 2004). Questo tipo di identificazione ha importanti impli-cazioni comportamentali poiché provoca attaccamento e lealtà nei confronti del sistema politico e sociale di riferimento. Sono, dunque, queste conseguenze in termini comportamentali che fanno dell’identità sociale una risorsa politica utile per spiegare l’azione collettiva e l’accettazione delle regole e delle strutture di quella collettività (Hermann e Brewer 2004:6)

Sulle differenze tra identità e identificazione, la letteratura (Laclau 1994) distingue tra il riconoscimento di un’identità pre-esistente, basata su valori e credenze latenti e l’identificazione attiva di un individuo verso un nuovo gruppo. La distinzione ri-flette la diversa concezione dei meccanismi causali di forma-zione dell’identità collettiva in quanto nel primo caso si postula l’esistenza di modelli mentali pre-esistenti e dunque la scelta identitaria è in qualche modo obbligata o comunque indirizzata da caratteristiche individuali come sesso, razza, religione, na-zione di appartenenza, città e così via (Hurwitz e Peffley 1987; Feldman 1988), mentre nel secondo il meccanismo è simile a quello della costruzione mentale con riferimento alla comunità immaginata, ipotizzato da Anderson (1991)10 per la formazione dell’identità nazionale. Si tratta di una distinzione di rilievo, con importanti implicazioni di natura teorica: pensare all’identità europea come identificazione vuol dire anche ipo-tizzare un percorso scevro da stereotipi ed aprire la strada ad un meccanismo identitario che possa essere anche opportunistico, cioè utilitaristico come anche Westle (2006) riconosce. Non si ignora, certo, che parte dell’eredità culturale europea comune è nella Grecia antica, nell’Impero romano, nella tradizione giu-daico-cristiana e che questi elementi possano avere il loro peso nella formazione, a livello individuale, della nuova identità eu-

10 Per un approfondimento della teoria di Anderson vedi, in questo capitolo, il paragrafo su nazionalismo e identità nazionale.

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ropea. Del resto, la recente rivisitazione della teoria dell’identità sociale operata da Huddy (2001) sottolinea proprio le differenze tra l’identità sociale ascritta e quella acquisita. La prospettiva utilizzata in questo lavoro, condividendo quella a-dottata da Bruter (2005), come apparirà anche di maggiore evi-denza nel prosieguo, abbraccia chiaramente la seconda impo-stazione, quella che guarda più ai meccanismi identitari come identificazione attiva, cioè all’identità acquisita più che ascritta. Stabilito questo aspetto e fatte salve le distinzioni teoriche e concettuali accennate, nel testo i termini identità e identifica-zione sono utilizzati come fossero intercambiabili.

A questo punto sembra utile trarre una sintesi sull’ampia di-scussione in tema di identità europea. La prima conclusione è di ordine metodologico e procedurale: l’approccio multidisciplina-re è, inevitabilmente, l’unico possibile per affrontare compiu-tamente il tema dell’identità europea. Questa, infatti, non si comprende appieno senza gli apporti congiunti di scienza poli-tica, sociologia e psicologia sociale, precedentemente richiama-ti. Le altre conclusioni sono di ordine concettuale e possono es-sere riassunte – sintetizzando i contributi della psicologia socia-le e della scienza politica – in questo modo: l’esistenza di una forma di identità europea tra i cittadini necessita che questi ri-conoscano l’esistenza di un gruppo socio-politico, l’Europa ap-punto, e che questo sia nettamente distinguibile da altri gruppi. Appartenenza e identificazione sono due concetti distinti, e la prima è una condizione necessaria ma non sufficiente per la se-conda. Questa identificazione non è necessariamente incompa-tibile con l’identificazione ad altri gruppi, così l’identità euro-pea non è necessariamente in contraddizione con l’identità na-zionale. I membri di ciascun gruppo sono caratterizzati da di-versi elementi comuni, alcuni dei quali ascritti, come storia, et-nia, lingua, religione, altri acquisiti quali leggi, regole, istitu-zioni, altri ancora strumentali (economia, analisi costi-benefici). Dunque dovrebbe essere possibile la comparazione tra l’ingroup e l’outgroup. Naturalmente l’appartenenza può essere più o meno intensa, a seconda di vari fattori e di quale elemento della prima dimensione predomini. Infine, qual è il significato che si conferisce a questa appartenenza?

In definitiva, un primo tentativo di sintesi considera che a livello individuale la percezione dell’identità europea poggi su una sorta di processo a tre livelli:

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1. oggettivo riconoscimento del gruppo. Esiste l’Europa in quanto gruppo politico-sociale? È distinguibile da altre ma-cro-comunità?

2. livello o forza dell’appartenenza a quel gruppo. Quanto mi sento europeo, anche comparando il livello di identità na-zionale? In altre parole, quanto è forte la percezione di ap-partenere al gruppo socio-politico europeo?

3. significato e senso dell’appartenenza; cosa significa essere attaccato all’Europa? Quanto sono orgoglioso dei suoi ele-menti (es: welfare, economia, istituzioni). Quali sono i miei sentimenti riguardo ai simboli dell’Europa (inno, bandiera, etc.) e nei confronti degli altri cittadini europei? Può essere caratterizzata da una cultura ed una storia comuni? Quali elementi, civici, culturali, strumentali caratterizzano i suoi membri?

La proposta che emerge da questa rassegna della letteratura è, dunque, che l’identità europea sia un concetto multidimen-sionale e per certi versi un processo: una prima fase concerne il riconoscimento del gruppo, quindi c’è la dimensione che ri-guarda l’intensità del sentimento, mentre le altre concernono il significato e il contenuto che l’individuo assegna a questa iden-tificazione. Posta in questi termini, l’identità europea risulta es-sere decisamente diversa dal sostegno per il progetto di integra-zione. Eppure in letteratura questa distinzione non è del tutto acclarata né dal punto di vista teorico e concettuale, né da quel-lo empirico.

2.6. Il political support per l’integrazione europea: Easton e oltre

La concettualizzazione del sostegno politico per la UE è for-temente debitrice nei confronti della riflessione sviluppata da Easton nell’opera del 1965, dedicata all’analisi dei sistemi poli-tici nazionali, e nella riflessione del 1975, che l’autore ha pro-posto per riformulare e aggiornare il suo concetto di sostegno e per chiarire alcune ambiguità generate da talune interpretazioni della sua precedente opera.

Per Easton il sostegno è un’attività orientata alla valutazione del sistema politico, come le sue parole evidenziano: «(the sup-port) refers to the way in which a person evaluatively orients himself to some objects through either his attitudes or his beha-vior» (1975: 436). Dunque una valutazione che orienta atteg-

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giamenti e comportamenti verso gli oggetti politici. Dalla defi-nizione di Easton si evince appunto che il sostegno ricade nella sfera valutativa. Easton considera tre oggetti o componenti del sistema politico, destinatari del sostegno: la comunità politica, il regime e le autorità. Egli considera, cioè, la valutazione pub-blica sulla performance delle istituzioni ma anche sulle sue componenti (che sono per esempio i partiti e i leader politici) e include una sorta di identificazione dei cittadini con un’entità chiamata comunità politica.

Alcuni studi successivi (soprattutto Norris 1999a; Dalton 1999; 2004) hanno poi meglio specificato il concetto di soste-gno al regime; questo è riconducibile agli atteggiamenti dei cit-tadini verso le istituzioni, i processi ed i principi di governo, os-sia all’ordine costituzionale di una nazione. Norris (1999) in particolare distingue tre tipi di regime, ciascuno dei quali misu-ra specifici aspetti del sostegno democratico:

-il regime dei principi, che fa riferimento ai principi ed ai valori democratici, ossia all’insieme dei parametri funzionali al sistema politico ed alle relazioni politiche;

-il regime delle norme e delle procedure, che rappresenta l’insieme delle regole che caratterizzano ciascun sistema politico;

-il regime delle istituzioni consiste nella valutazione delle i-stituzioni politiche, ossia del parlamento, del governo, dei parti-ti e così via. Il sostegno per le autorità politiche è rivolto ai leader politici ma anche ai gruppi politici.

Fin qui, dunque, gli oggetti del sostegno politico. Ma Easton introduce anche un’altra differenziazione, molto importante,che considera i modi del sostegno, che può essere diffuso o specifi-co. Secondo Easton, il sostegno diffuso consiste in un set di at-teggiamenti radicati verso la politica e può essere considerato come misura del livello della legittimità di un sistema politico o delle istituzioni politiche. Il sostegno specifico fa invece riferi-mento alla valutazione degli outputs istituzionali, alle perfor-mance del sistema. Più in particolare, il sostegno è specifico quando l’input del sostegno stesso è strettamente legato alla soddisfazione indotta da una specifica classe di effetti, cioè quando ad una precisa domanda il pubblico ottiene una risposta

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nell’attività delle autorità (1965: 268)11. Il sostegno diffuso è invece una riserva di atteggiamenti favorevoli o comunque po-sitivi che aiutino i membri di quel sistema ad accettare o tolle-rare quegli esiti che essi non condividono o quegli effetti che sembrano danneggiare i loro interessi (ibidem: 273)12. Questo tipo di sostegno è definito anche incondizionato perché è un senso di attaccamento al sistema non condizionato agli esiti o alle performance del sistema politico, contingente. È, in altre parole, una riserva di buona volontà politica (ibidem: 274) alla quale il sistema può attingere nei momenti di difficoltà. Nell’opera del 1965 non è chiaro se i due modi del sostegno possano riferirsi a tutti gli oggetti politici. La rilettura del 1975 risponde parzialmente alla domanda e Easton conferma che il sostegno specifico è da considerarsi una valutazione sulle per-formance delle autorità (e delle strutture) politiche ed è dunque riferibile ad un solo oggetto del sistema politico. Il diffuse sup-port, invece, è riferibile a tutti gli oggetti: autorità, regime e comunità politica. Come si vedrà più avanti, questa è un’importante distinzione rispetto alla riflessione di Lindbergh e Scheingold (1970), per i quali sia il sostegno diffuso che quel-lo specifico riguardano tutti gli oggetti del sistema politico. Appare evidente che i differenti oggetti eastoniani del sistema politico possano anche essere riferibili alle classiche categorie della polity, della politics e delle policy.

Il sostegno diffuso ha alcune proprietà, peculiari: è più dura-turo del sostegno specifico e ha le sue fonti nella socializzazio-ne politica (sia la prima, quella dell’infanzia, che la socializza-zione continua) e nell’esperienza. In ogni caso, per Easton, il sostegno diffuso è di gran lunga più importante dello specifico per la sopravvivenza di un sistema politico perché, come illu-strato, costiutisce una sorta di riserva di orientamenti favorevoli

11 Nelle parole di Easton il sostegno è specifico quando «in the eyes of the members, there is some connection between their wants or demands and the activities of the authorities» (1965: 268). 12 Il sostegno diffuso (o incondizionato) è «a reservoir of favourable attitudes or good will that helps members to accept or tolerate outputs to which they are opposed or the effect of which they see damaging to their wants». (Easton 1965: 273); è anche un sentimento di attaccamento al sistema politico non condizionato da specifici eventi (Easton 1965: 272).

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che aiuta i cittadini a tollerare le delusioni derivanti dagli ou-tputs non favorevoli.

Anche per Scharpf (1999) che però preferisce utilizzare i termini di legittimità input-oriented e output-oriented, la di-mensione di sostegno diffuso è la più rilevante per la legittimità di un sistema politico. Tuttavia, per Scharpf, a differenza di Ea-ston, la legittimità input-oriented può esistere solo come conse-guenza di una forte identità collettiva (thick collective identity). La forma di sostegno diffuso, come detto, può essere rivolto verso tutti e tre gli oggetti politici: quando è rivolto a autorità e regime può assumere le caratteristiche della fiducia o della le-gittimità (1975: 447).

Tra gli oggetti destinatari di support, non c’è dubbio che sia la comunità politica ad interessare più da vicino questa ricerca. Le riflessioni che Easton dedica a questo tema sono pratica-mente contenute tutte nel lavoro del 1965 in cui opera un’importante differenziazione tra senso di comunità sociale (che rileva il grado di coesione di una società) e senso di comu-nità politica che invece si riferisce ad una comunità di persone che sentono di appartenere ad un gruppo, il quale, condividendo una struttura politica, condivide anche un destino politico13. Il senso di comunità politica, così definito, non è necessariamente un prerequisito per un sistema politico: «[...] this approach does not compel us to postulate that before a political system can ex-ist or even it is to persist, a sense of political community must first rise to some specified level. Although we may adopt the degree of mutual identification as one kind of measure of the input of support for the political community, it is conceivable that for considerable periods of time, the sense of political community may be low or non-existent. [.. ] It is possible for a political structure to bind a group together before feelings of mutual identification have emerged. We may go further. Fre-quently the imposition of a common division of political labour has itself made possible the slow growth of sentiments of po-litical solidarity; this reverses normal expectations of the sig-

13 Per Easton il senso di comunità politica «indicates political cohesion of a group of persons [ ] the feeling of belonging together as a group which, be-cause it shares a political structure, also shares a political fate» (1965:185).

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nificance of sentiments of solidarity as a pre-condition for the emergence of a political community. A political community may precede and become a condition for the growth of a sense of community». (Easton 1965: 185-6). Nell’opera del 1975 Ea-ston sorvola sull’argomento su questo particolare aspetto E non scioglie i dubbi generati dall’opera precedente. È proprio il dif-fuse support verso la comunità politica a non essere riconside-rato ed anzi è espressamente tralasciato, con la giustificazione che l’argomento non ha bisogno di essere approfondito. Nelle poche righe che vi dedica, ammette che esso possa apparire come un comune sentire (we-feeling), come la coscienza comu-ne (common consciousness) o come l’identificazione con il proprio gruppo (group identification) (1975:447), generando così ulteriore confusione concettuale.

Gli studi sul political support per il processo di integrazione europea devono molto, oltre che ad Easton, a Lindbergh e Scheingold (1970) che hanno influenzato ed anzi caratterizzato, probabilmente più di quanto avvenuto per lo studioso canadese, i contributi successivi. La loro riflessione è espressamente di-retta all’integrazione europea, attraverso un adattamento della teoria eastoniana. Per loro, in prima battuta, il sostegno può es-sere identitive o systemic. Nel primo caso il riferimento è alle relazioni orizzontali tra i cittadini, mentre il sostegno systemic si riferisce invece alle relazioni verticali tra il sistema e l’opinione pubblica. Come per Easton, anche per Lindbergh e Scheingold il sostegno può essere rivolto a diversi componenti del sistema politico (regime, caratterizzato dal systemic support e comunità, interessata dall’identitive support). Le autorità, considerate al pari di Easton uno degli oggetti del sostegno, non sono argomento privilegiato del loro studio e sono di fatto tra-scurate. La comunità politica è vista con particolare riferimento alla divisione del lavoro (politico) e dunque, nel caso della CE-E, concerne lo scopo stesso del sistema politico. Il regime, in-vece, riguarda la natura del sistema politico e porta a considera-re la questione delle istituzioni sopranazionali e la divisione del potere tra queste. Lindbergh e Scheingold considerano, insieme con Easton, due modi diversi di sostegno: utilitarista e affettivo. Appare evidente come l’uno, il primo, sia legato alla percezione di un interesse concreto, l’altro a ideali, come le stesse parole dei due autori chiariscono: «utilitarian and affective permit di-stinctions between support based on some perceived and relati-

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vely concrete interest (utilitarian) and support which seems to indicate a diffuse and perhaps emotional response to some of the vague ideals embodied in the notion of European unity af-fective» (1970: 40).

L’analogia con lo specific e diffuse support di Easton è evi-dente ed anzi la traduzione di specifico in utilitarista e diffuso in affettivo è stata accettata da tutti gli autori che hanno riflettu-to e indagato, successivamente, sul fenomeno (Shepherd 1975; Hewstone 1986; Inglehart et al.1987; Niedermayer 1995a; Ga-bel 1998) senza che – sostanzialmente – mai venisse posta in discussione. Le parole di Easton, al contrario, non sembrano autorizzare una trasposizione automatica: da un lato il sostegno diffuso non è necessariamente e unicamente affettivo e non è necessariamente legato ad una socializzazione di lungo termine, ma può avere origine nella valutazione di circostanze politiche di ordine generale. Easton considera, infatti, l’esperienza (1975: 446). D’altro canto il sostegno specifico non è unicamente utili-tarista, legato cioè alla percezione dei possibili vantaggi (indi-viduali o per il proprio gruppo) che ne potrebbero derivare. Piuttosto, nelle parole di Easton, è riferibile alla valutazione di uno specifico evento o alla performance dell’autorità o del si-stema stesso nella sua interezza.

Se queste sono dunque le definizioni di diffuse e specific sup-port, che rapporto c’è tra i due modi del sostegno? Easton stesso si è posto questa domanda ed ha risposto sostenendo che le due dimensioni sono fortemente correlate. Anche sulla sequenza per così dire, temporale o se si vuole causale, Easton ha una posizio-ne chiara: ritiene che il sostegno specifico preceda quello diffuso. Afferma, infatti, che il sostegno per qualsiasi oggetto politico di-pende, alla lunga, da quanto il pubblico sia persuaso che gli effet-ti di quella politica stanno soddisfacendo, nei fatti, le loro do-mande e che questo soddisfacimento avverrà in un periodo di tempo ragionevole (1965: 267). Hewstone (1986) è sulla stessa posizione e anzi sostiene in maniera chiara che ci sia una sequen-za cronologica. Più recentemente Gabel (1998) ha ipotizzato la medesima sequenza, testando con successo l’ipotesi. Di diverso avviso Lindbergh e Scheingold (1970) e Inglehart (1970a), se-condo i quali è invece il sostegno diffuso (affettivo) a generare anche quello specifico (utilitaristico).

Per la misurazione del sostegno la letteratura suggerisce l’utilizzo di diversi indicatori. Se dal punto di vista teorico la

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proposta di Easton, arricchitasi dei contributi di Norris (1999) e Dalton (1999), è sicuramente ancora attuale e mantiene intatto il suo “appeal” teorico, non altrettanto può dirsi per l’operazionalizzazione e la misurazione. La stessa bi-dimensionalità del sostegno verso l’Unione europea è stata messa in discussione ma poi verificata attraverso un’analisi fat-toriale, da Wildgen e Feld (1976) e da Gabel (1998). Non c’è dubbio che il più utilizzato tra gli indicatori sia quello comu-nemente noto come indicatore di appartenenza (membership), presente con continuità negli Eurobarometro fin dal 1973. Ini-zialmente ritenuto un indicatore di sostegno specifico, è stato successivamente impiegato in modo differente dai vari autori: se Handley (1981) lo considera adatto a rilevare il sostegno specifico, come pure Hewstone (1986), Niedermayer (1995a), nella sua analisi che abbraccia un vasto arco temporale (1970-1990), lo utilizza, insieme con gli indicatori di unificazione e dissoluzione (quest’ultimo introdotto negli Eurobarometro solo nel 1983) per misurare invece il sostegno diffuso. Per la misu-razione del sostegno specifico la letteratura si è generalmente e univocamente affidata all’indicatore di beneficio (che appare anch’esso per la prima volta negli Eurobarometro nel 1983. Più recentemente Hix (1999), applicando la dicotomia eastoniana adattata da Lindbergh e Scheingold, utilizza l’indicatore di benefit per misurare il sostegno utilitarista e la classica doman-da sulla cittadinanza contenuta negli Eurobarometro14, solita-mente impiegata, piuttosto, per la misurazione dell’identità eu-ropea, per testare il livello di attaccamento affettivo.

Appare dunque evidente che la scelta degli indicatori per misurare il sostegno non è univoca in quanto un vivace scambio di posizioni ha animato il dibattito. Gabel (1998) ha in qualche modo pronunciato una parola per molto tempo considerata de-finitiva: dopo aver confermato l’adeguatezza del modello di Easton (bi-dimensionale) per catturare gli orientamenti dei cit-tadini verso l’Europa, ha smentito la validità dell’indicatore di unificazione per misurare il sostegno diffuso, muovendo dalla considerazione che valutazioni utilitaristiche possano influenza-re la risposta alla domanda sugli sforzi effettuati per unificare

14 Il riferimento è alla Moreno question.

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l’Europa occidentale (1998: 21). Per Gabel non si può cioè e-scludere che chi si dichiari favorevole a ulteriori sforzi per uni-re l’Europa abbia questa posizione perché spera di ottenere altri o nuovi vantaggi. Dunque un indicatore troppo generico po-trebbe indurre in un errore di misurazione. Gabel però non si limita ad una discussione teorica ma verifica la sua ipotesi con un’analisi fattoriale condotta sui dati Eurobarometro del 1985. Rileva che, mentre l’indicatore di appartenenza (membership) satura un solo fattore, cioè è correlato con una sola dimensione, quello di unificazione satura entrambi i fattori, benché non in tutti i Paesi considerati. E conclude che l’indicatore di unifica-zione non è valido per misurare il sostegno diffuso.

La proposta di Gabel ha, di fatto, segnato uno spartiacque negli studi del political support per il processo di integrazione europea. In base ai suoi risultati l’indicatore utilizzato fino a quel momento per misurare il sostegno diffuso è stato dismesso e, elemento ancora più rilevante, la stessa importanza del soste-gno diffuso verso l’Europa è stata messa in discussione: poiché è stato ritenuto empiricamente irrilevante, cioè il suo livello co-sì basso da non essere meritevole di ulteriore attenzione, non ci si è preoccupati di indagare ulteriormente nemmeno su nuove, possibili operazionalizzazioni.

Isernia e Ammendola (2005) – analizzando i dati pubblicati da Gabel – fanno però rilevare come la validità dell’indicatore di unificazione per misurare il sostegno diffuso cambi a secon-da del contesto nazionale: in Italia (come in Francia, Paesi Bas-si, Regno Unito e Irlanda) l’indicatore si rivela valido per gli scopi. In Danimarca, Belgio, Grecia e Germania, al contrario, no. Questo risultato se da un lato conferma la validità di uno degli indicatori del sostegno diffuso, dall’altro ripropone l’argomento, più generale, dell’importanza del contesto nazio-nale negli studi degli orientamenti individuali verso l’Europa.

Il sostegno per il progetto di integrazione europea è stato, infine, declinato anche in altre forme teoriche che, inevitabil-mente, hanno un riverbero sul piano empirico: Citrin e Sides (2004) suggeriscono ad esempio di misurare il sostegno anche utilizzando gli items che sollecitano i cittadini ad esprimersi suo ruolo che l’Unione Europea dovrebbe svolgere in alcuni ambiti di policy (2004:175). Si tratta di un test piuttosto probante, i cit-tadini sono, infatti, chiamati a pronunciarsi sull’opportunità che il processo decisionale in talune aree venga trasferito a livello

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sopranazionale15. Misurare il sostegno con riferimento alla pro-duzione di politiche pubbliche è un’ottica su cui si sono con-frontati diversi autori (De Winter e Swyngedouws 1999; Lub-bers e Scheppers 2005) senza tuttavia legare esplicitamente questa opzione al framework eastoniano. 2.7. Identità, sostegno e senso di comunità

Da quanto illustrato appare evidente come gran parte della

riflessione sulle relazioni, concettuali ed empiriche, tra soste-gno e identità possa prendere le mosse e ruotare intorno ad uno solo degli “oggetti” destinatari di political support teorizzati nella proposta di Easton, cioè la comunità politica. Cosa sia una comunità politica – l’oggetto che la scienza politica indica an-che con il nome di polity – è una domanda cui si può rispondere con una certa agilità. Levi (1990) la definisce, in senso classico, come «il gruppo sociale a base territoriale che riunisce gli indi-vidui legati alla divisione del lavoro politico». Nell’ipotesi più semplice la divisione dei ruoli all’interno della comunità – e nell’ambito di un’entità territoriale - e quella tra chi governa e chi è governato. Storicamente, a lungo la comunità politica è coincisa con lo Stato-Nazione ma – anche nel passato – non mancano esperienze di comunità politiche costruite su basi multinazionali, come l’Impero austro-ungarico, la Spagna post-franchista, la stessa Svizzera (Cotta et al. 2001) L’integrazione europea e la costituzione della Comunità Economica Europea prima e dell’Unione Europea poi, è naturalmente l’altro esem-pio importante.

La questione allora è se l’integrazione europea abbia avuto, tra le conseguenze, la nascita di una (nuova) comunità politica. Domanda niente affatto scontata, la cui risposta dipende in gran parte da cosa si intende per comunità politica. Se la si intende in senso classico (dove cioè la divisione del lavoro prevede re-lazioni verticali tra governati e governanti e dove alla base c’è un identità comune), la risposta potrebbe anche essere negativa. 15 Alcuni items contenuti negli Eurobarometro consentono esattamente di fa-re questo. La domanda è: «For each of the following areas do you think that decision should be made by (nationality) government or made jointly within European Union?». Le opzioni di risposta considerano le varie aree di policy.

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Se invece si adotta un’ottica meno convenzionale, che accoglie le indicazioni derivanti dall’osservazione empirica, allora la ri-sposta non può che essere positiva: proprio l’esperienza dell’integrazione europea mostra come una Comunità politica possa svilupparsi anche muovendo dall’assenza di identità e perfino di un popolo ma scaturire piuttosto da relazioni orizzon-tali, di cooperazione su temi specifici, inizialmente solo di natu-ra economica (ibidem). Inoltre, se la osserviamo nell’ottica ea-stoniana (1965: 177), secondo il quale una comunità politica esiste se i suoi membri mostrano prontezza e abilità a lavorare insieme per risolvere i loro problemi politici, allora la risposta è sicuramente affermativa. Dunque, se una comunità politica esi-ste, allora dovremmo essere in grado di misurare in primo luo-go l’intensità del legame che unisce i suoi membri, vale a dire il senso di comunità di cui parla Deutsch (1953)16; quindi il senso di attaccamento da parte dei cittadini alla comunità, che è l’identità europea e, da ultimo, il livello di sostegno.

Cosa emerge da questa discussione? Il risultato più rilevante è che i tre concetti che da Easton in poi appaiono sovrapposti, assumono in realtà un chiaro status di indipendenza: per senso di comunità si intende il legame orizzontale che vincola i mem-bri del gruppo; per identità quello verticale, per sostegno la va-lutazione sull’opportunità di costruire la polity.

Definita la questione della variabile dipendente (o delle va-riabili dipendenti), è adesso necessario introdurre e discutere le teorie che, in letteratura, si sono alternate nella spiegazione dei sentimenti pro/anti Europa.

16 Nelle parole di Deutsch il senso di comunità è definito come: «a matter of mutual sympathy and loyalties; of “we-feeling”, trust and mutual considera-tion; of partial identification in terms of self-images and interests; of mutually successful predictions of behaviour, and of co-operative action in accordance with it» (Deutsch et al. 1957: 36).

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2.8. I fattori che promuovono i sentimenti europeisti. I primi tentativi di spiegazione: permissive consensus e teoria funzio-nalista

In questa seconda sezione del capitolo la discussione è in-

centrata sui fattori che promuovono lo sviluppo dell’identità eu-ropea, vale a dire sulle variabili indipendenti. Delle cause – in altre parole – che la letteratura considera come promotrici di sentimenti pro/anti Europa e specificamente di identità europea. La discussione sui predittori dell’identità europea non può pre-scindere dalla considerazione, più generale, dei fattori che sono classificati tra i promotori dei sentimenti individuali verso i si-stemi politici. Vale a dire che, buona parte delle spiegazioni formulate per spiegare, ad esempio, il sostegno politico, risulta-no utili anche per spiegare l’identità, con alcuni adattamenti e taluni approfondimenti.

Per spiegare gli orientamenti individuali verso l’Europa, per molto tempo la letteratura ha utilizzato una spiegazione basata sul concetto di permissive consensus, traducibile in italiano con consenso permissivo; secondo questa interpretazione, l’alto li-vello di consenso popolare verso il progetto di integrazione eu-ropea nei primi anni di vita della Comunità (anni ’50 e ’60) è dovuto a quello che Lindbergh e Scheingold (1971) descrivono come una delega che i cittadini si limitavano a conferire ai pro-pri governanti in merito alle questioni riguardanti l’Europa. Come sottolinea Inglehart (1970a), l’atteggiamento favorevole verso il progetto di integrazione era dovuto essenzialmente e al-la scarsa rilevanza politica della issue Europa. Per Inghleart, in-fatti, i decision makers nazionali erano liberi di decidere in vir-tù della bassa salienza del tema (ibid). Anche Hix (1999) rimar-ca come una maggioranza piuttosto ampia di cittadini europei semplicemente non erano interessati all’argomento, dunque non avevano opinioni circa l’azione dei propri governi sulla que-stione Europa, oppure sostenevano acriticamente la loro azione quando si trattava di promuovere l’integrazione. Il permissive consensus, concetto mutuato dallo studio di Key del 1961 sul sostegno pubblico per le azioni governative negli Stati Uniti d’America, particolarmente nel settore della politica estera, è così utilizzato per spiegare la prima fase degli orientamenti dei cittadini verso il progetto di integrazione europea, benché que-sta teoria non si presti ad un agevole test empirico, soprattutto

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per la carenza di dati provenienti da inchieste di massa (Hix 1999). Negli ultimi anni l’attenzione di alcuni studiosi si è però concentrata proprio su quel periodo, solitamente poco indagato (Isernia 2005 b), anche con un’opera di recupero di dati prove-nienti da archivi tra cui quello della Doxa, almeno con riferi-mento al caso italiano17.

Spiegazioni come quella del permissive consensus hanno fornito una interpretazione più o meno convincente delle rela-zioni che sono intercorse tra cittadini ed Europa, almeno finché il progetto di integrazione ha mantenuto caratteristiche legate unicamente alla cooperazione economica tra gli stati. Ma con l’avanzare del processo di integrazione è emersa la necessità di spiegazioni più articolate, soprattutto per trovare risposte con-vincenti alle domande sul perché i cittadini avessero cominciato a mostrare sentimenti di scetticismo.

Il sostegno verso l’UE, quale che sia la sua reale fonte, de-cresce, infatti, a partire dall’Atto unico europeo del 1987 e dall’adozione del trattato di Maastricht avvenuta nel 1992, che hanno ampliato le sfere di azione e le competenze dell’Unione ed hanno decretato la sua trasformazione in qualcosa di diverso e decisamente più complesso, che qualche autore definisce co-me uno stabile sistema di governance (Hix 1999). Di certo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 il processo di integrazio-ne europea subisce un deciso cambiamento per imboccare con maggiore vigore la strada dell’integrazione politica oltre che economica: nasce il vero mercato unico, cambia il nome, non a caso mutato in Unione Europea. L’opinione pubblica deve con-frontarsi con nuove tematiche, con un attore sovranazionale che inizia a regolare la propria vita non solo in campo economico e finanziario, ma anche in altri settori. Emerge con maggiore for-za il fenomeno dell’euroscetticismo, in Italia meno vistoso ma pur sempre presente, probabilmente rinvigorito da alcune con-seguenze sulle dinamiche dei prezzi che gran parte dell’opinione pubblica ha percepito essere direttamente deri-vanti dall’introduzione dell’Euro. Lo stesso orientamento delle élites governative (qui il riferimento è alle posizioni decisamen-te euroscettiche dei vari governi guidati da Berlusconi e alle

17 Il problema, in questo caso, è la comparabilità nel tempo degli indicatori.

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posizioni di alcuni partiti quali la Lega Nord) ha probabilmente contribuito ad accrescere, nell’opinione pubblica, l’immagine di un’Europa che ponesse vincoli troppo severi all’ambito di a-zione domestico18. Inoltre le bocciature del Trattato Costituzio-nale in Francia e Olanda, sia pure con motivazioni diverse, nel giugno 2005, e l’accidentato sentiero che ha dovuto percorrere il Trattato di Lisbona prima che entrasse in vigore, nel dicem-bre 200919, fanno tornare prepotentemente alla ribalta l’interrogativo: che rapporto lega i cittadini all’Europa?

Prima di analizzare più da vicino il caso italiano, già indica-to come particolarmente interessante sotto diversi punti di vista, è opportuno perciò esaminare il percorso effettuato in trenta e più anni di studi sul rapporto tra cittadini ed Europa: dopo la fa-se del permissive consensus numerosi autori nel corso degli an-ni hanno indagato sull’argomento, da diverse prospettive teori-che, applicando tecniche di analisi differenti, formando comun-que una tradizione di ricerca davvero molto ricca, influenzata particolarmente dal lascito del funzionalismo che, soprattutto nella variante definita neo-funzionalista, ha letteralmente domi-nato gli studi sull’integrazione europea, con evidenti ripercus-sioni nel settore degli studi sull’opinione pubblica e i suoi rap-porti con l’Europa.

Fin dalle riflessioni di Haas (1958) – che in questo si trova accomunato con l’altro padre fondatore degli studi sull’integrazione europea, cioè Deutsch – l’idea che una forma di identità europea sia indispensabile per la formazione della comunità politica europea, e per la sopravvivenza della stessa polity, è ben presente. Si tratta, in realtà, di uno dei pochi punti di convergenza tra Haas e Deutsch che, invece, hanno idee e proposte diametralmente opposte sul ruolo dell’opinione pub-blica nel processo di integrazione europea: irrilevante per il primo, il quale enfatizza piuttosto il ruolo delle élites,essenziale per il secondo, che pone al centro della riflessione il concetto di senso di comunità e quindi di mutua lealtà e fiducia tra i mem-bri di una comunità politica.

18 Anche in questo caso non è estraneo il quadro di alleanze internazionali e la posizione degli Stati Uniti d’America. 19 Si ricordi il doppio referendum irlandese e i dubbi danesi.

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Nella fase iniziale prevale la proposta neo-funzionalista di Haas, che ispira alcuni studi particolarmente influenti. Tra que-sti, la riflessione di Guetzkow (1955) arricchita ed estesa da Ea-ston (1965), i cui contributi danno vita al modello conosciuto come Guetzkow-Easton Model, spesso abbreviato in GEM. Si tratta di un modello esplicativo della formazione dell’identità europea, della sua natura e delle sue conseguenze (Isernia et al., 2011). In questa parte dello studio è interessante sottolineare soprattutto il contributo del modello GEM nella definizione delle fonti dell’identità europea; semplificando, il meccanismo esplicativo muove dall’idea di Guetzkow che lo sviluppo di sentimenti di lealtà verso un oggetto politico sia un processo a più fasi e che la lealtà stessa sia un concetto multidimensionale, in cui componenti strumentali, affettive o derivanti da un’espressione di conformità, si miscelano. Easton esplicita questo assunto, legando direttamente la componente specifi-ca/utilitarista a quella diffusa/affettiva per cui la prima – il so-stegno specifico – precede anche cronologicamente la seconda, costituita dal sostegno diffuso. In questo modo, nel corso del tempo, il sostegno specifico cioè i vantaggi, non solo economici evidentemente, derivanti dal processo di integrazione, creano meccanismi di identificazione20. In questo modello è evidente la natura duale, utilitaristica e affettiva, dei meccanismi di for-mazione dell’identità europea21 anche se nella prima fase pre-vale la prima componente. Lo spillover, concetto cardine del neo-funzionalismo, è così applicato così anche ai meccanismi di formazione dell’identità europea.

Tuttavia, seguendo un criterio cronologico, la prima pro-spettiva teorica utilizzata per spiegare gli orientamenti verso l’Europa è la mobilitazione cognitiva proposta da Inglehart (1970). Segue la fase degli studi in cui, sulla scia della teoria neo-funzionalista, le motivazioni utilitariste hanno un ruolo 20 Per ragioni di spazio è necessario sintetizzare la complessità di un modello che fornisce, ancora oggi, spunti preziosi a chi studia gli orientamenti indivi-duali verso i sistemi politici, incluse le riflessioni sulla lealtà multipla. Una descrizione più approfondita del modello GEM si trova in Isernia (Isernia et al.2011). 21 In realtà il modello poggia sull’assunto che identità europea e sostegno dif-fuso/affettivo siano la stessa cosa.

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predominante (Gabel 1998). Successivamente, diversi autori hanno studiato la questione dell’europeismo, proponendo come chiave di lettura le spiegazioni politiche (Anderson 1998; San-chez-Cuenca 2000). In tempi più recenti si afferma invece il pa-radigma identitario, dove l’identità nazionale e le identità locali costituiscono le variabili maggiormente esplicative degli orien-tamenti dell’opinione pubblica verso l’Europa (Carey 2002; McLaren 2002; Hooghe e Marks 2005). Inoltre, lo studio delle cause che promuovono identificazione con l’Europa, deve con-siderare l’apporto della psicologia sociale, in particolare la teo-ria dell’entitativity (Campbell 1958; Castano 2005) e la group reference theory (Risse et al. 2005), cui già si è accennato.

Dunque una tradizione di ricerca particolarmente ricca e certamente feconda. In questa rassegna, nella disamina dei di-versi modelli esplicativi, piuttosto che seguire il criterio crono-logico, i predittori dell’europeismo sono raggruppati in econo-mico-utilitaristici (o strumentali) e non-economici, come sugge-rito da Hooghe e Marks (2005). Prospettive teoriche che De Vreese (De Vreese et al. 2008) definiscono con i termini di fat-tori hard e soft. Si tratta, a ben vedere, di uno sviluppo della proposta di Guetzkow e di Easton (1965; 1975), rivisitata in primo luogo da Lindbergh e Scheingold (1971). 2.9. I cittadini e l’Europa. I fattori hard: i modelli economico-utilitaristici. Quando prevale il calcolo razionale

La teoria utilitarista-economica o strumentale, che interpreta

i sentimenti pro-anti Europa dell’opinione pubblica ipotizzando un comportamento razionale e dunque un calcolo, asserisce che l’adesione all’Europa sia operata in base alla convenienza e all’utilità della scelta. Sviluppata soprattutto da Gabel (1998, ma vedi anche Gabel e Palmer 1995; Gabel e Whitten 1997), può considerarsi per certi versi un’estensione prima e un’applicazione empirica poi della teoria neo-funzionalista.

Questa interpretazione presuppone che i cittadini siano in grado di valutare razionalmente, di calcolare dunque, le conse-guenze economiche dell’integrazione europea sia per loro stessi che per i gruppi sociali di cui fanno parte, nazione inclusa. Gli atteggiamenti verso l’UE sono dunque il prodotto di questo cal-colo. I risultati degli studi di Gabel mostrano come i cittadini che beneficiano direttamente degli aiuti comunitari (per esem-

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pio gli agricoltori) evidenzino elevati livelli di sostegno per l’Europa. È, questo, il cosiddetto utilitarismo egocentrico, spie-gato da una logica perfettamente comprensibile: se l’Europa è stata soprattutto integrazione economica e la politica più pene-trante è stata quella di coesione e, più in generale, economica, soprattutto nel settore agricolo, allora l’ipotesi che alla base del sostegno ci sia una motivazione strumentale non è certo priva di fondamento.

L’approccio utilitarista considera anche i fattori economici di natura aggregata, muovendo dalle ricerche che si rifanno alle teorie dell’economic voting (Lewis-Beck 1988). In questa pro-spettiva il sostegno all’integrazione europea è condizionato dal-la performance del sistema economico nazionale. In particolare, l’orientamento verso l’integrazione europea è alto laddove le condizioni economiche nazionali (inflazione, disoccupazione, crescita del prodotto nazionale lordo) sono favorevoli (Eichen-berg e Dalton 1993): è il cosiddetto utilitarismo sociotropico, la cui logica risiede nella considerazione che l’appartenenza all’Europa possa, attraverso vari meccanismi, favorire il conte-sto economico nazionale. In sintesi, l’assunto centrale della teo-ria economica o strumentale è che gli orientamenti individuali verso l’Unione Europea siamo mediati da un calcolo costi-benefici: dal punto di vista economico, conviene l’appartenenza alle UE?

Con l’arrivo nel nuovo secolo, riprendono vigore gli studi imperniati sulle spiegazioni non economiche, identitarie e, più generalmente, di ispirazione culturalista. 2.10. I cittadini e l’Europa. Gli orientamenti non-utilitaristi, ossia i fattori soft: cognitive mobilization e identità nazionale

L’utilizzo di variabili non-utilitaristiche nella spiegazione

degli atteggiamenti dei cittadini verso l’Unione Europea non è di recentissima introduzione perché già Inglehart vi aveva fatto ricorso negli anni ’70 (1971; 1977). Tuttavia, è solo in anni re-centi che l’utilizzo di questa tipologia di variabili ha ripreso grande vigore.

Nell’elaborazione della sua teoria sulla silent revolution, In-glehart (1977; 1997) individua negli orientamenti valoriali (ma-terialisti vs. post-materialisti) e nelle risorse politiche personali (cognitive mobilization) le variabili chiave per spiegare

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l’opinione verso il progetto di integrazione europea. Dove, na-turalmente, gli individui con un elevato grado di cognitive mo-bilization, che sfocia in un alto livello di risorse o abilità politi-che, hanno maggiore propensione a confrontarsi con concetti astratti, quali appunto l’integrazione europea, e ne hanno dun-que un’opinione maggiormente positiva rispetto ai cittadini con minor livello di cognitive mobilization. Il problema più rilevan-te nell’analisi di Inglehart concerne il fatto che, nella sua lettu-ra, gli orientamenti cosmopoliti coincidono con le opinioni ver-so l’Europa. E dunque non sono mirati, sono in qualche modo generici, nel senso che sono tali indipendentemente dal contesto nazionale o locale. E invece diversi studi successivi hanno mo-strato come la percezione e il giudizio sull’Europa siano stret-tamente legati al contesto nazionale. Di contro, il contributo di Inglehart ha il grande pregio di considerare altre variabili che non siano unicamente quelle economiche, di mostrare cioè – sia pure con i limiti accennati – che gli orientamenti individuali verso i sistemi politici, non dipendono esclusivamente da un calcolo economico.

In anni più recenti, e in seguito soprattutto all’aumento di competenze dell’Unione Europea e dei vari allargamenti che l’hanno interessata, si è affermata, in maniera prepotente, la spiegazione identitaria: in questa prospettiva l’identità naziona-le e, talvolta, sub-nazionale, assume il ruolo di predittore chiave degli orientamenti dell’opinione pubblica nei confronti dell’Unione Europea.

In Carey (2002) è ipotizzato un semplice meccanismo men-tale: il pericolo di una perdita di prerogative della propria na-zione, derivante dalla crescente invadenza di un sistema sopra-nazionale, comporta una reazione di segno negativo in quei cit-tadini che non percepiscono l’UE come un sistema legittimato (o legittimo), che comunque non scorgono e non riconoscono chiaramente il profilo di un’identità europea. Così per Carey una forte identità nazionale, rafforzata dai sentimenti di appar-tenenza territoriale sub-nazionale, rappresenta un formidabile ostacolo all’integrazione europea. McLaren (2002) utilizza in-vece il concetto di percezione della minaccia alla propria identi-tà: una minaccia posta dall’integrazione con altri popoli e cultu-re, per ragioni economiche, riferibili a possibili contese per i benefici economici percepiti da gruppi minoritari, o derivanti da motivazioni prettamente culturali. Il risultato cui perviene

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McLaren è in linea con quello raggiunto da Carey e dunque una forte identità nazionale ostacola il processo di integrazione eu-ropea.

La relazione tra identità nazionale ed europeismo appare tut-tavia essere più complessa: per Duchesne e Frogniere (1995) ma anche per Bruter (2004) e Citrin e Sides (2004) contraria-mente ai risultati cui pervengono Carey e McLaren, la relazione tra attaccamento nazionale e europeismo è viceversa positiva e l’identità nazionale è pienamente compatibile con i sentimenti europeisti22. In questa direzione vanno anche gli studi elaborati nell’ambito della psicologia sociale.

Definire in maniera univoca quale sia il ruolo dell’identità nazionale nella formazione degli orientamenti dei cittadini ver-so l’Europa è dunque operazione alquanto complessa. Un re-cente approfondimento è proposto da Hooghe e Marks (2005) secondo i quali il contesto nazionale ha un ruolo dirimente: l’identità nazionale opera in opposte direzioni, a favore o a sfa-vore dell’integrazione europea, a seconda del contesto conside-rato e soprattutto a causa di specifici eventi politici, nella fatti-specie, lo svolgimento di un referendum sull’Europa, che sono in grado di attivare nei cittadini sentimenti nazionalistici. Il grande pregio del lavoro di Hooghe e Marks risiede nell’aver dimostrato che l’identità nazionale non ha un ruolo ambiguo nella spiegazione dell’Europeismo ma che la sua funzione di-pende dalle specificità nazionali. Un pregio mitigato dal fatto che, tra i fattori contestuali, Hooghe e Marks includono unica-mente quelli politici.

In questo senso lo studio di Ruiz-Jimenez (Ruiz-Jimenez et al. 2004), confermando la compatibilità delle identità nazionale ed europea, aggiunge un tassello al mosaico, enfatizzando il di-verso contenuto o significato dell’attaccamento alla nazione e all’Europa: culturale nel caso dell’identità nazionale, civico e strumentale, cioè legato alla presenza delle istituzioni e ai bene-fici, nel caso di quella europea.

22 Da aggiungere che negli studi di Carey e McLaren la variabile dipendente non è l’identità europea ma il sostegno per il processo di integrazione europe-a. Dunque è opportuno sottolineare che il diverso impatto dell’identità nazio-nale potrebbe dipendere anche da come è misurata la variabile dipendente.

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Dunque da un lato le specificità nazionali, dall’altro il con-tenuto dell’identità nazionale, possono contribuire a rendere meno ambiguo il ruolo del sentimento di attaccamento alla na-zione quale predittore dell’identità europea.

2.11. I cittadini e l’Europa. Gli altri orientamenti non-utilitaristi, ossia i fattori soft/2: le motivazioni politiche. Scor-ciatoie cognitive e fiducia per il sistema domestico

Nell’ambito di quelle definibili come motivazioni politi-

che, rientrano una gamma piuttosto ampia di orientamenti teo-rici che inevitabilmente si riflette in una sensibile eterogeneità sul piano delle verifiche empiriche. Una prospettiva – descri-vibile come dei valori politici – fa ricorso alla psicologia co-gnitiva e sociale per evidenziare come gli individui utilizzino alcune political cues, provenienti dai propri orientamenti i-deologici e dai messaggi immessi nel circuito dalle élites poli-tiche, per farsi la propria idea sull’Europa. Alla base di questo approccio c’è la convinzione che gli individui non siano in grado di ottenere autonomamente informazioni complete; che la loro capacità di calcolo razionale sia in realtà limitata, che posseggano delle conoscenze parziali e necessariamente deb-bano affidarsi a meccanismi di delega, istituzionale ma non solo. Gli studi condotti – dunque – enfatizzano soprattutto il peso dell’ideologia politica e il ruolo dei partiti politici quali fornitori di scorciatoie cognitive (Gabel 1998). In questo sen-so la posizione che il partito con cui ci si identifica, o cui si è vicini, assume nei confronti dell’Europa fornisce sicuramente una fonte informativa rilevante.

Una seconda prospettiva focalizza l’attenzione sui sentimen-ti che i cittadini provano verso le istituzioni politiche nazionali e, più generalmente, verso il sistema politico nazionale. Van Kersbergen (2000), celebre per aver sviluppato la teoria della double allegiance, muove da considerazioni di natura economi-cista e, assumendo che sia impossibile applicare all’integrazione europea la teoria di Rokkan (1975) sulla for-mazione degli Stati nazionali, ipotizza – in linea con la proposta di Guetzkow – la formazione di una doppia lealtà, poiché i cit-tadini sostengono il proprio stato, o meglio, il proprio Governo, negli sforzi di unificazione dell’Europa, poiché questa compor-ta benefici economici ma anche sociali.

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Anderson (1998) evidenzia come gli atteggiamenti dei citta-dini verso l’Unione Europea – che oggi è a tutti gli effetti una polity benché sui generis – siano in qualche misura filtrati dal sistema politico-istituzionale nazionale. In altre parole, la fidu-cia istituzionale nazionale ha un impatto di segno positivo sugli orientamenti pro-Europa dei cittadini, perché le istituzioni na-zionali sono utilizzate come scorciatoie cognitive: chi si fida del proprio sistema politico è probabile che sviluppi sentimenti di vicinanza al sistema politico europeo. Tuttavia, il segno può anche essere negativo, come illustra Sanchez-Cuenca (2000) secondo il quale chi mostra sentimenti di sfiducia verso il si-stema politico nazionale può sviluppare forti sentimenti euro-peisti perché vede nell’Europa un punto di riferimento in grado di assicurare un sistema politico efficiente. In altre parole, vede nell’Europa una salvezza. Dunque, da un lato Anderson (1998) stabilisce un meccanismo di trasferimento o di institutional proxy, in cui le e istituzioni nazionali assumono il ruolo di scorciatoie per la fiducia verso l’Europa; dall’altro Sanchez-Cuenca (2000) conferma invece l’ipotesi del meccanismo di so-stituzione, dove la sfiducia verso il sistema politico nazionale assume il ruolo di predittore forte degli orientamenti pro/anti Europa (sui meccanismi di trasferimento/sostituzione vedi an-che Bellucci et al. 2011).

Anche il ruolo della fiducia verso il sistema politico nazionale nella spiegazione dell’attaccamento verso l’Europa appare dun-que ambiguo. Una terza variabile di livello aggregato – la qualità della governance, che risulta dalla combinazione di diversi indi-catori e misura in sostanza la qualità oggettiva del sistema politi-co – interviene a specificare la relazione e il contesto nazionale riveste un ruolo decisivo (ibidem). Più specificamente, nei paesi dove la qualità della governance è bassa, la fiducia verso il si-stema nazionale è negativamente correlata con l’europeismo per-che probabilmente entra in funzione il meccanismo di delega: la scarsa efficacia del sistema nazionale, interagendo con la perce-zione che gli individui hanno dello stesso sistema, fa scattare il desiderio di scambio con la polity sovranazionale.

Ma non sono solo le istituzioni e le élites politiche a fornire frameworks e punti di riferimento: come suggeriscono psicolo-gia cognitiva e sociale, le scorciatoie cognitive e le ancore emo-tive forniscono preziosi aiuti agli individui nel prendere deci-sioni che li riguardano e nella formazione delle opinioni. Valori

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e identità pre-esistenti sono estesi ed adattati ai nuovi oggetti (Conover e Feldman 1984). Gli studi condotti enfatizzano so-prattutto il peso dell’ideologia politica e il ruolo dei partiti poli-tici quali fornitori di cues; l’impatto di questi due fattori cambia se dall’analisi a livello individuale si sale a quello aggregato (Hooghe e Marks 2005); nel secondo caso il peso sembra essere decisamente minore.

Accanto alle spiegazioni dell’europeismo divenute ormai

tradizionali, vale a dire quelle discusse nei paragrafi precedenti, negli ultimi anni sono state proposte piattaforme teoriche alter-native. Si tratta, per lo più, di contributi introdotti da psicologi sociali, piuttosto eterogenei e non facilmente riconducibili ad un unico filone. Il compito di questo paragrafo è cercare, quan-tomeno, di descrivere, sia pure sinteticamente, quelli che sem-brano i più promettenti per la discussione portata avanti in que-sto capitolo, dedicato alla presentazione e alla discussione dei fattori che promuovono lo sviluppo dell’identità europea.

Tra le teorie più incoraggianti, oltre che facilmente imple-mentabili sul piano delle verifiche empiriche, va annoverata la teoria dell’entitativity, che enfatizza da un lato il ruolo delle i-stituzioni europee nei meccanismi di reificazione, dall’altro la necessità di un sentimento di fiducia reciproca tra i cittadini eu-ropei, nella formazione dell’identità sovranazionale.

Un altro rilevante filone di studi concepisce l’identificazione con l’Europa come un processo di auto-categorizzazione (Bla-ckwell 2004), in base al quale il meccanismo di identificazione si attiva in base al contesto e alla comparazione. In altre parole, secondo Blackwell, quando la categorizzazione nel gruppo eu-ropeo è percepita come maggiormente saliente nel contesto, magari perché è richiesta una comparazione tra l’appartenenza all’Unione Europea e ad un’altra entità sovranazionale o perche il ruolo di mediatore svolto dell’Europa, in qualità di attore in-ternazionale in una situazione di crisi è espressamente richia-mato, allora il livello di identificazione aumenta (Blackwell 2004:32).

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2.12. Le fonti dell’europeismo in Italia

In che misura i modelli discussi nei paragrafi precedenti si adattano al caso italiano?

Come già sottolineato da Isernia e Ammendola (2005), per gli italiani l’opzione europeista era, inizialmente, da leggersi al-la luce della collocazione internazionale dell’Italia all’epoca della guerra fredda. L’Europa era, infatti, vissuta come scelta che contribuisse a rafforzare la collocazione atlantica, in chiave anti-sovietica.

Inoltre, appare interessante soffermarsi sulla questione dell’identità nazionale e del suo ruolo, in Italia, nella spiegazio-ne dell’europeismo: se gli studi condotti per opera di psicologi sociali (Cinnirella 1997; Catellani e Milesi 1998), già presenta-ti, indicano che attaccamento alla nazione e all’Europa non so-no in contraddizione, c’è da aggiungere che per gli italiani la compatibilità tra le due identità potrebbe essere il risultato – semplicemente – di una debole coscienza nazionale (eredità persistente del ritardo con cui l’unità d’Italia fu compiuta e ef-fetto della disgregazione sociale, oltre che politica e militare, vissuta dopo l’8 settembre del 1943). Nel primo capitolo – at-traverso l’esame della serie storica dell’identità nazionale – è emerso come questo assunto non sia del tutto vero, ed è apparso utile accogliere la proposta di Segatti (2000) e scomporre l’identità nazionale nelle sue due anime, civica e etnica. Gli ita-liani, infatti, sono stati sempre molto orgogliosi dei successi sportivi, del loro patrimonio artistico, dei traguardi scientifici (dimensione culturale), molto meno delle loro istituzioni, degli aspetti politici ed economici (dimensione civico-politica)23 e questa circostanza può chiarire, secondo altri studiosi come Battistelli e Bellucci (2002), l’effettivo ruolo dell’identità na-zionale nella spiegazione dell’identità europea. In un preceden- 23 Riecheggiano qui i temi del presunto carente civismo degli italiani e della scarsa dotazione di capitale sociale (vedi gli studi di Almond e Verba 1963, Banfield 1959 e Putnan 1993. Ma per una critica a questa visione vedi anche Sani 1980). Si tratta di un filone di studi su cui non è opportuno soffermarsi in questa sede ma che potrebbe essere opportuno approfondire in ricerche fu-ture, proprio per esplorare le possibili connessioni con i sentimenti europeisti degli italiani.

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te studio emerge inoltre come, tra gli italiani, l’identità naziona-le di matrice civica promuova meccanismi di identificazione con l’Europa mentre la componente etnica dell’attaccamento al-la propria nazione lo deprima (Serricchio 2010). In questo sag-gio quell’argomento è ripreso e approfondito, anche grazie all’utilizzo di nuovi dati, nel frattempo divenuti disponibili.

Infine, il caso italiano presenta un ulteriore elemento di inte-resse. Si è accennato alla circostanza che il quadro politico ita-liano sia maggiormente stabile rispetto al passato e cioè al fatto che gli italiani sembrano apprezzare in misura maggiore rispet-to al passato il modo in cui funziona la democrazia nazionale; anche questo aspetto può contribuire a spiegare, forse, perché gli italiani mostrino crescente scetticismo nei confronti dell’Europa. 2.13. Un riepilogo e un tentativo di operazionalizzazione: le possibili determinanti dell’identità europea

La discussione svolta nei paragrafi precedenti di questo ca-pitolo ha evidenziato come diversi fattori concorrano a formare l’identità europea e a spiegare i sentimenti di adesione o di op-posizione all’opzione europeista. Questo paragrafo è dedicato alla traduzione dei concetti in variabili, cioè a quell’operazione che nei manuali di metodologia è definita come operazionaliz-zazione.

La letteratura discussa in precedenza mostra come gli studi sugli atteggiamenti dell’opinione pubblica verso l’Unione Eu-ropea abbiano fatto riferimento in primo luogo alla cognitive mobilization, quindi a componenti di natura utilitaristica e, più recentemente, a variabili di natura culturale (identitaria o affet-tiva) quindi politica e, infine, di natura psicologica. Il modello da sottoporre a test empirico utilizza dunque le principali pro-spettive analitiche esaminate.

La cognitive mobilization è operativizzata attraverso più va-riabili, che includono i viaggi effettuati in altri Paesi europei, il livello di istruzione, l’uso dei media, il senso di efficacia politi-ca e infine il livello di conoscenza dell’Europa, una variabile che ne misura la conoscenza effettiva. La prospettiva delle poli-tical cues è operativizzata impiegando variabili che rilevano la fiducia verso il sistema politico nazionale (un indice composto da quattro domande, come specificato nell’appendice),

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l’identificazione con un partito pro-Europa, l’autocollocazione nella scala sinistra-destra. La teoria strumentale è operaziona-lizzata con gli indicatori di beneficio percepito dall’appartenenza all’UE, sia per se stessi (utilitarismo egocen-trico) che per la propria nazione (utilitarismo sociotropico).

Le identità locale (o subnazionale) e nazionale sono quindi operazionalizzate con le classiche domande sull’intensità dell’attaccamento alle diverse comunità, presenti nelle serie Eu-robarometro ed anche nella inchiesta IntUne Opinione Pubblica 1 e 2. Le variabili che operazionalizzano la teoria affetti-va/identitaria includono quelle che misurano il contenuto dell’identità nazionale, vale a dire le componenti civica e cultu-rale-etnica dell’attaccamento nazionale (Smith 1992; Segatti 2000; Battistelli e Bellucci 2002; Serricchio 2010).

Le prospettive psicologiche sono operazionalizzate con il senso di comunità (we-feeling), vale a dire con il livello di fidu-cia espresso nei confronti degli altri europei. Comunemente, la letteratura distingue tra questo, considerato un legame orizzon-tale, e l’identità, considerata viceversa come un legame vertica-le tra l’individuo e il gruppo (Niedermayer 1995b; Scheuer 1999) e assegna al we-feeling il ruolo di precursore dell’identità. Le analisi empiriche condotte per questa ricerca confermano che le due dimensioni verticali (identità) ed oriz-zontali (senso di comunità) sono effettivamente distinte24; la fi-ducia verso le istituzioni europee, nell’ottica discussa, è inclusa tra le variabili che operazionalizzano la teoria dell’entitativity. Infine, la salienza dell’identificazione è operazionalizzata con la domanda che rileva la percezione dell’importanza dell’essere europeo per la propria persona.

Quali dunque le ipotesi da sottoporre a verifica empirica? Le determinanti dell’identità europea tra gli italiani, riassunte nella tabella 2.2, si possano ricondurre ai seguenti blocchi esplicativi:

- la persistenza dell’immagine dell’Europa come fonte di benefici economici; i livelli degli indicatori utilitaristici lo sug-geriscono in quanto, secondo i dati IntUne, nel 2007 (e sono molto simili anche per il 2009) per oltre il 70 per cento degli i-

24 Vedi l’analisi fattoriale confermativa presentata nel capitolo 4 (tabella 4.1).

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taliani l’Italia aveva tratto beneficio dall’appartenenza all’UE e oltre la metà percepiva benefici personali.)

TAB. 2.2. La spiegazione dell’identità europea nel caso italiano: concettualizzazione, operazionalizzazione e ipotesi

Teorie Concetti Variabili utilizzate Utilitarismo Europa fonte di benefici

personali (utilitarismo egotropico)

Percezione di benefici personali da apparte-nenza Europa +

Europa fonte di benefici per il gruppo di appartenenza (utilitarismo sociotropico)

Percezione di benefici per proprio gruppo da Europa +

Cognitive mobilization

Livello di istruzione Titolo di studio +

Viaggi in altri Paesi UE Numero di viaggi effettuati in Europa +

Coinvolgimento politico Interesse per la politi-ca +

Uso dei media Uso dei media + Conoscenza politica Conoscenza effettiva

della UE + Identità Identità locale Attaccamento

alla regione + Identità nazionale

(intensità) Attaccamento alla nazione +

Identità nazionale acquisita Scala di identità nazionale acquisita –

Identità nazionale ascritta Scala di identità nazionale ascritta +

Political cues

Fiducia sistema politico nazionale

Scala di fiducia verso il sistema nazionale +

Vicinanza ad un partito pro/anti Europa

Identificazione partito pro/anti Europa +

Ideologia Autocollocazione scala sinistra-destra –

Prospettive Psicologiche

Senso di comunità/ We-feeling

Livello di fiducia per altri cittadini europei +

Istituzioni europee come costruttrici di identità

Fiducia Parlamento europeo +

Salienza dell’identità europea

Quanto è importante l’Europa per la mia identità +

Nota: i segni + e – indicano l’impatto ipotizzato (positivo o negativo) del-le relative variabili sull’identità europea. Le variabili utilizzate provengo-no dalle indagini IntUne

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- la stabilizzazione del sistema politico nazionale potrebbe aver reso meno urgente il desiderio di scambio tra il sistema po-litico nazionale e quello europeo. L’evoluzione discussa, che si traduce in un’accresciuta fiducia per il sistema politico dome-stico, potrebbe, in altre parole, aver modificato, facendolo veni-re meno, il desiderio di sostituire il sistema politico nazionale con quello europeo. Le attese sono dunque per una relazione di segno positivo tra fiducia verso le istituzioni nazionali e identità europea anche se il (basso) livello della qualità della governan-ce, misurato con gli indicatori World Bank e Transparence In-ternational (come discusso nel primo capitolo), potrebbe influi-re sull’effettivo meccanismo di scambio;

- il ruolo delle identità subnazionale e nazionale. La prima è pienamente compatibile con l’identità europea (Catellani e Mi-lesi 1998; Huici et al. 1997) e il segno atteso è dunque positivo.

Il ruolo dell’identità nazionale è invece controverso, ma solo se si trascurano le specificità nazionali: con riferimento all’Italia, gli studi di Catellani e Milesi (1998) e Cinnirella (1997) suggeriscono l’ipotesi che l’intensità dell’attaccamento alla nazione non sia in contrasto con l’identità europea, per cui il segno atteso è positivo. Considerando invece il significato dell’identità nazionale, le aspettative sulla base dei precedenti studi (piuttosto scarsi, soprattutto per via di una carenza di do-mande adatte nelle diverse inchieste di massa disponibili) con-ducono a ipotizzare una relazione di segno positivo tra identità nazionale di matrice culturale e identità europea: per gli italiani, l’Europa non ha mai minacciato l’identità culturale, se per que-sto intendiamo il patrimonio artistico, le tradizioni, la cultura e nel contempo prometteva – insieme con la concessione di gene-rosi benefici, come già discusso – un sistema politico più mo-derno;

- è ipotizzabile un ruolo positivo della fiducia verso le isti-tuzioni europee nella spiegazione dell’attaccamento all’Europa. Questo anche perché l’identità europea è soprattutto di matrice civica. Recenti ricerche hanno, infatti, enfatizzato da un lato il ruolo dei media nel veicolare notizie, positive o negative, sull’Europa (Bruter 2005) dall’altro l’impatto delle istituzioni europee e il loro ruolo di identity builders (Hermann et al. 2004).

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CAPITOLO TRE

GLI ITALIANI E L’EUROPA. TRENDS, PROFILI DETERMINANTI E SIGNIFICATO

DELL’IDENTIFICAZIONE

Introduzione

Nel primo capitolo di questo lavoro, illustrando le motiva-zioni della scelta del caso di studio, si è accennato alla circo-stanza che gli italiani, a lungo annoverati tra i più euro entusia-sti cittadini europei, mostrino oggi livelli crescenti di sfiducia verso il sistema politico sovranazionale. Dunque, l’immagine che descrive i cittadini italiani quale popolo particolarmente en-tusiasta di essere parte del progetto di integrazione europea, e delle sue conquiste, oggi non è più del tutto aderente alla realtà. In quel capitolo sono stati così anticipati alcuni elementi di di-scussione che sono esaminati più approfonditamente in questo. Per cui, nella prima parte di questo capitolo, gli sforzi interpre-tativi sono appunto rivolti a giustificare empiricamente quell’asserzione. Si tratta, per lo più, di analisi monovariate su andamenti temporali e analisi sull’influenza della struttura so-ciale sui sentimenti pro-anti Europa. In questo modo, tentando una risposta alla domanda su chi siano tra gli italiani i più (e i meno) europeisti, viene proposta una mappa dell’identità euro-pea degli italiani, cercando anche spunti che possano contribui-re all’analisi multivariata, condotta invece nella seconda parte del capitolo. Nella terza, e ultima, è invece discusso il tema del significato e del contenuto dell’identità europea in Italia.

Il primo passo, preliminare, è però quello nella direzione che conduce all’operazionalizzazione della variabile dipenden-te; in altre parole, occorre discutere su possibili misure di quel costrutto che è stato definito, volutamente in maniera generale, come europeismo.

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3.1. La misurazione dell’identità europea L’identità europea è il legame che unisce l’individuo alla

comunità politica in quanto gruppo. Un legame che, come sot-tolinea Tajfel (1981:255), è composto dal senso e dalla consa-pevolezza dell’appartenenza e che conferisce a questa apparte-nenza valori e significati. Nel meccanismo di identificazione conta insomma la forza di questa appartenenza ma anche la sa-lienza (Bellucci et al. 2011); hanno un ruolo cioè sia il “quan-to” l’individuo è attaccato al gruppo ma anche il “come”, vale a dire l’importanza, o la salienza che riveste per il cittadino que-sto senso di attaccamento. Si tratta, naturalmente, di una salien-za percepita.

L’operazionalizzazione della variabile dipendente è – allora – ispirata direttamente dalla teoria dell’identità sociale anche se, va aggiunto, la disponibilità di indicatori nei dataset utiliz-zati ne condiziona talvolta l’impiego. Ad esempio, per l’analisi delle dinamiche temporali è indispensabile far ricorso solo ad alcuni degli indicatori comunemente impiegati in letteratura, perché naturalmente non per tutti è possibile ricostruire una se-rie storica di apprezzabile durata e continuità. In questo senso la cosiddetta Moreno question, presente nelle rilevazioni Euroba-rometro con costanza fin dal 1992, è la più utile per esaminare l’andamento nel tempo del fenomeno. La domanda, già presen-tata nel primo capitolo ma che è necessario richiamare per non obbligare il lettore a continui percorsi nel testo, ha cambiato leggermente formulazione nel corso del tempo, ma in definitiva sollecita gli intervistati a esprimere il senso di appartenenza all’Europa in contrapposizione all’appartenenza alla nazione. La formulazione classica e più frequente è: «Nel prossimo futu-ro lei si vede come: solo Italiano; Italiano ed Europeo; prima Europeo e poi Italiano; solo Europeo» (Moreno 2006).

È comune in letteratura ricodificare le quattro modalità ori-ginarie di risposta in due, in modo da generare una variabile di-cotomica; in una modalità sono inclusi i detentori di una identi-tà nazionale “esclusiva” nell’altra chi dichiara di sentirsi in qualche modo europeo, accorpando le tre restanti categorie. È questa la strada seguita per costruire l’indicatore impiegato per la descrizione dell’andamento nel tempo e per profili dell’identità europea tra gli italiani. I dati provengono dalle in-

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chieste Eurobarometro e dall’inchiesta European Election Stu-dies, Voter Study, del 2009.

Nell’analisi delle determinanti, condotta nella parte succes-siva del capitolo, con i dati rilevati nell’ambito delle due in-chieste IntUne, nel 2007 e nel 2009, è stato invece impiegato un indice, poi normalizzato in modo da ottenere una scala che va da 0 (livello minimo di identificazione con l’Europa) a 10, che rappresenta il livello massimo dell’intensità dell’attaccamento all’Europa, risultato dalla combinazione di due domande, Mo-reno question e Attachment question, descritte in dettaglio nella tabella 2.1.

3.2. L’identità europea nel tempo: l’Italia in prospettiva com-parata

Qual è l’andamento nel tempo del livello di identificazione

verso l’Europa tra gli italiani? Nel corso degli anni i cittadini i-taliani hanno sviluppato un notevole senso di attaccamento all’Europa, come ben descritto da molta letteratura e conferma-to dalle evidenze empiriche; il valore medio dell’indicatore di identità europea, costituito dalla Moreno question, registrato nel periodo che va dal 1992 al 2009, è infatti pari al settanta per cento, una percentuale considerevole, di quindici punti al di so-pra della media europea del medesimo periodo, che risulta esse-re del cinquantacinque per cento se si considera l’Europa a ven-tisette membri e cinquantanove se il riferimento è l’Unione Eu-ropea a quindici membri. Il livello medio di identità europea degli italiani è dunque tra i più elevati in assoluto e questi sono secondi solo al Lussemburgo (settantasei per cento), come evi-denziato nella tabella 3.1. Nell’ultima rilevazione disponibile, l’European Election Studies del 2009 la situazione è però cam-biata. Non si tratta di un cambiamento radicale, il livello di at-taccamento all’Europa tra gli italiani permane a livelli medio-elevati (sessantuno per cento), ancora al di sopra della media europea, sia pure di poco (la media è, infatti, al livello del cin-quantotto), ma gli italiani non sono più ai vertici della graduato-ria e – per continuare con la metafora sportiva – stazionano a metà classifica.

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TAB. 3.1. L’identità europea tra i Paesi UE 2009 Media* Diff.* Francia 75 68 5 Belgio 65 62 5 Olanda 67 61 11 Germania 77 58 20 Italia 61 70 -12 Lussemburgo 88 76 15 Danimarca 67 55 16 Irlanda 65 51 19 Regno Unito 32 39 -12 Grecia 65 50 3 Spagna 79 65 14 Portogallo 50 50 -11 Finlandia 53 46 13 Svezia 63 48 16 Austria 72 54 20 Cipro 58 64 -12 Rep. Ceca 35 47 -5 Estonia 56 50 4 Ungheria 47 44 13 Lettonia 43 46 -6 Lituania 40 42 -3 Malta 64 64 2 Polonia 54 54 1 Slovacchia 53 56 -4 Slovenia 54 58 1 Bulgaria 39 51 -18 Romania 43 52 -16 Media UE 58 55 3 Fonte: Elaborazioni su EB Trend File 1970-2002 + EB varie annate. Per il 2009, EES Note: * Nei riferimenti alle differenze e alle medie il periodo considerato è: 1992-2009 per Francia, Belgio, Olanda, Germania, Italia, Lussemburgo, Danimarca, Irlanda, Regno Unito, Grecia, Spagna e Portogallo; 1994-2009 per Finlandia, Svezia e Austria; 2004-2009 per Cipro, Rep. Ceca, E-stonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia; 2007-2009 per Bulgaria e Romania. I non so e i non risponde sono esclusi dal computo

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L’esame della dinamica temporale dell’identità europea, in Italia, rivela invece un trend decrescente: tra il 1992 e il 2009 sono ben dodici i punti percentuali di decremento1. Non si tratta di un calo generalizzato a livello europeo poiché, escludendo il Regno Unito tradizionalmente euroscettico, per rimanere nell’ambito dei quindici Paesi che per lunghi anni hanno costi-tuito il cuore dell’Europa, riguarda anche il solo Portogallo. In tutti gli altri, nel periodo considerato, il senso di appartenenza all’Europa cresce: a ritmi notevoli in Germania e Austria (+20%) Irlanda (+19%) Svezia e Danimarca (+16%) Spagna (+14%), con minore intensità ma pur sempre in modo apprez-zabile in Francia e Belgio (+5%). E se il termine di paragone è l’Europa a ventisette membri, ancora una volta il dato italiano è tra i meno confortanti.

In definitiva, il calo nei livelli di europeismo è un fenomeno che, nel caso italiano, acquista caratteristiche peculiari. Per questo costituisce una sorta di eccezione. Per l’Italia, infatti, non si tratta di una lenta erosione diluita nel tempo e quindi co-stante, ma di un calo concentrato in un particolare periodo. Dei dodici punti di flessione totale, ben nove si registrano negli anni recenti, segnatamente tra il 2004 e il 2009. L’inversione di rotta avviene – in definitiva – a partire dal 2004.

La disaffezione crescente degli italiani nei confronti dell’Europa è confermata dall’andamento dell’indicatore di membership che misura il sostegno diffuso il quale evidenzia, nei diciassette anni che vanno dal 1992 al 2009, una flessione di venticinque punti percentuali. E anche per questo indicatore, l’andamento evidenzia un calo nel livello di europeismo con-centrato negli anni più recenti.

L’allontanamento degli italiani dall’Europa è, insomma, un fenomeno relativamente nuovo, che riguarda soprattutto l’ultimo periodo, come efficacemente raffigurato nel grafico della figura 3.1.

1 Il valore del coefficiente di correlazione R tra la percentuale di identità eu-ropea e la variabile tempo è pari a -0,58 con n=15 (significativa al livello del 0,05 per cento, test a due code).

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FIG. 3.1. ANDAMENTO DELL’IDENTITÀ EUROPEA NEL TEMPO Fonte: Elaborazioni su dati EB e, per il solo 2009, EES Note: La figura riproduce l’andamento dell’indicatore noto come Moreno question

È allora del tutto lecito domandarsi cosa sia accaduto

nell’arco temporale considerato. Per l’UE, che si estende geo-graficamente e, soprattutto, amplia la sfera di azione delle pro-prie competenze si tratta in verità di un periodo piuttosto denso di avvenimenti. E i sentimenti dell’opinione pubblica sembrano accompagnare con andamenti mutevoli gli snodi storici dell’integrazione europea. All’entusiasmo per il Trattato di Ma-astricht (1992), che completa il mercato unico, segue una sorta di disincanto o di delusione; l’europeismo torna di moda dopo la firma del Trattato di Amsterdam (1997), primo vero tentativo di riforma dell’architettura istituzionale della UE e riprende de-finitivamente quota con il varo della strategia di Lisbona (2000) su un tema particolarmente sensibile quale quello dell’occupazione. La firma del Trattato di Nizza (2001) e la successiva dichiarazione di Laeken, che avviano un profondo processo di ripensamento della struttura di governance della UE, sembrano poter ridare vigore a sentimenti di euro-entusiasmo, sopiti però dall’effettivo ingresso dell’Euro in so-stituzione delle monete nazionali. Il 2002 costituisce una sorta di spartiacque, un vero punto di svolta: da questo momento in

Europa (media)

Italia

40

45

50

55

60

65

70

75

80

85

1992 1993 1994 1995 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2007 2009

%

Anni

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poi le strade degli italiani e degli altri europei divergono per-che, se i livelli di europeismo scendono in tutta Europa, in Italia addirittura precipitano tanto che, tra il 2005 e il 2007, cioè più o meno in coincidenza dell’allargamento della UE a 25, con l’ingresso dei Paesi ex-comunisti, avvenuto nel 2004, e poi a 27 membri con l’ingresso Romania e Bulgaria (2007), il livello per la prima volta scende al di sotto della media europea.

Per riferirsi invece ad eventi accaduti nel contesto nazionale italiano, dopo il crollo della prima Repubblica si alternano alla guida del paese governi decisamente europeisti ad esecutivi maggiormente scettici nei confronti della crescente invadenza della governance europea. In che misura questi fattori siano le-gati tra di loro nel produrre scetticismo per l’Europa, si cerca di capirlo nella seconda parte di questo capitolo dove, ragionando sui probabili motivi che hanno indotto una simile, decisa, inver-sione di tendenza in un popolo tradizionalmente euro-entusiasta, è avanzata qualche proposta per rispondere. Alcuni spunti di riflessione sono tuttavia già tratteggiati: da un lato emerge la coincidenza temporale tra l’aumento dell’euroscetticismo e l’introduzione dell’Euro in sostituzione della moneta nazionale; quindi la probabile disillusione seguita al fallimento della progettata Costituzione europea; dall’altro, ed è un fattore fino ad ora poco considerato, l’allargamento dell’Europa ai paesi dell’est, con tutte le possibili conseguenze in termini di riduzione degli aiuti comunitari per l’Italia e il pa-ventato aumento della minaccia all’identità culturale. Sono tutte circostanze che non possono lasciare indifferenti gli analisti.

Ma prima di passare all’analisi delle cause dell’eurofilia/eurofobia dei cittadini italiani, è opportuno artico-lare ulteriormente l’analisi, esaminando la distribuzione dell’identità europea tra la popolazione, con l’intento di accer-tare se la struttura sociale in primo luogo e poi la cultura politi-ca, soprattutto la vicinanza alla politica e il ruolo dei partiti po-litici in quanto fornitori di cues, influiscono sul livello di identi-ficazione del pubblico italiano con l’Europa. Il tema delle va-riabili politiche nella spiegazione dell’identità europea è tanto rilevante quanto complesso e ha assunto particolare importanza con l’estensione dell’ampiezza della governance europea. Que-ste motivazioni sono cioè divenute pertinenti dal momento in cui, per dirla con altre parole, il progetto di integrazione euro-

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pea ha cessato di essere un progetto solo economico per investi-re gli aspetti politici. 3.3. Gli italiani e l’Europa: la distribuzione dell’identità euro-pea per profili socio-demografici

Come si distribuisce l’identità europea tra i sessi? E come

cambia al variare dell’età? E, ancora, quali sono le differenze nei livelli di identificazione a seconda del livello di istruzione? Inoltre, ci sono differenze considerando la professione svolta? A tali domande cerca di rispondere questo paragrafo. E l’esame della distribuzione del livello di attaccamento all’Europa misu-rato, ancora, con la Moreno question, a seconda delle caratteri-stiche socio-demografiche, propone interessanti spunti di rifles-sione e di analisi.

L’identità europea è molto sensibile al variare del livello di istruzione degli intervistati in quanto la percentuale di identifi-cati scende al livello del 47% tra coloro che hanno un’istruzione elementare e sale invece al 77% tra coloro che hanno conseguito una laurea. In altre parole, ponendo come ba-se la media, sono ben sedici i punti percentuali di attaccamento all’Europa in più tra gli individui che hanno una laurea (e di-ventano ventidue tra chi ha una specializzazione post-laurea); chi ha un titolo di studio più basso, al contrario, è identificato con l’Europa in misura inferiore rispetto alla media di ben di-ciassette punti percentuali. Non c’è alcun dubbio, dunque, che il livello di istruzione influenzi fortemente il senso di attacca-mento che gli italiani hanno nei confronti dell’Europa2.

Piuttosto deciso anche l’impatto della variabile età: i più giovani sviluppano con maggiore intensità rispetto ai più anzia-ni il sentimento di attaccamento verso l’Europa (67% tra i più giovani, e 58% per la classe di età tra 56-65 anni, per scendere ulteriormente al 53% tra gli ultrasessantacinquenni). Questo ef-fetto generazionale è da leggere, con molta probabilità, nella prospettiva della massiccia esposizione ai temi europei cui i più

2 I test di significatività statistica (chi-quadro), effettuati per tutte le analisi bi-variate presentate in questo paragrafo, confermano che le associazioni non sono dovute al caso.

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giovani sono sottoposti, nei programmi didattici scolastici e so-prattutto universitari (Erasmus e, in parte, Socrates sono pro-grammi molto popolari). Da considerare, tra le cause esplicati-ve, anche la motivazione che i giovani sono più propensi a viaggiare. Anche la classe sociale soggettivamente percepita ha un ruolo apprezzabile nella spiegazione dell’identità europea come pure la professione svolta e, in misura minore, il settore in cui si lavora. Meno rilevanti sono le differenze nella distri-buzione dell’identificazione con l’Europa tra i sessi3.

Per concludere, è piuttosto interessante analizzare il ruolo della religiosità, misurato con la frequenza alle funzioni religio-se, nella promozione di sentimenti europeisti: tra i temi agitati dalle elites politiche, soprattutto italiane, durante il dibattito per il varo (poi fallito) della Costituzione europea c’era quello delle radici cristiane dell’Europa. Dunque se quella tesi è realistica, allora il livello di religiosità in un Paese dove la popolazione è storicamente molto sensibile ai richiami dei valori religiosi, do-vrebbe essere positivamente correlato con l’identità europea. In realtà la tesi è smentita, poiché i più religiosi sono anche i meno europeisti: la percentuale di identificati con l’Europa sale al 71% tra chi non va mai a messa e scende al 56% tra chi fre-quenta assiduamente le funzioni religiose. Probabilmente si ve-rifica, in questo caso, l’influenza di una terza variabile (il livel-lo di istruzione) ma è anche possibile che questo risultato sia dovuto al fatto che nei meccanismi di identificazione con l’Europa prevalgano gli elementi civici. Tra le possibili inter-pretazioni di questa evidenza empirica va aggiunta l’ipotesi che i praticanti scorgano nell’Europa una realtà molto secolarizzata e questo li condurrebbe ad un maggiore scetticismo nei suoi confronti.

In definitiva, la struttura sociale sembra avere un impatto apprezzabile sull’identità europea ma non decisivo, come anche la letteratura suggerisce e come si vedrà più avanti nell’analisi dei modelli esplicativi rivali. È ora adesso di rivolgere l’attenzione all’arena politica nazionale e alle sue relazioni con i sentimenti europeisti dei cittadini.

3 Le tabelle non sono presentate ma disponibili presso l’autore.

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3.4. L’identità europea e l’arena politica nazionale: il ruolo della cultura politica e dei partiti come fornitori di cues

L’Europa, inizialmente progetto di integrazione soprattutto,

se non esclusivamente, economica ha mutato nel corso degli anni la sua natura fino a diventare un progetto con connotazioni chiaramente politiche, sia pure non ancora del tutto compiuto. Logico dunque ipotizzare che i sentimenti di attaccamento che i cittadini sviluppano nei confronti dell’entità sopranazionale trovino nei fenomeni politici possibili fonti.

E, in effetti, l’attaccamento all’Europa è fortemente influen-zato dall’interesse per gli oggetti della politica: tra chi è interes-sato alla politica e chi invece ne è lontano c’è un divario di ben sedici punti percentuali nel livello di identità europea (69% nel primo caso, 53% nel secondo); a conferma di questo risultato, si evidenzia il dato che chi è impegnato in attività sindacali è un po’ più europeista di chi non svolge alcuna attività nelle asso-ciazioni che tutelano i lavoratori (69% contro 60%). Anche la conoscenza effettiva dei temi politici è positivamente correlata con l’identificazione europea e in maniera piuttosto forte: 35% il livello di attaccamento all’Europa tra chi ha scarsa o nulla conoscenza della politica contro il 70% – esattamente il doppio – di chi invece ha una cognizione puntuale dei fatti politici na-zionali4. Praticamente irrilevante, e ridotta a soli tra punti per-centuali, invece, la differenza dell’europeismo tra i cittadini in-soddisfatti del funzionamento della democrazia nazionale e i soddisfatti: un’evidenza empirica che riveste un’importanza densa di significati poiché, con tutta probabilità, sancisce la fine del desiderio, o della necessità effettiva, di scambiare il proprio sistema politico e decisionale con quello europeo, ritenuto in passato più efficace ed efficiente.

Se dunque la vicinanza alla politica e la sua conoscenza promuovono l’identificazione dei cittadini con l’Europa, biso-gna necessariamente considerare e discutere il ruolo che svol-gono alcuni tra gli attori principali della vita politica italiana, 4 La variabile conoscenza politica nazionale è costruita sommando le risposte corrette alle domande su specifiche circostanze. In particolare, le possibili ri-sposte riguardavano il numero di stati membri e la membership di Malta, O-landa e Croazia. In questo senso si tratta di un indice di conoscenza oggettiva.

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cioè i partiti e le élites politiche che, operando in qualità di a-genzie che contribuiscono a strutturare le credenze, svolgono una funzione di intermediari.

In molti Paesi europei sono stati i partiti politici “centrali” (democristiani, liberali, conservatori) a sostenere fortemente il progetto di integrazione europea, mentre i partiti estremisti, di destra come di sinistra, hanno manifestato posizioni di più in-tenso euroscetticismo (Taggart 1998; Conti 2009). In Italia la situazione non è stata molto dissimile: nella fase di formazione del primo nucleo dell’Europa, e quindi negli anni ’50, in piena guerra fredda, l’idea di un’Europa unita era una issue utilizzata dalla DC e da altri partiti dell’area governativa, in chiave atlan-tica e occidentale, in contrapposizione alla spinte opposte, favo-revoli ad una collocazione orientale e filo-sovietica dell’Italia, provenienti dal PCI e da altri partiti di sinistra (Romano 1995; Isernia e Ammendola 2005). La convenienza di un rafforza-mento della collocazione occidentale dell’Italia, da perseguire anche attraverso la promozione del progetto di Europa unita, aveva, di fatto, sostituito nella mente dei cittadini l’ideale di un’Europa che – unificandosi – consentisse anche il supera-mento delle spinte nazionalistiche che, in una visione esaspera-ta, avevano provocato il secondo conflitto mondiale, uscendone peraltro sconfitte.

Nel corso degli anni ’60 e ’70 e, in buona parte, anche ’80, la situazione in Italia è rimasta pressoché cristallizzata, benché alcune ricerche abbiano mostrato come fin dagli anni ’50 vi era un gap tra elite e cittadini: ad esempio gli elettori del PCI si mostravano più entusiasti dell’Europa dei dirigenti del partito che votavano e in cui militavano (Isernia e Ammendola cit.). Dal trattato di Maastricht in poi, come si è ampiamente intuito, la prospettiva con cui i cittadini guardano l’Europa è radical-mente cambiata, anche in Italia. Molti sono gli eventi che si susseguono: non solo Maastricht ma anche il crollo del blocco sovietico, l’arena sovranazionale che decide con maggiore in-vadenza in molte aree di policy, insieme e spesso in sostituzio-ne dell’arena domestica; un quadro di riferimento politico in-terno mutato radicalmente, per effetto del crollo dei partiti e, per certi versi, dell’intero sistema politico, della cosiddetta pri-ma Repubblica.

Tra i nuovi soggetti politici l’Europa è vista con favore pressoché unanime: fa eccezione la Lega Nord che anticipa e

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cavalca l’onda (o è alla testa di questo movimento?) del cre-scente euroscetticismo (per una ricostruzione di questo periodo, Biorcio 1998). Negli anni ’90 da più parti l’Europa è vista addi-rittura come un’ancora di salvezza, come una sponda, come un’arena decisionale efficiente cui delegare volentieri compiti che il sistema politico nazionale non sembra poter assolvere con altrettanta efficacia, mentre in altri contesti europei si af-facciano le preoccupazioni identitarie che non sembrano inte-ressare, almeno in un primo momento, l’Italia.

Qual è la situazione oggi? Quali i contorni degli orientamen-ti verso l’Europa alla fine del primo decennio del nuovo seco-lo? In che misura le dinamiche politiche che si dispiegano nell’arena domestica influenzano il sentimento di attaccamento all’Europa da parte dell’opinione pubblica?

I livelli di identificazione con l’Europa cambiano con una certa decisione procedendo da sinistra a destra nella scala dell’autocollocazione; i più europeisti sono, infatti, coloro che si collocano nelle posizioni prossime al centro sinistra (77%) i meno entusiasti del’Europa sono invece i collocati a destra (58%). Sembra essersi dunque attenuata quella polarizzazione per cui le ali estreme sono le più distanti dall’Europa: l’euroscetticismo in Italia oggi risiede soprattutto nella fascia di popolazione che si colloca a destra, mentre i collocati a sinistra hanno forse metabolizzato maggiormente la issue Europa, pro-babilmente anche in virtù del fatto che l’arena sovranazionale ha offerto ai loro referenti un’occasione di rappresentanza, ne-gata invece a livello nazionale per gli effetti dello sbarramento previsto dalla legge elettorale in vigore dal 2008. Si è trattato di una occasione puramente teorica, considerando che la soglia di sbarramento ha poi impedito anche al Parlamento europeo l’elezione dei rappresentanti italiani della sinistra radicale.

L’inchiesta EES del 2009 consente un ulteriore elemento di approfondimento, cioè l’analisi della distribuzione dell’identità europea per il partito votato alle ultime elezioni nazionali. Dalle evidenze empiriche, riassunte nella figura 3.2, emerge con chia-rezza che gli elettori dei partiti di sinistra e centristi – vale a di-re gli elettori dell’Italia dei valori, della cosiddetta sinistra radi-cale, del Partito democratico – sono infatti tra i più entusiasti sostenitori dell’Europa. Anche gli elettori dell’Unione di cen-tro, un terzo polo che si richiama direttamente alla tradizione democristiana, tradizionalmente favorevole all’integrazione eu-

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ropea, mostrano livelli di identificazione con l’Europa superio-ri, sia pure di poco, alla media dei cittadini italiani. All’estremo opposto i sostenitori del Popolo delle libertà, della Lega nord e, soprattutto, de La destra, portavoce dei valori tradizionali della destra italiana, con un’enfasi particolare sul concetto di difesa della patria e sulla proposta di abbandonare l’euro e tornare alla lira: in questa chiave si spiega la decisa opposizione alla scelta europea dei suoi elettori.

FIG. 3.2. DISTRIBUZIONE DELL’IDENTITÀ EUROPEA PER PARTITO VOTATO Fonte: Elaborazioni su EES, Voter Study (2009) Nota: Le barre rappresentano gli scostamenti dalla media in valori percen-tuali, con riferimento al voto nelle ultime elezioni nazionali. Uno scarto positivo indica un livello di europeismo superiore alla media degli italiani. Il contrario avviene per gli scarti negativi

In definitiva, l’identità europea è più intensa tra gli elettori dei partiti di centro sinistra, meno in quelli di centro destra, che peraltro governavano l’Italia al momento della rilevazione. Si spiega anche così la differenza di otto punti percentuali nei li-velli di attaccamento all’Europa tra gli oppositori e i sostenitori del Governo.

L’analisi della distribuzione dei livelli di identità europea per partito votato non consente di rispondere ad una domanda centrale: qual è la posizione dei partiti italiani nei confronti

-25 -20 -15 -10 -5 0 5 10 15 20

Italia dei valori

Rif. Com/Pdci

Partito Democratico

Unione di Centro

Altri

Popolo delle Libertà

Lega Nord

La Destra

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dell’integrazione europea? La classificazione sulla base delle issues europee suggerita da Taggart, se applicata al quadro ita-liano odierno, merita un approfondimento empirico in quanto le dinamiche interne possono rivelarsi decisamente più complesse della semplice collocazione su un continuum estrema destra-estrema sinistra. Uno studio come questo, che ha l’obiettivo di indagare gli orientamenti dei cittadini, non affronta nel detta-glio l’argomento; tuttavia si intuisce in maniera nitida come una classificazione sia decisamente utile perché da un lato identifi-carsi e magari votare un partito europeista (o euroscettico) in-fluenza le proprie scelte in quanto i partiti fungono da àncora o scorciatoia cognitiva, fornendo ai cittadini meno “attrezzati” politicamente o, per dirla in maniera più specifica, con un basso livello di articolazione cognitiva, un punto di riferimento; dall’altro il ruolo dei partiti, e più in generale delle élites, nel forgiare i sentimenti popolari e le capacità di queste di reagire agli stimoli che provengono dall’opinione pubblica, è stato am-piamente studiato non solo in un’ottica unidirezionale ma so-prattutto in una prospettiva dinamica e bi-direzionale, in un quadro cioè in cui le opinioni delle élites e dei cittadini si in-fluenzano e si modificano reciprocamente (Conti e Verzichelli 2005). Le proposte che provengono dalle riflessioni elaborate dagli studiosi delle elites sono decisamente ricche di stimoli in-teressanti, anche per uno studio come questo, proprio per il contributo che esse forniscono allo studio delle traiettorie e del-le evoluzioni compiute dai partiti italiani in tema di orientamen-ti verso l’Europa e di mappatura della situazione attuale.

La domanda che si pone è: come classificare l’orientamento dei partiti nei confronti dell’Europa? Questa operazione può es-sere condotta in vari modi. Un primo metodo consiste nell’analisi dei manifesti (dei programmi, cioè) degli stessi par-titi. È questa – quindi – un’analisi sui testi che, tramite una co-difica comune, permette di individuare le parole-chiave utili al-la classificazione. L’Euromanifestos project conduce una ricer-ca di questo tipo, nell’ambito degli European Election Studies, con riferimento ai temi europei che i partiti includono nei loro programmi elettorali.

In letteratura si rinvengono, peraltro, tentativi di utilizzare l’analisi quali-quantitativa dei discorsi pubblici dei leaders poli-tici (e dunque interviste, dichiarazioni alla stampa e cosi via), ma si tratta di tecniche e metodi sostanzialmente diversi

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dall’analisi dei manifesti che, concentrandosi sui programmi e-lettorali, analizza soprattutto l’orientamento dei partiti politici in sé, delle strutture burocratiche, piuttosto che dei loro leaders.

Un secondo metodo di classificazione consiste nell’utilizzo delle cosiddette expert survey, che di solito prevedono un que-stionario strutturato mediante il quale viene chiesto ad esperti – politologi, giornalisti politici e così via – di classificare i partiti politici su determinate issues. Tra le expert survey ritenute uni-versalmente valide, da menzionare quella condotta dall’Università statunitense di Chapel Hill, North Carolina, il cui team è coordinato da Liesbet Hooghe (vedi Stenbergen e Marks 2007, che validano empiricamente l’indagine). Il primo studio è stato ultimato nel 1999, il più recente risale al 2006.

Infine, un terzo metodo per classificare la posizione dei par-titi su determinate issues consiste nel chiedere direttamente ai cittadini di collocarli e nel questionario EES del 2009 sono con-tenute domande che consentono un’indagine di questo genere.

3.5. Un tentativo di mappare la posizione dei partiti italiani sui temi europei

Un primo passo per la classificazione della posizione dei partiti italiani nei confronti del progetto di integrazione europea può considerare dunque la Chapel Hill Expert Survey del 2006, naturalmente con qualche adattamento, imposto dalla presenza di nuovi attori partitici affacciatisi sulla scena politica italiana nel 2008.

La domanda utilizzata si rivolge agli esperti chiedendo loro di assegnare un valore da 1 (livello più basso di europeismo) a 7 (massimo consenso all’integrazione europea) ai partiti. Ne emerge un quadro, sintetizzato dalla figura 3.3 che non ricalca, come del resto in linea con le attese, la tradizionale collocazio-ne delle forze politiche sull’asse destra-sinistra. A un estremo trova collocazione la Lega Nord quale partito maggiormente scettico nei confronti dell’integrazione europea. Il caso della Lega merita qualche approfondimento poiché costituisce un ca-so piuttosto interessante. La sua posizione nei confronti dell’Europa ha compiuto una vera e propria inversione a U: eu-roentusiasta negli anni ’90, probabilmente perché l’Europa era vista come un’opportunità concreta di superare lo stato centrali-sta e burocratico romano, fortemente euroscettica negli ultimi

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anni, con una posizione di scetticismo che sembra però mitigata da quel processo noto come socializzazione istituzionale (Conti 2009).

All’estremo opposto della Lega, i tre partiti che hanno poi dato vita al Partito democratico: il Movimento dei repubblicani europei, i Democratici di sinistra, Democrazia e libertà-La Margherita. Se per Repubblicani e Margherita (quest’ultimo per molti versi uno dei partiti eredi della DC, notoriamente a forte vocazione europeista) il sostegno all’Europa costituisce una na-turale issue (e un discorso simile può essere fatto per Udeur e Udc), per gli eredi del Pci si tratta di una decisa innovazione, giunta probabilmente al termine di una traiettoria compiuta – tuttavia – in un periodo non brevissimo.

La tradizione antieuropeista del vecchio Pci sembra invece essere stata ereditata, insieme con i simboli, da altre formazioni che si richiamano, anche nel nome, direttamente alla tradizione comunista: Rifondazione Comunista e Partito dei Comunisti I-taliani. Tra i partiti elettoralmente più consistenti, Forza Italia e Alleanza Nazionale condividono una visione di euroscetticismo soft perché, anche in questo caso, probabilmente mitigato dal fenomeno, già descritto, di socializzazione istituzionale.

Collocare i partiti italiani sulla issue Europa utilizzando la percezione non degli esperti ma dei cittadini conduce, grosso modo, ai medesimi risultati. Nel questionario EES (Voter Study) del 2009 sono contenute domande che consentono un’indagine di questo genere. In particolare è stato chiesto ai cittadini di assegnare un punteggio, un vero e proprio voto, ai partiti via via considerati. La scala proposta va da un minimo di zero (livello minimo di sostegno per il progetto di integrazione europea) a un massimo di 10 (massimo livello di sostegno per l’integrazione europea). La domanda è l’indicatore noto in let-teratura come desired speed il cui testo recita: «Alcuni sosten-gono che il processo di unificazione europea dovrebbe essere ulteriormente sviluppato. Altri dicono che ci si è già spinta fin troppo avanti. Qual è la sua opinione? Potrebbe indicare il suo punto di vista su una scala da 0 a 10, dove 0 significa che ‘l’unificazione è già stata spinta troppo avanti’ e 10 significa che ‘dovrebbe essere ulteriormente estesa?» Subito dopo com-pare la richiesta di collocare i partiti: «Quale numero su una scala da 0 a 10, dove 0 significa che ‘l’unificazione è già stata

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spinta troppo avanti’ e 10 significa che ‘dovrebbe essere ulte-riormente estesa’, descrive meglio il partito( X)?».

EUROSCETTICISMO

Lega Nord 1,5 Partito dei Comunisti Italiani 2,75 Rifondazione Comunista 3 Forza Italia 4,13 Partito dei Pensionati 4,6 Alleanza Nazionale 4,75 Nuovo Partito Socialista Italiano 5,33 Italia dei Valori 5,57 Verdi 5,88 Unione di Centro 6,25 UDeUR 6,29 Sudtiroler Volkspartei 6,33 Socialisti Democratici Italiani 6,43 Radicali 6,5 DS 6,88 Democrazia e Libertà 7 Repubblicani Europei 7

EUROENTUSIASMO

FIG. 3.3. LA POSIZIONE DEI PARTITI ITALIANI SULL’INTEGRAZIONE EUROPEA SECONDO GLI ESPERTI

Fonte: Elaborazioni su dati Chapel Hill Expert Survey (2006). Nota: Valore medio su scala da 1 (livello minimo di europeismo) a 7 (livello massimo di europeismo)

Com’è facile intuire, una comparazione diretta tra le due survey non è possibile; tuttavia il quadro che emerge dalla rile-vazione dell’opinione dei cittadini è, grosso modo, in linea con quello emerso dall’indagine che coinvolge gli esperti I partiti estremi di destra – la Lega Nord, la Destra – sono collocati tra i più scettici nei confronti dell’integrazione europea. Discorso valido, ma solo in parte, anche per i partiti della sinistra estre-ma, o radicale, gli eredi diretti della tradizione comunista e per Sinistra e Libertà. Si conferma la collocazione di forte sostegno all’integrazione europea del Partito Democratico, mentre do-vrebbe essere oggetto di approfondimento la collocazione del Popolo della Libertà. Ma è un approfondimento che spetta agli studiosi dei partiti.

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3.6. Le determinanti dell’identità europea tra i cittadini italiani A questo punto il percorso che conduce ad una convincente

risposta alla domanda su quali siano i fattori che promuovono l’identità europea tra gli italiani sembra meno problematico. L’esame dell’impatto della struttura sociale, in altre parole il ruolo delle variabili demografiche nella spiegazione dell’identità europea, fa emergere il risultato che queste non sembrano rivestire un ruolo determinante, pur gettando una prima importante luce sul fenomeno e contribuendo alla spie-gazione delle cause 5. Occorre allora domandarsi quali siano le variabili che favoriscono i sentimenti di identificazione con l’Europa, quali sono cioè le fonti dell’europeismo; la loro anali-si favorirà la comprensione generale di un fenomeno che, come discusso, appare essere quanto mai complesso.

Le analisi effettuate in questa sezione sono condotte su dati rilevati nell’ambito dell’inchiesta IntUne Opinione Pubblica I e II, effettuate nel 2007 e nel 2009.

Il tema dei possibili predittori di europeismo è stato discus-so nel secondo capitolo: la letteratura classifica i fattori che predicono l’identità europea e più in generale dei sentimenti eu-ropeisti in cinque gruppi, mobilitazione cognitiva, motivazioni utilitaristiche, fattori cultural-identitari, political cues e fattori psicologici. La tabella 3.2, che riporta i coefficienti di correla-zione, e cioè la forza dell’associazione bivariata tra l’identità europea e i suoi possibili predittori, fornisce le prime importanti indicazioni. Tra gli indicatori di mobilitazione cognitiva si evi-denzia la forza, positiva, del numero dei viaggi effettuati in altri Paesi europei e della conoscenza dell’Europa; poche le varia-zioni considerando l’indagine del 2007 e quella del 2009. Tra le variabili politiche, la fiducia per il sistema politico nazionale, l’identificazione con un partito pro-anti Europa (di segno posi-tivo) e, nella direzione opposta, l’autocollocazione sinistra de-stra (collocarsi a sinistra aumenta l’intensità dell’identità euro-pea), hanno magnitudine pressoché equivalente; tuttavia, con-frontando le evidenze del 2007 con quelle di due anni più tardi

5 Peraltro nel modello di regressione multipla il potere esplicativo è piuttosto basso e le variabili non sono statisticamente significative.

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emerge il dato di una sostanziale perdita netta del potere espli-cativo dell’indicatore di fiducia verso il sistema politico nazio-nale e, sia pure in misura minore, della variabile che misura l’identificazione con un partito pro-anti Europa. Sono dati che è opportuno approfondire con l’analisi multivariata, i cui risultati sono presentati più avanti. TAB. 3.2. I predittori dell’identità europea in Italia. Analisi bivariata

2007 2009 Mobilitazione cognitiva Visite Paesi UE 0,21** 0,17** Influenza politica 0,15** 0,13** Istruzione 0,16** 0,22** Uso dei media 0,11** 0,16** Conoscenza UE 0,19** 0,17** Political cues Fiducia istituzioni nazionali 0,23** 0,01* Autocollocazione sinistra destra -0,21** -0,20** Identificazione partito pro/anti Europa 0,22** 0,12** Economiche/Utilitaristiche Benefici nazione UE 0,30** 0,34** Benefici personali UE 0,33** 0,36** Affettive/Identitarie Attaccamento regione 0,06* 0,08* Attaccamento nazione 0,15** 0,07* Identità nazionale civica 0,10** 0,07* Identità nazionale culturale/etnica -0,15** -0,17** Psicologiche Salienza identità europea 0,20** 0,34** Fiducia altri europei 0,27** 0,19** Fiducia istituzioni europee (Parlamento) 0,32** 0,32** N 977 962

Fonte: Elaborazioni su dati IntUne Note: I valori rappresentano i coefficienti di correlazione di Pearson tra la variabile considerata e la variabile dipendente identità europea **sig. 0,01; *sig. 0,05 (test a 2-code). Casi pesati. Dati mancanti esclusi dal computo

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Proseguendo con l’esame dei singoli predittori, appaiono di notevole forza, e di segno positivo, l’associazione tra le variabi-li strumentali e l’europeismo, con poche variazioni tra le due inchieste considerate, mentre tra le variabili identitarie, va enfa-tizzato il diverso segno delle componenti dell’identità naziona-le: negativo nel caso dell’identità culturale, positivo per quella civica. Anche in questo caso appaiono pressoché impercettibili le variazioni tra il 2007 e il 2009, con la parziale eccezione dell’intensità dell’identità nazionale, il cui potere esplicativo si riduce sensibilmente nel 2009.

Le variabili del blocco psicologico si rivelano tra le più promettenti in termini di associazione con l’identità europea: la fiducia verso le istituzioni europee, nella fattispecie il Parla-mento, è fortemente associata con l’identità europea, il senso di comunità perde parte del suo potere esplicativo mentre il coef-ficiente relativo alla salienza quasi raddoppia la sua forza pas-sando dal 2007 al 2009. In definitiva, il modello psicologico spiega una quota considerevole di varianza nel 2007 e nel 2009.

Le risposte fornite dall’analisi bivariata appaiono di notevo-le importanza. Oltre a gettare una prima, decisiva, luce sui fat-tori che maggiormente promuovono (o deprimono) il livello di identità europea degli italiani, aprono la strada ad altri interro-gativi, alcuni dei quali riguardano il ruolo di certi predittori, al-tri la bontà (cioè l’aderenza) del modello teorico esplicativo ai riferimenti empirici. Non fornendo queste risposte, questo tipo di analisi, l’analisi dei singoli coefficienti di correlazione appa-re parziale e non asseconda una spiegazione approfondita della natura dell’europeismo degli italiani perché, soprattutto, non tiene conto delle possibili interazioni tra le varie cause e per di più, non consente di stabilire la forza esplicativa dei singoli blocchi teorici, che è invece uno degli obiettivi della ricerca. Queste esigenze sono soddisfatte, pienamente, dall’analisi con-dotta con la tecnica della regressione multipla. Il primo dichia-rato intento è di esaminare la forza esplicativa di ogni blocco teorico: in altre parole, quale paradigma teorico è in grado di contribuire maggiormente alla spiegazione dell’identità europea degli italiani? Questo scopo è raggiunto attraverso la compara-zione del coefficiente di determinazione multiplo (cioè l’R-

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quadro) tra i modelli di regressione rivali6, presentati nella ta-bella 3.3. Il confronto operato considera in prima istanza i di-versi modelli teorici tra di loro, quindi il loro comportamento tra le due inchieste.

Nell’indagine del 2007 sono soprattutto i modelli psicologico e economico a promuovere l’identità europea in Italia, rispetti-vamente con il 17% e 16% della quota di varianza spiegata; gli altri modelli hanno una forza predittrice sostanzialmente equiva-lente. Secondo i valori dell’R-quadro, la teoria della mobilitazio-ne cognitiva spiega il 10% della varianza, così come il paradigma politico; il modello identitario è responsabile di una quota pari al 9% della varianza. Considerando l’inchiesta del 2009, il blocco teorico psicologico spiega il 21% della varianza, quello econo-mico il 18, mentre la teoria della mobilitazione cognitiva e identi-taria spiegano rispettivamente l’11% e il 9% della varianza, sen-za significative variazioni rispetto al 2007. Cosa che, invece, non accade per il blocco teorico riferibile alle variabili politiche (poli-tical cues) che dimezza il proprio potere esplicativo: dal 10% al 4%, come riprodotto nella tabella 3.3. In definitiva, per gli italia-ni il legame con l’Europa è influenzato da molteplici cause: cer-to, il blocco psicologico e quello economico contribuiscono alla spiegazione di una quota rilevante di varianza, ma il potere espli-cativo delle altre teorie non è certo trascurabile. Si può, allora, af-fermare che l’identità europea degli italiani è spiegata da una se-rie concomitante di fattori che agiscono simultaneamente nel promuovere o deprimere il senso di attaccamento nei confronti dell’Europa. Tale considerazione, insieme con la circostanza os-servata della perdita di potere esplicativo delle variabili politiche tra le due inchieste, solleva alcuni quesiti e impone – quindi – un ulteriore approfondimento.

6 Ciascun modello è al netto dell’altro ed ha lo stesso set di variabili di con-trollo socio-demografiche. Si è preferito procedere in questo modo, piuttosto che con la strategia dell’improvement block prediction, in cui cioè le variabili del modello rivale si aggiungono alle altre, perché non è affatto chiaro in let-teratura quale sia, o debba essere, la sequenza di “ingresso” dei vari modelli, né risulta soddisfacente il semplice criterio cronologico.

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TAB.3.3. La spiegazione dell’identità europea in Italia, 2007 e 2009: modelli rivali

2007 2009 Visite Paesi UE 0,17*** 0,10** Influenza politica 0,13*** 0,10** Istruzione 0,08** 0,16*** Uso dei media 0,02 0,08** Conoscenza UE 0,13*** 0,10**

1-Mobilitazione cognitiva R2 0,10 0,11 R2 corretto 0,09 0,10

Fiducia sistema politico nazionale 0,15** 0,08* Autocoll. sinistra/destra -0,13*** -0,17*** Identificazione partito pro/anti Europa 0,09** 0,03

2-Modello Political cues R2 0,10 0,04 R2 corretto 0,08 0,03

Benefici personali da UE 0,24*** 0,25*** Benefici collettivi da UE 0,20 *** 0,22***

3-Modello Economico R2 0,16 0,18 R2 corretto 0,15 0,17

Attaccamento regione 0,05* 0,08** Attaccamento nazione (intensità) 0,16*** 0,11** Identità nazionale civica 0,11** 0,11** Identità nazionale culturale -0,24*** -0,28***

4- Modello Identitario R2 0,09 0,09 R2 corretto 0,08 0,08

Fiducia istituzioni europee (Parlamento) 0,17*** 0,21*** Salienza identità europea 0,26*** 0,24*** Senso di comunità 0,14*** 0,17***

5-Modello Psicologico R2 0,17 0,21 R2 corretto 0,16 0,20

Fonte: Elaborazioni su dati IntUne Note: Regressione lineare multipla, stime minimi quadrati ordinari La tabella mostra i coefficienti di regressione standardizzati (beta) *** p<0,001; ** p<0,01; * p<0,05. Casi pesati Variabili di controllo (non mostrate), identico set per ciascun modello: Sesso, Età, Occupazione (Operaio/no; e Disoccupato/no) N diverso a seconda dei modelli, compreso tra 822 e 933

Nella successiva tabella 3.4 è perciò presentato un modello di regressione che include contemporaneamente i cinque mo-delli discussi in precedenza; è cioè un modello complessivo o composito delle ragioni dell’europeismo degli italiani. Qui, più

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che all’impatto delle teorie e al potere esplicativo dei modelli rivali, l’attenzione è rivolta alle singole variabili. L’R-quadro corretto del modello complessivo è 0,29 per il 2007 e 0,31 per il 2009, valori decisamente apprezzabili, indicatori della circo-stanza che i dati riproducono adeguatamente il modello teorico negli anni considerati. TAB.3.4. La spiegazione dell’identità europea in Italia: modello composito

Modello 6-Composito 2007 2009

Mobilitazione cognitiva Visite Paesi UE 0,11*** 0,12*** Influenza politica 0,05 0,04 Istruzione 0,006 0,03 Uso dei media 0,02 0,02 Conoscenza UE 0,07* 0,04 Political cues Fiducia sistema nazionale -0,06 -0,14*** Auto collocazione sinistra/destra -0,09* -0,08* Identificazione partito pro/anti Europa 0,06* -0,03 Variabili utilitaristiche Benefici personali da UE 0,10*** 0,12*** Benefici collettivi da UE 0,16*** 0,14*** Variabili identitarie Attaccamento regione 0,08** 0,05*** Attaccamento nazione (intensità) 0,14*** 0,06* Identità nazionale civica 0,08*** 0,05 Identità nazionale culturale -0,14*** -0,11** Variabili psicologiche Fiducia Istituzioni europee 0,09*** 0,14*** Salienza identità europea 0,10*** 0,14*** Senso di comunità 0,18*** 0,22*** R-quadro 0,31 0,34 R quadro corretto 0,29 0,31 N 667 654

Fonte: Elaborazioni su dati IntUne Note: I valori nelle celle riportano i coefficienti Beta standardizzati *** p<0,001; ** p<0,01; * p<0,05. Casi pesati Variabili di controllo (non mostrate), identico set per ciascun modello: Sesso, Età, Occupazione (Operaio/no; e Disoccupato/no) Stime minimi quadrati ordinari

Tra le variabili del blocco mobilitazione cognitiva, le sole variabili statisticamente significative sono quelle che misurano i viaggi effettuati nei Paesi europei e, unicamente per l’indagine

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del 2007, la conoscenza dei meccanismi di funzionamento dell’Unione Europea. In definitiva, il fattore che promuove maggiormente meccanismi di identificazione con l’Europa è costituito dalla circostanza di aver visitato altri Paesi europei. La stessa conoscenza della UE, che rileva l’effettiva conoscen-za dei meccanismi di funzionamento del sistema politico sovra-nazionale, ha un effetto debole nell’indagine del 2007 e, come già rilevato, non è statisticamente significativa nell’inchiesta di due anni dopo. Piuttosto insolita la circostanza che l’istruzione e, per certi versi, l’esposizione ai media, non siano statistica-mente significative e dunque di impatto nullo: probabilmente questo è un riflesso di cosa intendiamo per europeismo poiché l’identità europea è un concetto più ampio, ma anche più “neu-trale”, rispetto al concetto di sostegno. In altre parole, l’identificazione con l’Europa scaturisce da un meccanismo co-gnitivo relativamente semplice, mentre sostenere la polity al contrario, e dunque esprimere un giudizio su un progetto com-plesso qual è appunto quello dell’integrazione europea, implica un livello di sofisticazione politica più elevato7. Tra le variabili del blocco politico, la sola auto collocazione sull’asse destra-sinistra ha un impatto statisticamente significativo sia nella prima che nella seconda ricerca IntUne. Benché l’impatto non sia fortissimo, l’ideologia contribuisce a spiegare l’europeismo degli italiani e il segno negativo del coefficiente rivela che col-locarsi a sinistra incrementa l’adesione all’Europa, un risultato decisamente atteso, soprattutto se interpretato alla luce della di-scussione svolta nel precedente paragrafo sui partiti. L’identificazione con un partito pro-Europa ha un impatto, non fortissimo ma statisticamente significativo, sull’identità euro-pea degli italiani solo nel 2007 e anche il segno è nella direzio-ne attesa, positivo per l’identificazione con un partito che ha posizioni europeiste. Questa variabile ha, invece, un impatto nullo nell’indagine di due anni dopo. La relazione tra la fiducia nelle istituzioni nazionali e l’identità europea è statisticamente non significativa nel 2007 mentre lo è nel 2009, ma il segno

7 Una contro prova è costituita dalla circostanza che se la variabile dipendente è il sostegno, con il medesimo modello esplicativo, l’istruzione diventa signi-ficativa.

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non è nella direzione ipotizzata bensì negativo; in definitiva se cresce il feeling verso il sistema politico nazionale l’identità eu-ropea scende. Questo risultato suggerisce l’interpretazione che i meccanismi di institutional proxy abbiano ancora rilevanza nel-la spiegazione dell’identità europea degli italiani, ma non nella direzione attesa. L’ipotesi esplicitata, circa un cambiamento di segno nelle relazioni tra i due fenomeni in virtù di una possibile stabilizzazione del quadro politico nazionale che rende meno urgenti i desideri di trasferire alla polity sovranazionale i senti-menti di lealtà e le aspettative per un sistema decisionale più ef-ficiente, non trova conferme, o per lo meno queste sono solo parziali. Infatti, la circostanza che nel modello politico, cioè nel modello di regressione che considera le sole variabili politiche, presentato nella tabella 3.3, la relazione sia di segno positivo e statisticamente significativa (il che confermerebbe l’ipotesi e-splicitata sia per il 2007 che nel 2009) lascia aperti alcuni inter-rogativi e apre – semmai – la strada ad ulteriori ricerche, che dovranno necessariamente fare luce su questo specifico aspet-to8. Vale anche la considerazione che il sistema politico italiano percepito soggettivamente in un’ottica positiva dagli elettori, ri-sulta invece penalizzato dalle misurazioni oggettive9.

Le variabili del blocco economico, maggiormente esplicati-ve in termini di forza dell’associazione, suggeriscono la consi-derazione che l’Europa sia vista, dagli italiani soprattutto come fonte di benefici per se stessi e per la propria nazione: entrambe le variabili sono di forza decisamente apprezzabile e statistica-mente significative. In definitiva, gli italiani, vedono l’Europa ancora in chiave utilitaristica. Il penultimo blocco è costituito dalle variabili affettive/identitarie: anche l’identità sub-nazionale (regionale, in questo caso) è positivamente correlata con l’identità europea per cui non si evidenzia nessun contrasto, ma piuttosto piena compatibilità, tra identità locale e sovrana-zionale. Identico discorso va fatto per l’intensità

8 Nel precedente lavoro apparso sulla RISP (Serricchio 2010), la variabile fi-ducia nel sistema nazionale è statisticamente non significativa. Ma, benché i dati provengano dal medesimo dataset, è diverso il modello di regressione costruito, quindi un paragone diretto non è possibile. 9 Il riferimento è agli indicatori illustrati nel primo capitolo.

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dell’attaccamento nazionale, positivamente correlato con l’identità europea, in linea con le aspettative. Sensibilmente di-verso il ragionamento sull’impatto delle variabili che misurano il contenuto dell’identità nazionale: nel 2007 sia la componente civica che etnica sono statisticamente significative, anche se il loro impatto sull’identità europea è di diverso segno, positivo per quella civica, negativo per quella etnica; nel 2009 la dire-zione resta immutata, ma la componente civica non è significa-tiva e dunque di impatto nullo.

Infine, ma non da ultime, le variabili del blocco psicologico: il senso di comunità, cioè la fiducia verso gli altri popoli euro-pei, è un fattore che influenza fortemente l’identità europea, co-si come la salienza dell’identità europea e la fiducia istituziona-le europea. Nessun cambiamento di rilievo si registra confron-tando i risultati del 2007 e del 2009.

Fin qui dunque i dati. Quali le possibili interpretazioni? In primo luogo, una riflessione va dedicata al ruolo dei fattori po-litici. Appare di tutta evidenza che questi non siano in grado di contribuire in maniera decisiva alla spiegazione dell’identità europea degli italiani. O, quantomeno, il loro ruolo è ancora in-certo e registra cambiamenti anche sostanziali a distanza di soli due anni, benché si tratti di due anni cruciali per la vita politica italiana e per le vicende vissute della stessa Europa. Tuttavia, il ruolo della fiducia verso il sistema politico nazionale appare ancora suscettibile di approfondimenti: se altri studi avevano contribuito a specificare questa relazione con analisi sull’intera Europa (Bellucci et al. 2011), proponendo un’interpretazione affidata alla qualità della governance nazionale (dove questa è alta, la relazione tra fiducia nel sistema nazionale ed l’Europeismo è negativa), l’interpretazione del caso italiano al-la luce di questa evidenza lascia aperto ancora qualche dubbio (Serricchio 2010). Questo studio aggiunge un ulteriore piccolo tassello ma non consente di dirimere del tutto le controversie: la relazione negativa sta ad indicare che gli italiani, almeno nel 2009, continuano a vedere nell’Europa un possibile approdo salvifico, benché la considerazione del loro sistema politico sia aumentata.

L’altro aspetto che merita un approfondimento, è la questio-ne del ruolo dell’identità nazionale e dei suoi rapporti con l’identità europea. La proposta contemplava l’idea di considera-re non solo l’impatto dell’intensità del sentimento di attacca-

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mento alla propria nazione sull’identità europea ma anche delle dimensioni in cui l’identità nazionale si articola: ci si riferisce, in altre parole, dell’analisi del ruolo del contenuto del senti-mento patriottico. L’impatto dell’attaccamento nazionale di ma-trice civica è positivo (anche se statisticamente non significati-vo nell’indagine del 2009) mentre se consideriamo la sua ma-trice etnico-culturale la relazione è negativa e di forza notevole: il coefficiente è tra i più elevati tra tutti i predittori (-0,14 nel 2007, -0,11 nel 2009). Dunque la dimensione culturale dell’identità nazionale, nella percezione dei cittadini italiani, impedisce la formazione di una compiuta identità europea. L’attaccamento alla storia e alle tradizioni nazionali lavora cioè contro l’Europa e questo risultato concretizza un fatto sostan-zialmente nuovo: la direzione della relazione non è, infatti, quella attesa e esplicitata nelle ipotesi, sulla base dei precedenti studi apparsi in letteratura. È, piuttosto, negativa, e questo po-trebbe significare che gli italiani cominciano a vedere minac-ciato il loro patrimonio culturale e le loro tradizioni dal proces-so di integrazione europea e dalla formazione di un’identità so-vranazionale10.

L’ipotesi che, tra gli italiani, la relazione tra identità nazio-nale di matrice culturale ed europeismo abbia cambiato segno nel corso degli anni è piuttosto suggestiva. È il caso perciò di approfondire ulteriormente l’argomento e sottoporre l’ipotesi a prove empiriche: il compito non si presenta del tutto agevole per via della carenza di domande adatte nelle inchieste di massa disponibili. Del resto l’imponente dibattito teorico sulle com-ponenti dell’identità nazionale (e sull’impatto di queste sull’identità europea, cui pure si accenna in questo lavoro) tro-va dei riferimenti empirici in epoca piuttosto recente: la prima inchiesta di massa disponibile, almeno per l’Italia, è il modulo sull’identità nazionale condotto nel 1995 nell’ambito del pro- 10 L’idea di mantenere nel modello esplicativo, contemporaneamente, le tre variabili che misurano l’identità nazionale scaturisce dall’esigenza di valutare l’impatto simultaneo sia dell’intensità dell’attaccamento che del significa-to/contenuto dell’identità nazionale. I risultati finali non cambiano se nel mo-dello sono inserite, alternativamente, le variabili, considerando quindi l’impatto della sola intensità o delle sole variabili che misurano il contenuto dell’identità nazionale.

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gramma ISSP (International Social Survey Programme). Suc-cessivamente, sono solo tre le indagini reperite: l’inchiesta Cir-cap-Nomesis del 1999; l’Eurobarometro 57.2 del 2002; l’IntUne 2007 e 200911, infine l’Eurobarometro 71.3 sempre del 2009. Sono queste dunque le uniche fonti cui attingere per provare empiricamente l’ipotesi.

La figura 3.4 evidenzia come il segno dell’associazione tra identità culturale/etnica e identità europea in Italia sia effetti-vamente cambiato nel corso degli anni, assumendo quello nega-tivo solo in epoche recenti e a partire dalla rilevazione IntUne del 2007. È significativo, peraltro, che il dato sia confermato dalle evidenze risultanti dall’inchiesta IntUne 2009 e dai dati Eurobarometro sempre del 2009. In definitiva, se l’identità na-zionale culturale in Italia è stata positivamente correlata con l’europeismo, segno che il processo di integrazione europea era considerato comunque con favore, qualunque fosse l’angolo vi-suale adottato, questo assunto non è più valido, almeno alla lu-ce dei dati qui analizzati. L’Europa non minacciava le tradizio-ni nazionali, la cultura, la storia, vero patrimonio per gli italia-ni. Recentemente, tuttavia, questa percezione sembra essere cambiata, con tutta probabilità per alcune ragioni che includono l’allargamento ad Est dei Paesi europei, percepiti come “altri”, come outgroup.

Naturalmente si tratta solo di un primo risultato, che dovrà necessariamente trovare ulteriori conferme. Però si tratta di un segnale, rivelatore di una trasformazione della relazione tra i-dentità nazionale e identità europea alla quale è opportuno pre-stare attenzione. Un approfondimento sul tema dei rapporti tra gli italiani e l’Europa è costituito dall’esame del significato dell’attaccamento all’Europa che, insieme con lo studio dell’intensità dell’attaccamento, affrontato fin qui, può comple-tare lo studio della natura dell’europeismo degli italiani.

11 L’ISSP ha condotto un secondo modulo sull’identità nazionale nel 2002, replicando la precedente indagine del 1995, ma l’Italia, nel frattempo era fuo-riuscita dal consorzio di ricerca.

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FIG. 3.4. RELAZIONE TRA COMPONENTI DELL’IDENTITÀ NAZIONALE E IDENTITÀ EUROPEA NEL TEMPO (ITALIA)

Fonte: Elaborazioni su dati Issp-Nis (1995); Circap-Nomesis (1999); Eb 57.2 (2002); IntUne (2007 e 2009(b); Eb 71.3 (2009a). I valori mancanti sono esclusi Nota: Il grafico riproduce i coefficienti (R di Pearson nel caso di Circap 99, IntUne 07 e 09, EB 2009 (a); Kendall’s Tau-b in Issp 95 e Eb 02) tra componenti dell’identità nazionale e identità europea tra i cittadini italiani.

3.7. Cosa significa essere europei? Il significato dell’attaccamento all’Europa

Cosa hanno in mente i cittadini quando pensano all’Europa?

In cosa consiste questo sentimento? Qual è il suo significato? Quali dimensioni si attivano nella loro mente? E poi: qual è il contenuto dell’attaccamento all’entità chiamata Europa? A tali domande cerca di rispondere questa parte del capitolo, dedicata, appunto, al significato e al contenuto dell’identificazione con l’Europa. Si tratta di un aspetto particolare, che la letteratura ha, di fatto, trascurato, con parziali eccezioni, tra cui Green (2007) e Bruter (2005) e che negli ultimi anni ha rivestito interesse per i ricercatori del gruppo IntUne.

Dunque, dopo aver valutato il grado di entusiasmo o di scet-ticismo con cui gli italiani guardano al progetto di integrazione

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1995 1999 2002 2007 2009 (a) 2009 (b)

Identità nazionale civicaIdentità nazionale culturale

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europea, e i fattori che lo determinano, la riflessione si sposta sul significato che gli italiani conferiscono al loro essere euro-pei e sul contenuto dell’identità europea: il primo aspetto è maggiormente concentrato sulle percezioni individuali, il se-condo, invece, si concentra sulla percezione dei fattori che han-no contribuito alla formazione dell’identità europea.

Cosa significa, allora, essere europei? La risposta a questa domanda non è scontata né semplice. Replicare alla questione su cosa significhi essere italiani (o francesi o inglesi) può stimolare diverse risposte, anche piuttosto immediate: il linguaggio, le tra-dizioni culturali, la religione sono tra gli elementi che tradizio-nalmente costituiscono il terreno identitario comune e evocano legami orizzontali. Ma cosa rispondere nel caso dell’Europa?

Negli ultimi anni venti anni alcune indagini demoscopiche hanno consentito di raccogliere dati sul significato del senti-mento europeista e di affrontare, almeno parzialmente, il pro-blema dalla prospettiva dell’opinione pubblica.

La prima inchiesta considerata è l’Eurobarometro che, fin dal 1987 (EB n.27) ha incluso nelle rilevazioni alcune domande tese a comprendere il significato del senso di attaccamento che i cittadini sviluppano verso l’Europa, stimolandoli a dichiarare il loro modo di sentirsi europei. La domanda posta era:

Ci sono molti modi di sentirsi europei. Tra i seguenti, quale le sembra più vicino al suo? (più risposte possibili). E ancora, guardando la lista, quale le sembra il più importante? (una sola riposta possibile):

1. accantonare le rivalità e vivere in pace con i popoli dei Paesi confinanti;

2. appartenere a una tradizione culturale simile e condividere più o meno lo stesso stile di vita e modi di pensare;

3. avere in comune gli stessi valori religiosi e filosofici; 4. essere coinvolti in una grande avventura: la formazione degli

Stati Uniti d’Europa; 5. la possibilità di viaggiare senza difficoltà e senza troppa buro-

crazia almeno all’interno dell’Europa Occidentale; 6. è solo un fatto geografico: vivo in Europa e questo è tutto; 7. altri elementi; 8. nessuno di questi12.

12 La traduzione dal questionario originale bilingue francese/inglese è a cura di chi scrive.

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Considerando solo la seconda possibilità, è cioè quello che i

rispondenti indicavano come il fattore più importante, fin dall’inizio emerge il dato che l’idea prevalente di Europa risie-de nell’opportunità di pacificare il continente, vale a dire la fine delle ostilità tra le nazioni europee. Del resto la guerra fredda e l’equilibrio del terrore erano esperienze piuttosto recenti all’epoca della rilevazione e probabilmente ancora ben vive nella memoria degli italiani (e degli europei); dalla fine del se-condo conflitto mondiale erano, infatti, trascorsi poco più di quaranta anni. L’idea di pace, allora, era il significato più im-portante dell’identità europea per circa un terzo degli italiani (32%, media europea 39%); subito dopo gli italiani indicavano la libertà di muoversi, di viaggiare (per il 20% era questo il si-gnificato più cogente dell’Europa, in linea con la media euro-pea, 21); quindi l’idea di essere parte di un’avventura, il sogno degli Stati Uniti d’Europa (19%, media europea, 12) e la comu-ne tradizione culturale (14%, media europea, 11). Meno del cinque per cento degli italiani indicava invece la componente religiosa e filosofica (media europea 4%). Se poi si chiedeva agli italiani quale elemento cementasse le nazioni europee tra di loro (la rilevazione è la stessa, EB 27 del 1987), quasi il 44% si riferiva – ancora una volta – agli sforzi per pacificare il conti-nente (media europea 41%) e subito dopo ai legami economici (42%; media europea 41)13.

In definitiva, nel 1987, cioè alla vigilia (non proprio imme-diata, in verità) del crollo del muro di Berlino e del varo del Trattato di Maastricht, l’Europa sembrava evocare l’immagine di un’entità che potesse assicurare la pace tra i popoli europei e la libertà di viaggiare o, anche, un’opportunità economica; l’idea che alla base dell’integrazione europea ci fosse una cultu-ra comune, sembrava piuttosto remota. In sintesi, l’Europa era 13 La domanda era: Secondo lei cosa lega maggiormente i paesi della Comu-nità Europea tra di loro? I legami economici; gli sforzi fatti per assicurare la pace; la speranza di creare un bilanciamento al potere delle superpotenze; la condivisione di valori democratici e umanitari; la necessità di unire le forze per padroneggiare la tecnologia futura; la loro cultura e lo stile di vita; la ne-cessità di difendersi contro le minacce esterne; altro (anche in questo caso la traduzione dal questionario originale inglese è curata da chi scrive).

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una scelta pragmatica, quasi funzionale, insomma di testa più che di cuore, come i dati della tabella 3.5 sintetizzano.

TAB. 3.5. Il significato dell’Europa

% Italia UE-12

Pace 32 39 Comuni tradizioni culturali 14 11 Valori religiosi/filosofici 5 4 Avventura degli Stati Uniti d’Europa 19 12 Libertà di viaggiare 20 21 Solo un fatto geografico 6 7 Nessuno di questi 4 6 Totale 100 100 N 986 10.233 Fonte: Elaborazioni su dati EB n.27 (1987) Note: I valori rappresentano le percentuali di coloro che considerano il fat-tore più importante.

Ventuno anni dopo gli intervistati sono stati sollecitati nuo-

vamente a indicare quale significato attribuiscono al loro essere europei. Nell’autunno del 2008 Eurobarometro (inchiesta n.70.1) ha sottoposto ai cittadini europei questa batteria di do-mande:

Tra gli elementi che seguono, quali sono quelli che rafforzerebbero la

sua sensazione di essere un cittadino Europeo? 1. Avere il diritto di voto a tutte le elezioni organizzate nello Stato

membro in cui lei vive; 2. un sistema di previdenza sociale europeo armonizzato tra gli sta-

ti membri (sanità, pensioni, ecc.); 3. un Presidente dell'Unione Europea eletto direttamente dai citta-

dini degli Stati membri; 4. una squadra olimpica europea; 5. una carta d'identità europea oltre alla carta di identità nazionale; 6. ambasciate europee nei paesi al di fuori dell'Unione Europea; 7. un servizio civile per combattere i disastri naturali europei e in-

ternazionali; 8. un corso di educazione civica europea per i ragazzi delle scuole

elementari; 9. nessuno di questi; 10. non voglio essere un cittadino Europeo.

Con tutta evidenza, si tratta di stimoli diversi rispetto a quel-

li proposti dall’inchiesta del 1987. In primo luogo le domande

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del 2008 sembrano evocare più direttamente l’idea di cittadi-nanza (che è un concetto diverso da quello di identità, sicura-mente più ampio); inoltre nei ventuno anni che passano dal 1987 al 2008 è cambiato radicalmente l’oggetto stesso di rifles-sione, cioè l’Europa. In definitiva una comparazione diretta nel tempo non è possibile, per cui i risultati dell’indagine del 2008 vanno letti come una fotografia della percezione che i cittadini hanno dell’Europa in un dato momento storico.

Per gli italiani l’elemento che contribuirebbe maggiormente alla qualificazione della cittadinanza europea sarebbe l’esistenza di un sistema comune di welfare (35%, media europea 42%) se-guito dalle modalità di elezione del Presidente della UE (26%, media europea 18). Per inciso gli europei ritengono importanti al-tri elementi, come l’esistenza di un servizio di protezione civile per affrontare i disastri naturali) (fig. 3.5). In definitiva, gli ele-menti politici (sia riguardanti le policies, il sistema di sicurezza sociale, che la polity, l’elezione del Presidente UE) sembrano prevalere nella definizione dell’appartenenza all’Europa, nella mente degli italiani e, queste, prevalgono rispetto ad altre dimen-sioni simboliche quali ad esempio l’esistenza di una squadra o-limpica europea. Nonostante l’impossibilità di comparare diret-tamente i risultati dell’inchiesta del 1987, l’indagine del 2008 fa emergere alcuni tratti che, con tutte le cautele del caso, si posso-no definire comuni con il rilevamento precedente: primo fra tutti, l’idea che l’Europa attivi sentimenti riferibili ad aspetti “pratici”, di vita quotidiana, legati per lo più alla presenza delle istituzioni europee e al processo decisionale che queste sovrintendono.

3.8. Il contenuto delle identità nazionale e europea

La discussione sul significato dell’identificazione con l’Europa ha rivelato i diversi aspetti che sono presenti nella mente dei cittadini italiani ed europei quando pensano all’Europa. Come appare chiaro, questa idea è legata ad una percezione di vita quotidiana, cioè ai possibili risvolti pratici che la presenza dell’Europa, in quanto sistema politico, riveste o può rivestire per i cittadini. In questo senso, tale percezione è legata al concetto di cittadinanza, cioè a quale significato si conferisce al proprio essere cittadino europeo.

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FIG. 3.5. GLI ELEMENTI CHE RINFORZANO L’APPARTENENZA ALL’EUROPA

Fonte: Elaborazioni su dati Eurobarometro 70.1 (2008) Note: Sono riportati i valori percentuali

Ai fini di questa ricerca è però particolarmente interessante

approfondire l’analisi del contenuto dell’identità europea oltre che del significato. In questa prospettiva, l’obiettivo è rivolto ai meccanismi di formazione dell’identità europea più che alla per-cezione individuale discussa nel paragrafo precedente. La que-stione del contenuto dell’identità europea è stata spesso studiata dalla prospettiva nazionale, avendo cioè in mente la riflessione, soprattutto di matrice sociologica e storica, sui meccanismi di formazione dell’identità nazionale. La discussione svolta nel primo capitolo di questo lavoro ha evidenziato come l’identità nazionale possa scaturire da elementi culturali e civici. I sociolo-gi e gli storici ipotizzano, cioè, una doppia componente, mentre gli psicologi sociali aggiungono un ulteriore elemento di cono-scenza, descrivendo l’identità etnico-culturale come ascritta (a-scribed) quella civica con il termine acquisita (achieved).

Le indagini demoscopiche disponibili consentono di indaga-re questo aspetto, alla ricerca di un fondamento empirico a tali teorie. E, alla luce delle evidenze empiriche, per gli italiani l’identità nazionale è soprattutto di natura ascritta. Fin dal cele-bre studio di Almond e Verba (siamo alla fine degli anni ’50) gli elementi prevalenti dell’orgoglio nazionale italiano erano,

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Non voglio essere cittadino UE

Nessuno di questi

Una squadra olimpica europea

Le ambasciate europee

L'educazione civica per ragazzi

Un servizio civile per i disastri

Il diritto di voto

Una carta d'identità europea

Un Presidente UE eletto direttamente

Un welfare europeo

EU-27ITA

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infatti, di matrice culturale/etnica più che civica: il trentanove per cento dei rispondenti citava le caratteristiche fisiche del pa-ese, il ventisei per cento invece il contributo alle arti, musica e letteratura. Solo l’uno per centro menzionava la legislazione sociale e pensionistica e meno del sei per cento il sistema poli-tico-legale, le libertà civili, la stabilità politica, che invece era-no citati da quasi il novanta per cento degli statunitensi e da ol-tre il cinquanta per cento degli inglesi14.

Oltre trent’anni più tardi, siamo nel 1995, l’International Social Survey Programme (ISSP), nel modulo sull’identità na-zionale, sollecita nuovamente gli italiani ad esprimersi sui mo-tivi per cui essere orgogliosi della propria nazione: non è natu-ralmente possibile una comparazione diretta con l’inchiesta di Almond e Verba ma è certamente verosimile affermare che il quadro d’insieme non cambia e che la dimensione culturale re-sta prevalente nella percezione che gli italiani hanno dell’attaccamento al paese: patrimonio artistico (96%), traguar-di nello sport e storia (90% per le due dimensioni) guidano la graduatoria; in coda il funzionamento della democrazia (26%), l’influenza politica (23%) e l’equo trattamento dei gruppi di fronte alla legge (21%).

Quattro anni dopo (dati Circap-Nomesis) per il novantacin-que per cento è il patrimonio artistico a costituire soprattutto l’identità nazionale italiana e solo il diciassette per cento degli intervistati cita il funzionamento delle istituzioni democratiche.

Nel 2002 anche l’Eurobarometro introduce domande sulle dimensioni dell’identità nazionale: è sempre l’aspetto culturale a prevalere (41%) mentre il funzionamento del sistema politico è citato dal trentuno per cento degli interpellati. In questo senso, sembra di scorgere una timida inversione di tenden-za,confermata, in parte, dai dati raccolti nell’ambito dell’inchiesta IntUne del 2007 e, nuovamente, dalle evidenze Eu-robarometro di due anni più tardi, sintetizzate nella tabella 3.6. Le percentuali più elevate sono ancora appannaggio di elementi

14 Le interviste per lo studio The civic culture furono condotte tra il 1959 e il 1960. Si trattava di domande aperte, codificate a posteriori. Erano natural-mente previste più risposte. I dati riportati risultano da analisi effettuate dall’autore di questo saggio sul dataset originale.

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culturali/etnici ma quasi un terzo degli intervistati (22,7%) men-ziona adesso l’esercizio dei diritti civili quale elemento fondante la propria identità nazionale. Un dato ancora distante da quello di popoli considerati tradizionalmente civici come i francesi e i da-nesi (49%) o gli svedesi (62%), ma in linea con il dato degli in-glesi (26%) e superiore a quello degli spagnoli (20%) e dei tede-schi (31%). Va rimarcato come la stessa accezione di cultura (quasi la metà degli italiani cita le comuni tradizioni culturali) possa essere declinata anche in chiave civica. La cultura, insom-ma, non è necessariamente un elemento solo ascritto in quanto può riferirsi anche a altre componenti (esempio,la cultura giuri-dica, la cultura civica e così via).

Le evidenze empiriche, dunque, fanno emergere alcuni indi-catori di un possibile cambiamento nella struttura dell’attaccamento alla propria nazione. Non si può certo affer-mare che l’identità nazionale italiana sia diventata di natura ci-vica ma alcuni segnali sembrano emergere e un nuovo percorso sembra possibile, benché faticoso. Forse i centocinquant’anni trascorsi dall’unificazione geografica non sono passati invano.

Le considerazioni sulla natura dell’attaccamento alla propria nazione fanno così emergere considerazioni stimolanti e di di-versa natura che, però, non interessano direttamente questa ri-cerca anche se ne costituiscono un possibile sviluppo futuro.

TAB. 3.6. Il significato dell’attaccamento alla nazione: Italia.

% Nessuno 1 Essere attivi in associazioni 7 Avere almeno un genitore italiano 12 Essere cristiani 13 Padroneggiare la lingua 13 Esercitare diritti civili (es. voto) 23 Essere cresciuto in Italia 24 Sentirsi italiano 35 Essere nato in Italia 41 Avere tradizioni culturali comuni 43 N 1.036

Fonte: Elaborazioni su dati EB 71.3 (2009) Note: Casi mancanti esclusi dal computo

Quello che è adesso interessante approfondire è se un pro-cesso simile sia ipotizzabile anche per la formazione dell’identità europea. Ugualmente, in questo caso le inchieste

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sull’opinione pubblica consentono di investigare l’argomento sul piano empirico e tra le diverse che, soprattutto negli ultimi anni, hanno incluso domande e indicatori adatti a rilevare la percezione del contenuto delle identità nazionali e europea, vanno ricordate l’indagine Eurobarometro 57.2 del 2002 il cui questionario, per la sezione relativa al contenuto delle identità nazione e europea, è stato elaborata nell’ambito del progetto Euronat. Più recentemente si sono concentrate sul contenuto dell’identità europea di nuovo l’Eurobarometro (inchiesta 71.3 del 2009) e, soprattutto, il programma IntUne che, nelle due ondate di rilevazioni delle opinioni dei cittadini, ha incluso due batterie di domande particolarmente adatte agli scopi di questo capitolo15, il cui testo è riportato di seguito:

Per essere europeo (italiano), secondo lei quanto è importante ciascu-

no dei seguenti aspetti? 1. Essere un cristiano; 2. condividere le tradizioni culturali europee (italiane); 3. essere nato in Europa (Italia); 4. avere genitori europei (Italiani); 5. rispettare le leggi e le istituzioni dell'Unione Europea (Italia); 6. sentirsi europeo (Italiano); 7. avere la padronanza di una lingua europea (dell’italiano); 8. esercitare i diritti dei cittadini, ad esempio essere attivi nella po-

litica dell'Unione Europea (dell’Italia).

Per tutte le domande, le possibilità di risposta sono costituite dalla classica scala Likert a quattro modalità (molto, abbastan-za, poco, per nulla).

I risultati dell’analisi monovariata, relativamente al contenu-to dell’identità europea, consentono di tracciare un profilo, ge-nerale, di quale sia, per gli italiani, il riferimento quando pensa-no all’attaccamento alla comunità europea.

Entrambe le dimensioni, civica e etnica sono ben presenti nella mente dei cittadini italiani (Tab. 3.7). Per oltre il novanta-

15 Sono menzionate le indagini che includono contemporaneamente items a-datti a rilevare la percezione popolare delle identità nazionali e europea. Altre inchieste, ad esempio l’International Social Survey Programme del 1995, si riferiscono alla sola identità nazionale; altre ancora, come l’Eurobarometro 70.1 del 2008, sono riferite al contenuto della sola identità europea.

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cinque per cento degli italiani essere europeo significa rispet-tarne le leggi e le istituzioni, ma solamente poco più del sessan-tadue per cento indica l’esercizio dei diritti; una percentuale molto elevata, simile alla precedente domanda sul rispetto delle leggi europee, si rileva per la lingua, mentre la condivisione di comuni tradizioni culturali è un elemento importante per quasi l’ottantaquattro per cento degli intervistati. Meno rilevante la percentuale di risposte totalizzate per la domanda sull’essere cristiano (poco più del cinquantuno per cento considera l’aspetto religioso come caratterizzante l’identità europea).

TAB. 3.7. Il contenuto dell’Identità europea.

% Italia UE-16*

Essere cristiano 51 40 Condividere tradizioni culturali 84 75 Essere nato in Europa 77 64 Avere genitori europei 73 60 Rispettare leggi e istituzioni della UE 96 90 Sentirsi europeo 89 80 Avere padronanza lingua europea 95 89 Esercitare i diritti dei cittadini 63 69 Fonte: Elaborazioni su dati IntUne 2009 Nota: I valori risultano dalla somma delle categorie molto e abbastanza importante. Casi mancanti esclusi dal computo *UE-16= sedici nazioni incluse nell’indagine IntUne N sempre superiore a 970 (Italia) e 16.120 (Europa)

La circostanza che le risposte generino una scala Likert co-

stituisce una condizione piuttosto felice, poiché consente di ve-rificare empiricamente la teorizzata bi-dimensionalità con una tecnica statistica particolarmente appropriata, l’analisi fattoria-le. Questa, effettuata con il metodo di estrazione dei fattori ba-sato sulle componenti principali e con rotazione dei fattori obli-qua (promax, che consente la correlazione tra i fattori stessi16), evidenzia come effettivamente le teorie sociologiche trovino conferme empiriche: nella mente dei cittadini italiani (e lo stes-so accade per l’analisi dei dati aggregati a livello europeo), i 16 La bi-dimensionalità emerge anche con metodi differenti di estrazione dei fattori (ad esempio con la fattorizzazione dell’asse principale) e di rotazione dei fattori estratti (es: ortogonali, tipo varimax).

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diversi possibili contenuti dell’identità europea compongono due fattori latenti, si organizzano cioè in due elementi, uno de-scrivibile come civico, l’altro come culturale-etnico. Si tratta di risultati validati dai test statistici usualmente condotti in questo tipo di analisi: il riferimento è ai test di adeguatezza campiona-ria (KMO) e di sfericità (Bartlett), illustrati, insieme con i rela-tivi loadings (vale a dire i pesi fattoriali) nella tabella 3.8.

TAB. 3.8. Il contenuto dell’identità europea in Italia. Analisi fattoriale.

Matrice di struttura Componenti

Acquisita Ascritta Essere cristiani 0,07 0,71 Comuni tradizioni culturali 0,54 0,54 Essere nato in Europa 0,48 0,85 Avere genitori europei 0,44 0,83 Rispettare leggi e istituzioni europee 0,77 0,18 Sentirsi europeo 0,72 0,41 Padroneggiare una lingua europea 0,59 0,36 Esercitare diritti dei cittadini europei 0,68 0,22 Varianza spiegata (%) 39,2 15,3 Test di Kaiser-Meyer-Olkin (adeguatezza

campionaria) 0,78

Test di sfericità di Bartlett (sig.) 0,000 Corrleazione tra i fattori (r di Pearson) 0,43 N 915 Range (valore minimo/valore massimo) 0-10 0-10 Media 7,91 6,22 Deviazione standard 1,58 2,58 Alpha di Cronbach (misura di affidabilità

della scala) 0,66 0,72

N 964 951 Fonte: Elaborazioni su IntUne, 2009 Note: Metodo di estrazione dei fattori, analisi delle componenti principali. Metodo di rotazione dei fattori estratti: Promax con normalizzazione di Kaiser. Le statistiche descrittive e le misure di affidabilità si riferiscono agli indici additivi, ottenuti sommando gli items risultanti dall’analisi fattoriale, poi riscalati per avere il range che varia da 0 (minimo livello di identità) a 10 (massimo livello di identità). L’item “comuni tradizioni culturali” è stato escluso per la sua collocazione ambigua.

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L’identità europea – per gli italiani – è effettivamente artico-lata in un elemento di natura civica o acquisita, formato dalle domande sul rispetto delle leggi e delle istituzioni europee, da quelle sull’esercizio dei diritti dei cittadini europei, dal sentirsi europeo e, infine, dalla domanda sull’abilità di padroneggiare una lingua europea; il secondo fattore, che organizza le doman-de sull’essere cristiani, l’essere nato in Europa o avere genitori europei, forma l’elemento di natura ascritta, legato agli elemen-ti etnici dell’identificazione.

La percezione di una cultura comune alla base dell’identità europea ha, in Italia, una collocazione ambigua poiché satura entrambe i fattori latenti (è cioè correlato in misura analoga con entrambe le componenti), mentre satura il fattore civico e non quello etnico nel caso dell’Europa a sedici nazioni17. Ad una prima lettura questo risultato può apparire insolito, non con-forme alle aspettative, in quanto l’item relativo alla cultura co-mune quale elemento rilevante del contenuto dell’identità euro-pea, dovrebbe essere collocato nel fattore dell’identità ascritta-etnica.

L’interpretazione di questa evidenza empirica si presta a più di una versione a seconda che si legga il dato italiano o quello europeo in quanto, nel caso italiano, è probabile che i cittadini non scorgano affatto il profilo di una comune cultura europea, che, in effetti, è uno degli elementi carenti perché possa esiste-re, almeno nella lettura tradizionale, un popolo genuinamente europeo.

Un’interpretazione più accorta deve però necessariamente considerare l’eventualità che la cultura, europea in particolare, non sia percepita quale un elemento ascritto ma acquisito, o da acquisire, attraverso le esperienze dell’integrazione europea. Una cultura europea, declinabile in chiave contemporanea, non scaturirebbe dall’eredità greca e poi romana e dalla comune matrice religiosa, ma dal processo che, dal dopoguerra in poi, ha unito le nazioni dell’Europa occidentale prima e orientale poi, in un comune progetto di integrazione economica, moneta-ria e infine politica. La collocazione ambigua della domanda

17 I risultati dell’analisi fattoriale per l’Europa a sedici nazioni non sono pre-sentati per economia editoriale.

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sulle tradizioni culturali condivise ha un’importante conse-guenza a livello empirico: l’item non è incluso nella relativa scala e questo spiega anche perché il corrispondente fattore non è definito culturale ma etnico-ascritto.

Questa, dunque, la composizione dell’identità europea, nella percezione degli italiani. Ma qual è l’elemento prevalente nella loro mente? Quale “pesa” di più nella definizione dell’essere europeo? I risultati dell’analisi fattoriale suggeriscono l’inter-pretazione che il fattore civico prevalga, in quanto spiega quasi il quaranta per cento della varianza mentre la componente etni-ca (o ascritta) contribuisce alla spiegazione della varianza con un peso decisamente minore, poco più del quindici per cento (vedi la stessa tabella 3.8).

Un’analisi differente, presentata nella medesima tabella 3.8, conferma l’evidenza che il fattore civico possa essere conside-rato quello prevalente: la media è 7,9 nella scala 0-10 mentre l’indice di identità etnica ha un valore medio più basso (6,2) nella medesima scala di riferimento.

In definitiva, per gli italiani l’identità europea è soprattutto di natura civica, acquisita tramite l’esperienza dell’integrazione europea e la percezione di poter esercitare i diritti derivanti dall’essere cittadino europeo (e anche dal fatto di parlare una lingua di uno dei Paesi dell’Unione Europea e di sentirsi euro-peo). La componente etnica, ascritta, è decisamente meno rile-vante. E questo risultato accomuna gli italiani con gli altri eu-ropei.

Le evidenze empiriche discusse fin qui hanno consentito di raggiungere alcuni risultati, il primo dei quali è aver conferma-to che, nella mente dei cittadini italiani, l’identità europea è composta da due elementi, uno di matrice civica e l’altro di e-strazione etnica. Questo risultato è in linea con le teorie socio-logiche dominanti, che immaginano l’identità composta appun-to da due pilastri. La seconda evidenza consiste nell’avere sta-bilito che, a prevalere, è l’elemento civico e questo è vero sia per gli italiani sia per gli altri europei. Si tratta ora di compren-dere, invece, come si distribuiscano le due componenti dell’identità europea tra i cittadini italiani, quali sono cioè i fat-tori socio-demografici che possono influenzarle e promuoverle. La tabella 3.9 fornisce una prima importante informazione in questa direzione vale a dire il valore della deviazione standard, più elevato per l’indice che misura l’identità ascritta, che sta a

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indicare come questa sia maggiormente dispersa e quindi meno omogenea tra il campione preso in considerazione, che è com-posto dai cittadini italiani. Il valore del coefficiente eta, una mi-sura di associazione tra le variabili, utilizzata quando queste sono di natura categoriale, indica una forte relazione tra l’identità europea etnica e, in ordine di forza dell’associazione, livello di religiosità (misurato con la frequenza alle funzioni re-ligiose), età (espressa in coorti e non in classi), denominazione religiosa, occupazione e istruzione. In pratica, con l’eccezione del genere (non riportato), tutte le caratteristiche socio-demografiche sono fortemente associate con l’identità europea di natura etnica. Dunque, i più religiosi, i meno istruiti, i più anziani, i disoccupati e i pensionati sono anche coloro per i quali l’identità europea è soprattutto un’identità di matrice etni-ca. Per l’identità civica non può essere proposto un discorso speculare: come già affermato questa, piuttosto, risente meno dell’impatto delle caratteristiche socio-demografiche con l’eccezione parziale dell’età e dell’occupazione.

Una possibile conclusione contempla l’idea che mentre l’identità civica sia un sentimento diffuso in maniera omogenea tra gli italiani e quindi poco sensibile al variare dei fattori so-cio-demografici – in questo senso si può sostenere che si tratti di un sentimento consolidato e piuttosto radicato – l’identità a-scritta è invece, oltre che meno intensa, maggiormente sensibile alle variabili demografiche e sociali ed è collocabile in quei set-tori della popolazione non necessariamente marginali ma cer-tamente meno centrali, almeno dal punto di vista sociale.

È utile, a questo punto, esaminare anche la distribuzione dei due indici di identità europea tra gli italiani, considerando va-riabili di altra natura, prime fra tutte quelle politiche e quindi quelle identitarie (tabelle non presentate). Le variabili del primo gruppo, di tipo politico, hanno una particolare influenza sull’identità etnica: l’associazione è piuttosto forte se si consi-dera l’ideologia, cioè l’autocollocazione sulla scala sinistra-destra (qui ricodificata in cinque modalità, per offrire una rap-presentazione della situazione italiana più aderente alla realtà); il valore del coefficiente Eta è 0,25 ed emerge il dato – per la verità atteso – che chi si colloca a destra sente più forte il ri-chiamo etnico dell’identificazione europea. La stessa variabile è statisticamente non significativa se si considera, invece, quale variabile dipendente, la scala di identità europea acquisita.

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TAB. 3.9. Le dimensioni dell’identità europea per profili socio-demografici. Italia

Identità europea acquisita Identità europea ascritta Media Dev.

St. Eta Media Dev.

St. Eta

Italia 7,91 1,58 6,22 2,58 Età (coorti) 18-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65+

7,63 7,64 7,91 7,83 8,08 8,15

0,12** 5,44 5,45 6,01 5,98 6,43 7,26

0,25***

Istruzione Elementare Media inferiore Media superiore Università

7,77 8,03 7,85 7,89

0,06 7,31 6,77

6,02 5,31

0,23***

Occupaz. Autonomo Impiegato Funzionario Operaio Studente Pensionato Disoccupato

7,87 7,77 7,88 7,54 7,75 8,09 7,91

0,12** 5,91 5,74 5,76 6,22 5,14 6,98 6,39

0,23***

Religione Nessuna Cattolico Altre

7,75 7,93 7,98

0,06 4,61 6,52 5,17

0,25***

Religiosità Mai Raramente Spesso

7,86 7,76 8,02

0,07* 4,67 6,08 6.80

0,30***

Fonte: Elaborazioni su dati IntUne (2009) Note: Media= distribuzione della media dell’identità europea civica/etnica (var. dipendente) tra le modalità della variabile indipendente; Eta= associazione della variabile indipendente con l’identità europea ac-quisita/ascritta (dipendente); I casi mancanti sono esclusi dal computo *** p<0,001; ** p<0,01; * p<0,05

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A conclusione simile si perviene osservando la variabile soddi-sfazione per il funzionamento della democrazia nazionale; al contrario, l’interesse per la politica influenza in misura analoga le due matrici dell’identità europea.

In definitiva, l’esame della distribuzione delle due scale di identità europea per i fattori politici consente di aggiungere un tassello alla delicata opera di mappatura dell’europeismo degli italiani; l’analisi della loro distribuzione secondo le caratteristi-che socio-demografiche rivela che le persone più lontane dal centro della vita sociale (ed economica) scorgono nel sentimen-to di attaccamento all’Europa soprattutto il profilo etnico. Inol-tre, mentre gli orientamenti ideologici non influenzano l’identità civica, hanno un significativo impatto sull’identità et-nica. Sono quindi soprattutto coloro i quali si collocano dal cen-tro al centro-destra a caratterizzare con il contenuto etnico il sentimento di attaccamento all’Europa.

Da ultimo, ma non certo per importanza, è opportuno inda-gare sulle relazioni tra le variabili che rilevano l’attaccamento territoriale e le componenti dell’identità europea. Ancora una volta la distribuzione dell’identità europea di matrice etnica ri-sulta particolarmente sensibile sia al variare dei livelli di identi-tà nazionale che, sia pure in misura minore, a quelli di identità locale (in questo caso regionale). L’altra componente, quella civica, risulta invece più stabile e quindi meno sensibile alle va-riazioni dei livelli di identificazione nazionale e locale.

Conclusioni Gli sforzi della prima parte del capitolo 3 sono stati mirati a

descrivere il livello dell’identificazione con l’Europa degli ita-liani nel tempo e, alla luce del calo evidenziato dall’esame del trend, la natura dell’identità europea degli italiani negli anni re-centi. Anni in cui svariati fattori, esterni come l’allargamento della UE ai Paesi dell’Est e interni, come la supposta stabilizza-zione del quadro politico nazionale e l’euroscetticismo agitato da influenti partiti di governo, inducono a ipotizzare alcune possibili cause esplicative della flessione nei livelli di identifi-cazione europea.

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Dallo studio emerge che, in definitiva, lo stereotipo degli i-taliani euroentusiati-a-prescindere sia in realtà fuorviante o quanto meno non più attuale.

Gli italiani hanno, nel tempo, sviluppato un sentimento di attaccamento alla nuova entità politico/sociale chiamata Europa di entità non trascurabile, ma cominciano a mostrare evidenti segnali di scetticismo nei suoi confronti. L’Europa è tuttora vi-sta come fonte di benefici, per sé stessi e per la propria nazione. Per loro, inoltre, l’Europeismo non risente tanto del livello d’istruzione quanto dell’autocollocazione sulla scala destra-sinistra e, parzialmente, dell'identificazione con un partito pro-Europa; le identità nazionale e subnazionale (l’attaccamento, cioè, a nazione e regione) favoriscono l’identità europea, con-fermando la piena compatibilità tra le diverse identità sociali.

Il ragionamento sul ruolo dell’identità nazionale è tuttavia più articolato. Se consideriamo il significato dell’attaccamento alla nazione il risultato è sensibilmente diverso e la spiegazione è decisamente più complessa: la matrice culturale dell’identità nazionale, infatti, è negativamente correlata con l’europeismo. E questo è un fatto sostanzialmente nuovo poiché le, poche, precedenti ricerche erano pervenute a risultati sostanzialmente opposti, suggerendo una diversa lettura dell’europeismo degli italiani. È legittimo allora interrogarsi sulle cause di questo re-pentino (e recente) cambiamento di segno. Una possibile spie-gazione, con tutte le cautele del caso, deve considerare il recen-te allargamento dell’Europa ai Paesi dell’Est. Da un lato gli ita-liani considerano questi popoli come non europei, cioè come outgroup18, dunque stranieri, dall’altro la politica europea di al-largamento ad Est ha ridotto – e ridurrà ancora nel futuro – la quota di aiuti comunitari destinati alle regioni italiane in ritardo di sviluppo. Se così fosse, le notizie per i sostenitori dell’Europa non sarebbero positive in quanto ci sarebbe da a-spettarsi un ulteriore incremento dell’euroscetticismo tra gli ita-liani. Perché, venute meno le richieste di un sistema politico più

18 Alcune analisi condotte su EB del 2002, non pubblicate ma disponibili presso l’autore, mostrano proprio come gli abitanti dei Paesi dell’Europa dell’est siano percepiti dagli italiani in una dimensione separata rispetto agli altri europei.

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efficiente, in virtù della stabilizzazione del quadro politico na-zionale, e con la riduzione degli aiuti comunitari, allora potreb-be essere cessato il patto tacito su cui si è retta fino ad oggi la relazione tra gli italiani e l’Europa: se questa cominciasse a mi-nacciare il patrimonio culturale e le tradizioni e nel contempo promettesse di concedere sempre meno aiuti economici, perché continuare a guardarla con benevolenza?

In questo senso il presente studio, piuttosto che fornire ri-sposte definitive, apre nuovi interrogativi, fornisce alcuni sti-moli e indica nuovi possibili percorsi per ulteriori ricerche.

Questo capitolo ha cercato anche di gettare una luce su due argomenti poco frequentati, almeno sul piano empirico, dai ri-cercatori che si sono occupati di identità europea, vale a dire il significato e il contenuto dell’identificazione con l’Europa. Si è cioè indagato su che cosa abbiano in mente i cittadini italiani quando pensano all’Europa, quali aspetti prevalgano. Uno stu-dio che non può prescindere dalla considerazione del contenuto dell’identità nazionale.

Le analisi condotte hanno fatto emergere alcuni interessanti risultati: in primo luogo, la conferma che gli italiani hanno un’idea soprattutto culturale dell’attaccamento alla propria na-zione. Prevalgono nettamente elementi quali l’orgoglio per il patrimonio artistico, i successi sportivi e scientifici, per certi versi il paesaggio anche se nelle ultime inchieste alcuni segnali, per la verità ancora piuttosto flebili, sembrano indicare un per-corso diverso, con gli italiani che aggiungono un significato più vicino alla matrice civica al loro senso di attaccamento.

L’idea che gli italiani hanno dell’Europa è, invece, radical-mente diversa: fin dall’inizio emerge, infatti, la visione di un’Europa unita come soluzione che potesse aiutare a pacifica-re un continente martoriato dalle due guerre mondiali. Questa idea era ancora ben presente a quasi quarant’anni dalla fine del-la seconda guerra mondiale. Più recentemente, cessate le ur-genze di pacificazione, l’Europa ha assunto un significato di-verso ma pur sempre pragmatico, legato cioè ad aspetti piutto-sto concreti e per certi versi strumentali: libertà di viaggiare, welfare, economia, diritti. Se l’analisi si sposta sulla considera-zione del processo storico che ha generato quel tipo di identifi-cazione, piuttosto che sul risultato, non desta sorpresa la circo-stanza che le due visioni tendano a coincidere e appaiano come speculari. Per gli italiani, infatti, l’identità europea è costituita

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soprattutto da componenti civiche, è un’identità legata forte-mente alla presenza delle istituzioni dell’Unione Europea e alla percezione dei diritti di cittadinanza che derivano dall’Europa unita. L’idea che il futuro dell’integrazione europea debba pog-giare su basi culturali o religiose, non sembra essere presente.

Questa, naturalmente, non è una buona notizia per i sosteni-tori dell’Europa unita. Anzi, potrebbe rafforzare le ipotesi degli studiosi che si rifanno alla teoria culturalista, secondo i quali la formazione di una compiuta identità europea sarebbe di fatto impossibile perché gli elementi tradizionalmente indicati per la formazione dell’identità sono carenti. Al contrario, coloro i quali vedono nell’identità europea il classico esempio di identi-tà post-nazionale vedrebbero in questi risultati una conferma al-le loro tesi, imperniate sull’assunto fondamentale che nelle i-dentità collettive moderne la componente acquisita prevale qua-si sempre su quella ascritta.

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CAPITOLO QUATTRO

LE CONSEGUENZE DELL’IDENTIFICAZIONE CON L’EUROPA: SOSTEGNO E COMPORTAMENTO DI VOTO

Introduzione

Questo capitolo è dedicato alle relazioni tra i diversi concetti che compongono il puzzle in cui si articolano le credenze e gli atteggiamenti dei cittadini verso l’Europa e alle conseguenze dell’identificazione per l’Europa. Si tratta, in buona sostanza, di comprendere da un lato quali rapporti legano i diversi orienta-menti europeisti e, dall’altro, di individuare quali siano le pos-sibili conseguenze dell’identificazione con l’Europa, cioè il suo ruolo nella spiegazione di alcuni atteggiamenti – come il soste-gno – e di taluni comportamenti, come la partecipazione alle e-lezioni per il parlamento europeo. Questo aspetto è trattato con riferimento al framework teorico elaborato e discusso nel’introduzione, che assegna all’identità e al senso di comunità il ruolo di orientamenti psicologici, al sostegno la casella dell’orientamento valutativo e al voto lo status di comporta-mento. L’identità europea è dunque trattata come variabile in-dipendente, cioè esplicativa di altri fenomeni quali il sostegno per il progetto di integrazione europea e il favore popolare per il trasferimento del policy making, concetto direttamente legato alla percezione della legittimazione del sistema politico euro-peo, e quindi il voto per il Parlamento europeo. Tutti aspetti che la letteratura, concentrata nella definizione della variabile di-pendente e nella ricerca delle sue possibili spiegazioni, ha tra-scurato.

4.1. Il sostegno per il progetto di integrazione europea come conseguenza dell’identità europea

Per molti autori sostegno e identità europea sono stati, e tut-

tora sono, sinonimi e parte della letteratura rifiuta, più o meno esplicitamente, una chiara distinzione. La discussione su questo

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particolare aspetto è stata già affrontata e non è opportuno ri-prenderla. È però importante ribadire come questa confusione sia tra i lasciti maggiormente persistenti della teoria che ha do-minato, a lungo, gli studi sull’integrazione europea, cioè quella funzionalista, secondo la quale la percezione dei vantaggi deri-vanti dall’integrazione economica e quindi il sostegno specifi-co, alla lunga avrebbe prodotto sentimenti affettivi di identifi-cazione, vale a dire sostegno diffuso.

Invece l’importanza di un’identità comune e di un senso di comunità sono considerate fondamentali per produrre sostegno, soprattutto quando il sistema politico non è in grado di emanare outputs capaci di soddisfare pienamente le richieste dei cittadi-ni. In chiave più strettamente europea, il ragionamento riguarda molto da vicino i cittadini degli Stati membri quando il sistema sopranazionale emana provvedimenti che comportano sacrifici in certe comunità nazionali (Hermann e Brewer 2004).

Questa sovrapposizione teorica e concettuale, che si è ad-densata intorno al concetto di comunità politica, ha come prima conseguenza precisi e rilevanti risvolti empirici: identità, soste-gno e senso di comunità, considerati quali sinonimi, sono stati misurati con i medesimi items. In realtà, come già argomentato, identità, sostegno e senso di comunità, sono concetti diversi e indipendenti sul piano empirico: l’identità è il rapporto che lega verticalmente l’individuo al gruppo; il senso di comunità è il legame che lega, orizzontalmente, gli individui che compongo-no il gruppo; il sostegno diffuso è la valutazione, cioè il giudi-zio, sull’opportunità di costruire la nuova comunità politica eu-ropea. Questa distinzione ha un fondamento empirico? La stra-tegia più adeguata per stabilire la differenziazione empirica tra i concetti è decisamente quella che prevede un test operato con l’analisi fattoriale confermativa, condotta sulle domande tradi-zionalmente utilizzate per misurare il sostegno, l’identità euro-pea e il senso di comunità. I dati utilizzati per questo tipo di a-nalisi provengono dall’indagine IntUne 2009. Il confronto allo-ra è tra due modelli, nel primo è adottata la soluzione ad un fat-tore latente ed è un modello in cui gli orientamenti nei confronti dell’Europa formano, nella mente dei cittadini, una sommatoria indistinta di riferimenti generici all’entità sovranazionale; nel secondo la soluzione imposta è a tre fattori latenti; questo mo-dello riproduce – dunque – l’ipotesi che gli individui distingua-no tra i diversi orientamenti. Più specificamente, nel primo mo-

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dello l’ipotesi è che gli items che misurano identità europea, so-stegno e senso di comunità afferiscano ad un’unica dimensione concettuale, formando così un unico fattore latente; nel secon-do, invece, si sottopone a verifica l’ipotesi della multidimen-sionalità, con gli items che saturano tre fattori/variabili latenti1. I risultati dell’analisi fattoriale confermativa, esposti nella ta-bella 4.1, i non lasciano spazi a dubbi di sorta e fanno propen-dere nettamente per il modello a tre dimensioni latenti. Sono piuttosto eloquenti tutti gli indici, dal valore del chi-quadro, che scende vistosamente (339,026 con 20 gradi di libertà vs. 24,43 con 15 gradi di libertà), agli indici comunemente utilizzati per valutare la bontà di adattamento ai dati: il GFI, General Fit In-dex di Joreskog e Sorbom è più alto nel modello 2 (0,924 vs. 0,994 e la letteratura indica che sono da preferire i modelli con il GFI più alto), il Root Mean Square Error of Approximation, una misura che indica l’errore commesso nell’approssimare la realtà con il modello statistico, è migliore nel secondo modello (0,128 vs. 0,025)2. Anche l’AIC, Akaike Information Criterion (371,026 vs. 66,431), per il quale è raccomandato di preferire modelli con valore più basso, è migliore nel modello a tre fatto-ri. L’analisi fattoriale confermativa dimostra, quindi, come i tre concetti siano indipendenti, oltre che sul piano teorico-concettuale, anche dal punto di vista empirico. Gli italiani di-stinguono, piuttosto nettamente, il senso di vicinanza agli altri europei dal legame che li lega alla comunità politica europea. E hanno altresì ben chiaro che questi due orientamenti sono di-versi e distinti dal sostegno, vale a dire dall’attività orientata al-la valutazione. L’ipotesi di partenza ha dunque un fondamento piuttosto solido.

1 L’analisi fattoriale confermativa, talvolta abbreviata in CFA (confirmatory factor analysis) è stata condotta (con AMOS) successivamente all’analisi fat-toriale esplorativa (EFA, effettuata con SPSS) che evidenzia la soluzione a tre fattori. Le tabelle della EFA non sono presentate per economia editoriale, ma sono comunque a disposizione presso l’autore 2 La soglia minima comunemente indicata per l’accettabilità del RMSEA è fissata al valore di 0,05, ma alcuni autori indicano come ammissibile anche un valore compreso tra 0,05 e 0,08 (Barbaranelli 2006).

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TAB.4.1. Identità europea, sostegno e senso di comunità: analisi fattoriale confermativa (Italia)

Modello 1 Un fattore

Modello 2 Tre fattori

Identità Sostegno Senso di comunità

Attaccamento eur. 0,53 0,65 Moreno question 0,37 0,45 Sentirsi europeo 0,49 0,60 Membership 0,74 0,75 Benefici personali 0,64 0,64 Benefici nazione 0,75 0,79 Fiducia europei 0,45 1,41 Fiducia connaz. 0,12 0,29 P-value 0,000 0,058 Chi-quadro 339,03 24,43 Gradi di libertà 20 15 RMSEA 0,13 0,02 GFI 0,92 0,99 AIC 371,03 66,43 N 978 978

Fonte: elaborazioni su dati IntUne 2009 Note: Modelli ricorsivi; metodo di stima: massima verosimiglianza. Coefficienti standardizzati

C’è allora da chiedersi, in prima battuta, quale sia il ruolo

dell’identità nella spiegazione del sostegno. La letteratura, da Rousseau in poi, suggerisce l’ipotesi che l’identità preceda il so-stegno, ne sia cioè uno dei predittori mentre nel caso dell’Europa questo assunto è stato ribaltato dalla teoria neo-funzionalista. Il passo successivo è allora quello di valutare l’impatto dell’identità europea sul sostegno per il progetto di integrazione europea.

Il test è condotto utilizzando i dati dell’inchiesta IntUne 2009: la variabile dipendente è il sostegno, misurato con un in-dice che presenta un valore minimo di 0 (livello minimo di so-stegno) e uno massimo di 10 (massimo livello di sostegno eu-ropeo), che risulta della somma degli items inclusi nell’analisi fattoriale confermativa esplicitati nella tabella 4.1. Per la misu-razione dell’identità europea e delle altre variabili indipendenti, l’oprazionalizzazione segue la soluzione adottata nel capitolo 3.

Le variabili che misurano i due concetti, identità e sostegno, sono legate in maniera piuttosto decisa: il calcolo del coeffi-ciente di correlazione di Pearson restituisce un valore pari a

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0,46 (la relazione non è dovuta al caso, in quanto risulta stati-sticamente significativa al livello dello 0,001). La forte associa-zione tra le due variabili, pur fornendo alcune importanti rispo-ste, non svela tuttavia i dettagli delle relazioni tra i due concetti. La domanda, infatti, è: cosa aggiunge l’identità europea alla spiegazione del sostegno? Per tentare una risposta i dati sono analizzati con la tecnica della regressione multipla, in cui la va-riabile dipendente è il sostegno e le variabili indipendenti pre-senti nel modello sono stabilite sulla base della discussione sui predittori dell’europeismo, svolta nel capitolo 1. In un secondo modello tra i predittori del sostegno è inclusa anche l’identità europea, con lo scopo di esaminare il cambiamento del potere esplicativo del modello teorico e l’impatto diretto dell’identità europea sul sostegno. Naturalmente, le ipotesi da testare preve-dono che l’identità europea contribuisca in maniera sostanziale alla spiegazione del sostegno e che il suo impatto sia positivo.

I risultati, riportati nella tabella 4.2 (modelli 1 e 2) sono piuttosto eloquenti e tendono a confermare le ipotesi esplicitate.

Il modello che include l’identità europea è sicuramente un modello migliore del precedente, che non la include. Il valore dell’R-quadro risulta pressoché raddoppiato (da 0,17 a 0,3) con l’inserimento tra i predittori della variabile identità europea e l’impatto di questa sul sostegno per il progetto di integrazione eu-ropea è positivo, oltre che piuttosto consistente: il valore del coef-ficiente beta, direttamente confrontabile con gli altri coefficienti perché standardizzato, 0,39, statisticamente significativo, è il più elevato tra tutti i predittori inclusi nella spiegazione. Il ruolo deci-sivo dell’identità europea nella promozione del sostegno per il progetto di integrazione europea appare in tutta evidenza, almeno alla luce di queste evidenze empiriche e per il caso italiano.

Un altro modo di rilevare il sostegno consiste nel considera-re il grado di favore che i cittadini conferiscono al policy ma-king europeo. In altre parole, si tratta di valutare qual è il livello di gradimento per il trasferimento all’arena sovranazionale dei processi decisionali in alcune, selezionate, aree di policy. È un concetto, questo, strettamente legato a quello di legittimazione dell’arena politica sovranazionale e che nel progetto IntUne è stato etichettato come orientamento per l’ampiezza della gover-nance europea (scope of governance) la quale, insieme con le dimensioni dell’identità e della rappresentanza europee com-pongono il puzzle della cittadinanza europea.

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TAB. 4.2. L’impatto dell’identità europea sul sostegno. Regressione lineare (Stime minimi quadrati ordinari). Italia

1 2 3 4

Visite Paesi europei 0,05 -0,01 0,06 0,01 Influenza politica 0,11** 0,07** 0,05 0,01 Istruzione 0,20*** 0,15*** 0,01 -0,04 Uso dei media -0,04 -0,06** 0,01 0,00 Conoscenza Europa 0,03 0,00 0,08** 0,06* Fiducia istituzioni nazionali

0,15*** 0,15*** 0,00 0,00

Autocollocazione sinistra-destra

-0,21*** -0,13*** -0,10*** -0,04

Identificazione parti-to pro/anti Europa

0,10** 0,10** 0,06* 0,06**

Identità locale 0,03 0,00 -0,01 -0,04 Identità nazionale 0,08** 0,05 0,00 -0,02 Identità europea 0,39*** 0,29*** R-quadro 0,17 0,30 0,06 0,14 R-quadro corretto 0,15 0,28 0,08 0,15 N 702 753

Fonte: Elaborazioni su dati IntUne 2009. Note: Variabili di controllo socio-demografiche non mostrate. Le celle riportano i coefficienti standardizzati (Beta) e i livelli di significa-tività statistica *** p<0,001; ** p<0,01; * p<0,05 Nei modelli 1 e 2 la variabile dipendente è il sostegno per il processo di integrazione. Nei modelli 3 e 4 è una variante del sostegno, cioè il soste-gno per il trasferimento di alcune decisioni all’arena sovranazionale

Nel dataset IntUne Opinione Pubblica 2009 i cittadini sono

stati chiamati ad esprimersi sull’opportunità di delegare all’Europa le decisioni in quattro aree di policy: il governo del sistema di tassazione, la sicurezza sociale, la politica estera e l’aiuto alle regioni svantaggiate3. Le quattro domande sono sta-te sommate e il risultato è una scala 0-10 ( dove 0 è il livello più basso di sostegno al trasferimento delle decisioni, 10 il più alto) di sostegno per il policy making europeo, che assume lo 3 L’aggregazione è avvenuta sulla base dei risultati di un’analisi fattoriale e-splorativa, i cui risultati non sono presentati ma comunque disponibili.

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status di variabile dipendente nel modello di regressione multi-pla presentato, nuovamente, nella tabella 4.2 (modelli 3 e 4). Anche in questo caso la spiegazione del sostegno beneficia in misura considerevole dell’apporto dell’identità europea: l’R-quadro raddoppia includendo tra i fattori esplicativi l’identità europea e il coefficiente beta di questa è particolarmente forte, 0,29 (statisticamente significativo). In definitiva, l’identità eu-ropea contribuisce in misura considerevole, positiva, a spiegare gli orientamenti individuali nei confronti del trasferimento all’arena sovranazionale dei meccanismi decisionali. Il senti-mento affettivo di attaccamento all’Europa è così in grado di aumentare in modo sostanziale la percezione della legittimazio-ne della governance europea, oltre che il giudizio sul progetto che conduce all’integrazione del vecchio continente.

I prossimi paragrafi sono dedicati al tema del voto europeo e al ruolo che l’attaccamento affettivo nei confronti dell’Europa svolge nelle decisioni di voto. L’analisi condotta ha l’obiettivo di chiarire quale sia il ruolo dei sentimenti pro/anti Europa, af-ferenti alla sfera psicologica, nella decisione di votare per le e-lezioni europee. 4.2. Il ruolo dell’identità europea nella spiegazione della par-tecipazione alle elezioni per il parlamento europeo

Nel giugno del 2009 i cittadini europei sono stati chiamati al-le urne per il rinnovo del Parlamento europeo. Un’elezione parti-colarmente importante, svoltasi dopo il varo del trattato di Lisbo-na che, tra i pochi cambiamenti istituzionali, ha introdotto un vincolo più stringente tra esito della consultazione ed elezione del Presidente della Commissione europea, aumentando in que-sto modo l’accountability del sistema sovranazionale, pur non stravolgendone né l’architettura istituzionale né i rapporti tra i vari poteri.

Nonostante la rilevanza dell’appuntamento elettorale, il tasso di partecipazione medio europeo è stato però particolarmente basso: l’affluenza alle urne nell’Europa dei ventisette è stata del 43% (dunque, specularmente, quasi sei europei su dieci aventi di-ritto al voto non si sono recati alle urne) con percentuali di parte-cipazione intorno al venti per Lituania e Slovacchia, di poco su-periori per la Polonia (venticinque) e, invece, stabilmente elevate – oltre il novanta per cento – per paesi quali Belgio e Lussem-

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burgo. Per proporre un immediato termine di paragone, la parte-cipazione media alle elezioni nazionali tra i ventisette Paesi che compongono l’Europa è del settantadue per cento. La tabella 4.3 sintetizza il tasso di partecipazione alle elezioni eu-ropee del 2009, analizzando la distribuzione per i singoli Paesi e per gruppi classificati in base al periodo di accesso all’Unione Europea.

Gli italiani hanno risposto all’appello in maniera tutto som-mato positiva: 65% come tasso di partecipazione (che diventa 66,5% se si esclude il voto degli italiani all’estero), una delle percentuali più elevate tra i paesi europei, notevolmente superio-re alla media (il riferimento è l’Europa a 27) ma sensibilmente più elevato anche del tasso di partecipazione elettorale medio dei Paesi fondatori dell’Europa (che si attesta poco al di sopra del sessantuno per cento). In definitiva, gli italiani partecipano anco-ra in grande maggioranza alle elezioni europee, se il termine di paragone è costituito dal tasso di partecipazione che si registra nelle altre nazioni. Ma se il confronto è effettuato nel tempo, pa-ragonando cioè i numeri del passato, e se si prendono in conside-razioni i tassi di partecipazione alle elezioni nazionali, il quadro d’insieme cambia sensibilmente. Ed emerge una situazione simi-le a quella che si verifica nell’esame dell’andamento del livello dell’identità europea, già evidenziata e discussa all’inizio del ca-pitolo 3 di questo lavoro: l’attaccamento all’Europa è ancora ele-vato se il termine di paragone sono i cittadini degli altri paesi eu-ropei, ma il confronto con i livelli del passato evidenzia uno scet-ticismo crescente. Specularmente, tra il tasso di partecipazione alle elezioni del primo Parlamento europeo, nel 1979 e quello delle elezioni del 2009, in Italia si registra un decremento pari a quasi venti punti percentuali: per proporre ulteriori termini di pa-ragone, il tasso di partecipazione in Belgio è praticamente stabile nel tempo (91% la partecipazione nel 1979, 90% nel 2009) ed è addirittura in crescita, sia pure lieve, nel Regno Unito (32% nel 1979, 35% nel 2009).

Indiscutibilmente, se si esaminano i dati del voto per il Par-lamento nazionale la partecipazione elettorale in Italia, per lun-ghi anni caso emblematico di partecipazione elevatissima, pure registra un calo lieve, ma generalizzato e, per ragioni varie che non possono essere discusse nel dettaglio in questa sede, sem-bra avvicinarsi, in verità a passi molti lenti, ai livelli che sono

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TAB 4.3. La partecipazione alle elezioni europee del 2009 Paesi %

Slovacchia 19,64 Lituania 20,98 Polonia 24,53 Romania 27,67 Rep.Ceca 28,20 Slovenia 28,33 Regno Unito 34,70 Ungheria 36,31 Paesi Bassi 36,75 Portogallo 36,78 Bulgaria 38,99 Finlandia 40,30 Francia 40,63 Germania 43,30 Estonia 43,90 Spagna 44,90 Svezia 45,53 Austria 45,97 Grecia 52,61 Lettonia 53,7 Irlanda 58,64 Cipro 59,40 Danimarca 59,54 Italia 65,05 Malta 78,79 Belgio 90,39 Lussemburgo 90,75

Gruppi di paesi Fondatori 61,15 Accesso anni ’70 50,96 Accesso anni ’80 44,76 Accesso anni ’90 43,93 Accesso anni 2004-2007 38,37 UE-6 61,15 UE-15 52,39 UE-25 47,02 UE-27 43,00

Fonte: Elaborazioni su dati Parlamento Europeo considerati fisiologici in altre democrazie occidentali: la parte-cipazione media è vicina al novanta per cento (il dato tiene con-to di tutte le tornate elettorali per l’elezione della Camera dei

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Deputati dal 1948 al 20084) ma nel tempo ha registrato un de-cremento di circa quasi dodici punti percentuali.

Introducendo un ulteriore elemento di riflessione, vale a dire l’andamento delle differenze percentuali tra la partecipazione alle elezioni nazionali ed europee, emerge il dato che quest’ultima decresce in misura maggiore di quanto avvenga per la prima: nel 1979 la differenza tra il tasso di partecipazione tra le due elezioni era di soli cinque punti percentuali a favore della consultazione nazionale mentre nel 1994 il divario era sa-lito a tredici punti; il confronto tra le politiche del 2008 e le eu-ropee del 2009 evidenzia – invece – un gap misurabile in quin-dici punti, come la figura 4.1 illustra.

In altre parole, se è vero che anche in Italia la partecipazione elettorale diminuisce, non si può tacere sulla circostanza che la disaffezione per il voto europeo sia sensibilmente più marcata di quella registrata per il voto nazionale: questo genere di con-siderazioni ha ispirato i primi commenti al voto europeo in Ita-lia, proposti dai ricercatori dell’Istituto Cattaneo5 e la riflessio-ne di Bellucci (Bellucci et al. 2010).

Con qualche cautela, si potrebbe quindi ipotizzare che lo scet-ticismo crescente che gli italiani mostrano nei confronti dell’Europa trovi un’ulteriore conferma nell’analisi della parteci-pazione alle elezioni europee. Ma è davvero così? I due fenomeni sono effettivamente connessi? La crescita dell’euroscetticismo in generale e del decremento dei livelli di sostegno e di identifica-zione con l’Europa, descritti nel capitolo 3, sono effettivamente tra le possibili cause della disaffezione per il voto europeo? La questione appare in realtà ben più complessa per motivi diversi. In primo luogo, la partecipazione elettorale al voto europeo in I-talia non è distribuita in maniera geograficamente uniforme; in Sardegna ha votato solo il quarantuno per cento di chi ne aveva diritto, in Umbria il settantotto; in genere nelle regioni meridio-nali si è partecipato meno che nelle regioni collocate nella zona “rossa” e nel centro-nord ed è proprio la massiccia astensione degli elettori meridionali, in special modo della Sicilia oltre che 4 Per le elezioni del 1994, 1996 e 2001 il dato è riferito alla quota proporzio-nale della Camera dei Deputati. 5 Il riferimento è alla nota: Elezioni europee 2009, un astensionismo non fi-siologico, curata da Dario Tuorto.

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della Sardegna, a spiegare, almeno in parte, l’aumento della di-saffezione per il voto europeo del 2009 in Italia. La questione, tuttavia, appare piuttosto complessa soprattutto poiché l’interpretazione del voto per le elezioni europee sfugge alle tra-dizionali interpretazioni del voto e tende a discostarsi dagli schemi esplicativi tradizionalmente adottati per spiegare il com-portamento elettorale.

FIGURA 4.1. DIFFERENZE TRA IL TASSO DI PARTECIPAZIONE ALLE ELEZIONI NAZIONALI E EUROPEE IN ITALIA

Fonte: Elaborazioni su dati ufficiali (Europarlamento e Ministero dell’Interno) Note: Il grafico riporta le differenze percentuali tra il tasso di partecipa-zione alle elezioni europee e il turno elettorale per le elezioni nazionali immediatamente precedente in Italia

In prima battuta, allora, è lecito chiedersi: chi ha votato in Ita-

lia? Come è distribuito il voto? Diciamo subito che l’esame dell’andamento del voto per profili socio-demografici6 non forni-sce un aiuto decisivo nel tentativo di comprensione delle cause dell’astensione. In ogni caso, i dati raccolti nell’ambito

6 Il test del chi-quadro assicura che le associazioni non sono dovute al caso.

-5%

-7%

-8%

-13%-12% -12%

-15%

79 84-83 89-87 94 99-01 04-06 09-08

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dell’inchiesta EB 71.3 del 20097, che contiene una post-election survey specificamente dedicata ai temi del voto europeo, consen-tono di tracciare una sorta di mappa dei votanti.

Donne e uomini hanno risposto all’appello in maniera sostan-zialmente simile, mentre la partecipazione al voto aumenta nelle categorie intermedie di età, risultando invece più bassa tra i più giovani e i più anziani. Del tutto attesa la distribuzione del voto per livello di istruzione (i più istruiti tendono a votare di più) mentre, osservando la professione svolta, emerge che i manager votano di più e, specularmente, i disoccupati tendono ad astenersi in misura maggiore.

In definitiva, la distribuzione del voto per variabili socio-demografiche sembra confermare l’impressione iniziale, quella che assegna ai cittadini appartenenti alle fasce sociali più “centra-li” (più istruiti e benestanti) il primato nella scelta di recarsi alle urne. Ma, in genere, le differenze non appaiono marcate, per cui si può dedurre che le variabili socio-demografiche non esercitino un impatto decisivo sulla decisione di votare o astenersi.

Diverso il quadro che emerge dall’esame della distribuzione del voto secondo variabili di altra natura: il riferimento è alla percezione dell’andamento dell’economia nazionale. La situa-zione economica nazionale influenza la decisione di votare alle elezioni europee, in quanto la percentuale di chi vota sale dal 38% per coloro che considerano peggiorata la situazione dell’economia nazionale al 61% per chi la valuta in miglioramen-to. Per molti versi speculare è il quadro che emerge analizzando la distribuzione dei votanti per caratteristiche socio-politiche, in quanto le relazioni tra queste variabili e il voto europeo fanno emergere senza dubbio uno scenario maggiormente articolato. Se appare logico e scontato che tendano a votare di più le persone interessate alla politica rispetto a chi se ne dichiara lontano (64% vs. 41%), lo stesso ruolo dei partiti politici sembra rivestire un

7 Come spesso accade nelle inchieste elettorali, il tasso di partecipazione di-chiarato non corrisponde a quello effettivo. In questo caso la percentuale dei rispondenti che hanno dichiarato di aver votato è pari al 46,9%, dunque di di-ciotto punti inferiore a quella rilevata, per cui l’interpretazione dei risultati ri-chiede qualche cautela. La medesima indagine include anche domande sul perché del voto europeo: scopo dello studio è tuttavia comprendere le cause del non voto, per cui l’opzione positiva non è stata considerata.

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ruolo piuttosto rilevante, in quanto la percentuale di chi vota ten-de a salire considerevolmente passando da chi si ritiene sostan-zialmente lontano dai partiti (21%) rispetto a chi se ne dichiara vicino (69%). Infine, il ruolo dell’identità nazionale: chi si di-chiara scarsamente attaccato al proprio Paese tende a votare in misura minore rispetto a chi, invece, ha un più intenso sentimen-to di attaccamento all’Italia. In definitiva, l’arena sovranazionale non minaccia l’identità nazionale.

Le analisi bivariate forniscono le prime indicazioni utili sui possibili motivi dell’astensione. Ma cosa ha effettivamente spinto gli astensionisti a disertare le urne? La medesima inchiesta EB 71.3 contiene alcune domande che consentono di analizzare di-rettamente diversi aspetti del comportamento di voto e di esami-nare, dunque, anche le ragioni che hanno li hanno indotti a aste-nersi8.

In primo luogo, la decisione di non votare è stata presa nell’immediatezza dell’evento solo per una minoranza di elettori: il 14% ha maturato la decisione il giorno stesso, il 18% pochi giorni prima; e se il 25% ha dichiarato di non aver mai votato, il 23% ha deciso di disertare le urne nei mesi precedenti il voto.

Per i cittadini italiani il motivo principale dell’astensione è stata la mancanza di fiducia e disaffezione verso la politica in ge-nerale (31%, media europea 28%). Quindi, tra i motivi del non voto, gli italiani dichiarano di essere guidati da quel sentimento di impotenza, dalla percezione, cioè, che il proprio voto sia inuti-le, che non sia in grado di cambiare la situazione, in altre parole da quello che i politologi definiscono come senso di (in)efficacia personale (16%, media europea 17%); e ancora, il disinteresse per la politica in generale (9% il dato italiano, 17% la media eu-ropea).

Sempre tra gli italiani astenuti, l’otto per cento indica come motivo la scarsa conoscenza dei temi europei (media europea, 10%); e solo per il cinque per cento degli italiani non votanti, l’astensione è stata motivata dal disinteresse per le questioni europee (media europea, 9%) e dalla scarsa fiducia verso il Par-lamento europeo (media europea, 8%). I risultati sono riassunti

8 Per queste domande i rispondenti sono 221, cioè coloro che nella precedente domanda sulla partecipazione al voto hanno dichiarato di essersi astenuti.

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nella tabella 4.4 da cui emerge, in conclusione, come prima va-lutazione, che il comportamento elettorale europeo sembra es-sere orientato da fattori politici generali, da meccanismi di varia natura, che si attivano nell’ambito dei contesti nazionali più che da motivazioni squisitamente europee. La questione merita, pe-rò, un approfondimento. TAB. 4.4. I motivi dell’astensione alle elezioni europee

% ITALIA UE-27

Opposizione alla UE 1 4 Comportamento solito (voto raramente) 2 10 Mancanza di dibattiti pubblici/ campagna elettorale

3 6

Disinteresse per le questioni europee 5 9 Insoddisfazione verso il Parlamento Euro-peo

5 8

Impegni familiari 6 5 Impegni al lavoro 6 10 Problemi di salute 8 7 Scarsa conoscenza della UE/ delle elezioni europee

8 10

Scarso interesse per la politica 10 17 In vacanza/lontananza da casa 13 10 Altre cause 14 6 Voto inefficace/inutile 16 17 Disaffezione per la politica in generale 31 28 N 221 10.796

Fonte: Eurobarometro 71.3, 2009 Note: Erano possibili più risposte 4.3. Il voto europeo: second order, mid-term o genuinamente europeo?

La spiegazione del voto europeo sfugge alle tradizionali in-terpretazioni del comportamento elettorale, poiché si tratta di elezioni sui-generis: la spiegazione largamente dominante in letteratura poggia sulla considerazione che le europee siano e-lezioni di secondo ordine (Reif e Schmitt 1980), dominate cioè dai temi nazionali o al più assimilabili a elezioni-test di medio termine, analoghe cioè alle elezioni di mid-term statunitensi, dove il governo in carica misura il suo appeal nell’approssimarsi della scadenza di metà mandato. L’idea che

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le elezioni europee siano giocate su temi squisitamente europei, dove conti in primo luogo l’immagine che i cittadini hanno dell’Europa e dove la contesa elettorale è decisa soprattutto da issues europee, è piuttosto remota (Bellucci et al. 2010).

Le prospettive elencate rappresentano altrettanti possibili modelli esplicativi rivali del comportamento elettorale europeo. Più in dettaglio, il modello second-order elections, elaborato originariamente con riferimento alle prime elezioni per il Par-lamento europeo del 1979, presume che i cittadini si rechino al-le urne avendo in mente quale riferimento cognitivo il modello in base al quale scelgono per il voto nazionale. In altre parole, in assenza di informazioni e di conoscenze puntuali sull’oggetto dell’attenzione, e in virtù di una campagna eletto-rale poco o nulla dedicata esplicitamente a temi europei, il voto tende a esprimere un giudizio sugli attori politici nazionali, sul loro comportamento nell’arena nazionale. Questo, insieme con la circostanza che il tasso di partecipazione alle europee sia si-stematicamente più basso di quello registrato per le elezioni na-zionali, fa si che le elezioni europee siano definite quali elezio-ni di secondo ordine.

Nel caso dell’Italia non c’è dubbio che le tematiche della campagna elettorale su cui si sta discutendo siano state squisi-tamente nazionali, ma è opportuno trovare conferme empiriche a quella che è un’interpretazione avanzata soprattutto in sede di dibattito pubblico.

Il modello mid-term elections condivide con il modello se-cond-order l’idea che siano le dinamiche interne ai vari paesi a orientare le scelte degli elettori. A differenza del primo, però, il modello mid-term enfatizza il comportamento e il ruolo dei par-titi di governo e dei governi in carica e quindi il peso della va-riabile popolarità del governo: le elezioni europee, a seconda della loro collocazione nel ciclo elettorale nazionale e quindi della vicinanza/distanza dalle elezioni nazionali (che, natural-mente, cambia da caso a caso) possono assumere il ruolo di ve-ro e proprio test sul governo in carica, similmente alle elezioni di mid-term statunitensi.

Con riferimento all’Italia, le europee si sono tenute un solo anno dopo lo svolgimento delle elezioni nazionali e, per certi versi, potrebbero sottrarsi a questa interpretazione; generalmen-te, in quella fase, il governo in carica gode ancora degli effetti della luna di miele con gli elettori (Bellucci 2006) e il consenso

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è, almeno teoricamente, ancora piuttosto elevato. L’andamento dei livelli di popolarità, infatti, segue generalmente un anda-mento a U, alto nella prima fase (la già menzionata luna di mie-le) e poi in campagna elettorale, per attestarsi a livelli più bassi durante il periodo di governo vero e proprio, in cui le decisioni e l’attuazione delle politiche dividono l’opinione pubblica: è il cosiddetto cost of ruling. Nel caso specifico, cioè l’Italia, nem-meno la grave crisi economica aveva inciso in negativo sul consenso verso il Governo in carica, per cui i livelli registrati nel giugno 2009 erano ancora piuttosto elevati.

Benché i modelli nazionali, nella versione second-order o nella variante mid-term, abbiano fino ad ora spiegato gran parte del comportamento di voto alle europee, una prospettiva più ar-ticolata non può ignorare un’ipotesi esplicativa del voto imper-niata sui sentimenti individuali che i cittadini hanno verso l’Europa, cioè sui fattori europei: è un’ipotesi definibile genui-namente europea, basata sull’idea che il comportamento eletto-rale alle elezioni europee sia spiegato da fattori che riguardano direttamente l’arena sovranazionale. Già Blondel, Sinnott e Svensson (1997) avevano avanzato una simile ipotesi, mostran-do – con analisi a livello individuale – come i cittadini più fa-vorevoli al processo di integrazione europea avessero maggiori probabilità di votare alle elezioni europee; Schmitt (2005) ha invece evidenziato come, legando più direttamente esito del vo-to (e quindi Parlamento) e Commissione Europea, la percezione dell’efficacia personale fosse aumentata e questo avesse influito positivamente sul comportamento di voto9; più recentemente, Bellucci (Bellucci et al. 2010), ha incluso il modello Europe Matters tra le piattaforme rivali per la spiegazione del voto eu-ropeo, mostrando tuttavia il suo debole potere esplicativo.

In questa prospettiva assume dunque rilievo l’orientamento verso le istituzioni europee e la posizione dei partiti sulle tema-tiche europee. È noto come i partiti estremisti, sia di destra che

9 Il Trattato che adotta una Costituzione per I'Europa, precursore del Trattato di Lisbona, approvato dal Consiglio europeo di Bruxelles nel giugno 2004, dopo un lungo percorso politico-diplomatico, ha cambiato, almeno in parte, lo scenario istituzionale della UE. Tra l’altro il sostegno parlamentare al pre-sidente della Commissione ha perso il carattere formale e ha assunto un ruolo rilevante (vedi anche Passarelli e Serricchio 2006).

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di sinistra, evidenzino livelli più elevati di euroscetticismo, mentre i partiti mainstream siano tendenzialmente più favore-voli all’integrazione europea.

Che i temi europei abbiano svolto un ruolo rilevante nel formare le opinioni dei cittadini e li abbiano poi convinti a vo-tare o a disertare le urne è ipotizzabile anche perché il 2009 è stato un anno cruciale nella vita dell’Unione Europea: pochi mesi dopo sarebbe entrato in vigore il Trattato di Lisbona, ver-sione rivista e modificata, al ribasso, del progetto di Costituzio-ne Europea. Un Trattato che non ha modificato nella sostanza l’architettura istituzionale della UE né il cuore dei processi de-cisionali ma che, stabilendo un più diretto rapporto tra esito del-le elezioni e formazione della Commissione Europea, avrebbe potuto incidere sul senso di efficacia del voto individuale.

In questa disamina si scorge l’assenza di un fattore rilevan-te, cioè l’identità europea. Qual è il suo ruolo nel determinare il comportamento di voto? Nell’esplicitare il disegno di questa ri-cerca all’identità e agli orientamenti europeisti è stato assegnato un ruolo di precursore dei comportamenti, dunque del voto. Per questo, tra le possibili cause del voto europeo, devono essere inclusi gli orientamenti del pubblico verso l’Europa.

4.4. La spiegazione del voto europeo: dati e ipotesi

Il test empirico sulle variabili esplicative del voto europeo in Italia è effettuato con i dati prodotti nell’ambito della già intro-dotta inchiesta EB 71.3 del 2009.

Dall’analisi dei dati emerge una piuttosto forte associazione con i fattori esplicativi “nazionali”, afferenti ai modelli teorici second-order e mid-term: voto alle precedenti elezioni nazionali (r= 0,21), fiducia verso il governo (r=0,13) valutazione econo-mica retrospettiva (r=0,11) sono in grado di spiegare il compor-tamento di voto10. Si evidenzia cosi in primo luogo un mecca-nismo di civic duty, per cui chi vota alle elezioni nazionali è fortemente probabile che voti anche alle europee per il fatto di avvertire una sorta di dovere civico. Anche la fiducia verso

10 L’utilizzo del coefficiente r di Pearson è giustificato dalla circostanza che si tratta di associazioni tra variabili dicotomiche (Corbetta et al. 2001).

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l’esecutivo nazionale risulta essere positivamente correlata con il voto europeo, quasi a voler confermare la teoria del voto eu-ropeo come mid-term election. In questo caso il giudizio positi-vo sull’esecutivo nazionale spinge gli elettori a votare anche al-le elezioni che riguardano una diversa arena decisionale.

Se dunque i fattori legati al contesto nazionale hanno una decisa e acclarata importanza, l’ipotesi principale, vale a dire l’idea che i temi europei abbiano una rilevanza crescente nella spiegazione del voto europeo, non è affatto smentita. Anzi, tro-va conferme empiriche piuttosto solide, come i dati riassunti nella tabella 4.5 indicano. La fiducia nell’Unione Europea, la cittadinanza e l’attaccamento europei e, in misura minore, il so-stegno, si rivelano fortemente associati con il voto europeo. In altre parole, al crescere dei sentimenti di europeismo cresce la propensione a votare per il Parlamento europeo.

Per riassumere, la decisione di votare per il Parlamento eu-ropeo, in Italia, scaturisce da una serie di fattori concomitanti: insieme con le tematiche nazionali, per cui le elezioni europee continuano ad essere di secondo livello o al più elezioni di me-dio termine, le questioni squisitamente europee, vale a dire la fiducia della UE, l’attaccamento affettivo all’Europa, il senso di appartenenza a una comunità sovranazionale e, sia pure in mi-sura minore, il sostegno al progetto di integrazione del’Europa occidentale, costituiscono fattori esplicativi di peso crescente del voto.

Naturalmente questi primi risultati necessiteranno di ulterio-ri conferme empiriche, con tecniche di analisi più sofisticate e che, soprattutto, consentano il confronto tra possibili spiegazio-ni alternative. TAB.4.5. Il ruolo degli orientamenti europeisti nella spiegazione del voto europeo in Italia

Orientamenti Europeisti Sostegno europeo 0,10** Cittadinanza europea 0,18** Attaccamento Europa 0,15** Fiducia UE 0,18** Fonte: Elaborazioni su EB 71.3, 2009, post election survey Note: Le celle riportano i valori del coefficiente R di Pearson e il livello di significatività statistica ** p<0,01; * p<0,05 N compreso tra 927 e 1036

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4.5. Identità, sostegno e voto: quali le relazioni tra i concetti? Una proposta per un modello esplicativo complessivo

Fino ad ora, nel testo, si è discusso di orientamenti europei-sti dei cittadini, facendo ruotare la riflessione intorno al concet-to di identità europea, esaminandone, con riferimento all’Italia, le dinamiche temporali e, staticamente, la distribuzione per pro-fili sociali, demografici e politici. Sempre nel capitolo 3 si è poi esaminata la questione del contenuto per giungere, in questo capitolo, allo studio delle possibili conseguenze, all’impatto cioè dell’identità europea sul sostegno, declinato anche nel si-gnificato più specifico del sostegno al policy making europeo, e sul comportamento di voto per le elezioni europee. Ma qual è la relazione tra i diversi orientamenti? Come si strutturano le cre-denze dei cittadini italiani quando il riferimento e l’Europa? Nel primo paragrafo di questo capitolo, l’analisi fattoriale pre-sentata in tabella 4.1 ha confermato che i cittadini italiani per-cepiscono nitidamente una distinzione tra i diversi costrutti. Ma qual è la struttura causale che li lega? Obiettivo principale di questo paragrafo è tentare una risposta, empiricamente sostenu-ta, a quella domanda.

Tra le diverse tecniche statistiche che la letteratura suggeri-sce per stimare le reciproche relazioni tra i costrutti, la path-analysis offre un metodo relativamente semplice da implemen-tare e piuttosto agevole da interpretare. Un modello di path-analysis consente, infatti, di stimare, attraverso un sistema di equazioni strutturali, gli effetti simultanei delle variabili.

Nella fattispecie le equazioni sono quattro, una per ogni va-riabile endogena, e sono schematizzate, in questo modo:

1. senso di comunità=socio-demografiche +e; 2. identità europea=senso di comunità+socio-demografiche+e; 3. sostegno=identità europea+senso di comunità+socio-

demografiche+e; 4. voto europeo= identità europea+senso di comuni-

tà+sostegno+socio-demografiche+e.

Nella prima equazione, la variabile indipendente senso di comunità è spiegata dalle sole variabili socio-demografiche; nella seconda l’identità europea è spiegata dal senso di comuni-tà e dalle variabili socio-demografiche; nella terza il sostegno è

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la variabile dipendente, spiegata dall’identità e dal senso di co-munità; nella quarta, infine, il comportamento di voto europeo è spiegato dall’identità europea, dal senso di comunità, dal soste-gno e dall’istruzione. Il set di variabili socio-demografiche è identico per ciascuna equazione, ad eccezione della quarta, e include il sesso, l’età, e il livello di istruzione. Le equazioni comprendono, inoltre, l’errore di predizione.

Si tratta, in definitiva, di un modello concettualmente sem-plice, che ipotizza un percorso, dal senso di comunità al voto europeo, e che contempla l’idea che lo stesso senso di comunità e l’identità europea abbiano, insieme con un effetto diretto sul voto, anche uno mediato; l’effetto del sostegno sul voto, invece, è solo diretto. Il modello ha dunque, anche l’obiettivo di stima-re le reciproche relazioni tra gli orientamenti individuali verso l’Europa.

I risultati, riportati nella figura 4.2, forniscono alcune rile-vanti informazioni.

In primo luogo, gli indici di adattamento del modello con-fermano la sua validità, vale a dire l’aderenza tra il modello te-orico e i dati: il valore del General Fit Index, 0,999, indica un eccellente adattamento, confermato dal valore del GFI corretto; identica osservazione può essere avanzata per il valore del chi-quadro (2,79 con 2 gradi di libertà); il livello del p (0,25) assi-cura che l’aderenza dei dati al modello teorico non è dovuta al caso ma ha un fondamento statistico solido; infine il valore del Root Mean Square Errore of Approximation (RMSEA), è 0,02, è ben al di sotto della soglia minima comunemente indicata per l’accettabilità, fissata a 0,05.

In definitiva, il modello ipotizzato si rivela come decisa-mente valido dal punto di vista statistico. Osservando i legami tra i costrutti, il senso di comunità contribuisce in maniera so-stanziale alla spiegazione sia dell’identità europea che del so-stegno ma con pesi diversi; il valore dei coefficienti standardiz-zati Beta, entrambe positivi, è rispettivamente 0,31 e 0,17; il senso di comunità, tuttavia, esercita sul sostegno anche un ef-fetto indiretto, mediato dalla stessa identità, pari a 0,08, per cui l’effetto totale risulta essere pari a 0,26. L’impatto del we-feeling, che è il sentimento di attaccamento che si sviluppa nei confronti degli altri membri del gruppo, quindi, è più forte sull’identità che non sul political support. Piuttosto debole e statisticamente non significativo è invece l’impatto diretto del

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we-feeling sul comportamento di voto (B= 0,01) a cui va però aggiunto l’effetto indiretto, mediato dall’identità e dal sostegno, che è pari a 0,05; l’effetto totale sul voto risulta così pari a 0,06, comunque non particolarmente rilevante.

FIG. 4.2. LE RELAZIONI TRA GLI ORIENTAMENTI EUROPEISTI: UN MODELLO ESPLICATIVO UNIFICATO (ITALIA)

Fonte: Elaborazioni su dati IntUne (2009) Note: Modello ricorsivo (path analysis) Indici di adattamento del modello: GFI = 0,999; AGFI= 0,989; chi-quadro=2,79, Gl 3; p=0,25; RMSEA 0,02 N=994 La figura riporta i coefficienti standardizzati. La tabella che riassume i va-lori degli effetti, insieme con i livelli di significatività statistica, è in ap-pendice . Metodo di stima: massima verosimiglianza. La variabile voto europeo rileva l’intenzione di voto. Il modello include le variabili socio-demografiche età, sesso e livello di istruzione (non mo-strate)

L’esame dell’influenza dell’identità sul sostegno restituisce un valore del B positivo e piuttosto elevato, pari a 0,27; piutto-sto deciso anche il contributo diretto dell’identità alla spiega-zione del comportamento di voto europeo (coefficiente = 0,14), cui va sommato il, debole, effetto indiretto (0,01). Infine, il ruo-lo del sostegno europeo nella spiegazione del voto è sostan-zialmente trascurabile (B=0,01).

In definitiva, l’identità europea, cioè l’orientamento di ma-trice psicologica-affettiva, si conferma essere il predittore più importante dei comportamenti, nella fattispecie del voto euro-peo. Essere affettivamente legati all’Europa ha un effetto im-

Sostegno europeo

Voto

europeo

Senso

di comunità

Identità europea

0,31

0,17

0,27 0,14

0,01

0,01

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portante, positivo, sulla decisione di recarsi alle urne e votare per il Parlamento europeo. Questo risultato, come si ricorderà, era emerso già nell’analisi dei predittori del voto europeo, con-dotta nel precedente paragrafo.

La valutazione sulla polity (sostegno) ha – invece – un im-patto incerto, e per certi versi trascurabile, sul voto. Questo ri-sultato è dovuto, con ogni probabilità, alla circostanza che la valutazione sulla polity deprime il voto europeo perché il siste-ma è percepito come poco efficace; in altre parole, il giudizio sostanzialmente negativo sulla nuova polity potrebbe innescare meccanismi sanzionatori che sfociano nell’astensione. Questa evidenza empirica è anche un’indiretta conferma alla tesi della crescente rilevanza delle tematiche europee nella scelta di voto, argomenti già discussi nel precedente paragrafo di questo capi-tolo.

Infine, il ruolo del senso di comunità, il cui impatto sul voto è piuttosto debole. Probabilmente, nella mente dei cittadini ita-liani permane una separazione netta tra il we-feeling e i com-portamenti perché questi non scorgono nitidamente, nell’Europa, il profilo di una vera comunità politica.

In conclusione, le relazioni tra i cittadini (italiani) e l’Europa costituiscono un sistema di credenze piuttosto struttu-rato. Parlare genericamente di europeismo non sembra perti-nente, soprattutto dal punto di vista metodologico, consideran-do le rilevanti implicazioni di ordine empirico che scaturiscono da questa evidenza.

Affermare che la tesi funzionalista sia smentite è però azzar-dato, anche se i risultati della analisi effettuate, relative al caso i-taliano, pongono con una certa forza, in letteratura come nel di-battito pubblico, il tema della centralità dell’identificazione di na-tura affettivo-psicologica con l’Europa nella spiegazione degli al-tri orientamenti. Il che equivale anche ad affermare che, per di-versi aspetti, la crisi che l’Europa sta attraversando e il calo nei livelli di consenso popolare, in Italia ma non solo, sono, almeno in parte, ascrivibili a un deficit identitario.

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CONCLUSIONI

SE LA CRISI DELL’EUROPA È UNA CRISI DI IDENTITÀ

Gli italiani si stanno progressivamente allontanando

dall’Europa. Annoverati, con più di qualche ragione, tra i più europeisti, mostrano oggi crescenti segnali di insofferenza nei confronti di quell’entità sovranazionale che solo fino a pochi anni addietro costituiva per loro una prospettiva allettante, so-prattutto in termini economici e politici.

La percezione di questo cambiamento trova conferme empi-riche negli indicatori comunemente utilizzati per misurare l’europeismo dei cittadini. Nel terzo capitolo è svolta una di-scussione approfondita su questo aspetto ma, al momento di ti-rare le somme, è utile richiamare alcune evidenze empiriche, perché consentono di descrivere la situazione in maniera reali-stica e diretta: considerando l’indicatore che misura l’attaccamento identitario, cioè l’identità europea, il livello di consenso tra gli italiani scende, tra il 1992 e il 2009 di ben do-dici punti percentuali (dal 73% al 61%). Nel medesimo periodo l’indicatore di appartenenza, che usualmente misura il livello di sostegno, fa registrare un calo ancor più vistoso, pari a venti-cinque punti percentuali. Ora, se è vero che il fenomeno della crescita dell’euroscetticismo è piuttosto generalizzato, riguarda cioè l’intera Europa sia pure con vistose eccezioni, per gli ita-liani il decremento è certamente maggiore, come già ampia-mente discusso. Del resto, lo stesso andamento in calo della partecipazione elettorale degli italiani alle elezioni europee co-stituisce un ulteriore elemento a conferma dell’asserzione che il rapporto tra italiani e Europa sia, di fatto, cambiato. In definiti-va, la percezione che affiora spesso nel dibattito pubblico e che ha sicuramente trovato una sponda nell’orientamento delle éli-tes governative, ha precisi riferimenti empirici, il calo è vistoso, da qualsiasi prospettiva lo si voglia osservare.

Se dunque il crescente euroscetticismo è confermato dai numeri è lecito chiedersi perché questo sia avvenuto, quali sono

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le cause. L’ipotesi che questo cambiamento sia dovuto a ragioni piuttosto complesse, che vanno ben oltre la “semplice” avver-sione all’Euro e alla percezione che la moneta unica abbia in-dotto dinamiche incontrollate nei prezzi con pesanti ricadute sui bilanci personali e familiari, o alla crescente invadenza del si-stema decisionale europeo, trova più di qualche conferma alla luce dei risultati di questo studio, dedicato appunto alla ricerca di una, o più, possibili spiegazioni.

Per tentare una risposta, è utile muovere da quello che la letteratura ha messo a disposizione, partendo dallo stimolo of-ferto da un articolo divenuto celebre: Does identity or economic rationality drive public opinion on European integration? si chiedono Hooghe e Marks, suggerendo così una possibile chia-ve per comprendere quale elemento prevalga nell’orientare i sentimenti dei cittadini verso il progetto di integrazione europe-a. Per Hooghe e Marks, le possibili opzioni sono due, adesione utilitaristica indotta dai benefici economici dell’integrazione e attaccamento identitario o, meglio, minaccia alla propria identi-tà. Ma a pensarla in sintonia con Hooghe e Marks ci sono molti altri studiosi, per i quali le motivazioni possibili sono sostan-zialmente di due tipi: in definitiva, l’idea che le motivazioni eu-rofile/eurofobe siano forgiate soprattutto da elementi economici e identitari è piuttosto consolidata. In realtà, il lettore che ha se-guito lo svolgimento dell’argomentazione ha intuito che la di-cotomia va superata. In primo luogo, perché gli stessi Hooghe e Marks, in altri, successivi, studi sottolineano che le preferenze nei confronti del sistema sovranazionale si formano nell’arena domestica. È, in altre parole, il contesto nazionale a decidere e a attivare meccanismi mentali, caso per caso. Non è pensabile un pattern unico. E se il contesto ha un ruolo decisivo, allora bisogna ammettere che i fattori decisivi possano cambiare a se-conda dei contesti considerati.

Quali sono questi fattori, nel caso dell’Italia? La risposta a questa domanda, naturalmente, non è semplice. Per avanzare una proposta che sia convincente, il caso italiano è stato analiz-zato in chiave comparata, nell’ambito di un framework teorico-concettuale consolidato e con i dati che, negli ultimi venti anni, la comunità scientifica ha rilevato, prodotto e messo a disposi-zione.

Il primo passo è stato quello di mettere a fuoco il concetto di europeismo, stabilire cioè come declinarlo sul piano empirico.

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Sulla scia di Niedermayer e Westle, si è argomentato come gli orientamenti dell’opinione pubblica nei confronti dei sistemi politici siano compresi in un range tipologico piuttosto vasto che include, tra gli altri, identità, sostegno, senso di comunità. La letteratura che in chiave europea si è occupata dell’argomento spesso ha confuso i diversi concetti, utilizzan-doli in maniera fungibile. Il punto più controverso è sicuramen-te nello studio dei rapporti tra identità e sostegno: vale, in qual-che modo, l’equazione che l’identità corrisponda ad un orien-tamento affettivo, il sostegno a quello utilitaristico. Ne conse-gue che l’identità è considerata equivalente, addirittura sovrap-ponibile, al sostegno. Ulteriore confusione è poi prodotta dalla riflessione sul concetto di sense of community, vale a dire i sen-timenti di fiducia e di vicinanza agli altri cittadini del medesi-mo gruppo.

E invece si tratta di concetti distinti e empiricamente indi-pendenti: l’aver trovato un fondamento empirico a questa ipote-si teorica è uno dei risultati raggiunti in questo studio. Le anali-si presentate e discusse nel capitolo 4 conducono esattamente a questo risultato: identità, sostegno e senso di comunità sono concetti empiricamente distinti e indipendenti e insieme, sia pu-re con diversa forza, contribuiscono a spiegare il voto europeo. Ma questo aspetto merita un approfondimento, più avanti.

Stabilito che l’identità è cosa diversa dal sostegno e dal sen-so di comunità, torniamo all’argomento al centro della rifles-sione, vale a dire l’identità europea, rilevante per i motivi espli-citati nell’introduzione e che è così riassumibile: fin dalla pro-posta teorica di Rousseau è l’adesione identitaria ad un sistema politico che ne costituisce l’ingrediente fondamentale per la sua coesione e per la sua sopravvivenza. Un discorso che sembra aderire perfettamente al caso europeo, considerate le turbolenze finanziarie che, negli ultimi mesi del 2010, ne hanno messo in discussione la stessa sopravvivenza, evidenziando così come la sola integrazione economica e la presenza, sia pure importante, delle istituzioni europee, non siano elementi sufficienti a garan-tire un solido futuro all’Europa. E, forse, nemmeno la sua so-pravvivenza nel medio periodo. Ecco perché cercare le cause che hanno indotto sfiducia crescente nei confronti dell’Europa da parte dei cittadini, italiani in particolare, evidenziata dall’esame dei trends mostrati nel capitolo 3, è un obiettivo che assume particolare rilievo.

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E torniamo al cuore della riflessione, poiché c’è una do-manda, quelle sulle cause del crescente euroscetticismo degli italiani, che attende una risposta. Questa passa – soprattutto – attraverso l’analisi dei modelli rivali. Le prospettive teoriche che hanno spiegato la propensione (e l’avversione) europeista dei cittadini sono classificate, in letteratura, in cinque gruppi: mobilitazione cognitiva, motivazioni utilitaristiche, fattori cul-tural-identitari, political cues e fattori psicologici. Tra questi, non c’è dubbio che sia la prospettiva psicologica, seguita da quella economica, ad avere l’impatto maggiore sull’identità eu-ropea degli italiani anche se il ruolo svolto dalle altre teorie non è affatto trascurabile. Per questo si può concludere che l’identità europea degli italiani è spiegata da una serie concomi-tante di fattori, piuttosto che da un’unica prospettiva; non si scorge, cioè, una spiegazione dominante.

Ecco perché, per approfondire, è opportuno osservare l’impatto delle singole cause/variabili, cercando cosi di affron-tare, e possibilmente risolvere, alcune delle questioni che altri autori hanno giustamente sollevato in passato e sui cui le rispo-ste sono controverse.

In primo luogo, qual è il ruolo delle variabili politiche e, più in particolare, della fiducia nel funzionamento del sistema poli-tico nazionale? Diversi studi asseriscono che il vigoroso entu-siasmo con cui gli italiani hanno guardato all’Europa, avesse ragioni solide nella limitata fiducia mostrata nei confronti del sistema politico domestico. Era all’opera cioè un meccanismo di scambio tra un sistema politico considerato inefficiente, quello nazionale, e uno, quello europeo, percepito come più ef-ficace. Un meccanismo simile si attivava in altri contesti nazio-nali, come ad esempio la Spagna, soprattutto laddove le per-formance del sistema politico-decisionale erano valutate (e non percepite) come di scarsa qualità, magari a causa di fattori quali l’elevato livello della corruzione. Se si pensa alla situazione dell’Italia dei primi anni ’90 e negli anni dell’infinita transizio-ne, questo processo psicologico, questo desiderio di scambio, può essere facilmente compreso e altrettanto agevolmente può essere ritenuto valido. Di conseguenza, l’aumento della fiducia nel sistema nazionale, come mostrano i dati Eurobarometro, po-trebbe essere messo in relazione con la crescita dell’euroscettisicmo. La questione è tuttavia controversa, per-ché le misurazioni effettuate ad esempio da World Bank, o da

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Transparency International, in cui l’Italia è collocata in posi-zioni poco invidiabili, restituiscono l’immagine di una situazio-ne ben più articolata e inducono a interpretare i dati Eurobaro-metro, circa la percezione dei cittadini, con una certa cautela. In effetti, leggendo i risultati che scaturiscono dall’analisi multiva-riata, dedicata all’esame dei predittori dell’identità europea in Italia, l’ipotesi dell’ormai cessato desiderio di scambio è, alme-no parzialmente, smentita: identità europea e fiducia nel siste-ma nazionale sono negativamente correlate nell’indagine del 2009 e dunque il meccanismo che prevede il desiderio di sosti-tuzione sarebbe ancora all’opera. Nel 2007, invece, la relazione statisticamente non significativa rende quantomeno incerto l’impatto. I risultati – allora – non sono interpretabili univoca-mente e, allo stato attuale, proporre una risposta definitiva non è possibile. In questo senso, lo spazio per ricerche future che indaghino in questa direzione, che sviscerino cioè i rapporti tra fattori politici e identità europea, è assolutamente aperto. Si in-tuisce, infatti, come la questione sia assolutamente centrale e non del tutto chiarita.

Se la causa del decremento nel livello di europeismo non è di natura politica, allora è ragionevole ipotizzare la concorrenza di fattori di altra natura. Per esempio, delle motivazioni identi-tarie. E, in effetti, l’identità nazionale riveste un ruolo decisa-mente importante nella spiegazione dell’identità europea, non tanto e non solo per il suo livello e la sua intensità, quanto per il suo contenuto. Le analisi effettuate nel capitolo 3 hanno fatto emergere come sia la dimensione culturale dell’identità nazio-nale, nella percezione dei cittadini italiani, ad impedire la for-mazione di una compiuta identità europea poiché l’attaccamento alla storia e alle tradizioni nazionali “lavora” contro l’Europa, innesca cioè sentimenti euroscettici.

Questo risultato configura una circostanza del tutto nuova poiché nel passato è stato vero, semmai, il contrario e cioè che l’identità nazionale culturale promuoveva – e non ostacolava – lo sviluppo dell’identità europea. Sul perché questo sia accadu-to, il dibattito è aperto ma i risultati di questo studio contribui-scono alla discussione, in maniera decisa, proponendo alcune chiavi interpretative: tra i fattori che hanno inciso maggiormen-te nel cambiamento di segno nella relazione tra europeismo e identità nazionale culturale, va probabilmente annoverato l’allargamento dell’Unione Europea ai paesi dell’Est, avvenuto

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nel 2004 e nel 2007. Il fatto è che, alla luce di alcune evidenze empiriche, discusse, gli italiani considerano gli abitanti dell’est Europa come outgroup, esterni e estranei. Distinti e per molti versi distanti. E se l’allargamento comporterà, come appare del tutto plausibile, la riduzione degli aiuti comunitari in misura sempre più marcata, uno dei pilastri su cui poggia, ancora oggi, il consenso degli italiani (e non solo) verso l’Europa, è facile ipotizzare che possa scattare una sorta di meccanismo di difesa, che il patto tra italiani e Europa venga meno. È insomma pro-babile che nella mente dei cittadini italiani entri in azione un meccanismo di questo tipo: se l’Europa minaccia l’identità cul-turale e se è probabile che conceda sempre minori benefici, perche continuare a sostenerla? Del resto, è noto come i vincoli che il sistema sovranazionale pone all’azione dei decisori na-zionali siano piuttosto stringenti. Certo, non di rado i vincoli derivanti all’appartenenza al sistema sovranazionale sono stati utilizzati come un alibi, comodo, per giustificare decisioni dif-ficili e impopolari, ma l’argomento dei vicoli, nel dibattito pub-blico italiano, di tanto in tanto riaffiora anche in virtù del fatto che importanti settori della maggioranza di centro destra che ormai da un decennio, salvo la parentesi tutto sommato breve del governo Prodi, governa l’Italia, sono di fatto euroscettici. E, anzi, proprio le vicende dei primi mesi del 2011 in merito alla gestione dell’emergenza profughi in fuga dalle zone calde del nord Africa, ha mostrato interamente l’insofferenza nei con-fronti dell’Europa di settori rilevanti della maggioranza di cen-tro-destra. In questo senso, il caso della Lega è piuttosto em-blematico. Perciò, ancora una volta, quale può essere la conve-nienza nell’abbracciare con convinzione la causa europeista?

Un contributo a questo dibattito può giungere dalla conside-razione della natura e del contenuto dell’identificazione con l’Europa, un tema che il lavoro ha affrontato. Ci si è chiesti co-sa abbiano in mente i cittadini italiani quando pensano all’Europa, quali dimensioni si attivino nella mente. E l’analisi ha mostrato come l’Europa sia considerata soprattutto quale un’opportunità per viaggiare liberamente, per godere di alcuni diritti civili in ogni angolo del continente, per cogliere le oppor-tunità che un sistema armonizzato di protezione sociale – anco-ra in itinere – potrebbe offrire. Prevalgono, insomma, i signifi-cati pragmatici. Quasi essenziali, si direbbe. L’idea che il futuro dell’integrazione europea debba poggiare su basi culturali o re-

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ligiose, non sembra essere dominante ed è anzi appena presen-te. Risultato, questo, confermato dall’indagine sul contenuto dell’identità europea (che è cosa sensibilmente diversa dal si-gnificato, perche guarda maggiormente ai processi di costru-zione dell’identità più che al risultato) e che ha, infatti, sottoli-neato la circostanza, peraltro ampiamente attesa, che per gli ita-liani questa è soprattutto di natura civico-acquisita. Del resto l’identità europea è da più parti considerata – con più di qual-che ragione – un’identità post-nazionale, moderna, e non segue, nel suo processo formativo, i percorsi che storicamente hanno caratterizzato la formazione delle identità nazionali. E gli stessi psicologi sociali rimarcano come, nelle identità collettive mo-derne, la componente acquisita prevalga quasi sempre su quella ascritta.

I dati mostrano anche come la componente civico-acquisita, al contrario di quella ascritta, sia più concentrata e meno sensi-bile alle variazioni per profili socio-demografici (e politici); più in dettaglio, l’identità europea ascritta è più diffusa in quelle fa-sce della popolazione meno istruite, più lontane dalla politica, in definitiva meno centrali. E se queste sono anche quelle che compongono il “blocco” di riferimento dei partiti euroscettici, peraltro al governo del Paese negli ultimi anni, allora forse si può ipotizzare qualche connessione con il crescente distacco dall’Europa in virtù del fatto che questi scorgono nel profilo i-dentitario sovranazionale la predominanza di una componente poco gradita.

Un ulteriore elemento di riflessione giunge dalla considera-zione del contenuto dell’identità nazionale che, al contrario, è caratterizzata per lo più da elementi culturali-ascritti. Il punto allora è: il differente contenuto delle identità nazionale e sovra-nazionale può garantire la loro compatibilità o, piuttosto, po-trebbe innescare meccanismi di contrapposizione? Le evidenze empiriche suggeriscono la conclusione che la differente natura dei meccanismi identitari ai diversi livelli assicuri la compatibi-lità. Ora, non è pensabile che la composizione dell’identità na-zionale cambi nel breve-medio periodo ma alcuni dati esamina-ti nel capitolo 3 inducono, molto cautamente, a considerare questa eventualità e a tenere sotto osservazione gli sviluppi nel futuro.

Lo studio si è occupato anche, nell’ultimo capitolo, delle conseguenze dell’identità europea. Si tratta di una prospettiva

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di indagine poco usuale in cui l’identità europea è utilizzata come variabile indipendente, come fattore che – in altre parole – contribuisce a spiegare altri fenomeni. E questi sono il soste-gno per il progetto di integrazione europea, il sostegno per il trasferimento del policy making al livello sovranazionale e il voto. In tutte le circostanze il senso di attaccamento all’Europa contribuisce in misura determinante a spiegare gli altri orienta-menti europeisti, smentendo almeno in parte la prospettiva fun-zionalista che a lungo ha dominato gli studi sui processi di for-mazione della stessa identità e che ipotizza un processo inverso.

Più in particolare, l’identità europea assume un ruolo rile-vante nella spiegazione del voto (e del non voto) europeo. Co-me argomentato, anche il tasso di partecipazione elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, in Italia, fa registrare sensi-bili flessioni. Se anche questa evidenza possa derivare dalla crescente disaffezione che gli italiani maturano per l’Europa è argomento piuttosto marginale in letteratura, dal momento che il voto europeo è considerato di secondo ordine.

I risultati emersi in questo studio aprono però alcuni interes-santi percorsi di ricerca. Se la partecipazione alle elezioni euro-pee si conferma come influenzata soprattutto dai temi nazionali, non sono certo da trascurare le questioni europee. E con il ter-mine questioni si intendono i temi agitati in campagna elettora-le ma anche i sentimenti verso il sistema politico europeo e il senso di attaccamento all’Europa. In altre parole, allo stato at-tuale Europe matters e ancora di più – è ipotizzabile – le tema-tiche europee conteranno nella decisione di votare o di astenersi alle elezioni europee.

Nell’ultima parte del lavoro, infine, è stata tentata una spiega-zione complessiva degli orientamenti pro/anti Europa degli ita-liani, senso di comunità, identità, sostegno e voto, ponendoli in relazione in un modello non ricorsivo di equazioni strutturali, sottoponendo cosi a prova empirica lo schema concettuale espli-citato nell’introduzione e che assegna all’identità il ruolo di pre-cursore del sostegno e del voto. I risultati emersi sono di un certo interesse perché consentono di stabilire una distinzione e una ge-rarchia tra i vari concetti, altrimenti confusi. In altre parole, e qui torna la riflessione proposta in apertura di queste conclusioni, i cittadini distinguono piuttosto nettamente tra il senso di comunità (legame con gli altri europei), l’identificazione (il vincolo tra l’individuo e il gruppo), e il sostegno (la valutazione su quel

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gruppo). Distinguono e stabiliscono una gerarchia. Questo risul-tato induce a considerare gli orientamenti in un’ottica multidi-mensionale; in altre parole, riferirsi a generici sentimenti di euro-peismo o euroscetticismo potrebbe essere fuorviante, soprattutto dal punto di visto metodologico, considerando i risvolti empirici di questa acquisizione.

In conclusione, lo studio presentato ha gettato una luce su un fenomeno – quello dei rapporti tra l’opinione pubblica e l’Europa – su cui si concentrano sempre più le attenzioni degli studiosi ma anche dei decisori.

Il travagliato cammino che ha dovuto percorrere la Costitu-zione europea, fallita e sfociata nel Trattato di Lisbona, le vi-cende finanziarie che hanno investito, più che interessato, du-rante il 2010 alcuni paesi europei come la Grecia o l’Irlanda e che hanno, al momento, solo sfiorato la Spagna, il Portogallo e la stessa Italia, hanno indotto molti osservatori a riflettere criti-camente sul futuro stesso dell’Europa. E questo ha inevitabil-mente richiamato, con un certo vigore, alcuni dei temi affrontati in questo saggio, primo fra tutti quello dell’attaccamento identi-tario. Perché l’intuizione di Easton, e prima ancora di Rousse-au, sulla necessità di un’adesione affettiva del pubblico, che possa mitigare e fare da cuscinetto agli effetti di decisioni poco condivise o che possa costituire una riserva di sostegno da uti-lizzare nei momenti di difficoltà, si è mostrata valida in tutta la sua evidenza. Se però l’opzione europeista è stata (ed è ancora) indotta da una motivazione prevalentemente utilitaristica, vale a dire di testa più che di cuore, per non dire di convenienza, allo-ra il percorso che si prospetta non sembra privo di ostacoli, per motivi facilmente intuibili e sui quali non è opportuno soffer-marsi. Se l’Europa, allora, vuole assicurarsi un futuro solido, è molto probabile che sia necessario qualcosa di più di un “sem-plice” Trattato, perché è abbastanza evidente che la crisi, acuita nel corso del 2011, potrebbe essere tranquillamente ascrivibile a un deficit identitario.

Una simile conclusione, naturalmente, vale per il caso inve-stigato in questo studio, vale a dire quello italiano. L’estensione dell’analisi ad altri casi di studio, che appare quanto mai oppor-tuna, costituisce la più impegnativa prospettiva di sviluppo del-la ricerca presentata in questo volume.

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APPENDICE N. 1

INFORMAZIONI SULLE VARIABILI UTILIZZATE

In questa appendice sono riportate, suddivise per capitoli, le informazioni sulle variabili impiegate nelle varie analisi, non riportate nel testo. Per lo più sono riportate le statistiche descrit-tive e alcune informazioni sulle operazionalizzazioni.

Appendice al capitolo 1

La figura 1.3 rappresenta l’andamento dell’identità naziona-le, in Italia e in Europa, misurata con due indicatori: il primo fa riferimento all’orgoglio, l’altro all’attaccamento alla propria nazione.

Le differenze tra i due concetti, piuttosto rilevanti dal punto di vista teorico, si affievoliscono quasi a svanire del tutto sul piano empirico, poiché le variabili che operazionalizzazione i concetti rivelano un comportamento molto simile. L’occasione per il test è fornito da due inchieste Eurobarometro, la 54.1 del 2000 e la 60.1 del 2003, in cui i due items sono presenti in con-temporanea. Nella prima indagine, il livello dell’indicatore di orgoglio è pari a 88,4%, l’attaccamento fa rilevare invece un valore del 91%. Il coefficiente di correlazione di Pearson è mol-to forte, pari a 0,57 (statisticamente significativo).

Nell’inchiesta del 2003, l’orgoglio è al 94%, l’attaccamento al 96,6%. Anche in questo caso il coefficiente di correlazione di Pearson tra i due indicatori è piuttosto elevato, risultato pari a 0,40 (statisticamente significativo).

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TAB. A.2. Il contenuto dell’identità nazionale. Analisi fattoriale. Matrice dei componenti ruotata

2007 2009 Componente Componente Culturale Civica Culturale Civica Nascita 0,81 0,82 Avere genitori italiani 0,79 0,81 Essere cristiani 0,67 0,71 Sentirsi italiano 0,55 0,50 Cultura 0,53 0,60 Rispetto leggi 0,69 0,74 Diritti 0,68 0,62 Linguaggio 0,54 0,46

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N 946 954 Fonte: Elaborazioni su dati InUne Note: Metodo estrazione: analisi componenti principali; metodo rotazione: Varimax con normalizzazione di Kaiser TAB. A.3. Fiducia istituzioni nazionali. Analisi fattoriale. Matrice di com-ponenti

2007 2009 Fiducia parlamento nazionale 0,89 0,87 Fiducia governo 0,88 0,90 Fiducia governo locale 0,66 0,52 Soddisfazione democratica nazionale 0,63 0,68

Varianza spiegata % 59,76 57,61 Test di adeguatezza campionaria

KMO 0,71 0,67

Test di sfericità di Bartlett (sig.) 0,000 0,000 N 960 953

Fonte: Elaborazioni su dati IntUne Note: Metodo estrazione analisi componenti principali

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L’operazionalizzazione dei concetti cambia a seconda delle domande di-sponibili, così come esplicitato: -per il 1995, ISSP-NIS, l’europeismo è misurato con la domanda che rile-va l’intensità dell’attaccamento all’Europa . Le scale di identità nazionale civica e culturale (range 0-10) risultano dalla combinazione, previa analisi fattoriale, della batteria di domande sull’orgoglio nazionale che misurano l’orgoglio per:

1. il sistema di sicurezza sociale 2. la correttezza e la giustizia nel trattamento riservato a tutte le fa-

sce sociali 3. i traguardi raggiunti in campo economico 4. l’influenza politica nel mondo 5. il funzionamento della democrazia 6. le forze armate 7. i traguardi nell’arte e nella letteratura 8. i traguardi in campo scientifico 9. i successi sportivi 10. la storia

Le modalità di riposta sono: 1) molto orgoglioso; 2) abbastanza orgoglio-so; 3) non molto orgoglioso; 4) per niente orgoglioso). La scala di identità civica comprende le domande 1,2,3,4,5, La scala di i-dentità culturale le 7,8,9,10. La 6 è stata esclusa perché la collocazione è ambigua. - per il 1999, indagine condotta dalla Nomesis per conto del Circap, l’europeismo è misurato con un indice (0-10) che combina tra classici in-dicatori di sostegno per l’Europa: unificazione, appartenenza e dissoluzio-ne. Le scale civica e culturale risultano dalla combinazione, previa analisi fat-toriale, della batteria di domande sull’orgoglio nazionale che misurano l’orgoglio per:

1. Il funzionamento delle istituzioni politiche 2. L’influenza politica (dell’Italia) nel mondo 3. Il successo dell’economia italiana 4. I traguardi scientifici e tecnologici raggiunti 5. I traguardi raggiunti nello sport 6. Il patrimonio artistico e naturale 7. Le forze armate

Le modalità di riposta sono: 1) molto orgoglioso; 2) abbastanza orgoglio-so; 3) non molto orgoglioso; 4) per niente orgoglioso) , La scala di identità civica comprende le domande 1,2,3,7. La scala di i-dentità culturale le altre; - per il 2002 (Eurobarometro 57.2), l’europeismo è misurato con la do-manda che rileva il livello di orgoglio di sentirsi europeo. Le scale civica e culturale (range 0-10) risultano dalla combinazione, pre-via analisi fattoriale, della batteria di domande sugli elementi rilevanti per sentirsi italiani, elencati di seguito:

1) Cultura usanze e tradizioni comuni 2) Lingua comune

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3) Origini comuni 4) Storia e destino comuni 5) Sistema politico e giuridico comune 6) Stessi diritti e doveri 7) Un comune sistema di previdenza/welfare 8) Un’economia nazionale 9) Un esercito nazionale 10) Frontiere comuni 11) Un sentimento di orgoglio nazionale 12) Indipendenza e sovranità nazionali 13) Il nostro carattere nazionale 14) I nostri simboli (inno, bandiera)

(Modalità risposta: molto d’accordo, abbastanza d’accordo, poco d’accordo, per nulla d’accordo). La scala di identità civica comprende le domande 5,6,7,8, La scala di i-dentità culturale le 1,2,3,4). Nota: la fattoriale produce una soluzione a tre fattori ( identità nazionale generale oltre alla civica e alla culturale) -per il 2009 è stata utilizzata l’inchiesta Eb 71.3. La variabile dipendente è una scala di identità europea, composta da tre items: attaccamento, appar-tenenza e cittadinanza europea. Le identità nazionali civica e culturale sono misurate con scale (0-10), ri-sultato della combinazione di diverse domande, di seguito specificate: le persone hanno idee differenti sul significato di essere italiano. Dal suo punto di vita, tra le seguenti caratteristiche, quali sono le più importanti per essere italiano?

1) Essere cristiano; 2) Condividere tradizioni culturali 3) Essere nato in Italia 4) Avere almeno un genitore italiano 5) Sentirsi italiano 6) Padroneggiare la lingua italiana 7) Esercitare i diritti civili (per esempio votare) 8) Essere cresciuto in Italia 9) Essere attivo nelle associazioni e nelle organizzazioni in Italia 10) Altro

Nella prima sono inclusi gli items che rilevano, quali elementi dell’identità nazionale, i diritti dei cittadini, la partecipazione e altri ele-menti civici; nella seconda sono inclusi gli items sull’essere cristiani, le tradizioni culturali, il luogo di nascita, i genitori e il linguaggio.

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TAB. A.6. Coefficienti di regressione standardizzati (analisi presentata in figura 4.2)

Coeff. Senso di comunità <--- Sesso (0 donna;1 uomo) 0,01 Senso di comunità <--- Istruzione 0,14*** Senso di comunità <--- Età 0,02 Identità <--- Senso di comunità 0,31*** Identità <--- Sesso (0 donna;1 uomo) 0,03 Identità <--- Istruzione 0,21*** Identità <--- Età 0,09** Sostegno <--- Identità 0,27*** Sostegno <--- Senso di comunità 0,17*** Sostegno <--- Sesso (0 donna;1 uomo) 0,11*** Sostegno <--- Istruzione 0,06* Sostegno <--- Età 0,001 Voto <--- Sostegno 0,001 Voto <--- Identità 0,14*** Voto <--- Senso di comunità 0,01 Voto <--- Istruzione -0,02

Fonte: Elaborazioni su dati IntUne, 2009 Note: *** p<0,001; ** p<0,01; * p<0,05

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APPENDICE N. 2 LISTA DELLE INCHIESTE UTILIZZATE

European and World Values Surveys: four-wave integrated data file, 1981-2004, v.20060423, 2006. Surveys designed and ex-ecuted by the European Values Study Group and World Values Survey Association. File Producers: ASEP/JDS, Madrid, Spain and Tilburg University, Tilburg, the Netherlands. File Distribu-tors: ASEP/JDS e GESIS, Cologne, Germany Chapel Hill Expert Survey, 2006: http://www.unc.edu/~gwmarks/data_pp.php Circap-Nomesis, 1999. Archivio Circap, Università degli Studi di Siena Eurobarometer 27 The Common Agricultural Policy and Can-cer March-May 1987, Gesis-ZA1712 Eurobarometer 54.1: Building Europe and the European Union, The European Parliament, Public Safety, and Defense Policy, November- December 2000, Inter-university Consortium for Political and Social Research (ICPSR), ICPSR03209 Eurobarometer 57.2: Health Issues, Cross-Border Purchases, and National Identities, April-June, 2002 ZA 3640 Eurobarometer 60.1: Citizenship and Sense of Belonging, Fraud, and the European Parliament, October-November 2003, Inter-university Consortium for Political and Social Research (ICPSR), ICPSR03991 Eurobarometer 70.1: Globalization, European Parliament and Elections, Building Europe, Georgian Conflict, Mobility, Euro-pean Union Budget, and Public Authorities in the EU, October-November 2008, Gesis-ZA4972

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Eurobarometer 71.3: Globalization, Personal Values and Priori-ties, European Identity, Future of the European Union, Social Problems and Welfare, and European Elections, June-July 2009, Gesis-ZA 4973 European Parliament Election Study 2009, Voter Study, Ad-vance Release,7/4/2010, (www.piredeu.eu) International Social Survey Programme. National Identity I, 1995, Gesis-ZA 2880 IntUne Mass Survey, first wave, 2007 IntUne Mass Survey, second wave, 2009 (The Mannheim) Eurobarometer Trend File 1970-2002, Gesis-ZA3521 Transparency International http://www.transparency.org/policy_research/surveys_indices/cpi/ Worldwide Governance Indicators Project, 2009 http://info.worldbank.org/governance/wgi/

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2011

da Tipografia Monteserra S.n.c. - Vicopisano

per conto di Edizioni PLUS - Pisa University Press