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  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

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    Il libro nasce dall’esperienza personale dell’autrice.

    Non è un libro didattico, né un commentario e non ha la pretesa di essere

    un’esegesi della Bhagavad Gita: è stato scritto per fornire degli spunti per

    adattar gli insegnamenti trasmessi da Krishna ad Arjuna, alla vita di tutti i

    giorni in una società come la nostra, apparentemente così lontana dalla

    filosofia di vita induista.

    È un monito per tornare ad ascoltare una parte di noi così spesso messa a

    tacere: la nostra parte immateriale, quel vuoto tra un atomo e l’altro che in

    realtà è così pieno…. Di cosa? Di ciò che tutti ci unisce: la vita.

    II.48

    Compi il tuo dovere con spirito equilibrato, o Arjuna, senza attaccamento al successo o al fallimento. Tali equanimità si chiama yoga.

    A livello puramente razionale si può anche capire cosa sia, ma ciò che Krishna

    fa con il suo amico Arjuna, è prenderlo per mano e insegnargli passo dopo

    passo come avvicinarsi a quella conoscenza regia e segreta (raja e guhyam)

    che, unica, ci permette di cambiare in modo definitivo il nostro agire,

    liberandoci dai nostri automatismi. Conoscendo "il segreto dei segreti" (questa

    conoscenza suprema) diamo a noi stessi la possibilità di rientrare a contatto

    con quel flusso da cui tutti veniamo: solo lasciandoci andare ad esso possiamo

    trovare chi siamo davvero, come strumenti di un’unica grande orchestra, che

    solo in essa trovano la loro melodia. Che ha un sapore unico, quello della

    felicità.

    EINSTEIN Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c'è altra via. Questa non è Filosofia, questa è Fisica.

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    Dedico questo progetto a te che mi hai spinto a fare i primi passi di questo

    cammino che mi ha portato dallo yoga fin qui.

    Sei stata la mia prima vera maestra, e tale rimarrai per sempre.

    Grazie Gabriella, non sarei quella che sono se tu, con il tuo esempio, le tue

    lezioni, le tue parole e le tue calmanti mani sul petto durante i miei travagliati

    shavasana, non mi avessi trasmesso la magia dello yoga: mi hai dato la

    speranza, ormai certezza, che la vita

    può essere davvero meravigliosa…

    … se solo gliene diamo la possibilità.

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    La BG è un libro magico: ci corre in aiuto ogni volta che ne abbiamo bisogno.

    Letta come metafora senza tempo di tutti quei momenti della nostra vita

    quotidiana in cui siamo combattuti sul da farsi, anche nelle piccole cose,

    leggerla ci insegna ogni volta a trovare la soluzione nel qui e ora, da un lato

    cercando la vera conoscenza di ciò che è la vita, e dall’altro affidandoci senza

    indugio a ciò che questa vita è.

    Ogni volta che i nostri lati che in genere ficchiamo nell’inconscio tornano a

    galla a parlarci e ci mandano in crisi - è normale che succeda, è il nostro modo

    di essere progettati ed equipaggiati per questa vita - abbiamo due scelte:

    rificcarli nell’inconscio e continuare a vivere arrabbiandoci per tutto, sentendoci

    frustrati, abbandonati, non amati, mai all’altezza o, al contrario,

    sopravvalutando tutte le situazioni, o possiamo decidere di ascoltarle, queste

    nostre ombre, per cercare di integrarle in noi.

    Ogni volta che dobbiamo fare una scelta o scegliere una nuova meta, e ci

    sentiamo smarriti dai dubbi della mente, possiamo tornare a lei, alla

    conoscenza regia e segreta in essa svelata, e fermarci a riflettere su quale

    azione intraprendere e su come intraprenderla. Che tipo di sacrificio possiamo

    fare perché il ciclo dell’universo venga nutrito e perché mi nutra?

    Un’azione che ci riallinei all’energia da cui tutti proveniamo: chiamiamolo

    divino, chiamiamolo amore, chiamiamola vita. È quella cosa lì che ci unisce

    tutti come onde nello stesso mare, che fa sorgere il sole e tramontare le stelle,

    che fa scendere la pioggia e nascere i bambini. Ed è anche (in) noi: la BG ci

    insegna questo, a riallinearci a questo flusso, a tornare a casa, a sentirci noi

    stessi, ad accogliere e ad accoglierci, trovando e accettando i nostri lati solari

    ma anche quelli bui, per equilibrarli e donarli alla vita (divino, amore, energia

    che dir si voglia).

    Ma come per ogni cosa abbiamo bisogno di pratica ed esercizio per trovare

    questo allineamento. E non importa quanto tempo ci vorrà, perché una volta

    cominciato il processo, che comincia col cambiare la propria direzione d’arrivo,

    la strada di per sé sarà già la nostra meta, dato che pian piano ci si libererà dai

    pesi che ci portiamo addosso e se all’inizio faremo fatica, sarà solo una fatica

    provvisoria perché la leggerezza non tarderà a farsi sentire.

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    L’universo ci nutre se noi lo nutriamo.

    Siamo tutti connessi come strumenti di una stessa orchestra. Abbiamo solo

    bisogno di tempo per sintonizzarci e imparare a risuonare gli uni con gli altri e

    col tutto: sintonizzazione degli affetti, fu definito questo processo dallo

    psichiatra e psicanalista americano Stern, uno dei primi ad aprire le porte del

    dialogo tra le scienze psicologiche e le neuroscienze. Siamo tutti parte della

    stessa energia: abbiamo solo bisogno di tempo per liberare le dighe che ci

    tengono separati da essa.

    L’universo ci nutre se noi lo nutriamo.

    La BG ci insegna, ogni volta che vacilliamo, a ritrovare la via smarrita.

    Metafora delle razionalizzazioni che ci mettono continuamente i bastoni tra le

    ruote sulla via verso la vera conoscenza, metafora della fede come nuovo

    strumento della coscienza per trascendere il nostro apparato psicofisico e

    vedere la realtà con altri occhi, metafora delle capacità del cervello di creare

    nuovi percorsi neurali per tornare a fondersi in ciò che anche la fisica moderna

    ha riconosciuto essere la fonte di tutto: shakti, energia, amore, dio, Iswara.

    La BG ci insegna ad agire rettamente con azioni che comportino il sacrificio dei

    loro frutti in qualcosa che non riguardi solo noi: azioni che trasformino le

    nostre motivazioni di base, e che si basino proprio sull’idea che tutto è uno.

    Anche la fisica lo dice quindi possiamo tranquillizzare la nostra parte razionale

    che stride un po’ con discorsi spirituali di questo tipo.

    L’azione è solo la parte finale di un processo che si basa prima sul pensiero,

    che a sua volta si basa sulla molla (il desiderio) che ci spinge ad agire: se

    questa molla si basa su desideri effimeri, non sbagliati ma semplicemente

    transeunti, possiamo, con la forza della volontà e la nostra intelligenza

    superiore, trascendere questi impulsi in un’energia più pura che sia mossa, sì

    da un desiderio, ma da uno più in linea sia con il nostro vero sé , sia con la

    forza della vita che in tutti scorre.

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    Se non cambia l’approccio all’azione, ovvero se non cambia ciò che la spinge,

    possiamo anche apparentemente raggiungere degli obiettivi, ma saranno

    sempre transeunti: vogliamo una felicità immutabile e che non passi col

    passare del tempo?

    A noi la scelta!

    Se la risposta è sì, beh allora posso garantire che la BG non solo ti aiuta, ma

    che, letteralmente, ti cambia la vita!!

    Premesse e ringraziamenti

    Non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno, ma solo di pormi come prova

    tangibile del fatto che si possa sempre cambiare rotta di vita. Non è mai troppo

    tardi. Io l’ho cambiata con lo yoga e con un percorso di trasformazione

    personale che mi ha portato ad essere felice. Aldilà delle crisi, piccole e grandi,

    che sempre ci sono e sempre ci saranno.

    Ho seguito e seguo tuttora gli insegnamenti di chi ne sa molto più di me e son

    conscia di essere solo all’inizio, quindi questo non è un libro didattico, ma un

    libro per condividere un’esperienza alchemica. Se qualcuno potrà trovare

    spunto per se stesso, ne sarà valsa la pena!

    Parlo di me solo perché mi viene più facile parlare di cose sentite e vissute

    sulla mia pelle per poter trasmettere ciò che vorrei passare agli altri, ciò che i

    miei maestri, questo magico libro e una pratica costante di osservazione delle

    mie reazioni, mi hanno insegnato.

    Ci saranno delle parole o concetti che magari non a tutti saranno familiari: ho

    deciso di non specificarle per non fare troppa didattica, per lasciare scorrere la

    lettura, dando comunque spunti di approfondimento per chi volesse farli. Mi

    pare di aver messo tra parentesi il significato delle parole più ostiche, almeno

    la prima volta che le cito. Per quello che so, rimango a disposizione per

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    eventuali chiarimenti, come lo sono per qualsiasi approfondimento o consiglio,

    confronto da parte di chiunque.

    Per le citazioni degli shloka (versi) mi sono avvalsa di più edizioni, citate in

    fondo. Ho talvolta cercato di dare interpretazioni personalizzate laddove

    sentissi di esserne più o meno capace: non ho studiato il sanscrito, ma alcune

    parole ho imparato a riconoscerle nei diversi shloka e, affidandomi alle diverse

    traduzioni, commentari e lezioni seguite, ho cercato di trovare come potessero

    risuonare in me.

    D’altronde il messaggio della BG è questo: renderci capaci di impugnare le

    nostre armi della conoscenza sacra e fare ciò che è il nostro compito

    nell’ingranaggio della vita.

    Non vi segnalo la bibliografia che mi ha portata a condensare le mie esperienze

    fin al punto dove sono arrivata, e da cui riparto aggiungendo un tassello in più

    ogni giorno, per non tediare nessuno, rimanendo altresì disponibile per chi

    volesse consigli al riguardo.

    Consapevole dei limiti di questo mio scritto, ringrazio chiunque possa trarne

    anche solo uno spunto di riflessione in più o un diverso punto di vista.

    Ringrazio di cuore, con un’immensa sincera gratitudine, tutte le persone che

    hanno accompagnato la realizzazione di questo mio libro e che hanno vissuto

    con me questo lockdown: Silvia, Giorgia, Cristiana, l’eterna guerriera-sorella

    Gabriella, Alessandra, Claudia. Il mio eterno migliore amico-fratello Max.

    Ringrazio i miei maestri - Daniele, Tania, Daniele - e Elisabetta del centro

    Bhaktivedanta; le mie storiche maestre di yoga Gabriella, Paola, Francesca,

    che, con il loro esempio oltre che con le loro lezioni, mi hanno trasmesso

    l’amore per lo yoga.

    Ringrazio i miei genitori per il rapporto finalmente instaurato e che mi

    permette di essere ancora più grata alla vita che loro mi hanno dato. Ringrazio

    con tutto il mio cuore Naresh, per il nostro incondizionato affetto reciproco, per

    i nostri scambi giornalieri dall’India che mi fanno sentire sempre più vicina a

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    entrambi, e per avermi fatto conoscere il maestro Vivek: le sue lezioni hanno

    portato luce laddove c’era ancora buio.

    Un ringraziamento particolare a Cristiana per il suo estenuante lavoro di

    editing e per i preziosi consigli, senza i quali questo libro non sarebbe mai stato

    pronto in così poco tempo.

    Infine, ma non per ultima, ringrazio sempre quella luce che brilla dentro di me

    e che devo alla mia immortale nonnina: vive sempre qui, con me, con noi, in

    questa meraviglia che è la vita.

    Namasté.

    Introduzione

    Ero lì, a fissare le travi di legno del mio soppalco, in uno shavasana ad occhi

    aperti, sospesa nel tempo e nello spazio, in attesa che Chelsey mi riportasse

    allo stato di veglia dal sito di Yogainternational.com. Il lockdown me l’aveva

    fatta amare ancora più di prima, lei, la amazzone yogin che trasmette con una

    dolcezza senza confini la sua bellezza interiore nonostante quella esteriore: il

    senso di forza ritrovata chissà dopo quali ferite è quasi palpabile nei suoi

    frizzanti occhi amorevoli. Ero lì, sospesa nello spazio senza tempo di un

    inconsueto shavasana, con gli occhi aperti ma non al mondo esteriore,

    nonostante fissassi le travi di legno che mai come quel giorno mi erano parse

    così belle, e non avevo nient’altro in mente che la voglia di gridare al mondo

    che la BG ti cambia la vita!

    Un’inesorabile spinta a non muovermi da dov’ero, lì, sotto un soppalco in via

    Brioschi dove tutto finalmente era a posto senza bisogno di cercare altro,

    durante la fase 2 del lockdown, senza più i miei lavori già precari prima e che

    erano ormai diventati solo un vago ricordo da rimpiazzare con una nuova vita

    più in linea con me, e un inafferrabile unico desiderio: condividere con chi

    abbia orecchie per ascoltarlo e occhi per leggerlo, quello che stavo vivendo io,

    una trasformazione interiore degna di una crisi coi fiocchi, una di quelle che ne

    rispecchia l’origine etimologica: momento di scelta, di svolta, da cui, per lo

    meno per me, era certo, non si fa più ritorno.

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    Sì, lo devo ammettere, la mia irrefrenabile spinta di condividere con tutti la

    possibilità di essere felici, felici davvero, in un mondo come il nostro dove

    sembra che si faccia di tutto per cercare in tutti i modi di eliminare ciò che lo

    impedisce piuttosto di cercare ciò che ci aiuterebbe ad esserlo davvero, era

    anche dettata da un po’ di sano egoismo: il mondo sarebbe davvero un posto

    migliore se tutti fossero felici e se tutti contribuissero a questo ciclo universale

    che è la vita. Un po’ come fanno la pioggia, il sole, la terra e il vento che

    lavorano in team per tener in vita il pianeta (e tutti noi…). Quindi sì, sono

    altruista e amorevole, ma se tutti cercassero di lavorare su di sé per un bene

    comune, vivrei nettamente meglio anche io!

    E mentre me ne stavo lì, in attesa che la mia amata amazzone dagli occhi

    amorevolmente frizzanti mi riportasse ad uno stato di veglia effettivo, non

    avrei voluto essere da nessun’altra parte, non volevo nessuno al mio fianco,

    non desideravo un figlio, un compagno, nemmeno di essere già in Liguria a

    vivere a contatto con la terra o in India a dar da mangiare alle mucche col mio

    amico bramino: non ne avevo bisogno, era tutto giusto e a posto così. Ero nel

    flusso, ero nel cerchio della vita e dell’universo, ero dove dovevo essere e

    come volevo essere, semplicemente essendo. Come la pioggia, il vento, la

    terra, il sole. Ero all’interno del ciclo dell’universo.

    E potevo contribuirci così: donando questo libro a chiunque senta una voce che

    lo chiama da chissà dove sussurrandogli che forse la vita non è solo questo

    frenetico correre e sbattersi da un angolo all’altro della città, che forse esiste

    un modo per non dover tamponare le ansie, le insonnie, le crisi, quelle a cui

    noi attribuiamo valore negativo perché sembrano scardinare i nostri punti

    fermi, come se cambiare fosse una cosa da evitare a tutti i costi. Esiste. Ne

    sono la prova vivente. Sfruttatemi come esempio. Non come esempio di vita

    per carità! Ma come esempio del metodo che può cambiarti la vita! La

    Bhagavad Gita mi chiedete? Sì. La Bhagavad Gita ti cambia davvero la vita. Un

    po’ come lo yoga, la psicoterapia, le tecniche di presenza mentale… ma con

    una marcia in più. Ciò che Krishna in questo magico libro rivela ad Arjuna è il

    segreto dei segreti, una conoscenza raja (regia) e guhyam (segreta), su cui

    tutta la nostra capacità di agire in modo consapevole dovrebbe basarsi: la

    separazione tra materia e spirito. “Eccola qua, un’altra predicatrice invasata.”

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    No, non lo sono. Sono figlia del cogito ergo sum, non sono battezzata e non

    sono nemmeno diventata buddhista né Hare Krishna. Sì, è vero, insegno yoga

    e meditazione, ma sono così figlia del mio mondo e del mio tempo che non

    faccio che continuare a fare corsi sulla neurobiologia cellulare e su come

    applicarla alle terapie basate sul corpo. I miei storici amici mi chiamano ancora

    lince nonostante vada spesso in giro col bindi sulla fronte, e la cosa non mi

    dispiace per niente, ora, perché mi ricorda di quanto siamo sempre liberi di

    scegliere da che parte andare, quale azione intraprendere, come re-agire o se

    agire.

    E, sì, è vero, la fede fa la differenza: non avrei mai immaginato di poter dire

    una cosa del genere (in effetti non avrei nemmeno pensato di poter insegnare

    yoga e di sentire, se mi concentro, la stessa energia che scorre nella terra

    scivolarmi lungo le gambe a partire dai piedi). La fede fa davvero la differenza,

    perché quando ci arrivi, e non è che io mi ci abbandoni sempre – più che altro

    non ci riesco se no lo farei più che volentieri ve lo assicuro – tutto ha senso

    senza che tu abbia bisogno di darglielo razionalmente.

    “Ma allora non ha senso, se non lo ha per la ragione.”

    E chi lo dice? Chi lo dice che le capacità dell’emisfero sinistro siano sempre le

    migliori? Non sto dicendo che dovremmo tutti vivere levitando per aria in stato

    d’estasi perenne, ma che una via di scampo dai malesseri da cui tutti

    cerchiamo di correre ai ripari, nei migliori dei casi, con pillole, psicologi, gruppi

    d’aiuto, amici, la possiamo davvero trovare in noi. E in ciò da cui tutti noi

    deriviamo. Ormai anche la fisica lo ha dimostrato: tutto è energia, tutti viviamo

    in un campo quantico dove si entra in relazione con gli altri a seconda delle

    frequenze vibrazionali che attirano a sé frequenze della stessa lunghezza

    d’onda - la stessa cosa che succede quando canti mantra alzandoti quando si

    alza anche il sole (altra cosa che non avrei mai pensato di poter fare e di cui

    solo grazie al lockdown ho scoperto la potenza). Tutto è amore. Lo diceva già

    Einstein. La fede, per lo meno per noi figli di questo mondo occidentale e

    dell’epoca degli apericena, è questo: sentire, e non solo sapere, di essere parte

    di qualcosa di più grande che ti nutre e al cui nutrimento puoi contribuire

    anche tu, semplicemente abbandonandotici. Come?

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    Beh, non ho la presunzione di poter esser per voi un Adiguru come Krishna per

    Arjuna sul campo di battaglia, ma non ho nemmeno la presunzione di poter

    scegliere un modo migliore di quello usato dall’avatar di Vishnu per cercare di

    trasmetter ciò che ho imparato a partire dal mio viaggio in India a marzo, dal

    mio rientro forzato in Italia, dal mio lockdown in totale solitudine in un

    appartamento milanese al piano terra, interno, con le inferiate alle finestre,

    dove batte il sole due ore al giorno (esattamente quando mangio e faccio la

    pennichella: sì le giornate erano e sono eternamente lunghe anche per una a

    cui piace studiare, preparare le lezioni, fare yoga e meditare), dalle mie lezioni

    di vedic mantra, online, all’alba, con il mio amato bramino di Rishikesh, dalla

    preparazione del mio terzo esame di filosofia indovedica (guarda caso sulla

    Bhagavad Gita) e dalle lezioni su di essa con la mia così accogliente tutor Tania

    e con quelle sempre da Rishikesh con un maestro che, con le sue risposte

    puntualmente azzeccate, mi ha aiutato a fare il giro di boa, più di anni di

    terapia.

    “Fede, materia vs spirito, religione vs ateismo?” Quanti nasi storti … vedo già

    il libro scivolarvi dalle mani perché “no, non fa proprio per me questo genere di

    cose: non ho tempo, devo lavorare, pensare a mantenere la famiglia o a come

    trovare i soldi per comprarmi una casa più grande…” ma una cosa non esclude

    le altre. Anzi. Si possono fare benissimo tutte. E meglio. E poi se questo libro ti

    è capitato tra le mani è perché un pochino anche tu la senti quella vocina che ti

    domanda “ma non è che forse la vita non è solo questo frenetico correre e

    sbattersi da un angolo all’altro della città? Non è che forse esiste un altro modo

    per non dover tamponare le ansie, le insonnie, le crisi?”

    Se non è così allora lascia pure giù questo libricino perché ti tedierebbe

    oltremodo.

    Se no leggilo, tutto d’un fiato, o un capitolo al giorno o come vuoi tu. Ma fallo

    in ordine, perché, come dicevo, non ho la presunzione di poter trovare un

    modo migliore per approcciare il delicato discorso della divisione tra materia e

    spirito, di quello con cui Krishna svela al suo amico-discepolo la conoscenza

    regia e segreta, in progressione, capitolo dopo capitolo, dandogli input via via

    sempre più adatti al suo nuovo livello di consapevolezza. Come se gli fornisse

    via via dei remi sempre maggiori in funzione delle dimensioni della barca che

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    contiene le sue sempre maggiori conoscenze. Ogni strumento serve solo per

    traghettarti oltre, anche la religione.

    Quindi cercherò di fare il mio, in questo ciclo della vita, donando ai miei simili,

    ai milanesi sempre di corsa, agli occidentali sempre in controllo, ai razionalisti

    senza anima, libro dopo libro, shloka (verso) dopo shloka, ciò che mi hanno

    trasmesso i miei maestri Tania, Daniele e Andrea in Italia, Naresh e Vivek

    dall’India, e ciò che dalle pagine della Bhagavad Gita mi ha letteralmente

    folgorata, come Atreiu nella Storia Infinita: più di una volta, appena sveglia, ho

    mandato messaggi di scoramento sulla mia vita, la mia solitudine, la mia

    incapacità di sapere scegliere cosa farne di questa mia esistenza già al servizio

    degli altri da anni ma ancora così poco soddisfacente per una donna a metà

    nella società dei consumi a tutti i costi, e magicamente le parole di conforto

    che mi arrivavano dal mio amato Naresh e dal mio guru indiano, erano così in

    linea con quanto, poche ore dopo, avrei letto nel capitolo della BG che avrei

    studiato quel giorno, da lasciarmi senza fiato. Come faceva a saperlo? Ma

    soprattutto, chi lo sapeva? Ho smesso di farmi domande. E non da tanto. Da

    qualche giorno! E sapete perché? Perché si sta meglio. Ho passato 20 anni a

    cercare di eliminare le cause di ciò che nei 20 anni precedenti mi aveva

    devastata. E poi in un baleno, il tempo ha perso il suo spessore. E non è più

    importante cosa hai fatto prima. C’è solo quello che sei in quel momento e il

    punto da cui parti.

    Ma andiamo con ordine. Perché la BG mi ha davvero cambiato la vita. E se ce

    l’ho fatta io, ce la può fare davvero chiunque.

    EINSTEIN Ogni persona seriamente risoluta nella ricerca della scienza diventa convinta che nelle leggi dell’Universo si manifesta uno spirito – uno spirito di gran lunga superiore a quello dell’uomo, e uno di fronte al quale noi, con i nostri modesti poteri, dobbiamo sentirci umili.

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    Antefatti

    La Bhagavad Gita è il VI libro del Mahabarata - uno dei due Itihasa1, i grandi

    poemi della letteratura indovedica, insieme al Ramayana. Sono poemi epici

    senza tempo che tramandano la memoria appresa e tramandata dagli antenati,

    e che nella nostra era di Kali stanno andando persi.

    Il Mahabharata narra i fatti avvenuti nel 3200 circa a.C., al termine dell'era

    Dvapara-yuga che precede l'era attuale, il Kali-yuga, in uno yuga Sandhi

    quindi, punto di transizione da uno yuga ad un altro 2. La sua datazione

    risalirebbe al periodo compreso tra il IV sec. a.C. e il IV d.C.

    Questa concezione non lineare del tempo, è in linea con l’idea che la

    conoscenza stessa sia eterna e che essa venga appunto tramandata in forma

    scritta (smriti) o orale (shruti), ma che sia sempre la medesima.

    Una conoscenza storica senza età: ciò che è stato scritto oggi non è detto che

    sia più recente di qualcosa detto ieri.

    È vero che tutto muore e rinasce, ma in una dimensione di eternità, ed è

    proprio questa dimensione dilatata e contemporaneamente condensata, che

    viviamo nella Bhagavad Gita: il dialogo in 18 capitoli tra Krishna e Arjuna che

    sarà durato una manciata di minuti, ma che possono rappresentare allo stesso

    tempo la vita nella sua totalità, la vita del singolo, un momento della giornata,

    un momento della vita.

    Questo VI libro del Mahabharata parla della sanguinosa guerra che vede

    schierati sul campo di battaglia da un lato i Kaurava, figli di Dhritarashtra, e

    dall’altro i Pandava, i loro cugini, figli di Pandu, fratello appunto di

    Dhritarashtra. I cugini, totalmente diversi per indole e comportamento, che

    rappresentano opposti “tipi psicologici” che nel corso della BG stessa verranno

    delineati, crebbero tutti insieme, dopo la morte di Pandu, sotto la guida di

    Dhritarashtra e di Drona, che li allevò nell’arte della guerra.

    1 Iti=così, Ha=infatti, Asa=fu 2 La concezione del tempo nella filosofia induista è circolare, lontana dalla visione che abbiamo noi di

    tutto ciò che succede. Ogni cosa ha un suo ritmo di nascita e morte e anche il tempo e le ere seguono questo ritmo ciclico, come le quattro. stagioni

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    La gelosia e la rabbia di Duryodhana (“crudele in battaglia”), figlio del re cieco,

    nei confronti dei cugini, crebbero a dismisura nel momento in cui il padre

    nominò erede al trono Yudhisthira, figlio di Pandu. Dopo vari anni in cui i

    Pandava dovettero nascondersi, creduti morti, si trovò un compromesso per

    cui ai Pandava fu concesso di fondare Indraprastra, in un posto impervio, e ai

    Kaurava fu lasciato il comando di Hastinapura. Ma Duryodhana rodeva ancora

    d’invidia, perché i cugini erano amati da tutti per il loro animo nobile. Decise

    allora di fregare i cugini, sfidando Yudhisthira ai dadi (pur d’animo nobile,

    ognuno ha i suoi talloni d’Achille). Così i Pandava persero tutto e furono

    costretti a 12 anni d’esilio e ad uno in incognito. Dopo 13 anni i 5 fratelli

    Yudhisthira, Bhima, Arjuna, Nakula, e Sahadeva, e loro moglie Draupadi,

    tornarono per rivendicare il regno.

    E la guerra, tra gli aspetti egoisticamente calcolatori rappresentati dalla cecità

    dei Kaurava e le tendenze che vogliono invece elevare rappresentate dalla

    purezza d’animo dei Pandava e dal loro continuare a voler procrastinare una

    guerra già scritta, fu a quel punto inevitabile.

    Krishna, avatar di Vishnu, sceso sulla terra proprio per riportare l’ordine

    infranto dalle tendenze sovvertitrici dei Kaurava, scende in campo a fianco del

    suo amico Arjuna, quindi dalla parte dei Pandava: Duryodhana, sempre

    accecato dalla brama di abbondanza, sceglie di avere un esercito enorme

    invece di Krishna stesso che gli aveva dato un’ennesima possibilità di scelta.

    Ma ancora una volta Duryodhana non scelse ciò che poteva farlo davvero

    sentire traboccante di ciò che serve davvero.

    E la guerra, tra i suoi aspetti egoisticamente calcolatori e le tendenze che lo

    volevano invece elevare, fu a quel punto inevitabile.

    La guerra, tra i nostri aspetti egoisticamente calcolatori e le tendenze che ci

    vogliano invece elevare, è, in ogni momento, inevitabile.

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    16

    1. QUANDO ARRIVA LA CRISI …

    I.I Dhrtarastra disse: O Sanjaya, che cosa hanno fatto i miei figli e i figli di Pandu dopo essersi riuniti nel luogo santo di Kurusksetra per dar inizio alla battaglia?

    La BG comincia così, con una domanda del re cieco Dhrtarastra al suo

    consigliere, dotato di una vista magica proprio per riferire tutto, dell’imminente

    fratricidio, al reggente di Hastinapura. La guerra che si sta per combattere è

    tra i suoi figli, i Kaurava, e i figli di Pandu, suo fratello. Una guerra tra cugini in

    poche parole ed è per questo che Arjuna, a capo dei Pandava, i figli di Pandu,

    nel primo libro ha un vero e proprio attacco di panico e vorrebbe rinunciare al

    suo dovere di kshatriya, la casta3 guerriera.

    Come può combattere contro la sua famiglia? Come può uccidere capifamiglia

    e persone così importanti senza distruggere l’ordine universale? E se

    vincessero davvero i Pandava, con chi potrebbe condividere la felicità della

    vittoria se non ci fossero più i suoi familiari?

    Quello che succede poco prima dell’inizio della battaglia, che nel libro pare

    durare giorni, rappresenta in realtà quella manciata di minuti in cui spesso,

    tutti i giorni, e forse più volte al giorno, ci ritroviamo a dover fare i conti con

    parti di noi stessi che combattono tra di loro: le nostre ombre che scalpitano,

    le chiamerebbe Jung; le parti “malvagie” che in genere ficchiamo nell’inconscio

    perché intollerabili; i nostri tentativi di razionalizzare la nostra tendenza a non

    volerle affrontare, per poterle sublimare in altro.

    La morale della storia e della BG, che sicuramente tanti di voi già conoscono,

    potrebbe sembrare utilitaristica o senza morale: fai quello che devi fare, anche

    se questo vuol dire uccidere i tuoi cugini. Fai quello che devi fare anche se

    3 Il concetto di casta è stato travisato in epoca moderna. Non voglio tediare nessuno con dettagli che potrebbero distogliere l’attenzione dal focus del libro, ma rimango disponibile per ogni domanda. Consiglio comunque a chiunque voglia intraprendere un viaggio dentro se stesso di questo tipo di trovare un maestro, una figura di riferimento, che possa fornire le giuste coordinate per muoversi e i giusti metodi interpretativi. Non giusti a priori, ma in base a ciò che è più consono a noi in un dato momento. Io posso consigliare i maestri che ho avuto e sto avendo io qui in Italia e in India, potete inoltre trovare sicuramente comunità di Hare Krishna nelle vostre città che ne sapranno sicuramente più di me e dove potete partecipare alle letture dei testi sacri induisti, ma sicuramente trovare una figura di riferimento, un guru, che possa aiutarvi come suddetto, è sicuramente la cosa più efficace. Provare per credere!

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    17

    questo vuol dire uccidere una parte di te che poi rinascerà sotto altra forma, se

    le permetti di trasformarsi non in nevrosi, ma di sublimarsi positivamente.

    Cominciai a studiare la BG al mio rientro dall’India. In realtà un paio di

    settimane dopo; le prime furono un po’ difficili: dovevo abituarmi al lockdown,

    al tentativo disperato di infonderci da tutte le parti la paura del contagio, al

    mio corpo abituato a muoversi, tenuto letteralmente in gabbia, alle lezioni

    online e alla solitudine. Vera.

    E mi sentivo come Arjuna. Cosa ci facevo in quel posto? Perché non potevo

    vivere come avrei voluto? Perché ero così lontana da quel sentirmi tutt’uno con

    la vita che avevo sentito in India? Perché ero nata a Milano e non altrove? Non

    ci volevo stare! Volevo tornare subito, di corsa, a vivere dando da mangiare

    alle mucche a Rishikesh. E poi perché ero ancora single? E senza figli? Sarei

    mai riuscita ad averne uno? Ero già davvero fuori tempo massimo (sì!)?

    Devo ammettere che un giorno di quelle settimane lì, era venuto anche me un

    mezzo attacco di panico, tanto che ero dovuta andare di corsa a fare la spesa

    (l’unica cosa che si poteva fare in quei giorni), per muovermi e calmarmi un

    po’, dopo 10 giorni che non mettevo naso fuori di casa.

    Cercavo di razionalizzare, di trovare una soluzione su come vivere la mia vita,

    e non sapevo ancora che le risposte le avrei avute studiando ed entrando in un

    libro, come il protagonista della Storia Infinita.

    Le razionalizzazioni danno un senso laddove emotivamente non si sopporta

    qualcosa. Ma quando cominciamo a sentirne il rumore di porta che cigola - e se

    hai questo libro in mano vuole dire che qualche rumorino lo hai sentito anche

    tu – non tappiamoci le orecchie cercando di continuare coi nostri vecchi

    schemi. Scardiniamoli!

    Questi sono i momenti delle svolte: le crisi, quelle che ti portano a cambiare

    davvero. Abbracciamole quando arrivano, invece di volerne fuggire. I momenti

    di caos interiore totale sono necessari per lo sviluppo personale.

    Arjuna nel primo capitolo rappresenta questo vacillare delle nostre capacità e

    delle nostre energie interiori. Ma come?! Proprio lui che aveva combattuto

    contro il cacciatore Kirata, sotto le cui vesti si celava Shiva il distruttore? Tutti

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    18

    abbiamo momenti in cui vacilliamo ed è allora che dobbiamo riconnetterci alla

    conoscenza di base, che se però fosse stata rivelata da Krishna nel momento di

    panico, non solo non sarebbe stata accolta, tanto meno capita, ma

    probabilmente sarebbe stata in toto rifiutata. Inutile quindi parlare ora

    dell’influenza della materia sulle nostre facoltà di scelta e d’azione.

    Ancor prima di scrutare cosa succede ad Arjuna, Sanjaya riferisce a

    Dhrtarastra le parole di suo figlio Duryodhana, rancoroso e accecato dall’invidia

    per l’amore che tutti provano per i benevoli Pandava, al maestro Drona, lui che

    aveva cresciuto tutti i cugini insieme, allenandoli all’arte della guerra.

    Duryodhana osserva prima lo schieramento nemico e poi il loro, immenso, e,

    autoconvincendosi della loro forza, così dichiara:

    I.10 La nostra forza è immensa e siamo perfettamente protetti dall’anziano Bhisma, mentre la forza dei Pandava, sotto l’attenta cura di Bhima, è limitata.

    Aparyatam= incommensurabile, sufficiente

    Paryaptam=limitata, insufficiente

    Quanto puoi vedere dal punto dove sei ora? Quanto è il tuo raggio visivo? E se

    sali all’ultimo piano di casa? E in cima ad una montagna? Se le tue risorse

    interiori sono maggiori, il tuo concetto di sufficienza/insufficienza cambia.

    Ma come facciamo ad aumentarle le nostre risorse interiori? Semplice: facendo

    quello che dobbiamo fare. Eh, bella scoperta. In genere quello che dobbiamo

    fare, ce le prosciuga le energie.

    Ma succede lo stesso alla pioggia che cade? Esaurisce le sue forze? Forse se le

    chiedessimo di bruciare diventerebbe fiacca come spesso ci fiacchiamo noi che

    cerchiamo di obbligarci a fare cose che non ci competono solo perché la società

    ci dice che le dobbiamo fare o perché crediamo noi stessi che queste siano

    quelle giuste per noi. Ma le ansie non vengono a caso: forse potremmo fare

    qualcosa di più adatto alla nostra “casta”, intesa come quel qualcosa che ci

    caratterizza e non come un’etichetta discriminante. Forse potremmo tornare a

    sentire cosa ci permette di contribuire al flusso vitale dell’universo per quello

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    19

    che sappiamo fare davvero riconoscendo che ognuno è speciale per quello che

    è e che non deve mai, MAI, fare confronti con i “doveri” o le essenze degli altri.

    Meglio fare male il proprio dharma che cercare di seguire quello di qualcun

    altro (III.3, XVIII.47): certo, se non guardavo le mie amiche neo mamme, e

    quelle ormai mamme collaudate, non sentivo lo sfriso al cuore che così spesso

    mi prendeva, ed anzi vedevo bene quello che già stavo facendo, insegnando

    yoga in ambito clinico o cercando di portare amore anche laddove c’era sempre

    stata solo rabbia e cercando ogni giorno di migliorare me stessa trovando

    nuove maschere di me da far cadere.

    Che sollievo.

    Sì, ok, ma poi, come fai a incanalarle e a direzionarle queste energie interiori?

    Agendo. Che non vuol dire reagire, ma agire in base ad una motivazione ben

    diversa da quelle che in genere ci spingono.

    “MMMM, la lezione di morale…”

    No. Non si tratta di morale. Ma sempre di quella conoscenza alla base di tutto,

    che si basa su un’idea fondamentale: c’è qualcosa, qualcuno, che può

    osservare tutto quello che ci capita, anche a livello emozionale. Noi stessi

    possiamo guardare il nostro dolore, pur continuando a provarlo: allora esiste

    davvero un’altra nostra capacità interiore di vedere le cose.

    Possiamo chiamarla anima. O coscienza. O vero io. O come vogliamo. Ma c’è. E

    se sei arrivato a questo punto del libricino vuol dire che un pochino ci credi

    anche tu …

    Il boato delle conchiglie suonate per dare inizio alla battaglia nel capitolo uno,

    si ripercuote nel cielo lacerando i cuori: ognuno ha in sé due forze che sempre

    agiscono in noi, ciò che da sempre viene chiamato il bene e il male. Senza

    etichette morali appunto, questi concetti si potrebbero identificare con semplici

    spinte da una parte e dall’altra che, se sapientemente incanalate e integrate,

    permettono una vita sana e in linea con la naturale essenza della vita stessa:

    cercare di rinnegare un lato di noi non fa che alimentarlo, anche se di

    nascosto. Non si può eliminare una cattiva abitudine sforzandoci di non averla

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    20

    più, perché essa continuerebbe ad agire non fisicamente, ma psicologicamente.

    Occorre agire sulla motivazione che precede l’azione, sul pensiero che la

    genera. E come si fa? Con una sana, costante, pratica.

    “Che palle” direte. “Ho già così tanto da fare che ci manca che debba pure

    praticare il controllo dei miei pensieri”. Beh, direi di sì, se l’alternativa è farci

    controllare dai nostri pensieri automatici, dovuti ai nostri condizionamenti che,

    se non vogliamo attribuire alle vite precedenti, possiamo ormai aver la

    certezza scientifica che arrivino dalle nostre impronte neurobiologiche,

    lasciateci nel sistema nervoso dal nostro stile di attaccamento emotivo.

    Sì, possiamo dare, almeno in parte, la “colpa” ai nostri genitori, che sollievo.

    Insomma. Ci fa sentire davvero meglio sapere che le nostre nevrosi derivano

    dai traumi, piccoli o grandi che siano, che tutti, chi più chi meno, abbiamo

    dovuto patire? Se i percorsi neurali ci portano comunque ad agire nella stessa

    direzione, forse non è poi un sollievo così grande.

    “Ma perché dovrei volermi liberare dei miei condizionamenti?”

    Ma non so, perché forse si può vivere meglio di così? Con meno stress, meno

    rabbia, meno frustrazione?

    “Ma la rabbia mi serve per scaricare, dopo che mi sfogo sto molto meglio”.

    La rabbia è un modo di reagire che, per carità, a volte ci sta: ripeto, non voglio

    diventare santa e non sto cercando di convincere nessuno a diventarlo.

    Anche perché, alla fine, un santo è un peccatore che non smette mai di

    provarci, che non si arrende mai. Ma come tutte le reazioni, anche la rabbia

    può essere osservata e se la si può osservare, vuol dire che qualcuno, qualcosa

    può osservarla, no?

    Ricordo che il mio adorato psicologo EV mi aveva fatto un disegno di un palco

    teatrale in cui c’erano i personaggi, le mie reazioni credo, e un tipo vicino al

    sipario tirato indietro: mi diceva sempre “Valentina, si metta lì, vicino al

    sipario, ad osservare; poi capiremo insieme cosa sta succedendo sulla scena”.

    Anni dopo capii e presi consapevolezza di quanto questo esercizio non fosse un

    modo per dissociarsi, ma per dare voce a una parte di noi che non è solo quella

    razionale. Non è la mente che osserva. La mente agisce insieme al corpo

    perché è fatta anch’essa di materia (sono comunque impulsi elettrici che la

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    21

    fanno funzionare). La filosofia indovedica ha questa grande differenza dalla

    psicologia occidentale: fa della mente l’oggetto e non il soggetto.

    Tutti i suoi aspetti che noi occidentali siamo così bravi ad indagare da un punto

    di vista neurobiologico, scientifico e razionale, non possono però liberarci dalla

    sofferenza (come è evidente), e nemmeno permetterci di vivere una vita del

    tutto piena, perché tralasciano il lato spirituale della vita ,senza il quale la vita

    senso non ha.

    Perché tutti siamo portati a dover combattere ogni giorno, più volte al giorno,

    con ciò che riteniamo essere i nostri lati bui, le nostre ombre, come Arjuna che

    dovrebbe cominciare a scagliare frecce ed invece è lì, che gli tremano le gambe

    e la bocca gli si secca e preferirebbe morire lui, lì, disarmato e senza

    resistenza.

    Quante volte lo facciamo pure noi. Quante volte cediamo, da un lato ai nostri

    impulsi che ci trascinano giù, e dall’altro alle nostre voci che ci impediscono di

    credere in noi. E non è che dobbiamo poi sentirci in colpa se mangiamo un

    biscotto in più, perché se non lo mangiamo e continuiamo a pensarci è ancora

    peggio!! L’azione non agìta continua ad agire dentro di noi: se vogliamo

    davvero non mangiare più un pacco di biscotti la sera davanti alla tv,

    cerchiamo di capire che cosa ci sta dietro a questa smania. Possiamo fare lo

    stesso, con tutto ciò che facciamo e che poi ci fa sentire in colpa. Ovviamente

    non sto dicendo di lasciarci andare senza sensi di colpa a tutto ciò che ci piace

    e che ci fa male (che poi tante volte non lo facciamo già??), ma che se ci

    mangiamo il cioccolato almeno godiamocelo senza rimuginarci su, se lo

    facciamo o se non lo facciamo!

    E se si sgarra, ricominciamo da zero, senza pensare a ciò che si è fatto prima.

    Cambiando i componenti che stanno alla base delle nostre azioni, le nostre

    azioni cambieranno in automatico senza bisogno di sforzi. Provare per credere!

    Oppure continuiamo ad accasciarci a terra, a posare il nostro arco e a farci

    opprimere dai nostri dolori.

    E rimaniamo così, disarmati e senza resistenza verso i nostri condizionamenti

    psico-neurobiologici, come Arjuna alla fine del primo capitolo uno della BG:

    rimaniamo così, fissati nel capitolo uno della nostra vita.

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    22

    2. NON FARE I CAPRICCI!

    Quando ci perdiamo e siamo del tutto confusi, è inutile cercare di far tutto da

    sé. D’altronde tutto in natura collabora al mantenimento del tutto ed è lo

    stesso anche tra gli uomini, solo che non lo sappiamo o spesso non lo

    accettiamo.

    Trovare delle figure di riferimento è basilare, non solo per far sì che quella

    conoscenza regia e segreta possa essere trasmessa così com’è davvero, ma

    anche per aver degli appigli quando tutto pare crollare.

    Nel capitolo due Arjuna ha una prima svolta coscienziale che gli permette di

    affidarsi a Krishna non più come ad un amico, ma come ad un maestro di vita,

    qualcuno che con il solo esempio di vita può spingere gli altri ad intraprendere

    il loro cammino di risveglio spirituale.

    Si può inoltre rispettare il libero arbitrio altrui, cercando di suscitare negli altri

    il loro di risveglio spirituale, anche se questo a volte comporta mettersi da

    parte o suggerire, anche non a parole, ciò che è più idoneo per i rispettivi livelli

    di consapevolezza. Il saggio cerca di capire se l'altra persona è allineata col

    suo vero sé e cerca, umilmente e con distacco, di stimolarla per quello che è

    più giusto per lei. Anche "solo" col suo esempio di vita. È come se entrasse a

    contatto con l'altra anima davvero, in ciò che lo psicologo Stern chiama

    sintonizzazione, una sorta di vibrazione che ci sintonizza appunto con le

    frequenze dell'altra persona, ancora prima che questa sintonizzazione (che

    succede a livello non solo del sistema nervoso, ma anche in quello più sottile

    relativo al campo energetico che si cresa tra due o più entità) passi da uno

    stato inconscio e puramente fisiologico (neurocezione) a quello consapevole

    dell’interocezione. Siamo un flusso di energia che si riconosce, come un

    magnete che attira a sé pulvisco di ferro. Siamo scintille divine che si attirano

    e che, come i raggi del sole, esistono solo nel sole pur essendo da esso

    apparentemente scissi. Ah quell’inconcepibile immanenza trascendente di cui

    parla l’ultima scuola filosofica induista.

    Pensare che 20 anni fa avevo scritto una tesi sulla coincidenza degli opposti di

    Eraclito: ora come ora non posso non ammettere che non avevo capito nulla,

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

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    se non a livello puramente razionale, e forse nemmeno a quello della vera

    conoscenza (jnana), ma non certo a quello della conoscenza applicata

    (vijnana). Solo con gli sforzi che ho fatto negli ultimi anni (per superare ciò che

    non faceva altro che farmi soffrire), sono arrivata alla consapevolezza

    interiorizzata proprio perché esperita (vijnana) di quanto sia possibile davvero

    cambiare i nostri automatismi (ciò che gli psicologi chiamano i segni del

    trauma sul sistema nervoso che continuano a farci agire secondo schemi

    prestabiliti).

    Meno male mi ero affidata fin da adolescente a punti di riferimento (la mia

    amata psicologa Daria a cui devo la vita…) e non ho cercato di fare tutto da

    me; meno male che anni dopo ho trovato un altro magico psicoterapeuta, EV,

    e meno male che poi ho incontrato lo yoga e infine, nel mezzo del cammin di

    lunga vita, a circa 40 anni, meno male che ho incontrato i miei maestri

    spirituali. Coincidenze? Forse. O forse è vero che vibrazioni di una certa

    frequenza attirano a sé vibrazioni a loro simili, come il diapason. D’altronde

    anche la fisica quantistica lo dimostra, quindi anche la nostra fame

    razionalistica può essere saziata. E ci metto anche la mia dentro eh! Ho

    passato metà della mia vita cercando solo spiegazioni razionali per tutto, sono

    figlia del cogito ergo sum e ancora oggi ci sballo a continuare a fare corsi di

    formazione sul sistema nervoso per capire come le cellule lavorino nelle

    emozioni. Ho bisogno anche io di saziare la mia mente razionale e so che non

    potrei farne a meno. Ma la fede, wow la fede, come ti cambia la vita! Fede in

    cosa? In Dio? Io non parlo con Krishna, io non lo vedo. Ma sento l’energia della

    terra, l’energia del sole, la forza dell’amore, il battito del cuore e delle ali del

    vento. E non solo a parole. Li sento dentro di me. Come quando ci si perde

    nelle note della propria canzone preferita. Cos’è quella cosa che proviamo in

    quei momenti in cui pare di far l’amore col cielo? Unione. Fusione. Con chi?

    Con cosa?

    Io starò sicuramente facendo più fatica a non avere una visione personalistica

    di questa entità che tutto pervade, ma non posso fingere di averla e di essere

    diversa: ognuno può raggiungere, umilmente, la meta coi mezzi a sua

    disposizione, esattamente come ciascuno può agire il suo ruolo, in questo gioco

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    24

    che è la vita, solo con i suoi di attributi. Siamo tutti unici e diversi, perché voler

    fare quello che non ci compete? Abbandonarsi al divino può anche solo voler

    dire questo: riconoscere di essere una goccia unica e irripetibile, emanata dalla

    stessa fonte da cui tutte le altre zampillano. Siamo tutti fatti della stessa

    energia, della stessa materia, se vi piace di più.

    Nel momento in cui ci si abbandona completamente al divino (ciò che in

    occidente chiamiamo energia universale e che la fisica contemporanea ha

    finalmente accettato come quel campo da cui tutto sgorga e col quale

    possiamo entrare in risonanza proprio solo se lo assecondiamo), si entra a far

    parte del ciclo universale in cui ognuno contribuisce col suo vero sé,

    esattamente come la pioggia, il sole, il vento: non si può chiedere al sole di

    bagnare o alla pioggia di bruciare, ma senza la pioggia e senza il sole non

    crescerebbero i frutti della terra. Per quanto riguarda il nostro personale

    dharma (il nostro contributo al ciclo universale) possiamo fare lo stesso:

    seguire il nostro, e non quello di qualcun altro, senza invidia o presunzione, ci

    permette di incanalare le nostre energie nel ciclo cosmico e di riceverne da

    esso di più propizie a noi, invece di crearci problemi noi stessi, cercando di

    seguire ciò che non ci rispecchia davvero. Tutto è amore, lo diceva anche

    Einstein. Tutto è energia. Tutto è Dio. Solo cercando di abbandonarci col cuore

    e non con le parole a questo, si può ottenere di ricongiungerci a lui. E a noi.

    Come si fa? Come si possono abbandonare gli schemi mentali che ci

    precludono di aprirci alla fede? Come si può arrivare a trovare se stessi in quel

    processo di individuazione che Jung dice essere basilare per l’integrazione di

    ogni nostra parte?

    Accettando, facendone esperienza, che esiste un testimone dentro di noi: no,

    non chiamiamolo, per carità, anima, noi materialisti, figli della Milano da bere.

    Chiamiamolo un po’ come vogliamo, chiamatelo come faccio io che no non

    posso certo sentire che una forma personalistica del divino possa, quando il

    tempo lo richiede, scendere sulla terra a riportare l’ordine infranto. Per la mia

    forma mentis è più accettabile che arrivi un virus a farlo, ma no, per carità, un

    Dio fatto a persona no. Non ci avevo mai pensato: come mai, per me, il divino

    può manifestarsi in ogni forma di energia naturale, magari anche negli animali,

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    25

    sicuramente nelle mucche, ma non in una persona? Dovrò lavorare su questa

    mia preclusione mentale.

    In ogni caso, possiamo anche non chiamarla in nessun modo questa parte di

    noi in grado di osservare ciò che succede fuori e dentro di noi, ma sappiamo

    bene che c’è, se solo ci permettiamo di farne esperienza.

    E com’è che è fatta questa cosa che ci osserva?

    II.17 Ciò che pervade il corpo è indistruttibile. II.16 Non c’è cambiamento nell’eterno. II.14 Effimeri, gioie e dolori vanno e vengono come l’estate e l’inverno […] bisogna imparare a tollerarli senza esserne disturbati.

    Non essere disturbati da gioie e dolori ci rende equanimi. Che spesso viene

    confuso con fredda indifferenza. Ma l’equanimità non ci rende insensibili, anzi:

    ci permette di provare ancora più profondamente le emozioni e di tollerarle,

    sapendo che tutto passa davvero.

    Il mio primo guru fu mia nonna. Ricorderò tutta la vita quando, vedendo che i

    miei attacchi di panico non parevano migliorare dopo che persi il mio migliore

    amico stecchito sotto un ascensore e dopo che, a partire da lì, la mia vita

    cominciò irrefrenabilmente a cambiare, mi fissò negli occhi dicendomi che col

    tempo passa tutto. Santa donna, che aveva perso un marito, un figlio, una

    nipote, che vedeva, tutti i giorni, la sofferenza della mia famiglia scivolarle

    dalle mani per continuare a crescere, mentre cercava di tamponare come

    poteva la carenza d’amore e di sicurezze mie e di mio fratello. Mi illuminò.

    Passa davvero tutto col tempo. Col tempo, tutto, si trasforma. E non è che

    diventiamo insensibili, a rimanere impassibili ed equanimi. Non lo si sarà mai

    del tutto finché saremo incapsulati in questo corpo. Ed è anche bello che sia

    così. Ma qualcosa non cambia, qualcosa rimane immutabile, intoccabile: quel

    qualcosa che non solo ci guarda, ma alla quale possiamo tornare per sentirci a

    casa, avvolti nell’abbraccio di una mamma accogliente, stretti nelle braccia

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

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    della sicurezza di un padre protettivo. Per carità non chiamiamola anima, io

    non ce la faccio proprio, ma mio Dio che pace mi dà affidarmi a lei, osservare i

    miei pendoli di umori, i miei automatismi all’opera, il mio sentirmi

    perennemente rifiutata anche in circostanze in cui non c’entra niente … le

    nostre maschere non le costruiamo solo per proteggerci o per pavoneggiarci,

    sono anche tutte quelle false attitudini che ci portano a sottovalutarci, a

    sentirci sempre messi da parte ecc. Ognuno ha le sue, no?

    Io sono solo all'inizio, e so benissimo che le mie maschere stanno solo più o

    meno vacillando e che forse ne ho persa solo una e chissà quante vite avrò4

    ancora davanti, ma è una gioia tale sentirmi così, che non ha prezzo.

    Credo nell’anima? Devo ammettere che la mia impalcatura materialista stride

    ancora un pochino ad usare queste terminologie che mi fanno scattare

    associazioni mentali automatiche: religione, bigotti, gregge, ignoranza…

    Quanto io sono parte del gregge dalla parte opposta, quanto io sono ignorante,

    perché ancora così poco capace di usare la mia intelligenza se non in modo

    logico.

    Ma quanto qualcosa risuona in me nel leggere e rileggere gli shloka 23 e 24 di

    questo magico libro:

    II.23 Nessun’arma può ferire l’anima né il fuoco bruciarla, l’acqua non può bagnarla né seccarla. II.24 […] non può essere consumata né bruciata. È immortale, presente ovunque, inalterabile, inamovibile ed eternamente la stessa.

    Qualcosa risuona, qualcosa mi calma anche quando sono agitata. L’anima è

    eternamente la stessa: mi sembra di vedere mia nonna che mi sorride dalle

    nuvole. Io associo a lei questo concetto di eternità immutabile. Così il mio

    4 Sì, alla reincarnazione ci credo, non so perché ma la morte non mi spaventa, anzi devo dire che dopo aver intrapreso questo cammino con questa nuova luce ad illuminarne la via, sono anche curiosa di vedere cosa mi aspetterà varcata la soglia di una nuova vita. Magari sarò davvero un bramino o un monaco: quanto sarei felice di poter passare la mia vita a dedicarmi allo studio e alla crescita spirituale senza dover togliere tempo allo mio sva-dharma, perché sarebbe proprio quello.

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

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    apparato psichico riesce a percepire qualcosa che altrimenti gli sfuggirebbe,

    proprio perché non attrezzato per farlo.

    Se non procedi per gradi, la strumentazione che hai a disposizione non sarà

    sufficiente per cogliere ciò che la vita ti rivela. Per questo gli step che Krishna

    fa fare ad Arjuna nel corso della Bhagavad Gita sono tutti propedeutici. Per

    questo anche scrivendo questo libricino ogni giorno affronto uno step nuovo

    anche io, pur continuando a tornare sugli stessi, come in una spirale - e qui

    non posso non citarvi un’altra figura di riferimento della mia vita, la monaca

    croata Didi Ananda, che mi rivelò questa sacrosanta verità: si torna di continuo

    sugli stessi nodi ma da una prospettiva più alta, come in una continua scala a

    chiocciola in cui i gradini continuano a salire, ma girando gli uni sopra agli

    altri…

    In effetti anche Krishna lo dice: l’anima è acintyah (inconcepibile).

    II.25 L’anima è invisibile, inconcepibile e immutabile. […] L’adiguru qui cerca di convincere il suo amico, ormai discepolo, a non

    preoccuparsi del fatto di uccidere, nemmeno i suoi familiari, perché in realtà

    non ucciderà se non il corpo, il mezzo che le anime usano per fare esperienze

    qui sulla terra, per poi tornare a fondersi in Iswara, o continuare il ciclo delle

    rinascite, se non si sceglie di integrare i nostri lati luminosi con le nostre

    ombre.5

    E come si fa a non preoccuparsi di una cosa del genere?? Come si fa a fondersi

    con Iswara e non continuare a il ciclo del samsara?

    Con lo yoga!!! Ma non con lo yoga che noi milanesi della Milano da bere

    conosciamo così bene perché fa andare via la cellulite e perché sta andando

    così di moda – tra l’altro avete visto che belli i nuovi leggins di Oysho?

    Lo yoga non sono solo asana. Negli yoga sutra di Patanjali, queste sono solo

    una delle 8 parti del sistema yogico e lo yoga, tra i darshana (le scuole di 5 Qui ci sarebbe tutto il discorso della capacità della volontà di attivarsi o meno in quei sistemi nervosi in cui, neurobiologicamente parlando, le parti del cervello adibite a questa facoltà sono disattivate da traumi piccoli o grandi che siano – d’altronde il SN reagisce allo stesso modo in ogni situazione di pericolo, inibendo la capacità di attivazione di certe zone del cervello, e se le esperienze sono ripetute la disattivazione diventa cronica. E allora forse la fede qui potrebbe fare davvero la differenza…

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    28

    conoscenza riconosciute come tali, letteralmente “visioni”), viene considerato

    proprio la sezione del sapere relativo alla psicologia.

    Con lo yoga si può cercare di dominare la mente, quella che io chiamo

    simpaticamente, lavatrice mentale.

    Non fare i capricci, non lamentarti e agisci in base a quello che devi fare

    quando lo devi fare; quando le tue parti buie cercano di tirarti giù, fai quello

    che devi: osservale, impugna il tridente di Shiva, combattile e decapitale come

    Kali per poter trascendere la loro energia e trovare l’equilibrio tra gli opposti in

    cui consiste appunto lo yoga. Non rinnegare i tuoi comportamenti negativi né

    tanto meno crogiolati in essi, assecondandoli con la scusa di doversi accettare

    in toto. Usa uno sforzo costante, una pratica costante, segui l’esercizio

    costante di osservazione del tuo io all’opera e trova il tuo modo di integrarti e il

    tuo posto nel mondo.

    Se ci si concentra su questa forza indivisibile che è l’anima (o chiamiamola

    come preferiamo – questo lo sto dicendo alla mia manas = mente che già

    stava per metterci becco), si riesce piano a liberarsi dalle dualità, dall’idea di

    vincita-perdita, successo-insuccesso ecc.

    L’offrire le nostre azioni al ciclo universale è un buon modo per far pratica: non

    pensare a quello che ti tornerà indietro, ma agisci come fossi la pioggia che

    deve solo cadere perché la terra produca i suoi frutti. Tu cosa devi fare qui ed

    ora per contribuire al ciclo cosmico? Fallo e non pensare ai risultati – beh qui

    posso però garantire per certo che, come per magia, quando cominci ad agire

    così, qualcosa di magico succede e i risultati avvengono eccome, magari non

    quelli che avresti voluto, ma chi lo sa… magari di migliori!

    II.46 Simile a una grande distesa d’acqua che adempie tutte le funzioni di un pozzo, il vero fine dei Veda procura a chi lo conosce tutti i benefici che derivano dai Veda. Anche se:

    II.42-43 Le persone di scarsa conoscenza sono molto attratte dal linguaggio fiorito dei Veda, che raccomandano la pratica di varie attività interessate per accedere ai

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    29

    pianeti celesti, rinascere in condizioni favorevoli e acquisire potere e altri benefici. Avide Di godimenti materiali e di ricchezze, esse non vedono niente di superiore. Le persone di scarsa conoscenza sono molto attratte dal linguaggio fiorito dei

    Veda, che raccomandano la pratica di varie attività interessate per accedere ai

    pianeti celesti, rinascere in condizioni favorevoli e acquisire potere ed altri

    benefici. Avide di godimenti materiali e di ricchezze, esse non vedono niente di

    superiore.

    Ma solo chi è libero da questi attaccamenti alle cose materiali, a ciò che,

    fondamentalmente, arriva dai sensi– l’anima come la percepiamo? Non la

    tocchiamo, non la vediamo, non ha un profumo, né una consistenza; solo chi è

    rivolto solo all’anima e a partire da essa al divino (eccola la mia mente

    razionale che si intromette e immagino anche la vostra), può dirsi davvero un

    saggio dalla mente ferma (II.56).

    II.58 Chi è in grado di ritrarre i sensi dai loro oggetti, come una tartaruga ritrae le membra all’interno della corazza, è fermamente stabilito nella perfetta conoscenza.

    È come se piano piano, la nostra attenzione e il nostro piacere si spostassero

    su altro (II.59).

    Un po’ la cosa mi spaventa… già uscivo poco prima, chissà che tornerò a

    vedere i miei amici qualche volta, ora che ho quest’idea di trasferirmi a vivere

    a contatto con la terra e questa irrefrenabile voglia di stare sempre più ore

    della mia giornata immersa in questa sensazione magica che provo stando qui

    a scrivere, pensando, tra le righe, a come trovare i soldi per autopubblicare

    questo libretto per poterlo lasciare gratis in giro …

    Già la mia vocina si sfrega le mani: dai che magari a sto giro sfondi con sto

    libretto, e anche gli altri tuoi libri cominceranno finalmente a vendere... Ma

    muchela. Se sarà sarà. Ok, non mi dispiacerebbe mica aver soldi in più da

    poter investire per me e per il mio scopo nel mondo. Ma a sto giro voglio solo

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    30

    farlo perché è quello che so fare, almeno così mi dicono: trasmettere ciò che

    sento dentro, anche scrivendo.

    Se il nostro unico scopo nella vita diventa la salvezza, capiamo bene che

    possiamo continuare ad agire e a vivere nel mondo, ma con un obiettivo più

    elevato rispetto a quelli materiali. Non si tratta di privarsene, ma di “usarli”

    come mezzi e non come fine. Anche le persone? Non si tratta di usare le

    persone, ma di distaccarsi dall’idea di possesso che ne abbiamo e che ci porta

    a vincolare le nostre azioni a questa idea che loro dovrebbero renderci felici e

    che noi dovremmo fare lo stesso, che noi dovremmo, che loro dovrebbero… ma

    se vogliamo lo stesso fine comune per noi e per loro, nessuno può desiderare

    nulla di più elevato che il tentativo di spingersi insieme all’autorealizzazione.

    Cos’è quindi lo yoga?

    II.50 Chi è unito alla saggezza cosmica, si libera delle conseguenze buone o cattive dell’azione in questa vita stessa. Sforzati dunque di apprendere lo yoga, l’arte dell’agire. II.48 Compi il tuo dovere con spirito equilibrato, o Arjuna, senza attaccamento al successo o al fallimento. Tali equanimità si chiama yoga.

    Da questa nuova visione del mondo e di vita, le nostre azioni possono

    cominciare ad essere un po’ meno attaccate al risultato. Tanto l’anima rimane

    uguale in ogni caso, quindi che ci importa di quello che arriva o non arriva

    agendo o non agendo in un certo modo?

    Mmmm meglio aspettare ad affrontare questo argomento, perché sento anche

    io stridere qualcosa dentro di me, se pur, devo ammetterlo, aver cambiato il

    mio modo di impostare le mie azioni, prima di agirle, mi sta gradualmente

    abituando a questa grande legge universale del non attaccamento al frutto

    dell’azione.

    Ma ancora la mia razionalità automatica prende spesso il sopravvento e mi

    pone dei freni ad agire così. Io la lascio fare, sento il fastidio che mi procura e

    il modo subdolo con cui cerca di farmi vacillare. Ho passato una vita a

    giustificare il fatto che tutto quello che facessi lo facevo da una parte per avere

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    31

    in cambio amore, dato che non ne avevo mai avuto abbastanza, e dall’altro per

    avere una sicurezza economica che mi garantisse non solo una stabilità

    finanziaria ma anche emotiva, dato che anche lì non mi ero mai sentita sicura

    da nessun punto di vista.

    E quindi sì, ho passato la vita ad agire per i frutti delle azioni. Giustificavo

    razionalmente questo mio modo di agire, studiando il sistema nervoso, che mi

    spiegava perché i miei automatismi derivati dalle mie impressioni permanenti

    della mente (ciò che potrebbero essere considerati i samskara) fossero

    biologicamente fondati. E allora era normale che io mi comportassi così perché

    programmata dalle mie cellule e dalle loro reazioni ad agire così. Capivo

    esattamente perché fossi progettata in questo modo e anche perché

    continuassi a sentire lo stridio delle mie reazioni, anche se già da tempo riesco

    a non metterle più in atto. Ma se qualcosa che senti non viene agito, anche se

    non lo ributti nell’inconscio, rimane lo stesso vivo dentro di te e non ti

    permette di integrarti. Non davvero. Non mi basavo ancora, e ora riesco solo a

    farlo a sprazzi, su quella che più avanti Krishna spiegherà essere il vero

    carburante delle azioni – la motivazione in linea con la conoscenza universale.

    Ma i miei primi step li ho fatti anche io così: con il karma yoga, lo yoga

    dell’azione senza l’attaccamento ai frutti dell’azione stessa.

    Ho iniziato a fare cose semplici come cambiare le lenzuola o cucinare,

    pensando e sentendo di farlo per un ospite che non vedevo l’ora arrivasse.

    Facevo quello che dovevo fare in quel momento, senza fare i capricci perché

    magari avrei preferito fare altro, ma lo facevo come se fosse la cosa più bella

    in quel momento; e lo diventava davvero perché in quel momento era quello

    che dovevo fare, come Arjuna nel Kurushetra.

    Tutti i giorni, più volte al giorno, siamo portati a non volere fare certe cose, per

    fastidio o perché già proiettati al dopo o perché fissati sul prima, siamo, tutti i

    giorni e più volte al giorno, portati a combattere con noi stessi per integrare e

    sublimare quelle sensazioni negative che altrimenti, ci lascerebbero sfiniti come

    Arjuna alla fine del capitolo precedente.

    Ma se siamo arrivati fin qui, è un buon segno no?

    Magari riusciamo a sopportare anche il capitolo successivo!

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    32

    3. AGISCI!

    Il modo spirituale di vivere descritto nel libro precedente, ciò che permette di

    allontanarsi dagli oggetti dei sensi per ritrovare l’equilibrio dell’immutabilità

    della coscienza (questa, di etichetta, stride meno con la mia razionalità…),

    come la tartaruga che si ritrae nel guscio per proteggersi dalle aggressioni

    esterne, ha bisogno, come ogni cosa di essere esercitato.

    Non si può rinunciare ai piaceri dei sensi dall’oggi al domani, non basta volerlo:

    e poi, diciamocelo, chi lo vuole fare davvero?

    Sembra un controsenso: siamo stati cresciuti e siamo abituati all’idea che siano

    essi a renderci felici: da un lato ci hanno insegnato a doverli soddisfare,

    dall’altro a farlo, ma non troppo, anzi a volte non si deve proprio, quindi la

    lotta è ancora più ardua. A volte si devono assecondare, ma altre volte proprio

    no, quindi meglio obbligarsi a non assecondarli per niente, sottoponendoci a

    uno sforzo immane per rinunciare a ciò che, così, continua però ad agire ad un

    altro livello.

    Certo, costringendoci a diete, a massacrarci di sport, a privarci di cose che

    sotto sotto vorremmo fare, si può anche arriavre a vivere fisicamente

    (materialmente) meglio ed avere risultati a livello fisico e di salute, ma che ne

    è dell’altro aspetto6? Di quello non materiale/fisico?

    Solo cercando di render tale aspetto spirituale la nostra meta principale, senza

    disperdere, almeno non troppo, energie e pensieri in altre direzioni, potremo

    uscire dalla confusione che deriva dalla rabbia di non riuscire a questi nostri

    desideri; anche quando lo facciamo, in genere si diventa avidi e se ne vogliono

    altri, sempre di più, senza accorgersi che meno si ha, meno bisogni si hanno e

    che la ricchezza e la soddisfazione crescono a dismisura laddove non ci si crei

    la falsa speranza di poterle ottenere con ciò che ha un inizio e una fine. Perché,

    una volta raggiunto un obiettivo, ne vogliamo un altro, sempre di più, sempre

    di più…

    6 III.6 L'individuo che controlla con la forza gli organi dell'azione, ma la cui mente ruota intorno ai pensieri degli oggetti dei sensi, viene chiamato ipocrita, uno che inganna se stesso

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    33

    Questo non vuol dire eliminare il piacere di avere delle mete, ma trascenderlo.

    Con la buddhi si può fare una scelta consapevole per oltrepassare i sensi e

    sostituire al desiderio che da essi emana, l’ananda, la spinta a fondersi con

    l’energia cosmica, ritrovandola anche qui, sulla terra. Non occorre fuggire il

    mondo, ma non farsene travolgere. Non occorre rinunciare ai piaceri, ma

    reindizzare l’energia degli input che arrivano dai sensi, verso un obiettivo più

    stabile e meno illusorio, non perché non esistano tali mete, ma perché appunto

    non sono eterne. Tutto ciò che ha un inizio e una fine è causa di sofferenza se

    ci si attacca ad esso e non a ciò che ad esso sta dietro: quindi la domanda è se

    vogliamo davvero o no smetterla di soffrire! E non per moralismi o per frasi

    fatte, ma semplicemente perché la vita è più bella se vissuta senza sofferenza,

    no?

    V.22 La persona intelligente non indugia mai nei piaceri generati dal contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi. Non se ne compiace, o figlio di Kunti, perché essi hanno un inizio e una fine, e sono portatori di sofferenza.

    L’anima, ops, la coscienza, non ha inizio né fine, è eterna e immutabile. Come

    mi piace la sensazione che lascia dentro di me questa parole: immutabile. Che

    non vuol dire indifferente, ma intoccata, come il quarto chakra, proprio quello

    associato all’amore inteso come espansione. Di che? Di questa energia che

    tutti ci governa. L’amore? Sì, si può definire anche così.

    Ma se dunque i sensi sono così potenti da distogliere la nostra capacità

    intellettiva (II.69), come si può conseguire un’igiene mentale che ci permetta

    di mantenere l’attenzione su altro?

    La meditazione sicuramente aiuta nello spostare il nostro radar verso altre

    calamite, e aiuta anche nel creare nuovi percorsi neurali che ci aprano la

    possibilità di fare l’upgrade del nostro apparato psichico per afferrare altri tipi

    di conoscenze.

    II.61 Chi frena i sensi tenendoli sotto controllo e assorbe la coscienza in Me dà certamente prova di un’intelligenza ferma.

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    34

    II.62 Contemplando gli oggetti dei sensi (visayan) nasce l’attaccamento (sangah), dall’attaccamento nasce la cupidigia (kama), dalla cupidigia la collera (krodha). II.63 Dalla collera nasce l’illusione (moha) e dall’illusione la confusione della memoria. Quando la memoria è confusa, l’intelligenza è persa e allora si cade di nuovo nella palude dell’esistenza materiale.

    Quindi le azioni che facciamo possono continuare ad alimentare queste smanie

    di attaccamento a ciò che ci piace e di repulsione di ciò che non ci piace, ma

    possono anche liberarcene!

    Il segreto non è non agire, ma non lasciarsi influenzare da queste bandiere che

    sono i nostri umori e i nostri desideri, per trascenderli e integrarli (e integrarsi)

    nel flusso della vita dove ogni cosa scorre senza che ci si debba sforzare.

    Eh, la fai facile, se mollare il controllo facesse andare bene le cose, lo

    farebbero tutti.

    In realtà non è facile per niente, perché non siamo abituati a non voler

    controllare e ad abbandonarci, non siamo abituati a non essere attaccati al

    frutto delle azioni, non siamo abituati a non farci influenzare dai nostri desideri.

    Quindi sì, mollare il controllo fa andare bene le cose, ma, no, non è una cosa

    facile da fare.

    Agire con distacco vuol dire proprio rinunciare al desiderio egoico connesso

    all’azione stessa, e sacrificare (nel significato che yajna= sacrificio ha, ovvero

    azione atta a mantenere l’ordine universale) l’azione stessa all’energia

    cosmica.

    Ma lo so, non ci basta, vogliamo avere la garanzia che serva a qualcosa anche

    a livello egoico, per lo meno inizialmente.

    E infatti i Veda prescrivono i sacrifici perché il loro compimento procurerà tutti i

    benefici necessari per vivere serenamente e ottenere la liberazione (III.10):

    ma essi alla fine servono per diventare pian pian coscienti del divino e del suo

    ciclo, per poter, pian piano, cominciare a sacrificare anche altro, sempre con lo

    stesso fine (il mantenimento di ritam, l’ordine universale). Se i sacrifici (veri o

    metaforici) non vengono fatti per innalzare la nostra consapevolezza interiore,

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    35

    il nostro legame con Krishna che rappresenta appunto una metafora della

    coscienza o anima cosmica (chiamiamola così, se non riusciamo con la nostra

    strumentazione psicofisica a concepire che Krishna sia effettivamente

    l’espressione umana del divino sceso in terra, come anche Gesù), rimangono

    dei puri atti esteriori, solo dei codici morali.

    III.11 Soddisfatti dai vostri sacrifici, i deva a loro volta vi soddisferanno e da questi scambi reciproci nascerà per tutti la prosperità.

    Quindi occorre agire, agire, agire. Occorre continuare a fare ciò che dobbiamo

    fare. Ma in modo diverso: al di sopra delle dualità, senza pensare al risultato.

    Sì, lo so, proprio l’opposto di ciò che ci insegna il nostro scoppiettante modo di

    vivere… E che vi devo dire, mica l’ho deciso io!

    Io so solo che da quando ho switchato approccio, sto molto meglio (non prendo

    nemmeno più la pillola per la pressione alta che la mia patologia ai reni mi

    procurava: sono matta? Forse, ma ora ce l’ho talmente bassa che sarei più

    pazza a prenderla e a procurarmi svenimenti probabilmente…).

    Continuiamo quindi a fare quello che dobbiamo fare, ma sentendo in noi, per

    viverli, i precetti che la BG ci insegna.

    Nessuno in questo mondo può non agire: l’azione è il modo in cui entriamo a

    far parte della ruota della vita e ciò che dobbiamo fare è dettato da ciò che

    siamo, anche dai nostri condizionamenti.

    III.5 In verità nessuno può rimanere neppure un momento senza agire; perché le qualità dell’agire costringono ad agire, che lo si voglia o no.

    III.33 Anche una persona di conoscenza agisce secondo la propria natura, perché ognuno segue l’indole acquisita a contatto con i tre guna. A che serve dunque reprimerla?

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    36

    Ognuno ha i propri condizionamenti, la propria natura7 da integrare in se

    stesso, ma è così piacevole poter sentire che ognuno può contribuire al tutto,

    semplicemente, essendo. Essendo cosa? Se stessi.

    Ci sono vie diverse per raggiungere lo stesso fine, ognuno può seguire quella

    più adatta al suo modo di essere e al suo livello di consapevolezza (verranno

    dispiegate meglio via via che il libro procede), ma lo yoga dell’azione credo che

    sia quello più adatto a tutti noi occidentali: io ho fatto una fatica assurda

    cercando di seguire lo jnana yoga, quello della conoscenza, perché sicuramente

    non ero pronta per questa conoscenza, anche se la mia bulimia conoscitiva mi

    portava a fagocitare informazioni che solo dopo aaaaaanni sono riuscita a

    interiorizzare. Se fossi stata un po’ più umile sarei partita da qui, da quello che

    sto seguendo ora: il naishkarmya. Così mi sento davvero parte del tutto, senza

    presunzione e senza mortificarmi.

    Anche questo libro fa parte di ciò che posso fare senza pensare ai frutti

    dell’azione, ma spinta da una motivazione meno basata sulle mie necessità e

    più sulle mie innate capacità. E dedicarmici ore e ore tutti i giorni per riuscire a

    scrivere un capitolo al giorno e magari portarlo in giro per quando la nostra

    scoppiettante vita tornerà a fagocitarci dopo questo lockdown che per me è

    stata una benedizione, mi fa sentire semplicemente a posto, perché, come la

    pioggia,8 anche io sto facendo quello che so fare. Mi sono sempre sentita

    presuntuosa nel riconoscere i miei talenti, eppure son sempre stata così brava

    a cercare di infondere sicurezza negli altri riguardo ai propri, che per una volta

    ho deciso di essere equanime anche verso di me: se anche io sono della stessa

    energia che vedo negli altri, posso prendermi cura di questa mia energia con la

    stessa accoglienza con cui cerco di farlo anche con gli altri appunto.

    7 La filosofia e psicologia indovediche fanno scaturire la natura del singolo da tre modalità diverse di manifestazione dell’energia: la maggior presa che una di esse ha, determina il nostro carattere di base. Questi tre guna, o condizionamenti, interpretano con un alfabeto diverso ciò che la nostra psicologia spiega con quelle tendenze dettate dai nostri primi imprinting emotivi, che si ripercuotono su di noi per tutta la vita, caratterizzandoci come determinate personalità psicologiche. 8 III.14 Il corpo di tutti gli esseri trova sostentamento nei cereali, che crescono grazie alle piogge. Le piogge sono prodotte dal compimento di sacrifici, che a loro volta nascono dai doveri prescritti.III.18 Chi ha realizzato la propria identità spirituale non ha interessi personali nell’adempiere i doveri prescritti, né ha motivo di sfuggire a questi obblighi […]

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    37

    III.36 È meglio compiere il proprio dovere, anche se in modo imperfetto, che compiere perfettamente quello di un altro. È meglio fallire svolgendo il proprio dovere che assumersi il dovere di un altro, perché seguire l’altrui via è molto pericoloso.

    Ma cos’è che allora ci distoglie dal seguire la nostra vera natura? Cosa ci

    spinge a non entrare nel cerchio della vita e in ciò che Deepak Chopra definisce

    sincrodestino (questa capacità di entrare nel flusso cosmico in cui le azioni e le

    intenzioni del singolo si allineano a quelle dell’Universo, sostenendosi a

    vicenda)? Perché non ci viene spontaneo? Che cosa spinge una persona a

    peccare (il peccato va inteso come azione non allineata all’ordine cosmico, non

    in senso strettamente moralistico), anche contro la sua volontà, come se vi

    fosse costretta? (II.36)

    Arjuna fa la stessa domanda al suo guru che così risponde:

    III.37 È il desiderio soltanto, o Arjuna […] è il grande peccato che tutto divora, il peggiore dei nemici.

    Il desiderio copre l’uomo che vive condizionato dai piaceri dei soli oggetti non

    spirituali, come la polvere copre per sua natura gli specchi e il fumo il fuoco

    (III.39). È una cosa naturale e non è che non debba esistere, è che possiamo

    davvero invertirne la tendenza.

    E se state leggendo questo libricino, siete un pochino d’accordo anche voi che

    qualcosa da qualche parte debba cambiare.

    La nostra consapevolezza può crescere solo se ci liberiamo di questi desideri

    egoici: possiamo farcela usando in maniera diversa quella parte del nostro

    apparato psichico9 che corrisponde all’intelligenza perchè con essa possiamo

    trascendere verso altro (nirdvando) l’energia psichica in genere attratta dagli

    oggetti dei sensi.

    9 Chit è composta da i sensi (indriya), la mente (manas) e l’intelligenza (buddhi): operano in concomitanza per darci la percezione del mondo esteriore, ma la buddhi può essere direzionata anche verso l’interno. Certo deve anche essere rivolta al mondo esteriore, dato che ci abitiamo, ma può decidere quali input trattenere e quali lasciare andare, può selezionare come usarli e come trasformarli. Questo richiede una pratica tenace e costante di cui Krishna parlerà nel capitolo VI.

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    38

    Anche questo è dimostrato dalla fisica quantistica: se si scompone la materia,

    alla fine ciò che rimane è energia (shakti). Questa energia è emanata sia dagli

    oggetti dei sensi che da quelli non percepibili coi sensi (in genere si pensa che

    ciò che non si può toccare, vedere, sentire, non esista): da ogni oggetto si

    emanano onde, fasci di energia psichica che attraggono la mente e la

    avviluppano a loro, traducendo questo attaccamento in comportamenti coatti. I

    contenuti dell’oggetto su cui si è attratti, fluiscono nel soggetto attratto,

    influenzandone il campo mentale. Ma allora si può ben cambiare il campo,

    cambiando l’oggetto su cui ci si concentra! Facile? No. Ovviamente. Se no tutti

    lo farebbero davvero. E allora perché farlo?

    Perché è bello, ti fa star bene, perché è davvero la via del ritorno a casa,

    perché TI CAMBIA LA VITA!

    La meditazione e il permettere alla mente di lasciarsi attrarre da altro oltre che

    dagli oggetti/emozioni percepibili coi sensi, se visti in questi termini possono

    anche diventare un “gioco”: una sorta di allenamento mentale avanzato

    rispetto alla settimana enigmistica, perché non allena i soliti circuiti neurali, ma

    ne crea in continuo di nuovi.

    E se ogni volta vacilliamo perché ci sembra di non procedere o, addirittura, di

    tornare indietro, e ci blocchiamo, ricordiamoci che le conseguenze della

    mancanza d’azione sono l’infamia e il disonore (II.34): nella fattispecie se ci

    tiriamo indietro ogni volta che i nostri dubbi razionali ci prendono, disonoriamo

    noi stessi, quella parte di noi che è una meraviglia, l’anima.

    Quando questi momenti arrivano, perché arrivano sempre, possiamo

    pazientemente tornare a cercare quella conoscenza che dissipi le tenebre

    dell’ignoranza. E magari aiutarci con un mantra come questo, affidandoci con

    fede alla capacità del divino di soccorrerci se solo glielo lasciamo fare.

    Om Asato Maa Sad-Gamaya

    Tamaso Maa Jyotir-Gamaya

    Mrtyor-Maa Amrtam-Gamaya

    Om Shaanti Shaanti Shaanti

    Portami dall’irrealtà alla verità

    Dall’oscurità alla luce

    Dalla morte all’immortalità

    Om Pace Pace Pace

  • Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita

    39

    Un pizzico di fede è a questo punto necessaria per poter proseguire, o per lo

    meno è necessario fare la scelta di voler modificare i propri parametri mentali

    (che poi è un altro modo per vedere la fede). La BG in effetti non è adatta a chi

    ha dubbi e a chi non crede (XVIII.67): ma io credo che chi, anche se dubbioso,

    ha una vocina dentro di sé, come l’ho avuta io, che gli sussurra che, forse ma

    forse, qualcosa può essere cambiato in un modo diverso da quelli perseguiti

    finora e che non portano mai ad una svolta definitiva, può anche provarci, ad

    assecondare questa fede. Se poi il mio esempio non sarà servito a nulla

    pazienza, magari potrà servire per trovare spunti di altro tipo o magari

    infonderà la voglia di approfondir il discorso lo stesso. Non credo di poter far

    cambiare idea a chi il cammino lo ha già intrapreso, anzi magari ci si potrebbe

    scambiare punti di riflessione!

    Se dunque questa arte dell’agire che è lo yoga ci aiuta a distogliere l’attenzione

    dal frutto delle azioni; se ritrarre i nostri sensi all’interno10 ci aiuta a liberarci

    dalla presa di kama e dai suoi frutti funesti, ira e avidità, come possiamo fare

    per seguire questa via?

    Appreso che i sensi interpretano la materia con l’aiuto della mente, ma che ad

    essi è superiore l’intelligenza, ovvero la capacità di trascendere e di scegliere

    su cosa concentrarsi, dal momento che l’anima è ancora più elevata di tutti

    questi componenti (III.42), non resta che seguire quanto ci dice Krishna

    nell’ultimo shloka di questo capitolo:

    III. 43 Sapendo che il sé trascende i sensi, la mente e l’intelligenza materiale, o Arjuna dalle potenti braccia, rendi sobria la tua mente con l’azione risoluta dell’intellige