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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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Il libro nasce dall’esperienza personale dell’autrice.
Non è un libro didattico, né un commentario e non ha la pretesa di essere
un’esegesi della Bhagavad Gita: è stato scritto per fornire degli spunti per
adattar gli insegnamenti trasmessi da Krishna ad Arjuna, alla vita di tutti i
giorni in una società come la nostra, apparentemente così lontana dalla
filosofia di vita induista.
È un monito per tornare ad ascoltare una parte di noi così spesso messa a
tacere: la nostra parte immateriale, quel vuoto tra un atomo e l’altro che in
realtà è così pieno…. Di cosa? Di ciò che tutti ci unisce: la vita.
II.48
Compi il tuo dovere con spirito equilibrato, o Arjuna, senza attaccamento al successo o al fallimento. Tali equanimità si chiama yoga.
A livello puramente razionale si può anche capire cosa sia, ma ciò che Krishna
fa con il suo amico Arjuna, è prenderlo per mano e insegnargli passo dopo
passo come avvicinarsi a quella conoscenza regia e segreta (raja e guhyam)
che, unica, ci permette di cambiare in modo definitivo il nostro agire,
liberandoci dai nostri automatismi. Conoscendo "il segreto dei segreti" (questa
conoscenza suprema) diamo a noi stessi la possibilità di rientrare a contatto
con quel flusso da cui tutti veniamo: solo lasciandoci andare ad esso possiamo
trovare chi siamo davvero, come strumenti di un’unica grande orchestra, che
solo in essa trovano la loro melodia. Che ha un sapore unico, quello della
felicità.
EINSTEIN Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c'è altra via. Questa non è Filosofia, questa è Fisica.
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Dedico questo progetto a te che mi hai spinto a fare i primi passi di questo
cammino che mi ha portato dallo yoga fin qui.
Sei stata la mia prima vera maestra, e tale rimarrai per sempre.
Grazie Gabriella, non sarei quella che sono se tu, con il tuo esempio, le tue
lezioni, le tue parole e le tue calmanti mani sul petto durante i miei travagliati
shavasana, non mi avessi trasmesso la magia dello yoga: mi hai dato la
speranza, ormai certezza, che la vita
può essere davvero meravigliosa…
… se solo gliene diamo la possibilità.
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La BG è un libro magico: ci corre in aiuto ogni volta che ne abbiamo bisogno.
Letta come metafora senza tempo di tutti quei momenti della nostra vita
quotidiana in cui siamo combattuti sul da farsi, anche nelle piccole cose,
leggerla ci insegna ogni volta a trovare la soluzione nel qui e ora, da un lato
cercando la vera conoscenza di ciò che è la vita, e dall’altro affidandoci senza
indugio a ciò che questa vita è.
Ogni volta che i nostri lati che in genere ficchiamo nell’inconscio tornano a
galla a parlarci e ci mandano in crisi - è normale che succeda, è il nostro modo
di essere progettati ed equipaggiati per questa vita - abbiamo due scelte:
rificcarli nell’inconscio e continuare a vivere arrabbiandoci per tutto, sentendoci
frustrati, abbandonati, non amati, mai all’altezza o, al contrario,
sopravvalutando tutte le situazioni, o possiamo decidere di ascoltarle, queste
nostre ombre, per cercare di integrarle in noi.
Ogni volta che dobbiamo fare una scelta o scegliere una nuova meta, e ci
sentiamo smarriti dai dubbi della mente, possiamo tornare a lei, alla
conoscenza regia e segreta in essa svelata, e fermarci a riflettere su quale
azione intraprendere e su come intraprenderla. Che tipo di sacrificio possiamo
fare perché il ciclo dell’universo venga nutrito e perché mi nutra?
Un’azione che ci riallinei all’energia da cui tutti proveniamo: chiamiamolo
divino, chiamiamolo amore, chiamiamola vita. È quella cosa lì che ci unisce
tutti come onde nello stesso mare, che fa sorgere il sole e tramontare le stelle,
che fa scendere la pioggia e nascere i bambini. Ed è anche (in) noi: la BG ci
insegna questo, a riallinearci a questo flusso, a tornare a casa, a sentirci noi
stessi, ad accogliere e ad accoglierci, trovando e accettando i nostri lati solari
ma anche quelli bui, per equilibrarli e donarli alla vita (divino, amore, energia
che dir si voglia).
Ma come per ogni cosa abbiamo bisogno di pratica ed esercizio per trovare
questo allineamento. E non importa quanto tempo ci vorrà, perché una volta
cominciato il processo, che comincia col cambiare la propria direzione d’arrivo,
la strada di per sé sarà già la nostra meta, dato che pian piano ci si libererà dai
pesi che ci portiamo addosso e se all’inizio faremo fatica, sarà solo una fatica
provvisoria perché la leggerezza non tarderà a farsi sentire.
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L’universo ci nutre se noi lo nutriamo.
Siamo tutti connessi come strumenti di una stessa orchestra. Abbiamo solo
bisogno di tempo per sintonizzarci e imparare a risuonare gli uni con gli altri e
col tutto: sintonizzazione degli affetti, fu definito questo processo dallo
psichiatra e psicanalista americano Stern, uno dei primi ad aprire le porte del
dialogo tra le scienze psicologiche e le neuroscienze. Siamo tutti parte della
stessa energia: abbiamo solo bisogno di tempo per liberare le dighe che ci
tengono separati da essa.
L’universo ci nutre se noi lo nutriamo.
La BG ci insegna, ogni volta che vacilliamo, a ritrovare la via smarrita.
Metafora delle razionalizzazioni che ci mettono continuamente i bastoni tra le
ruote sulla via verso la vera conoscenza, metafora della fede come nuovo
strumento della coscienza per trascendere il nostro apparato psicofisico e
vedere la realtà con altri occhi, metafora delle capacità del cervello di creare
nuovi percorsi neurali per tornare a fondersi in ciò che anche la fisica moderna
ha riconosciuto essere la fonte di tutto: shakti, energia, amore, dio, Iswara.
La BG ci insegna ad agire rettamente con azioni che comportino il sacrificio dei
loro frutti in qualcosa che non riguardi solo noi: azioni che trasformino le
nostre motivazioni di base, e che si basino proprio sull’idea che tutto è uno.
Anche la fisica lo dice quindi possiamo tranquillizzare la nostra parte razionale
che stride un po’ con discorsi spirituali di questo tipo.
L’azione è solo la parte finale di un processo che si basa prima sul pensiero,
che a sua volta si basa sulla molla (il desiderio) che ci spinge ad agire: se
questa molla si basa su desideri effimeri, non sbagliati ma semplicemente
transeunti, possiamo, con la forza della volontà e la nostra intelligenza
superiore, trascendere questi impulsi in un’energia più pura che sia mossa, sì
da un desiderio, ma da uno più in linea sia con il nostro vero sé , sia con la
forza della vita che in tutti scorre.
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Se non cambia l’approccio all’azione, ovvero se non cambia ciò che la spinge,
possiamo anche apparentemente raggiungere degli obiettivi, ma saranno
sempre transeunti: vogliamo una felicità immutabile e che non passi col
passare del tempo?
A noi la scelta!
Se la risposta è sì, beh allora posso garantire che la BG non solo ti aiuta, ma
che, letteralmente, ti cambia la vita!!
Premesse e ringraziamenti
Non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno, ma solo di pormi come prova
tangibile del fatto che si possa sempre cambiare rotta di vita. Non è mai troppo
tardi. Io l’ho cambiata con lo yoga e con un percorso di trasformazione
personale che mi ha portato ad essere felice. Aldilà delle crisi, piccole e grandi,
che sempre ci sono e sempre ci saranno.
Ho seguito e seguo tuttora gli insegnamenti di chi ne sa molto più di me e son
conscia di essere solo all’inizio, quindi questo non è un libro didattico, ma un
libro per condividere un’esperienza alchemica. Se qualcuno potrà trovare
spunto per se stesso, ne sarà valsa la pena!
Parlo di me solo perché mi viene più facile parlare di cose sentite e vissute
sulla mia pelle per poter trasmettere ciò che vorrei passare agli altri, ciò che i
miei maestri, questo magico libro e una pratica costante di osservazione delle
mie reazioni, mi hanno insegnato.
Ci saranno delle parole o concetti che magari non a tutti saranno familiari: ho
deciso di non specificarle per non fare troppa didattica, per lasciare scorrere la
lettura, dando comunque spunti di approfondimento per chi volesse farli. Mi
pare di aver messo tra parentesi il significato delle parole più ostiche, almeno
la prima volta che le cito. Per quello che so, rimango a disposizione per
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eventuali chiarimenti, come lo sono per qualsiasi approfondimento o consiglio,
confronto da parte di chiunque.
Per le citazioni degli shloka (versi) mi sono avvalsa di più edizioni, citate in
fondo. Ho talvolta cercato di dare interpretazioni personalizzate laddove
sentissi di esserne più o meno capace: non ho studiato il sanscrito, ma alcune
parole ho imparato a riconoscerle nei diversi shloka e, affidandomi alle diverse
traduzioni, commentari e lezioni seguite, ho cercato di trovare come potessero
risuonare in me.
D’altronde il messaggio della BG è questo: renderci capaci di impugnare le
nostre armi della conoscenza sacra e fare ciò che è il nostro compito
nell’ingranaggio della vita.
Non vi segnalo la bibliografia che mi ha portata a condensare le mie esperienze
fin al punto dove sono arrivata, e da cui riparto aggiungendo un tassello in più
ogni giorno, per non tediare nessuno, rimanendo altresì disponibile per chi
volesse consigli al riguardo.
Consapevole dei limiti di questo mio scritto, ringrazio chiunque possa trarne
anche solo uno spunto di riflessione in più o un diverso punto di vista.
Ringrazio di cuore, con un’immensa sincera gratitudine, tutte le persone che
hanno accompagnato la realizzazione di questo mio libro e che hanno vissuto
con me questo lockdown: Silvia, Giorgia, Cristiana, l’eterna guerriera-sorella
Gabriella, Alessandra, Claudia. Il mio eterno migliore amico-fratello Max.
Ringrazio i miei maestri - Daniele, Tania, Daniele - e Elisabetta del centro
Bhaktivedanta; le mie storiche maestre di yoga Gabriella, Paola, Francesca,
che, con il loro esempio oltre che con le loro lezioni, mi hanno trasmesso
l’amore per lo yoga.
Ringrazio i miei genitori per il rapporto finalmente instaurato e che mi
permette di essere ancora più grata alla vita che loro mi hanno dato. Ringrazio
con tutto il mio cuore Naresh, per il nostro incondizionato affetto reciproco, per
i nostri scambi giornalieri dall’India che mi fanno sentire sempre più vicina a
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entrambi, e per avermi fatto conoscere il maestro Vivek: le sue lezioni hanno
portato luce laddove c’era ancora buio.
Un ringraziamento particolare a Cristiana per il suo estenuante lavoro di
editing e per i preziosi consigli, senza i quali questo libro non sarebbe mai stato
pronto in così poco tempo.
Infine, ma non per ultima, ringrazio sempre quella luce che brilla dentro di me
e che devo alla mia immortale nonnina: vive sempre qui, con me, con noi, in
questa meraviglia che è la vita.
Namasté.
Introduzione
Ero lì, a fissare le travi di legno del mio soppalco, in uno shavasana ad occhi
aperti, sospesa nel tempo e nello spazio, in attesa che Chelsey mi riportasse
allo stato di veglia dal sito di Yogainternational.com. Il lockdown me l’aveva
fatta amare ancora più di prima, lei, la amazzone yogin che trasmette con una
dolcezza senza confini la sua bellezza interiore nonostante quella esteriore: il
senso di forza ritrovata chissà dopo quali ferite è quasi palpabile nei suoi
frizzanti occhi amorevoli. Ero lì, sospesa nello spazio senza tempo di un
inconsueto shavasana, con gli occhi aperti ma non al mondo esteriore,
nonostante fissassi le travi di legno che mai come quel giorno mi erano parse
così belle, e non avevo nient’altro in mente che la voglia di gridare al mondo
che la BG ti cambia la vita!
Un’inesorabile spinta a non muovermi da dov’ero, lì, sotto un soppalco in via
Brioschi dove tutto finalmente era a posto senza bisogno di cercare altro,
durante la fase 2 del lockdown, senza più i miei lavori già precari prima e che
erano ormai diventati solo un vago ricordo da rimpiazzare con una nuova vita
più in linea con me, e un inafferrabile unico desiderio: condividere con chi
abbia orecchie per ascoltarlo e occhi per leggerlo, quello che stavo vivendo io,
una trasformazione interiore degna di una crisi coi fiocchi, una di quelle che ne
rispecchia l’origine etimologica: momento di scelta, di svolta, da cui, per lo
meno per me, era certo, non si fa più ritorno.
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Sì, lo devo ammettere, la mia irrefrenabile spinta di condividere con tutti la
possibilità di essere felici, felici davvero, in un mondo come il nostro dove
sembra che si faccia di tutto per cercare in tutti i modi di eliminare ciò che lo
impedisce piuttosto di cercare ciò che ci aiuterebbe ad esserlo davvero, era
anche dettata da un po’ di sano egoismo: il mondo sarebbe davvero un posto
migliore se tutti fossero felici e se tutti contribuissero a questo ciclo universale
che è la vita. Un po’ come fanno la pioggia, il sole, la terra e il vento che
lavorano in team per tener in vita il pianeta (e tutti noi…). Quindi sì, sono
altruista e amorevole, ma se tutti cercassero di lavorare su di sé per un bene
comune, vivrei nettamente meglio anche io!
E mentre me ne stavo lì, in attesa che la mia amata amazzone dagli occhi
amorevolmente frizzanti mi riportasse ad uno stato di veglia effettivo, non
avrei voluto essere da nessun’altra parte, non volevo nessuno al mio fianco,
non desideravo un figlio, un compagno, nemmeno di essere già in Liguria a
vivere a contatto con la terra o in India a dar da mangiare alle mucche col mio
amico bramino: non ne avevo bisogno, era tutto giusto e a posto così. Ero nel
flusso, ero nel cerchio della vita e dell’universo, ero dove dovevo essere e
come volevo essere, semplicemente essendo. Come la pioggia, il vento, la
terra, il sole. Ero all’interno del ciclo dell’universo.
E potevo contribuirci così: donando questo libro a chiunque senta una voce che
lo chiama da chissà dove sussurrandogli che forse la vita non è solo questo
frenetico correre e sbattersi da un angolo all’altro della città, che forse esiste
un modo per non dover tamponare le ansie, le insonnie, le crisi, quelle a cui
noi attribuiamo valore negativo perché sembrano scardinare i nostri punti
fermi, come se cambiare fosse una cosa da evitare a tutti i costi. Esiste. Ne
sono la prova vivente. Sfruttatemi come esempio. Non come esempio di vita
per carità! Ma come esempio del metodo che può cambiarti la vita! La
Bhagavad Gita mi chiedete? Sì. La Bhagavad Gita ti cambia davvero la vita. Un
po’ come lo yoga, la psicoterapia, le tecniche di presenza mentale… ma con
una marcia in più. Ciò che Krishna in questo magico libro rivela ad Arjuna è il
segreto dei segreti, una conoscenza raja (regia) e guhyam (segreta), su cui
tutta la nostra capacità di agire in modo consapevole dovrebbe basarsi: la
separazione tra materia e spirito. “Eccola qua, un’altra predicatrice invasata.”
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No, non lo sono. Sono figlia del cogito ergo sum, non sono battezzata e non
sono nemmeno diventata buddhista né Hare Krishna. Sì, è vero, insegno yoga
e meditazione, ma sono così figlia del mio mondo e del mio tempo che non
faccio che continuare a fare corsi sulla neurobiologia cellulare e su come
applicarla alle terapie basate sul corpo. I miei storici amici mi chiamano ancora
lince nonostante vada spesso in giro col bindi sulla fronte, e la cosa non mi
dispiace per niente, ora, perché mi ricorda di quanto siamo sempre liberi di
scegliere da che parte andare, quale azione intraprendere, come re-agire o se
agire.
E, sì, è vero, la fede fa la differenza: non avrei mai immaginato di poter dire
una cosa del genere (in effetti non avrei nemmeno pensato di poter insegnare
yoga e di sentire, se mi concentro, la stessa energia che scorre nella terra
scivolarmi lungo le gambe a partire dai piedi). La fede fa davvero la differenza,
perché quando ci arrivi, e non è che io mi ci abbandoni sempre – più che altro
non ci riesco se no lo farei più che volentieri ve lo assicuro – tutto ha senso
senza che tu abbia bisogno di darglielo razionalmente.
“Ma allora non ha senso, se non lo ha per la ragione.”
E chi lo dice? Chi lo dice che le capacità dell’emisfero sinistro siano sempre le
migliori? Non sto dicendo che dovremmo tutti vivere levitando per aria in stato
d’estasi perenne, ma che una via di scampo dai malesseri da cui tutti
cerchiamo di correre ai ripari, nei migliori dei casi, con pillole, psicologi, gruppi
d’aiuto, amici, la possiamo davvero trovare in noi. E in ciò da cui tutti noi
deriviamo. Ormai anche la fisica lo ha dimostrato: tutto è energia, tutti viviamo
in un campo quantico dove si entra in relazione con gli altri a seconda delle
frequenze vibrazionali che attirano a sé frequenze della stessa lunghezza
d’onda - la stessa cosa che succede quando canti mantra alzandoti quando si
alza anche il sole (altra cosa che non avrei mai pensato di poter fare e di cui
solo grazie al lockdown ho scoperto la potenza). Tutto è amore. Lo diceva già
Einstein. La fede, per lo meno per noi figli di questo mondo occidentale e
dell’epoca degli apericena, è questo: sentire, e non solo sapere, di essere parte
di qualcosa di più grande che ti nutre e al cui nutrimento puoi contribuire
anche tu, semplicemente abbandonandotici. Come?
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Beh, non ho la presunzione di poter esser per voi un Adiguru come Krishna per
Arjuna sul campo di battaglia, ma non ho nemmeno la presunzione di poter
scegliere un modo migliore di quello usato dall’avatar di Vishnu per cercare di
trasmetter ciò che ho imparato a partire dal mio viaggio in India a marzo, dal
mio rientro forzato in Italia, dal mio lockdown in totale solitudine in un
appartamento milanese al piano terra, interno, con le inferiate alle finestre,
dove batte il sole due ore al giorno (esattamente quando mangio e faccio la
pennichella: sì le giornate erano e sono eternamente lunghe anche per una a
cui piace studiare, preparare le lezioni, fare yoga e meditare), dalle mie lezioni
di vedic mantra, online, all’alba, con il mio amato bramino di Rishikesh, dalla
preparazione del mio terzo esame di filosofia indovedica (guarda caso sulla
Bhagavad Gita) e dalle lezioni su di essa con la mia così accogliente tutor Tania
e con quelle sempre da Rishikesh con un maestro che, con le sue risposte
puntualmente azzeccate, mi ha aiutato a fare il giro di boa, più di anni di
terapia.
“Fede, materia vs spirito, religione vs ateismo?” Quanti nasi storti … vedo già
il libro scivolarvi dalle mani perché “no, non fa proprio per me questo genere di
cose: non ho tempo, devo lavorare, pensare a mantenere la famiglia o a come
trovare i soldi per comprarmi una casa più grande…” ma una cosa non esclude
le altre. Anzi. Si possono fare benissimo tutte. E meglio. E poi se questo libro ti
è capitato tra le mani è perché un pochino anche tu la senti quella vocina che ti
domanda “ma non è che forse la vita non è solo questo frenetico correre e
sbattersi da un angolo all’altro della città? Non è che forse esiste un altro modo
per non dover tamponare le ansie, le insonnie, le crisi?”
Se non è così allora lascia pure giù questo libricino perché ti tedierebbe
oltremodo.
Se no leggilo, tutto d’un fiato, o un capitolo al giorno o come vuoi tu. Ma fallo
in ordine, perché, come dicevo, non ho la presunzione di poter trovare un
modo migliore per approcciare il delicato discorso della divisione tra materia e
spirito, di quello con cui Krishna svela al suo amico-discepolo la conoscenza
regia e segreta, in progressione, capitolo dopo capitolo, dandogli input via via
sempre più adatti al suo nuovo livello di consapevolezza. Come se gli fornisse
via via dei remi sempre maggiori in funzione delle dimensioni della barca che
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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contiene le sue sempre maggiori conoscenze. Ogni strumento serve solo per
traghettarti oltre, anche la religione.
Quindi cercherò di fare il mio, in questo ciclo della vita, donando ai miei simili,
ai milanesi sempre di corsa, agli occidentali sempre in controllo, ai razionalisti
senza anima, libro dopo libro, shloka (verso) dopo shloka, ciò che mi hanno
trasmesso i miei maestri Tania, Daniele e Andrea in Italia, Naresh e Vivek
dall’India, e ciò che dalle pagine della Bhagavad Gita mi ha letteralmente
folgorata, come Atreiu nella Storia Infinita: più di una volta, appena sveglia, ho
mandato messaggi di scoramento sulla mia vita, la mia solitudine, la mia
incapacità di sapere scegliere cosa farne di questa mia esistenza già al servizio
degli altri da anni ma ancora così poco soddisfacente per una donna a metà
nella società dei consumi a tutti i costi, e magicamente le parole di conforto
che mi arrivavano dal mio amato Naresh e dal mio guru indiano, erano così in
linea con quanto, poche ore dopo, avrei letto nel capitolo della BG che avrei
studiato quel giorno, da lasciarmi senza fiato. Come faceva a saperlo? Ma
soprattutto, chi lo sapeva? Ho smesso di farmi domande. E non da tanto. Da
qualche giorno! E sapete perché? Perché si sta meglio. Ho passato 20 anni a
cercare di eliminare le cause di ciò che nei 20 anni precedenti mi aveva
devastata. E poi in un baleno, il tempo ha perso il suo spessore. E non è più
importante cosa hai fatto prima. C’è solo quello che sei in quel momento e il
punto da cui parti.
Ma andiamo con ordine. Perché la BG mi ha davvero cambiato la vita. E se ce
l’ho fatta io, ce la può fare davvero chiunque.
EINSTEIN Ogni persona seriamente risoluta nella ricerca della scienza diventa convinta che nelle leggi dell’Universo si manifesta uno spirito – uno spirito di gran lunga superiore a quello dell’uomo, e uno di fronte al quale noi, con i nostri modesti poteri, dobbiamo sentirci umili.
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Antefatti
La Bhagavad Gita è il VI libro del Mahabarata - uno dei due Itihasa1, i grandi
poemi della letteratura indovedica, insieme al Ramayana. Sono poemi epici
senza tempo che tramandano la memoria appresa e tramandata dagli antenati,
e che nella nostra era di Kali stanno andando persi.
Il Mahabharata narra i fatti avvenuti nel 3200 circa a.C., al termine dell'era
Dvapara-yuga che precede l'era attuale, il Kali-yuga, in uno yuga Sandhi
quindi, punto di transizione da uno yuga ad un altro 2. La sua datazione
risalirebbe al periodo compreso tra il IV sec. a.C. e il IV d.C.
Questa concezione non lineare del tempo, è in linea con l’idea che la
conoscenza stessa sia eterna e che essa venga appunto tramandata in forma
scritta (smriti) o orale (shruti), ma che sia sempre la medesima.
Una conoscenza storica senza età: ciò che è stato scritto oggi non è detto che
sia più recente di qualcosa detto ieri.
È vero che tutto muore e rinasce, ma in una dimensione di eternità, ed è
proprio questa dimensione dilatata e contemporaneamente condensata, che
viviamo nella Bhagavad Gita: il dialogo in 18 capitoli tra Krishna e Arjuna che
sarà durato una manciata di minuti, ma che possono rappresentare allo stesso
tempo la vita nella sua totalità, la vita del singolo, un momento della giornata,
un momento della vita.
Questo VI libro del Mahabharata parla della sanguinosa guerra che vede
schierati sul campo di battaglia da un lato i Kaurava, figli di Dhritarashtra, e
dall’altro i Pandava, i loro cugini, figli di Pandu, fratello appunto di
Dhritarashtra. I cugini, totalmente diversi per indole e comportamento, che
rappresentano opposti “tipi psicologici” che nel corso della BG stessa verranno
delineati, crebbero tutti insieme, dopo la morte di Pandu, sotto la guida di
Dhritarashtra e di Drona, che li allevò nell’arte della guerra.
1 Iti=così, Ha=infatti, Asa=fu 2 La concezione del tempo nella filosofia induista è circolare, lontana dalla visione che abbiamo noi di
tutto ciò che succede. Ogni cosa ha un suo ritmo di nascita e morte e anche il tempo e le ere seguono questo ritmo ciclico, come le quattro. stagioni
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La gelosia e la rabbia di Duryodhana (“crudele in battaglia”), figlio del re cieco,
nei confronti dei cugini, crebbero a dismisura nel momento in cui il padre
nominò erede al trono Yudhisthira, figlio di Pandu. Dopo vari anni in cui i
Pandava dovettero nascondersi, creduti morti, si trovò un compromesso per
cui ai Pandava fu concesso di fondare Indraprastra, in un posto impervio, e ai
Kaurava fu lasciato il comando di Hastinapura. Ma Duryodhana rodeva ancora
d’invidia, perché i cugini erano amati da tutti per il loro animo nobile. Decise
allora di fregare i cugini, sfidando Yudhisthira ai dadi (pur d’animo nobile,
ognuno ha i suoi talloni d’Achille). Così i Pandava persero tutto e furono
costretti a 12 anni d’esilio e ad uno in incognito. Dopo 13 anni i 5 fratelli
Yudhisthira, Bhima, Arjuna, Nakula, e Sahadeva, e loro moglie Draupadi,
tornarono per rivendicare il regno.
E la guerra, tra gli aspetti egoisticamente calcolatori rappresentati dalla cecità
dei Kaurava e le tendenze che vogliono invece elevare rappresentate dalla
purezza d’animo dei Pandava e dal loro continuare a voler procrastinare una
guerra già scritta, fu a quel punto inevitabile.
Krishna, avatar di Vishnu, sceso sulla terra proprio per riportare l’ordine
infranto dalle tendenze sovvertitrici dei Kaurava, scende in campo a fianco del
suo amico Arjuna, quindi dalla parte dei Pandava: Duryodhana, sempre
accecato dalla brama di abbondanza, sceglie di avere un esercito enorme
invece di Krishna stesso che gli aveva dato un’ennesima possibilità di scelta.
Ma ancora una volta Duryodhana non scelse ciò che poteva farlo davvero
sentire traboccante di ciò che serve davvero.
E la guerra, tra i suoi aspetti egoisticamente calcolatori e le tendenze che lo
volevano invece elevare, fu a quel punto inevitabile.
La guerra, tra i nostri aspetti egoisticamente calcolatori e le tendenze che ci
vogliano invece elevare, è, in ogni momento, inevitabile.
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1. QUANDO ARRIVA LA CRISI …
I.I Dhrtarastra disse: O Sanjaya, che cosa hanno fatto i miei figli e i figli di Pandu dopo essersi riuniti nel luogo santo di Kurusksetra per dar inizio alla battaglia?
La BG comincia così, con una domanda del re cieco Dhrtarastra al suo
consigliere, dotato di una vista magica proprio per riferire tutto, dell’imminente
fratricidio, al reggente di Hastinapura. La guerra che si sta per combattere è
tra i suoi figli, i Kaurava, e i figli di Pandu, suo fratello. Una guerra tra cugini in
poche parole ed è per questo che Arjuna, a capo dei Pandava, i figli di Pandu,
nel primo libro ha un vero e proprio attacco di panico e vorrebbe rinunciare al
suo dovere di kshatriya, la casta3 guerriera.
Come può combattere contro la sua famiglia? Come può uccidere capifamiglia
e persone così importanti senza distruggere l’ordine universale? E se
vincessero davvero i Pandava, con chi potrebbe condividere la felicità della
vittoria se non ci fossero più i suoi familiari?
Quello che succede poco prima dell’inizio della battaglia, che nel libro pare
durare giorni, rappresenta in realtà quella manciata di minuti in cui spesso,
tutti i giorni, e forse più volte al giorno, ci ritroviamo a dover fare i conti con
parti di noi stessi che combattono tra di loro: le nostre ombre che scalpitano,
le chiamerebbe Jung; le parti “malvagie” che in genere ficchiamo nell’inconscio
perché intollerabili; i nostri tentativi di razionalizzare la nostra tendenza a non
volerle affrontare, per poterle sublimare in altro.
La morale della storia e della BG, che sicuramente tanti di voi già conoscono,
potrebbe sembrare utilitaristica o senza morale: fai quello che devi fare, anche
se questo vuol dire uccidere i tuoi cugini. Fai quello che devi fare anche se
3 Il concetto di casta è stato travisato in epoca moderna. Non voglio tediare nessuno con dettagli che potrebbero distogliere l’attenzione dal focus del libro, ma rimango disponibile per ogni domanda. Consiglio comunque a chiunque voglia intraprendere un viaggio dentro se stesso di questo tipo di trovare un maestro, una figura di riferimento, che possa fornire le giuste coordinate per muoversi e i giusti metodi interpretativi. Non giusti a priori, ma in base a ciò che è più consono a noi in un dato momento. Io posso consigliare i maestri che ho avuto e sto avendo io qui in Italia e in India, potete inoltre trovare sicuramente comunità di Hare Krishna nelle vostre città che ne sapranno sicuramente più di me e dove potete partecipare alle letture dei testi sacri induisti, ma sicuramente trovare una figura di riferimento, un guru, che possa aiutarvi come suddetto, è sicuramente la cosa più efficace. Provare per credere!
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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questo vuol dire uccidere una parte di te che poi rinascerà sotto altra forma, se
le permetti di trasformarsi non in nevrosi, ma di sublimarsi positivamente.
Cominciai a studiare la BG al mio rientro dall’India. In realtà un paio di
settimane dopo; le prime furono un po’ difficili: dovevo abituarmi al lockdown,
al tentativo disperato di infonderci da tutte le parti la paura del contagio, al
mio corpo abituato a muoversi, tenuto letteralmente in gabbia, alle lezioni
online e alla solitudine. Vera.
E mi sentivo come Arjuna. Cosa ci facevo in quel posto? Perché non potevo
vivere come avrei voluto? Perché ero così lontana da quel sentirmi tutt’uno con
la vita che avevo sentito in India? Perché ero nata a Milano e non altrove? Non
ci volevo stare! Volevo tornare subito, di corsa, a vivere dando da mangiare
alle mucche a Rishikesh. E poi perché ero ancora single? E senza figli? Sarei
mai riuscita ad averne uno? Ero già davvero fuori tempo massimo (sì!)?
Devo ammettere che un giorno di quelle settimane lì, era venuto anche me un
mezzo attacco di panico, tanto che ero dovuta andare di corsa a fare la spesa
(l’unica cosa che si poteva fare in quei giorni), per muovermi e calmarmi un
po’, dopo 10 giorni che non mettevo naso fuori di casa.
Cercavo di razionalizzare, di trovare una soluzione su come vivere la mia vita,
e non sapevo ancora che le risposte le avrei avute studiando ed entrando in un
libro, come il protagonista della Storia Infinita.
Le razionalizzazioni danno un senso laddove emotivamente non si sopporta
qualcosa. Ma quando cominciamo a sentirne il rumore di porta che cigola - e se
hai questo libro in mano vuole dire che qualche rumorino lo hai sentito anche
tu – non tappiamoci le orecchie cercando di continuare coi nostri vecchi
schemi. Scardiniamoli!
Questi sono i momenti delle svolte: le crisi, quelle che ti portano a cambiare
davvero. Abbracciamole quando arrivano, invece di volerne fuggire. I momenti
di caos interiore totale sono necessari per lo sviluppo personale.
Arjuna nel primo capitolo rappresenta questo vacillare delle nostre capacità e
delle nostre energie interiori. Ma come?! Proprio lui che aveva combattuto
contro il cacciatore Kirata, sotto le cui vesti si celava Shiva il distruttore? Tutti
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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abbiamo momenti in cui vacilliamo ed è allora che dobbiamo riconnetterci alla
conoscenza di base, che se però fosse stata rivelata da Krishna nel momento di
panico, non solo non sarebbe stata accolta, tanto meno capita, ma
probabilmente sarebbe stata in toto rifiutata. Inutile quindi parlare ora
dell’influenza della materia sulle nostre facoltà di scelta e d’azione.
Ancor prima di scrutare cosa succede ad Arjuna, Sanjaya riferisce a
Dhrtarastra le parole di suo figlio Duryodhana, rancoroso e accecato dall’invidia
per l’amore che tutti provano per i benevoli Pandava, al maestro Drona, lui che
aveva cresciuto tutti i cugini insieme, allenandoli all’arte della guerra.
Duryodhana osserva prima lo schieramento nemico e poi il loro, immenso, e,
autoconvincendosi della loro forza, così dichiara:
I.10 La nostra forza è immensa e siamo perfettamente protetti dall’anziano Bhisma, mentre la forza dei Pandava, sotto l’attenta cura di Bhima, è limitata.
Aparyatam= incommensurabile, sufficiente
Paryaptam=limitata, insufficiente
Quanto puoi vedere dal punto dove sei ora? Quanto è il tuo raggio visivo? E se
sali all’ultimo piano di casa? E in cima ad una montagna? Se le tue risorse
interiori sono maggiori, il tuo concetto di sufficienza/insufficienza cambia.
Ma come facciamo ad aumentarle le nostre risorse interiori? Semplice: facendo
quello che dobbiamo fare. Eh, bella scoperta. In genere quello che dobbiamo
fare, ce le prosciuga le energie.
Ma succede lo stesso alla pioggia che cade? Esaurisce le sue forze? Forse se le
chiedessimo di bruciare diventerebbe fiacca come spesso ci fiacchiamo noi che
cerchiamo di obbligarci a fare cose che non ci competono solo perché la società
ci dice che le dobbiamo fare o perché crediamo noi stessi che queste siano
quelle giuste per noi. Ma le ansie non vengono a caso: forse potremmo fare
qualcosa di più adatto alla nostra “casta”, intesa come quel qualcosa che ci
caratterizza e non come un’etichetta discriminante. Forse potremmo tornare a
sentire cosa ci permette di contribuire al flusso vitale dell’universo per quello
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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che sappiamo fare davvero riconoscendo che ognuno è speciale per quello che
è e che non deve mai, MAI, fare confronti con i “doveri” o le essenze degli altri.
Meglio fare male il proprio dharma che cercare di seguire quello di qualcun
altro (III.3, XVIII.47): certo, se non guardavo le mie amiche neo mamme, e
quelle ormai mamme collaudate, non sentivo lo sfriso al cuore che così spesso
mi prendeva, ed anzi vedevo bene quello che già stavo facendo, insegnando
yoga in ambito clinico o cercando di portare amore anche laddove c’era sempre
stata solo rabbia e cercando ogni giorno di migliorare me stessa trovando
nuove maschere di me da far cadere.
Che sollievo.
Sì, ok, ma poi, come fai a incanalarle e a direzionarle queste energie interiori?
Agendo. Che non vuol dire reagire, ma agire in base ad una motivazione ben
diversa da quelle che in genere ci spingono.
“MMMM, la lezione di morale…”
No. Non si tratta di morale. Ma sempre di quella conoscenza alla base di tutto,
che si basa su un’idea fondamentale: c’è qualcosa, qualcuno, che può
osservare tutto quello che ci capita, anche a livello emozionale. Noi stessi
possiamo guardare il nostro dolore, pur continuando a provarlo: allora esiste
davvero un’altra nostra capacità interiore di vedere le cose.
Possiamo chiamarla anima. O coscienza. O vero io. O come vogliamo. Ma c’è. E
se sei arrivato a questo punto del libricino vuol dire che un pochino ci credi
anche tu …
Il boato delle conchiglie suonate per dare inizio alla battaglia nel capitolo uno,
si ripercuote nel cielo lacerando i cuori: ognuno ha in sé due forze che sempre
agiscono in noi, ciò che da sempre viene chiamato il bene e il male. Senza
etichette morali appunto, questi concetti si potrebbero identificare con semplici
spinte da una parte e dall’altra che, se sapientemente incanalate e integrate,
permettono una vita sana e in linea con la naturale essenza della vita stessa:
cercare di rinnegare un lato di noi non fa che alimentarlo, anche se di
nascosto. Non si può eliminare una cattiva abitudine sforzandoci di non averla
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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più, perché essa continuerebbe ad agire non fisicamente, ma psicologicamente.
Occorre agire sulla motivazione che precede l’azione, sul pensiero che la
genera. E come si fa? Con una sana, costante, pratica.
“Che palle” direte. “Ho già così tanto da fare che ci manca che debba pure
praticare il controllo dei miei pensieri”. Beh, direi di sì, se l’alternativa è farci
controllare dai nostri pensieri automatici, dovuti ai nostri condizionamenti che,
se non vogliamo attribuire alle vite precedenti, possiamo ormai aver la
certezza scientifica che arrivino dalle nostre impronte neurobiologiche,
lasciateci nel sistema nervoso dal nostro stile di attaccamento emotivo.
Sì, possiamo dare, almeno in parte, la “colpa” ai nostri genitori, che sollievo.
Insomma. Ci fa sentire davvero meglio sapere che le nostre nevrosi derivano
dai traumi, piccoli o grandi che siano, che tutti, chi più chi meno, abbiamo
dovuto patire? Se i percorsi neurali ci portano comunque ad agire nella stessa
direzione, forse non è poi un sollievo così grande.
“Ma perché dovrei volermi liberare dei miei condizionamenti?”
Ma non so, perché forse si può vivere meglio di così? Con meno stress, meno
rabbia, meno frustrazione?
“Ma la rabbia mi serve per scaricare, dopo che mi sfogo sto molto meglio”.
La rabbia è un modo di reagire che, per carità, a volte ci sta: ripeto, non voglio
diventare santa e non sto cercando di convincere nessuno a diventarlo.
Anche perché, alla fine, un santo è un peccatore che non smette mai di
provarci, che non si arrende mai. Ma come tutte le reazioni, anche la rabbia
può essere osservata e se la si può osservare, vuol dire che qualcuno, qualcosa
può osservarla, no?
Ricordo che il mio adorato psicologo EV mi aveva fatto un disegno di un palco
teatrale in cui c’erano i personaggi, le mie reazioni credo, e un tipo vicino al
sipario tirato indietro: mi diceva sempre “Valentina, si metta lì, vicino al
sipario, ad osservare; poi capiremo insieme cosa sta succedendo sulla scena”.
Anni dopo capii e presi consapevolezza di quanto questo esercizio non fosse un
modo per dissociarsi, ma per dare voce a una parte di noi che non è solo quella
razionale. Non è la mente che osserva. La mente agisce insieme al corpo
perché è fatta anch’essa di materia (sono comunque impulsi elettrici che la
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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fanno funzionare). La filosofia indovedica ha questa grande differenza dalla
psicologia occidentale: fa della mente l’oggetto e non il soggetto.
Tutti i suoi aspetti che noi occidentali siamo così bravi ad indagare da un punto
di vista neurobiologico, scientifico e razionale, non possono però liberarci dalla
sofferenza (come è evidente), e nemmeno permetterci di vivere una vita del
tutto piena, perché tralasciano il lato spirituale della vita ,senza il quale la vita
senso non ha.
Perché tutti siamo portati a dover combattere ogni giorno, più volte al giorno,
con ciò che riteniamo essere i nostri lati bui, le nostre ombre, come Arjuna che
dovrebbe cominciare a scagliare frecce ed invece è lì, che gli tremano le gambe
e la bocca gli si secca e preferirebbe morire lui, lì, disarmato e senza
resistenza.
Quante volte lo facciamo pure noi. Quante volte cediamo, da un lato ai nostri
impulsi che ci trascinano giù, e dall’altro alle nostre voci che ci impediscono di
credere in noi. E non è che dobbiamo poi sentirci in colpa se mangiamo un
biscotto in più, perché se non lo mangiamo e continuiamo a pensarci è ancora
peggio!! L’azione non agìta continua ad agire dentro di noi: se vogliamo
davvero non mangiare più un pacco di biscotti la sera davanti alla tv,
cerchiamo di capire che cosa ci sta dietro a questa smania. Possiamo fare lo
stesso, con tutto ciò che facciamo e che poi ci fa sentire in colpa. Ovviamente
non sto dicendo di lasciarci andare senza sensi di colpa a tutto ciò che ci piace
e che ci fa male (che poi tante volte non lo facciamo già??), ma che se ci
mangiamo il cioccolato almeno godiamocelo senza rimuginarci su, se lo
facciamo o se non lo facciamo!
E se si sgarra, ricominciamo da zero, senza pensare a ciò che si è fatto prima.
Cambiando i componenti che stanno alla base delle nostre azioni, le nostre
azioni cambieranno in automatico senza bisogno di sforzi. Provare per credere!
Oppure continuiamo ad accasciarci a terra, a posare il nostro arco e a farci
opprimere dai nostri dolori.
E rimaniamo così, disarmati e senza resistenza verso i nostri condizionamenti
psico-neurobiologici, come Arjuna alla fine del primo capitolo uno della BG:
rimaniamo così, fissati nel capitolo uno della nostra vita.
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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2. NON FARE I CAPRICCI!
Quando ci perdiamo e siamo del tutto confusi, è inutile cercare di far tutto da
sé. D’altronde tutto in natura collabora al mantenimento del tutto ed è lo
stesso anche tra gli uomini, solo che non lo sappiamo o spesso non lo
accettiamo.
Trovare delle figure di riferimento è basilare, non solo per far sì che quella
conoscenza regia e segreta possa essere trasmessa così com’è davvero, ma
anche per aver degli appigli quando tutto pare crollare.
Nel capitolo due Arjuna ha una prima svolta coscienziale che gli permette di
affidarsi a Krishna non più come ad un amico, ma come ad un maestro di vita,
qualcuno che con il solo esempio di vita può spingere gli altri ad intraprendere
il loro cammino di risveglio spirituale.
Si può inoltre rispettare il libero arbitrio altrui, cercando di suscitare negli altri
il loro di risveglio spirituale, anche se questo a volte comporta mettersi da
parte o suggerire, anche non a parole, ciò che è più idoneo per i rispettivi livelli
di consapevolezza. Il saggio cerca di capire se l'altra persona è allineata col
suo vero sé e cerca, umilmente e con distacco, di stimolarla per quello che è
più giusto per lei. Anche "solo" col suo esempio di vita. È come se entrasse a
contatto con l'altra anima davvero, in ciò che lo psicologo Stern chiama
sintonizzazione, una sorta di vibrazione che ci sintonizza appunto con le
frequenze dell'altra persona, ancora prima che questa sintonizzazione (che
succede a livello non solo del sistema nervoso, ma anche in quello più sottile
relativo al campo energetico che si cresa tra due o più entità) passi da uno
stato inconscio e puramente fisiologico (neurocezione) a quello consapevole
dell’interocezione. Siamo un flusso di energia che si riconosce, come un
magnete che attira a sé pulvisco di ferro. Siamo scintille divine che si attirano
e che, come i raggi del sole, esistono solo nel sole pur essendo da esso
apparentemente scissi. Ah quell’inconcepibile immanenza trascendente di cui
parla l’ultima scuola filosofica induista.
Pensare che 20 anni fa avevo scritto una tesi sulla coincidenza degli opposti di
Eraclito: ora come ora non posso non ammettere che non avevo capito nulla,
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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se non a livello puramente razionale, e forse nemmeno a quello della vera
conoscenza (jnana), ma non certo a quello della conoscenza applicata
(vijnana). Solo con gli sforzi che ho fatto negli ultimi anni (per superare ciò che
non faceva altro che farmi soffrire), sono arrivata alla consapevolezza
interiorizzata proprio perché esperita (vijnana) di quanto sia possibile davvero
cambiare i nostri automatismi (ciò che gli psicologi chiamano i segni del
trauma sul sistema nervoso che continuano a farci agire secondo schemi
prestabiliti).
Meno male mi ero affidata fin da adolescente a punti di riferimento (la mia
amata psicologa Daria a cui devo la vita…) e non ho cercato di fare tutto da
me; meno male che anni dopo ho trovato un altro magico psicoterapeuta, EV,
e meno male che poi ho incontrato lo yoga e infine, nel mezzo del cammin di
lunga vita, a circa 40 anni, meno male che ho incontrato i miei maestri
spirituali. Coincidenze? Forse. O forse è vero che vibrazioni di una certa
frequenza attirano a sé vibrazioni a loro simili, come il diapason. D’altronde
anche la fisica quantistica lo dimostra, quindi anche la nostra fame
razionalistica può essere saziata. E ci metto anche la mia dentro eh! Ho
passato metà della mia vita cercando solo spiegazioni razionali per tutto, sono
figlia del cogito ergo sum e ancora oggi ci sballo a continuare a fare corsi di
formazione sul sistema nervoso per capire come le cellule lavorino nelle
emozioni. Ho bisogno anche io di saziare la mia mente razionale e so che non
potrei farne a meno. Ma la fede, wow la fede, come ti cambia la vita! Fede in
cosa? In Dio? Io non parlo con Krishna, io non lo vedo. Ma sento l’energia della
terra, l’energia del sole, la forza dell’amore, il battito del cuore e delle ali del
vento. E non solo a parole. Li sento dentro di me. Come quando ci si perde
nelle note della propria canzone preferita. Cos’è quella cosa che proviamo in
quei momenti in cui pare di far l’amore col cielo? Unione. Fusione. Con chi?
Con cosa?
Io starò sicuramente facendo più fatica a non avere una visione personalistica
di questa entità che tutto pervade, ma non posso fingere di averla e di essere
diversa: ognuno può raggiungere, umilmente, la meta coi mezzi a sua
disposizione, esattamente come ciascuno può agire il suo ruolo, in questo gioco
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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che è la vita, solo con i suoi di attributi. Siamo tutti unici e diversi, perché voler
fare quello che non ci compete? Abbandonarsi al divino può anche solo voler
dire questo: riconoscere di essere una goccia unica e irripetibile, emanata dalla
stessa fonte da cui tutte le altre zampillano. Siamo tutti fatti della stessa
energia, della stessa materia, se vi piace di più.
Nel momento in cui ci si abbandona completamente al divino (ciò che in
occidente chiamiamo energia universale e che la fisica contemporanea ha
finalmente accettato come quel campo da cui tutto sgorga e col quale
possiamo entrare in risonanza proprio solo se lo assecondiamo), si entra a far
parte del ciclo universale in cui ognuno contribuisce col suo vero sé,
esattamente come la pioggia, il sole, il vento: non si può chiedere al sole di
bagnare o alla pioggia di bruciare, ma senza la pioggia e senza il sole non
crescerebbero i frutti della terra. Per quanto riguarda il nostro personale
dharma (il nostro contributo al ciclo universale) possiamo fare lo stesso:
seguire il nostro, e non quello di qualcun altro, senza invidia o presunzione, ci
permette di incanalare le nostre energie nel ciclo cosmico e di riceverne da
esso di più propizie a noi, invece di crearci problemi noi stessi, cercando di
seguire ciò che non ci rispecchia davvero. Tutto è amore, lo diceva anche
Einstein. Tutto è energia. Tutto è Dio. Solo cercando di abbandonarci col cuore
e non con le parole a questo, si può ottenere di ricongiungerci a lui. E a noi.
Come si fa? Come si possono abbandonare gli schemi mentali che ci
precludono di aprirci alla fede? Come si può arrivare a trovare se stessi in quel
processo di individuazione che Jung dice essere basilare per l’integrazione di
ogni nostra parte?
Accettando, facendone esperienza, che esiste un testimone dentro di noi: no,
non chiamiamolo, per carità, anima, noi materialisti, figli della Milano da bere.
Chiamiamolo un po’ come vogliamo, chiamatelo come faccio io che no non
posso certo sentire che una forma personalistica del divino possa, quando il
tempo lo richiede, scendere sulla terra a riportare l’ordine infranto. Per la mia
forma mentis è più accettabile che arrivi un virus a farlo, ma no, per carità, un
Dio fatto a persona no. Non ci avevo mai pensato: come mai, per me, il divino
può manifestarsi in ogni forma di energia naturale, magari anche negli animali,
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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sicuramente nelle mucche, ma non in una persona? Dovrò lavorare su questa
mia preclusione mentale.
In ogni caso, possiamo anche non chiamarla in nessun modo questa parte di
noi in grado di osservare ciò che succede fuori e dentro di noi, ma sappiamo
bene che c’è, se solo ci permettiamo di farne esperienza.
E com’è che è fatta questa cosa che ci osserva?
II.17 Ciò che pervade il corpo è indistruttibile. II.16 Non c’è cambiamento nell’eterno. II.14 Effimeri, gioie e dolori vanno e vengono come l’estate e l’inverno […] bisogna imparare a tollerarli senza esserne disturbati.
Non essere disturbati da gioie e dolori ci rende equanimi. Che spesso viene
confuso con fredda indifferenza. Ma l’equanimità non ci rende insensibili, anzi:
ci permette di provare ancora più profondamente le emozioni e di tollerarle,
sapendo che tutto passa davvero.
Il mio primo guru fu mia nonna. Ricorderò tutta la vita quando, vedendo che i
miei attacchi di panico non parevano migliorare dopo che persi il mio migliore
amico stecchito sotto un ascensore e dopo che, a partire da lì, la mia vita
cominciò irrefrenabilmente a cambiare, mi fissò negli occhi dicendomi che col
tempo passa tutto. Santa donna, che aveva perso un marito, un figlio, una
nipote, che vedeva, tutti i giorni, la sofferenza della mia famiglia scivolarle
dalle mani per continuare a crescere, mentre cercava di tamponare come
poteva la carenza d’amore e di sicurezze mie e di mio fratello. Mi illuminò.
Passa davvero tutto col tempo. Col tempo, tutto, si trasforma. E non è che
diventiamo insensibili, a rimanere impassibili ed equanimi. Non lo si sarà mai
del tutto finché saremo incapsulati in questo corpo. Ed è anche bello che sia
così. Ma qualcosa non cambia, qualcosa rimane immutabile, intoccabile: quel
qualcosa che non solo ci guarda, ma alla quale possiamo tornare per sentirci a
casa, avvolti nell’abbraccio di una mamma accogliente, stretti nelle braccia
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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della sicurezza di un padre protettivo. Per carità non chiamiamola anima, io
non ce la faccio proprio, ma mio Dio che pace mi dà affidarmi a lei, osservare i
miei pendoli di umori, i miei automatismi all’opera, il mio sentirmi
perennemente rifiutata anche in circostanze in cui non c’entra niente … le
nostre maschere non le costruiamo solo per proteggerci o per pavoneggiarci,
sono anche tutte quelle false attitudini che ci portano a sottovalutarci, a
sentirci sempre messi da parte ecc. Ognuno ha le sue, no?
Io sono solo all'inizio, e so benissimo che le mie maschere stanno solo più o
meno vacillando e che forse ne ho persa solo una e chissà quante vite avrò4
ancora davanti, ma è una gioia tale sentirmi così, che non ha prezzo.
Credo nell’anima? Devo ammettere che la mia impalcatura materialista stride
ancora un pochino ad usare queste terminologie che mi fanno scattare
associazioni mentali automatiche: religione, bigotti, gregge, ignoranza…
Quanto io sono parte del gregge dalla parte opposta, quanto io sono ignorante,
perché ancora così poco capace di usare la mia intelligenza se non in modo
logico.
Ma quanto qualcosa risuona in me nel leggere e rileggere gli shloka 23 e 24 di
questo magico libro:
II.23 Nessun’arma può ferire l’anima né il fuoco bruciarla, l’acqua non può bagnarla né seccarla. II.24 […] non può essere consumata né bruciata. È immortale, presente ovunque, inalterabile, inamovibile ed eternamente la stessa.
Qualcosa risuona, qualcosa mi calma anche quando sono agitata. L’anima è
eternamente la stessa: mi sembra di vedere mia nonna che mi sorride dalle
nuvole. Io associo a lei questo concetto di eternità immutabile. Così il mio
4 Sì, alla reincarnazione ci credo, non so perché ma la morte non mi spaventa, anzi devo dire che dopo aver intrapreso questo cammino con questa nuova luce ad illuminarne la via, sono anche curiosa di vedere cosa mi aspetterà varcata la soglia di una nuova vita. Magari sarò davvero un bramino o un monaco: quanto sarei felice di poter passare la mia vita a dedicarmi allo studio e alla crescita spirituale senza dover togliere tempo allo mio sva-dharma, perché sarebbe proprio quello.
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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apparato psichico riesce a percepire qualcosa che altrimenti gli sfuggirebbe,
proprio perché non attrezzato per farlo.
Se non procedi per gradi, la strumentazione che hai a disposizione non sarà
sufficiente per cogliere ciò che la vita ti rivela. Per questo gli step che Krishna
fa fare ad Arjuna nel corso della Bhagavad Gita sono tutti propedeutici. Per
questo anche scrivendo questo libricino ogni giorno affronto uno step nuovo
anche io, pur continuando a tornare sugli stessi, come in una spirale - e qui
non posso non citarvi un’altra figura di riferimento della mia vita, la monaca
croata Didi Ananda, che mi rivelò questa sacrosanta verità: si torna di continuo
sugli stessi nodi ma da una prospettiva più alta, come in una continua scala a
chiocciola in cui i gradini continuano a salire, ma girando gli uni sopra agli
altri…
In effetti anche Krishna lo dice: l’anima è acintyah (inconcepibile).
II.25 L’anima è invisibile, inconcepibile e immutabile. […] L’adiguru qui cerca di convincere il suo amico, ormai discepolo, a non
preoccuparsi del fatto di uccidere, nemmeno i suoi familiari, perché in realtà
non ucciderà se non il corpo, il mezzo che le anime usano per fare esperienze
qui sulla terra, per poi tornare a fondersi in Iswara, o continuare il ciclo delle
rinascite, se non si sceglie di integrare i nostri lati luminosi con le nostre
ombre.5
E come si fa a non preoccuparsi di una cosa del genere?? Come si fa a fondersi
con Iswara e non continuare a il ciclo del samsara?
Con lo yoga!!! Ma non con lo yoga che noi milanesi della Milano da bere
conosciamo così bene perché fa andare via la cellulite e perché sta andando
così di moda – tra l’altro avete visto che belli i nuovi leggins di Oysho?
Lo yoga non sono solo asana. Negli yoga sutra di Patanjali, queste sono solo
una delle 8 parti del sistema yogico e lo yoga, tra i darshana (le scuole di 5 Qui ci sarebbe tutto il discorso della capacità della volontà di attivarsi o meno in quei sistemi nervosi in cui, neurobiologicamente parlando, le parti del cervello adibite a questa facoltà sono disattivate da traumi piccoli o grandi che siano – d’altronde il SN reagisce allo stesso modo in ogni situazione di pericolo, inibendo la capacità di attivazione di certe zone del cervello, e se le esperienze sono ripetute la disattivazione diventa cronica. E allora forse la fede qui potrebbe fare davvero la differenza…
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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conoscenza riconosciute come tali, letteralmente “visioni”), viene considerato
proprio la sezione del sapere relativo alla psicologia.
Con lo yoga si può cercare di dominare la mente, quella che io chiamo
simpaticamente, lavatrice mentale.
Non fare i capricci, non lamentarti e agisci in base a quello che devi fare
quando lo devi fare; quando le tue parti buie cercano di tirarti giù, fai quello
che devi: osservale, impugna il tridente di Shiva, combattile e decapitale come
Kali per poter trascendere la loro energia e trovare l’equilibrio tra gli opposti in
cui consiste appunto lo yoga. Non rinnegare i tuoi comportamenti negativi né
tanto meno crogiolati in essi, assecondandoli con la scusa di doversi accettare
in toto. Usa uno sforzo costante, una pratica costante, segui l’esercizio
costante di osservazione del tuo io all’opera e trova il tuo modo di integrarti e il
tuo posto nel mondo.
Se ci si concentra su questa forza indivisibile che è l’anima (o chiamiamola
come preferiamo – questo lo sto dicendo alla mia manas = mente che già
stava per metterci becco), si riesce piano a liberarsi dalle dualità, dall’idea di
vincita-perdita, successo-insuccesso ecc.
L’offrire le nostre azioni al ciclo universale è un buon modo per far pratica: non
pensare a quello che ti tornerà indietro, ma agisci come fossi la pioggia che
deve solo cadere perché la terra produca i suoi frutti. Tu cosa devi fare qui ed
ora per contribuire al ciclo cosmico? Fallo e non pensare ai risultati – beh qui
posso però garantire per certo che, come per magia, quando cominci ad agire
così, qualcosa di magico succede e i risultati avvengono eccome, magari non
quelli che avresti voluto, ma chi lo sa… magari di migliori!
II.46 Simile a una grande distesa d’acqua che adempie tutte le funzioni di un pozzo, il vero fine dei Veda procura a chi lo conosce tutti i benefici che derivano dai Veda. Anche se:
II.42-43 Le persone di scarsa conoscenza sono molto attratte dal linguaggio fiorito dei Veda, che raccomandano la pratica di varie attività interessate per accedere ai
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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pianeti celesti, rinascere in condizioni favorevoli e acquisire potere e altri benefici. Avide Di godimenti materiali e di ricchezze, esse non vedono niente di superiore. Le persone di scarsa conoscenza sono molto attratte dal linguaggio fiorito dei
Veda, che raccomandano la pratica di varie attività interessate per accedere ai
pianeti celesti, rinascere in condizioni favorevoli e acquisire potere ed altri
benefici. Avide di godimenti materiali e di ricchezze, esse non vedono niente di
superiore.
Ma solo chi è libero da questi attaccamenti alle cose materiali, a ciò che,
fondamentalmente, arriva dai sensi– l’anima come la percepiamo? Non la
tocchiamo, non la vediamo, non ha un profumo, né una consistenza; solo chi è
rivolto solo all’anima e a partire da essa al divino (eccola la mia mente
razionale che si intromette e immagino anche la vostra), può dirsi davvero un
saggio dalla mente ferma (II.56).
II.58 Chi è in grado di ritrarre i sensi dai loro oggetti, come una tartaruga ritrae le membra all’interno della corazza, è fermamente stabilito nella perfetta conoscenza.
È come se piano piano, la nostra attenzione e il nostro piacere si spostassero
su altro (II.59).
Un po’ la cosa mi spaventa… già uscivo poco prima, chissà che tornerò a
vedere i miei amici qualche volta, ora che ho quest’idea di trasferirmi a vivere
a contatto con la terra e questa irrefrenabile voglia di stare sempre più ore
della mia giornata immersa in questa sensazione magica che provo stando qui
a scrivere, pensando, tra le righe, a come trovare i soldi per autopubblicare
questo libretto per poterlo lasciare gratis in giro …
Già la mia vocina si sfrega le mani: dai che magari a sto giro sfondi con sto
libretto, e anche gli altri tuoi libri cominceranno finalmente a vendere... Ma
muchela. Se sarà sarà. Ok, non mi dispiacerebbe mica aver soldi in più da
poter investire per me e per il mio scopo nel mondo. Ma a sto giro voglio solo
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Valentina Nizardo, La Bhagavad Gita ti cambia la vita
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farlo perché è quello che so fare, almeno così mi dicono: trasmettere ciò che
sento dentro, anche scrivendo.
Se il nostro unico scopo nella vita diventa la salvezza, capiamo bene che
possiamo continuare ad agire e a vivere nel mondo, ma con un obiettivo più
elevato rispetto a quelli materiali. Non si tratta di privarsene, ma di “usarli”
come mezzi e non come fine. Anche le persone? Non si tratta di usare le
persone, ma di distaccarsi dall’idea di possesso che ne abbiamo e che ci porta
a vincolare le nostre azioni a questa idea che loro dovrebbero renderci felici e
che noi dovremmo fare lo stesso, che noi dovremmo, che loro dovrebbero… ma
se vogliamo lo stesso fine comune per noi e per loro, nessuno può desiderare
nulla di più elevato che il tentativo di spingersi insieme all’autorealizzazione.
Cos’è quindi lo yoga?
II.50 Chi è unito alla saggezza cosmica, si libera delle conseguenze buone o cattive dell’azione in questa vita stessa. Sforzati dunque di apprendere lo yoga, l’arte dell’agire. II.48 Compi il tuo dovere con spirito equilibrato, o Arjuna, senza attaccamento al successo o al fallimento. Tali equanimità si chiama yoga.
Da questa nuova visione del mondo e di vita, le nostre azioni possono
cominciare ad essere un po’ meno attaccate al risultato. Tanto l’anima rimane
uguale in ogni caso, quindi che ci importa di quello che arriva o non arriva
agendo o non agendo in un certo modo?
Mmmm meglio aspettare ad affrontare questo argomento, perché sento anche
io stridere qualcosa dentro di me, se pur, devo ammetterlo, aver cambiato il
mio modo di impostare le mie azioni, prima di agirle, mi sta gradualmente
abituando a questa grande legge universale del non attaccamento al frutto
dell’azione.
Ma ancora la mia razionalità automatica prende spesso il sopravvento e mi
pone dei freni ad agire così. Io la lascio fare, sento il fastidio che mi procura e
il modo subdolo con cui cerca di farmi vacillare. Ho passato una vita a
giustificare il fatto che tutto quello che facessi lo facevo da una parte per avere
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in cambio amore, dato che non ne avevo mai avuto abbastanza, e dall’altro per
avere una sicurezza economica che mi garantisse non solo una stabilità
finanziaria ma anche emotiva, dato che anche lì non mi ero mai sentita sicura
da nessun punto di vista.
E quindi sì, ho passato la vita ad agire per i frutti delle azioni. Giustificavo
razionalmente questo mio modo di agire, studiando il sistema nervoso, che mi
spiegava perché i miei automatismi derivati dalle mie impressioni permanenti
della mente (ciò che potrebbero essere considerati i samskara) fossero
biologicamente fondati. E allora era normale che io mi comportassi così perché
programmata dalle mie cellule e dalle loro reazioni ad agire così. Capivo
esattamente perché fossi progettata in questo modo e anche perché
continuassi a sentire lo stridio delle mie reazioni, anche se già da tempo riesco
a non metterle più in atto. Ma se qualcosa che senti non viene agito, anche se
non lo ributti nell’inconscio, rimane lo stesso vivo dentro di te e non ti
permette di integrarti. Non davvero. Non mi basavo ancora, e ora riesco solo a
farlo a sprazzi, su quella che più avanti Krishna spiegherà essere il vero
carburante delle azioni – la motivazione in linea con la conoscenza universale.
Ma i miei primi step li ho fatti anche io così: con il karma yoga, lo yoga
dell’azione senza l’attaccamento ai frutti dell’azione stessa.
Ho iniziato a fare cose semplici come cambiare le lenzuola o cucinare,
pensando e sentendo di farlo per un ospite che non vedevo l’ora arrivasse.
Facevo quello che dovevo fare in quel momento, senza fare i capricci perché
magari avrei preferito fare altro, ma lo facevo come se fosse la cosa più bella
in quel momento; e lo diventava davvero perché in quel momento era quello
che dovevo fare, come Arjuna nel Kurushetra.
Tutti i giorni, più volte al giorno, siamo portati a non volere fare certe cose, per
fastidio o perché già proiettati al dopo o perché fissati sul prima, siamo, tutti i
giorni e più volte al giorno, portati a combattere con noi stessi per integrare e
sublimare quelle sensazioni negative che altrimenti, ci lascerebbero sfiniti come
Arjuna alla fine del capitolo precedente.
Ma se siamo arrivati fin qui, è un buon segno no?
Magari riusciamo a sopportare anche il capitolo successivo!
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3. AGISCI!
Il modo spirituale di vivere descritto nel libro precedente, ciò che permette di
allontanarsi dagli oggetti dei sensi per ritrovare l’equilibrio dell’immutabilità
della coscienza (questa, di etichetta, stride meno con la mia razionalità…),
come la tartaruga che si ritrae nel guscio per proteggersi dalle aggressioni
esterne, ha bisogno, come ogni cosa di essere esercitato.
Non si può rinunciare ai piaceri dei sensi dall’oggi al domani, non basta volerlo:
e poi, diciamocelo, chi lo vuole fare davvero?
Sembra un controsenso: siamo stati cresciuti e siamo abituati all’idea che siano
essi a renderci felici: da un lato ci hanno insegnato a doverli soddisfare,
dall’altro a farlo, ma non troppo, anzi a volte non si deve proprio, quindi la
lotta è ancora più ardua. A volte si devono assecondare, ma altre volte proprio
no, quindi meglio obbligarsi a non assecondarli per niente, sottoponendoci a
uno sforzo immane per rinunciare a ciò che, così, continua però ad agire ad un
altro livello.
Certo, costringendoci a diete, a massacrarci di sport, a privarci di cose che
sotto sotto vorremmo fare, si può anche arriavre a vivere fisicamente
(materialmente) meglio ed avere risultati a livello fisico e di salute, ma che ne
è dell’altro aspetto6? Di quello non materiale/fisico?
Solo cercando di render tale aspetto spirituale la nostra meta principale, senza
disperdere, almeno non troppo, energie e pensieri in altre direzioni, potremo
uscire dalla confusione che deriva dalla rabbia di non riuscire a questi nostri
desideri; anche quando lo facciamo, in genere si diventa avidi e se ne vogliono
altri, sempre di più, senza accorgersi che meno si ha, meno bisogni si hanno e
che la ricchezza e la soddisfazione crescono a dismisura laddove non ci si crei
la falsa speranza di poterle ottenere con ciò che ha un inizio e una fine. Perché,
una volta raggiunto un obiettivo, ne vogliamo un altro, sempre di più, sempre
di più…
6 III.6 L'individuo che controlla con la forza gli organi dell'azione, ma la cui mente ruota intorno ai pensieri degli oggetti dei sensi, viene chiamato ipocrita, uno che inganna se stesso
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Questo non vuol dire eliminare il piacere di avere delle mete, ma trascenderlo.
Con la buddhi si può fare una scelta consapevole per oltrepassare i sensi e
sostituire al desiderio che da essi emana, l’ananda, la spinta a fondersi con
l’energia cosmica, ritrovandola anche qui, sulla terra. Non occorre fuggire il
mondo, ma non farsene travolgere. Non occorre rinunciare ai piaceri, ma
reindizzare l’energia degli input che arrivano dai sensi, verso un obiettivo più
stabile e meno illusorio, non perché non esistano tali mete, ma perché appunto
non sono eterne. Tutto ciò che ha un inizio e una fine è causa di sofferenza se
ci si attacca ad esso e non a ciò che ad esso sta dietro: quindi la domanda è se
vogliamo davvero o no smetterla di soffrire! E non per moralismi o per frasi
fatte, ma semplicemente perché la vita è più bella se vissuta senza sofferenza,
no?
V.22 La persona intelligente non indugia mai nei piaceri generati dal contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi. Non se ne compiace, o figlio di Kunti, perché essi hanno un inizio e una fine, e sono portatori di sofferenza.
L’anima, ops, la coscienza, non ha inizio né fine, è eterna e immutabile. Come
mi piace la sensazione che lascia dentro di me questa parole: immutabile. Che
non vuol dire indifferente, ma intoccata, come il quarto chakra, proprio quello
associato all’amore inteso come espansione. Di che? Di questa energia che
tutti ci governa. L’amore? Sì, si può definire anche così.
Ma se dunque i sensi sono così potenti da distogliere la nostra capacità
intellettiva (II.69), come si può conseguire un’igiene mentale che ci permetta
di mantenere l’attenzione su altro?
La meditazione sicuramente aiuta nello spostare il nostro radar verso altre
calamite, e aiuta anche nel creare nuovi percorsi neurali che ci aprano la
possibilità di fare l’upgrade del nostro apparato psichico per afferrare altri tipi
di conoscenze.
II.61 Chi frena i sensi tenendoli sotto controllo e assorbe la coscienza in Me dà certamente prova di un’intelligenza ferma.
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II.62 Contemplando gli oggetti dei sensi (visayan) nasce l’attaccamento (sangah), dall’attaccamento nasce la cupidigia (kama), dalla cupidigia la collera (krodha). II.63 Dalla collera nasce l’illusione (moha) e dall’illusione la confusione della memoria. Quando la memoria è confusa, l’intelligenza è persa e allora si cade di nuovo nella palude dell’esistenza materiale.
Quindi le azioni che facciamo possono continuare ad alimentare queste smanie
di attaccamento a ciò che ci piace e di repulsione di ciò che non ci piace, ma
possono anche liberarcene!
Il segreto non è non agire, ma non lasciarsi influenzare da queste bandiere che
sono i nostri umori e i nostri desideri, per trascenderli e integrarli (e integrarsi)
nel flusso della vita dove ogni cosa scorre senza che ci si debba sforzare.
Eh, la fai facile, se mollare il controllo facesse andare bene le cose, lo
farebbero tutti.
In realtà non è facile per niente, perché non siamo abituati a non voler
controllare e ad abbandonarci, non siamo abituati a non essere attaccati al
frutto delle azioni, non siamo abituati a non farci influenzare dai nostri desideri.
Quindi sì, mollare il controllo fa andare bene le cose, ma, no, non è una cosa
facile da fare.
Agire con distacco vuol dire proprio rinunciare al desiderio egoico connesso
all’azione stessa, e sacrificare (nel significato che yajna= sacrificio ha, ovvero
azione atta a mantenere l’ordine universale) l’azione stessa all’energia
cosmica.
Ma lo so, non ci basta, vogliamo avere la garanzia che serva a qualcosa anche
a livello egoico, per lo meno inizialmente.
E infatti i Veda prescrivono i sacrifici perché il loro compimento procurerà tutti i
benefici necessari per vivere serenamente e ottenere la liberazione (III.10):
ma essi alla fine servono per diventare pian pian coscienti del divino e del suo
ciclo, per poter, pian piano, cominciare a sacrificare anche altro, sempre con lo
stesso fine (il mantenimento di ritam, l’ordine universale). Se i sacrifici (veri o
metaforici) non vengono fatti per innalzare la nostra consapevolezza interiore,
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il nostro legame con Krishna che rappresenta appunto una metafora della
coscienza o anima cosmica (chiamiamola così, se non riusciamo con la nostra
strumentazione psicofisica a concepire che Krishna sia effettivamente
l’espressione umana del divino sceso in terra, come anche Gesù), rimangono
dei puri atti esteriori, solo dei codici morali.
III.11 Soddisfatti dai vostri sacrifici, i deva a loro volta vi soddisferanno e da questi scambi reciproci nascerà per tutti la prosperità.
Quindi occorre agire, agire, agire. Occorre continuare a fare ciò che dobbiamo
fare. Ma in modo diverso: al di sopra delle dualità, senza pensare al risultato.
Sì, lo so, proprio l’opposto di ciò che ci insegna il nostro scoppiettante modo di
vivere… E che vi devo dire, mica l’ho deciso io!
Io so solo che da quando ho switchato approccio, sto molto meglio (non prendo
nemmeno più la pillola per la pressione alta che la mia patologia ai reni mi
procurava: sono matta? Forse, ma ora ce l’ho talmente bassa che sarei più
pazza a prenderla e a procurarmi svenimenti probabilmente…).
Continuiamo quindi a fare quello che dobbiamo fare, ma sentendo in noi, per
viverli, i precetti che la BG ci insegna.
Nessuno in questo mondo può non agire: l’azione è il modo in cui entriamo a
far parte della ruota della vita e ciò che dobbiamo fare è dettato da ciò che
siamo, anche dai nostri condizionamenti.
III.5 In verità nessuno può rimanere neppure un momento senza agire; perché le qualità dell’agire costringono ad agire, che lo si voglia o no.
III.33 Anche una persona di conoscenza agisce secondo la propria natura, perché ognuno segue l’indole acquisita a contatto con i tre guna. A che serve dunque reprimerla?
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Ognuno ha i propri condizionamenti, la propria natura7 da integrare in se
stesso, ma è così piacevole poter sentire che ognuno può contribuire al tutto,
semplicemente, essendo. Essendo cosa? Se stessi.
Ci sono vie diverse per raggiungere lo stesso fine, ognuno può seguire quella
più adatta al suo modo di essere e al suo livello di consapevolezza (verranno
dispiegate meglio via via che il libro procede), ma lo yoga dell’azione credo che
sia quello più adatto a tutti noi occidentali: io ho fatto una fatica assurda
cercando di seguire lo jnana yoga, quello della conoscenza, perché sicuramente
non ero pronta per questa conoscenza, anche se la mia bulimia conoscitiva mi
portava a fagocitare informazioni che solo dopo aaaaaanni sono riuscita a
interiorizzare. Se fossi stata un po’ più umile sarei partita da qui, da quello che
sto seguendo ora: il naishkarmya. Così mi sento davvero parte del tutto, senza
presunzione e senza mortificarmi.
Anche questo libro fa parte di ciò che posso fare senza pensare ai frutti
dell’azione, ma spinta da una motivazione meno basata sulle mie necessità e
più sulle mie innate capacità. E dedicarmici ore e ore tutti i giorni per riuscire a
scrivere un capitolo al giorno e magari portarlo in giro per quando la nostra
scoppiettante vita tornerà a fagocitarci dopo questo lockdown che per me è
stata una benedizione, mi fa sentire semplicemente a posto, perché, come la
pioggia,8 anche io sto facendo quello che so fare. Mi sono sempre sentita
presuntuosa nel riconoscere i miei talenti, eppure son sempre stata così brava
a cercare di infondere sicurezza negli altri riguardo ai propri, che per una volta
ho deciso di essere equanime anche verso di me: se anche io sono della stessa
energia che vedo negli altri, posso prendermi cura di questa mia energia con la
stessa accoglienza con cui cerco di farlo anche con gli altri appunto.
7 La filosofia e psicologia indovediche fanno scaturire la natura del singolo da tre modalità diverse di manifestazione dell’energia: la maggior presa che una di esse ha, determina il nostro carattere di base. Questi tre guna, o condizionamenti, interpretano con un alfabeto diverso ciò che la nostra psicologia spiega con quelle tendenze dettate dai nostri primi imprinting emotivi, che si ripercuotono su di noi per tutta la vita, caratterizzandoci come determinate personalità psicologiche. 8 III.14 Il corpo di tutti gli esseri trova sostentamento nei cereali, che crescono grazie alle piogge. Le piogge sono prodotte dal compimento di sacrifici, che a loro volta nascono dai doveri prescritti.III.18 Chi ha realizzato la propria identità spirituale non ha interessi personali nell’adempiere i doveri prescritti, né ha motivo di sfuggire a questi obblighi […]
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III.36 È meglio compiere il proprio dovere, anche se in modo imperfetto, che compiere perfettamente quello di un altro. È meglio fallire svolgendo il proprio dovere che assumersi il dovere di un altro, perché seguire l’altrui via è molto pericoloso.
Ma cos’è che allora ci distoglie dal seguire la nostra vera natura? Cosa ci
spinge a non entrare nel cerchio della vita e in ciò che Deepak Chopra definisce
sincrodestino (questa capacità di entrare nel flusso cosmico in cui le azioni e le
intenzioni del singolo si allineano a quelle dell’Universo, sostenendosi a
vicenda)? Perché non ci viene spontaneo? Che cosa spinge una persona a
peccare (il peccato va inteso come azione non allineata all’ordine cosmico, non
in senso strettamente moralistico), anche contro la sua volontà, come se vi
fosse costretta? (II.36)
Arjuna fa la stessa domanda al suo guru che così risponde:
III.37 È il desiderio soltanto, o Arjuna […] è il grande peccato che tutto divora, il peggiore dei nemici.
Il desiderio copre l’uomo che vive condizionato dai piaceri dei soli oggetti non
spirituali, come la polvere copre per sua natura gli specchi e il fumo il fuoco
(III.39). È una cosa naturale e non è che non debba esistere, è che possiamo
davvero invertirne la tendenza.
E se state leggendo questo libricino, siete un pochino d’accordo anche voi che
qualcosa da qualche parte debba cambiare.
La nostra consapevolezza può crescere solo se ci liberiamo di questi desideri
egoici: possiamo farcela usando in maniera diversa quella parte del nostro
apparato psichico9 che corrisponde all’intelligenza perchè con essa possiamo
trascendere verso altro (nirdvando) l’energia psichica in genere attratta dagli
oggetti dei sensi.
9 Chit è composta da i sensi (indriya), la mente (manas) e l’intelligenza (buddhi): operano in concomitanza per darci la percezione del mondo esteriore, ma la buddhi può essere direzionata anche verso l’interno. Certo deve anche essere rivolta al mondo esteriore, dato che ci abitiamo, ma può decidere quali input trattenere e quali lasciare andare, può selezionare come usarli e come trasformarli. Questo richiede una pratica tenace e costante di cui Krishna parlerà nel capitolo VI.
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Anche questo è dimostrato dalla fisica quantistica: se si scompone la materia,
alla fine ciò che rimane è energia (shakti). Questa energia è emanata sia dagli
oggetti dei sensi che da quelli non percepibili coi sensi (in genere si pensa che
ciò che non si può toccare, vedere, sentire, non esista): da ogni oggetto si
emanano onde, fasci di energia psichica che attraggono la mente e la
avviluppano a loro, traducendo questo attaccamento in comportamenti coatti. I
contenuti dell’oggetto su cui si è attratti, fluiscono nel soggetto attratto,
influenzandone il campo mentale. Ma allora si può ben cambiare il campo,
cambiando l’oggetto su cui ci si concentra! Facile? No. Ovviamente. Se no tutti
lo farebbero davvero. E allora perché farlo?
Perché è bello, ti fa star bene, perché è davvero la via del ritorno a casa,
perché TI CAMBIA LA VITA!
La meditazione e il permettere alla mente di lasciarsi attrarre da altro oltre che
dagli oggetti/emozioni percepibili coi sensi, se visti in questi termini possono
anche diventare un “gioco”: una sorta di allenamento mentale avanzato
rispetto alla settimana enigmistica, perché non allena i soliti circuiti neurali, ma
ne crea in continuo di nuovi.
E se ogni volta vacilliamo perché ci sembra di non procedere o, addirittura, di
tornare indietro, e ci blocchiamo, ricordiamoci che le conseguenze della
mancanza d’azione sono l’infamia e il disonore (II.34): nella fattispecie se ci
tiriamo indietro ogni volta che i nostri dubbi razionali ci prendono, disonoriamo
noi stessi, quella parte di noi che è una meraviglia, l’anima.
Quando questi momenti arrivano, perché arrivano sempre, possiamo
pazientemente tornare a cercare quella conoscenza che dissipi le tenebre
dell’ignoranza. E magari aiutarci con un mantra come questo, affidandoci con
fede alla capacità del divino di soccorrerci se solo glielo lasciamo fare.
Om Asato Maa Sad-Gamaya
Tamaso Maa Jyotir-Gamaya
Mrtyor-Maa Amrtam-Gamaya
Om Shaanti Shaanti Shaanti
Portami dall’irrealtà alla verità
Dall’oscurità alla luce
Dalla morte all’immortalità
Om Pace Pace Pace
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Un pizzico di fede è a questo punto necessaria per poter proseguire, o per lo
meno è necessario fare la scelta di voler modificare i propri parametri mentali
(che poi è un altro modo per vedere la fede). La BG in effetti non è adatta a chi
ha dubbi e a chi non crede (XVIII.67): ma io credo che chi, anche se dubbioso,
ha una vocina dentro di sé, come l’ho avuta io, che gli sussurra che, forse ma
forse, qualcosa può essere cambiato in un modo diverso da quelli perseguiti
finora e che non portano mai ad una svolta definitiva, può anche provarci, ad
assecondare questa fede. Se poi il mio esempio non sarà servito a nulla
pazienza, magari potrà servire per trovare spunti di altro tipo o magari
infonderà la voglia di approfondir il discorso lo stesso. Non credo di poter far
cambiare idea a chi il cammino lo ha già intrapreso, anzi magari ci si potrebbe
scambiare punti di riflessione!
Se dunque questa arte dell’agire che è lo yoga ci aiuta a distogliere l’attenzione
dal frutto delle azioni; se ritrarre i nostri sensi all’interno10 ci aiuta a liberarci
dalla presa di kama e dai suoi frutti funesti, ira e avidità, come possiamo fare
per seguire questa via?
Appreso che i sensi interpretano la materia con l’aiuto della mente, ma che ad
essi è superiore l’intelligenza, ovvero la capacità di trascendere e di scegliere
su cosa concentrarsi, dal momento che l’anima è ancora più elevata di tutti
questi componenti (III.42), non resta che seguire quanto ci dice Krishna
nell’ultimo shloka di questo capitolo:
III. 43 Sapendo che il sé trascende i sensi, la mente e l’intelligenza materiale, o Arjuna dalle potenti braccia, rendi sobria la tua mente con l’azione risoluta dell’intellige