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Signore Gesù,

donaci il coraggio di volare in alto,

di fuggire la tentazione

della mediocrità e della banalità;

rendici capaci, come Pier Giorgio Frassati,

di aspirare alle cose più grandi

con la sua tenacia e la sua costanza

e di accogliere con gioia il tuo invito alla santità.

Liberaci dalla paura di non riuscirci

o dalla falsa modestia di non esservi chiamati.

Concedici la grazia che Ti domandiamo

per l’intercessione di Pier Giorgio

e la forza per proseguire con fedeltà

sulla via che conduce “vero l’alto”.

Per Gesù Cristo nostro Signore.

Amen.

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VERSO L’ALTO - Pier Giorgio Frassati

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PAPA FRANCESCO agli universitari (30/11/2013)

Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide,

senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle

sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito

Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere

non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non

guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono

aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta

contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno.

Sono diverse le sfide che voi giovani universitari siete chiamati ad affrontare con

fortezza interiore e audacia evangelica. Fortezza e audacia. Il contesto socio-

culturale nel quale siete inseriti a volte è appesantito dalla mediocrità e dalla noia.

Non bisogna rassegnarsi alla monotonia del vivere quotidiano, ma coltivare progetti

di ampio respiro, andare oltre l’ordinario: non lasciatevi rubare l’entusiasmo giovanile!

Sarebbe uno sbaglio anche lasciarsi imprigionare dal pensiero debole e dal pensiero

uniforme, quello che omologa, come pure da una globalizzazione intesa come

omologazione. Per superare questi rischi, il modello da seguire non è la sfera. Il

modello da seguire nella vera globalizzazione - che è buona – non è la sfera, in cui è

livellata ogni sporgenza e scompare ogni differenza; il modello è invece il poliedro,

che include una molteplicità di elementi e rispetta l’unità nella varietà. Nel difendere

l’unità, difendiamo anche la diversità. Al contrario quella unità non sarebbe umana.

Il pensiero, infatti, è fecondo quando è espressione di una mente aperta, che

discerne, sempre illuminata dalla verità, dal bene e dalla bellezza. Se non vi

lascerete condizionare dall’opinione dominante, ma rimarrete fedeli ai principi etici e

religiosi cristiani, troverete il coraggio di andare anche contro-corrente. Nel mondo

globalizzato, potrete contribuire a salvare peculiarità e caratteristiche proprie,

cercando però di non abbassare il livello etico. Infatti, la pluralità di pensiero e di

individualità riflette la multiforme sapienza di Dio quando si accosta alla verità con

onestà e rigore intellettuale, quando si accosta alla bontà, quando si accosta alla

bellezza, così che ognuno può essere un dono a beneficio di tutti.

L’impegno di camminare nella fede e di comportarvi in maniera coerente col Vangelo

vi accompagni in questo tempo di Avvento, per vivere in modo autentico la

commemorazione del Natale del Signore. Vi può essere di aiuto la bella

testimonianza del beato Pier Giorgio Frassati, il quale diceva – universitario come voi

- diceva: «Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza

sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non

dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere»

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PARTIRE E CAMMINARE…

CAMMINARE

NON È GIROVAGARE

Partire e camminare sono stili di vita: possono diventare la metafora di chi vive con una

mèta, con uno scopo verso dove andare, di chi vive concedendosi alcune soste (per

sapere dove sta, per riposarsi, per ristorarsi…) ma per riprendere poi il cammino con

ancora più convinzione e consapevolezza.

Camminare è anche di chi sa misurare le forze, di chi sa affrontare la fatica (senza

ingenuità, senza pensare che sia la cosa più facile del mondo o senza pensare che si vive

per faticare e per soffrire). Camminare è di chi sa che a camminare non si è da soli anche

quando si pensa di esserlo, quando si pensa di essere soli dopo essere stati abbandonati,

traditi… “Io sarò con te” è la frase ripetuta tantissime volte da Dio a personaggi che

temono, che hanno paura di se stessi e delle loro proprie forze, che hanno paura di

quello che potrà accadergli e di quello che potranno fare gli altri…

Partire e camminare non è qualcosa di improvvisato o da vivere con leggerezza e

spensieratezza: non è girovagare, non è passare del tempo e basta, non è andare a fare

una passeggiata… richiede la fatica di pensare a perché partire, verso dove andare, con

chi camminare (va bene qualsiasi compagno di viaggio? I compagni di viaggio sono solo

quelli che mi scelgo?).

Camminare non si fa soltanto per un “piacere” come una passeggiata, ma lo si fa anche

quando costa fatica… se la mèta vale la pena della fatica e dello sforzo che sostengo…

Camminare e faticare fanno vivere la tentazione di ritrarsi e di tornare indietro verso il

luogo che ben conosci e che ti ha accolto prima di partire. Il nuovo può essere

certamente bello, la libertà di andare a scoprire cose nuove è qualcosa che spesso

rivendichiamo: ma libertà è sinonimo di facilità? Libertà è non dover pensare a nulla?

Libertà costa fatica? Libertà si improvvisa? Si è educati alla libertà?

Partire da dove? Cosa devo lasciare? Partire vuol dire per forza rinunciare a qualcosa?

Partire vuol dire forse rinunciare a delle abitudini, a qualcosa che ormai conosco e che

mi fa comodo perché ormai so come comportarmi e come muovermi: costa fatica

lasciare questo?

Partire è ricominciare da capo? Il passato va per forza di cose abbandonato?

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Perché partire e non rimanere dove sono? Perché partire e non accontentarsi di quello

che ho? Partire e basta oppure partire per andare verso una mèta?

Iniziare un cammino può essere faticoso, può indurre a chiedersi “ma chi o cosa me lo fa

fare?”, soprattutto se, all'inizio, non sono chiari né la mèta né le difficoltà che incontreremo.

Per questo la decisione di cominciare un cammino comporta coraggio e fiducia nell'obiettivo

perseguito.

A 16 o a 22 anni devo sapere, per forza di cose, quale è la mèta verso dove andare?

Deve essere tutto chiaro e preciso? E se la mèta non è chiara perché partire? Cosa

voglio dire con mèta, obiettivo, fine verso dove andare? È qualcosa di statico, di

fisso, di preciso, di incasellato oppure è una direzione, un orientamento che ha

però dei paletti (valori, desiderio di ricercare, dare significato, spessore, bellezza e

felicità alla propria vita, desiderio di vivere da protagonisti la propria vita…)? Forse

qualcosa di meno preciso ma non per questo meno avvincente… le cose precise,

chiare, magari scelte dagli altri, dette dagli altri ci piacciono tanto perché ci

risparmiano la fatica di pensare, di scegliere di ragionare, di rischiare… proprio

come gli ebrei dell’esodo che chiedono di tornare in Egitto dove almeno

mangiavano, bevevano e avevano una tomba dove essere sepolti… erano gli

egiziani a farli sopravvivere!

TESTO BIBLICO: Esodo 6,1-8 (La missione di Mose e liberazione di Israele)

Il Signore disse a Mosè: "Ora vedrai quello che sto per fare al faraone: con mano

potente li lascerà andare, anzi con mano potente li scaccerà dalla sua terra!".

Dio parlò a Mosè e gli disse: "Io sono il Signore! Mi sono manifestato ad Abramo,

a Isacco, a Giacobbe come Dio l'Onnipotente, ma non ho fatto conoscere loro il

mio nome di Signore. Ho anche stabilito la mia alleanza con loro, per dar loro la

terra di Canaan, la terra delle loro migrazioni, nella quale furono forestieri. Io

stesso ho udito il lamento degli Israeliti, che gli Egiziani resero loro schiavi, e mi

sono ricordato della mia alleanza. Pertanto di' agli Israeliti: "Io sono il Signore! Vi

sottrarrò ai lavori forzati degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi

riscatterò con braccio teso e con grandi castighi. Vi prenderò come mio popolo e

diventerò il vostro Dio. Saprete che io sono il Signore, il vostro Dio, che vi sottrae

ai lavori forzati degli Egiziani. Vi farò entrare nella terra che ho giurato a mano

alzata di dare ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe; ve la darò in possesso: io sono il

Signore!"".

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Arriva un giorno in cui bisogna lasciare tutto, abbandonare tutto: mettersi in

cammino, anche se è faticoso. È la dinamica stessa dell’esistenza che chiama ad

uscire da sé, dalle proprie abitudini, dalle proprie sicurezze e a mettersi in ricerca.

L’esempio di Abramo può essere illuminante (Genesi 12,1-4). Può essere un Sogno,

una Voce, una Persona a metterti in movimento... ciò che conta è che tu sia disposto

a partire, che tu sia disposto a rischiare, nonostante le paure, le incertezze, le

incognite che avvolgono il futuro.

HAI DA DIRMI QUALCOSA? ALCUNI TESTI PER RIFLETTERE

GLI 8 NON ABBIATE PAURA DI GIOVANNI PAOLO II AI GIOVANI

1. Non abbiate paura della vostra giovinezza e di quei profondi desideri che provate di felicità, di

verità, di bellezza e di durevole amore!

Messaggio per la XVIII Giornata mondiale della pace

2. Non abbiate paura e non stancatevi mai di ricercare le risposte vere alle domande che vi

stanno di fronte. Cristo, la verità, vi farà liberi!

Messaggio per la XVIII Giornata mondiale della pace

3. Non abbiate paura di proclamare, in ogni circostanza il Vangelo della Croce. Non abbiate paura

di andare controcorrente!

Omelia — 4 Aprile 2004

PAPA FRANCESCO

“Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione

di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa

di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi

per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo

seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle

novantanove pecore, dobbiamo ‘uscire’, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più

lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù

e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi”.

(Udienza generale, 27 marzo 2013).

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4. Non abbiate paura di aspirare alla santità! Del secolo che volge al suo termine e del nuovo

millennio fate un’era di uomini santi!

Omelia — 16 giugno 1999

5. Non abbiate paura perché Gesù è con voi! Non abbiate paura di perdervi: più donerete e più

ritroverete voi stessi!

Discorso ai giovani di Roma — 21 marzo 1997

6. Non abbiate paura di Cristo! Fidatevi di lui fino in fondo! Egli solo “ha parole di vita eterna”.

Cristo non delude mai!

Discorso ai giovani di Poznan — 3 Giugno 1997

7. Non abbiate paura di dire “sì” a Gesù e di seguirlo come suoi discepoli. Allora i vostri cuori si

riempiranno di gioia e voi diventerete una Beatitudine per il mondo. Ve lo auguro con tutto il

mio cuore.

Saluto ai giovani — 24 Marzo 2000

8. Non abbiate paura di aprire le porte a Cristo! Sì, spalancate le porte a lui! Non abbiate paura!

Discorso a Tor Vergata— 15 Agosto 2000

MOSTRATI, SIGNORE

A tutti i cercatori del tuo volto,

mostrati, Signore;

a tutti i pellegrini dell'assoluto,

vieni incontro, Signore;

con quanti si mettono in cammino

e non sanno dove andare

cammina, Signore;

affiancati e cammina con tutti i disperati sulle strade di Emmaus;

e non offenderti se essi non sanno

che sei tu ad andare con loro,

tu che li rendi inquieti

e incendi i loro cuori;

non sanno che ti portano dentro:

con loro fermati poiché si fa sera

e la notte è buia e lunga, Signore.

(David Maria Turoldo)

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Ognuno di noi, ha la sua strada da fare, ognuno di noi è chiamato a percorrere

sentieri da scoprire. È importante fermarsi e ascoltare le testimonianze di

coloro che hanno già fatto un pezzo di strada in più, ci sia accorge di come è

bello andare, a volte assieme ad altri a volte in solitudine, l’importante è sapere

che nel cammino non siamo mai soli.

(Monache domenicane di Pratovecchio – Ar)

Credo nella vita che Dio mi ha dato,

Credo che questa mia vita meriti di essere vissuta,

per i momenti di gioia e di entusiasmo che essa mi offre,

e anche per le difficoltà e le sofferenze che essa incontra.

Credo che vada vissuta per gli altri,

credo che sia da costruire insieme a colui che me l’ha donata.

Credo nell’uomo

Credo che ognuno è stato creato da Dio

e che perciò ha gli stessi miei diritti e doveri.

Credo nella bontà di tutti gli uomini,

nell’uguaglianza e nella fraternità di tutti i popoli, senza distinzioni.

Credo ogni uomo capace di impegnarsi senza tiepidezza e senza mediocrità

per la pace e la giustizia affinché

possiamo trovarci in viaggio tutti assieme

trovando sempre la strada giusta, anche nelle difficoltà

senza comode vie di mezzo e senza subire il fascino di scelte comode.

Credo nella chiesa e credo che in essa ci sia un posto anche per me,

che mi impegno a scoprire e occupare con responsabilità e serietà.

Questo sono sicuro/a, mi aiuterà nel mio futuro, nelle strade che imboccherò.

Credo in te, Signore con il tuo aiuto,

affronterò nuovi problemi con serenità

donerò la mi amicizia e la mia voglia di vivere ad altre persone.

Fa in modo che il viaggio ci trovi sempre uniti e compatti e aiutami a seguire la strada che

tu hai pensato per me.

Se il percorso sarà impervio aiutami a non scoraggiarmi;

recuperami se mi perdo, curami se resterò ferito/a,

rendimi umile e disponibile

davanti ai consigli e agli aiuti degli altri.

Signore, tu mi conosci e sai quanto valgo.

Fa in modo che anch’io, al termine del mio cammino,

possa conoscere Te,

e quanto vali.

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NEGRITA – MAMA MAE’

Mama Mae' prega perché

il mondo va più veloce di me

Alzo stereo a palla per non pensare

alzo così tanto da farmi male

dimenticando tutto quello che so

tutto quello che so

Rotolo e rimbalzo

tra l'inferno e il cielo

Tra demoni privati

e santi extra vangelo

perdendo terreno ma il fiato è quello che è

prega un poco per me

Partecipo al gioco

e non so bleffare

che vinca o che perda

io voglio provare

Mama Mae' prega perché

il mondo va più veloce di me

Controsterzo, sbando e vado di fuori

cercando di seguire piloti migliori

ma è un po' ricucire uno strappo

e non so se mi va

no, non so se mi va

Per ogni partita hai un gioco da fare

che vinca o che perda io voglio provare

Mama Mae' prega perché

il mondo va più veloce di me......

IRENE GRANDI - PRIMA DI PARTIRE PER UN LUNGO VIAGGIO

Prima di partire per un lungo viaggio

Devi portare con te la voglia di non tornare più

Prima di non essere sincera

Pensa che ti tradisci solo tu

Prima di partire per un lungo viaggio

Porta con te la voglia di non tornare più

Prima di non essere d'accordo

Prova ad ascoltare un po' di più

Prima di non essere da sola

Prova a pensare se stai bene tu

Prima di pretendere qualcosa

Prova a pensare a quello che… dai tu

Non è facile però

È tutto qui

Non è facile però

È tutto qui

Prima di partire per un lungo viaggio

Porta con te la voglia di adattarti

Prima di pretendere l'orgasmo

Prova solo ad amarti

Prima di non essere sincera

Pensa che ti tradisci solo tu

Prima di pretendere qualcosa

Prova a pensare a quello che… dai tu

Non è facile però

È tutto qui

Non è facile però

È tutto qui

Non è facile però

È tutto qui

Prima di pretendere qualcosa

Prova a pensare a quello che… dai tu

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INNO ALLA VITA - Madre Teresa

La vita è un’opportunità, coglila.

La vita è bellezza, ammirala.

La vita è beatitudine, assaporala.

La vita è un sogno, fanne una realtà.

La vita è una sfida, affrontala.

La vita è un dovere, compilo.

La vita è un gioco, giocalo.

La vita è preziosa, conservala.

La vita è una ricchezza, conservala.

La vita è amore, godine.

La vita è un mistero, scoprilo.

La vita è promessa, adempila.

La vita è tristezza, superala.

La vita è un inno, cantalo.

La vita è una lotta, vivila.

La vita è una gioia, gustala.

La vita è una croce, abbracciala.

La vita è un’avventura, rischiala.

La vita è pace, costruiscila.

La vita è felicità, meritala.

La vita è vita, difendila.

SALMO 83 (84)

Quanto mi è cara la tua casa, Dio dell'universo! Mi consumano nostalgia e desiderio del tempio del Signore.

Mi avvicino al Dio vivente, cuore e sensi gridano di gioia. All'ombra dei tuoi altari, Signore onnipotente, anche il passero trova un rifugio e la rondine un nido dove porre i suoi piccoli.

Mio re, mio Dio, felice chi sta nella tua casa: potrà lodarti senza fine. Felici quelli che hanno in te la loro forza: camminano decisi verso Sion.

Quando passano per la valle deserta la rendono un giardino benedetto dalle prime piogge. Camminano, e cresce il loro vigore finché giungono a Dio, in Sion.

Signore, Dio dell'universo, accogli la mia preghiera, ascolta, Dio di Giacobbe. Tu sei il nostro difensore proteggi il re che hai consacrato.

Meglio per me un giorno nella tua casa che mille altrove; meglio restare sulla soglia del tuo tempio che abitare con chi ti odia.

LA SITUAZIONE ORIGINARIA

Alcuni antichi ebrei fanno un

pellegrinaggio verso Gerusalemme.

Sono emozionati ed entusiasti. Lungo

la via pregano, cantando con gioia e

speranza. Al loro passaggio anche la

natura cambia: passano per un’arida

valle, e quella sembra un giardino.

Camminano, e nemmeno sentono la

stanchezza. Sanno che il Signore è

sempre generoso con chi procede

sulla strada della sua volontà.

COSA DICE ALLA MIA VITA…

Anch’io posso fare un pellegrinaggio,

come spesso ha fatto anche Gesù.

Più che una passeggiata, è un cammino

lungo il quale posso riuscire a capire

e a mostrare quali sono

i miei desideri più veri,

il mio entusiasmo di fondo,

la mia attesa principale,

le mie richieste più genuine,

la mia fiducia fondamentale.

Allora lì si vede se io sono capace

di esprimere ad alta voce i miei sentimenti.

Ma sono davvero capace

di metterli in comune

con altri che percorrono

la mia stessa strada?

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LIBERTÀ O

SCHIAVITÙ

Si prende la decisione di partire per tanti motivi. Forse lo si può fare a cuor leggero, per scappare

da alcune situazioni, per ricercare qualcosa di nuovo, per vivere sensazioni forti… partire è anche

desiderare autonomia, è desiderare di staccarsi da qualcosa che magari ti sta stretto… proprio

come la schiavitù degli ebrei in Egitto.

Partire diventa il sogno realizzato, partire per gli ebrei è l’urlo di richiesta di liberazione che viene

ascoltato da Dio. La libertà diventa poi la scoperta di qualcosa di non spensierato come magari si

poteva pensare prima: libertà non è sinonimo di facilità, di assenza di fatica…

Si entra nel deserto e dopo circa un mese si richiede di tornare indietro: gli

ebrei si lamentano con Mosè perché li ha condotti fuori dall’Egitto… ma non

sono stati loro a chiedere di andarsene? Non lo hanno urlato loro questo

desiderio? Lo hanno urlato, non lo hanno domandato per favore… segno che

si trattava di qualcosa di urgente, di impellente, di fondamentale: quasi

come fosse qualcosa che riguardava la vita o la morte. In Egitto non ne

potevano più della schiavitù diventata insopportabile, opprimente… ma col

senno di poi si scopre quanto la schiavitù fosse comoda: si lavorava come

bestie ma c’era chi ti trovava da mangiare e da bere, avevi una casa e un

tetto sotto cui dormire, una tomba dove essere sepolto… ed ora? Ora c’è il

deserto… ed ora che si è partiti? Ed ora che hanno cominciato a camminare?

Dopo soltanto un mese si chiede di tornare indietro… libertà o schiavitù?

La mormorazione interiore si fa forza: era meglio quando stavamo peggio! Chi me lo ha

fatto fare? Ma lasciamo stare e basta! Ne è valsa proprio la pena di partire? Almeno in

Egitto sapevo come muovermi, conoscevo tutto attorno a me… ed ora è tutto nuovo,

tutto da cercare, tutto da scoprire, tutto da conquistare: libertà vuol dire questo?

Perché non accontentarsi allora? Meglio essere schiavi, soffrire, non avere la possibilità

neanche di pensare (perché poi pensare se sono gli altri a pensare al posto tuo, a

decidere cosa devi fare e cosa non puoi fare?). la mormorazione interiore diventa

allora una ribellione esteriore: voglio tornare indietro! Chi si accontenta gode…?

2.

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TESTO BIBLICO: Esodo 15,22-27 (mormorazione per l’acqua)

Mosè fece partire Israele dal Mar Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur.

Camminarono tre giorni nel deserto senza trovare acqua. Arrivarono a Mara, ma non

potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo furono chiamate

Mara. Allora il popolo mormorò contro Mosè: "Che cosa berremo?". Egli invocò il

Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell'acqua e l'acqua divenne dolce. In quel

luogo il Signore impose al popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla

prova.Disse: "Se tu darai ascolto alla voce del Signore, tuo Dio, e farai ciò che è retto ai

suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non

t'infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitto agli Egiziani, perché io sono il Signore,

colui che ti guarisce!".

Poi arrivarono a Elìm, dove sono dodici sorgenti di acqua e settanta palme. Qui si

accamparono presso l'acqua.

TESTO BIBLICO: Esodo 17,1-7 (mormorazione per l’acqua)

Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa in

tappa, secondo l'ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma non c'era acqua da bere

per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: "Dateci acqua da bere!". Mosè disse loro:

"Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?". In quel luogo il

popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse:

"Perché ci hai fatto salire dall'Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro

bestiame?". Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: "Che cosa farò io per questo popolo?

Ancora un poco e mi lapideranno!". Il Signore disse a Mosè: "Passa davanti al popolo e

prendi con te alcuni anziani d'Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il

Nilo, e va'! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull'Oreb; tu batterai sulla roccia: ne

uscirà acqua e il popolo berrà". Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d'Israele. E

chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero

alla prova il Signore, dicendo: "Il Signore è in mezzo a noi sì o no?".

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TESTO BIBLICO: Esodo 16,1-5 (mormorazione per la fame)

Levarono le tende da Elìm e tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin, che si

trova tra Elìm e il Sinai, il quindici del secondo mese dopo la loro uscita dalla terra

d'Egitto.

Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli

Israeliti dissero loro: "Fossimo morti per mano del Signore nella terra d'Egitto, quando

eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete

fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine".

Allora il Signore disse a Mosè: "Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il

popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla

prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ma il sesto giorno, quando

prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che avranno

raccolto ogni altro giorno".

TESTO BIBLICO: Numeri 11,1-6.10-23.31-35 (mormorazione contro la manna)

Ora il popolo cominciò a lamentarsi aspramente agli orecchi del Signore. Li udì il Signore e

la sua ira si accese: il fuoco del Signore divampò in mezzo a loro e divorò un'estremità

dell'accampamento. Il popolo gridò a Mosè; Mosè pregò il Signore e il fuoco si

spense. Quel luogo fu chiamato Taberà, perché il fuoco del Signore era divampato fra

loro.

La gente raccogliticcia, in mezzo a loro, fu presa da grande bramosia, e anche gli Israeliti

ripresero a piangere e dissero: "Chi ci darà carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci

che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle

e dell'aglio. Ora la nostra gola inaridisce; non c'è più nulla, i nostri occhi non vedono altro

che questa manna".

Mosè udì il popolo che piangeva in tutte le famiglie, ognuno all'ingresso della propria

tenda; l'ira del Signore si accese e la cosa dispiacque agli occhi di Mosè. Mosè disse al

Signore: "Perché hai fatto del male al tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi

occhi, al punto di impormi il peso di tutto questo popolo? L'ho forse concepito io tutto

questo popolo? O l'ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: "Portalo in grembo",

come la nutrice porta il lattante, fino al suolo che tu hai promesso con giuramento ai suoi

padri? Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo? Essi infatti si lamentano

dietro a me, dicendo: "Dacci da mangiare carne!". Non posso io da solo portare il peso di

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tutto questo popolo; è troppo pesante per me. Se mi devi trattare così, fammi morire

piuttosto, fammi morire, se ho trovato grazia ai tuoi occhi; che io non veda più la mia

sventura!".

Il Signore disse a Mosè: "Radunami settanta uomini tra gli anziani d'Israele, conosciuti da

te come anziani del popolo e come loro scribi, conducili alla tenda del convegno; vi si

presentino con te. Io scenderò e lì parlerò con te; toglierò dello spirito che è su di te e lo

porrò su di loro, e porteranno insieme a te il carico del popolo e tu non lo porterai più da

solo.

Dirai al popolo: "Santificatevi per domani e mangerete carne, perché avete pianto agli

orecchi del Signore, dicendo: Chi ci darà da mangiare carne? Stavamo così bene in Egitto!

Ebbene, il Signore vi darà carne e voi ne mangerete. Ne mangerete non per un giorno,

non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, ma

per un mese intero, finché vi esca dalle narici e vi venga a nausea, perché avete respinto

il Signore che è in mezzo a voi e avete pianto davanti a lui, dicendo: Perché siamo usciti

dall'Egitto?"".

Mosè disse: "Questo popolo, in mezzo al quale mi trovo, conta seicentomila adulti e tu

dici: "Io darò loro la carne e ne mangeranno per un mese intero!". Si sgozzeranno per

loro greggi e armenti in modo che ne abbiano abbastanza? O si raduneranno per loro

tutti i pesci del mare, in modo che ne abbiano abbastanza?". Il Signore rispose a Mosè: "Il

braccio del Signore è forse raccorciato? Ora vedrai se ti accadrà o no quello che ti ho

detto".

Un vento si alzò per volere del Signore e portò quaglie dal mare e le fece cadere

sull'accampamento, per la lunghezza di circa una giornata di cammino da un lato e una

giornata di cammino dall'altro, intorno all'accampamento, e a un'altezza di circa due

cubiti sulla superficie del suolo. Il popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto

il giorno dopo raccolse le quaglie. Chi ne raccolse meno ne ebbe dieci homer; le distesero

per loro intorno all'accampamento. La carne era ancora fra i loro denti e non era ancora

stata masticata, quando l'ira del Signore si accese contro il popolo e il Signore percosse il

popolo con una gravissima piaga. Quel luogo fu chiamato Kibrot-Taavà, perché là

seppellirono il popolo che si era abbandonato all'ingordigia.

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HAI DA DIRMI QUALCOSA? ALCUNI TESTI PER RIFLETTERE

Il libro dell’Esodo ci narra del viaggio che Dio fa compiere al popolo attraverso il suo servo

Mosé. Ma in questo cammino non una volta interviene la sfiducia del popolo. «La sfiducia di

un popolo che, nel deserto, dice no alla speranza del Dio vivo e preferisce adorare un idolo

(Es 32, 7-10.15-24); che dice no alla speranza del progetto di salvezza e preferisce, nel

rimpianto, l’aglio e la cipolla della schiavitù in Egitto (Es 16, 1-3); che dice no alla guida,

rifugiandosi nella facile anarchia della mormorazione (Es 16,6-8; 17, 1-7) […] Pretendendo di

bruciare le tappe, il cuore impaziente smette di essere creatura per diventare creatore di

progetti nominalisti, di protesta, immanenti nel loro egoismo […]. Perché l’impazienza ha un

castigo immanente: la sterilità. L’impaziente, volendo tutto e subito, rimane a mani vuote. I

suoi progetti sono come il seme caduto tra le rocce: non hanno profondità, sono mere parole

prive di consistenza […]. L’impazienza disintegra la fiducia».

(J.M.Bergoglio-P.Francesco, Aprite la mente al vostro cuore, 76-77)

DALLE OMELIE DI PAPA FRANCESCO

Essere liberi non vuol dire fare ciò che si vuole, seguire le mode del tempo, passare da

un’esperienza ad un’altra, rimanendo adolescenti tutta la vita. Libertà vuol dire fare

scelte buone e definitive nella vita, come Maria. Come una madre, Maria ci aiuta a

crescere, ad affrontare la vita, ad essere liberi. Crescere vuol dire non cedere alla

pigrizia derivante dal benessere, dalla vita comoda, significa prendersi responsabilità,

tendere a grandi ideali: la Madonna fa proprio questo con noi, ci aiuta a crescere

umanamente e nella fede, ad essere forti e non cedere alla tentazione dell’essere

uomini e cristiani in modo superficiale, ma a vivere con responsabilità, a tendere

sempre più in alto.

Come una madre, Maria insegna a non evitare i problemi e le sfide della vita, come se

questa fosse un’autostrada senza ostacoli. La Vergine ha conosciuto momenti non facili

e aiuta i suoi figli a guardare con realismo i problemi, a non perdersi in essi, a saperli

superare: una vita senza sfide non esiste e un ragazzo o una ragazza che non sa

affrontarle mettendosi in gioco, è senza spina dorsale!.

Infine Maria, donna del sì, libero e incondizionato alla chiamata del Signore, da buona

mamma aiuta i suoi figli ad essere liberi: Ma cosa significa libertà? Non è certo fare tutto

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ciò che si vuole, lasciarsi dominare dalle passioni, passare da un’esperienza all’altra

senza discernimento, seguire le mode del tempo; libertà non significa, per così dire,

buttare tutto ciò che non piace dalla finestra. La libertà ci è donata perché sappiamo

fare scelte buone nella vita!.

Siamo vittime di una tendenza che ci spinge alla provvisorietà, come se desiderassimo

rimanere adolescenti per tutta la vita! Non abbiamo paura degli impegni definitivi, degli

impegni che coinvolgono e interessano tutta la vita! In questo modo la nostra vita sarà

feconda! Maria ci insegna ad essere aperti alla vita, fecondi di bene, di gioia, di

speranza, segni e strumenti di vita.

Quando stiamo bene, siamo comodi nel nostro ambiente, nel nostro insieme di valori e

convinzioni, tendiamo a respingere tutto ciò che minacci di cambiare questo stato di cose.

Oltre a questo, tante volte l'apatia si insidia nel nostro cuore e ci porta a fuggire ogni scelta, a

non prendere mai posizioni, a non mettere in gioco la nostra libertà. ( … )

Tutti abbiamo un bisogno di felicità, alcuni però lo appagano in modi effimeri […].

Ragazzi, ho raccontato questo episodio per assicurarvi che la vita è dura per tutti

quanti, è difficile per tutti quanti. Però io posso indicarvi una fontana a cui potersi

abbeverare e trovare, non la felicità piena, ma l’appagamento interiore; trovare

soprattutto la forza per camminare, per raggiungere veramente gli estuari dove la

felicità si trova: nel regno di Dio. Questa fontana è l’ascolto della Parola del Signore,

cioè il Vangelo [...] Certamente i miei problemi il Signore non me li risolve, li devo

risolvere io, però mi dà il significato di questi problemi, cioè il senso, l’orientamento

ai miei problemi. Il Signore dà senso ai miei problemi, […] ma anche alla mia gioia, al

mio andare avanti, al mio camminare […]. Dà senso perché con Lui tutti gli aspetti

della mia vita non sono spezzoni slegati […] Molte volte la nostra vita è fatta di

spezzoni di cose sbullonate tra loro […] noi non sappiamo più decifrare l’ingranaggio,

l’avvitamento giusto, così andiamo inseguendo gli spezzoni.

(Don Tonino Bello)

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Caro Gesù, ho faticato non poco

a trovarti. Ero persuaso che tu

stessi laggiù, dove il Giordano

rallenta la sua corsa tra i canneti

e i ciottoli che, scintillando sotto

il velo tremante dell’acqua,

rendono più agevole il guado.

C’è tanta folla in questi giorni

che si accalca lì, sulla ghiaia del

greto, per ascoltare Giovanni. […]. Ora,finalmente, ti ho trovato, in questo

misterioso deserto di Giuda […].Come mai sei fuggito dal consorzio degli uomini e sei

venuto a rifugiarti tra queste dune? […] Perché proprio tu sei precipitato in questo

appartamento di desolazione a mordere l’arena della solitudine […]?

“Ti condurrò nel deserto parlerò al tuo cuore, la mi risponderà come nella

giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto; ti farò mia sposa, conoscerai il

Signore” (Osea, 2). Dunque Signore, sei fuggito per un richiamo d’amore, non per un

raptus mistico di solitudine; all’origine del tuo ritiro su questo arido promontorio di

Giuda c’è un’ansia incontenibile di comunione, non la deludente chiusura negli spazi

del ripiegamento. Non sei scappato dalla città perché stanco di convivere con essa,

ma per tornarvi con l’accresciuta voglia di vivere ineffabili esperienze”. […] Dunque,

Signore, non sei venuto qui per evadere dai rumori della vita […] sei venuto perché

sedotto dal presentimento che il deserto, oltre che il silenzio, è anche l’ambito delle

parole che contano; oltre che degli ululati solitari, come dicono i Salmi, è anche il

luogo dove fioriscono le canzoni; oltre che riparo dall’assedio delle folle, è anche il

recinto dove si realizzano gli incontri decisivi, “come quando uscisti dal paese

d’Egitto”. Dunque, Signore, sei entrato nel deserto come vi è entrato il popolo

ebreo, per attraversarlo, non per rimanervi; per ripetere l’avventura dell’esodo nella

terra promessa; per camminare lungo le pianure del provvisorio, in direzione di

colline che stillano latte e miele. […] Mi hai fatto capire che, cioè, che se non si esce

dai bastioni delle proprie sicurezze, se non ci si mette sulle strade dell’esodo, se non

si sa entrare con fiducia nell’incognita del deserto, se non se ne accolgono le logiche

di spogliazione e nudità, una vera convivenza non potrà mai nascere.

(Don Tonino Bello)

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IL NEGOZIO DI ANTIQUARIATO (Niccolò Fabi)

Non si può cercare un negozio di antiquariato

in via del corso

Ogni acquisto ha il suo luogo giusto

e non tutte le strade sono un percorso

Raro è trovare una cosa speciale

nelle vetrine di una strada centrale

Per ogni cosa c'è un posto

ma quello della meraviglia

è solo un po' più nascosto

Il tesoro è alla fine dell'arcobaleno

che trovarlo vicino nel proprio letto

piace molto di meno

Non si può cercare un negozio di antiquariato

in via del corso

Ogni acquisto ha il suo luogo giusto

e non tutte le strade sono un percorso

Come cercare l'ombra in un deserto

o stupirsi che è difficile incontrarsi in mare aperto

Prima di partire si dovrebbe essere sicuri

di che cosa si vorrà cercare dei bisogni veri

Allora io propongo per non fare confusione

a chi ha meno di cinquant'anni

di spegnere adesso la televisione

Non si può entrare in un negozio

e poi lamentarsi che tutto abbia un prezzo

se la vita è un'asta sempre aperta

anche i pensieri saranno in offerta

Ma le più lunghe passeggiate

le più bianche nevicate e le parole che ti scrivo

non so dove l'ho comprate

di sicuro le ho cercate senza nessuna fretta

perché l'argento sai si beve

ma l'oro si aspetta.

Massimo Di Cataldo

“SIAMO NATI LIBERI…”

Ma quante sono le stelle io non le conto più

duemila fari nel buio chissà quale sei tu

e mi ricordo di noi ragazzi un bar

e tu che ridevi con noi

E' stato l'ultimo inverno dell'86

quando una volta mi hai detto

"non ce la faccio sai"

ma guarda che faccia che hai,

non sembri più te

che mi dicevi lo sai

Siamo nati liberi, liberi come il sole

liberi di decidere di vivere o morire

io non lo so però che senso ha

io non lo so...però...

E' solo un viaggio sbagliato

che ti ha portato via

nemmeno una settimana dall'ultima bugia

e mi ricordo di noi ragazzi in un bar

e tu che dicevi lo sai

Siamo nati liberi, liberi come il sole

liberi di decidere di vivere o morire

io non lo so però che senso ha

io non lo so...però...

La voglia di vivere

non ti ha fatto mai cambiare idea

è bruciato in un angolo il sogno di volare via

Siamo nati liberi, liberi come il sole

liberi di decidere di vivere o morire

io non lo so però che senso ha

io non lo so...però...

Quante sono le stelle io non le conto più

...chissà quale sei tu...

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LA LINEA D’OMBRA (Jovanotti)

La linea d'ombra la nebbia che io vedo a me davanti

per la prima volta nella vita mia mi trovo

a saper quello che lascio

e a non saper immaginar quello che trovo

mi offrono un incarico di responsabilità

portare questa nave verso una rotta che nessuno sa

è la mia età a mezz'aria

in questa condizione di stabilità precaria

ipnotizzato dalle pale di un ventilatore sul soffitto

mi giro e mi rigiro sul mio letto

mi muovo col passo pesante in questa stanza umida

di un porto che non ricordo il nome

il fondo del caffè confonde il dove e il come

e per la prima volta so cos'è la nostalgia la commozione

nel mio bagaglio panni sporchi di navigazione

per ogni strappo un porto per ogni porto in testa una canzone

è dolce stare in mare quando son gli altri a far la direzione

senza preoccupazione

soltanto fare ciò che c'è da fare

e cullati dall'onda notturna sognare la mamma il mare

Mi offrono un incarico di responsabilità

mi hanno detto che una nave c'ha bisogno di un comandante

mi hanno detto che la paga è interessante

e che il carico è segreto ed importante

il pensiero della responsabilità si è fatto grosso

è come dover saltare al di là di un fosso

che mi divide dai tempi spensierati di un passato che è passato

saltare verso il tempo indefinito dell'essere adulto

di fronte a me la nebbia mi nasconde la risposta alla mia paura

cosa sarò? dove mi condurrà la mia natura?

La faccia di mio padre prende forma sullo specchio

lui giovane io vecchio

le sue parole che rimbombano dentro al mio orecchio

"la vita non è facile ci vuole sacrificio

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un giorno te ne accorgerai e mi dirai se ho ragione"

arriva il giorno in cui bisogna prendere una decisione

e adesso è questo giorno di monsone

col vento che non ha una direzione

guardando il cielo un senso di oppressione

ma è la mia età

dove si guarda come si era

e non si sa dove si va, cosa si sarà

che responsabilità si hanno nei confronti degli esseri umani che ti vivono accanto

e attraverso questo vetro vedo il mondo come una scacchiera

dove ogni mossa che io faccio può cambiare la partita intera

ed ho paura di essere mangiato ed ho paura pure di mangiare

mi perdo nelle letture, i libri dello zen ed il vangelo

l'astrologia che mi racconta il cielo

galleggio alla ricerca di un me stesso con il quale poter dialogare

ma questa linea d'ombra non me la fa incontrare

Mi offrono un incarico di responsabilità

non so cos'è il coraggio se prendere e mollare tutto

se scegliere la fuga od affrontare questa realtà difficile da interpretare

ma bella da esplorare

provare a immaginare come sarò quando avrò attraversato il mare

portato questo carico importante a destinazione

dove sarò al riparo dal prossimo monsone

mi offrono un incarico di responsabilità

domani andrò giù al porto e gli dirò che sono pronto a partire

getterò i bagagli in mare studierò le carte

e aspetterò di sapere per dove si parte quando si parte

e quando passerà il monsone dirò "levate l'ancora

diritta avanti tutta questa è la rotta questa è la direzione

questa è la decisione"

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SEMI DI CONTEMPLAZIONE (Thomas Merton)

Dio ci lascia liberi di essere ciò che preferiamo. Noi possiamo essere noi stessi, o

non esserlo, a nostro piacere. Siamo liberi di essere reali o illusori. Possiamo essere

veri o falsi, la scelta dipende da noi. Possiamo portare ora una maschera, ora

un’altra, e non apparire mai, se così vogliamo, con il nostro vero volto. Ma non

possiamo operare queste scelte impunemente. Ogni causa ha il suo effetto: se

mentiamo a noi stessi e agli altri, non possiamo pretendere di trovare la verità e la

realtà ogni volta che ci accade di desiderarle. Se abbiamo scelto la via della falsità,

non dobbiamo essere sorpresi se la verità ci sfugge quando — finalmente! —

siamo giunti a sentirne il bisogno.

La nostra vocazione non è semplicemente quella di essere, ma di collaborare con

Dio a creare la nostra stessa vita, la nostra identità, il nostro destino. Siamo esseri

liberi e figli di Dio. Questo significa che non dobbiamo esistere passivamente, ma,

scegliendo la verità, dobbiamo partecipare attivamente alla Sua libertà creativa

per la nostra vita e per la vita degli altri. Anzi, per essere più precisi, siamo anche

chiamati a lavorare con Dio nel creare la verità della nostra identità. Possiamo

sfuggire questa responsabilità giocando a mascherarci; e questo ci soddisfa,

perché a volte può sembrarci un modo di vivere libero e creativo. È cosa facile che

sembra accontentare tutti. Ma a lungo andare questo costa e fa soffrire

notevolmente. Operare la nostra stessa identità in Dio (ciò che la Bibbia chiama

«operare la propria salvezza») è lavoro che richiede sacrificio e angoscia, rischio e

molte lacrime. Richiede ad ogni momento un attento esame della realtà, una

grande fedeltà a Dio, al Suo oscuro rivelarsi nel mistero di ogni nuova situazione.

Non conosciamo con certezza né in anticipo quale sarà il risultato di questo

lavoro. Il segreto della mia piena identità è nascosto in Dio. Lui solo può farmi

quale sono, o piuttosto, quale sarò, quando finalmente comincerò ad essere

pienamente. Ma se io non desidero raggiungere questa mia identità, se non mi

metto all’opera per trovarla insieme a Lui e in Lui, quest’opera non verrà mai

compiuta. Il modo di farlo è un segreto che posso imparare da Lui solo, e da

nessun altro. Non vi è modo di conoscere questo segreto se non per mezzo della

fede. La contemplazione è dono più grande, più prezioso, perché mi permette di

conoscere e di capire ciò che Egli vuole da me.

I semi che vengono gettati ad ogni momento nella mia libertà, per volere di Dio,

sono i semi della mia propria identità, della mia propria realtà, della mia propria

felicità, della mia propria santità.

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«Cari amici, la stagione della vita in cui siete immersi è tempo di scoperta: dei doni che

Dio vi ha elargito e delle vostre responsabilità. È, altresì, tempo di scelte fondamentali

per costruire il vostro progetto di vita. È il momento, quindi, di interrogarvi sul senso

autentico dell’esistenza e di domandarvi: “Sono soddisfatto della mia vita? C'è

qualcosa che manca?”.… Forse anche voi vivete situazioni di instabilità, di turbamento

o di sofferenza, che vi portano ad aspirare ad una vita non mediocre e a chiedervi: in

che consiste una vita riuscita? Che cosa devo fare? Quale potrebbe essere il mio

progetto di vita? “Che cosa devo fare, affinché la mia vita abbia pieno valore e pieno

senso?”

Non abbiate paura di affrontare queste domande! Lontano dal sopraffarvi, esse

esprimono le grandi aspirazioni, che sono presenti nel vostro cuore. Pertanto, vanno

ascoltate. Esse attendono risposte non superficiali, ma capaci di soddisfare le vostre

autentiche attese di vita e di felicità… il Beato Pier Giorgio Frassati, morto nel 1925

all'età di 24 anni, diceva: “Voglio vivere e non vivacchiare!” e sulla foto di una scalata,

inviata ad un amico, scriveva: “Verso l’alto”, alludendo alla perfezione cristiana, ma

anche alla vita eterna. Cari giovani, vi esorto a non dimenticare questa prospettiva nel

vostro progetto di vita: siamo chiamati all’eternità. Dio ci ha creati per stare con Lui,

per sempre. Essa vi aiuterà a dare un senso pieno alle vostre scelte e a dare qualità alla

vostra esistenza».

Papa Benedetto XVI

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DIFFICILE MA NON IMPOSSIBILE:

BELLO!

Le difficoltà si fanno strada nel cammino. Difficoltà non marginali: manca il cibo, manca il

bere… sono tutti bisogni primari da soddisfare altrimenti si muore…

In Egitto l’uomo fatto di carne mangiava e beveva, aveva un tetto e una tomba… ma

l’uomo interiore, l’uomo fatto di desideri e di bisogni, di progetti da voler realizzare, di

sentimenti… questo uomo era morto: poco prima di spirare, l’uomo “spirituale” urla il

suo desiderio di vivere… non voglio morire qui in Egitto come una bestia (le bestie

mangiano e bevono, dormono, muoiono e basta… l’uomo è solo questo, l’uomo è

chiamato a bere e mangiare e basta?)!

Nel deserto l’uomo “spirituale” non è formato… aveva soltanto gridato il suo desiderio di

vivere ma vivere e realizzarsi, vivere e pensare, vivere e scegliere, vivere e assumersi

responsabilità costa fatica… ora manca il cibo e l’acqua, poi il cibo donato (la manna)

stufa, annoia… l’uomo di carne urla il suo desiderio di sopravvivere: vivere o

sopravvivere? Accontentarsi di mangiare e di bere come fanno gli animali o realizzarsi?

Vivere come fanno le bestie oppure dare realtà alle aspirazioni più profonde?

Realizzarsi può essere la mèta di questo cammino: dare espressione alla propria

bellezza interiore che Dio ha soltanto seminato in germe… come un seme che deve

diventare una pianta..

e realizzarsi richiede fatica: la fatica di fidarsi e di affidarsi a qualcuno e non dover per

forza di cose fare tutto da se, la fatica di ragionare e di pensare, di progettare, di

esprimere i propri sentimenti e i propri desideri … se non si tirano fuori queste cose

non si può trovare la spinta per andare avanti nel cammino e la fatica prevale…

Le difficoltà più grandi arrivano poco dopo un mese di cammino nel deserto… e mancano

ancora 40 anni di cammino. Un numero che è indicatore della vita di una persona nella sua

interezza: 40 anni passati a soffrire e a penare? Oppure possiamo dire… 40 anni vissuti a

scoprire sempre cose nuove? 40 anni vissuti a dare espressione a ciò che di più profondo mi

porto dentro: proprio come uno scriba che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche

(Mt 13): una continua scoperta che passa dalla fatica di camminare…

Faticoso e difficile, allora, diventa per forza di cose sinonimo di impossibile?

Come arrivare alla cima di una montagna e vedere un bellissimo panorama: mentre

si camminava si pensava di non poter mai arrivare, si pensava di non farcela, si

3.

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pensava di tornare indietro e di abbandonare… in cima non si dimentica la fatica ma

si esperimenta che la bellezza diventa una conquista che talvolta passa attraverso la

fatica. Ne vale la pena oppure meglio continuare a mangiare e a bere e basta?

Proprio come fanno gli animali…

TESTO BIBLICO: Esodo 14,5-14: Dio salva Israele (“il passaggio del mare”)

Quando fu riferito al re d'Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi

ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: "Che cosa abbiamo fatto, lasciando che Israele

si sottraesse al nostro servizio?". Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi

soldati. Prese seicento carri scelti e tutti i carri d'Egitto con i combattenti sopra ciascuno

di essi. Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re d'Egitto, il quale inseguì gli Israeliti

mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata. Gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero,

mentre essi stavano accampati presso il mare; tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi

cavalieri e il suo esercito erano presso Pi-Achiròt, davanti a Baal-Sefòn.

Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani marciavano

dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. E dissero a

Mosè: "È forse perché non c'erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel

deserto? Che cosa ci hai fatto, portandoci fuori dall'Egitto? Non ti dicevamo in Egitto:

"Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire l'Egitto che morire

nel deserto"?". Mosè rispose: "Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del

Signore, il quale oggi agirà per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete

mai più! Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli".

HAI DA DIRMI QUALCOSA? ALCUNI TESTI PER RIFLETTERE

Passare dalla cultura dell’indifferenza alla convivialità delle differenze presuppone

l’accettazione del diverso, dell’altro, quindi anche di chi la pensa diversamente , di

chi ha una religione diversa, un’impostazione mentale diversa, una cultura

diversa; avere questo atteggiamento non significa far brodo di tutto, ma

rispettare le differenza […] correte il rischio di andare alla ricerca soltanto di

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coloro che la pensano come voi: fate il vostro gruppo, vi cinturate e respingete

tutti coloro che mettono in discussione la vostra tranquillità.

(Don Tonino bello)

“Ci hai fatti per Te, Signore, e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te” (S.Agostino).

L’inquietudine diventa stimolo a camminare, a cercare, ad andare avanti. Non una attesa

passiva, ma un andare, sospinti da qualcosa che dentro urge e orienta. La fede è

nomadismo […]. Si diventa nomadi: persone capaci di non darsi per vinte, di non

accontentarsi, di non rassegnarsi. Nomadi, affascinati dal di là, dal dopo, dall’ancora, per

leggere e vivere il di qua, l’adesso. Nomadi, cioè solitari nel senso di un’adesione coraggiosa

alla propria vocazione, senza cedimenti alle mode, senza intruppamenti nelle maggioranze,

senza tradimenti delle propria identità. Nomadi perché la strada è già sicurezza, sostegno,

ricchezza. Nomadi, e quindi fuori dalle sicurezze prestabilite protette dalla forza e dal genio

umano, fuori dalle comodità di una casa stabile, di un amore chiuso, di una verità consumata.

[…] Nomadi perché sospinti dall’insopprimibile nostalgia di Dio.

(Giorgio Basadonna)

“Vivere in ultima analisi, non significa altro che avere la responsabilità di

rispondere esattamente ai problemi vitali, di adempiere i compiti che la vita

pone ad ogni singolo, di far fronte all’esigenza dell’ora…”

“Solamente nella misura in cui ci diamo, ci doniamo, ci mettiamo a

disposizione del mondo, dei compiti e delle esigenze che – a partire da esso –

ci interpellano nella nostra vita; nella misura in cui ciò che conta per noi è il

mondo esteriore e i suoi oggetti, e non noi stessi o i nostri bisogni, nella misura

in cui realizziamo dei compiti e rispondiamo a delle esigenze, nella misura in

cui noi attuiamo dei valori e realizziamo un significato, in questa misura

solamente noi ci appagheremo e realizzeremo egualmente noi stessi…”

“Così l’uomo si realizza, non già preoccupandosi di realizzarsi, ma

dimenticando se stesso e donandosi, trascurando se stesso e concentrando verso

l’esterno tutti i suoi pensieri […]. Ciò che si chiama auto-realizzazione è, e

deve rimanere, l’effetto dell’autotrascendenza (= capacità di andare oltre sé); è

dannoso e anche autofrustrante farne oggetto di precisa intenzione. E ciò che è

vero per l’autorealizzazione, lo è anche per l’identità e per la felicità.

V. Frankl

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ONDA PERFETTA (The Sun)

Mi sento come se aspettassi qualcosa

tu chiamala svolta

mi faccio mille viaggi ma li tengo nascosti bene

che forse conviene

Ho desideri un po' comuni e un po' folli

si danno il cambio tra virtù e vizi

Ma questo è il mio viaggio un' onda perfetta

dove tutto combacia anche quando non sembra

dove ogni mattino è una pagina bianca

di un nuovo destino di un nuovo cammino

Accolgo più dubbi di un tempo

punto in alto e li sfido

Nel caso le prendo ma almeno vivo

cammino più svelto

Voglio qualcosa che non vedo

ma Dio, come lo sento

Ho tutto un mondo di speranze e di sogni

sono illusioni solo se non ci credi

E questo è il mio viaggio un'onda perfetta

dove tutto combacia anche quando non sembra

dove ogni mattino è una pagina bianca

di un nuovo destino di un nuovo cammino

E' questo il mio viaggio

si, adesso lo sento

e il senso lo trovo

in ogni momento

anche quando non voglio

c'è sempre un motivo

mi fido e lo seguo

con Fede lo vivo

Ho tutto un mondo di speranze e di sogni

Sono illusioni solo se non ci credi

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UN MIRACOLO DI SOPRAVVIVENZA (Nando Parrado)

Nando Parrado è uno dei 16 sopravvissuti all’incidente aereo sulle Ande del 1972.

Il 13 ottobre 1972 l’intera squadra di rugby Old Christians Club con i rispettivi

allenatori, parenti e amici erano diretti a Santiago per disputare alcuni match

amichevoli con squadre cilene. Ma mentre sorvolavano le catene rocciose qualcosa

andò storto e l’areo si schiantò contro le montagne delle Ande.

Dopo aver passato 2 mesi intrappolato tra le montagne con gli altri sopravvissuti

all’incidente nel quale aveva perso anche la madre, la sorella e il suo migliore

amico, convinto che ormai non li avrebbero più trovati, insieme all’amico Roberto

Canessa intraprese un viaggio per andare alla ricerca di aiuto. Il viaggio durò 10

lunghi ed estenuanti giorni, con il fisico debilitato da 2 mesi di sopravvivenza a 37

gradi sotto zero e senza l’attrezzatura necessaria per scalare una montagna

colossale come quella delle Ande. Quando miracolosamente riuscirono a giungere

al di là della montagna e trovare soccorso era ormai più morto che vivo.

La vicenda dei sopravvissuti fu narrata due anni dopo l’incidente nel libro “Alive”,

una storia che commosse e fece discutere il mondo e che è in grado di scuotere le

coscienze per far comprendere quanto sia necessario mettere le cose nella giusta

prospettiva. Nel 2006 Parrado raccontò la storia da suo punto personale nel libro

“72 giorni: la vera storia dei sopravvissuti delle Ande”.

Oltre ad essere un famoso personaggio televisivo in Uruguay Parrado è diventato

uno speaker motivazionale che attraverso l’esperienza che ha vissuto nelle Ande

aiuta gli altri ad affrontare le difficoltà della vita.

Dalle sue parole:

“Dico sempre che ho ridefinito il significato della parola ‘impossibile”.

Per me, l’unica cosa insormontabile è la morte. Tutte le altre sfide

permettono delle scelte; la gente può aggirare gli ostacoli, cambiare le

circostanze, allontanarsi dalle situazioni, andare in direzioni diverse,

cambiare posto di lavoro, ecc

Mi piace dire alle persone, che se si trovano ad affrontare eventuali

ostacoli come una crisi finanziaria, una crisi aziendale, una crisi di

coppia o una crisi di salute, possono sempre immergersi dentro se

stessi e cercare la propria versione di un “miracolo”.

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LE TENTAZIONI DEL PELLEGRINO

1. la tentazione di camminare “secondo” gli altri, come fa la maggior parte della

gente.

2. la tentazione di voler camminare senza gli altri, senza contare su di loro, senza

considerarli, senza guardarli, senza dare una mano quando ne hanno bisogno.

3. la tentazione di prendere una “scorciatoia”, di cambiare strada, quando lungo il

cammino incontriamo il fratello “ferito-nudo-abbandonato”, in difficoltà.

4. la tentazione di voler camminare carichi di “cose e cose” che ci danno sicurezza,

non si sa mai… incapaci di partire con un bagaglio “ leggero”, vivendo delle

apparenze: non per quello che si è, ma per quello che si ha.

5. la tentazione di abbandonare l’impresa quando compaiono le difficoltà: di fare

marcia indietro quando le cose diventano difficili e non vanno secondo i nostri

calcoli.

6. la tentazione dell’attivismo, la fretta, il “subito”, invece del “fermati un

momento”, della pausa, del silenzio, della revisione, della preghiera.

7. la tentazione dell’indecisione: non sapere cosa scegliere, dove andare, quale

“strada o vocazione” seguire… perché bisogna lasciare altre cose.

8. la tentazione di voler camminare “senza Dio”, senza sentire e accettare il

bisogno che si ha di Lui, contando solo sul nostro “pane”.

9. la tentazione di desiderare che Dio faccia tutto, o quasi tutto, per noi, al nostro

posto.

10. la tentazione di restare come si è, del non lottare, di essere migliore degli altri, di

sentirmi a posto, per arrivare dove Dio ci vuole.

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I PILASTRI

DELLA VITA

Viaggiare o essere trasportati? Andare a rimorchio o saper guidare la propria vita?

Per fare un buon cammino servono strumenti adeguati. È importante

concentrarsi sulla necessità di non farsi distrarre dagli idoli, sapendo rinunciare a

ciò che è superfluo così da non essere appesantiti nel corso del nostro cammino.

Il cammino è iniziato, le difficoltà sono arrivate… ma il cammino intanto è stato

iniziato. Non sono le difficoltà di chi non ha deciso di partire, di chi è rimasto in

Egitto, di chi è rimasto a casa.

Sono partito ma nell’ora della fatica, piuttosto che andare avanti a camminare

penso che posso inventarmi qualcosa che mi porti a dire che va bene anche così,

che mi posso accontentare e fermarmi… qualcosa che mi dà soddisfazione

subito, qualcosa che non devo attendere, qualcosa che non mi fa rimandare

nulla. È possibile ora, è possibile subito… ma che cosa?

Mi invento qualcosa che non esiste, mi invento che chi mi ha fatto uscire dall’Egitto è stata

una mucca d’oro: l’ho fatta io con la mia creatività ed è venuta pure bene, anzi l’abbiamo

fatta in tanti e abbiamo speso energie insieme per crearci una bellissima illusione! Tutti

sappiamo che non è stato il vitello (un vitello! Il cucciolo di una mucca!!!) ma facciamo

come se fosse proprio così: tutti decidiamo che va bene così, tutti decidiamo di

accontentarci, cioè di essere contenti così!

Quanto mi faccio influenzare dall’atteggiamento degli altri? Quanto gli altri mi aiutano a

giocare al ribasso senza pensare di guardare alla vetta, senza puntare in alto?

Se Mosè non avesse distrutto il vitello quanto sarebbe durata la contentezza data

dalla statua d’oro? L’ebrezza di un giorno, di una settimana ma forse non di più… e

allora crearsi una nuova statua per vivere un’ulteriore illusione oppure iniziare a fare

sul serio? Per quanto continuare a vivere facendo finta che le cose stanno

effettivamente come noi ce le siamo inventate?

Su cosa voglio davvero fondare la mia vita? Su qualcosa di reale e di vero o su

qualcosa di falso e inesistente? Già perché di falso e inesistente si tratta: poggiare la

vita, poggiare i nostri desideri, i nostri bisogni più profondi, i nostri progetti, le nostre

attese, i nostri sentimenti su… su qualcosa che non esiste… eppure la nostra vita è

importante, troppo importante per vivere di illusioni.

4.

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Le giornate in cui gli ebrei hanno creato il vitello d’oro sono state le giornate in cui non

c’era Mosè (era salito sul monte a ritirare le tavole della Legge): da soli, senza un punto

di riferimento ci si perde. Quali sono i miei punti di riferimento? Ci tengo ad averli o

ancora vivo nell’illusione di poter fare tutto da me? Cosa sono poi i punti di

riferimento? Sono valori? Quali allora? Sono persone? Quali allora? Va bene qualsiasi

valore e qualsiasi persona? Oppure anche qui devo pensare, devo riflettere, devo

mettere alla prova me stesso e gli altri, devo faticare nel vivere tutto questo… come è

possibile allora crearsi qualcosa e crearsela per avere un appagamento tutto e subito?

Un punto di riferimento immediato, che mi dà subito soddisfazione come il vitello

d’oro: proprio ridicolo! Come sono ridicoli i punti di riferimento che a volte ci diamo e

ci creiamo.

Su cosa vogliamo davvero poggiare la nostra vita? Quali sono i nostri valori portanti? Ci

vogliamo far aiutare? E da chi ci vogliamo far aiutare? Quali sono i nostri punti di

riferimento? Costruireste la vostra vita sul nulla?

TESTO BIBLICO: Esodo 32,1-6 (Il vitello d’oro)

Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, fece ressa intorno ad Aronne

e gli disse: "Fa' per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell'uomo

che ci ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto". Aronne

rispose loro: "Togliete i pendenti d'oro che hanno agli orecchi le vostre mogli, i vostri figli

e le vostre figlie e portateli a me". Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli

orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani, li fece fondere in una forma

e ne modellò un vitello di metallo fuso. Allora dissero: "Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che

ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto!". Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al

vitello e proclamò: "Domani sarà festa in onore del Signore". Il giorno dopo si alzarono

presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per

mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento.

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HAI DA DIRMI QUALCOSA? ALCUNI TESTI PER RIFLETTERE

“Non girovagare per la vita, compresa quella dello spirito, ma andare diritti alla

meta che per un cristiano vuol dire seguire le promesse di Dio, che mai deludono.”

“Ci sono cristiani che si fidano delle promesse di Dio e le seguono lungo l’arco

della vita. Poi vi sono altri la cui vita di fede ristagna e altri ancora convinti di

progredire e che invece fanno solo del “turismo esistenziale”.

(Papa Francesco)

Alle porte della città e presso il focolare, vi ho visto prostrarvi e adorare la

vostra libertà, proprio come gli schiavi si umiliano davanti a un tiranno e

lo lodano nonostante egli li uccida […] E dentro di me il cuore sanguinava,

giacché potrete essere liberi soltanto quando persino il desiderio di cercare

la libertà diventerà una bardatura, e quando cesserete di parlare della

libertà come di un traguardo verso il compimento. Voi sarete liberi in

verità non quando i vostri giorni saranno senza affanni, e le vostre notti

senza un bisogno o un dolore, ma piuttosto quando queste cose vi

cingeranno la vita e ciononostante vi eleverete al di sopra di esse nudi e

sciolti […]. Ciò che voi chiamate libertà è in verità la più forte di queste

catene, sebbene i suoi anelli scintillino al sole e abbaglino gli occhi.

(Gibran)

«La ricchezza è la grande divinità del presente; alla ricchezza la moltitudine, tutta la

massa degli uomini, tributa un omaggio istintivo. Per gli uomini il metro della

felicità è la fortuna, e la fortuna è il metro dell'onorabilità. [...] Tutto ciò deriva

dalla convinzione che in forza della ricchezza tutto è possibile. La ricchezza è quindi

uno degli idoli del nostro tempo, e un altro idolo è la notorietà. [...] La notorietà, il

fatto di essere conosciuti e di far parlare di sé nel mondo (ciò che si potrebbe

chiamare fama da stampa), ha finito per essere considerata un bene in se stessa,

un bene sommo, un oggetto, anch'essa, di vera venerazione».

(J.H. Newman, Discorso sulla santità: CCC 1723)

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SIGNORE DAMMI UN’ALA DI RISERVA

Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita.

Ho letto da qualche parte

che gli uomini sono angeli con un'ala soltanto:

possono volare solo rimanendo abbracciati.

A volte, nei momenti di confidenza,

oso pensare, Signore,

che anche Tu abbia un'ala soltanto,

l'altra la tieni nascosta,

forse per farmi capire che Tu non vuoi volare senza me,

per questo mi hai dato la vita:

perché io fossi tuo compagno di volo.

Insegnami allora, a librarmi con Te,

perché vivere non è trascinare la vita,

non è strapparla, non è rosicchiarla,

vivere è abbandonarsi come un gabbiano

all'ebbrezza del vento.

Vivere è assaporare l'avventura della libertà

vivere è stendere l'ala, l'unica ala

con fiducia di chi sa di avere nel volo

un partner grande come Te.

Ma non basta saper volare con Te, Signore

Tu mi hai dato il compito

di abbracciare anche il fratello e aiutarlo a volare.

Ti chiedo perdono, perciò,

per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi.

Non farmi più passare indifferente

vicino al fratello che è rimasto

con l'ala, l'unica ala inesorabilmente impigliata nella rete

della miseria e della solitudine

e si è ormai persuaso

di non essere più degno di volare con te,

soprattutto per questo fratello sfortunato,

dammi, o Signore un'ala di riserva.

(Don Tonino Bello)

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(Gen Rosso – Guccini)

C’è bisogno di silenzio, c’è bisogno di ascoltare

c’è bisogno di un motore che sia in grado di volare.

C’è bisogno di sentire, c’è bisogno di capire

c’è bisogno di dolori che non lasciano dormire.

C’è bisogno di qualcosa, c’è bisogno di qualcuno

c’è bisogno di parole che non dice mai nessuno.

C’è bisogno di fermarsi, c’è bisogno di aspettare

c’è bisogno di una mano per poter ricominciare.

C’è bisogno di domande, c’è bisogno di risposte

c’è bisogno di sapere cose sempre più nascoste.

C’è bisogno di domani, c’è bisogno di futuro

c’è bisogno di ragazzi che sono al di là del muro.

C’è bisogno di un amore vero, c’è bisogno di un amore grande

c’è bisogno di un pezzo di cielo, in questo mondo sempre più distante.

C'è bisogno di silenzio, c'è bisogno di ascoltare

c'è bisogno di un motore che sia in grado di volare

c'è bisogno di sentire, c'è bisogno di capire

c'è bisogno di dolori che non lasciano dormire

c'è bisogno di qualcosa, c'è bisogno di qualcuno

c'è bisogno di parole che non dice mai nessuno.

C’è bisogno di un amore vero, c’è bisogno di un amore immenso

c’è bisogno di un pezzo di cielo, in questo mondo che ritrovi senso. Oh...

Abbiamo visto cose nuove, abbiamo fatto tanta strada

ma il mondo che verrà domani, resta un’impresa da titani.

Siamo tutti adesso importanti, siamo tutti un po’ più attori

in questi grandi lavori in corso.

C’è bisogno di un amore vero, c’è bisogno di un amore grande

c’è bisogno di un pezzo di ciel, in questo mondo sempre più distante.

C’è bisogno di un amore vero, c’è bisogno di un amore “amore”

c’è bisogno di un pezzo di cielo, in questo mondo che abbia più colore.

C’è bisogno di memoria, c’è bisogno di pensare

c’è bisogno di coraggio, c’è bisogno di sognare.

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DAL BLOG DI GIOVANNI FIGHERA (pubblicato anche su “La bussola quotidiana”)

«Giovani senza mèta. Troppi idoli, pochi maestri»

“Nel mondo della scuola, ad esempio, spesso, gli insegnanti si pongono come

informatori che forniscono delle nozioni, ma si disinteressano totalmente del

compito educativo, che richiede il legame tra il particolare presentato e il tutto,

ovvero il suo significato. Fornire ai ragazzi più pezzi del puzzle non servirà loro a

capire maggiormente la realtà, nel caso in cui manchi l’immagine da ricostruire.

Nell’epoca contemporanea ci sono più nozioni, più discipline rispetto al Medioevo,

ma non si dispone del disegno da ricomporre, anzi in molti ambiti si nega che questo

esista. Paradossalmente in questa situazione l’aumento delle informazioni potrebbe

creare sempre più confusione, come se in una stanza aumentasse il numero degli

oggetti, ma non si disponessero in ordine o non crescesse lo spazio in cui disporli.

Quando offriamo ad un bimbo o ad un ragazzo i pezzi di un puzzle, se desideriamo

che lui possa utilmente sfruttarli, dobbiamo anche offrirgli l’immagine da ricostruire.

Nel panorama mass mediatico, invece, i giovani hanno davanti a sé molti idoli, che

mostrano se stessi, non la verità e la bellezza, come risposta al cuore dell’uomo. Gli

idoli non sono compagnia nel cammino dell’esistenza. Se lo fossero, mostrerebbero

tutta la loro inconsistenza. Gli idoli sembrano affascinare per la loro presunta

autonomia, per l’autosufficienza, come se fossero in grado di darsi la felicità da soli.

L’uomo autentico, il giovane come l’adulto, percepisce che non ha bisogno di idoli,

ma di maestri.

Solo apparentemente questo modello umano di divo idolatrato, non impegnato con

il reale, in apparenza solare, che non sente il peso della vita e delle difficoltà, si

contrappone alla cultura intellettuale che ha caratterizzato il secolo ventesimo. La

leggerezza dell’io è l’altra faccia della medaglia dell’insostenibile pesantezza di una

realtà percepita come assurda e inconoscibile, carcere tetro e ragnatela che

impedisce di evadere. La leggerezza dell’essere è conseguenza dell’incapacità a

reggere un rapporto vero con la realtà, che è diventata insopportabile, una volta che

si è fatto fuori il Mistero, il Creatore, il Destino, una volta che si è soli e che ci si

percepisce da soli. L’uomo leggero, così come è veicolato dai mass media, non

comunica davvero, non si mette in relazione con gli altri, è autonomo, non ammette

responsabilità, non si prende cura degli altri, ma solo di se stesso. O così almeno

crede.

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Se è difficile o addirittura impossibile sostenere l’uomo e la sua speranza, allora è

preferibile scordarsi dell’uomo e della sua domanda. Infatti, una volta persa la

chiave di accesso al reale, questo non è più affrontabile. Quando non si guarda più in

profondità la realtà con lo stupore del bambino, quando la realtà non è più segno di

Altro e possibilità di inoltrarsi in un senso, allora l’unica possibilità è escludere il

reale ed evadere in un mondo che non ha problemi. Crediamo che sia questa una

delle possibili interpretazioni del desiderio della cultura contemporanea di non

sottostare al reale, ma di creare col pensiero (l’esito è l’ideologia) o di evadere in

mondi virtuali e immaginari.

Per questo oggi sempre più è necessaria la presenza di maestri. Il maestro, colui che

guida e che è autorevole, non rimanda mai a sé come risposta ai problemi della vita,

ma comunica altro, indirizza al bene e conquista gli altri proprio perché non

avvinghia a sé. Il maestro sprona al «desiderio del mare aperto», non si sofferma

sulla noia del particolare slegato dal desiderio di navigare. Come descrive bene

questo atteggiamento Antoine de Saint Exupery nella Cittadella quando scrive:

“Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i

compiti e impartire ordini. Ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”.

Se si togliesse la brama del navigare, per quale motivo si dovrebbe faticare a tagliare

la legna? E ancora, come si può educare qualcuno intimorendolo, facendo pensare

che nella vita bisogna avere soltanto paura? Che cosa possiamo dare a noi stessi, ai

nostri figli, ai nostri studenti, alle persone cui vogliamo bene se non il bello e il vero

che incontriamo? I divi idolatrati, invece, presentano sé come la soluzione. Nella

Cittadella compare ancora la figura del capo che istruisce i generali spronandoli ad

essere pienamente uomini mantenendo vivo il desiderio. Confessa loro:

“La torre, la roccaforte o l’impero crescono come l’albero. Esse sono manifestazioni

della vita in quanto è necessario che ci sia l’uomo perché nascano. E l’uomo crede di

calcolare. Crede che la ragione governi l’erezione delle sue pietre, quando invece la

costruzione con quelle pietre è nata dapprima dal suo desiderio. La roccaforte è

racchiusa in lui, nell’immagine che porta nel cuore, come l’albero è racchiuso nel

seme. I suoi calcoli non fanno altro che dare forma al suo desiderio e illustrarlo. […]

Voi perderete la guerra perché non desiderate nulla”.

Sono parole profetiche quelle di A. de Saint Exupery, che nel contempo indicano un

punto da cui ripartire, per i giovani come per gli adulti: il desiderio infinito del cuore.

Questa è la strada per vincere la sfida educativa.

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SIGNORE INSEGNAMI LA STRADA (Michel Quoist)

Signore, insegnami la strada:

l'attenzione alle piccole cose

spesso nascoste e ignorate,

al passo di chi cammina con me

per non fare più lungo il mio;

alla parola ascoltata,

perché non sia dono che cade nel vuoto;

agli occhi di chi mi sta vicino

per indovinare la gioia di vivere,

per indovinare la tristezza

ed avvicinarmi in punta di piedi,

per cercare insieme la direzione

anche nei momenti difficili.

Signore, insegnami la strada:

la strada su cui camminare gli uni con gli altri,

nella semplicità di essere quello che si è,

grati di aver ricevuto tutto dal tuo amore che ogni giorno ci sorprende.

Signore, insegnami la strada,

tu che sei la strada e la nostra gioia.

Partire Signore è un’avventura appassionante.

Ho voglia di vivere… Ma spesso ho paura.

Si, ho paura, Signore,

ho il coraggio d'ammetterlo

e il coraggio di dirtelo.

Aiutami a non sciupare mai la vita,

a non tenere stretta la mia vita con la paura che altri me la rubino.

Aiutami a camminare senza voler sapere quello che ad ogni svolta

la strada mi riserva,

non con la testa fra le nuvole,

mai i piedi sulla terra e la mia mano nella tua.

Allora, o Signore, uscirò da casa

Fiducioso e allegro

e me ne andrò senza timore per la Strada sconosciuta,

perché la vita è davanti a me

ma Tu insieme con me cammini.

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LA SCOPERTA DEL PROGETTO DI VITA

Nel giovane del Vangelo, possiamo scorgere una

condizione molto simile a quella di ciascuno di voi.

Anche voi siete ricchi di qualità, di energie, di sogni, di

speranze: risorse che possedete in abbondanza! La stessa

vostra età costituisce una grande ricchezza non soltanto per voi, ma anche per gli

altri, per la Chiesa e per il mondo.

Il giovane ricco chiede a Gesù: “Che cosa devo fare?”. La stagione della vita in cui

siete immersi è tempo di scoperta: dei doni che Dio vi ha elargito e delle vostre

responsabilità. E’, altresì, tempo di scelte fondamentali per costruire il vostro

progetto di vita. E’ il momento, quindi, di interrogarvi sul senso autentico

dell’esistenza e di domandarvi: “Sono soddisfatto della mia vita? C'è qualcosa che

manca?”.

Come il giovane del Vangelo, forse anche voi vivete situazioni di instabilità, di

turbamento o di sofferenza, che vi portano ad aspirare ad una vita non mediocre e a

chiedervi: in che consiste una vita riuscita? Che cosa devo fare? Quale potrebbe

essere il mio progetto di vita? “Che cosa devo fare, affinché la mia vita abbia pieno

valore e pieno senso?” (Ibid., n. 3).

Non abbiate paura di affrontare queste domande! Lontano dal sopraffarvi, esse

esprimono le grandi aspirazioni, che sono presenti nel vostro cuore. Pertanto, vanno

ascoltate. Esse attendono risposte non superficiali, ma capaci di soddisfare le vostre

autentiche attese di vita e di felicità.

Per scoprire il progetto di vita che può rendervi pienamente felici, mettetevi in

ascolto di Dio, che ha un suo disegno di amore su ciascuno di voi. Con fiducia,

chiedetegli: “Signore, qual è il tuo disegno di Creatore e Padre sulla mia vita? Qual

è la tua volontà? Io desidero compierla”. Siate certi che vi risponderà. Non abbiate

paura della sua risposta! “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”

(1Gv 3,20)!

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CHE CHI S’ACCONTENTA GODE…

COSÌ… COSÌ…?

Una canzone di Ligabue (Certe notti) diceva “che chi s’accontenta gode… così così…”:

cosa vuol dire?

Cosa vuol dire accontentarsi? Il significato del termine è rendere contento qualcuno, in

questo caso rendere contenti se stessi. In che modo rendersi contenti? Per un attimo?

Poco o tanto? In qualsiasi modo? Qualcosa che lo fa solo in superficie, che mi rende

contento solo per farmi sorridere appena o voglio qualcosa di più? Qualcosa di più

profondo? Di più intimo? Di più personale?

Il punto allora non è se mi devo o non mi devo accontentare!

Lo scopo della vita di ognuno di noi è realizzarsi ed essere felici: Dio non chiama alla noia,

alla tristezza, alla sofferenza ma chiama a conquistarsi questa felicità, a cercarla… come

fosse un tesoro: ma il tesoro non si trova sopra il bancone di un supermercato o in una

esperienza stravagante, magari “forte”, da sballo… il tesoro va cercato, richiede la

pazienza di essere scovato. Il tesoro si trova, non si compra! Il tesoro si cerca non ti viene

presentato su un piatto da pietanza!

Cerco se mi rendo conto che ciò che di più profondo provo e penso, se ciò che di più

profondo desidero e spero deve trovare ancora la sua profonda soddisfazione: tutto nel

profondo. Allora non mi posso accontentare del banale per essere davvero felice, non mi

posso accontentare del superficiale per trovare un senso e una direzione alla mia vita.

L’alternativa allora non è tanto accontentarsi o non accontentarsi! Piuttosto si presenta

una domanda profonda: ma io sono davvero felice? Cosa mi rende felice fino in fondo?

Cosa mi rende felice fino in fondo e per sempre? Posso accontentarmi di felicità

passeggere? Posso accontentarmi di mangiare e di bere e basta? Cosa mi manca per

essere veramente felice? Se mi manca qualcosa, è qualcosa che posso cercare all’esterno,

che mi può essere dato dalla prima persona che passa?

L’ebreo che esce dall’Egitto, perché è voluto uscire? Era felice in Egitto? Si

sentiva libero in Egitto? Eppure, su un certo piano, non gli mancava proprio

nulla come abbiamo visto prima…

Perché non si vuole accontentare? Ha sbagliato a non accontentarsi di ciò che

gli veniva dato in Egitto se poi, quando si trova nel deserto, quello che vuole

5.

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fare è tornare indietro? Doveva accontentarsi allora? Perché non partire,

perché non camminare, perché non osare e cercare qualcosa che sia più di un

pezzo di pane? Se mi sono reso conto che non mi basta vivere, anzi che non

mi basta sopravvivere (come gli animali), perché non partire? Non basta

semplicemente questo per muoversi? Pensi sia un motivo troppo banale

quello della tua felicità più profonda?

TESTO BIBLICO: Esodo 1,8-14 (Il vitello d’oro)

Allora sorse sull'Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. Egli disse al suo

popolo: "Ecco che il popolo dei figli d'Israele è più numeroso e più forte di

noi. Cerchiamo di essere avveduti nei suoi riguardi per impedire che cresca, altrimenti, in

caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal

paese". Perciò vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati, per opprimerli

con le loro angherie, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e

Ramses. Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva, ed

essi furono presi da spavento di fronte agli Israeliti. Per questo gli Egiziani fecero lavorare

i figli d'Israele trattandoli con durezza. Resero loro amara la vita mediante una dura

schiavitù, costringendoli a preparare l'argilla e a fabbricare mattoni, e ad ogni sorta di

lavoro nei campi; a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.

HAI DA DIRMI QUALCOSA? ALCUNI TESTI PER RIFLETTERE

E’ noto che esiste una differenza tra isolamento e solitudine. L’isolamento come tale ha un

carattere negativo,: è l’uomo che vive disperatamente solo, magari in mezzo alla gente, dove

si sente comunque non compreso o fallito; al contrario la solitudine è un valore

fondamentale. C’è un momento in cui l’uomo riconosce che niente lo soddisfa davvero, che

tutti i suoi metodi, tutte le esperienze, tutte le speranze lo hanno soddisfatto solo fino ad un

certo punto: rimane ancora un vuoto, un vuoto che solo Dio può colmare.

(Carlo Maria Martini)

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SOGNANDO (Gen Rosso)

Sognando ad occhi aperti,

vedevi un orizzonte misterioso,

oltre quel muro verde,

oltre quel fiume silenzioso.

Il cuore tuo spaziava

oltre il riflesso delle sponde blu.

Seguiva un richiamo

che allora non comprendevi tu.

Nell’etere una mano

portava la tua vita su alte cime,

verso terre lontane,

verso una storia senza fine.

Così la tua avventura

volava oltre la tua fantasia.

Viaggiavi sul crinale

di luce che intrecciava la tua vita.

Come un fiore raro, qualcuno ti ha raccolto

e verso un orizzonte immenso ti porterà.

Fiore che morendo in stella viva si trasformerà:

viva come il sole, stella come il sole sarà.

Sognando ad occhi aperti

quell’orizzonte non è più lontano

lo sguardo tuo si perde

nel Cielo che ti porge la sua mano.

La storia tua continua

solcando le onde dell’eternità

seguendo quel richiamo

che nelle note sue ti porterà.

Come un fiore raro...

LIGABUE – SEDUTO IN RIVA AL FOSSO

Ho parcheggiato e camminato

non so quanto e non so dove sono, qua

ma so soltanto che si sente un buon profumo,

un bel silenzio e l'acqua che va

lontano da me, lontano da noi,

lontano dalla giostra che non si ferma mai

e ciò il biglietto sì ma questa corsa

la vorrei lasciare fare a voi

solo a voi, la lascio fare a voi,

che io sto bene qui, seduto in riva al fosso

io sto bene qui, seduto in riva al fosso.

O è il riflesso della luna o sei proprio bella,

se vuoi siediti!

hai parcheggiato e camminato

non sai quanto non sai dove sei, ma sei qui

lontana da te, lontana da voi,

lontana da uno specchio che non dice chi sei

se sotto il cielo c'è qualcosa di speciale

passerà di qui prima o poi

prima o poi, comunque tu lo sai

che si sta bene qui seduti in riva al fosso

stiamo bene qui, seduti in riva al fosso...

Sono arrivati con la guida

ed hanno apparecchiato per il loro pic-nic

con sedie i tavolini la TV i telefonini

e le facce di chi va

lontano da chi, lontano da che,

lontano per sentito dire senza un perché

se vuoi restare resta pure ho da fare

non mi viene in mente cos'è

ma lo so che, io lo so com'è

che state bene lì, seduti in riva al fosso

state bene lì seduti in riva al fosso...

Avanti, state bene lì, state bene lì, state bene lì,

state bene, lì state bene lì, state bene lì...

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TI E’ MAI SUCCESSO (Negramaro)

Ti è mai successo di sentirti al centro

al centro di ogni cosa al centro di quest’universo

e mentre il mondo gira lascialo girare

che tanto pensi di esser l’unico a poterlo fare.

Sei così al centro che se vuoi lo puoi anche fermare

cambiarne il senso della direzione per tornare

nei luoghi e il tempo in cui hai perso ali, sogni e cuore

a me è successo e ora so volare

Ti è mai successo di sentirti altrove

i piedi fermi a terra e l’anima leggera andare.

Andare via lontano e oltre dove immaginare

non ha più limiti hai un nuovo mondo da inventare.

Sei così altrove che non riesci neanche più a tornare

ma non ti importa perché è troppo bello da restare

nei luoghi e il tempo in cui hai trovato ali, sogni e cuore

a me è successo e ora so viaggiare

Oltre questa stupida rabbia per niente

oltre l’odio che sputa la gente

sulla vita che è meno importante

di tutto l’orgoglio che non serve a niente.

Oltre i muri e i confini del mondo

verso un cielo più alto e profondo

delle cose che ognuno rincorre

e non se ne accorge che non sono niente

che non sono niente

Ti è mai successo di guardare il mare

fissare un punto all’orizzonte e dire:

”È questo il modo in cui vorrei scappare

andando avanti sempre avanti senza mai arrivare”.

In fondo in fondo è questo il senso del nostro vagare:

felicità è qualcosa da cercare senza mai trovare

Gettarsi in acqua e non temere di annegare

A me è successo e ora so volare... Volare... Volare…

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Oltre questa stupida rabbia per niente

oltre l’odio che sputa la gente

sulla vita che è meno importante

di tutto l’orgoglio che non serve a niente.

Oltre i muri e i confini del mondo

verso un cielo più alto e profondo

delle cose che ognuno rincorre

e non se ne accorge che non sono niente

che non sono niente… che non sono niente… che non sono niente…

Ti è mai successo di voler tornare

a tutto quello che credevi fosse da fuggire

e non sapere proprio come fare

ci fosse almeno un modo uno per ricominciare

pensare in fondo che non era così male

che amore è se non hai niente più da odiare

restare in bilico è meglio che cadere

a me è successo amore e ora so restare”

DAL VANGELO DI MATTEO (6,25-34)

Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o

berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più

del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non

mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non

valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di

poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come

crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche

Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così

l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per

voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa

mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose

vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete

bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste

cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il

domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

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L’OMO E L’ARBERO (Trilussa)

Mentre segava un Arbero d'Olivo

un Tajalegna intese 'sto discorso:

Un giorno, forse, proverai er rimorso

de trattamme così, senza motivo.

Perché me levi da la terra mia?

Ciavressi, gnente, er barbero coraggio

de famme massacrà come quer faggio

che venne trasformato in scrivania?

Invece - j'arispose er Tajalegna -

un celebre scurtore de cartello,

che lavora de sgurbia e de scarpello,

te prepara una fine assai più degna.

Fra poco verrai messo su l'artare,

te porteranno in giro in processione,

insomma sarai santo e a l'occasione

farai quanti miracoli te pare. -

L'Arbero disse: - Te ringrazzio tanto:

ma er carico d'olive che ciò addosso

nun te pare un miracolo più grosso

de tutti quelli che farei da santo?

Tu stai sciupanno troppe cose belle

in nome de la Fede! T'inginocchi

se vedi che un pupazzo move l'occhi

e nun te curi de guardà le stelle! -

Appena j'ebbe dette 'ste parole

s'intravidde una luce a l'improviso:

un raggio d'oro: Iddio dar Paradiso

benediceva l'Arbero cór Sole.

E’ una osservazione

semplicemente splendida:

“Il carico d’olive che c’ho

addosso non ti pare un

miracolo più grosso di tutti

quelli che poterei fare da

santo?”. Questa non è altro

che la scoperta della

religiosità, della santità

delle cose, non della

sacralità delle cose, badate

bene, perché voi siete

molto consumatori di

sacralità, di sacro, ma poco

protagonisti di santità; e la

santità la possono

raggiungere anche i laici.

Per cui quando dico “Gesù

Cristo vi dia tanta voglia di

vivere” intendo dire anche

questo “Gesù Cristo vi dia

tanta voglia di scoprire

pure la santità delle cose”.

(Don Tonino Bello)

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GIOVANNI PAOLO II - VEGLIA GMG 2000 TOR VERGATA

In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando

niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui

che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al

compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita;

è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E'

Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la

volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il

coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la

società, rendendola più umana e fraterna.

Carissimi giovani, in questi nobili compiti non siete soli. Con voi ci sono le vostre famiglie,

ci sono le vostre comunità, ci sono i vostri sacerdoti ed educatori, ci sono tanti di voi che

nel nascondimento non si stancano di amare Cristo e di credere in Lui. Nella lotta contro il

peccato non siete soli: tanti come voi lottano e con la grazia del Signore vincono!

Cari amici, vedo in voi le "sentinelle del mattino" (cfr Is 21,11-12) in

quest'alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani

come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad

odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi

messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza

cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui

convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete

ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace,

pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad

un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano

analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni

momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra

energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti.

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da IL CAMMINO DELL’UOMO

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PERCHÉ…

INSIEME?

Dio inizia ad intervenire quando è l’uomo a permetterglielo: solo quando gli ebrei urlano in

Egitto allora Dio li libera in un modo incredibile servendosi di un uomo (Mosè).

L’incredibile non sta tanto nel fatto del Mar Rosso che si divide, nella manna che piove dal

cielo… la storia va avanti passando per momenti più “delicati”, pieni di precarietà: un

bambino che doveva morire viene messo in una barchetta sul Nilo e viene visto dalla figlia

del faraone… la salvezza degli ebrei, meglio l’uomo che porterà gli ebrei fuori dall’Egitto,

passa (neonato) sul grande fiume… e se fosse andato tutto diversamente? Dio non poteva

risparmiarsi questi momenti di “suspence”? Anche per le “pedine” più importanti c’è

fatica, c’è combattimento (vedi quando Mosè viene chiamato da Dio e rifiuta per cinque

volte)…

C’è un mediatore, un uomo che si assume il ruolo di guida, un punto di riferimento per Dio

e per gli uomini: Dio parla a Mosè per parlare agli uomini, gli uomini parlano a Mosè per

parlare a Dio. Un uomo che non sempre viene riconosciuto, che spesso viene messo in

discussione, che sovente viene attaccato e giudicato, che talvolta viene accusato dagli

stessi ebrei di averli aiutati a liberarsi! Capita anche a me? Mi rimane così facile essere

aiutato ed essere guidato? Mi capita di arrabbiarmi di più quando mi rendo conto che chi

mi dice che ho sbagliato aveva proprio ragione?

Mosè deve volere e desiderare il bene del popolo, della gente che gli è affidata e

questo è evidentemente suscitato da Dio. Le preghiere di intercessione di Mosè

per il suo popolo rivelano tutto questo. Come posso scoprire se una persona

vuole questo per me? Come posso capire se una persona che è per me punto di

riferimento desidera il mio vero bene?

Dio non dà mai tutto e subito: vuole avere tempo e dare tempo. È una bellissima

caratteristica del dono della manna e delle quaglie: la razione per ogni giorno… e per il

giorno dopo? E per il giorno dopo ancora? E per tutto il cammino nel deserto? Dio

dona stimolando alla fiducia, stimolando alla pazienza, aiutando a capire che la felicità

vera e profonda non può venire dal pane ma da qualcos’altro, meglio… da Qualcun

altro. Dio stimola a guardare oltre quello che penso mi basti e mi sia sufficiente per

vivere… meglio… per sopravvivere.

6.

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Il modo di “dare il dono” della manna e delle quaglie spinge gli ebrei a pensare a

Dio, a pensare che la loro vita è appesa alla fiducia che ripongono in Dio: se per 40

anni mi ha condotto per il deserto come posso pensare di esserci riuscito da solo?

Come posso pensare di aver avuto salva la vita da solo?

40 anni nel deserto e non mi si sono neanche consumati i calzari: allora si prende

proprio cura di me questo Dio! Può meritarsi di essere considerato un (meglio

“il”) punto di rifermento? Può Dio essere per me un partner fondamentale nella

ricerca della mia felicità più profonda? Vedere il comportamento di Gesù nel

Vangelo può essermi da stimolo? Vedere come Gesù si è mosso con le persone

che ha incontrato, le parole che ha usato, il suo atteggiamento: possono aiutarmi

nella mia ricerca? Dio può aiutarmi ad essere felice? Come aiuta Gesù ad essere

felici? Come lo faceva con le persone che incontrava? Le assecondava sempre

oppure preferiva stimolarle per metterle in un cammino di ricerca? Come gli

ebrei usciti dall’Egitto e incamminatisi nel deserto, così gli uomini e le donne

incontrate da Gesù: uscire dalla loro vita “vecchia” per essere stimolati ad entrare

in una vita nuova e fresca. Una vita fatta di ricerca e di nulla di preconfezionato,

una vita fatta di esperienze talvolta faticose ma infinitamente più appaganti del

tutto e subito: una vita non a caso definita dal Vangelo “vita piena”.

TESTO BIBLICO: Esodo 16,13-21 (Dio dona la manna al popolo nel deserto)

La sera le quaglie salirono e coprirono l'accampamento; al mattino c'era uno strato di

rugiada intorno all'accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla

superficie del deserto c'era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla

terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l'un l'altro: "Che cos'è?", perché non sapevano che

cosa fosse. Mosè disse loro: "È il pane che il Signore vi ha dato in cibo. Ecco che cosa

comanda il Signore: "Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa,

secondo il numero delle persone che sono con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli

della propria tenda"".

Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto, chi poco. Si misurò con l'omer: colui che

ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne

mancava. Avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne.Mosè disse loro:

"Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino". Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne

conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro

di loro. Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava;

quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva.

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HAI DA DIRMI QUALCOSA? ALCUNI TESTI PER RIFLETTERE

Molti uomini delineano da se stessi il proprio programma di vita, ma esso è sempre

piatto e unicamente terreno. Programmare di adempiere nel corso della vita non la

propria, ma la volontà di Dio, è prepararsi a fare della nostra esistenza una

meravigliosa divina avventura. Chi ha fatto questa esperienza sa quali straordinarie

sorprese essa riservi.

(Chiara Lubich)

Essere felici si può

(Francesco Lambiasi - Vescovo di Rimini)

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un’intervista ad uno scienziato. Faremo la

stessa fine dei dinosauri? domanda il giornalista. Forse sì, ma possiamo stare sereni: se

succederà, non sarà prima di cento milioni di anni. E nel frattempo? Niente panico.

Bastano due misure precauzionali per aumentare le possibilità di una vita lunga e sana:

smettere di fumare e allacciare le cinture di sicurezza.

Ma una vita lunga e sana non ci basta. Io, tu, tutti vogliamo una vita felice. Quel giovane

ricco di cui parla il vangelo e che al Signore chiedeva la formuletta per guadagnarsi

nientemeno che “la vita eterna”, una felicità intatta e sconfinata, alla fine se ne andò via

triste. Tristezza: è ciò che fa più orrore a voi giovani, tanto che per evitarla siete disposti

a qualsiasi acrobazia. E allora come si fa a non fare la fine del giovane ricco e infelice?

LA FELICITÀ È UN’ILLUSIONE?

Il tempo scorre, tutto cambia. Tranne una cosa: costi quel che costi, da quando è

comparso sulla faccia della terra, l’homo sapiens è abitato da un sogno che non si

spegne più. E’ il sogno della felicità, e anche quando crediamo che non sia né verosimile

né realizzabile, vogliamo però con tutte le forze che lo sia. Nell’antichità, la felicità

consisteva nella conoscenza di sé, nel dominio degli istinti, nel fatto di non sentire

bisogno di nulla. Alcuni, come molti di noi anche oggi, la identificavano nel benessere

psico-fisico. Ma sono talmente tante le difficoltà per raggiungere la felicità, che viene da

chiedersi se non sia un’illusione o uno stato d’animo così effimero e fragile da

consumarsi inesorabilmente in un attimo, lasciandoci nella malinconia e in un amaro

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rimpianto. L’umanità, però, non si è mai rassegnata all’idea che la vita sia una cinica,

crudele presa in giro, e che il dolore rappresenti una cieca fatalità a cui sottrarsi è

impossibile, e ribellarsi inutile.

ESSERE FELICI SI DEVE

Può un desiderio diventare un diritto? La felicità sì. La costituzione americana da più di

due secoli continua a proclamare tra i diritti fondamentali dell’individuo anche quello

della felicità. Oggi assistiamo a un fenomeno nuovo: quel diritto è diventato un dovere.

Viviamo nella società del must: essere felici si deve. Non è una opportunità: è un

obbligo. La felicità è tutta nelle tue mani. E se fai flop, è colpa tua.

Ma dove abita questa felicità tanto sognata e agognata? Abita in… via del Successo. La

ricetta è in questo spot: “se sei bravo, avrai successo; se avrai successo, sarai felice”. E in

nome del successo si impone a ciascun individuo un obiettivo praticamente

irraggiungibile: il massimo di riuscita in tutti i campi: vita professionale e familiare, affari

e amore. Non è più permesso farne a meno. I deboli e i fragili, i feriti dalla vita sono solo

da compiangere. La paura più grande è non essere “nessuno”, non emergere, non avere

tutto sotto controllo e non poter accedere a tutte le possibilità che la vita ti offre.

Le domande qui si fanno fitte: ma è proprio vero che chi è bravo, ha successo? Quanti

sono bravi e non hanno successo o hanno successo e non sono bravi?! Ma è proprio

vero che chi ha successo, è felice? E se poi il miraggio del successo si trasformasse in

incubo e si finisse nello “stress da felicità” o si andasse in depressione? Sulla strada del

successo bisogna correre, competere, combattere: e chi resta indietro? E chi penserà a

consolare i drop-out? Visto che sulla punta della piramide c’è posto per uno solo, qual è

il peso sostenibile per arrivare fin lassù e per rimanerci il più a lungo possibile? I

candidati al successo devono disporre di un minimo di equipaggiamento: soldi, talento,

fortuna. Ma qual è il minimo indispensabile e quale il massimo necessario per riuscire? E

se poi si cade e crolla tutto, senza possibilità di “ripescaggio”? Davvero conta solo il

risultato?

DIMMI A CHE TIPO DI FELICITÀ PENSI

Ma la domanda di fondo è un’altra. Di che cosa stiamo parlando? Che idea abbiamo di

“felicità”?

Per tanta gente oggi la felicità porta un nome magico: emozione. Qualcuno dice che la

nostra è una società… “emo-cratica”, perché fondata sulle emozioni forti, le sensazioni

hard: sport rischiosi, traversate oceaniche in barche a vela, salti nel vuoto garantiti da

una corda elastica, campi di sopravvivenza… Come se l’essere umano esistesse solo

grazie a ciò che “sente”. Forse si dovrebbe cambiare lo slogan di Cartesio: non più

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“Penso, dunque sono”, ma “Sento, dunque sono”. L’assuefazione alle emozioni già

provate porta a far alzare la colonnina del nostro barometro emotivo: più droga, e droga

sempre più forte; drink sempre più eccitanti, spettacoli sempre più spinti… C’è un tetto

alla escalation emotiva?

L’interrogativo è a monte: visto che prima o poi nella corsa della vita si va a sbattere

contro la barriera della sofferenza, come la mettiamo con il “dovere della felicità”? Per

quanto non si riconosca alcun diritto di cittadinanza al dolore, c’è qualche homo sapiens

esonerato dal fare i conti con il peso della vita, con i dispiaceri che l’accompagnano, con

i fallimenti, gli infortuni, gli imprevisti, i contrattempi, in una parola con la miseria

umana?

Se la felicità fosse solo l’assenza di preoccupazioni o di dolore, allora saremmo davvero

degli illusi. Se si limitasse alle vibrazioni dei nostri sensi, all’appagamento del desiderio,

risulteremmo dei condannati a una frustrazione continua. Torna dunque il domandone:

cosa cerchiamo davvero quando aspiriamo alla felicità? È un approdo possibile anche in

mezzo – e non nonostante – le difficoltà della vita? E qual è la via da seguire perché

l’albero della felicità metta stabili radici in noi?

FATTO UOMO PER LA NOSTRA FELICITÀ

A giudicare dalle numerose volte in cui Gesù, nei vangeli, allude alla felicità, dovremmo

considerare questi libretti delle autentiche mappe per la caccia al tesoro della felicità.

Dalla prima all’ultima pagina: dal “Rallègrati!” dell’angelo Gabriele alla Vergine Maria,

fino alla “grande gioia” che esplode negli apostoli al vedere il Risorto. Dopo aver

disegnato tutto il suo insegnamento sulle note della vera beatitudine, anche alla vigilia

della prova più dura, poco prima del suo arresto, il Maestro non ha dubbi: “Voi sarete

nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia”. La nostra felicità sembra

addirittura il motivo della sua venuta nel mondo: “…perché la mia gioia sia in voi e la

vostra gioia sia piena”. Al giovane ricco, in cerca della felicità eterna, Gesù indica la

strada da percorrere. Ma soprattutto gli chiede di farla insieme a lui: “Vieni e seguimi”.

Commenta il teologo Von Balthasar: “Solo chi è sicuro di poter rendere felici, può

parlare così”.

Cos’ha, dunque, da dire la fede cristiana sulla questione-felicità? Un semplicissimo

annuncio, che il vescovo don Tonino Bello riassumeva così: “Noi siamo fatti per essere

felici. La gioia è la nostra vocazione. È l’unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio

ha disegnato per l’uomo”.

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ESISTO, DUNQUE SONO… AMATO

Dio è amante della vita dei suoi figli, se no non li avrebbe creati. Ogni uomo è l’amato-

gratuitamente-da-Dio. Gratuitamente: non c’è alcuna dietrologia da decifrare. Non c’è

nulla dietro l’amore di Dio: nessun bisogno in lui che ne determini il sorgere. Non c’è

nulla davanti a Dio: nessun interesse in lui che ne provochi l’iniziativa, nessun merito

nell’uomo che ne solleciti la risposta. Dio non ti ama perché ha bisogno di te; ma ha

bisogno di te perché ti ama. Insomma siamo amati e basta: prima di ogni nostro

presunto merito, prima di ogni nostra possibile invocazione. Amàti e basta, perché Dio è

solo Amore, che ama a fondo perduto, senza alcun tornaconto: ama non per avere

qualcosa da ricevere, ma per godere la possibilità di dare tutto quello che è, per provare

la gioia di regalare tutto quello che ha. Basterebbe prendere coscienza fino in fondo di

questo per allontanare per sempre ogni residuo di timore e angoscia.

A questo punto s’impone la domanda: se Dio ci ha amati così, noi che cosa dobbiamo

fare? Verrebbe da dire: dobbiamo riamarlo! L’evangelista Giovanni invece tira un’altra

conclusione: “Se Dio ci ha amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri”. Ma lo

stesso apostolo ci ricorda che, prima ancora di questo e proprio per questo, dobbiamo

“credere all’amore che Dio ha per noi”. Prima delle opere della fede, viene l’opera che è

la stessa fede: “questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato”. Se non si

crede di essere stati già amati da Dio, non è possibile riamare Dio.

Ma noi ci crediamo veramente – senza alcuna riserva mentale – che Dio ci ha già amati e

ci ama ancora e ci amerà sempre? Se lo credessimo davvero! E’ più facile credere in un

Dio lontano, da temere e da tenere a “rispettosa” distanza, anche per poter poi dire: “Ti

ho servito a dovere”. Ma davanti all’Amore, chi può dire: “Ti ho amato abbastanza”? E’

più facile sforzarsi, o illudersi, di amare che credere di essere amati e lasciarsi amare da

Dio. Eppure il segreto della felicità è proprio qui. Tutto il resto viene dopo.

LA VERITÀ RENDE LIBERI. E FELICI

Nel vangelo troviamo la gioia perché troviamo la libertà. La libertà dalla paura, dalla

disperazione, dall’egoismo. La libertà di farsi dono. L’illusione egoistica è inesorabile:

per essere felici più degli altri, devo arrivare prima degli altri, ma per arrivare prima,

devo lottare contro gli altri. In realtà più pensiamo a noi stessi, più siamo tristi; più

abbiamo e più vogliamo; più facciamo per noi, più abbiamo sete di qualcosa di più. Ma

non si è felici con qualcosa, ma con qualcuno. La felicità non è avere, ma amare e

sentirsi amati. Non è una cosa, è una relazione. Non possiamo dimenticare la

testimonianza di Madre Teresa di Calcutta: “La gioia è amore, la gioia è preghiera, la

gioia è forza. Dio ama chi dona con gioia; se tu dai con gioia, dai sempre di più. Un cuore

allegro è il risultato di un cuore ardente d’amore, le opere d’amore sono sempre opere

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di gioia. Non abbiamo bisogno di cercare la felicità: se possediamo l’amore per gli altri,

ci verrà data. È il dono di Dio”.

Resta però la minaccia più potente contro la gioia: il dolore. Come può il cristianesimo

accreditarsi come la religione della gioia quando al suo centro è piantata una croce? In

verità è proprio la croce la prova del nove che il nostro Dio è “amante della vita” e “non

turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne una più certa e più grande”. La

croce infatti sta a dire fino a che punto il Padre di Gesù si è compromesso con il nostro

dolore: fino al punto da darci il suo bene più caro, la vita di suo Figlio. E questo Figlio è

venuto in mezzo a noi non per tenerci un corso di filosofia sulla sofferenza, ma per fare

della sofferenza il percorso dell’amore. Cristo in croce ci dice che Dio non sempre ci

libera dal male, ma ci libera sempre nel male. E quando non può esaudire i nostri

desideri, non manca mai di realizzare le sue promesse.

ESSERE FELICI SI PUÒ

Una splendida testimonianza di come ciò sia possibile è quella offerta da Etty Hillesum,

la giovane ebrea olandese che morì ad Auschwitz nel 1943. In mezzo alla crescente

tragedia, non manca di annotare nel Diario: “Sono una persona felice e lodo questa vita,

la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra”. E ancora:

“Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me.

Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore”.

Siamo lontanissimi dal credere ai paradisi terrestri propagandati e costruiti su misura

per l’homo tecnologicus del terzo millennio. Eppure, anche senza dimenticare la

smisurata differenza qualitativa tra la vita presente e quella futura, siamo convinti che la

gioia, per il cristiano, non si colloca solo oltre il dolore, oltre questa “valle di lacrime”,

ma è possibile già quaggiù, quando tutto, compresa la sofferenza, viene vissuto nella

fede e nell’abbandono all’amore invincibile di Dio e nella condivisione del dolore di

quanti soffrono più di noi.

La speranza cristiana è molto più che desiderare una immensa felicità, collocata in un

“oltre” indefinito. Sperare è attendere con illimitata fiducia qualcosa che non

comprendiamo appieno, ma che ci viene partecipata da parte di Colui del quale

abbiamo conosciuto l’amore. Noi cristiani crediamo che soltanto l’oceano divino sia

abbastanza grande da colmare la nostra sete d’amore e da saziarla ben al di là delle

nostre attese e dei nostri sogni.

Il cielo è già iniziato. Se Dio è con noi, la felicità di Dio è già in mezzo a noi.

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Io lo so che non sono solo

anche quando sono solo

io lo so che non sono solo

io lo so che non sono solo

anche quando sono solo

Sotto un cielo di stelle e di satelliti

tra i colpevoli le vittime e i superstiti

un cane abbaia alla luna

un uomo guarda la sua mano

sembra quella di suo padre

quando da bambino

lo prendeva come niente e lo sollevava su

era bello il panorama visto dall'alto

si gettava sulle cose prima del pensiero

la sua mano era piccina

ma afferrava il mondo intero

ora la città è un film straniero senza sottotitoli

le scale da salire sono scivoli, scivoli, scivoli

il ghiaccio sulle cose

la tele dice che le strade son pericolose

ma l'unico pericolo che sento veramente

è quello di non riuscire più a sentire niente

il profumo dei fiori l'odore della città

il suono dei motorini il sapore della pizza

le lacrime di una mamma le idee di uno studente

gli incroci possibili in una piazza

di stare con le antenne alzate verso il cielo

io lo so che non sono solo

io lo so che non sono solo

anche quando sono solo

io lo so che non sono solo

e rido e piango

e mi fondo con il cielo e con il fango

io lo so che non sono solo

anche quando sono solo

io lo so che non sono solo

e rido e piango

e mi fondo con il cielo e con il fango

la città un film straniero senza sottotitoli

una pentola che cuoce pezzi di dialoghi

come stai quanto costa che ore sono

che succede che si dice chi ci crede

e allora ci si vede

ci si sente soli dalla parte del bersaglio

e diventi un appestato quando fai uno sbaglio

un cartello di sei metri dice tutto è intorno a te

ma ti guardi intorno e invece non c'è niente

un mondo vecchio

che sta insieme solo grazie a quelli che

hanno ancora il coraggio di innamorarsi

e una musica che pompa sangue nelle vene

e che fa venire voglia di svegliarsi e di alzarsi

smettere di lamentarsi

che l'unico pericolo che senti veramente

è quello di non riuscire più a sentire niente

di non riuscire più a sentire niente

il battito di un cuore dentro al petto

la passione che fa crescere un progetto

l'appetito la sete l'evoluzione in atto

l'energia che si scatena in un contatto

io lo so che non sono solo

anche quando sono solo

io lo so che non sono solo

e rido e piango

e mi fondo con il cielo e con il fango

io lo so che non sono solo

anche quando sono solo

io lo so che nn sono solo

e rido e piango

e mi fondo con il cielo e con il fango

e mi fondo con il cielo e con il fango

e mi fondo con il cielo e con il fango

Jovanotti

FANGO

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COSA VEDO I mali del nostro presente sono individuati in sei punti (6 è il numero del male).

1 - SOLITARI E MUTI. Oggi siamo tutti più soli ed abbiamo paura della solitudine; siamo più muti

perché incapaci di comunicare e di percepire i messaggi che gli altri ci mandano con lo sguardo, il

sorriso, il linguaggio dei gesti. Più abbiamo bisogno di comunicare, meno ne siamo capaci perché

crediamo di rimediare aumentando il numero delle persone conosciute mentre solo generando intimità

e stabili complicità si vince la solitudine. Ammiriamo la bellezza della bocca o degli occhi di una donna

senza accorgerci che in realtà è bello il suo sorriso, il suo sguardo. Tuttavia anche la solitudine è utile:

è uno spazio che ci consente di rimanere con noi stessi e ridare valore alla nostra unicità.

2 - IN FUGA DALLA RESPONSABILITA'. Il ns tempo ha ucciso la responsabilità. Si ruba, si

uccide, e non è stato nessuno. Essere responsabili significa prima di tutto ammettere le proprie

colpe, non scappare davanti ad esse, avere la volontà di ripartire. Vuol dire farsi carico dell'altro, una

promessa, un impegno che obbliga ad una risposta. Oggi si fugge alla responsabilità per non vedere

la sofferenza dell'altro e non farsene carico; non sentirsi colpevoli e non doversi impegnare in scelte

tormentose. Si fugge dalla verità e dalla realtà, si cercano alibi, si scaricano le colpe sugli altri.

3 - RITMI VELOCI E FOLLI: viviamo in continua dissociazione, il corpo dalla mente, l'anima dal corpo. La

realtà ci sfugge perché questi componenti non sono legati tra loro. I rapporti umani diventando fragili e

discontinui. La fretta non cura le ferite ma le anestetizza soltanto. La fretta uccide il presente, che è il

luogo delle emozioni, degli incontri, delle scelte, dove si ritrova uno spazio vitale autentico, il nocciolo della

vita, quello che serve veramente.

4 - UNA CONSAPEVOLEZZA OFFUSCATA: essere consapevoli vuol dire che per capire si

deve toccare. Oggi si vive di immagini; non si tocca la vita, non si abita la vita, ma si assiste

come ad un continuo spettacolo. Non sappiamo quasi nulla per esperienza diretta, si giudica solo

attraverso le immagini. Si rimane alla superficie, poca vita toccata. Per questo Dio ha sottoposto

Abramo alla prova di uccidere suo figlio: per renderlo consapevole del valore del "non uccidere"

tramite una esperienza sconvolgente.

5 - SOGNI SENZA REALTÀ: i sogni dei giovani vengono distrutti e continuamente sostituiti da altri.

Occorre che il sogno diventi vita, se no distrugge a vita. Il sogno di una comunità è "porte aperte e focolare

acceso", accogliere tutti.

Oggi viviamo l'instabilità dei sogni a lungo termine, curiamo un sogno con un altro sogno, una passione con

un'altra, un desiderio con un altro senza permettergli di diventare realtà. Ci siamo lasciati addormentare

l'intelligenza, la capacità di leggere dentro di noi e dentro gli avvenimenti, di trasformare le passioni ed i

sogni in azioni. I sogni richiedono pazienza, creatività e coraggio per diventare vita.

6 - UNA DEBOLE VOLONTÀ: il segreto della guarigione è nella volontà, come spesso ci ha mostrato

Gesù nei suoi miracoli. Occorre voler guarire, camminare, spezzare il cerchio che ci impedisce di

camminare e rinnovarsi. Occorre imparare dalla natura, nel suo continuo morire e rinascere. Non dare

risposte, ma fare domande e sollecitare una volontà (vuoi guarire?). La volontà fa superare la

debolezza, determina le scelte, ci rimette in moto verso i cambiamento. La volontà si è fatta fragile

Da dove ripartire

DON LUIGI VERDI

INTERVENTO DEL 16 GENNAIO 2010

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perché il nostro cuore non sa più quale è, e dove è il suo vero tesoro. La vita ha il suo tesoro nelle

persone, nei gesti e nei luoghi di ogni giorno.

Analizzata la situazione, non è il caso di recriminare perché non c'è la fede (la fede è una

questione di fame, di bisogno, torna quando è il momento, alla fine viene fuori).

Il segreto è ANTICIPARE IL CAMBIAMENTO, prendendo l'esempio del mandorlo, il primo a fiorire

(anticipa la primavera) anche se il frutto è lontano (è l'ultimo a fare il frutto).

Il peggiore di tutti i mali è la malinconia, come insegnava s. Francesco. Pretendere da tutti e

smettere di dire grazie. Se si vogliono i frutti bisogna cominciare a fiorire, a sorridere. Come

Francesco, non lamentarsi perché la chiesetta è diroccata, ma ricostruire, creare un luogo nuovo

dove vivere il Vangelo: e la gente arriva. E' la cultura del paradosso (non quella "ciellina" del

grande numero, o quella tradizionale della mediazione) ma quella del Vangelo.

ED ECCO I PUNTI DA CUI RICOMINCIARE

- TORNARE AD ABITARE LA VITA: non guardarla alla televisione, non scappare da essa, ma

starci dentro, togliere il superfluo, togliere le maschere e la paura. La paura è alla base della

violenza (come quella del lupo di Gubbio, che S. Francesco aveva capito) ed anche della falsità.

Si dice una bugia perché si ha paura. Torniamo ad accogliere l'altro anche se non sappiamo chi

è, non abbiamo paura. La paura di abitare la vita, di toccarla, ci fa scappare. Smettere di

scappare, riappropriarsi delle scelte.

- ESSERE VERI E FEDELI: vivere con pazienza e resistenza, non farsi comprare da nessuno. Io non

scappo, ci sarò anche nei momenti di crisi . Dio ci giudicherà non in base a quante volte saremo andati

a messa, ma sulla fedeltà, sul non essere scappati, sull'aver costruito qualcosa di stabile e duraturo nei

rapporti con gli altri.

- ESSERE GIUSTI: giustizia è prendersi cura delle persone e della loro storia. Ingiustizia è

trascuratezza, disinteresse, abbandono,. Giustizia è sentire che l'esistenza, la dignità di qualcuno

è importante per noi. Giustizia è "mi interessa", prendersi a cuore, essere per l'altro, lasciarsi

abitare dall'altro, dalle sue sofferenze, dalle sue fatiche, amare con fedeltà e passione. Giustizia è

amore fatto di dettagli, di gesti, di atti quotidiani che non si fanno notare.

- TORNARE AD AMARE CON SINCERITA E SFORZO: l'amore ha bisogno di tempo per maturare, ed un

grande sforzo per non scappare, per non restare superficiale, per tradursi in gesti e tenerezza in ogni età

della vita. L'amore richiede gesti e sincerità: gesti fatti di piccole attenzioni quotidiane, di dettagli, di intimità,

di verità, di dolcezza ed umiltà. L'amore maturato nel tempo, con sforzo, è vero, gentile, delicato ed umile.

Anche Dio vuole che lo amiamo non da schiavi, ma da innamorati.

- IL PERDONO: essenza del perdono è il capire. Capire non significa giustificare, ma rinunciare ad

odiare, è misericordia e compassione. Perdonare è non voler diventare come ciò che odi. Perdonare

è ringraziare chi ci ha ferito, perché ci ha dato un'occasione di crescita.

- LA FORZA DELLA DEBOLEZZA: ricostruire sui propri punti deboli; la pietra scartata è

quella che diventa pietra angolare. Fare delle nostre debolezze non una maledizione.

Trasformare le ferite in benedizione. Il momento della crisi, con la sua debolezza, è un

momento sacro, inizio di ogni germoglio di nuovo. Tutti possiamo dire "Il peggio che avevo

è il meglio che ho" se sappiamo affidaci all'onnipotenza debole di Dio. Gesù ha abbracciato

la debolezza e la morte ricordandoci che si muore soli, ma sempre per qualcuno.

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