Peppino De Filippo e Paolo Ricci
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Peppino De Filippo e Paolo Ricci:storia di un’amicizia
a cura diLaura Mazzarotta
Archivio di Stato di Napoli
Peppino De Filippo e Paolo Ricci:storia di un’amicizia
Mostra documentaria20 ottobre 2003 - 10 gennaio 2004
Archivio di Stato di Napoli - Sala Filangieri
Comitato nazionale per i festeggiamenti dei 100 annidalla nascita di Peppino De Filippo
Sotto l’Alto Patronatodel Presidente della Repubblica
Con il patrocinio e il contributo di:
Ministero per i Beni e le Attività culturaliRegione CampaniaProvincia di NapoliComune di Napoli
Presentazioni
Rosa Iervolino Russo
Antonio Bassolino
Amato Lamberti
RacheleFurfaro
Teresa Armato
FelicitaDe Negri
Luigi De Filippo
La scena assente dei
De FilippoAntonio Grieco
L’archivio privato di Paolo Ricci
Rosanna Esposito
Guida allamostra
Laura Mazzarotta
Catalogodella mostra
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Coordinamento scientificoRosanna EspositoLaura Mazzarotta
Coordinamento organizzativoRossana Spadaccini
Coordinamento dei restauriGiulia Rossi
Coordinamento delle fotoriproduzioniImmacolata Di Nocera
Ricerche documentarie e redazione delle schede tecnico-scientificheLorena Alvino (L.A.), Rosaria Armiero (R.A.), Giovanni Bono (G.B.),
Giovanna Caridei (G.C.), Rosanna Esposito (R.E.), Maria Pia Iovino (M.P.I.), Fortunata Manzi (F.M.), Giuseppina Masturzo (G.M.),
Laura Mazzarotta (L.M.), Carmelangela Mottola (C.M), Rossana Spadaccini (R.S.)
RestauriTeresa De Lella, Antonio Iovino
Collaborazione all’allestimentoPasquale Di Balsamo, Umberto Melluso, Giuliana Ricciardi,
Salvatore Scalesse, Gruppo ALES
Collaborazione tecnico-amministrativaLuisa Cortellazzi, Antonio Mari, Michele Munno
Fotografia, grafica e allestimentoLuciano Pedicini, Archivio dell’Arte
con la collaborazione di Melina Piracci
Si ringraziano:Biblioteca Nazionale di Napoli
Soprintendenza speciale per il Polo museale di NapoliE.T.I. Ente Teatrale Italiano
Gennaro Alifuoco, Luisa Ambrosio, Paola Capodanno, Silvia Cocurullo,Gaetano Fusco, Antonio Grieco, Marina Guardati, Elena Iannone,
Cristina Liguori, Gabriella Mansi, Pasquale Scialòe tutto il personale dell’Archivio di Stato di Napoli
per la fattiva collaborazione
Totò,Castellani ePeppino aCinecittàdurante lalavorazionedel film Totò ePeppino divisia Berlino(1964)
Pres
enta
zioni La città tutta, le sue Istituzioni e i testimoni della sua cultura,
non potevano non rendere omaggio ad una figura artisticacome quella di Peppino De Filippo, in occasione del Centenariodella sua nascita.Il Comitato per le Celebrazioni, voluto dall’AmministrazioneComunale, ha promosso numerosi eventi, occasioni di dibattito,ricordo ed intrattenimento, che testimoniano l’affetto e la stimadi concittadini all’autore ed interprete di opere tra le più signi-ficative e valide del teatro del dopoguerra, ma anche del cinemae della televisione.Attraverso questa mostra, realizzata dell’Archivio di Stato diNapoli, conosceremo, in un inedito epistolario dell’artista con ilcritico giornalista Paolo Ricci, le intime espressioni di un uomosemplice ed arguto, comico spontaneo ed innocente, dal sorrisobuffo ma al tempo stesso amaro.Questo, come gli altri eventi previsti, sono l’espressione di unsentito omaggio ad una indimenticabile figura del panoramaartistico e culturale della nostra città.
Rosa Iervolino RussoSindaco di Napoli
Peppino De Filippo è, senza dubbio, uno tra gli attori-autori piùimportanti nell’intera storia del teatro e del cinema italiani.
«È», e non «è stato», poiché la sua arte resta quotidianamentepresente tra noi e continua a sorprendere per la straordinariamodernità e la capacità d’invenzione, anche quando crediamo diconoscerne a memoria ogni sfumatura.I tanti film girati accanto a Totò, le espe-rienze teatrali con i fratelli Eduardo eTitina e quelle “in solitario”, la genialeinvenzione televisiva del personaggio diPappagone sono soltanto alcuni dei moti-vi per i quali, ormai a distanza di ventitréanni dalla scomparsa, continuiamo a rim-piangere un artista vero com’è semprestato Peppino: un artista per molti versipersino in anticipo sui tempi, per come hasaputo “maneggiare”, con pari abilità,media differenti.
L’interessante iniziativa dell’Archivio di Stato di Napoli - inseritanel calendario ufficiale dei festeggiamenti organizzati dalComitato interistituzionale in occasione del centenario dellanascita di Peppino - ci permette, attraverso lettere, articoli e altripreziosi documenti tratti dall’archivio personale del critico teatra-le Paolo Ricci, di andare più in profondità nella conoscenza ecomprensione di una personalità unica. Una personalità troppospesso sottovalutata dalla critica nel paragone col fratello mag-giore Eduardo o col suo “complice” abituale, cioè Totò, nei con-fronti del quale Peppino fu molto più che una semplice “spalla”,per assurgere al ruolo di indispensabile compagno d’avventuranella costituzione di una tra le più scoppiettanti coppie comichemai viste all’opera non soltanto in Italia.Quando mi capita di rivedere - in tv o in cassetta - alcune operedi questi “maestri” della recitazione, della commedia ed anchedella scrittura teatrale e cinematografica, resto incantato e stupi-to. Nel senso che non li percepisco come artisti datati, anzi li trovomoderni, fortemente attuali. Per i legami con la loro città, Napoli,vera e propria città-musa, per la misura e per lo stile della recita-zione, per l’intreccio delle storie. Insomma una sorta di Actor’sstudio creato sul campo, a cui non finiremo mai di attingere.
Antonio BassolinoPresidente della Regione Campania
Un grande attore di teatro del 1800, Tommaso Salvini, osanna-to in tutto il mondo dell’epoca, parlando dell’arte dell’attore,
scriveva: “Una irrimediabile sventura colpisce gli illustratori di que-sta bell’arte; essi nulla lasciano, oltre il sepolcro, dell’opera loro”.Peppino De Filippo, invece, ha lasciato un segno profondo cheha superato il suo teatro, le sue poesie, il suo cinema, perdiventare un topos, un modello, un linguaggio della nostrasocietà pur a tanti anni di distanza - e ormai si avvicina ancheil venticinquennale della morte -. Un segno forte che non ha ilcarattere regionalistico di tanti bravi attori napoletani del pas-sato, ma che ha rappresentato molto per l’arte italiana anche -soprattutto dagli anni ’60 - all’estero.In più Peppino, come ormai tutti familiarmente e affettuosa-mente lo chiamiamo individuandolo così immediatamente conla sua famiglia, rappresenta un pezzo della storia di Napoli, una
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Nella paginaseguente:Eduardo e
Peppino nellafarsa L’ultimo
bottone alTeatro
Sannazzaro(1933)
famiglia difficile come recita il tito-lo del suo romanzo-diario, caleido-scopio di una vita, di una società edegli affetti che sono stati all’originedi quella sua grande arte.
Amato LambertiPresidente della Provincia di Napoli
Cento anni fa nasceva a Napoli ilgrande Peppino De Filippo. Il
Comitato per i festeggiamenti, pro-mosso dall’Assessorato alla Culturadel Comune di Napoli, ha previstoun intenso programma di iniziativeed eventi in onore dell’artista par-tenopeo e l’Archivio di Stato dellanostra città ha aderito alle Cele-brazioni per il Centenario, allesten-do una mostra che questo catalogoillustra ed accompagna: una docu-mentazione di circa settanta pezzitra lettere e recensioni che testi-moniano il grande rapporto di ami-cizia e di reciproca stima tra l’atto-re napoletano e il critico-giornalistaPaolo Ricci, durato circa un quartodi secolo, dal ’51 al ’74.Ricci, fin dagli anni trenta, notòPeppino allora in compagnia con ifratelli Titina ed Eduardo, con il loro“Teatro Umoristico dei De Filippo”:iniziò così un ricco epistolario che cimostra intime nostalgie, ricordi,affetti, dolori, di un uomo che amòe rispettò profondamente il suolavoro, conferendo grande dignitàad un genere fino ad allora consi-derato “minore”, al quale dedicòfarse, commedie, poesie, racconti,
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Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia10
Nella paginaseguente:
Elaborazionedal disegno di
Peppino DeFilippo per lacopertina del
volume Poesie
Titina, Peppinoed Eduardo
con LuigiPirandello
(1933)
canzoni e fumetti, frutti di una mente brillante, vivace e argu-ta.Un artista innovativo, che usò un genere antico, la “farsa”, per in-ventare un teatro della risata, voce di una Napoli dai molteplici voltiche seppe rappresentare al cinema come a teatro: povera, super-stiziosa e ipocrita, ma anche ingegnosa, carismatica e fantasiosa.Un omaggio e un riconoscimento più che dovuto quindi ad unafigura preziosa e indimenticabile per la nostra storia e tradizio-ne culturale, un omaggio che Enti e Istituzioni si sono impe-gnati a realizzare anche con l’intento di restituire un rinvigoritoricordo di Peppino all’intera città.
Rachele FurfaroAssessore alla Cultura del Comune di Napoli
Le lettere private che Peppino De Filippo si scambiò per moltianni con l’amico Paolo Ricci, noto critico teatrale e pittore,
hanno il pregio di rivelarci un prezioso spaccato della vita pri-vata, della quotidianità, dell’approccio al mondo e all’arte pro-pri del grande artista campano, uno tra i più straordinari espo-nenti del teatro e del cinema dell’intero Novecento.
La meritoria iniziativa dell’Ar-chivio di Stato di Napoli s’inse-risce nei festeggiamenti orga-nizzati per il Centenario dellanascita di Peppino dal tavolointeristituzionale fortementevoluto dalla Regione Campa-nia. E, a caratterizzare questamostra, è proprio il riuscitotentativo di andare al di là delPeppino artista per portarnealla luce l’aspetto più umano, iricordi, gli affetti, i dolori, l’im-pegno sociale e politico (aspet-ti, questi ultimi, messi semprein secondo piano, quando si
affronta una personalità complessa come quella del più giova-ne dei fratelli De Filippo).Peppino De Filippo è stato un artista “a tutto tondo”, non neces-
Presentazioni 11
sariamente riducibile alla sola - pur straordinaria - statura di in-terprete teatrale, cinematografico e televisivo. È stato, infatti, raf-finatissimo scrittore di farse, commedie e favole umoristiche,nonché disegnatore irresistibile; e ha saputo, prima di tanti altri,miscelare i generi più diversi, inserendo sempre un pizzico di ma-linconia e amarezza nella sua comunque irresistibile vena comica.La mostra organizzata dall’Archivio di Stato e il ciclo di proie-zioni che l’accompagnano riescono a restituire un ritratto cer-tamente più completo e approfondito.
Teresa ArmatoAssessore alla Cultura della Regione Campania
Una partecospicua del
ricchissimo patrimoniodocumentario conservato
dall’Archivio di Stato di Napoli nelle due sedi monumentali -il convento dei Santi Severino e Sossio e il palazzo Loffredo - è rap-presentato dagli archivi privati. L’interesse storico alla loro conser-vazione, accanto alle compatte serie cartacee prodotte dalle istitu-zioni statali in una plurisecolare evoluzione, deriva dalla possibilitàdi illuminare grazie ad essi aspetti del nostro passato che nonsarebbero altrimenti percepibili. Le due categorie di fonti si integra-no a vicenda e gli Archivi di Stato hanno di conseguenza accettatosempre di buon grado le donazioni di archivi privati, non di radoprovvedendo anche ad acquistarli sul mercato. L’Istituto napoleta-no, in particolare, sin dalla direzione Filangieri, si è distinto per l’at-tenzione prestata a questa tipologia documentaria. Soprattutto nel-l’ultimo cinquantennio del secolo scorso, sono affluiti ad esso gliarchivi delle grandi famiglie feudali, attraverso i quali emergono
vicende patrimoniali e dinamiche di potere che si intrec-ciano strettamente con la storia del Regno.
Non mancano, tuttavia, nei vasti depositi del nostroArchivio, complessi documentari relativi alla vita eall’attività di singoli personaggi che abbiano rap-presentato un ruolo di spicco in un qualche setto-re, dalla politica alla cultura. Fra questi, possia-mo certamente annoverare l’Archivio privato diPaolo Ricci, noto pittore, critico teatrale, uomopolitico, le cui carte personali, qualche anno orsono, vennero acquistate dal Ministero per iBeni Culturali e destinate all’Archivio dell’excapitale, dove Ricci aveva in prevalenzaesplicato la sua multiforme attività. I rap-porti epistolari che egli ha intessuto conPeppino De Filippo, come con altri espo-nenti della cultura napoletana - all’epoca,fortunatamente, la lettera era ancora unmezzo diffuso di comunicazione - ci hannoconsentito di offrire un’altra tessera allaconoscenza del grande uomo di teatro.L’Archivio di Stato di Napoli partecipa così consincero entusiasmo alle celebrazioni indetteper il Centenario della nascita di Peppino,recando l’apporto di una mostra che presentaper la prima volta al pubblico documenti ine-diti tratti dall’Archivio Ricci. Essi gettanosquarci di luce significativi sul rapporto dell’ar-tista con il teatro e, in particolare, con la suacittà, cui lo lega un sentimento di amore non
scevro da una nota di malinconico disincanto.Osservando i documenti esposti, molti affezio-nati estimatori di Peppino potranno ripercorre-
re le tappe del suo percorso artistico e rinno-varne il ricordo; ma ci auguriamo che la
mostra susciti anche l’interesse dei giova-ni e che contribuisca ad accrescere in essila curiosità e l’affezione per la figura del-l’illustre napoletano.
Felicita De NegriDirettrice dell’Archivio di Stato di Napoli
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia12
In un freddo pomeriggio d’inverno del1981 mi recai a trovare Paolo Ricci a
Villa Lucia. Mio padre, Peppino De Filippo,era scomparso da un anno e io decisi diandare a far visita ad uno dei suoi più cariamici quale era stato Paolo Ricci. Paolo fu unpo’ sorpreso della mia inaspettata visita, mami accolse con affetto e cordialità.Io lo stimavo molto. Pittore, critico teatrale,uomo di cultura, m’incuriosiva e m’interessa-va la sua conversazione. Parlammo a lungoquel pomeriggio. Parlammo della sua bella edantica amicizia con Eduardo e con mio padre. Loringraziai per le lodi e le belle parole che avevaavuto per me giovane attore in una sua recensio-ne su “L’Unità”. Mi rispose asciutto: “Sei stato bravoe meritavi quei complimenti, non mi ringraziare”.Era un po’ brusco a volte Paolo Ricci, ma era sinceroe lo constatai una volta di più in quella circostanzaquando, parlando della sua conoscenza ed amicizia conEduardo e Peppino, mi fece un esame critico entusiastaper l’Arte dei due fratelli con qualche indovinata riserva sualcuni lati del loro carattere. Ma sempre con sincero affet-to e mai con malanimo.Volevo bene a Paolo Ricci, mi piacevano i suoi quadri e i suoiscritti. E avevo per lui una certa riconoscenza perché, come cri-tico teatrale, fu tra i pochi in quegli anni (quando da parte di unacritica ottusa e supponente si guardava con diffidenza all’attorecomico) ad intuire e magnificare quanto grande ed eccezionalefosse il talento scenico di mio padre.Quando quel pomeriggio mi congedai da lui e mi accompagnòalla porta mi disse: “Ora hai una tua Compagnia, hai succes-so. Tuo padre sarebbe stato felice per questo”.Caro Paolo, colgo l’occasione che mi dà questa mostra allestitadall’Archivio di Stato di Napoli, per dirti quanto ho apprezzato latua bella amicizia. E quanto ancora la rimpiango.
Luigi De Filippo
Peppino eLuigi nell’attounico Miseriabella! (1965)
Nella paginaprecedente:Paolo Ricci
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Nella complessa esperienzaintellettuale e artistica di
Paolo Ricci uno spazio certamen-te rilevante, anche se poco inda-gato, occupa l’attività di criticoteatrale, iniziata intorno allametà degli anni Trenta a Napoli edurata, quasi ininterrottamente,sino alla fine degli anni Settanta.Lungo un arco di tempo abba-stanza indicativo delle trasforma-zioni avvenute nella città, al pit-tore e critico non sfuggì quasinulla di ciò che avveniva sullascena napoletana: dal teatro diViviani al Teatro Umoristico deiDe Filippo, alla svolta neorealisti-ca di Eduardo, all’abbandono deldialetto da parte di Peppino, alrecupero della sceneggiata, all’a-vanguardia teatrale napoletanadegli anni Sessanta - Settanta, dicui egli fu senz’altro uno dei piùacuti osservatori italiani. Dallalettura dei suoi scritti traspareuna vicenda sotterranea ealquanto dinamica della culturanapoletana; si scorge, ad esem-pio, una storia quasi inedita deirapporti di artisti e uomini di tea-tro col potere; rapporti spessoconflittuali, che per il loro valoreumano ed etico sarebbe utilericordare almeno negli aspettipiù emblematici: l’ostracismo delfascismo nei confronti di Viviani,la denuncia del laurismo da partedi Eduardo; il rapporto tra speri-mentazione teatrale e istituzionialla fine degli anni Sessanta.
Il contributo forse più interes-sante Ricci lo ha dato collocan-
do sin dagli inizi della sua attività
il teatro di Viviani e quello dei DeFilippo all’interno delle esperien-ze più vive dell’avanguardiaeuropea. E, certo, in tal sensonon è improbabile abbia positiva-mente influito l’esperienza diret-ta, la sua storia artistica deglianni Trenta con la partecipazioneai movimenti d’avanguardia e lafirma di un testo, il Manifesto difondazione dell’ U. D. A. (UnioneDistruttivisti Attivisti), di impron-ta dadaista, con Guglielmo Peircee Carlo Bernari.Noto è il suo rapporto con Vivianie il suo contributo alla valorizza-zione dell’opera del drammaturgonapoletano. Quasi sconosciutisono, invece, i suoi scritti suEduardo e Peppino e il sodalizio -testimoniato da un interessanteepistolario, oggi conservatonell’Archivio di Stato, che merite-rebbe la pubblicazione - che lolegò ai due fratelli per tutta la vita.
La grande considerazione di Ricciper il teatro dei De Filippo
nasceva - oltre che da radicati con-vincimenti arti-stici (non acaso egli, tra icritici, è stato il piùconvinto sostenitoredi quella tradizio-ne teatrale diNapoli, intesacome memoriavivente di uninsieme dicodiciespressivilegati auna realtà
La s
cena
ass
ente
dei
De
Filip
po
Elaborazionedal disegno diPeppino DeFilippo per lacopertina delvolume Poesie
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia16
fortemente contestualizzata) -anche da un rapporto di amici-
zia, di rispetto dellaloro arte, costruito
sulla reciprocafranchezza.Così Eduardonei momentidifficili si rivol-geva a Ricci;ascoltava i suoiconsigli; al cri-tico FedericoFrascani unavolta confidòche “avevabisogno del
giudizio del criti-co pittore”. A Ricci
e a pochi altriamici egli leggeva, alParco Grifeo, le com-medie appena termi-nate. Si è anche scrit-
to, negli anni Cinquanta,che dopo una prima stesu-ra di Napoli Milionaria!(1945), Eduardo su pres-sante invito di Ricci abbia
sostanzialmente modificatola commedia, inserendovi, tral’altro, alcune espressioni sug-geritegli dallo stesso Ricci:commedia neorealistica che sicolloca, come ha osservatoVanda Monaco, “nel climagenerale culturale dell’epoca,che era quello del messaggio edella tesi”. Con Peppino, Ricciinvece insistette perché nonabbandonasse il dialetto, inquanto, a suo avviso, una tale,definitiva decisione “costituiva
una inspiegabile limitazione cheegli stesso imponeva alla suavena creativa”. Ed inoltre per ilcritico-pittore, il teatro più vivoin Italia era proprio quello dialet-tale (Ruzzante, Goldoni, Viviani e… i De Filippo). Ma poi Ricciseppe scoprire nell’arte diPeppino - anche dopo la separa-zione da Eduardo - quegli ele-menti che potremmo definirefondativi del suo teatro. Il primodi questi elementi concerne lastraordinaria “macchina attoriale”di Peppino, una macchina estre-mamente duttile, dinamica evitale, che non lo rendeva maiprigioniero dei personaggi e dellafinzione e lo spingeva nei territo-ri più irti della creazione artisti-ca; egli, infatti, con estremadeterminazione, lottava contro ilfacile, troppo facile, bozzettismonaturalistico e il folclore, cosìtipici di tanta scuola partenopea,e utilizzava, da grande maestro, ipersonaggi in funzione di un’e-spressione artistica tutta giocatae costruita sul filo di un delicatis-simo equilibrio tra invenzione ecoscienza: “La sua caratterizza-zione più immediata”, scriveRicci, “era quella di suscitare larisata o comunque la reazione delpubblico con i mezzi più semplici,a volte muovendo un muscolo delsuo volto, a volte senza farenulla” (P. RICCI, Un’antica comicitànella sua maschera, «l’Unità», 28gennaio 1980).
L’acuto sguardo di Ricci - inseri-to dentro un ampio contesto
di riferimenti teatrali tradizionali
La scena assente dei De Filippo 17
e moderni che vanno dal grandeZanni al teatro scarpettiano, aPetrolini e al varietà, sino allecomiche cinematografiche diMelier e a quelle di Charlot e diBuster Keaton, non può non fartornare alla mente un’osservazio-ne molto simile di Carmelo Benesulla recitazione di Peppino,quando in un’intervista (rilasciataa Vittorio Dini sulla rivista“Metropolis”, nel gennaio 1999),dopo aver sottolineato la suapreferenza per Buster Keatonrispetto a Charlot, affermò: “Nonso quanto lei condivida … maquando è con Peppino (il riferi-mento è a Totò, n.d.r.), le ripeto,basta guardare Peppino, al quale
occorre un nulla, perché è il piùgrande attore di farsa, nel sensoproprio, buono, nobile … sia inteatro che in cinema. È il piùbravo che abbia avuto l’Italia, amio avviso”. Bene, inoltre, loconsiderava straordinario, “piùgrande anche d’Eduardo”.
L’altro aspetto costitutivo delTeatro di Peppino, individuato
da Ricci, è di carattere più gene-rale; concerne le mutazioni pro-fonde, talvolta invisibili, cheattraversano il corpo sociale, eche vengono “captate” e segna-late mentre accadono, come sudi un sismografo che registri ipiù lievi movimenti tellurici, solodai grandi maestri.
Bozzetto di P. Ricci perChi è cchiùfelice ‘e me?,1932Da EduardoDe FilippoVita e opere,a cura diIsabellaQuarantotti eSergio Martin,Milano, 1986
Nella paginaprecedente:Peppino nellasua farsa Don Feliceaffamato traun invito apranzo, unamico sculto-re e tre poveriin campagnaal Teatro Na-zionale diBelgrado,1965
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia18
Peppino aveva, appunto, questacapacità di sguardo, che in com-medie come Quaranta ... ma non lidimostra, segnava secondo Ricci,il culmine della collaborazione trai celebri fratelli, assumendo quasila dimensione antropologica diun’inchiesta che aiuti a compren-dere meglio il mondo, spesso cosìincomprensibile, di cui noi stessisiamo parte e attraversiamosenza percepirne il senso: “Perchépiù che di comicità bisogna parla-re di satira di costume, di analisidi un microcosmo sociale, di untest insomma sulla piccola bor-ghesia cittadina, in una Napoli tradopoguerra e fascismo”.
(P. RICCI, Quaranta ... ma non lidimostra, «l’Unità», 7 febbraio1976).
Accomunava Peppino edEduardo la stessa amarezza
per le sorti della città. “Ti confes-so”, scrive Peppino a Ricci quasia metà degli anni Cinquanta,“che Napoli mi fa tanta pena.Nella miseria in cui è caduta nonfa bene allo spirito di chi le vuolbene e la rappresenta con amoree onore.” E, poi, c’era sempre l’ansia diritornare, di trovare uno spaziodove poter continuare il propriolavoro; sentimento che si scon-trava con un potere politico,chiuso e sordo a qualsiasi istanzadi cambiamento: “Per esempio:quel Sannazaro … non è stato unpeccato metterlo nelle mani(gavaniane) di un gruppo di atto-ri che all’arte bella e misuratapreferiscono quella dell’approssi-mazione più banale?”. Cosìquando Eduardo, dopo l’acquistodel San Ferdinando, presentò ilprogetto per la realizzazione diun teatro stabile a Napoli,Peppino chiese a Ricci di aiutarlo,“perché Eduardo ha profuso tuttoil suo avere in quell’impresa emerita di essere aiutato”.
Sappiamo poi le cose comeandarono. Il progetto sembra-
va essere stato accolto dalComune di Napoli che aveva inten-zione di affidarne la direzione a luistesso. Ma poi tutto, incomprensi-bilmente, fu rimesso in discussio-ne, determinando in Eduardo unsentimento di sdegno e di amarezza.
I fratelliDe Filippo, in “Il Tempo”, 12giugno 1941
Ricci, naturalmente al fianco diEduardo, smascherò con i suoiarticoli le manovre clientelari diquelli che definì “i vecchi e nuoviparenti di S. Gennaro”, che anco-ra una volta avevano impedito allacittà di dotarsi di un democraticoe moderno centro culturale.
Il sodalizio Eduardo - Peppino -Ricci, come abbiamo accenna-
to, aveva radici profonde.Risaliva agli anni Trenta, quandoil critico-pittore scoprì insieme aViviani il “Teatro Umoristico deiDe Filippo”, iniziando un’opera divalorizzazione della loro dram-maturgia e un’analisi attentadella tradizione che si rinnovavaattraverso il loro sguardo poeti-co. La particolare lettura di Riccidi quei teatri così diversi tra loronon mancò di suscitare irritazio-ne anche tra gli intellettuali piùsensibili. Nel ’37, ad esempio, unsuo articolo di critica “alla con-venzionalità drammaturgica dila-gante” e di apprezzamento per ilteatro di Betti, di Viviani e diPetrolini, venne censurato daAnton Giulio Bragaglia, che gliscrisse in modo risentito: “Senzadire che quando in Italia tu porticome esempio il teatro di Bettiinsieme a quello di Viviani e diPetrolini, fai girare la testa a chi tilegge”. (P. RICCI, Ritorno a Viviani,Roma, Editori Riuniti, p. 177).
In realtà, Ricci, sin dai suoi primiinterventi critici su Viviani e i De
Filippo, tentò di tenere insieme,talvolta con qualche consapevoleforzatura, il binomio oppositivoavanguardia-tradizione, escluden-
do dal proprio indirizzo criticoqualsiasi interpretazione folcloricao accademica di quei mondi.L’innovazione, per Ricci, nascevada un corpo a corpo con la tradi-zione e, dentro questa linea, ilteatro di Eduardo, di Peppino equello di Viviani si collocavanonaturalmente in un orizzonteeuropeo. “Avanguardia eRealismo”, “Avanguardia eTradizione”, per Ricci, lungi “dal-l’essere termini antitetici sonoelementi dialettici indispensabili,che si fondono, in una sintesi chedetermina la necessità storica ela leggibilità poetica dell’operastessa.” (P. RICCI, Testo dattilo-scritto senza titolo, Archivio diStato di Napoli, s. d.).
Del resto, un suo bozzetto perChi è cchiù felice ‘e me? di
Eduardo, datato 1932, secondoFranco Mancini “un’autentica tra-sgressione alla concezione sce-nografica di Eduardo”, nella suacostruzione dadaista giocatasulla frammentarietà e sull’im-provvisa liberazione di ener-gia attraverso l’esplosionecromatica, sembra piùesplicito di un saggiocritico. In un certosenso può conside-rarsi un’ impor-tante indicazio-ne di letturaper l’avan-guardia tea-trale con-tempora-nea. Insostanza,
La scena assente dei De Filippo 19
Elaborazionedal disegno diPeppino DeFilippo per lacopertina delvolumeIl Fu Bobò
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia20
per il tramite di un più liberoattraversamento di quel mondo,è possibile sgombrare il campoda quella pretesa “classicità diEduardo”, che ha dato origine adacritiche rappresentazioni deisuoi testi e, in anni più recenti,all’esaltazione del più angustoorizzontedel suo tea-tro. (siveda A.GRIECO,L’altrosguardo diNeiwiller,Napoli,L’ancora delmediterra-neo, 2002,p.38).
Ricci, giànegli
anni Trenta,compreseche nellemessinscenedi Peppino,di Eduardo edella grandeTitina, esi-stevano sor-prendentimeccanismidi sottrazione (esattamente come,talvolta, avveniva e avviene nell’ar-te e nella letteratura contempora-nee ed anche nel cinema), chegeneravano vuoti, zone di irrealtà,determinando uno spostamento disenso e un forte “spaesamento”dell’azione drammaturgica. In unsuo articolo, quasi sconosciuto, del
’41, sulla rivista “Il Tempo”, colsequesto dinamismo scenico, fonda-to sulla frammentarietà e sul-l’assenza più che sulla presenzain modo esemplare, quandoosservò: “Credono, e molti cre-dono con essi, che questo teatroabbia una morale: niente di più
falso; leloro com-medie sonopretestiperchérisalti evenga svol-to un giuo-co senzaforma,senza rego-la. Le cosepiù belle deiDe Filipposono quelleche nonhanno néinizio néfine: il vela-rio si apresu una real-tà preesi-stente e sichiude suuna realtàche conti-
nua. In ciò risiede la loro più gran-de originalità. Ho sempre pensatoche potrebbero abolire le scene etutti i pretesti per chiudere in qua-dri conclusivi le parole; potrebberoparlare da fermi in iscena poichél'unica necessità è il suono dei lorodiscorsi. Ricordate la loro abitudi-ne, recitando, di ripetere una frase
Da sinistra:Eduardo,
Luisa De Filippo,
EduardoScarpetta,Peppino e
Titina. Da Una famiglia difficile
Nella paginaseguente:veduta del
Parco Grifeocon in altoVilla Luciadov’era lo
studio diPaolo Ricci
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia22
più volte sempre cambiando tono.Ripeterla fino a deformarla, a ren-derla incomprensibile quasi comeun balbettio bestiale, come capita achi parli dormendo? Alle volte vienfuori qualcosa alla Joyce ed èquesta la loro scoperta. In palco-scenico Eduardo ama recitare
seduto e spessissimo con le spal-le verso il pubblico godendo inti-mamente delle strane parolepronunciate con lentezza,gustandone a una a una le silla-be, le pause e i suoni, indipen-dentemente da ogni preoccupa-zione contenutistica”.
Ricci all’inizio di questo testo,dopo aver rilevato l’innova-
zione profonda dei De Filippo suScarpetta e il suo teatro, coglie,inoltre, nella loro “stupefattacomicità” quella vena surreale
che ricordava Charlot. Ma comenon vedere in quel loro “stare”semplicemente in scena, senzapretesti, calati in un mondosenza storia, e in “quel balbettìobestiale come capita a chi parlidormendo” un legame stringentecon tutto il teatro moderno?Come non pensare, ad esempio,a Beckett, e al desolato immobi-lismo dei suoi personaggi? O nonricordare l’inazione e il depensa-mento di cui parla Carmelo Benecome chiavi indispensabili delcomportamento scenico?
Il gesto teatrale, gratuito e ani-malesco di Eduardo e di
Peppino negli anni Trenta disin-tegra il teatro della rappresenta-zione. Tuttavia, la negazione del-l’azione scenica dei fratelli DeFilippo, individuata da Ricci inanni così lontani, non cancella ilgesto della tradizione. Esso ritor-na come un segno nel teatro chenon è un semplice specchio dellavita (si pensi anche a Cecchi, aDe Berardinis, a Neiwiller). Latradizione (e il folle e innocentesguardo dei De Filippo) nel tea-tro contemporaneo ritornasovente come un’eco dellamemoria: come un’ombra o -per riprendere un’espressione diJacques Derrida relativa a tut-t’altro contesto - come revenant,come uno spettro. Lo spettroche è “la visibilità furtiva e inaf-ferrabile dell’invisibile”.
Antonio Grieco
I fratelliDe Filippo, in “Il Tempo”, 12giugno 1941
27
Riccardo Notte dalle colonnede “Il Tempo” del 17 luglio
1994 lancia un grido di allarme:“Resta nell’oblio uno sconosciutoepistolario del pittore Paolo Riccicol mondo della cultura europea”.Il giornalista intendeva riferirsiall’Archivio privato del pittore e cri-tico d’arte, Paolo Ricci.L’archivio era costituito da trenuclei: fotografico, documentario elibrario. Nel 1997 gli eredi di Riccine misero in vendita la parte docu-mentaria che, acquistata dalMinistero per i beni culturali, vennedestinata all’Archivio di Stato di Na-poli ove attualmente è conservata.Il nucleo fotografico è confluitonell’Archivio fotografico delMuseo di San Martino, mentrequello librario nella Biblioteca“Bruno Molajoli” di Sant’Elmo. Il consistente complesso docu-mentario è composto da un riccoepistolario, che abbraccia ilperiodo dal 1932 al 1985, danumerosi manoscritti, editi e ine-diti di Ricci e da centinaia di arti-coli, apparsi su giornali e riviste,relativi sia a temi emergenti neldibattito artistico - culturale diquel tempo sia di critica teatrale.
Paolo Ricci nasce a Barletta il22 settembre 1908; nel 1916
si trasferisce con il padre aBrindisi e nel 1918 a Napoli dovecompie i primi studi.L’appartenenza ad una famigliaoperaia di tendenza socialista loporta a seguire le vicende politi-che dell’Italia con una passionerara per la sua giovane età.L’avvento del fascismo determina
la sua scelta politica: l’op-posizione, a cui resteràfedele fino alla morte.Nel suo epistolario, a testimo-nianza della poliedrica attivitàcome artista, scrittore, giornali-sta e critico, si ritrovano tutti ipersonaggi conosciuti nell’arcodella sua vita e con i quali avevastretto rapporti di amicizia e dilavoro.
L’incontrocon lo scul-
tore VincenzoGemito è deter-minante; Riccigli mostra i suoidisegni e, da lui incorag-giato, si dedica alla pittura e allascultura. Nel 1927 incontra LuigiCrisconio, con il quale stringe unsodalizio che durerà fino al 1946,anno della prematura morte delpittore. Con la mostra Luigi Crisconio pit-tore illegale della Napolimoderna, allestita nel 1963, Riccilo propone alla critica italiana,così come precedentementeaveva promosso una più correttavalutazione critica diCammarano, di Palizzi, di DeNittis e della Scuola di Resina.
Nel 1928 entra in contatto coni giovani artisti ed intellettuali
di Napoli, fra i quali Carlo Bernari,Guglielmo Pierce, AntonioD’Ambrosio, Alfonso Gatto,
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Disegno diPeppino DeFilippo per lacopertina delvolume Poesie
Nella paginaprecedente:Cartolina diPeppino DeFilippo a PaoloRicci, inviata daLjubijana nelgiugno 1966
Luigi Cosenza ed altri che saran-no poi determinanti anche per lacultura italiana. In seguito scopre il teatro diRaffaele Viviani, con il quale col-laborerà in qualità di scenografo.Al grande drammaturgo appar-tiene un consistente numero dilettere dalle quali emergono ildisagio dell’autore perseguitatodalla censura fascista, la speran-za e l’ansia per i debutti dellesue opere, il travaglio creativoper le commedie che si accinge
a scrivere, la delusione per lecritiche negative alle sue rappre-sentazioni raccolte in alcunecittà e l’esaltazione per i succes-si avuti dalle stesse in altrecittà.Nel 1929 alla Prima mostraSindacale Napoletana espone,insieme al gruppo dei“Circumvisionisti”, del qualefanno parte oltre a Pierce eD’Ambrosio anche Luigi PepeDiaz, Carlo Cocchia, MarioLepore e Gildo de Rosa, opere di
tendenza espressioni-sta e astratta. Nellostesso anno redigecon Carlo Bernari eGuglielmo Pierce ilManifesto dell’U.D.A.(Unione DistruttivistiAttivisti), con il qualesi afferma la fine del-l’arte, considerataespressione della bor-ghesia decadente.
Nel 1938 Ricci sitrasferisce a Villa
Lucia ed il suo studiodiventa punto d’incon-tro di intellettuali cro-ciani come Gino Doriae Riccardo Ricciardi, diartisti impegnati nelsettore teatrale, comeViviani, Eduardo ePeppino De Filippo, discrittori come VascoPratolini, di pittoriquali Renato Guttuso,di personaggi politiciquali Mario Mafai eAntonello Trombadori.
Lettera diPeppino inoccasionedel Natale
del 1966
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia28
Alcuni fra costoro vedono in Ricciuna guida, un punto di riferi-mento ineludibile, come scrive inuna lettera accorata il futuristaFrancesco Cangiullo: “Io stopagando da anni il lusso dell’artemia con la spietata miseria; mase tale arte trova amministratoricome il mio Paolo, io sono fieroe felice di pagarla talvolta colmancato pasto ai miei figli”.Nello stesso anno Ricci fonda laCeramica di Posillipo che mira avalorizzare la funzione dellaceramica nell’architetturamoderna. A lui si devono le fac-
ciate principali dell’acquario tro-picale nella Mostra d’Oltremareed in seguito i pannelli, semprein ceramica, per la facciata delnuovo Politecnico di Napoli, pro-gettato da Luigi Cosenza.
Nel 1943 nel corso di unariunione politica è arrestato,
insieme ad altri, come organiz-zatore del Partito Comunista.Resta in carcere per oltre unmese, ma un vasto movimentod’opinione costringe la magistra-tura militare a liberare gli arre-stati, appena in tempo per evi-tarne la consegna ai nazisti che
Paolo RicciLe QuattroGiornate diNapoli, oliosu tela
L’Archivio privato di Paolo Ricci 29
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia30
già ne avevano decretato lamorte. Dopo la liberazione s’im-pegna nel P.C.I., collabora con“l’Unità” e riprende la sua attivi-tà artistica. Con l’arrivo diTogliatti e la fondazione di“Rinascita” inizia la collaborazio-ne con la nuova rivista di cuidisegna la testata.Nel 1944 entra come cronistacapo nella redazione de “LaVoce” diventandone, più tardi,responsabile della terza pagina.Cura anche le rubriche di arte eteatro, svolgendo contempora-neamente il ruolo di inviato spe-ciale. Nonostante tutto il suoimpegno Ricci non trascura lapittura: espone a tutte leQuadriennali del dopoguerra ealle Biennali di Venezia nel 1948,1950 e 1952.Lo studio a parco Grifeo, in que-sto periodo, ospita personalitàdella cultura italiana e interna-zionale quali Pablo Neruda, PaulEluard, il regista Joris Ivens, ilpoeta tedesco Stephen Hermlin,il cubano Nicolas Guillen, ilpoeta turco Nazim Hikmete, MaxErnst ed altri. A questo periodoè legato il carteggio con RenatoGuttuso con il quale ha un’inten-sa corrispondenza; vi sono car-toline di saluti, apprezzamentisulle mostre allestite, scambi diidee e rammarico per le carenzeculturali e l’indifferenza dei con-temporanei.
Molto interessante è il nucleodi lettere dei fratelli Eduardo
e Peppino De Filippo, dal qualeemerge l’amicizia sincera che
lega i tre uomini. Nel carteggiodi Eduardo, che abbraccia ilperiodo dal 1945 al 1984, si tro-vano lettere di ringraziamentoper le tante recensioni alle rap-presentazioni teatrali tra le qualiNapoli milionaria, FilumenaMaturano e Questi fantasmi,
cartoline di saluti, manifestazionidi stima e di affetto ed espres-sioni di dolore per la morte diRosa Scarpetta. Alle lettere diEduardo si alternano quelle dellamoglie Isabella Quarantotti,dalle quali emergono notiziesullo stato di salute dello scritto-re e sulla grande depressione
Paolo Riccinel suo studio
a Villa Lucia
L’Archivio privato di Paolo Ricci 31
che lo colpì per la morte dellafiglia Luisella. Tali lettere, oltread essere testimonianza dell’atti-vità del drammaturgo, documen-tano anche quella di Ricci. Visono, infatti, ringraziamenti perle recensioni teatrali, auguri perle mostre che si andranno ad
inaugurare ed espressioni di gra-titudine per il ritratto di Eduardocommissionatogli.
Dal nucleo di lettere diPeppino, dal 1951 al 1976,
emergono notizie sulla sua atti-vità cinematografica e teatrale.Anche queste lettere sono testi-monianza dei rapporti di grande
amicizia e stima che legano idue uomini. Vi sono infatti ricor-di legati alla loro giovinezza, aglistenti vissuti in nome dell’arte,alla necessità di rendere parteci-pe l’amico del profondo doloreper la morte della sorella Titinaprima e per quella della moglieLidia Martora, sua compagna divita e di scena per oltre tren-t’anni. Anche in questo carteggioemerge l’attività di Ricci pittore;vi sono infatti notizie di una suamostra, tenutasi a Milano nel1970 e di un ritratto di Peppinoiniziato nel 1954 del quale nonsi ha traccia.Fra le molteplici attività di Ricci,realizzate tra il 1932 e il 1978,vi sono scenografie per opere eballetti al San Carlo, la promo-zione dei movimenti creati danuovi artisti, la collaborazionegiornalistica con testate quali“Società”, “Contemporaneo”,“Cronache Meridionali” e “Vienuove”. Paolo Ricci muore a Napoli il 22maggio 1986.Ma il suo Archivio privato, con-servato nell’Archivio di Stato diNapoli, ne perpetua la memoria.Oltre a riflettere l’intensa attivitàdell’intellettuale e del politico, èconnesso con la più generalevicenda del paese e con la storiadella cultura europea di questosecolo.
Rosanna Esposito
L’ Archivio di Stato di Napoli haaderito alle Celebrazioni per il
centenario della nascita diPeppino De Filippo con l’esposi-zione, in una delle sue più presti-giose sale, la Sala Filangieri, dialcuni documenti trattidall’Archivio privato di Paolo Ricci.La mostra presenta al pubblicouno spaccato della vita dell’arti-sta napoletano attraverso latestimonianza offerta dallo scam-bio epistolare che Peppino ebbecon il pittore, giornalista, criticoe soprattutto amico, Paolo Ricciin circa un quarto di secolo, dal1951 al 1974.All’epistolario si affianca la rasse-gna stampa costituita da nume-rose recensioni, a firma Pari,pseudonimo di Paolo Ricci, pub-blicate su “l’Unità”, dal 1957 al1976, in occasione delle rappre-sentazioni che Peppino e la suaCompagnia tennero nei principaliteatri partenopei: il SanFerdinando, il Mercadante ed ilPoliteama.Vi sono anche alcuni articoli,sempre di Ricci, come quello inti-tolato I fratelli De Filippo,apparso su “Il Tempo” del 12giugno 1941, quindi prima dellarottura del loro sodalizio, laRisposta di Peppino ad unlettore, pubblicata su “VieNuove” in cui De Filippo spiega“Perché ho lasciato il teatro dia-lettale” e infine, l’ultimo articolo,uscito su “l’Unità” del 28 gennaio1980, in occasione della scom-parsa di Peppino De Filippo.La documentazione esposta è
tratta, esclusi-vamente,dall’ArchivioRicci, e testimo-nia la grandeamicizia traPeppino DeFilippo ePaolo Ricci,due uominiche hannotrascorso insiemegli anni della giovi-nezza e che, puravendo intrapresostrade diverse che lihanno tenuti quasisempre lontani, sonoriusciti a manteneresempre vivo questolegame che significa perambedue, soprattutto, il lega-me con Napoli e col passato,attraverso uno scambio di letterecol quale hanno potuto confronta-re emozioni, idee e punti di vista.
Si è scelto di dare ai documen-ti una sistemazione cronolo-
gica che, alternando le letterealla rassegna stampa, offre lapossibilità di conoscere l’ar-tista sotto diversi aspetti:attore di teatro e dicinema, autore dicommedie e difarse, di favoleumoristiche, didisegni, esoprattutto“uomo”, coni suoiimpegnisociali e
Guid
a al
la m
ost
ra
politici, le sue nostalgie e i suoiricordi, i suoi affetti, i suoi dolori.Le lettere, in parte manoscritteed in parte dattiloscritte, utilizza-no le carte intestate della“Compagnia Italiana di ProsaPeppino De Filippo” e successiva-mente della “Compagnia delTeatro Italiano Peppino DeFilippo”. Altre ancora sono scrittesu carta da lettera degli alberghiin cui l’attore alloggiava durantele sue tournées. Il tema maggiormente presentenelle lettere è certamente quelloche testimonia la frenetica attivi-tà teatrale dell’artista, comeautore e come attore; attraversoil carteggio possiamo ricostruirefedelmente la cronaca ed ilresoconto degli impegni chevedono presente, di volta involta, la Compagnia di Peppinosulle scene dei maggiori teatri
italiani a Napoli,Roma, Sanremo,
Torino,
Milano e all’estero.
Nelle lettere scritte a Ricci, tral’aprile del 1958 e il giugno
del 1966, troviamo inoltre il rife-rimento alle lunghe tournées chePeppino fece all’estero: inSpagna nel 1958, in UnioneSovietica nel 1965, nelle città sulBaltico, in Polonia, a Varsavia,Praga e nelle città slave diLubiana, Zagabria, Fiume eBelgrado, nel 1966. A propositodi questa tournée in una sua let-tera racconta all’amico: “A gonfievele! Un successo entusiasmanteovunque un’accoglienza meravi-gliosa. È gente brava e cara”.Non mancano poi considerazionisulle condizioni di vita di quellepopolazioni, che - osservaPeppino - “in quanto al tenore divita stanno un po’ maluccio, ma- aggiunge - “tutto lascia sperareche migliorerà”. Degli anni ’40, quando ancoranon vi era stata la rottura tra ifratelli, si espone l’articolo di Ricci,apparso su “Il Tempo” del 1941intitolato I fratelli De Filippo; lo
affiancano una foto
Elaborazionedal disegno di
Peppino DeFilippo per lacopertina del
volume Poesie
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia36
del bozzetto disegnato da Ricciper una delle scene della com-media e la foto che ritrae i trefratelli in occasione del debutto,nel 1932, della “Compagnia delTeatro Umoristico I De Filippo” alSannazaro, con la commedia indue atti dal titolo Chi è cchiù felice ‘e me …!?
Nel 1944 avvenne il ben noto“divorzio” tra i fratelli De
Filippo; nel 1945 Peppino mise inpiedi una compagnia “esclusiva-mente italiana”, dedicandosi aduna forma di teatro nuovo, comeegli stesso ebbe a dichiarare, piùin “lingua” che “dialettale”, fattodi farsa e di comicità, un teatrosenza gigionerie di accento oleziosità. Più tardi, commentandola propria scelta artistica, nellepagine del suo libro Una famigliadifficile, scriverà “un genere tea-trale assolutamente dialettale mipareva sempre più superato elimitato in quanto al suo spaziovitale. Cominciai allora a pensaread una forma di teatro capace diesprimersi mediante un lin-guaggio moderno,come quello di tutti
i giorni, con tutti i caratteri e leabitudini della società italiana, subase tradizionalmente comica. Unteatro, insomma, da scrivere oadattare … un linguaggio, in linguaitaliana, sia pure pieno di inflessioni… accenti dei nostri dialetti quindinon più il gelido e accademico lin-guaggio che giudicavo falso …”.Peppino fu sempre pronto a difen-dere la propria scelta, come silegge nell’articolo apparso su “VieNuove” del 1954 in cui, risponden-do alla domanda di un lettore,spiegava la separazione artisticadal fratello, confermando al tempostesso che la sua idea di unasostanziale limitatezza del dialet-to, comprensibile a una fasciaristretta di pubblico, l’aveva con-vinto a spiccare il salto decisivoverso la “vera” commedia italiana.
All’amico Ricci, che non condi-videva le sue idee, Peppino,
nell’esporre le
Guida alla mostra 37
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia38
sue vedute sull’argomento, sinte-ticamente affermava: “l’impor-tante è fare del buon teatro”.Peppino si dedicò, così, ad unteatro fatto di farsa e di comicitàe con la sua Compagnia mise inscena, oltre a suoi lavori, ancheantichi testi diautori comePlauto, Molièree Machiavelli,rimaneggian-doli, riadattan-doli e renden-doli profonda-mente moder-ni e reali.L’uomo è pre-sentato comein effetti è,con le suemiserie, follie,manie. Nelle sueopere teatrali,nelle quali sirespira quasisempre un’ariapartenopea,ha, però, sem-pre voluto ser-virsi di “un’a-ria pulita,senza stracci!Un’aria che nella sua essenzanobilitasse Napoli e non la morti-ficasse”. E infatti, nella letteradel maggio 1954, riferendosi allasua città, scrive “non faccio altroche preoccuparmi di farle farebella figura con la mia arte …”anche se poi si rammarica che“Napoli ama chi la denigra e la
diminuisce moralmente agli occhidel mondo intero”.All’attività di attore di teatroPeppino affiancò anche quella diattore di cinema alla quale, però, accenna in due sole letteredel 1951 riferendo all’amico di
essere “occu-patissimo perle riprese diun film”. Ineffetti in quel-l’anno ne giròtre: La fami-glia Passaguai,Signori in car-rozza eCamerierabella presenzanel qualecomparivanoanche i fratelliEduardo eTitina.
Per quantoriguarda la
sua attivitàcome autore,nelle letterescritte fra giu-gno e settem-bre 1964,Peppino riferi-sce a Ricci la
decisione di pubblicare le suecommedie, comunicandogli diaver preso accordi con l’editoreMarotta per un’opera “nello stilee carattere più semplici che sianopossibili”, preceduta da unabreve presentazione ed illustratacon alcuni suoi disegni.Farse e commedie fu effettivamente
Peppino De Filippo.
MuseoNazionale diSan Martino,Archivio foto-
grafico P. Ricci
su concessionedel Ministero
BB.AA.CC.
Guida alla mostra 39
pubblicata, in due volumi, nellostesso anno; i volumi furono pre-ceduti da una presentazione o,come lo stesso Peppino la defini-sce, una “lunga chiacchierata”che egli stesso fa con i lettori perfar conoscere il suo pensiero diattore-autore.La chiacchierata inizia con leparole “Io Peppino De Filippouomo, voglio presentarvi Peppinoattore - autore perché meglio dime, vi assicuro, nessuno lo cono-sce” e si conclude con l’invitorivolto al lettore “Considerate, Viprego, il mio teatro, per quantoteatralmente è possibile, lo spec-chio di voi stessi; assaggiatelocon fiducia, come si assaggia unpezzo di pane caldo appena usci-to dal forno; respiratelo profon-damente come si respira unaboccata d’aria pura. Solo cosìpotrete divertirvi e interessarviad una buona parte dei fatti dicasa vostra, mangiando un otti-mo pane e respirando, respiran-do! Buona lettura, amici!”.
Nell’attività di scrittore si eragià cimentato anni prima,
quando raccolse nel volume Il fuBobò le sue favole umoristiche.Nella lettera del 28 gennaio del1955 comunica all’amico Ricci diavergliene spedito una copia e disperare “che molte di esse le tro-verai aderenti al tuo spirito comelo sono per me” e ancora “chequalcuna possa, con la sua sati-ra, modificare la morale corrottadella nostra gente”. L’opera èpreceduta da una dedica “Alprimo animale del mondo: l’uo-
mo”, eloquente manifestazionedel programma morale ed artisti-co dell’autore. MassimoBontempelli nella sua premessaal libro, riassumendo le intenzio-ni dell’autore, si espresse così:“Ora, leggendo queste favole chesembrano immaginate a vocealta, egli s’è spontaneamentemantenuto in quella zona pudicae allusiva che, quasi un filtro, laribalta crea tra autore e spetta-tore … Scherziamo, pare vogliaessere la morale di queste favo-le, umiliamoci o esaltiamoci,accettiamo o combattiamo il giu-dizio che altri possono dare dinoi, ma alla fine, dobbiamo purriconoscere che tutti abbiamogran bisogno di pietà, perchétutti siamo nati con esiguiconfini …” Peppino è anche un arguto dise-gnatore. I disegni che compaionoqua e là nel volume Commedie eFarse testimoniano la versatilitàdella sua ricca personalità. Sitratta soprattutto di schizzicaratteriali che sono dei precisi“studi del personaggio” protago-nista delle commedie portate inscena. La serie dei Pulcinella rappre-senta, invece, un puro malinco-nico “divertimento”. Ritroviamouno dei suoi Pulcinella, sedutosullo sfondo del Vesuvio, con lascritta “Chissà comme ferne-sce!” in una lettera di auguriinviata, nel gennaio del ’63,all’amico Paolo.
Itemi sociali e politici eranosicuramente ben presenti nei
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia40
Peppino inNatale in
casaCupiello, cari-
catura diOnorato
Nella paginaseguente:
Lidia Maresca
momenti creativi di Peppino che,come scrisse più volte all’amicoPaolo, ricordava bene la stentatagiovinezza, la difficile maturitàvissuta in momenti delicatissimiche non riteneva ancora risolti osuperati. Sulla guerra nel Vietnam,Peppino scrisse nel 1965 alcunelettere all’amico Ricci che cerca-va di coinvolgerlo in iniziativee manifestazioni di protestaorganizza-te dalPartito comu-nista. “CaroPaolo, come attore,francamente, nonmi sento di parte-cipare a questoo a quell’altrogruppo politico.La mia ideapolitica ce l’hoe la esprimoin separatasede ... Laguerra nelVietnam,secondo lamia umileidea, finiràquando icircolipoliticiinternazionalilo vorranno!” eancora “Vedi, Paolo,quando in una sala diteatro o di cinema o inuna pubblica piazza ovia saranno riuni-ti, in rappre-
sentanza, tutti i partiti politici delnostro paese onde protestaresugli scopi della guerra nelVietnam ove da tempo muoionovietnamiti e americani il mioposto sarà lì, in primissima fila,bene in vista e la mia voce siunirà, altisonante, alle protestedi tutti in nome della pace tra gliuomini di tutto il mondo.Rendiamoci pro-
motori di que-sto gesto
umano ed iosarò primo tra i primi …
L’attore di teatro, social-mente parlando,
appartiene a tutti:ai comunisti, aidemocristiani, ailiberali, ai fasci-sti, ai socialisti.Deve quindi, avolte suo mal-grado, tenererispetto pertutti. L’arte, amio giudizio,non va confu-sa con la
politica”.
In conclusione,dopo l’attore e
il commediogra-fo, si vuole ricor-dare il Peppino
uomo, con le suenostalgie, i suoi ricordied i suoi affetti con leparole che dedica alricordo dei tempi pas-
sati e della giovi-nezza: “mi spiace
tanto che quei tempi siano pas-sati e così rapidamente … bellequelle passeggiate … quante pri-vazioni … Luigi era piccino ed iostentavo a trovare il denaro suf-ficiente per comprargli il neces-sario e quando potevo disporredi qualche centinaio di lire … mitoccava dividerle con le spese delteatro, quel teatro nuovo che iovagheggiavo … e resistevo alleprivazioni … quel teatro nondoveva soffrire perché era il“tutto” che sorreggeva tutto …Che tempi! Che coraggio! Cheforza di volontà! Che amiciavevo! ”.Toccanti sono le parole che usacon l’amico riferendosi alladepressione morale “di quelperiodo ancora tanto vicinoal tremendo dolore che mistringeva il cuore per laspietata morte della miaindimenticabile Lidia miacompagna di vita e dilavoro per oltre tren-t’anni … una personacara con la qualehai diviso nonsolo gioie e dolo-ri ma soprattuttoun ‹amore› ine-guagliabile perstima e fedeltàreciproca ... Èun dolorelancinanteche ti fadimenticaretutto e tutti e tifa desiderare solola Morte! …”
Con l’articolo del 28 gennaio1980, si chiude la mostra. Riccicomunica ai suoi lettori la mortedi Peppino. È ancora una voltauna professione di amicizia: “Lanotizia della fine di Peppino DeFilippo - di cui ero amico da oltre50 anni - è di quelle che lascianouna cicatrice profonda”.
Laura Mazzarotta
Torino, 2 febbraio 1954
“… Per quanto riguarda ilTeatro San Ferdinando,quello ch’è fatto è fatto
e tu, da buon amico,saprai aiutarne l’esistenza.
Eduardo ha profusotutto il suo avere in quell’impresa e
merita di essere aiutato.Specialmente dagli amici.
Ciao e tanti tanti salutituo”:
Peppino
Milano 16 maggio 1954
“… Ti confesso, che Napoli, mi fa tantapena. Nella miseria in cui è caduta non fabene allo spirito di chi le vuol bene, ed io levoglio bene, te lo assicuro. Per dimostrar-glielo non faccio altro che preoccuparmi difarle fare bella figura con la mia arte, manon basta, Napoli non aiuta chi le vuol benee la rappresenta con amore e con onore! Nonapprezza seriamente chi la rappresenta condisinteressato spirito di artista.Napoli, per la massima parte, ama chi ladenigra e la diminuisce moralmente agli occhidel mondo intero. Vedo certi films e certiattori che vanno in giro!!! Se la mia cittàavesse meno ipocriti quanto sarebbe menomillantatrice. Se avesse meno mandolini e piùbadili e picconi a portata di mano. Menopreti e più vigili urbani. Meno pastifici e piùscuole. Meno bar e più teatri! Sarebbe cer-tamente la più grande città del mondo!Comunque le voglio bene lo stesso. Ciao”
tuo Peppino
47
1.“Il Tempo”, 12 giugno 1941
P.R. I fratelli De Filippo.
Nel 1941 tra i fratelli Eduardo ePeppino De Filippo non si era anco-ra verificato quel “divorzio” cheavverrà con lo scioglimento dellacompagnia “Il teatro umoristico deiDe Filippo” alla fine del 1944.Paolo Ricci, in occasione di alcunerecite napoletane dei due artisti, evi-denzia le linee di fondo della loroancora comune ricerca poetica oltreche con competenza, quasi con par-tecipazione emotiva. Ricci, infatti, seda un lato individua con precisione ilrapporto di filiazione dei De Filippodalla tradizione drammatica napole-tana, dall’altro riesce a cogliere luci-damente le istanze di rinnovamentodella loro esperienza artistica. I DeFilippo avevano ormai raggiunto laconsapevolezza che l’elemento realefosse indispensabile alla drammatur-gia per renderla contemporanea,consentendo così l’apertura di unanuova strada verso il teatro moderno.
(L. A.)
2. Roma, 23 settembre 1951
Biglietto autografo.
Peppino si scusa con l’amico Paolo peril ritardo con il quale gli scrive, a causadell’intensa attività cinematografica.In effetti, al 1951 si datano benquattro films: Bellezze in bicicletta,Signori in carrozza, La famigliaPassaguai e Cameriera bella pre-senza offresi nel quale comparivano
anche i fratelli De Filippo.Allo stesso anno risale anche lamessa in scena, al teatro Mer-cadante di Napoli, di A me la libertàdi Ernesto Grassi. Peppino fa inoltre menzione in questalettera di un disegno da lui realizzatoed inviato all’amico.
(L. A.)
3. Roma, 1 ottobre 1951
Biglietto autografo.
Alla fine del 1951, anno denso diimpegni cinematografici, Peppinomette in scena al Teatro Quirino diRoma l’opera di uno dei maggioriautori del teatro moderno spagno-lo, Ramon Marìa del Valle Inclàn,intitolata Le corna di don Friolera.Peppino annuncia a Ricci il prossi-mo debutto con molto entusiasmo,dichiarandosi speranzoso nellabuona accoglienza da parte delpubblico di quella che definisce“un’opera di sì alto valore letterarioed artistico”. In effetti Le corna didon Friolera rientra in quel generedrammatico che Peppino sente con-geniale al suo personale percorsoteatrale: si tratta degli “esperpen-tos”, tragedie grottesche che ritrag-gono l’umanità attraverso “un’este-tica sistematicamente deformata”,secondo le parole dell’autore.Nel biglietto, poi, Peppino fa rife-rimento all’invio di un suo disegnoaffermando che sarà “orgoglioso”se l’amico lo inserirà nella sua col-lezione di oggetti d’arte.
(L. A.)
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Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia50
4.Milano, 1954
Lettera autografa.
Peppino, chiedendosi se ci sianomotivi di disaccordo, esprimeall’amico Paolo il dispiacere pernon averlo incontrato durante ilsuo soggiorno milanese e si impe-gna, non appena sarà a Napoli, afare un “salto sul Vomero”, doveabita Ricci.
(F. M.)
5. Sanremo, 24 gennaio 1954
Lettera dattiloscritta con firmaautografa, su carta intestatadell’Hotel Nazionale di Sanremo.
Peppino si rivolge all’amico Paolorammaricandosi di non aver anco-ra visto pubblicato un suo articolosulla rivista “Vie Nuove” e, dopoaver accennato al ritratto che ilpittore gli sta facendo, si scusaper aver sospeso le sedute e con-clude la lettera con alcune consi-derazioni sul pubblico sanremesee sulla sua imminente partenzaper Torino, dove reciterà al TeatroCarignano.
(R. A.)
6.Torino, 2 febbraio 1954
Lettera dattiloscritta con firmaautografa.
Peppino ritorna sul desiderio, giàprecedentemente manifestato, diveder pubblicato sul settimanale“Vie Nuove”, l’articolo in cui spie-ga le ragioni che lo hanno spintoa lasciare il teatro dialettale. Siimpegna poi ad inviare una copiadella commedia Quel piccolocampo nella quale si narra la sto-ria di un contadino ateo in contra-sto con la comunità religiosa delsuo paese per il possesso di unpiccolo appezzamento di terreno.Le ultime parole della sua letterasono invece per Eduardo: Peppino,accennando alle ingenti sommespese dal fratello per l’acquisto e
Catalogo della mostra 51
ricostruzione del Teatro SanFerdinando, spera che l’amicoPaolo possa procurargli gli aiutinecessari.
(G. C.)
7.Milano, 16 maggio 1954
Lettera dattiloscritta, con firmaautografa, su carta intestata dellaCompagnia Italiana di ProsaPeppino De Filippo.
Peppino comunica all’amico i suc-cessi ottenuti in tutta Italia e si ral-legra per la prossima pubblicazionedel suo articolo su “Vie nuove”.Riferisce poi di stare provando trenuove commedie da mettere inscena e di volere rappresentare unacommedia dell’arte ricavata da unvecchio “scenario dell’800”. Per que-sto fa richiesta a Ricci di alcuni boz-zetti di costumi napoletani di fine
Ottocento: di “un guappo benestan-te, un tipo ricco e possidente, unfrequentatore di case da giocosignore e un signorotto curioso”. Glicomunica inoltre che per il momen-to non pensa di venire a Napoli perla grande sofferenza che prova nelvedere le condizioni di miseria in cuiè caduta e si rammarica nel vedereche la sua città non cura chi le dàlustro e la rappresenta con amore,ma apprezza chi invece la denigra ela sminuisce.
(R. E.)
8.“Vie Nuove”, 1954
Peppino De Filippo, Perché holasciato il teatro dialettale.
Rispondendo al lettore GiuseppeMarra, Peppino racconta la sepa-razione artistica dal fratello e lasua scelta di passare dal teatro
dialettale a quello “in lingua”.Ricordando i tempi gloriosi delsodalizio artistico con i fratelliEduardo e Titina, motivo per lui diperenne ed “incommensurabileorgoglio”, conferma al tempostesso l’idea di una sostanzialelimitatezza del dialetto, che persua natura risulta comprensibilead una fascia ristretta di pubblicoe che, a suo tempo, l’aveva con-vinto, con il debutto al TeatroOlimpia di Milano, a spiccare ilsalto decisivo verso la “vera”commedia italiana. Ricci non fumai d’accordo con la scelta artisti-ca dell’amico, al quale espresse inalcune lettere le sue vedute sul-l’argomento.
(R. S.)
9.Milano, 22 maggio 1954
Lettera autografa, su carta inte-stata della Compagnia Italiana diProsa Peppino De Filippo, conlogo.
Peppino, nel rammaricarsi peril fatto che siano arrivatitroppo tardi, ringrazia l’ami-co Paolo per l’invio dei boz-zetti dei costumi napoleta-ni ottocenteschi richiestigliin una precedente lettera esi augura che il debutto dellacommedia vada bene.
(R. E.)
10.Milano, 22 maggio 1954
Lettera autografa.
Nel giorno del suo debutto alTeatro delle Arti in Roma, Peppinoscrive all’amico per informarlodell’avvenimento. Nella letteraesprime il dispiacere di non porta-re lo spettacolo in tournée aNapoli ed il disappunto di averedovuto accontentarsi, lui che“ama le grandi platee”, di un pic-colo teatro da quattrocento posti,del quale, dal 1959 al 1969, cure-rà la gestione. Ne approfitta, poi,per chiedergli il favore di spedirglitre macchinette da caffè, poichéquelle in vendita a Roma, a suodire, non sono delle migliori.
(M. P. I.)
11.Roma, 28 gennaio 1955
Lettera autografa.
A pochi mesi dall’uscita del volu-me di favole umoristiche Il fuBobò, Peppino scrive a Ricci espri-mendogli la speranza che gli sianopiaciute e l’invita a pubblicarnequalcuna, “se crede che la loropungente satira possa smuoverele coscienze”.Massimo Bontempelli, nella prefa-zione al volume, riassumendo leintenzioni dell’autore, così scrive:“denunciare, sorridendo, le grandisventure d’ogni uomo, le colpedella società, i nostri doveri inseno a essa, e per essa, o controessa, è opera non solo di educazione
Catalogo della mostra 55
ma di indicazioneumana e politica ...” ePeppino dedica il libro:“Al primo animale del mondo:l’uomo”, eloquente manifestazio-ne del programma morale ed arti-stico dell’autore.Il gufo generoso, il leone ricco e l’a-sino povero, il compianto cagnolinoBobò del titolo, e tanti altri animaliformano il bestiario di Peppino, ilquale, autoironico, si dipinge nellaprima favola, speranzoso ma dub-bioso, “che una morale in chiacchie-re possa dell’uomo mutare in bene ifalsi sentimenti e perdonare tutti isuoi rimorsi di coscienza che gli tor-turan l’esistenza”.
(F. M.)
12.Roma, 14 febbraio 1955
Lettera autografa.
Peppino, sicuro che l’amico Paolone avrebbe avuto piacere, gli scri-ve del successo ottenuto dalla rap-presentazione della farsa in dueparti, scritta nel 1933 con la sorel-la Titina, La lettera di mammà, cheavrebbe portato in scena a Romaper più di quattro mesi.
(F. M.)
13.Milano, 31 dicembre 1956
Lettera autografa.
Peppino scrive questa lettera,durante il suo soggiorno nellacittà di Milano, dove, il 21 dicem-bre, ha portato in scena al Teatro
Olimpia Le metamorfo-si di un venditore ambu-
lante, farsa all’antica da untema della Commedia dell’Arte, inseguito rappresentata con musi-che dell’autore. Nella lettera DeFilippo ricorda con affetto VillaLucia, la dimora in cui Paolo Riccivive dal 1938 e che in brevetempo è diventata un centro d’ar-te e di cultura.
(G. M.)
14.“l’Unità”, 31 marzo 1957
PARI, Peppino De Filippo al teatroMercadante «I nostri cari bambi-ni» di Nicola Manzari.
Ricci, nella recensione alla com-media I nostri cari bambini, mettein risalto come un’opera, basatasu giochi pochadistici, e su trova-te moraleggianti, un’opera quasimediocre, anche se ben conge-gnata, possa trasformarsi, permerito della bravura dei suoiinterpreti, in uno spettacolo vivo,attraente ed interessante. Il per-sonaggio di Peppino, che avevauna pura funzione d’appoggio, “dispalla”, finisce per essere invece ilcentro di tutto il gioco scenico.“Se non ci fosse lui, alla ribaltatutto crollerebbe miseramenteintorno ... Guidati da un cosìpotente maestro di recitazioneanche gli altri interpreti hannosoddisfatto ... La commedia haavuto un successo travolgente. Sireplica.”
(L. M.)
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia58
15.“l’Unità”, 5 aprile 1957
PARI, Peppino De Filippo alMercadante. «Il berretto a sona-gli» di Pirandello.
Paolo Ricci recensisce Il berretto asonagli, commedia in due atti, sceltada Peppino nel quadro delle onoranzea Luigi Pirandello e rappresentata alTeatro Mercadante. La commedia erastata portata sulle scene per la primavolta nel 1917 e in seguito nel 1935,
quando il sodalizio con Eduardo eraancora esistente. Ricci nel registrare ilgran rilievo e la sofferta umanità cheil comico napoletano riesce a dare alpersonaggio di Ciampa, rivolge paro-le di encomio a tutta la validissimacompagnia: a Luigi, ottimo interpretedel commissario Spanò, e all’attrice
Lidia Martora, che in seguito divente-rà la moglie dell’attore napoletano,nel personaggio della scatenatasignora Beatrice.
(R. A.)
16.Napoli, 15 aprile 1957
Cartolina illustrata.
Saluti inviati da Peppino, all’amicoPaolo, per informarlo della suaimminente partenza da Napoli.
(R. A.)
17.Viareggio, esta-te 1957
Lettera auto-grafa.
Peppino ringra-zia l’amico Pao-lo per i saluti daquesti inviatiglidurante un suoviaggio a Mo-sca. Il comme-diografo napo-letano, invidian-do bonariamen-te l’amico, siaugura di poterrecitare, un gior-
no, in quella nazione. Desideriorealizzato con successo otto annidopo, nel 1965, con la tournée énei paesi dell’Europa orientale.
(G. M.)
Catalogo della mostra 59
18.“l’Unità”, 8 aprile 1958PARI, Al «SanFerdinando» Peppinogrande comico moderno.
Il sabato che precede la domenica diPasqua, Peppino De Filippo debuttaal Teatro San Ferdinando di Napolicon una commedia da lui scritta edinterpretata, dal titolo Non è veroma ci credo, parafrasi della celebrebattuta di Benedetto Croce intervi-stato sul tema della “jettatura”,argomento sempre attuale fra inapoletani e presente in tutti gliambienti sociali, come testimoniaappunto la risposta del filosofo.Successo scontato, dunque, nonsolo per l'argomento trattato, maanche per il suo testo semplice edefficace, che si presta e si adattabenissimo alla comicità, alla bra-vura di Peppino e dell’intero cast.
(G. B.)
19. “l’Unità”, 20 aprile 1958PARI, Al Teatro San Ferdinando.Buon appetito, signor commissario!
Ricci sembra apprezzare moltol’appassionante storia messa inscena. Elogia l’interpretazione diPeppino, la sua straordinariacapacità di trasmettere sentimen-ti, emozioni anche attraverso unsemplice gesto, la comicità di per-sonaggi e situazioni. È la comicitàdi un artista che, ormai, nel pienodella maturità, riesce abilmente
ad ironizzare sututto e tutti senza
mai cadere nel volga-re. Molto apprezzate
anche le interpretazioni di LidiaMaresca in arte Martora e di LuigiDe Filippo che, nella sua sponta-neità e creatività, sembra ricorda-re Peppino agli inizi della carriera.
(G. C.)
20.Roma, 30 aprile 1958
Lettera dattiloscritta con firmaautografa.
Con questa lettera De Filipposaluta l’amico alla vigilia della suapartenza per Madrid. Dal 1956 la Compagnia del TeatroItaliano era stata impegnata in unalunga e fortunata tournée, cheaveva toccato l’Argentina, il Brasilee l’Uruguay. Numerose furonoanche negli anni successivi le rap-presentazioni tenute all’estero,prima fra tutte quella di Parigi nel1963: in quell’occasione De Filipporicevé il premio della critica delThèatre des Nations per leMetamorfosi di un venditore ambu-lante, messa in scena al TeatroSarah Bernhardt. Lo spettacolo fupresentato il 7 aprile dell’anno suc-cessivo anche all’Aldwych Theatre diLondra, nell’ambito della “WorldTheatre Season”, riscuotendo ungran successo di pubblico e di criti-ca, in special modo per la musica eil ritmo da balletto dal secondo attoal finale.
(G. M.)
Roma, 20 maggio 1960
“… Mi parli della nostra giovinezza, ma io ricordo tutto e mi spiace,mi spiace tanto che quei tempi siano passati e così rapidamente.
Si, belle quelle passeggiate notturne nella mia macchinaccia,dopo lo spettacolo … Allora Luigi era piccino ed io stentavo
a trovare il denaro sufficiente per comprargli il necessarioquando potevo disporre di qualche centinaio di lire … mi toccava
dividerle con le spese del teatro, quel “teatro” nuovoche io vagheggiavo e che una volta diventato realtà, ai
suoi primi vagiti … quante responsabilità mi procurava … ma miera indispensabile, forse più di mio figlio stesso.
E resistevo alle privazioni, speravo in tempi migliori, anche acosto di dover saltare qualche pasto e ne saltavo, credimi, ma il
teatro, quel “teatro” non doveva soffrire perché era “il tutto” che sorreggeva tutto.
Che tempi!Che coraggio!
Che forza di volontà!Che amici avevo!
Si lavorava senza provocare scandalicome si fa oggi … Eravamo gente seria,
fortunata e non tutti franchi e leali esoprattutto veri “compagni” …
Peppino
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia62
21.Roma, 20 maggio 1960
Lettera dattiloscritta con firmaautografa.
Peppino scrive all’amico Paoloricordando i tempi della loro gio-vinezza, purtroppo passati rapi-damente. Suo figlio Luigi era pic-cino ed egli stentava a trovare ildenaro sufficiente per comprargliil necessario, anche perché dove-va pensare alle spese del teatro“quel teatro nuovo che io vagheg-
giavo e che una volta diventatorealtà, ai suoi primi vagiti … quan-te responsabilità mi procurava ...ma mi era indispensabile, forsepiù di mio figlio stesso”.
(C. M.)
22.Roma, 16 gennaio 1962
Biglietto autografo.
Peppino, rammaricandosi per lepoche occasioni di incontro con l’a-mico, gli invia gli auguri in occasio-ne dell’inizio del nuovo anno.
(R. E.)
23.Roma, 26 settembre 1962
Lettera autografa su carta inte-stata della “Compagnia del teatroitaliano Peppino De Filippo” conlogo a colori.
Si accenna alla prima, previstaper il 5 ottobre al Teatro Eliseo diRoma, della farsa in due parti eotto quadri I migliori sono così,scritta nel 1950 e presentata perla prima volta al pubblico romano.Peppino sollecita la recensione diRicci su “l’Unità” ed esprime lasperanza di una prossima venutaa Napoli della sua compagnia.
(R. S.)
24.Roma, gennaio 1963
Lettera autografa su carta intestatadella “Compagnia del teatro italianoPeppino De Filippo” con logo a colori.
Catalogo della mostra 63
Auguri per l’anno nuovo e disegnoa penna di un Pulcinella triste,sullo sfondo del Vesuvio e la scrit-ta “Chissà comme fernesce!”
(R. S.)
25.Roma, 1964
Biglietto da visita, autografo.
Con due parole Peppino accennaallo “strazio” provato, probabil-mente, per la morte della sorellamaggiore Titina, avvenuta aRoma il 23 dicembre del 1963.
(R. S.)
26.“l’Unità”, 4 aprile 1964
PARI, Tre farse di Peppino DeFilippo.
Le tre farse fanno rivivere gli anni tra il1931 ed il 1932, anni in cui furono sco-perti i De Filippo. Le loro farse, seascoltate superficialmente, potevanosembrare innocenti, mentre nel fondoc’era qualcosa di straordinariamenteserio ed acre che lasciava la boccaamara. Ricci, nella sua recensione,accenna al fatto che i De Filippo con leloro rappresentazioni richiamavano unpubblico strabocchevole, che riempivadi risate le platee del Kursaal e delSannazaro. “Oggi - dice Ricci -Eduardo, Peppino e Titina sono cono-sciuti in tutto il mondo, le loro farsenon si cancellano dalla memoria, ma larappresentazione odierna de Il ramo-scello d’olivo, Amore e balestre e Unapersona fidata, nonostante il ricordodei De Filippo, ha mostrato di avere
una sua vitalità grazie agli attori delTeatro Bracco ed al regista Mangini cheha adattato le battute agli interpretiattuali evitando così ogni confronto”.
(R. E.)
27.“l’Unità”, 21 aprile 1964
PARI, Stasera al Politeama «Lemetamorfosi di un suonatoreambulante» Saluto a Peppino DeFilippo.
L’articolo è un saluto a Peppino, redu-ce dai successi londi-nesi, e una prepara-zione al ritorno del-l’artista sulle scenenapoletane delTeatro Politea-ma, con lacommediaLe meta-morfosi di unsuonatore am-bulante andatain scena, per la primavolta, nel 1956 all’Olimpia di Milano eper la quale, nel 1963, a Parigi,Peppino ricevé il premio della Criticadel Théatre des Nations.L’articolo è un riconoscimento dellabravura, eclettismo ed intelligenza delgrande attore napoletano, purmostrando qualche rammarico per iltempo che l’attore sottrae al teatro acausa degli impegni cinematografici eper la sua scelta di lasciare il “napole-tano” a favore di una “lingua”, quellaitaliana, che il critico ritiene, erronea-mente, più universale.
(L. M.)
Catalogo della mostra 65
28.“l’Unità”, 24 aprile 1964
PARI, Trionfo di Peppino alPoliteama «Metamorfosi»: Puroteatro.
L’articolo, che Ricci scrive dopo larappresentazione al Politeama,sottolinea, come del resto eraprevedibile, “il trionfo del comicosulle scene napoletane”. Il criticoqui si dedica ad un’analisi deltesto rappresentato, facendonotare come Peppino abbia matu-rato, negli ultimi anni, una conce-zione assolutamente personaledel teatro comico, di spirito molie-rano, ma di forma e linguaggioattualissimo.
(L. M.)
29.Napoli, 4 maggio 1964
Lettera autografa su carta inte-stata dell’Hotel Excelsior.
Forse seduto ad uno degli storiciscrittoi, nella hall del famosoalbergo napoletano, Peppino inviapoche righe all'amico Paolo.Poche righe dalle quali emerge lostato d'animo di quel particolaremomento e un malcelato bisognodi conforto dall'amico sincero, alquale manifesta la speranza dirivederlo presto a Roma, maanche il proprio “dispiacere” didover lasciare la sua amataNapoli.
(G. B.)
30.Roma, 18 giugno 1964
Lettera dattiloscritta, con firmaautografa (con lettera del 23 giu-gno di Paolo Ricci).
Peppino fa cenno all’amico degliaccordi in corso con l’editoreMarotta per la pubblicazione di unvolume delle sue commedie e glichiede suggerimenti in merito.Inizia così uno scambio affettuosodi considerazioni fra i due amicidal quale emerge, ancora unavolta, la contrarietà di Ricci per lascelta di Peppino di un teatro “ita-liano e non dialettale”.
(L. M.)
31.Roma, 27 giugno 1964
Lettera dattiloscritta, con firmaautografa, su carta intestata della“Compagnia del Teatro ItalianoPeppino De Filippo”.
Peppino riprende il tema della pub-blicazione del volume di commedie,auspicando di poterlo fare uscire perNatale, come strenna. Poi prosegue,rispondendo alle riflessioni esposteda Ricci nella lettera del 23 giugno,difendendo la propria scelta, e scri-ve: “Conosco il tuo pensiero e anchese non aderisce al mio, che fa? Sitratta, in fondo, di due opinionidiverse, è vero, ma tutte e duerispettabili … L’amicizia vale più dicerte idee personali. L’essenziale,Paolo, in un modo o in un altro, è difare del buon teatro”.
(L. M.)
32.Roma, 5 settembre 1964
Lettera autografa, su carta inte-stata della “Compagnia del TeatroItaliano Peppino De Filippo” conlogo a colori.
Peppino comunica a Ricci di averinviato all’editore Marotta tutto l’oc-corrente per la pubblicazione delle suecommedie e si rammarica del fattoche l’amico non gli abbia più scritto.
(L. M.)
33.Milano, 29 ottobre 1964
Lettera autografa, su carta inte-stata della “Compagnia del TeatroItaliano Peppino De Filippo”.
Peppino comunica a Ricci il suoimminente debutto con La Man-dragola di Niccolò Machiavelli. Lamessa in scena di questacommedia classicadella dram-maturgiaitaliana
ben s’inserisce nel quadro delleattività teatrali di Peppino, che inquegli anni si cimentò anche nel-l’interpretazione del repertoriomolierano e goldoniano.
(L. A.)
34.Milano, 25 novembre 1964
Lettera autografa.
Peppino, nell’inviare all’amico Paoloinfiniti auguri, gli acclude un artico-lo relativo alla sua “ultima faticateatrale”, probabilmente La Man-dragola, rappresentata nell’ottobredel 1964, e lo invita a farlo leggereanche all’editore Marotta.
(C. M.)
35.Roma, 30 aprile 1965
Lettera autografa su carta intestatadella “Compagnia del teatro
italiano Peppino DeFilippo” con
logo acolori.
Peppino nellasua farsa
Don Feliceaffamato tra
un invito apranzo, un
amico sculto-re e tre poveriin campagnaal Teatro Na-
zionale diBelgrado,
1965
Catalogo della mostra 67
A qualche mese di distanza dallapubblicazione delle sue Farse e com-medie Peppino, rammaricandosi conl’amico per il fatto che l’opera nonfosse “purtroppo completa”, gli sirivolge per conoscerne il parere.L’autore definisce l’opera incompletarispetto al progetto iniziale, perchécomprende solo una parte delle suecommedie, vale a dire quelle ripropo-ste più frequentemente al pubblico. La lettera si conclude con l’annunciodel prossimo viaggio in URSS peruna lunga tournée, che avrebbe toc-cato anche alcune città sul Baltico,Varsavia e infine Praga, subito dopoil debutto al Sistina di Roma.
(L. M.)
36.“l’Unità”, 22 ottobre 1965
PAOLO RICCI, La conferenza stampadi De Filippo. Incontro conPeppino.
Paolo Ricci afferma che “un incontrocon Peppino è sempre una cosa pia-cevole e istruttiva”. Nell’intervistarilasciata ai giornalisti napoletani,Peppino si è detto orgoglioso di tro-varsi a Napoli nel ventesimo anniver-sario della fondazione della sua“Compagnia del Teatro Italiano” e hareso noto il repertorio “antico emoderno” che intende mettere inscena al San Ferdinando. La Com-pagnia debutterà con un’antica farsaintitolata, Don Felice affamato tra uninvito a pranzo, un amico scultore edue poveri in campagna; nel pro-gramma vi sono anche L’amico deldiavolo, una commedia in tre atti, e
due classici, già portati al successo,L’Avaro di Molière e La Mandragola diMachiavelli. “Sarà una stagione assairicca ed impegnativa quella diPeppino e dei suoi bravi comici, aNapoli” conclude l’articolo.
(C. M.)
37.“l’Unità”, 25 ottobre 1965
PARI, San Ferdinando. Candore efollia nella comicità di Peppino.
All’indomani della rappresentazio-ne, al Teatro San Ferdinando,della farsa Don Felice affamatotra un invito a pranzo, un amicoscultore e due poveri in campa-gna, Ricci evidenzia come Peppino
Peppino inL’Avaro diMolière
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia68
sia forse l’unico attore nel mondodel teatro a saper rendere comicied attuali “remotissimi canovacci”della commedia dell’arte, ed unodei pochissimi attori in Europa,capaci di dar vita ad uno spettaco-lo di grande successo, riscuotendol’approvazione sia di un pubblicocolto ed esigente che di spettatoriingenui, creduloni e desiderosi sol-tanto di divertirsi. Una comicitàdefinita da molti “atellana cioèfedele a canoni e modi d’espressio-ne antichi di secoli e secoli, eppurnuove, di immediata e pungentecomunicativa”. Peppino è conside-rato quello che tra i tre fratelli hasaputo esaltare la capacità di farridere con i mezzi più semplici, “avolte solo movendo un muscolosecondario del viso”.
(M. P. I.)
38.“l’Unità”, 19 novembre 1965
PARI, «I casi sono due» al SanFerdinando. Un grande Peppino.
Paolo Ricci riferisce del gransuccesso riscosso dalla farsa di
Peppino I casi sono due durante laprima rappresentazione al SanFerdinando. La farsa, opera diArmando Curcio, come A che ser-vono questi quattrini, era stataportata sulle scene dai tre fratelliDe Filippo, per la prima volta nel1941 al Teatro Odeon di Milano.Dopo la guerra, e quindi dopo loscioglimento della Compagnia “IDe Filippo”, Peppino la riprese, larimaneggiò, “sfrondandola dagli
orpelli inutili”, e creò il personag-gio del cuoco trovatello GaetanoEsposito, il plebeo napoletano,diseredato, vittima simbolo delleingiustizie e “della condizioneumana e civile di Napoli e delMezzogiorno, portatore d’antichepaure, ataviche umiliazioni e dibrucianti ingiustizie”, ma nondi-meno animato da uno spirito dirivincita e di ribellione.La farsa si inserisce coerentemen-te nel programma teatrale diPeppino, dove la Napoli dei suoitempi, con la povertà, le ipocrisie,le mille convenzioni, è il palcosce-nico sul quale si dipanano drammi“travestiti” di comicità.
(F. M.)
39.Napoli, 28 novembre 1965
Lettera dattiloscritta, su cartaintestata della “Compagnia delTeatro Italiano Peppino DeFilippo”.
Brevi appunti di Peppino all'amicoPaolo Ricci al quale trasmette per“la lettura e per farsene un’idea”,il brogliaccio della commediaL'amico del diavolo, aggiungendoche sono state apportate dellemodifiche ad alcune scene nelcorso delle prove. Inoltre, relati-vamente alla telefonata ricevutadallo stesso Ricci, circa l’iniziativapresa dal quotidiano “l’Unità”sulle problematiche della guerrain corso nel Vietnam, Peppino simostra restio ad assumere unimpegno, che avrebbe rifiutato,
Catalogo della mostra 69
dice, anche se gli fosse stato pro-posto da altre testate come il“Messaggero” o il “Corriere dellasera”. Infine esprime la sua“umile idea”, sostenendo che laguerra nel Vietnam “finirà quandoi circoli politici internazionali lovorranno!”.
(G. B.)
40.Napoli, 2 dicembre 1965
Lettera dattiloscritta confirma autografa, su cartaintestata dell’Ambassador’sPalace Hotel.
Peppino invia un’accora-tissima lettera all’amicoPaolo ringraziandoloper la critica entusia-sta espressa sullarappresentazione deLa Mandragola;inoltre,contonoalquantodeterminato, risponde al-la lettera dell’amico ricevu-ta all’indomani del loroincontro.L’argomento appare esse-re ricorrente fra i due e siha la sensazione chePaolo chieda a Peppinodi assumere, in modoevidente, una posizio-ne attiva di condannacirca la guerra nel Vietnam.Peppino, come già altrevolte ha sostenuto,
ritiene invece che l'iniziativadebba partire dai “politici” e soloin questo modo sarebbe dispostoad unirsi “alle proteste di tutti innome della pace tra gli uomini ditutto il mondo”. Accenna all'ipo-crisia politica dilagante nell’am-biente dello spettacolo. “L'artenon deve essere confusa con la
politica”, conclude, nellasperanza che l'amico lo
abbia compreso meglio diquanto egli abbia saputoesprimersi.
(G. B.)
41.“l’Unità”, 3 dicembre 1965
PARI, «La Mandragola»in scena al SanFerdinando. Peppinosi rivela uno stu-pendo Fra’ Timoteo.
Nel 1965 la “Com-pagnia del TeatroItaliano” diretta da
Peppino De Filippomette in scena alSan Ferdinando diNapoli La mandra-gola di Niccolò Ma-chiavelli. La recen-sione di Ricci ponein luce i pregidella regia di DeFilippo, che, scri-ve, “ha saputocogliere con one-
stà filologica e re-stituire il carattere
realistico e
Peppino nellacommedia Icasi sono duein una carica-tura diOnorato
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia70
pungente della commedia ma-chiavelliana”. Ciò è evidente, soprattutto, nelpersonaggio di Fra’ Timoteo,interpretato dallo stesso DeFilippo, simbolo di una chiesadivenuta il centro della corruzionegenerale della società, troppospesso “protettrice e garante”delle ingiustizie e delle sopraffa-zioni. Ottimi i giudizi anche sulresto della compagnia, sullemusiche e sulla scenografia.
(G. M.)
42.“l’Unità”, 16 dicembre 1965
PARI, «L’amico del diavolo». Un«carattere» di oggi costruito daPeppino.
Recensione di Paolo Ricci sullanuova commedia in tre atti scrittada Peppino De Filippo L’amico deldiavolo, rappresentata a Napoli, inanteprima nazionale, come quartospettacolo della sua stagione al SanFerdinando. Ricci ne rileva la direttadiscendenza dal repertorio comicodei fratelli De Filippo, dal quale tut-tavia si discosta. Nella farsa assumeun rilievo centrale la figura diBartolomeo, l’avaro, più che un per-sonaggio un “carattere”, descrittocon tale “esasperazione di contorni”,da risultare al critico d’arte di gusto“espressionista”. Di contro, gli altripersonaggi gli appaiano puri prete-sti e l’ambientazione assolutamente“astratta”, ormai lontana dal vecchioteatro comico.
(R. S.)
43.“l’Unità”, 30 dicembre 1965
PARI, Peppino De Filippo al «SanFerdinando». Quaranta … ma nonli dimostra.
Con il consueto coinvolgimento,Ricci registra in questo articolo ilsuccesso della rappresentazione aNapoli della commedia Quaranta... ma non li dimostra che PeppinoDe Filippo aveva scritto e rappre-sentato con la sorella Titina nel1932, nello stesso anno deldebutto insieme ad Eduardo conla compagnia “Il teatro umoristicodei De Filippo”.La messa in scena di questa com-media nel 1965 al San Ferdinandofu invece un’ulteriore testimo-nianza delle diverse scelte teatra-li operate da Peppino; questi tra-dusse “in lingua” la commedia escelse nuovi attori, Lidia Martoranel ruolo che era stato di Titina eLuigi De Filippo nel ruolo che eglistesso aveva interpretato, deiquali Paolo Ricci sottolinea la bra-vura e la capacità di rivitalizzareun testo teatrale ormai collaudatoda decenni.
(L. A.)
44.“l’Unità”, 11 gennaio 1966
PARI, A conclusione dell’intensa evivace «stagione» della compa-gnia. «L’avaro» di Molière nell’in-terpretazione di Peppino.
La recensione di Ricci sulla com-media di Molière, rappresentata
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia72
da Peppino e dalla sua validissimacompagnia al Teatro San Ferdi-nando, è un tripudio di lodi: egliesalta la maturità artistica dell’atto-re e la capacità di presentare ilcapolavoro di Molière come un testonon alieno dal mondo reale e dallasua attualità. Il critico sottolinea chela fonte del teatro di Peppino non sipuò racchiudere alle esperienze deisuoi illustri predecessori qualiScarpetta, Viviani, Russo e Di Gia-como, bensì è la ricca, fondamenta-le e remota Commedia dell’arte ilmodello per eccellenza. Con lo spet-tacolo di Molière, Peppino concludeegregiamente la sua stagione napo-letana dimostrando al pubblico ealla critica come si intrecciano, per-fettamente, natura e cultura, istintoe tradizione teatrale, fino a diventa-re arte del teatro.
(R. A.)
45.Firenze, 18 gennaio 1966
Lettera dattiloscritta, con firmaautografa, su carta intestata delSavoy Hotel.
Peppino si rivolge al noto criticonapoletano ringraziandolo per lesue recensioni che hanno contri-buito alla buona riuscita dellarecente stagione napoletana.L’artista, poi, con orgoglio, comu-nica all’amico il gran successoottenuto anche a Firenze con larappresentazione de L’amico deldiavolo, commedia in tre atti il cuitema predominante è l’avarizia.Un’avarizia sordida, che è frutto
di una fame storica, che è il terro-re di ripercorrere lo stato di biso-gno e come tutte le paure puòdiventare patologia. Il protagoni-sta è angosciato, come un perso-naggio di Verga, dal possessodella “roba”. Peppino conclude lalettera sottoponendo a Ricci ilcopione della sua ultima comme-dia Come finì don FerdinandoRuoppolo, precisando che è ilprimo ed unico a leggerla e nesollecita al più presto il parere,esprimendo anche il desiderio divederne pubblicata su “l’Unità”una scena.
(R. A.)
46.Bari, 10 febbraio 1966
Lettera dattiloscritta, con firmaautografa, su carta intestata delPalace Hotel.
A distanza di circa dieci giornidalla precedente richiesta, Pep-pino si rivolge nuovamente all’a-mico Ricci per chiedergli quali fos-sero le reali possibilità di vederepubblicata su “l’Unità” “giornale dimassa di grande diffusione” unascena tratta dalla sua ultima com-media e precisamente quella del-l’incontro fra il protagonista donFerdinando Ruoppolo e la sorellamonaca, “che risponde esatta-mente alle mie idee sulla folliareligiosa che afferra certi individuie spesso per chiaro egoismo per-sonale. Mai, a mio modo di vede-re, per evidente senso altruistico.”
(R. E.)
Catalogo della mostra 73
47.Benevento, 22 febbraio 1966Lettera dattiloscritta con firma auto-grafa, su carta intestata del Jolly Hotel.
Alla fine di “una tournée magnifica”con “teatri pienissimi dappertutto”,Peppino scrive all’amico per informarloche sarà a Roma dal primo marzo finoal sei aprile per la stagione al TeatroParioli. In questa lettera gli confidaanche di essere “stufo di girare. È fati-cosissimo. E si diventa guitti, il Mini-stero impone le tournée in provinciama non bada alla sciatteria, al guittu-me di molti teatri di provincia”. Il sognodell’artista è, infatti, quello di poteravere un teatro tutto suo a Roma.
(M. P. I.)
48. Bologna, 20 maggio 1966Lettera autografa su carta intestatadel Grand Hotel Majestic Baglioni.
Peppino nell’inviare all’amico Paoloi saluti da Bologna, ove si trova intournée , gli annuncia la prossimapartenza per le città slave diZagabria, Lubiana, Fiume eBelgrado. In quest’ultima città,circa un anno prima, si era esibitonel Teatro Nazionale con la farsaDon Felice affamato tra un invito apranzo, un amico scultore e trepoveri in campagna ottenendoconsensi di critica e di pubblico.
(L. M.)
49.Ljubijana, giugno 1966Cartolina autografa.
Peppinoè in tour-née in Jugo-slavia, si dichia-ra entusiasta diquel Paese che nonesita a definire magnificoed invia i suoi saluti all’a-mico Paolo da Lubiana.
(L. M.)
50. Roma, 18 giugno 1966
Lettera dattiloscritta su cartaintestata della “Compagnia delTeatro Italiano Peppino DeFilippo”, con firma autografa.
Al rientro a Roma, dalla tournéein Jugoslavia, Peppino scrive al“carissimo Paolo” riferendo diessersi esibito, nei teatri diBelgrado, Lubiana, Rieka e Za-gabria, dove ha messo in scenaLa mandragola ed il Don Felice …riportando ovunque, “un successoentusiasmante, accoglienza me-ravigliosa e onori bellissimi, tantoda parte italiana, quanto da parteslava”. Precisa inoltre che, dalla fine dellaguerra, la sua Compagnia e quel-la del Piccolo di Milano sono statele uniche compagnie italiane adesibirsi in quei teatri. La lettera siconclude, dopo alcuni apprezza-menti sulla cucina locale e sullacordialità degli jugoslavi, con con-siderazioni sulle condizioni di vitain quei paesi, paragonandole aquelle dell’URSS, ove si era reca-to nel 1964.
Napoli, 2 dicembre 1965
… Vedi, Paolo, quando in una sala di teatro o di cinema o in una pubblica piazza o viasaranno riuniti, in rappresentanza, tutti i partiti politici del nostro paese onde prote-stare sugli scopi della guerra nel Vietnam ove da tempo vi ci muoiono vietnamiti e ame-ricani (forse anche cinesi) il mio posto sarà lì, in primissima fila, bene in vista e la miavoce si unirà, altisonante, alle proteste di tutti in nome della pace tra gli uomini di tuttoil mondo. Rendiamoci promotori di questo gesto umano ed io sarò primo tra i primi.Paolo, ti conosco per un’artista intelligente e per un uomo di rara cultura, riconosci lavalidità e l’onestà della mia dichiarazione. Nel nostro ambiente teatrale, credimi, l’ipo-crisia politica si taglia a fette. Potrei citarti decine di nomi di attori e autori di teatroe di pseudo letterati che incensando falsamente il nostro partito comunista sono riusci-ti ad ottenere un certo successo personale non tralasciando, però, di continuare agustare il sapore della bella vita democratica italiana: la casetta di proprietà, la cin-quecento, il bel vestire, il farsi ben servire, le belle villeggiature, la moglie e i figli inpensione e l’amante in albergo, eccetera …! Io, grazie a Dio, posso ben gridare di nonessere tra questi pappatori ipocriti. La mia modesta personalità artistica ha il bene digodere della stima di qualsiasi corrente politica del nostro paese. Nessuno ha nulla darimproverarmi anzi …! A mio avviso, come ti ho già scritto, l’attore di teatro, social-mente parlando, appartiene a tutti: ai comunisti, ai democristiani, ai liberali, ai fascisti,ai socialisti. Deve, quindi, a volte anche suo malgrado, tenere rispetto per tutti. L’arte,a mio giudizio, non va confusa con la politica perché questa è privilegio di quegli uomininati per tale professione, giusta o ingiusta che sia. Penso che le mie idee sociali, al difuori del teatro, tu le conosca o le immagini. Sai che amo profondamente l’uomo che siguadagna la vita col suo lavoro, quale che sia. Io sono nato povero, poverissimo, per que-sto conosco il dolore che porta con se la miseria che m’ ha perseguitato fino ai tren-t’anni e oltre (ho sofferto la fame nera Paolo), non di meno ho sempre sentito rispet-to per i nati ricchi, poiché della loro condizione di nascita non ne hanno colpa alcuna.
Credo fermamente, Paolo, che nella vital’essenziale è porre tutte le speranze difortuna nelle possibilità del proprio intel-letto. È questo, secondo me, che quandoè sveglio, sano, pronto, acuto porta unbenefico aiuto all’umanità intera, per-ché diventa patrimonio comune.Spero che tu m’abbia meglio compre-so e saprai tenermi, comunque, nellatua stima e nel tuo affetto di vec-chio amico, quando ci contavamo intasca i denari per sfamarci. Tiabbraccio caramente, tuo:
Peppino
Palmiro Togliatti
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia76
Esprime, inoltre, grande amarez-za per le pietose condizioni in cuiversa la città di Rieka e soprattut-to per il fatto che quelle città sianostate completamente slavizzate.
(L. M.)
51.Roma, 26 dicembre 1966
Lettera autografa su carta inte-stata della “Compagnia del TeatroItaliano Peppino De Filippo”, conlogo a colori.
Auguri che Peppino invia da Romaal “carissimo Paolo” in occasionedel Natale del 1966.
(G. C.)
52.Roma, 17 gennaio 1967
Lettera autografa.
Peppino scrive all’amico Paolo rin-graziandolo per la bella presenta-zione del suo libro Paese mio!Poesie e canzoni napoletane dedi-cato alla moglie Lidia e gli annuncia
che ai primi di febbraio rappresen-terà al Sant’Erasmo di Milano unacommedia di Molière e la sua com-media L’Amico del diavolo.Conclude la lettera scrivendo “lamia breve visita a Napoli è statacome un dolce sogno. Tutti adelogiarmi, tutti a volermi bene:proprio come in un sogno”.
(C. M.)
53.“l’Unità”, 6 marzo 1968
PARI, Peppino De Filippo al «SanFerdinando» Come si rapina unabanca di Samy Fayad.
Come si rapina una banca è il tito-lo di una farsa moderna delloscrittore napoletano Samy Fayad,rappresentata al Teatro San Fer-dinando di Napoli dalla compagniadi Peppino e Luigi De Filippo; nelcast le attrici Regina Bianchi eRosaria Waldeschi. Il testo sem-bra scritto apposta per Peppino.La storia narra le avventure di untale Agostino Capece, operaiointelligente ma disoccupato che èridotto a vivere, con la sua fami-glia, in una baracca. L’eterno pro-blema della miseria viene percor-so con grande realismo dall’auto-re, il quale cerca di mitigare l’a-marezza con momenti di autenti-ca esilarante comicità. AgostinoCapece è in perenne attesa di una“lettera liberatoria” che rendagiustizia alla sua intelligenza inquanto egli è l’inventore di unapparecchio che, una volta realiz-zato, consentirebbe agli asmatici
Benevento, 22 febbraio 1966
“… Svolgerò una stagione di quarantagiorni al teatro Parioli. Un teatroperiferico … ma Roma, ormai, non
offre che questo (a me s’intende ...!).Ho fatto una tournée magnifica.
Teatri pienissimi dappertutto. Ma nonè questo che io desidero. Io vorrei un
teatro a Roma solo per me. Sonostufo di girare. È faticosissimo. E si
diventa guitti. Il Ministero impone letournée in provincia ma non bada allasciatteria, al guittume di molti teatri
di provincia. È una vera pena. Unavergogna caderci dentro …”
Peppino
Catalogo della mostra 79
ed ai malati affetti da enfisema pol-monare di suonare, senza pericolo,il clarinetto ed altri strumenti musi-cali a fiato. L’invenzione stessa dàla misura della comicità astrattadella quale la storia è permeata.Oppresso dalla miseria e vintodalla necessità, Agostino Capecematura l’idea di rapinare unabanca allo scopo di finanziare lasua invenzione che, una volta rea-lizzata, avrebbe portato tanta ric-chezza da poter essere condivisatra la famiglia e gli amici.
(G. B.)
54.“l’Unità”, 18 Gennaio 1970
PARI, La novità di Peppino DeFilippo al Politeama. Come finìdon Ferdinando Ruoppolo.
Ricci, pur riconoscendo a Peppino indi-scutibili doti recitative e comunicative,appare stavolta piuttosto critico neiconfronti del personaggio da lui inter-pretato. A non convincerlo è proprio ilprotagonista, quell’uomo all’antica cheè don Ferdinando Ruoppolo, quelmoralismo “falso e astratto” che locostringe a vivere nell’illusione e chealla fine non potrà che portarlo al sui-cidio. Un moralismo che, di fatto, len-tamente sembra insinuarsi nel teatrodi Peppino in risposta ai nuovi valori emodelli che la nascente società deiconsumi va proponendo in quegli anni.
(G. C.)
55.Napoli, 28 gennaio 1970
Lettera dattiloscritta con firma
autografa su carta in-testata dell’Hotel Ex-celsior.
Peppino, che amamolto la compagnia diPaolo e della mogliePiera, appare chiara-mente dispiaciuto dinon aver potuto pren-dere parte, a causa diimpegni televisivi, aduna di quelle rimpa-triate che spesso siorganizzano in casadell’amico. In quegli anni, infatti,Peppino lavorò molto per la RAIregistrando le ventitré puntate deLa carretta dei comici.
(G. C.)
56.Roma, 16 marzo 1970
Lettera autografa.
De Filippo si complimenta conRicci per la mostra personale al-lestita a Milano alla GalleriaSant’Ambrogio nel 1970. La mo-stra ha riscosso un gran successodi pubblico e di critica, come sievince dalle numerose recensioniapparse su diversi giornali diquell’anno.
(G. M.)
57.“l’Unità”, 20 gennaio 1972
PARI, Peppino De Filippo al«Politeama» A che servono questiquattrini?
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia80
A che servono questi quattrini? fuscritta negli anni Quaranta daArmando Curcio appositamenteper i fratelli De Filippo. La storia èmolto semplice, si ispira all’invitoa vivere senza lavorare: che è unantichissimo tema ispirativo dellaCommedia dell’Arte e di tutto ilteatro comico, antico e moderno.Le parti erano state cucite daCurcio addosso ad Eduardo, cheera il maestro, e a Peppino, cheera l’allievo “tonto e fortunato”. “Peppino”, secondo quanto scriveRicci “ha voluto e potuto ripren-dere questa commedia perchéormai tra lui e suo figlio si è crea-to un rapporto di collaborazione,una perfetta intesa simile a quel-la che trent’anni fa legavaEduardo a Peppino”. La recensione si conclude metten-do in evidenza “la definitiva affer-mazione di Luigi, attore che riescea raggiungere i risultati che furo-no del padre con mezzi e stile ori-ginali e personalissimi”.
(L. M.)
58.“l’Unità”, 17 marzo 1972
PARI, Peppino e Luigi De Filippo al«Diana». Fatti nostri.
Debutto al Teatro Diana di tre attiunici di Luigi De Filippo che hannocome filo conduttore l’amore. Levicende si svolgono in Sicilia, aRoma e in un paese alpino.Le storie, inventate da Luigi, sonomolto ingegnose e mettono inevidenza, con arguzia, alcuni dati
del costume contemporaneo e,qualche volta, come nel secondoepisodio, emerge un’ironia dolen-te che ricorda Cecov.Ricci elogia Luigi, come attore,come personalità autonoma ri-spetto al padre e come autore.Peppino, attore principale, realiz-za tre personaggi di straordinariaforza umana e di grande comicitàe, in più, avendo ritrovato il suogiovanile entusiasmo, trascina ilpubblico nella più sfrenata ilarità.
(R. E.)
59.“l’Unità”, 14 aprile 1972
PARI, Peppino De Filippo alPoliteama «L’ospite gradito».
Le pagine de “l'Unità” del 14 apri-le, dedicate al mondo dello spet-tacolo, contengono due articoliche riguardano Peppino De Filip-po. In uno è contenuta la notiziadell'invito ufficiale rivolto a DeFilippo ed alla sua compagnia dirappresentare nell'aprile del 1973l’Italia al decimo Festival Inter-nazionale del Teatro, organizzatodalla “Royal Company” shake-speariana al quale aveva già par-tecipato circa dieci anni primariscuotendo un gran successo dipubblico e di critica. Nell'altro articolo vi è la recensio-ne della commedia L'ospite gradi-to, scritta da Peppino nel 1948,che verte intorno alla figura diWalter Sotterra, terribile mena-gramo che al suo apparire in ca-sa del ricco e felice industriale
Roma,18 giugno 1966
“… La tournée in Jugoslavia è andata a GONFIE VELE!! Un suc-cesso entusiasmante, credi. Ho dato La mandragola (che è pia-ciuta moltissimo) e Don Felice … che ha addirittura fatto sbrego.Ovunque, credimi, un’accoglienza meravigliosa. È gente brava ecara. È gente che ci ammira moltissimo e ci stima ancor più. Dallafine della guerra la mia compagnia è stata la seconda a recitarein quel Paese, la prima è stata quella del “ Piccolo di Milano” nel1954. Ho ricevuto onori bellissimi tanto da parte italiana quantoda parte Slava … e soprattutto quanto, quanto cuore da quelleparti! In quanto al tenore di vita stanno un po’ maluccio, ma tuttolascia sperare che migliorerà. In verità, in Russia, non stanno cosìbenino come stanno gli Slavi … Vedessi, però (e questo m’èmolto dispiaciuto), in che condizioni pietose è caduta Rieka(Fiume). E non ti parlo di Abbazia …! Queste zone sonostate completamente disitalianizzate! …”
Peppino
Gervasio Savastani, suo amico,provoca una serie di eventi funesti.
(M. P. I.)
60.“l’Unità”, 25 gennaio 1973
PARI, Peppino De Filippo al«Politeama» Quelle giornataccie[sic].
Applausi numerosi a scena apertae molte chiamate. Si replica. Conqueste parole termina la recen-sione di Paolo Ricci alla rappre-sentazione, al Teatro Politeama diNapoli, della commedia Quellegiornate. La commedia, che fusenz’altro una delle più importan-ti di Peppino del dopoguerra, erastata rappresentata per la primavolta quasi venti anni prima, nel-l’aprile del 1946, a Roma e già inquell’occasione Ricci l’aveva posi-tivamente recensita. La storia si svolge durante l’occu-pazione nazista di Roma ed èambientata in una piccola pensio-ne nei pressi di San Giovanni. Ilprotagonista è un pacifico travetche si trova, suo malgrado, in unasituazione più grande di lui e,esasperato dai soprusi e dai delit-ti dei nazisti, trova la forza diribellarsi, sparando all’impazzatacontro gli oppressori.La commedia segna una svolta
nella produzione tea-trale di Peppino
che si rendeconto dellanecessità
di esprimersi
mediante un linguaggio piùmoderno che non preveda neces-sariamente l’uso del vernacolo eche meglio rappresenti la nuovasocietà italiana del “dopoguerra”.Peppino era molto legato a questasua opera e nel programma per lanuova rappresentazione si ponecon amarezza la domanda se tuttii sacrifici, le sofferenze, le ansiepatite siano effettivamente servi-te a realizzare l’aspirazione dipace in un mondo migliore e piùgiusto.
(L. M.)
61.“l’Unità”, 12 aprile 1973
PARI , Peppino De Filippo al «SanFerdinando». Storia strana su unaterrazza romana.
Nel 1973 Peppino De Filippo reci-ta in questa commedia scritta dalfiglio Luigi, che, dopo aver debut-tato nella Compagnia del TeatroItaliano nel 1951, al TeatroQuirino di Roma, aveva ottenutoruoli via via più importanti sino adiventare condirettore della com-pagnia e principale collaboratoreartistico del padre. Maturo eapprezzato interprete, sia in Italiache all’estero, Luigi De Filippo èanche autore di numerose com-medie di successo in cui il temadominante è costituito dalla fami-glia e dalle sue contraddizioni,assunte a specchio paradigmaticodella società contemporanea,mentre lo stile farsesco e surrealeattualizza, senza mai tradire, la
Catalogo della mostra 83
tradizione partenopea. La recen-sione di Ricci alla rappresentazio-ne del 12 aprile al San Ferdinandosottolinea da un lato il legamedell’autore con la tradizione piùvivace del teatro napoletano, conle commedie e farse paterne e,dall’altro, la profonda conoscenzadel teatro contemporaneo edeuropeo. Luigi ha interpretato,infatti, con verve comica testi diGogol, Pirandello e Molière.
(G. M.)
62.Roma, 21 dicembre 1973
Lettera autografa.
Peppino, meravigliando-si di non avere vistol’amico Paolo inoccasione di unarappresentazio-ne al TeatroPoliteama,
gli invia cariauguri “per que-sto stupido Na-
tale di … guer-ra; ma unaguerra con-
tro chi?Fo r s econtro
n o istessi”.
Probabilmente si riferisce alla guer-ra in Vietnam alla quale, per le sueconvinzioni politiche, è contrario.
(C. M.)
63.Roma, 31 dicembre 1973
Lettera autografa.
Auguri di buon anno inviati aRicci, di cui rammenta l’anticaamicizia, e al quale esprime anco-ra una volta, il proprio rammaricoper non averlo incontrato durantela sua stagione teatrale alPoliteama.
(F. M.)
64.Roma, 6 gennaio 1974
Lettera dattiloscritta con firmaautografa.
Si accenna all’incontro con l’ami-co, avvenuto l’anno prece-
dente a Milano, durante ilquale, evidentemente,
Ricci aveva tentato di con-vincere Peppino a parteciparead una manifestazione politica
e, avendone ricevuto un rifiuto,se ne era dispiaciuto.Peppino si giustifica alludendo allungo periodo di depressionemorale e fisica, seguita alla morteimprovvisa, avvenuta a Roma il23 aprile 1971, della secondamoglie Lidia Maresca, in arteMartora, per oltre trent’anni indi-menticabile compagna di vita e dilavoro, sposata in punto di morte,dopo aver ottenuto il divorzio
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia84
dalla prima moglie, Adele Carloni,madre di Luigi.
(R. S.)
65.Napoli, 24 agosto 1974
Cartolina illustrata.
Saluti inviati da Peppino all’amico,in occasione del proprio settantu-nesimo compleanno.
(R. E.)
66.“l’Unità”, 6 dicembre 1974
PARI, Peppino De Filippo al SanFerdinando. Le metamorfosi di unsuonatore ambulante.
La recensione che Ricci riproponeper una nuova rappresentazionede Le Metamorfosi … al TeatroSan Ferdinando di Napoli, rispetto
all’articolo del 1964, ha toni piùpacati, meno “esaltati” o “esal-tanti”. Forse il riconoscimento deimeriti di Peppino ha meno biso-gno di essere evidenziato, forsel’opera è ormai ben conosciuta dalpubblico. Il critico nota le diffe-renze dell’attuale rappresentazio-ne rispetto a quella precedente,sottolineando l’atmosfera resa piùsurreale, attraverso una comicitàastratta che “si affida a gestimisuratissimi e di estrema sem-plicità”. Ancora una volta il pubbli-co, che affollava la sala del SanFerdinando, ha “molto gustato lospettacolo, ridendo ed applaudendopiù volte a scena aperta e allafine, festeggiando calorosamentePeppino e tutti i suoi bravissimicomici ...”.
(L. M.)
67.Napoli, 7 dicembre 1974
Cartolina illustrata.
Invio di saluti all’amico, in occa-sione di un suo breve soggiorno aNapoli.
(R. E.)
68.Roma, 22 ottobre 1975
Lettera dattiloscritta con firmaautografa.
Precisazioni di Peppino sul raccon-to che gli ha fatto vincere il pre-mio “Andersen” a Sestri Levante.Sostiene che, in realtà, non inten-deva scrivere una favola, ma la
Roma, 17 gennaio 1967
“… La mia breve visita a Napoli è stata come undolce sogno. Tutti ad elogiarmi, tutti a volermibene: proprio come in un sogno …”
tuo Peppino
Roma, 6 gennaio 1974
“… Quel periodo fu molto triste per me.Moralmente mi sentivo letteralmentea terra e non meno mi sentivo fisicamente.Non mi sentivo in grado di partecipare
a nessuna manifestazione … appenami consentivano di recarmi la sera ateatro per il mio spettacolo … la mia
depressione morale di quel periodoancora tanto vicino al tremendo dolore
che mi stringeva il cuore per laspietata morte della mia indimenticabileLidia compagna di vita e di lavoro …”
tuo
Peppino
Peppino De Filippo e Paolo Ricci: storia di un’amicizia88
“santa e sacra verità”. Ma la verità, di-storta dagli uomini per il proprio interes-se personale, finisce con l’essere ritenu-ta nient’altro che una fiaba per bambini.Peppino, inoltre, esprime il suo disagiodi vivere a Roma, città “maledetta-mente sommersa da chiese, chiesinee cattedrali per cui tutto è falso e tintodi ipocrisia”, mentre desidera ardente-mente tornare a Napoli a lavorare inun teatro degno come il Sannazaro,“magnifico” ai tempi del “TeatroUmoristico dei De Filippo”, ma ormaidecaduto per colpa di un gruppo diattori che preferiscono “l’approssima-zione più banale” alla vera Arte.
(R. S.)
69.“l’Unità”, 7 febbraio 1976
PARI, Peppino De Filippo al Politeama.«Quaranta ma non li dimostra».
Ottima recensione del critico PaoloRicci che definisce quest’edizionedell’opera “una tra le più felici nellalunga storia della commedia”.Merito innanzi tutto di Peppino chesi rivela in grandissima forma e diLelia Mangano, “vera rivelazione”,che impersona il ruolo di Sesella.In questa commedia, scritta daTitina e da Peppino e rappresentataper la prima volta al Sannazaro nel1933, è da notare l’attenzione com-mossa e intenerita per la figurafemminile di Sesella che, insiemealle altre, comparirà più di una voltanelle commedie di Peppino. Si trattaper lo più di figure femminili debolie indifese, spesso disprezzate e tra-scurate, peraltro usate e sfruttate in
tutti i modi. Peppino stesso nonmanca di ricordarlo ai suoi intervi-statori. Quaranta … ma non li dimo-stra rimanda, per sua stessaammissione alla zia Rosa, sorelladella madre: “una di quelle che nonmancano in nessuna famiglia”.
(C. M.)
70.“l’Unità”, 3 marzo 1976
PARI, Al Teatro Cilea. Come e per-ché crollò il Colosseo.
Nella recensione Paolo Ricci defi-
nisce lo spettacolo “vivo e moltodivertente soprattutto per la brillan-tissima interpretazione che Luigi dàdel disoccupato Demetrio”. PeppinoDe Filippo appare soltanto alla finedel secondo tempo e, come al soli-to, riempie di sè la scena.In una lettera a Ricci del 21 dicem-bre 1974, Luigi definisce la comme-dia “allucinazioni d’amore e di pro-testa in due tempi”; tra l’altro scrive“il mio personaggio parla in romanopoiché un napoletano non salirebbemai sul Colosseo a protestare. Forsecercherebbe di venderselo”.
(C. M.)
71.Roma, 26 dicembre 1976
Lettera autografa.
Questa lettera è un’ulteriore testi-monianza dell’amicizia e dell’affettoche legò per moltissimi anni Peppinoe Ricci. Peppino ricorda, infatti, alsuo amico ammalato le “battaglieper la vita” condotte assieme in gio-ventù e manifesta la speranza diincontrarlo presto a Napoli, dove siaccinge a calcare le scene del TeatroPoliteama.
(L. A.)
72.“l’Unità”, 28 gennaio 1980
PARI, La scomparsa di Peppino DeFilippo. Un’ antica comicità nellasua maschera.
Paolo Ricci, alla notizia della morte diPeppino, si abbandona ai ricordi che alui l’hanno legato per quasi cinquanta
anni, quando recitava con Titina edEduardo, al dolore provato alla notiziadella rottura artistica tra i tre fratelli,rottura della quale l’attore non avevamai voluto parlare, poiché il pudore lospingeva a nascondere il sentimentodi sconfinata ammirazione che avevanei confronti di Eduardo. Ricorda chePeppino, al di fuori delle scene, era unuomo bonario e quasi sprovvedutonei rapporti con la gente, fino al puntoda apparire intimidito ed impacciato.A tutti i ricordi si aggiunge il doloreper l’amico scomparso, la cuiattività di attore, di commedio-grafo, di regista e di uomo diteatro sarà ulteriormentestudiata soprattutto percapire “l’origine misteriosadi una comicità senzatempo più che mai vivanell’anima e nel gustodegli spettatori antichi,attuali e futuri”.
(R. E.)
Catalogo della mostra
Luigi De Filippo