Penna Romano - Le prime comunità cristiane

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Romano Penna Le prime comunità cristiane Persone, tempi, luoghi, forme, credenze . Carocci editore

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cristianesimo primitivo

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Romano Penna

Le prime comunità cristianePersone, tempi, luoghi, forme, credenze

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Carocci editore

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13Conclusione

In conclusione, resta il fatto che il cristianesimo delle origini è una real-tà quanto mai sfaccettata, dovendo la sua esistenza a una pluralità dipersonaggi diversi e altrettanto a una serie di varie comunità che ad essifanno capo. Pur concentrandosi tutto attorno all'unico evento-Cristo,di là deriva comunque un fenomeno pluralistico, sicché non è affattoinappropriato parlare di «cristianesimi» al plurale (cfr. Rinaldi, 2008).In effetti, le comunità studiate non sono soltanto geograficamente di-slocate, ma sono anche diversificate tra di loro sia per la comprensionedell'evangelo sia per la loro struttura interna. E ciò vale già all'inizio peruna differenza in contemporanea (ad esempio, tra la chiesa di Gerusa-lemme e quella di Corinto), ma anche in seguito sulla linea di una suc-cessione temporale (ad esempio, nella stessa chiesa di Roma tra gli annicinquanta del i secolo e la fine del li secolo).i. Tipologia comunitaria La diversa tipologia delle prime comunitàcristiane si constata soprattutto nell'ambito delle chiese paoline, anchese la loro varietà si ritrova sostanzialmente pure a proposito delle altrechiese. Un sicuro criterio di individuazione, a questo proposito, si trovanel fatto che esse sono marcatamente segnate dallo specifico ambito reli-gioso di origine, a cui gli autori dei testi ad esse indirizzati o da esse pro-venienti si adeguano, mantenendone poi viva l'impronta anche nel tra-scorrere del tempo. Ebbene, in questo senso si possono distinguere gros-so modo tre tipi di chiese.

In primo luogo c'è il tipo giudeo-cristiano, che si può scindere in duesotto-tipi. L'uno è quello delle chiese composte esclusivamente da cri-stiani di etnia ebraica, com'è il caso delle chiese palestinesi e soprattuttodi quella gerosolimitana, di cui però non abbiamo una documentazionediretta. Là prese forma la prima confessione della fede cristiana in ter-mini appunto giudaizzanti (come Rom i,3b-4a), caratterizzata da unacristologia cosiddetta bassa. L'altro sotto-tipo è il caso soprattutto dellachiesa di Roma. Qui i cristiani sono probabilmente in maggioranza di

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provenienza giudaica, ma ad essi è associata anche una forte componen-te di origine gentile, la quale, tuttavia, dal punto di vista confessionale èsostanzialmente improntata a una interpretazione dell'evangelo di tipogiudaizzante (cfr. supra, pp. 87-94). Sicché, l'innegabile differenziazioneetnica è di fatto superata e armonizzata, sul piano ermeneutico, da unaposizione fondamentalmente unitaria (sia pure con punte più conserva-trici), segnata da una stretta prossimità alla matrice giudaica. Ciò spiegail confronto palese, anzi tematizzato, del rapporto tra "giudaismo" e"cristianesimo", che viene dispiegato mano a mano nelle pagine dellalettera colà indirizzata. Nel testo epistolare ai Romani più che mai l'e-vangelo viene confrontato con la Legge in modo abbastanza rimarcato;e se ciò non costituisce una innovazione assoluta, visto che altrettantoavveniva già nella Lettera ai Calati, la vera novità consiste doppiamentenel fatto che la chiesa romana, a differenza di quelle galatiche, si è origi-nata nell'ambito del giudaismo locale e nel fatto che Paolo tratta l'argo-mento con toni meno emotivi e quindi più calibrati e persuasivi.

C'è poi un tipo etnicamente (e religiosamente) misto, in prevalenza gen-tile ma insieme anche giudaico: è il caso della chiesa di Corinto, ma anche,verosimilmente, delle chiese di Antiochia, dell'Asia Minore, nonché diAlessandria. I cristiani che le compongono sono di entrambe le provenien-ze. Limitandoci a Corinto (cfr. supra, PAR. 6.3), la componente pagana èattestata soprattutto in iCor 12,2; per la componente giudaica, si vedano levicende narrate in At 18,1-8, ma la questione di un conflitto non è partico-larmente sentita. Tutt'al più, si percepisce vagamente qualche eco dellapeculiarità delle radici giudaiche del cristianesimo, sia nel divieto di adire itribunali pagani (iCor 6,1-8), sia nella polemica contro l'idolatria (ivi8-10), peraltro condotta nei termini di un possibilismo che è stato definitocome caratteristico di un «halakista ellenistico» (cfr. Tomson, 1990, p.220; e anche Bockmuehl, 2000), sia nella riaffermazione della risurrezionedei morti (iCor 15), sia nel tema delle collette a favore della chiesa di Geru-salemme (iCor 16,1-4; 2Cor 8-9), sia poi nella formulazione dei due con-cetti contrastanti di «nuova alleanza» (iCor 11,25) e di «antica alleanza»(2Cor 3,14). In ogni caso, Paolo cita, sì, l'Antico Testamento, ma moltoparsimoniosamente. Anche nelle chiese d'Asia il confronto a volte conflit-tuale tra le due anime è palese in più di uno scritto (come in Ef e Ap).

Infine c'è un tipo etnicamente gentile: è il caso, sia pure diversificato,delle chiese di Tessalonica, di Filippi e della Galazia. La loro originegentile è esplicita in iTes 1,9 e in Gai 4,8, mentre è implicita in Fil 4,8.Nelle lettere indirizzate ai Tessalonicesi e ai Filippesi Paolo di fatto non

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fa mai riferimento esplicito ad alcun passo delle Scritture di Israele; que-ste infatti, non essendo adeguatamente conosciute, non potevano averevalore argomentativo. Quanto alla questione del rapporto giudaismo-cristianesimo, esso può appena affiorare sporadicamente con qualchetono molto duro (iTes 2,14-16 sull'imitazione delle chiese della Giudea)o comunque molto velato (Fil 3,2 sullo stare in guardia dai «cani») rife-rito ai Giudei in quanto si oppongono alla predicazione paolina dellacroce di Cristo. Quello della Galazia, invece, è un caso a parte: pur sa-pendo che le chiese di quella regione sono comunque di origine gentile,può sorprendere l'ampio e argomentato rimando alle antiche Scrittureebraiche presente nella lettera ad esse indirizzata; ma ciò si spiega al me-glio con la necessaria esigenza di polemizzare ad armi pari con chi tenta-va di giudaizzare i Calati ed eventualmente con quei Calati stessi che giàavevano ceduto all'insidia.

Di nessuna di queste chiese noi conosciamo tanto bene la storia suc-cessiva a Paolo come avviene per la chiesa di Roma (che pur non è disua fondazione). Ebbene, dovrebbe essere ormai acquisito il dato secon-do cui essa, nonostante la Lettera ai Romani, fu nei secoli improntata algiudeo-cristianesimo (cfr. supra, PAR. 4.4), già a partire dal fatto chepersine l'uccisione di Paolo, a quanto risulta, fu motivata da accusemosse contro di lui da giudeo-cristiani ultraconservatori appartenentialla stessa comunità romana (cfr. Brown, Meier, 1987, pp. 150-5).2. Pluralismo identitario In ogni caso, le prime comunità cristiane te-stimoniano un fenomeno né monolitico né impermeabile, contraria-mente a quanto succederà in alcuni luoghi e momenti della storia se-guente. Anzi, proprio la pluralità all'interno e la disponibilità verso l'e-sterno sono sicuri criteri di non-settarismo e di ecclesialità (cfr. Theis-sen, 2008; 2010, pp. 431-3). Del resto, sono gli stessi scritti canonici del isecolo a documentare uno stato di cose pluralistico, che per la verità an-drebbe considerato esso pure come distintivo e irrinunciabile.

Il discorso in materia coinvolge il tema più generale del canone neote-stamentario, cioè dei 27 scritti che appunto compongono la magna chartadel cristianesimo, che si chiama Nuovo Testamento (in senso letterario).A dispetto del fatto che il processo della loro canonizzazione (culminatodefinitivamente solo nel iv secolo) portò quegli scritti a livelli di assolutez-za, di universalità e di globalità, non bisogna dimenticare che essi all'origi-ne furono invece connotati da caratteristiche opposte, cioè dalla occasio-nalità, dalla localizzazione e dalla frammentarietà (cfr. Penna, 1994). Nel-la loro interpretazione non si può prescindere da questa dimensione origi-

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naria, che, se sembra evocare l'idea di una certa relativizzazione, certo evi-denzia la loro concretezza storica né più né meno che la fondamentaleidea di incarnazione/inculturazione. A questo livello è inevitabile consta-tare delle differenze di accentuazione, di cui i vari scritti sono di volta involta testimoni. Si pensi al fatto macroscopico della pluralità dei racconticanonici sulla vita terrena di Gesù (ben quattro) e alle molte incongruen-ze che questa pluralità comporta nella trasmissione sia dei fatti che lo ri-guardano sia dei detti a lui attribuiti. Ed è altamente significativo il fattoche la chiesa successiva, la cosiddetta Grande Chiesa, non accettò il tenta-tivo semplificatore fatto verso la fine del n secolo dal siro Taziano, chevolle ridurre a uno solo quei racconti operando con forbici e colla: alla fa-cile comodità di una sola relazione si preferì la scomoda difficoltà di reso-conti molteplici e a volte discordanti (cfr. Hengel, 2000) !

Paradossalmente, allora, va ammesso che la canonizzazione degliscritti neotestamentari comportò anche l'approvazione delle diversità inessi documentate. Qui di seguito ricordo solo alcune di queste diversità,con l'intento non certo di ridurre il cristianesimo a un cumulo di con-traddizioni (come vorrebbero certi sprovveduti polemisti anticristianida Gelso in poi), ma di mettere in evidenza che esso è talmente ricco edenso (come lo è la storia in quanto tale!) da implicare la coesistenza dipunti di vista diversi. In esso, d'altronde, non abbiamo a che fare con unteorema matematico o con un rebus risolvibile a senso unico, ma conun mistero insondabile nel quale sarebbe sorprendente se non s'incon-trassero possibilità ermeneutiche differenziate.

Per cominciare, approcci diversificati all'identità di Gesù sono of-ferti non solo dai quattro Vangeli, ma anche dai vari scrittori delle origi-ni cristiane. Ciascuno di essi elabora e trasmette un proprio ritratto dilui almeno con sfumature diverse, a testimonianza del fatto che, se giàun qualunque personaggio può essere considerato secondo angoli visua-li differenti, la cosa vale ancor più per la complessa figura di Gesù il Cri-sto (e a questo proposito sarebbe interessante un confronto con la sorteermeneutica toccata ad Alessandro Magno).

Anche alcune arcaiche confessioni di fede post-pasquali divergono avicenda, come si vede per esempio da un paio di esse documentate nel-l'epistolario paolino e ad esso anteriori. Così, mentre il testo riportato inRom i,3b-4a contrappone tra loro la nascita terrena di Gesù e la sua ri-surrezione intesa come intronizzazione a figlio di Dio, quello citato iniCor 15,3-5 invece contrappone la sua morte salvifica e la sua risurrezio-ne, intesa questa come rivendicazione del giusto sofferente; d'altronde

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la celebrazione innica di Cristo in Fil 2,6-8, di composizione probabil-mente pre-paolina, non parla né di Figlio né di risurrezione.

Inoltre, una classica diversificazione è quella che riguarda Paolo eGiacomo a proposito del valore delle opere morali nell'evento della giu-stificazione davanti a Dio. Infatti, mentre il secondo le inserisce comecostitutive della giustificazione stessa, il primo invece le esclude radical-mente, dando spazio unicamente alla grazia di Dio e quindi a una con-cezione del cristianesimo non identificabile con un moralismo. E iltema, come si vede, non è affatto di second'ordine.

In più, l'idea stessa di chiesa e persine della sua struttura varia a se-conda che si tratti della prassi di Gesù o di quella post-pasquale, diversetra di loro. In questo secondo stadio, poi, bisogna almeno distingueretra la prospettiva giudeo-cristiana e quella paolina, per non dire di quel-la giovannea. Mentre le chiese giudeo-cristiane sono organizzate per lopiù sulla base di un singolo presidente, al più attorniato da un consigliodi presbìteri o anziani (così Gerusalemme e Roma), quelle paoline inve-ce poggiano su di una direzione collegiale di presidenti o semmai di epì-scopi ma non di presbìteri (secondo una concezione più "democrati-ca"), sia pur dovendo calcolare un passaggio dal Paolo storico alla gene-razione successiva.

Oltre a ciò, un cenno merita pure il campo dell'etica, che nella fasegesuana e giudeo-cristiana conosce una certa radicalità non più condivi-sa nel cristianesimo di marca gentile. Infatti Gesù chiamava a un abban-dono di ogni cosa per mettersi alla sua sequela (Me 10,21), mentre Paolorichiede ai cristiani di rimanere nella condizione in cui si trovano quan-do sono chiamati (iCor 7,17.24). Inoltre la comunità matteana esigeuna forte adesione alla Legge che invece Paolo e le sue comunità conte-stano. Ma va detto che, se pur il giudeo-cristianesimo nella prima gene-razione non era riuscito a imporsi sul piano rituale (con la circoncisio-ne), riuscì poi a farlo nella seconda generazione sul piano della rigorosi-tà etica (cfr. Theissen, 2008, pp. 89-97).

Infine, è anche l'attesa escatologica che varia a seconda dei diversiscritti, per quanto riguarda non soltanto l'intensità soggettiva dell'attesastessa, ma anche la dimensione oggettiva concernente la portata indivi-duale o collettiva della fine. Per esempio, mentre Luca nel Vangelo e ne-gli Atti s'interessa soprattutto alla sorte ultima dei singoli (il vecchio Si-meone, il ricco epulone, il povero Lazzaro, il buon ladrone, Stefano), ilGiovanni dell'Apocalisse privilegia piuttosto la fine globale del tempopresente con l'adottare in più tutta una rigogliosa simbologia che è as-

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sente negli altri autori cristiani. Per non dire poi del fatto che la convin-zione di vivere già negli ultimi tempi attutisce la pur reale proiezioneverso unaparousta imminente.

Ciò che in tutte queste espressioni di vita comunitaria potrebbesembrare ad alcuni una mancanza di logica, in realtà è la testimonianzadell'esistenza di uno spazio aperto e largo, nel quale ci si muove con suf-ficiente libertà; e se è vero che si tratta di una pluralità limitata, essendoracchiusa dentro un canone, è pure vero che la diversità è garantita dalcanone stesso, essendo fondata nientemeno che nell'oggettività dellastoria (cfr. Redalié, 2004). Perciò, pur senza ripetere l'iperbole di ErnstBloch secondo cui le eresie sono il meglio che una religione possa pro-durre (cfr. Bloch, 1971, p. 24), abbiamo comunque la prova che non sipuò pretendere di rinchiudere né in una semplice formula didattica néin un'unica modalità esperienziale la vastità e la sfaccettatura di dati chein definitiva riguardano l'eccedenza ermeneutica di Dio stesso e del suoinviato Gesù Cristo.3. Convergenze unitarie La pluralità e la diversificazione delle primecomunità cristiane si compongono in unità proprio e soltanto nel nomedi questo Gesù Cristo, con un patrimonio di fede che è il risultato di unlungo travaglio ermeneutico a cui esse lentamente approdano e su cuiconvergono. Certo è che esse non hanno ancora un'autorità centrale chesovrintenda a tutte quante (a p. 167 dicevamo che se nel i secolo c'è un"papa", questi semmai è Paolo con la sua «preoccupazione per tutte lechiese» [2Cor 11,28], ovviamente per le chiese da lui fondate), e non co-noscono neppure una federazione vera e propria. Ma sentono semprepiù di essere componenti dell'unica chiesa di Cristo (cfr. anche Augias,Cacitti, 2008, p. 114). A questo proposito, la sfaccettata situazione con-fessionale della chiesa di Efeso (cfr. supra, pp. 158-9) può valere comeparadigma identitario delle varie comunità cristiane. Nonostante tutto,infatti, esiste un common pattern constatabile sia sul piano della fede cri-stologica sia sul piano del comportamento etico, che in sintesi possiamoenucleare come segue (cfr. Tellbe, 2009, pp. 302-4). Anzitutto, la fedecristologica presenta una struttura di base comune e condivisa, riassu-mibile nei seguenti punti fondamentali: (i) in continuità con le Scrittu-re, (2) Dio, il Padre, (3) si è rivelato in Gesù Cristo, uomo storico e Si-gnore glorificato, (4) che è mediatore in quanto offre il pieno accesso aDio (5) aperto a tutti gli uomini, (6) essendo tutto ciò confermato dalloSpirito e (7) orientato a un futuro compimento con il ritorno dello stes-so Cristo Gesù. Anche l'etica, conseguente all'intervento di Dio in Gesù

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Cristo, implica una struttura di base comune, riassumitele nei seguentipunti essenziali: (i) l'uomo è chiamato a dare una risposta personale, (2)qualificabile come accoglienza-rawedimento-fede e (3) vissuta all'inter-no di una comunità articolata (4) in atteggiamenti di devozione e con-formazione a Cristo nell'amore e nell'umiltà, (5) con la rinuncia a diver-si valori di questo mondo quali potere-ricchezze-egoismi, in particolarealla partecipazione ai culti idolatrici, (6) ma anche con l'assunzione dimolti valori positivi, propri delle varie culture, e (7) con la disponibilitàalla sofferenza per la causa di Cristo.

In questo modo le chiese (o la chiesa) diventano il luogo in cui lamultiforme sapienza (polypoikilos sophia) di Dio, attuata in Cristo Gesù,traluce e si manifesta al mondo intero (Ef 3,10).

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