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PENDOLI E ROTAZIONE TERRESTRE LA LEZIONE GLI ESPERIMENTI IDEALI SULLA CADUTA DEI GRAVI Nel 1632 fu pubblicato il Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano di Galileo Galilei. In esso, Simplicio (il sostenitore diTolomeo) e Salviati (il copernicano) si confrontavano al cospetto di un terzo personaggio, Sagredo. Il nucleo dell’opera era la dimostrazione della rotazione terrestre (“moto diurno”) affidata principalmente al fenomeno delle maree come già sostenuto da Galileo nel Dialogo sopra il flusso e reflusso del mare del 1616. Nella nuova opera, che gli valse il processo terminato con l’abiura del 1633, la caduta dei gravi e il moto dei proiettili erano trattati, in opposizione alla visione ingenua aristotelica, in genere come quasi imperturbati dalla rotazione terrestre. La rotazione diurna del Sole da est verso ovest, con la Terra ferma, poteva essere interpretata con una rotazione del nostro pianeta da occidente verso oriente. O le stelle si muovevano verso ovest o l’osservatore si spostava verso est. Nel caso della caduta dei gravi Galileo nella lunga discussione si affida a un esperimento ideale: la caduta di una palla da una distanza pari a quella lunare. Simplicio e Salviati per spiegare il fenomeno utilizzano le seguenti parole: SIMP. Ma posto che il calcolo del signor Salviati sia piú giusto, e che il tempo della scesa della palla non fusse piú di tre ore, parmi ad ogni modo che venendo dal concavo della Luna, distante per sí grand'intervallo, mirabil cosa sarebbe che ella avesse instinto da natura di mantenersi sempre sopra 'l medesimo punto della Terra al quale nella sua partita ella soprastava, e non piú tosto restar in dietro per lunghissimo intervallo. SALV. L'effetto può esser mirabile, e non mirabile, ma naturale e ordinario, secondo che sono le cose precedenti. Imperocché, se la palla (conforme a' supposti che fa l'autore) mentre si tratteneva nel concavo della Luna aveva il moto circolare delle ventiquattr'ore insieme con la Terra e co 'l resto del contenuto dentro ad esso concavo, quella medesima virtú che la faceva andare in volta avanti lo scendere, continuerà di farla andar anco nello scendere; e tantum abest che ella non sia per secondare il moto della Terra, ma debba restare indietro, che piú tosto dovrebbe prevenirlo, essendoché nell'avvicinarsi alla Terra il moto in giro ha da esser fatto continuamente per cerchi minori: talché, mantenendosi nella palla quella medesima velocità che ell'aveva nel concavo, dovrebbe anticipare, come ho detto, la vertigine della Terra. Ma se la palla nel concavo mancava della circolazione, non è in obbligo nello scendere di mantenersi perpendicolarmente sopra quel punto della Terra che gli era sottoposto quando la scesa cominciò; né il Copernico né alcuno de' suoi aderenti lo dirà. Dialogo pp. 130-131 fig.1 Il Dialogo di Galileo con i tre personaggi che partecipano alle discussioni; fig.2 Schematizzazione della caduta libera di un grave da una torre di altezza h: la deviazione verso est è la conseguenza delle diverse velocità della sommità e della base della torre

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PENDOLI E ROTAZIONE TERRESTRE

LA LEZIONE

GLI ESPERIMENTI IDEALI SULLA CADUTA DEI GRAVI

Nel 1632 fu pubblicato il Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano di Galileo Galilei. In esso, Simplicio (il sostenitore diTolomeo) e Salviati (il copernicano) si confrontavano al cospetto di un terzo personaggio, Sagredo. Il nucleo dell’opera era la dimostrazione della rotazione terrestre (“moto diurno”) affidata principalmente al fenomeno delle maree come già sostenuto da Galileo nel Dialogo sopra il flusso e reflusso del mare del 1616. Nella nuova opera, che gli valse il processo terminato con l’abiura del 1633, la caduta dei gravi e il moto dei proiettili erano trattati, in opposizione alla visione ingenua aristotelica, in genere come quasi imperturbati dalla rotazione terrestre. La rotazione diurna del Sole da est verso ovest, con la Terra ferma, poteva essere interpretata con una rotazione del nostro pianeta da occidente verso oriente. O le stelle si muovevano verso ovest o l’osservatore si spostava verso est. Nel caso della caduta dei gravi Galileo nella lunga discussione si affida a un esperimento ideale: la caduta di una palla da una distanza pari a quella lunare. Simplicio e Salviati per spiegare il fenomeno utilizzano le seguenti parole:SIMP. Ma posto che il calcolo del signor Salviati sia piú giusto, e che il tempo della scesa della palla non fusse piú di tre ore, parmi ad ogni modo che venendo dal concavo della Luna, distante per sí grand'intervallo, mirabil cosa sarebbe che ella avesse instinto da natura di mantenersi sempre sopra 'l medesimo punto della Terra al quale nella sua partita ella soprastava, e non piú tosto restar in dietro per lunghissimo intervallo.SALV. L'effetto può esser mirabile, e non mirabile, ma naturale e ordinario, secondo che sono le cose precedenti. Imperocché, se la palla (conforme a' supposti che fa l'autore) mentre si tratteneva nel concavo della Luna aveva il moto circolare delle ventiquattr'ore insieme con la Terra e co 'l resto del contenuto dentro ad esso concavo, quella medesima virtú che la faceva andare in volta avanti lo scendere, continuerà di farla andar anco nello scendere; e tantum abest che ella non sia per secondare il moto della Terra, ma debba restare indietro, che piú tosto dovrebbe prevenirlo, essendoché nell'avvicinarsi alla Terra il moto in giro ha da esser fatto continuamente per cerchi minori: talché, mantenendosi nella palla quella medesima velocità che ell'aveva nel concavo, dovrebbe anticipare, come ho detto, la vertigine della Terra. Ma se la palla nel concavo mancava della circolazione, non è in obbligo nello scendere di mantenersi perpendicolarmente sopra quel punto della Terra che gli era sottoposto quando la scesa cominciò; né il Copernico né alcuno de' suoi aderenti lo dirà. Dialogo pp. 130-131

fig.1 Il Dialogo di Galileo con i tre personaggi che partecipano alle discussioni; fig.2 Schematizzazione della caduta libera di un grave da una torre di altezza h: la deviazione verso est è la conseguenza delle diverse velocità della sommità e della base della torre

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Per il tolemaico-aristotelico l’oggetto in caduta, privo di velocità iniziale, su una Terra rotante doveva rimanere indietro rispetto alla verticale mostrando una deviazione verso ovest. Per il copernico-galileiano i movimenti circolari di oggetti legati alla Terra dovevano essere mantenuti. Anzi a una distanza maggiore del suo centro rispetto alla superficie terrestre la velocità iniziale verso est della palla in caduta doveva essere più alta di quella della Terra stessa. Il punto di caduta mostrava allora una deviazione verso est rispetto alla verticale.

fig.3 Schematizzazione della caduta libera di un grave da una torre di altezza h: la deviazione verso est è la conseguenza delle diverse velocità della sommità e della base della torre

È possibile tradurre in modo quantitativo il ragionamento qualitativo, secondo la meccanica del biennio. Se si prende un punto a una distanza R+h dal centro di rotazione della Terra (R raggio terrestre, h distanza dalla superficie), nel tempo di caduta t=(2h/g)½ lo spostamento laterale è dato dalla differenza delle due velocità: ω(R+h) - ωR= ωh moltiplicata per t, con ω velocità angolare della Terra. In simboli la deviazione è uguale a: ωh(2h/g)½= [ω(8h3/g)½]/2.

Il calcolo precedente, utilizzato nei primi confronti sperimentali settecenteschi della deviazione verso oriente, è sbagliato (anche correggendolo con la latitudine e ammettendo una resistenza dell’aria nulla). Il motivo principale è l’ipotesi, che esso presuppone, l’invarianza dell’accelerazione di gravità. Il dibattito tra copernicani e tolemaici proseguì nella seconda metà del Seicento in Italia con le discussioni del matematico Giovanni Alfonso Borelli con i gesuiti Giovanni Battista Riccioli e Stefano degli Angeli. Borelli fu il primo a valutare la deviazione della caduta da un’alta torre, considerata comunque troppo piccola per essere misurata.In Inghilterra alla fine del 1679 Isaac Newton, in un carteggio con Robert Hooke, suggerì di verificare le deviazioni rispetto a un filo teso verticalmente di sfere appese lasciate cadere, bruciando una corda. Newton al termine della sua lettera ipotizzò il moto del grave all’interno del nostro pianeta idealizzato come cavo.

fig.4 Il moto di un grave all’interno della Terra secondo Newton; fig.5 Il cammino ellittico a spirale all’interno della Terra ipotizzato da Hooke

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Hooke dal canto suo nella risposta corresse l’orbita disegnando una spirale approssimata quasi da una serie di ellissi concentriche. Inoltre misurò in due successive riprese le deviazioni verso est e verso sud di sfere in caduta libera da un’altezza di circa dieci metri. I suoi risultati, a posteriori, non possono essere ritenuti attendibili. Del resto, solo agli inizi dell’Ottocento Laplace e Gauss furono in grado di elaborare una teoria quantitativa sufficientemente precisa per tali misure.

GALILEI E LA LONGITUDINE, VIVIANI E IL PENDOLORitornando a Galileo, già agli inizi del Seicento egli mise a punto metodi per lo studio del moto del pendolo e di sferette lungo un piano inclinato. Gli strumenti a disposizione del professore di matematica di Padova per la misura di distanze non erano troppo distanti da quelli ancor oggi utilizzati nei laboratori delle scuole. Mentre per la misura di brevi intervalli di tempo Galileo si affidava alle abilità musicali, ai battiti del polso e infine a una variante di antichi orologi ad acqua, solo dopo le scoperte dell’isocronismo delle oscillazioni del pendolo (considerate non dipendenti dall’ampiezza) e del legame matematico tra periodo e lunghezza, lo scienziato insieme ai suoi discepoli iniziò a utilizzare un pendolo per misurare il tempo. Negli ultimi anni della sua vita l’importanza di un preciso “oriuuolo” crebbe per l’idea di Galileo di risolvere il problema della longitudine affidandosi all’osservazione dei satelliti di Giove. Così ad esempio lo scienziato da Arcetri scriveva nel 1636 agli Stati generali olandesi per proporre il suo metodo: “Il modo di potere in ogni tempo sapere la Longitudine è stato per molti secoli ricercato […]. Sino à questa nostra età non è stata conosciuta altra strada, che la antichissima per via de gl' Eclissj Lunarj, […]Hora sappiano per tanto, come intorno al corpo di Gioue, uanno perpetuamente riuolgendosi quattro stelle minorj […]Osservando de i sopra nominati accidenti, notando l' hora della sua apparenza; la quale conferita con le osseruazionj medesime fatte e notate con i lor tempi in Amstelodamo ò in altro luogo, darà la differenza de i meridianj. […]Ma per l' uso della Navigazione restano 4. particolarità da guadagnarsi. Prima l' esquisita Teorica de i mouimenti di esse Stelle Medicee […]. Secondariamente, si ricercano Telescopij di tal perfezzione, che chiaramente rendano uisibilj, et osservabilj esse Stelle. Terzo, conuien trouar modo di superar la difficoltà, che altri può credere che arrechj l' agitazione della Naue nell' uso di esso Telescopio. Nel quarto luogo, si ricerca esquisito Orologio per numerar l' hore, e sue minuzie […].Finalmente circa il 4 requisito, io hò tal misurator del tempo, che se si fabricassero, 4. ò 6. di tali strumenti, e si lasciassero scorrere, troueremmo (in confermazione della lor giustezza) che i tempi, da quelli misuratj et mostrati, non solamente d' hora, in hora, ma di giorno in giorno, et di mese in mese, non differirebbero tra di loro, nè anco d' un minuto secondo d' hora: tanto uniformamente caminano. Orologij veramente pur troppo ammirabili per gl' osservatori de i moti, e fenomenj celesti; et è di più la fabrica di tali strumentj schiettissima e semplicissima e assai meno sottoposta all' alterazioni esterne, di qualsiuoglia altro strumento per simile uso ritrouato.” (Christiaan Huygens, Oeuvres complètes. Tome III. a cura di D. Bierens de Haan, 2010, pp. 493-497. Nonostante le affermazioni perentorie, Galilei non aveva un simile orologio, ma solo un pendolo e - come ricorda il suo allievo Vincenzo Viviani- “un pensiero sovvenutogli intorno al togliere il tedio del numerare le vibrazioni del pendolo, adobrandogli brevemente la fabbrica d’un oriuulo o macchinetta la quale mossa nel passaggio del medesimo pendolo (che servir doveva in luogo di quel che vien detto il tempo dell’oriuulo) mostrasse il numero delle vibrazioni” V. Viviani, Memoria del 20 agosto 1659.L’idea dell’orologio a pendolo di Galilei fu pubblicata nella memoria di Vincenzo Viviani a Leopoldo de’ Medici del 20 agosto 1659, quando Christiaan Huygens aveva risolto già il problema di come avere un pendolo con oscillazioni isocrone e di come realizzare

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un horologium regolato da un pendolo. Dell’orologio di Galileo Galilei rimangono solo alcuni disegni realizzati dal figlio Vincenzo e da Vincenzo Viviani e alcuni modelli ottocenteschi. Vincenzo Viviani studiò il pendolo e contribuì sicuramente alla spiegazione del suo uso come strumento di misura del tempo. Nei Saggi di Naturali Esperienze curati da Lorenzo Malagotti nel 1667 era spiegato il motivo per cui “si pensò d’appendere la palla a un filo doppio, i quali fussero legati ciascuno da per sé lontani per breve spazio ad un braccetto di metallo, come dimostra la settima figura” “perché l’ordinario pendolo a un sol filo in quella sua libertà di vagare (qualunque se ne sia la cagione) insensibilmente va traviando dalla sua prima gita, e verso ‘l fine, secondo ch’ai s’avvicina alla quiete, il suo movimento non è più per un arco verticale, ma par fatto per una spirale ovata in cui più non possano distinguersi né noverarsi le vibrazioni, quindi è che, solamente a fine di fargli tener fin all’ultimo l’istesso cammino. ”

fig.6 Disegno eseguito da Vincenzo Viviani e Vincenzo Galilei, dell’orologio descritto in alcune lettere da Galileo Galilei; fig.7 Realizzazione ottocentesca dell’orologio di Galileo

La registrazione dello strano comportamento del pendolo unifilare fu affidata anche alla terza edizione del 1692 del Vocabolario della Crusca che alla voce Insensibilmente ripeteva tra gli esempi le prime righe del brano precedente, ma non costituì certo motivo di dibattito scientifico. Il pendolo era il regolatore di orologi e le anomalie delle vibrazioni andavano innanzitutto eliminate. Solo dopo la dimostrazione del pendolo di Foucault del 1851 fu resa pubblica nel mese di aprile una lettera del direttore del Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze, Vincenzo Antinori, a François Arago, segretario perpetuo dell’Académie des Sciences. Nella lettera Antinori riportò alcune note inedite di Viviani sul moto del pendolo e un disegno che sembrava anticipare l’esperienza del francese.

fig.8 La rotazione del piano di oscillazione del pendolo a un sol filo presente nelle note seicentesche inedite di Viviani, riportata nel 1851 dai Comptes Rendus de l’Académie des sciences a pagina 635

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Il riferimento ante litteram delle rotazioni orarie del piano di oscillazione del pendolo di Viviani, non era considerato dallo scienziato seicentesco un problema da affrontare, 'quale ne sia la cagione', ma solo una curiosità. Eliminata l’anomalia (con il doppio filo) finalmente il pendolo diveniva uno strumento di misura. Solo due secoli più tardi uno scienziato autodidatta recuperò ed evidenziò lo strano comportamento del pendolo unifilare libero di ruotare senza torsioni facendolo diventare la principale prova fisica della rotazione terrestre.

LE PRIME VERIFICHE QUANTITATIVE DELLA ROTAZIONE TERRESTREGiovanni Battista Guglielmini fu il primo sperimentatore che tentò misure di precisione sulle deviazioni verso est e verso sud di un grave in caduta libera da una torre. Dopo il seminario e la laurea in filosofia e matematica, alla fine del 1788 si trasferì da Bologna a Roma al servizio del cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi al quale dedicò nel 1789 l’opera Riflessioni sopra un nuovo esperimento in prova del diurno moto della Terra. Il matematico sperava allora di effettuare la prova all’interno di San Pietro, ma nonostante i cambiamenti all’interno della Chiesa il tentativo fu realizzato solo col ritorno a Bologna di Guglielmini. Nella Torre degli Asinelli, facendo cadere sfere da un’altezza di 78 metri, dopo un anno di esperimenti lo scienziato raccolse i suoi risultati in De diurno terrae motu del 1792. La deviazione media di 8,375 dodicesimi di pollice (1,77 cm) verso est e 5,272 dodicesimi di pollice (1,12 cm) verso sud, furono le sue conclusioni. Le difficoltà sperimentali erano state grandissime e Guglielmini credeva di averle superate grazie all’impiego di candele per controllare l’assenza di vento e di un microscopio per misurare la posizione esatta finale della caduta degli oggetti. Limitandoci per ora alla sola deviazione verso est (nel nostro emisfero) considerazioni elementari di meccanica portavano a calcolare la deviazione per un corpo in caduta libera alla latitudine φ come [ω (8h3/g)½ cos φ]/2, con il termine correttivo cos φ dovuto alla latitudine. Usando per ω, la velocità angolare della Terra, il valore 0,729 10-4 rad/s e per la latitudine l’angolo φ di 44,5° si ottiene un valore di deviazione verso est di 1,6 cm. In Francia il lavoro di Guglielmini venne citato nell’Astronomie del 1797 di Jérôme Lalande tuttavia i calcoli di Laplace del 1803 della Mécanique céleste portavano per la prima volta a valutare come trascurabile la deviazione verso sud mentre quella verso est, ponendo uguale a zero la resistenza dell’aria, era: [ω (8h3/g)½ cos φ]/3,più piccola di un fattore 2/3 rispetto al calcolo elementare precedentemente svolto. Nello stesso periodo altri sperimentatori avevano affrontato il problema della misura della deviazione di corpi in caduta. Johann Friedrich Benzenberg nel 1802 dal campanile della chiesa di St. Michael ad Amburgo aveva ottenuto valori medi di 4/12 di pollice verso est e 3/24 di pollice verso sud in buon accordo con i calcoli meccanici semplificati dell’astronomo amatoriale Heinrich Wilhelm Olbers. I risultati di Benzenberg spinsero Olbers a chiedere un parere a Carl Friedrich Gauss, il più promettente matematico tedesco.

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fig.9 La chiesa di St Michael a Amburgo utilizzata da Benzenberg per i suoi esperimenti sulla caduta dei gravi agli inizi dell’Ottocento;

fig.10 I risultati di Benzenberg per le deviazioni subite dai gravi

L’analisi di Gauss del 1803 confermò la giustezza delle considerazioni di Laplace: la deviazione verso sud dipendeva da un termine proporzionale a ω2 era perciò molto più piccola di quella misurata, mentre la deviazione verso oriente era pari in prima approssimazione, trascurando gli attriti, a: [ω (8h3/g)½ cos φ]/3.Le derivazioni matematiche astratte non convinsero Olbers il quale spinse Gauss a elaborare una seconda strategia matematica, diversa dal sistema di riferimento in rotazione. Il matematico propose inoltre una possibile spiegazione per le misure delle deviazioni verso sud legate alla presenza dell’aria e a particolari condizioni al contorno. Per rispondere alla richiesta di una spiegazione intuitiva Gauss utilizzò allora un’immagine in cui, alla traiettoria dovuta alle differenti velocità delle estremità della torre, sostituiva una seconda curva che teneva conto delle diverse direzioni dell’accelerazione di gravità convergenti verso il centro della Terra. In termini moderni l’accelerazione diversa provocava, nel tempo di caduta, una leggera correzione verso ovest pari a: [ω (8h3/g)½ cos φ]/6 che, sottratta al termine classico: [ω (8h3/g)½ cos φ]/2, conduceva finalmente a: [ω (8h3/g)½ cos φ]/3.Benzenberg non convinto delle obiezioni dei matematici continuò le sue misure sperimentali in una miniera di carbone a Schlebusch ottenendo misure in accordo ai valori teorici. Nel 1831 Ferdinand Reich ripropose l’esperienza in un’altra miniera a Friburgo in Sassonia da una grande altezza (circa 158,5 m) con una deviazione media a est di 2,83 cm vicina al valore calcolato di 2,75 cm.

Si tenga presente che la posizione della caduta degli oggetti (figura 12) si distribuiva su distanze molto ampie; inoltre la teoria degli errori era ancora agli albori e affidata al buon senso degli sperimentatori.

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fig.11 L’interpretazione intuitiva di Gauss alle correzioni della caduta dei gravi: la deviazione verso est è inferiore a quella prevista considerando le sole velocità della sommità e della base della torre a causa della diversa direzione dell’accelerazione di gravità g; fig.12 I risultati dei 106 oggetti lasciati cadere da Ferdinand Reich in una miniera nel 1831

IL PENDOLO DI FOUCAULTAgli inizi dell’Ottocento con la Francia napoleonica che estendeva il suo dominio su parte dell’Europa, si erano definiti metodi per il calcolo della caduta libera senza attrito di un grave. Per tempi brevi Laplace e Gauss avevano ottenuto la seguente soluzione approssimata trascurando i termini dipendenti dal quadrato della velocità angolare della Terra: x(t) = 0, y(t) = [gωt3cos φ]/3 , z(t) = gt2/2.

In altre parole il grave, nell’ipotesi che si potesse trascurare la resistenza dell’aria, nel nostro emisfero seguiva la classica equazione del moto naturalmente accelerato con una piccola deviazione verso est. Le misure sperimentali con presenza di aria, non sempre confermavano le espressioni precedenti e soprattutto era assai difficile esaminare effetti dovuti alla variazione locale di g, alle condizioni iniziali o, nel caso delle torri, alle condizioni al contorno. Inoltre il piccolo valore trovato (dell’ordine di due centimetri su una distanza di caduta di un centinaio di metri) e la mancanza di metodi statistici nell’analisi degli errori rendeva difficile il confronto teoria ideale-esperimento reale con attrito.

Nella seconda metà dell’Ottocento a Parigi, nel periodo in cui il nipote di Napoleone, Carlo-Luigi Napoleone Bonaparte, Presidente dell’Assemblea Nazionale, si preparava a sospendere le libertà repubblicane per divenire poi imperatore col nome di Napoleone III, uno scienziato autodidatta presentò dapprima agli ospiti della Sala del Meridiano dell’Osservatorio e poi al grande pubblico nel Pantheon una prova qualitativa della rotazione terrestre. Léon Foucault nel 1851 dopo le dimostrazioni nella sua casa e all’osservatorio preparò, grazie a un Carlo-Luigi Napoleone molto interessato alla scienza, un’esibizione con un pendolo lungo circa 67 metri e un peso perfettamente simmetrico, preparato dal tecnico Gustave Froment, con al centro una punta, retto da un filo metallico che terminava su un dispositivo capace di far ruotare il pendolo senza torsioni. Il peso in ottone di circa 28 kg venne rilasciato dolcemente bruciando un apposita corda e iniziò la sua oscillazione nel piano del meridiano. Per osservare il lento movimento delle rotazioni del piano delle oscillazioni fu disposta alla base del pendolo della sabbia bagnata. La punta lentamente (il periodo di una singola oscillazione era di 17 secondi) mostrava una rotazione oraria, tipica del nostro emisfero, che impiegava circa 32 ore per ritornare alla posizione di partenza. Foucault aveva ormai compreso che il moto del piano era indipendente dal periodo del pendolo.

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Inoltre aveva proposto l’equazione per il periodo di rotazione del piano di oscillazione del pendolo: T=24h/sen φ, in funzione della latitudine φ. Un tempo minimo ai poli e infinito all’equatore, dove il piano rimaneva invariato. Oggi l’unica piccolissima correzione proposta all’equazione di Foucault è la sostituzione del giorno solare con il giorno sidereo pari a 23 ore, 56 minuti e 4 secondi. La spiegazione intuitiva del fenomeno proposta da Foucault poteva essere applicata solo ai poli dove il periodo è prossimo alle 24 ore e all’equatore dove l’effetto non era osservabile. Nell’ipotesi che il piano di oscillazione osservato da un riferimento posto nella sfera celeste non subisca variazioni. Così al polo nord la rotazione oraria del piano del pendolo misurata sulla Terra corrisponde alla rotazione antioraria giornaliera della Terra. All’equatore invece i due osservatori sono concordi nell’invarianza del piano di oscillazione. Negli altri casi dobbiamo ritornare all’osservatore esterno e capire che le uniche forze che agiscono sul pendolo, trascurando gli attriti, sono la gravità e la tensione del filo. Perché allora vi è una dipendenza di T dalla latitudine?

fig.13 L’originale peso utilizzato da Foucault nell’esperimento del 1851 al Pantheon costruito da Froment e conservato nel Museo delle Arti e dei Mestieri di Parigi; fig.14Le oscillazioni del pendolo di Foucault a tre diverse latitudini. Al polo nord, per un osservatore sulla Terra, la rotazione completa del piano di oscillazione avviene in un giorno sidereo. Nei diversi punti all’equatore il piano di oscillazione è lo stesso. In una situazione intermedia il periodo di rotazione cresce all’avvicinarsi all’equatoreLa risposta è nelle diverse forze che il pendolo risente nei diversi punti dell’oscillazione. La gravità, come nel caso della caduta dei gravi, non può essere considerata costante. È possibile comunque un approccio legato alle velocità. Consideriamo il pendolo gigantesco della figura 15 che oscilla nel piano del meridiano. Nei due punti estremi rispetto al centro dell’oscillazione le intensità delle velocità perpendicolari al piano sono rispettivamente minore (il punto è più vicino all’asse della rotazione) e maggiore (il punto è più lontano dall’asse). E se la velocità del punto centrale a causa della rotazione è ω Rcos φ, le altre due differiscono di una quantità pari a R’. Semplici considerazioni geometriche portano a scrivere per la correzione della distanza, R’=ω rsen φ, con ω velocità angolare terrestre, R raggio della Terra, r ampiezza dell’oscillazione.

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Di nuovo muoversi in un campo di velocità variabili a causa della rotazione comporta una deviazione. Agli estremi vale la relazione: v= ω Rcos φ ± ω rsen φ , intendendo il valore negativo per l’oscillazione nel punto più a nord e quello positivo per l’oscillazione nel punto più a sud. All’equatore la latitudine è zero e tutti i punti del piano di oscillazione hanno la stessa velocità dovuta alla rotazione terrestre v= ωR. Il piano di oscillazione rimane inalterato, il periodo della precessione è infinito. Ad altre latitudini diverse dai punti singolari per un osservatore terrestre la componente est-ovest della sua velocità tende a far ruotare il piano del pendolo. Il tempo necessario a percorrere una circonferenza 2πr a un corpo che viaggia alla velocità ω rsen φ è semplicemente T=2πr/ω rsen φ =24h/sen φ.

Capire perché il pendolo di Foucault ideale (senza attriti) durante la rotazione del piano mantenga la variazione di velocità costante tra il centro e gli estremi anche quando ha raggiunto un piano perpendicolare a quello del meridiano, non è intuitivo. Il piano del pendolo per un osservatore terrestre ruota di fatto con velocità costante dipendente da sen φ.

fig.15 Rappresentazione schematica del pendolo di Foucault che mostra perché la sfera nel punto più a sud si muove più velocemente rispetto al punto più a nord rispetto a un sistema inerziale

Oggi moltissime Istituzioni, Laboratori e Musei ospitano pendoli di Foucault corretti con sistemi elettromagnetici che compensano la resistenza dell’aria e fu ancora Léon Foucault ormai fisico dell’Osservatorio per volere di Napoleone III apportare al suo pendolo questa modifica per l’esposizione universale di Parigi del 1855.

fig.16 La rotazione oraria osservata da un riferimento non inerziale del piano di oscillazione di un pendolo di Foucault nel Museo della Scienza di Barcellona; fig.17Un’immagine recente del pendolo di Foucault nel Pantheon di Parigi

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Diversi anni dopo l’interpretazione del moto del pendolo venne ricondotta alla forza percepita da un oggetto in moto in un sistema rotante. Il primo a trattare in modo completo la trasformazione di coordinate da un sistema inerziale a uno accelerato era stato Gaspard-Gustave Coriolis. La prova della rotazione della Terra fu replicata immediatamente in molti luoghi per verificare la legge dei seni.A Roma sempre nel 1851, Angelo Secchi, Direttore del Collegio Romano ed importante scienziato, costruì un pendolo tipo Foucault e ne eseguì la dimostrazione nella chiesa di Sant’Ignazio. La prova della rotazione terrestre che Guglielmini sperava di raggiungere sessanta anni prima, studiando la caduta dei gravi a San Pietro, era ora confermata da un gesuita. E se la caduta dei gravi aveva richiesto l’abilità analitica dei principali matematici dell’epoca, la precessione del pendolo, scartata come accidente dagli Accademici italiani, diveniva grazie a uno scienziato autodidatta, durante il secondo impero francese, il modo più semplice per “veder girar la Terra”.