Peculiarità organizzative del passaggio generazionale nelle … · 2016. 11. 20. · diffidenza e...

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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA Dipartimento di Economia e Management CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO TESI DI LAUREA Peculiarità organizzative del passaggio generazionale nelle aziende familiari. Relatore: Candidato: Prof.ssa Maria Zifaro Ilaria Marchetti Anno Accademico 2015/2016

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    UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

    Dipartimento di Economia e Management

    CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

    STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

    TESI DI LAUREA

    Peculiarità organizzative del passaggio

    generazionale nelle aziende familiari.

    Relatore: Candidato:

    Prof.ssa Maria Zifaro Ilaria Marchetti

    Anno Accademico 2015/2016

  • 2

    INDICE

    CAPITOLO 1

    LE AZIENDE FAMILIARI

    1.1. Premessa

    1.2. Caratteristiche e peculiarità delle aziende familiari

    1.2.1 Punti di forza e di debolezza

    1.3. Gli assetti istituzionali delle imprese familiari

    CAPITOLO 2

    LA GOVERNANCE NELLE AZIENDE FAMILIARI

    2.1 L’importanza della governance nelle imprese a conduzione familiare

    2.2 I modelli di governance

    2.3 Composizione della governance nelle aziende familiari

    CAPITOLO 3

    LA SUCCESSIONE FAMILIARE IN AZIENDA

    3.1 I fattori che condizionano la successione

    3.2 Modalità, tempi e strategie di ingresso del successore

    3.3 Il trasferimento delle conoscenze detenute dall’imprenditore

  • 3

    CAPITOLO 4

    IL PROCESSO DI SUCCESSIONE

    4.1 Le fasi del processo di successione

    4.2 Il passaggio generazionale nell’azienda Alfacolor s.r.l.

    4.2.1 La storia

    4.2.2 Il profilo organizzativo e strategico

    4.2.3 Analisi del processo di successione

    Appendice A - Questionario

    BIBLIOGRAFIA

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    CAPITOLO 1

    LE AZIENDE FAMILIARI

    1.1 Premessa

    Le aziende familiari costituiscono da sempre una componente essenziale della

    struttura economica italiana.

    Tale fenomeno è riscontrabile, sia pure in misura diversa, in tutti i Paesi a

    economia di mercato tanto che non esiste un Paese né settore economico in cui le

    aziende familiari non siano presenti1.

    In Italia, però, questo fenomeno assume un’intensità maggiore sia per motivi

    strutturali sia per ragioni legate al contesto normativo e culturale in cui queste aziende

    nascono ed operano.

    La complessità delle relazioni affettive e il loro intreccio con il patrimonio

    aziendale influenza le scelte strategiche e genera, di volta in volta, vantaggi reciproci

    per i due istituti: quello della famiglia e quello dell’impresa.

    Se alla nozione di imprenditore e di famiglia si associa anche il termine

    patrimonio, si identifica un concetto ancora più ampio: il concetto di family business.

    Questo è inteso come l’insieme di legami, affettivi e patrimoniali, che si

    evolvono nel tempo e si vengono ad instaurare tra i componenti della famiglia e la

    famiglia stessa, nonché tra questa e l’impresa2.

    Il family business si contraddistingue per una forte leadership3, per la

    concentrazione del potere aziendale nelle mani del fondatore e/o della sua famiglia, e

    per il fatto che proprietà e management coincidono.

    1A cura di Corbetta G.,“Capaci di crescere. L’impresa italiana e la sfida della dimensione.”,

    Egea (2005). 2ivi

    3La parola leadership deriva dal verbo inglese ‘to lead’ che significa dirigere, pertanto

    questo termine fa riferimento alla capacità di un individuo di saper guidare un gruppo di

    persone. In ambito lavorativo è colui che conduce una squadra al raggiungimento di

    determinati obiettivi. Nel fare ciò combina l’abilità a comprendere quali siano gli obiettivi

    raggiungibili con la capacità di motivare gli altri. Negli anni 60 Likert ha individuato quattro

    stili di leadership: 1.l’autoritario minaccioso che prende tutte le decisioni autonomamente

    circa scopi, modalità d’attuazione e tempi, per poi comunicarle al gruppo; 2.l’autoritario-

    http://www.crescita-personale.it/search/976/tag/leadershiphttp://www.crescita-personale.it/vita-di-ufficio/2279http://www.crescita-personale.it/search/976/tag/leadership

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    Per questo motivo occupa un ruolo centrale la famiglia proprietaria ed il

    processo evolutivo appare condizionato dalle dinamiche che intercorrono tra la

    componente familiare e quella imprenditoriale4.

    In Italia, più che in altri Paesi, queste tipologie d’impresa, indipendentemente

    dal settore di attività o dalla loro dimensione patrimoniale, coincidono con un nucleo

    familiare che le gestisce ed è proprietario della totalità, o della maggioranza, del

    capitale.

    Pertanto, coloro che detengono il capitale generalmente si occupano anche

    dell’amministrazione e della gestione dell’azienda5.

    Questa peculiarità differenzia le imprese italiane da quelle di altri Paesi europei

    e dal modello americano.

    Le imprese familiari, fino a poco tempo fa, erano considerate una forma

    organizzativa destinata ad estinguersi, sulla quale venivano espressi giudizi di

    diffidenza e perplessità in merito alla durabilità nel tempo6.

    Le funzioni inerenti la proprietà, il controllo e la direzione sono tutte

    concentrate nelle mani dell’imprenditore o al massimo dei suoi familiari.

    -benevolente che incoraggia il gruppo attraverso delle ricompense e lo coinvolge nel

    processo decisionale, sebbene spetti a lui l’ultima parola; 3.il consultativo che aumenta la

    partecipazione del gruppo grazie ad una comunicazione bidirezionale; 4.il partecipativo che

    si avvale di una rete di comunicazione efficace basata sulla collaborazione e sulla presa

    democratica delle decisioni.

    Sebbene non esista una figura ideale, ogni buon leader deve adattarsi alla realtà nella quale

    si trova ad operare, fissando una direzione strategica che sia chiara a tutti i membri del

    gruppo; incoraggiando le idee innovative e concordando tempi e modalità di lavoro con i

    dipendenti; deve essere in grado di sostenere e sviluppare le capacità dei dipendenti,

    costruire un team coeso che affronti gli eventuali conflitti senza lasciarsi travolgere da essi,

    delegare quanto possibile per creare un clima di fiducia e per responsabilizzare, elogiare i

    dipendenti per la qualità del loro operato e fornire reali opportunità di carriera. 4Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 5ivi

    6a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità

    Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).

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    Man mano che il numero dei membri cresce, la proprietà rischia di

    frammentarsi, e la famiglia gioca un ruolo fondamentale nel nutrire i valori di fondo e

    nel dare alle nuove generazioni un senso di orgoglio e di appartenenza all'azienda

    come istituzione7.

    Ciò che traspare è che, con il passare del tempo, le aziende familiari più longeve

    hanno avviato un processo di apertura, un allargamento della direzione, una

    progressiva separazione di funzioni tra i proprietari e quei soggetti che influenzano il

    destino dell’impresa, quali manager e amministratori esterni8.

    L'obiettivo è quello di far crescere l'azienda pur mantenendo il controllo nelle

    mani della famiglia.

    Le due categorie diventano una variabile critica per la continuità dell’impresa e

    vanno gestite attraverso la progettazione di adeguate strutture di governance atte a

    garantire una pacifica convivenza ed una continua unione tra dinamiche familiari,

    affettive e sociali.

    Un buon sistema di corporate governance deve infatti garantire un equilibrio tra

    i tanti interessi coinvolti all’interno della famiglia e/o delle famiglie proprietarie9.

    La longevità dell’impresa familiare si basa su due sfide: ottenere risultati in

    linea o superiori alla media del settore e mantenere la famiglia unita e volta al

    miglioramento dell’azienda.

    Per quanto riguarda la prima sfida, si fa riferimento al Modello delle Cinque

    Forze di Porter (figura 1)10

    .

    7a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità

    Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012). 8ivi

    9Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 10

    Robert M. Grant, “L’analisi Strategica per le Decisioni Aziendali”, il Mulino (2011).

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    Figura 1 – Modello delle cinque forze di Porter

    Fonte: rielaborazione tratta da Robert M. Grant, L'analisi strategica per le decisioni aziendali,

    4ª ed., Bologna, il Mulino, 2011.

    E’ un sistema utilizzabile dalle imprese per valutare la propria posizione

    competitiva e di conseguenza la propria redditività.

    Il modello si propone di individuare le forze che operano nell’ambiente

    economico e che, con la loro azione, erodono la redditività a lungo termine delle

    imprese.

    Gli attori di tale modello sono:

    - i concorrenti diretti: soggetti che offrono la stessa tipologia di prodotto sul

    mercato;

    L’intensità della concorrenza e la loro rivalità incide sulla redditività

    dell’attività svolta dall’impresa: politiche dei prezzi, nuovi prodotti, servizi pre e post

    vendita, campagne pubblicitarie volte a ottenere il favore della clientela rispetto alla

    concorrenza riducono la redditività dell’impresa.

    Le situazioni possono differenziarsi a seconda del numero dei concorrenti

    presenti sul mercato, delle quote di mercato possedute da ognuna, della diversità dei

    concorrenti, della differenziazione dei prodotti, di eventuali costi di passaggio, di

    eccesso di capacità produttiva, di barriere all’uscita (costi fissi per l’uscita,

    condizionamenti emotivi, ecc..);

    https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Mulino

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    - fornitori: coloro dai quali l’azienda acquista materie prime e semilavorati

    necessari per svolgere il processo produttivo e che potrebbero decidere di

    integrarsi a valle11

    ;

    - clienti: i destinatari dell’output prodotto dall’azienda che potrebbero

    decidere di integrarsi a monte12

    ;

    - potenziali entranti: soggetti che potrebbero entrare nel mercato in cui opera

    l’azienda, andando a sottrarle clienti, segmenti di mercato, profitti,ecc..;

    La minaccia rappresentata da potenziali concorrenti dipende soprattutto dalla

    presenza o meno di barriere all’entrata, quali: economie di scala, differenziazione

    prodotto (fedeltà del consumatore, identificazione con la marca), politiche governative

    (autorizzazioni, licenze), reazioni dei concorrenti (prezzi di dissuasione), costi di

    passaggio (costi di apprendimento), accesso ai canali di distribuzione (esempio:

    scaffali del supermercato, agenti e rappresentanti).

    I nuovi concorrenti sono attratti soprattutto quando i margini di profitto sono

    elevati e le barriere sono basse.

    - produttori di beni sostitutivi: soggetti che immettono sul mercato prodotti

    diversi da quelli dell’impresa di riferimento ma che soddisfano, in modo

    diverso, lo stesso bisogno del cliente.

    Più favorevole è la propensione del consumatore a sostituire il prodotto e il

    rapporto tra prezzo e qualità dei prodotti sostitutivi, maggiore è la minaccia

    rappresentata dalla presenza di prodotti sostitutivi.

    L’analisi delle cinque forze permette all’impresa di ottenere un quadro

    completo sulla sua posizione competitiva, di prendere decisioni strategiche e di

    stabilire i comportamenti e gli atteggiamenti da adottare per mantenere i suoi profitti e

    la sua redditività nel medio/lungo periodo.

    11L’integrazione a valle consiste nel controllo da parte di un’azienda di un passaggio

    successivo rispetto a quello che già ricopre; ad esempio, un’impresa assemblatrice di

    automobili che apre una propria concessionaria. (Grant M.R.,2011) 12

    L’integrazione a monte si ha quando un’azienda decide di assumere il controllo di una fase

    antecedente a quella svolta; ad esempio quando un’impresa assemblatrice di automobili

    inizia a produrre volanti o altre parti. (Grant M.R.,2011)

  • 9

    La strategia perseguita dall’impresa deve cercare di creare e mantenere il

    vantaggio competitivo dell’azienda rispetto alla concorrenza.

    Nell’analizzare la seconda sfida, invece, ci troviamo di fronte alla logica del

    cosiddetto miglioramento continuo13

    .

    E' l'insieme delle azioni intraprese a vantaggio sia dell'intera organizzazione sia

    dei clienti.

    Questo è un processo che si sviluppa a piccoli passi, con continuità e con effetti

    nel medio/lungo termine e che produce cambiamenti graduali e costanti.

    L’obiettivo è promuovere un ambiente di lavoro dove si incoraggia l’inventiva e

    l’innovazione.

    In un approccio di miglioramento continuo, la cultura di fondo è di tipo

    gestionale, basata sui valori, sulle risorse umane e sul coinvolgimento di tutti, che

    presuppone lo sviluppo di nuove capacità e competenze.

    In questo senso, è fondamentale assestare la governance su un modello

    condiviso di ripartizione dei ruoli e del potere decisionale, tracciare le relazioni tra la

    proprietà e il management e definire le linee di supporto finanziario allo sviluppo

    dell’attività14

    .

    In termini di governance, come vedremo nel secondo capitolo, le aziende che

    vivono più a lungo sono quelle in cui il potere di chi occupa posizioni di responsabilità

    è ottenuto sulla base di un approccio meritocratico.

    13Luciano Attolico,”Innovazione Lean. Strategie per valorizzare persone, prodotti e

    processi.”, Hoepli (2012). 14

    a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità

    Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).

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    1.2 Caratteristiche e peculiarità delle aziende familiari

    L’impresa familiare si configura come un sottoinsieme del più vasto insieme

    delle imprese e, pertanto, ne possiede tutti i requisiti essenziali15

    .

    E’ caratterizzata dal forte legame con uno o più nuclei familiari che, apportando

    capitale di rischio, la formano.

    In Italia, più che in ogni altro Paese sviluppato, le imprese familiari coincidono

    con un nucleo familiare che le gestisce ed è proprietario della totalità, o della

    maggioranza, del capitale16

    .

    Le attività di queste imprese sono in prevalenza commerciali, artigianali, o di

    produzione di servizi, ma possono anche rientrarvi imprese industriali17

    .

    La prevalenza dell’elemento familiare può comportare il verificarsi di una serie

    di difficoltà dovute alla tendenza a voler trasferire le norme e i comportamenti tipici di

    una famiglia all’interno dell’azienda; questi, infatti, potrebbero non essere in linea con

    gli elementi che caratterizzano la gestione aziendale.

    Pertanto emergono una serie di punti di debolezza tipici di un’azienda familiare

    con cui l’organo al vertice si scontra e nei confronti dei quali è necessario adottare una

    strategia volta al compromesso.

    Ciò che risalta nel nostro Paese è la particolare importanza che viene data alla

    differenza tra impresa di famiglia e impresa familiare18

    .

    Nel primo caso la famiglia controlla la proprietà, si preoccupa di reperire i

    mezzi monetari necessari allo svolgimento dell’attività economica, incoraggia e

    sostiene eventuali idee innovative e, laddove le esigenze organizzative lo richiedano,

    affida l’attività decisionale a manager professionisti.

    15Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 16

    ivi 17

    a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità

    Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012). 18

    ivi

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    L’impresa familiare, invece, si caratterizza per il fatto che proprietà e

    management rimangono saldamente ancorate alla famiglia19

    .

    Volendo, quindi, dare una prima semplice definizione di impresa familiare,

    possiamo dire che essa rappresenta quell’impresa nella quale i portatori di capitale di

    rischio, gli organi di governo e coloro che prestano la propria opera all’interno

    dell’impresa appartengono ad un’unica o a poche famiglie tra loro collegate da vincoli

    di parentela e/o affinità20

    .

    L’art. 230 bis del Codice Civile definisce impresa familiare quella nella quale

    collaborano in via continuativa il coniuge ed i parenti entro il terzo grado e gli affini

    entro il secondo grado dell’imprenditore21

    .

    La norma, inoltre, dispone che il familiare che svolge in modo continuativo la

    sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al

    mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della famiglia, e partecipa agli utili

    dell’impresa ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda in

    proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

    Il suddetto articolo è stato introdotto dalla legge n. 151/1975 sulla riforma del

    diritto di famiglia, che ha trasformato l’intero impianto giuridico relativo ai rapporti

    familiari.

    Tuttavia, l’art. 230 bis del Codice Civile ha dato vita ad una serie di problemi

    interpretativi.

    Un esempio è il fatto che la norma non si pronuncia riguardo la relazione

    intercorrente tra le imprese familiari e quelle gestite da entrambi i coniugi.

    19Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 20

    Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 21

    La legge precisa che i parenti entro il terzo grado sono i discendenti (il figlio, il figlio del

    figlio e il pronipote); gli ascendenti (il genitore, il nonno e il bisavolo); i collaterali (il

    fratello o la sorella, il nipote figlio di sorella o di fratello, lo zio). Mentre, gli affini entro il

    secondo grado sono: il figlio (solo del coniuge); il figlio del figlio; il genitore e il nonno, il

    fratello e la sorella; il coniuge del figlio (genero o nuora); il coniuge del figlio del figlio; il

    coniuge del genitore quando non sia anch’egli genitore; il coniuge e del fratello (cognato).

  • 12

    Il principale obiettivo dell’art. 230 bis del Codice Civile è quello di tutelare in

    modo adeguato il lavoro svolto nella famiglia e nell’impresa familiare, conferendogli

    un riferimento giuridico.

    Un elemento che ha portato all’emanazione della norma è la graduale riduzione

    delle funzioni della famiglia in ambito sia economico che sociale dovuto allo sviluppo

    della società industriale che ha contribuito all’affermazione di un modello di famiglia

    formato dai genitori e dai figli, che ha sostituito, nel tempo, quello tradizionale di tipo

    esteso.

    Ulteriore condizione, sufficiente per definire un’impresa familiare, è il

    possesso, da parte di una o più famiglie tra loro collegate, di una quota che consenta

    loro di esercitare il controllo sull’azienda.

    Quello che emerge è il forte e reciproco legame che si crea tra azienda e

    famiglia.

    L’impresa, infatti, rappresenta la principale fonte di reddito per la famiglia

    nonché il risultato del suo benessere, del suo prestigio e della sua collocazione sociale.

    La famiglia fornisce all’azienda capitale, e contribuisce in modo rilevante alla

    formazione di particolari tradizioni imprenditoriali.

    Sia la letteratura nazionale che quella internazionale hanno cercato di

    classificare le imprese familiari prendendo in considerazione gli elementi che le

    caratterizzano, dando vita a differenti tipi di definizioni (tabella 1).

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    Tabella 1 - Definizioni di impresa familiare

    Autore Definizione

    Bernard (1975) Un’impresa che è controllata dai membri di una singola

    famiglia.

    Barnes, Hershon

    (1976)

    Un’impresa nella quale un individuo o i membri di una singola

    famiglia detengono una partecipazione di controllo.

    Davis (1983)

    Sono familiari quelle imprese in cui gli aspetti strategici e

    gestionali sono soggetti all’influenza significativa di una o più

    famiglie. L’influenza è esercitata attraverso la proprietà.

    Rosenblatt (1985)

    Un’impresa in cui la maggioranza del capitale o il controllo è

    nelle mani di una singola famiglia e almeno due membri di

    questa sono stati direttamente coinvolti nella gestione.

    Pratt, Davis (1986)

    Un business nel quale due o più familiari ne influenzano la

    gestione attraverso l’esercizio dei legami familiari, dei ruoli

    manageriali e dei diritti di proprietà.

    Stern (1986) Un business posseduto e gestito dai membri di una o due

    famiglie.

    Babichy (1987)

    E’ il tipo di piccola impresa avviata da una o poche persone

    che hanno un’idea imprenditoriale, che lavorano duramente per

    garantirne lo sviluppo e che, spesso con l’apporto di risorse

    limitate, riescono a garantirne la crescita mantenendo la

    maggioranza del capitale.

    Lansberg (1988) Un business nel quale i membri di una famiglia hanno il

    controllo legale sulla proprietà.

    Dreux (1990)

    Sono imprese che sembrano essere controllate da una o più

    famiglie che hanno un livello di incidenza nella governance

    organizzativa sufficiente ad influenzare in maniera sostanziale

    le decisioni aziendali.

    Donckels, Frohlich

    (1991)

    Un’impresa in cui i membri della famiglia possiedono almeno

    il 60% del capitale.

  • 14

    Lyman (1991) Un’impresa in cui la proprietà deve essere detenuta

    completamente dai membri di una famiglia.

    Holland, Oliver

    (1992)

    Qualsiasi business nel quale le decisioni inerenti la proprietà o

    la gestione sono influenzate da relazioni tra i membri di una o

    più famiglie.

    Corbetta, Dematté

    (1993)

    Si parla di imprese familiari quando una o poche famiglie

    collegate da vincoli di parentela, di affinità o di solide alleanze

    detengono quote di capitale di rischio sufficienti ad assicurare

    il controllo dell’impresa.

    Carsrud (1994)

    Un’impresa dove partecipano un numero limitato di soggetti e

    in cui la proprietà e il processo decisionale sono dominati da

    un gruppo di soggetti legati da rapporti affettivi e di parentela.

    Litz (1995) E’ familiare quell’impresa in cui la proprietà e la gestione sono

    concentrate nelle mani di un’unica famiglia.

    Sharman (1997)

    Si definisce family business quell’attività di impresa che viene

    gestita con l’intenzione di formare, sviluppare e sostenere nel

    tempo una vision condivisa da una coalizione dominante,

    controllata da membri della stessa famiglia o da un ristretto

    gruppo di famiglie.

    Astrachan,

    Shanker (2003)

    E’ familiare quel business in cui la famiglia ha il controllo

    sulle attività strategiche e partecipa, a vario titolo e grado, al

    business (definizione ampia); il proprietario deve avere

    l’intenzione di tramandare l’impresa agli eredi e il fondatore o

    gli eredi devono essere coinvolti nella gestione (definizione

    media); più generazioni presenti nell’impresa e almeno un

    membro della famiglia controllante deve essere coinvolto nella

    gestione (definizione stretta).

  • 15

    Villalona, Amit

    (2006)

    E’ familiare quel business in cui:

    - uno o più familiari detengono almeno il 50% del

    capitale o sono amministratori o manager;

    - è presente almeno un familiare come amministratore o

    come manager;

    - la famiglia è il principale azionista votante;

    - uno o più membri della famiglia delle generazioni

    successive alla prima detengono almeno il 5% del

    capitale o sono manager o amministratori;

    - la famiglia è il principale azionista e ha almeno un

    familiare come manager e uno come amministratore;

    - la famiglia possiede almeno il 20% del capitale votante

    ed è il principale azionista;

    - uno o più familiari posseggono almeno il 5% del

    capitale o sono amministratori, ma non ci sono familiari

    tra i manager;

    - la famiglia è il principale azionista, possiede almeno il

    20% del capitale votante, almeno un familiare è

    amministratore e uno è manager, la famiglia è alla

    seconda o terza generazione.

    Aidaf (2008)

    Per aziende familiari si intendono le imprese in cui una o più

    famiglie collegate tra loro da legami di parentela, da solide

    alleanze, detengono il potere di nominare gli organi di

    governo.

    Fonte: rielaborazione da Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle

    Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

    Nelle definizioni dei vari studiosi è possibile individuare alcuni elementi

    comuni:

    - una quota importante del capitale di rischio è detenuta dal nucleo familiare;

    - l’imprenditore, ma anche i familiari, apportano capacità, competenze e lavoro.

    Caratteristica comune ad ogni definizione è la stretta interdipendenza tra

    impresa e famiglia, sia sotto l’aspetto economico - patrimoniale, sia con riferimento

    alla sua natura sociale.

  • 16

    A conclusione di ciò, si può dire che un’impresa si definisce familiare quando

    una quota del capitale di rischio è posseduta da una o più famiglie, e uno o più

    membri di queste prestano la propria opera all’interno di essa22

    .

    La combinazione dei molteplici aspetti presenti nelle varie definizioni rivela

    una serie di elementi che danno luogo a diverse tipologie di classificazione delle

    imprese familiari.

    La prima è quella che determina la familiarità o meno dell’impresa, sulla base

    di tre condizioni:

    a) la struttura

    b) il rapporto di interdipendenza tra famiglia e impresa

    c) il grado di coinvolgimento della famiglia in azienda.

    Combinando tra loro queste dimensioni, si ottengono tre tipologie di imprese23

    :

    1) imprese a familiarità crescente, dove proprietà e gestione appartengono ad un

    unico individuo;

    2) imprese a familiarità calante, dove si tende a diminuire il grado di

    interdipendenza dell’azienda dalla famiglia;

    3) imprese potenzialmente stabili, nelle quali proprietà e management sono

    concentrate nelle mani della famiglia.

    Assumendo, invece, come parametro di riferimento il tipo di relazione che la

    famiglia intrattiene con l’impresa, possiamo classificare le imprese familiari in24

    :

    a) imprese familiari di lavoro, dove la famiglia lavora all’interno dell’impresa e si

    preoccupa di promuovere e creare le condizioni organizzative affinché coloro

    che lo desiderano possano lavorarvi;

    22Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 23

    Litz R.A., “The family business: toward definitional clarity”, Family Business Review, vol.

    VIII, n.2, (1995). 24

    Gallo M.A., “Cultura en empresa familiar”, IESE, Barcellona (1993).

  • 17

    b) imprese familiari di direzione, dove la famiglia lavora all’interno dell’impresa e

    concede l’ingresso in azienda solo ai componenti del nucleo familiare

    meritevoli e dotati di particolari competenze professionali;

    c) imprese familiari di investimento, dove la famiglia si interessa soprattutto

    dell’attuazione e del controllo degli investimenti in essere senza avere un

    coinvolgimento diretto nell’azienda;

    d) impresa familiare congiunturale, dove la famiglia gestisce l’impresa per motivi

    di carattere storico piuttosto che per volontà del singolo componente.

    Ulteriore classificazione è quella che utilizza come criterio la dimensione

    dell’impresa e il livello di concentrazione della proprietà e del controllo nelle mani

    della famiglia, classificando le imprese a prescindere dal grado di parentela dei

    componenti. Sulla base di questo, si suddividono le imprese in25

    :

    1) imprese familiari domestiche (o a proprietà chiusa e concentrata): sono

    imprese giovani, di piccole dimensioni, dove lavorano poche persone e dove gli

    organi di governo sono costituiti da soli familiari; proprietà e controllo sono

    concentrati nelle mani di pochi soggetti, è molto forte il senso di appartenenza

    all’azienda e la gestione avviene attraverso metodi e procedure informali;

    l’imprenditore non è disposto all’apertura esterna ed è ostile ad ogni forma di

    cambiamento;

    2) imprese familiari allargate: le dimensioni dell’impresa sono medie o grandi; si

    assiste a processi di apertura del capitale a persone diverse dai familiari, ma il

    controllo rimane nelle mani della famiglia;

    3) imprese familiari aperte: le dimensioni dell’azienda sono medie o grandi ed il

    capitale è concentrato nelle mani di soggetti diversi dal fondatore; proprietà e

    controllo sono dispersi tra più soggetti, non necessariamente appartenenti allo

    stesso nucleo familiare.

    25Corbetta, Dematté, “I processi di transazione delle imprese familiari”, Mediocredito

    Lombardo, Milano (1993).

  • 18

    Si può, quindi, affermare che per classificare un’impresa come familiare è

    fondamentale che si verifichino contemporaneamente le seguenti condizioni:

    - un singolo individuo o più individui, legati da vincoli di parentela, controllino

    l’impresa;

    - i componenti del nucleo familiare prestino la propria opera all’interno

    dell’impresa, o quanto meno abbiano una rappresentanza tra gli organi di

    governo;

    - la famiglia manifesti la volontà o quanto meno l’intenzione di voler trasferire

    l’impresa alle generazioni successive.

    Un primo approccio alla definizione di family business è quello che

    approfondisce il concetto di azienda familiare facendo riferimento all'assetto

    proprietario26

    .

    In questa categoria rientrano quei contributi basati su un approccio di tipo mono

    variabile, ossia basato su un'unica dimensione di analisi.

    L'attenzione è focalizzata sul coinvolgimento di una o più famiglie nella

    proprietà dell'azienda.

    Condividendo tale definizione, il campo di indagine si restringe a quelle

    imprese in cui i portatori di capitale di rischio e i prestatori di lavoro appartengono ad

    un'unica famiglia.

    Sempre in questa categoria, rientrano quelle definizioni che, sulla base di una

    pluralità di parametri, tentano di misurare il grado di influenza e di coinvolgimento

    della famiglia in azienda, quali il controllo che la famiglia ha sulle decisioni

    strategiche e la volontà di mantenere l'impresa all'interno della famiglia stessa.

    26Corbetta G., “Le Imprese Familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo”,

    Egea, (1995).

  • 19

    In conformità a questo secondo ordine di definizioni, è stato teorizzato l'indice

    F-PEC (Family - Power, Experience, Culture), uno strumento di quantificazione del

    grado di coinvolgimento della famiglia, delineato lungo tre dimensioni27

    :

    1) il potere: esprime il grado di coinvolgimento dei familiari nella proprietà e nella

    gestione;

    2) l’esperienza: esprime il grado di coinvolgimento di più generazioni nella

    proprietà e nella gestione;

    3) la cultura: esprime il grado di sovrapposizione tra valori aziendali e familiari e

    il perseguimento di interrelazioni reciproche tra la famiglia, l'organizzazione e

    l'ambiente.

    Un secondo approccio alla definizione di family business è quello che volge

    l'interesse verso la volontà o l'intenzione di trasferire l'azienda agli eredi (come

    vedremo nel terzo capitolo).

    Questa definizione unisce ai connotati in precedenza enunciati il

    coinvolgimento di più generazioni nella proprietà e nel controllo28

    .

    Un terzo e ultimo approccio è quello che raccoglie in sé le cosiddette

    definizioni “miste”, le quali si rifanno a molteplici condizioni: a elementi tipicamente

    oggettivi, quali le condizioni legate alla proprietà e al management, sono combinati

    elementi soggettivi, quali l'identificazione e il senso di appartenenza alla famiglia

    (ossia tutti quegli elementi facenti riferimento alla sfera emotiva e comportamentale)29

    .

    Alla luce di ciò, emerge che l'aggettivo familiare, attribuito all'impresa, non può

    corrispondere a una quantificazione assoluta, ma è soggetto a variazioni30

    .

    27Astrachan J.H., Klein S.B., Smyrnios K.X., “The F-PEC scale of family influence: a

    proposal for solving the family business definition problem”, Family Business Review,

    (2002). 28

    Boldizzoni D., “L’impresa Familiare: caratteristiche distintive e modelli di evoluzione”, Il

    Sole 24 Ore, (1998). 29

    Montanari S., “I Percorsi Evolutivi delle Definizioni del Family Business: dalle concezioni

    teoriche alle proposte operative”, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale,

    (2008). 30

    a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità

    Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).

  • 20

    L’impresa familiare è un sistema complesso nell’ambito del quale si intersecano

    tre distinti sottosistemi: la famiglia, la proprietà e l’impresa (figura 2)31

    .

    Ciascun sottosistema risponde a logiche ed esigenze diverse:

    - la famiglia ruota attorno ai valori della coesione e dell’armonia; concepisce

    l'impresa come fonte di benessere finanziario e come uno strumento di identità

    familiare da trasmettere nel tempo; ciascun membro è coinvolto in azienda

    indipendentemente dal fatto di essere coinvolto nella proprietà o nel

    management;

    - la proprietà è incentrata sull’interesse e sul ritorno dell’investimento;

    rappresenta l'insieme dei soggetti che considera l'azienda come un investimento

    dal quale si attende una remunerazione soddisfacente;

    - l’impresa esprime esigenze di efficienza operativa in termini di economicità;

    rappresenta lo strumento per realizzare la propria crescita professionale ed

    economica. Questo sottosistema è costituito da quei soggetti portatori di

    interessi orientati a prospettive di carriera e di sviluppo dell'azienda.

    Figura 2 – Modello del family business

    Fonte: Davis J.A, Tangiuri R., “Bivalent attributes of the family firm”, (1982) – ristampa in

    Family Business Review, vol.IX, n.2 (1996).

    31

    Davis J.A, Tangiuri R., “Bivalent attributes of the family firm”, (1982) – ristampa in Family

    Business Review, vol.IX, n.2 (1996).

    Proprietà

    P. I. P. F.

    P. F. I.

    F. I. Impresa Famiglia

  • 21

    Nell’area in cui i tre sottosistemi si sovrappongono (P. F. I.), il fondatore o

    l’imprenditore proprietario è membro della famiglia e allo stesso tempo è il principale

    responsabile di tutte le attività di gestione dell’impresa.

    L’area di sovrapposizione famiglia – impresa (F. I.) individua quei soggetti,

    membri della famiglia, che, pur essendo esclusi dalla proprietà dell’azienda,

    partecipano direttamente all’attività di gestione e direzione, apportando risorse critiche

    in termini di imprenditorialità, competenze tecniche e manageriali.

    Nell’area di sovrapposizione proprietà – famiglia (P. F.) si trovano i membri

    della famiglia che non prestano la propria opera all’interno dell’organizzazione, ma

    apportano mezzi monetari sotto forma di capitale proprio, in qualità di soci.

    Si tratta, quindi, di soggetti interessati ad ottenere un ritorno dall'investimento

    effettuato, ma che, allo stesso tempo, promuovono la crescita e l'espansione del

    business di famiglia.

    Infine, nell’area di sovrapposizione proprietà – impresa (P. I.) sono presenti

    attori non facenti parte della famiglia, ma coinvolti sia nella proprietà che nell’attività

    di gestione.

    All’esterno di queste aree si trovano attori indipendenti dalle relazioni che

    caratterizzano l’azienda, ossia membri della famiglia non coinvolti nella compagine

    proprietaria, né interessati all’attività aziendale, dirigenti o lavoratori assunti al di fuori

    del nucleo familiare ed estranei all’ambito proprietario32

    .

    I tre sistemi si condizionano reciprocamente e tale condizionamento è tanto più

    forte quanto più è estesa la presenza del nucleo familiare nella proprietà e/o gestione

    aziendale.

    Il sistema proposto da Davis e Tangiuri permette di illustrare il motivo per cui

    la struttura dell’azienda familiare può essere fonte di conflitti tra i soggetti operanti in

    azienda.

    Poiché ciascun attore coinvolto ha il suo punto di vista e nutre bisogni ed

    esigenze differenti, è inevitabile che sorgano conflitti interaziendali.

    32Bonti M., “La Piccola e Media Impresa tra Famiglia e Innovazione” edizioni Il Borghetto,

    (2014).

  • 22

    I possibili conflitti tra i tre sottosistemi sono accentuati dal fatto che spesso,

    all’interno dell’azienda, i vari ruoli si sovrappongono e alcuni soggetti si trovano a

    gestire differenti punti di vista riguardo agli obiettivi aziendali e personali.

    Questo modello permette di individuare i vari interessi che si trovano all’interno

    dell’azienda, nonché i relativi punti di intersezione e di divergenza, mostrando come le

    differenti categorie di soggetti dipendano dalla posizione che assumono nell’ambito

    dei tre cerchi.

    La sovrapposizione tra regole del sistema familiare e regole del sistema

    aziendale può incidere in maniera determinante sulle scelte di gestione; il rischio più

    frequente è che le decisioni in azienda siano ispirate non dal criterio della razionalità

    economica, bensì dalle logiche di tipo familiare.

    Pertanto, è evidente che le scelte di gestione debbano essere orientate a

    risolvere questo possibile conflitto tra realtà familiare e aziendale.

    A tal proposito, entra in gioco il sistema di corporate governance, che può

    costituire un’importante leva di azione per lo sviluppo e la continuità aziendale, ossia

    quell’insieme di strutture e di processi attraverso i quali vengono prese le decisioni

    aziendali33

    .

    33a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità

    Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).

  • 23

    1.2.1 Punti di forza e di debolezza delle imprese familiari

    Nelle imprese familiari, il legame tra famiglia e impresa è molto forte.

    Questo è da considerarsi come l’elemento distintivo dal quale conseguono

    fattori di successo e di insuccesso nella messa in opera della funzione imprenditoriale.

    Ulteriore elemento di rilievo è il fatto che queste attività imprenditoriali sono

    caratterizzate dalla sostanziale coincidenza tra proprietà e controllo, nel senso che una

    medesima famiglia è al contempo coinvolta direttamente e in maniera significativa

    nella gestione, e detentrice di una rilevante quota di proprietà.

    Tra i punti di forza delle imprese familiari troviamo34

    :

    - maggiore indipendenza e autonomia decisionale, dovuta alla scarsa apertura al

    capitale di terzi ed alla tendenza all’autofinanziamento;

    - la presenza di un clima aziendale caratterizzato da una forza lavoro con un

    elevato senso di appartenenza e di lealtà nei confronti dell’imprenditore; questo

    implica l’adozione da parte dei membri della famiglia di un atteggiamento

    cooperativo, volto ad anteporre gli interessi dell’impresa agli interessi

    individuali;

    - ampiezza delle mansioni: collaboratori multitasking e ricchezza dei ruoli e

    compiti da svolgere;

    - rapporti diretti con i collaboratori;

    - velocità di comunicazione all’interno della struttura;

    - elevata importanza della cultura condivisa, grazie anche alla presenza di molti

    membri della famiglia;

    - gestione diretta del cliente: molti hanno infatti contatti diretti con

    l’imprenditore;

    34Kets de Vries, “The dynamics of the family business controller firms: the good news and the

    bad news.”, (1993) - adattamento da Bonti M., “La Piccola e Media Impresa tra Famiglia e

    Innovazione”, edizioni Il Borghetto, (2014).

  • 24

    - elevata produttività del lavoro e spirito di sacrificio presente in tutti o parte dei

    membri della famiglia;

    - flessibilità e adattabilità: elevata capacità di reazione e di adattamento ai

    mutamenti dell’ambiente circostante;

    - possibilità di maggiore successo, benefici finanziari;

    - una precoce formazione a favore dei membri della famiglia e in particolare

    degli eredi che entrano in azienda a ricoprire ruoli già in giovane età e dalla

    quale consegue una maggiore capacità di acquisire uno spirito imprenditoriale;

    - rapidità decisionale: decisioni assunte da un numero ristretto di persone.

    Al contrario, tra i punti di debolezza troviamo:

    - l’esistenza di nodi conflittuali tra gli interessi della famiglia e quelli

    dell’impresa;

    - la presenza di favoritismi nei confronti dei familiari; non è raro, infatti, che,

    durante le fasi di successione, vengano esclusi potenziali talenti a favore di

    soggetti selezionati sulla base del diritto di nascita e quindi non

    necessariamente dotati di capacità e di competenze utili alla gestione

    dell’attività (fenomeno del cosiddetto nepotismo);

    - l’esistenza di tensioni e disaccordi che si sviluppano in ambito familiare e si

    estendono sul funzionamento dell’impresa;

    - un minore accesso al mercato dei capitali;

    - la presenza di un’organizzazione confusa dovuta al fatto che non esiste una

    struttura organizzativa ben definita e non c’è una chiara divisione dei compiti e

    delle mansioni;

    - resistenza al cambiamento, dovuta alle regole paternalistiche ed autocratiche

    imposte dal fondatore;

    - la presenza di tensioni finanziarie dovute al fatto che alcuni membri della

    famiglia sfruttano l’impresa per soddisfare i propri interessi;

    - problemi nelle successioni generazionali;

    - scarsa programmazione: difficoltà a stabilire delle priorità;

    - scarsa apertura all’esterno della famiglia;

    - scarsa specializzazione: fatica a sviluppare competenze specifiche;

  • 25

    - difficoltà di gestione del personale: confusione tra sfera professionale e

    personale;

    - assenza di meccanismi formali e strutturati di confronto tra persone;

    - processi decisionali poco formalizzati e in prevalenza istintivi.

    Nelle aziende familiari emerge spesso una difficoltà: quella che l’imprenditore

    incontra nel separare l’azienda da se stesso e dalla propria famiglia.

    Questa difficoltà si manifesta sia nella riluttanza a perdere porzioni di controllo,

    sia nella scarsa propensione a valorizzare i dipendenti.

    L’accentramento delle funzioni di direzione e controllo in una stessa persona,

    l’imprenditore - fondatore, o in un ridotto numero di persone (i familiari del fondatore)

    comporta quasi inevitabilmente una forte deresponsabilizzazione delle altre figure

    presenti in azienda, in primo luogo di quelle dirigenziali: il dirigente esterno alla

    famiglia tende tipicamente a diventare più un esecutore della volontà del proprietario

    (o dei suoi eredi) che un soggetto dotato di propria autonomia e responsabilità35

    .

    Si genera così un circolo vizioso in cui, da un lato, l’impresa non riesce a

    cogliere le opportunità di crescita per insufficienza di competenze, professionalità e

    motivazioni e, dall’altro, non crescendo, comprime sempre più le professionalità che

    sono presenti, demotivando i più intraprendenti36

    .

    Per la piccola impresa familiare è dunque assolutamente vitale riuscire a dare

    vita ad una figura (di imprenditore, di dirigente, di quadro, etc.) che abbia le capacità e

    le competenze adeguate alle nuove sfide lanciate dalle recenti dinamiche di

    globalizzazione, caratterizzate dalla rapidità del cambiamento tecnologico unita a una

    intensa pressione competitiva su mercati internazionali sempre più allargati.

    35Marseguerra G., “Lo sviluppo dell’impresa familiare: le sfide della sussidiarietà.”

    36ivi

  • 26

    In questo contesto, sorge un crescente fabbisogno di capitale umano, e le

    piccole imprese familiari richiedono risorse umane sempre più qualificate e formate.

    Se, infatti, è importante un elevato livello complessivo di conoscenze e

    competenze, è però fondamentale che queste siano in grado di evolversi adattandosi

    alle continue trasformazioni in atto.

    Assume allora rilievo la formazione continua dei lavoratori: idealmente,

    l’istruzione e la formazione professionale non dovrebbero presentare soluzioni di

    continuità, così da permettere di soddisfare in modo integrato le richieste del sistema

    economico e della società in generale.

    Nel momento in cui le risorse naturali e il capitale fisico, un tempo solidi e

    decisivi vantaggi competitivi, perdono importanza rispetto alla conoscenza,

    all’informazione e al know-how tecnologico, la capacità competitiva di un’impresa,

    così come la sua capacità di crescere ed espandersi, è determinata in maniera sempre

    più decisiva dal suo investimento in capitale umano, che svolge un ruolo determinante

    nell’alimentare il cambiamento tecnologico e la sua diffusione.

    L’essere componenti di una famiglia conferisce al business un’identità ed uno

    scopo ben definiti e un attaccamento e un coinvolgimento elevato da parte dei membri

    della famiglia che riduce il rischio di comportamenti opportunistici, promuovendo

    l’allineamento degli interessi.

    Ed è proprio quest’ultimo che fa sorgere la volontà della generazione in essere

    di trasferirne la proprietà alle generazioni successive.

    Ciò conduce l’imprenditore ad operare in un’ottica di lungo periodo, che si

    protrae oltre la durata della vita stessa.

    L’azienda costituisce per l’imprenditore non soltanto una fonte di benessere

    economico e di prestigio sociale, ma diventa un vero e proprio strumento di

    autorealizzazione.

  • 27

    1.3 Gli assetti istituzionali delle imprese familiari

    La scelta dell’assetto istituzionale e con esso la definizione degli organi

    rappresentativi dell’impresa e dei loro compiti è necessaria per identificare i soggetti

    primari e le regole del gioco competitivo dell’azienda di famiglia.

    Nella letteratura sono presenti alcune teorie che consentono di capire quali sono

    i soggetti primari e le loro interrelazioni con l’azienda, suddivise in due gruppi di

    livello superiore37

    :

    a) le teorie gerarchiche

    b) le teorie pluraliste

    Nelle teorie gerarchiche rientrano le teorie manageriali, la teoria dell’agenzia e

    la teoria dei costi di transazione, accomunate dall’idea che l’impresa di famiglia è

    governata nell’interesse di una ben definita categoria di soggetti.

    Nelle teorie manageriali sono raccolti una pluralità di contributi teorici

    (Baumol, Williamson, Marris) che focalizzano l'attenzione sul fenomeno

    della separazione tra proprietà e controllo dell'impresa38

    .

    La proprietà delle grandi imprese moderne è, infatti, spesso distribuita tra una

    vasta pluralità di azionisti e questi, in quanto semplici investitori, tendono a

    disinteressarsi della gestione diretta dell'impresa, affidata a manager professionisti.

    Le funzioni imprenditoriali di gestione e di assunzione del rischio d'impresa

    sono, in questo caso, svolte da distinti agenti economici con interessi diversi e

    contrapposti.

    I proprietari sono interessati al valore di mercato dell'impresa, alla redditività e

    sicurezza dei loro investimenti e, quindi, alla massimizzazione dei profitti.

    37Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da

    Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 38

    ivi

  • 28

    I manager sono invece più interessati alla posizione sociale, al prestigio, al

    potere e alla sicurezza del posto di lavoro.

    Questa differenza nelle “funzioni obiettivo” è causa di inefficienze perché gli

    azionisti non dispongono delle informazioni e delle capacità tecniche necessarie per

    controllare il comportamento dei manager che tendono, quindi, a perseguire i propri

    interessi in modo discrezionale.

    Le teorie manageriali prendono in esplicita considerazione il problema del

    controllo da parte degli azionisti, dell'operato dei manager e mettono in discussione

    l'assunzione, propria della teoria neoclassica, dell'obiettivo di massimizzazione del

    profitto.

    I diversi contributi teorici si distinguono tra loro per le diverse ipotesi circa la

    “funzione obiettivo” che viene massimizzata dai manager nel perseguimento dei loro

    interessi.

    Per Baumol, i manager hanno interesse ad accrescere il più possibile la

    dimensione dell'organizzazione al fine di consolidare la loro posizione e il loro

    prestigio39

    .

    Williamson suppone che i manager siano interessati ad accrescere il loro potere

    attraverso l'accumulazione di fondi utilizzabili in modo discrezionale, mentre secondo

    Marris viene massimizzato il tasso di crescita bilanciato della dimensione di impresa e

    del capitale produttivo.

    In tutti questi modelli, l'ottenimento di un livello minimo di profitto non viene

    considerato dai manager come obiettivo ma come vincolo che deve essere rispettato

    per potere garantire una remunerazione sufficiente ai proprietari.

    I manager rischiano, infatti, di essere sostituiti dagli azionisti se non

    garantiscono una remunerazione soddisfacente del capitale investito nelle azioni della

    società.

    39Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da

    Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

  • 29

    Dividendi troppo bassi (dovuti alla mancata massimizzazione dei profitti)

    peggiorano, poi, la valutazione delle azioni ed espongono l'impresa al rischio di scalate

    azionarie (take over) che, con il cambiamento della struttura proprietaria, portano in

    genere alla sostituzione del gruppo dirigenziale40

    .

    La teoria dell’agenzia, invece, si preoccupa di allineare gli obiettivi divergenti

    tra i vari soggetti coinvolti, con riguardo sia alle relazioni tra proprietà e management,

    sia agli altri rapporti con gli stakeholder, attraverso strumenti di sorveglianza e sistemi

    di incentivi volti a limitare l’effetto di comportamenti opportunistici degli agenti.

    La relazione tra agente - principale è definita da Jensen e Meckling come "un

    contratto in base al quale una o più persone (principale) obbliga un'altra persona

    (agente) a ricoprire per suo conto una data mansione, che implica una delega di

    potere all'agente"41

    .

    Tale definizione è molto generale, e comprende qualsiasi relazione tra due

    individui, in cui uno dei due delega parte del proprio potere all'altro.

    Il contratto di agenzia, però, presenta alcuni rischi, dovuti al comportamento

    opportunistico delle parti, che tendono a massimizzare la propria utilità (tale

    comportamento opportunistico non è eliminabile, può essere tuttavia limitato).

    In particolare vi possono essere due tipi di opportunismo42

    :

    a) selezione avversa (opportunismo ex ante): l'agente fornirà al principale

    informazioni erronee o incomplete sulle proprie capacità e competenze per

    farsi assumere;

    40Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da

    Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 41

    Michael Jensen, William H. Meckling, “Theory of the firm: Managerial behavior, Agency

    costs and Ownership structure”, in Journal of Financial Economis vol.3 pp.305-360 (1976). 42

    ivi

  • 30

    b) azzardo morale (opportunismo ex post): costituito dal comportamento

    scorretto che l'agente mette in atto in presenza di asimmetrie informative e

    per via dell'incompletezza del contratto (specie nel caso in cui non sia

    verificabile se le parti hanno effettivamente adempiuto in modo corretto agli

    obblighi del contratto).

    Sono inoltre presenti delle asimmetrie informative a favore dell'agente, in

    quanto esso è sicuramente a conoscenza di un maggior numero di informazioni rispetto

    al principale sul ruolo da svolgere, e può sfruttare queste asimmetrie tenendo

    comportamenti opportunistici.

    La teoria dell'agenzia suppone che i comportamenti opportunistici dell'agente

    non siano eliminabili, e che è praticamente impossibile che esso operi nell'interesse del

    principale; questo genera dei costi, detti "costi di agenzia"43

    , classificabili in:

    - costi di sorveglianza ed incentivazione volti a monitorare il comportamento

    dell'agente;

    - costi di obbligazione che l'agente deve sostenere per assicurare al principale che

    non adotterà comportamenti opportunistici che lo possano danneggiare, ed

    eventualmente indennizzarlo;

    - costi residuali derivanti da altri conflitti di interesse che le attività di controllo e

    di obbligazione non sono in grado di gestire; si tratta del costo opportunità

    misurato dalla differenza tra il comportamento effettivo dell’agente e quello che

    teoricamente avrebbe portato alla massimizzazione dell’utilità per il principale.

    Infine, nella teoria dei costi di transazione (Williamson) si pone l’accento sul

    fatto che l’impresa familiare occupa una posizione privilegiata poiché l’esercizio della

    proprietà effettuato da un’unica persona, riduce i costi di coordinamento.

    Ogni organizzazione economica nasce dal tentativo di minimizzare i costi di

    transazione in contesti caratterizzati da contratti incompleti, investimenti specifici,

    razionalità limitata e opportunismo.

    43Michael Jensen, William H. Meckling, “Theory of the firm: Managerial behavior, Agency

    costs and Ownership structure”, in Journal of Financial Economis vol.3 pp.305-360 (1976).

    https://it.wikipedia.org/wiki/Asimmetrie_informative

  • 31

    Sono incompleti i contratti i cui termini siano osservabili dalle parti contrattuali

    ma non verificabili ed eseguibili, con certezza e in via forzosa, da terze parti nel caso

    in cui sorgano controversie tra i contraenti (tipicamente l'autorità giudiziaria).

    Più precisamente si può affermare che le cause di incompletezza risiedono

    nell'impossibilità da parte dei contraenti di prevedere ogni possibile contingenza futura

    che dovesse verificarsi nel corso della relazione così come negli elevati costi di

    contrattazione sostenuti dalle parti per accordarsi su ogni singola circostanza e nel

    costo di ricorrere al sistema legale per ottenere l'adempimento del contratto.

    Williamson sottolinea in particolare che se le parti inizialmente pattuiscono una

    determinata cosa, e solo successivamente si rendono conto che quanto pattuito non

    rispecchia le loro reali intenzioni, allora qualunque adattamento che avverrà dopo sarà

    necessariamente incompleto.

    Questa è una diretta conseguenza della razionalità limitata, proprio perché gli

    individui non sono in grado di descrivere in maniera del tutto razionale gli eventi che

    si verificano nel mondo che li circonda.

    Quando i contratti sono incompleti, ogni promessa è esposta al rischio di

    rinegoziazione, specie nei casi in cui le transazioni richiedono investimenti specifici o

    irreversibili che mantengono un valore elevato solo all'interno di una data transazione.

    Ciò comporta che transazioni incomplete sostenute da investimenti specifici

    saranno realizzate solo quando le parti sosterranno elevati costi volti a ridurre il rischio

    di rinegoziazioni contrattuali44

    .

    Infine, le teorie pluraliste pongono particolare attenzione alla continuità

    aziendale. Rientrano in questa categoria la teoria degli stakeholder e la teoria dei diritti

    di proprietà45

    .

    44Williamson O.E., “L’economia dell’organizzazione. Il modello dei costi di transazione”, in

    Nicamulli, Rugiadini “Organizzazione e mercato”, il Mulino (1987) 45

    Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da

    Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un

    Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

  • 32

    La teoria degli stakeholder sostiene che spetta all’alta direzione comprendere

    gli interessi degli stakeholder attuali e potenziali e tenere sotto controllo l’evoluzione

    delle loro relazioni; permette di individuare verso chi, in concreto, le imprese devono

    essere responsabili.

    Il maggiore esponente di questa teoria è Freeman46

    il quale sostiene che “gli

    stakeholder primari sono tutti quegli individui e gruppi ben identificabili da cui

    l'impresa dipende per la sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori e

    agenzie governative chiave.”

    In senso più ampio, tuttavia, stakeholder è ogni individuo ben identificabile che

    può influenzare o essere influenzato dall'attività dell'organizzazione in termini di

    prodotti, politiche e processi lavorativi.

    In questo più ampio significato, gruppi di interesse pubblico, movimenti di

    protesta, comunità locali, enti di governo, associazioni imprenditoriali, concorrenti,

    sindacati e la stampa, sono tutti da considerarsi stakeholder.

    La teoria dei diritti di proprietà (Coase), invece, è formulata sulla base del fatto

    che controllo e proprietà dell’azienda coincidono47

    .

    Secondo questa teoria, l'esistenza di diritti di proprietà, e una loro perfetta

    definizione, costituiscono fattori in grado di apportare maggiore efficienza nello

    svolgimento delle diverse attività economiche che in tal modo possono essere

    realizzate attraverso il meccanismo di mercato.

    In questa teoria la proprietà, intesa nel senso comune, cede il posto a un

    concetto più evoluto, rappresentato appunto dai diritti di proprietà, a sottolineare che

    l'elemento su cui ruotano le transazioni di mercato non è tanto il bene genericamente

    inteso quanto un vero e proprio sistema di diritti di proprietà che concerne non solo la

    proprietà del bene medesimo, ma tutte quelle norme comportamentali volte a regolarne

    la disponibilità e l'eventuale trasferibilità48

    .

    46Freeman R.E., “Strategic Management. A Stakeholder Approach.”, (1984)

    47Coase Ronald H, “The problem of social cost.”, J. Law & Econ. 3 (1960)

    48ivi

  • 33

    CAPITOLO 2

    LA GOVERNANCE NELLE AZIENDE FAMILIARI

    2.1 L’importanza della governance nelle imprese a conduzione familiare

    Il presupposto da cui partono la gran parte degli studi sulla corporate

    governance, ovvero la necessità di disciplinare i rapporti fra gli azionisti ed il

    management che perseguono interessi differenti, non trova ragion d’essere per le

    imprese familiari, nelle quali la sovrapposizione istituzionale tra proprietà e governo è

    un elemento essenziale.

    Dinanzi a tali considerazioni, alcuni studiosi si sono chiesti che senso avesse

    studiare la governance nelle imprese familiari e in gran parte delle aziende di piccole e

    medie dimensioni, laddove non si fosse in presenza della separazione tra proprietà e

    governo49

    .

    Questi contributi hanno sottolineato la necessità di definire meccanismi di

    governance efficaci anche per le imprese familiari, nelle quali la sovrapposizione tra

    azionisti e manager può generare non pochi problemi.

    A osservare la tassonomia tradizionalmente utilizzata per illustrare le forme di

    governance diffuse nelle nazioni occidentali, si può notare come accanto alla public

    company anglosassone e all’impresa consociativa tipica di Germania e Giappone, sia

    stata da sempre riconosciuta anche l’impresa a conduzione familiare, modello

    notevolmente diffuso nell’Europa continentale50

    .

    Quando si analizza la governance delle imprese familiari, ci si rende conto che

    non esiste un unico modello di governo per il family business, ma il problema si

    presenta particolarmente complesso e articolato.

    49Pugliese A.,”Assetti proprietari e meccanismi di governance nelle imprese familiari

    italiane”;(2016) 50

    ivi

  • 34

    La corporate governance rappresenta un valido strumento per il perseguimento

    degli obiettivi strategici e per la protezione del valore investito in azienda.

    Essa esprime le modalità attraverso le quali sono regolati i rapporti tra i diversi

    soggetti che partecipano all’attività d’impresa, quali azionisti, amministratori,

    dirigenti, finanziatori, ecc..51

    .

    La sua finalità è quella di assicurare che nelle relazioni di impresa non vengano

    adottati comportamenti opportunistici ed ha l’obiettivo di riallineare gli interessi tra

    proprietà e management, per evitare o ridurre il rischio di performance inefficienti.

    Accanto alla funzione protettiva, la governance può contribuire a promuovere

    lo sviluppo e la creazione di valore delle imprese: i membri del consiglio di

    amministrazione possono essere selezionati per dotare l’impresa di esperienze,

    competenze professionali e relazioni personali utili al perseguimento delle strategie.

    La corporate governance può, quindi, essere utilizzata per modificare la

    dotazione di risorse e competenze dell’impresa, rendendola coerente con gli obiettivi e

    le esigenze strategiche.

    Nelle imprese familiari, come per le altre tipologie di impresa, non esiste un

    modello di governance valido in senso assoluto in ogni contesto.

    La governance, infatti, può divenire più complessa a causa dell’intreccio tra

    proprietà, management e famiglia.

    Il coinvolgimento della famiglia nella proprietà influenza la scelta degli

    obiettivi, l’orizzonte temporale delle decisioni e lo sviluppo di capacità organizzative.

    Pertanto, le aspirazioni e i valori dei membri della famiglia, indirizzando le

    scelte strategiche dell’azienda, rendono necessaria una configurazione della

    governance che consideri, contemporaneamente, le esigenze e le criticità rilevanti sia

    per l’una sia per l’altra.

    51a cura di Del bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende familiari e longevità

    economica”, (2012).

  • 35

    La crisi, prima finanziaria, poi economica, che ha investito l’Europa e gli USA

    nel corso degli ultimi anni ha dimostrato che un’economia basata soltanto sulla

    crescita dei mercati finanziari rimane estremamente fragile se non è accompagnata

    anche da una crescita dell’economia reale52

    .

    Questo nuovo contesto economico favorisce indubbiamente le società quotate

    che possono raccogliere agevolmente denaro sui mercati azionari, effettuare

    acquisizioni scambiando azioni anziché versando denaro e attirare manager qualificati

    motivandoli con le stock option53

    .

    Risulta invece penalizzata l’impresa familiare che deve basare la propria

    crescita sull’autofinanziamento e sul finanziamento bancario, e che inoltre non può

    agevolmente ricorrere allo strumento azionario per motivare il proprio management

    (ovviamente quello esterno alla famiglia proprietaria)54

    .

    Ipotizzando che la crescita di un’azienda familiare non quotata e di una società

    quotata fosse stata analoga, sino alla metà degli anni ’80 entrambe potevano

    gareggiare alla pari, mentre, successivamente, allorché la crescita del valore di borsa

    prende il sopravvento sulla crescita degli utili, la società quotata distacca

    inesorabilmente l’azienda familiare.

    Questa competizione tra azienda familiare non quotata e società quotata non è

    soltanto economica, ma tocca anche i valori che stanno alla base del business.

    Sino a poco tempo fa, l’obiettivo dichiarato di una public company era quello di

    incrementare lo shareholder value55

    .

    52D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;

    53Le stock option sono uno strumento retributivo e di fidelizzazione dei dipendenti ritenuti

    strategicamente importanti per l’azienda. Attraverso l’assegnazione di stock option, la

    società offre al dipendente il diritto a sottoscrivere o acquistare un pacchetto azionario della

    stessa, o di altra società facente parte dello stesso gruppo, in un arco temporale futuro

    prestabilito e a un prezzo predeterminato. 54

    D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”; 55

    Shareholder value indica, letteralmente, il valore per l’azionista, ovvero il valore fornito ai

    soci dovuto alla capacità del management di aumentare le vendite e gli utili nel corso del

    tempo. Questo dipende dalle scelte strategiche fatte, tra cui la capacità di fare investimenti

    saggi e generare un ritorno sul capitale investito.

  • 36

    In un’azienda familiare l’obiettivo è sostanzialmente quello di durare e

    prosperare nel tempo.

    Ovviamente questi valori non sono tipici di tutte le aziende possedute da una

    famiglia, ma sono esplicitamente o implicitamente riconosciuti nell’ambito di quelle

    che appartengono esclusivamente alla stessa famiglia (o a famiglie discendenti dal

    fondatore) da almeno tre o quattro generazioni56

    .

    È peraltro molto difficile che un’azienda rimanga controllata dalla stessa

    famiglia per circa un secolo senza che i suoi membri siano stati in grado di creare una

    governance equilibrata che regoli sia i rapporti economici tra i familiari che i rapporti

    tra la famiglia e l’azienda.

    La prima osservazione è che non esiste una governance adatta indistintamente a

    tutte le famiglie che controllano un business.

    Le regole di governance, infatti, dovrebbero essere definite caso per caso

    tenendo in considerazione una serie di fattori, come ad esempio le caratteristiche della

    famiglia e i valori che la contraddistinguono, la dimensione e la situazione finanziaria

    della società controllata e il suo business, l’esistenza di risorse economiche

    significative nell’ambito della famiglia, oltre alle particolari esigenze della famiglia e

    del suo leader.

    A nostro avviso il primo fattore da analizzare è quello dei valori, e in particolare

    il valore che l’azienda ha per la famiglia.

    Solitamente si distingue tra due scelte opposte: quella che considera l’azienda

    familiare come un bene dal valore esclusivamente patrimoniale alla stregua di altri, e

    quella che la considera come un’entità completamente separata dal resto del

    patrimonio familiare, che ha un valore soprattutto morale e che sotto il profilo

    economico deve continuare a prosperare nel tempo57

    .

    Nel primo caso i principali beneficiari sono i singoli shareholder ed è

    improbabile che il loro interesse possa coincidere con l’obiettivo di mantenere

    l’azienda nell’ambito del controllo familiare.

    56D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;

    57Pugliese A.,”Assetti proprietari e meccanismi di governance nelle imprese familiari

    italiane”;(2016)

  • 37

    Nel secondo caso l’interesse dei vari stakeholder (dipendenti, fornitori, clienti,

    comunità locali nell’area ove opera l’azienda) finirà per prevalere su quello degli

    shareholder e, se l’azienda dovesse trovarsi in gravi difficoltà, l’interesse alla

    sopravvivenza della stessa dovrebbe prevalere anche nei confronti degli interessi dei

    singoli58

    .

    È chiaro che tra queste due visioni possono esistere posizioni intermedie che in

    qualche modo bilanciano gli interessi delle due parti con quelli dell’azienda.

    L’introduzione della governance avviene attraverso un processo piuttosto

    complesso nell’ambito del quale la famiglia deve predisporre un documento che

    contenga delle regole59

    .

    In secondo luogo devono essere definite le strutture nell’ambito delle quali i

    membri della famiglia dovranno interagire nella gestione del business.

    Tali strutture possono assumere una semplice forma assembleare (Consiglio di

    Famiglia, Assemblea di Famiglia, ecc.) oppure una veste giuridica vera e propria

    (Fondazione di Famiglia, Holding familiare, ecc.).

    Solitamente, nella preparazione delle regole di governance vengono definiti i

    seguenti temi:

    • i valori della famiglia (con particolare riferimento alla missione e alla visione

    strategica dell’azienda);

    • le interazioni tra famiglia, proprietà e controllo dell’azienda familiare e

    sviluppo del suo business;

    • il processo decisionale in presenza di decisioni critiche (scelta del top

    management, ingresso di nuovi azionisti, investimenti o disinvestimenti importanti,

    ecc.);

    • la scelta dei rappresentanti della famiglia in azienda (in particolare del leader,

    del presidente non esecutivo e dei membri del consiglio);

    58D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;

    59ivi

  • 38

    • la scelta dei consiglieri nel caso di holding familiare o fondazione (idealmente

    un giurista, un banchiere e un esperto dell’area di business in cui opera l’azienda).

    Dopo aver definito i rapporti tra i familiari occorre procedere alla definizione

    dei rapporti tra la famiglia e l’azienda.

    Nella definizione della corporate governance di una società familiare debbono

    essere affrontati quattro temi principali60

    , ovvero:

    1) perché si introduce una corporate governance in una società non quotata e che

    valore ha per la società?

    valore in termini di immagine; nei confronti dei membri della famiglia; nel

    rapporto con banche e investitori; con il management; con gli altri dipendenti.

    2) qual è il ruolo del consiglio di amministrazione e in particolare dei consiglieri

    indipendenti?

    un CdA ideale per un’impresa familiare di medie dimensioni dovrebbe essere

    costituito da sette membri, un rappresentante per ciascuna generazione di azionisti,

    altrettanti consiglieri indipendenti e infine dal leader.

    I consiglieri indipendenti non dovrebbero essere scelti tra persone conosciute,

    ma dovrebbero essere selezionati tramite consulenti specializzati tra persone

    caratterizzate da competenze utili all’impresa, elevato standing professionale e

    indiscussa statura morale.

    Il loro grado di coinvolgimento dovrebbe essere elevato, ma non eccessivo.

    3) qual è il rapporto tra la famiglia e il management?

    in linea di massima il livello di motivazione dei manager esterni è inversamente

    proporzionale al numero dei manager membri della famiglia presenti in azienda e

    direttamente proporzionale alle dimensioni dell’impresa.

    In sostanza, mentre la presenza di un certo numero di family manager può

    essere accettabile in una grande azienda perché non preclude le opportunità di carriera

    a manager esterni alla famiglia, diventa un fattore problematico in una piccola

    impresa.

    60D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;

  • 39

    In questo caso può essere preferibile effettuare una scelta chiara: o la famiglia è

    rappresentata da un solo manager o si affidano tutte le posizioni chiave a membri della

    famiglia.

    4) come si gestisce il processo di successione nell’azienda familiare?

    la principale decisione con cui prima o poi debbono confrontarsi gli azionisti di

    un’impresa familiare riguarda la scelta del futuro leader.

    In particolare, la scelta tra un membro interno alla famiglia e quella di un

    manager esterno, nonché, qualora si opti per la prima soluzione e vi siano vari

    candidati interni, la scelta del più idoneo rispetto alle aspettative della famiglia.

    E’ opportuno che un membro della famiglia, anche in assenza di un valido

    esponente che possa svolgere il ruolo di leader, occupi una posizione di vertice a

    salvaguardia degli interessi dell’azienda e in ultima analisi anche della famiglia.

    Tale ruolo dovrebbe essere idealmente quello di Presidente non esecutivo.

    Nell’ambito di una famiglia numerosa, il maggiore problema per il futuro leader

    non è quello di costruirsi una legittimità in azienda, ma bensì quello di farsi accettare

    dagli altri familiari, in particolare da quelli non attivi in azienda, come colui a cui

    affidare il destino economico della famiglia nel lungo periodo.

    La ricerca sulla corporate governance prende avvio dal pionieristico lavoro di

    Berle e Means61

    .

    Nella grande impresa, la progressiva separazione tra proprietà, controllo e

    direzione pone in evidenza i potenziali rischi legati alla divergenza di interessi tra

    proprietari e manager, da cui nasce l’esigenza di controllo.

    Per molto tempo, il dibattito si è concentrato su questo problema, senza tuttavia

    pervenire a una soluzione condivisa.

    61Il lavoro che convenzionalmente segna l’inizio degli studi in materia di corporate

    governance, “The Modern Corporation of the Private Property” di Berle e Means (1932),

    parte proprio dall’osservazione di un’ “impresa moderna” nella quale, per la prima volta

    rispetto al passato, si assiste ad una netta separazione tra i proprietari del complesso delle

    risorse aziendali, ed i soggetti deputati al controllo di quegli stessi assets. Si afferma la

    relazione tra agente e principale, alla base del rapporto di agenzia.

  • 40

    Nell’ultimo decennio, il focus della ricerca si è spostato sull’esigenza di

    accesso, non tanto al capitale finanziario, quanto al capitale umano62

    .

    Nella progettazione delle strutture e dei processi di governance, l’obiettivo

    primario diventa la ricerca delle soluzioni più efficaci per coinvolgere le persone che

    apportano il know-how critico e per supportare nel tempo i loro investimenti in

    conoscenza specifica.

    La governance non è rilevante solo nell’impresa in cui la proprietà è separata

    dal controllo, non può adottare gli stessi principi indipendentemente dal contesto,

    inteso sia in termini di business che di organizzazione e non si può limitare alla tutela

    degli azionisti (capitale finanziario), ma deve estendersi alla valorizzazione delle

    persone, delle relazioni e delle conoscenze (capitale umano)63

    .

    Si pone pertanto la necessità di valutare se le teorie sviluppate per soddisfare

    l’esigenza di controllo mantengano la loro capacità interpretativa anche a fronte dei

    cambiamenti che intervengono.

    Le imprese familiari di medie e piccole dimensioni costituiscono un

    osservatorio privilegiato a tale scopo, poiché in esse, da una parte non vi è la

    separazione tra proprietà e controllo, dall’altra le persone, le abilità relazionali e le

    conoscenze tecniche sono elementi distintivi..

    Le imprese familiari sono state definite come aziende nelle quali due o più

    famiglie con vincoli di parentela o legate da solite alleanze detengono il controllo.

    Al fine di studiare gli assetti di governance, tale definizione risulta ambigua.

    Innanzi tutto, c’è un problema legato alla varietà64

    .

    Sono “familiari” tanto le imprese di grandi dimensioni con una linea

    manageriale sviluppata, quanto le imprese piccole in cui l’imprenditore assume non

    solo il controllo, ma anche la gestione direzionale e operativa.

    62Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance

    per le pmi familiari.” 63

    ivi 64

    ivi

  • 41

    Solo nel primo caso l’esigenza di controllo è rilevante, vuoi perché i soci di

    minoranza (spesso membri della stessa famiglia proprietaria) mirano a tutelare

    interessi diversi da quelli del socio leader, vuoi perché il progressivo ritiro della

    famiglia dalle posizioni direttive di vertice trasferisce sul management professionista

    (e non familiare) tutto il potere di direzione e decisione.

    Nel secondo caso, il fenomeno più rilevante è la commistione tra proprietà,

    controllo e gestione: da una parte, negli organi di governo siedono tanto i familiari

    attivi, che i non attivi; dall’altro, l’impresa è affidata a una squadra manageriale

    composta sia da membri della proprietà che da manager non familiari.

    Fino a quando la dimensione dell’impresa e la complessità gestionale lo

    consentono, si verifica che il leader, che coincide con il fondatore o con la persona più

    rappresentativa della proprietà, si trova a gestire una rete economica e una rete socio-

    familiare, viste in termini complementari e non alternativi: la prima assicura l’apporto

    di competenze critiche per la gestione; la seconda permette di integrare le persone

    esterne alla famiglia in una specie di clan imprenditoriale65

    .

    Ciò implica che il rapporto tra proprietà e management non si possa interpretare

    come uno scambio fondato sulla reciproca sfiducia, come porterebbe a pensare la

    teoria dell’agenzia, bensì come un rapporto che s’inserisce in uno specifico contesto

    organizzativo ed è influenzato da fattori di natura sociale66

    .

    In tale situazione, appare più efficace la teoria della stewardship67

    , secondo cui i

    manager sono motivati ad agire nell’interesse del proprietario, adottando

    comportamenti cooperativi.

    65Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance

    per le pmi familiari.” 66

    ivi 67

    La stewardship è la strategia di gestione responsabile che introduce un principio etico nella

    valorizzazione delle risorse, favorendo la convergenza di interessi e contributi diversi nei

    processi decisionali. Con il termine stewardship s’intende la gestione responsabile di beni

    comuni, prodotti, patrimonio culturale, benessere della popolazione, personale e processi

    organizzativi. E’ applicabile sia a livello macro che micro organizzativo, poiché può essere

    intesa sia come una strategia di processo che come capacità individuale del leader.

  • 42

    Questo non significa che gli interessi del proprietario-principale e del manager-

    agente siano allineati, ma che vi sia una stretta relazione tra il successo del primo e la

    soddisfazione del secondo.

    Il secondo motivo che rende ambigua la definizione di impresa familiare

    riguarda la variabilità68

    .

    A partire dalla fine degli anni ’60, la crescente turbolenza dell’ambiente esterno

    manda in crisi i sistemi di pianificazione e controllo della grande corporation:

    l’ambiente diventa una variabile chiave della progettazione organizzativa e dei sistemi

    di governance.

    La teoria della dipendenza dalle risorse coglie questa esigenza e propone un

    framework che soddisfa i nuovi bisogni dell’organizzazione nel suo complesso e del

    sottosistema di governance69

    .

    Il cambiamento nelle condizioni competitive, nell’assetto istituzionale e nel

    business possono alterare l’identità degli stakeholder, la natura e il valore del loro

    contributo.

    Le strutture di governance dovrebbero evolvere in modo da permettere

    all’impresa di accedere alle risorse critiche e di coinvolgerle nei processi di governo.

    Nella piccola e media impresa familiare con la proprietà attiva nella gestione,

    queste soluzioni possono essere impraticabili, non solo per ragioni economiche, ma

    anche per la possibile mancanza di organi di governo formalizzati70

    .

    I problemi di governance diventano la definizione delle modalità per attirare e

    trattenere i portatori delle risorse critiche e supportare i loro investimenti in capitale

    umano finalizzati a sviluppare le capacità necessarie alla coalizione71

    .

    68Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance

    per le pmi familiari.” 69

    D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”; 70

    Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance

    per le pmi familiari.” 71

    ivi

  • 43

    Analizzando meglio quanto appena detto, l’impresa familiare, per le sue

    caratteristiche intrinseche, si presta bene a essere osservata nell’ottica di alcune teorie

    d’impresa, quali, in particolare: la resource-based view e la stewardship theory.

    A differenza della teoria dell’agenzia, che rileva tanto elementi positivi quanto

    negativi, rispettivamente, a favore e a carico del family business, entrambe queste

    teorie tendono a stressare il lato positivo del business familiare72

    .

    Secondo la RBV l’impresa familiare è dotata di risorse strategiche che

    potrebbero permetterle di acquisire un vantaggio competitivo nei confronti delle altre

    imprese.

    Tra queste risorse “inimitabili” possiamo individuare: la cultura, la presenza del

    fondatore come soggetto capace di apportare competenze e capacità uniche, il

    coinvolgimento di più generazioni nella gestione, la possibilità di creare un network

    relazionale tra i familiari e gli altri stakeholders, la visione di lungo periodo della

    famiglia che dovrebbe favorire una corretta valutazione degli investimenti secondo

    regole di convenienza economica ecc..

    La stewardship theory, che è quella che maggiormente si contrappone alla

    teoria dell’agenzia, vede la famiglia come “steward” dell’impresa e, in quanto tale,

    come soggetto i cui interessi sono perfettamente allineati a quelli dell’impresa73

    .

    Nella stewardship theory, infatti, si assume che i manager siano mossi da

    interessi collettivi, pro-organizzativi e, perciò, che siano capaci di massimizzare il

    proprio benessere a prescindere dalla razionalità economica, su cui si basa la teoria

    dell’agenzia, che impone la massimizzazione della propria funzione di utilità in

    un’ottica individualistica ed egoistica74

    .

    Il manager si pone come obiettivo prioritario il benessere dell’organizzazione

    (impresa) e attraverso quello riesce a soddisfare il proprio.

    Il benessere dell’uno (il manager) è funzione di quello dell’altra (l’impresa).

    72D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;

    73Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance

    per le pmi familiari.” 74

    ivi

  • 44

    Da ciò, consegue che non vi è alcun conflitto tra manager e azionista, essendo il

    primo mosso dall’intenzione di salvaguardare e far crescere l’impresa, che è anche

    l’obiettivo del secondo.

    Questa impostazione presuppone:

    1) che all’interno dell’organizzazione vi sia un comportamento cooperativo dei

    suoi membri;

    2) che prevalga un approccio orientato al coinvolgimento piuttosto che al

    controllo: ogni membro deve essere coinvolto e avere voce in capitolo, nell’ambito

    della sua sfera di competenza, nelle decisioni aziendali;

    3) che ciascuno sia considerato al pari degli altri limitando al minimo le

    gerarchie;

    4) che le motivazioni puramente economiche (dena