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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA
Dipartimento di Economia e Management
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO
TESI DI LAUREA
Peculiarità organizzative del passaggio
generazionale nelle aziende familiari.
Relatore: Candidato:
Prof.ssa Maria Zifaro Ilaria Marchetti
Anno Accademico 2015/2016
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INDICE
CAPITOLO 1
LE AZIENDE FAMILIARI
1.1. Premessa
1.2. Caratteristiche e peculiarità delle aziende familiari
1.2.1 Punti di forza e di debolezza
1.3. Gli assetti istituzionali delle imprese familiari
CAPITOLO 2
LA GOVERNANCE NELLE AZIENDE FAMILIARI
2.1 L’importanza della governance nelle imprese a conduzione familiare
2.2 I modelli di governance
2.3 Composizione della governance nelle aziende familiari
CAPITOLO 3
LA SUCCESSIONE FAMILIARE IN AZIENDA
3.1 I fattori che condizionano la successione
3.2 Modalità, tempi e strategie di ingresso del successore
3.3 Il trasferimento delle conoscenze detenute dall’imprenditore
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CAPITOLO 4
IL PROCESSO DI SUCCESSIONE
4.1 Le fasi del processo di successione
4.2 Il passaggio generazionale nell’azienda Alfacolor s.r.l.
4.2.1 La storia
4.2.2 Il profilo organizzativo e strategico
4.2.3 Analisi del processo di successione
Appendice A - Questionario
BIBLIOGRAFIA
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CAPITOLO 1
LE AZIENDE FAMILIARI
1.1 Premessa
Le aziende familiari costituiscono da sempre una componente essenziale della
struttura economica italiana.
Tale fenomeno è riscontrabile, sia pure in misura diversa, in tutti i Paesi a
economia di mercato tanto che non esiste un Paese né settore economico in cui le
aziende familiari non siano presenti1.
In Italia, però, questo fenomeno assume un’intensità maggiore sia per motivi
strutturali sia per ragioni legate al contesto normativo e culturale in cui queste aziende
nascono ed operano.
La complessità delle relazioni affettive e il loro intreccio con il patrimonio
aziendale influenza le scelte strategiche e genera, di volta in volta, vantaggi reciproci
per i due istituti: quello della famiglia e quello dell’impresa.
Se alla nozione di imprenditore e di famiglia si associa anche il termine
patrimonio, si identifica un concetto ancora più ampio: il concetto di family business.
Questo è inteso come l’insieme di legami, affettivi e patrimoniali, che si
evolvono nel tempo e si vengono ad instaurare tra i componenti della famiglia e la
famiglia stessa, nonché tra questa e l’impresa2.
Il family business si contraddistingue per una forte leadership3, per la
concentrazione del potere aziendale nelle mani del fondatore e/o della sua famiglia, e
per il fatto che proprietà e management coincidono.
1A cura di Corbetta G.,“Capaci di crescere. L’impresa italiana e la sfida della dimensione.”,
Egea (2005). 2ivi
3La parola leadership deriva dal verbo inglese ‘to lead’ che significa dirigere, pertanto
questo termine fa riferimento alla capacità di un individuo di saper guidare un gruppo di
persone. In ambito lavorativo è colui che conduce una squadra al raggiungimento di
determinati obiettivi. Nel fare ciò combina l’abilità a comprendere quali siano gli obiettivi
raggiungibili con la capacità di motivare gli altri. Negli anni 60 Likert ha individuato quattro
stili di leadership: 1.l’autoritario minaccioso che prende tutte le decisioni autonomamente
circa scopi, modalità d’attuazione e tempi, per poi comunicarle al gruppo; 2.l’autoritario-
http://www.crescita-personale.it/search/976/tag/leadershiphttp://www.crescita-personale.it/vita-di-ufficio/2279http://www.crescita-personale.it/search/976/tag/leadership
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Per questo motivo occupa un ruolo centrale la famiglia proprietaria ed il
processo evolutivo appare condizionato dalle dinamiche che intercorrono tra la
componente familiare e quella imprenditoriale4.
In Italia, più che in altri Paesi, queste tipologie d’impresa, indipendentemente
dal settore di attività o dalla loro dimensione patrimoniale, coincidono con un nucleo
familiare che le gestisce ed è proprietario della totalità, o della maggioranza, del
capitale.
Pertanto, coloro che detengono il capitale generalmente si occupano anche
dell’amministrazione e della gestione dell’azienda5.
Questa peculiarità differenzia le imprese italiane da quelle di altri Paesi europei
e dal modello americano.
Le imprese familiari, fino a poco tempo fa, erano considerate una forma
organizzativa destinata ad estinguersi, sulla quale venivano espressi giudizi di
diffidenza e perplessità in merito alla durabilità nel tempo6.
Le funzioni inerenti la proprietà, il controllo e la direzione sono tutte
concentrate nelle mani dell’imprenditore o al massimo dei suoi familiari.
-benevolente che incoraggia il gruppo attraverso delle ricompense e lo coinvolge nel
processo decisionale, sebbene spetti a lui l’ultima parola; 3.il consultativo che aumenta la
partecipazione del gruppo grazie ad una comunicazione bidirezionale; 4.il partecipativo che
si avvale di una rete di comunicazione efficace basata sulla collaborazione e sulla presa
democratica delle decisioni.
Sebbene non esista una figura ideale, ogni buon leader deve adattarsi alla realtà nella quale
si trova ad operare, fissando una direzione strategica che sia chiara a tutti i membri del
gruppo; incoraggiando le idee innovative e concordando tempi e modalità di lavoro con i
dipendenti; deve essere in grado di sostenere e sviluppare le capacità dei dipendenti,
costruire un team coeso che affronti gli eventuali conflitti senza lasciarsi travolgere da essi,
delegare quanto possibile per creare un clima di fiducia e per responsabilizzare, elogiare i
dipendenti per la qualità del loro operato e fornire reali opportunità di carriera. 4Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 5ivi
6a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità
Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).
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Man mano che il numero dei membri cresce, la proprietà rischia di
frammentarsi, e la famiglia gioca un ruolo fondamentale nel nutrire i valori di fondo e
nel dare alle nuove generazioni un senso di orgoglio e di appartenenza all'azienda
come istituzione7.
Ciò che traspare è che, con il passare del tempo, le aziende familiari più longeve
hanno avviato un processo di apertura, un allargamento della direzione, una
progressiva separazione di funzioni tra i proprietari e quei soggetti che influenzano il
destino dell’impresa, quali manager e amministratori esterni8.
L'obiettivo è quello di far crescere l'azienda pur mantenendo il controllo nelle
mani della famiglia.
Le due categorie diventano una variabile critica per la continuità dell’impresa e
vanno gestite attraverso la progettazione di adeguate strutture di governance atte a
garantire una pacifica convivenza ed una continua unione tra dinamiche familiari,
affettive e sociali.
Un buon sistema di corporate governance deve infatti garantire un equilibrio tra
i tanti interessi coinvolti all’interno della famiglia e/o delle famiglie proprietarie9.
La longevità dell’impresa familiare si basa su due sfide: ottenere risultati in
linea o superiori alla media del settore e mantenere la famiglia unita e volta al
miglioramento dell’azienda.
Per quanto riguarda la prima sfida, si fa riferimento al Modello delle Cinque
Forze di Porter (figura 1)10
.
7a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità
Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012). 8ivi
9Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 10
Robert M. Grant, “L’analisi Strategica per le Decisioni Aziendali”, il Mulino (2011).
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Figura 1 – Modello delle cinque forze di Porter
Fonte: rielaborazione tratta da Robert M. Grant, L'analisi strategica per le decisioni aziendali,
4ª ed., Bologna, il Mulino, 2011.
E’ un sistema utilizzabile dalle imprese per valutare la propria posizione
competitiva e di conseguenza la propria redditività.
Il modello si propone di individuare le forze che operano nell’ambiente
economico e che, con la loro azione, erodono la redditività a lungo termine delle
imprese.
Gli attori di tale modello sono:
- i concorrenti diretti: soggetti che offrono la stessa tipologia di prodotto sul
mercato;
L’intensità della concorrenza e la loro rivalità incide sulla redditività
dell’attività svolta dall’impresa: politiche dei prezzi, nuovi prodotti, servizi pre e post
vendita, campagne pubblicitarie volte a ottenere il favore della clientela rispetto alla
concorrenza riducono la redditività dell’impresa.
Le situazioni possono differenziarsi a seconda del numero dei concorrenti
presenti sul mercato, delle quote di mercato possedute da ognuna, della diversità dei
concorrenti, della differenziazione dei prodotti, di eventuali costi di passaggio, di
eccesso di capacità produttiva, di barriere all’uscita (costi fissi per l’uscita,
condizionamenti emotivi, ecc..);
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Mulino
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- fornitori: coloro dai quali l’azienda acquista materie prime e semilavorati
necessari per svolgere il processo produttivo e che potrebbero decidere di
integrarsi a valle11
;
- clienti: i destinatari dell’output prodotto dall’azienda che potrebbero
decidere di integrarsi a monte12
;
- potenziali entranti: soggetti che potrebbero entrare nel mercato in cui opera
l’azienda, andando a sottrarle clienti, segmenti di mercato, profitti,ecc..;
La minaccia rappresentata da potenziali concorrenti dipende soprattutto dalla
presenza o meno di barriere all’entrata, quali: economie di scala, differenziazione
prodotto (fedeltà del consumatore, identificazione con la marca), politiche governative
(autorizzazioni, licenze), reazioni dei concorrenti (prezzi di dissuasione), costi di
passaggio (costi di apprendimento), accesso ai canali di distribuzione (esempio:
scaffali del supermercato, agenti e rappresentanti).
I nuovi concorrenti sono attratti soprattutto quando i margini di profitto sono
elevati e le barriere sono basse.
- produttori di beni sostitutivi: soggetti che immettono sul mercato prodotti
diversi da quelli dell’impresa di riferimento ma che soddisfano, in modo
diverso, lo stesso bisogno del cliente.
Più favorevole è la propensione del consumatore a sostituire il prodotto e il
rapporto tra prezzo e qualità dei prodotti sostitutivi, maggiore è la minaccia
rappresentata dalla presenza di prodotti sostitutivi.
L’analisi delle cinque forze permette all’impresa di ottenere un quadro
completo sulla sua posizione competitiva, di prendere decisioni strategiche e di
stabilire i comportamenti e gli atteggiamenti da adottare per mantenere i suoi profitti e
la sua redditività nel medio/lungo periodo.
11L’integrazione a valle consiste nel controllo da parte di un’azienda di un passaggio
successivo rispetto a quello che già ricopre; ad esempio, un’impresa assemblatrice di
automobili che apre una propria concessionaria. (Grant M.R.,2011) 12
L’integrazione a monte si ha quando un’azienda decide di assumere il controllo di una fase
antecedente a quella svolta; ad esempio quando un’impresa assemblatrice di automobili
inizia a produrre volanti o altre parti. (Grant M.R.,2011)
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La strategia perseguita dall’impresa deve cercare di creare e mantenere il
vantaggio competitivo dell’azienda rispetto alla concorrenza.
Nell’analizzare la seconda sfida, invece, ci troviamo di fronte alla logica del
cosiddetto miglioramento continuo13
.
E' l'insieme delle azioni intraprese a vantaggio sia dell'intera organizzazione sia
dei clienti.
Questo è un processo che si sviluppa a piccoli passi, con continuità e con effetti
nel medio/lungo termine e che produce cambiamenti graduali e costanti.
L’obiettivo è promuovere un ambiente di lavoro dove si incoraggia l’inventiva e
l’innovazione.
In un approccio di miglioramento continuo, la cultura di fondo è di tipo
gestionale, basata sui valori, sulle risorse umane e sul coinvolgimento di tutti, che
presuppone lo sviluppo di nuove capacità e competenze.
In questo senso, è fondamentale assestare la governance su un modello
condiviso di ripartizione dei ruoli e del potere decisionale, tracciare le relazioni tra la
proprietà e il management e definire le linee di supporto finanziario allo sviluppo
dell’attività14
.
In termini di governance, come vedremo nel secondo capitolo, le aziende che
vivono più a lungo sono quelle in cui il potere di chi occupa posizioni di responsabilità
è ottenuto sulla base di un approccio meritocratico.
13Luciano Attolico,”Innovazione Lean. Strategie per valorizzare persone, prodotti e
processi.”, Hoepli (2012). 14
a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità
Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).
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1.2 Caratteristiche e peculiarità delle aziende familiari
L’impresa familiare si configura come un sottoinsieme del più vasto insieme
delle imprese e, pertanto, ne possiede tutti i requisiti essenziali15
.
E’ caratterizzata dal forte legame con uno o più nuclei familiari che, apportando
capitale di rischio, la formano.
In Italia, più che in ogni altro Paese sviluppato, le imprese familiari coincidono
con un nucleo familiare che le gestisce ed è proprietario della totalità, o della
maggioranza, del capitale16
.
Le attività di queste imprese sono in prevalenza commerciali, artigianali, o di
produzione di servizi, ma possono anche rientrarvi imprese industriali17
.
La prevalenza dell’elemento familiare può comportare il verificarsi di una serie
di difficoltà dovute alla tendenza a voler trasferire le norme e i comportamenti tipici di
una famiglia all’interno dell’azienda; questi, infatti, potrebbero non essere in linea con
gli elementi che caratterizzano la gestione aziendale.
Pertanto emergono una serie di punti di debolezza tipici di un’azienda familiare
con cui l’organo al vertice si scontra e nei confronti dei quali è necessario adottare una
strategia volta al compromesso.
Ciò che risalta nel nostro Paese è la particolare importanza che viene data alla
differenza tra impresa di famiglia e impresa familiare18
.
Nel primo caso la famiglia controlla la proprietà, si preoccupa di reperire i
mezzi monetari necessari allo svolgimento dell’attività economica, incoraggia e
sostiene eventuali idee innovative e, laddove le esigenze organizzative lo richiedano,
affida l’attività decisionale a manager professionisti.
15Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 16
ivi 17
a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità
Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012). 18
ivi
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11
L’impresa familiare, invece, si caratterizza per il fatto che proprietà e
management rimangono saldamente ancorate alla famiglia19
.
Volendo, quindi, dare una prima semplice definizione di impresa familiare,
possiamo dire che essa rappresenta quell’impresa nella quale i portatori di capitale di
rischio, gli organi di governo e coloro che prestano la propria opera all’interno
dell’impresa appartengono ad un’unica o a poche famiglie tra loro collegate da vincoli
di parentela e/o affinità20
.
L’art. 230 bis del Codice Civile definisce impresa familiare quella nella quale
collaborano in via continuativa il coniuge ed i parenti entro il terzo grado e gli affini
entro il secondo grado dell’imprenditore21
.
La norma, inoltre, dispone che il familiare che svolge in modo continuativo la
sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al
mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della famiglia, e partecipa agli utili
dell’impresa ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda in
proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
Il suddetto articolo è stato introdotto dalla legge n. 151/1975 sulla riforma del
diritto di famiglia, che ha trasformato l’intero impianto giuridico relativo ai rapporti
familiari.
Tuttavia, l’art. 230 bis del Codice Civile ha dato vita ad una serie di problemi
interpretativi.
Un esempio è il fatto che la norma non si pronuncia riguardo la relazione
intercorrente tra le imprese familiari e quelle gestite da entrambi i coniugi.
19Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 20
Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 21
La legge precisa che i parenti entro il terzo grado sono i discendenti (il figlio, il figlio del
figlio e il pronipote); gli ascendenti (il genitore, il nonno e il bisavolo); i collaterali (il
fratello o la sorella, il nipote figlio di sorella o di fratello, lo zio). Mentre, gli affini entro il
secondo grado sono: il figlio (solo del coniuge); il figlio del figlio; il genitore e il nonno, il
fratello e la sorella; il coniuge del figlio (genero o nuora); il coniuge del figlio del figlio; il
coniuge del genitore quando non sia anch’egli genitore; il coniuge e del fratello (cognato).
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12
Il principale obiettivo dell’art. 230 bis del Codice Civile è quello di tutelare in
modo adeguato il lavoro svolto nella famiglia e nell’impresa familiare, conferendogli
un riferimento giuridico.
Un elemento che ha portato all’emanazione della norma è la graduale riduzione
delle funzioni della famiglia in ambito sia economico che sociale dovuto allo sviluppo
della società industriale che ha contribuito all’affermazione di un modello di famiglia
formato dai genitori e dai figli, che ha sostituito, nel tempo, quello tradizionale di tipo
esteso.
Ulteriore condizione, sufficiente per definire un’impresa familiare, è il
possesso, da parte di una o più famiglie tra loro collegate, di una quota che consenta
loro di esercitare il controllo sull’azienda.
Quello che emerge è il forte e reciproco legame che si crea tra azienda e
famiglia.
L’impresa, infatti, rappresenta la principale fonte di reddito per la famiglia
nonché il risultato del suo benessere, del suo prestigio e della sua collocazione sociale.
La famiglia fornisce all’azienda capitale, e contribuisce in modo rilevante alla
formazione di particolari tradizioni imprenditoriali.
Sia la letteratura nazionale che quella internazionale hanno cercato di
classificare le imprese familiari prendendo in considerazione gli elementi che le
caratterizzano, dando vita a differenti tipi di definizioni (tabella 1).
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Tabella 1 - Definizioni di impresa familiare
Autore Definizione
Bernard (1975) Un’impresa che è controllata dai membri di una singola
famiglia.
Barnes, Hershon
(1976)
Un’impresa nella quale un individuo o i membri di una singola
famiglia detengono una partecipazione di controllo.
Davis (1983)
Sono familiari quelle imprese in cui gli aspetti strategici e
gestionali sono soggetti all’influenza significativa di una o più
famiglie. L’influenza è esercitata attraverso la proprietà.
Rosenblatt (1985)
Un’impresa in cui la maggioranza del capitale o il controllo è
nelle mani di una singola famiglia e almeno due membri di
questa sono stati direttamente coinvolti nella gestione.
Pratt, Davis (1986)
Un business nel quale due o più familiari ne influenzano la
gestione attraverso l’esercizio dei legami familiari, dei ruoli
manageriali e dei diritti di proprietà.
Stern (1986) Un business posseduto e gestito dai membri di una o due
famiglie.
Babichy (1987)
E’ il tipo di piccola impresa avviata da una o poche persone
che hanno un’idea imprenditoriale, che lavorano duramente per
garantirne lo sviluppo e che, spesso con l’apporto di risorse
limitate, riescono a garantirne la crescita mantenendo la
maggioranza del capitale.
Lansberg (1988) Un business nel quale i membri di una famiglia hanno il
controllo legale sulla proprietà.
Dreux (1990)
Sono imprese che sembrano essere controllate da una o più
famiglie che hanno un livello di incidenza nella governance
organizzativa sufficiente ad influenzare in maniera sostanziale
le decisioni aziendali.
Donckels, Frohlich
(1991)
Un’impresa in cui i membri della famiglia possiedono almeno
il 60% del capitale.
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Lyman (1991) Un’impresa in cui la proprietà deve essere detenuta
completamente dai membri di una famiglia.
Holland, Oliver
(1992)
Qualsiasi business nel quale le decisioni inerenti la proprietà o
la gestione sono influenzate da relazioni tra i membri di una o
più famiglie.
Corbetta, Dematté
(1993)
Si parla di imprese familiari quando una o poche famiglie
collegate da vincoli di parentela, di affinità o di solide alleanze
detengono quote di capitale di rischio sufficienti ad assicurare
il controllo dell’impresa.
Carsrud (1994)
Un’impresa dove partecipano un numero limitato di soggetti e
in cui la proprietà e il processo decisionale sono dominati da
un gruppo di soggetti legati da rapporti affettivi e di parentela.
Litz (1995) E’ familiare quell’impresa in cui la proprietà e la gestione sono
concentrate nelle mani di un’unica famiglia.
Sharman (1997)
Si definisce family business quell’attività di impresa che viene
gestita con l’intenzione di formare, sviluppare e sostenere nel
tempo una vision condivisa da una coalizione dominante,
controllata da membri della stessa famiglia o da un ristretto
gruppo di famiglie.
Astrachan,
Shanker (2003)
E’ familiare quel business in cui la famiglia ha il controllo
sulle attività strategiche e partecipa, a vario titolo e grado, al
business (definizione ampia); il proprietario deve avere
l’intenzione di tramandare l’impresa agli eredi e il fondatore o
gli eredi devono essere coinvolti nella gestione (definizione
media); più generazioni presenti nell’impresa e almeno un
membro della famiglia controllante deve essere coinvolto nella
gestione (definizione stretta).
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15
Villalona, Amit
(2006)
E’ familiare quel business in cui:
- uno o più familiari detengono almeno il 50% del
capitale o sono amministratori o manager;
- è presente almeno un familiare come amministratore o
come manager;
- la famiglia è il principale azionista votante;
- uno o più membri della famiglia delle generazioni
successive alla prima detengono almeno il 5% del
capitale o sono manager o amministratori;
- la famiglia è il principale azionista e ha almeno un
familiare come manager e uno come amministratore;
- la famiglia possiede almeno il 20% del capitale votante
ed è il principale azionista;
- uno o più familiari posseggono almeno il 5% del
capitale o sono amministratori, ma non ci sono familiari
tra i manager;
- la famiglia è il principale azionista, possiede almeno il
20% del capitale votante, almeno un familiare è
amministratore e uno è manager, la famiglia è alla
seconda o terza generazione.
Aidaf (2008)
Per aziende familiari si intendono le imprese in cui una o più
famiglie collegate tra loro da legami di parentela, da solide
alleanze, detengono il potere di nominare gli organi di
governo.
Fonte: rielaborazione da Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle
Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).
Nelle definizioni dei vari studiosi è possibile individuare alcuni elementi
comuni:
- una quota importante del capitale di rischio è detenuta dal nucleo familiare;
- l’imprenditore, ma anche i familiari, apportano capacità, competenze e lavoro.
Caratteristica comune ad ogni definizione è la stretta interdipendenza tra
impresa e famiglia, sia sotto l’aspetto economico - patrimoniale, sia con riferimento
alla sua natura sociale.
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16
A conclusione di ciò, si può dire che un’impresa si definisce familiare quando
una quota del capitale di rischio è posseduta da una o più famiglie, e uno o più
membri di queste prestano la propria opera all’interno di essa22
.
La combinazione dei molteplici aspetti presenti nelle varie definizioni rivela
una serie di elementi che danno luogo a diverse tipologie di classificazione delle
imprese familiari.
La prima è quella che determina la familiarità o meno dell’impresa, sulla base
di tre condizioni:
a) la struttura
b) il rapporto di interdipendenza tra famiglia e impresa
c) il grado di coinvolgimento della famiglia in azienda.
Combinando tra loro queste dimensioni, si ottengono tre tipologie di imprese23
:
1) imprese a familiarità crescente, dove proprietà e gestione appartengono ad un
unico individuo;
2) imprese a familiarità calante, dove si tende a diminuire il grado di
interdipendenza dell’azienda dalla famiglia;
3) imprese potenzialmente stabili, nelle quali proprietà e management sono
concentrate nelle mani della famiglia.
Assumendo, invece, come parametro di riferimento il tipo di relazione che la
famiglia intrattiene con l’impresa, possiamo classificare le imprese familiari in24
:
a) imprese familiari di lavoro, dove la famiglia lavora all’interno dell’impresa e si
preoccupa di promuovere e creare le condizioni organizzative affinché coloro
che lo desiderano possano lavorarvi;
22Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 23
Litz R.A., “The family business: toward definitional clarity”, Family Business Review, vol.
VIII, n.2, (1995). 24
Gallo M.A., “Cultura en empresa familiar”, IESE, Barcellona (1993).
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17
b) imprese familiari di direzione, dove la famiglia lavora all’interno dell’impresa e
concede l’ingresso in azienda solo ai componenti del nucleo familiare
meritevoli e dotati di particolari competenze professionali;
c) imprese familiari di investimento, dove la famiglia si interessa soprattutto
dell’attuazione e del controllo degli investimenti in essere senza avere un
coinvolgimento diretto nell’azienda;
d) impresa familiare congiunturale, dove la famiglia gestisce l’impresa per motivi
di carattere storico piuttosto che per volontà del singolo componente.
Ulteriore classificazione è quella che utilizza come criterio la dimensione
dell’impresa e il livello di concentrazione della proprietà e del controllo nelle mani
della famiglia, classificando le imprese a prescindere dal grado di parentela dei
componenti. Sulla base di questo, si suddividono le imprese in25
:
1) imprese familiari domestiche (o a proprietà chiusa e concentrata): sono
imprese giovani, di piccole dimensioni, dove lavorano poche persone e dove gli
organi di governo sono costituiti da soli familiari; proprietà e controllo sono
concentrati nelle mani di pochi soggetti, è molto forte il senso di appartenenza
all’azienda e la gestione avviene attraverso metodi e procedure informali;
l’imprenditore non è disposto all’apertura esterna ed è ostile ad ogni forma di
cambiamento;
2) imprese familiari allargate: le dimensioni dell’impresa sono medie o grandi; si
assiste a processi di apertura del capitale a persone diverse dai familiari, ma il
controllo rimane nelle mani della famiglia;
3) imprese familiari aperte: le dimensioni dell’azienda sono medie o grandi ed il
capitale è concentrato nelle mani di soggetti diversi dal fondatore; proprietà e
controllo sono dispersi tra più soggetti, non necessariamente appartenenti allo
stesso nucleo familiare.
25Corbetta, Dematté, “I processi di transazione delle imprese familiari”, Mediocredito
Lombardo, Milano (1993).
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18
Si può, quindi, affermare che per classificare un’impresa come familiare è
fondamentale che si verifichino contemporaneamente le seguenti condizioni:
- un singolo individuo o più individui, legati da vincoli di parentela, controllino
l’impresa;
- i componenti del nucleo familiare prestino la propria opera all’interno
dell’impresa, o quanto meno abbiano una rappresentanza tra gli organi di
governo;
- la famiglia manifesti la volontà o quanto meno l’intenzione di voler trasferire
l’impresa alle generazioni successive.
Un primo approccio alla definizione di family business è quello che
approfondisce il concetto di azienda familiare facendo riferimento all'assetto
proprietario26
.
In questa categoria rientrano quei contributi basati su un approccio di tipo mono
variabile, ossia basato su un'unica dimensione di analisi.
L'attenzione è focalizzata sul coinvolgimento di una o più famiglie nella
proprietà dell'azienda.
Condividendo tale definizione, il campo di indagine si restringe a quelle
imprese in cui i portatori di capitale di rischio e i prestatori di lavoro appartengono ad
un'unica famiglia.
Sempre in questa categoria, rientrano quelle definizioni che, sulla base di una
pluralità di parametri, tentano di misurare il grado di influenza e di coinvolgimento
della famiglia in azienda, quali il controllo che la famiglia ha sulle decisioni
strategiche e la volontà di mantenere l'impresa all'interno della famiglia stessa.
26Corbetta G., “Le Imprese Familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo”,
Egea, (1995).
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19
In conformità a questo secondo ordine di definizioni, è stato teorizzato l'indice
F-PEC (Family - Power, Experience, Culture), uno strumento di quantificazione del
grado di coinvolgimento della famiglia, delineato lungo tre dimensioni27
:
1) il potere: esprime il grado di coinvolgimento dei familiari nella proprietà e nella
gestione;
2) l’esperienza: esprime il grado di coinvolgimento di più generazioni nella
proprietà e nella gestione;
3) la cultura: esprime il grado di sovrapposizione tra valori aziendali e familiari e
il perseguimento di interrelazioni reciproche tra la famiglia, l'organizzazione e
l'ambiente.
Un secondo approccio alla definizione di family business è quello che volge
l'interesse verso la volontà o l'intenzione di trasferire l'azienda agli eredi (come
vedremo nel terzo capitolo).
Questa definizione unisce ai connotati in precedenza enunciati il
coinvolgimento di più generazioni nella proprietà e nel controllo28
.
Un terzo e ultimo approccio è quello che raccoglie in sé le cosiddette
definizioni “miste”, le quali si rifanno a molteplici condizioni: a elementi tipicamente
oggettivi, quali le condizioni legate alla proprietà e al management, sono combinati
elementi soggettivi, quali l'identificazione e il senso di appartenenza alla famiglia
(ossia tutti quegli elementi facenti riferimento alla sfera emotiva e comportamentale)29
.
Alla luce di ciò, emerge che l'aggettivo familiare, attribuito all'impresa, non può
corrispondere a una quantificazione assoluta, ma è soggetto a variazioni30
.
27Astrachan J.H., Klein S.B., Smyrnios K.X., “The F-PEC scale of family influence: a
proposal for solving the family business definition problem”, Family Business Review,
(2002). 28
Boldizzoni D., “L’impresa Familiare: caratteristiche distintive e modelli di evoluzione”, Il
Sole 24 Ore, (1998). 29
Montanari S., “I Percorsi Evolutivi delle Definizioni del Family Business: dalle concezioni
teoriche alle proposte operative”, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale,
(2008). 30
a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità
Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).
-
20
L’impresa familiare è un sistema complesso nell’ambito del quale si intersecano
tre distinti sottosistemi: la famiglia, la proprietà e l’impresa (figura 2)31
.
Ciascun sottosistema risponde a logiche ed esigenze diverse:
- la famiglia ruota attorno ai valori della coesione e dell’armonia; concepisce
l'impresa come fonte di benessere finanziario e come uno strumento di identità
familiare da trasmettere nel tempo; ciascun membro è coinvolto in azienda
indipendentemente dal fatto di essere coinvolto nella proprietà o nel
management;
- la proprietà è incentrata sull’interesse e sul ritorno dell’investimento;
rappresenta l'insieme dei soggetti che considera l'azienda come un investimento
dal quale si attende una remunerazione soddisfacente;
- l’impresa esprime esigenze di efficienza operativa in termini di economicità;
rappresenta lo strumento per realizzare la propria crescita professionale ed
economica. Questo sottosistema è costituito da quei soggetti portatori di
interessi orientati a prospettive di carriera e di sviluppo dell'azienda.
Figura 2 – Modello del family business
Fonte: Davis J.A, Tangiuri R., “Bivalent attributes of the family firm”, (1982) – ristampa in
Family Business Review, vol.IX, n.2 (1996).
31
Davis J.A, Tangiuri R., “Bivalent attributes of the family firm”, (1982) – ristampa in Family
Business Review, vol.IX, n.2 (1996).
Proprietà
P. I. P. F.
P. F. I.
F. I. Impresa Famiglia
-
21
Nell’area in cui i tre sottosistemi si sovrappongono (P. F. I.), il fondatore o
l’imprenditore proprietario è membro della famiglia e allo stesso tempo è il principale
responsabile di tutte le attività di gestione dell’impresa.
L’area di sovrapposizione famiglia – impresa (F. I.) individua quei soggetti,
membri della famiglia, che, pur essendo esclusi dalla proprietà dell’azienda,
partecipano direttamente all’attività di gestione e direzione, apportando risorse critiche
in termini di imprenditorialità, competenze tecniche e manageriali.
Nell’area di sovrapposizione proprietà – famiglia (P. F.) si trovano i membri
della famiglia che non prestano la propria opera all’interno dell’organizzazione, ma
apportano mezzi monetari sotto forma di capitale proprio, in qualità di soci.
Si tratta, quindi, di soggetti interessati ad ottenere un ritorno dall'investimento
effettuato, ma che, allo stesso tempo, promuovono la crescita e l'espansione del
business di famiglia.
Infine, nell’area di sovrapposizione proprietà – impresa (P. I.) sono presenti
attori non facenti parte della famiglia, ma coinvolti sia nella proprietà che nell’attività
di gestione.
All’esterno di queste aree si trovano attori indipendenti dalle relazioni che
caratterizzano l’azienda, ossia membri della famiglia non coinvolti nella compagine
proprietaria, né interessati all’attività aziendale, dirigenti o lavoratori assunti al di fuori
del nucleo familiare ed estranei all’ambito proprietario32
.
I tre sistemi si condizionano reciprocamente e tale condizionamento è tanto più
forte quanto più è estesa la presenza del nucleo familiare nella proprietà e/o gestione
aziendale.
Il sistema proposto da Davis e Tangiuri permette di illustrare il motivo per cui
la struttura dell’azienda familiare può essere fonte di conflitti tra i soggetti operanti in
azienda.
Poiché ciascun attore coinvolto ha il suo punto di vista e nutre bisogni ed
esigenze differenti, è inevitabile che sorgano conflitti interaziendali.
32Bonti M., “La Piccola e Media Impresa tra Famiglia e Innovazione” edizioni Il Borghetto,
(2014).
-
22
I possibili conflitti tra i tre sottosistemi sono accentuati dal fatto che spesso,
all’interno dell’azienda, i vari ruoli si sovrappongono e alcuni soggetti si trovano a
gestire differenti punti di vista riguardo agli obiettivi aziendali e personali.
Questo modello permette di individuare i vari interessi che si trovano all’interno
dell’azienda, nonché i relativi punti di intersezione e di divergenza, mostrando come le
differenti categorie di soggetti dipendano dalla posizione che assumono nell’ambito
dei tre cerchi.
La sovrapposizione tra regole del sistema familiare e regole del sistema
aziendale può incidere in maniera determinante sulle scelte di gestione; il rischio più
frequente è che le decisioni in azienda siano ispirate non dal criterio della razionalità
economica, bensì dalle logiche di tipo familiare.
Pertanto, è evidente che le scelte di gestione debbano essere orientate a
risolvere questo possibile conflitto tra realtà familiare e aziendale.
A tal proposito, entra in gioco il sistema di corporate governance, che può
costituire un’importante leva di azione per lo sviluppo e la continuità aziendale, ossia
quell’insieme di strutture e di processi attraverso i quali vengono prese le decisioni
aziendali33
.
33a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità
Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).
-
23
1.2.1 Punti di forza e di debolezza delle imprese familiari
Nelle imprese familiari, il legame tra famiglia e impresa è molto forte.
Questo è da considerarsi come l’elemento distintivo dal quale conseguono
fattori di successo e di insuccesso nella messa in opera della funzione imprenditoriale.
Ulteriore elemento di rilievo è il fatto che queste attività imprenditoriali sono
caratterizzate dalla sostanziale coincidenza tra proprietà e controllo, nel senso che una
medesima famiglia è al contempo coinvolta direttamente e in maniera significativa
nella gestione, e detentrice di una rilevante quota di proprietà.
Tra i punti di forza delle imprese familiari troviamo34
:
- maggiore indipendenza e autonomia decisionale, dovuta alla scarsa apertura al
capitale di terzi ed alla tendenza all’autofinanziamento;
- la presenza di un clima aziendale caratterizzato da una forza lavoro con un
elevato senso di appartenenza e di lealtà nei confronti dell’imprenditore; questo
implica l’adozione da parte dei membri della famiglia di un atteggiamento
cooperativo, volto ad anteporre gli interessi dell’impresa agli interessi
individuali;
- ampiezza delle mansioni: collaboratori multitasking e ricchezza dei ruoli e
compiti da svolgere;
- rapporti diretti con i collaboratori;
- velocità di comunicazione all’interno della struttura;
- elevata importanza della cultura condivisa, grazie anche alla presenza di molti
membri della famiglia;
- gestione diretta del cliente: molti hanno infatti contatti diretti con
l’imprenditore;
34Kets de Vries, “The dynamics of the family business controller firms: the good news and the
bad news.”, (1993) - adattamento da Bonti M., “La Piccola e Media Impresa tra Famiglia e
Innovazione”, edizioni Il Borghetto, (2014).
-
24
- elevata produttività del lavoro e spirito di sacrificio presente in tutti o parte dei
membri della famiglia;
- flessibilità e adattabilità: elevata capacità di reazione e di adattamento ai
mutamenti dell’ambiente circostante;
- possibilità di maggiore successo, benefici finanziari;
- una precoce formazione a favore dei membri della famiglia e in particolare
degli eredi che entrano in azienda a ricoprire ruoli già in giovane età e dalla
quale consegue una maggiore capacità di acquisire uno spirito imprenditoriale;
- rapidità decisionale: decisioni assunte da un numero ristretto di persone.
Al contrario, tra i punti di debolezza troviamo:
- l’esistenza di nodi conflittuali tra gli interessi della famiglia e quelli
dell’impresa;
- la presenza di favoritismi nei confronti dei familiari; non è raro, infatti, che,
durante le fasi di successione, vengano esclusi potenziali talenti a favore di
soggetti selezionati sulla base del diritto di nascita e quindi non
necessariamente dotati di capacità e di competenze utili alla gestione
dell’attività (fenomeno del cosiddetto nepotismo);
- l’esistenza di tensioni e disaccordi che si sviluppano in ambito familiare e si
estendono sul funzionamento dell’impresa;
- un minore accesso al mercato dei capitali;
- la presenza di un’organizzazione confusa dovuta al fatto che non esiste una
struttura organizzativa ben definita e non c’è una chiara divisione dei compiti e
delle mansioni;
- resistenza al cambiamento, dovuta alle regole paternalistiche ed autocratiche
imposte dal fondatore;
- la presenza di tensioni finanziarie dovute al fatto che alcuni membri della
famiglia sfruttano l’impresa per soddisfare i propri interessi;
- problemi nelle successioni generazionali;
- scarsa programmazione: difficoltà a stabilire delle priorità;
- scarsa apertura all’esterno della famiglia;
- scarsa specializzazione: fatica a sviluppare competenze specifiche;
-
25
- difficoltà di gestione del personale: confusione tra sfera professionale e
personale;
- assenza di meccanismi formali e strutturati di confronto tra persone;
- processi decisionali poco formalizzati e in prevalenza istintivi.
Nelle aziende familiari emerge spesso una difficoltà: quella che l’imprenditore
incontra nel separare l’azienda da se stesso e dalla propria famiglia.
Questa difficoltà si manifesta sia nella riluttanza a perdere porzioni di controllo,
sia nella scarsa propensione a valorizzare i dipendenti.
L’accentramento delle funzioni di direzione e controllo in una stessa persona,
l’imprenditore - fondatore, o in un ridotto numero di persone (i familiari del fondatore)
comporta quasi inevitabilmente una forte deresponsabilizzazione delle altre figure
presenti in azienda, in primo luogo di quelle dirigenziali: il dirigente esterno alla
famiglia tende tipicamente a diventare più un esecutore della volontà del proprietario
(o dei suoi eredi) che un soggetto dotato di propria autonomia e responsabilità35
.
Si genera così un circolo vizioso in cui, da un lato, l’impresa non riesce a
cogliere le opportunità di crescita per insufficienza di competenze, professionalità e
motivazioni e, dall’altro, non crescendo, comprime sempre più le professionalità che
sono presenti, demotivando i più intraprendenti36
.
Per la piccola impresa familiare è dunque assolutamente vitale riuscire a dare
vita ad una figura (di imprenditore, di dirigente, di quadro, etc.) che abbia le capacità e
le competenze adeguate alle nuove sfide lanciate dalle recenti dinamiche di
globalizzazione, caratterizzate dalla rapidità del cambiamento tecnologico unita a una
intensa pressione competitiva su mercati internazionali sempre più allargati.
35Marseguerra G., “Lo sviluppo dell’impresa familiare: le sfide della sussidiarietà.”
36ivi
-
26
In questo contesto, sorge un crescente fabbisogno di capitale umano, e le
piccole imprese familiari richiedono risorse umane sempre più qualificate e formate.
Se, infatti, è importante un elevato livello complessivo di conoscenze e
competenze, è però fondamentale che queste siano in grado di evolversi adattandosi
alle continue trasformazioni in atto.
Assume allora rilievo la formazione continua dei lavoratori: idealmente,
l’istruzione e la formazione professionale non dovrebbero presentare soluzioni di
continuità, così da permettere di soddisfare in modo integrato le richieste del sistema
economico e della società in generale.
Nel momento in cui le risorse naturali e il capitale fisico, un tempo solidi e
decisivi vantaggi competitivi, perdono importanza rispetto alla conoscenza,
all’informazione e al know-how tecnologico, la capacità competitiva di un’impresa,
così come la sua capacità di crescere ed espandersi, è determinata in maniera sempre
più decisiva dal suo investimento in capitale umano, che svolge un ruolo determinante
nell’alimentare il cambiamento tecnologico e la sua diffusione.
L’essere componenti di una famiglia conferisce al business un’identità ed uno
scopo ben definiti e un attaccamento e un coinvolgimento elevato da parte dei membri
della famiglia che riduce il rischio di comportamenti opportunistici, promuovendo
l’allineamento degli interessi.
Ed è proprio quest’ultimo che fa sorgere la volontà della generazione in essere
di trasferirne la proprietà alle generazioni successive.
Ciò conduce l’imprenditore ad operare in un’ottica di lungo periodo, che si
protrae oltre la durata della vita stessa.
L’azienda costituisce per l’imprenditore non soltanto una fonte di benessere
economico e di prestigio sociale, ma diventa un vero e proprio strumento di
autorealizzazione.
-
27
1.3 Gli assetti istituzionali delle imprese familiari
La scelta dell’assetto istituzionale e con esso la definizione degli organi
rappresentativi dell’impresa e dei loro compiti è necessaria per identificare i soggetti
primari e le regole del gioco competitivo dell’azienda di famiglia.
Nella letteratura sono presenti alcune teorie che consentono di capire quali sono
i soggetti primari e le loro interrelazioni con l’azienda, suddivise in due gruppi di
livello superiore37
:
a) le teorie gerarchiche
b) le teorie pluraliste
Nelle teorie gerarchiche rientrano le teorie manageriali, la teoria dell’agenzia e
la teoria dei costi di transazione, accomunate dall’idea che l’impresa di famiglia è
governata nell’interesse di una ben definita categoria di soggetti.
Nelle teorie manageriali sono raccolti una pluralità di contributi teorici
(Baumol, Williamson, Marris) che focalizzano l'attenzione sul fenomeno
della separazione tra proprietà e controllo dell'impresa38
.
La proprietà delle grandi imprese moderne è, infatti, spesso distribuita tra una
vasta pluralità di azionisti e questi, in quanto semplici investitori, tendono a
disinteressarsi della gestione diretta dell'impresa, affidata a manager professionisti.
Le funzioni imprenditoriali di gestione e di assunzione del rischio d'impresa
sono, in questo caso, svolte da distinti agenti economici con interessi diversi e
contrapposti.
I proprietari sono interessati al valore di mercato dell'impresa, alla redditività e
sicurezza dei loro investimenti e, quindi, alla massimizzazione dei profitti.
37Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da
Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 38
ivi
-
28
I manager sono invece più interessati alla posizione sociale, al prestigio, al
potere e alla sicurezza del posto di lavoro.
Questa differenza nelle “funzioni obiettivo” è causa di inefficienze perché gli
azionisti non dispongono delle informazioni e delle capacità tecniche necessarie per
controllare il comportamento dei manager che tendono, quindi, a perseguire i propri
interessi in modo discrezionale.
Le teorie manageriali prendono in esplicita considerazione il problema del
controllo da parte degli azionisti, dell'operato dei manager e mettono in discussione
l'assunzione, propria della teoria neoclassica, dell'obiettivo di massimizzazione del
profitto.
I diversi contributi teorici si distinguono tra loro per le diverse ipotesi circa la
“funzione obiettivo” che viene massimizzata dai manager nel perseguimento dei loro
interessi.
Per Baumol, i manager hanno interesse ad accrescere il più possibile la
dimensione dell'organizzazione al fine di consolidare la loro posizione e il loro
prestigio39
.
Williamson suppone che i manager siano interessati ad accrescere il loro potere
attraverso l'accumulazione di fondi utilizzabili in modo discrezionale, mentre secondo
Marris viene massimizzato il tasso di crescita bilanciato della dimensione di impresa e
del capitale produttivo.
In tutti questi modelli, l'ottenimento di un livello minimo di profitto non viene
considerato dai manager come obiettivo ma come vincolo che deve essere rispettato
per potere garantire una remunerazione sufficiente ai proprietari.
I manager rischiano, infatti, di essere sostituiti dagli azionisti se non
garantiscono una remunerazione soddisfacente del capitale investito nelle azioni della
società.
39Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da
Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).
-
29
Dividendi troppo bassi (dovuti alla mancata massimizzazione dei profitti)
peggiorano, poi, la valutazione delle azioni ed espongono l'impresa al rischio di scalate
azionarie (take over) che, con il cambiamento della struttura proprietaria, portano in
genere alla sostituzione del gruppo dirigenziale40
.
La teoria dell’agenzia, invece, si preoccupa di allineare gli obiettivi divergenti
tra i vari soggetti coinvolti, con riguardo sia alle relazioni tra proprietà e management,
sia agli altri rapporti con gli stakeholder, attraverso strumenti di sorveglianza e sistemi
di incentivi volti a limitare l’effetto di comportamenti opportunistici degli agenti.
La relazione tra agente - principale è definita da Jensen e Meckling come "un
contratto in base al quale una o più persone (principale) obbliga un'altra persona
(agente) a ricoprire per suo conto una data mansione, che implica una delega di
potere all'agente"41
.
Tale definizione è molto generale, e comprende qualsiasi relazione tra due
individui, in cui uno dei due delega parte del proprio potere all'altro.
Il contratto di agenzia, però, presenta alcuni rischi, dovuti al comportamento
opportunistico delle parti, che tendono a massimizzare la propria utilità (tale
comportamento opportunistico non è eliminabile, può essere tuttavia limitato).
In particolare vi possono essere due tipi di opportunismo42
:
a) selezione avversa (opportunismo ex ante): l'agente fornirà al principale
informazioni erronee o incomplete sulle proprie capacità e competenze per
farsi assumere;
40Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da
Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012). 41
Michael Jensen, William H. Meckling, “Theory of the firm: Managerial behavior, Agency
costs and Ownership structure”, in Journal of Financial Economis vol.3 pp.305-360 (1976). 42
ivi
-
30
b) azzardo morale (opportunismo ex post): costituito dal comportamento
scorretto che l'agente mette in atto in presenza di asimmetrie informative e
per via dell'incompletezza del contratto (specie nel caso in cui non sia
verificabile se le parti hanno effettivamente adempiuto in modo corretto agli
obblighi del contratto).
Sono inoltre presenti delle asimmetrie informative a favore dell'agente, in
quanto esso è sicuramente a conoscenza di un maggior numero di informazioni rispetto
al principale sul ruolo da svolgere, e può sfruttare queste asimmetrie tenendo
comportamenti opportunistici.
La teoria dell'agenzia suppone che i comportamenti opportunistici dell'agente
non siano eliminabili, e che è praticamente impossibile che esso operi nell'interesse del
principale; questo genera dei costi, detti "costi di agenzia"43
, classificabili in:
- costi di sorveglianza ed incentivazione volti a monitorare il comportamento
dell'agente;
- costi di obbligazione che l'agente deve sostenere per assicurare al principale che
non adotterà comportamenti opportunistici che lo possano danneggiare, ed
eventualmente indennizzarlo;
- costi residuali derivanti da altri conflitti di interesse che le attività di controllo e
di obbligazione non sono in grado di gestire; si tratta del costo opportunità
misurato dalla differenza tra il comportamento effettivo dell’agente e quello che
teoricamente avrebbe portato alla massimizzazione dell’utilità per il principale.
Infine, nella teoria dei costi di transazione (Williamson) si pone l’accento sul
fatto che l’impresa familiare occupa una posizione privilegiata poiché l’esercizio della
proprietà effettuato da un’unica persona, riduce i costi di coordinamento.
Ogni organizzazione economica nasce dal tentativo di minimizzare i costi di
transazione in contesti caratterizzati da contratti incompleti, investimenti specifici,
razionalità limitata e opportunismo.
43Michael Jensen, William H. Meckling, “Theory of the firm: Managerial behavior, Agency
costs and Ownership structure”, in Journal of Financial Economis vol.3 pp.305-360 (1976).
https://it.wikipedia.org/wiki/Asimmetrie_informative
-
31
Sono incompleti i contratti i cui termini siano osservabili dalle parti contrattuali
ma non verificabili ed eseguibili, con certezza e in via forzosa, da terze parti nel caso
in cui sorgano controversie tra i contraenti (tipicamente l'autorità giudiziaria).
Più precisamente si può affermare che le cause di incompletezza risiedono
nell'impossibilità da parte dei contraenti di prevedere ogni possibile contingenza futura
che dovesse verificarsi nel corso della relazione così come negli elevati costi di
contrattazione sostenuti dalle parti per accordarsi su ogni singola circostanza e nel
costo di ricorrere al sistema legale per ottenere l'adempimento del contratto.
Williamson sottolinea in particolare che se le parti inizialmente pattuiscono una
determinata cosa, e solo successivamente si rendono conto che quanto pattuito non
rispecchia le loro reali intenzioni, allora qualunque adattamento che avverrà dopo sarà
necessariamente incompleto.
Questa è una diretta conseguenza della razionalità limitata, proprio perché gli
individui non sono in grado di descrivere in maniera del tutto razionale gli eventi che
si verificano nel mondo che li circonda.
Quando i contratti sono incompleti, ogni promessa è esposta al rischio di
rinegoziazione, specie nei casi in cui le transazioni richiedono investimenti specifici o
irreversibili che mantengono un valore elevato solo all'interno di una data transazione.
Ciò comporta che transazioni incomplete sostenute da investimenti specifici
saranno realizzate solo quando le parti sosterranno elevati costi volti a ridurre il rischio
di rinegoziazioni contrattuali44
.
Infine, le teorie pluraliste pongono particolare attenzione alla continuità
aziendale. Rientrano in questa categoria la teoria degli stakeholder e la teoria dei diritti
di proprietà45
.
44Williamson O.E., “L’economia dell’organizzazione. Il modello dei costi di transazione”, in
Nicamulli, Rugiadini “Organizzazione e mercato”, il Mulino (1987) 45
Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da
Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un
Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).
-
32
La teoria degli stakeholder sostiene che spetta all’alta direzione comprendere
gli interessi degli stakeholder attuali e potenziali e tenere sotto controllo l’evoluzione
delle loro relazioni; permette di individuare verso chi, in concreto, le imprese devono
essere responsabili.
Il maggiore esponente di questa teoria è Freeman46
il quale sostiene che “gli
stakeholder primari sono tutti quegli individui e gruppi ben identificabili da cui
l'impresa dipende per la sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori e
agenzie governative chiave.”
In senso più ampio, tuttavia, stakeholder è ogni individuo ben identificabile che
può influenzare o essere influenzato dall'attività dell'organizzazione in termini di
prodotti, politiche e processi lavorativi.
In questo più ampio significato, gruppi di interesse pubblico, movimenti di
protesta, comunità locali, enti di governo, associazioni imprenditoriali, concorrenti,
sindacati e la stampa, sono tutti da considerarsi stakeholder.
La teoria dei diritti di proprietà (Coase), invece, è formulata sulla base del fatto
che controllo e proprietà dell’azienda coincidono47
.
Secondo questa teoria, l'esistenza di diritti di proprietà, e una loro perfetta
definizione, costituiscono fattori in grado di apportare maggiore efficienza nello
svolgimento delle diverse attività economiche che in tal modo possono essere
realizzate attraverso il meccanismo di mercato.
In questa teoria la proprietà, intesa nel senso comune, cede il posto a un
concetto più evoluto, rappresentato appunto dai diritti di proprietà, a sottolineare che
l'elemento su cui ruotano le transazioni di mercato non è tanto il bene genericamente
inteso quanto un vero e proprio sistema di diritti di proprietà che concerne non solo la
proprietà del bene medesimo, ma tutte quelle norme comportamentali volte a regolarne
la disponibilità e l'eventuale trasferibilità48
.
46Freeman R.E., “Strategic Management. A Stakeholder Approach.”, (1984)
47Coase Ronald H, “The problem of social cost.”, J. Law & Econ. 3 (1960)
48ivi
-
33
CAPITOLO 2
LA GOVERNANCE NELLE AZIENDE FAMILIARI
2.1 L’importanza della governance nelle imprese a conduzione familiare
Il presupposto da cui partono la gran parte degli studi sulla corporate
governance, ovvero la necessità di disciplinare i rapporti fra gli azionisti ed il
management che perseguono interessi differenti, non trova ragion d’essere per le
imprese familiari, nelle quali la sovrapposizione istituzionale tra proprietà e governo è
un elemento essenziale.
Dinanzi a tali considerazioni, alcuni studiosi si sono chiesti che senso avesse
studiare la governance nelle imprese familiari e in gran parte delle aziende di piccole e
medie dimensioni, laddove non si fosse in presenza della separazione tra proprietà e
governo49
.
Questi contributi hanno sottolineato la necessità di definire meccanismi di
governance efficaci anche per le imprese familiari, nelle quali la sovrapposizione tra
azionisti e manager può generare non pochi problemi.
A osservare la tassonomia tradizionalmente utilizzata per illustrare le forme di
governance diffuse nelle nazioni occidentali, si può notare come accanto alla public
company anglosassone e all’impresa consociativa tipica di Germania e Giappone, sia
stata da sempre riconosciuta anche l’impresa a conduzione familiare, modello
notevolmente diffuso nell’Europa continentale50
.
Quando si analizza la governance delle imprese familiari, ci si rende conto che
non esiste un unico modello di governo per il family business, ma il problema si
presenta particolarmente complesso e articolato.
49Pugliese A.,”Assetti proprietari e meccanismi di governance nelle imprese familiari
italiane”;(2016) 50
ivi
-
34
La corporate governance rappresenta un valido strumento per il perseguimento
degli obiettivi strategici e per la protezione del valore investito in azienda.
Essa esprime le modalità attraverso le quali sono regolati i rapporti tra i diversi
soggetti che partecipano all’attività d’impresa, quali azionisti, amministratori,
dirigenti, finanziatori, ecc..51
.
La sua finalità è quella di assicurare che nelle relazioni di impresa non vengano
adottati comportamenti opportunistici ed ha l’obiettivo di riallineare gli interessi tra
proprietà e management, per evitare o ridurre il rischio di performance inefficienti.
Accanto alla funzione protettiva, la governance può contribuire a promuovere
lo sviluppo e la creazione di valore delle imprese: i membri del consiglio di
amministrazione possono essere selezionati per dotare l’impresa di esperienze,
competenze professionali e relazioni personali utili al perseguimento delle strategie.
La corporate governance può, quindi, essere utilizzata per modificare la
dotazione di risorse e competenze dell’impresa, rendendola coerente con gli obiettivi e
le esigenze strategiche.
Nelle imprese familiari, come per le altre tipologie di impresa, non esiste un
modello di governance valido in senso assoluto in ogni contesto.
La governance, infatti, può divenire più complessa a causa dell’intreccio tra
proprietà, management e famiglia.
Il coinvolgimento della famiglia nella proprietà influenza la scelta degli
obiettivi, l’orizzonte temporale delle decisioni e lo sviluppo di capacità organizzative.
Pertanto, le aspirazioni e i valori dei membri della famiglia, indirizzando le
scelte strategiche dell’azienda, rendono necessaria una configurazione della
governance che consideri, contemporaneamente, le esigenze e le criticità rilevanti sia
per l’una sia per l’altra.
51a cura di Del bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende familiari e longevità
economica”, (2012).
-
35
La crisi, prima finanziaria, poi economica, che ha investito l’Europa e gli USA
nel corso degli ultimi anni ha dimostrato che un’economia basata soltanto sulla
crescita dei mercati finanziari rimane estremamente fragile se non è accompagnata
anche da una crescita dell’economia reale52
.
Questo nuovo contesto economico favorisce indubbiamente le società quotate
che possono raccogliere agevolmente denaro sui mercati azionari, effettuare
acquisizioni scambiando azioni anziché versando denaro e attirare manager qualificati
motivandoli con le stock option53
.
Risulta invece penalizzata l’impresa familiare che deve basare la propria
crescita sull’autofinanziamento e sul finanziamento bancario, e che inoltre non può
agevolmente ricorrere allo strumento azionario per motivare il proprio management
(ovviamente quello esterno alla famiglia proprietaria)54
.
Ipotizzando che la crescita di un’azienda familiare non quotata e di una società
quotata fosse stata analoga, sino alla metà degli anni ’80 entrambe potevano
gareggiare alla pari, mentre, successivamente, allorché la crescita del valore di borsa
prende il sopravvento sulla crescita degli utili, la società quotata distacca
inesorabilmente l’azienda familiare.
Questa competizione tra azienda familiare non quotata e società quotata non è
soltanto economica, ma tocca anche i valori che stanno alla base del business.
Sino a poco tempo fa, l’obiettivo dichiarato di una public company era quello di
incrementare lo shareholder value55
.
52D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;
53Le stock option sono uno strumento retributivo e di fidelizzazione dei dipendenti ritenuti
strategicamente importanti per l’azienda. Attraverso l’assegnazione di stock option, la
società offre al dipendente il diritto a sottoscrivere o acquistare un pacchetto azionario della
stessa, o di altra società facente parte dello stesso gruppo, in un arco temporale futuro
prestabilito e a un prezzo predeterminato. 54
D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”; 55
Shareholder value indica, letteralmente, il valore per l’azionista, ovvero il valore fornito ai
soci dovuto alla capacità del management di aumentare le vendite e gli utili nel corso del
tempo. Questo dipende dalle scelte strategiche fatte, tra cui la capacità di fare investimenti
saggi e generare un ritorno sul capitale investito.
-
36
In un’azienda familiare l’obiettivo è sostanzialmente quello di durare e
prosperare nel tempo.
Ovviamente questi valori non sono tipici di tutte le aziende possedute da una
famiglia, ma sono esplicitamente o implicitamente riconosciuti nell’ambito di quelle
che appartengono esclusivamente alla stessa famiglia (o a famiglie discendenti dal
fondatore) da almeno tre o quattro generazioni56
.
È peraltro molto difficile che un’azienda rimanga controllata dalla stessa
famiglia per circa un secolo senza che i suoi membri siano stati in grado di creare una
governance equilibrata che regoli sia i rapporti economici tra i familiari che i rapporti
tra la famiglia e l’azienda.
La prima osservazione è che non esiste una governance adatta indistintamente a
tutte le famiglie che controllano un business.
Le regole di governance, infatti, dovrebbero essere definite caso per caso
tenendo in considerazione una serie di fattori, come ad esempio le caratteristiche della
famiglia e i valori che la contraddistinguono, la dimensione e la situazione finanziaria
della società controllata e il suo business, l’esistenza di risorse economiche
significative nell’ambito della famiglia, oltre alle particolari esigenze della famiglia e
del suo leader.
A nostro avviso il primo fattore da analizzare è quello dei valori, e in particolare
il valore che l’azienda ha per la famiglia.
Solitamente si distingue tra due scelte opposte: quella che considera l’azienda
familiare come un bene dal valore esclusivamente patrimoniale alla stregua di altri, e
quella che la considera come un’entità completamente separata dal resto del
patrimonio familiare, che ha un valore soprattutto morale e che sotto il profilo
economico deve continuare a prosperare nel tempo57
.
Nel primo caso i principali beneficiari sono i singoli shareholder ed è
improbabile che il loro interesse possa coincidere con l’obiettivo di mantenere
l’azienda nell’ambito del controllo familiare.
56D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;
57Pugliese A.,”Assetti proprietari e meccanismi di governance nelle imprese familiari
italiane”;(2016)
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Nel secondo caso l’interesse dei vari stakeholder (dipendenti, fornitori, clienti,
comunità locali nell’area ove opera l’azienda) finirà per prevalere su quello degli
shareholder e, se l’azienda dovesse trovarsi in gravi difficoltà, l’interesse alla
sopravvivenza della stessa dovrebbe prevalere anche nei confronti degli interessi dei
singoli58
.
È chiaro che tra queste due visioni possono esistere posizioni intermedie che in
qualche modo bilanciano gli interessi delle due parti con quelli dell’azienda.
L’introduzione della governance avviene attraverso un processo piuttosto
complesso nell’ambito del quale la famiglia deve predisporre un documento che
contenga delle regole59
.
In secondo luogo devono essere definite le strutture nell’ambito delle quali i
membri della famiglia dovranno interagire nella gestione del business.
Tali strutture possono assumere una semplice forma assembleare (Consiglio di
Famiglia, Assemblea di Famiglia, ecc.) oppure una veste giuridica vera e propria
(Fondazione di Famiglia, Holding familiare, ecc.).
Solitamente, nella preparazione delle regole di governance vengono definiti i
seguenti temi:
• i valori della famiglia (con particolare riferimento alla missione e alla visione
strategica dell’azienda);
• le interazioni tra famiglia, proprietà e controllo dell’azienda familiare e
sviluppo del suo business;
• il processo decisionale in presenza di decisioni critiche (scelta del top
management, ingresso di nuovi azionisti, investimenti o disinvestimenti importanti,
ecc.);
• la scelta dei rappresentanti della famiglia in azienda (in particolare del leader,
del presidente non esecutivo e dei membri del consiglio);
58D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;
59ivi
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• la scelta dei consiglieri nel caso di holding familiare o fondazione (idealmente
un giurista, un banchiere e un esperto dell’area di business in cui opera l’azienda).
Dopo aver definito i rapporti tra i familiari occorre procedere alla definizione
dei rapporti tra la famiglia e l’azienda.
Nella definizione della corporate governance di una società familiare debbono
essere affrontati quattro temi principali60
, ovvero:
1) perché si introduce una corporate governance in una società non quotata e che
valore ha per la società?
valore in termini di immagine; nei confronti dei membri della famiglia; nel
rapporto con banche e investitori; con il management; con gli altri dipendenti.
2) qual è il ruolo del consiglio di amministrazione e in particolare dei consiglieri
indipendenti?
un CdA ideale per un’impresa familiare di medie dimensioni dovrebbe essere
costituito da sette membri, un rappresentante per ciascuna generazione di azionisti,
altrettanti consiglieri indipendenti e infine dal leader.
I consiglieri indipendenti non dovrebbero essere scelti tra persone conosciute,
ma dovrebbero essere selezionati tramite consulenti specializzati tra persone
caratterizzate da competenze utili all’impresa, elevato standing professionale e
indiscussa statura morale.
Il loro grado di coinvolgimento dovrebbe essere elevato, ma non eccessivo.
3) qual è il rapporto tra la famiglia e il management?
in linea di massima il livello di motivazione dei manager esterni è inversamente
proporzionale al numero dei manager membri della famiglia presenti in azienda e
direttamente proporzionale alle dimensioni dell’impresa.
In sostanza, mentre la presenza di un certo numero di family manager può
essere accettabile in una grande azienda perché non preclude le opportunità di carriera
a manager esterni alla famiglia, diventa un fattore problematico in una piccola
impresa.
60D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;
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In questo caso può essere preferibile effettuare una scelta chiara: o la famiglia è
rappresentata da un solo manager o si affidano tutte le posizioni chiave a membri della
famiglia.
4) come si gestisce il processo di successione nell’azienda familiare?
la principale decisione con cui prima o poi debbono confrontarsi gli azionisti di
un’impresa familiare riguarda la scelta del futuro leader.
In particolare, la scelta tra un membro interno alla famiglia e quella di un
manager esterno, nonché, qualora si opti per la prima soluzione e vi siano vari
candidati interni, la scelta del più idoneo rispetto alle aspettative della famiglia.
E’ opportuno che un membro della famiglia, anche in assenza di un valido
esponente che possa svolgere il ruolo di leader, occupi una posizione di vertice a
salvaguardia degli interessi dell’azienda e in ultima analisi anche della famiglia.
Tale ruolo dovrebbe essere idealmente quello di Presidente non esecutivo.
Nell’ambito di una famiglia numerosa, il maggiore problema per il futuro leader
non è quello di costruirsi una legittimità in azienda, ma bensì quello di farsi accettare
dagli altri familiari, in particolare da quelli non attivi in azienda, come colui a cui
affidare il destino economico della famiglia nel lungo periodo.
La ricerca sulla corporate governance prende avvio dal pionieristico lavoro di
Berle e Means61
.
Nella grande impresa, la progressiva separazione tra proprietà, controllo e
direzione pone in evidenza i potenziali rischi legati alla divergenza di interessi tra
proprietari e manager, da cui nasce l’esigenza di controllo.
Per molto tempo, il dibattito si è concentrato su questo problema, senza tuttavia
pervenire a una soluzione condivisa.
61Il lavoro che convenzionalmente segna l’inizio degli studi in materia di corporate
governance, “The Modern Corporation of the Private Property” di Berle e Means (1932),
parte proprio dall’osservazione di un’ “impresa moderna” nella quale, per la prima volta
rispetto al passato, si assiste ad una netta separazione tra i proprietari del complesso delle
risorse aziendali, ed i soggetti deputati al controllo di quegli stessi assets. Si afferma la
relazione tra agente e principale, alla base del rapporto di agenzia.
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40
Nell’ultimo decennio, il focus della ricerca si è spostato sull’esigenza di
accesso, non tanto al capitale finanziario, quanto al capitale umano62
.
Nella progettazione delle strutture e dei processi di governance, l’obiettivo
primario diventa la ricerca delle soluzioni più efficaci per coinvolgere le persone che
apportano il know-how critico e per supportare nel tempo i loro investimenti in
conoscenza specifica.
La governance non è rilevante solo nell’impresa in cui la proprietà è separata
dal controllo, non può adottare gli stessi principi indipendentemente dal contesto,
inteso sia in termini di business che di organizzazione e non si può limitare alla tutela
degli azionisti (capitale finanziario), ma deve estendersi alla valorizzazione delle
persone, delle relazioni e delle conoscenze (capitale umano)63
.
Si pone pertanto la necessità di valutare se le teorie sviluppate per soddisfare
l’esigenza di controllo mantengano la loro capacità interpretativa anche a fronte dei
cambiamenti che intervengono.
Le imprese familiari di medie e piccole dimensioni costituiscono un
osservatorio privilegiato a tale scopo, poiché in esse, da una parte non vi è la
separazione tra proprietà e controllo, dall’altra le persone, le abilità relazionali e le
conoscenze tecniche sono elementi distintivi..
Le imprese familiari sono state definite come aziende nelle quali due o più
famiglie con vincoli di parentela o legate da solite alleanze detengono il controllo.
Al fine di studiare gli assetti di governance, tale definizione risulta ambigua.
Innanzi tutto, c’è un problema legato alla varietà64
.
Sono “familiari” tanto le imprese di grandi dimensioni con una linea
manageriale sviluppata, quanto le imprese piccole in cui l’imprenditore assume non
solo il controllo, ma anche la gestione direzionale e operativa.
62Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance
per le pmi familiari.” 63
ivi 64
ivi
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Solo nel primo caso l’esigenza di controllo è rilevante, vuoi perché i soci di
minoranza (spesso membri della stessa famiglia proprietaria) mirano a tutelare
interessi diversi da quelli del socio leader, vuoi perché il progressivo ritiro della
famiglia dalle posizioni direttive di vertice trasferisce sul management professionista
(e non familiare) tutto il potere di direzione e decisione.
Nel secondo caso, il fenomeno più rilevante è la commistione tra proprietà,
controllo e gestione: da una parte, negli organi di governo siedono tanto i familiari
attivi, che i non attivi; dall’altro, l’impresa è affidata a una squadra manageriale
composta sia da membri della proprietà che da manager non familiari.
Fino a quando la dimensione dell’impresa e la complessità gestionale lo
consentono, si verifica che il leader, che coincide con il fondatore o con la persona più
rappresentativa della proprietà, si trova a gestire una rete economica e una rete socio-
familiare, viste in termini complementari e non alternativi: la prima assicura l’apporto
di competenze critiche per la gestione; la seconda permette di integrare le persone
esterne alla famiglia in una specie di clan imprenditoriale65
.
Ciò implica che il rapporto tra proprietà e management non si possa interpretare
come uno scambio fondato sulla reciproca sfiducia, come porterebbe a pensare la
teoria dell’agenzia, bensì come un rapporto che s’inserisce in uno specifico contesto
organizzativo ed è influenzato da fattori di natura sociale66
.
In tale situazione, appare più efficace la teoria della stewardship67
, secondo cui i
manager sono motivati ad agire nell’interesse del proprietario, adottando
comportamenti cooperativi.
65Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance
per le pmi familiari.” 66
ivi 67
La stewardship è la strategia di gestione responsabile che introduce un principio etico nella
valorizzazione delle risorse, favorendo la convergenza di interessi e contributi diversi nei
processi decisionali. Con il termine stewardship s’intende la gestione responsabile di beni
comuni, prodotti, patrimonio culturale, benessere della popolazione, personale e processi
organizzativi. E’ applicabile sia a livello macro che micro organizzativo, poiché può essere
intesa sia come una strategia di processo che come capacità individuale del leader.
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Questo non significa che gli interessi del proprietario-principale e del manager-
agente siano allineati, ma che vi sia una stretta relazione tra il successo del primo e la
soddisfazione del secondo.
Il secondo motivo che rende ambigua la definizione di impresa familiare
riguarda la variabilità68
.
A partire dalla fine degli anni ’60, la crescente turbolenza dell’ambiente esterno
manda in crisi i sistemi di pianificazione e controllo della grande corporation:
l’ambiente diventa una variabile chiave della progettazione organizzativa e dei sistemi
di governance.
La teoria della dipendenza dalle risorse coglie questa esigenza e propone un
framework che soddisfa i nuovi bisogni dell’organizzazione nel suo complesso e del
sottosistema di governance69
.
Il cambiamento nelle condizioni competitive, nell’assetto istituzionale e nel
business possono alterare l’identità degli stakeholder, la natura e il valore del loro
contributo.
Le strutture di governance dovrebbero evolvere in modo da permettere
all’impresa di accedere alle risorse critiche e di coinvolgerle nei processi di governo.
Nella piccola e media impresa familiare con la proprietà attiva nella gestione,
queste soluzioni possono essere impraticabili, non solo per ragioni economiche, ma
anche per la possibile mancanza di organi di governo formalizzati70
.
I problemi di governance diventano la definizione delle modalità per attirare e
trattenere i portatori delle risorse critiche e supportare i loro investimenti in capitale
umano finalizzati a sviluppare le capacità necessarie alla coalizione71
.
68Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance
per le pmi familiari.” 69
D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”; 70
Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance
per le pmi familiari.” 71
ivi
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Analizzando meglio quanto appena detto, l’impresa familiare, per le sue
caratteristiche intrinseche, si presta bene a essere osservata nell’ottica di alcune teorie
d’impresa, quali, in particolare: la resource-based view e la stewardship theory.
A differenza della teoria dell’agenzia, che rileva tanto elementi positivi quanto
negativi, rispettivamente, a favore e a carico del family business, entrambe queste
teorie tendono a stressare il lato positivo del business familiare72
.
Secondo la RBV l’impresa familiare è dotata di risorse strategiche che
potrebbero permetterle di acquisire un vantaggio competitivo nei confronti delle altre
imprese.
Tra queste risorse “inimitabili” possiamo individuare: la cultura, la presenza del
fondatore come soggetto capace di apportare competenze e capacità uniche, il
coinvolgimento di più generazioni nella gestione, la possibilità di creare un network
relazionale tra i familiari e gli altri stakeholders, la visione di lungo periodo della
famiglia che dovrebbe favorire una corretta valutazione degli investimenti secondo
regole di convenienza economica ecc..
La stewardship theory, che è quella che maggiormente si contrappone alla
teoria dell’agenzia, vede la famiglia come “steward” dell’impresa e, in quanto tale,
come soggetto i cui interessi sono perfettamente allineati a quelli dell’impresa73
.
Nella stewardship theory, infatti, si assume che i manager siano mossi da
interessi collettivi, pro-organizzativi e, perciò, che siano capaci di massimizzare il
proprio benessere a prescindere dalla razionalità economica, su cui si basa la teoria
dell’agenzia, che impone la massimizzazione della propria funzione di utilità in
un’ottica individualistica ed egoistica74
.
Il manager si pone come obiettivo prioritario il benessere dell’organizzazione
(impresa) e attraverso quello riesce a soddisfare il proprio.
Il benessere dell’uno (il manager) è funzione di quello dell’altra (l’impresa).
72D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;
73Giannecchini M., Gubitta P., “Dal controllo all’accesso. Modelli di corporate governance
per le pmi familiari.” 74
ivi
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Da ciò, consegue che non vi è alcun conflitto tra manager e azionista, essendo il
primo mosso dall’intenzione di salvaguardare e far crescere l’impresa, che è anche
l’obiettivo del secondo.
Questa impostazione presuppone:
1) che all’interno dell’organizzazione vi sia un comportamento cooperativo dei
suoi membri;
2) che prevalga un approccio orientato al coinvolgimento piuttosto che al
controllo: ogni membro deve essere coinvolto e avere voce in capitolo, nell’ambito
della sua sfera di competenza, nelle decisioni aziendali;
3) che ciascuno sia considerato al pari degli altri limitando al minimo le
gerarchie;
4) che le motivazioni puramente economiche (dena