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Paulo Freire e la comunicazione partecipativa–transazionale Giorgio Pezza

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Paulo Freire e la comunicazionepartecipativa–transazionale

Giorgio Pezza

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I edizione: luglio 2009

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INDICE Introduzione ...................................................................... 13 Capitolo primo Paulo Freire e il processo di coscientizzazione ............... 15 1. Presentazione di Paulo Freire: una biografia ragio-

nata ............................................................................ 17 1.1. 1960–1969: il periodo latino–americano ............................ 20 1.2. 1970–1979: l’esilio fuori dall’America Latina ................... 25 1.3. 1980–1997: il ritorno in terra brasiliana ............................. 28

2. Struttura del pensiero freiriano: definizione di alcu-

ne idee–forza ............................................................. 33 2.1. L’uomo come “essere storico in relazione” ....................... 34 2.2. Il concetto di “oppressione” ed “oppresso” ........................ 36 2.3. Dialogo vs. Antidialogo ..................................................... 38 2.4. Da “coscienza ingenua” a “ coscienza critica” ................... 41

3. Analisi del processo di coscientizzazione ................. 43

3.1. Educazione “depositaria” vs. educazione “problema-tizzante” ............................................................................. 45

3.2. La ricerca dei temi generatori: il processo di codifi-cazione e decodificazione .................................................. 48

3.3. Superamento delle “situazioni limite”: riflessione ed azione come atto creativo ................................................... 54

3.4. Finalità del processo di coscientizzazione: la rivoluzione amorosa .............................................................................. 55

Indice

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4. Lo sviluppo del pensiero freiriano nel tempo: le ul-time sollecitazioni ..................................................... 57 4.1. La pedagogia della Speranza .............................................. 58 4.2. La pedagogia dell’Autonomia ............................................ 60

5. Aspetti critici e questioni aperte ............................... 62 5.1. Non violenza o inevitabile violenza? ................................. 63 5.2. Alfabetizzazione primaria .................................................. 67 5.3. La questione nuove tecnologie e Media ............................. 69

Capitolo secondo La “comunicazione per lo sviluppo” in chiave freiriana ... 71 1. Dal paradigma della modernizzazione al para-

digma della dipendenza ............................................ 71 1.1. Il paradigma della modernizzazione .................................. 74 1.2. Il paradigma della dipendenza ........................................... 76

2. Il terzo modello della comunicazione per lo svilup-po: il paradigma della molteplicità ........................... 79 2.1. Alcune idee di sviluppo del paradigma della molteplicità .. 81 2.2. Il modello comunicativo del paradigma della mol-

teplicità .............................................................................. 82 2.3. Il processo di “coscientizzazione partecipativa”, alla

base del paradigma di sviluppo della molteplicità: il contributo freiriano ............................................................ 82

3. I principi fondanti le teorie della comunicazione

partecipativa per lo sviluppo ..................................... 84 3.1. I supporti teorici latino–americani ..................................... 85 3.2. Alcune idee sulla comunicazione nella letteratura latino–

americana ........................................................................... 86 3.3. Alcune idee sulla partecipazione nella letteratura latino–

americana ........................................................................... 91 3.4. Alcune idee sulle applicazioni nella letteratura latino–

americana ........................................................................... 94 3.5. Due approcci alla comunicazione partecipativa per lo

sviluppo ............................................................................. 97 3.6. Il modello partecipativo ..................................................... 100

Indice

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3.7. La metodologia di ricerca partecipativa ............................. 102 3.8. Le figure del comunicatore “per lo sviluppo”: avvocato

vs. facilitatore ..................................................................... 105 4. Rilievi conclusivi ...................................................... 111 5. Aspetti critici e questioni ancora aperte .................... 114 Capitolo terzo La comunicazione partecipativa–transazionale ............... 121

1. La “prospettiva transazionale”: la comunicazione partecipativa e la metodologia freiriana .................... 121 1.1. Il modello comunicativo transazionale: struttura del

processo dialogico .............................................................. 122 1.2. I componenti del modello: Mittente, Destinatario, Canale .... 130

2. Il processo di “coscientizzazione” freiriano e la

comunicazione partecipativa–transazionale: conti-nuità e differenze ...................................................... 138 2.1. Il rispetto della “dimensione culturale” .............................. 138 2.2. La ricerca sul campo .......................................................... 139 2.3. La progettualità partecipativa degli interventi .................... 140 2.4. La metodologia dialogica–transazionale ............................ 141 2.5. Il ruolo dell’educatore/facilitatore ...................................... 142 2.6. La prassi come azione di cambiamento .............................. 143 2.7. Differenze fra l’approccio freiriano e quello comunica-

tivo–transazionale .............................................................. 144

3. Quali possibilità nei contesti globalizzati: proposte ancora valide ed aspetti poco attuali ......................... 147 3.1. I valori e le proposte ancora attuali .................................... 149 3.2. Gli aspetti poco attuali o da modificare ............................. 152

Conclusione ...................................................................... 153 Bibliografia ...................................................................... 159

Indice

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Introduzione Il processo di “coscientizzazione” ideato da Paulo Freire e le

teorie della comunicazione partecipativa hanno radici comuni. L’attenzione rivolta in modo particolare verso gli oppressi di quelle società così dette “in via di sviluppo”, ha caratterizzato tanto il lavoro del pedagogista brasiliano, quanto quello dei teo-rici della comunicazione partecipativa. Il primo propone una metodologia educativa dialettica basata su un percorso di “uma-nizzazione” e di emancipazione degli individui messi ai margini della società. I secondi hanno integrato molte delle linee peda-gogiche freiriane, costruendo un approccio sempre di natura emancipativa, che concerne più specificamente la comunicazio-ne, anche quella mediatica.

Numerose sono le opere di Freire come anche i saggi dei te-orici della comunicazione partecipativa, che negli ultimi tren-t’anni hanno creato e aggiornato più volte i dibattiti sulle pro-blematiche degli oppressi. Gli approcci proposti si riferiscono quasi esclusivamente a realtà che abbiamo definito “di svilup-po”, e vanno ad evidenziare problematiche che appartengono a quegli stessi contesti. In questo senso, la letteratura esistente i-nizia a prendere in considerazione eventuali adattamenti in so-cietà definite “globalizzate”, poiché in quest’ultime le applica-zioni comunicative di coscientizzazione rappresentano ancora una novità. Per questo motivo ci affideremo a ricerche molto recenti integrate a quelle più datate, per facilitare un confronto ed evidenziare l’evoluzione del dibattito.

Il bagaglio di studi su queste tematiche è ormai quarantenna-le, se sommiamo l’opera di Freire a quella più giovane dei teo-

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rici della comunicazione partecipativa. Di per sé l’autore brasi-liano ha ispirato una corrente di pensiero che ha fornito, tanto alle scienze dell’educazione, quanto alla sociologia e alla co-municazione, prospettive teoriche e di azione ancora attuali. Dagli anni Settanta del XX secolo in poi, prima in America La-tina, poi nel mondo sud–asiatico, africano e in quello statuniten-se, sono numerosi i contributi che hanno arricchito la comuni-cazione per lo sviluppo, attraverso degli orientamenti che si ri-fanno ad un’emancipazione riguardante il mondo delle intera-zioni umane. Proprio gli stessi approcci che anni prima Freire propose all’attenzione dei dibattiti mondiali sull’educazione nei paesi in via di sviluppo, procurandogli non pochi problemi con alcune istituzioni governative.

In passato in Italia abbiamo avuto figure degne di nota per il loro orientamento rivoluzionario all’educazione. Ricordiamo su tutti Don Lorenzo Milani, le attività di Danilo Dolci e di Aldo Capitini. Bisogna riconoscere che però furono tentativi isolati e presto dimenticati forse perché scomodi, di non facile applica-zione, e sovversivi rispetto ad un certo sistema scolastico ed i suoi fondamenti istituzionali.

La ricerca sulla comunicazione partecipativa–transazionale, dopo aver avuto uno stallo negli anni Ottanta, ha ripreso vigore per mano di molti giovani autori indiani negli anni Novanta. Il loro contributo si fa forte del pensiero non violento di Gandhi, che vedremo ha robuste linee di analogia con quello freiriano. Le ultime produzioni pubblicate lasciano da parte una posizione più teorica sulla comunicazione e sulla partecipazione, per dare una spazio più ampio ad un approccio più pratico nello studio di casi e di realtà già esistenti, che hanno contribuito alla redazio-ne di una manualistica più operativa. In definitiva anche questa soluzione metodologica è stata tempo prima assunta da Freire come linea di azione, laddove la teoria è generata dalla prassi. Su questi tracciati, ancora oggi continuano ad essere attive le scuole di pensiero–azione comunicativa partecipativa–transa-zionale.

La ricerca si articola in tre capitoli. Nel primo, presenteremo inizialmente una biografia ragionata di Paulo Freire congiunta-

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mente alla sua opera sia letteraria che di educatore. Prima di in-trodurre i momenti del processo di coscientizzazione, saranno esposti alcuni punti cardine del pensiero freiriano che aiuteran-no a comprendere meglio i successivi passaggi del processo stesso. Dopo aver sviluppato i temi centrali di tutto il processo, presenteremo le ultime sollecitazioni del pensiero di Freire, ed alcune questioni critiche che, dopo la sua morte, restano ancora aperte.

Nel secondo capitolo introdurremo alcuni concetti centrali della “comunicazione per lo sviluppo” che ci aiuteranno a capi-re quale modello ha generato le attuali teorie sulla comunica-zione partecipativa. Definiremo le idee primigenie sulla comu-nicazione e sulla partecipazione che hanno preso vita negli anni Settanta dal dibattito latino–americano sulla “comunicazione al-ternativa”. Una volta definite le linee ideologiche, verranno pre-sentate le caratteristiche centrali della comunicazione partecipa-tiva, facendo sempre brevi rimandi ad eventuali analogie con Freire. Concluderemo le nostre riflessioni con alcune questioni problematiche cui l’approccio partecipativo deve far fronte, so-prattutto per future applicazioni.

Nel terzo capitolo verrà presentata la prospettiva transazio-nale come strumento di integrazione delle metodologie prese in esame. Vedremo in che modo i processi di coscientizzazione all’interno di una comunità e le attività di comunicazione parte-cipativa ad essa congiunte, contribuiscano ad un cambiamento socio–culturale, anche mediante l’ausilio dei media tradizionali e tecnologici.

Questa sintesi dialettica ci aiuta a mettere in luce quali mo-menti del processo di coscientizzazione freiriano rientrino nei criteri della comunicazione partecipativa–transazionale e rende agevole il confronto fra le due metodologie.

I parallelismi sono necessari per evidenziare tanto i punti di convergenza, quanto le differenze sostanziali fra i due approcci, e verificare effettivamente i punti di convergenza.

Questi ulteriori raffronti ci aiuteranno a stabilire quali carat-teristiche delle due metodologie possono ritenersi ancora valide in contesti globalizzati e quali quelle inadeguate, lanciando in

Introduzione

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questo modo alcune sfide per ricerche ed applicazioni future in società diverse da quelle in “via di sviluppo”.

Nel chiudere questa introduzione, vorrei ringraziare con af-fetto mia moglie Margarita Soledad Assettati, che oltre ad aver preso a cuore questo lavoro, condivide con me l’amore per l’u-manità.

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Capitolo primo

Paulo Freire e il processo di coscientizzazione

1. Presentazione di Paulo Freire: una biografia ragionata

Paulo Reglus Freire nacque il 19 settembre del 1921 a Reci-fe, una località situata all’estremo nord–est brasiliano. Figlio di Joaquim Temistocles Freire, sergente dell’esercito, e di Edel-trudes Neves Freire, casalinga e ricamatrice. Nel registrare il nome di Paulo all’anagrafe vi fu un errore, infatti avrebbe dovu-to chiamarsi Re–gu–lus e non Reglus. Fin dai primi anni di vita nessuno si fece problema a chiamarlo semplicemente Paulo Freire.

Il clima familiare risentiva della cultura patriarcale presente nel nord–est brasiliano, nonostante questo lo stesso Freire vide nella figura del padre una sintesi di autorevolezza e spirito di li-bertà. Il non dispotismo e il senso di disciplina del padre, uniti ad un’affettività più esplicita ed espansiva dimostratagli dalla madre, furono le basi sulle quali Freire costruì la propria vita. I giardini della casa di Recife furono gli spazi privilegiati entro cui cominciò a conoscere il “mondo”, ad alfabetizzarsi, aiutato dagli stessi genitori.

All’ombra dei due grandi alberi di mango che ombreggiava-no il cortile esterno, avveniva quella che Freire definì una sorta di formazione primaria; attraverso qualche ramoscello utilizzato per scrivere su un po’ di terra, il piccolo Paulo fu iniziato alla

Capitolo primo

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conoscenza del suo stesso ambiente di vita, mediante un’edu-cazione che avveniva in uno spazio informale e che sviluppava le sue linee partendo dalla comprensione delle piccole esperien-ze quotidiane1.

La prima scuola frequentata non fu pubblica, bensì privata e di proprietà della stessa insegnante. Paulo era l’unico bambino fra tutti che già conosceva l’alfabeto e sapeva sia leggere che scrivere. Amava frammentare le parole e ricostruirle in modi viepiù differenti. Un gioco questo insegnatogli dal padre2.

La crisi economica del 1929 obbligò la famiglia Freire a tra-sferirsi a Jaboatao. In quel periodo il padre, già da tempo malato al cuore, morì. La sofferenza ed una vita di stenti forgiarono il carattere di Paulo e sollecitarono in lui alcuni pensieri ed in-quietudini già presenti in nuce nella sua mente.

Superò senza alcuna difficoltà l’esame di ammissione alle scuole superiori. A vent’anni si iscrisse alla facoltà di giurispru-denza che confessò di non aver mai amato. Nel frattempo si inte-ressò ad alcune letture più umanistiche e inclini al suo carattere e alla sua personalità: la psicologia e la filosofia del linguaggio lo rapirono totalmente. Fu affascinato da una parte dal pensiero di autori quali Hegel, Habermas, Marx, dall’altra dall’umanesimo di ispirazione cristiano–cattolica di Mounier; teorie filosofiche che fu in grado nel corso del tempo di far convergere nonostante l’evidente dissidio fra i differenti pensieri. Nello stesso periodo si rese più sensibile ad alcune opere tradizionali che lo convinsero a riprendere in mano gli studi sulle espressioni linguistiche popola-ri, viste come risorse culturali soffocate dalle inferenze devastanti del colonialismo. La passione per il linguaggio si fece presente in particolar modo nella sua giovane carriera di docente di lingua portoghese nelle scuole superiori.

Nel 1944 a soli ventitrè anni si sposò con Elza Maria Costa Oliveira, di Recife. Con lei ebbe sette figli. Freire stesso affer-mò quanto sia stata forte la figura di Elza nella sua vita. Fu colei

1 P. FREIRE per ulteriori considerazioni sull’importanza di questo approccio educa-tivo, si rimanda il lettore alla consultazione del seguente libro: P. FREIRE, A sombra de-sta mangueira, Sao Paulo, Olho D’Agua, 1995.

2 Cfr. M. GADOTTI, Leggendo Paulo Freire. Sua vita e opera, Torino, SEI, 1995, p. 5.

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che lo iniziò all’amore per le scienze dell’educazione, essendo lei stessa insegnante, fu in grado di intrattenere con Freire quel dialogo amoroso e vivace al quale era da sempre educato. Elza lo seguì nei momenti più duri e di sconforto3.

Dopo essersi laureato in giurisprudenza all’Università di Pernambuco, e dopo aver compiuto le prime esperienze nel set-tore della giustizia, decise di chiudere definitivamente quasi prima di iniziare, proprio dopo la prima causa giudiziaria. In un’intervista Freire affermò:

«Lasciai il diritto dopo la prima causa: un affare di debiti. Dopo aver parlato con il mio cliente, un giovane dentista, debi-tore timido e vacillante, lo lasciai andare in pace: che si arran-giasse e facesse a meno dell’avvocato. E mi sentii contento, perché non avrei dovuto esserlo da allora in avanti»4.

Fu direttore del dipartimento “Cultura ed educazione” del centro di assistenza sociale SESI5 dal 1946 al 1954, all’interno del quale accaddero dei fatti che lo avrebbero condotto più tardi all’elaborazione del metodo, circa nel 1961.

Con l’avvento della dittatura, suggellata dal colpo di Stato del 1964 da parte di gruppi armati militari di destra, il Brasile fu colpi-to da una forte onda d’urto che bloccò ogni attività di interesse po-litico, sociale ed educativo. Lo stesso Freire, ricercato in tutto il paese, fu costretto, dopo tentativi di latitanza, a costituirsi alle forze di polizia. Era considerato un “sovversivo intenzionale” e “tradito-re di Gesù e del popolo brasiliano”, a causa di riferimenti fatti alla filosofia marxista6. Trascorse settantacinque giorni in carcere, all’interno del quale non perse occasione per meditare sugli effetti dell’oppressione, del dispotismo “necrofilo”, e sulla naturale predi-sposizione dell’uomo a farsi possedere da questi slanci, dimostran-do a se stesso quali siano i naturali effetti dell’assenza di amore e di libertà7. Il rischio che Freire intravide già in quel periodo conci-tato, fu la forte dissonanza che intercorreva fra un certo idealismo

3 Cfr. P. FREIRE, Teoria e pratica della liberazione, Roma, Ave, 1974, pp. 18–20. 4 Ivi, p. 20. 5 Servizio Sociale dell’Industria. 6 Cfr. GADOTTI, Leggendo Paulo Freire. Sua vita e opera, p. 24. 7 Cfr. F. BETTO, P. FREIRE, Una scuola chiamata vita, Bologna, EMI, 1986, p. 54.

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filosofico e la realtà entro la quale le stesse teorie avrebbero prete-so di innestarsi. L’idealismo in sé era da lui percepito come un vuoto verbalismo che avrebbe sminuito la complessità di una realtà estremamente dolorosa.

Uscito dal carcere, Freire e la moglie Elza chiesero asilo po-litico all’ambasciata boliviana, dove trascorsero un mese di re-lativa tranquillità sino a quando non irruppe il golpe anche lì. I due decisero di trasferirsi in Cile, che fu il paese dove prese corpo e struttura metodologica l’impianto educativo che sono alla base della sua pedagogia.

Per facilitare la comprensione dello sviluppo del pensiero frei-riano, si è creduto opportuno suddividere l’attività di Paulo Freire in tre epoche ben scandite, segnate da esperienze differenti, di con-seguenza tre differenti sviluppi del pensiero stesso8: il periodo lati-no–americano, che vedremo sarà il momento culminante della ste-sura teorico–metodologica e della sperimentazione empirica del metodo; il periodo dell’esilio fuori dall’America Latina, che vedrà Freire viaggiare per il mondo ed esportare il metodo in situazioni storico–sociali particolari; dunque l’ultimo periodo, quello del rientro in terra brasiliana, che vedrà un Freire cambiato, carico di esperienze e riconoscimenti, deciso a rieducarsi all’interno di un contesto che, dopo sedici anni di assenza, era ormai cambiato.

Nonostante il dolore per l’esilio, vedremo come Freire ed il suo metodo pedagogico trassero, al contrario, vitalità ed arric-chimento dai viaggi fatti, per effetto delle numerose applicazio-ni e riadattamenti in contesti completamente differenti.

1.1 1960–1969: il periodo latino–americano

Lasciatosi alle spalle la carriera di giurista, Freire si impegnò completamente nell’ambito educativo. Il periodo del SESI fu una tappa fondamentale per la conversione di interesse verso l’educazione popolare. Il ruolo di mediatore nei rapporti genito-

8 Si è voluto seguire la suddivisione proposta in più studi fatti sull’opera freiriana

Cfr. C. NANNI, Coscientizzazione, liberazione, democratizzazione. L’azione educativa e la pedagogia di Paulo Freire, in «Orientamenti Pedagogici» 266 (1998) 4, pp. 211–214.

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ri–figli, scuola–famiglia, lavoratore–istituzione, lo condusse ad alcune conclusioni: le problematiche sociali di un popolo non avrebbero mai potuto risolversi se non nei rapporti dialogici fra le controparti in conflitto, tanto più se il mediatore di tali rap-porti non avesse parlato un linguaggio chiaro e diretto. Lo stes-so Freire ammise che nel periodo iniziale della sua carriera di educatore, non poche volte si espresse per concetti astratti piut-tosto che concretizzare le idee in situazioni di prassi, reali, dun-que comprensibili da chiunque. Capì che sarebbe stato impossi-bile sensibilizzare un genitore a non picchiare il figlio discuten-do astrattamente sulla psicologia infantile9. Era invece necessa-rio esaminare la situazione dei soggetti, decodificarla per capir-ne le dinamiche socio–culturali–politiche sottese10.

Questa riflessione lo portò ad interessarsi in modo definitivo al filone pedagogico impegnato sull’educazione popolare. Dal 1961 al 1962, Freire fu protagonista e il fondatore del Movimento di Cultura Popolare. Il centro focale del movimento era la sua città natale (Recife) divenuta il quartier generale di ricerca e sperimen-tazione. Poco più tardi estese la sua attività di educatore popolare a tutta la regione del nord–est brasiliano, che contava la presenza di 15 milioni di analfabeti su 25 milioni di abitanti. Lavorò proficua-mente con gruppi di educatori dell’intera regione cui presentò la metodologia con le dovute modifiche in relazione alle caratteristi-che dei diversi territori. Si ottennero in pochissimo tempo dei risul-tati sconvolgenti, poiché bastarono quarantacinque giorni per alfa-betizzare circa trecento lavoratori11.

La rapidità di questa nuova modalità di alfabetizzazione, fe-ce sì che si inaugurasse il metodo in tutta la nazione col consen-so del governo federale brasiliano, prevedendo un’azione pro-

9 A tal proposito ricordiamo il lavoro condotto da Piaget (1896–1980), psicologo ed

epistemologo svizzero che divenne celebre per alcune ricerche sullo sviluppo intelletti-vo del bambino. Nonostante il grande apporto nella psicologia evolutiva, Piaget resta un grande teorico distaccato da un discorso di prassi, e per questo lontano dall’affrontare problematiche concrete. La scelta metodologica di Freire fu diametralmente opposta a quella di Piaget, laddove il discorso teorico avrebbe dovuto essere funzionale alla prassi, non il contrario.

10 Cfr. GADOTTI, Leggendo Paulo Freire. Sua vita e opera, p. 8. 11 Cfr. FREIRE, Teoria e pratica della liberazione, p. 24.

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gressiva che dai centri urbani più densamente popolati, si sareb-be spostata viepiù nelle zone rurali. Dal 1964 al 1965 fu preven-tivata l’apertura di circa ventimila “circoli di cultura” in grado di formare ogni anno circa due milioni di persone, dal momento che ogni circolo avrebbe educato trenta allievi12.

Poiché la struttura dell’educazione popolare risulta ben arti-colata e determinata, presentiamo sinteticamente i passaggi chiave.

L’educazione popolare:

1) si presenta come un processo che nasce e si sviluppa all’interno di una collettività, nella quale il soggetto in-serito in un contesto spaziale, sociale, culturale e tem-porale determinato, è il protagonista e il gestore della propria educazione;

2) è critica, analitica, creativa e partecipativa; 3) risulta essere una tipologia di educazione alternativa a

quella borghese, in quanto tesa a lottare contro la socie-tà capitalistica;

4) prevede dei momenti di riflessione partecipativa del gruppo o della comunità, al fine di evidenziare quali siano le strade migliori per concretizzare il cambiamen-to sociale;

5) è finalizzata allo sviluppo di una coscienza critica delle classi popolari in una prospettiva di stampo politico;

6) si rivolge col termine “popolare” alle classi “oppresse”, dominate dalle ideologie politiche, economiche e culturali della classe governativa, detta anche “classe dominante”;

7) si inserisce in una strategia globale di azione politica per la trasformazione radicale della società. Tale movi-mento è detto anche “azione culturale”, ovvero un atto finalizzato alla costruzione di una società democratica di giustizia e parità sociale;

8) è uno stimolo per gli educatori a prendere coscienza del fatto che l’educazione tradizionale è uno dei tanti stru-

12 Ivi, pp. 24–25.

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menti adottati dalle ideologie dominanti per mantenere saldo il potere, ed un invito a considerare l’educazione stessa come un servizio per le classi popolari13.

Già nei primi anni Sessanta il lavoro di Freire venne dura-

mente osteggiato da parte di gruppi reazionari di matrice capita-lista e cattolica conservatrice. I primi vedevano questo tipo di azione popolare come un metodo più sovversivo che educativo, legato evidentemente alle ideologie marxiste. I secondi, non po-tevano accettare che un educatore cattolico potesse adottare “metodi bolscevichi” per democratizzare la società. In realtà, entrambe i gruppi di potere temevano che i privilegi economici e politici di cui godevano potessero dissolversi in una sorta di rivoluzione popolare. Per questo motivo condannarono il lavoro di Freire e degli educatori popolari, tacciandoli di seguire un concetto distorto di libertà che faceva capo alla ribellione e la sovversione fine a se stessa14.

Il colpo di stato del 1964 venne in qualche modo in aiuto al-le istanze dei gruppi reazionari, cosicché si interruppero tutte le attività culturali ed educative intraprese sino ad allora.

Dopo varie fughe lungo il tutto il Brasile, e settantacinque giorni di prigionia, Freire insieme alla moglie furono costretti a fuggire in Cile ove vigeva il governo democratico cristiano di Eduardo Frei.

Nel 1965 l’Istituto per la pianificazione e l’educazione degli adulti, avviò un programma di alfabetizzazione per il popolo ci-leno. Dopo un lavoro di ricerca e di rielaborazione del metodo, Freire con un’equipe formata sul posto, tentò di ripartire in un contesto totalmente differente, temendo che un metodo conside-rato sovversivo in Brasile potesse lasciare scettiche anche le i-stituzioni cilene. Freire lavorò sistematicamente con gruppi di educatori, generalmente maestri di scuola elementare prove-nienti dalle differenti comunità locali del paese. A ciascun

13 Cfr. C.D. MARCHANT, De la Liberacion a la Esperanca, Santiago, Olejnik, 1998,

pp. 41–43. 14 Cfr. P. FREIRE, Teoria e pratica della liberazione, p. 25.

Capitolo primo

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gruppo veniva presentato il metodo educativo che avrebbe do-vuto essere compreso e contestualizzato all’interno della comu-nità di cui gli educatori facevano parte.

In soli due anni il paese cileno richiamò l’attenzione interna-zionale, ricevendo un premio dall’UNESCO15 che elesse il Cile come una delle cinque nazioni ad aver superato, in tempi relati-vamente brevi, la problematica dell’analfabetismo16.

In questo periodo Freire si trovava all’apice del suo lavoro di educatore, tant’è che anche l’ICIRA17 lo convocò per aiutare i gruppi che avevano il compito di organizzare i piccoli allevatori e i contadini per applicare anche lì il suo metodo educativo per lo sviluppo della coscienza della popolazione rurale18. Da qui nacque l’esigenza di redigere un manuale per l’educatore agro-nomo, per chiarire quale strategia adottare, per comunicare e non imporre flussi informativi riguardo le tecniche innovative nel campo dell’agronomia al popolo rurale19.

Nel 1967 Paulo Freire scrisse il suo primo libro di rilievo L’educazione come pratica della libertà20 nel quale presenta la sintesi della sua attività di educatore popolare, col tentativo di trarre un metodo dalle esperienze fatte nel campo dell’alfabe-tizzazione. In modo chiaro e diretto, dopo aver descritto il con-testo di applicazione della metodologia da lui sperimentata, Freire descrive i passaggi fondamentali del processo educativo basato sulla conquista della parola e di una coscienza critica da parte di quanti, oppressi dai sistemi governativi dispotici, vivo-no nella “cultura del silenzio”21.

15 Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, le scienze e la cultura. 16 Cfr. FREIRE, Teoria e pratica della liberazione, pp. 32–33. 17 Istituto per la Ricerca e la Riforma Agraria 18 Cfr. GADOTTI, Leggendo Paulo Freire. Sua vita e opera, p. 25. 19 Consultare: P. FREIRE, ¿Extension o comunicacion?: La concientizacion en el

medio rural, Buenos Aires, Siglo XXI Argentina, 1974. 20 Cfr. P. FREIRE, L’educazione come pratica della libertà, Milano, Mondadori,

1974. 21 Con questa immagine Freire indicava quel tipo di mentalità imposta al popolo

dalle classi dominanti che, attraverso prescrizioni e coercizioni di varia natura, zittivano la coscienza della gente che recepiva passivamente e nel silenzio ogni abuso di quanti governavano.

Paulo Freire e il processo di coscientizzazione

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Il periodo dell’esilio in Cile fu estremamente importante per Freire, poiché per sua fortuna trovò un ambiente fertile e ricetti-vo alla questione educativa, che gli consentì di strutturare in modo chiaro e definito quello che poi si sarebbe chiamato “Me-todo Paulo Freire”.

Nel 196922 ultimò il suo più celebre saggio Pedagogia de-gli oppressi23, che presenta in modo più ordinato le teorie sin da allora esposte sulla giustificazione di un certo tipo di pra-tica educativa, volta alla liberazione dell’oppressione da par-te delle classi popolari. A differenza del suo primo scritto, Freire nella Pedagogia degli oppressi introduce la valenza politica che l’educazione porta con sé implicitamente o e-splicitamente. Fare educazione diveniva in qualche modo fa-re politica, e questo avrebbe dovuto essere un presupposto da tenere presente, poiché un politico non è altro che un educa-tore che deve denunciare situazioni sociali problematiche ed annunciare il cambiamento.

Il saggio fu fortemente criticato dalle frange estremiste della destra cattolica cilena, che accusarono Freire di aver scritto un libro “veramente violento” contro la Democrazia Cristiana. Per questo motivo, e per alcune avvisaglie sulla futura dittatura, fu costretto a lasciare il Cile nel 1969.

1.2. 1970–1979: l’esilio fuori dall’America Latina

Freire intuì che in America Latina stava iniziando una nuova

epoca di dominazione differente dalle precedenti. Gli avveni-menti del Brasile, e i futuri colpi di Stato negli altri paesi com-preso il Cile, erano la dimostrazione che la mano potente e “su-periore” del potere capitalista stava piazzando progressivamente le sue pedine nell’invitante scacchiere latino–americano. I re-gimi di destra che nel decennio dei Settanta si sarebbero instau-rati, erano largamente appoggiati dalla politica Statunitense al

22 La prima edizione uscì nel 1970. 23 In questa ricerca si fa riferimento alla seguente edizione: P. FREIRE, Pedagogia

degli oppressi, Torino, EGA, 2002.

Capitolo primo

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fine di controllore economicamente e politicamente i territori da eventuali azioni sovversive e rivoluzionarie.

Per questo motivo chiunque intraprendesse una protesta, an-che non armata, per la liberazione da regimi oppressivi, sarebbe stato marchiato come “sobillatore comunista”. Qualifica questa, che avrebbe legittimato le molte uccisioni e torture in tutto il sanguinoso periodo delle dittature latino–americane.

Freire, anche se tentato a rimanere in quei territori per lottare accanto alla sua gente, sotto consiglio della moglie si convinse ad uscire dal territorio latino–americano per continuare la sua carrie-ra di educatore altrove. Le proposte di impiego non si fecero at-tendere, infatti l’Università di Harvard in Massachusetts (USA) gli offrì una cattedra come docente invitato dal Centro di studi in Educazione e Sviluppo; otto giorni dopo ricevette da Ginevra una lettera da parte del Consiglio delle Chiese, un’organizzazione impegnata in quel periodo a sostenere la liberazione dei vari paesi del continente africano dai regimi coloniali in decadenza, appog-giando movimenti come il PAIGC24 in Guinea–Bissau, l’MPLA25 in Angola e il FRELIMO26 in Mozambico: gruppi armati coaliz-zati per l’allontanamento dei coloni portoghesi.

Freire, affascinato da queste proposte di lavoro, decise di ac-cettarle entrambe, trascorrendo sei mesi negli Stati Uniti, e poi trasferendosi direttamente a Ginevra.

Il periodo statunitense gli fu utile per riflettere sulla recente inva-sione imperialista che stava verificandosi nel territorio latino–americano, contrapponendo questa prospettiva ad un’azione cultura-le che avrebbe dovuto smagliare il potere coercitivo dei governi da azioni popolari organizzate. L’organizzazione di queste idee portò alla stesura definitiva del libro Azione culturale per la libertà27.

A Ginevra si inserì in un gruppo di esuli brasiliani che costi-tuirono l’IDAC28, finalizzato alla ricerca e la pratica pedagogi-

24 Partito africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde. 25 Movimento per la Liberazione dell’Angola. 26 Fronte di Liberazione del Mozambico. 27 Consultare: P. FREIRE, Cultural action for freedom, Hammondsport, Penguin

Books, 1974, pp. 27–33. 28 Istituto di Azione e Cultura.

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ca, basato sul processo di coscientizzazione da lui ideato, e ispi-rato alla pedagogia degli oppressi come metodologia di azione educativa sistematica per la fascia popolare “senza diritti”. Frei-re dal canto suo accettò la presidenza esecutiva dell’IDAC a patto che la sua fosse una presenza limitata, anche per facilitare la crescita e l’indipendenza del gruppo29.

A questo impegno si associò, come già accennato in prece-denza, il periodo di attività nel consiglio Mondiale delle Chiese, che fu un altro dei momenti estremamente formativi per la vita dell’autore brasiliano. Il ruolo di consigliere per l’educazione ai governi dei paesi in via di sviluppo, lo portò a verificare ulte-riormente la valenza del metodo. Una validità che sta nella pos-sibilità di modificarlo, stravolgerlo, e rimodellarlo su sostrati socio–culturali completamente differenti.

Nelle esperienze africane, il metodo di Freire venne messo a dura prova da una cultura votata all’oralità. Per secoli le popola-zioni africane narravano la proprie vite, gioie, dolori e sofferenze attraverso un incedere verbale denso di sonorità. Per questo molti africani furono scettici nell’accettare un’alfabetizzazione tesa a codificare con segni grafici, dei discorsi che avevano già nell’ora-lità una struttura intrinseca ben determinata.

Con l’aiuto e la consulenza di alcuni educatori del posto, fra tutti ricordiamo Amilcar Cabral30, Freire elaborò dei quaderni di alfabetizzazione che non fossero un ricalco di precedenti lavori fatti nei circoli culturali, ma coerenti con le esigenze della realtà del posto. Dal carteggio con Cabral, nacque l’opera Lettere alla Guinea Bissau31 dove la consulenza di Freire divenne un atto amoroso di solidarietà alla lotta per la liberazione, ed una nuova possibilità per ribadire che il cambiamento radicale avrebbe do-vuto partire da uno sviluppo delle coscienze, soprattutto all’in-terno delle forze militari di liberazione.

29 Cfr. GADOTTI, Leggendo Paulo Freire. Sua vita e opera, p. 29. 30 Amilcar Cabral fu leader del movimento PAIGC, educatore ed educando del suo

popolo, fu assassinato nel 1973 sette mesi prima dell’indipendenza della Guinea – Bissau. 31 In questa ricerca si fa riferimento alla seguente edizione: P. FREIRE, Pedagogia in

cammino: lettere dalla Guinea Bissau, Milano, Mondadori, 1979.

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Tra il 1975 ed il 1978 Freire lavorò a Sao Tomè e Principe32, in qualità di educatore militante, avviando anche lì un pro-gramma di alfabetizzazione ed ottenendo ottimi risultati. Una lettera del Ministro dell’Istruzione delle due isole, affermava che in due anni erano stati alfabetizzati circa il 55% degli iscritti e il 72% di coloro che avevano terminato il corso.

In tutto il decennio degli anni Settanta, Freire girò il mondo lavorando in Angola, Australia, Italia, India, Tanzania, nelle i-sole Figi ed altri paesi ancora33.

Nell’ottobre del 1979 fu invitato a sostenere la “Crociata Nazionale per l’Alfabetizzazione” in Nicaragua, ove vi restò dieci giorni lavorando, come sempre fece nella sua vita, a con-tatto diretto con le equipès del posto per la strutturazione di un piano metodologico di azione.

In questo periodo di lavoro all’estero, numerose furono an-che le lauree Honoris Causa che alcune fra le più prestigiose università del mondo gli offrirono per premiare il suo lavoro di “educatore degli oppressi”: la Open University di Londra, l’Università di Lovanio (Belgio), l’Università del Michigan (Stati Uniti), e l’Università di Ginevra (Svizzera). Quello del-l’università di Ginevra, fu uno degli ultimi riconoscimenti con-seguiti prima di essere riabilitato dal governo brasiliano dopo quindici anni di esilio.

Nel 1979 Freire volò in Brasile soggiornandovi per un mese, per poi tornare in Svizzera ove valutò un suo possibile e defini-tivo rientro che avvenne puntualmente nel marzo del 198034.

1.3. 1980–1997: il ritorno in terra brasiliana

Quel fugace ritorno in Brasile, dovuto ad un incarico di do-

cenza che l’Università cattolica di San Paolo propose a Freire, fu un coraggioso tentativo di rottura del muro del distacco. Un ritorno che si fece amaro, quando gli fu ordinato di sottoporsi a

32 Due isole del centro–ovest africano. 33 Cfr. GADOTTI, Leggendo Paulo Freire. Sua vita e opera, p. 39. 34 Ibidem.

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speciali “esami di pericolosità” che ogni esule avrebbe dovuto sostenere una volta ritornato in patria, cui lui rifiutò di sottopor-si. Dopo l’ottenimento del visto, ricevette il passaporto che re-golarmente gli veniva negato dalle varie ambasciate brasiliane sparse nel mondo.

A 57 anni Freire fece ufficialmente ritorno nella sua terra na-tale35. Celebre fu una sua dichiarazione a caldo all’aeroporto di Campinas, quando gli fu chiesto se durante i quindici anni di e-silio riuscì a seguire l’evoluzione della storia politica, sociale ed educativa del Brasile, egli rispose con franchezza: «In ogni momento scopro che è indispensabile stare qui per capire me-glio la realtà attuale. Quindici anni di assenza esigono un ap-prendimento ed una maggiore intimità col Brasile di oggi. Sono venuto per reimparare il Brasile»36.

Il ritorno in terra brasiliana fu importante perché riaccese il dibattito sull’educazione che venne mestamente sopito con l’avvento della dittatura militare. La realtà brasiliana era note-volmente mutata dal periodo dei “circoli culturali” degli anni Sessanta, e di questo Freire ne era fortemente cosciente. Il Bra-sile da lui ritrovato stava vivendo un periodo di grandi speranze, grazie anche al costituirsi della “Nuova Repubblica” rinata dalle ceneri di quella del periodo pre–dittatoriale.

Nel 1981 Freire organizzò una conferenza durante le ceri-monie di apertura del Congresso brasiliano di Lettura a San Pa-olo. In questa occasione presentò un saggio intitolato L’impor-tanza dell’atto di leggere. Fu il primo volume ufficiale conse-gnato alla sua gente dopo anni di lavoro da esiliato.

Nel 1986 ricevette da parte dell’UNESCO il premio “Educa-zione alla Pace” come riconoscimento di merito per il suo lavo-ro di educatore militante per la pace e lo sviluppo.

Nel mese di ottobre dello stesso anno, venne a mancare la sua amata moglie Elza, con la quale condivise le esperienze più toccanti compreso l’esilio restandole sempre al fianco, e con la quale intrattenne un continuo dialogo che caratterizzò il loro

35 Ivi, p. 42. 36 Ibidem.

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rapporto da sempre, come anche lo stesso Freire ebbe modo di affermare.

Nel 1987, ormai reintegrato definitivamente nella sua terra, Freire ricevette un incarico importante dall’Università Federale di Pernambuco in qualità di docente. Un tributo offertogli dal governo della “Nuova Repubblica” dopo il sopruso dell’esilio arrecatogli dal precedente governo dittatoriale.

Il nuovo contesto brasiliano diretto verso prospettive politiche di tipo democratico e su un crescente sviluppo economico (nono-stante le contraddizioni forti fra industrializzazione alla avan-guardia ed estrema povertà), fecero intendere a Freire che la real-tà mutò più di quanto potesse immaginare, e che l’azione educa-tiva proposta nel periodo degli anni Sessanta avrebbe dovuto es-sere modificata affinché fosse riproponibile ed attuale. Doveva fare i conti con la fine di alcune ideologie e di molte utopie che in passato hanno dato senso alle attività di mobilitazione per la “causa sociale”. Fu testimone della conclusione del sodalizio fra alcuni equilibri creati fra il marxismo ed il cristianesimo che ave-vano caratterizzato fortemente il movimento della teologia della liberazione. Questa corrente teologica si sciolse ufficialmente per volere della gerarchia ecclesiale, la quale dichiarò di non consen-tire la sovversione e la confusione del discorso teologico in ideo-logie filo–comuniste; ancor meno lasciare che un tipo di teologia alternativa spinga comitive autogestite, e non poche volte guidate da religiosi armati, a battersi anche in guerriglia.

Se da una parte si stava assistendo alla decadenza di alcune utopie legate al passato, dall’altra si presentava la possibilità di lavorare per il futuro; tale possibilità persuase Freire a spostare l’accento della sua azione educativa più verso l’incentivazione della democrazia e della partecipazione popolare alla vita edu-cativa, politica ed economica del paese. Un impegno che Freire nell’intervista con Gadotti e Guimaraes Pedagogia: dialogo e conflitto37, ribadì più volte: l’azione educativa è azione politica, dunque “azione schierata”.

37 Consultare: P. FREIRE – M. GADOTTI – S. GUIMARAES, Pedagogia: dialogo e

conflitto, Torino, SEI, 1996.

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Nel frattempo nella sua vita ci fu spazio per un’altra donna, Ana Maria A. Hasche (che tutti avrebbero poi chiamato “Nita”), sposata il 27 marzo del 1988.

L’accento che Freire pose in modo più significativo du-rante il lavoro portato avanti nel suo ultimo periodo, fu su il discorso dell’autonomia della scuola pubblica, ed il diritto di accesso alle strutture scolastiche da parte di chiunque. La questione dell’autonomia scolastica si fece forte in Freire, ponendosi come una evoluzione del suo pensiero in una so-cietà che stava trasformandosi, in grado ormai di offrire strutture e la libertà necessaria per stimolare la creatività e-mancipatrice degli individui.

Negli anni Novanta il governo brasiliano incentivò il discor-so dell’autonomia e del decentramento della scuola pubblica, tant’è che il sindaco di San Paolo, Erundina (una compagna del Partito dei Lavoratori cui Freire si iscrisse nel 1980), lo nominò Assessore alla Pubblica Educazione in carica dal 1989 al 1991.

Dal 1992 collaborò con la filiale brasiliana dell’associazione Amnesty International per realizzare un centro di Ricerca e E-ducazione ai Diritti Umani “Paulo Freire” a San Paolo38.

Nello stesso anno, uscì uno dei libri più famosi del suo ulti-mo periodo di vita: La Pedagogia della Speranza. Un nuovo approccio con la Pedagogia degli oppressi39, che rappresenterà il suo testamento spirituale. La lucidità di pensiero non veniva intaccata da una salute ormai da tempo malferma, e proprio in questo libro Freire mostra l’umiltà nel riconoscere alcuni “pec-cati di gioventù”. Ribadisce con forza il peso che nelle società contemporanee deve avere la tensione verso la speranza e l’utopia, non percepite come lontane chimere, piuttosto come gli unici motori in grado di catalizzare un cambiamento, una possibile “rivoluzione amorosa”. Concetto quest’ultimo, che non volle abbandonare dai tempi della Pedagogia degli Oppres-si, ma integrare ed arricchire. Un libro più narrativo, che fa sin-

38 Cfr. NANNI, Coscientizzazione, liberazione, democratizzazione. L’azione educa-tiva e la pedagogia di Paulo Freire, in «Orientamenti Pedagogici» 266 (1998) 4, 215.

39 In questa ricerca si fa riferimento alla seguente edizione: P. FREIRE, Pedagogy of Hope. Reliving Pedagogy of the Oppressed, New York, Continuum, 1992.

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tesi delle sue tante esperienze di vita e che offre l’immagine più nitida del Freire introspettivo dell’ultimo periodo.

Gli ultimi cinque anni di vita lo videro in giro per le Ameri-che e l’Europa, contattato da centri per la formazione degli edu-catori, Università, e invitato in innumerevoli convegni interna-zionali.

Il suo ultimo scritto uscì nel 1997 e fu la Pedagogia dell’Autonomia40. Se la Pedagogia della Speranza appariva come il testamento spirituale anticipato, la Pedagogia del-l’Autonomia sembrava essere l’ultimo sforzo in campo pro-fessionale per annunciare ai posteri quanto di possibile ci sia ancora da fare. Vi si sente forte un invito a percorrere le strade già in parte tracciate, per la rivalutazione delle strut-ture scolastiche e dell’educazione pubblica in chiave auto-noma. Questo avrebbe legittimato un’educazione liberatrice a scapito di una educazione nozionistica da lui definita “bancaria”, all’interno di edifici preposti istituzionalmente per l’educazione, e non più in centri alternativi ed improv-visati come quelli che Freire organizzò all’inizio della sua carriera di educatore.

Con questa ultima speranza, Paulo Reglus Freire si spense il 2 maggio del 1997 a causa di un infarto al miocardio a San Paolo, Brasile. Acclamato ed osteggiato, Freire fu un uomo che dimostrò grande passione per la vita. La vita che lui stes-so definiva difficile ed impervia avrebbe potuto essere com-presa solo se amata e valorizzata. Questo atteggiamento di amore profondo e fiducia concreta per le sorti dell’umanità, ci guida alla scoperta del suo pensiero, cominciando da uno sguardo panoramico su alcune idee–forza che guidano la me-todologia del suo lavoro.

40 Consultare: P. FREIRE, Pedagogia dell’autonomia. Saperi necessari per la prati-ca educativa, Torino, EGA, 2004.