Paolo Caputo Lavorare in team alla Fiat. - Dipartimento di ... · Lavorare in team alla Fiat. da...
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Lavorare in teamalla Fiat.da Melfi a Cordoba
Paolo Caputo
I M M A G I N AP O L I
lucanialavoroC O L L A N A
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Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
I I pilastri organizzativi della lean productionPremessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13I principi operativi dellohnismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14Linearizzazione e scomposizione cellulare del processo produttivo . . . 17La sincronizzazione e il livellamento del flusso produttivo . . . . . . . . . . 21Teamwork, autoattivazione e controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23La flessibilit strutturale della fabbrica ohnista . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
II Il post-fordismo nellindustria automobilisticaPremessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29Crisi del fordismo e ristrutturazione organizzativa:La scoperta occidentale del sistema di produzione giapponese. . . . . 30Il dibattito sulla lean production . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34Le metamorfosi nellutilizzo della forza-lavoro:Gli operai da dipendenti a risorse umane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39La nuova natura del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
I I I Lesperienza di Fiat Auto: dalla fabbrica fordista alProgetto Fabbrica IntegrataLa riposta della Fiat alla crisi degli anni Settanta e la strategiadi superamento dellorganizzazione scientifica del lavoro. . . . . . . . . . . 48La svolta degli anni Novanta: dal piano della Qualit Totaleal progetto della Fabbrica Integrata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53Struttura e caratteristiche di base dello stabilimento lucano . . . . . . . . 57La realizzazione della Fabbrica Integrata di Cordoba . . . . . . . . . . . . . . 61La logica operativa della Fabbrica Integrata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67LUnit Tecnologica Elementare come cellula produttiva . . . . . . . . . . . 71
Indice
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IV Nuovi accordi sindacali: il fondamento istituzionale della flessibilizzazione nellutilizzo della forza lavoroPremessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79Gli accordi di Melfi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80Il nuovo contratto collettivo argentino. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86I vincoli posti dal Convenio colectivo de trabajosullorganizzazione del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88Lopposizione dei lavoratori argentini allapplicazione del contratto . . . . . 91
V Da Melfi a Cordoba: i diversi volti della Fabbrica IntegrataLorganizzazione quotidiana del turno di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97Divisione del lavoro e nuova forma della cooperazione produttiva . . . 100La pressione organizzativa sul team . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104La gestione delle risorse umane a Melfi e a Cordoba . . . . . . . . . . . . 108L e m e rgenza delle forme di resistenza in contesti di potere diversi . . . . . 122
VI Riflessioni sullorganizzazione del lavoro in teamPremessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138Linterpretazione teorica della natura del lavoro in team . . . . . . . . . . 139La cellularizzazione come contesto organizzativo-disciplinare . . . . . . 142Controllo e resistenza: dalla strategia generalealle sperimentazione delle concrete tattiche gestionali . . . . . . . . . . . 146
Alcune considerazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150
Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
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Il management FIAT impegnato, da qualche mese, nel tentativo di va-r a re un piano industriale che riesca a risolvere i problemi di pro d u t t i v i t e di mercato su scala internazionale.La recente ristrutturazione degli assetti di gestione dellazienda, il re c u p e rodi risorse finanziarie per far fronte allindebitamento e la progettazione di nuo-vi modelli, hanno certamente introdotto alcune novit con la riconquista di al-cune quote di mercato, soprattutto in Europa, ma la crisi permane.Nello stabilimento di Melfi e in quello di Cordoba, che il lavoro di Paolo Ca-puti aff ronta con lucidit e lungimiranza, si presentano problemi quasi tuttioriginati dal fallimento delle politiche legate alla fabbrica integrata.I picchi produttivi di Melfi, considerata la fabbrica automobilistica conm a g g i o re produttivit in Europa, e quelli di Cordoba, mentre scontanos e n z a l t ro gli effetti dei processi di ristrutturazione globale del segmen-to dellauto, incorporano dal punto di vista delle qualit e della condi-zione operaia gli errori degli ideatori e dei progetti della cosiddettafabbrica integrata che integrata non . Sia a Melfi che a Cordoba, fab-briche gemelle, la partecipazione operaia non c stata e non c. Lafatica non diminuita, anzi aumentata. A Melfi, come a Cordoba, la gestione autoritaria dentro e fuori i team, oltrea pro d u r re un conflitto di nuovo tipo che parte da resistenze individuali chequalche volta si traducono anche nella partecipazione agli scioperi indettidalle organizzazioni sindacali, ha determinato un alto turn over circa 2.000in pochi anni nellarea del vulture-melfese mentre in Argentina si verifica-ta lespulsione di unintera generazione di lavoratori.Gli ultimi dati sulla produzione di Melfi, Cordoba ai minimi produttivi, parla-no di 365.000 vetture prodotte nel 2000 (circa 1000 al giorno), 351.000nel 2001, 327.000 nel 2002 fino a toccare 288.000 nel 2003 con una ri-duzione secca di 77.000 vetture .Secondo gli ultimi dati sindacali nel 2002, per tre volte, i dipendenti diMelfi sono stati messi in Cassa Integrazione Ordinaria ma lincre m e n t oconsistente della CIG ha interessato le aziende dellindotto si passitida 90.000 ore nel 2001 a 170.000 ore nel 2002.Molti contratti a tempo determinato non sono stati rinnovati. Comples-sivamente la forza lavoro nellarea di Melfi passata da 3.371 addettinel 2001 a 3.408 nel 2002.L i n c remento di 40 unit, che si registrato, lo si deve solamente adue aziende: La.Sme e lex Complasint. Gli occupati diretti della Fiat Sata si attestano intorno alle 5.400 unit,avendo lazienda esternalizzato la manutenzione ed altri lavori per untotale di circa 800/1000 unit. 5
Prefazione
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A questi dati vanno sommati almeno altri 2.000 lavoratori impegnati neiservizi nellambito dellarea di Melfi. Per quanto concerne Cordoba, anchea fronte delle scelte effettuate dal management Fiat di ristrutturare lim-pianto brasiliano, lo stabilimento sottoutilizzato e lo stesso vale per ifornitori che sono allocati nella stessa area.Come uscir la FIAT dai processi di ristrutturazione in corso a livello mondia-le? Ed ancora quale sar il ruolo di Melfi, e quindi dellintero mezzogiorno ita-liano, in rapporto alla scelta della propriet di ridimensionare i siti pro d u t t i v idel Piemonte? Ed inoltre come si muover lazienda torinese in America La-tina anche in relazione alla fortissima crisi finanziaria in atto nonostante al-cuni indici di ripresa che si manifestano in Brasile ed in Arg e n t i n a ?La questione centrale rimane sempre questa: gli economisti pi attenti ri-spetto al settore auto sono dellopinione che FIAT non pu non pro d u r re al-meno 1.700.000 vetture/anno nei suoi stabilimenti sparsi per il mondo.Al momento ne mancano oltre 400.000. Ci rappresenta un fortissimo con-dizionamento sui conti dellazienda e per certi versi anche sulla condizionesalariale, contrattuale nonch di vita dei lavoratori.Lo studio di Paolo Caputi, che va ad arricchire la ricerca su FIAT anche intro-ducendo elementi innovativi sul terreno della comparazione di due stabilimen-ti agli antipodi, segnala con forza il problema delle relazioni industriali.Su questo punto le capacit di ascolto del gruppo dirigente della casa tori-nese sono vicine allo zero e questo un grosso pro b l e m a .To c c h e rebbe, quindi, alle istituzioni nazionali e locali, insieme alle par-ti sociali, aff ro n t a re con rinnovato impegno la questione del modo dip ro d u r re, di come e per chi. I recenti movimenti di lotta di Scanzano, contro il deposito delle scorie nu-cleari e quello di Rapolla contro lelettrosmog, dicono che possibile co-s t r u i re unazione collettiva a sostegno della compatibilit ambientale.Forse il caso di prepararsi a fare lo stesso con la FIAT di Melfi.La Regione Basilicata, che ha commissionato la ricerca allUniversit dellaCalabria, sul piano industriale della FIAT e delle sue ricadute, si muove inquesta direzione e lavorer per contribuire al funzionamento dellOsservato-rio sulla Fiat di Melfi anche per aff ro n t a re il problema della ristrutturazionedei processi di allocazione della componentistica e delle forniture .In questo quadro stato illuminate il tentativo, per la verit bloccato, daparte di Fiat e Maserati di spostare la produzione di circuiti integrati dal-larea di Melfi al Portogallo.
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Il presente lavoro, frutto di una ricerca comparata tra gli stabilimenti au-tomobilistici Fiat di Melfi e Cordoba (Argentina), si inscrive allinterno del-lattuale dibattito teorico sul mutamento della fabbrica e del lavoro nelle-ra della globalizzazione. In particolare, nel testo vengono affrontate leproblematiche legate agli effetti sul lavoro e sulle relazioni sociali internealla fabbrica determinati dalla sperimentazione dei principi organizzativo-gestionali della cosiddetta lean production.E necessario premettere che, data la complessit e la diversificazionedelle innovazioni produttive, tecnologiche e organizzative, la scelta di as-sumere quale ambito privilegiato dosservazione il settore automobilisticonon pu non apparire, in qualche modo, arbitraria. Tale decisione stataper motivata, oltre che dalla necessit di circoscrivere il contesto della-nalisi, dalla consapevolezza del ruolo economico trainante nonch del va-lore esemplare per lintero sistema produttivo e sociale rivestito dallin-dustria dellauto nel corso dellultimo secolo.I grandi complessi industriali tipici della fase fordista hanno subito un pro-cesso di sostanziale ridimensionamento: la fabbrica cambiata, diven-tata pi snella, reattiva, flessibile, maneggevole e meno appariscente. Co-me testimoniato dalla letteratura internazionale sul tema, possibile osser-v a re una comune logica di fondo che ha guidato le diverse innovazioni or-ganizzative del settore industriale oggetto danalisi. Questa logica, letta aposteriori, ci consente di individuare un percorso evolutivo che, a grandi li-nee, ha accomunato la maggior parte delle imprese automobilistiche occi-dentali in direzione delladozione della strategia gestionale e dei principi or-ganizzativi fondamentali della lean pro d u c t i o n. Deverticalizzazione, just int i m e, lavoro in t e a m, qualit totale, flessibilit, partecipazione, formazionecontinua sono diventati alcuni dei nuovi dogmi imperanti. Si tratta di capi-re qual la reale portata di tali concetti e, soprattutto, quali sono le riper-cussioni sul lavoro operaio di un tale mutamento.La complessit delle trasformazioni in atto palesemente testimoniata e sirispecchia nella diff e renziazione delle prospettive e delle interpretazioni teo-riche sul passaggio dal sistema pro d u t t i v o - o rganizzativo fordista al cosiddet-to post-fordismo. Nonostante ci, negli ultimi anni emersa una relativa con-v e rgenza delle diverse analisi su alcuni aspetti chiave degli attuali pro c e s s idi ristrutturazione tecnologica e organizzativa: flessibilit, integrazione e ap-p roccio sistemico ai cicli di produzione, riduzione dei livelli gerarchici e de-centramento gestionale, lavoro in squadra e coinvolgimento dei lavoratori ri-spetto alle necessit produttive. E proprio lampia ed apparentemente nonp roblematica accettazione di tali concetti che ci ha spinto ad appro f o n d i re ilsignificato e le valenze dei mutamenti in corso di svolgimento, soprattutto 7
Introduzione
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per quel che concerne lorganizzazione della produzione in t e a m di lavoro nel-la sua interrelazione con le nuove strategie direzionali incentrate sui principiguida dettati dallHuman Resource Management.Per cogliere, al di l delle apparenze indotte dalla diffusione di una serie di pro-posizioni ideologiche, la concretezza e il nucleo reale del salto avvenuto ri-spetto allorganizzazione fordista del lavoro e della produzione, si cercato die v i t a re di cadere nella tentazione di pro c e d e re attraverso un approccio di ti-po settoriale, privilegiando invece lanalisi della logica operativa dinsieme del-la fabbrica post-fordista. In altri termini abbiamo ritenuto impossibile, o quan-to meno riduttivo, indagare separatamente singoli aspetti del nuovo paradig-ma produttivo, quali quelli della partecipazione, del coinvolgimento, del lavoroin t e a m, della gestione delle risorse umane, e cos via. Cos facendo, infatti,ci che sarebbe sfuggito allosservazione, il dato impossibile da rilevare sa-rebbe stato proprio la struttura di fondo del sistema, al cui interno sono com-plessivamente integrati i nuovi principi organizzativi, gestionali e pro d u t t i v i .Il problema teorico di partenza consistito, quindi, non tanto, nellindivi-duazione di alcuni particolari dispositivi organizzativo-gestionali tipici dellalean pro d u c t i o n, quanto nella ricerca delle determinanti operative concre-te e dei nessi funzionali che governano il sistema snello, interpre t a n d o l ialla luce della loro integrazione generale. Questo approccio metodologicoci ha consentito di leggere i cambiamenti subiti dallattivit lavorativa e dal-le strategie gestionali, data la centralit del lavoro in t e a m.Lo studio, infatti, sottolinea come le riserve di flessibilit sistemica del-lapparato produttivo snello, a diff e renza del fordismo, non siano pistrutturate sulla tecnologia e sulle scorte interoperazionali bens sul-l o rganizzazione cellulare del lavoro .In sintesi, la diffusione pressoch generalizzata di forme organizzative ba-sate sul lavoro in team e la rinnovata attenzione alla centralit delle risor-se umane, a cui si accompagna lavvento di stili innovativi di gestione diquesto fattore strategico (lo Human Resource Management), derivanodal fatto che questi dispositivi organizzativo-direzionali si configurano qua-li meccanismi adeguati di gestione della forza lavoro, in grado cio di sod-disfare in maniera conseguente le esigenze socio-tecniche della produzio-ne just in time. Tuttavia, in termini concreti, ossia dal punto di vista delleeffettive sperimentazioni organizzative, tra il lavoro in team e lo HumanResource Management non esiste una relazione meccanica, predetermi-nata, bens un rapporto mediato dalle peculiari traiettorie aziendali e, so-prattutto, dalle specificit dellambiente socio-economico e istituzionale incui vengono messe in atto le esperienze produttive.La letteratura internazionale, dopo aver teorizzato il modello paradigmatico
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p o s t - f o rdista attraverso la concettualizzazione della lean pro d u c t i o n, ha suc-cessivamente colto la complessit delle realt concrete emerse dalle ricer-che come pluralismo dei modelli di impresa. Ma anche questa teorizzazio-ne presenta alcuni evidenti limiti. La comparazione dei due stabilimenti Fiatoggetto della ricerca dimostra chiaramente che cos come non esiste unmodello invariante di lean production ( F reyssenet, 1998; Durand et al.,1999), allo stesso modo non esiste un modello gestionale, cio una solu-zione invariante di governo della forza lavoro, applicabile in tutti i contesti eper tutte le situazioni. E, invece, rilevabile una strategia generale, la cuirealizzazione concreta implica loperare di una molteplicit di approcci epratiche quotidiane flessibili, messe in atto per far fronte alla complessite alle varianze del sistema (Cerruti, 1993). Questa pluralit di scelte ge-stionali esprime la ricerca e la sperimentazione di nuovi meccanismi di go-verno e controllo sul lavoro (orientati a combinare efficienza e coinvolgi-mento) che si diff e renziano a seconda dei diversi contesti, dei vincoli e del-le peculiari resistenze incontrate, ma che, evidentemente, dovre b b e ro agi-re come equivalenti funzionali nel garantire la corretta operativit dei prin-cipi produttivi della nuova configurazione organizzativa, ossia le esigenzedi governo del sistema produttivo l e a n.Questo risultato generale della ricerca particolarmente significativo se siconsidera che gli impianti produttivi di Melfi e Cordoba, oltre ad essere inse-riti allinterno di una comune strategia aziendale, presentano le stesse carat-teristiche strutturali e organizzative di base. Da un punto di vista strutturalee organizzativo, la fabbrica di Cordoba costituisce, sostanzialmente, la co-pia gemella, anche se su scala ridotta, dellimpianto di Melfi (Bissaca, IsvorFiat, 1998). Proprio questo elemento comune ci ha consentito di indagare leimplicazioni dei contesti locali sulle dinamiche di gestione dei t e a m di lavoroc o n c retamente poste in essere dal m a n a g e m e n t F i a t .La fabbrica di Melfi, per la cui analisi si potuto attingere, oltre alla vasta let-teratura nazionale (Benassi, 1994; Bonazzi, 1999; Cerruti, 1995; Donzelli,1994; Rieser, 1999, Volpato, 1998), anche al fondamentale apporto teori-co frutto di un programma pluriennale di ricerche accademiche realizzate al-linterno del Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica dellUniversit del-la Calabria (Commisso, 1999; Costanzo, 1999; De Angelis, 2001; Fiocco,1997, 1998b, 2001; Oliveri, 2001; Pulignano, 1997b; Sivini, 1999, 2001;Vitale, 2001), nasce in un contesto che assicura tutta una serie di garanzieistituzionali ai lavoratori e in un clima sostanzialmente pacificato. Ci ha fa-vorito lo sviluppo di modalit specifiche di gestione dei t e a m di lavoro. In par-t i c o l a re, emersa la centralit funzionale di un complesso di pratiche dire-zionali, operate in risposta ai bisogni e alle resistenze dei lavoratori, che si
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esprimono essenzialmente nella forma relazionale interpersonale, appare n-temente paritaria, della negoziazione privata (relazioni face to face c h esembrano pre s c i n d e re dai ruoli). Fin dal primo approccio con la realt diC o rdoba, per, stato chiaro che niente di tutto ci era presente nel ca-so argentino, dove stata rilevata la presenza di un clima sociale di fab-brica sostanzialmente caratterizzato da paura e tensione. Per cui statonecessario riesaminare le ipotesi teoriche generali inizialmente formulateper Melfi che sembravano convalidare la tesi, ampiamente dibattuta nelcorso degli ultimi decenni, che anche di fronte allemergenza della sogget-tivit operaia il m a n a g e m e n t rispondesse sostanzialmente attivando prati-che di natura negoziale-consensuale.A diff e renza di Melfi, a Cordoba lavvio della nuova fabbrica stato pre c e d u-to e accompagnato da una intensa, anche se limitata nel tempo, fase di lotteoperaie dovuta alla reazione dei lavoratori al licenziamento di una parte dellemaestranze di uno stabilimento preesistente, ristrutturato per essere ingloba-to allinterno del nuovo impianto produttivo. La drastica risposta re p re s s i v apraticata dalla direzione aziendale ha portato ad una ricomposizione coerc i t i-va del clima sociale interno allo stabilimento, riprodotta attraverso luso stru-mentale delle sospensioni temporanee e dei licenziamenti. Il che ha determi-nato particolari effetti sulle modalit di gestione dei t e a m nella vita quotidianadi fabbrica, che segnano la diff e renza specifica con il caso italiano.Tuttavia, come vedremo, ci non significa che la strategia gestionale delm a n a g e m e n t a rgentino si basi esclusivamente sulla paura. In realt, poi-ch coercizione e controllo autoritario non sono di per s sufficienti a ga-r a n t i re il buon funzionamento del nuovo sistema produttivo, il m a n a g e m e n tha dovuto contemporaneamente pro c e d e re alla sperimentazione di speci-fiche tattiche gestionali di coinvolgimento e responsabilizzazione dei lavo-ratori. A Cordoba, infatti, la gestione relazionale quotidiana dei bisogni edelle resistenze si manifesta attraverso un gioco comunicativo diversoda quello di Melfi (centrato sulla negoziazione individuale), realizzato trami-te dinamiche sociali-relazionali di gruppo, innescate allinterno di uno spe-cifico dispositivo organizzativo di responsabilizzazione collettiva dei lavora-tori: il m i n i t e a m di Ute1. In pratica, si tratta di una sorta di team briefingquotidiano, il cui effetto principale risiede nel capovolgimento delle re l a z i o-ni solidaristiche tra pari in rapporti funzionali alla produzione: induce atteg-giamenti di autodisciplina e autoregolazione e sostiene lagire di meccani-smi di pressione re c i p roca tra i lavoratori (peer pre s s u re) .Daltra parte, ad unanalisi pi approfondita, neanche nella situazione diMelfi possibile sostenere che siano assenti interventi di tipo re p re s s i v o .Per, mentre a Cordoba luso strumentale delle sospensioni e dei licenzia-
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menti, sia individuali che collettivi, opera come un dispositivo re p re s s i v oo rganico e complessivo (legittimato dalle leggi del mercato), a Melfi que-sti strumenti assumono un carattere di eccezionalit e sono temporalmen-te circoscritti (mancata conferma dei contratti di formazione e lavoro o li-cenziamenti per giusta causa), oppure coinvolgono sistematicamente sol-tanto una porzione limitata della forza lavoro (lavoratori interinali).In definitiva, lipotesi metodologica a cui siamo pervenuti che, al di l del-lanalisi dei meccanismi di controllo sui lavoratori iscritti nellorg a n i z z a z i o-ne del processo produttivo e della comune strategia gestionale dettata dal-le prescrizioni dellHuman Resource Management, la ricerca debba priori-tariamente individuare la specificit delle diverse tattiche gestionali, inquanto operate in risposta alle peculiari manifestazioni della soggettivitoperaia. Le forme del conflitto, cos come i dispositivi di controllo, sonoe m b e d d e d nei contesti locali.
Il percorso espositivo cos strutturato:Nei primi due capitoli vengono aff rontate alcune tematiche connesse allap roduzione post-fordista e allorganizzazione del lavoro ohnista (o toyoti-sta), con part i c o l a re riferimento al settore dellauto. In part i c o l a re, nel pri-mo capitolo sono esposti i principi organizzativi e operativi della pro d u z i o-ne Toyota. Nel secondo, invece, si dato uno sguardo al dibattito teoricooccidentale sul superamento dellorganizzazione fordista della pro d u z i o n ee sulla lean pro d u c t i o n. Vengono, inoltre, aff rontati i temi connessi alle tra-sformazioni della prestazione lavorativa e alle nuove politiche di gestionedel personale (Human Resource Management). Il terzo capitolo analizza, a grandi linee, il cammino di Fiat Auto dal ford i s m oalla Fabbrica Integrata, della quale viene descritta la configurazione org a n i z-zativa e interpretata la logica operativa di funzionamento. Vengono, quindi,descritte le caratteristiche strutturali fondamentali dei due impianti automo-bilistici oggetto di comparazione, entrambi espressione della nuova strate-gia organizzativa ma localizzati allinterno di contesti economico-sociali chesi diff e renziano in maniera sostanziale. Per di pi, dato di estrema rilevanza,sebbene sia linsediamento produttivo argentino sia quello lucano siano statirealizzati ex-novo, nel primo caso la costruzione del nuovo impianto si an-data ad inserire nellarea adiacente una preesistente fabbrica Fiat di mecca-nica che, pertanto, stata inglobata al suo interno.Nel quarto capitolo sono analizzati i nuovi accordi sindacali che, in entrambii casi esaminati, hanno preceduto lentrata in funzione dei due nuovi stabili-menti e si configurano quali pre - requisiti fondamentali per la piena operativitdei principi organizzativi della Fabbrica Integrata. Nellultimo paragrafo, si
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mette in risalto la strenua resistenza opposta dai vecchi lavoratori arg e n t i-ni Fiat nel passaggio dal precedente al nuovo contratto collettivo.Nel quinto capitolo vengono esposti i principali risultati emersi nel corso del-la ricerca sul campo diretta alla comparazione tra i due stabilimenti. Sulla ba-se di un approccio di natura prettamente qualitativa2, si analizza la realt in-terna dei due stabilimenti, ossia le condizioni di coinvolgimento/controllo deilavoratori e le relazioni sociali di fabbrica. In part i c o l a re, nel corso del capi-tolo viene evidenziato come, nonostante in ambedue i casi ci si trovi di fro n-te alla medesima configurazione organizzativa e alla stessa strategia dire z i o-nale, le diff e renze legate alla natura della soggettivit, e pertanto alle re s i-stenze, dei lavoratori di Melfi e di Cordoba hanno condotto lazienda alla spe-rimentazione di specifiche pratiche e meccanismi gestionali, che costituisco-no lespressione di peculiari dispositivi disciplinari. Infine, lultimo capitolo, si presenta quale parte teorica conclusiva allinternodella quale vengono coniugati gli esiti emersi dallanalisi interpretativa dei da-ti raccolti attraverso la ricerca empirica e la rielaborazione degli strumentiteorici applicabili alla nuova forma organizzativa della produzione (dispositividi potere, lavoro in t e a m, meccanismi di coinvolgimento/coerc i z i o n e ) .
1 LUte (Unit Tecnologica Elementare) costituisce lunit produttiva di base della nuova strutturadi fabbrica.
2 Strumenti metodologici adottatati per lo svolgimento dellindagine empirica: - analisi di contesto delle due realt produttive, diretta a cogliere le specificit organizzativo-gestionali, sindacali e sociali delle esperienze oggetto desame; - interviste individuali in profondit ad osservatori privilegiati (circa 70).
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PremessaDa oltre un trentennio, lindustria occidentale dellauto investita da uncomplesso processo di ristrutturazione e razionalizzazione produttiva. Aldi l delle specifiche differenze aziendali possibile rilevare una comunelogica di fondo che ha guidato, soprattutto a partire dalla seconda metdegli anni Ottanta, le diverse sperimentazioni organizzative del settoreindustriale in questione. Questa logica, letta a posteriori, ci permetteinfatti di individuare un percorso evolutivo che, a grandi linee, haaccomunato la maggior parte delle imprese.Negli ultimi anni, si sta assistendo ad un generalizzato e tendenzialmente ir-reversibile processo di diffusione/adattamento della strategia gestionale edei principi organizzativi fondamentali dello h n i s m o3, che ha portato allado-zione da parte delle case automobilistiche occidentali di quella che, in segui-to allimponente ricerca del MIT (Womack et al., 1993), stata comunemen-te definita con il termine di lean pro d u c t i o n4.Anche se possibile rilevare unomogeneit di fondo nelle strategie manage-riali che hanno guidato il processo di riorganizzazione, la realizzazione con-c reta dei nuovi principi organizzativi presenta unampia diversit nelle formedi adattamento di tali dispositivi alle specificit dei contesti socio-economici:Sebbene non si tratti di copiare lo schema giapponese, ma di adattarlo alle ca-ratteristiche proprie di ogni costruttore, si ritrovano un po ovunque gli stessiprincipi, ispirati al sistema Toyota, della riduzione dei tempi di reazione, della fles-sibilit attraverso una riduzione degli stock, dellimpiego opportuno dei mezzi dip roduzione, cio degli uomini e dei macchinari (Auer et al., 1993: 93). Come sottolineato anche dai teorici della Gerpisa (Freyssenet, 1998; Durandet al., 1999), quindi, non ci troviamo di fronte allimplementazione, alla diff u-sione invariante dei principi strutturali-organizzativi dello h n i s m o, bens ad unp rocesso di ibridazione e adattamento che, a seconda dei diversi contestisocio-economici allinterno dei quali viene messo in atto, presenta delle ca-ratteristiche peculiari e specifiche. Nonostante ci, resta il fatto che i dispo-sitivi organizzativi e operativi generali, rispetto ai quali si sono orientate lenuove ristrutturazioni organizzative, sono comunque rappresentati dallespe-rienza della Toyota. Per questa ragione analizzeremo preliminarmente il co-siddetto sistema produttivo giapponese, utilizzando come punto di riferimen-to precipuo quello che, secondo i teorici del MIT (Womack et al., 1993), nesimboleggia la versione pi pura, ossia il Toyota Production System.
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I - I pilastri organizzativi della lean production
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I principi operativi dellohnismoAllinterno del testo nel quale definisce gli elementi distintivi della nuova org a-nizzazione produttiva, presentando le sue innovazioni e il suo contributo, Oh-no (1993), il padre del sistema di produzione Toyota, insiste costantemen-te su due punti. Il metodo di produzione Toyota, egli afferma, si basa su duepilastri fondamentali, su due principi chiave: il just in time e la u t o n o m a z i o n e(neologismo coniato da Ohno e costituito dallunione dei due termini automa-zione e autonomia). Su questi si erge il sistema produttivo complessivo, lacui logica intrinseca data dalla totale eliminazione degli sprechi (Ohno,1993: 7), o meglio dallincessante perseguimento della riduzione dei costi dip roduzione. Per sprechi Ohno intende tutte le risorse impiegate allinternodel processo di fabbricazione che eccedono il quantitativo minimo di lavo-ratori, attre z z a t u re, materiali, spazi, tempi di lavorazione necessari per re a-l i z z a re la produzione programmata. In altre parole, egli si riferisce a tuttoci che determina un aumento dei costi di produzione senza cre a re valoreaggiunto: Il primo passo verso lapplicazione del sistema di pro d u z i o n eToyota consiste nellidentificare chiaramente quali sono i fattori di perd i t a ,solitamente individuabili nei seguenti fenomeni: 1) sovraproduzione; 2) tem-pi morti; 3) trasporti e manutenzioni inutili; 4) processi lavorativi inutili oi n o p p o rtuni; 5) stoccaggio eccessivo; 6) movimenti inutili; 7) produzione dipezzi difettosi. Leliminazione completa di questi fattori di perdita pu mi-g l i o r a re considerevolmente lefficienza operativa. Per fare questo dobbiamop ro d u r re solo la quantit necessaria (...) (Ohno, 1993: 31). Il just in time r a p p resenta il principio organizzativo guida che rende possibile eli-m i n a re le diseconomie derivanti dalla presenza di magazzini e polmoni inter-medi, attraverso un sistema di approvvigionamento che rifornisce le unit lavo-rative delle risorse materiali richieste, nella quantit esatta domandata e nelp reciso momento in cui necessitano. In sintesi il JIT un sistema pro d u t t i v ocaratterizzato da pratiche raccordate con la domanda e volte a limitare glis p rechi e i tempi di inerzia (Wilkinson e Oliver, 1990: 40). Lidea di fondo deljust in time di una semplicit estrema: pro d u r re e consegnare prodotti fi-niti nel momento in cui ne stata prevista la vendita; rifornirsi dei compo-nenti al momento del loro montaggio per la produzione dei prodotti finiti; ap-p rovvigionarsi dei semilavorati nel momento del loro utilizzo per la re a l i z z a-zione dei componenti e dei materiali da fornire a terzi appena prima dellal o ro trasformazione in prodotti semilavorati. Ci presuppone un diverso rap-p o rto della casa madre con i fornitori, unattenta e accurata pro g r a m m a z i o-ne della produzione e un bilanciamento complessivo del flusso di fabbrica-zione: Il sistema di produzione in just in time della Toyota un modo di di-s t r i b u i re esattamente ci di cui necessita la linea produttiva solo quando
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necessario, in modo da eliminare le giacenze superflue (Ohno, 1993: 71).In sostanza, attraverso il just in time lazienda mira a ridurre, se non ad elimi-n a re, gli elevati costi di stoccaggio tipici della produzione fordista, valorizzan-do le operazioni di trasformazione che generano effettivamente valore aggiun-to ed eliminando ogni genere e fonte di spreco, a cominciare dalle attivit nond i rettamente produttive. Per fare un esempio di lavoratori non dire t t a m e n t ep roduttivi, si possono considerare: operai in procinto di pre n d e re il posto diun collega, riparatori di macchinari impegnati a individuare un guasto, addet-ti alla pulizia, port a o rdini di magazzino. Nessuno di questi dipendenti in re a l t contribuisce al plusvalore dellauto e le aziende possono tro v a re altri modi perlesecuzione di tali mansioni (Womack et al., 1993: 88). Il sistema del just int i m e stato dapprima sperimentato e messo a punto allinterno degli stabili-menti Toyota ma successivamente, a part i re dal 1963 (Ohno, 1993: 49), si cominciato ad esportarlo allesterno estendendone lapplicazione anche allerelazioni tra casa madre e imprese fornitrici.Il secondo pilastro dellohnismo costituito dalla u t o n o m a z i o n e. Il terminedesigna sia una part i c o l a re predisposizione dei macchinari (che vengonodotati di meccanismi automatici di autodiagnosi e di arresto meccanico incaso di funzionamento difettoso) sia uno specifico rapporto uomo-mac-china (cio determinati dispositivi organizzativi e normativi diretti a gene-r a re strutturalmente lintervento attivo dei lavoratori in presenza di anoma-lie produttive). Lautonomazione implica immediatamente il concetto del-l autoattivazione degli operai quali controllori e diretti responsabili del pro-dotto in processo di lavorazione: i lavoratori devono i n t e r v e n i re immedia-tamente e nel punto esatto della linea in cui si siano verificati eventuali fat-tori di criticit, passibili di alterare la continuit del flusso produttivo. Quin-di, da un lato, le macchine impiegate allinterno del processo di fabbrica-zione vengono dotate di congegni automatici che, in caso di anomalie, nedeterminano larresto immediato. Dallaltro, questo principio viene applica-to, oltre che ai macchinari, anche alle linee di produzione e ai lavoratori. Intermini concreti, ci significa che se un lavoratore rileva unanomalia devei n t e r v e n i re immediatamente e fermare la linea. Lautoattivazione dire t t aa pre v e n i re la produzione di prodotti difettosi e a consentire lindividuazio-ne delle anomalie che si verificano sulla linea.In sostanza, con il termine di autonomazione (o autoattivazione) designatauna part i c o l a re configurazione tecnico-organizzativa dellapparato materialedi fabbrica che viene strutturato in maniera tale da permettere al sistemap roduttivo stesso di re t ro a g i re, in qualche modo, automaticamente, fisiologi-camente con la m b i e n t e. L a u t o re precisa che necessario pro g e t t a re un di-spositivo di autoregolazione nel sistema, in modo tale che i mutamenti non
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siano percepiti come tali, ma divengano automatici, (...) come dotareunazienda delle capacit di reazione fornite al corpo umano dai riflessi(1993: 69). Come analizza Coriat (1991), lautonomazione riveste unruolo di estrema importanza poich si tratta sia di congegni meccaniciinseriti nel cuore delle macchine sia di dispositivi organizzativi legati al-lesecuzione del lavoro umano.In sintesi, entrambi i principi - just in time e autonomazione - si propongo-no di superare una serie di limiti strutturali tipici della produzione di mas-sa, ossia la presenza di ingenti scorte e magazzini e, quindi, di elevati co-sti di stoccaggio, la scarsa responsabilizzazione degli operai e la prolife-razione di errori di lavorazione a causa di unorganizzazione della produ-zione incapace di intervenire tempestivamente e trovare, perci, una so-luzione ai difetti di produzione bloccandoli alla fonte: Ed entrambi tenta-no di farlo attraverso un sostanziale riavvicinamento della funzione uma-na - del ruolo del lavoro vivo - al processo lavorativo; una sua pi eviden-te presa diretta con la concretezza del ciclo produttivo, che inverte, permolti versi, una tendenza che si riteneva irreversibile nella produzione in-dustriale (Revelli, 1993: XVII-XVIII). Naturalmente, il raggiungimento di obiettivi di una simile portata non af-fatto semplice. A questo punto pertanto necessario analizzare attraver-so quali strumenti, quali tecniche e procedure gestionali viene perseguitala realizzazione dei due principi che stanno alla base del sistema di pro-duzione Toyota e, nel contempo, quali sono i prerequisiti che ne consen-tono loperativit concreta.
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Linearizzazione e scomposizione cellulare del processoproduttivoIl perseguimento del tendenziale azzeramento delle scorte, in maniera ta-le da ridurre i costi di produzione e, quindi, favorire incrementi di produt-tivit evitando di fare ricorso alle economie di scala tipiche della produ-zione fordista, si esprime strutturalmente nella linearizzazione del layoutdi fabbrica. In effetti, la logica intrinseca della nuova struttura di fabbricarisiede nella linearizzazione del processo produttivo, cio in un sistema difabbricazione a flusso monopezzo (Shingo, 1985), orientato e guidatodal principio del just in time. Questultimo implica la tendenziale realizza-zione degli obiettivi zero scorte e zero difetti, tanto dei componenti pro-venienti dallesterno (dai fornitori), quanto di quelli in processo di lavora-zione lungo la linea, cos da mantenere teso il flusso produttivo e ridur-re i costi determinati dal capitale circolante.Il just in time, il quale comporta una serie di complessi sincronismi tra i varisottosistemi che intervengono nel corso del processo produttivo, costituisceappunto il dispositivo ord i n a t o re del sistema l e a n complessivo: secondo ta-le principio necessario che, sempre e in tutti i punti della linea di pro d u z i o-ne, le parti vengano prodotte nella quantit di fatto richiesta dalla successi-va fase di lavorazione. Attraverso tale meccanismo possibile arrivare allatotale linearizzazione del flusso produttivo e operare in direzione della ridu-zione degli sprechi. Per sprechi bisogna intendere non solo quelli evidenticostituiti dagli scarti e dai prodotti difettosi, ma anche quelli pi nascosti rap-p resentati per esempio da tempi morti dattesa, trasporti inutili, pro d u z i o n inon subito richieste dal mercato e che conducono allallestimento di magaz-zini superflui, con immobilizzo di capitali, spazi, impianti e manodopera sot-tratta da attivit che creano valore aggiunto (Bonazzi, 1993). Si tratta, ap-punto, del tentativo di eliminare il pi possibile qualsiasi ridondanza che ec-ceda il minimo necessario per il corretto fluire del processo produttivo, siache si tratti di scorte materiali, sia che si tratti di lavoratori.La lavorazione sequenziale di ogni singolo prodotto, che allinterno dellafabbrica fordista era limitata soltanto alle operazioni di assemblaggio fi-nale, viene ora estesa allintero processo produttivo, inclusi i fornitori:() la fabbricazione delle parti e lassemblaggio vengono integrati in unprocesso sequenziale continuo, in cui le operazioni, sincronizzate attra-verso il bilanciamento del carico, seguono liter di fabbricazione del pro-dotto (zero scorte) (Pulignano, 1995: 14). I vantaggi che ne derivanosono molteplici: diminuzione dei tempi di risposta alle variazioni di merca-to, riduzione dei tempi di attraversamento del prodotto in formazione, deitempi di progettazione, decisione e allestimento, ecc.
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Come si pu facilmente constatare, il sistema di produzione Toyota si muo-ve allinterno di una logica operativa diametralmente opposta rispetto a quel-la del sistema fordista. Questultimo infatti si basava, fondamentalmente, sul-la produzione a lotti e, pertanto, sui vantaggi derivanti dalle economie di sca-la. L o rganizzazione funzionale della pro d u z i o n e5 e la fabbricazione di enor-mi quantit massificate di uno stesso prodotto, dirette a sostenere elevativolumi produttivi, favoriva per la creazione di magazzini e polmoni (ossia ri-serve di materiali, prodotti semilavorati, tempi e spazi lungo la linea di mon-taggio), i quali si traducevano necessariamente in incrementi nei costi di pro-duzione. Il sistema di produzione messo a punto da Ohno, invece, punta sul-lo snellimento dellintero processo produttivo, sia per quanto riguarda lastruttura organizzativa interna allazienda madre sia per quanto concerne ir a p p o rti con le imprese fornitrici, linearizzando il ciclo di fabbricazione e ope-rando attraverso lintegrazione sinergica con i fornitori stessi.Il rovescio della medaglia dato dal fatto che un sistema produttivo cos or-ganizzato presenta unestrema fragilit strutturale. Il nuovo apparato pro d u t-tivo linearizzato, pur prevedendo e consentendo potenzialmente la massimaflessibilit dei risultati e la minimizzazione del tempo di attraversamento delp rodotto in formazione (cio la realizzazione di elevati tassi di pro d u t t i v i t ) ,implica nel contempo unelevata vulnerabilit: ogni problema, imprevisto, di-sfunzione che si verifica in un punto qualsiasi del flusso produttivo tende ad i ffondersi sullintera struttura. Un fatto essenziale () che i sistemi JIT ri-ducono al minimo le difese contro gli incidenti, accidentali o intenzionali,umani o tecnici (Wilkinson e Oliver, 1990: p. 40).Lambivalenza intrinseca del processo produttivo linearizzato stata raf-figurata da Bonazzi (1993) con lefficace metafora del tubo di cristallo. Ineffetti, descrivere la nuova organizzazione della produzione attraversolimmagine di una forma lineare semplice quale quella del tubo, significarichiamare alla mente concetti di essenzialit, agilit e rapidit di attraver-samento. Paradossalmente, per, la struttura del tubo evoca contempo-raneamente idee di rigidit e di precisione, infatti per perseguire la mas-sima flessibilit dei risultati indispensabile rispettare alcune rigidit diprocesso. Al suo ingresso il tubo potenzialmente aperto alla domandadel mercato, inoltre lordine in cui disporre il mix produttivo pu essere ilpi vario possibile, ma poi le pareti del tubo si presentano rigide. In altritermini, una volta deciso il mix, la sua sequenzialit deve essere rispetta-ta lungo tutta la linea fino alluscita dal tubo. Inoltre, tempi morti, ricircolidi materiale e inversioni dordine sono problemi sistemici da prevenire e,nel caso in cui insorgano, rimuovere il pi presto possibile.Le condizioni di fragilit della produzione, derivanti dalla concatenazio-
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ne lineare a flusso teso, sono state aff rontate attraverso la cellulariz-zazione del processo produttivo, la flessibilizzazione del lavoro e pun-tando su pratiche manageriali di gestione delle risorse umane dirette ai n d u r re la responsabilizzazione e lattivazione dei lavoratori nella re a l i z-zazione delle p e rf o r m a n c e s a s s e g n a t e .A fronte della rigidit del l a y o u t linearizzato stata realizzata la scomposi-zione cellulare 6 del processo produttivo in t e a m di lavoro ai quali vieneassegnata la conduzione operativa di un segmento del processo di fabbri-cazione. Interconnesse tra loro secondo il principio del just in time, le va-rie cellule produttive sono relativamente autonome dal punto di vista ge-stionale, per devono garantire, attraverso un sinergico gioco di squadra,il continuo bilanciamento rispetto agli obiettivi prefissati dalla pro d u z i o n ep rogrammata. Concretamente, la realizzazione della logica funzionale deljust in time, ossia lunificazione operativa tra i diversi segmenti nei quali stato scomposto il processo di fabbricazione, data dallo strumento or-ganizzativo che Ohno ha definito sistema k a n b a n, oltre che da una meti-colosa coordinazione e sincronizzazione delle operazioni di lavoro .La flessibilizzazione del lavoro si esprime nellintegrazione organica, allinter-no dei t e a m, delle diverse funzioni, direttamente e indirettamente, collegateal processo di fabbricazione (attivit manuale, logistica, manutenzione, con-t rollo di qualit, ecc.) e nella duttilit dei carichi e dei compiti di lavoro indivi-duali. Ci si traduce nella versatilit funzionale e nella polivalenza dei lavora-tori - anche degli operai di linea - ai quali viene assegnato il compito di ope-r a re su pi postazioni e ai quali vengono attribuite una serie di mansioni m o -dulabili e v a r i a b i l i (sia per la loro quantit e sia per la loro natura), il tutto orien-tato al continuo bilanciamento del flusso produttivo. In pratica, i lavoratori, ol-t re a dover essere in grado di sapere eff e t t u a re le mansioni di lavoro su di-verse postazioni, devono contemporaneamente svolgere unulteriore serie diattivit non direttamente riconducibili allattivit di fabbricazione in sensos t retto (come la manutenzione ordinaria, la pulizia degli strumenti e della po-stazione di lavoro, lattenzione ai segnali deboli di malfunzionamento dellemacchine e il controllo della qualit). Infine, i carichi di lavoro non sono rigi-damente stabiliti, ma flessibili cos che i lavoratori possano aff ro n t a re tan-to le varianze produttive previste (ad esempio quelle legate al mix di fabbri-cazione), quanto le irregolarit non proceduralizzabili, attraverso pre s t a z i o n i s t r a o rdinarie di orario, competenze e carichi di lavoro .In effetti, lunica risorsa della quale la nuova struttura organizzativa non fa,ne potrebbe fare, economia costituita dalla polifunzionalit, dalle generichecompetenze e dalla disponibilit (nel senso di possibilit dutilizzo) dei lavora-tori; in altri termini dalla loro autoattivazione per lemergenza della quale as-
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sume un ruolo di primaria importanza il dispositivo organizzativo del lavoroin t e a m. Lautoattivazione costituisce uno dei principali fattori di flessibilitdel sistema, in grado di garantire il corretto e ininterrotto dispiegarsi di unp rocesso produttivo che, a diff e renza di quello fordista, si presenta privo di reti di salvataggio (Bonazzi, 1993). Come sostengono Womack, Jones eRoos ne La macchina che ha cambiato il mondo, () per poter funzionareun sistema snello senza pecche senza barriere di sicurezza indispen-sabile che ogni operaio ce la metta tutta. Con la produzione snella la sempli-ce esecuzione delle operazioni con la testa china e la mente altrove porta inf retta al disastro (1993: 116). Ci non significa che lazienda faccia aff i d a-mento sulla libera volont partecipativa dei lavoratori rispetto agli obiettivimanageriali, ma che tale partecipazione attiva viene indotta e, in qualche mo-do, anche integrata e formalizzata allinterno dei nuovi compiti e delle man-sioni assegnate agli operai (basti infatti considerare la natura prescrittiva distrumenti quali quello della certificazione di qualit, della manutenzione di ba-se e della pulizia degli strumenti e della postazione di lavoro ) .
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La sincronizzazione e il livellamento del flusso produttivoIl dispositivo organizzativo del k a n b a n stato definito da Coriat come la pi im -p o rtante innovazione organizzativa della seconda met del secolo (1991: 51).Inventato da Ohno, il k a n b a n costituisce il dispositivo per re a l i z z a re il princi-pio operativo del just in time. Dal punto di vista materiale, costituito da unfoglio di carta contenuto in un involucro di vinile e recante una serie di infor-m a z i o n i7, ma anche da segnali luminosi e sonori che servono a contro l l a reil rispetto dei tempi di lavoro e di consegna previsti. In termini operativi, sitratta di un meccanismo di gestione della produzione che configura una for-ma di comunicazione introdotta per re a l i z z a re il just in t i m e. Il criterio fondamentale che presiede allutilizzazione del k a n b a n consiste inuninversione del modo in cui tradizionalmente viene concepito il flusso delp rocesso produttivo: Solitamente la produzione concepita come un flus-so che va da monte a valle, dalle stazioni iniziali fino ai montaggi finali, for-mando il corpo dellautomobile. Ma se rovesciamo il punto dosservazione,possiamo concepire il processo produttivo come unoperazione di pre l i e v oche, partendo da valle, va a monte per pre n d e re solo i pezzi necessari esolo nel momento in cui ce n bisogno (Ohno, 1993: 9). In questo senso,le stazioni di lavoro iniziali (poste a monte) sono tenute a pro d u r re soltanto i p e z z i 8 che effettivamente vengono prelevati dalle stazioni di lavoro succes-sive (poste a valle), le quali trasmettono le proprie necessit proprio attraver-so il metodo di comunicazione definito dal k a n b a n.Accanto e parallelamente al flusso reale della produzione (che va da mon-te a valle) si viene, quindi, ad aff i a n c a re un flusso informativo che si muo-ve in direzione inversa e che, partendo dallultima cellula di lavoro, detta pro-g ressivamente a tutte le stazioni poste a monte la produzione di quanto s t rettamente necessario (zero scorte e zero difetti) e nei tempi stabiliti (livel-lamento e saturazione della pro d u z i o n e )9. In termini concreti, linterc o n n e s-sione operativa tra le diverse cellule di lavoro avviene attraverso un comples-so sistema di comunicazione che, accompagnando o segnalando i movimen-ti del prodotto in processo di lavorazione e del materiale di componentistica,trasmette il tipo di operazioni da svolgere e la quantit di pezzi che devee s s e re inviata alla - cio che viene richiesta dalla - cellula produttiva succes-siva (posta a valle). Una qualsiasi interruzione in un punto della catena pro-duttiva determina automaticamente larresto della produzione, non solo a val-le ma anche a monte del processo (in quanto non ha luogo il prelievo): Laregolazione della produzione pertanto avviene attraverso aggiustamenti ab reve alla situazione del successivo processo, oltre che alla situazione dellevendite sul mercato. Ci richiede rapidi aggiustamenti dei programmi di pro-duzione di ogni processo precedente (Jrgens, 1988: 18).
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Ma vediamo in dettaglio quali sono, secondo Ohno, le principali funzioni eregole dutilizzo del kanban. In primo luogo, il kanban opera come buonodi prelievo o di trasferimento: il lavoratore della stazione a valle si recaalla stazione a monte per prelevare il numero di pezzi indicati dal kan -ban. Questa costituisce la regola fondamentale del sistema che, comeabbiamo visto in precedenza, implica che il processo produttivo succes-sivo deve risalire verso quello immediatamente precedente per preleva-re i pezzi di cui ha bisogno. In secondo luogo, il prelievo dei pezzi daparte del segmento produttivo successivo costituisce un vuoto che or-dina lavoro a quello a monte (viene cos realizzato il principio delle zeroscorte): Poich un kanban si muove sempre con le merci utilizzate, es-so diventa un ordine di lavoro per ogni processo produttivo. In questo mo-do un kanban previene la sovrapproduzione, il fenomeno che rappresen-ta la perdita maggiore per unindustria (Ohno, 1993: 61).In sostanza, il kanban opera come ordine di lavoro, e ci si traduce nelfatto che il segmento produttivo precedente deve fabbricare i pezzi nellaquantit indicata dal cartellino, ossia deve produrre esattamente la quan-tit di merci prelevata dal processo produttivo successivo, nel tempo in-dicato e rispettando i parametri qualitativi stabiliti. Altra regola fondamen-tale , infatti, quella che prescrive di non consegnare nulla di difettoso alprocesso , alla stazione di lavoro successiva. Questa viene resa esecuti-va da un sistema informativo diffuso e capillare che svela automatica-mente i difetti di produzione e le disfunzioni operative che si generano inqualsiasi segmento del ciclo produttivo. Poich in un sistema di produzio-ne just in time non c virtualmente nessuno stoccaggio, diventa impossi-bile sostituire un pezzo difettoso con uno di scorta, ragion per cui qual-siasi anomalia rilevata da un segmento produttivo a valle che sia stata ge-nerata dal segmento produttivo precedente si traduce in un arresto dellalinea che richiede di intervenire immediatamente. Infatti, lapplicazione or-todossa della nuova logica produttiva prevede che se il processo a mon-te fornisce pezzi difettosi, il processo a valle, rilevando immediatamentela disfunzione in atto, deve arrestare la linea e comunicare lanomalia allastazione di lavoro precedente.In sintesi, attraverso il dispositivo operativo del kanban, supportato daunaccurata programmazione della produzione e da un capillare monito-raggio del processo, il sistema Toyota realizza unefficace sincronizzazio-ne ed un apparente livellamento automatico del processo produttivolean (o flusso snello). Ci ha condotto Ohno a concludere che alla Toyotail kanban controlla il flusso delle merci, cio la produzione di unimpresache fattura pi di 4,8 miliardi allanno.
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Teamwork, autoattivazione e controlloAllinterno del sistema di produzione Toyota, il dispositivo organizzativo fonda-mentale che definisce la u t o a t t i v a z i o n e dato dallorganizzazione del lavoro int e a m, o meglio, come lo definisce lo stesso Ohno, dal l a v o ro di squadra. Ilteam costituisce il contesto operativo e lo spazio sociale allinterno del qualeviene indotta e si manifesta lautoattivazione dei lavoratori. Del resto, sonop roprio le squadre di lavoro (unificate e integrate re c i p rocamente tramite ilk a n b a n) che, per mezzo dellazione sinergica e armonica (il gioco di squa-dra, appunto) dei lavoratori che le compongono, devono operativamente ga-r a n t i re il continuo livellamento/bilanciamento del processo produttivo. Di fat-to, allinterno della nuova struttura di fabbrica, caratterizzata dalla linearizza-zione e cellularizzazione del flusso produttivo, non sono pi i lavoratori consi-derati singolarmente a funzionare da ingranaggi del sistema - come avvenivacon il fordismo - ma i t e a m di lavoro (Womack et al., 1993; Rinehart et al,1997; Fiocco, 1997 e 2001; Freyssenet, 1998; Sewell, 1998; Rizza, 2000).Dal punto di vista operativo, il t e a m costituisce ununit di lavoro deputata ap o rt a re a termine in maniera relativamente autonoma, grazie al coord i n a m e n-to e alla direzione del proprio team leader, la produzione programmata di spe-cifici segmenti del processo di fabbricazione. Naturalmente, ci implica il de-centramento dei poteri decisionali, una delega di responsabilit e una re l a t i v aautonomia gestionale (autonomia controllata) dei team leader su come rag-g i u n g e re, ed eventualmente migliorare, gli obiettivi prefissati dallalto. A questor i g u a rdo, le capacit professionali dei componenti della squadra, in genere, so-no tali da ricoprire integralmente le principali funzioni necessarie alle esigenzeoperative dello specifico segmento produttivo di appart e n e n z a .L o rganizzazione strutturata in maniera tale da pre v e d e re la presenza dire t-ta, sulla linea, anche di alcune figure specialistiche (tecnologi, manutentori,ecc.), che nella fabbrica fordista erano relegate negli uffici. Dal canto loro ,gli addetti di linea, oltre a svolgere le tradizionali attivit manuali di fabbrica-zione, devono eff e t t u a re unulteriore serie di operazioni tradizionalmente ap-p a rtenenti a funzioni di s t a ff, come il controllo di qualit, la manutenzione or-dinaria degli strumenti di lavoro, la prevenzione di guasti tecnici, il p ro b l e ms o l v i n g. Gli operai presentano caratteristiche di polivalenza esecutiva inquanto, per il principio della rotazione, devono essere in grado di operare sud i ff e renti postazioni di lavoro. Queste ultime, cos come i carichi di lavoroindividuali, non presentano confini rigidamente definiti (flessibilit dellemansioni e del tempo individuale di lavoro): Le fro n t i e re tra posti e isoledi lavoro sono mantenute costantemente in una situazione virtuale e so-no trasgredibili in permanenza da uno o pi lavoratori inizialmente asse-gnati ad un insieme di mansioni preliminarmente determinate. (...) In que-
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sto senso, lorganizzazione linearizzata materializza una forma di divisionedel lavoro in mansioni, il cui carattere centrale di essere delle mansioni r i p a rtibili, e sempre ridistribuibili. (Coriat, 1991: 68).Il taylorismo mirava a definire degli standard operativi rigidamente pro c e d u r a l i z-zati e universalmente validi per tutti i lavoratori. Lohnismo, invece, riconoscen-do la presenza imprescindibile delle diff e renze individuali, punta al raggiungimen-to degli obiettivi produttivi programmati attraverso il lavoro di squadra: in tal mo-do, anche le disparit individuali (fisiche e mentali) di prestazione, ma soprattut-to eventuali criticit produttive possono essere assorbite dal supporto e dalla-zione coordinata di tutti i membri del t e a m.Al contrario della metafora tradizionale rappresentata dallo stile gerarchico mili-t a re e dalla catena del comando, oggi i w o r k t e a m vengono solitamente descrit-ti grazie al parallelo con il mondo dello sport (Neumann et al., 1995: 26). E sta-to lo stesso Ohno a intro d u r re la metafora del b a s e b a l l e della staffetta per spie-g a re le sinergie cooperative del lavoro di squadra. Nel lavoro, come nello sport , auspicabile che i membri della squadra lavorino con la stessa forza. Nellarealt questo non sempre possibile, in part i c o l a re con i nuovi assunti che han-no una scarsa esperienza di lavoro. Alla Toyota il lavoro viene totalmente ese-guito nello spirito del passaggio del testimone, un sistema che chiamiamo cam-pagna di mutua assistenza. Ladesione di tutti a questo movimento fornisce laf o rza per cre a re una squadra di lavoro migliore. (Ohno, 1993: 39).Questo principio operativo si traduce, come gi sottolineato, in unorg a n i z z a-zione del lavoro contraddistinta da mansioni modulabili e variabili: tra le man-sioni linearmente e funzionalmente interconnesse, non esistono rigide delimi-tazioni operative, ma confini fluidi, flessibili.I pezzi dovre b b e ro passare da un lavoratore allaltro proprio come il te-stimone di una staffetta datletica. Inoltre, se un lavoratore collocato a val-le in ritardo per un qualsivoglia motivo, gli altri possono, anzi devono aiu-tarlo a re c u p e r a re il tempo perduto. Poi, nel momento in cui il pro c e s s op roduttivo torner a scorre re normalmente, quel lavoratore dovr r i p re n -d e re il testimone e ognuno potr tornare alla propria postazione. Essereabili nel passaggio del testimone per i lavoratori significa riuscire a rag-g i u n g e re larmonia del lavoro di squadra grazie al coordinamento delle pro-prie azioni re c i p roche lungo la catena di pro d u z i o n e .In definitiva, lautoattivazione pu essere ricondotta alla costante attenzione,da parte dei lavoratori, nello svolgere correttamente i propri compiti pi omeno standardizzati; organicamente integrati con quelli dei compagni di la-v o ro, cos da garantire automaticamente il bilanciamento del flusso di fab-bricazione rispettando i volumi produttivi programmati. Perci, il compito diun supervisore (dal capo squadra fino al dire t t o re) quello di far s che i la-
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voratori rispettino gli standard prescritti, fornendo loro le istruzioni e le cono-scenze necessarie allo scopo. La prestazione del singolo, normativamenteintegrata nelle mansioni e nelle postazioni, deve essere coerentemente rivol-ta alla prestazione organica dellintera squadra di lavoro. Per continuare nel-lanalogia, possiamo dire che, cos come in una squadra di calcio con undi-ci giocatori, la vittoria o la sconfitta risultano dalla prestazione dellinterot e a m (e non semplicemente dalla presenza o meno di uno o due fuoriclas-se), allo stesso modo anche lattivit produttiva necessita del lavoro di squa-dra, in quanto (...) fondamentale non il modo in cui molti pezzi vengano la-vorati da un singolo operaio, bens come molti prodotti siano completati dal-la linea nella sua interezza (Ohno, 1993: 36-37).Il pre requisito strutturale di base affinch i lavoratori possano operare inmaniera sinergica risiede nellevitare di cre a re isole isolate, cio postazio-ni di lavoro re c i p rocamente separate. In tal modo si d vita ad un ambien-te organizzativo e sociale favorevole allagire di concerto, cio si creano lecondizioni materiali adeguate al lavoro di squadra e, per di pi, si rende pos-sibile una riduzione della manodopera impiegata. Questa, come dichiara lostesso Ohno, rappresenta una delle idee-forza del sistema di pro d u z i o n eToyota. Nel glossario dei termini principali utilizzati allinterno de Lo spiritoTo y o t a, posto nelle ultime pagine del libro, Ohno definisce tale principio neitermini che seguono: Se i lavoratori sono troppo lontani luno dallaltro, nonpossono aiutarsi re c i p rocamente, si producono disfunzioni e la pro d u t t i v i t ne risente negativamente. Ma se le funzioni lavorative sono combinate at-traverso linee multifunzionali e se la distribuzione del lavoro e delle posta-zioni sono studiate correttamente, allora lorganizzazione del lavoro pur a g g i u n g e re la massima efficienza; i lavoratori possono cooperare tra loroe il loro numero pu essere ridotto (1993: 164).E compito dei team leader r i u s c i re a valorizzare le capacit lavorative indivi-duali di ciascun componente del t e a m integrandole in una tattica collettivao rganicamente coord i n a t a10 e a gestire il t e a m in modo da favorire linterio-rizzazione e la condivisione, da parte dei lavoratori, degli obiettivi dellimpre-sa. In sostanza, occorre integrare complessivamente le capacit pro d u t t i v e ,fisiche, cognitive e relazionali possedute da tutti gli addetti presenti allinter-no del t e a m, cos da permettere un utilizzo efficace di tutte le potenzialit (ele informazioni) disponibili localmente. Per re a l i z z a re la sinergia del t e a m, ic o m p o rtamenti fattuali di ciascun lavoratore devono aderire costantementealla logica del lavoro di squadra. In tal modo, tutti saranno coinvolti armoni-camente nel perseguimento di quello che viene definito il comune obiettivo.Far s che ci avvenga il compito basilare di ogni buon dirigente, (...) per-ch in un sistema di produzione autoattivato il controllo a vista permette di
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i n d i v i d u a re i punti deboli di ogni settore, rendendoli trasparenti, palesi e chia-ri a ciascun lavoratore: in questo modo tutti saranno coinvolti armonicamen-te nel raggiungimento del comune obiettivo (Ohno, 1993: 13-14).Questultima citazione di Ohno ci permette di evidenziare unaltra caratteristicafondamentale, o meglio uno dei meccanismi strutturali di comando sul lavorodellohnismo: il controllo a vista. Effettivamente, grazie alladozione dei princi-pi operativi proposti da Ohno, possibile re a l i z z a re un controllo visivo pervasi-vo e costante su tutto quel che accade allinterno dellimpianto. Operare secon-do la logica del just in time significa port a re immediatamente alla luce leventua-le presenza, lungo la linea, di s t o c k e ridondanze (di materiali e lavoratori).Contemporaneamente, la presenza di un sistema capillare di monitoraggioe l e t t ronico dellintero ciclo di produzione, in grado di comunicare immediata-mente eventuali disfunzioni operative, garantisce un presidio costante - e intempo reale - di ogni fase del processo produttivo. Si consideri, ad esempio,lo strumento visivo della n d o n o le sirene che avvertono tempestivamente ils o p r a g g i u n g e re di una disfunzione. La n d o n non altro che un d i s p l a y l u m i-noso che informa, in maniera capillare, sullo stato di funzionamento della li-nea e sui problemi che eventualmente vi si producono. Secondo la definizio-ne di Ohno: Landon uno strumento di controllo visivo diretto sul pro c e s-so produttivo, utilizzato per fermare la linea in caso danomalia. Quando tut-to procede bene accesa una luce verde. Quando il lavoratore vuole appor-t a re qualche correzione alla linea e ha bisogno daiuto, saccende la luce gial-la. Se necessario fermare la linea per risolvere un problema, si accende laluce rossa. I lavoratori sono incoraggiati a non esitare a fermare la linea incaso di necessit; e questo il miglior modo per assicurare che tutte le ope-razioni vengano eseguite correttamente (Ohno, 1993: 163).E la visibilit strutturale di tutto il processo produttivo che rende possibileil monitoraggio capillare e costante del lavoro tramite le nuove tecnologieinformatiche applicate alla produzione, a permettere il perseguimento delprincipio dellinnovazione e del miglioramento continuo. Il controllo visivorileva in corso dopera, vale a dire mentre il flusso di fabbricazione si di-spiega concretamente, la presenza di difetti nella qualit del prodotto e lacorrispondenza, o meno, tra i piani di produzione e il processo re a l e .In pratica, il sistema Toyota prevede un controllo visivo diretto sullinterop rocesso produttivo. Gli standard operativi devono essere evidenziati allin-terno di ogni stazione lavorativa, di modo che basta alzare lo sguardo perc o g l i e re le segnalazioni fornite dalla n d o n. Del resto, poich strutturalmen-te e operativamente prevista lautoattivazione dei lavoratori, ogni segnala-zione di disfunzione deve essere direttamente aff rontata e, ove possibile, ri-solta dai lavoratori presenti sulla linea.
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La flessibilit strutturale della fabbrica ohnistaIn questo capitolo, fondamentalmente attraverso la descrizione fornitadal loro stesso ideatore, abbiamo analizzato i principi operativi di basedel sistema di produzione Toyota e alcune peculiarit che ne caratteriz-zano il funzionamento concre t o .E emerso come la logica di fondo alla quale risponde lohnismo sia diversada quella portata avanti dal taylorismo. Infatti, mentre la struttura dellimpian-to fordista si pu raff i g u r a re come una fabbrica grassa, satura di s t o c k,magazzini e personale in eccesso (soprattutto per quel che concerne lamanodopera indiretta), la fabbrica ohnista pu essere rappresentata con ilconcetto di officina minima, fabbrica snella11, caratterizzata dallincessan-te perseguimento degli obiettivi congiunti di z e ro scort e e z e ro difetti. Ta l ea p p roccio (...) comporta un sistema di verifica immediata dei problemi tec-n i c o - p roduttivi, degli sprechi, dei tempi morti, e uno sforzo per estirparli dal-le radici, affinch non ricorrano nuovamente (Ambrosini, 1998: 89).Lobiettivo dellincremento della produttivit non viene pi essenzialmen-te perseguito con la produzione a lotti di singoli pezzi (economie di sca-la), ma tramite lincessante riduzione dei costi di produzione via tenden-ziale rimozione degli sprechi e delle risorse ridondanti (eliminazionedelle scorte e dei lavoratori non direttamente produttivi che non deter-minano incrementi del valore aggiunto1 2) .La flessibilit del sistema di produzione Toyota viene garantita, strutturalmen-te, dalla scomposizione cellulare del flusso produttivo linearizzato unificatovia k a n b a n e, operativamente, da una forma di gestione che riproduce, su-perando le resistenze immediate dei lavoratori, il potenziale sinergico del la-v o ro in t e a m. E compito dei team leader far operare la cellula produttiva inmaniera sinergica, sfruttando e coordinando in maniera armoniosa il lavoroe le capacit dei suoi componenti e inducendo processi di autoattivazione,c o n t rollo sociale re c i p roco e autocontrollo. Il team leader fa generalmentep a rte della gerarchia ufficiale della fabbrica, anche se in alcuni casi, come inGermania alla Volkswagen, sono gli operai di linea che alternativamente as-sumono il ruolo di l e a d e r. Comunque, quello che si pu generalmente osser-v a re una diminuzione dei livelli gerarchici ufficiali e una gestione del perso-nale orientata allHuman Resource Management.Infine, dal punto di vista dei dispositivi strutturali di comando sul lavoro, ne-cessario sottolineare limportanza centrale rivestita dal meccanismo della ge-stione a vista. Infatti, grazie a questultimo, da un lato, viene garantita linterc o n-nessione delle diverse cellule produttive e, dallaltro, viene operato un costan-te monitoraggio del processo in grado di rilevare ogni possibile disfunzione.In conclusione, possiamo aff e r m a re che, coniugando il principio dellautoat-
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tivazione nel lavoro in t e a m e il metodo di gestione con gli occhi, la fabbricasnella diventa trasparente e flessibile, dove la trasparenza assicura e re g o l ail flusso produttivo e la flessibilit del team ne assicura il mantenimento.
3 Neologismo attraverso il quale Coriat definisce il sistema di produzione Toyota in quanto, analo-gamente a quanto avvenne in passato con il termine di Taylorismo, (...) presenta il vantaggio di as-s o c i a re chiaramente le innovazioni essenziali introdotte dalla scuola giapponese al nome di colui chefu senza dubbio allorigine dei pi importanti contributi della nuova scuola (Coriat, 1991: 13).
4 Il conio della definizione risale al 1988, nel momento in cui un gruppo di ricerca del MIT, e in par-t i c o l a re John Krafcik, ha concettualizzato il sistema di produzione giapponese come pro d u z i o n esnella, termine che secondo gli autori sottolinea il tratto essenziale del sistema stesso, ossia il prin-cipio guida di fare economia di tutto (risorse materiali e umane, spazi e tempi di lavorazione, ecc.).
5 La fabbrica fordista tradizionale organizzativamente strutturata in re p a rti distinti e separati gli unidagli altri, al cui interno i lavoratori operano su macchine che svolgono una stessa funzione e dovesi produce a lotti. Il solo settore in cui si produce a flusso continuo costituito dal montaggio finale.
6 Come scrive Fiocco, dalla quale traiamo il concetto: Il termine cellularizzazione (...) posto insostituzione di quello comunemente usato di segmentazione. Se si considera il duplice senso se-mantico del termine c e l l, quello di cella/prigione e di cella/cellula, esso ci permette di cogliere con-temporaneamente la determinazione di potere mediata dalla prima accezione e la integrazione la-vorativa mediata dalla seconda (1998b: 1)
7 Tale scheda contiene delle informazioni che si possono essenzialmente riassumere in due for-mule: quanto e cosa pre l e v a re e come costruire cosa. La prima, in concordanza con il sistema j u -st in time, d le informazioni che permettono alle postazioni a valle di pre l e v a re dalle postazioni amonte la quantit di pezzi necessari. La seconda indica le operazioni da eseguire e la tipologia dipezzi da inviare al processo successivo. Il K a n b a n funziona, quindi, sia come modulo dordine checome notifica di consegna (Commisso, 1999: 37).
8 In questo contesto analitico, il termine pezzi designa un qualunque semilavorato, ovvero qual-siasi prodotto in produzione, quale, ad esempio, una scocca che sta attraversando un punto qua-lunque della linea e sulla quale vengono eseguite le operazioni, oppure il montaggio dei componen-ti previsti in quel determinato tratto di linea.
9 Si parte dalla linea dassemblaggio finale che fornisce il piano produttivo, individua i modelli diauto desiderati, le loro caratteristiche, i loro dati. Da questo punto di partenza il flusso dei materia-li capovolto. Per fornire il materiale per lassemblaggio, lordine parte dal processo finale in dire-zione di quello iniziale, per andare a pre l e v a re solo le componenti strettamente necessarie (Ohno,1993: 9).
10 Attraverso unanalogia con il b a s e b a l l Ohno dice che: I dirigenti e i capi di un impianto industria-le sono come il dire t t o re sportivo e gli allenatori di battuta, base e rinvio. Una grande squadra sav a l o r i z z a re i talenti individuali di ciascun elemento attraverso una giusta tattica collettiva ben coor-dinata. Una squadra produttiva che ha ben appreso le tecniche del just in time come una squadradi baseball bene amalgamata (1993: 13).
11 Come dice Coriat: La fabbrica ohnista si contrappone cos alla fabbrica fordista, che pu percontrasto essere qualificata come una fabbrica grassa. La sua flessibilit estremamente limitata di-pende infatti da questo grasso costantemente accumulato lungo le linee di produzione, nei magaz-zini e nei depositi e che viene rialimentato in permanenza dalla produzione di serie e dal logoro pa-radigma della produttivit secondo il quale la velocit desecuzione del singolo operaio al suo po-sto di lavoro che determina lefficienza globale del sistema (Coriat, 1991: 28-29).
12 Leliminazione dei lavoratori che non producono valore aggiunto rientra a sua volta nel pro g r a m-ma di eliminazione dello spreco e quindi nella pratica del miglioramento continuo a cui sono solleci-tati a collaborare gli stessi dipendenti (Bonazzi, 1993: 29).
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PremessaIl processo di razionalizzazione tecnologica e organizzativa del settore auto-mobilistico occidentale, che ha preso avvio negli anni Settanta, si pro g re s-sivamente concretizzato in una riorganizzazione produttiva e sociale che po-t remmo definire di natura paradigmatica, segnando il passaggio dai sistemip roduttivi basati sulla produzione di massa a quelli fondati sulla cosiddettap roduzione post-fordista. Senza entrare nel merito delle specifiche traietto-rie di ristrutturazione messe in opera dalle varie imprese automobilisticheper superare la crisi, possibile parlare di una generalizzata e crescente ri-c e rca di flessibilit del sistema produttivo da realizzarsi attraverso tre stra-tegie principali: decentramento produttivo, automazione flessibile e speri-mentazioni di riorganizzazione del lavoro. Evidentemente, non si trattato diun processo graduale n, tanto meno, lineare, bens di un percorso andatoavanti per sperimentazioni successive che hanno infine condotto ad unorg a-nizzazione del lavoro fondata sui principi dellohnismo.Lanalisi della natura del mutamento in atto caratterizzata dalla presenza didiversi approcci interpretativi, spesso contrastanti, determinati anche dalle-vidente difficolt nel riuscire a leggere una dinamica di trasformazione estre-mamente complessa e ancora in corso di svolgimento. Procedendo a gran-di linee, ad un estremo possibile individuare un insieme di interpre t a z i o n i(Dohse et al., 1988; Rieser, 1996) che, tendendo a sottolineare in manierap recipua gli aspetti di continuit con il fordismo, rischia di perd e re di vistaquelli che sono gli elementi innovativi, di rottura che caratterizzano la nuovastruttura organizzativa di fabbrica. Allestremo opposto , invece, possibiler i l e v a re un approccio che individua nelle rinnovate politiche di gestione dellerisorse umane un mutamento epocale nel rapporto tra m a n a g e m e n t e lavo-ratori, giungendo addirittura a sostenere, in alcuni casi, che si stia assisten-do ad un processo di umanizzazione del lavoro e di superamento della sepa-razione tra concezione ed esecuzione del lavoro (Ouchi, 1982; Kern e Schu-mann, 1984; Piore e Sabel, 1987; De Terssac, 1993).Data la vastit e la complessit della letteratura esistente sul tema, in que-sto capitolo ci limiteremo ad unanalisi sommaria di quelle che, a nostro pa-re re, costituiscono alcune tra le principali interpretazioni del sistema di pro-duzione post-fordista, al fine di re n d e re esplicita la posizione teorica che staalla base della nostra ricerca sulla Fiat.
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Crisi del fordismo e ristrutturazione organizzativa: la s c o p e rta occidentale del sistema di produzione giapponeseTra la fine degli anni Settanta e linizio degli anni Ottanta, di fronte al ma-turare della crisi del sistema produttivo fordista, ai processi di razionaliz-zazione organizzativa avviati dalle case automobilistiche occidentali ed al-lelevato grado di competitivit palesato dalla concorrenza giapponese, si avviato un intenso dibattito teorico sui possibili sviluppi futuri dei pro-cessi di riorganizzazione in atto.In questa prima fase, lipotesi di un possibile processo di imitazione dellei m p rese giapponesi da parte delle aziende occidentali stata soventes c a rtata a priori. Ci perch la superiorit competitiva delle prime statageneralmente attribuita, non tanto ad una diversa organizzazione della pro-duzione, quanto a fattori esterni (culturali, istituzionali, ecc.) e, pert a n t o ,impossibili da ripro d u r re allinterno delle societ occidentali. Si sono, inve-ce, sviluppate una serie di teorizzazioni dirette a sostenere una possibilespecificit europea di superamento dellorganizzazione ford i s t a - t a y l o r i s t adella produzione. Ci riferiamo, in part i c o l a re, alla teoria della s p e c i a l i z z a -zione flessibile, i cui massimi esponenti sono Piore e Sabel (1987), e alm o d e l l o n e o - a rt i g i a n a l e, sviluppato da Kern e Schumann (1984) e da Sor-ge e Streek (1988), ma le cui origini remote possono essere fatte risalirea l l a p p roccio socio-tecnico del Tavistock Institute di Londra.In ogni caso, nel corso degli anni Ottanta, lattenzione accademica e mana-geriale stata catturata dal successo manifestato dai t r a n s p l a n t a u t o m o b i l i-stici giapponesi impiantati in alcuni paesi occidentali (Stati Uniti e Gran Bre-tagna in primo luogo). Si , cos, andata via via sviluppando una vasta lette-ratura sul sistema di produzione nipponico, che potremmo definire di naturamotivazionale. In pratica, a questo punto la superiorit concorrenziale delleaziende giapponesi non stata pi ricondotta ad elementi culturali caratteri-stici del Sol Levante, quanto piuttosto agli strumenti manageriali messi in at-to dalle imprese giapponesi nella gestione del personale: pratiche e mecca-nismi diretti ad esaltare il potenziale creativo, intellettivo e part e c i p a t i v o d e ilavoratori (quale risorsa fondamentale per il successo dellazienda).Nella prospettiva motivazionalista, in Giappone la presenza di un clima azien-dale stimolante e pacificato consentirebbe la realizzazione di una sorta di fu-sione tra gli obiettivi dellimpresa e i bisogni dei lavoratori (Muramatsu et al.,1987). Lo stesso Monden (1986) riprende le tesi motivazionaliste nel mo-mento in cui scrive che proprio il rispetto della persona, presente allin-terno delle fabbriche nipponiche, a permettere di indirizzare lattivit e lee n e rgie umane verso azioni efficaci e ricche di significato, favorendo quindileliminazione delle operazioni inutili. Al sistema produttivo fordista maturo, di
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matrice Occidentale, caratterizzato da un massiccio impiego della tecnolo-gia e delle macchine, viene contrapposto un modello ideale giapponese fon-dantesi sul primato delluomo, sui suoi bisogni sociali e individuali, sullauto-nomia e sulla partecipazione consensuale dei lavoratori ai fini dellimpre s a(Aouki, 1991). Nel sostenere una tale interpretazione viene implicitamenteassecondata anche lidea dellesportabilit dello stile gestionale giapponeseallinterno di contesti sociali diff e renti da quello originario.Sulla base di queste analisi, il sistema di produzione giapponese statoquindi sostanzialmente presentato in termini di nuova filosofia manageria-le partecipativa, accompagnata da un ampio ventaglio di tecniche e stru-menti atti a valorizzare il ruolo svolto dai lavoratori, o meglio dalle risor-se umane. Nel contempo, le imprese occidentali, soprattutto quelle ame-ricane, hanno cominciato ad adottare alcuni principi giapponesi di gestio-ne del personale e organizzazione della produzione. Come scrive Volpa-to, questa fase concretamente rappresentata dal tentativo di introdurredei singoli elementi del sistema produttivo giapponese (...) ad esempio icircoli di qualit, i sistemi dei suggerimenti, la riorganizzazione e la con-centrazione dei fornitori. Elementi gestiti per in unottica ancora da pro-duzione di massa, dal momento che lassetto generale della struttura or-ganizzativa non viene intaccato (1996: 252).Sar soltanto nel corso della seconda met degli anni Ottanta che le analisidi studiosi e consulenti aziendali, superando la parzialit sia dellappro c c i oculturalista sia di quello motivazionalista, interpreteranno il successo concor-renziale delle imprese giapponesi alla luce delle caratteristiche org a n i z z a t i v ee gestionali del processo produttivo in quanto sistema organico ed integra-to di produzione, alternativo rispetto al ford i s m o .E allinterno di questo quadro che si colloca la svolta teorico-strategica del di-battito occidentale sul sistema pro d u t t i v o giapponese, svolta che pu esserec ronologicamente fatta risalire alla pubblicazione del volume The Machine thatChanged the Wo r l d ( Womack et al., 1993). Gli autori del testo hanno concen-trato il loro interesse sul sistema produttivo messo a punto negli stabilimentidella Toyota, da essi considerato come lesempio pi puro ed emblematicodella produzione giapponese. E sono essi che, sulla base di quella che hannoteorizzato come sua caratteristica principale, hanno coniato il termine l e a np ro d u c t i o n. In effetti, secondo gli autori in questione, il tratto essenziale, ba-s i l a re del modello Toyota risiede nel principio operativo di fare economia ditutto (risorse materiali e umane, spazio e tempi di lavorazione, ecc.).In opposizione agli approcci interpretativi che analizzavano il sistema pro d u t-tivo giapponese in termini di matrici culturali e motivazionali specifiche, equindi non riproducibili, i ricercatori del MIT, soffermandosi soprattutto sugli
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Crisi del fordismo er i s t rutturazione org a n i z z a t i v a :la scoperta occidentale delsistema di pro d u z i o n eg i a p p o n e s e
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aspetti tecnico-sistemici, ne hanno invece sostenuto il carattere costruito,quale prodotto di scelte imprenditoriali che hanno saputo aff ro n t a re e supe-r a re le inefficienze della produzione di massa, reimpostando i processi pro-duttivi secondo principi che puntano sulla flessibilit organizzativa e sulla re-sponsabilizzazione dei lavoratori.Con La macchina che ha cambiato il mondo, gli autori americani hannodato vita ad un processo di rilettura dellinnovazione organizzativa giappo-nese, da essi sistematizzata attraverso il modello della lean production,evidenziandone contemporaneamente la validit universale. Del resto, de-finendo la lean production come la sintesi delle caratteristiche positivepresenti nella produzione di massa e nella produzione artigianale (bassicosti ed elevati standard qualitativi), ossia due esperienze tipiche dellatradizione occidentale, stata implicitamente affermata la riproducibilitdel modello anche al di fuori del contesto originario.Secondo le conclusioni della ricerca dellIMVP (International Motor Ve h i c l eP ro g r a m), da cui scaturita La macchina che ha cambiato il mondo, la pro-duzione snella rappresenta la risposta efficiente ai principali limiti e ai fat-tori di rigidit del fordismo: bassi costi unitari vengono a coniugarsi ai re-quisiti di qualit, flessibilit e adeguamento delloff e rta alla domanda delcliente. Come scrivono gli autori: La produzione snella (...) cos detta inquanto di tutto impiega una minor quantit rispetto alla produzione di mas-sa: met delle risorse umane nellazienda, met dello spazio di pro d u z i o-ne, met degli investimenti in attre z z a t u re, met delle ore di pro g e t t a z i o-ne per sviluppare un nuovo prodotto in met tempo. Inoltre richiede unaquantit di scorte a magazzino di gran lunga inferiore della met, generadifetti di fabbricazione meno grossolani e produce una variet di pro d o t t im a g g i o re e sempre crescente (Womack et al., 1993: 15-16).Ma c di pi, in quanto il modello della produzione snella implica anche unv e ro e proprio mutamento paradigmatico nel modo di intendere il lavoro .La superiorit della fabbrica l e a n rispetto a quella fordista, si sostiene, ri-siede in quella part i c o l a re sinergia derivante dal contributo armonico di tut-ti i dipendenti aziendali teorizzata da Ohno, sinergia che si dispiega com-piutamente tra i componenti dei team di lavoro. La creazione di squadree fficienti , innanzitutto, legata alla rotazione delle mansioni e ad una for-mazione dei lavoratori di tipo m u l t i t a s k che consente loro di poter eff e t t u a-re tutte le operazioni presenti allinterno del proprio t e a m. Inoltre, gli ope-rai devono acquisire ulteriori competenze, come semplici interventi di ma-nutenzione ordinaria, controllo della qualit, pulizia del luogo e degli stru-menti di lavoro. Infine, devono essere incoraggiati a pensare attivamente,anzi preattivamente, in modo che escogitino la soluzione prima che il pro-
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blema si faccia serio (Womack, 1993: 112), ossia devono esprimere unacostante attenzione al lavoro, cercando di pre v e n i re linsorgenza di disfun-zioni e di risolvere eventuali problemi pro d u t t i v i .La piena efficacia del modello esclude relazioni manager-dipendenti di ti-po rigidamente gerarchico, caratteristiche dellorganizzazione del lavorotaylorista. Lo stile direzionale diretto a sostenere la partecipazione atti-va, limpegno, lo spirito di gruppo dei dipendenti nei confronti degli obiet-tivi produttivi aziendali e una visione meno individualistica della carriera edella professionalit, in sostanza a favorire un lavoro attento o lavorocoinvolgente. A tal fine, le relazioni tra management e lavoratori si basa-no sul reciproco rispetto e sulla fiducia: La produzione snella (...) fon-damentalmente un sistema di obbligo reciproco. I lavoratori condividonoil fato del datore di lavoro, i fornitori quello del produttore. Quando funzio-na a dovere questo sistema genera il desiderio di partecipare attivamen-te e di dare il via a quei continui perfezionamenti che sono lessenza stes-sa della produzione snella (Womack et al., 1993: 290).Questo insieme di innovazioni dovrebbe, secondo gli autori in questione,dar forma ad un assetto produttivo e ad un lavoro operaio di tipo nuovo,p rofessionalmente e qualitativamente superiore rispetto a quello svolto nel-la tradizionale fabbrica fordista. La conseguente conclusione a cui giungo-no - dopo aver passato in rassegna gli elementi della produzione snella chene fondano la superiore razionalit rispetto ai modi precedenti di fabbrica-re oggetti - che (...) tutto il mondo dovrebbe adottare la produzione snel-la con la massima celerit (Womack et al., 1993: 263).In effetti, possibile rilevare come negli ultimi anni ladozione dei principi fon-damentali della lean pro d u c t i o n si sia diffusa in maniera sempre pi genera-lizzata e pervasiva. Tuttavia, proprio alla luc