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Paize Autu Pagina 8 Paize Autu Direttore Responsabile: Alice Spagnolo Registrazione del Tribunale di Sanremo nr. 03/08 del 04/07/008 Sito internet: Mauro Sudi Direzione-Amministrazione-Redazione: 18012 Bordighera Alta – Via alle Mura, 8 Le firme impegnano gli autori degli articoli Stampato in proprio a Bordighera Alta “U Risveiu Burdigotu” Sede: Via alle Mura 8 18012 Bordighera Alta Orario : lunedì e venerdi dalle ore 16,00 alle 18,00 giovedì dalle 21 alle 23 e-mail: [email protected] Internet: www.urisveiuburdigotu.it Telefono: 3464923130 Spazio Etichetta Bene a sapersi C’è una campagna in atto nella nostra Provincia da parte delle forze dell’ordine per in- formare le persone su come difendersi da truffe e raggiri sempre più frequenti a disca- pito specialmente delle perso- ne anziane. Il 20 di marzo u.s., presso l’Unitre di Bordi- ghera, si è tenuto un incontro con il Capitano Lorenzo To- scano e con il Maresciallo Raffaele Pace del Comando Compagnia Carabinieri di Bor- dighera. Ecco le quattro regole d’oro: 1) I dipendenti delle aziende che forniscono elettricità, gas ed acqua, impiegati comunali, di banche, ecc., normalmente non vengono a casa tua se non sei tu a chiamarli. 2) Gli appartenenti alle forze di polizia se vengono nella tua casa indossano l’uniforme ed hanno veicoli riconoscibili con scritte “Carabinieri”, “Polizia di Stato”, “Guardia di Finanza” o “Polizia Municipale”. 3) Diffida comunque di chiun- que ti chieda, direttamente o indirettamente, di mostrare documentazione di qualsiasi tipo, soldi, oggetti di valore. 4) In ogni caso in cui estranei si presentino alla tua abitazio- ne o ti fermino per strada in- giustificatamente telefona al 112, questo è per noi molto importante, non temere di disturbarci. E Leccornie du Ciantafurche Ricette Tipiche Liguri La "Cima ripiena", "il re dei piatti freddi". In principio, tuttavia, rappresentava una preparazione modesta. Nel- la sacca di carne finivano elementi - filoni, animelle, cervella, ecc- che venivano considerati volgari fratta- glie. Fu col tempo, coll'esercizio della fantasia sugge- rente arricchimenti, ma anche per il lievitare del prezzo degli ingredienti, che la Cima divenne piatto costoso, seppure delizioso. Per radicata tradizione, indispensabi- le nel pranzo pasquale. E la sua confezione aveva in passato qualcosa di liturgico: la gestazione amorosa del ripieno, la preparazione della tasca, con l'arte del cuci- to sposata alla culinaria; la cottura, col prezioso cusci- netto protetto da un lino; infine, il conferire alla Cima stessa la forma più aggraziata, l'espellere l'eventuale infiltrazione di brodo con l'imposizione del tagliere e d'un ulteriore peso: "una volta era di prammatica il fer- ro da stiro di ghisa o il chilo della bilancia a piatti…” La specialità si ritrova pure oltralpe, nella provenzale "poitrine de veau farcie" (petto di vitello farcito). Per sei persone. Occorrone 8 etti di punta di vitella in cui il macellaio avrà fatto un’ampia tasca, dove verrà posto il ripieno. Per il ripieno occorrono 4 uova; 2 etti di bietole tritate e cosparse di sale, spremute dopo un’o- ra; un po’ di mollica di pane imbevuta di latte e spre- muta; sale e pepe; 3 spicchi di aglio tritato; un rametto di maggiorana; 3 cucchiai di olio d’oliva; 15 grammi di pinoli pestati; 3 cucchiai di formaggio grana grattugiato. Si mescola bene e si introduce il ripieno nella tasca, che va poi cucita con ago e filo bianco. Si mette la cima in pentola con 2 litri di acqua, il sale e tutti i gusti per fare il brodo: carota, cipolla e sedano. Quando comincia a gonfiare, vi si fanno alcuni buchi. A cottura completa (circa 1 h), si estrae la cima dalla pentola e la si pone su un piatto largo, mettendovi sopra un peso per appiat- tirla. Lasciatela raffreddare e tagliatela a fette. Alessandro Seghezza U Ciantafurche 2° CONCORSO FOTOGRAFICO DEL GRUPPO BORDI- GHERA.NET intitolato "FIORI, PIANTE, VEGETAZIO- NE...A BORDIGHERA" ma anche A VALLEBONA, SE- BORGA, SASSO E BORGHETTO S.N. (se possibile fare in modo che nella foto si vedano i nostri luoghi). Si potrà parteci- pare con una foto. Saranno rimosse le foto inserite in più e quel- le fuori tema. Le foto dovranno essere inserite dai partecipanti cliccando sul link indicato nella pagina Facebook del gruppo. Premi per i primi tre classificati (scelti dal pubblico tramite i “mi piace”), per la foto più artistica e per quella più curiosa. “ Paize Autu” Poste italiane S.p.A. spedizione in Abbonamento Postale – 70% CNS/CBPANO/IMPERIA Anno 6 nr. 4 Aprile 2013 Periodico dell’Associazione “U Risveiu BurdigotuCessa il vento calma la bufera Editoriale Du Diretù 25 Aprile 1945. La guerra è finita. Nei libri di storia studiati da ragazzi, i resoconti di battaglie combattute in luoghi a noi remoti. Date da imparare a memoria per poi essere ripetute davanti al temuto profes- sore e che restano impres- se nelle menti degli stu- denti quel tanto che basta per raggiungere l’ambita sufficienza. Ma la guerra, quella vera, è un’altra cosa. Ma cosa? E’ paura, innanzitutto, e privazione. Paura di per- dere tutto, tutti. Rabbia, anche, per le innumerevo- li ingiustizie subite, per le umiliazioni, per il dover desiderare ardentemente quelli che sono per gli uo- mini diritti inalienabili. Ma come spiegare la guer- ra? Cos’è? Cosa è stata? Da insegnante me lo chie- do spesso, giungendo ogni volta alla stessa conclu- sione: non si può. La guerra non è una sola: c’è quella dei soldati e quella dei civili. Ma non basta questo, una semplice di- cotomia non è sufficiente! I soldati... uomini con gra- di diversi, stellette appun- tate sulle spalline, sulle maniche e sul colletto del- la divisa. Capitani, mag- giori, tenenti. La guerra, come la gerarchia, non è la stessa per loro. Solo una cosa è certa: la guerra annienta tutti, ma in modi diversi. Ecco perché, più che spie- gata (perché spiegazione non può avere qualcosa di irrazionale), la guerra va raccontata a chi non l’ha vissuta, per quel sacro dovere, quell’implicita re- sponsabilità che abbiamo nei confronti delle nuove generazioni. Abbiamo dunque lasciato la parola a quanti l’hanno vissuta, a chi, dei nosci, ha avuto la sua parte di amara verità su di essa. Voci del popolo, narrazio- ni personali che non si trovano in nessun libro di storia, ma che più di ogni altra cosa si avvicinano a rispondere alla domanda spesso posta: cos’è la guerra? Alice Spagnolo Anche quest’anno, in tu Paize veciu la nostra associazione ha organizzato una dimostrazione pratica per la realizzazione dei tradizionali parmureli, che sono stati poi venduti nel pomeriggio di sabato 23 marzo u.s.. Nono- stante il maltempo, siamo sod- disfatti di aver venduto tutti i nostri manufatti. Ringraziamo Silvana, Armida, Vittoria, Cesa- re, Luciana e Graziella per il loro prezioso contributo. PARMURELI Lettera al Papa Era tempo che desideravo una chiesa con meno fronzoli ed ecco che arrivi tu: Francesco. Non riesco neanche a chiamarti Papa, non perché manchi di rispetto, ma perché sei tu, sei l’uo- mo che aspettavo, l’umile strumento di Dio. Nei tuoi occhi l’abbraccio del Padre, nei tuoi gesti l’umanità e la freschezza dell’annuncio nella tua voce. Rapito dall’amore per Cristo, lo incontri in ogni fratello ai margini: risoluto nel rifiutare le formalità, scevro di ogni ricchezza esagerata, disponibile al dialogo, scendi dal trono e chiedi a noi una benedizio- ne: “vieni e seguimi” sembri dire come un compagno, un amico, come Gesù. Nella condivisione della sofferen- za, sia essa fisica che spirituale, è la misericordia dell’Onnipotente. “Dio non si stanca di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere il Suo perdono”. Ec- co. Avevo dimenticato la parola misericordia che poi altro non è che l’amare di ogni padre per i suoi figli. Penso alla parabola del Buon Pastore o a quella del Figliol Prodigo. Nulla è perduto se ci abbando- niamo a Lui, se confidiamo in quell’abbraccio consolatorio. Ec- co Francesco, Papa France- sco: tu sei quell’abbraccio, sei le braccia di Dio. Addis Marinella Giugà in tu Paize U Risveiu Burdigotu e le associazioni Genoa Club e Fuoriasse Bor- dighera hanno portato in ta ciassa “Giugà in tu Paize”, manifesta- zione che si è svolta il 17 marzo scorso. Per i carruggi e per le piaz- ze del Centro Storico sono stati proposti antichi giochi di stra- da, come le bocce quadre e la cerbottana. Purtroppo il maltempo ha reso impossibile la realizzazione degli altri divertimenti in programma, come la campana e la catapul- ta. Una manifestazione dedicata ai bambini, dunque, che ha fatto loro riscoprire un mo- do di giocare antico ma nuovo per chi, nato da poco conosce quasi solo i videogiochi. Inoltre, per la prima volta assoluta a Bordi- ghera si è svolta una tappa del campionato italiano di Ciclo- Tappi, che ha visto vincitore Ivan Crespia- ni. Ci auguriamo di poter ripetere al più presto l’evento, magari con un clima più favo- revole. La Redazione

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Paize Autu Pagina 8

Paize Autu

Direttore Responsabile: Alice Spagnolo

Registrazione del Tribunale di Sanremo

nr. 03/08 del 04/07/008

Sito internet: Mauro Sudi

Direzione-Amministrazione-Redazione:

18012 Bordighera Alta – Via alle Mura, 8

Le firme impegnano gli autori degli articoli

Stampato in proprio a Bordighera Alta

“U Risveiu Burdigotu”

Sede: Via alle Mura 8

18012 Bordighera Alta

Orario : lunedì e venerdi

dalle ore 16,00 alle 18,00

giovedì dalle 21 alle 23

e-mail: [email protected]

Internet: www.urisveiuburdigotu.it

Telefono: 3464923130

Spazio Etichetta

Bene a sapersi

C’è una campagna in atto nella nostra Provincia da parte delle forze dell’ordine per in-formare le persone su come difendersi da truffe e raggiri sempre più frequenti a disca-pito specialmente delle perso-ne anziane. Il 20 di marzo u.s., presso l’Unitre di Bordi-ghera, si è tenuto un incontro con il Capitano Lorenzo To-scano e con il Maresciallo Raffaele Pace del Comando Compagnia Carabinieri di Bor-dighera. Ecco le quattro regole d’oro: 1) I dipendenti delle aziende che forniscono elettricità, gas ed acqua, impiegati comunali, di banche, ecc., normalmente non vengono a casa tua se

non sei tu a chiamarli. 2) Gli appartenenti alle forze di polizia se vengono nella tua casa indossano l’uniforme ed hanno veicoli riconoscibili con scritte “Carabinieri”, “Polizia di Stato”, “Guardia di Finanza” o “Polizia Municipale”. 3) Diffida comunque di chiun-que ti chieda, direttamente o indirettamente, di mostrare documentazione di qualsiasi tipo, soldi, oggetti di valore. 4) In ogni caso in cui estranei si presentino alla tua abitazio-ne o ti fermino per strada in-giustificatamente telefona al 112, questo è per noi molto importante, non temere di disturbarci.

E Leccornie du Ciantafurche Ricette Tipiche Liguri

La "Cima ripiena", "il re dei piatti freddi". In principio, tuttavia, rappresentava una preparazione modesta. Nel-la sacca di carne finivano elementi - filoni, animelle, cervella, ecc- che venivano considerati volgari fratta-glie. Fu col tempo, coll'esercizio della fantasia sugge-rente arricchimenti, ma anche per il lievitare del prezzo degli ingredienti, che la Cima divenne piatto costoso, seppure delizioso. Per radicata tradizione, indispensabi-le nel pranzo pasquale. E la sua confezione aveva in passato qualcosa di liturgico: la gestazione amorosa del ripieno, la preparazione della tasca, con l'arte del cuci-to sposata alla culinaria; la cottura, col prezioso cusci-netto protetto da un lino; infine, il conferire alla Cima stessa la forma più aggraziata, l'espellere l'eventuale infiltrazione di brodo con l'imposizione del tagliere e d'un ulteriore peso: "una volta era di prammatica il fer-ro da stiro di ghisa o il chilo della bilancia a piatti…” La specialità si ritrova pure oltralpe, nella provenzale

"poitrine de veau farcie" (petto di vitello farcito).

Per sei persone. Occorrone 8 etti di punta di vitella in cui il macellaio avrà fatto un’ampia tasca, dove verrà posto il ripieno. Per il ripieno occorrono 4 uova; 2 etti di bietole tritate e cosparse di sale, spremute dopo un’o-ra; un po’ di mollica di pane imbevuta di latte e spre-muta; sale e pepe; 3 spicchi di aglio tritato; un rametto di maggiorana; 3 cucchiai di olio d’oliva; 15 grammi di pinoli pestati; 3 cucchiai di formaggio grana grattugiato. Si mescola bene e si introduce il ripieno nella tasca, che va poi cucita con ago e filo bianco. Si mette la cima in pentola con 2 litri di acqua, il sale e tutti i gusti per fare il brodo: carota, cipolla e sedano. Quando comincia a gonfiare, vi si fanno alcuni buchi. A cottura completa (circa 1 h), si estrae la cima dalla pentola e la si pone su un piatto largo, mettendovi sopra un peso per appiat-

tirla. Lasciatela raffreddare e tagliatela a fette.

Alessandro Seghezza U Ciantafurche

2° CONCORSO FOTOGRAFICO DEL GRUPPO BORDI-

GHERA.NET intitolato "FIORI, PIANTE, VEGETAZIO-

NE...A BORDIGHERA" ma anche A VALLEBONA, SE-

BORGA, SASSO E BORGHETTO S.N. (se possibile fare in

modo che nella foto si vedano i nostri luoghi). Si potrà parteci-

pare con una foto. Saranno rimosse le foto inserite in più e quel-

le fuori tema. Le foto dovranno essere inserite dai partecipanti

cliccando sul link indicato nella pagina Facebook del gruppo.

Premi per i primi tre classificati (scelti dal pubblico tramite i “mi

piace”), per la foto più artistica e per quella più curiosa.

“ Paize Autu” Poste italiane S.p.A. spedizione in Abbonamento Postale – 70% CNS/CBPANO/IMPERIA Anno 6 nr. 4 Aprile 2013

Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”

Cessa il vento calma la bufera Editoriale

Du Diretù

25 Aprile 1945. La guerra

è finita.

Nei libri di storia studiati da ragazzi, i resoconti di

battaglie combattute in

luoghi a noi remoti. Date

da imparare a memoria

per poi essere ripetute

davanti al temuto profes-sore e che restano impres-

se nelle menti degli stu-

denti quel tanto che basta

per raggiungere l’ambita

sufficienza. Ma la guerra, quella vera,

è un’altra cosa. Ma cosa?

E’ paura, innanzitutto, e

privazione. Paura di per-

dere tutto, tutti. Rabbia,

anche, per le innumerevo-li ingiustizie subite, per le

umiliazioni, per il dover

desiderare ardentemente

quelli che sono per gli uo-

mini diritti inalienabili. Ma come spiegare la guer-

ra? Cos’è? Cosa è stata?

Da insegnante me lo chie-

do spesso, giungendo ogni

volta alla stessa conclu-

sione: non si può. La guerra non è una sola: c’è

quella dei soldati e quella

dei civili. Ma non basta

questo, una semplice di-

cotomia non è sufficiente!

I soldati... uomini con gra-

di diversi, stellette appun-

tate sulle spalline, sulle maniche e sul colletto del-

la divisa. Capitani, mag-

giori, tenenti. La guerra,

come la gerarchia, non è

la stessa per loro.

Solo una cosa è certa: la guerra annienta tutti, ma

in modi diversi.

Ecco perché, più che spie-

gata (perché spiegazione

non può avere qualcosa di irrazionale), la guerra va

raccontata a chi non l’ha

vissuta, per quel sacro

dovere, quell’implicita re-

sponsabilità che abbiamo

nei confronti delle nuove generazioni.

Abbiamo dunque lasciato

la parola a quanti l’hanno

vissuta, a chi, dei nosci,

ha avuto la sua parte di amara verità su di essa.

Voci del popolo, narrazio-

ni personali che non si

trovano in nessun libro di

storia, ma che più di ogni

altra cosa si avvicinano a rispondere alla domanda

spesso posta: cos’è la

guerra?

Alice Spagnolo

Anche quest’anno, in tu Paize

veciu la nostra associazione ha

organizzato una dimostrazione

pratica per la realizzazione dei

tradizionali parmureli, che sono

stati poi venduti nel pomeriggio

di sabato 23 marzo u.s.. Nono-

stante il maltempo, siamo sod-

disfatti di aver venduto tutti i

nostri manufatti. Ringraziamo

Silvana, Armida, Vittoria, Cesa-

re, Luciana e Graziella per il

loro prezioso contributo.

PARMURELI

Lettera al Papa

Era tempo che desideravo una chiesa con meno fronzoli ed ecco che arrivi tu: Francesco. Non riesco neanche a chiamarti Papa, non perché manchi di rispetto, ma perché sei tu, sei l’uo-mo che aspettavo, l’umile strumento di Dio. Nei tuoi occhi l’abbraccio del Padre, nei tuoi gesti l’umanità e la freschezza dell’annuncio nella tua voce. Rapito dall’amore per Cristo, lo incontri in ogni fratello ai margini: risoluto nel rifiutare le formalità, scevro di ogni ricchezza esagerata, disponibile al dialogo, scendi dal trono e chiedi a noi una benedizio-ne: “vieni e seguimi” sembri dire come un compagno, un amico, come Gesù. Nella condivisione della sofferen-

za, sia essa fisica che spirituale, è la misericordia dell’Onnipotente. “Dio non si stanca di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere il Suo perdono”. Ec-co. Avevo dimenticato la parola misericordia che poi altro non è che l’amare di ogni padre per i suoi figli. Penso alla parabola del Buon Pastore o a quella del Figliol Prodigo. Nulla è perduto se ci abbando-niamo a Lui, se confidiamo in quell’abbraccio consolatorio. Ec-co Francesco, Papa France-sco: tu sei quell’abbraccio, sei le braccia di Dio. Addis Marinella

Giugà in tu Paize

U Risveiu Burdigotu e

le associazioni Genoa

Club e Fuoriasse Bor-

dighera hanno portato

in ta ciassa “Giugà in

tu Paize”, manifesta-

zione che si è svolta il

17 marzo scorso. Per i

carruggi e per le piaz-

ze del Centro Storico

sono stati proposti

antichi giochi di stra-

da, come le bocce

quadre e la cerbottana.

Purtroppo il maltempo

ha reso impossibile la

realizzazione degli

altri divertimenti in

programma, come la

campana e la catapul-

ta. Una manifestazione

dedicata ai bambini,

dunque, che ha fatto

loro riscoprire un mo-

do di giocare antico

ma nuovo per chi, nato

da poco conosce quasi

solo i videogiochi.

Inoltre, per la prima

volta assoluta a Bordi-

ghera si è svolta una

tappa del campionato

italiano di Ciclo-

Tappi, che ha visto

vincitore Ivan Crespia-

ni. Ci auguriamo di

poter ripetere al più

presto l’evento, magari

con un clima più favo-

revole.

La Redazione

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Pagina 2 Paize Autu

Concorso aspiranti artisti: il terzo vincitore è RUBEN

Per il terzo mese consecutivo, abbiamo il piacere di pubblicare

lo scritto di un bambino, Ruben, 10 anni, che ha voluto dedicare

un pensiero ad un partigiano imperiese.

Ruben ha voluto omaggiare Felice Cascione, già insignito della

Medaglia d’oro al valor militare, ricordando le sue imprese valo-

rose che hanno guidato molti uomini verso la libertà. Grazie al

suo scritto, la nostra redazione ha avuto modo di approfondire

l’argomento della Resistenza, tra l’altro inerente a quanto pub-

blicato anche nel resto del giornale.

Ci è sembrato giusto, infatti, raccogliere le testimonianze sulla

guerra vissuta da alcuni lettori.

Ci auspichiamo che questa nostra scelta lasci un messaggio di

pace nel cuore di tutti, in particolare dei nostri ragazzi che han-

no bisogno, più che mai, di ricevere insegnamenti da noi adulti.

Se non riusciamo ad instillare loro valori e ideali, allora falliremo

la nostra missione: i giovani sono il nostro futuro. Non abban-

doniamoli.

RAGAZZI ASPETTIAMO LE VOSTRE CREAZIONI!!!

Visto che si sta avvicinando il 25 aprile, anniversario

della Liberazione, vorrei parlarvi di Felice Cascione, un

comandante dei partigiani, che scrisse la canzone

“Fischia il vento”. Il testo narra del coraggio dimostrato

dai partigiani e dell’audacia con cui hanno cambattuto il

nemico. Purtroppo, Felice Cascione venne ucciso prima di

giungere alla Liberazione.

Anche quest’anno parteciperò al corteo per ascoltare

quelle famose parole: “Fischia il vento, urla la bufera,

scarpe rotte e pur bisogna ardir…”

Mi raccomando non dimentichiamo!!!

Ruben

25 Aprile

Nasce a Porto Maurizio, ora Impe-ria, il 02 maggio 1918, da una famiglia di umili origini. La madre è una maestra elementare ed il padre Gio Batta è un fonditore di campane. Felice non conoscerà mai suo padre che ammalatosi gravemente durante la prima guerra mondiale, torna a casa appena in tempo per vederlo na-scere. Cascione, attivo antifascista fin dal 1940, si laurea a Bologna nel 1943. Subito dopo, mentre cresce la sua fama di medico sensibile e generoso, "U megu" (il dottore)

nome di battaglia, guida, insieme alla madre, le manife-stazioni popolari ad Imperia per la ca-duta del fascismo. Ciò gli vale 40 gior-ni di carcere. Con l'8 settembre, rac-colto con sé un piccolo numero di giovani, Cascione organizza in locali-tà Magaletto Diano Castello la prima banda partigiana dell'Imperiese. Le azioni vittoriose contro gli occupanti e contro i fascisti si alternavano all'as-

sistenza che quel giovane medico - "bello e vigoroso come un greco antico" presta ai montanari delle valli da Albenga ad Ormea. La sua generosità di medico tradisce Cascione. Una fedeltà alla profes-sione così assoluta da condurlo all’errore. In uno scontro con i fascisti, in quella che si ricorda come "la battaglia di Montegra-zie", i partigiani catturano un te-nente e un milite delle Brigate nere, tal Michele Dogliotti. I due prigionieri rappresentano un im-paccio e, dopo un sommario pro-cesso, si decide di eliminarli. In-

terviene "U megu": "Ho studiato venti anni per salvare la vita di un uomo e ora voi volete che io per-metta di uccidere? Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire". Così i due fascisti seguono la banda in tutti i suoi spostamenti. Cascione si prende particolarmen-te cura di Dogliotti, che è piuttosto malandato, e divide con lui le coperte, il rancio, le sigarette. A chi diffida e tenta di metterlo sull'avviso replica: "Non è colpa di Dogliotti, se non ha avuto una madre che l'abbia saputo educare alla libertà". Passa circa un mese e il brigatista nero fugge. Pochi giorni dopo, Dogliotti guida alcune centinaia di nazifascisti verso le alture intorno ad Ormea, che sa occupate da unità garibaldine. All'alba la battaglia divampa dal versante di Nasino di Albenga. "U megu", con i suoi, tenta un colpo di mano per rifornirsi di munizioni. Il tentativo fallisce; Cascione, gravemente ferito, rifiuta ogni soccorso e tenta di coprire il ripie-gamento dei suoi uomini. Ma due di loro non se la sentono di ab-bandonarlo e tornano indietro: Emiliano Mercati e Giuseppe Ca-stellucci incappano nei fascisti. Mercati sfugge alla cattura; Ca-stellucci, ferito, è selvaggiamente torturato perché dica dov'è il co-mandante. Cascione, quasi ago-

nizzante, sente i lamenti del suo uomo seviziato, si solleva da terra e urla: "Il capo sono io!". Viene crivellato di colpi. È il 27 gennaio 1944. Il comando della brigata, che prese poi il nome di Divisione Garibaldi "Felice Cascione", fu assunto dal fraterno amico Vittorio Bartolomeo Acquarone. All'indo-mani dell'uccisione di Felice Ca-scione, Italo Calvino aderisce, assieme al fratello Floriano, alla seconda divisione d'assalto parti-giana "Garibaldi" intitolata allo stesso Cascione. Calvino scrisse: “Non fu vano il tuo sangue, Cascione, primo, più generoso e più valoroso di tutti i partigiani”. La madre di Felice apprende della morte del figlio solamente diversi giorni dopo. Per la sua avversione al regime e per la scelta del figlio, si è rifugiata a Savona sotto falso nome. Nel 1976 anche a lei viene conferita postuma la Croce al Merito di Guerra.

È strano come la biografia di Ca-

scione assomigli a quella di un

altro comandante, vissuto in tempi

e luoghi diversi, la cui effige cam-

peggia tuttora sulle bandiere e le

magliette dei giovani di tutto il

mondo. X.L.

Felice Cascione Medaglia d’oro al valor militare

Paize Autu pagina 7

La Biblioteca di Alice

“D’accordo, farò come se ave-ste ragione, non rappresenterò i migliori partigiani, ma i peg-giori possibili, metterò al centro del mio romanzo un reparto tutto composto di tipi un po’ storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un’elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai so-gnarvi di essere!”. Con queste parole, spinte da una poco velata polemica con-tro i benpensanti dell’epoca, Italo Calvino, il più grande scrittore italiano del Novecen-

to, introduce il suo primo romanzo: “Il sentiero dei nidi di ragno”. In esso, come già ci ha avvertito lo stesso autore, è narrata la storia di un gruppo di partigiani che, dalle alture sopra Sanre-mo, combatte la diffi-cile lotta contro il ne-mico. Questo è, pos-siamo asserire, ciò che in realtà fa quasi da sfondo alla vicen-da umana e persona-le di Pin, un ragazzet-to selvatico abbando-nato da tutti. Non potevamo certo aspettarci che nel suo

romanzo d’esordio, Calvino si limitasse a descrivere la vita di un gruppetto di uomini “un po’ storti”. Questo avrebbe potuto farlo chiunque, ma non lui. Quella di Pin è una vicenda triste: la storia di un bambino che riversa la sua solitudine in canzoni oscene da grandi, ideali per essere eseguite in squallide bettole affollate da uomini abbruttiti dal consumo di alcolici. Pin non ha amici: i suoi coeta-nei gli stanno alla larga, messi in guardia da madri protettive ma poco sensibili nei confronti di un bambino che potrebbe esser figlio loro. E’ villano, sporco e perduto, oramai. Questo l’amaro giudizio, la

nomea che Pin porta con sé dovunque vada, soprattutto quando gironzola come un cane randagio per i carruggi del suo paese. Il suo vagabon-dare fuori casa è dovuto anche al mestiere poco nobile della sorella, prostituta che si vende soprattutto ai tedeschi. Della sorella, che sembra disinteres-sarsi completamente a lui, Pin ci dà un ritratto volgare, che nasconde una rabbia di bambi-no per una ferita che non potrà rimarginarsi mai. Gli pesa il suo essere solo, il suo senso di non appartenenza a nessun gruppo: né a quello dei bambi-ni, né a quello degli adulti, che lo sfruttano per alimentare le loro fantasie più spinte nei confronti della Nera di Carrug-gio Lungo, sua sorella. “Ma nell’osteria gli uomini sono un muro di schiene che non s’a-pre per lui”, scrive Calvino nel primissimo capitolo. Per trovare quell’amicizia a cui anela, Pin compie un gesto da grande: ruba la pistola di un tedesco “in visita” alla sorella. Vuol guadagnare il rispetto di quegli uomini che, di nascosto e senza che lui possa capirlo, non fanno altro che deriderlo. Quando Pin risentito dal loro comportamento decide di na-scondere il prezioso bottino, lo fa in un posto per lui magico, il luogo che dà il titolo al roman-zo: nel sentiero dove fanno il nido i ragni. Questo è uno dei particolari che fanno del libro

un racconto tanto storico quan-to fiabesco. E qui sta il genio di Calvino, che per narrare in modo antiretorico uno dei tanti avvenimenti che l’Italia ha esaltato e, al contempo, deni-grato, decide di scegliere un bambino come protagonista e affida al suo sguardo, scevro di ogni pregiudizio, il racconto della Resistenza. Pin, infatti, proprio in quanto possessore di una pistola, si unirà ad un gruppo di partigiani. Qui, più che per la libertà del suo pae-se, lotterà, come sempre, per trovare calore e affetto. E li troverà, alla fine, grazie ad un omone, Cugino che, come nelle favole, è il gigante buono che lo salverà dalla sua esi-stenza triste, prendendolo per

mano.

Alice Spagnolo

RICORDIAMO il 101esimo ANNIVERSARIO DALLA MORTE DI PADRE GIACOMO VIALE U FRATIN

Padre Giacomo Viale, nato ad Airole

nel 1830, entrò nell’Ordine dei Frati

Minori a Genova. Era nato per fare il

religioso e s’era fatto frate per vivere in

convento, povero per non toccare dena-

ro, francescano per essere libero come

una rondine: di tutte queste cose non

gliene fu consentita esternamente nem-

meno una, perché dal 1863, sino alla sua

morte avvenuta il 16 aprile del 1912 alle

ore 16,00, egli fu chiamato dall’obbe-

dienza a lasciare il convento e fare il

parroco in un paese che di parroci ne

aveva cacciati quattro, uno dopo l’altro:

Bordighera Alta.

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Paize Autu Pagina 6

bambini. Un giovane solda-

to ci parlava della sua città,

che era stata bombardata:

“Kaputt! Kaputt”, ripeteva,

per farci capire che la sua

famiglia, della quale non

sapeva più nulla, poteva

esser stata sterminata. Do-

po la guerra, alcuni di que-

sti giovani tornarono con le

rispettive famiglie, ma lui

no: a Bordighera non fece

mai ritorno. Antonietta

Soldati Bosco di Courton luglio

1918

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie.

Ricordi: autunno 1944

Sì, ora ricordo. Era il ‘44,

visto che Franz, il quasi

imberbe austriaco della

Wermacht, non era ancora

in servizio al semaforo di

Regia Marina allora esi-

stente in tu Paize Veciu. E’

un particolare facile: sino

ad allora le nostre partite di

calcio si erano svolte con

palloni pressoché fasulli.

Lui invece ne aveva uno

nuovo di Wunder-Team

austriaco e… noi ruffiani

gli facevamo segnare tanti

goal, quando il suo capo lo

lasciava giocare con noi.

Assieme ai due sottoposti

militi italiani, i due teutoni-

ci svolgevano mansioni di

vedetta con i capaci can-

nocchiali esistenti in loco.

In dotazione c’era pure la

sirena di allarme che era

agitata a mano. Ricordo

bene che il superiore di

Franz sembrava suo nonno.

Fu il giovane ad avvistare

il caccia alleato, che lascia-

va una scia di fumo. L’ae-

reo “feniva da lefante

dafanti Sanremo”. Sorvolò

per fortuna u nosciu Paize

e cadde nel giardino della

Duchessa di Kent. Lo

schianto fu come una scos-

sa di terremoto. Non si capì

perché il pilota non si fosse

paracadutato. Forse per un

guasto al sistema d’espul-

sione o per perdita di co-

scienza. Si seppe che nei

frammenti furono trovati

alcuni suoi resti. Questo

disse un bersagliere di stan-

za alla casamatta che allora

sorgeva a “Punta du Ca-

sun”, attigua all’odierno

Hotel del Mare. Era pome-

riggio inoltrato. All’indo-

mani le dirimpettaie Libera

e mia madre commentaro-

no: “Un’altra madre che

piange per colpa delle stu-

pide guerre che nessuna di

noi vorrebbe”. Ciò a capire

che le madri di tutte le lati-

tudini sono sempre MAM-

ME. All’indomani, con il

mio gruppo di amici, trovai

il modo di recarmi presso il

luogo dello schianto. Io,

Francesco, Umberto, Gi-

gio. Due “sammarchini” ci

impedirono di avvicinarci

al posto di caduta. Da lon-

tano vedemmo comunque

il cratere, rami schiantati,

alberi bruciati. Due borghe-

si stavano impartendo in

tedesco ordini ai militi che

rimuovevano le lamiere

squarciate e contorte, scri-

vendo su dei taccuini. Ci

videro, urlarono e ci fecero

scacciare al grido di “Raus!

Raus!”. Fortunati i giovani

di oggi, che il crucco grido

di “Via! Via!” non dovran-

no udire mai. Il giovane

Franz sarà tornato al sob-

borgo natio del Prater di

Vienna, oppure sua madre

avrà pianto come troppo

altre mamme? Il gruppo

degli adolescenti paizen-

ghi, tornando a casa, aveva

recepito sicuramente che le

guerre, vinte o perse, porta-

no solo lutti e pianti. Come

avevano già detto le mam-

me Libera e Zaira.

Mario Armando

25 Aprile

Ci avevano detto che la

guerra era finita e noi sia-

mo corsi tutti fuori con i

tovaglioli bianchi, per

sventolarli sopra i tetti.

Eravamo contenti e pensa-

vamo: “Mangiamo riso

come tutti i giorni, ma al-

meno in pace”. Passavano

gli aerei e noi sventolava-

mo, felici, i tovaglioli.

Antonietta

Il 25 aprile del 1945 ero in

campagna sul Beodo con

mio fratello e mio padre.

Mio padre era intento a

piantare dei fagioli. Ad un

tratto udimmo le campane

della chiesa del Sasso suo-

nare a festa. Mio padre si

alzò e si fece il segno della

croce, nonostante fosse

poco avvezzo alle pratiche

religiose. Si voltò verso me

e mio fratello e ci disse:

“La guerra è finita! Siamo

liberi!”. Nonostante fossi

molto piccola ricordo quel

momento come se fosse

ieri. Provai un senso di sol-

lievo e di gioia mai provato

prima di allora. Silvana

Ecco, la guerra è finita. Si è

fatto silenzio sull’Europa.

E sui mari intorno ricomin-

ciano di notte a navigare i

lumi. Dal letto dove sono

disteso posso finalmente

guardare le stelle. Come

siamo felici.

Antologia bordigotta: racconti di guerra

Le poesie inserite tra i ricordi di guerra sono, in ordine di S. Quasimodo; G. Ungaretti; G. Ungaretti; D. Buzzati.

Paize Autu Pagina 3

STORIA DI UNA CANZONE Fischia il vento

Nel dicembre del 1943 il partigiano Giuseppe Giaco-

mo Sibilla, reduce della

Campagna di Russia, si unisce alla banda di Felice

Cascione.

Sul Don, Sibilla, frequen-tando i prigionieri russi ed

alcune ragazze, impara le

parole e l’aria della popola-re canzone russa Katjusha e

le “porta” con sé al mo-

mento di salire in monta-gna.

In quei giorni di macchia ai

gregari di Felice Cascione viene l’idea di scrivere un

proprio inno. Dopo innu-

merevoli e svariate propo-

ste, Sibilla intona Katiuscia. La canzone piace a tutti

moltissimo: Cascione e la

sua brigata la scelgono all’unanimità.

Manca però il testo. Si fan-

no avanti Cascione e Alteri-sio. I partigiani hanno a

loro disposizione una chi-

tarra . Sibilla intona e Feli-

ce inizia a comporre. È un momento di tregua e così

intorno ad un fuoco pren-

dono vita le prime due stro-fe. ”Lo spirito ed il senso

romantico della vita preval-

gono sulla durezza del pe-riodo storico”.

Dopo la Battaglia di Mon-

tegrazie, durante un’altra tregua si risveglia tra i com-

ponenti della brigata il desi-

derio di continuare a com-porre le parole dell’inno.

Così Felice si rimette al la-

voro e dopo alcuni giorni il testo è pronto.

Grande è il successo e l’en-

tusiasmo tra i partigiani che

finalmente hanno la loro canzone. La imparano subi-

to e la cantano in coro. Feli-

ce nel mentre si preoccupa di far pervenire la sua com-

posizione alla madre, mae-

stra, che ne corregge le im-perfezioni e la tramuta in

quella che oggi è la versione

conosciuta.

In pochi mesi, nonostante

la guerra e le comunicazio-

ni a dir poco difficoltose, la canzone è sulla bocca di

tutti i partigiani italiani e ne

diventa l’inno più emble-matico.

Non tutti sanno che, appe-

na finita la guerra, la madre di Felice deve intraprendere

una lotta burocratica este-

nuante e durissima affinché

le parole di “Fischia il ven-

to” rimanessero patrimonio

del figlio e non venissero fatte oggetto di plagi o inde-

bite appropriazioni.

L’ultima “battaglia” di una madre devota che, in nome

della libertà, ha pagato il

prezzo più alto, perdere l’unico, amatissimo figlio.

X.L.

Bordigotti

immortalati nel

quartiere di Via

dei

Pescatori,

località Arziglia

alla fine della

Seconda Guerra

Mondiale. Bello

ritrovarsi uniti

e

sorridenti dopo

lunghi mesi di

sofferenza e

privazioni,

durante i quali

non si erano

potuti

incontrare.

BORDIGHERA… DOPO LA LIBERAZIONE

Nella foto riconosciamo Angela Amoretti, Antonio Taggiasco “Pantalì” e Luigi Pe-

stalardo “U fiu du Cé”, ancora tra noi. Sta a voi riconoscere gli altri: mandateci de-

gli aneddoti.

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Paize Autu Pagina 4

Antologia bordigotta: racconti di guerra

Primavera del 1944: Do-

menica delle Palme

Non avevo ancora compiu-

to sei anni e mio fratello ne

aveva tre, erano circa le

7,30 di un giorno lumino-

so, ero in casa con mio fra-

tello mentre mia madre era

scesa in piazza per fare la

povera spesa: un po’ di

pane con poco companati-

co, che per quei tempi tutti

si permettevano, o meglio

tutti quelli che non erano

inseriti per loro scelta nelle

maniche di chi gestiva il

potere.

Ad un tratto sentii un colpo

forte alla porta, forse un

calcio, e io tranquillo andai

ad aprire: mi apparvero due

militari tedeschi che, con

fare minaccioso, entrarono

in casa, dove trovarono

solo noi bambini. Nel frat-

tempo ecco apparire sull’u-

scio mia madre con la bor-

sa della spesa, i militari ci

fecero uscire di casa e

scendere per le scale dicen-

do: “Raus! Raus!”. Mia

madre fece appena in tem-

po a lasciare uno scritto per

mio papà che si trovava in

mare a pescare per infor-

marlo di quanto accaduto.

Scendemmo in piazza con i

nostri vicini di casa: lì c’e-

rano diversi militari, alcuni

vestiti con le divise fasci-

ste, e molti civili, anziani,

donne e bambini. Ci fecero

incolonnare e ci condusse-

ro dentro la galleria vec-

chia del treno, ormai in

disuso, facendoci passare

in un viottolo che sbucava

a 50 metri dalla galleria e

che ora non esiste più. Mi

ricordo che durante il tra-

gitto a piedi, mia madre

vide i miei nonni paterni

(Adele e Giacumin) che

avevano più di 84 anni. In

poco tempo la galleria si

riempì di gente: vi erano

stipati tutti gli abitanti del

centro storico. Il motivo di

questa operazione non si è

mai saputo: ricordo solo

che quel giorno ci tennero

in quelle condizioni di di-

sagio sino al pomeriggio

inoltrato. Noi mangiammo

quel poco di pane imbottito

di niente, ma buono che

era… Un ricordo dramma-

tico di quel giorno è stato

che mio nonno paterno

aveva, da buon ligure, il

cosiddetto “mugugno faci-

le” e rivolgendosi ad un

militare, senz’altro con

voce un po’ alterata, disse

di lasciarci ritornare nelle

nostre case. Quell’ignobile,

come risposta, gli diede un

colpo secco con il calcio

del fucile in sua dotazione

e lo fece cadere a terra.

Sono trascorsi sessantano-

ve anni da quel giorno, ma

quei ricordi sono incisi nel-

la mia mente e nel mio

cuore -anche se allora ero

solo un bimbo piccolo- e

hanno lasciato un senti-

mento di ribellione per

quell’atto compiuto verso

una persona anziana, debo-

le e indifesa. Crescendo ho

capito che quella non era

una guerra contro il nemi-

co, ma era una guerra fra-

tricida che ha lasciato una

ferita profonda nella Storia

della nostra Patria. Giacomo Ganduglia Lupo

UOMO DEL MIO TEMPO

Sei ancora quello della

pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri

nella carlinga,

con le ali maligne, le meri-

diane di morte,

t’ho visto – dentro il carro

di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho

visto: eri tu,

con la tua scienza esatta

persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo.

Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccise-

ro i padri, come uccisero

gli animali che ti videro

per la prima volta.

E questo sangue odora co-

me nel giorno

Quando il fratello disse

all’altro fratello:

«Andiamo ai campi». E

quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la

tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nu-

vole di sangue

Salite dalla terra, dimenti-

cate i padri:

le loro tombe affondano

nella cenere,

gli uccelli neri, il vento,

coprono il loro cuore.

Bombardamenti 1

Vedevamo le navi e guar-

davamo gli aerei bombar-

dare Ospedaletti. Le navi al

mattino erano tutte schiera-

te all’orizzonte: facevano

paura. In Via dei Colli, una

bomba partita da una nave

aveva ucciso un uomo. Da

Mont Agel hanno bombar-

dato una casa in via Gar-

nier, dove abito tutt’ora.

Eravamo in cantina quando

udimmo una fortissima

Paize Autu Pagina 5

Antologia bordigotta: racconti di guerra

sima esplosione. Pensava-

mo che la nostra casa fosse

crollata tanto era stato vio-

lento lo scoppio e la conse-

guente scossa. Il mio pen-

siero andò subito a mia

madre, che si trovava

nell’alloggio soprastante la

cantina: “C’è rimasta!”,

dissi. Poi quando uscim-

mo, vedemmo mia madre

che scendeva verso di noi

e la nostra casa ancora in-

tera: era stata colpita una

casa vicino, fortunatamen-

te disabitata, visto che i

proprietari erano già sfol-

lati. I resti della casa sono

ancora visibili, a ricordare

lo scempio della guerra.

Antonietta

Fratellanza in guerra

Io non ero un vero e pro-

prio partigiano, perché non

ero ufficialmente aggrega-

to a nessuna brigata. Mio

fratello invece sì ed il suo

nome di battaglia era Mer-

curio. Lo posso citare per-

ché, mio fratello ci ha or-

mai lasciato da diversi an-

ni e si sa che il nome di

battaglia si rivela solo do-

po la morte. Mi ero dovuto

dare alla macchia per non

subire le ritorsioni inflitte

ai parenti più stretti dei

partigiani. Ero molto gio-

vane… In quei giorni ero

rifugiato in un casolare

sulle alture di Ventimiglia.

Io e i miei compagni era-

vamo lì ormai da diverso

tempo ed i viveri iniziava-

no a scarseggiare: non po-

tevamo muoverci perché

eravamo accerchiati e ri-

schiavamo la fucilazione

se catturati. Passarono an-

cora alcune giornate nelle

quali non toccammo prati-

camente cibo. Bisognava

spostarsi, tanto le uniche

alternative erano solamen-

te: morire fucilati o morire

di fame. Ci dividemmo. Io

rimasi con un amico cono-

sciuto in montagna. Lui

era riuscito ad evitare la

deportazione scappando

dal treno merci che lo sta-

va conducendo in campo

di concentramento. Era un

po’ più vecchio e malanda-

to di me perciò io cercavo

di trascinarlo ed aiutarlo

nei tratti più impervi del

nostro cammino. Stavamo

cercando di ritornare ad

Isolabona: in linea d’aria e

se avessimo percorso i

sentieri canonici non era-

vamo lontani. Purtroppo

dovendo camminare in

mezzo ai boschi la strada

si allungò di parecchio.

Passammo sotto Carmo

Langan, dove si trovava

l’accampamento partigia-

no, e ci accorgemmo che i

tedeschi si stavano prepa-

rando ad attaccarli. Erava-

mo circondati! Se ci aves-

sero preso, saremmo stati

perduti. Cercammo il più

possibile di non dare

nell’occhio, di non fare

capire ai tedeschi che era-

vamo dei fuggiaschi. For-

tunatamente non eravamo

armati e perciò, quando

incontrammo la prima ca-

mionetta nemica che ci

chiese informazioni, riu-

scimmo a mentire sulla

nostra vera identità. Ta-

gliammo per i boschi, sem-

pre più affamati, trovam-

mo un albero di mele rin-

secchite che divorammo in

un batter d’occhio senza

troppo soffermarci sull’a-

spetto ed il gusto. Conti-

nuammo la nostra marcia

verso Isolabona sotto un

implacabile temporale;

passammo la notte in un

bosco sempre sotto una

pioggia scrosciante. Sedu-

to su una rivassa (pendio

scosceso) e coperto da una

semplice cerata, quella

notte riuscii persino a dor-

mire per qualche minuto.

Arrivammo ad Isolabona,

dopo quasi due giorni di

cammino, alle prime luci

dell’alba. Eravamo strema-

ti e sempre più affamati.

Incontrammo un contadino

che si stava recando in

campagna: gli chiedemmo

aiuto e qualcosa da man-

giare. L’uomo di poche

parole uscì una formagget-

ta dalla sua bisaccia, la

divise in due parti uguali e

consumò con noi la sua

parca colazione. Bruno

Bombardamenti 2

Non so perché quando

suonava l’allarme quasi

sempre facevo colazione:

una tazza di caffelatte con

qualche pezzo di pane.

Allora bisognava scappare

e abbandonare tutto per

rifugiarsi negli angusti

magazzini di Via Conda-

mine. Oltre alla paura c’e-

ra la rabbia di dover ab-

bandonare quella che per

me, in quei giorni, era

un’ambita leccornia… Un

impulso irrefrenabile mi

faceva sbattere i denti co-

me se fuori ci fossero stati

50° sotto zero. In quei ma-

gazzini eravamo stipati

come delle sardine. Quella

era la nostra unica speran-

za di salvezza, anche se,

ripensandoci da grande era

altrettanto pericoloso che

rimanere sotto le bombe.

Eravamo talmente nume-

rosi in quegli angusti per-

tugi che è stato un miraco-

lo se non è mai morto nes-

suno soffocato. Silvana

San Martino del Carso

Valloncello dell'Albero

Isolato il 27 agosto 1916

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

Ma nel cuore

nessuna croce manca

E' il mio cuore

il paese più straziato

Tedeschi

In Piazza del Popolo, sopra

l’attuale Ufficio Tecnico,

dal semaforo (torretta di

avvistamento e segnalazio-

ne) era stata installata una

mitragliatrice tedesca con

la quale i soldati cercavano

di colpire gli aerei. Alcuni

tedeschi di stanza distri-

buivano il cioccolato a noi