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STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 3 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 3-4 EDITORIALE Antonio Urso Presidente FIPE NUMERO 7 Forza al femminile I primi trent’anni della pesistica in rosa 1984. Ogni storia porta con sè e rivela tutto il sentire umano, la scienza e la coscienza, ragione ed emozione. Questa storia, quindi, come le altre, è ricca, ed è piena ed è soprattutto vissuta, proprio attraverso emozioni, sudore e sudori, gioie e fatiche, quindi davvero tutto lo scibile umano. Tutto cominciò nel 1984, quando il Con- gresso della IWF approvò la pratica del sollevamento pesi femminile, includendolo nella costituzione così come nel regolamento tecnico del ciclo olimpico 1984-1988. Al Congresso IWF di Los Angeles fu abolito, inoltre, il termine ‘per soli uomini’ aprendo definitivamente le por- te alla donna nel sollevamento pesi. Dovevano essere risolti prima delle competizioni ufficiali di sollevamento pesi i dettagli, come categorie di peso, procedura di pesatura, arbitri e attrezzatura. 1986. Il primo torneo internazionale Il primo torneo internazionale IWF femminile fu organiz- zato in concomitanza con la Pannonia Cup a Budapest, il 21-23 marzo del 1986. Già da un paio di anni prima di questo torneo, le donne pesiste erano state molto attive a livello nazionale. Campionati furono organizzati in USA, Cina, India, Australia e in diversi paesi europei. Alla prima gara organizzata IWF ufficiale a Budapest, 23 donne gareggiarono, in rappresentanza di Cina, Unghe- ria, Gran Bretagna, Canada e USA. Fu di Arlys Kovac, USA, il miglior risultato tecnico, con una performance di 75 kg nello strappo e 90 kg nello slancio nella categoria di 67,5 kg. 1987. Il primo campionato mondiale femminile L’anno successivo al torneo di Budapest fu organizza- to il primo campionato mondiale per sole donne. Fu ab- bastanza naturale che la Federazione statunitense di pesistica organizzasse questo primo Campionato del Mondo a Daytona Beach, Florida, perché il sollevamento pesi femminile in quel Paese aveva già sviluppato davvero un alto livello, in termini sia organizzativi, che di succes- si sportivi. Parteciparono 100 donne provenienti da 23 Paesi, 38 delle quali provenienti da 9 Paesi dell’Europa, in rappresentanza cioè di: Gran Bretagna, Spagna, Nor- vegia, Ungheria, Bulgaria, Italia (eccola, eccoci!), Fran- cia, Finlandia e Islanda. Nove dei vincitori provenivano dalla Cina, una dagli Stati Uniti d’America, Karyn Tarter. 1988. Il primo campionato europeo Il primo Campionato Europeo Senior fu organizzato nel 1988 a San Marino sotto l’organizzazione della EWF; il motore del comitato organizzatore fu Marino Ercolani Casadei. Gareggiarono 67 donne pesiste provenienti da 13 Nazioni. Le nazioni presenti a San Marino in questo primo campionato continentale organizzato dalla EWF furono: Italia, Grecia, Gran Bretagna, Finlandia, Unghe- ria, Spagna, Portogallo, Austria, Bulgaria, Francia, Ger- mania, San Marino e la Norvegia. Tra i vincitori emersero Maria Christoforidi, Grecia, e Milena Trendafilova, Bul- garia. Queste due donne in seguito divennero due delle donne di maggior successo nella storia della pesistica europea di sollevamento insieme all’ungherese Maria. L’Italia vinse il primo oro nella categoria 48 Kg con la genovese Roberta Sforza. Le edizioni del 1989 e 1990 furono organizzate con la stessa formula, ovvero cam- pionati separati da quelli maschili, successivamente a Varna, nel 1991, fu organizzata una competizione unita- mente ai Campionati Europei Junior maschili. È solo dal 1998, dall’edizione di Riesa, Germania, che le pesiste della classe senior gareggiarono insieme ai Campionati senior maschili nello stesso tempo e luogo. La più grande partecipazione delle donne ad un campionato continen- tale fino ad allora fu registrata nell’edizione organizzata a Kiev, Ucraina, nel 2004, con 110 concorrenti, grazie soprattutto al fatto che il Campionato aveva valenza di qualificazione olimpica. Anche Nazioni forti come la Rus- sia e la Polonia nel sollevamento si organizzarono por- tando una squadra femminile agli europei nel 1993 e nel 1996. Valentina Popova è una delle più famose pesiste russe, mentre Agata Wrobel è la più conosciuta donna atleta polacca fino ad ora. Oggi l’EWF ha ben 48 federa- zioni affiliate, ciascuna espressione di un Paese, e tutte prevedono la pesistica femminile nel loro programma. 2000. Pesistica femminile ai Giochi Olimpici Il CIO accettò il programma del sollevamento pesi fem- minile ai Giochi Olimpici per la prima volta a Sydney nel 2000. Da questa prima edizione, il 2000 appunto, si può parlare di piena parità di condizione con il sollevamento maschile. A Sydney nel 2000, ben 85 pesiste provenien- ti da 47 Nazioni hanno gareggiato per conquistare una medaglia, di queste 26 furono le atlete provenienti da 14 Nazioni europee. Nessuna atleta europea vinse una medaglia d’oro, ma Popova (Russia), Markus (Ungheria) e la Polacca Wrobel, vinsero medaglie d’argento, mentre la greca Chatziioannou vinse il bronzo. I dati provenienti dalle Olimpiadi di Atene 2004 furono esattamente come l’edizione del 2000: 85 pesiste presenti, provenienti da tutto il mondo: 28 di esse erano europee provenienti da 11 Nazioni. Il medagliere fu più favorevole per le pesiste europee: 2 medaglie d’oro, Taylan, Turchia, nella cate- goria dei 48 kg, e Skakun, Ucraina, oro nella categoria 63 kg. 1998. European Junior Women Championships Il primo Campionato Europeo femminile Junior fu invece organizzato a Sofia, in Bulgaria, in concomitanza con i Campionati Europei Junior Men nel 1998.

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Promossa dalla FIPE Federazione Italiana Pesistica e dalla NSCA Italia, attingendo al meglio delle riviste edite dalla NSCA (National Strength and Conditioning Association), Strength and Conditioning nasce come punto di riferimento italiano nell’allenamento della forza muscolare e dell’allenamento sportivo. http://www.calzetti-mariucci.it/shop/prodotti/strength-conditioning-n-7

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EDITORIALEAntonio UrsoPresidente FIPENUMERO 7

Forza al femminileI primi trent’anni della

pesistica in rosa

1984. Ogni storia porta con sè e rivela tutto il sentire umano, la scienza e la coscienza, ragione ed emozione. Questa storia, quindi, come le altre, è ricca, ed è piena ed è soprattutto vissuta, proprio attraverso emozioni, sudore e sudori, gioie e fatiche, quindi davvero tutto lo scibile umano. Tutto cominciò nel 1984, quando il Con-gresso della IWF approvò la pratica del sollevamento pesi femminile, includendolo nella costituzione così come nel regolamento tecnico del ciclo olimpico 1984-1988. Al Congresso IWF di Los Angeles fu abolito, inoltre, il termine ‘per soli uomini’ aprendo definitivamente le por-te alla donna nel sollevamento pesi. Dovevano essere risolti prima delle competizioni ufficiali di sollevamento pesi i dettagli, come categorie di peso, procedura di pesatura, arbitri e attrezzatura.

1986. Il primo torneo internazionale Il primo torneo internazionale IWF femminile fu organiz-zato in concomitanza con la Pannonia Cup a Budapest, il 21-23 marzo del 1986. Già da un paio di anni prima di questo torneo, le donne pesiste erano state molto attive a livello nazionale. Campionati furono organizzati in USA, Cina, India, Australia e in diversi paesi europei. Alla prima gara organizzata IWF ufficiale a Budapest, 23 donne gareggiarono, in rappresentanza di Cina, Unghe-ria, Gran Bretagna, Canada e USA. Fu di Arlys Kovac, USA, il miglior risultato tecnico, con una performance di 75 kg nello strappo e 90 kg nello slancio nella categoria di 67,5 kg.

1987. Il primo campionato mondiale femminileL’anno successivo al torneo di Budapest fu organizza-to il primo campionato mondiale per sole donne. Fu ab-bastanza naturale che la Federazione statunitense di pesistica organizzasse questo primo Campionato del Mondo a Daytona Beach, Florida, perché il sollevamento pesi femminile in quel Paese aveva già sviluppato davvero un alto livello, in termini sia organizzativi, che di succes-si sportivi. Parteciparono 100 donne provenienti da 23 Paesi, 38 delle quali provenienti da 9 Paesi dell’Europa, in rappresentanza cioè di: Gran Bretagna, Spagna, Nor-vegia, Ungheria, Bulgaria, Italia (eccola, eccoci!), Fran-cia, Finlandia e Islanda. Nove dei vincitori provenivano dalla Cina, una dagli Stati Uniti d’America, Karyn Tarter.

1988. Il primo campionato europeo Il primo Campionato Europeo Senior fu organizzato nel 1988 a San Marino sotto l’organizzazione della EWF; il motore del comitato organizzatore fu Marino Ercolani Casadei. Gareggiarono 67 donne pesiste provenienti da 13 Nazioni. Le nazioni presenti a San Marino in questo primo campionato continentale organizzato dalla EWF

furono: Italia, Grecia, Gran Bretagna, Finlandia, Unghe-ria, Spagna, Portogallo, Austria, Bulgaria, Francia, Ger-mania, San Marino e la Norvegia. Tra i vincitori emersero Maria Christoforidi, Grecia, e Milena Trendafilova, Bul-garia. Queste due donne in seguito divennero due delle donne di maggior successo nella storia della pesistica europea di sollevamento insieme all’ungherese Maria. L’Italia vinse il primo oro nella categoria 48 Kg con la genovese Roberta Sforza. Le edizioni del 1989 e 1990 furono organizzate con la stessa formula, ovvero cam-pionati separati da quelli maschili, successivamente a Varna, nel 1991, fu organizzata una competizione unita-mente ai Campionati Europei Junior maschili. È solo dal 1998, dall’edizione di Riesa, Germania, che le pesiste della classe senior gareggiarono insieme ai Campionati senior maschili nello stesso tempo e luogo. La più grande partecipazione delle donne ad un campionato continen-tale fino ad allora fu registrata nell’edizione organizzata a Kiev, Ucraina, nel 2004, con 110 concorrenti, grazie soprattutto al fatto che il Campionato aveva valenza di qualificazione olimpica. Anche Nazioni forti come la Rus-sia e la Polonia nel sollevamento si organizzarono por-tando una squadra femminile agli europei nel 1993 e nel 1996. Valentina Popova è una delle più famose pesiste russe, mentre Agata Wrobel è la più conosciuta donna atleta polacca fino ad ora. Oggi l’EWF ha ben 48 federa-zioni affiliate, ciascuna espressione di un Paese, e tutte prevedono la pesistica femminile nel loro programma.

2000. Pesistica femminile ai Giochi OlimpiciIl CIO accettò il programma del sollevamento pesi fem-minile ai Giochi Olimpici per la prima volta a Sydney nel 2000. Da questa prima edizione, il 2000 appunto, si può parlare di piena parità di condizione con il sollevamento maschile. A Sydney nel 2000, ben 85 pesiste provenien-ti da 47 Nazioni hanno gareggiato per conquistare una medaglia, di queste 26 furono le atlete provenienti da 14 Nazioni europee. Nessuna atleta europea vinse una medaglia d’oro, ma Popova (Russia), Markus (Ungheria) e la Polacca Wrobel, vinsero medaglie d’argento, mentre la greca Chatziioannou vinse il bronzo. I dati provenienti dalle Olimpiadi di Atene 2004 furono esattamente come l’edizione del 2000: 85 pesiste presenti, provenienti da tutto il mondo: 28 di esse erano europee provenienti da 11 Nazioni. Il medagliere fu più favorevole per le pesiste europee: 2 medaglie d’oro, Taylan, Turchia, nella cate-goria dei 48 kg, e Skakun, Ucraina, oro nella categoria 63 kg.

1998. European Junior Women ChampionshipsIl primo Campionato Europeo femminile Junior fu invece organizzato a Sofia, in Bulgaria, in concomitanza con i Campionati Europei Junior Men nel 1998.

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IntroduzioneLa forza è una grandezza fisica vettoriale, in quanto caratterizzata da una direzione e da una intensità, che si manifesta nella interazione di due o più corpi capace di modificare lo stato di quiete o di moto degli stes-si corpi. Il muscolo, con la sua capacità di contrarsi, manifesta la sua proprietà fisica di opporsi ad una resistenza: in poche parole, è capace di produrre lavoro facendo muovere l’individuo o sollevando pesi.Il lavoro fondamentale di Maughan del 1983 ha dimostrato che la forza è proporzionale alla sezione trasversa dei muscoli.Il tipo di forza che il muscolo può produrre dipende dalla composizione delle sue fibre (vedi Tab. n.1). Ma la forza è anche legata alla frequenza con la quale i nervi stimolano le fibre muscolari e alla quanti-tà di unità motorie (neurone + le fibre muscolari innervate dal neurone stesso) che vengono attivate simultaneamente.È osservazione comune che il nostro corpo cambia con l’età ed è intuibile che nell’arco della vita cambi anche la forza.

LA FORZA NELLATERZA E QUARTA ETÀ

Menotti Calvani

La macchina che c’è in me

MENOTTI CALVANIMedico, specializzatoin neurologia,farmacologia clinica oltre che intossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana.Ha pubblicato oltre 200 articoli scientifi ci su riviste internazionaliprevalentemente sui temi delmetabolismo, suimitocondri e sullepatologiedegenerative.

Classificazione delle fibre muscolari

Tipo di fibra I IIA IIB

Colore rossa rosa bianca

Contrazione lenta rapida rapida

Metabolismo ossidativo glicolitico / ossidativo glicolitico

Affaticabilità scarsa intermedia elevata

Andamento della forza nel tempoLa forza raggiunge il suo apice verso i 30-35 anni e si mantiene fino verso i 40, successivamente decresce in maniera lenta, ma senza averne per-cezione in assenza di lavori gravosi, fino a 50-60 anni. Il decrescere della forza se non ci sono malattie è, comunque, legato allo stato di allenamento ma, in assenza di attività fisica adeguata, già a partire dai 30 anni la forza si riduce di circa il 10±15% per decade. A 65 anni, la perdita di forza può ar-rivare al 25% e superare il 40% negli ultra ottua-genari.L’uso di mezzi diagnostici quali la DEXA, l’ecogra-fia, la risonanza magnetica o i reperti autoptici hanno permesso di stabilire che la massa musco-lare rappresenta il 50% in peso dell’intero organi-smo, ma ne hanno anche evidenziato una riduzione fino al 40% tra i 20 e i 40 anni, in condizioni di abitudini sedentarie. L’uso di strumenti che forniscono immagini capaci di discriminare le strutture anatomiche degli arti e/o del tronco si rendono indispensabili in quanto il tessuto muscolare col passare degli anni viene sostituito dai tessuti connettivo e adiposo, non apprezzabili con le misurazioni antropometriche. La presenza di tessuto adiposo nel muscolo è ad esempio tipico degli obesi e contribuisce alla ridu-zione della massa contrattile a qualsiasi età.

Per quanto riguarda i sessi, gli uomini, che in media hanno una massa muscolare più grande di quella della donna, con l’avanzare degli anni perdo-no più muscolo. Tra i 60 e i 69 anni, tale perdita può raggiungere il 10% contro l’8% della donna e dopo gli 80 anni la forbice si allarga portandosi al 40% e 18% rispettivamente nell’ uomo e nella donna.

La massa muscolare è direttamente correlata all’aspettativa di vita e ha una correlazione inver-sa con la non autonomia: non perdere muscolo significa vivere più a lungo e senza malattie debili-tanti. Le donne che notoriamente sono più longe-ve degli uomini mantengono più a lungo il proprio patrimonio muscolare.

La perdita muscolare superiore alla media + 2 de-viazioni standard della massa muscolare dei sog-getti di pari età ed in salute, è definita sarcopenia: ne è affetta in media il 13±24% della popolazione tra i 60 e i 70 anni, il 50% delle persone con età >80 anni. Anche in questo caso, tra gli over 75, il 58% sono uomini contro il 45% delle donne. Il maggiore declino maschile è stato imputato alla minore produzione di ormoni ad attività anabolica quali gli androgeni, l’ormone della crescita, l’Insu-lin like Growth Factor.

Tab. n.1 - Classif icazione delle f ibre muscolari

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Con il termine dieta chetogenica si definisce un regime alimentare basato su una drastica ridu-zione dell’assunzione di carboidrati, associata o meno con un relativo aumento della quota di pro-teine e grassi (23). Lo stato metabolico delle die-te chetogeniche è riconducibile, per molti versi, al digiuno; anche nel digiuno, infatti, si instaura quello stato metabolico particolare conosciuto sotto il nome di chetosi. I primi studi scientifici approfonditi su questa condizione metabolica fu-rono quelli condotti dal gruppo di Cahill negli anni ‘60, partendo appunto dalla condizione di “fasted” o “a digiuno” (9, 22).Quella del digiuno è infatti una pratica, o meglio una tecnica, usata da millenni per raggiungere particolari stati di benessere spirituali durante rituali o pratiche religiose. Anche nell’Antico Te-stamento, come nel Corano e nel Mahabharata, si fa cenno a questa pratica ascetica. Possiamo trovare un riferimento al digiuno, ad esempio, in Matteo (17,14-21) dove, nell’episodio dell’epiletti-co guarito, si dice: “Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno”; e non a caso si parla di digiuno a proposito di epilessia, in quanto è noto fin dagli anni 20 del secolo scorso come la chetosi (e quindi il digiuno) sia in grado di migliorare alcuni tipi di epilessia (28). Ovviamente, uno dei problemi del digiuno è il progressivo depau-peramento delle riserve proteiche dell’organismo. Le diete chetogeniche moderne, invece, cercano di indurre uno stato di chetosi, fornendo però un

apporto proteico adeguato, in modo da mantene-re la massa magra, e sono state spesso chia-mate, infatti, anche digiuno modificato “modified fasting diet” (4) o diete a bassi carboidrati ed a risparmio proteico, “low carbohydrate protein spa-ring modified diet” (3). Ma queste diete hanno co-nosciuto una forte diffusione, a partire dal 1972, con la pubblicazione del libro Dr. Atkins (2), che proponeva una drastica riduzione dei carboidrati ai fini di un rapido ed efficace dimagrimento. Dalla pubblicazione di quel libro, gli studi sulle diete che-togeniche si sono moltiplicati ma, nonostante la dimostrata efficacia sulla riduzione del peso cor-poreo nonchè sulla riduzione dei markers dell’in-fiammazione e del rischio cardiovascolare (35), quest’arma terapeutica viene spesso ignorata o rifiutata da molti professionisti del campo della nutrizione. Questo rifiuto aprioristico è spesso motivato da una scarsa conoscenza dei meccani-smi legati alla chetosi.

Senza carboidrati, il nostro corpo non può seguire le vie metaboliche che utilizza solitamente per as-similare i grassi. Dopo pochi giorni di digiuno o di dieta con riduzione drastica dei carboidrati (meno di 20 g al giorno), il glucosio di riserva del corpo diventa insufficiente per consentire sia la norma-le ossidazione dei grassi attraverso la fornitura

ANTONIO PAOLIDiploma ISEF, Laurea in Medicina e Chirurgia, Specializzazione in Medicina dello Sport. Professore associato di Metodi e Didattiche delle attività Motorie presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova.

IETA CHETOGENICA: facciamo il punto.

DCos’è la dieta chetogenica

Antonio PaoliDipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Padova

Che cos’è la chetosi

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energy expenditure and respiratory ratio. BMC Proceedings (Suppl 3 ed.). BioMed Central Ltd, p. P37.26. Paoli A, Grimaldi K, D’Agostino D, Cenci L, Moro T, Bianco A, and Pal-ma A. Ketogenic diet does not affect strength performance in elite artistic gymnasts. Journal of the International Society of Sports Nutrition 9: 34, 2012.27. Paoli A, Grimaldi K, Toniolo L, Canato M, Bianco A, and Fratter A. Nutri-tion and Acne: Therapeutic Potential of Ketogenic Diets. Skin pharmacolo-gy and physiology 25: 111-117, 2012.28. Paoli A, Rubini A, Volek JS, and Grimaldi KA. Beyond weight loss: a review of the therapeutic uses of very-low-carbohydrate (ketogenic) diets. Europe-an journal of clinical nutrition, 2013.29. Phinney SD, Bistrian BR, Evans WJ, Gervino E, and Blackburn GL. The hu-man metabolic response to chronic ketosis without caloric restriction: pre-servation of submaximal exercise capability with reduced carbohydrate oxidation. Metabolism: clinical and experimental 32: 769-776, 1983.30. Phinney SD, Bistrian BR, Wolfe RR, and Blackburn GL. The human me-tabolic response to chronic ketosis without caloric restriction: physical and biochemical adaptation. Metabolism: clinical and experimental 32: 757-768, 1983.31. Phinney SD, Horton ES, Sims EA, Hanson JS, Danforth E, Jr., and LaGrange BM. Capacity for moderate exercise in obese subjects after adaptation to a hypocaloric, ketogenic diet. The Journal of clinical investigation 66: 1152-1161, 1980.32. Robinson AM and Williamson DH. Physiological roles of ketone bodies as substrates and signals in mammalian tissues. Physiological Reviews 60: 143-187, 1980.33. Russell DM, Leiter LA, Whitwell J, Marliss EB, and Jeejeebhoy KN. Skeletal muscle function during hypocaloric diets and fasting: a comparison with standard nutritional assessment parameters. The American Journal of Clini-cal Nutrition 37: 133-138, 1983.34. Sato K, Kashiwaya Y, Keon CA, Tsuchiya N, King MT, Radda GK, Chance B, Clarke K, and Veech RL. Insulin, ketone bodies, and mitochondrial energy transduction. The FASEB journal : offi cial publication of the Federation of American Societies for Experimental Biology 9: 651-658, 1995.35. Sharman MJ, Kraemer WJ, Love DM, Avery NG, Gomez AL, Scheett TP, and Volek JS. A ketogenic diet favorably affects serum biomarkers for cardiovascular disease in normal-weight men. The Journal of nutrition 132: 1879-1885, 2002.36. Sumithran P, Prendergast LA, Delbridge E, Purcell K, Shulkes A, Kriketos A, and Proietto J. Ketosis and appetite-mediating nutrients and hormones after weight loss. European journal of clinical nutrition, 2013.37. Sumithran P, Prendergast LA, Delbridge E, Purcell K, Shulkes A, Kriketos A, and Proietto J. Long-term persistence of hormonal adaptations to weight loss. The New England journal of medicine 365: 1597-1604, 2011.38. Tagliabue A, Bertoli S, Trentani C, Borrelli P, and Veggiotti P. Effects of the ketogenic diet on nutritional status, resting energy expenditure, and sub-strate oxidation in patients with medically refractory epilepsy: a 6-month prospective observational study. Clinical nutrition (Edinburgh, Scotland) 31: 246-249, 2012.39. Turocy PS, DePalma BF, Horswill CA, Laquale KM, Martin TJ, Perry AC, Somova MJ, Utter AC, and National Athletic Trainers A. National Athletic Trainers’ Association position statement: safe weight loss and maintenance practices in sport and exercise. Journal of athletic training 46: 322-336, 2011.40. Vazquez JA and Kazi U. Lipolysis and gluconeogenesis from glycerol du-ring weight reduction with very-low-calorie diets. Metabolism: clinical and experimental 43: 1293-1299, 1994.41. Veech RL. The therapeutic implications of ketone bodies: the effects of ketone bodies in pathological conditions: ketosis, ketogenic diet, redox states, insulin resistance, and mitochondrial metabolism. Prostaglandins, leukotrienes, and essential fatty acids 70: 309-319, 2004.42. Veldhorst MA, Westerterp-Plantenga MS, and Westerterp KR. Glucone-ogenesis and energy expenditure after a high-protein, carbohydrate-free diet. The American Journal of Clinical Nutrition 90: 519-526, 2009.43. Walberg JL, Ruiz VK, Tarlton SL, Hinkle DE, and Thye FW. Exercise capacity and nitrogen loss during a high or low carbohydrate diet. Medicine and science in sports and exercise 20: 34-43, 1988.44. Westerterp-Plantenga MS. Protein intake and energy balance. Regula-tory peptides 149: 67-69, 2008.45. Westerterp-Plantenga MS and Lejeune MP. Protein intake and body-wei-ght regulation. Appetite 45: 187-190, 2005.46. White AM, Johnston CS, Swan PD, Tjonn SL, and Sears B. Blood keto-nes are directly related to fatigue and perceived effort during exercise in overweight adults adhering to low-carbohydrate diets for weight loss: a pi-lot study. Journal of the American Dietetic Association 107: 1792-1796, 2007.47. Yarrows SA. Weight loss through dehydration in amateur wrestling. Jour-nal of the American Dietetic Association 88: 491-493, 1988.

Gian Nicola Bisciotti

L’hamstring syndrome (HS) venne descritta per la prima volta da Puranen ed Horawa nel 1988 ed inquadrata nell’ambito di una tendinopatia inser-zionale prossimale degli hamstring. Classicamen-te con il termine di HS s’intende appunto una ten-dinopatia inserzionale prossimale degli hamstring in cui la formazione di un tessuto fibrotico, asso-ciato ad una pregressa lesione della componente tendinea o una sua degenerazione che comporti un aumento del calibro del tendine stesso, cau-si una compressione a livello dell’adiacente nervo sciatico (Puranen e Horawa, 1988, Sherry 2012). Molto spesso, quindi, la HS rappresenta un esito di lesione parziale della UMT prossimale degli ham-string (Puranen e Horawa, 1988; Askling e coll., 2006; Lempainen e coll., 2009; Saikku e coll., 2010; Cacchio e coll., 2011). In letteratura, la

HS si ritrova associata a pregressi eventi lesi-vi indiretti della UMT degli hamstring in una per-centuale compresa tra il 76% ed il 19% dei casi (Agre, 1985; Hartig, 1999; Fredericson e coll., 2005; Clark, 2008; Young e coll., 2008; Lempai-nen e coll., 2009; Benazzo e coll., 2013).

Anche se inizialmente l’HS è stata descritta in una popolazione di sprinter (Puranen e Horawa, 1988), le evidenze più recenti suggeriscono di come sia invece di maggior riscontro nei mezzo-fondisti, nei calciatori e negli sciatori di fondo (Pu-ranen e Horawa, 1988; Fredericson e coll., 2005; Lempainen e coll., 2009; Cacchio e coll., 2011). L’età di maggior frequenza è compresa tra i 29 ed i 37 anni (Young e coll., 2008; Lempainen e coll., 2009; Zissen e coll., 2010).

GIAN NICOLA BISCIOTTI Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Medicine Hospital, FiFA Center, Doha (Q).Senior Coordinator Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, Parma, La Spezia (I).

HAMSTRING SYNDROME (La sindrome degli ischiocrurali)

L’Introduzione

PAROLE CHIAVE tendinopatia, nervo sciatico, sindrome compressiva.

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PASQUALEBELLOTTI([email protected];[email protected]), medico, esperto dimovimento e diallenamento,insegnaattualmente Etica e Bioetica dello Sport a Torino, nella SUISM.Molti libri e moltiarticoli al suo attivo.È anche Presidentede L’Amàca Onlus,associazione connumerosi progetti di assistenza e disupporto in Africa(ed in Italia):www.amacaonlus.org.

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ANTROPOLOGIADELL’ALLENAMENTO

(prima parte)

Pasquale Bellotti, medico

Quello stile di vitachiamato allenamento

Non mi è mai capitato di iniziare a scrivere un te-sto, scusandomi con chi mi legge. E però lo faccio, senza remore. Mi scuso perché affronto un argo-mento all’apparenza inconsueto, al quale sono ar-rivato dopo quaranta anni e più di pratica e di te-oria, stanco del presente ed incuriosito dalla pro-spettiva di parlare di movimento e di allenamento da un punto di vista nuovo, io credo mai tentato prima. L’argomento ed il suo sviluppo può apparire astruso: non lo è, al vero esperto del moto appa-rirà che non lo è davvero – astruso – ; può annoia-re: sì credo, non si può essere interessati a tutte ed a certe modalità; può creare problemi: sì, cer-to, è così. Ma questo è proprio un mio obiettivo dichiarato: creare problemi in chi ascolta, dubbi e problemi. Non vogliatemene, però, per questo; è fatto in spirito di servizio, per una causa an-ch’essa dichiarata, cioè di porre quest’arte (non un mestiere, non una professione), quest’arte al livello che merita. Alto, il più alto. Il livello delle cose serie, perché la più seria delle professioni è quella in cui persone si prendono cura del benes-sere – nel nostro caso un benessere del tutto speciale, che rapidamente può però sfociare in malessere – di altre persone: persone “allenatori” che si prendono cura di persone “atleti”, persone che sanno del moto e lo utilizzano perché altri se ne avvantaggino individualmente. Di una visione antropologica dell’allenamento, di questo si tratta qui, di una visione di cui io penso che vi sia grande bisogno, in tempi incerti come questi che stiamo vivendo. Incerti anche per la conoscenza e la pratica dell’allenamento, non solo per la crisi di valori della società e per la crisi dei rapporti e delle relazioni tra le persone. Si tratta, per quanto mi consta, di un aspetto (a me sem-bra davvero quello più importante) mai trattato in precedenza da altri, assolutamente non sconta-to, come sembrerebbe dover essere, e comunque necessario ed opportuno, oggi.

Da tutto quanto precede è seguito il tentativo della combinazione e dell’integrazione dei due con-cetti (antropologia ed allenamento) e ne è deriva-ta questa speciale locuzione: antropologia dell’al-lenamento.

Ma per accostare i concetti di antropologia e di allenamento, non vi è dubbio che occorra proce-dere, preliminarmente, alla esatta definizione di entrambi da isolati e separati, proprio per poter valutare la liceità e la reale proponibilità di una an-tropologia legata al fenomeno così tanto studiato e così sconosciuto (e misconosciuto) ai più che si chiama allenamento. Basta cogliere l’essenza dei due, non serve altro, in realtà, per cominciare e giustificare un percorso. Quel percorso, cioè, che

mira a comprendere cosa realmente sia l’allena-mento, nelle sue implicazioni e nel suo dipanarsi. Antropologico dipanarsi. Per fare quel percorso servono essenze e, vedremo, occorrono princìpi.

Scienza per eccellenza l’antropologia, riguarda l’uomo che studia se stesso, l’uomo che si inter-roga sulla sua natura e sulla sua vita, in quanto espressione di una volontà manifestata da un cor-po e da uno spirito, facce obbligate della medaglia “umano”. L’uomo che compone la sintesi di sé ed in maniera sistematica la espone e la consegna al presente ed al futuro. L’antropologia è lo studio che della vita fa l’uomo mentre la vive, domandan-dosene il perché. L’antropologia è un’esposizione di perché. L’allenamento è una possibile risposta al ed ai perché. Lo è perché è una maniera di in-tendere e di vivere la vita. L’allenamento è vita, è la vita, una parte di vita, ma vita a tutti gli effetti. L’antropologia dell’allenamento affronta temi della vita. Ne derivano alcune considerazioni ed alcune riflessioni che anticipano l’enunciazione di una se-rie concatenata ed articolata di princìpi.

Chiarirò tra un istante il significato ed il ruolo dei princìpi e princìpi proverò ad enunciare, per co-struire una base (almeno elementare) di antropo-logia dell’allenamento.

Prima riflessione. Antropologia dell’allenamen-to significa anche antropologia dell’uomo che si prepara, si prepara per avere consapevolezza del futuro che verrà. Un futuro umano o disumano, di-pendendo queste modalità di condursi dalla manie-ra umana o disumana con la quale viene condotta tale preparazione: vedremo che dovremo parlare addirittura di una assai peculiare anticipazione del-la vita. L’allenamento lo è, è una progressiva anti-cipazione della vita, la prefigurazione di un obiet-tivo con la sua sperimentazione quasi quotidiana o più. Ma sarebbe impensabile preparare con compor-tamenti disumani un’attività umana e viceversa con comportamenti umani un’attività disumana: chi froda – ovviamente in mille modi diversi – pre-parandosi, implicitamente froderà nel comporta-mento preparato; chi resta umano, resterà uma-no nel comportamento preparato e predisposto, cioè pre-visto, visto prima. Seconda riflessione. Un’antropologia dell’allena-mento può fondarsi su princìpi, per essere propo-sta e compresa e, io direi, riconosciuta. Sostan-zialmente riconosciuta, poiché nei princìpi ci si può rifugiare, sui princìpi si può fare affidamento, sui princìpi basare il seguito delle esperienze e il progresso del pensiero e dell’azione. Dai princìpi si comincia sempre, poiché essi sono la base reale delle conoscenze. Gli inizi, i primi passi, l’incede-re iniziale. Le radici del pensare e del riflettere, le radici degli obiettivi. Nell’allenamento - così io credo - si entra attraverso princìpi che agevolano il primo passo ed accompagnano poi, per sempre, in tutti i successivi passi. I princìpi non restano indietro nel cammino, non scompaiono dietro di noi, ma camminano insieme con noi, non potendoli mai dimenticare e dovendo spesso, come si fa con bussola, ricorrervi. Ricordandoli, riproponendoli, insegnandoli e trasmettendoli a chi segue. Nes-suna scienza può farne a meno, non esisterebbe-ro le scienze. Nessun essere umano potrebbe ri-

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1. Introduzione

È uso oramai comune che molti atleti delle più di-verse discipline sportive utilizzino dei dispositivi occlusali intraorali, tipo bite o placche di svincolo, per migliorare la prestazione atletica.È da alcuni anni che si è dimostrata la stretta correlazione che esiste tra muscolatura cra-nio-mandibolare e suoi segmenti scheletrici (ap-parato stomatognatico) con il resto dell’apparato muscolo-scheletrico dell’intero corpo; e d’altron-de non è difficile intuire che l’intero nostro organi-smo non è composto da apparati ed organi scolle-gati tra loro, ma il loro funzionamento “armonico” è la risultante di un perfetto equilibrio sinergico.Si è ancora dimostrato, anche se diverse sono le teorie applicative, come le malocclusioni possono creare in alcuni soggetti, in senso discendente, un alterato equilibrio posturale, una variazione dell’intensità della forza espressa e di conseguen-za della resa lavorativa muscolare.In soggetti in ottime condizioni degli apparati car-diocircolatorio, respiratorio, neurologico ed inter-nistico generale, la postura, l’equilibrio, la forza e la resa muscolare sono i pilastri fondamentali della prestazione sportiva.Lo studio e la sperimentazione che sono stati in-trapresi sono finalizzati a capire e valutare og-gettivamente quanto il riequilibrio dell’occlusione incida sulla forza e la resa muscolare.Un importante contributo valutativo ci è stato fornito dall’utilizzo di un EMG (elettromiografo) di superficie wireless, che fornisce in modo ogget-tivo informazioni funzionali sulle alterazioni neu-romuscolari indotte dal contatto occlusale e più precisamente l’influenza della funzione occlusale tramite indici validati.

È un esame assolutamente non invasivo, che con-siste nell’applicare sui punti motori dei muscoli temporali, massetere anteriore e sternocleido-mastoideo, con delle patch adesive, 6 sonde wi-reless del peso ciascuna di 9 grammi, rispettiva-mente 3 per ciascun lato destro e sinistro. Altra caratteristica fondamentale di questo si-stema è la standardizzazione del segnale elet-tromiografico e, quindi, l’accuratezza e (ancora più importante) la ripetitività dei valori ottenuti dall’esame. Un’altra caratteristica è la rapidità dell’esecuzio-ne, da 5 a 15 secondi, a seconda dell’esercizio che si vuole analizzare. Totale libertà dei movimen-ti da parte dell’atleta per la mancanza di fili (si tratta, come detto, di sonde wireless).

Lo studio ha preso spunto da un fatto clinico real-mente verificatosi ad un’atleta italiana olimpionica che, a seguito del posizionamento di un bite, ha perso immediatamente il 20% della propria forza muscolare.

L’aver verificato, studiato ed infine risolto il pro-blema di questa nostra atleta olimpionica ci ha spinto come GRUPPO di STUDIO dei CENTRI ODONTOIATRICI SAN GIORGIO di Roma assieme al Presidente della F.I.PE (Federazione Italiana Pesistica), il Dr. Antonio Urso, ad allargare lo studio a molti degli atleti della Squadra Nazionale Italiana di Pesistica, per verificare la possibilità di dare un valido contributo alla normale prepa-razione atletica, con l’ottimizzazione dell’armonia fisica, riequilibrando una malocclusione.

Introduzione

Antonio Del Vecchio, Antonio Urso, Eugenio Cilento, Raffaello Del Vecchio (si ringraziano i due tecnici FIPE Angelo Mannironi e Domenico Marzullo per la preziosa collaborazione)

“A DENTI STRETTI”Occlusione dentale

e resa muscolare

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ANTONIODEL VECCHIOLaureato in Medici-na e Chirurgia con specializzazione in Clinica Odontosto-matologica. Ha se-guito numerosi corsi di Odontostomato-logia parodontolo-gia e Gnatologia in Italia e negli USA. Dal 2000 al 2009 Ha diretto la META ME-DICA, centro per la Chirurgia Ambulato-riale e Day Surgery di Roma.Attualmente svolge la sua attività professionale presso i Centri Odontoia-trici San Giorgio di Roma, dei quali è il Direttore Sanitario e Responsabile Scientifi co.

ANTONIO URSO Presidente della Federazione Italiana Pesistica e della European Weightli-fting Federation.Componente dell’Esecutivo della IWF International Weightlifting Fede-ration.Laurea in Scienze Motorie;Laurea Magistrale in Attività Motorie Preventive e Adat-tate; Master 1° livello Scienze Motorie Preventive Adattate e Recupero Atletico;Maestro di Pesistica.Ha allenato la nazionale maschile e femminile di pesistica.è stato più volte campione italiano.

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ltre l’allenamento2. Forma e funzione. Del corpo e del movimento

OIntroduzione

Continuiamo nel nostro lento incedere. Nel prece-dente articolo si accenna alla possibilità di pensare all’allenamento come ad un processo integrale, ri-volto a sottosistemi integrati (le reti olistiche, neu-rale, fluida e fibrosa). Dall’ipotesi - se non “eviden-te”, quantomeno “sostenibile” - può nascere una proposta, tesa a filtrare gli elementi tradizionali, spostando focalizzazione teorica e tensione pratica, dal Muscolo al Corpo, dall’Esercizio al Movimento e dall’Allenamento alla Vita. Le riflessioni che ali-mentano la formulazione di una tale tesi nascono dall’improvvisa ed imprevista intrusione dell’agget-tivo “funzionale” nel vocabolario dell’Allenamento. Il tentativo di spiegarne il significato è argomento ed argomentazione per eccellenza, terreno inesplora-to d’incontro e di scontro. Due parole - Functional Training - hanno catturato la nostra attenzione per il semplice fatto di rappresentare una sintesi tanto precisa quanto inusuale. Per qualche anno, abbia-mo citato definizioni provenienti da enciclopedie e dizionari con l’intento di definire l’area entro la quale ci saremmo dovuti, voluti, potuti muovere. Poi con il tempo, soddisfatta la nostra ansia da traduttori inesperti, e, soprattutto, definita la provenienza dei termini, ci siamo lasciati trascinare da altri aspet-

ti, più immediati forse, ma meno facili da chiarire. Oggi, quello che può orientare la comprensione, non solo dell’excursus terminologico (quando richie-sto), ma anche e soprattutto della ratio operati-va (quando esista la volontà di costruirne una) è l’intima relazione che esiste tra due poli: la Forma e la Funzione. Forma, Funzione, oltre a Corpo e Movimento, rappresentano i punti cardinali di una bussola, inusuale ma sensibile. Capire le stret-te relazioni tra i 4 termini di riferimento significa percorrere una rotta già solcata (dalla Forma alla Funzione) o navigare in una direzione diversa (dalla Funzione alla Forma).

Ci stiamo accorgendo, ne sono convinto, che non esiste una direzione obbligata, ma tanti possibili percorsi. Uno dei possibili itinerari, quello che pren-derà corpo nelle pagine seguenti, suggerisce poche tappe ed una sola meta. È una Funzione del Corpo ben orientata a dover dirigere il Corpo stesso verso un allineamento Formale dei volumi e dei segmenti che lo compongono. E all’interno di un tale proces-so devono venire utilizzate Forme di Movimento ri-spondenti e corrispondenti alla Funzione che il Mo-vimento è chiamato ad assolvere.

Alberto Andorlini

ALBERTO ANDORLINIDopo una lunga esperienza come Insegnante di Educazione Fisica, è oggi Preparatore Atletico e Riabilitatore. La sua attività si lega da sempre all’interesse per l’evoluzione del Movimento e per lo sviluppo della Performance. Ha lavorato per A.C. Fiorentina, A.C. Siena, Al Arabi Sports Club, Chelsea F.C. e Nazionale Femminile Calcio in qualità di Terapista e Preparatore Atletico.Attualmente è Riabilitatore presso l’U.S.Palermo.Collabora con il Training Lab di Firenze e svolge attività didattica nel corso di Laurea in Scienza e Tecnica dello Sport e delle Attività Motorie Preventive e Adattative dell’Università di Firenze.

Continua a collaborare con S&C Alberto Andorlini, per almeno 3 testi originali, per tutto il 2014.

SECONDA PARTE

I NOSTRI “COMPAGNI DI PEDANA”

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Massimiliano Gollin, Alessandro Guerra

PESISTICASPORT PER TUTTI GLI SPORT

WWW.FEDERPESISTICA.IT

seguici su :

PRIMA PARTE

e variazioni circadiane dell’eff icienza f isica nella lotta Greco Romana

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Introduzione

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Come tutti gli sport, anche la lotta ha subito nel tempo una graduale e costante evoluzione che la colloca tra le discipline olimpiche più spettacolari. Nelle sue varianti, greco romana e stile libero, ha un carattere interdisciplinare e un orientamento proteso al perfezionamento morfo-funzionale, motorio, psichico e sociale dell’atleta (Petrov 1991).La lotta greco romana è uno sport di combattimento e di situazione caratterizzato da azioni e gesti tecnici aciclici, cioè distinti da un’azione non continua che la situano, dal punto di vista degli obiettivi fondamentali della tecnica, nella macrofamiglia degli sport di “combattimento-opposizione diretta” (Scotton 2003). Durante il combattimento il lottatore deve essere in grado di adattarsi alle varie situazioni che si vengono a creare, reagendo prontamente agli attacchi dell’avversario e trovando la soluzione più adatta per condurre un’azione di offesa efficace. In questa disciplina olimpica non è am-messo l’uso di tecniche e prese portate agli arti inferiori. Infatti, sono proibiti dal regolamento inter-nazionale tutti i tipi di attacco alle gambe. Gli incontri sono strutturati sulla base delle tre riprese della durata di due minuti ciascuna, separate da trenta secondi di recupero. L’incontro è assegnato a colui che vince due riprese conquistando un numero maggiore di punti tramite l’effettuazione di tecniche specifiche portate ai danni dell’avversario oppure se riesce ad “atterrare” l’antagonista, cioè a mantenerlo con le spalle contro il tappeto per un periodo di tempo sufficiente da permettere all’arbitro di constatare il controllo della schienata. In questo secondo caso, l’incontro termina nel momento stesso dell’atterramento. Oltre le pause di recupero tra una ripresa e l’altra codificate dal regolamento, anche durante le fasi di combattimento si manifestano numerose variazioni di ritmo che conferiscono al carico di lavoro richie-sto al lottatore il carattere di attività di tipo intervallato. Gli aspetti fondamentali della preparazione fisica del lottatore riguardano lo sviluppo delle capacità di resistenza (Petrov 1991) e di forza specifica (Petrov 1991, Novikov 1991) dei flessori dell’avambraccio, basilari sia per difendersi sia per attaccare il proprio avversario. L’importanza dello sviluppo della forza dei flessori dell’avambraccio è evidenziata ancora di più dal fatto che, essendo la lotta uno sport praticato quasi completamente a torso nudo, le prese sull’avversario sono rese più problematiche dalla sudorazione. Per quanto riguarda l’allena-mento della forza, l’attenzione deve essere rivolta oltre che al periodo di preparazione generale e spe-cifico, anche al periodo competitivo. È stato dimostrato che la forza muscolare dei lottatori subisce una riduzione statisticamente significativa negli esercizi di back squat (-5%; p<0,01) e bench press squat (-4%; p<0,01) durante la stagione agonistica rispetto al periodo pre-competitivo (Schmidt et al. 2005).

ALESSANDROGUERRA Laureato in Scienze e Tecniche dello Sport e dell’Allenamento, SUISM di Torino, Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie, Università di Torino, Italia

MASSIMILIANOGOLLINRicercatore Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche; Centro Ricerche Scienze Motorie, Università di Torino, Italia

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42 STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

Sono gli atleti a gareggiare ma la qualità della loro prestazione viene forgiata in allenamento, che è una situazione centrata sull’interazione fra tecni-co e atleta, del cui valore di questo rapporto sono ambedue pienamente consapevoli.

Tanto è vero che l’unica ricerca condotta su un numero significativo di atleti (N=817) e che com-prende coloro che hanno fatto parte della squadra olimpica statunitense nel periodo 1984-1998, ne ha evidenziato la convinzione nel ritenere che il loro successo è stato determinato in notevole misura dalla interazione con allenatori eccellenti (Ricvald e Peterson, 2003). Avere sottolineato l’importanza della persona-al-lenatore eccellente e non solo del programma-ec-cellente permette di porre l’accento sulla compo-nente esistenziale del ruolo di allenatore, intesa come fattore fondante questo rapporto accanto a quella più squisitamente tecnica-professionale. Analogamente l’attività di coaching che svolgo con gli allenatori nello sviluppo delle loro competenze psicologiche mi ha permesso di evidenziare che le aree psicologiche in cui desiderano migliorare ri-guardano principalmente: le abilità interpersonali,

la fiducia in se stessi e in misura minore i processi decisionali (Figura 1).

Nel dettaglio la Figura 2 illustra le competenze specifiche che sono comprese in queste tre più grandi categorie. Sulla base di questi risultati, si può affermare che le aree che sono continuamente sollecitate dal rapporto allenatore-atleta sono identificabili in tre ampi fattori.

La prima si riferisce alla dimensione scientifi-co-metodologica dell’allenamento. Infatti, duran-te il lavoro sul campo, vengono applicate le cono-scenze che si sono dimostrate valide per svilup-pare programmi efficaci. La dimensione scientifica della metodologia dell’allenamento è insegnata nei corsi universitari e nei corsi di formazione orga-nizzati dal Coni e dalle Federazioni Sportive.Inoltre, a tale riguardo gli allenatori hanno dedica-to la maggior parte della loro formazione e dell’ag-giornamento a questa componente professionale.L’insieme di queste competenze pone l’allenatore in grado di gestire in modo razionale l’allenamento, attraverso l’utilizzo intelligente e flessibile delle

ALBERTO CEI

Docente di “Coaching”

all’Università di Tor Vergata di Roma

e di Psicologia alla Scuola dello

Sport del Coni. Svolge attività di consulenza

nell’ottimizzazione delle prestazioni sportive a livello

internazionale. Si interessa di

etica come fattore alla base delle prestazioni

eccellenti. È editorial

manager di International

Journal of Sport Psychology. Web:

www.ceiconsulting.it Blog: www.albertocei.

com

e competenze dell’allenatore*L

Alberto CeiUniversità di Tor Vergata

* Parte di que-sto articolo è tratta dal libro: A. Cei (2011). Imparare a vincere, Calzetti & Mariucci Editori.

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Il tempo che i professionisti del condizionamento fisico e di allenamento della forza passano con i loro atleti è spesso limitato, pertanto è impor-tante massimizzare gli effetti delle attività di alle-namento. Un campo di ricerca che ha modificato la prescrizione degli esercizi è quello riguardante gli effetti biomeccanici dello stretching. La pre-scrizione dello stretching da parte degli allenatori della forza dovrebbe essere guidata da questi ri-sultati della ricerca che dimostrano le differenze tra gli effetti meccanici a breve termine e quelli a lungo termine e gli effetti attesi dello stretching sulla prestazione e sul rischio di lesioni.

Circa 10 anni fa, i risultati della ricerca scientifica di base iniziarono a sollevare dubbi sul principio che lo stretching eseguito durante il riscaldamen-to migliorasse la successiva prestazione musco-lare massimale (8). Da allora, evidenze coerenti e probanti provenienti da dozzine di studi successivi hanno dimostrato che lo stretching durante il ri-scaldamento provoca una riduzione a breve termi-ne (5–28%) nella maggior parte dei casi di presta-zione muscolare massimale (15, 17). Circa 20-30 secondi di stretching statico è la dose minima per provocare una riduzione immediata del 5% della forza e quanto maggiore è la durata totale del-

lo stretching, tanto maggiore è l’inibizione della prestazione (9). E questa inibizione della presta-zione muscolare può durare fino a 60 minuti per dosaggi molto elevati di stretching ed è correlata all’inibizione neuromuscolare e alla riduzione della forza contrattile (4).Data la mancanza di evidenze a sostegno di un effetto positivo dello stretching eseguito prima dell’attività fisica e dati i numerosi studi che ri-feriscono effetti negativi, lo stretching statico durante il riscaldamento è controindicato per la maggior parte delle attività che implicano una prestazione muscolare massimale per gli atleti di tutte le età e di tutti i livelli di abilità [il gras-setto è del curatore]. Per esempio, se un allena-tore della forza facesse eseguire agli atleti eser-cizi di stretching prima di sottoporli a test sulla forma fisica, otterrebbe solo un miglioramento dei punteggi riguardanti la flessibilità e probabil-mente una riduzione dei punteggi ai test per la forza, la resistenza e la corsa. Un allenatore che utilizzasse esercizi di stretching statico vigoroso con gli atleti prima di una competizione potreb-be facilmente ridurre la forza che non solamente provocherebbe una diminuzione della prestazione massimale per circa 30 minuti, ma potrebbe an-che ridurre la capacità di un atleta di resistere al sovraccarico, eventualmente contribuendo a un rischio più elevato di lesioni muscolo-scheletriche.È interessante notare che questa conclusione ba-sata sulle evidenze non è stata universalmente accettata, poiché alcuni non sono disposti a fare ampie raccomandazioni sullo stretching o a pre-

Duane Knudson, PhD

PUBBLICA

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A PRIMA VOLTA IN

ITALIA1

Duane Knudson è professoressa e direttrice del Department of Health and Human Performance alla Texas State University.

rogrammare lo stretching dopo un allenamento f isico vigoroso

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ORIG: PROGRAM STRETCHING AFTER VIGOROUS PHYSICAL TRAINING, SCJ,

VOL.32, N°6, NOVEMBER 2010, 55-57

Introduzione

Ricerche recenti sullo stretching

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L’introduzione del “Back Wall Squat Test” ha lo scopo di confermare la validità del movimento di squat quale metodo “gold standard” nell’analisi funzionale e di proporre alcune linee guida per un approccio semplice ed immediato per autorizzare l’utilizzo di sovraccarico per eseguire l’esercizio di squat con diversi gradi di piegamento al ginocchio. Alla base di questo test, vi è la dichiarata volontà di costruire una modalità di screening che con-senta l’esplorazione dei comuni aspetti posturali legati alla simmetria, alla propriocezione e all’alli-neamento corporeo, così discriminando posizione e grado di piegamento.Infatti, a differenza di altri test di valutazione che utilizzano il movimento dello squat in varie forme (bipodaliche, monopodaliche) e con diverse posizio-ni degli arti superiori, il BWST consente di fornire indicazioni specifiche (posturali e funzionali) circa l’angolo di piegamento al ginocchio da raggiungere ed utilizzare. Quest’ultima considerazione diventa rilevante quando ci si riferisce a soggetti che, di routine, eseguono esercizi di potenziamento con sovraccarichi sulle spalle. Un altro aspetto innovativo del BWST, però, è l’in-troduzione del “muro” come “guida” al rispetto dell’allineamento corporeo durante tutte le fasi del movimento: un soggetto posto di fronte a un piano rigido e invalicabile, è obbligato ad effettua-re un piegamento sugli arti seguendo i “binari”

della linearità (in accordo con quanto suggerito da “Alexander”4) imposti dal muro stesso: così facendo, sarà immediatamente possibile apprez-zare visivamente l’uniformità del gesto nella sua interezza.Il modello presentato in questo articolo trae spunto da quanto già presente nella letteratura specialistica e propone, in un’unica soluzione di movimento, di raccogliere valutazioni dal punto di vista sia morfologico posturale sia funzionale, ag-giungendo precise indicazioni circa la capacità e/o la possibilità del soggetto di eseguire con sovrac-carico tutte le posizioni di squat, dal ½ squat fino alla posizione del full squat.

Il “Back Wall Squat Test” (BWST) si definisce come un movimento eseguito in una progressio-ne graduale dalla stazione eretta alle posizioni rispettivamente: di ½ squat, di deep squat e di piegamento completo (full squat): si tratta di un percorso eseguito in 4 livelli crescenti di difficoltà nei quali, attraverso l’uso di indicazioni gestuali, si può valutare se, a livello funzionale, il soggetto è in grado di raggiungere e mantenere correttamente la posizione richiesta, autorizzando il soggetto ad eseguire la fase successiva soltanto quando ella/egli è in grado di mantenere la postura richiesta, rispettando ogni item (senza o con ausilio di rialzo sotto i talloni).

Dallo squat al “BWST”

Protocollo del “BWST”

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Giampietro Alberti, Luca Cavaggioni, Athos Trecroci, Roberto Bianchi, Lucio OngaroDipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano

GIAMPIETRO ALBERTIProfessore Associato di Metodi e Didattiche delle Attività SportiveFacoltà di Scienze Motorie, Dipartimento di Scienze Biomediche per la SaluteUniversità degli Studi di [email protected]

ack wall squat test: postura e grado di piegamento al ginocchio nell’esercizio di squat

B SECONDA PARTE

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LUCA CAVAGGIONILaurea Magistrale in Scienza Tecnica e Didattica dello Sport, Dottorando in Scienze dello Sport, Università degli Studi di Milano

ATHOS TRECROCILaurea Magistrale in Scienza Tecnica e Didattica dello Sport, Dottorando in Scienze dello Sport, Università degli Studi di Milano

È prevista la pubblicazione degli atti del convegno.

Destinatari: medici, fi sioterapisti, laureati in scienze motorie, terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, terapisti occupazionali, infermieri, studenti dei corsi di laurea.

Il convegno sarà accreditato ecm per tutte le fi gure professionali dell’area sanitaria a cui è destinato.

Ulteriori info saranno disponibili, a partire da gennaio 2014, all’indirizzo: http://www-3.unipv.it/scienzemotorie/index.php

ack wall squat test: postura e grado di piegamento al ginocchio nell’esercizio di squat

out principles in relation to the following aspect: “On principles and the principle of principles. Principles and thinking and primigenial reflection: movement”.

With Clenched Teeth. Dental Occlusion and Muscular Performance Antonio Del Vecchio, Antonio Urso, Eugenio Cilento, Raffaello Del Vecchio, Angelo Mannironi, Domenico MarzulloS&C (Ita), no.7, Year III, January-April 2014, pp. 23-31The authors present a study on intra-oral occlusal devices, such as bite planes, now commonly used to improve athletic performance on the assumption that posture, balance, strength and muscular efficiency represent the main pillars of performance itself. They have tried to objectively assess the extent to which the rebalancing of the occlusion can effect strength and muscular output. In this field the use of a wireless surface EMG (electromyograph) has led to collecting precious information on neuromuscular alterations induced by occlusal contact, and more precisely on the influence of the occlusal function, using validated indexes.

Beyond Training (Second Part) – 2. Form and Function. Of the Body and of MovementAlberto AndorliniS&C (Ita), no.7, Year III, January-April 2014, pp. 33-37“Form and Function. Of the Body and of Movement” is the second of a series of “multi-disciplinary contributions”. A first step, on tiptoe, towards defining a new methodology of intervention in the field of Movement Training. Our dissertation began in the previous issue (6/2013) of S&C (pp.35-38) and now continues with a free reading of the axiom “form follows function” (2nd article). It will cross a reference axis – from Body, to Movement, right up to Body in Movement – which will actually represent the compass with which to angle considerations and fuel closer examinations (3rd article); it will touch upon an elementary Grammar aimed at supplying tools to decode any motor composition (4th article); it will finally reach the definition of a methodological and operational model to enable “performance” (5th article). The (ordinary and extraordinary) “performance” that cannot limit itself to a single instant, a single session, a single moment, a single execution, but which must be extended to all movements and... to all elements common to a single movement.

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Giulio Rattazzicon prefazione di Roberto Trinchero

GIULIO RATTAZZIlaureato in Scienze Motorie all’Università di Torino e Master post lauream in Diritto e Management dello sport presso L’Università degli studi di Salerno, è inventore e realizzatore di software e strumentazione per la valutazione funzionale dell’atleta.

ROBERTOTRINCHEROinsegna Pedagogia Sperimentale e Metodologia della Ricerca Educativa presso il Dipartimento di Filosofi a e Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Torino.

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Prefazione di Roberto Trinchero*

Un tempo sui 100 metri di 10,5 secondi è un tempo alto o un tempo basso? Dipende. Se a farlo è Usain Bolt nel pieno della sua forma fisica e nel periodo migliore della sua attività agonistica è sicuramente un tempo alto. Al contrario, per la maggior parte di coloro che non praticano atletica a livello professionistico un tempo simile sarebbe il migliore ottenibi-le nella propria vita. Questo semplice aneddoto ci insegna che in analisi dei dati (nelle scienze motorie come in altre discipline) non esisto-no grandezze assolute ma solo grandezze relative, utili per comparare l’andamento di fenomeni analoghi riferiti a più soggetti (comparazione sincronica: ad esempio le prestazio-ni di un gruppo di atleti che concorrono in una gara) o allo stesso soggetto in tempi differenti (comparazione diacroni-ca: ad esempio le prestazioni dello stesso atleta nel tempo). In questo secondo caso però ciascuna prestazione assume un senso solo in relazione all’insieme complessivo delle pre-stazioni dell’atleta e, visto che l’insieme delle prestazioni si arricchisce con il passare del tempo, il “senso” di ogni sin-gola prestazione passata cambia continuamente. Possiamo essere sicuri, senza timore di smentita, che vi è stato un momento della vita di Usain Bolt in cui egli ha gioito per aver fatto un tempo di 10,5 secondi sui 100 metri, ma la sua crescita personale ed atletica ha fatto cadere quel momento nel dimenticatoio perché quella che, in quell’istante, è sta-ta la miglior prestazione della sua vita è stata ampiamente superata.

L’interessante proposta formulata da Giulio Rattazzi nel pre-sente articolo ci aiuta a sistematizzare e a formalizzare in termini statistici questa forma di “oblio”. Attraverso la tecni-ca del ricalcolo dei punti Z ci aiuta a descrivere l’evoluzione delle prestazioni di un atleta, assegnando un significato alle nuove prestazioni sulla base delle prestazioni precedenti ma anche riassegnando significato alle prestazioni precedenti sulla base di quelle attuali. In tal modo è possibile stimare le potenzialità “medie” di un soggetto in un certo tipo di compe-tizione e descriverne l’evoluzione.

È una tecnica che apre prospettive interessanti non solo nel-le scienze motorie ma in tutti quegli ambiti del sapere in cui è necessario studiare l’evoluzione temporale di fenomeni che fluttuano intorno ad “attrattori” ignoti a priori ma stimabili sulla base delle rilevazioni stesse. Se l’analisi dei dati implica il contrasto e il confronto tra situazioni, la tecnica illustrata si propone come una promettente modalità per la compara-zione diacronica e per la reinterpretazione, mediante un’ana-lisi a posteriori, delle tappe evolutive di un fenomeno.

atturare l’evoluzione dei fenomeni con il

ricalcolo dei punteggi “z” (a)

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VINCENZO CANALIDocente a.c. di posturologia applicata allo sport nel corso di Teoria e Metodologia dell’attività motoria - Scienze Motorie - Facoltà di Medicina e Chirurgia Università di Parma.Tecnico IAAF (Fed. Internazionale Atletica Leggera) e preparatore posturale di Elena Isimbaeva, campionessa olimpica di salto con l’asta ad Atene 2004 e a Pechino 2008. È anche titolare di quattro brevetti internazionali di macchine isotoniche a rotazione e posturali “defense”, per il potenziamento muscolare e per la mobilità articolare.Nella sua carriera di preparatore posturale e di ginnastica annovera anche gli olimpionici Gibilisco, Baldini, Di Martino e la collaborazione con varie squadre nazionali e federazioni sportive.

roposta di sviluppo di un progetto di ginnasticaposturale come prevenzione dei traumi da carico iterativo

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STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

Comincia la

sua collaborazionecon S&C

Vincenzo Canali

per almeno 3 articoli

originali, per tutto il 2014.

INTR ODUZIONE AL CANALI POSTURAL METHOD

Il Canali Postural Method è un sistema di lavoro che permette di bilanciare le sinergie muscolari uti-lizzate dalle persone durante i gesti comuni della vita di relazione ed anche durante l’esecuzione di specifici movimenti sportivi.Camminare, salire e scendere le scale, raccogliere qualcosa da terra, piuttosto che raggiungere un oggetto posizionato più in alto rispetto all’altezza del soggetto, significa utilizzare un insieme di strut-ture muscolari che compongono varie catene funzionali al gesto che stiamo eseguendo.L’azione muscolare, intesa come somma delle azioni finalizzate all’ottenimento dello scopo, si avvale di ampiezze articolari multiple, fornite al gesto finale da tutte le articolazioni interagenti nella catena.Ad esempio, nel dare la mano ad una persona, utilizziamo il tronco, che a sua volta è posizionato sugli arti inferiori; al tronco sono collegate più articolazioni direttamente ed indirettamente; utilizzeremo, quindi, la spalla, il gomito, il polso e le articolazioni delle dita.Questo significa che, per ogni gesto, la motilità necessaria viene suddivisa tra varie articolazioni per rendere il gesto più economico e per non sovraccaricare un’unica struttura.Il nostro sistema di utilizzo delle strutture deputate al movimento è fortemente conservativo ed il nostro SNC tende a non esporle ad azioni di eccessivo carico o ad eccessiva ampiezza articolare.Questo aspetto tende a specializzare le articolazioni in angoli d’azione ed a ridurli nel tempo, produ-cendo degli atteggiamenti di compensazione che – inevitabilmente – portano danni al sistema musco-lo-tendineo ed osseo, quando la ripetizione iterativa di un gesto arriva ad essere un vero e proprio sovraccarico funzionale.Ciò accade perché l’organismo, diminuendo gli angoli d’azione, riduce la capacità statica di supporto all’azione dinamica.L’utilizzo dei rapporti di flesso-estensione, il cui studio è stato realizzato e codificato all’interno del Canali Postural Method, permette di opporre ad ogni azione di estensione un’azione di attivazione/contrazione, di una struttura muscolare, che stabilizza l’azione in fase di svolgimento, superando il concetto di azione antagonista.In altre parole, lo studio rispetto alle posizioni assunte dal corpo e rispetto ai decubiti utilizzati, per-mette di stabilire quali muscoli devono essere attivi e sinergici alle varie azioni, affinché la specializza-zione di dette azioni non “trascini” l’organismo verso atteggiamenti più “chiusi“ e meno attivi.Il rapporto di flesso-estensione è uno scambio statico/dinamico tra strutture appartenenti alle stesse catene cinetiche che, attraversando le differenti composizioni delle catene cinetiche stesse, mantiene l’ampiezza articolare esaltando la funzionalità del movimento, mantenendo inalterata la stabilità delle funzioni utilizzate.

PRIMA PARTE

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Il diabete mellito può essere definito come un gruppo di malattie con disordine metabolico ad eziologia multipla caratterizzato da una ipergli-cemia cronica con alterazione del metabolismo, oltre che dei carboidrati, anche dei lipidi e delle proteine, conseguentemente a un deficit della se-crezione o dell’azione dell’insulina o entrambe (cfr. linee guida dell’European Society of Cardiology e European Association for the Study of Diabetes, 2007). Il diabete mellito è una malattia di grande rilievo sociale ed esercita un notevole impatto sul-la salute pubblica per l’entità della sua diffusione e la gravità delle sue complicanze. Nel 2000 è stato stimato che 171 milioni di persone erano affette da diabete, numero che si prevede aumenterà a c.ca 366 milioni nel 2030 (Wild, 2004).Fondamentali per il buon trattamento terapeutico del diabete, oltre ai farmaci previsti, sono la dieta e l’esercizio fisico. In particolare, l’esercizio fisico è considerato da decenni un importante compo-nente per la gestione del diabete (Joslin et al., 1959), poiché la partecipazione regolare a pro-grammi di esercizio fisico può migliorare il control-lo glicemico e ridurre la mortalità cardiovascolare (Boule et al. 2001; Gregg et al., 2003), oltre che migliorare la forza e l’equilibrio negli arti inferiori, riducendo notevolmente il rischio di caduta negli anziani (Moreland et al., 2003). Ma l’esercizio fisi-co, oltre che svolgere un ruolo fondamentale nella

prevenzione terziaria del diabete, svolge un ruo-lo chiave soprattutto nella prevenzione primaria in particolar modo per il diabete di tipo 2, molto spesso conseguenza di uno stile di vita sedentario e di abitudini alimentari poco sane. Una delle complicanze del diabete è la neuropa-tia anche motoria. Purtuttavia, uno dei parametri fondamentali alla base della contrazione muscola-re, la velocità di conduzione delle fibre muscolari (MFCV), non è stata adeguatamente investiga-ta nei soggetti diabetici. MFCV, conosciuto an-che come velocità di propagazione del potenziale d’azione delle fibre muscolari, è la velocità con la quale il potenziale d’azione si muove attraverso la fibra muscolare. In condizioni fisiologiche, la velo-cità di propagazione del potenziale d’azione va dai 3 m/s a 5 m/s.Cosi come nelle fibre nervose, anche in quelle mu-scolari sembra che la velocità di conduzione di-penda soprattutto dal diametro della fibra (Klein-penning et al., 1990; Waxman, 1980), ed è stato dimostrato che esiste una correlazione lineare tra il diametro e la MFCV (Blijham et al., 2006). Tuttavia, la MFCV fornisce indicazioni sulla pro-prietà contrattile della fibra (Andreassen et al., 1987), sulla fatica muscolare (Merletti et al.., 1990), sulla proporzione del tipo di fibre (Sadoya-ma et al., 1988) e inoltre può essere indicativo di condizioni patologiche.

MARCO INFUSINOlaureato in Scienze Motorie e Sportive, è tecnico AMPA e lavora come libero professionista nell’ambito dell’Educazione e Rieducazione Motoria. Collabora in qualità di trainer con la FiM Europe (European Motorcycle Union) per la selezione di giovani piloti per il Campionato Europeo Honda MX 150. Sta completando il Master di II Livello in Diritto Economia ed Etica dello [email protected]

sercizio fi sico e diabete.Studio della funzione neuromuscolare.

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Marco Infusino, Eugenio Maria Pistone

EUGENIO MARIA PISTONELaureato in Scienze Motorie e Sportive, svolge la sua attività di libero professionista nell’ambito dell’Educazione e Rieducazione Motoria. Dopo aver conseguito la laurea Magistrale in Scienze e Tecnica delle Attività Motorie Preventive e Adattate, sta completando il Master di II Livello in Diritto Economia ed Etica dello Sport.

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Nel numero precedente di S&C abbiamo descritto gli strumenti utilizzabili per effettuare una valu-tazione delle abilità individuali. In questa seconda parte, correleremo i risultati della valutazione ai relativi programmi di allenamento ed esporremo brevemente le tecniche e gli esercizi utilizzati.

Livello IIniziano l’attività da questo livello gli utenti che, al termine della valutazione funzionale, hanno ot-tenuto un punteggio da 3 a 99. Preme sottoline-are che anche individui inquadrati con lo stesso punteggio non presenteranno necessariamen-te programmi di lavoro identici. Basandosi sulla fondamentale regola dell’individualità, è probabile che non tutti gli obiettivi dell’elenco saranno da perseguire; andranno sviluppati solo quelli corri-spondenti alle necessità di quella persona in quello specifico momento.

Obiettivi• Incremento della Percezione Corporea.• Apprendimento delle tecniche di respirazione.• Apprendimento dei corretti schemi di coordina-

zione neuromotoria. • Percezione e interpretazione dell’intensità del-

la fatica.• Adattamento all’ambiente.• Addestramento all’uso delle attrezzature,

compresi i passaggi posturali.• Recupero/stabilizzazione delle corrette escur-

sioni (ROM) sia delle articolazioni che delle catene di coordinazione neuromuscolare fisio-logica.

• Controllo posturale sia in statica che in dina-mica.

• Miglioramento dell’esecuzione dei passaggi po-sturali “atipici”.

• Sviluppo del controllo del tronco, in statica e in dinamica.

• Incremento della forza resistente e massimale.• Aumento della capacità aerobica.• Motivazione all’adesione e alla prosecuzione

dell’attività.

Livello IIA questo livello accedono gli utenti che, al termi-ne della valutazione funzionale, hanno ottenuto un punteggio compreso tra 100 e 138. È evidente che i soggetti inseriti in questo protocollo devono

presentare capacità superiori a quelle degli utenti inseriti al Livello I, anche dal punto di vista psico-logico e di integrazione sociale. Le esercitazioni proposte richiedono, infatti, la sicurezza perso-nale sufficiente ad accettare anche la difficoltà e/o la non capacità ad eseguirne alcune. Risulta necessario ribadire che anche individui inquadrati con lo stesso punteggio non presenteranno ne-cessariamente programmi di lavoro identici. An-che in questo protocollo è probabile che non tutti gli obiettivi dell’elenco saranno da perseguire; an-cora una volta andranno sviluppati solo quelli cor-rispondenti alle necessità individuali.

Obiettivi• Incremento della Percezione Corporea.• Apprendimento delle tecniche di respirazione.• Apprendimento dei corretti schemi di coordina-

zione neuromotoria. • Percezione e interpretazione dell’intensità del-

la fatica.• Adattamento all’ambiente.• Recupero/stabilizzazione delle corrette escur-

sioni (ROM) sia delle articolazioni che • delle catene di coordinazione neuromusco-

lare fisiologica.• Incremento dell’equilibrio e del controllo dei ti-

ming attivatori in esercizio.• Incremento della forza: resistente, veloce e

massimale.• Aumento della capacità aerobica.

METODOLOGIA

Prima di accedere all’attività in ambiente fitness il soggetto deve essere stato valutato dal medico specialista e preferibilmente avere svolto un ci-clo riabilitativo in ambiente protetto. Deve inoltre possedere l’autonomia di base nella gestione della carrozzina e dei passaggi posturali primari.L’obiettivo prefissato ha portato ad utilizzare ini-zialmente esercizi a carico naturale finalizzati a migliorare le capacità funzionali al gesto e la per-cezione corporea.Durante l’esecuzione degli esercizi viene costan-temente sottolineato il ruolo della corretta di-namica respiratoria, sia come componente inte-grante la pratica che come arma di prevenzione di alcune patologie secondarie.

FILIPPO LAURIDottore Magistrale in Scienze Motorie.Istruttore FIPE.

Luca Marin, Matteo Vandoni, Massimiliano Febbi, Sara Ottobrini

LUCA MARINDottore inFisioterapia.Docente presso ilCorso di Laurea inScienze Motoriedell’Università degliStudi di Pavia.Docente e Tecnicodella FederazioneItaliana Pesistica.

bili si diventaAL’attività fi sica secondo il modello biopsicosociale

MATTEO VANDONIRicercatore presso ilDipartimento diSanità Pubblica,MedicinaSperimentale eForense (Universitàdi Pavia).

SECONDA PARTE

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Gli esercizi con resistenze vengono in genere ese-guiti allo scopo di aumentare la forza, la massa muscolare o entrambi (20). Oltre ai miglioramenti nella forza e massa muscolare, gli esercizi con re-sistenze portano anche a cambiamenti favorevoli nelle aree della composizione corporea, resisten-za muscolare, densità ossea, fattori di rischio cardiaco, benessere psicosociale e metabolismo (4, 7, 20, 35-37, 39). Nel loro esauriente arti-colo, Strasser e Schobersberger hanno concluso che gli esercizi con resistenze danno luogo a cam-biamenti favorevoli nella composizione corporea (diminuzione della massa grassa ed aumento della massa magra [LBM]), possono aiutare a “conser-vare una ridotta massa grassa in pazienti obesi dopo l’allenamento o la limitazione dell’apporto energetico “e sono efficaci nel ridurre l’obesità addominale (35)”. Modalità comuni di esercizi con resistenze includono l’uso di bilancieri, manubri, elastici, macchine di allenamento della forza e vari esercizi a corpo libero. Raccomandazioni di sanità pubblica sull’attività fisica e sulla salute incorag-giano l’inclusione di una regolare attività di svilup-po della forza (7,16,19,21,33).Nonostante i significativi benefici sia sulla salute sia funzionali forniti dagli esercizi con resisten-ze, questi ultimi non possono costituire l’unica efficace strategia per ridurre l’eccesso di peso corporeo. Per di più, la combinazione di eserci-

zi con resistenze con una dieta ipocalorica non fornisce ulteriori benefici in perdita di peso oltre quello visto con la sola dieta (10). Questo non do-vrebbe in alcun modo scoraggiare l’uso di esercizi con resistenze come parte di un piano di gestione del peso, piuttosto che della perdita di peso. An-che se l’inserimento di tali esercizi potrebbe non migliorare la perdita di peso a breve termine, può comportare cambiamenti salutari nella composi-zione corporea (diminuzione della massa grassa e aumento della LBM) e può svolgere un ruolo im-portante nel successo della gestione del peso a lungo termine.Un notevole studio di Kirk et al. (25) ha illustrato il potenziale valore della gestione del peso di brevi ma intense sessioni di esercizi con resistenze. In questo studio di 6 mesi, giovani adulti in sovrap-peso sono stati impegnati in 3 sessioni di esercizi a settimana, effettuando una serie di 9 esercizi diversi con carichi equivalenti al 85-90% di 1 RM. Il pesante carico ha limitato il numero di ripetizioni effettuate a 3-6 per ogni esercizio. La quantità media di tempo necessario per completare ogni sessione di allenamento è stata di circa 11 minu-ti. Nel gruppo impegnato nell’allenamento con re-sistenze, la forza della parte superiore del corpo e di quella inferiore è aumentata di circa il 50% e la massa magra (FFM) è aumentata del 2,7%.I soggetti allenati alla resistenza hanno sperimen-tato un significativo aumento sia del tasso me-tabolico a riposo (RMR) che del tasso metabolico durante il sonno (SMR) rispetto a soggetti di con-trollo. Inoltre, c’è stato un incoraggiante aumen-

DAVID O SWORDCollege of Health Professions and Weight Management Center, Università di Medicina del South Carolina, Charleston,South Carolina.

esercizio fi sico come strategia di gestione del sovrappeso e dell’obesità: dove è adatto l’esercizio con resistenze da vincere?

L’David O SwordPT, DPT, CSCS

PAROLE CHIAVEobesità ; controllo del peso; esercizio aerobico; esercizio di resistenza; eccessivo consumo di ossigeno post-esercizio

ORIG: EXERCISE AS A MANAGEMENT STRATEGY FOR THE OVERWEIGHT AND OBESE: WHERE DOES RESISTANCE

EXERCISE FIT IN?, SCJ, VOL.34, N°5, OCTOBER 2012, 47-55PUBBLICA

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Esercizi con resistenze da vincere per la gestione del peso

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Pasquale Bellotti & Davide Tessaro,ma qui soprattutto il secondo S&C, cioè queste pagine, rappresentano – tutti coloro che la realizzano ne sono convinti, anche il sottoscritto – una maniera di stabilire un dialogo con i lettori, gli esperti e i veri addetti ai lavori del movimento. Può capitare, di questo vi parlo, che un dialogo si instauri sul dialogo e che si pos-sa, con naturalezza, passare alla comunicazione diretta. Dalle comunicazioni dirette assai spesso si impara. Almeno, a me capita così: di impara-re da chi mi raggiunge con un messaggio. Il 3 lu-glio mi scrive da Aosta Davide Tessaro (“sono un preparatore atletico … dopo anni di “calcio a 5” ora mi occupo di preparazione atletica di tiro con l’arco olimpico - settore giovanile in una società sportiva …, senza togliere mai lo sguardo dagli sport estremi in quota che mi hanno dato tante soddisfazioni”), per manifestare il suo gradimento per la rivista, nella quale egli si ritrova, segnalan-do la sua particolare esperienza di allenatore ed il suo punto di vista (“io sono fermamente convin-to che… solo noi allenatori, tecnici, preparatori possiamo dare gli input giusti per far emergere il talento [quale che sia, NdR] dei nostri ragazzi; certo questo implica una grande responsabilità, conoscenza, … il sapere di essere i fautori delle vittorie e delle sconfitte altrui, … la presa di co-scienza che determinerà il futuro dei ragazzi. Ma che soddisfazione quando arriva da te un ragazzo sul quale neanche i genitori scommettono e dopo tre anni che lavori con lui lo vedi gareggiare con fierezza, entusiasmo, gioia a testa alta” [quale che sia il valore, NdR]). Il 4 luglio rispondevo a Davide (ci siamo dati subi-to del tu), ringraziandolo e mettendo in evidenza “la sintonia, la simpatia, il sentire comune ed il comune soffrire, nel nostro caso per i tanti mali che affliggono il sistema movimento/sport nel no-stro Paese, ma in fondo in tutto il mondo. Quando l’uomo è in crisi, sono sempre in crisi le visioni dell’uomo che si muove e di quello che compete”. Gli chiedevo anche di poter parlare di lui breve-mente (per ragioni di spazio) nella rivista, come uno degli esempi tra tanti, di “persone esperte” su cui la Nazione può contare, in un ambito così rilevante come quello del movimento che serve non allo sport, o non solo allo sport, ma a tutta la vita.Il 4 ottobre, Davide ancora mi scrive (ha letto l’ul-timo numero della rivista e si è identificato nelle Ri-flessioni di quel numero: “ho letto “RIFLESSIONI”. Non devi scrivere di me sul tuo prossimo articolo – così dice – perché lo hai già fatto in questo. Paz-zesco, mi hai riconosciuto e scoperto, hai scrit-to esattamente il mio essere in questo momento storico della mia vita. Chiamala sincronicità, chia-malo intuito, chiamala esperienza di vita, chiama-la come vuoi, io lo chiamo semplicemente Davide. Mi sono visto al lume di lanterna a studiare, a sti-

PASQUALEBELLOTTI([email protected];[email protected]), medico, esperto dimovimento e diallenamento,insegnaattualmente Etica e Bioetica dello Sport a Torino, nella SUISM.Molti libri e moltiarticoli al suo attivo.È anche Presidentede L’Amàca Onlus,associazione connumerosi progetti di assistenza e disupporto in Africa(ed in Italia):www.amacaonlus.org.

RIFLESSIONI

Pasquale Bellotti

La Professione

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Da sempre il corpo rappresenta un campo privile-giato di indagine, autoriflessione ed analisi. Attra-verso l’accettazione del proprio corpo si svilup-pano infatti, in particolare durante la fase adole-scenziale, l’autoconoscenza e l’autoaccettazione, determinanti per una piena e positiva maturità. Intorno al corpo si concentrano credenze, pre-giudizi, falsi miti, che storicamente sono stati responsabili dell’atteggiamento culturale di po-poli ed epoche. Il corpo possiede caratteristi-che peculiari che lo rendono facilmente oggetto di considerazioni, critiche e influenze culturali: in primo luogo, esso è il nostro biglietto da visita nel contatto con il mondo, facilmente visibile e pri-ma parte di noi ad essere conosciuta dagli altri; in secondo luogo, esso si modifica visibilmente e costantemente durante la nostra vita, rendendo pubbliche quelle fasi di cambiamento estreme che ci conducono dalla nascita, all’infanzia, all’adole-scenza, fino all’età adulta e alla vecchiaia.La superficiale familiarità che ognuno di noi ha col proprio e altrui corpo fa sì che risulti perfetta-mente naturale, soprattutto nella nostra cultura, avere da un lato un modello di riferimento “ideale” di bellezza caratterizzato da canoni rigidi e immo-

dificabili, che prescindono dal naturale processo biologico-fisiologico di “trasformazione”, dall’altro la convinzione di poter controllare, modificare, cancellare e ricostruire ciò che del corpo non ci piace, in ogni momento e in ogni situazione.L’appartenenza alla cultura occidentale determina di per sè l’adozione spesso inconsapevole ed acri-tica dei modelli proposti attraverso la capillare diffusione di simboli di bellezza ideale, associati ad appetitosi richiami quali ricchezza, potere, felici-tà, benessere, appartenenza ad una speciale élite e via discorrendo.La comunicazione di massa si è da tempo impa-dronita dei temi riguardanti immagine corporea e bellezza, contribuendo a creare e diffondere gli stereotipi ben noti su corpo e immagine. La cul-tura mediatica facilita e sveltisce la diffusione di messaggi ambivalenti, nonché antinomici, intorno ai temi del benessere, della salute e dell’aspetto fisico ideale. I mass media diffondono, come ideale di perfezio-ne, un’immagine corporea magra ed essenziale per la donna, tonica e asciutta per l’uomo, ca-ratterizzando, d’altro canto, una reale “lotta al grasso” che progressivamente sfocia, in modo incalzante ed incessante, in un vero e proprio fe-nomeno di stigmatizzazione. Quanto sia forte il dominio, la dittatura del corpo, come risulta oggi immaginato, è confermato dalla tendenza a raffigurare immagini femminili, spes-so modelle, con visi completamente inespressivi, senza sorrisi e con sguardi smarriti, a sottoline-are che l’attenzione è tutta sul corpo, su quel corpo magrissimo, a rafforzare l’orientamento che “magro è bello”. Ma tutto questo a discapito del piacere di “sentire il corpo”.Negli ultimi decenni, è andata affermandosi la magrezza femminile come ideale sia estetico che

inganno dellaperfezione corporea

L’

Francesco Riccardo

FRANCESCO RICCARDOè laureato in Psicologia dinamica e clinica dell’infanzia, adolescenza e famiglia; è Psicologo delle squadre nazionali di pesistica e docente presso i corsi di formazione per Personal Trainer della FIPE. È Personal Trainer 1° livello FIPE, Maestro di Karate e cintura nera 5° Dan FIJLKAM.

L’unico bene, la condizione fondamentale per una vita

felice, è la �iducia in se stessi. . . nè può renderti felice la

bellezza o la forza del corpo: nessuno di quei beni resiste al

passare del tempo.

Lucio Anneo Seneca

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“La perfezione dell’uomo consiste

proprio nello scoprire le

proprie imperfezioni”.

Sant’Agostino

GUIDO MARTINELLIavvocato,consulente dellaFIPE, professoreaggregato dilegislazionesportiva pressol’Università deglistudi di Ferrara,docente nazionaledella ScuolaCentrale dellosport del CONI, è autore di diversepubblicazioni inmateria di dirittosportivo.

Guido Martinelli

a Fipe, la professionalità e i chinesiologi

LCredo si debba dare merito alla Fipe, fra l’altro, di avere sempre scelto la strada della chiarez-za sotto il profilo dell’inquadramento giuridi-co-amministrativo delle attività sportive dalla stessa amministrate. Di non essersi, pertanto, nascosta con la foglia di fico del dilettantismo sportivo.

Come ho già avuto modo di scrivere su questa rivista, dilettantismo significa “anche” attività svolte per diletto, per hobby, da persone che han-no attività lavorative diverse dallo sport, ma “an-che” attività svolta “professionalmente” da sog-getti che, per cultura e attitudini, vedono questa strada come “lavoro” principale, anche se a volte non esclusivo.In questa direzione, dobbiamo evidenziare due im-portanti novità, l’una esterna al mondo federale e l’altra interna. Partiamo dalla prima. Da tem-po dichiaravo che l’inerzia del legislatore nel farsi carico di una soluzione legislativa alla tematica dell’assoggettamento a contribuzione previden-ziale dei compensi corrisposti agli istruttori di associazioni e società sportive dilettantistiche avrebbe lasciato il campo a soluzioni giurispruden-ziali che, come si sa, hanno la pretesa del “pren-dere o lasciare”.Dopo una lunga giurisprudenza ondivaga e poco convincente, nelle decisioni sia favorevoli all’as-soggettamento a contribuzione che contrarie,

sono state pubblicate recentemente 4 sentenze di merito che brillano per la chiarezza della moti-vazione e per l’autorità dei Giudicanti e che, per-tanto, ci consentono di fare nuovamente chiarez-za sul punto partendo anche dal presupposto di una Giurisprudenza che si sta consolidando.La prima di queste è stata pubblicata il sei giugno scorso ed emessa dalla sezione lavoro del Tribu-nale di Firenze (sent. n. 671/2013). Il Giudicante fiorentino, dopo aver determinato che sarebbe spettato alla associazione sportiva dimostrare che non era tenuta al versamento dei contributi previdenziali sui compensi erogati agli istruttori, ritenendo che detta prova non era stata data e che, invece, “tutti i 55 collaboratori oggetto della residua pretesa contributiva appaiono aver svolto la loro attività con carattere di continuità e ripetitivi-tà (risultano aver lavorato per almeno tre annualità con cadenza periodica) percependo compensi di natura sicuramente non marginale rispetto al red-dito medio”, concludeva escludendo l’applicabilità dell’art. 67 primo comma lett. m e conseguente-mente la non debenza di contributi previdenziali.A ruota seguiva il Tribunale di Roma (sent. n. 9284/2013) il successivo 11 luglio c.a. Questi, in fattispecie analoga, dopo aver affermato che per l’applicabilità delle agevolazioni sui compensi de-gli istruttori debbono sussistere due condizioni: “le prestazioni remunerate devono avere carattere non professionale e devono essere rese nell’eser-

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