Pagine da Poggi_Altra metà del vero

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Maria Giulia Poggi L’altra metà del vero

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Maria Giulia Poggi

L’altra metà del vero

“[…] un testo vuole lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa, anchese di solito desidera essere interpretato con un margine sufficiente di uni-vocità. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare”

u. eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani 1979, p. 52

“Non ho mai avuto bisogno di cercarmi una musa. La musa, di soli-to, è una cretinata narcisistica in forma di donna. O almeno questo èciò che rivela la maggior parte della poesia maschile. Io preferirei unaversione democratica della musa, un sodale, un amico, un compagno diviaggio al mio fianco, qualcuno con cui condividere le spese di questotragitto lungo e doloroso. Così la musa agirebbe come un collaboratore,o talvolta cone un antagonista, colui che è come te e colui che è controdi te. Sono troppo idealista?Per me la musa è l’altra voce. Attraverso tutti gli schiamazzi che unoscrittore è costretto a sopportare c’è sempre una risoluzione ultima indue voci sole: il grido appassionato, carico della forza disperata del pro-prio idealismo, vale a dire la voce del fuoco e dell’aria; e l’altra voce.Parlo della voce che si esprime con la mano sinistra… terra, acqua,realismo, buon senso, praticità. Così che vi sono sempre due voci, quel-la sicura e quella pericolosa. Quella che corre i rischi e quella che necalcola il costo; il credente che parla all’ateo, il cinismo che si rivolgeall’amore. Ma lo scrittore e la sua musa dovrebbero potersi scambiarei ruoli, riuscire a parlare con entrambe le voci in modo che il testo scor-ra, si fonda, passi di mano. Le voci non hanno padrone, sono indiffer-enti a chi parla. Sono la fonte della scrittura. E sì, certo, naturalmentela musa è il lettore”.

P. duncker, Demoni e muse, trad. di I. Zani, Vicenza, neri Pozza 2005, pp. 83-84

All’unico lettore,musa delicata e generosa,voce coltivata nei silenzi.

dIetro Le Porte deL Mondo

AsPetto soLo che fAccIA MAttIno

Doveva avere una paura infantile delle parole, perché ne conosceva apieno la potenza. Si aveva la sensazione precisa che il suo silenzioavesse a che fare con una forma di precauzione, quasi che non volessetoccare con le proprie parole la vita degli altri per paura di sortirne uneffetto inaspettato, terribile.

Voce narrante del film Sotto falso nomedi roberto Andò, 2004

così aveva cominciato a scrivere, per dare ai pen-sieri una voce silenziosa. Lettere dapprima, poi breviracconti. delle lettere s’era innamorato dopo cheaveva scoperto il carteggio fra Maggie e fidele nelGiornale di un pazzo di nicolaj Gogol. era passato airacconti quando calvino l’aveva stregato con l’epicaquotidiana di Marcovaldo. nella scrittura la vita pote-va essere trasfigurata, non potevano fare male quellemacchie d’inchiostro sotto chiave. nessuno poteva leg-gerle: quelle parole non avevano suono, nonappartenevano che a lui, che solo poteva disporne. ungrande segreto, il tempo dei suoi pomeriggi d’estatecustodito in un cassetto, lontano dalle voci urlanti deiragazzi del vicolo, dagli schianti del pallone sul murolaterale della casa.

“chi schiva gli spassi1 non è normale, signora cara.faccia uscire quel suo figliolo di casa o si ridurrà verdecinapro. Lo faccia giocare a pallone, gli comperi una

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bicicletta: l’ho visto salire sulla quella Bianchi dadonna, sarà certo la sua. dia retta: non fa per lui. sisente deriso, si scoraggia e si chiude in casa. non vorràfarne una femminuccia, dunque! Lo tratti da uomo, loaffidi allo zio, lo spedisca in collegio, veda lei, ma loscuota, perdio!” La sensibile certezza pedagogica delsignor Albrigi. se avesse potuto sapere quanta vitanino gli aveva rubato osservandolo dall’alto dellafinestra che dava sul cortile posteriore, mentre sputavasentenze su tutti i figli del vicinato…In quel consigliodal sapore di verità inconfutabile, urlato a sua madresenza alcuna delicatezza, s’era perso per giorni, più omeno così.

Gli spassi. chi può dire cosa sia uno spasso?racconto: “Il mio spasso”. e che racconto qui?Questo titolo va bene per un tema delle vacanzedi un’insegnante con poca fantasia, sorpresa stan-ca, quanto gli studenti, dai caldi inclementi dilunghe giornate accecanti ai primi di giugno. Poichi potrebbe credere che il mio spasso è starmeneda solo, rintanato qui, tapparella abbassata, a cer-care nei meandri della mia memoria i colori distorie mai vissute o di vite falsificate? dovrei anco-ra rubare, di nuovo mentire, credere in uno sporto in un passatempo comune. Ma la mia bravuradeve essere proprio questo: riuscire ad entrare neidettagli di ciò che non mi piace e che non fareimio fuori da questa stanza, anzi, al solo distaccoda questa penna… Allora il mio spasso potràessere il calcio, o la musica hip hop. Potrò confon-dermi col pensiero forte, potrò discutere,

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arringare, pontificare. e ancora una volta nascon-dermi. Ipercolissi, ecco, questa la parola. Il miospasso? La menzogna, quella che nessunoriconosce o ha interesse a stanare. Normale. normale, normale, normale. M’è venutala curiosità di capire da dove viene il senso dellanormalità. Normal, normalité, normalizer, confor-mare ad una certa norma. certa norma. di chi?Accettata da chi? Può esserci una norma partico-lare (cioè di uno) se esiste la norma generale? Lamia norma è: ‘non m’alzo da qui finché non hoscritto tutto un racconto su un essere anormale.Anche Alfieri si legava alla sedia finché non avevafinito ciò che s’era proposto… non normale: stra-ordinario. I normali gradiscono gli spassi. se sonotriste, o misantropo, o d’umore nero non sononormale? Altro racconto: “Agonia d’un uomonormale”. Parlerà de ….Verde cinapro. ne avrà saputo qualcosa l’Albrigi delMantegna? o del caravaggio? di come stende-vano un velo di cinapro per poi dare luminosità alsecondo velo dell’incarnato? cinapro, cinabro:curioso come una labiale può far cambiare col-ore… sarebbe divertente prendere in giro qual-cuno e scrivere un saggio (stavolta niente raccon-ti, voglio far come quelli del Modigliani col Black& decker): “L’incarnato della pittura antropo-morfica dalla p alla b” . due lettere grasse. forsesolo chi ha letto Landolfi e la sua storia di MariaGiuseppa2 si farebbe quattro risate.Il pallone. son bravo a giocare al pallone, ma non

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mi va. si può essere campioni per forza? Mi piac-erebbe scrivere “L’anticampione”, la storia di unragazzo dal talento innato per il calcio che non hamai staccato le scarpe dal chiodo, che ha studiatomusica e composizione per tutta la vita e che haorchestrato a meraviglia opere immortali di musi-ca classica. La bicicletta. M’ha colpito Jack frusciante in sellaalla sua bici, che si lanciava in discesa giù da viaMurri e rasentava tutte le colonne dei portici divia castiglione. Mi piace andare in giro con laBianchi della mamma. non m’importa nulla dichi ride vedendomi su una bici da donna. Midiverto coi freni a bacchetta perché mi rimanenell’orecchio quel suono sordo caratteristico… efreno anche senza averne necessità. e quandofreno ho la netta sensazione che in ogni occasionemi piaccia provare piacere con quanto non è nec-essario, come quella volta che ho comperato unpaio di scarpe viola solo per il gusto di averle,senza poterle mai indossare. Allora ho scritto “Ilcolore viola” . che delusione scoprire lo scippo disteven spielberg che ne ha fatto il titolo di unfilm! Allora non sono l’unico che ruba…Il collegio. temo che questo sarà il mio futuro enon ne scrivo nulla. Anzi, cancello l’idea del rac-conto che m’era saltato in mente per la traspo-sizione al maschile del collegio in cui fu cresciutaJane eyre. non sono ancora pronto per esorciz-zare in anticipo le mie paure. e non posso rubareanche a emily Bronte…”

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Quand’era tornato ad avvolgere la tapparella, adaprire la finestra per respirare nuove urla, era già set-tembre. Ora incomincian le dolenti note a farmisi sentire3: lasveglia del mattino di sua madre che non sapeva dicitare dante, ma conosceva benissimo l’inferno dellascuola frequentata da nino.

Per iniziare un’altra vita c’è un prezzo da pagare4. Il prezzo, a scuola, era il silenzio, ascoltare in silen-

zio la prosopopea degli insegnanti, come le banali allu-sioni dei compagni alle curve delle ragazze, sempre piùinvadenti, insieme a quelle risate ammiccanti e fas-tidiose di gruppetti di jeans a vita bassa e magliettestrizzanti. se avesse avuto una minima abilità, avrebbepotuto disegnare a brevi tratti scene di adolescenzasquallida, ma non se la sentiva di fare altrettanto conla parola: avrebbe trovato giustificazioni a comporta-menti scontati, avrebbe scavato e sarebbe risalito ascelte consapevoli e ponderate. non voleva perché nonsi arrendeva all’esistenza della stupidità, al suo dila-gante predominio. non credeva all’ovvio, alla storia damanuale dell’adolescenza insipida e irrazionale, diquella che s’ubriaca di sms perché incapace di comu-nicare. un mito ridicolo, che avrebbe dato il nome adun’epoca: medievale, moderna, contemporanea, teleco-municativa. Lui che si sentiva preistorico, ancestrale,animale terricolo e sanguigno, però con la testa fra lenuvole, antitelecomunicativo, non pensava affatto chegli altri si sentissero soli, che volessero colmare i vuoticon ossessioni di beep, ma che fossero quel suono insis-tente e continuo, un respiro tecnologico in corpi -escrescenze di dita rapide. Quando li guardava seduti

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sui loro scooter aerodinamici, ciascuno intento a fis-sare uno schermo minuscolo denso di abbreviazioniche straziano forma e senso alle parole, pensava acome era stata diversa la solitudine dei suoi pomeriggibambini

Da bambino mi piaceva sostare sotto gli alberi, mi piacevasparire e riapparire nei varchi di luce lasciati dalla nebbia. Atredici anni sotto uno di quegli alberi inventai e disegnai unastoria, poi la dimenticai. Quando è riaffiorata, dopo qualchetempo pensai di scriverla. Credo sia cominciato così il miogioco a nascondere, il gioco di un bambino che non sa cosateme o desidera di più, se restare nascosto o venire scoperto5.

Anche con gli insegnanti sapeva nascondersi, nelsilenzio, ma gli riusciva bene anche il camuffamentodietro le parole. e lo premeditava. Li sfidava ad accorg-ersi della diversità che proponeva con lucida ironia findalla prima ora. Percorreva il tragitto da casa a scuolain bicicletta, quella da donna s’intende, per megliointerpretare il primo straniamento, e pianificava il per-sonaggio del giorno nei dettagli. riusciva persino amodificare la sua fisionomia, ravvicinando gli occhi conil corrugare la fronte, distorceva il sorriso stringendo ostirando le labbra. tormentava il ciuffo sulla frontefinché non strideva a dovere con la fisionomia raggiun-ta. Poi studiava una storia familiare, gusti, gesti edesideri d’un tipo comune e le piccole sbavature che laverosimiglianza porta con sé. cercava d’apparireimperfetto, ora nella camminata claudicante appenaosservabile, ora nella pronuncia di una r dispettosapoco poco camuffata. In quella unicità non gridataappariva così uno come tutti, in fondo, però, ogni

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giorno un diverso tutto. simulando timidezza, sapevaarrossire a tempo debito, ma anche apparire sfrontatoe arrogante, capace di grandi offese in tono pacato,come offrisse col sorriso bicchieri di veleno. talvoltaportava i personaggi delle sue letture preferite fuoridalla pagina e li riproduceva fedelmente, interpretandoil colore della voce come gli era suonata di dentro.Godeva intimamente ma non poteva manifestare ilriso, neppure con l’increspatura della bocca. non unaccenno, una flessione, un cedimento. I compagni ave-vano rinunciato a capirlo, attendevano solo il suonodella campana, la sella del bolide aerodinamico, i beep.Gli insegnanti, invece, loro no, l’avevano capito (ah!l’esperienza…): erano capaci di confondere anche suamadre, che ritornava dai colloqui generali con la nettasensazione che ancora, dopo anni in quella scuola,l’avessero scambiata per la madre di qualcun altro. enon teneva in alcun conto i loro giudizi, mai concordi,mai rispondenti alla sua idea di nino. Quella sola, lasua, valeva: occhio di madre non falla. Ma i suoi occhineri, non più brillanti e vividi come un tempo, nonincontravano da molto quelli del figlio, mentre affidavaall’udito le impressioni sulla sua crescita, porgendoorecchio anche al buon senso dell’Albrigi. si parlavanoda una stanza all’altra lei e nino e quando anche nongli prestava attenzione, le bastava sentire una neniaininterrotta, una sequela di parole a riempire il silenzio.Ma in altre stanze, affatto silenziose, tra il frastuono divoci, sedie, banchi, porte sbattute, in una stagione rigi-da, di nuovo nebbiosa, un’inedita attenzione.

“ha capito, Mila ha capito. Quegli occhi chiari

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parlano una lingua muta, come la mia. Le sue lab-bra non si schiudono, perché articolerebberosuoni deformi e sgraziati, in fondo è appenaarrivata in Italia e l’hanno sbattuta tra i banchi discuola a scontare la pena d’essere piombata quicon un bagaglio di stracci senza parole. Lei, checerca di carpire dalle intonazioni e dalle immagi-ni ciò che non può cogliere dal linguaggio, è cosìattenta… ha saputo fare due più due perché solom’ha osservato parlare…

I nostri piccoli eventi privati attendono sempre un testimone,qualcuno che sa e che tramanderà agli altri. è faticosomuoversi nell’ombra, è come spiare senza essere visti. Laclandestinità e il segreto esigono una memoria infallibile, maspesso le motivazioni di un segreto non nascondono nulla diriprovevole e il segreto è semplicemente la nostra melodia,quella che ci incanta e che ci fa stupefatti testimoni della vitaaltrui. Non avrei mai iniziato a scrivere senza un segreto.Raccontare è semplicemente questo: è un patto, un incantesi-mo, il filo invisibile che ci lega al ricordo, al fatto che glieventi e le persone ritornino come ombre. Il giorno in cuilasceremo l’incantesimo e avremo finalmente voglia di raccon-tare la verità, quel giorno noi stessi saremo già un ricordo, oun’ombra6.

non le racconterò la verità. Attendo che sia lei arivelarmela e so che non lo farà con le parole.sarà mattino allora, un giorno di mani, una melo-dia di sguardi, una sinfonia di gridati silenzi. Ilnostro patto, la mia attesa”.

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A nino

Per raccontare il tuo segreto ho usato senza ritegno la tuavita, anche la storia di tua madre, il fantasma che nutre ituoi silenzi, le tue nevrosi.Non so quanto questo sia perdonabile7

Mila

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