La Scuola degli Dei - La legge dell'antagonista - La vittima è sempre colpevole
P O E S I E - filippoviola.orglibero o schiavo, colpevole o innocente, ricco, povero o nulla...
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Salvatore Giordano
P O E S I E In lingua e in dialetto siciliano
Web Edit
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SALVATORE GIORDANO, autore delle poesie qui raccolte, è
nato in Sicilia, a Pietraperzia (EN), dove è vissuto fino all’età
di vent’anni circa. Si è poi trasferito a Torino, città in cui vive,
ora in pensione, dove ha esercitato la professione di maestro
e successivamente quella di Dirigente Scolastico.
Nota dell’Autore
Pochi anni della mia vita ho vissuto a Pietraperzia, rispetto a
quelli ormai passati fuori dal mio paese, da quando lo lasciai
per Torino. Ma, nonostante il radicamento nei costumi e nelle
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consuetudini della nuova realtà, gli impegni privati e pubblici,
le nuove amicizie, gli anni trascorsi nella terra natale restano
quelli fondativi di quello che sento di essere. Dalla nascita ai
dodici anni, anni fondamentali, degli affetti e delle premure
familiari, dei giochi, della strada, degli amici d’infanzia, della
scuola; e quelli, importantissimi e non meno fondamentali dei
primi, dai sedici al trasferimento, meno di un decennio, gli anni
intensi delle amicizie più mature e profonde, dei ragionamenti
seri, delle riflessioni che hanno indirizzato gli orientamenti e
le scelte. Quegli anni, quei luoghi, quelle esperienze, quelle
persone, anche se sono venute a mancare le occasioni di più
frequenti contatti e comunicazioni, restano i punti fermi di
riferimento della mia esistenza: basta un momento di
riflessione su me stesso per constatare come immediatamente
affiorino i caratteri e i segni della mia identità e della mia
reale appartenenza.
Questi sentimenti ho voluto manifestare nella Littra a lu me
paijsi ed esprimere nella lingua dei nostri avi. Desidero
dedicarla a tutti i pietrini che hanno dovuto lasciare il paese, a
quanti, ovunque ora si trovino, portano alto, nel bene, il nome
di Pietraperzia. A tutti i pietrini residenti e, tra questi, alle
persone che, attraverso la loro attività di ricerca, fanno
rivivere le vestigia del nostro passato e lavorano per la
conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico
culturale di Pietraperzia; a quelle, non ultime, che, impegnate
nelle Istituzioni e nelle organizzazioni della società civile
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(Comune, Parrocchie, Scuola, Accademia Cauloniana,
Confraternite religiose, Pro-loco), operano, in sintonia, per
risolvere i problemi grandi e piccoli, vecchi e nuovi che
attraversano il paese per renderlo sempre più moderno e
progredito.
LITTRA A LU ME PAJISI
1- Cchiossà di quarànt’anni hanu passàtu
Di quannu ti lassàvu pajįsi amatu;
ma tanti voti nzùnnu m’ha vinùtu,
sapissi quàntu t’hàju disìjàtu:
pirchì ppi-quantu mi paristi ‘ngràtu
lu jįri a la stranìja n’avè-ppruvàtu.
2- Ji ti lassàvu ppi lu mali anticu
(s’ ’u-nni capìmmu, lu travàgliu dįcu),
tant’antri m’avivanu precedùtu
chjamàti d un parenti o di ‘n’amicu
Cumu l’emigranti di lu seculu passàtu
ca l’Ocèanu avìvanu vraccatu.
3- Partìmmu ppi-Mmilànu e ppi-Ttorìnu
e-quarcadùnu anchi cchiù-lluntànu,
chjìni di sprànzi e la valìggia mmànu
‘n gruppu a la gùla apprìssu a lu distìnu.
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E nti lu portafùgliu num-mancàva
la Santùzza di la Madònna di la Cava.
4- Ora ti viju tantìcchia canciàtu
ma no cumu m’avìvanu cuntàtu
pirchì ppi mmìa tu si-ssempri chìɖɖu
cumu ti vitti di lu Funnachìɖɖu
l’urtima vota ca ti salutàvu
lu jùrnu ca li spàɖɖi ti vutàvu.
5- Di lu Castiɖɖu li mura origginàli
e la Matrici senza campanìli
lu Palàzzu e la tùrri cumunàli,
li strati dritti sin’a lu Canàli.
E stampati purtava la me menti
chiàzzi, quartèra e-vvia di li santi.
6- Tu lu pajįsi si’ unni nnàscivu,
unni criscįvu sin’a li vint’ànni
nti la casa ca fu di li me nanni.
lu ringu ncàpu di la stratarànni
7- Lu caràttiri pigliàvu di ma matri
ca mi trasmìsi fidi e bbòn’umùri
bbòni manèri mi nzignà ma patri
ca mai haju pinzàtu a- ttrasgridìri.
8- E ccà mparàvu a lèggiri e a -ccuntàri
accumpagnàtu di santi bacchittàti
di lu majįstru, don Tatò Ballàti.
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Ca bbiniditti unni su-pusàti.
9- Pajįsi si’di lu primu amùri
chiɖɖu ca num-mi puzzu mai scurdàri
anchi c’ avissi secula a-ccampàri,
nzemula a l’amicizzii cchiù -cari.
10- Nti la to terra su li me radįci,
di li parinti, di li me antenati,
ca su a lu mųnnu di la viritàti
ɖɖà unni simmu tutti distinàti.
11 Nti tuttu stu gran timpu c’ha- ppassatu
sempri nti lu me cori t’haju avuto
e mmucca lu to nnomu m’ha-bbinutu.
E-tuttu chiɖɖu c’haju’ assapuràtu
ccu lu to sali sempri haju cunzàtu:
cchiù ddųci e-mmenu amaru m’ha-ssapùtu.
12- Perciò pruvàtu jè caru pajisi
ca sugnu figliu to, nun ci sunu scųsi:
anchi s’haju firrijàtu antri cuntrati
nu-zu canciati li me cunnutati.
E a la dummanna si su’ piemuntisi
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franca jè la risposta, senza pausi:
Sicilianu sugnu, anzi pirzisi!
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MORTE DI UN GIGANTE
A lungo,
per appagare la sua ambizione
mio padre ti cercò
nelle piazze e nelle fiere
dei paesi degli Iblei e delle Madonie:
una bestia che non trovasse uguali
tra Minniti, Caprara e Fastuchera.
Gli fu propizia Petralia Sottana.
Forte, granitico, imponente,
non migliore esemplare
ebbero tra i loro armenti le stalle di Augìa,
né gli allevamenti dell’Andalusia.
Orgoglio, al pascolo, ammirare la tua possanza,
ascoltare il tuo robusto ruminare;
perno nella stagione dei lavori !
Leggera scorreva carica la treggia
sopra il morbido maggese
nel limpido cielo di giugno.
Improvviso uno schianto:
con un rantolo sordo crollasti
come un titano abbattuto;
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la testa reclinasti
sopra le tue ginocchia
tra lo sgomento incredulo
dell’inatteso evento,
di chi implorava rimedi, disperato.
La terra bevve il tuo sangue
caldo, nero, vischioso.
Nutrirono molti nisseni
le tue ricche membra,
a buon mercato.
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L’ALTRO? SONO IO
È un caso,
un puro e semplice caso
se io sono io
e non quest’ uomo che mi sfiora appena
e con indifferenza va e passa
coi suoi pensieri per la testa.
O quel poveretto che rovista
nel cassonetto della spazzatura
stracolmo dopo i giorni della festa.
O la persona, nota o sconosciuta
che in chiesa accanto a me segue la Messa
e la Parola del Signore ascolta.
Ed è ancora per casualità
se dell’amico che incontro
non ho l’identità
e lui la mia.
Come è un caso
se non sono uno dei tanti disperati
scappati dalla fame e dalla guerra
e solo per miracolo scampati
all’ultimo naufragio,
per essere sfruttati in altra terra;
un anonimo
tra quelli sulla spiaggia allineati
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sotto un lenzuolo bianco;
un uomo senza nome e senza volto
tra i dispersi mai più ritrovati.
Qualsiasi essere umano
sotto la volta del cielo,
libero o schiavo,
colpevole o innocente,
ricco, povero o nulla tenente.
Un puro, un semplice caso
perché nulla ho fatto
per essere quello che sono,
né di nome né di genere
di stato, di luogo o di età,
per avere la mia unicità.
(novembre ’13)
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TERRA DI SARDEGNA
A Filippo e Luigia Messina
e ai loro famigliari.
Nessuna ninfa vi sorprese Giove
né i suoi antri ospitarono Ciclopi.
Non vi cercò la figlia
Cerere disperata;
non vi disperse i compagni di Odisseo
Poseidone infuriato.
Approdo non offrì ai fuggiaschi da Troia
peregrini tra i mari,
ad altro destinati;
né di Eracle conobbe le imprese.
Altra stirpe di eroi
generò questa terra
cui mancò un aedo che ne cantasse i miti.
Domatori di cavalli e armenti
più che dominatori di flutti,
di cui fiorì il vincastro tra le mani,
che preferirono allo scettro dei re.
Guerrieri esperti, periti costruttori,
edificarono fortezze megalitiche,
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con mani possenti,
maestose dimore per la vita e per la morte,
che né aggressori abbatterono
né corrose la furia dei venti
o il trascorrere inesorabile dei secoli.
Aedi di pietra ,
ancora ne cantano le gesta
con il loro silenzio eloquente.
Terra ricca di monti, boschi, essenze rare,
varia di ambienti e di cultura,
di tinte forti e tenui,
di intonsa e inedita natura,
in cui il mare si insinua
e le coste vergini orna
di visioni incorrotte,
fin che lo sguardo spazia,
di spiagge
ove l’arcobaleno si scioglie
e quadri dipinge il creatore
al sommo della grazia.
Aspra, granitica, ferrosa
il carattere forgiò
di questa gente indomita:
altero, ribelle, orgoglioso,
refrattario ad ogni servitù,
che dell’accoglienza al forestiero
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fece- insegna di massima virtù.
Così conquisti l’ospite che viene,
terra di Sardegna;
e non v’è chi partendo
non senta il richiamo delle tue sirene.
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8 MARZO PERENNE
Donna – Uomo
Uomo – Donna
Principio ecologico necessario
Di diversità
Di uguaglianza
Di reciprocità
Di complementarità
Di forza
Di produttività
Di unità
Di vita:
Principio di perennità.
Lavoriamo per condividerlo
E realizzarlo assieme.
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RESISTENZA ORA E SEMPRE
25 APRILE
Sono come braccia
protese verso il cielo
i rami appena potati
di questi tigli allineati
contro il muro della memoria.
.
Sono nomi di temerari
eroi caduti nel fiore degli anni
quelli su pietre scolpiti
tra serti di alloro.
Esempio alle genti
di ogni luogo ed età
sono i nomi dei martiri della libertà
di ieri di oggi
del tempo che verrà.
Fede fu la vostra forza,
la vostra disperazione
la vostra rovina.
Ma stenta ad attecchire la pianta
che irroraste col vostro sangue.
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Ancòra vige l’ assurdo,
ancòra si indugia su di sé,
pavidi ad aver vita piena
come voi l’aveste.
Tanto ci pesa la vostra eredità
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La poesia si riferisce al fatto doloroso che colpì la nostra famiglia nel 1942. Il giovane zio Michele che, in assenza dei fratelli maggiori entrambi alle armi, si occupava da solo dei lavori agricoli, una mattina di giugno, mentre predisponeva bestie e attrezzi per iniziare la giornata lavorativa, veniva improvvisamente colpito all’addome da un forte calcio di una delle mule. Inutili gli interventi, ne moriva alcuni giorni dopo. Io avevo quasi quattro anni. L’episodio è ricordato nel racconto “Tra pace e guerra”, pubblicato su questo sito.
GIUGNO 1942
Non altro conobbi
che questo evento definitivo
della tua breve stagione;
ed un aperto sorriso
su un volto
che vedo sfocato;
ed una punta aguzza
che aprì un varco nel cuore.
E fu tutto
della fulminea luce
che illuminò i tuoi giorni.
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INFANZIA
Ritorna
magica stagione dell’anima.
Strappare vorrei
alle fauci voraci del mostro
brandelli di vita.
I sentieri intricati
percorrere
del labirinto incantato.
Sciogliere
quel grumo di sogni
ove danzano
i miei pensieri
e di voci si intreccia
arcana melodia.
Ancora mi sfiorano ’
scaglie di sogni irrisolti.
Ritorna e ristai
età mitica con la tua malia.
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Salvatore Messina, amico indimenticabile.
Durante l’estate del 1978, in seguito ad un male incurabile, ci
lasciava Salvatore Messina, nel pieno della sua maturità e della
sua attività lavorativa. Aveva 42 anni. Lasciava la moglie Vanna
e la figlioletta settenne Maria Concetta. Dalla Sardegna, la
notizia si sparse di voce in voce e raggiunse ciascuno di noi nella
città in cui ci eravamo stabiliti dopo la stagione dei trasferimenti
degli anni ’60, incutendoci sconforto e profondo dolore: a tutti
era presente l’amico leale e franco, apprezzato e ricercato per le
sue qualità umane e intellettuali.
Nell’apprendere la notizia della scomparsa dell’amico a cui tanto
dovevo della mia formazione, mi passarono davanti agli occhi
molti dei momenti trascorsi insieme, mi sovvennero le
confidenze, i consigli, i ragionamenti, i discorsi affrontati al
tavolo di studio oltre che nel corso delle nostre passeggiate in
piazza V.Emanuele e al Circolo di cultura “V.Guarnaccia”. Nel
ricordare la schiettezza e la grande rettitudine morale di
Salvatore mi sgorgarono spontanee le riflessioni che vengono di
seguito pubblicate in ”Chijantu ppi la morti di Turiddu Messina”,
espressioni del mio dolore irreparabile che scrissi e tenni a lungo
solo dentro di me non so per quale inconscia inspiegabile
motivazione e adesso deciso di diffondere come omaggio alla
memoria dell’indimenticabile amico.
I fratelli Filippo e Salvatore erano i due figli minori della famiglia dello zio
Salvatore Messina, commerciante di granaglie e ntrita, e della zia
Concettina Lo Presti. Il figlio maggiore, Giuseppe (Pinu Pirtusiddu),
gestiva invece il negozio di generi alimentari posto a sud del magazzino
del padre in discesa La Masa.
I gemelli Messina, nati nel gennaio del 1936, due anni e più prima di me,
frequentarono la scuola media parificata a lu Statutu e successivamente
l’Istituto Magistrale “F. Crispi” di Piazza Armerina, le stesse scuole che
frequentai a mia volta. Ad essi fui legato da assidua e affettuosa amicizia,
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che si intensificò soprattutto negli anni post-diploma, per condivisione di
interessi e di orientamenti, fino a quando le esigenze lavorative non si
conciliarono più con la nostra permanenza a Pietraperzia. Dopo le prime
esperienze che ci videro impegnati come insegnanti presso scuole
sussidiarie e popolari rurali, i fratelli Messina furono, entrambi, tra i primi
del gruppo dei colleghi-amici, a superare, ancora studenti universitari, il
concorso magistrale, in seguito al quale si trasferirono in Sardegna dove
si stabilirono definitivamente, e proseguirono la loro carriera di
professionisti della scuola. Di poi soltanto qualche annuale gradito
incontro per le vacanze. Nell’anno della sua scomparsa Salvatore
insegnava presso la Scuola Media di Villacidro in prov di Sassari, Filippo,
ora in pensione, esercitava la professione di direttore didattico nella
stessa provincia .
Salvatore Giordano
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CHIANTU PPI LA MÒRTI DI
TURI̢ḌD ̣U MESSI̢NA.
1936-1978
Ccu-qquali armu putimmu cchjù ̢
sù̢sirini tranqui̢lli la mati̢na,
dòrmiri la notti,
irinì̢nni a-ttravagliari,
vasàri li nostri fi ̢gli!
***
Oh Cri̢stu santu,
cchì-ppùzzu fari
ppi-ffirmàri sta pètra di l’àriu
stu disàstru, stu tirrimòtu
ca mi livà di bbottu
lu rrìsu di la vu̢cca
lu piacì̢ri di l’amu̢ri
lu curàggiu di taliari nffàcci stu mu̢nnu!
***
Lassàtimi chiànciri,
di chìstu su̢lu haju bbisùgnu,
di parlàrini, parlàrini sempri,
ccu ccu lu canuscìva
e ccu ccu nu lu canuscìva
ppi-ffariccì̢llu canù̢sciri:
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***
animu di finu sintì ̢ri
bbunu cchiù̢ di lu pani,
sinceru.
Primuru̢su ccu li so’ e ccu-ll’àntri,
tu ̢tti putìvanu chiamàrilu amì̢cu
e ognu̢nu sèntirisi l’ù̢nicu!
Ddilicàtu nti li mudi,
lu cori t’allargava ncutràrilu.
Mai na palora sgarbata nniscì̢ di la so vu̢cca.
***
Oh Signù̢ri,
nù̢ddu pò-ccapì̢ri li to ddisì̢gna
ma Tu̢ n’antra ggiustì̢żżia nni minti ̢sti ntesta
e ppi st’omu cc’era su ̢lu un mutì̢vu:
ca tantu Ti jera caru
ca lu vuli̢sti accussì̢-pprestu ccu-ttia!
***
Haj’a-rristàtu su̢lu,
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poviru e-mminnì ̢cu,
sènza pani sènza casa senza rròbba
e cumu un ddispratu ti vaju circànnu.
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Ritorno al mio paese di Maria Giordano
e arrugginite grate. Dopo parecchi lustri e qualche mese, tornai a visitare il mio paese.
Scopo primario andare al cimitero dove papà riposa nel suo seno. Incrociando il suo sguardo sentii una stretta al cuore, un fremito m’invase misto ad un gran
dolore. Mi sentii d’improvviso la guancia accarezzare, fui certa che papà mi volle incoraggiare. Nel rivedere i nonni, ebbi un grande sussulto, presto di loro due
mi ricordai di tutto: di nonno rimembrai molte delle sue storie; della nonna i sermoni insieme alle leccornie. Il giro terminai di amici e di parenti e quanti ne incontrai di vecchi conoscenti. Quando giunsi in paese
mi ci volli inoltrare, una giornata intera gli volli dedicare. Mi colpì il gran silenzio
Passai davanti casa, che una volta fu mia anch’essa trovai chiusa, mancava ogni allegria. Mi accorsi di un
oltraggio che a lei fu procurato: il bel barocco attorno le avevano asportato; e col prospetto improprio che venne realizzato è stata deturpata la casa e il caseggiato. La lapide sul muro
fa a tutti ricordare che l’eroe dei due mondi vi venne a soggiornare. Rividi con piacere la cara vecchia scuola: la ritrovai dimessa, cadente, triste, sola. Quanti ricordi in me
di lei conservo ancora! E il cicaleccio sento, urla piene di gioia della dolce stagione che mai mi venne a noia. Di san Francesco il colle, un tempo degradato, fu motivo di gioia
vederlo trasformato: alla Via del Dolore è ora dedicato, da Quattordici stazioni
La statua del Risorto spicca sulla salita, l’Opera resterà oltre la vita. Santa Maria Maggiore,
solenne e maestosa, la bella Cattedrale, domina su ogni cosa. L’incontro con la piazza fu gran delusione, la ricordavo enorme con tanta confusione; essa mi apparve invece piccola e striminzita, perché anche per lei
crudele fu la vita: la bella gioventù la volle abbandonare che oltre al suo passeggio nulla poté più dare. Fu ameno dall’aereo contemplare il mio mare
e con un nodo in gola continuare a pensare. Settembre 2005 Scritta di ritorno a Torino in seguito al viaggio a Pietraperzia dopo venticinque anni di lontananza.
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delle sue antiche strade,
porte sbarrate vidi
il percorso è segnato.
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Lettera agli amici (Ovvero: amicizia, così la sento, così la vivo)
SG Non è un esile filo di lana
quello che ci unisce, o il susseguirsi di anelli
di freddo metallo di un’ unica catena.
Siamo piuttosto come fronde di una pianta
che da un unico tronco cresce e si dirama
da cui linfa vitale scaturisce ed emana
sino alla foglia più piccola e lontana.
Tralci
che lo stesso humus nutrisce, sangue che trasmigra
di corpo in corpo, pensiero di mente in mente :
in ciascuno fluisce la vita di ognuno,
ogni lembo da debole fa forte,
il molteplice trasmuta in tutt’uno.
Sentirvi in me sempre presenti, motivo che mi commuove e mi rincuora,
è sentimento vivo che perdura, amici d’un tempo e recenti.
Amicizia, del viaggio mortale dolce conforto,
epifania che ci trasfigura.
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Lu Parcazzu
La “Puntara di lu Parcazzu”, roccia calcarea dalla forma caratteristica, attrazione turistica della Riserva
Naturalistica dell’Imera meridionale, sorge a cinque Km ca da Pietraperzia, all’interno dell’ex feudo
Minniti che, appartenuto ai Baroni Tortorici, venne smembrato e suddiviso in tanti piccoli appezzamenti
per effetto della Riforma Agraria(1950). Prima della riforma,nel periodo estivo, per molti anni della mia
infanzia la Puntara fu luogo delle mie scorribande ed esplorazioni. Ricordo che al sorgere del sole la sua
ombra si proiettava e copriva la casa colonica dove abitavo con la mia famiglia.
La “Puntara di lu Parcazzu” compariva come uno dei soggetti simbolici che illustravano il calendario del
2014 fatto pubblicare dal Circolo di Cultura “V. Guarnaccia” di Pietraperzia,.
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All’ombra di la Puntara
Salvatore Giordano
Giganti eressero
questo tempio megalitico
all’alba dei tempi!
Monumento alla vita e alla fertilità
il nome ispirò agli antichi
la sua forma bizzarra.
Dimora prescelta di uccelli rapaci,
conigli prolificano tra gli anfratti
strisciano bisce tra le sterpaglie;
spontaneo cresce il cappero tra le pareti,
il ficodindia intorno domina incontrastato;
l’odore dell’origano si diffonde nell’aria.
Rifugio sicuro offrì agli umani
in tempi calamitosi.
All’ombra della puntara di li Minniti
ho vissuto i primi anni di vita
fin dai primi vagiti!
Allora ancora lo spirito di Cerere
aleggiava tra queste terre a lei care:
il biondo ondeggiare delle messi
il cuore riempiva di speranze,
il mandorlo fioriva
al sorriso di Kore, la fanciulla.
Tra le stoppie riarse
punto nero, bambino mi rivedo
nell’ora della canicola,
sotto il sole che abbaglia
e il frinire incessante delle cicale
monotono risuona.
Contro il cielo di cobalto
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i falchi bucano l’azzurro,
lievi oscillano alla leggera brezza
e dolcemente planano
lasciandosi cullare .
Accesi da gioia selvaggia
emettono acuti stridi
e improvvisamente si tuffano
a ghermire sicuri.
Dai miei sogni mi desta il grido della vittima.
A voi ritorno luoghi mitici
della mia prima età
come alla culla che mi tenne in fasce,
come al seno di mia madre
da cui succhiai umore e nutrimento.
Custode dei sogni e delle mie fantasie
maestosa si erge la Puntara
testimone solitaria di un tempo senza storia
L’avvolge la nebbia dei ricordi.
Di fronte ammicca la barresia rocca di Petra.