Ozbek, L’ECCIDIO DEGLI UOMINI A LEMNO. IL MODELLO DELLE ARGONAUTICHE DI APOLLONIO RODIO E LA SUA...

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Leyla Ozbek L’ECCIDIO DEGLI UOMINI A LEMNO: IL MODELLO DELLE ARGONAUTICHE DI APOLLONIO RODIO E LA SUA RIFUNZIONALIZZAZIONE IN QUINTO SMIRNEO POSTHOMERICA 9, 338–352* 1. Introduzione L’epica greca tarda è uno dei banchi di prova privilegiati per saggiare come il fonda- mentale modello-genere dei testi omerici sia stato ripreso nei secoli successivi attra- verso un continuo gioco di avvicinamento e scarto. Quinto Smirneo è uno degli autori che meglio si prestano a testimoniare questa continua allusione in particolare al testo omerico, e persino la continua „epicizzazione“ di miti o modelli ricavati da opere appartenenti ad altri generi letterari: nel caso specifico dei Posthomerica, sarebbe anzi più esatto parlare di „omerizzazione“, visto che nella maggior parte dei casi Quinto costruisce il proprio testo rifacendosi, dal punto di vista linguistico, tematico e narrato- logico, non solo e non tanto alla dizione epica tout court, intesa come evoluzione del genere nei secoli precedenti, quanto specificamente a quella omerica, in particolare iliadica. La preminenza del modello iliadico – che resta indiscutibile sul piano generale – conosce tuttavia entro i Posthomerica alcune significative eccezioni che permettono di capire meglio come Quinto utilizzi e modifichi, rifunzionalizzandoli al proprio scopo, i modelli offerti dalla tradizione epica 1 . Vale dunque la pena, per comprendere più a fondo le tecniche di allusione e rifunzionalizzazione del nostro autore, di esami- nare la ripresa nel testo smirneico di un epos tra i più lontani e innovativi rispetto all’opera omerica, le Argonautiche di Apollonio Rodio, esempio per eccellenza di ribaltamento delle regole del genere. In alcuni casi, infatti, Quinto utilizza come modello intertestuale la narrazione apolloniana ma, come si vedrà, sempre allo scopo di perseguire le cifre più proprie della sua visione del genere epico 2 . * Questo contributo sviluppa un tema toccato nella stesura della mia tesi di Perfezionamento, che consiste in un commento al libro IX dei Posthomerica, ed è stato parzialmente presentato al Seminario italo-francese di Ricerche dottorali in Letteratura Greca (Pisa, 20/21-11-2008). Ringrazio il Seminario di Ricerca di Filologia Greca della Scuola Normale Superiore di Pisa e il Klassisch-Philologisches Seminar dell’Università di Zurigo; sono grata in particolare a Manuel Baumbach e a Glenn W. Most per i preziosi suggerimenti. 1 Sulla ripresa dei modelli epici omerici (ma non solo) in Quinto, cf. Baumbach – Bär (2007). 2 Si veda il regesto di riprese apolloniane in Quinto offerto da Vian (2001), che si limita soprattutto a riprese verbali microscopiche e cita cursoriamente anche il nostro caso, senza però analizzarlo a fondo dal Philologus 155 2011 2 292–306

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Ozbek, L’ECCIDIO DEGLI UOMINI A LEMNO. IL MODELLO DELLE ARGONAUTICHE DI APOLLONIO RODIO E LA SUA RIFUNZIONALIZZAZIONE IN QUINTO SMIRNEO POSTHOMERICA 9, 338–352

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Leyla Ozbek

L’ECCIDIO DEGLI UOMINI A LEMNO:IL MODELLO DELLE ARGONAUTICHE DI APOLLONIO RODIO

E LA SUA RIFUNZIONALIZZAZIONE IN QUINTOSMIRNEO POSTHOMERICA 9, 338–352*

1. Introduzione

L’epica greca tarda è uno dei banchi di prova privilegiati per saggiare come il fonda-mentale modello-genere dei testi omerici sia stato ripreso nei secoli successivi attra-verso un continuo gioco di avvicinamento e scarto. Quinto Smirneo è uno degli autoriche meglio si prestano a testimoniare questa continua allusione in particolare al testoomerico, e persino la continua „epicizzazione“ di miti o modelli ricavati da opere appartenenti ad altri generi letterari: nel caso specifico dei Posthomerica, sarebbe anzipiù esatto parlare di „omerizzazione“, visto che nella maggior parte dei casi Quintocostruisce il proprio testo rifacendosi, dal punto di vista linguistico, tematico e narrato-logico, non solo e non tanto alla dizione epica tout court, intesa come evoluzione delgenere nei secoli precedenti, quanto specificamente a quella omerica, in particolareiliadica. La preminenza del modello iliadico – che resta indiscutibile sul piano generale –conosce tuttavia entro i Posthomerica alcune significative eccezioni che permettono dicapire meglio come Quinto utilizzi e modifichi, rifunzionalizzandoli al proprioscopo, i modelli offerti dalla tradizione epica1. Vale dunque la pena, per comprenderepiù a fondo le tecniche di allusione e rifunzionalizzazione del nostro autore, di esami-nare la ripresa nel testo smirneico di un epos tra i più lontani e innovativi rispetto all’opera omerica, le Argonautiche di Apollonio Rodio, esempio per eccellenza di ribaltamento delle regole del genere. In alcuni casi, infatti, Quinto utilizza come modello intertestuale la narrazione apolloniana ma, come si vedrà, sempre allo scopodi perseguire le cifre più proprie della sua visione del genere epico2.

* Questo contributo sviluppa un tema toccato nella stesura della mia tesi di Perfezionamento, che consistein un commento al libro IX dei Posthomerica, ed è stato parzialmente presentato al Seminario italo-francese diRicerche dottorali in Letteratura Greca (Pisa, 20/21-11-2008). Ringrazio il Seminario di Ricerca di FilologiaGreca della Scuola Normale Superiore di Pisa e il Klassisch-Philologisches Seminar dell’Università di Zurigo;sono grata in particolare a Manuel Baumbach e a Glenn W. Most per i preziosi suggerimenti.

1 Sulla ripresa dei modelli epici omerici (ma non solo) in Quinto, cf. Baumbach – Bär (2007).2 Si veda il regesto di riprese apolloniane in Quinto offerto da Vian (2001), che si limita soprattutto a

riprese verbali microscopiche e cita cursoriamente anche il nostro caso, senza però analizzarlo a fondo dal

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Un caso di allusione intertestuale alle Argonautiche adatto a mettere in luce la tecnica smirneica di ripresa e rifunzionalizzazione del modello è senz’altro quellodella narrazione, nel nono libro, dell’eccidio perpetrato dalle donne di Lemno aidanni della popolazione maschile dell’isola, ricordato nel momento in cui sull’isolasbarca l’ambasciata che deve portare Filottete a Troia (9, 338–352). Il passo riprendeun brano delle Argonautiche di Apollonio Rodio in cui si allude allo stesso evento, anche in quel caso non appena la nave Argo approda sull’isola (1, 609–632; la ripresaanzi non è semplicemente di un passo, quanto piuttosto di un passo raddoppiato inmaniera speculare e modificato dall’autore, dal momento che la storia è ripetuta, convariazioni sapienti e utili a veicolare un effetto particolare, anche poco dopo, perbocca della regina Ipsipile che si rivolge a un ignaro Giasone, in 1, 793–826). Come sivedrà, Quinto prende a modello sotto diversi punti di vista – da quello lessicale a quello tematico – il racconto apolloniano rifunzionalizzandolo tuttavia in senso „tradizionalista“, ossia riaccostandolo in parte alla versione maggioritaria del mito,che l’autore delle Argonautiche aveva modificato. Questa rifunzionalizzazione è operata da Quinto in modo sapiente, lavorando sul taglio narrativo del testo e su alcune parole chiave del racconto apolloniano, riprese e variate per veicolare il nuovo(o per meglio dire vecchio) punto di vista sulla vicenda. Considerata alla luce di questo ipotesto, la narrazione smirneica assume un senso più compiuto nell’economiadell’opera e allo stesso tempo un significato più chiaro al suo interno, tanto che è possibile per esempio mettere meglio in luce la tecnica di costruzione del brano e interpretare in maniera più esatta alcuni passaggi che in passato sono stati oggetto didissenso tra gli studiosi, e che invece assumono un pieno e chiaro significato se si leggeil passo smirneico in chiave intertestuale.

Il mito è conosciuto almeno in parte fin dai tempi dell’Iliade 3: le donne di Lemno, a causa di un affronto che hanno compiuto nei confronti di Afrodite, o per la gelosia

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punto di vista intertestuale, né comprendendo l’importanza, in questo brano, non solo della ripresa del modello, quanto soprattutto del suo „rovesciamento funzionale“ (un accenno al locus parallelus, notato dipassata già da studiosi precedenti come Spitzner, si trova anche in Vian 1959, 112, 169 e 1966, 193). La ripresada parte di Quinto delle Argonautiche, sebbene risulti secondaria rispetto agli intertesti omerici e spesso nonsia marcata da un dialogo stretto e verbale tra le due opere in questione, è presente e pervasiva nell’opera smirneica a un livello di lettura erudito. Da questo punto di vista, l’allusione smirneica all’opera apollonianarisulta paradigmatica per comprendere il gioco di richiamo alle conoscenze letterarie del fruitore colto, attento, secondo l’approccio ai testi proprio della seconda sofistica, a ricercare nel testo allusioni ad altre opereletterarie, dal momento che il richiamo alla memoria poetica apolloniana pervade il testo smirneico a più livellifin dall’inizio, dal primo libro, con riprese di lessico e di formule anche in un punto della storia abbastanzalontano dalla narrazione apolloniana (in merito a tali riprese cf. Bär 2009, 36–69).

3 Sulle fonti letterarie, mitografiche e iconografiche del mito, cf. Klügmann (1886–1890); Seeliger (1890–1894) in part. 73–74; Immisch (1916–1924) in part. 808–814; Jessen (1914); Dumézil (1924); Gantz (1993)345–347 e anche Wilamowitz (1924) 232–248 e Burkert (2000) 235–236. La vicenda ha avuto molto successoanche nell’epica latina, dove, a parte la breve menzione in Ov. Met. 13, 399–401, è stata ripresa estesamente daValerio Flacco (2, 98–310, per i cui rapporti con Apollonio Rodio e la mediazione di Virgilio cf. Bornmann1970) e Stazio (Theb. 5, 49–334, per le cui relazioni intertestuali con Virgilio e Valerio Flacco cf. Aricò 1991).Sulla comparazione di questi brani e sul trattamento della vicenda del massacro di Lemno nell’epica latina,

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provata da Medea, vengono punite con l’allontanamento dal talamo dei loro legittimimariti, che tornati da una spedizione di guerra in Tracia preferiscono alle mogli le prigioniere portate da quella regione. Secondo le versioni più dettagliate del mito, l’allontanamento dei mariti è causato dalla cosiddetta duswdía delle donne, un cattivoodore determinato direttamente dall’azione della dea o dalle arti magiche di Medea,quindi per una colpa da attribuire in entrambi i casi alle donne lemnie4. Queste ultime,spinte dalla rabbia e dalla gelosia – dato fondamentale nei racconti letterari del mito –nel giro di una sola notte uccidono i propri mariti e tutta la popolazione maschiledell’isola, fatto che provoca il completo capovolgimento, necessario per il mito, dellasocietà di Lemno5. Come nel mito gemello delle Danaidi, secondo alcune versioni anche a Lemno un uomo si salva grazie alla pietà di una donna: si tratta in questo casodi Toante, re dell’isola e padre di Ipsipile, salvato con l’aiuto di Dioniso, dopo che lafiglia lo aveva nascosto nel tempio del dio e poi, vestito come quest’ultimo, portatosulla riva del mare e mandato alla deriva dentro una cassa6.

Entrando più specificamente nella narrazione smirneica, si nota come l’analessisull’eccidio di Lemno sia inserita – e come si vedrà non si tratta di un caso – subitodopo la menzione dello sbarco sull’isola dell’ambasciata guidata da Odisseo e Dio-mede, che ha come scopo portare Filottete a Troia. Appena dopo la menzione delnome dell’isola su cui l’ambasciata sta sbarcando, il narratore inserisce un resocontoparentetico del Lämnion κaκón più famoso: le donne dell’isola, in una sola notte (351)per gelosia (344, cf. anche l’esplicitazione tanto cara allo stile dell’autore di 347–349),uccidono i propri mariti, colpevoli di averle tradite con le prigioniere portate dallaTracia (341–343), e oltre ai propri sposi massacrano tutta la popolazione maschiledella città (351 [ed. Vian]):

Leyla Ozbek, L’eccidio degli uomini a Lemno

cf. anche Vessey (1970) e in generale Bahrenfuss (1951), mentre per un excursus bibliografico sul trattamentodella vicenda da parte di Valerio Flacco, cf. in particolare Scaffai (1986) 2417–2418. Dettagli più specifici legatia particolari versioni del mito verranno discusse, ove necessario, ad locum.

4 Per la versione secondo cui sarebbe stata Afrodite a causare la duswdía (che si lega anche al rituale dell’isola, per cui cf. p. es. Burkert 2000, 240–242), cf. FGrHist 38 F 2 (in Phot. l 271 Theodoridis = Sud. l 451Adler = Paus. l 16 Erbse); Apollod. 1, 9, 17; schol. A. R. 1, 609–619a, e Wendel; D. Chr. 33, 50; mentre secondo lo storico Mirsilo (FGrHist 477 F 1, in 1. schol. A. R. 1, 609–619e Wendel; 2. Ps. Antig. Mir. 118 Giannini; 3. Phot. l 271 Theodoridis per cui cf. supra) la duswdía sarebbe dovuta a un incantesimo di Medea,che stando a quella che sembra la versione più antica del mito era giunta a Lemno insieme agli Argonauti sullavia del ritorno dalla Colchide (cf. Pi. P. 4, 250–254).

5 In merito, cf. Burkert (2000) e Cusset (2004).6 Il salvataggio di Toante e le sue implicazioni riguardanti il mito dionisiaco richiederebbero una discus-

sione troppo ampia per essere affrontati in questa sede: per il legame tra Toante e Dioniso, che secondo partedel mito ne sarebbe il padre, e il suo salvataggio, cf. p. es. Modrze (1936); Jessen (1914) e Burkert (2000)236–237. Secondo alcune versioni Ipsipile, a causa della pietà avuta per il padre, viene catturata dalle Lemnie evenduta come schiava, oppure è costretta a fuggire di nascosto, salvo poi essere intercettata dai pirati e subirela medesima sorte: cf. p. es. E. fr. 759a, 1593–1608 Kn e Apollod. 3, 6, 4.

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Lñmnon e ¬v a¬mpelóessan, oçphı párov ai ¬nòn o¢leqrona¬ndrási κouridíoisin e ¬mhtísanto gunaîκev

340 e ¢κpaglon κotéousai, e ¬peí sfeav ou¢ ti tíesκon,a¬llà dmwiádessi pareunázonto gunaixìQrhiκíhıv tàv dourì κaì h¬noréhı κteátissanpérqontev tóte gaîan a¬rhifílwn Qrhíκwn·aiÇ dè méga zäloio perì κradíhısi pesóntov

345 qumòn a¬noidäsanto, fílouv d’ a¬nà dåmat’ a¬κoítavκteînon a¬nhlegéwv u™pò ceíresin, ou¬d’ e ¬léhsanκouridíouv per e ¬óntav· e ¬peí r™’ a¬panaínetai h®tora¬nérov h¬dè gunaiκóv, oçte zhlämoni noúswıa¬mfipéshı· κrateraì gàr e ¬potrúnousin a¬nîai.

350 a¬ll’ ai Ç mèn sfetéroisin e ¬p’ a¬ndrási pñm’ e ¬bálontonuκtì miñı κaì pâsan e ¬chråsanto pólhaparqémenai fresì qumòn a¬tarbéa κaì méga κártov.

La versione del mito qui narrata, come si vedrà, è volutamente quella più sintetica e truce, che, per motivi importanti al fine della rifunzionalizzazione, si concentra solo sull’episodio fondamentale senza addentrarsi nelle cause della vicenda e nelle sue ramificazioni secondarie, come il salvataggio di Toante.

2. La narrazione apolloniana e l’allontanamento dalla versione tradizionale del mito

L’analessi riguardante le donne di Lemno richiama, a livello lessicale ma anche narratologico e tematico, la digressione sullo stesso argomento presente nel primo libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio, che rappresenta il modello-codice per questo passo dei Posthomerica. Se si considera più da vicino il brano delle Argo-nautiche, si possono valutare bene i suoi elementi di innovazione rispetto al mito tradizionale e la sapiente costruzione narratologica dell’analessi.

L’eccidio di Lemno è narrato non appena la nave Argo si avvicina all’isola: il mito èraccontato dallo stesso narratore attraverso un’analessi omodiegetica che si riallaccianell’ultima parte al racconto principale7. Anche in questo caso l’excursus nasce dallaprima menzione dell’isola su cui sta per approdare la nave Argo: il narratore ricordacome l’anno precedente sia avvenuto l’eccidio di tutti gli uomini dell’isola, massacratidalla popolazione femminile (609–610). Vengono poi spiegate la motivazione del gesto, ossia l’odio che gli uomini provavano per le proprie legittime – aggettivo cruciale – consorti e l’amore per le prigioniere tracie (611–614), e la motivazione dellamotivazione, il risentimento di Afrodite dovuto al mancato adempimento degli onori

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7 Per un’analisi dettagliata del brano dal punto di vista narratologico ma non solo, cf. in particolare Fusillo(1985) 38–41, 170–171, 217–229.

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nei suoi confronti da parte degli uomini (614–615). Segue un’apostrofe contro le sventurate che, accecate dalla gelosia (616) e timorose di una vendetta, hanno massacrato tutta la popolazione maschile (617–619 [ed. Vian]):

e ¢nq’ a¢mudiv pâv dñmov u™perbasíhısi gunaiκøn610 nhleiøv dédmhto paroicoménwı luκábanti.

dæ gàr κouridíav mèn a¬phnänanto gunaîκava¬nérev e ¬cqärantev· e ¢con d∆’ e ¬pì lhiádessitrhcùn e ¢ron, aÇv au¬toì a¬gíneon a¬ntipérhqenQrhiκíhn dhioûntev, e ¬peì cólov ai ¬nòv o¢paze

615 Kúpridov, ouçneκá min geráwn e ¬pì dhròn a¢tissan.w£ méleai zäloió t’ e ¬pismugerøv a¬κórhtoi,ou¬κ oi®on sùn tñısin e ™oùv e ¢rraisan a¬κoítava¬mf’ eu¬nñı, pân d’ a¢rsen o™moû génov, wçv κen o¬písswmä tina leugaléoio fónou tíseian a¬moibän.

L’analessi prosegue con il salvataggio di Toante da parte di Ipsipile e con l’apprododel re sull’isola chiamata prima Enoe e poi Sicino, dal nome del figlio che Toante avràdalla naiade Enoe (620–626). Alla fine dell’excursus il focus si concentra di nuovo sulleLemnie, che si trovano spesso a fissare il mare, nel terrore che i Traci giungano a vendicarsi (627–632; è proprio questo il sapiente aggancio con la narrazione prin-cipale, dal momento che un giorno vedono avvicinarsi la nave Argo).

Poco dopo, nello stesso libro, con un procedimento del tutto originale, la narra-zione del fatto è ripetuta da un differente punto di vista, per bocca di Ipsipile che racconta a Giasone gli avvenimenti dell’anno precedente (793–826). Questa ripe-tizione dell’eccidio non rappresenta una semplice reduplicazione, ma permette all’autore di riprendere lo stesso episodio – dopo averlo messo a conoscenza del lettore tramite il resoconto solo apparentemente neutrale del narratore – attraversouno specchio deformante, ossia quello del punto di vista di Ipsipile, personaggio coinvolto direttamente nella vicenda, dal momento che sta cercando di convincere Giasone a sostare sull’isola facendo leva su motivazioni e punti di vista del tutto personali 8.

Leyla Ozbek, L’eccidio degli uomini a Lemno

8 Non ci si soffermerà su questa duplicazione deformata del racconto, dal momento che il modello inter-testuale di Quinto è rappresentato dall’excursus del narratore; basti notare che dal punto di vista narrativoquesto racconto rappresenta un modo per ribadire le linee conduttrici dell’episodio di Lemno (e dell’interaopera) che sono già state delineate nell’excursus precedente, e rappresenta un espediente narrativo originaleper la focalizzazione della vicenda. Il dato centrale di questa nuova narrazione, che permetterà anche di comprendere meglio lo scopo dell’excursus e il filo narrativo della storia, è che Ipsipile, volendo evitare di impressionare in modo negativo Giasone, oblitera intenzionalmente il massacro degli uomini per mano delleproprie consorti, alludendo invece a un loro volontario allontanamento per recarsi presso la patria delle prigioniere che li avevano stregati (794–796; 824–826). Sull’abile tecnica oratoria, che si giova di espedienti canonizzati e riconoscibili, che Ipsipile sfoggia in tutto questo discorso, cf. Berardi (2003) con bibliografiaprecedente (per altre considerazioni sull’episodio, cf. anche Fusillo 1985, 38–39, 222).

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Consideriamo ora meglio il taglio innovativo conferito al primo excursus sul massacro a Lemno: come nota Fusillo, Apollonio sposta il focus di tutta la narrazionesulle donne stesse, le rende uniche protagoniste della vicenda, le solleva in parte dallacolpa commessa e ne legge le azioni dal loro personale punto di vista, concedendo anche uno spazio ulteriore alla reduplicazione della storia dal punto di vista di Ipsipilee, tra gli avvenimenti successivi, dedicando maggiore spazio a quelli che riguardano ledonne (discorsi, assemblee, decisioni, mentre il punto di vista maschile è solitamenterelegato a brevi summaries). Le variazioni del mito finalizzate ad attenuare la colpadelle donne si collocano su più piani, e alcuni dettagli verranno ripresi puntualmenteda Quinto Smirneo, per essere ribaltati e rifunzionalizzati in senso fortemente tradizionale. Apollonio modifica in primo luogo la causa divina della perdita di interesse da parte degli uomini nei confronti delle mogli: elimina infatti la duswdía,superflua per i suoi scopi e implicitamente allusiva a un’originaria colpa femminile, e soprattutto attribuisce la colpa dei mancati onori ad Afrodite non alle donne, comevoleva la parte maggioritaria della tradizione, ma agli uomini stessi (614–615)9: la narrazione simpatetica nei confronti delle Lemnie comincia quindi, come nota Vian(1974) 26–28, con l’attribuzione della prima colpa, la causa scatenante di tutta la vicenda, agli uomini (la sfrontatezza degli uomini e l’ira della dea sono allo stessomodo ribadite ai vv. 799–803 anche da Ipsipile, il cui salvataggio del padre, citatonell’excursus, concorre a sua volta ad attenuare l’orrore della vicenda). Ma anche dalpunto di vista micronarrativo, a livello lessicale, il narratore appena può piega la vicenda dalla parte delle donne: sono gli uomini che – con un’espressione molto forte che verrà infatti considerata da Quinto fondamentale per rifunzionalizzare la vicenda – κouridíav […] a¬phnänanto gunaîκav / […] e ¬cqärantev (611–612), letteral-mente ‚rifiutarono le legittime spose / avendole prese in odio‘, poiché nutrivano invece per le prigioniere tracie un amore violento e irrefrenabile (il nesso trhcùn e ¢ron,613, sottolinea il carattere spiccatamente sessuale sia del rifiuto sia della nuova attrazione)10. Dalla narrazione apolloniana le donne di Lemno escono, quindi, secondo

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9 Oltre che nelle Argonautiche, tracce di questa attribuzione agli uomini di Lemno dei mancati onori adAfrodite si trovano con un certo grado di sicurezza solo nei Tragodoumena di Asclepiade di Tragilo, FGrHist12 F 14, in schol. D Il. 7, 467 van Thiel (in part. Lämnioi, tàv e ¬x e ¢qouv tñı ’Afrodíthı qusíav mæ a¬podidóntev,κaq’ au™tøn qánaton e ¬nomoqéthsan). Che a questa versione del mito sia legata anche la trama della tragedia diEschilo ambientata a Lemno, se il titolo fosse al maschile (quindi Lämnioi), è ipotesi dubitativa di Vian (1974)27. In effetti, nonostante l’argomento dell’opera di Asclepiade porti a supporre che questa versione del mito fosse legata anche a una trama tragica, non solo i frammenti del dramma eschileo sono troppo esigui persupportare questa ipotesi (l’oscillazione del titolo tra maschile e femminile è peraltro abbastanza comune nelletestimonianze di titoli di tragedie frammentarie, e propende in questo caso per il femminile), ma lo stessoframmento di Asclepiade non consente di comprendere se l’autore riporti una vera e propria u™póqesiv oppureriassuma semplicemente l’argomento del mito.

10 Per tracúv cf. LSJ s.v. 4 „of persons, their acts, feelings, or conditions, ‚rough‘, ‚harsh‘, ‚savage‘“. Lacentralità dell’espressione, volutamente icastica, nel passo delle Argonautiche è dimostrata dal fatto che Apol-lonio solitamente usa l’aggettivo non con valore figurato, come in questo caso, ma in contesti più letterali: l’aggettivo infatti non è mai riferito a termini astratti, ma varia da un uso strettamente letterale (2, 375; 2, 550;

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George (1972) 53, „more wretched than culpable“, e meritano al massimo un’apostrofeempatica in cui ci si dolga della loro gelosia (616), fondata e inevitabile, sulla qualeApollonio per primo mette un accento molto importante e che tornerà nell’intertestosmirneico; una gelosia che deriva ovviamente in tutta la sua violenza dall’offesa degliuomini, i quali le hanno respinte sessualmente e affettivamente e le hanno private delloro ruolo legittimato davanti alla legge e agli dei11.

I fili del discorso del narratore vengono quindi mossi in modo molto abile per ottenere uno scopo decisivo, ossia quello di mettere in luce il rapporto fuorviante, ingannevole e privo di comunicazione che esiste tra i due sessi, all’interno di una vicenda, quella di Lemno, che come nota Fusillo prefigura all’inverso l’episodio centrale in Colchide12, ma che, si potrebbe aggiungere, rappresenta anche una parteessenziale di quel fil rouge che collega il passato macchiato di sangue dell’eccidio degliuomini di Lemno alla fine, tragica, del rapporto Medea-Giasone. Il massacro degli uomini di Lemno da parte delle mogli, che pervade tutta la vicenda dello sbarco degliArgonauti sull’isola, allunga infatti la sua ombra sul futuro di Giasone anche al di fuori della storia narrata dalle Argonautiche stesse, fino alla conclusione efferata delsuo rapporto con Medea e del suo nuovo matrimonio, rappresentata nel dramma diEuripide13.

3. La ripresa smirneica

3.1 L’utilizzo del modello apolloniano

Diversamente da Apollonio, la narrazione smirneica dell’episodio non è inseritaall’interno di un racconto coerente, e tale elemento rappresenta un importante

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2, 568), a un grado minimo di metaforicità (1, 1078 = 2, 1125; 2, 33; 2, 71), a eccezione del nostro caso, che rappresenta il massimo allontanamento dell’autore dal suo usus e quindi pare una scelta tesa a far spiccare l’espressione. Il nesso trhcùv e ¢rwv, oltre che in questo punto delle Argonautiche, compare in tutta la lette-ratura greca solo nei Cynegetica di Oppiano, in cui si sottolinea sempre il violento significato sessuale dell’espressione, associata ad altre che definiscono in questo senso il contorno del campo semantico (2, 187–188trhcùv d’ au®t’ e ¬láfoisin e ¢rwv pollä t’ ’Afrodíth, / κaì qumòv potì léκtron a¬naiqómenov própan h®mar).

11 In merito cf. anche Levin (1971) 62.12 A Lemno infatti sarà Ipsipile a ingannare Giasone non raccontando tutta la vicenda dell’eccidio e a

sfruttare l’amore degli Argonauti per ottenere il suo scopo di ripopolamento dell’isola, mentre in Colchidesarà Giasone ad averla vinta su Medea e a sfruttare il suo amore per la conquista del vello.

13 Cf. in merito l’analisi di Hunter (1993) 47–52, che cita il rapporto di questo brano non solo con il restodel testo apolloniano ma anche con la Medea di Euripide. A fare da commentatore involontario della vicenda èinoltre Eracle, personaggio dalla caratterizzazione sfaccettata (cf. Hunter 1993, 25–36), il quale, esortando icompagni a non procrastinare la partenza comportandosi per le donne di Lemno di fatto come dei mariti e disprezzando dunque le proprie mogli lasciate in patria (865–874, in part. 866–867), rende esplicito il paragonetra gli Argonauti e gli uomini di Lemno.

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alerting signal a livello intertestuale14: i versi di Quinto offrono piuttosto la puntualeripresa di un modello-codice, quello dell’excursus apolloniano, che viene seguito fedelmente e, proprio facendo perno sui suoi punti di maggiore innovazione, viene rifunzionalizzato in senso tradizionale. Questa rifunzionalizzazione del modelloapolloniano viene condotta secondo un sistema abbastanza sofisticato di ripresa escarto, di „eco distorsiva“ dei punti chiave del racconto delle Argonautiche.

Analizzando più da vicino il rapporto intertestuale tra i due passi, si può notarecome il brano dei Posthomerica segua nel proprio procedere gli stessi snodi macro-testuali presenti nel brano delle Argonautiche. In quest’ultimo, infatti, dopo aver citato Lemno il narratore ricorda immediatamente come poco tempo prima (A. R. 1,610 paroicoménwı luκábanti – Q. S. 9, 338 párov) 15, in questo luogo (A. R. 1, 609e ¢nqa – Q. S. 9, 338 oçphı) 16, le donne abbiano commesso un crimine orribile contro gliuomini trucidandoli (A. R. 1, 609–610 – Q. S. 9, 338–339). Il racconto a questo puntoviene approfondito, ricordando in entrambi i casi come gli uomini avessero iniziato asdegnare le proprie spose (A. R. 1, 611–612 – Q. S. 9, 340) a favore delle prigioniereportate dalla Tracia dopo una spedizione militare andata a buon fine (A. R. 1, 612–614 –Q. S. 9, 341–343). In nessuno dei due brani si fa menzione della duswdía delle donne,che, eliminata per diverse ragioni da un’opera epica come le Argonautiche, non com-pare di conseguenza neppure nei Posthomerica, dal momento che non solo rappre-senta un elemento narrativo secondario, ma soprattutto risulterebbe sconvenienteall’interno di un genere rigidamente codificato e di registro alto come quello epico. Inentrambi i testi, dunque, l’interesse della narrazione passa a questo punto dagli avve-nimenti esteriori a quelli interiori, alla conseguenza psicologica che questa situazionesviluppa nelle donne di Lemno, ossia la gelosia che le pervade in maniera incon-trollabile, e che infonde loro tanta forza d’animo da uccidere non solo i mariti, matutti gli uomini dell’isola (A. R. 1, 616–619, a cui segue la menzione della pietà di Ipsipile per il padre: versi ripresi in maniera leggermente più estesa in Q. S. 9, 344–352,presumibilmente allo scopo di chiudere l’inciso senza la parte riguardante Ipsipile eToante).

Oltre a questi snodi essenziali della narrazione, i due racconti si concentrano anche su alcuni dati non così necessari per lo sviluppo della vicenda ma tuttavia imprescindibili per la sua caratterizzazione, punti focali che sono i medesimi: basti

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14 Un indizio del carattere letterario allusivo dell’excursus è fornito dalla sua totale superfluità narrativa,dal momento che non ha nessun legame né con i fatti precedenti né con quelli successivi (e ciò resta vero anchese gli si attribuisse l’improbabile scopo di procrastinare l’inizio dell’azione a Lemno: pessimo espediente narrativo in questo snodo, dal momento che la narrazione ha appena cambiato focus e l’azione sull’isola non èancora di fatto neppure cominciata). Il brano ha quindi ragione di esistere solo sul livello diacronico della memoria poetica, in quanto ripresa erudita, e non su quello, in certo senso sincronico, della narrazione.

15 In questo punto Quinto, non essendo più interessato all’esatta cronologia degli eventi al contrario diquanto accade in Apollonio, si serve dunque di un indicatore temporale generico.

16 In questo secondo caso la differenza è puramente sintattica: Apollonio introduce la frase con un avverbiodi luogo, mentre Quinto costruisce una subordinata relativa.

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pensare all’odio che le donne di Lemno sviluppano non tanto per le prigioniere,quanto per i mariti (A. R. 1, 612 – Q. S. 9, 340), all’assoluta efferatezza del massacroperpetrato senza alcuna pietà (A. R. 1, 609–610 – Q. S. 9, 346–347), all’audacia e allaforza d’animo che pervade le Lemnie (A. R. 1, 820, questa volta nel racconto di Ipsipile – Q. S. 9, 352), e soprattutto alla profondissima gelosia che queste provano(A. R. 1, 616 w£ méleai zäloió t’ e ¬pismugerøv a¬κórhtoi – Q. S. 9, 344–345 aiÇ dè mégazäloio perì κradíhısi pesóntov / qumòn a¬noidäsanto e 348 zhlämoni noúswı). La gelosia delle donne è un tema fondamentale su cui entrambi i narratori pongono più volte l’accento. Si tratta nel passo di Quinto, come in quello di Apollonio, di una gelosia affettiva intesa in un senso abbastanza vicino alla definizione psicologica moderna di questo sentimento17. La gelosia delle Lemnie non è quindi riducibile a unasemplice forma di invidia o di orgoglio, come ritiene Konstan18, ma rappresenta unsentimento dalle implicazioni affettive forti, che compare nella caratterizzazione psicologica di alcune figure femminili della letteratura greca – tra cui le Lemnie – e chesi presenterà poi in Medea stessa19.

La ripresa del passo apolloniano come modello-codice da parte di Quinto si lega anche strettamente ad alcuni punti chiave lessicali, che saranno in parte ripresi emodificati da Quinto per veicolare il cambiamento di prospettiva nella narrazionedella vicenda (così, come si vedrà, per l’aggettivo κourídiov, A. R. 1, 611 e 804 – Q. S. 9, 339 e 347, centrale in entrambi i testi), e che possono anche richiamare, nellestesse sedi metriche, la memoria dell’ipotesto. Ciò accade per esempio per la men-zione delle donne in due punti chiave dell’esplicitazione – inversa – della legittimitàdel rapporto coniugale (A. R. 1, 611–612 – Q. S. 9, 338–339, sulla cui costruzione speculare si vedrà infra), oppure per l’occorrenza del termine centrale a¬κoítav in

Leyla Ozbek, L’eccidio degli uomini a Lemno

17 Con il termine „gelosia“ si intende infatti per la letteratura classica una gamma di sentimenti più ampiarispetto al concetto attuale: ciò non implica naturalmente l’adesione alla tesi estrema di Konstan, secondo ilquale, dato che la cultura greca non attribuisce a zñlov o zhlotupía un significato esattamente coincidente conquello che i moderni attribuiscono al termine „gelosia“,„the very concept [sc. di gelosia] […] may have beenlacking in classical antiquity“ (Konstan 2003, 8; contro questa tesi cf. già Most 2003, 126–127); sulla diffusionee l’uso del termine zhlotupía, cf. Fantham (1986).

18 Secondo cui, dal momento che non se ne fa esplicita menzione, la gelosia delle Lemnie non riguarde-rebbe una forma di „alienation of affections“, quanto semplicemente „the dishonour (ou tieskon, 340), whichroused them to anger (thumon, 345)“ (Konstan 2003, 230 n. 4).

19 Si trovano infatti nella letteratura antica casi di gelosia femminile con un importante ingredienteamoroso-erotico. Si pensi all’Era epica, archetipo di zhlotupía, per la quale gli esempi portati da Konstan(2003) allo scopo di sminuirne la pertinenza risultano in realtà i più calzanti a descriverne proprio la gelosia.Ma a giustificare la presenza di un sentimento amoroso del genere in alcune figure femminili della letteraturagreca contribuiscono in particolare due esempi tragici, quello di Deianira e soprattutto di Medea, che è in parteil modello per la caratterizzazione psicologica della Medea delle Argonautiche: su questo ultimo punto cf. Paduano (1972). Scettico sulla presenza di rivalrous emotions come la gelosia nella letteratura tragica si mostraGoldhill (2003), con la parziale eccezione del personaggio di Deianira (p. 167): ma si vedano le considerazionidi segno opposto svolte fin da subito da Aronoff (2003).

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A. R. 1, 617 – Q. S. 9, 345, in entrambi i casi in sede metrica privilegiata, ossia a fine diverso20.

Dal punto di vista lessicale (ma non solo) l’ipotesto apolloniano risulta anche imprescindibile per la comprensione e l’interpretazione di alcuni punti poco chiari delpasso dei Posthomerica, che invece assumono un significato compiuto quando vengonoletti alla luce della relazione intertestuale. Il caso più evidente di miglioramento dellalettura del brano smirneico è rappresentato dall’interpretazione di a¬panaínetai al v. 347, ritenuto in passato così problematico da essere stato oggetto di vari emenda-menti21, del tutto superflui se si legge il testo tenendo ben presente il modello apol-loniano. Non migliori in passato sono stati i tentativi di interpretazione del passosenza emendare il verbo22: si è per esempio supposto che a¬panaínetai, che ha come soggetto h®tor ma è retto logicamente da un soggetto doppio23, reggesse un’infinitivao un oggetto sottointesi, da integrare sulla base del concetto espresso in 346–347 (ou¬d’e ¬léhsan / κouridíouv per e ¬óntav), con un significato che è quindi pressappoco,l’uomo e la donna rifiutano <la pietà, di provare pietà> quando si ammalano di gelosia‘ (così Heyne). Tuttavia, come nota Vian (1959) 169 (sulla base soprattutto diLSJ s. v.), il verbo assume spesso un significato diverso, più specifico, legato alla sferasemantica della sessualità, ossia ‚rifiutare contatti o favori sessuali‘, nel senso più ampio di rifiutare in questo ambito anche un coniuge24. Per l’interpretazione delpasso smirneico soccorre però in maniera decisiva l’ipotesto apolloniano: nel branodelle Argonautiche infatti il narratore, nella prima esposizione dedicata al massacro,indica che gli uomini ‚rifiutarono‘, a¬phnänanto (611), le loro legittime spose a favoreinvece delle schiave tracie. È proprio l’uso, in un punto chiave della narrazione diQuinto, di un termine centrale del pervasivo ipotesto di Apollonio Rodio che permette di comprendere il valore da attribuire al verbo nel passo smirneico, legatoappunto al rifiuto reciproco, dal punto di vista sessuale (e qui forse anche affettivo),che si ha tra uomo e donna quando la gelosia si instaura nel rapporto. Il senso delpasso smirneico, quindi, sotto questa luce intertestuale non risulta più problematico, e anzi assume una perspicuità maggiore: l’uso assoluto e reciproco del verbo rappre-

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20 Riguardo all’uso, per attivare la memoria del lettore, degli stessi materiali lessicali in sede metrica privi-legiata (anche in questo caso a fine di verso), questa volta però con uno shift nell’oggetto dell’espressione alloscopo di veicolare il cambiamento smirneico del punto di vista, cf. infra la discussione relativa a tíw (A. R. 1,615 – Q. S. 9, 340).

21 Cf. p. es. e ¬peí r™’ a¬griaínetai (Pauw), e ¬peì méga maínetai (Köchly), e ¬peì mála maínetai (Spitzner).22 Un regesto dei tentativi di interpretazione del brano si trova in Vian (1959) 169.23 Per un uso simile di h®tor, come nota già Vian (1959) 169, cf. Q. S. 8, 443.24 A favore del significato di „allontanamento“, „rifiuto“ dei due coniugi si era mosso in maniera embrio-

nale già Bonitz (1836) 1226 (‚respuit animus viri et mulieris, ubi in zelotypiam incidit [sc. eos]‘), che però nonaveva considerato il doppio soggetto della frase e il senso assoluto e reciproco del verbo, e quindi aveva dovutopostulare l’integrazione dell’oggetto (cf. Spitzner 1837, 1182). Tra le traduzioni-interpretazioni del passo precedenti all’analisi di Vian, merita di essere segnalata almeno anche la versione libera di Rhodomann, checerca di rendere il significato del verbo sebbene in modo molto problematico (‚quia alienissimus redditur animus viri et mulieris, quando in zelotypiae morbum inciderit‘).

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senta una forzatura sintattica di Quinto per veicolare il senso legato al campo seman-tico presente nell’ipotesto, e va dunque inteso così: ‚dal momento che l’uomo e ladonna si rifiutano, si allontanano, quando si ammalano di gelosia‘25.

3.2 L’allontanamento dal modello e il ritorno al punto di vista tradizionale sulla vicenda

Consideriamo ora meglio come Quinto Smirneo rifunzionalizzi il proprio modelloper rovesciarlo e veicolare nuovamente una visione tradizionale del mito in un passo –va ricordato – che non è parte di un contesto unitario, come nel caso delle Argo-nautiche, ma risulta del tutto separato dalla narrazione e ha valore solo in quanto ripresa erudita e modificata: in questo senso, come si noterà, si comprende meglio latecnica di modifica di Quinto, che nella maggior parte dei casi lavora per eliminazionee non per aggiunta, data la natura di excursus fine a sé stesso del brano.

A livello macronarrativo, in primo luogo scompare nella narrazione smirneica l’aggiunta innovativa di Apollonio riguardo a chi risulta colpevole di non aver offertogli onori dovuti ad Afrodite: Apollonio aveva esplicitato che si fosse trattato degli uomini (614–615), mentre Quinto omette il passaggio, evitando di menzionare lacolpa nei confronti della dea. L’excursus dei Posthomerica presenta anche un’altra fondamentale modifica che di nuovo gioca a favore della rifunzionalizzazione insenso tradizionale dell’episodio, ossia l’omissione del salvataggio di Toante da parte diIpsipile. A tal proposito, Keydell (1931) 63, sulla base del testo di Apollonio, si era addirittura spinto a ipotizzare che il brano smirneico contenesse una lacuna dopo il v. 352, là dove in origine si sarebbe dovuta trovare l’allusione a Ipsipile e Toante. Tutta-via, la mancanza di questo episodio del mito appare del tutto giustificata dalla natura edagli scopi del brano smirneico: l’inserimento di questo elemento „attenuante“ dellacolpa delle donne, che Apollonio riporta in quanto utile ai suoi scopi, risulterebbe infatti controproducente per lo scopo di Quinto, che è quello di riaffermare la colpaoriginaria delle Lemnie26.

La rifunzionalizzazione dell’ipotesto non si limita però al livello macrotestuale, mariguarda anche quello più specifico del lessico. Quinto riprende infatti una delle

Leyla Ozbek, L’eccidio degli uomini a Lemno

25 Senza prendere di fatto posizione, Vian (1959) 169 propone in coda all’ipotesi di Bonitz, citando il locusparallelus apolloniano, la lettura, che si avvicina a quella sopra offerta, ‚l’homme et la femme se refusent‘, ma lachiosa con una evidente forzatura aggiungendo ‚le divorce sépare l’homme et la femme‘. In tal modo il valoredel verbo viene parzialmente offuscato e si avvicina troppo alla sfera giuridica e legale (ancora diversa, ma non perfettamente centrata, la traduzione in Vian 1966, 193, in cui lo studioso propone ‚homme et femme serenient‘).

26 Oltretutto, come nota Vian (1966) 193, che la digressione si concluda ai vv. 350–352 è dimostrato anchedalla presenza a inizio di frase del nesso a¬ll’ ai Ç mén (350), che insieme al correlativo oiÇ dé (353) ne marca chiaramente la fine (per questo uso nei Posthomerica, in particolare a indicare la fine di una digressione, cf. 1,305–307; 6, 491–492; 10, 361–362): tale elemento consente di capire ancora meglio che la chiusura del passo inquesto punto rientra negli scopi narrativi e non è dovuta a perdite meccaniche successive.

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parole chiave del resoconto apolloniano, un termine necessario a inquadrare la vicendasecondo il punto di vista innovativo che Apollonio voleva veicolare, e la utilizza piùvolte invertendone il valore, in modo che questa possa ora risultare allo stesso tempouna delle spie della ripresa intertestuale e uno dei perni del mutato punto di vista. Si tratta dell’aggettivo κourídiov, ‚legittimo‘, attribuito a una delle due parti di un matrimonio, del quale rileva la sacralità e la legalità.

In entrambi i brani delle Argonautiche, Apollonio usa in momenti chiave il termineκourídiov, riferendolo sempre alle Lemnie (secondo l’uso più comune del termine, legato in maniera più frequente proprio alle donne, cf. LSJ s. v.), spose legittimeeppure bistrattate dai mariti: nella prima esplicitazione del ripudio delle mogli daparte dei mariti, infatti, il narratore usa appunto l’aggettivo (611 κouridíav mèna¬phnänanto gunaîκav), ripetuto poi anche dalla stessa Ipsipile per sottolineare l’odioche gli uomini ormai provavano per le mogli (804–805 dæ gàr κouridíav mèn a¬péstu-gon e ¢κ te meláqrwn / h©ı matíhı ei ¢xantev a¬pesseúonto gunaîκav). In entrambi i casi,dunque, l’utilizzo di questo aggettivo riferito alle spose rafforza la colpa dei mariti neiconfronti delle donne, offese doppiamente in quanto all’interno di un legame legit-timo e riconosciuto.

Quinto riprende due volte lo stesso aggettivo, ma ne varia decisamente la funzione:in queste due occorrenze, infatti, il termine ricorre nella sua accezione più rara, riferito non alle mogli bensì ai mariti, secondo un uso proprio delle opere omeriche,modello-codice pervasivo dei Posthomerica27. In questo punto della narrazione Quintoallude quindi chiaramente all’ipotesto apolloniano, ma ne modifica completamente ilpunto di vista. Non si tratta più infatti di una visione della vicenda solidale con ledonne, ma di un punto di vista solidale con gli uomini, trucidati barbaramente dallemogli che non hanno avuto pietà di loro nonostante si trattasse dei legittimi mariti.L’aggettivo infatti compare non appena si accenna alla vicenda di Lemno insieme al riferimento alla crudeltà del gesto (338–339): le donne – che compaiono, con un’allu-sione estremamente raffinata, nella stessa sede metrica di A. R. 1, 611 ma questa voltacome soggetto e non come oggetto – hanno macchinato a danno dei propri legittimimariti quello che è descritto dal narratore senza mezzi termini come un ai ¬nòn o¢leqron, una morte terribile (ai ¬nòn o¢leqron / a¬ndrási κouridíoisin e ¬mhtísanto gunaîκev) 28. L’accento che si dà alla colpa delle donne, velata in questo primo caso

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27 Nel caso di persone infatti il termine è riferito a uomini solo raramente, e in prevalenza nei poemi omerici (che sono i soli testi, con gli Inni omerici, ad attestare l’uso dell’aggettivo in riferimento sia a uominiche a donne, cf. LSJ e LfgrE s. v.): per il riferimento dell’aggettivo a uomini, cf. p. es. Il. 5, 414; Od. 11, 430; 15, 22; 19, 265–266; 23, 150; 24, 196; 24, 200; h. Cer. 136. Una delle poche eccezioni a questa regola è rappre-sentatata da Apollonio Rodio, che un’unica volta lo riferisce con un nesso originale ad a¬κoíthv (4, 1072, dopoaverlo usato per a¢κoitiv in 3, 243).

28 Da notare che il passo smirneico ricalca l’ipotesto apolloniano anche all’inizio del verso successivo, in cui in entrambi i casi si allude all’odio reciproco tra i due sessi: Apollonio ovviamente si concentra su quello degli uomini nei confronti delle mogli, mentre Quinto su quello delle donne nei confronti dei mariti(A. R. 1, 612 a¬nérev e ¬cqärantev – Q. S. 9, 340 e ¢κpaglon κotéousai).

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attraverso un uso modificato rispetto al modello del termine in questione, succes-sivamente si fa invece esplicito, come è proprio dell’usus smirneico. Nella sua secondaoccorrenza, infatti, l’aggettivo compare all’interno di un chiarimento da parte del narratore, che dopo aver descritto la crudeltà (a¬nhlegéwv) del massacro perpetratodalle donne con le proprie mani (345–346), aggiunge come tutto ciò sia avvenutosenza la minima pietà, nonostante le donne stessero massacrando uomini a cui eranolegate da un rapporto di matrimonio legittimo (346–347 ou¬d’ e ¬léhsan / κouridíouvper e ¬óntav). In quest’ultimo punto, quindi, secondo l’usus più spiccatamente smirneico, il narratore esplicita quello che era già stato veicolato in maniera implicita:la ripresa intertestuale e la modificazione nell’uso del termine presente nel brano apolloniano vengono quindi sottolineate chiaramente dall’ammissione della doppiacolpa delle donne lemnie, che non solo hanno ucciso, ma hanno infierito su personelegate a loro da un legame giuridico e sacrale.

Un’altra ripresa modificata di materiali lessicali riconoscibili attinti dall’ipotestoapolloniano si ha infine nel caso di un verbo che caratterizza fortemente tutta la vicenda: si tratta di tíw, che compare in entrambi i brani nell’esplicitazione di dueconcetti focali della storia, resi però opposti in virtù della modificazione smirneica delracconto. Apollonio sottolinea infatti come la causa scatenante della vicenda sia lamancanza di onori nei confronti di Afrodite, che gli uomini geráwn e ¬pì dhròn a¢tissan (615), ponendo il verbo in sede metrica privilegiata, ossia a fine di verso, perrilevarne la centralità all’interno del racconto29. Sempre di mancanza di rispetto si parlaanche nell’occorrenza dello stesso verbo nei Posthomerica: Quinto, per sottolineare laripresa del modello apolloniano, pone il verbo nella stessa sede metrica, a fine di verso,richiamando quindi a beneficio del lettore colto il modello, ma opera un cambiamentosignificativo nell’uso del termine, mantenendo lo stesso soggetto e modificandoneperò l’oggetto. Questa volta infatti non ci si riferisce ai mancati onori nei confrontidella dea, ma all’altro principale oggetto della mancanza di interesse e del disprezzodegli uomini di Lemno, ossia le loro mogli (340 e ¬peí sfeav ou¢ ti tíesκon, ora tramitela negazione del verbo nel suo significato positivo). In questo modo, Quinto richiamail modello apolloniano, ma lo modifica fortemente, avvicendando nella memoria del lettore i due grandi oggetti della mancanza di rispetto degli uomini, e quindi i principali agenti dell’eccidio efferato nei loro confronti: la dea (nella versione apollo-niana) e le donne dell’isola (nella versione „colpevolista“ smirneica).

A tutti i livelli, quindi, da quello macrotestuale a quello lessicale, si può notarecome Quinto torca in maniera abile l’ipotesto apolloniano privandolo del suo trattopiù specifico, ossia l’innovativo punto di vista solidale con le donne, lavorando suipunti chiave della narrazione delle Argonautiche, riuscendo ad attribuire a questa ripresa il punto di vista opposto, più tradizionale, del mito. L’esempio che abbiamo illustrato è dunque paradigmatico del lavoro di riscrittura e scarto osservabile nei

Leyla Ozbek, L’eccidio degli uomini a Lemno

29 Sulla particolarità dell’attribuzione della colpa dei mancati onori alla dea agli uomini e non alle donne,cf. supra e in part. n. 9.

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Posthomerica, e rivela come meglio non si potrebbe una tecnica ben precisa: Quintoriprende il modello in maniera evidente sul piano formale (ne sfrutta infatti riconoscibilipeculiarità strutturali e lessicali), ma lo modifica platealmente sul piano della sostanza,allo scopo di perseguire quel „ritorno alla tradizione“, alla versione maggioritaria letteraria e mitica, che contraddistingue sempre le scelte narrative della sua opera.

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Abstract

Quintus Smyrnaeus’ Posthomerica 9, 338–352 deals with the most famous Lämnion κaκón of the ancientmyths: the women of Lemnos, jealous of the relationships between their husbands and some Thracian slaves,killed all the male population of the island. Quintus’ story uses as an intertextual model Apollonius Rhodius’Argonautica 1, 609–632, dealing with the same episode (which is partly repeated, with some differences, in 1,793–826). The aim of this paper is not only to show the intertextual relationship between Quintus’ and Apol-lonius’ texts, but also to show how Quintus changes the innovative point of view of Apollonius (who reducesthe women’s guilt, blaming the husbands) in order to come back to the traditional “masculinist” point of view.In doing so Quintus inserts in his text some fundamental details (both lexical and narrative) of Apollonius’version, but he ingeniously modifies their functions or meanings in order to remind the readers both of Apollonius’ version and of the changes he made to it.

Keywords: Quintus Smyrnaeus, Apollonius Rhodius, Lemnian women, intertextuality

Leyla Ozbek, L’eccidio degli uomini a Lemno306