Outlet, un’Idea Made in Varese - va.camcom.it · Abbiamo invece delle difficoltà a preparare una...

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69 68 Ph. Paolo Zanzi C orreva l’anno 1992, quando l’insegna “Freeport” apparve sul gigantesco deposito Lindt di Cassano Magnago, affacciato sull’autostrada Milano-Varese. L’inizio di una nuova era. Con il Freeport, sbarcava per la prima volta da noi il cosiddet- to outlet: formula commerciale che, di lì a poco, avrebbe spopolato ovunque. All’origine di quella piccola grande rivo- luzione c’era una varesina, Caterina Carletti, oggi docente universitaria in Svizzera e presidente del Chiostro di Voltorre. Lei ha inventato l’outlet in salsa italiana… «Non ho l’abitudine di attribuirmi il merito delle idee. Solo Leonardo Da Vinci era autorizzato a farlo. Diciamo che quella dell’outlet fu un’iniziativa che costruii insieme ad altre persone, con le quali condividevo diversi obiettivi. C’era un’opportunità, rappresentata dal grande spazio che si affacciava sull’autostrada dei laghi. Era un semplice deposito Lindt, ma molti consuma- tori credevano si trattasse di una fabbrica di cioccolato. Giocando sull’attrattiva del luogo, pensammo di inserirvi un punto vendita basato su una serie di atipicità: un’ampia rosa di prodotti di marca, alimentari e non. Prezzi competitivi. Per diventa- re clienti occorreva sottoscrivere una tessera. Si trattava, insomma, di un mix tra diversi concetti commerciali: un po’ coopera- tiva, un po’ spaccio, un po’ club d’acquisto. Il tutto arricchito da orari buoni per tutte le esigenze. Aperti fino a tardi, sette giorni su sette. La formula ricordava quella dello “Shoppertainment” americano: un po’ shopping e un po’ intrattenimento…». Una formula che piacque molto ai clienti e ingolosì gli operatori, i quali presero spunto per operazioni simili. Qualche anno dopo, guarda caso, a Mendrisio nacque il FoxTown. Ciononostante il Freeport nel 2000, chiuse i battenti. Perché? «Alla Lindt servivano gli spazi occupati dal Freeport. E noi fummo costretti a traslocare. Ci serviva un’area piuttosto ampia (circa 4 mila metri quadrati). Avviammo diverse trattative sul territorio, ma non riuscimmo a trovare neanche un accordo. Nessuno ci voleva, insomma. Perciò, così come era nato, da un giorno all’altro, il nostro outlet sparì…». Possibile che il numero di clienti che il Freeport intercettava non facesse gola a nessuno? «Accadde esattamente il contrario. Davamo fastidio e la nostra chiusura fece contenti molti. La formula dell’outlet, oggi col- laudata, ma allora poco conosciuta (almeno qui da noi), scatenò parecchie ansie. L’idea dello spaccio venne vista come un attacco frontale al commercio tradizionale. Un pregiudizio che il Freeport - spazio attrattivo, multimarca e dall’invidiabile fatturato - rispecchiava appieno. La realtà dei fatti, ovviamente, era, ed è tuttora, ben diversa. Gli studi in proposito mostrano che le diverse formule distributive possono integrarsi perfettamente. E c’è di più. Molti esperti fanno notare come siano stati proprio gli outlet a favorire il rilancio commerciale di molte aree, stimolando anche la piccola e piccolissima distribuzione. Il motivo è semplice. La funzione dell’outlet, nei confronti del consumatore, è di tipo educativo. Grazie alla sua ampia scelta e ai prezzi scontati, questa formula commerciale convince il cliente ad acquistare prodotti di marca cui, normalmente, gran parte delle persone non avrebbe accesso. Così facendo, l’outlet ingenera nel consumatore una “cultura dell’acquisto” di cui benefi- ciano anche gli altri negozi della zona. E’ chiaro che, affinché il vantaggio sia davvero collettivo, occorre un adeguamento di tutti gli operatori a uno standard qualitativo più alto». Oggi il commercio è profondamente cambiato rispetto ad allora… «E’ un’osservazione che mi costringe a cambiare casacca. Non parlo più come imprenditrice, ma come docente universitario. Credo che l’avvento di internet abbia completamente stravolto il concetto di competitività e reso inutili le battaglie di retroguar- dia che pretendono di tutelare il piccolo commercio dai grandi marchi. Oggi l’unico modo per restare sul mercato è scommette- re e investire sulle proprie peculiarità, sulle proprie eccellenze. E spesso, chi ha davvero la possibilità di difendere l’eccellenza, scarica la responsabilità dei propri fallimenti su altri. Oggi il commercio è uno dei principali volani di cui dispone un territorio. La politica dovrebbe sempre inserire la vocazione commerciale in un disegno strategico più ampio, capace di valorizzare e pro- muovere le attività commerciali presenti nei centri storici. Sarebbe un approccio lungimirante, sia dal punto di vista economico, sia da quello culturale e sociale. L’invecchiamento della popolazione sta gradualmente restituendo alle città un elevato numero di anziani che preferiscono passeggiare, chiacchierare, e fare shopping, in centro. Ma l’onere non può gravare solo sugli ammi- nistratori. Gli stessi piccoli commercianti devono aggiornare la propria offerta. In termini di orari di apertura, assortimenti, prez- zi e così via. Non ultimo, è necessario che lo stesso consumatore impari a comprare meglio. Beppe Grillo sostiene che la politica si fa al supermercato. In parte è vero. Dalle scelte dei consumatori dipende gran parte dell’evoluzione dei nostri stili di vita». Prima ha citato internet. Se 10 anni fa la “rete” avesse avuto l’influenza che ha oggi, pensa che il Freeport avrebbe potuto continuare a la sua storia? Non più in uno spazio fisico, bensì on-line… «Be’, inizialmente qualcosa abbiamo anche venduto su internet. All’estero, per giunta. Ricordo che piazzammo un buon numero di gadget della Pallacanestro Varese ad alcuni clienti spagnoli. Dopodiché, in effetti, la rete non aveva ancora il peso di oggi e, comunque, avremmo dovuto ripensare tutta la nostra formula. Molti dei nostri prodotti avevano bisogno di un contatto fisico da parte del cliente. Difficilmente si sarebbero accontentati di una foto sul pc…». Resta il fatto che il Freeport chiuse… «Varese deve superare la “sindrome del pasticcino”. Quando si tratta di preparare dei dolcetti, siamo imbattibili e ne sforniamo a migliaia, uno più buono dell’altro. Abbiamo invece delle difficoltà a preparare una sola grande torta. Freeport fu una delle tante belle idee che nascono in questo territorio. Idee che, però, per crescere e affermarsi hanno bisogno di sinergie, scelte condivise e obiettivi comuni». Outlet, un’Idea Made in Varese di Matteo Inzaghi

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Ph. Paolo Zanzi

Correva l’anno 1992, quando l’insegna “Freeport” apparve sul gigantesco deposito Lindt di Cassano Magnago, affacciato sull’autostrada Milano-Varese. L’inizio di una nuova era. Con il Freeport, sbarcava per la prima volta da noi il cosiddet-to outlet: formula commerciale che, di lì a poco, avrebbe spopolato ovunque. All’origine di quella piccola grande rivo-

luzione c’era una varesina, Caterina Carletti, oggi docente universitaria in Svizzera e presidente del Chiostro di Voltorre.

Lei ha inventato l’outlet in salsa italiana…«Non ho l’abitudine di attribuirmi il merito delle idee. Solo Leonardo Da Vinci era autorizzato a farlo. Diciamo che quella dell’outlet fu un’iniziativa che costruii insieme ad altre persone, con le quali condividevo diversi obiettivi. C’era un’opportunità, rappresentata dal grande spazio che si affacciava sull’autostrada dei laghi. Era un semplice deposito Lindt, ma molti consuma-tori credevano si trattasse di una fabbrica di cioccolato. Giocando sull’attrattiva del luogo, pensammo di inserirvi un punto vendita basato su una serie di atipicità: un’ampia rosa di prodotti di marca, alimentari e non. Prezzi competitivi. Per diventa-re clienti occorreva sottoscrivere una tessera. Si trattava, insomma, di un mix tra diversi concetti commerciali: un po’ coopera-tiva, un po’ spaccio, un po’ club d’acquisto. Il tutto arricchito da orari buoni per tutte le esigenze. Aperti fino a tardi, sette giorni su sette. La formula ricordava quella dello “Shoppertainment” americano: un po’ shopping e un po’ intrattenimento…».

Una formula che piacque molto ai clienti e ingolosì gli operatori, i quali presero spunto per operazioni simili. Qualche anno dopo, guarda caso, a Mendrisio nacque il FoxTown. Ciononostante il Freeport nel 2000, chiuse i battenti. Perché? «Alla Lindt servivano gli spazi occupati dal Freeport. E noi fummo costretti a traslocare. Ci serviva un’area piuttosto ampia (circa 4 mila metri quadrati). Avviammo diverse trattative sul territorio, ma non riuscimmo a trovare neanche un accordo. Nessuno ci voleva, insomma. Perciò, così come era nato, da un giorno all’altro, il nostro outlet sparì…».

Possibile che il numero di clienti che il Freeport intercettava non facesse gola a nessuno?«Accadde esattamente il contrario. Davamo fastidio e la nostra chiusura fece contenti molti. La formula dell’outlet, oggi col-laudata, ma allora poco conosciuta (almeno qui da noi), scatenò parecchie ansie. L’idea dello spaccio venne vista come un attacco frontale al commercio tradizionale. Un pregiudizio che il Freeport - spazio attrattivo, multimarca e dall’invidiabile fatturato - rispecchiava appieno. La realtà dei fatti, ovviamente, era, ed è tuttora, ben diversa. Gli studi in proposito mostrano che le diverse formule distributive possono integrarsi perfettamente. E c’è di più. Molti esperti fanno notare come siano stati proprio gli outlet a favorire il rilancio commerciale di molte aree, stimolando anche la piccola e piccolissima distribuzione. Il motivo è semplice. La funzione dell’outlet, nei confronti del consumatore, è di tipo educativo. Grazie alla sua ampia scelta e ai

prezzi scontati, questa formula commerciale convince il cliente ad acquistare prodotti di marca cui, normalmente, gran parte delle persone non avrebbe accesso. Così facendo, l’outlet ingenera nel consumatore una “cultura dell’acquisto” di cui benefi-ciano anche gli altri negozi della zona. E’ chiaro che, affinché il vantaggio sia davvero collettivo, occorre un adeguamento di tutti gli operatori a uno standard qualitativo più alto».

Oggi il commercio è profondamente cambiato rispetto ad allora… «E’ un’osservazione che mi costringe a cambiare casacca. Non parlo più come imprenditrice, ma come docente universitario. Credo che l’avvento di internet abbia completamente stravolto il concetto di competitività e reso inutili le battaglie di retroguar-dia che pretendono di tutelare il piccolo commercio dai grandi marchi. Oggi l’unico modo per restare sul mercato è scommette-re e investire sulle proprie peculiarità, sulle proprie eccellenze. E spesso, chi ha davvero la possibilità di difendere l’eccellenza, scarica la responsabilità dei propri fallimenti su altri. Oggi il commercio è uno dei principali volani di cui dispone un territorio. La politica dovrebbe sempre inserire la vocazione commerciale in un disegno strategico più ampio, capace di valorizzare e pro-muovere le attività commerciali presenti nei centri storici. Sarebbe un approccio lungimirante, sia dal punto di vista economico, sia da quello culturale e sociale. L’invecchiamento della popolazione sta gradualmente restituendo alle città un elevato numero di anziani che preferiscono passeggiare, chiacchierare, e fare shopping, in centro. Ma l’onere non può gravare solo sugli ammi-nistratori. Gli stessi piccoli commercianti devono aggiornare la propria offerta. In termini di orari di apertura, assortimenti, prez-zi e così via. Non ultimo, è necessario che lo stesso consumatore impari a comprare meglio. Beppe Grillo sostiene che la politica si fa al supermercato. In parte è vero. Dalle scelte dei consumatori dipende gran parte dell’evoluzione dei nostri stili di vita».

Prima ha citato internet. Se 10 anni fa la “rete” avesse avuto l’influenza che ha oggi, pensa che il Freeport avrebbe potuto continuare a la sua storia? Non più in uno spazio fisico, bensì on-line… «Be’, inizialmente qualcosa abbiamo anche venduto su internet. All’estero, per giunta. Ricordo che piazzammo un buon numero di gadget della Pallacanestro Varese ad alcuni clienti spagnoli. Dopodiché, in effetti, la rete non aveva ancora il peso di oggi e, comunque, avremmo dovuto ripensare tutta la nostra formula. Molti dei nostri prodotti avevano bisogno di un contatto fisico da parte del cliente. Difficilmente si sarebbero accontentati di una foto sul pc…».

Resta il fatto che il Freeport chiuse…«Varese deve superare la “sindrome del pasticcino”. Quando si tratta di preparare dei dolcetti, siamo imbattibili e ne sforniamo a migliaia, uno più buono dell’altro. Abbiamo invece delle difficoltà a preparare una sola grande torta. Freeport fu una delle tante belle idee che nascono in questo territorio. Idee che, però, per crescere e affermarsi hanno bisogno di sinergie, scelte condivise e obiettivi comuni».

Outlet, un’Idea Made in Varesedi Matteo Inzaghi

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Ph. Paolo Zanzi

struggles aimed at protecting small trade from notorious brands. Today the only way to remain in the market is to bet and invest in our peculiarities and excellences. In fact people that really have the possibility to protect the excellence often take the responsibility of their failures on the others. Nowadays commerce is one of the main weapons of a land. Politics should always include commercial vocation in a wider strategic plan, able to improve and promote the trade activities of the historical centres. This could be a far-seeing approach, both from the economic point of view and from the cultural and social one. Community’s ageing is gradually giving towns a high number of elderly people back, that prefer to go for a walk, to chat and to go shopping in the centre. But this task cannot bear only upon administrators. Small traders have to update their offer too, as concerns opening times, choice, prices and so on. Finally it is necessary that the same customer learns to buy in a better way. Beppe Grillo affirms that politics is played in supermarket. This is partly true. The evolution of our life-styles mainly derives from the choices of the consumers».You previously spoke about Internet. If ten years ago the web had the actual influence do you think that Freeport could survive? I do not refer to a physical reality, but to an on line space…«Well, at the beginning we also sold something through Internet. Abroad, in the bargain. I remember that we sold a good number of gadgets of Varese Basketball Team to some Spanish customers. But after that we understood that the web had not the actual weight yet and however we should modify all our system. Many of our items needed a physical contact with customers that could hardly be content to see a photo of the product on a web site…».But Freeport was closed…«Varese must win its “petit four” syndrome. When we have to cook desserts we are unbeatable and we prepare thousands of sweets, one better than the previous ones. On the contrary we have difficulties in preparing a big cake. Freeport was one of the wide range of ideas promoted in our land. However these ideas can improve and develop only with synergies, shared choices and common aims».

It was in the year 1992 that the sign “Freeport” appeared on the wall of the big store Lindt of Cassano Magnago, just in front of the subway Milan-Varese. This was the

beginning of a new époque. Thanks to Freeport an outlet was opened for the first time, inaugurating a commercial solution that rapidly became very successful everywhere. The author of this great revolution comes from Varese. Her name is Caterina Carletti, now university professor in Switzerland and president of the Voltorre Cloister.You invented the outlet in Italian style…«I am not in the habit of taking the credit for new ideas. The only one who could do it was Leonardo Da Vinci. I developed the idea of the outlet together with other people, with whom I shared several objectives. The big store situated in front of the subway (Autostrada dei Laghi) offered this opportunity. This was a simple Lindt store, but sev-eral customers thought it was a chocolate factory. We played on the attractiveness of its location and decided to open a point of sale based on several atypical elements, that is a wide range of branded products, food or not ones. The prices were competitive. You had to ask the card of the outlet to become its customer. In other words this outlet mixed several commercial concepts: It was a cooperative store, but also an outlet and a club for purchases. Besides the outlet’s opening and closing times satisfy every type of need. It is opened till late, every day of the week. This initiative reminded the American Shoppertainment, that combined shopping with entertainment…».This idea was particularly appreciated by customers, that were inspired by similar initia-tives. As chance would have it, some years later the outlet FoxTown opened in Mendrisio. In spite of this Freeport closed in 2000. Why?«Lindt needed the rooms used by Freeport. Therefore we had to move. We needed a wide area (about 4 thousand square metres). We entered into negotiations with other subjects operating in our land, but we could not reach any agreement. In other words no one wanted us. Therefore as it opened the outlet rapidly disappeared…». Why did no one take into account the high number of customers that Freeport could attract?«In fact no one considered it. We were a nuisance and a lot of people were happy when we closed the outlet. This latest formula is nowadays well-tested. But in that period it was not particularly known, especially in our land. Therefore it caused several worries. The outlet was seen as a frontal attack to traditional commerce. With reference to its attractive and multi-branded space, as well as to its enviable turnover, this prejudice reflected Freeport completely. In reality the situation was and still is very different. Studies on the matter demonstrate that different distributive schemas can perfectly be integrated. Moreover many experts notice that the outlets favoured the commercial re-launch of many areas, promoting small and very small distribution too. The reason is clear. The function of the outlet is to educate customers. Thanks to its wide choice and to its discounted prices this commercial system induces the customer to buy branded products, that are generally not accessible to many people. In this way the outlet develops a customers’ purchasing culture, that gives benefits to the other shops of the area too. It is clear that the advantage can be collective only if all operators adapt to a higher qualitative standard». If compared with that period we can say that trade is now deeply changed…«This observation forces me to change my professional position. Now I do not speak as entrepreneur, but as university professor. In my opinion Internet has completely changed the concept of competitiveness and made every rearguard effort be useless. I refer to those

Outlet, a “Made in Varese” idea