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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE Dipartimento di Ingegneria e Architettura CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA CLINICA TESI DI LAUREA IN COMPLEMENTI DI STRUMENTAZIONE BIOMEDICA OTTIMIZZAZIONE DELLA QUALITA’ DI IMMAGINI MRI AD ALTA RISOLUZIONE PER LO STUDIO DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER Laureanda Relatore Valentina Mancarella Prof.ssa Renata Longo Correlatore Dott. Francesco Brun Anno accademico 2012/2013

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE

Dipartimento di Ingegneria e Architettura

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA CLINICA

TESI DI LAUREA

IN

COMPLEMENTI DI STRUMENTAZIONE BIOMEDICA

OTTIMIZZAZIONE DELLA QUALITA’ DI IMMAGINI MRI

AD ALTA RISOLUZIONE PER LO STUDIO DELLA

MALATTIA DI ALZHEIMER

Laureanda Relatore

Valentina Mancarella Prof.ssa Renata Longo

Correlatore

Dott. Francesco Brun

Anno accademico 2012/2013

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“Una volta Marina mi disse che ricordiamo

solo quello che non è mai accaduto.”

Da “Marina” di Carlos Ruiz Zafòn

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INDICE

1. INTRODUZIONE .....................................................................................................................9

2. L’ALZHEIMER E I SUOI STUDI ......................................................................................... 12

2.1 La malattia di Alzheimer ......................................................................................................... 12

2.2 L’analisi Longitudinale ........................................................................................................... 16

2.3 Workflow automatico “MIND” ............................................................................................... 19

2.3.1 Il Denoising ...................................................................................................................... 19

2.3.2 La Co-registrazione .......................................................................................................... 21

2.3.3 La Normalizzazione .......................................................................................................... 22

2.3.4 L’estrazione delle “scatole” ippocampali ......................................................................... 24

3. INTENSITY INHOMOGENEITY ......................................................................................... 26

3.1 La Risonanza Magnetica Nucleare ........................................................................................... 26

3.2 Intensity Inhomogeneity .......................................................................................................... 27

3.2.1 Le Sorgenti e i Modelli di IIH ........................................................................................... 28

3.3 La classificazione dei Metodi di Correzione ............................................................................ 32

3.3.1 I metodi Prospettici .......................................................................................................... 32

3.3.2 I metodi Retrospettivi ........................................................................................................ 33

3.4 Misure Preliminari su Oggetto test........................................................................................... 36

4. MATERIALI E METODI ...................................................................................................... 45

4.1 Il campione di studio ............................................................................................................... 45

4.1.1 Il protocollo MP-RAGE .................................................................................................... 46

4.1.2 Il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione ............................................................................ 48

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4.2 I Software di Correzione.......................................................................................................... 49

4.2.1 SPM5 ............................................................................................................................... 50

4.2.2 BRAINSUITE ................................................................................................................... 52

4.3 Il Sistema di Confronto ........................................................................................................... 54

4.4 I Riferimenti Assoluti nell’immagine ....................................................................................... 56

4.5 La Calibrazione con Riferimenti Assoluti ................................................................................ 61

5. RISULTATI ............................................................................................................................ 64

5.1 Le Correzioni di Intensity Inhomogeneity ................................................................................ 64

5.2 La Correzione SPM5 su MP-RAGE MRI ................................................................................ 68

5.3 La Correzione SPM5 su HR MRI ............................................................................................ 70

5.4 Confronto tra MP-RAGE e HR MRI ....................................................................................... 72

5.5 La Normalizzazione con Nuovo Oggetto di Calibrazione ......................................................... 73

6. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI........................................................................................ 81

APPENDICE ................................................................................................................................... 85

A.1 La Risonanza Magnetica Nucleare .......................................................................................... 85

A.1.1 Preludio all’Imaging di Risonanza Magnetica .................................................................. 85

A.1.2 La generazione del segnale RM ........................................................................................ 89

A.1.3 La localizzazione del segnale RM ..................................................................................... 93

A.1.4 La formazione dell’immagine MRI ................................................................................... 99

A.2 Procedure di Installazione e Accettazione di apparecchiature di RM ..................................... 102

A.2.1 Le Procedure d’installazione .......................................................................................... 102

A.2.2 Le Procedure d’accettazione .......................................................................................... 109

A.3 Lo standard DICOM ............................................................................................................. 113

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA .............................................................................................. 117

RINGRAZIAMENTI .................................................................................................................... 125

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1. INTRODUZIONE

Negli ultimi anni, le tecniche di imaging del sistema nervoso centrale e del cervello in

particolare, hanno assunto un ruolo sempre più decisivo in ambito clinico, come strumenti in

grado di permettere la visualizzazione in vivo delle strutture neuro-anatomiche e di rilevarne

cambiamenti morfologici o funzionali, permettendo così la diagnosi e la prognosi di malattie

cerebrali. Una delle tecniche di neuroimaging di maggior rilevanza, in questo contesto, è

l’imaging di Risonanza Magnetica (RM) Nucleare. Una sfida importante nel campo della

medicina attuale è la diagnosi precoce della Malattia di Alzheimer. Le immagini di RM (o

MRI – Magnetic Resonance Imaging) possono evidenziare l’atrofia dei tessuti cerebrali,

causata dalla malattia stessa, e la letteratura scientifica evidenzia che nei malati di Alzheimer,

l’atrofia ha in genere una diffusione nel cervello non uniforme ed interessa in primis le

strutture anatomiche dei lobi temporali e dell’ippocampo; ed è per tale motivo che

l’ippocampo è ritenuto un promettente biomarker per la valutazione dell’Alzheimer. Una linea

di sviluppo di metodi di diagnosi precoce si basa quindi sulle immagini di RM, ed ha portato

alla nascita di ampie collaborazioni internazionali per la raccolta di tali immagini insieme a

dati clinici e biochimici, da rendere disponibili ai gruppi di ricerca.

Per studiare l’evoluzione della malattia, si segue l’analisi longitudinale, ovvero l’osservazione

della patologia nel tempo, basata sul confronto di immagini di RM dello stesso paziente

acquisite in tempi diversi, a distanza di 6 mesi l’una dall’altra per esempio, per valutarne i

cambiamenti morfologici causati dall’atrofia cerebrale. L’intento è quello di verificare se tale

atrofia anticipa il presentarsi dei sintomi della malattia di Alzheimer. Poiché le terapie attuali

hanno solo la capacità di rallentare l’evoluzione della malattia, la diagnosi precoce è l’unico

strumento per garantire la qualità della vita del paziente. In quest’ottica di analisi

longitudinale, è stata sviluppata una procedura automatica di elaborazione delle immagini

MRI, in grado di estrarre le informazioni anatomiche della sola regione ippocampale del

cervello così che le “scatole”, o “box”, ippocampali estratte dalle immagini ripetute, possano

essere analizzate per valutare l’evoluzione della degenerazione neuronale. Questa pipeline

automatica è stata implementata dal progetto MIND (Medical Imaging for Neurodegenerative

Diseases) dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) sezione di Genova e permette di

estrarre da un’immagine volumetrica del cervello intero la sola area anatomica relativa

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all’ippocampo per poi svolgere analisi statistiche sul suo grado di atrofia e sulla velocità della

stessa.

Dagli studi condotti sui grandi database di immagini si dimostra che le immagini RM dello

stesso soggetto sano (ossia senza alcuna patologia cerebrale) acquisite in momenti diversi,

anche a poca distanza l’una dall’altra, risultano non essere perfettamente sovrapponibili. Per

poter allora utilizzare con successo le procedure automatiche appena descritte, in ambito

clinico, come strumenti di supporto alla diagnosi radiologica, occorre ridurre queste

variabilità. In termini di analisi longitudinale, è necessario che dal confronto di immagini

ripetute nel tempo dello stesso paziente le differenze riscontrate siano imputabili ad effettive

variazioni della morfologia delle strutture cerebrali e non alle incertezze sulle misure o agli

artefatti che degradano le immagini stesse.

Per affrontare tale problematica, l’INFN, sezione di Trieste e di Genova, e l’Università degli

studi di Trieste hanno recentemente sviluppato una nuova sequenza di acquisizione di

immagini RM ad Alta Risoluzione (High Resolution, HR) per ottenere immagini ad alto

contrasto e ad alta risoluzione spaziale (0.60 x 0.60 x 0.59 mm3), centrate sulle regioni

ippocampali e paraippocampali del cervello. Aumentare la risoluzione spaziale significa

incrementare il numero di pixel dal contenuto omogeneo permettendo così di apprezzare

meglio i dettagli anatomici e ottenere maggiori informazioni morfologiche.

Lo scopo del presente lavoro di tesi è l’ottimizzazione della qualità delle immagini HR

acquisite con questo nuovo protocollo. Per raggiungere tale obiettivo si sono seguite due

strade: la prima rivolta a correggere la disomogeneità di segnale che altera l’immagine di RM,

definita Intensity Inhomogeneity (IIH), applicando metodi proposti dalla letteratura ed

implementati da software di correzione. La seconda strada punta alla definizione di una nuova

procedura di normalizzazione dei toni di grigio dell’immagine, applicabile alle HR, che si

basi su riferimenti assoluti presenti nell’immagine stessa con la realizzazione di un apposito

oggetto di calibrazione.

Pertanto in questo lavoro di tesi, il secondo capitolo è dedicato alla presentazione della

malattia di Alzheimer e del progetto MIND dell’INFN. In particolare verrà presentata la

tecnica di analisi delle immagini sviluppata per la valutazione dell’ippocampo e della sua

degenerazione. Di questa procedura verranno analizzati alcuni punti critici, oggetto di questo

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lavoro di tesi: la correzione per gli artefatti da disomogeneità del segnale e la calibrazione di

toni di grigio per permettere confronti quantitativi tra le immagini.

Il capitolo successivo è dedicato alla correzione delle immagini per l’artefatto della Intensity

Inhomogeneity. Sarà quindi introdotto il problema della stima e della correzione della IIH,

saranno descritti i metodi di correzione proposti in letteratura e sarà presentato uno studio

preliminare su immagini di oggetti test acquisiti per questa tesi.

Il capitolo 4 è dedicato alla presentazione del sistema RM utilizzato in questo lavoro di tesi,

delle sequenze di acquisizione, del gruppo di volontari studiato e dei SW di correzione

utilizzati. Viene inoltre presentato un nuovo fantoccio di calibrazione sviluppato per la

correzione dei toni di grigio.

Nel capitolo 5 sono presentati i risultati relativi al pre-processing di correzione della IIH e al

suo contributo alla correlazione tra le scatole dell’ippocampo ripetute sui volontari sani. E

inoltre vengono presentati i primi risultati ottenuti con il nuovo metodo di calibrazione basato

su riferimenti assoluti presenti nell’immagine grazie al nuovo fantoccio sviluppato. Questa

metodica viene proposta come un valido metodo alternativo al criterio di normalizzazione

attualmente utilizzato dalla pipeline automatica MIND, basato sulla definizione di toni di

grigio di un cervello standard di riferimento, che quindi non tiene conto della variabilità

interindividuale.

Il capitolo conclusivo riassume e discute i risultati ottenuti ed indica l’evoluzione della ricerca

che sembra pronta alla fase di studio clinico.

In Appendice, a completamento della presentazione della strumentazione per imaging di RM,

si riporta un estratto della relazione di tirocinio universitario svolto dalla laureanda,

riguardante le procedure d’installazione e accettazione di apparecchiature per imaging di

Risonanza Magnetica Nucleare.

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2. L’ALZHEIMER E I SUOI STUDI

2.1 La malattia di Alzheimer

La malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease AD), detta anche morbo di Alzheimer [1], è la

forma di demenza degenerativa invalidante più comune, con esordio prevalentemente senile.

La sua ampia e crescente diffusione nella popolazione, la non efficacia delle terapie

disponibili e l’elevate risorse necessarie per la sua gestione (sociali, emotive ed economiche

che gravano in gran parte sui familiari dei malati), la rendono una delle patologie a più grave

impatto sociale del Mondo [2][3]; in Italia ne soffrono circa 492.000 persone e 26,6 milioni

nel Mondo, secondo lo studio della Johns Hopkins Bloomberg “School of Public Health” di

Baltimora (USA). Tali dati sono destinati a crescere nei prossimi anni a causa

dell’innalzamento dell’età media della popolazione. Viene anche definita demenza di

Alzheimer essendo un deterioramento cognitivo cronico progressivo e tra tutte le demenze è

la più comune con 80-85% di tutti i casi totali.

La patologia è stata decritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neurologo tedesco

Aloysius Alzheimer (Marktbreit 1864 – Breslavia 1915), a seguito del caso di una sua

paziente, la signora Auguste Deter, di 51 anni. Nel corso della visita, le mostrò diversi oggetti

e poco dopo le domandò cosa le era stato mostrato, Lei però non poteva ricordare.

Inizialmente registrò il suo comportamento come “disordine di amnesia”, ma in seguito la

signora Deter fu la prima paziente alla quale venne diagnosticata la malattia di Alzheimer.

Anche se il decorso clinico della malattia è in parte specifico per ogni individuo, la patologia

causa diversi sintomi comuni alla maggior parte dei pazienti. I primi sintomi osservabili sono

spesso erroneamente considerate problematiche legate all’età, o manifestazioni di stress.

Quando s’ipotizza presenza di Alzheimer, la diagnosi viene confermata tramite specifici test

cognitivi e comportamentali, seguiti da indagini cliniche su immagini cerebrali. Normalmente

le fasi dell’evoluzione della malattia di Alzheimer sono tre. La prima fase è caratterizzata da

un calo degli interessi e della memoria di lieve entità, che significa l’incapacità di acquisire

nuovi ricordi e la difficoltà nel ricordare eventi osservati recentemente (ricordare cosa si è

mangiato a pranzo, cosa si è fatto durante il giorno, ricordare l’immediato futuro, come andare

a un appuntamento). Nella seconda fase il calo delle capacità cognitive è più evidente e si

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manifestano deficit dell’attenzione, della capacità critica e di giudizio; la perdita della

memoria arriva a colpire anche la memoria retrograda (riguardanti fatti della vita passata). Al

termine di questa fase si presentano problemi nell’orientamento, nello scrivere e nel leggere,

nel comprendere e pronunciare parole. La terza fase è quella in cui si hanno gravi disturbi

della memoria a breve e a lungo termine, totale incapacità di riconoscere volti, difficoltà a

compiere movimenti, a mangiare e a deglutire. Nelle fasi intermedie possono manifestarsi

problematiche comportamentali (vagabondaggio, coazione a ripetere movimenti o azioni,

reazioni comportamentali incoerenti) o psichiatriche (confusione, ansia, depressione, deliri e

allucinazioni).

Con l’invecchiamento naturale, il cervello va incontro a modifiche anatomo-funzionali non

molto diverse da quelle che si determinano alla presenza della malattia di Alzheimer.

Fisiologicamente si ha una perdita graduale della sostanza cerebrale con conseguente

riduzione del peso e del volume del cervello, tuttavia in presenza della malattia, questa perdita

è molto più marcata (figura 2.1).

La letteratura medica [5] mette in evidenza che nei malati di AD, l’atrofia ha in genere una

diffusione nel cervello non uniforme ed interessa le strutture anatomiche dei lobi temporali e

in particolare l’ippocampo. L’ippocampo (destro e sinistro) è una struttura fondamentale nei

meccanismi di memoria, ed è quella che risente più precocemente degli effetti della malattia

di Alzheimer (figura 2.2). Un cervello umano è costituito da circa cento miliardi di neuroni

Figura 2.1: Confronto tra il cervello di un soggetto sano (a sinistra) e di un soggetto

malato di Alzheimer (a destra), di pari età.

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comunicanti attraverso il sistema di connessione, chiamato sinapsi (regione in cui un

terminale assonale incontra la sua cellula bersaglio) [8], attraverso il quale si propagano i

segnali nervosi. Studi medici in ambito di AD sostengono che la causa del deterioramento

delle cellule nervose sia un frammento proteico chiamato beta-amolide, responsabile della

formazione di depositi amiloidi che gradualmente si accumulano e vanno ad interferire con

l’attività delle cellule cerebrali causandone il deterioramento e successivamente la morte. In

particolare vengono danneggiate le sinapsi celebrali, con una notevole perdita delle funzioni

collegate ai processi cognitivi e alla memoria.

Il fattore di rischio maggiore per lo sviluppo della patologia è l’età. Nella maggior parte dei

casi, la prima manifestazione dei sintomi caratterizzanti l’AD avviene in età superiore a 65

anni, ma è lecito ipotizzare che l’inizio vero e proprio avvenga ad età inferiore ma in modo

silente, senza manifestazione di sintomi.

La diagnosi dell’AD si basa, inizialmente, sulla valutazione di sintomi neurologici e

comportamentali legati a disturbi sulla memoria, del linguaggio e della percezione spaziale.

Ad oggi gli esami neuropsicologici sono l’unico criterio clinico riconosciuto per la diagnosi

della patologia. Tale esame consiste nel sottoporre il paziente ad una serie di test con lo scopo

di verificarne le capacità cognitive. Per quanto la neuropsicologia abbia una lunga tradizione e

sia migliorata nei metodi e nell’analisi dei dati, essa richiede un’interazione diretta medico

paziente, che molto spesso è difficile rendere standard tra i diversi casi clinici. Per stabilire dei

criteri diagnostici più oggettivi ed uniformi si ricorre spesso all’utilizzo di esami neurologici,

tipicamente Tomografia ad Emissione di Protoni (PET, Positron Emission Tomography) e

Risonanza Magnetica (RM). Attraverso lo studio d’immagini di RM è possibile individuare la

malattia anche negli stadi iniziali e distinguere forme lievi da forme più gravi della stessa,

valutando il livello di atrofia cerebrale (figura 2.3).

Attualmente non esiste una cura per la malattia di Alzheimer; gli unici interventi medici

palliativi eseguibili hanno lo scopo di rallentare il più possibile l’avanzare della malattia e di

ridurre gli effetti dei sintomi, garantendo il più possibile al paziente uno stile di vita autonomo

e dignitoso.

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Figura 2.3: Confronto tra l’atrofia dovuta al naturale invecchiamento (sinistra)

e quella patologica (destra).

Figura 2.2: Lobo temporale e ippocampo.

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2.2 L’analisi Longitudinale

Negli ultimi anni le tecniche avanzate d’indagini morfologiche hanno permesso lo sviluppo di

nuovi metodi diagnostici e chirurgici. In particolare, le immagini digitali hanno dato la

possibilità di ottenere informazioni sia quantitative, come volumi, aree e distanze, sia la

realizzazione di una rete multimediale di condivisione delle immagini. L’imaging di

Risonanza Magnetica (RM) Nucleare è parte integrante del processo di valutazione clinica dei

pazienti con sospetta malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD). La letteratura medica

considera l’atrofia di alcune strutture del lobo temporale come un valido marcatore

diagnostico in fase di lieve alterazione cognitiva e l’imaging di RM è in grado di evidenziare

le caratteristiche tipiche della patologia.

La ricerca di nuovi biomarker dell’AD, ha lo scopo di permettere una diagnosi quanto più

precoce possibile, quando la patologia è ancora asintomatica [7] e quindi segnare l’inizio di

un eventuale trattamento. In questo contesto, trova un ruolo fondamentale l’Analisi

Longitudinale delle immagini RM dell’encefalo di soggetti a rischio di AD. Quest’analisi

consiste nell’osservazione nel tempo dell’evoluzione della degenerazione dei tessuti cerebrali,

valutando l’atrofia su immagini di RM.

Nella pratica clinica i pazienti vengono classificati in tre gruppi: Sani (detti anche controlli),

Mild Cognitive Impairment (MCI) e soggetti affetti da demenza (AD). Chi appartiene al

gruppo MCI manifesta un deficit cognitivo lieve e rappresenta uno stato intermedio tra una

situazione di normali capacità cognitive e di demenza; tuttavia l’appartenenza a questo gruppo

non implica lo svilupparsi della demenza. Al gruppo AD appartengono tutti i soggetti affetti

da malattia di Alzheimer con severi deficit cognitivi e funzionali. La figura 2.4 mette in

evidenza come alcuni test di memoria e di linguaggio siano sensibili in modo diverso nei

differenti stati della malattia e quindi la loro utilità per la diagnosi cambia a seconda dello

stato di avanzamento della patologia. I test di memoria sono utili per la diagnosi nella fase

MCI, perché i risultati variano sensibilmente con l’avanzare della malattia, ma sono meno

utili nel monitorarne l’avanzamento nella fase di demenza. I risultati dei test di comprensione

verbale iniziano a cambiare più tardi nel corso della malattia, durante la fase MCI mostrano

una lieve o nessuna compromissione (4), quindi non possono essere usati in fase di diagnosi.

Questi test diventano più sensibili in fase di demenza, quando risentono di un rapido

cambiamento con l’avanzare della malattia (5).

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Uno degli obiettivi dell’analisi longitudinale per l’AD è ricercare nuovi marcatori biologici

che siano in grado di discriminare i soggetti sani dai malati, già nella fase asintomatica della

malattia. La figura 2.5, ottenuta tramite studi longitudinali e valutazioni statistiche, evidenzia

le curve di sensibilità attese per alcuni indici morfologici. Si può osservare come alcuni di

questi indicatori siano sensibili al progredire della patologia già anni prima della comparsa dei

primi sintomi [23]. Queste considerazioni indicano che sia possibile trovare un metodo,

basato sui dati clinici e sulle neuro immagini, in grado di fornire delle informazioni relative

alla malattia di Alzheimer in tempi antecedenti alla comparsa dei sintomi.

Figura 2.4: Andamento temporale dell’efficacia dei test neuropsicologici nei vari

stadi della malattia di Alzheimer.

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Figura 2.5 :Ipotesi della capacità discriminante dei marcatori morfologici e funzionali

nei vari stadi della malattia di Alzheimer.

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2.3 Workflow automatico “MIND”

Per studiare l’evoluzione della malattia, si segue l’Analisi Longitudinale, ovvero

l’osservazione della patologia nel tempo, e basata sul confronto di immagini di RM dello

stesso paziente acquisite in tempi diversi, a distanza di 6 mesi l’una dall’altra per esempio, per

valutarne i cambiamenti morfologici causati dall’atrofia cerebrale. In quest’ottica di analisi

longitudinale è stata sviluppata una procedura automatica di elaborazione delle immagini di

RM, in grado di estrarre le informazioni anatomiche della sola regione ippocampale del

cervello, così che le “scatole”, o “box”, ippocampali estratte dalle immagini ripetute possano

essere confrontate per valutare l’evoluzione della degenerazione neuronale. Questa pipeline

automatica è stata implementata dal progetto MIND (Medical Imaging for Neurodegenerative

Diseases) dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) sezione di Genova, e permette di

estrarre da un’immagine a cervello intero la sola area anatomica relativa all’ippocampo.

Durante il processo le immagini subiscono diversi trattamenti (definiti pre-processing) per

raggiungere un buon grado di omogeneità e rendere possibile il confronto tra le stesse. Il

trattamento di pre-processing conta tre operazioni fondamentali:

1. Denoising

2. Co-registrazione

3. Normalizzazione

Successivamente, le immagini sono “pronte” per l’estrazione della box ippocampale.

2.3.1 Il Denoising

La riduzione del rumore introdotto in fase di acquisizione, permette di migliorare il rapporto

segnale rumore e uniformare la qualità delle immagini provenienti anche da apparecchiature

diverse. Per ridurre il rumore si applica un filtro piramidale agente nello spazio delle

frequenze tramite una trasformata Wavelet particolare [24] invariante per rotazioni e

traslazioni. Per eseguire il denoising (figura 2.6) si sceglie un valore di soglia sotto al quale

gli artefatti dell’immagine si assumano attribuibili al rumore. Tale soglia viene individuata

tramite lo Structural Similiraty Index (SSI) [25], che misura la similarità delle strutture,

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dell’intensità e del contrasto tra l’immagine prima e dopo l’applicazione del filtro. Per ogni

direzione dello spazio, e per ogni slice, si applica il filtro. Le tre immagini filtrate sono poi

fuse in un’immagine “media” per migliorare il rapporto segnale-rumore. Per stabilire la soglia

di rumore, l’idea è di preservare le strutture dell’immagine, perciò si utilizza il SSI tra

l’immagine grezza e quella filtrata, calcolando la derivata prima, la derivata seconda e il

punto di flesso della funzione SSI e il valore della soglia quindi è definito come il punto

medio tra lo zero della derivata prima e il punto di flesso. Il risultato di questo processo è

mostrato in figura 2.7.

Figura 2.6: Il processo di Denoising.

Figura 2.7: esempio del risultato del processo di denoising su un’immagine sagittale

dell’ippocampo destro: immagine originale (a sinistra) e corretta dal rumore (a destra).

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2.3.2 La Co-registrazione

Una volta che le immagini sono state pulite da artefatti dovuti al rumore, devono essere

necessariamente allineate per poter rendere automatica l’individuazione e l’estrazione delle

varie strutture. Il processo di co-registrazione è una mappatura di un’immagine “mobile”

rispetto un’altra “fissa” di riferimento (o template). La necessità di questa fase è che si

vogliono confrontare tra loro i singoli voxel di più immagini di RM per paziente, perciò questi

devono essere più allineati possibile. Il procedimento ricerca una trasformazione spaziale che

esegue la mappatura dei punti di ogni immagine sugli omologhi dell’immagine di riferimento

che nel caso in esame è il volume ICBM152, definito dal Montreal Neurological Institute

(MNI) (figura 2.8). Oltre alla trasformazione (per esempio rigida, affine, deformabile), il

processo definisce una metrica (per esempio somma dei quadrati delle differenze delle

intensità, cross-correlazione) e un processo di ottimizzazione. Nel contesto di lavoro la

trasformazione è a 12 parametri che definiscono i gradi di libertà, di cui 3 corrispondono alla

traslazione, 3 alla rotazione, 3 all’applicazione di una dilatazione su ogni asse e 3

all’applicazione di trasformazioni trasversali (figura 2.9).

Figura 2.8: Il template ICBM152.

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2.3.3 La Normalizzazione

La procedura di normalizzazione ha lo scopo di uniformare i valori dei livelli di grigio delle

immagini, in modo tale che in ogni immagine vengano associati ai tessuti come materia

bianca, grigia o liquido cerebrale, gli stessi valori di grigio. Per fare questo, la procedura

automatica considera una regione del cervello come riferimento, per esempio il corpo calloso,

facilmente riconoscibile e contenete tutti i tre tipi di tessuto appena elencati. La regione scelta

nell’immagine di riferimento, il template ICBM152 (figura 2.8), conta 50x120x50 = 300.000

voxel ed è orientata lungo l’asse del corpo calloso dell’encefalo (figura 2.10). All’interno di

questa regione d’interesse, per ciascuno dei tre tessuti viene riportato il valore medio ricavato

dagli istogrammi delle intensità dell’immagine. Questa regione ora viene registrata

sull’immagine di cui vogliamo estrarre la regione dell’ippocampo, attraverso una

trasformazione analogamente al processo descritto in 2.3.2. Ora da ogni regione definita

sull’immagine acquisita, si identificano i tre tessuti GM, WM, e CFS e se ne calcolano i valori

medi, che vengono poi abbinati ai corrispondenti livelli medi della regione di riferimento,

attraverso una spline cubica che passa tra 0, 1 e i tre punti definiti dal template, normalizzati

tra 0 e 1.

Translation

(3 parameters)

Rotation

(3 parameters)

Scaling

(3 parameters)

Shearing

(3 parameters)

* Shearing slides one edge of an image along the X or Y axis, creating a parallelogramFigura 2.9: La Co-registrazione.

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23

Le intensità dei livelli di grigio sono portati a valori comprese tra 0 e 1 attraverso la seguente

trasformazione:

new Iij =

dove Imax e Imin rappresentano rispettivamente i valori massimi e minimi delle intensità di

grigio. Questa normalizzazione dei livelli di grigio non lineare confronta le intensità medie dei

tre tessuti della regione d’interesse tra l’immagine da normalizzare e il riferimento, ed

interpola a tutti gli altri punti (figura 2.11).

Si specifica che per le immagini acquisite mediante il nuovo protocollo ad alta risoluzione

(HR), non è possibile applicare il metodo di normalizzazione appena descritto, poiché infatti

il corpo calloso non è completamente visibile. Pertanto per le HR questa fase del processing

Figura 2.10: rappresentazione della regione utilizzata per la normalizzazione dei livelli di grigio

(scatola rossa).

Figura 2.11: esempio di normalizzazione dei livelli di grigio sull’immagine.

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24

viene saltata ed è stato definito un criterio per la normalizzazione dei livelli di grigio, per

avere un’immagine con tali livelli compresi tra [0,1]. E’ stato utilizzato un metodo in cui

l’immagine normalizzata g’ è ottenuta mediate la seguente formula:

g’ = g(x,y) / 4096 – μg + 0.5

in cui, g(x,y) rappresenta il pixel alla posizione (x,y) dell’immagine in input g; 4096 è il

risultato di 212 con 12 bit usati per la quantizzazione dei livelli di grigio nel sistema di RM e

μg è il valore medio dei livelli di grigio nell’immagine in input, dopo la normalizzazione. Si

somma un fattore 0.5 affinché il risultato della normalizzazione non sia centrata sullo 0.

2.3.4 L’estrazione delle “scatole” ippocampali

L’evidenza clinica stabilisce che la malattia di Alzheimer colpisca dapprima in maniera più

marcata le zone e le strutture del lobo temporale, rispetto alle altre strutture del cervello. E lo

scopo ultimo della seguente procedura automatica è la valutazione del livello di atrofia delle

stesse, causata dalla malattia.

La procedura dell’estrazione di un biomarker per la diagnosi della malattia di Alzheimer è

completamente automatica e comincia con le procedure pre-processing, descritte ai paragrafi

2.3.1, 2.3.2 e 2.3.3. Le immagini acquisite vengono inviate al gruppo in collaborazione MIND

dell’INFN di Genova, per l’estrazione delle “scatole” dell’ippocampo, che identificano un

volume di cervello a forma di parallelepipedo (box) con dimensioni dell’ordine di alcuni cm

per lato; in particolare vengono estratte le scatole relative all’ippocampo destro (40x75x30

mm3) e all’ippocampo sinistro (40x75x30 mm

3). Una volta che i template (scatole di

riferimento) sono definiti per un dato VOI, viene applicata una registrazione rigida per

mapparli sulle immagini in studio. In figura 2.12 è riportato un esempio di VOI estratto.

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25

Figura 2.12: volume dell’ippocampo sinistro da immagine acquisita con protocollo

MP-RAGE (a sinistra) e da immagine acquisita con il nuovo protocollo ad Alta

Risoluzione (a destra).

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26

3. INTENSITY INHOMOGENEITY

3.1 La Risonanza Magnetica Nucleare

La Risonanza Magnetica (RM) Nucleare rappresenta lo studio delle proprietà magnetiche del

nucleo dell’atomo; sia i protoni che i neutroni esibiscono proprietà magnetiche legate al loro

spin (momento angolare) e alla loro distribuzione di carica. In particolare tutto l’imaging di

RM si basa sul segnale del nucleo di Idrogeno (H+), costituito da un unico protone. I primi

studi di RM risalgono agli anni 40, come strumento d’indagine per ricerche in ambito chimico

e biochimico; negli anni 70, è stato scoperto che i gradienti di campo magnetico possono

permettere la localizzazione del segnale RM e la generazione d’immagini il cui contrasto e’

determinato dalle proprietà magnetiche del protone, fornendo importanti informazioni

cliniche. Dal 1980 si è verificata la grande diffusione di tale apparecchiatura in ambito

clinico. Infatti l’alto contrasto, la differenziazione dei tessuti molli e la sicurezza per il

paziente (dato dal fatto che non utilizza radiazioni ionizzanti) hanno fatto si che la RM

diventasse per molti esami la tecnica di indagine preferenziale, a dispetto della CT (Computed

Tomography). Tuttavia ci sono alcuni svantaggi da considerare, che includono l’elevato costo

dell’apparecchiatura, i lunghi tempi per l’acquisizione di un immagine, artefatti significativi e

problemi legati alla claustrofobia dei pazienti sottoposti all’indagine.

Approfondimenti sulla fisica della Risonanza Magnetica Nucleare e sulla formazione delle

immagini MRI sono riportati in Appendice 1, la descrizione tecnica del tomografo RM e le

procedure di installazione ed accettazione sono riportate in Appendice 2.

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27

3.2 Intensity Inhomogeneity

L’imaging di Risonanza Magnetica (RM) misura la risposta dei nuclei d’idrogeno immersi in

un campo magnetico, i quali, a seguito di un impulso di eccitazione a Radiofrequenza (RF),

vengono perturbati dalla loro condizione di equilibrio. L’immagine è ottenuta misurando e

processando il segnale emesso dai nuclei d’idrogeno nel loro ritorno all’equilibrio.

Un’immagine è normalmente affetta da artefatti che ne alterano la qualità. La stessa immagine

invece “non corrotta”, mostrerebbe il segnale dipendente solamente dalle caratteristiche del

tessuto (densità protonica, T1 e T2) e dai parametri di acquisizione dell’immagine stessa (TE

e TR).

Nell’attuale sviluppo di tools diagnostici, un problema comune è la correzione della Intensity

Inhomogeneity (IIH) o Bias Field, che altera l’intensità di segnale delle immagini di risonanza

magnetica. La IIH comporta una variazione dell’intensità del segnale proveniente dallo stesso

tessuto non imputabile ad effettive differenze anatomiche o morfologiche. Ciò può essere

causato dalla strumentazione, dalla non uniformità dell’impulso di eccitazione a

radiofrequenza (che genera la disomogeneità dovuta a campo magnetico B1), dalla

disomogeneità del campo magnetico principale, o anche dal posizionamento e dai movimenti

del paziente [9] all’interno del gantry. Inoltre questo fenomeno è particolarmente severo nelle

immagini MRI acquisiste con bobine di superficie. Questo fenomeno viene definito in

letteratura anche come Bias Field, rappresentato come un segnale a bassa frequenza e fa sì che

l’intensità del segnale proveniente dallo stesso tessuto vari in base alla sua posizione

nell’immagine (figura 3.1) [10]. In figura 3.1A è mostrata un’immagine di RM con artefatti di

questo tipo, in cui si vede come l’intensità varia significativamente tra i pixel dello stesso

tessuto e tra i pixel di tessuti diversi. Se si effettua una mappatura di IIH (figura 3.1B), è

possibile correggere IIH attraverso diversi strumenti proposti in letteratura e la qualità

dell’immagine aumenta (figura 3.1C).

In generale, la presenza di IIH può ridurre in modo significativo l’accuratezza delle procedure

di segmentazione e registrazione e di misure quantitative. Nasce pertanto la necessità di

definire uno o più step di pre-processing per correggere il segnale dal bias field. La letteratura

[9], [10] e [30] definisce e considera la IIH come una variazione smooth dell’intensità

all’interno di una regione omogenea. Inoltre viene considerato come un campo additivo o

moltiplicativo e indipendente dal rumore.

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28

Nel contesto del presente lavoro di tesi, si intende stimare e rimuovere dalle immagini

acquisite su volontari sani, la disomogeneità IIH, prima di effettuare la procedura automatica

di estrazione delle scatole ippocampali, per valutare se tale step di pre-processing risulti

efficace ai fini di ottenere una correlazione migliore tra le immagini dell’ippocampo baseline

e repeat.

3.2.1 Le Sorgenti e i Modelli di IIH

L’estrazione automatica d’informazioni cliniche dai moderni sistemi di imaging, richiede

passaggi definiti pre-processing grazie ai quali i diversi artefatti dell’immagine, che

degradano l’immagine stessa, vengono rimossi. La disomogeneità in immagini di RM, IIH, si

manifesta come una variazione dell’intensità del segnale. A causa di questo fenomeno,

l’intensità del segnale proveniente dallo stesso tessuto varia a seconda della sua posizione

all’interno dell’immagine. Questo è il motivo per cui sono stati proposti nel passato e tutt’ora

metodi di correzione della IIH. Le prime pubblicazioni risalgono al 1986; da allora si studiano

le sue sorgenti, divisibili in due gruppi:

Le sorgenti del primo gruppo sono legate alle proprietà della strumentazione e dei

dispositivi di Risonanza Magnetica utilizzati, ed includono: la disomogeneità del

campo magnetico principale B0, la larghezza di banda nel filtraggio dei dati, le eddy

current derivanti dal sistema di gradienti e la disomogeneità del sistema di

trasmissione e ricezione delle radiofrequenze (campo magnetico B1). Questi tipi di

A

Figura 3.1: Disomogeneità dell’intensità del segnale in un’ immagine di cervello di RM.

B C

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29

IIH possono essere corretti attraverso tecniche di shimming particolari sequenze di

acquisizione, utilizzo di diverse bobine o calibrando il sistema con opportuni fantocci

[18].

Le sorgenti di disomogeneità del secondo gruppo invece sono relative alle

caratteristiche dell’oggetto acquisito, per esempio: la forma, la posizione e

l’orientazione all’interno del magnete e la specifica permeabilità magnetica e le

proprietà dielettriche. Questi tipi di sorgenti sono più difficili da trattare. Inoltre si e’

mostrato [9] che questi aspetti sono molto più marcati negli scanner a campi magnetici

più elevati, a causa dell’aumento della frequenza necessaria per stimolare i nuclei di

idrogeno sotto l’azione di un campo magnetico più elevato [33].

Un modello della disomogeneità di IIH, proposto da Zhou [9], considera x come l’intensità

del segnale misurato e x’ come l’intensità vera:

x = αx’ + ξ

dove α rappresenta l’effetto introdotto da IIH e ξ il rumore. In figura 3.2 e’ mostrata la stessa

immagine MRI dove: a, e’ l’immagine originale, b l’immagine con gli artefatti da IIH, c

l’immagine con il rumore e d la stessa con entrambi gli effetti di IIH e rumore.

Nei modelli più semplici, la IIH si assume sia una funzione moltiplicativa o additiva, ovvero

si moltiplica o si somma all’intensità dell’immagine vera. Sono stati proposti in letteratura

diversi modelli per la formazione dell’immagine RM, che considerano le combinazioni di IIH,

b(x) e del rumore n(x). I tipi di rumore sono generalmente due: il rumore biologico, derivante

dalla disomogeneità interna dei tessuti, e il rumore che deriva dalle imperfezioni dei

dispositivi di acquisizione. Il modello più comune di formazione dell’immagine assume che il

rumore abbia una distribuzione gaussiana, che derivi dallo scanner e che pertanto sia

indipendente da b(x) [19, 26].

(1)

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30

L’immagine v(x) è ottenuta come:

v(x) = u(x)b(x) + n(x)

dove u(x) è l’immagine “libera” dalla IIH, analogamente alla (1).

In altri modelli [27], in cui si considera il solo rumore biologico, in formula:

v(x) = (u(x) + n(x))b(x)

(2)

(3)

Figura 3.2: immagine originale (A), immagine affetta da Bias Field (B), immagine affetta da

rumore (C) e immagine affetta sia da Bias Field che da rumore (D).

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31

Un altro modello per la formazione dell’immagine MRI si basa su intensità logaritmiche,

dove l’effetto moltiplicativo di IIH nella (2) diventa additivo [34]:

log v(x) = log u(x) + log b(x) + n(x)

Anche nella (4) il rumore n(x) è considerato come una Gaussiana, il che è matematicamente

conveniente, ma in disaccordo con il modello (2) che assume che il rumore sia gaussiano nel

dominio non logaritmico.

(4)

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32

3.3 La classificazione dei Metodi di Correzione

Negli ultimi vent’anni sono stati proposti diversi metodi di correzione della Intensity

Inhomogeneity, IIH, in base al modello di descrizione della stessa. Likar et al. propongono in

[20] una classificazione dei metodi di correzione più comuni, suddividendoli in metodi

prospettici e retrospettivi. I primi mirano a migliorare il processo di acquisizione

dell’immagine, mentre i secondi si concentrano esclusivamente sulle informazioni ottenibili

dalle immagini una volta acquisite. Si classificano ulteriormente i metodi prospettici in:

metodi basati su fantocci, su bobine e su particolari sequenze. I metodi retrospettivi invece si

distinguono tra quelli basati sulla segmentazione, su istogramma delle intensità e sul

filtraggio. Si descrivono qui di seguito tali metodi.

3.3.1 I metodi Prospettici

Questi metodi trattano le disomogeneità come errori sistematici dei processi di acquisizione

dell’immagine MRI e possono essere minimizzati acquisendo immagini di fantocci uniformi,

acquisendo immagini utilizzando bobine diverse o particolari sequenze di acquisizione.

I. Correzione basata su Fantocci:

Una stima della disomogeneità IIH può essere ottenuta acquisendo un’immagine di un

fantoccio uniforme con proprietà fisiche note [21] e applicando su queste operazioni di

scaling e di smoothing. Solitamente si utilizzano fantocci pieni di acqua o soluzioni

acquose di solfato di rame. Questo tipo di approccio comunque non corregge dalla

disomogeneità introdotta dal paziente, il che rappresenta un grave inconveniente di

questo approccio.

II. Correzione basata su Bobine (multicoil):

Le bobine più usate per le acquisizioni sono quelle di superficie e quelle di volume (la

body coil). Le bobine di superficie hanno in genere un buon rapporto segnale-rumore

(SNR) ma introducono gravi disomogeneità, mentre si verifica il contrario con quelle

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di volume: poca IIH ma basso SNR. Il metodo in questione combina le immagini

acquisite con bobine di superficie e con la body coil. La stima di IIH è ottenuta

dividendo l’immagine acquisita con la bobina di superficie con l’immagine da body

coil e successivamente applicando uno smooth l’immagine ottenuta. Il problema di

questo metodo sono i lunghi tempi di acquisizione. Inoltre, la IIH introdotta dalla body

coil permane sull’immagine da bobina di superficie corretta.

III. Correzione basata su Sequenze spaziali:

Per alcune sequenze di eccitazione, si può stimare la distribuzione spaziale dell’angolo

di flip ed usarla per calcolare la IIH. Il metodo richiede di acquisire due immagini,

dove la seconda con angolo di flip doppio rispetto alla prima [22].

3.3.2 I metodi Retrospettivi

I metodi retrospettivi si basano principalmente sulle informazioni delle immagini acquisite

dove le informazioni anatomiche e le informazioni su IIH, si combinano [10]. A differenza

dei metodi prospettici, i retrospettivi possono anche eliminare sia la disomogeneità introdotta

dalla strumentazione, sia quella introdotta dal paziente. Si descrivono qui di seguito i più

comuni metodi di correzione retrospettivi.

I. Correzione basata sulla Segmentazione:

La correzione del Bias Field è spesso un’operazione pre-processing necessaria per

permettere una segmentazione migliore. La correzione di IIH e la segmentazione

possono essere viste come due procedure strettamente legate tra loro. Nei metodi di

correzione basati sulla segmentazione, queste due procedure sono pertanto fuse

insieme. Uno dei metodi esistenti più comuni, è chiamato: ML, MAP Based. Questo

tipo di metodo viene implementato dal software di correzione per Bias Field, SPM5,

usato nel presente lavoro di tesi. ML e MAP rappresentano rispettivamente: il

Maximum-Likelihood (massima verosimiglianza) e il Maximum a posteriori

Probability (massimo della probabilità a posteriori). Questi possono essere usati per

stimare la distribuzione dell’intensità. Si utilizza inoltre un modello gaussiano, i cui

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34

parametri possono essere stimati con la Expectation-Maximization (EM), algoritmo

per la segmentazione e la simultanea correzione di IIH. Poiche’ il modello gaussiano è

un’approssimazione della densità di probabilità di un singolo tessuto, si possono usare

più gaussiane per più tessuti, per esempio: 3 per la materia bianca e 2 per la grigia.

Nell’algoritmo si iterano due grandezze interdipendenti: la stima di MAP

dall’immagine segmentata fornisce la stima della disomogeneità e la stima di ML

dall’IIH fornisce un risultato per la segmentazione di MAP.

II. Correzione basata su Istogrammi:

I metodi di correzione basati sugli Istogrammi (Histogram Based Model, HBM)

operano direttamente sugli istogrammi delle intensità dell’immagine e non richiedono

conoscenze a priori sulla distribuzione della probabilità dell’intensità di struttura.

Questi metodi sono completamente automatici e molto generali, per cui possono

essere utilizzati su diverse immagini sia con o senza patologie. Sebbene diversi metodi

basati sulla segmentazione utilizzino istogrammi dell’intensità dell’immagine, la

distinzione tra questi e i HBM è che questi ultimi non forniscono come risultato una

segmentazione. D. W. Shattuck et al. [26] propongono un metodo a Histogram

Matching per cui si divide l’immagine in piccoli sub volumi in cui la disomogeneità

dell’intensità (IIH) si suppone sia relativamente costante. La IIH locale viene stimata

attraverso il metodo dei minimi quadrati dell’istogramma relativo al sub volume. Il

metodo applicato è una Gaussiana con 7 parametri, ricavati dall’istogramma

dell’immagine globale. Queste stime locali sono state interpolate con una superficie B-

spline per produrre il campo di disomogeneità finale. Il vantaggio di questo metodo è

che non necessita di informazioni a priori, rendendolo completamente automatico e

generale. Tuttavia lo svantaggio è che si assume che i sub volumi abbiano una

disomogeneità costante [30]. D. W. Shattuck [26] propose un software di elaborazione

di neuro immagini, che implementa questo tipo di metodo. Questo SW,

BRAINSUITE, e’ stato utilizzato nel presente lavoro di tesi.

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III. Correzione basata su Filtraggio:

Tale metodo assume che IIH sia un artefatto a bassa frequenza e che possa essere

separato dalle alte frequenze del segnale, relative alle informazioni anatomiche del

paziente attraverso un filtraggio passa basso. Quest’assunzione è valida solamente se

le strutture anatomiche acquisite siano relativamente piccole e che pertanto non

contengano basse frequenze che possano essere confuse con IIH. I due principali

metodi di filtraggio proposti sono:

1 Homomorphic Filtering: questo è usato sulle intensità dell’immagine log-

transformed. All’immagine in input log u(x) è sottratto la sua immagine

filtrata (con un filtro passa basso):

log v(x) = log u(x) – LPF(log u(x)) + Cn

Cn è una costante di normalizzazione per mantenere il valore medio (o

massimo) dell’intensità dell’immagine corretta. E l’immagine corretta v(x)

si ottiene con l’esponenziale.

2 Homomorphic Unsharp Masking: è il metodo più semplice da usare. La

correzione b(x) è ottenuta attraverso un filtraggio passa basso

dell’immagine in input u(x), divisa per la costante Cn. L’immagine corretta

v(x) sarà la divisione (o sottrazione in logaritmi) di u(x) per b(x):

v(x) = u(x)/b(x)= u(x)Cn / LPF(u(x))

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36

3.4 Misure Preliminari su Oggetto test

In questo paragrafo viene presentata a titolo esplicativo e introduttivo l’analisi della IIH da

immagini ottenute dall’oggetto test TO5 (figura 3.3), facente parte di un kit di oggetti test più

ampio noto come EUROSPIN (si approfondisce in Appendice 2). La descrizione dettagliata

della sequenza di acquisizione delle immagini e dei SW di analisi è oggetto del capitolo

successivo.

Il sistema di test Eurospin è il risultato di una collaborazione internazionale della Comunità

Europea sulla “Caratterizzazione tissutale mediante Risonanza Magnetica” (attiva dal 1983). I

fantocci del kit, tutti da 200 mm di diametro, sono costruiti con plexiglass e vetro e per questo

sono molto fragili. Sono riempiti da una soluzione leggermente acida di Solfato di Rame

(Conduttanza 1000 µS/cm +/- 50 µS/cm) e l’acidità è necessaria per evitare le precipitazioni

degli ioni Cu come idrossile che porterebbero ad un aumento del valore del T1.

L’oggetto test utilizzato, il TO5, viene generalmente impiegato per misurare il rapporto

contrasto/rumore e l’accuratezza e precisione dei tempi di rilassamento T1 e T2, e viene

fornito con un set di 18 provette a gel inseribili nel supporto stesso. Il TO5 presenta pertanto

12 cavità da 20 mm di diametro e 80 mm di profondità , realizzate per contenere le provette

(figura 3.4).

Figura 3.3: Oggetto test TO5 EUROSPIN per gli scanner di Risonanza Magnetica Nucleare.

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37

Per lo studio della disomogeneità IIH (o Bias Field), sono state effettuate 4 acquisizioni dello

stesso fantoccio disponendo le 12 provette in 4 configurazioni diverse, per valutare come

cambino i valori di livello di grigio dello stesso gel nelle diverse posizioni all’interno del

campo magnetico. Se le immagini non fossero alterate dagli effetti del Bias Field, ad ogni gel

corrisponderebbe lo stesso livello di grigio indipendentemente dalla sua posizione all’interno

dell’immagine. Sono state scelte le 12 provette con tempi di rilassamento T1 e T2

nell’intervallo di valori dell’encefalo. Si specifica che le immagini sono state acquisite con lo

stesso tomografo di Risonanza Magnetica usato per l’acquisizione dei volontari, il Philips da

1.5 Tesla, installato presso l’ospedale Cattinara dell’Azienda ospedaliero-universitaria

“Ospedali Riuniti” di Trieste.

Per l’analisi della disomogeneità si sono misurati per ogni gel, in ogni immagine, il valore

medio e la deviazione standard del livello di grigio corrispondente. Per mostrare questo

risultato si sono create le “mappe dei colori” in cui per ogni gel (identificato sempre da un

colore) è stato misurato valore di grigio medio nelle diverse configurazioni:1, 2, 3 e 4 (figura

3.5).

Successivamente si è applicata la stessa procedura sulle immagini trattare con i software di

correzione e si sono valutate le differenze.

Figura 3.4: TO5 in vista sagittale (sinistra) e assiale (destra).

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38

Analizzando i valori riportati in figura 3.5 è evidente che l’effetto della disomogeneità è

presente nelle immagini, dato che lo stesso gel, a seconda della sua posizione nell’immagine

assume un valore diverso. In particolare si nota un maggior effetto della disomogeneità ai

bordi dell’oggetto test (nelle posizioni più esterne del fantoccio), per esempio il gel

identificato dal colore Giallo ha valori che variano tra i 553 ± 7 a 590 ± 9. E anche il gel color

Marrone Chiaro passa da 195 ± 5 a 213 ± 7 e il Verde Smeraldo da 357 ± 9 a 375 ± 6. Effetti

meno evidenti sono presenti nelle quattro posizioni centrali delle immagini. Il Verde Chiaro

per esempio nelle posizioni centrali misura 222 ± 3, 224 ± 5 e 227 ± 5. L’Azzurro tra 369 ± 4

e 375± 5.

Nell’ottica della correzione del Bias Field, si sono applicate alle immagini acquisite i software

di correzione che implementano i metodi basati sulla segmentazione e sull’istogramma, SPM5

[32] e BRAINSUITE [26] rispettivamente.

Un esempio “visivo” del risultato dell’applicazione del SW SPM5 alle immagini dell’oggetto

test è mostrato in figura 3.6: dove la figura A mostra l’immagine del TO5 “originale”, la B

quella “corretta da IIH”, la C mostra una differenza tra A e B, e la figura D mostra la mappa

Figura 3.5: Mappa dei colori (valori medi) dei gel nelle immagini grezze nelle configurazioni 1, 2, 3 e 4.

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delle disomogeneità percentuale tra le due: (A-B)/A. La mappa della disomogeneità mostra un

andamento simile tra le diverse immagini acquisite, specifico del tomografo utilizzato e del

tipo di oggetto test.

Si sono quindi valutati dopo la correzione, i valori medi e deviazione standard dei livelli di

grigio dei gel nelle 4 diverse posizioni nelle immagini. Per mostrare questo risultato si sono

create le “mappe dei colori” dalle immagini corrette con SPM5, in cui per ogni gel

(identificato sempre dallo stesso colore) è stato misurato il valore di grigio medio nelle

diverse configurazioni 1, 2, 3 e 4 (figura 3.7).

Figura 3.6: A: immagine grezza (dimensione voxel 0.94x0.94x1.00 mm3); B: immagine corretta da Bias

Field con SPM5; C: differenza tra A e B; D: mappa della disomogeneità percentuale ((A-B)/A).

Differenze percentuali entro il 5%.

A B

C D

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40

Si riportano in tabella 3.8 i valori medi e le deviazioni standard, per il confronto dei livelli di

grigio dei gel nelle diverse posizioni prima e dopo il trattamento delle immagini con SPM5 in

cui: in NERO sono riportati i valori per le immagini originali; in VERDE gli stessi relativi ai

gel delle immagini corrette con SPM5.

Analizzando i valori riportati in figura 3.5, 3.7 e in tabella 3.8, gli stessi gel dopo la

correzione di SPM5 mostrano valori più simili tra loro, in particolare l’effetto della correzione

è molto più evidente nelle posizioni ai bordi dell’oggetto test: per esempio il Giallo misura

547 ± 6, 549 ± 7 e 544 ± 5. Per il Marrone Chiaro si passa a valori che fluttuano tra 198 ± 3 e

205 ± 3 contro 195 ± 5 e 213 ± 7 dell’immagine non corretta. Al centro dell’immagine la

correzione è meno significativa, per cui i valori medi dei gel sono simili ai valori non corretti

come per il Verde e l’Azzurro di cui però si evidenzia una diminuzione della deviazione

standard.

Figura 3.7: Mappa dei colori (valor medio) dei gel nelle immagini corrette da IIH con SPM5 nelle

configurazioni 1, 2, 3 e 4.

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41

Analogamente si è lavorato con il software di correzione da IIH, BRAINSUITE. In figura 3.9

si mettono a confronto le immagini originali (A) e quella corretta dal SW (B), la figura C

IMMAGINE1 IMMAGINE2 IMMAGINE3 IMMAGINE4

GIALLO 560 ± 6

552 ± 6

557 ± 7

547 ± 6

553 ± 7

549 ± 7

590 ± 9

544 ± 5

AZZURRO 369 ± 4

368 ± 5

365 ± 5

366 ± 4

375 ± 5

372 ± 4

359 ± 5

373 ± 5

ROSSO 256 ± 3

260 ± 3

253 ± 3

270 ± 3

259 ± 3

261 ± 4

255 ± 4

264 ± 5

VERDE 222 ± 3

222 ± 2

224 ± 4

224 ± 4

230 ± 4

225 ± 3

227 ± 5

230 ± 5

ARANCIONE 432 ± 8

453 ± 8

449 ± 9

457 ± 9

434 ± 7

456 ± 6

439 ± 6

447 ± 6

VERDE

CHIARO

453 ± 6

434 ± 5

465 ± 14

467 ± 13

453 ± 6

462 ± 7

468 ± 7

456 ± 6

VERDE

SMERALDO

357 ± 9

367 ± 6

363 ± 4

364 ± 4

375 ± 6

373 ± 7

359 ± 6

365 ± 5

VIOLA 307 ± 4

291 ± 2

291 ± 5

297 ± 5

313 ± 6

305 ± 5

305 ± 4

305 ± 4

MARRONE 269± 6

292 ± 5

290 ± 6

278 ± 3

284 ± 5

294 ± 6

284 ± 5

292 ± 4

BLU 207 ± 6

205 ± 5

198 ± 5

203 ± 5

208 ± 6

206 ± 4

211 ± 5

210 ± 4

MARRONE

CHIARO

198 ± 4

205 ± 3

195 ± 5

198 ± 3

213 ± 7

203 ± 3

207 ± 3

202 ± 3

GRIGIO 172 ± 3

177 ± 2

179 ± 6

166 ± 2

180 ± 3

182 ± 4

181 ± 4

178 ± 3

Tabella 3.8: media e deviazione standard del gel nelle 4 configurazioni: in NERO i valori grezzi, in

VERDE i valori dopo la correzione di SPM5.

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42

rappresenta la differenza tra A e B, e nella D si mostra la disomogeneità percentuale tra le

due: (A-B)/A.

Si è successivamente creata la “mappa dei colori” anche per le immagini corrette con

BRAINSUITE (figura 3.10), dove si sono utilizzati per gli stessi gel, gli stessi colori usati

nelle precedenti.

Si riportano in tabella 3.11, valor medio e deviazione standard dei gel nelle 4 configurazioni

per un confronto: in NERO i valor per le immagini originali; in BLU gli stessi relativi alle

immagini corrette con BRAINSUITE.

A B

C D

Figura 3.9: A: immagine grezza (dimensione voxel 0.94x0.94x1.00 mm3); B: immagine corretta da

Bias Field con SPM5; C: differenza tra A e B; D: mappa della disomogeneità percentuale ((A-B)/A).

Differenze percentuali entro il 5%.

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43

Analizzando i valori riportati in figura 3.5, 3.10 e in tabella 3.11, restano le considerazioni

fatte in precedenza ossia che gli effetti della disomogeneità si manifestano maggiormente ai

bordi dell’immagine. Dopo la correzione applicata con BRAINSUITE, gli effetti della

correzione sono distribuiti più uniformemente sia ai bordi che al centro dell’immagine. Per

esempio il gel identificato dal colore Giallo ha valori che fluttuano tra i 561 ± 7 e i 579 ± 10

contro i 553 ± 7 a 590 ± 9 prima della correzione. Per esempio anche il gel color Marrone

Chiaro passa da 213 ± 7 a 205 ± 4. Al centro dell’immagine i valori corretti sono molto più

simili tra loro rispetto a prima della correzione, per esempio il Verde Chiaro mantiene nelle

quattro configurazioni 220 ± 4 e i 235 ± 5 e l’Azzurro con valori attorno a 368 con una

diminuzione della deviazione standard rispetto ai valori non corretti.

Nei capitoli seguenti gli stessi algoritmi verranno applicati alle immagini cliniche analizzate

con le procedure sviluppate dalla collaborazione MIND.

Figura 3.10: Mappa dei colori (valor medio) dei gel nelle immagini corrette da IIH con BRAINSUITE

nelle configurazioni 1, 2, 3 e 4.

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IMMAGINE1 IMMAGINE2 IMMAGINE3 IMMAGINE4

GIALLO 560 ± 6

568 ± 6

557 ± 7

561 ± 7

553 ± 7

561 ± 7

590 ± 9

579 ± 10

AZZURRO 369 ± 4

368 ± 3

365 ± 5

364 ± 4

375 ± 5

368 ± 4

359 ± 5

639 ± 3

ROSSO 256 ± 3

258 ± 3

253 ± 3

259 ± 3

259 ± 3

262 ± 5

255 ± 4

257 ± 6

VERDE 222 ± 3

224 ± 3

224 ± 4

220 ± 4

230 ± 4

235 ± 5

227 ± 5

220 ± 4

ARANCIONE 432 ± 8

438 ± 5

449 ± 9

452 ± 7

434 ± 7

441 ± 5

439 ± 6

434 ± 5

VERDE

CHIARO

453 ± 6

466 ± 10

465 ± 14

462 ± 9

453 ± 6

450 ± 6

468± 7

467 ± 7

VERDE

SMERALDO

357 ± 9

358 ± 4

363± 4

357 ± 4

375 ± 6

378 ± 6

359 ± 6

364 ± 6

VIOLA 307± 4

299 ± 4

291 ± 5

298 ± 5

313 ± 6

306 ± 5

305 ± 4

303 ± 4

MARRONE 269 ± 6

292 ± 5

290 ± 6

298 ± 6

284 ± 5

289 ± 6

284 ± 5

288 ± 5

BLU 207± 6

205 ± 3

198 ± 5

196 ± 4

208 ± 6

201 ± 4

211± 5

207 ± 4

MARRONE

CHIARO

198 ± 4

203 ± 3

195 ± 5

198 ± 3

213 ± 7

205 ± 4

207 ± 3

206 ± 3

GRIGIO 172 ± 3

175 ± 2

179± 6

180 ± 4

180 ± 3

177 ± 4

181 ± 4

177 ± 3

Tabella 3.11: media e deviazione standard del gel nelle 4 configurazioni: in NERO i valori grezzi, in

BLU i valori dopo la correzione di BRAINSUITE.

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45

4. MATERIALI E METODI

4.1 Il campione di studio

Il presente lavoro di tesi è stato svolto su immagini di RM, acquisite attraverso un nuovo

protocollo ad Alta Risoluzione su un totale di 6 volontari (4 femmine e 2 maschi), dall’età

compresa tra i 19 e i 29 anni. Nessuno dei volontari presenta o ha presentato patologie al

Sistema Nervoso Centrale. Per ognuno di questi sono state acquisite 4 immagini: 2

utilizzando il protocollo MP-RAGE dell’ADNI sull’intero cervello e 2 applicando il nuovo

protocollo ad Alta Risoluzione (High Resolution, HR), definito da Quartulli et al. [30].

Volendo seguire la rapidità di evoluzione della malattia di Alzheimer attraverso l’analisi

longitudinale, è necessario avere a disposizione immagini dello stesso paziente acquisite a

distanza temporale l’una dall’altra, per poterne valutare le variazioni neurodegenerative ;

perciò delle 2 immagini MP-RAGE, una è definita baseline e l’altra repeat (in quanto

acquisita in un momento diverso), analogamente per l’HR. Nel presente lavoro si è voluto

studiare se immagini acquisite con maggior risoluzione spaziale, risultano più riproducibili di

quelle a bassa risoluzione nella regione dell’ippocampo; il quale è una struttura di piccole

dimensioni in cui gli effetti di volume parziale possono essere importanti. Per le acquisizioni,

è stato usato il tomografo PHILIPS-Achieva da 1.5 Tesla (figura 4.1) installato presso

l’Ospedale Cattinara dell’Azienda ospedaliero-universitari Ospedali Riuniti di Trieste con la

bobina testa-collo SENSE da 16 canali solo ricevente (figura 4.1).

Figura 4.1: Tomografo PHILIPS Achieva, 1.5 Tesla (a sinistra) e Bobina SENSE (a destra).

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46

Le caratteristiche che differenziano un’immagine RM dall’altra sono legate all’intensità dei

toni di grigio, che possono assumere valori diversi sulla stessa macchina o su macchine

differenti anche sul medesimo soggetto, al differente posizionamento del paziente e infine al

rumore. Pertanto nasce la necessità di trattare le immagini acquisite in modo da minimizzare

questi aspetti introdotti in fase di acquisizione preservandone l’informazione per la successiva

Analisi Longitudinale.

4.1.1 Il protocollo MP-RAGE

La sequenza MP-RAGE (Magnetization Prepared - RApid Gradient Echo) è una delle

sequenze più utilizzate in imaging di RM e soprattutto per le acquisizioni strutturali

dell’encefalo T1 pesate (figura 4.5). La sequenza è stata definita dall’ADNI (Alzheimer’

Disease Neuroimaging Initiative, http://www.adni-info.org/), progetto per la ricerca, la

prevenzione e il trattamento della malattia di Alzheimer; composto da istituzioni di ricerca si

pubbliche che private, da aziende farmaceutiche, università e gruppi no-profit. L’obiettivo

principale dell’ADNI è valutare come immagini MRI, PET, marker biologici e studi clinici e

psicologici, possano essere combinati per valutare la progressione allo stadio MCI (Mild

Cognitive Impairment) e all’Alzheimer precoce.

La MP (Magnetization Preparation) rappresenta un impulso di radiofrequenza (RF)

solitamente di 180° o 90° di preparazione, che viene applicato prima della sequenza vera e

propria. La sequenza MP-RAGE è composta da un impulso di preparazione di 180°, seguito

da una sequenza FAST GRE, dopo un tempo pari a TI (tempo d’inversione). Dopo l’impulso

di 180°, la magnetizzazione longitudinale, inizia il suo recupero secondo il rilassamento T1,

con la possibilità di differenziare maggiormente i segnali con diverso T1 rispetto ad un flip di

90°, così che nell’immagine risulterà un maggior contrasto tra i relativi tessuti. Le sequenze di

impulsi acquisite sono intervallate da un tempo pari a TR per evitare effetti di saturazione. Il

processo in figura 4.2 è ripetuto tante volte quanti sono i segmenti di volume, facendo variare

l’intensità del gradiente di codifica di fase (figura 4.3).

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47

La Gradient Recalled Echo (GRE) è una sequenza che utilizza un gradiente di campo

magnetico per generare l’Echo. L’impulso di eccitazione della fetta di tessuto applicato è

minore di 90° (tipicamente tra 10° e 90°) e subito dopo gli spin perdono coerenza di fase.

Invece di applicare un impulso di 180°, l’eco viene generato applicando una coppia di

gradienti di codifica di frequenza dalla polarità opposta (figura 4.4).

Figura 4.2: Schema della sequenza MP-RAGE.

Figura 4.3: Volume acquisito con una sequenza MP-RAGE.

Figura 4.4: Schema della sequenza GRE.

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48

4.1.2 Il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione

Il nuovo protocollo di acquisizione ad Alta Risoluzione e’ stato definito da Quartulli et al.

[30] e si basa su una sequenza MP-RAGE, con tempi di acquisizione di circa 14 minuti e una

maggior risoluzione spaziale rispetto alla sequenza proposta dall’ADNI ed un rapporto

segnale rumore accettabile. Il nuovo protocollo ad alta risoluzione fornisce immagini T1

pesate centrate su una regione ristretta del cervello, in particolare il FOV è di 10x20x4 cm3,

con voxel di dimensioni 0.60x0.60x0.59 mm3 (figura 4.6).

Figura 4.5: Immagini sagittali baseline (a sinistra) e repeat (a destra) acquisite attraverso il protocollo

MP-RAGE su cervello intero (dimensioni dei voxel : 0.94 x 0.94 x 1.20 mm3).

Figura 4.6: Immagini baseline (a sinistra) e repeat (a destra) acquisite utilizzando il nuovo protocollo ad

Alta Risoluzione (dimensione del voxel: 0.6 x 0.6 x 0.59 mm3).

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49

4.2 I Software di Correzione

Nel presente lavoro di tesi sono stati applicati alcuni metodi di correzione per la

disomogeneità dell’intensità nelle immagini MRI proposti in letteratura. Si sono in particolare

usati software che si basano sui principali metodi di correzione quali: segmentazione e

istogramma (discussi al capitolo 3). Tali correzioni sono state applicate alle immagini MRI

acquisiste tramite protocollo MP-RAGE (dell’ADNI) e il nuovo protocollo HR (dell’INFN,

sezione di Genova e Trieste, dell’Università di Trieste e degli Ospedali Riuniti di Trieste) sia

sulle immagini baseline che repeat. Lo scopo è quello di ottenere immagini più omogenee tra

loro, per poter effettuare un confronto tra le stesse. Una volta che le immagini sono state

“corrette” dalla disomogeneità, saranno processate e sottoposte al metodo di estrazione delle

“scatole” ippocampali definito dal gruppo in collaborazione MIND di Genova

(approfondimento al paragrafo 2.3). Ottenute le scatole dell’ippocampo, si confronteranno tra

loro la baseline e la repeat dello stesso paziente, valutando quanto siano sovrapponibili tra

loro le due immagini. Dato che i soggetti in esame sono tutti giovani e sani, si suppone che

non ci siano state tra la prima e seconda acquisizione delle differenze morfologie cerebrali,

perciò le differenze tra le due siano solo attribuibili ai fenomeni già citati. Con la correzione

di IIH, si andrà a verificare se le box estratte siano più simili tra loro rispetto a quando non si

sia effettuata una correzione.

I SW di correzione utilizzati per tale scopo sono: SPM5 [32] e BRAINSUITE [26], dove

rispettivamente applicano metodi di correzione basati sulla segmentazione e sull’istogramma.

Una Pipeline rappresenta una serie di analisi effettuate su un’immagine, dove l’output da uno

step diventa l’input per lo step successivo. Le pipeline citate permettono: la correzione

dell’uniformità, la segmentazione, la classificazione della materia grigia, bianca e tessuto

cerebrospinale, la registrazione, le trasformazioni nello spazio, la visualizzazione delle

immagine, ecc. In particolare la correzione dell’uniformità, nota anche come correzione bias

field, è fondamentale oltre che per lo studio in esame anche per determinare quelle variazioni

dell’immagine (non visibile ad occhio nudo) che causano dei problemi alle procedure di

segmentazione.

Segue una descrizione dei software usati per la correzione del Bias Field: SPM5 e

BRAINSUITE.

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50

4.2.1 SPM5

SPM (Statistical Parametric Mapping), traducibile in italiano come

Mappatura Statistica Parametrica, è un software per l’analisi di dati di

Risonanza Magnetica, PET, EEC e MEC, distribuito per la prima

volta nel 1991 dal Wellcome Department of Imaging Neuroscience di

Londra [32]. La nascita di SPM è data dall’esigenza di promuovere

schemi comuni e collaborazioni fra i diversi laboratori di neuroimaging. In questo lavoro di

tesi è stata usata la versione SPM5, la versione più consigliata e collaudata, consistente in

funzioni, comandi, file dati e sottoprogrammi esterni in C per MATLAB. SPM5 consente di

effettuare la correzione di IIH definita nell’opzione Bias Corrected, per produrre una versione

corretta dell’immagine in input. Le immagini MRI sono corrotte da smoothig, da artefatti che

variano spazialmente e che sebbene non siano un problema per visualizzazione

dell’immagine, possono essere un problema per i processi automatici di segmentazione.

Attraverso il metodo di correzione di IIH basato sulla segmentazione, SPM produce una

versione dell’immagine con una maggiore uniformità dei valori d’intensità all’interno dei

diversi tessuti.

All’avvio di MATLAB da Command Window è possibile lanciare SPM5 e appariranno sullo

schermo tre nuove finestre (figura 4.7), relative al menù di SPM, allo stato di avanzamento

delle funzioni avviate e finestra per la visualizzazione dei risultati.

Prima di procedere al caricamento delle immagini su SMP5, queste sono state convertite dal

formato DICOM, al formato .NII (Nifti) attraverso il programma gratuito di conversione

MRIConvert.

Per avviare la correzione, fare click su [SEGMENT] dal menù di SMP e dalla finestra di

visualizzazione si andranno a definire: il percorso della cartella da dove sarà presa l’immagine

in input da correggere (l’immagine in output è la stessa cartella dell’input) in [DATA] (figura

4.8) e impostare il solo comando [BIAS CORRECTED] (figura 4.9). A questo punto con

[RUN], si avvia una procedura automatica di correzione, al termine della quale, l’immagine

“corretta” da IIH viene salvata automaticamente nella cartella dell’input, nel formato mX.img

(dove X è il nome del file).

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51

Figura 4.7: Interfaccia grafica SPM5.

Figura 4.8: Finestra per il

caricamento dell’immagine..

Figura 4.9: Selezione del comando

Bias Corrected.

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52

4.2.2 BRAINSUITE

Nel presente lavoro di tesi e’ stato utilizzato il SW BRAINSUITE (versione 13a) sviluppato

da D.W. Shattuck [26], University of Southern California. BRAINSUITE è costituito da una

collezione di tools sviluppati appositamente per l’elaborazione di neuroimmagini ed

implementa una metodica per effettuare l’estrazione della superficie corticale con una serie di

interfacce di dialogo che guidano l’utilizzatore (figura 4.10).

Per correggere la disomogeneità d’intensità presente nell’immagine, il risultato di variazioni

del campo magnetico, della strumentazione, del posizionamento del paziente e del rumore, si

applica la procedura automatica Bias Field Corrector (BFC). Questa, stima un campo di

correzione per il volume di tessuto in esame basandosi su una serie di stime locali delle

variazioni del guadagno dei tessuti, utilizzando il metodo Histogram Matching.

BRAINSUITE lavora su immagini in formato Nifti, quindi le DICOM acquisite vengono

prima convertite in .NII attraverso un SW gratuito di conversione MRIConvert.

Inizialmente BFC individua un valore globale per il valore di grigio medio della materia

bianca, grigia e liquido cerebro spinale, e il rumore presente nell’immagine. Dopo di che,

Figura 4.10: Esempio di interfaccia grafica di BRAINSUITE.

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53

rimuove tutti gli altri tessuti. Questi valori medi vengono poi usati su un modello di misura su

volumi parziali (sub-volumi); adattando il modello all’istogramma dei sub-volumi

dell’immagine, si può stimare il guadagno nel singolo sub-volume rispetto all’intensità

dell’intera immagine. Questi valori individuano poi una B-spline 3D che stima la non

uniformità. Dividendo l’immagine originale per questa spline, si corregge la non uniformità.

BFC è stata concepita per applicare la correzione del bias field su immagini segmentate, per

cui sulle immagini a cervello intero acquisite sui volontari con il protocollo MP-RAGE è stato

possibile applicare il metodo Brain Surface Extractor (BSE), che segmenta, rimuovendo il

tessuto non cerebrale dall’immagine. Attraverso i comandi [CORTEX] -> [CORTICAL

SURFACE EXTRAXTION] è possibile selezionare il tipo di operazione da eseguire, in

questo caso BSE e BFC in cui l’output della pipeline, l’immagine corretta, viene

automaticamente salvata come X.bfc.nii (dove X è il nome dell’immagine). Il risultato della

procedura e’ visibile in figura 4.11.

Figura 4.11: Esempio del risultato delle procedure BSE e BFC.

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54

4.3 Il Sistema di Confronto

Le scatole ippocampali estratte con la pipeline MIND dalle immagini baseline e repeat per

ogni volontario, acquisiste sia con il protocollo ADNI MP-RAGE, che con il nuovo ad alta

risoluzione (HR) sono state confrontate per determinare come cambino tra la prima e la

seconda acquisizione. Gli indici utilizzati per il confronto sono: PSNR, MSE, MAXERR and

NCC.

Peak Signal-to-Noise Ratio (PSNR) valuta la qualità di un’immagine ed è definito

come il rapporto tra la massima potenza del segnale e la massima potenza del rumore

che corrompe l’immagine. Più è alto il PSNR maggiore è la correlazione tra le

immagini.

Errore quadratico medio - Mean Squared Error (MSE) rappresenta la norma al

quadrato della differenza tra la prima immagine e la seconda, diviso per il numero di

elementi, ed indica la discrepanza quadratica media fra i valori dei dati osservati ed i

valori dei dati stimati. Un MSE pari a 0 indica che la prima e la seconda immagine

sono perfettamente coincidenti.

Maximum Error (MAXERR) è la massima deviazione quadratica della prima

immagine rispetto alla seconda. Più è alto MAXERR maggiore sarà la differenza tra

la baseline e la repeat.

Ratio of Squared Norms (L2RAT) è il rapporto tra la norma al quadrato della seconda

immagine (repeat) rispetto alla prima (baseline). Più è vicino ad 1, maggiore sarà la

correlazione tra le immagini.

Normalized Cross Correlation (NCC) è un altro indice di misura per la somiglianza

tra le immagini in cui ritorna un valore vicino ad 1 quando la prima e la seconda

immagine presentano cambiamenti minimi.

È qui di seguito riportato lo script di Matlab usato per il confronto degli indici.

addpath('./_NIFTI_20130306/');

%% Parameters according to path names:

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55

DIAG = 'IM_HIRES'; % Type 'IM_HIRES' or 'IM_MPRAGE' (case sensitive)

SIDE = 'left'; % Type 'left' or 'right' (case sensitive)

%% Body

% Read folders:

prefix_base = [ DIAG '/baseline/' SIDE '/'];

prefix_rpt6 = [ DIAG '/repeat/' SIDE '/'];

files_base = dir ( [prefix_base '*.nii' ] );

files_rpt6 = dir ( [prefix_rpt6 '*.nii' ] );

% Prepare header for the xls file:

v = {'Patient ID', 'PSNR', 'MSE', 'MAXERR', 'L2RAT', 'NCC'};

str = [num2str(1,'A%d') ':' num2str(1,'F%d')];

xlswrite('Results.xls',v,[ DIAG '_' SIDE],str);

% For each subject:

for i=1:length(files_base)

% Get baseline image:

nii = load_untouch_nii( [ prefix_base files_base(i).name ] );

im_base = double(nii.img);

% Get repeat6 image:

nii = load_untouch_nii( [ prefix_rpt6 files_rpt6(i).name ] );

im_rpt6 = double(nii.img);

% Statistics:

[PSNR,MSE,MAXERR, L2RAT] = measerr(im_base,im_rpt6);

NCC = xcorr(im_base(:),im_rpt6(:),0,'coeff');

% Write to Excel:

v = {files_base(i).name, PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT, NCC};

str = [num2str(i+1,'A%d') ':' num2str(i+1,'F%d')];

xlswrite('Results.xls',v,[DIAG '_' SIDE],str);

end

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56

4.4 I Riferimenti Assoluti nell’immagine

Nelle ultime acquisizioni su volontari, sono stati utilizzati oggetti, come cuscini e palloncini,

riempiti di mezzi di contrasto in diluizioni diverse, per definire nelle immagini dei riferimenti

assoluti per la normalizzazione dei toni di grigio. E’ stato utilizzato un palloncino pieno di

acqua per avere il riferimento assoluto del nero, uno di gadolinio diluito con acqua distillata

per il grigio e uno di solfato di rame per il riferimento del bianco (posizionati sulla fronte dei

volontari, figura 4.12). Tra il cuscino e la testa dei volontari è stato necessario interporre un

elemento separatore (foglio di plastica da imballaggio) per non corrompere la procedura di co-

registrazione effettuata dalla pipeline automatica MIND (figura 4.13).

Figura 4.12: Immagini acquisite utilizzando il protocollo MP-RAGE, con il cuscino dietro

la nuca e i palloncini in fronte.

Figura 4.13: Immagine acquisita utilizzando il protocollo MP-RAGE, con cuscino e

separatore dietro la nuca (a sinistra) e immagine acquisita utilizzando il protocollo HR con

cuscino (a destra).

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57

Tuttavia, dalle analisi condotte, è emerso che questi riferimenti assoluti (cuscini e palloncini),

risultano molto disomogenei tra loro sia nelle acquisizioni con protocollo MP-RAGE che con

il nuovo protocollo HR e anche all’interno della stessa immagine. Durante il lavoro di tesi, si

è quindi ideato e sperimentato un nuovo metodo per la normalizzazione di livelli di grigio,

con altri riferimenti assoluti, realizzando un nuovo oggetto (o campione) di calibrazione.

Tale oggetto (figura 4.14) consiste in un elemento in plexiglass di 9 x 8 x 1 cm3, all’interno

del quale sono state create 6 cavità per l’inserimento di diluizioni diverse di mezzo di

contrasto, per avere 6 riferimenti assoluti sull’immagine. Le dimensioni dell’oggetto sono

state stabilite in base alla necessità di riuscire ad inserirlo all’interno del campo di vista delle

immagini ad Alta Risoluzione (10 x 20 cm2).

E’ noto che i mezzi di contrasto (abbreviati m.d.c) sono sostanze in grado di modificare il

modo in cui una regione analizzata appare in un’immagine. Nello specifico, alterano il

contrasto della struttura anatomica in esame rispetto a ciò che la circonda, in modo da rendere

visibili i dettagli che altrimenti risulterebbero non apprezzabili. Ogni tecnica di imaging ha i

proprio mezzi di contrasto, i quali hanno caratteristiche diverse a seconda del metodo di

formazione dell’immagine. Infatti, a differenza dei mezzi di contrasto utilizzati in CT, dove

l’azione del m.d.c. è rivolta ad attenuare i raggi X che attraversano l’organo bersaglio, in RM

Figura 4.14: Il Nuovo Oggetto di Calibrazione.

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58

i mezzi di contrasto influenzano i tempi di rilassamento T1 e T2. Il mezzo di contrasto più

utilizzato in RM è il Gadolinio, per le caratteristiche paramagnetiche del suo ione Gd3+

. Viene

utilizzato in soluzione e complessato da legami ciclici poliamminopolicarbossilici, che

servono ad evitare la tossicità dello ione libero per l’organismo umano [34]. I mezzi di

contrasto a base di Gadolinio aumentano il segnale nelle sequenze T1 pesate, dato che

riducono il tempo di rilassamento T1.

Per la preparazione delle diluizioni, si è utilizzato il Gd-DOTA 0.5 mmol/mL. Nell’uso sui

pazienti, la dose di m.d.c. iniettato per endovenosa è proporzionale al suo peso corporeo e in

genere il dosaggio è tra 0.1 – 0.3 mmol/Kg del peso del paziente, che equivalgono a 0.2 – 0.6

mL/Kg [35]. Si sono inserite nelle cavità concentrazioni variabili di mezzo di contrasto al

gadolinio considerando che la dose massima di m.d.c. generalmente iniettata è di 0.6 mL/Kg e

che la quantita’ di sangue presente nel corpo umano è di circa 5.5 L (per un uomo di 80 Kg),

si stima allora che 0.6 mL di gadolinio sono presenti in 70 mL di sangue. Si e’ impostata la

seguente equazione:

(1)

Dove CGd rappresenta la concentrazione di Gadolinio che si desiderata ottenere, 70 sono mL

di sangue, 0.5 mL rappresenta la quantita’ minima di Gadolinio che si e’ in grado di

selezionare con la siringa usata durante la preparazione e Vol rappresenta il volume di acqua

demineralizzata necessaria per diluire i 0.5 mL di Gd-DOTA per avere una concentrazione

pari a CGd.

Nel primo prototipo, si sono diluite concentrazioni diverse di Gadolinio in 5 delle 6 cavita’

presenti sul fantoccio, come mostrato in tabella 4.A.

Soluzione CGd [mL] Vol [mL]

2 0.1 350

3 0.2 175

4 0.4 88

5 0.6 58

6 0.8 44

Tabella 4.A: Diluizioni del mezzo di contrasto al Gadolinio, nel primo prototipo.

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59

Nella cavità (o posizione) 1 dell’oggetto di calibrazione sono stati iniettati 2 mL di soluzione

di Solfato di Rame (Conduttanza 1000 µS/cm +/- 50 µS/cm) (tabella riassuntiva 4.B).

Soluzione Sostanza mL

1 Solfato di Rame 2

2 Gadolinio 0.1

3 Gadolinio 0.2

4 Gadolinio 0.4

5 Gadolinio 0.6

6 Gadolinio 0.8

Preparato il campione, si sono acquisite le immagini con sequenza MP-RAGE e con la nuova

sequenza ad alta risoluzione HR (le stesse utilizzate per le acquisizioni sui volontari). Date le

piccole dimensioni dell’oggetto di calibrazione, lo si è acquisito insieme ad altri phantom (di

dimensioni maggiori) per avere più segnale nella bobina e per valutare come e se cambino i

valori dei toni di grigio delle soluzioni utilizzando un oggetto test o l’altro come confronto. Si

sono utilizzati il fantoccio TO5 dell’EUROSPIN (figura 4.15 e 4.16), l’ADNI phantom [45]

(figura 4.17) e una SFERA ripiena di materiale omogeneo (acqua demineralizzata e solfato di

rame) (figura 4.18).

Figura 4.15: MP-RAGE dell’oggetto test

TO5 e del Nuovo oggetto di calibrazione

(sulla destra).

Figura 4.16: HR dell’oggetto test TO5

e del Nuovo oggetto di calibrazione

(in basso).

Tabella 4.B: Le soluzioni nel Primo Prototipo dell’oggetto

di calibrazione.

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60

Figura 4.17: HR dell’oggetto test ADNI

PHANTOM e del Nuovo oggetto di

calibrazione (in basso).

Figura 4.18: HR dell’oggetto test SFERA

e del Nuovo oggetto di calibrazione (in

basso).

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61

4.5 La Calibrazione con Riferimenti Assoluti

La procedura di normalizzazione ha lo scopo di uniformare i valori dei livelli di grigio delle

immagini, in modo tale che in ogni immagine vengano associati agli stessi tessuti gli stessi

valori di grigio. Attualmente, la procedura automatica di estrazione delle scatole ippocampali,

definita dal progetto MIND (descritta al paragrafo 2.3), effettua una normalizzazione dei toni

di grigio che si basa sulla segmentazione del corpo calloso, non applicabile alle immagini

acquisiste con il protocollo ad Alta Risoluzione, in quanto tale regione del cervello non è

visibile nel campo di vista delle HR. Secondo la procedura della pipeline, individuata sulle

immagini total brain la regione del corpo calloso, si identificano i tre tessuti: materia grigia

(GM), materia bianca (WM), e liquido cerebrospinale (CFS) e se ne calcolano i valori medi,

che vengono poi abbinati ai corrispondenti livelli medi degli stessi tessuti di un template di

riferimento (il ICBM152) attraverso una spline cubica che passa tra 0, 1 e i tre punti definiti

dal template (normalizzati tra 0 e 1).

Questo tipo di normalizzazione, ragionevole ma arbitraria, presenta delle criticità, date dal

fatto che i toni di grigio della GM, WM e CFS dell’immagine acquisita sono forzati ai toni di

grigio dei corrispondenti tessuti dell’immagine di riferimento, perdendo così contenuto

informativo non rispettando la variabilità interindividuale. Inoltre come detto, tale procedura è

applicabile alle sole immagini acquisite con protocollo MP-RAGE. Nasce pertanto la

necessità di definire un nuovo metodo di normalizzazione che superi queste criticità.

Una volta che l’oggetto di calibrazione (descritto al paragrafo 4.4) è stato riempito di

diluizioni diverse di mezzo di contrasto, ne sono state acquisite immagini RM, con le stesse

sequenze e con lo stesso tomografo utilizzato per le acquisizioni sui volontari. E’ stato creato

uno script in ambiente MATLAB che crea una spline cubica passante tra 0 e 3 punti di

riferimento definiti dall’oggetto test nell’immagine. In particolare, si sono analizzate le

immagini HR dell’oggetto test acquisito con TO5, ADNI phantom, e SFERA e si è deciso di

prendere quest’ultima come riferimento, in quanto lungo le fette dell’immagine i toni di grigio

per la stessa soluzione mostrano un andamento più costante. Si sono poi interpolati i punti

della spline in modo tale che i toni di grigio delle soluzioni contenute nelle diverse cavità

nelle altre immagini vengano portati ai toni di grigio delle soluzioni corrispondenti a quelli

misurati nell’immagine con la SFERA. In particolare, in base ai profili delle immagini, si

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sono presi come riferimento i toni di grigio delle soluzioni 1, 2 e 4. Un esempio del risultato

di questa spline e’ mostrato nella figura 4.19.

Lo script MATLAB creato per la procedura di normalizzazione è riportato qui di seguito:

addpath('./NIFTI_20130306/');

clear all

close all

X=[0,1017, 1309, 1435]; %% valori soluzioni 1, 2 e 4 dell’immagine

Y=[0,1191, 1587, 1865]; %% valori soluzioni 1, 2 e 4 dell’immagine SFERA

(il riferimento)

xx=linspace(0, 2000);

curva=spline(X,Y,xx); % spline (cubica di default): essa calcola la

trasformazione cubica che porta i valori di X ad essere coincidenti con

quelli in Y

plot(X, Y, 'o', xx, curva, '-');

grid on

b=load_untouch_nii('dir_in');

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

0 500 1000 1500 2000

Figura 4.19: Spline cubica: in ascissa, i valori delle soluzioni 1, 2 e 4 che si

desidera riportare ai valori del riferimento (in ordinata).

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B=double(b.img);

hbox=interp1(xx,curva,B(:),'linear'); % stessa trasformazione a B(:)

b.img=reshape(hbox,size(B)); % da vettore torno 3D

save_untouch_nii(b,’dir_out’);

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64

5. RISULTATI

5.1 Le Correzioni di Intensity Inhomogeneity

Alle immagini RM acquisite sui volontari sono stati applicati i software di correzione della

disomogeneità IIH, SPM5 e BRAINSUITE. I risultati della correzione effettuata da SPM5

sulle immagini MP-RAGE sono mostrati in figura 5.1, dove: A è l’immagine originale, B

l’immagine corretta con SPM e C rappresenta la disomogeneità percentuale tra le due: (A-

B)/A. Altri risultati sono riportati in figura 5.2, dove si mostrano le disomogeneità percentuali

di immagini di volontari diversi.

Figura 5.1: A: Immagine MP-RAGE grezza ; B: immagine A corretta da SPM5; C: Mappa della

disomogeneità percentuale tra l’immagine A e B: (A-B)/A La differenza percentuale tra le immagini grezza

e corretta è tra 5-10%.

A B

C

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I risultati della correzione effettuata da SPM5 sulle immagini ad Alta Risoluzione (HR) sono

mostrati in figura 5.3, dove: A è l’immagine originale, B l’immagine corretta con SPM5 e C

rappresenta la disomogeneità percentuale tra le due: (A-B)/A.

Figura 5.2: Mappe delle disomogeneità percentuali di IIH simili tra immagini di volontari diversi.

A B

C Figura 5.3: A: Immagine HR grezza ; B: immagine A corretta da SPM5; C: Mappa della disomogeneità

percentuale tra l’immagine A e B: (A-B)/A La differenza percentuale tra le immagini grezza e corretta è tra

5-10%.

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Il SW di correzione BRAINSUITE sulle immagini MP-RAGE produce i risultati mostrati in

figura 5.4, dove: A è l’immagine originale, B l’immagine corretta con BRAINSUITE e C

rappresenta la disomogeneità percentuale tra le due: (A-B)/A.

La correzione di BRAINSUITE sulle immagini ad alta risoluzione è mostrata in figura 5.5,

dove: A è l’immagine HR originale, B l’immagine corretta con BRAINSUITE e C

rappresenta la disomogeneità percentuale tra le due: (A-B)/A.

A B

C

Figura 5.4: A: Immagine MP-RAGE grezza ; B: immagine A corretta da BRAINSUITE; C: Mappa della

disomogeneità percentuale tra l’immagine A e B: (A-B)/A La differenza percentuale tra le immagini grezza e

corretta è tra 5-10%.

A B

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L’applicazione di BRAINSUITE sulle immagini acquisite, sia con protocollo MP-RAGE che

HR, ha prodotto una serie di problematiche che rendono il SW incompatibile con la procedura

automatica MIND. Il programma provoca deformazioni, legate alle dimensioni dei voxel

dell’immagine in input, e applica rotazioni della matrice dell’immagine che rendono

impraticabili le procedure di co-registrazione della pipeline. Pertanto si procede alla

valutazione delle scatole ippocampali estratte dalle sole immagini trattate con SPM5, che è

risultata compatibile con la procedura automatica.

C

Figura 5.5: A: Immagine HR grezza ; B: immagine A corretta da BRAINSUITE; C: Mappa della

disomogeneità percentuale tra l’immagine A e B: (A-B)/A La differenza percentuale tra le immagini

grezza e corretta è tra 5-10%.

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5.2 La Correzione SPM5 su MP-RAGE MRI

Si calcolano gli indici di confronto introdotti al paragrafo 4.3 per analizzare quantitativamente

la riproducibilità delle scatole ippocampali estratte dalle immagini di RM (o MRI – Magnetic

Resonance Imaging) MP-RAGE, con e senza correzione attraverso SPM5. Nelle figure 5.6 e

5.7 sono riportate le box “corrette” baseline e repeat, destre e sinistre rispettivamente. Dal

momento che i volontari hanno un età compresa tra i 19 e i 29 anni, e non hanno o hanno

avuto patologie al Sistema Nervoso Centrale, si suppone che non ci siano differenze

anatomiche tra le acquisizioni ripetute nel breve arco di tempo di una settimana o poco più.

Figura 5.6: Box MP-RAGE dell’ippocampo destro: baseline (a sinistra) e repeat (a destra).

Figura 5.7: Box MP-RAGE dell’ippocampo sinistro: baseline (a sinistra) e repeat (a destra).

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Si mettono a confronto i valori dei parametri della correlazione (PSNR, MSE, MAXERR,

L2RAT e NCC) ricavati dalle immagini corrette con SPM5 con gli stessi relativi alle

immagini non corrette (o immagini grezze) (Tabella 5.A).

PSNR* MSE MAXERR* L2RAT* NCC

C NC C NC C NC C NC C NC

AR 74.22 74.15 0.0025 0.0025 0.3520 0.407 0.955 0.954 0.998 0.997

BR 69.69 69.74 0.0070 0.0069 0.9039 0.797 0.954 0.991 0.993 0.992

CR 72.12 73.49 0.0040 0.0029 0.5500 0.429 0.974 1.065 0.996 0.997

DR 67.54 76.45 0.0115 0.0015 0.6470 0.427 0.836 0.994 0.991 0.998

ER 68.79 74.93 0.0086 0.0021 0.8894 0.400 0.925 1.064 0.992 0.998

FR 75.37 76.22 0.0019 0.0016 0.4321 0.414 1.004 0.976 0.998 0.998

AL 74.73 74.67 0.0022 0.0022 0.2822 0.321 0.962 0.321 0.998 0.998

BL 70.91 68.93 0.0053 0.0083 0.7000 0.722 0.942 0.722 0.995 0.992

CL 72.43 73.32 0.0037 0.0030 0.5277 0.456 0.992 0.456 0.996 0.998

DL 69.89 77.65 0.0067 0.0011 0.6624 0.297 0.864 0.297 0.995 0.999

EL 67.65 77.12 0.0112 0.0013 0.6683 0.348 1.152 0.348 0.990 0.999

FL 75.98 76.87 0.0016 0.0013 0.3759 0.328 1.026 0.328 0.998 0.999

MEDIA 71.61 74.46 0.0055 0.0029 0.583 0.446 0.966 1.018 0.995 0.997

I parametri di riproducibilità sono migliori per le immagini MP-RAGE non corrette dalle

disomogeneità attraverso il software SPM5. Infatti il PSNR medio per le immagini non

corrette è 74.46 per e per le corrette è 71.61; il MAXERR è più alto per le immagini corrette

0.583 in media rispetto alle non corrette 0.446 e L2RAT è maggiore per le immagini non

corrette, con t-test significativo (p<0.02).

Tabella 5.A: confronto tra PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT e NCC delle box MP-RAGE dell’ippocampo destro

(R) e sinistro (L), delle immagini Corrette (C) e Non Corrette (NC) , per ogni volontario(lettera da A a F).

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70

5.3 La Correzione SPM5 su HR MRI

Calcolo gli indici di confronto introdotti al paragrafo 4.3 tra le scatole estratte dalle immagini

HR con e senza correzione attraverso SPM5. Nelle figure 5.8 e 5.9 sono mostrate le box

“corrette” baseline e repeat, destre e sinistre rispettivamente. Dal momento che i volontari

hanno un età compresa tra i 19 e i 29 anni, e non hanno o hanno avuto patologie al Sistema

Nervoso Centrale, si suppone che non ci siano differenze anatomiche tra le acquisizioni

ripetute nel breve arco di tempo di una settimana o poco più.

Figura 5.8: Box HR dell’ippocampo destro: baseline (a sinistra) e repeat (a destra).

Figura 5.9: Box HR dell’ippocampo sinistro: baseline (a sinistra) e repeat (a destra).

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Si mettono a confronto i valori dei parametri della correlazione (PSNR, MSE, MAXERR,

L2RAT e NCC) ricavati dalle immagini corrette con SPM5 con gli stessi relativi alle

immagini non corrette (Tabella 5.B)

PSNR MSE MAXERR* L2RAT NCC

C NC C NC C NC C NC C NC

AR 71.82

67.82 0.0042 0.0108 0.376 0.241 0.995 2.34 0.992 0.994

BR 71.78 72.96 0.0043 0.0033 0.459 0.365 1.003 0.752 0.992 0.981

CR 74.47 76.77 0.0023 0.0014 0.376 0.145 0.996 0.743 0.995 0.994

DR 73.53 71.54 0.0028 0.0046 0.380 0.236 0.990 0.575 0.994 0.993

ER 73.69 79.63 0.0027 0.0007 0.388 0.136 0.995 0.843 0.995 0.991

FR 68.62 80.28 0.0089 0.0006 0.396 0.094 0.989 0.882 0.983 0.993

AL 71.15

67.65

0.0049 0.0112 0.396 0.244

0.984 2.35

0.990 0.995

BL 71.15

73.73

0.0048 0.0028 0.397 0.253

0.990 0.790

0.990 0.984

CL 73.83

76.93

0.0026 0.0013 0.398 0.135

0.993 0.738

0.995 0.995

DL 72.18

71.73

0.0039 0.0044 0.390 0.229

0.988 0.571

0.992 0.986

EL 73.46

78.95

0.0029 0.0008 0.396 0.283

0.995 0.831

0.994 0.993

FL 73.33

80.01

0.0030 0.0006 0.376 0.216

1.009 0.876

0.994 0.993

MEDIA 72.41 74.83 0.0040 0.0035 0.394 0.215 0.993 1.025 0.992 0.994

Dalla tabella 5.B, i parametri di riproducibilità sono migliori per le immagini HR non corrette

dalle disomogeneità; infatti il PSNR medio per le immagini non corrette è 74.83 mentre per le

corrette con SPM5 72.41; il MAXERR è più alto per le immagini corrette con 0.394 rispetto

alle non corrette pari a 0.215, con t-test significativo (p<0.02).

Tabella 5.B: confronto tra PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT e NCC delle box HR dell’ippocampo destro (R)

e sinistro (L), delle immagini Corrette (C) e Non Corrette (NC) , per ogni volontario(lettera da A a F).

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72

5.4 Confronto tra MP-RAGE e HR MRI

Noto che sulle immagini acquisiste con il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione la procedura

automatica MIND non effettua le operazioni pre-processing di denoising e normalizzazione,

si confronta la riproducibilità delle immagini MP-RAGE rispetto alle immagini HR con e

senza la correzione dal Bias Field, tabella 5.C.

PSNR MSE MAXERR* L2RAT NCC

C NC C NC C NC C NC C NC

MPRAGE 71.61 74.46 0.0055 0.0029 0.583 0.446 0.966 1.018 0.995 0.997

HR 72.41 74.83 0.0040 0.0035 0.394 0.215 0.993 1.025 0.992 0.994

Dati i valori in tabella 5.C, si conferma la miglior riproducibilità delle immagini acquisiste

con il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione rispetto a quelle acquisite con protocollo ADNI

MP-RAGE, indipendentemente da correzioni o meno del Bias Field. Per le immagini trattate

con SPM5, Il MAXERR vale 0.394 per le HR e 0.583 per le MP-RAGE e per le immagini

non corrette il MAXERR vale 0.215 per le HR mentre misura 0.446 per le MP-RAGE, con t-

test significativo (p < 0.02).

Tabella 5.C: confronto tra PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT e NCC delle box MP-RAGE e HR delle

immagini Corrette (C) e Non Corrette (NC).

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73

5.5 La Normalizzazione con Nuovo Oggetto di Calibrazione

Le immagini del nuovo oggetto di calibrazione acquisite con il protocollo ad Alta Risoluzione

e con il protocollo dell’ADNI, MP-RAGE, sono state analizzate per valutare come variano i

toni di grigio delle stesse soluzioni di gadolinio, di solfato di rame e di acqua distillata tra le

immagini.

Si sono analizzati i toni di grigio delle 6 soluzioni nelle immagini acquisite con i fantocci TO5

(figura 5.10), SFERA (figura 5.11) e ADNI phantom (figura 5.13), e si è constatato che la

stessa soluzione di mezzo di contrasto mostra valori variabili tra le immagini e tra le diverse

fette della stessa immagine.

Figura 5.10: (a sinistra) HR dell’oggetto test TO5 e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso) con

relativo profile plot (a destra).

Figura 5.11: (a sinistra) HR dell’oggetto test SFERA e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso) con

relativo profile plot (a destra).

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Le immagini 5.10, 5.11 e 5.12 mostrano che con le diluizioni del primo prototipo (definite al

paragrafo 4.4), le cavità 4, 5, 6 (da sinistra) dell’oggetto di calibrazione non mostrano

differenze apprezzabili, dove il gadolinio appare iperintenso, pertanto si è effettuato un

secondo riempimento dell’oggetto di calibrazione in cui si sono modificati i contenuti delle

cavità 5 e 6. Nella 5a cavità del secondo prototipo è stata inserita una soluzione di gadolinio

al 0.07 mL e nella 6a 2 mL di acqua distillata (tabella 5.D). Successivamente si sono acquisite

con gli stessi protocolli le immagini del secondo prototipo dell’oggetto di calibrazione

utilizzando come oggetto test di riferimento una bottiglia omogenea contenente una soluzione

di Solfato di Rame (figure 5.13 e 5.14).

Soluzione Sostanza mL

1 Solfato di Rame 2

2 Gadolinio 0.1

3 Gadolinio 0.2

4 Gadolinio 0.4

5 Gadolinio 0.07

6 Acqua Distillata 2

Figura 5.12: (a sinistra) HR dell’oggetto test ADNI e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso) e

relativo profile plot (a destra).

Tabella 5.D: Le soluzioni nel Secondo Prototipo dell’oggetto di

calibrazione.

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75

Le tabelle 5.E e 5.F riportano i valori di media e deviazione standard dei toni di grigio delle

soluzioni contenute nell’oggetto di calibrazione nelle immagini HR ed MP-RAGE:

TO5 (HR) SFERA (HR) ADNI (HR) BOTTIGLIA (HR)

Soluzione MEDIA DS MEDIA DS MEDIA DS MEDIA DS

1 1258 34 1191 40 1017 31 1131 42

2 1643 61 1587 52 1309 40 1504 61

3 1831 66 1828 82 1457 58 1677 85

4 1810 71 1865 77 1435 59 1646 75

5 1779 72 1820 76 1399 56 1402 57

6 1700 73 1768 73 1336 62 157 27

Tabella 5.E: Confronto della media e deviazione standard delle soluzioni contenute nelle 6

cavità dell’oggetto di calibrazione tra le immagini ad alta risoluzione.

Figura 5.13: HR dell’oggetto test

BOTTIGLIA e del Nuovo oggetto di

calibrazione (in basso) .

Figura 5.14: MP-RAGE dell’oggetto test

BOTTIGLIA e del Nuovo oggetto di

calibrazione (sulla destra).

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76

TO5 (MPRAGE) BOTTIGLIA(MPRAGE)

Soluzione MEDIA DS MEDIA DS

1 1669 120 1276 81 2 2183 181 1741 157 3 2477 178 2069 213 4 2618 195 2091 174 5 2504 175 1663 155 6 2507 180 221 14

Dalle analisi condotte, la SFERA ha una maggior uniformità dei toni di grigio, perciò si

decide di usare i valori delle cavità dell’immagine con la sfera come riferimento per la

normalizzazione dei toni di grigio per le altre immagini.

La funzione di calibrazione non lineare creata permette di portare i valori dei toni di grigio

delle immagini (TO5, BOTTIGLIA e ADNI phantom) con i corrispondenti nell’immagine di

riferimento della SFERA. Lo script definisce una spline cubica che associa ai valori di 3

soluzioni prese come riferimento: la 1, la 2 e la 4 dell’immagine da normalizzare, ai valori dei

corrispondenti nell’immagine target di riferimento. Si sono scelte le soluzioni contenute nelle

cavità 1, 2 e 4 in base ai profili.

Il risultato delle calibrazioni è mostrato nei grafici: 5.15 e 5.16 per il TO5 HR e MP-RAGE,

5.17 per l’ADNI phantom HR, 5.18 e 5.19 per la BOTTIGLIA HR e MP-RAGE.

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

0 500 1000 1500 2000

Figura 5.15: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine TO5 HR (in ascissa) e i

valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata).

Tabella 5.F: Confronto della media e deviazione standard delle soluzioni contenute nelle 6

cavità dell’oggetto di calibrazione tra le immagini MP-RAGE.

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77

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

0 500 1000 1500 2000 2500 3000

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

0 500 1000 1500

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

0 500 1000 1500 2000

Figura 5.17: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine ADNI phantom HR (in ascissa) e i

valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata).

Figura 5.16: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine TO5 MP-RAGE (in ascissa) e i

valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata).

Figura 5.18: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine BOTTIGLIA HR (in ascissa) e i

valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata).

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78

Si mettono a confronto le medie e le deviazioni standard dei toni di grigio delle 6 soluzioni,

prima e dopo la calibrazione rispetto al riferimento della SFERA tra le immagini ad HR,

tabella 5.G e tra le MP-RAGE, tabella 5.H:

Soluzione SFERA(HR) TO5(HR) ADNI(HR) BOTTIGLIA(HR)

Riferimento Prima Dopo Prima Dopo Prima Dopo

1 1191±40 1258±34 1195±26 1017±31 1191±23 1131±42 1188±23

2 1587±52 1643±61 1573±88 1309±40 1585±70 1504±61 1585±71

3 1828±82 1831±66 1892±100 1457±58 1933±124 1677±85 1916±125

4 1865±77 1810±71 1851±109 1435±59 1889±135 1646±75 1857±150

5 1820±76 1779±72 1824±90 1399±56 1802±127 1402±57 145±359

6 1768±73 1700±73 1683±90 1336±62 1679±125 157±27 379±56

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

0 500 1000 1500 2000 2500

Tabella 5.G: Confronto di media e deviazione standard delle soluzioni contenute nelle 6 cavità

dell’oggetto di calibrazione tra le immagini HR rispetto al riferimento della SFERA, prima e dopo

la calibrazione.

Figura 5.19: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine BOTTIGLIA MP-RAGE (in ascissa) e

i valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata).

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Soluzione SFERA(HR) TO5(MPRAGE) BOTTIGLIA(MPRAGE)

Riferimento Prima Dopo Prima Dopo

1 1191±40 1669±120 1200±89 1276±81 1191±20

2 1587±52 2183±181 1558±127 1741±157 1586±24

3 1828±82 2477±178 1837±108 2069±213 1845±28

4 1865±77 2618±196 1865±109 2091±174 1865±34

5 1820±76 2504±175 1871±166 1663±155 1521±25

6 1768±73 2507±180 1791±130 221±14 213±20

Le Tabelle 5.G, 5.H e le figure 5.20 e 5.21 mostrano i risultati della calibrazione, per cui i toni

di grigio delle stesse soluzioni contenute nel nuovo oggetto di calibrazione risultano più simili

nelle diverse immagini ai valori di riferimento.

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

1 2 3 4 5 6

IMMAGINI NON CALIBRATE

TO5

SFERA

ADNI

BOTTIGLIA

Figura 5.20: Confronto delle medie dei toni di grigio delle 6 soluzioni tra le immagini ad alta

risoluzione TO5, SFERA, ADNI e BOTTIGLIA prima della Calibrazione.

Tabella 5.H: Confronto di media e deviazione standard delle soluzioni contenute nelle 6 cavità

dell’oggetto di calibrazione nelle immagini MP-RAGE rispetto al riferimento della SFERA.,

prima e dopo la calibrazione.

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200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

1 2 3 4 5 6

IMMAGINI CALIBRATE

TO5

SFERA

ADNI

BOTTIGLIA

Figura 5.21: Confronto delle medie dei toni di grigio delle 6 soluzioni tra le immagini ad alta

risoluzione TO5, SFERA, ADNI e BOTTIGLIA dopo la Calibrazione.

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6. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Il presente lavoro di tesi è rivolto a migliorare la qualità di immagini di Risonanza Magnetica

Nucleare per lo studio della malattia di Alzheimer, con l’obiettivo di rendere utile ai fini

diagnostici l’analisi longitudinale delle immagini RM ad Alta Risoluzione (High Resolution,

HR). A questo scopo si sono seguite due strade: la prima rivolta a correggere la

disomogeneità dell’intensità di segnale che altera l’immagine di RM, definita Intensity

Inhomogeneity (IIH) o Bias Field, applicando metodi proposti dalla letteratura ed

implementati da software di correzione; la seconda alla definizione di una nuova procedura di

normalizzazione dei toni di grigio dell'immagine che si basi su riferimenti assoluti presenti

nell’immagine stessa con la realizzazione di un nuovo oggetto di calibrazione.

Lo studio della IIH su oggetti test ha dimostrato che nelle sequenze utilizzate in questo lavoro,

le alterazioni di segnale possono essere fino al 10% ed interessano principalmente le regioni

periferiche dell’immagine. Questa quantità, per quanto piccola, può mascherare piccole

variazioni di segnale utili alla diagnosi precoce e quindi si è proceduto allo studio dei metodi

di correzione sulle immagini acquisite sui volontari.

Il lavoro si è basato su un data set in cui per ogni volontario sono presenti: una coppia di

immagini acquisite secondo il protocollo MP-RAGE dell’ADNI e una coppia di immagini

acquisite mediante il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione (High Resolution HR), definito

dall’INFN (sezione di Genova e di Trieste), dall’Università di Trieste e dalla collaborazione

con l’Ospedale Cattinara di Trieste. Ogni volontario è stato chiamato per due sessioni di

acquisizioni, ad una settimana o più di distanza l’una dall’altra: la prima immagine viene

identificata con baseline e la seconda con repeat. E’ stata studiata la riproducibilità delle

immagini e se questa poteva essere aumentata introducendo le correzioni della disomogeneità

IIH.

Alle immagini acquisite sono stati applicati due dei metodi di correzione del Bias Field più

comuni proposti in letteratura, basati sulla segmentazione e sugli istogrammi, ed implementati

rispettivamente dai software SPM5 e BRAINSUITE. Le immagini acquisite e corrette per

ogni volontario sono state inviate all’INFN di Genova per l’avvio della procedura automatica

di estrazione delle scatole ippocampali (MIND). Ogni box mostra la porzione di encefalo

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relativa alla sola area ippocampale, che è considerata un promettente biomarker per lo studio

dell’Alzheimer. Tuttavia si è appurato che solo il SW SPM5 risulta essere compatibile con la

pipeline MIND. Per ogni volontario si hanno 16 scatole (8 per le immagini grezze e 8 per le

immagini corrette da SPM5): le coppie baseline (destra e sinistra) e le coppie repeat (destra e

sinistra) sia per MP-RAGE che per HR. Si è implementato un sistema di confronto oggettivo,

per valutare la correlazione tra le immagini ripetute con la definizioni degli indici: PSNR,

MSE, MAXERR, L2RAT e NCC.

I risultati mostrano la miglior riproducibilità delle immagini acquisite con il protocollo ad

Alta Risoluzione rispetto alle immagini MP-RAGE, in quanto i parametri della correlazione

sono più alti per le immagini HR con t-test significativo. Tuttavia l’applicazione della

correzione mediante SPM5 sul nostro campione non migliora la riproducibilità tra baseline e

repeat rispetto alle immagini non corrette da IIH, anzi si osserva un leggero peggioramento.

Ritengo che questo sia dovuto al fatto che le disomogeneità osservate incidono principalmente

nelle regioni periferiche dell’immagine e sono caratterizzate da una bassa frequenza spaziale,

ed è quindi ragionevole che pesino poco nei volumi ippocampali che sono di piccole

dimensioni (4 x 7.5 x 3 cm3) e piuttosto centrali. Il leggero peggioramento dei parametri

utilizzati per valutare la riproducibilità delle immagini è un effetto indesiderato delle

procedure di correzione.

Le immagini acquisite con il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione non possono essere

analizzate con il processo di pre-processing che caratterizza la pipeline di MIND. Infatti la

normalizzazione dei toni di grigio di MIND si basa sulla segmentazione della regione del

corpo calloso che non è visibile nelle immagini HR a ridotto campo di vista e centrate sulle

porzioni ippocampali e paraippocampali del cervello. Si è sviluppato un nuovo metodo di

normalizzazione che utilizza riferimenti assoluti presenti nell’immagine stessa. Si è creato un

nuovo oggetto di calibrazione, un elemento in plexiglass (9 x 8 x 1 cm3) con 6 cavità riempite

da diluizioni differenti di gadolinio, solfato di rame e acqua distillata definendo così 6

riferimenti assoluti nell’immagine.

I risultati della calibrazione sono soddisfacenti in quanto la normalizzazione si dimostra una

procedura efficace e robusta e in questo modo le immagini HR sono normalizzate con un

criterio oggettivo.

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83

Uno sviluppo futuro sarà studiare la correzione di IIH dalle immagini in vivo ed in presenza

del nuovo oggetto di calibrazione, che verrà posizionato sotto la nuca del volontario. A tale

scopo si propone la realizzazione di un secondo prototipo di oggetto di calibrazione dalle

caratteristiche più ergonomiche. Inoltre si potrà procedere alla programmazione di un

protocollo clinico di studio longitudinale su pazienti, coinvolgendo una o più sedi.

Page 84: OTTIMIZZAZIONE DELLA QUALITA’ DI IMMAGINI MRI AD ALTA … MRI, in grado di ... Nel capitolo 5 sono presentati i risultati relativi al pre-processing di correzione della IIH e al

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85

APPENDICE

A.1 La Risonanza Magnetica Nucleare

La Risonanza Magnetica (RM) nucleare rappresenta lo studio delle proprietà magnetiche del

nucleo dell’atomo; sia i protoni che i neutroni esibiscono proprietà magnetiche legate al loro

spin (momento angolare) e alla loro distribuzione di carica. In particolare tutto l’imaging di

RM si basa sul segnale del nucleo di Idrogeno (H+), costituito da un unico protone. I primi

studi di RM risalgono agli anni 40, come strumento d’indagine per ricerche in ambito chimico

e biochimico; negli anni 70, è stato scoperto che i gradienti di campo magnetico possono

permettere la localizzazione del segnale RM e la generazione d’immagini il cui contrasto e’

determinato dalle proprietà magnetiche del protone, fornendo importanti informazioni

cliniche. Dal 1980 si è verificata la grande diffusione di tale apparecchiatura in ambito

clinico. Infatti l’alto contrasto e differenziazione dei tessuti molli e la sicurezza per il paziente

(dato dal fatto che non utilizza radiazioni ionizzanti) hanno fatto si che la RM diventasse per

molti esami la tecnica di indagine preferenziale, a dispetto della CT (Computed Tomography).

Tuttavia ci sono alcuni svantaggi da considerare, che includono l’elevato costo

dell’apparecchiatura, i lunghi tempi per l’acquisizione di un immagine, artefatti significativi e

problemi legati alla claustrofobia dei pazienti sottoposti all’indagine.

A.1.1 Preludio all’Imaging di Risonanza Magnetica

Il nucleo di un atomo è composto da protoni e da neutroni con le caratteristiche riportate in

figura (A.1.1), il loro spin e la loro distribuzione di carica ne influenzano le proprietà

magnetiche. Lo spin è assimilabile al momento angolare di un sistema macroscopico rotante e

si può affermare che sia una grandezza “intrinseca” che prescinde da un modello del sistema e

che ha le proprietà formali di un momento angolare. In particolare lo spin del protone (dalla

carica positiva, opposta all’elettrone) produce un dipolo magnetico; nonostante il neutrone sia

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elettricamente privo di carica, le disomogeneità di carica a livello subnucleare produce un

campo magnetico di direzione opposta e delle stessa intensità dei quello generato dal protone.

Il vettore momento magnetico (μ), descrive le caratteristiche del campo magnetico di una

carica elettrica che ruota su stessa, ovvero dotata di spin (S). La relazione che lega il momento

magnetico allo spin è:

μ = γ*S (1)

dove γ rappresenta una costante di proporzionalità nota come rapporto giromagnetico,

caratteristico di ogni tipo di nucleo. Si specifica che in un nucleo con un numero pari di

protoni e neutroni, gli spin sono accoppiati e il momento magnetico è essenzialmente zero.

Invece i nuclei aventi numero dispari di protoni o di neutroni o entrambe, hanno S diverso da

zero e perciò questi nuclei sono dotati di momento angolare μ diverso da zero.

Il principale elemento usato per l’imaging di RM è l’idrogeno, costituito da un solo protone

(H+) e da spin pari a 1/2. Di seguito nucleo d’idrogeno e protone saranno usati come sinonimi.

Il protone può essere considerato come un piccolo magnete costituito dal polo nord e sud

(figura A.1.2) e in assenza di un campo magnetico esterno (il campo magnetico terrestre ha

intensità troppo bassa per creare effetti significativi a temperatura ambiente), l’isotropia dello

spazio fa si che non sussistano motivi perché il nucleo preferisca un’orientazione rispetto ad

un’altra. (figura A.1.3A). Ma sotto l’influenza di un campo magnetico esterno, B0, gli spin si

distribuiranno in due possibili configurazioni o livelli energetici (secondo la meccanica

quantistica): paralleli (livello energetico inferiore) o antiparalleli a B0 (livello energetico

Tabella A.1.1 :Caratteristiche dei Neutroni e Protoni.

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superiore) (figura A.1.3B). Si è dimostrato che prevalgono in numero gli spin con direzione

parallela al campo magnetico esterno.

Secondo la meccanica classica, i protoni dotati di μ e sotto l’influenza di B0, sono soggetti ad

un momento torcente, che ne causa un moto di precessione attorno alla direzione di B0 (moto

di una trottola) (figura A.1.4). La frequenza angolare della trottola (numero di

rotazioni/secondo) è proporzionale all’intensità di B0 ed è descritta dall’equazione di Larmor:

ω0 = γ * B0 (2)

data la dipendenza di ω0 da γ , allora la frequenza di Larmor dipenderà dal nucleo studiato

(tabella A.1.5) .

Figura A.1.2: (a sinistra) rappresentazione classica del protone come dipolo magnetico,

(a destra) rappresentazione del momento magnetico dello stesso protone.

μ

Figura A.1.3: A: senza un campo magnetico esterno, i protoni si dispongono in maniera

casuale nello spazio (μ complessivo pari a zero). B: sotto l’influenza di B0, i protoni assumono

i due orientamenti possibili (parallelo o antiparallelo).

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Intensità B0 0.15 T 0.5 T 1.5 T 3.0 T 1H 6.39 MHz 21.29 MHz 63.87 MHz 127.74 MHz 31P 2.58 MHz 8.6 MHz 25.8 MHz 51.6 MHz

Si introduce a questo punto il concetto di vettore magnetizzazione M, come il vettore

risultante dei momenti magnetici dei nuclei contenuti in un elemento di volume (voxel):

M = ∑i μi (3)

M risulterà essere un vettore con direzione parallela al campo magnetico B0, in quanto nel

voxel in esame, come detto precedentemente, si ha una prevalenza di spin in posizione

parallela al campo e precedera’ con un moto di precessione pari alla frequenza di Larmor.

Considerando un sistema di riferimento x,y,z, con z orientata nella direzione di B0, il vettore

magnetizzazione è descritto, secondo la meccanica classica, come un vettore a due

componenti: Mz e Mxy (figura A.1.6). La prima è chiamata magnetizzazione longitudinale ed è

parallela al campo magnetico applicato. All’equilibrio Mz è massima e pari a M0, l’ampiezza

di M, determinata dalla differenza nel numero di spin in posizione up o down rispetto il

campo magnetico. Mxy è la magnetizzazione trasversale, perpendicolare al campo magnetico

Figura A.1.4: moto di precessione di un protone con frequenza proporzionale al campo

magnetico esterno B0.

Tabella A.1.5 : frequenza di precessione f = ( γ/2π ) B0.

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applicato e all’equilibrio è pari a zero, poiché le componenti trasversali dei singoli protoni

hanno orientamento causale e nella sommatoria vettoriale la risultante sarà pari a zero. Per

poter fare imaging è necessario a questo punto stimolare il sistema attraverso l’irraggiamento

con radiofrequenze (RF).

A.1.2 La generazione del segnale RM

L’Applicazione di un impulso a RF sincronizzato con la frequenza di precessione dei protoni,

provoca l’eccitazione degli stessi: ossia si realizzano le condizioni per il fenomeno della

risonanza (scambio efficiente di energia tra due sistemi). Per la meccanica classica, questo si

manifesta come una torsione del vettore magnetizzazione M dalla condizione di equilibrio;

per la meccanica quantistica lo stesso fenomeno è descritto come un salto energetico degli

spin dallo stato non eccitato allo stato eccitato, quindi da UP a DOWN. Il ritorno

all’equilibrio da questa condizione di eccitazione, rappresenta il segnale di risonanza

magnetica, che avrà un’ampiezza proporzionale al numero di protoni eccitati e un rate che

dipenderà dalle caratteristiche del tessuto da cui proviene il segnale stesso.

L’impulso di eccitazione corrisponde all’energia che separa il livello energetico dei protoni

nello stato non eccitato (posizione parallela al campo) a quello dello stato eccitato (posizione

antiparallela al campo). Solo quando è applicata la giusta energia si ottiene l’eccitazione degli

Figura A.1.6: il vettore magnetizzazione e le due componenti, longitudinale e trasversale,

in un sistema di riferimento x,y,z, con z coincidente con la direzione di applicazione di B0.

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90

spin, in particolare la frequenza di questo impulso di eccitazione corrisponde proprio alla

frequenza di precessione dei protoni. Si precisa che essendo la frequenza di Larmor, ω0 , del

nucleo di idrogeno, dell’ordine dei MHz, allora l’energia di eccitazione rientra nella porzione

dello spettro elettromagnetico corrispondente alle radio frequenze.

Si analizza il modello della meccanica classica per la descrizione del fenomeno. Si consideri

un sistema di riferimento fisso, come in figura A.1.6, con z coincidente con la direzione di

applicazione di B0. L’irraggiamento con RF si realizza con una bobina alimentata da corrente

alternata alla frequenza ω0 (orientata per esempio lungo y) , generando così un campo

magnetico oscillante B1. B1 provocherà una torsione di M e nel sistema di riferimento, si

vedrà M ruotare in un moto a spirale (seguendo il profilo di una sfera) alla frequenza di ω1

con ω1 pari a γ * B1 (dall’equazione (2)). L’impulso di eccitazione provoca così la formazione

di un angolo tra M e B0, definito angolo di flip, θ:

θ = ω1 * t = γ * B1 * t (4)

dove t è il tempo di applicazione di B1.

Un impulso RF di 90°, per esempio, provoca il ribaltamento di M sul piano xy; perciò genera

la massima magnetizzazione trasversale Mxy. Una bobina posta in modalità ricevente

raccoglierà il segnale generato dal rilassamento; in quanto durante il ritorno all’equilibrio, M

determinerà un fenomeno magnetico che indurrà una corrente alternata sulla bobina alla

frequenza di Larmor. In un sistema di riferimento fisso, il vettore magnetizzazione mantiene

costante il suo modulo durante il ritorno all’equilibrio. Il segnale generato in un’antenna dopo

un impulso di 90° è noto come free induction decay (FID) (figura A.1.7) ed ha l’andamento di

una sinusoide smorzata esponenzialmente con un tempo caratteristico di T2*.

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91

Più precisamente si parla di Rilassamento Longitudinale e Trasversale, aventi meccanismi e

tempi differenti. Il primo rappresenta il ripristino di Mz (da zero, dopo un impulso di 90°)

secondo un tempo pari a T1. Questo rilassamento dipende dalla dissipazione di energia tra

spin e reticolo causata da urti e moti vibrazionali (figura A.1.8). L’equazione di Bloch

descrive il recupero della magnetizzazione longitudinale come:

Mz (t) = M0 (1 – e-t/T1

) (5)

Il rilassamento trasversale rappresenta la perdita di Mxy (che dopo θ=90° è massima e pari a

M0) a causa dello sfasamento della precessione degli spin per interazione spin-spin (con una

relazione esponenziale la cui costante di tempo pari a T2). L’equazione di Bloch per la perdita

della magnetizzazione trasversale e’ definita come:

Mxy (t) = M0 e-t/T2

(6)

Oltre a disomogeneità atomiche tra gli spin vicini, che fluttuano con i moti casuali delle

molecole, anche la disomogeneità del campo magnetico principale causa questa perdita di

Figura A.1.7: il rilassamento di Mxy induce un segnale nella bobina, il FID, alla frequenza

di Larmor e secondo T2* dovuto alla perdita di coerenza di fase.

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coerenza di fase e per tanto il tempo di rilassamento trasversale effettivo che si misura è pari a

T2*; il quale è dato dal tempo T2 (disomogeneità del materiale) e dalla disomogeneità del

campo magnetico nel volume di tessuto considerato, secondo la relazione:

1/T2* = 1/T2 + γ∆B0 (7)

Dove ∆B0 rappresenta la disomogeneità di B0, (figura A.1.9A e B).

Dato che T1 e T2 sono caratteristici dei tessuti, sono stati tabulati (tabella A.1.10).

Figura A.1.8: dopo un impulso di 90°, Mz diventa 0 sul piano xy. Dopo un tempo pari a

T1, si è ripristinato il 63% della magnetizzazione longitudinale.

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A.1.3 La localizzazione del segnale RM

Con l’utilizzo di un campo statico d’induzione magnetica esterno B0 e di uno specifico

impulso di eccitazione, i protoni presenti all’interno di un materiale, vengono eccitati e

successivamente producono un segnale con ampiezza proporzionale al tempo di rilassamento

Figura A.1.9: A: perdita di Mxy causata da interazioni spin-spin nel tessuto. Dopo T2 è decaduto il

37% della magnetizzazione trasversale. B: T2 è legato alle proprietà intrinseche della materia; T2* è

legato sia alle disomogeneità intrinseche che del campo magnetico principale. T2 è sempre più lungo

di T2*.

Tabella A.1.10: tempi di rilassamento T1 e T2 per alcuni tessuti

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e alla densità protonica, durante il rilassamento. La localizzazione del segnale è fondamentale

per l’imaging di risonanza magnetica e richiede l’utilizzo di gradienti di campo magnetico.

Questi si ottengono dalla sovrapposizione dei campi magnetici generati dalle bobine di

gradiente, spire conduttrici che producono variazioni lineari del campo magnetico principale.

All’interno del corpo dell’apparecchiatura, sono posizionati i tre set di gradient coil lungo x, y

e z (figura A.1.11). E si definiscono Gx, Gy e Gz, i gradienti di B0 lungo x, y e z,

rispettivamente.

La presenza di un gradiente lineare fa si che cambi la frequenza di precessione dei protoni in

funzione della loro posizione. In particolare, per la geometria del sistema di gradienti, al

centro del FOV (field of view), il gradiente è nullo e quindi non si hanno modifiche sulla

frequenza di precessione. Pertanto si risale alla posizione del protone all’interno del sistema

grazie alla sua frequenza e alla sua fase (figura A.1.12).

Figura A.1.11: Set di bobine di gradiente lungo x,y e z.

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Se per esempio accendiamo un gradiente lungo x:

B(x) = B0 + xGx (6)

Dove B(x) rappresenta il campo magnetico nella posizione x e B0 è il campo magnetico

principale. Allora l’intensità del campo in due punti x1 e x2 sarà:

B(x1) = B0 + x1Gx (7)

B(x2) = B0 + x2Gx

Perciò la frequenza di precessione nelle posizioni x1 e x2 sarà:

ω1 = γ B(x1) (8)

ω2 = γ B(x2)

Figura A.1.12: distribuzione del gradiente e della frequenza di Larmor all’interno del FOV.

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dove pertanto ω1 ≠ ω2. Il segnale raccolto dalla bobina sarà così costituito da due componenti

a frequenze diverse che si determinano con la trasformata di Fourier; note le frequenze si

possono determinare le posizioni di x1 e x2, quindi localizzare la provenienza del segnale

RM. Per localizzare un protone all’interno di un volume tridimensionale sono necessari tutti e

tre i gradienti: il gradiente di selezione della fetta (Gz), quello di codifica di frequenza (Gx) e

quello di codifica di fase (Gy).

Il Gradiente di Selezione della fetta (Gz)

La bobina generatrice dell’impulso RF non ha la capacita’ di indirizzare l’energia

nello spazio considerato. Percio’ e’ il gradiente di selezione della fetta che

definisce/seleziona la fetta di tessuto che deve essere perturbata dall’impulso RF che

viene applicato contemporaneamente all’impulso RF. Per esempio il gradiente puo’

essere applicato lungo l’asse del corpo (direzione cranio-caudale) e la frequenza di

precessione dei protoni varia a seconda della loro posizione all’interno del gradiente.

L’impulso di eccitazione sara’ cosi’ applicato all’intero volume, ma solo gli spin

aventi la stessa frequenza di precessione della RF, assorbiranno l’energia, a causa del

fenomeno di risonanza (figura A.1.13).

Lo spessore della fetta e’ determinato da due parametri: la larghezza di banda

dell’impulso RF e dall’intensita’ del gradiente all’interno del FOV. Per un dato valore

di Gz, piu’ e’ stretta la banda dell’impulso, piu’ stretta sara’ la fetta di tessuto (figura

A.1.14A). Invece stabilita la banda di RF, maggiore e’ la forza del gradiente, piu’

ampio sara’ il range di frequenze nel FOV e quindi lo spessore delle fette diminuisce

(figura A.1.14B).

Figura A.1.13: il gradiente di selezione della fetta modifica la frequenza di precessione dei

protoni.

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Il Gradiente di Codifica di Frequenza (Gx)

Il gradiente di codifica di frequenza, noto anche come gradiente di lettura, e’ applicato

in direzione perpendicolare al gradiente di Selezione della fetta, lungo l’asse x,

durante la formazione del segnale proveniente dagli spin eccitati da Gz. Pertanto si

varia linearmente la frequenza di emissione dei protoni.

Il Gradiente di Codifica di Fase (Gy)

La posizione degli spin nella terza dimensione dello spazio e’ determinata dal

gradiente di codifica di fase, applicato perpendicolarmente tra il gradiente di selezione

della fetta e di lettura. La fase rappresenta una variazione nel punto di partenza di una

sinusoide, e puo’ essere introdotta dall’applicazione di un gradiente. Dopo la selezione

della fetta di tessuto, tutti gli spin sono in coerenza di fase; durante l’applicazione di

Gy, si determina una variazione lineare della frequenza di precessione degli spin

eccitati. Spegnendo il gradiente, gli spin continuano a precedere con la frequenza di

Larmor ma non sono piu’ in fase. Per ogni TR (tempo di ripetizione), uno specifico

Gy introduce uno specifico cambiamento di fase all’interno del FOV (figura A.1.15).

Figura A.1.14: A: dato un gradiente, lo spessore della fetta e’ determinato dalla larghezza

di banda RF; B: fissata la banda RF, l’intensita’ del gradiente determina lo spessore della

fetta.

A B

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Per illustrare l’applicazione dei gradienti, si riporta qui di seguito un esempio di sequenza

SPI-ECHO (figura A.1.16). La figura A.1.16 mostra l’applicazione del gradiente di selezione

della fetta in contemporanea agli impulsi di eccitazione di 90 e 180; il gradiente di codifica di

frequenza viene acceso durante la formazione dell’echo (dopo un tempo pari a TE). La

sequenza e’ ripetuta all’aumentare del gradiente di codifica di fase per definire la terza

dimensione dell’immagine.

Figura A.1.15: il gradiente di codifica di fase per ogni TR produce una variazione della frequenza

di precessione dei protoni e in seguito, i protoni tornano a precedere alla frequenza di Larmor ma

non piu’ in fase.

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A.1.4 La formazione dell’immagine MRI

Il segnale di RM viene acquisito nello spazio K, matrice come files di dati acquisiti nel corso

della scansione ma che all’apparenza non ricostruiscono l’immagine anatomica selezionata.

Ogni immagine ha il proprio set di dati che costituisce lo spazio k. Lungo le righe della

matrice sono disposti i valori di kx che corrispondono ai tempi (integrali) di misura in cui è

applicato il gradiente di lettura; e lungo le colonne quelli di ky che rappresentano ogni passo

della codifica di fase. La matrice è divisa in 4 quadranti, con l’origine posto al centro e

rappresentante la frequenza pari a 0. Esempio di riempimento dello spazio K, in figura

A.1.17:

1) Un impulso di eccitazione RF viene applicato contemporaneamente al gradiente di

selezione della fetta (Gz). L’energia assorbita dal tessuto dipende dall’ampiezza e

dalla durata dell’impulso stesso. Ad un impulso di 90°, la magnetizzazione

longitudinale si annulla e risulta massima la magnetizzazione trasversale;

Figura A.1.16: schema di un sequenza spin-echo, in cui si mostrano i tempi di applicazione dei

diversi gradienti in un intervallo pari a TR. Ogni TR e’ caratterizzato da un diverso valore di Gy.

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2) Un gradiente di codifica di fase è applicato per un generare una differenza di fase tra

gli spin lungo la stessa direzione di Gy; in questo modo si “seleziona” una riga dello

spazio k;

3) Un impulso di 180° produce l’eco al tempo TE, simultaneamente al Gz;

4) Durante la formazione dell’eco, il gradiente di codifica di frequenza, applicato

ortogonalmente a Gy e Gz, modifica le frequenza di precessione degli spin lungo il

gradiente stesso;

5) Allo stesso momento l’ADC acquisisce il segnale nel dominio del tempo, la frequenza

di campionamento e’ determinata dalla banda di eccitazione. I dati digitali vengono

convertiti in frequenze discrete riempiendo così una riga dello spazio k;

6) Il processo si ripete fino al riempimento dell’intera matrice;

7) La trasformata inversa 2D di Fourier, permette di decodificare le informazioni nel

dominio delle frequenze per ottenere le caratteristiche spaziali e del contrasto del

tessuto nell’immagine;

8) L’immagine finale rappresenta le caratteristiche di T1, T2 e densità protonica del

tessuto utilizzando scale di grigio. Ogni pixel rappresenta un voxel e lo spessore è

determinato dal gradiente di selezione della fetta e dalla banda dell’impulso RF.

La posizione di un dato nello spazio-k e’ determinata dagli effetti dei gradienti e degli impulsi

di eccitazione. La parte centrale dello spazio-k e’ relativo alle basse frequenze, contribuisce al

contrasto dell’immagine e contiene le informazioni sulle forme grossolane; mentre l’area al

bordo dello matrice corrisponde alle alte frequenze, responsabili della risoluzione spaziale

dell’immagine, dei dettagli e delle strutture più fini.

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Figura A.1.17: acquisizione dei dati RM e riempimento dello spazioK.

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A.2 Procedure di Installazione e Accettazione di apparecchiature di RM

A.2.1 Le Procedure d’installazione

Riprendo in questa appendice parte della

relazione di tirocinio formativo universitario

che ho svolto presso il Servizio di Ingegneria

Clinica dell’Azienda Ospedaliero-universitaria

“Ospedali Riuniti” di Trieste (AOUTS), in

quanto il lavoro di tesi riguarda la correzione

di immagini MRI le cui alterazioni hanno

origine nell’hardware qui di seguito presentato

e discusso. Presso il Nuovo Polo tecnologico dell’Ospedale Maggiore di Trieste è stato

recentemente installato un tomografo a Risonanza Magnetica (RM) 1.5 Tesla, il

MAGNETOM Aera System della Siemens (figura a lato), di cui ho potuto seguire le

procedure d’installazione ed accettazione durante il mio tirocinio formativo. Si tratta di

un’apparecchiatura a magnete superconduttore. Le procedure d’installazione hanno richiesto

complessivamente 4 giorni.

Il tomografo a RM è un apparecchio utilizzato nell’ambito della diagnostica per immagini, i

cui componenti principali possono essere suddivisi in tre categorie [35]:

1 I componenti che hanno il compito di produrre l’eccitazione dei nuclei in esame e

sono: il Magnete, l’alimentazione del magnete, i sistemi di controllo dell’omogeneità

del campo magnetico (shimming), le bobine di gradiente, il generatore di

radiofrequenze (RF) e l’amplificatore di potenza degli impulsi RF;

2 Le parti destinate al rilevamento, all’elaborazione del segnale RM e alla formazione

dell’immagine finale, e sono la bobina per rilevare il segnale RM, il preamplificatore,

il ricevitore, il campionatore e convertitore A/D, il calcolatore e il sistema di

presentazione dell’immagine a video;

3 Il calcolatore di controllo di tutte le componenti del tomografo.

L’elemento fondamentale del tomografo è il Magnete che ha il compito di produrre un campo

magnetico statico all’interno del quale sarà posto il paziente. I parametri che caratterizzano il

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campo magnetico prodotto sono l’intensità, l’omogeneità e la stabilità nel tempo [35].

L’intensità del campo magnetico si misura in Tesla (1 Tesla = 10.000 Gauss) ed ha valori

differenti a seconda del campo d’applicazione: per l’imaging sono sufficienti intensità di 0,15

e 0,5 T. Attualmente i sistemi clinici utilizzano magneti da 1,5 a 2 T; in ambito di ricerca si

arriva fino a 7 T. Il massimo raggiunto fin’ora è un 9 Tesla. L’omogeneità del campo si

misura in parti per milione (ppm). Questi rappresentano la variazione del campo magnetico

lungo una direzione divisa per il valore del campo stesso. Una bassa omogeneità fa diminuire

la quantità di protoni del volume esaminato che saranno eccitati dall’impulso RF e il risultato

sarà un’immagine di scarsa qualità. La stabilità dell’intensità ed omogeneità deve essere

mantenuta nel tempo e si misura in parti per milione per ora (ppm/h).

Vista in sezione di un sistema a magnete superconduttore.

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Il Refill dell’elio

La superconduttività è una caratteristica di alcuni materiali, come leghe di niobio-titanio, che

esibiscono resistenza nulla al passaggio di corrente elettrica quando mantenuti a temperature

estremamente basse. Pertanto realizzando una bobina con una materiale superconduttivo e

“immergendola” in un fluido criogenico (elio liquido), mantenuto alla temperatura di circa -

269°C, si ottiene la permanente circolazione di corrente senza la necessità di una continua

alimentazione, con l’instaurazione di un campo statico d’induzione magnetica [26]. La fase

che precede lo start up del magnete, ossia l’accensione del campo magnetico, è il refill

dell’elio. Si tratta di un refill, vale a dire “ricarica”, dal momento che l’apparecchiatura esce

dalla fabbrica con circa un 10-30% di elio già presente all’interno del sistema del criogeno.

L’elio liquido (LHe) possiede il più basso punto di ebollizione tra tutti gli elementi (4,2

Kelvin ovvero -269°C) ed è quindi il liquido più freddo sulla Terra [36]. L’elio gas è presente

nell’atmosfera solo in tracce (0,0005%), il che rende l’estrazione dall’aria molto dispendiosa e

antieconomica. Per questo viene ricavato esclusivamente da giacimenti di gas naturali e

attualmente i principali si trovano in USA, Russia, Algeria, Qatar e in Polonia. Secondo la

Cornell University di Ithaca, visti gli attuali tassi di consumo di elio e la scarsa disponibilità

di questo elemento sulla Terra, c’è il rischio che le riserve di elio finiscano entro il 2040 [37].

L’operazione di refill dell’elio viene effettuata da personale tecnico specializzato. L’elio pur

non essendo tossico, se inalato in concentrazioni elevate, può portare all’asfissia; inoltre se

viene a contatto con altri corpi può portare a gravi ustioni da freddo. Per evitare perdite

Fantocci utilizzati per la valutazione dell’omogeneità di campo magnetico.

Sfere dal diametro di 25 e 50 cm.

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dovute all’evaporazione, l’elio liquido viene trasportato fino al sito RM in recipienti speciali

isolati e sottovuoto, i dewar. Sono stati portati tre dewar, ciascuno da 250 litri di capacità. Si è

utilizzato elio gassoso (puro 5.5 a 2 bar) per veicolare l’elio liquido all’interno

dell’apparecchiatura. Qui deve essere ovviamente mantenuta la bassa temperatura dell’elio,

pertanto l’avvolgimento e il bagno d’elio sono contenuti in una struttura ermetica raffreddata

ad acqua. Dopo il refill, procedura durata circa 3 ore, si è proceduto all’installazione della

consolle dei comandi per dare avvio alla fase di accensione del magnete.

Lo start up del magnete

Una volta posizionata la segnaletica di avvertimento della presenza di campo magnetico ad

alta intensità sulle porte di accesso alla zona di rispetto (0,1 mT < B < 0,5 mT) e alla zona

controllata (B ≥ 0,5 mT), si è effettuato lo start up del magnete. L’accensione è avvenuta

attraverso il collegamento dell’avvolgimento ad un generatore ausiliario (figura A.2.1),

fornito della ditta produttrice stessa, opportunamente agganciato attraverso la gabbia di

Faraday.

Lo start up e l’innalzamento del campo magnetico avvengono gradualmente. Da console si è

impostata l’intensità massima della corrente che si vuole circoli sulla bobina e gradualmente il

Figura A.2.1: Generatore ausiliario per lo start up del magnete.

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generatore ausiliario fornisce tale corrente, fino a raggiungere i 500 Ampere desiderati.

Quindi dalla console si visualizza a monitor solo la corrente che circola nella bobina e non

l’intensità del campo magnetico che si genera. Prima di scollegare il generatore, si sono

effettuati altri due start up ed è in genere durante il primo innalzamento del campo che è più

probabile che si verifichi un quech spontaneo. Nel caso seguito questo fortunatamente non è

accaduto. Si deve distinguere tra quench spontaneo e pilotato. Il primo può manifestarsi a

seguito di un grande shock meccanico della strumentazione o a seguito di una brusca

riduzione del livello di elio liquido a causa di un accidentale ed eccessivo surriscaldamento. Il

quench pilotato, quindi comandato dall’operatore con la premuta del pulsante di spegnimento

del magnete (figura A.2.2), viene anche chiamato soft-quench, in quanto il riscaldamento

dell’elio liquido avviene in maniera uniforme e controllata, e ciò tendenzialmente non

provoca danni all’apparecchiatura. Lo spegnimento del magnete avviene in 20 secondi,

tuttavia con una perdita in denaro di più di 20.000 €. È opportuno che l’avvio del magnete si

effettui se in sala consolle, è attivo il dispositivo di visualizzazione del tenore di ossigeno, del

livello d’umidità e della temperatura presenti in sala magnete (figura A.2.3). Al momento

dell’accensione questi misuravano rispettivamente: 20.9%, 38% (calata fino a 20% nei giorni

successivi) e 22°C. Un’umidità troppo bassa (ossia meno di 40-60%) comporta due

problematiche. La prima legata ad un problema di sicurezza del paziente, la seconda ad un

problema di qualità dell’immagine. Come infatti prevedono le linee guida per la sicurezza del

paziente, il livello di umidità deve essere intorno al 40-60% [38], per far sì che siano garantite

le condizioni per un adeguato smaltimento del calore da parte dei tessuti del paziente

sottoposto all’indagine RM. Inoltre, un’umidità bassa può portare alla formazione di cariche

elettrostatiche (spike) all’interno dell’apparecchiatura, che vanno a produrre artefatti

sull’immagine acquisita. Per individuare la presenza di questi spike, un dispositivo dedicato

(figura A.2.4) aspira l’aria da determinati punti critici dell’apparecchiatura e la analizza

cercando la presenza di queste particelle cariche.

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Lo shimming del magnete

La presenza di imperfezioni negli avvolgimenti e il non ideale posizionamento delle bobine al

momento dell’assemblaggio, determinano asimmetrie nel sistema con conseguente

generazione di variazioni del campo indesiderate [35]. Anche la presenza di un paziente

comporta variazioni di campo magnetico [39]. Per rendere il campo magnetico più uniforme

possibile, si effettua lo shimming, operazione di compensazione delle disomogeneità di

campo. Lo shimming può essere passivo o attivo. Lo shimming passivo consiste in una

procedura per cui si inseriscono all’interno dell’apparecchiatura opportune quantità di ferro,

secondo una mappatura prodotta via software. Il Siemens MedService Software, installato in

Figura A.2.2: Pulsante di

emergenza per il quench

(spegnimento del magnete).

Figura A.2.3: Dispositivo per la visualizzazione

di: (da sinistra) tenore di ossigeno (in %), livello

di umidità (in %) e temperatura (in °C).

Figura A.2.4: Dispositivo per la rilevazione di spike.

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console, effettua una mappatura dell’omogeneità del campo magnetico presente in sala e

guida il tecnico alla correzione delle disomogeneità individuate. Il tecnico apre il gantry e in

base alle indicazioni del SW, posiziona le placche metalliche su lunghi “vassoi” che

costeggiano la bobina di campo magnetico. I pezzi di ferro, essendo magnetici, alterano il

campo. Lo shimming attivo si effettua con le shim coils (bobine non supeconduttive), per cui

ogni volta che si introduce un paziente all’interno del gantry, il sistema RM fa una mappatura

del campo magnetico e farà scorrere correnti di opportune intensità attraverso le bobine di

shim per rendere il campo più uniforme possibile.

I Quality Assurance

Durante l’installazione sono stati effettuati dei controlli di qualità, Quality Assurance, a

livello di sicurezza dell’impianto e di funzionamento dell’intero sistema e delle singole

bobine Radiofrequenza (RF). Per la sicurezza dell’impianto si sono esaminati per esempio:

visivamente lo stato del tubo del quench, pressione dell’acqua, presenza dei manuali per gli

utilizzatori, dei pulsanti di arresto di emergenza, della segnaletica di avvertimento per

l’accesso alla zona controllata e di rispetto, il sistema di chiamata d’emergenza del paziente, e

lo stato dei gradient supervision. Quest’ultimo consiste in un sistema presente all’interno della

strumentazione, in grado di aspirare l’aria della strumentazione e di convogliarla ad una

camera di analisi, per individuare la presenza di particelle di fumo. Per i controlli di qualità

sul funzionamento del sistema e bobine RF si sono utilizzati opportuni fantocci (o

phantom) messi a disposizione della ditta produttrice stessa. I phantom comunemente

utilizzati sono composti da soluzioni di acqua, NaCl e NiSO4. A livello di sistema si è valutata

l’omogeneità di campo magnetico, l’RF Noise check, la compensazione delle eddy current, la

stabilità, lo shim check e lo spike check. In particolare RF Noise check è un controllo in cui si

è valutato il rumore fuori dal magnete, ponendo la bobina testa/collo in ricezione fuori dal

gantry. Il rumore potrebbe provenire dalla luci della sala, dal sensore per l’ossigeno, dal

termoigrometro ecc. La stessa cosa è stata fatta con l’iniettore di mezzo di contrasto

all’interno della sala, per valutare se la sua presenza originasse rumore. L’iniettore di mezzo

di contrasto è controllato dalla sala consolle e collegato facendo passare i cavi attraverso le

guide d’onda.

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Le bobine a radiofrequenza richieste e fornite dalla ditta sono: 4Ch BI Breast head Nor, due

Body 18, Flex large 4, Flex small 4, Head Neck 20, Loop 4 cm, Peripheral Angio 36 feet,

Peripheral Angio 36 head, Spine 32, TxRx Knee 15 QED [40] [41]. Le bobine a

radiofrequenza sono potenzialmente in grado sia di trasmettere sia di ricevere i segnali RF,

ma nei tomografi di ultima generazione il compito di trasmettere il segnale RF di eccitazione

per i nuclei di idrogeno, è affidato ad una bobina posta fissa all’interno del gantry [35].

Questa bobina è detta Body Coil (bobina del corpo). Tutte le bobine precedentemente indicate

sono solo riceventi, ad eccezione della bobina per il ginocchio (TxRx Knee) che è anche

trasmittente. Da capitolato sono state richieste bobine di tipo phased array. Queste sono

costituite da più bobine poste in parallelo fra loro. Ogni singola bobina riceve

indipendentemente i segnali RF provenienti dal proprio settore di pertinenza. Le informazioni

sono successivamente elaborate e sommate alle altre in modo tale da ottenete un’unica

immagine globale.

A.2.2 Le Procedure d’accettazione

Le procedure d’accettazione e collaudo comprendono la verifica della congruità,

dell’adeguatezza e della qualità della fornitura rispetto a quanto richiesto in fase di gara.

L’accettazione è una procedura facente parte del collaudo e che consiste in un insieme di

verifiche e controlli, effettuate dai tecnici Siemens sotto la supervisione dell’Esperto

Responsabile del sito RM. Fanno parte dell’accettazione i Quality Assurance, secondo i

protocolli Siemens ed Eurospin, i controlli sul buon funzionamento dei sistemi di emergenza e

la mappatura del campo magnetico. All’esito positivo dell’accettazione, virtualmente

l’apparecchiatura potrebbe già essere utilizzata sui pazienti. Durante il mio tirocinio ho

assistito alle fasi di accettazione dell’apparecchiatura, mentre il collaudo sarà eseguito da un

incaricato dell’Ingegneria Clinica e della Fisica Sanitaria dell’AOUTS, alla presenza dei

tecnici della ditta fornitrice, e verterà sulle prove di sicurezza elettrica del sito RM. Tutto

quanto è necessario per effettuare le prove di collaudo (strumenti di misura, mano d’opera,

etc.) dovrà avvenire a cura, a spese e responsabilità della stessa. Come concordato in fase di

gara, la fatturazione è vincolata all’esito positivo delle prove di accettazione e collaudo.

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I Controlli qualità

I controlli di qualità consentono di assumere che le prestazioni strumentali di un dato apparato

diano risultati riproducibili ed accurati, nonché di rendere possibile il confronto dei risultati da

apparecchiature diverse [42]. La complessa problematica di messa a punto e validazione a

livello internazionale di procedure standard per il controllo di qualità, sono stati la definizione

di metodologie, la costruzione di oggetti campione e l’identificazione di appropriate sostanze

di riferimento per la calibrazione degli apparati. Il Verbale d’ispezione RM emanato

dall’INAIL e istituito con decreto ISPESL del 6 Aprile 2009, identifica come controlli

periodici di qualità e di sicurezza RM: i parametri funzionali del tomografo, il SAR, il sensore

ossigeno e la gabbia di Faraday. Per effettuare controlli sui parametri funzionali si sono

definiti negli anni diversi protocolli, tra cui quello EUROSPIN, NEMA (National electrical

manufactuer association) e AAPM (American association of physicist in Medicine). I

parametri principali di imaging (definiti come quei parametri che caratterizzano la qualità

dell’immagine e direttamente determinabili dall’immagine ottenuta) sono: uniformità del

campo magnetico, rapporto segnale/rumore e distorsione geometrica [42][44]. L’uniformità

del segnale nell’immagine si riferisce alla capacità dell’apparecchiatura di produrre la stessa

risposta in segnale (valore di pixel) sull’intero piano dell’immagine ottenuta da un oggetto-

campione avente caratteristiche RM uniformi. I fattori che possono contribuire a produrre

disomogeneità del segnale sono la disomogeneità del campo magnetico principale, le

caratteristiche geometriche della bobina e la non uniformità del campo a radiofrequenza, la

non linearità dei gradienti, un’inadeguata calibrazione degli impulsi dei gradienti, un’errata

correzione delle correnti parassite, un erroneo posizionamento dell’oggetto, un’irregolarità

nella risposta del ricevitore o nei procedimenti di elaborazione dei segnali. Il rapporto

segnale/rumore (SNR) rappresenta il rapporto tra la media dei valori di pixel nella regione di

interesse e la loro deviazione standard. La distorsione geometrica è la deviazione tra le

distanze misurate in un’immagine e le corrispondenti dimensioni all’interno dell’oggetto. In

un’immagine di RM la distorsione geometrica può essere causata da disomogeneità del campo

magnetico principale, difetti nei gradienti o imperfezioni nel campionamento del segnale.

I principali parametri non imaging che caratterizzano le prestazioni dell’impianto e che

rappresentano, da un punto di vista fisico, le condizioni iniziali del processo di formazione

dell’immagine sono: la frequenza di risonanza, la stabilità del campo magnetico, l’omogeneità

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del campo, l’intensità e la linearità dei gradienti di campo magnetico, le correnti parassite e

l’accuratezza del flip angle [44].

Il protocollo “EUROSPIN”

I fantocci utilizzati (figura a lato) sono elementi in

plexiglass con all’interno una soluzione acquosa di

solfato di rame (CuSO4) in grado di simulare la

conducibilità elettrica dei tessuti umani. Ogni

fantoccio viene utilizzato per il controllo di specifici

parametri e presenta caratteristiche geometriche

differenti. Oltre a SNR, distorsione e uniformità, descritti al paragrafo precedente, il

protocollo Eurospin permette di determinare i seguenti parametri [44][43][42]:

La risoluzione caratterizza la capacità di un sistema di imaging di mostrare due oggetti

distinti, quando non c’è notevole contributo di rumore. In condizioni di buon

funzionamento del sistema, la risoluzione è semplicemente limitata dalla dimensione

del pixel; tuttavia, molti fattori possono provocare una perdita di risoluzione per

esempio: il FOV, il SNR, la frequenza di campionamento, lo spessore dello strato e i

filtri di ricostruzione.

Lo spessore dello strato è definito come la larghezza a metà altezza del profilo dello

strato, a sua volta definito come la variazione di contributo al segnale di imaging,

lungo la direzione ortogonale al piano. In altri termini questo parametro indica la

variazione nell’efficacia di eccitazione selettiva degli spin contenuti nello strato. Tale

parametro è rappresentato dalla larghezza espressa in mm del profilo misurato come

“full width half maximum” (FWHM). I fattori che lo influenzano sono: disomogeneità

dei gradienti di campo, non uniformità del campo RF, rapporto TR/T1, forma degli

impulsi e degli echi.

La distanza dello strato, o separazione tra gli starti, è la distanza tra i punti medi della

larghezza a metà altezza di due profili adiacenti.

Per posizione dello strato si intende la localizzazione assoluta del punto medio della

“FWHM” del profilo dello strato.

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Le immagini fantasma (ghost) sono rappresentazioni indesiderate dell’oggetto in

studio. Il livello di ghost (espresso in percentuale) è definito come la massima

intensità di un artefatto nell’immagine rispetto all’intensità dell’immagine originale. I

ghost possono essere causati da malfunzionamenti dei gradienti, da agenti esterni

come vibrazioni meccaniche e movimenti di grosse masse metalliche nelle vicinanze

del sistema RM che provocano una instabilità del campo magnetico.

La valutazione dei parametri T1 e T2 viene effettuata tramite un fantoccio avente

composizione nota che per un dato valore di campo magnetico presenta tempi T1 e T2

noti a priori.

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A.3 Lo standard DICOM

Lo standard DICOM (Digital Imaging and Comunication in Medicine) definisce i criteri per

la comunicazione, la visualizzazione, l’archiviazione e la stampa d’informazioni di tipo

biomedico, quali immagini radiologiche. La sua diffusione si rivela estremamente vantaggiosa

perche’ consente di avere una solida base di interscambio di informazioni tra apparecchi di

produttori diversi, server e PC diversi. E’ uno standard pubblico, cioe’ accessibile a tutti, e si

basa su un modello definito “Service Object Pair” (SOP). Secondo la definizione ISO/OSI, il

DICOM ricopre le specifiche relative allo Application Domain di un processo distribuito.

Ovvero come un modello client/server, in presenza di almeno due applicazioni che

condividono informazioni, queste devono accordarsi sui ruoli: Service Class User (SCU) e’ il

client (o utente) e Service Class Provider (SCP) il server (o fornitore). L’elemento

fondamentale di scambio tra i due e’ la Service Object Pair class (SOP) che definisce le azioni

della SCU e della SCP. Ovvero: SCU e’ il SW di un’apparecchiatura che vuole archiviare

un’immagine appena creata e SCP e’ il server del PACS del reparto di Radiologia in ascolto

su un port TCP/IP.

Il file DICOM contiene una gran quantita’ di informazioni, di cui la pura immagine e’ solo

una parte. E la struttura del documento e’ solo una parte di cio’ che si intende per

comunicazione conforme allo standard DICOM. L’informazione scambiata (IOD, information

Object Definition) piu’ frequentemente usata e’ quella composita, dove viene strutturata

raggruppando i dati relativi ad un singolo oggetto reale (paziente, immagine, macchinario…)

in Information Object Modules (IOM). Ogni IOM e’ a sua volta descritto da “Attributi”

univoci, tra cui: nome, Tag (in esadecimale), descrizione semantica, VR (Value

Representation) e VM (Value Multiplicity). La SOP e’ costituita per gli IOD: C-STORE,

utilizzata per inviare le immagini al PACS per esempio, C-FIND, C-MOVE, serve per

ordinare il trasferimento di un oggetto, C-GET, C-CANCEL e C-ECHO.

Lo IOD (Information Object Definition) e’ costituito da un certo numero di attributi

raggruppati in IOM (Information Object Modules). Il mondo reale e’ schematizzato nel

“DICOM Model of the Real World”: un’entita’ del modo reale come un’immagine, un

paziente viene definita come un oggetto; ogni oggetto contiene attributi, per esempio

l’oggetto paziente conterra’ gli attributi dati anagrafici, data di ricovero… Definti gli oggetti e

gli attributi, DICOM definisce quali operazioni possono essere eseguite e su quali oggetti.

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Quando c’e’ un’immagine, questa e’ semplicemente contenuta in uno degli attributi, per la

precisione nel tag (7FE0, 0010), di nome “Pixel Data”. Percio’ tutti gli altri attributi possono

essere visti come un complesso “header” che precede l’immagine vera e propria, fornendo

una vasta serie d’informazioni realtive al contesto medico dell’immagine. Tutte le

informazioni memorizzate nell’header vengono catalogate in gruppi di elementi, detti ache

Tag DICOM.

Alcuni degli attributi sono relativi al piano dell’immagine:

Image Position (Patient) [0020, 0032] specifica le coordinate x,y,z (in mm)

dell’angolo superiore sinistro dell’immagine, il centro del primo pixel (o voxel)

trasmesso.

Image Orientation (Patient) [0020,0037] specifica la direzione coseno della prima riga

e prima colonna rispetto al paziente. Contiene due vettori con 3 cifre decimali. Il

primo vettore ha valori (1,0,0) ed ‘ la prima riga dell’immagine; il secondo (0,0,-1) e’

l’orientamento della prima colonna (figura A.3.1).

Patient Position [0018, 5100] descrive la posizione del paziente rispetto alla

strumentazione (per esempio HFP, HSF, HFDR…).

Patient orientation [0020, 0020] e’ dato da due valori che definiscono la direzione

dell’asse delle riga e colonna: A anterior, P posterior, R right, L left, H head F foot.

Figura A.3.1

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio la Professoressa Renata Longo per avermi dato la possibilità di svolgere il presente

lavoro di tesi, per la gentilezza e la disponibilità.

Ringrazio per l’aiuto il Dottor Francesco Brun, Francesco Sensi e Luca Rei.

Ringrazio inoltre la Dott.ssa Maria Rosa Fonasier, la Dott.ssa Maja Ukmar, il Dott. Fabio

Quargnali, Sebastian Schlussarek e Stefano Virgilio.