ossola.it la rivista dell'Ossola

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periodico a distribuzione gratuita - freepress La rivista turistica delle Valli dell’Ossola anno IV - numero 8 - 2011

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Il freepress turistico delle valli dell'Ossola.

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  • periodico a distribuzione gratuita - freepress

    La rivista turistica delle Valli dellOssolaanno IV - numero 8 - 2011

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  • 2Parco Nat.Veglia Devero

    Valle Formazza

    Passo delSempione

    Gomba

    Montescheno

    Varzo

    Baceno

    Devero

    DOMODOSSOLA

    Ornavasso

    Crodo

    Trontano

    CroveoOsso

    Esigo

    Crego

    Chioso

    Fondovalle

    Sottofrua

    Cheggio

    Mergozzo

    Calasca

    Baveno

    Stresa

    Druogno

    Coimo

    Candoglia

    Verbania

    Lago Maggiore

    Briga

    Locarno Re

    Viceno

    Foppiano

    Alpe Lusentino

  • 3 2

    011:

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    A proposito di...Primavera 4

    Valle Formazza 6

    La Chiesa delle Sibille 8

    Montecrestese 14

    Parapendio in Ossola 19

    Ascensore per il Veglia 24

    Gastrofilosofia: Il Miele 26

    Sul sentiero della luce 32

    Il libro: Racconti ribelli 37

    Pagine fragili 38

    In canoa sul Toce 40

    Museo antica casa Walser 48

    Scalate sul Rosa 52

    SempioneViaggiare con lentezza 54

    Il fascino del Monte Cistella 56

    Boulder in Devero 59

    Arrampicata in Valle Antrona 62

    Freeride 65

    La Rhodiola rosea 72

    Anno IV - N. 8 - 2011

    EditoreFaggiana Riccardo Tel. 329 2259589 Sede e redazioneVia Madonna di Loreto, 7 28805 Vogogna (VB) Tel/Fax 0324 [email protected]

    Direttore ResponsabileMassimo Parma

    Direttore EditorialeRiccardo Faggiana

    Capo RedattoreClaudio Zella Geddo

    RedattoriPaolo Crosa Lenz, Rosella Favino, Giulio Frangioni, Uberto Gandolfi, Cecilia Marone, Adriano Migliorati, Marilena Panziera, Massimo Parma, Paolo Pirocchi, Giuseppe Possa, Fabio Pizzicoli, Michela Zucca.

    Coordinamento grafico e impaginazioneEleonora Fiumara - [email protected]

    CollaboratoriAurora Video, Stefano De Luca, Tonino Galmarini, Davide Iardella, Felice Jerich, Anna Proletti, Diovuole Proletti, Giorgio Rava, Paola Rovelli, Massimo Sartoretti, Maria Antonia Sironi Diemberger, Carlo Solfrini, Marco Valsesia.

    Hanno collaborato a questo numeroProvincia del Verbano Cusio Ossola, Grossi EditoreComune di Baceno, Roberto Pastore Galderio.

    FotografiaArchivio Riccardo FaggianaStefano De Luca, Adriano Migliorati.

    Video EditingAurora Video

    TraduzioniChiara Cane, Cristian Veldman

    StampaREGGIANI S.p.A. - Gavirate (VA)

    Ossola.it un periodico registrato presso il Tribunale di Verbania in data 10/04/08 con il n. 3/08.

    Sommario

    Comune di Vogogna

    Con il contributo di

    Comune di Baceno

    In copertina: fioritura di Rododendro al Lago Nero - Alpe Devero

    Parco Nat.Veglia Devero

    Valle Formazza

    Passo delSempione

    Gomba

    Montescheno

    Varzo

    Baceno

    Devero

    DOMODOSSOLA

    Ornavasso

    Crodo

    Trontano

    CroveoOsso

    Esigo

    Crego

    Chioso

    Fondovalle

    Sottofrua

    Cheggio

    Mergozzo

    Calasca

    Baveno

    Stresa

    Druogno

    Coimo

    Candoglia

    Verbania

    Lago Maggiore

    Briga

    Locarno Re

    Viceno

    Foppiano

  • 4di Marilena Panziera

    a proposito di...

  • 5In inglese primavera si dice spring, ma spring vuol dire anche sorgente, infatti le nostre Terme di Premia si possono de-finire hot springs sorgenti calde. Sorgente calda, come il sole che torna ad illuminare il paesaggio dai toni siderali che linverno ha congelato lungo le rive dei fiumi ossolani. La bassa Ossola per molti mesi rimane senza luce, cos come Viganella in Valle Antrona, dove hanno rimediato con un grande spec-chio, ma anche alcune zone delle celebri Valli Anzasca e Vigezzo per qualche mese re-stano al buio. Con lapprossimarsi della pri-mavera la luce avanza e lo sapevano bene i nostri avi, che costruivano le case dove non esondava il fiume, ma anche dove arrivava presto il sole. La primavera inizia il 21 marzo nellemisfero boreale e il 23 settembre in quello astrale, coincide con il segno zodiacale dellariete, che gli esperti defini-scono di fuoco, maschile e cardi-nale, perch regge il ciclo dei segni cos come luomo, inteso come ma-schio, era conside-rato il cardine del-la societ e della famiglia. Ora non pi cos, i ruoli si sono gradualmen-te parificati, specie negli ultimi 40 anni. Ma cos come luomo non pi lunico cardine, la donna sempre meno primavera, quante donne si identificano ancora con la bionda Flora, che avanza sotto lo sguardo di Venere e Mercurio, emblema dellamore e della car-nalit che innesca il cambiamento? E a proposito di cambiamento, sar colpa anche dei mutamenti climatici, ma ormai anche la primavera non ha pi odore, laria sempre meno profumata, le 4 stagioni si riconoscono ormai quasi esclusivamente per la temperatura.

    Un tempo la pioggia che bagnava i boschi di latifoglie e i pascoli appena erpicati e conci-mati, conferiva allaria una fragranza impa-reggiabilmente buona, anche se alla base vi era il letame, ma ahim anche quello cambiato per effetto dellalimentazione ani-male a cui si sono aggiunti componenti che un tempo nemmeno si sospettava adatti a tale utilizzo come la farina di mais, che pri-ma si usava solo per fare la polenta, oppu-re la barbabietola da zucchero e i mangimi concentrati. Il cinguettio degli uccellini invece, rima-sto uguale, proprio come lo sentiva Vivaldi mentre componeva tra le Quattro Stagioni, quella primavera che uno tra i brani di mu-sica classica pi noti al mondo. Pare di sen-tirlo tra le pareti della Villa Caselli a Masera, nella sala detta degli uccelli dalle mura

    completamente affrescate di bei dipinti rappresentanti volatili gabbia in puro stile naturalistico ottocentesco, ci dimostra, insieme ad altre cose, quanto agli ossolani dopotutto il gusto estetico e la fantasia non manchino. La primavera un pretesto per tirare fuori questa parte creativa che tutti abbiamo e possiamo esercitare in quello per cui siamo pi portati, dalla pittura alla musica, ma anche in cucina o in falegname-ria, ovunque ci sia qualcosa da modellare, di materiale o immateriale, corporeo o spi-rituale, in primavera viene meglio.

  • 6Fraz. Morasco Formazza (VB)Tel. +39.339.5953393

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  • 7Una escursione fattibile in giorna-ta da tutti ma sempre di grande fascino. La salita dall'alpe Bettel-matt, lunga ma gradevole grazie al me-raviglioso paesaggio che ci accompagna, il panorama a 360 e l'ampio Piano dei Camosci al nostro arrivo al Citt di Busto, appagano appieno della fatica sin qui so-stenuta. La diga dei Sabbioni, cos piccina vista da lontano, racchiusa tra maestosi pendii, si presenta in tutta l'imponenza dei suoi 90 metri di altezza quando se ne percorre la sommit. Da qui si gode lo spettacolo dell'ampio specchio d'acqua che si prolunga fino ai piedi delle incon-fondibili cime ed estesi ghiacciai di Arbola e Hosand: paesaggio da cartolina!

    Tracciato:La parte alta della Valle Formazza non servita da BUS; arrivando a Riale in auto si pu parcheggiare ai piedi della grande diga di Morasco.Da qui in circa mezz'ora di comoda cam-minata si giunge al piazzale della funivia Enel. Il sentiero si innalza subito verso nord fino ad attraversare, con un guado in tubi, un impetuoso torrente. Alcuni minu-ti e al primo bivio si volge a destra verso Passo Gries, si continua a salire fino a che una breve discesa ci immette nella rino-

    mata conca dell'alpe Bettelmatt. Prose-guendo in piano, sulla sinistra, e superate le baite dell'alpeggio, si trova il sentiero ben tracciato che in circa 45 minuti ci por-ta al rifugio Citt di Busto. In leggera di-scesa si giunge al vasto Piano dei Camosci che si costeggia sulla sinistra. Al fondo di questo, ancora a sinistra, si imbocca una strada sterrata in discesa fino a superare un piccolo torrente dopo il quale, sulla de-stra, inizia il sentiero che, in leggera salita, conduce al muro della diga. Ne percorria-mo la sommit fino alla casa dei guardiani dove inizia l'ultima breve ma impegnativa salita fino alla stazione a monte della funi-via Enel. A pochi metri il rifugio Mores (a 15 minuti, con una deviazione, il Somma Lombardo). Da qui inizia la discesa che, esclusa una breve salita, appena superato un baitello in pietra a circa met percorso, ci riconduce su tracciato evidente e sicuro fino a Morasco.

    Dislivello: 700 m in salita e in discesaTempi di percorrenza: fino al rifugio Cit-t di Busto h. 2,30 - al lago dei sabbioni h. 3,30 - rientro a Morasco h. 5,30Punti di Appoggio: Rifugio Bim-se a Morasco Tel. 339.5953393 Rifugio Citt di Busto Tel. 0324.63092 Rifugio Mores Tel. 0324.63067

  • 8di Michela Zucca

  • 9Che la chiesa di Baceno sia una strana costruzione, appollaiata in uno strano posto, con delle strane presenze interne, non un mistero per nessuno... Pochi per notano quelle figure femminili che sembra-no sante, ma che non portano aureola: che cosa ci fanno in un edificio sacro?!... Poi si scopre che con le pie donne non hanno pro-prio niente a che fare, anzi: trattasi di pro-fessioniste della divinazione, fattucchiere, streghe, sibille... ma che ci fanno l dentro?!Quando cominci la mia ricerca sulle sibille, pensavo a quelle, famose, che si fanno dare una cifra immonda - gi all'epoca - dall'ul-timo re di Roma, Tarquinio il Superbo, co-stretto appunto a cedere alle loro richieste e storicamente sbeffeggiato dalle donne sapienti, per i libri sibillini (distrutti dagli im-peratori cristiani su ordine del papa perch in odore di empiet). Poi allargai il campo a quelle marchigiane, condannate al rogo dall'Inquisizione medioevale perch colpe-voli di aver tentato di... avvelenare il papa a distanza. Mai avrei immaginato che le sibille fossero personaggi comuni anche sulle Alpi e nelle leggende alpine, e che abitassero in molte chiese, mimetizzate fra vergini martiri e madonne...Ma che cosa si cela dietro queste immagi-ni? E che cosa hanno in comune con le loro parenti pi strette, le fate da una parte, le streghe dall'altra?

    Fate, sacerdotesse celtiche, donne sapienti

    Nel cuore dei boschi, nei luoghi selvaggi, presso alcune fontane, all'ombra di vecchi alberi, un tempo si potevano intravedere donne alte, vestite di bianco o di verde, con uno strano copricacapo, dotate di bellezza sovrumana e luminose. Spesso le si scorge-va ballare. In Bretagna si mostravano pre-feribilmente nei dintorni dei dolmen, dove sembrava che si fossero rifugiate. Sulle Alpi, stanno vicine alle incisioni rupestri, oppure nei pressi dei monumenti preistorici chia-mati, appunto, "cerchi magici": non un caso che nei luoghi di culto di origine ar-

    caica, ricchi di pietre incise, la popolazione mantenne per lungo tempo l'antica religio-ne e l'inquisizione fu particolarmente fero-ce: vedi, appunto, le stesse streghe di Ba-ceno. Per combattere questi riti ancestrali, il cattolicesimo oltre a condannare la saxo-rum veneratio (la venerazione dei sassi: ma pensiamo al Muro del Diavolo di Arvenolo di Crodo, e alle pietre sparse tutt'intorno!), cerc di adattarsi, appropriandosi di queste speciali forme di venerazione, e fece incide-re croci a pi non posso sui graffiti pagani. Come quelle scavate sul masso-altare del Lago delle Streghe. La stessa chiesa di Baceno potrebbe essere stata costruita sopra un luogo di antica sa-cralit precristiana: si trova in una posizione dominante, su una roccia facilmente inter-pretabile come masso sacro; ai suoi piedi sgorga una sorgente, acqua di vita, arcaica simbologia di potere e di sapienza femmini-le. Le immagini delle sibille potrebbero be-nissimo essere state dipinte per mantenere - nella memoria di chi sa e di chi deve sapere e ricordare - la presenza delle antiche sacer-dotesse della natura. La presenza delle fate nella memoria popo-lare, in ogni modo, documentata fino al Concilio di Trento in maniera sicura1. Pare che le loro apparizioni siano state relativa-mente frequenti, almeno fino all'inizio del XIX secolo, se si tiene conto del fatto che i testimoni che osavano parlarne erano mol-to rari. Fate e streghe spesso si confondono. In mol-ti casi, probabilmente, le streghe erano le fate invecchiate. Oppure, ricoprivano i gradi inferiori della gerarchia sacerdotale celtica, e appartenevano alle caste basse delle tri-b; mentre le fate erano druidesse che ave-vano studiato, donne ricche, colte e belle (le scuole druidiche duravano pi di vent'anni: come vere universit di musica, teologia, politica e medicina).In genere, le fate avevano con gli umani rapporti di buon vicinato. All'occorrenza rendevano loro un qualche servizio, facen-do ritrovare gli oggetti smarriti, mettendo a

    1. Prima cerano le fate: poi arrivato il Concilio di Trento, e le hanno bruciate tutte: antico proverbio raccolto nella zona di Conegliano Veneto, citato in Michela Zucca, La caccia alle streghe, il Concilio di Trento e la nascita delluomo moderno, in AA.VV., Oltre Triora: nuove ipotesi di indagine sulla stregoneria e la caccia alle streghe, Atti del convegno Triora-Toirano del 1994, Terziaria, Milano, 1997, p. 131.

  • 10

    loro disposizione la propria conoscenza sui segreti dei "semplici". Per erano suscettibi-li e si vendicavano quando qualcuno disub-bidiva loro o le insultava. Ma se si dimostra-va la deferenza a cui avevano diritto, erano pronte ad aiutare chi aveva bisogno. Ci non toglie che, a volte, venissero accusate di ra-pire i bambini, o di cercare di unirsi ad uomi-ni per averne. I Bretoni dicevano che il loro scopo era quello di rigenerare la loro razza maledetta: per raggiungerlo, violavano tutte le leggi del pudore, "come le sacerdotesse dei Galli". E, in effetti, le leggende alpine ed europee hanno tramandato la libert ses-suale di cui potevano godere questi esseri strani e misteriosi, senza obblighi familiari

    e morali che potessero imprigionare la loro facolt di scelta. A partire dal XVIII secolo, le fate comincia-no a scomparire. Non era solo il progresso dei "lumi" a cacciarle via, ma soprattutto lo sviluppo della rete stradale che riduceva i luoghi appartati e selvaggi, in cui poteva-no trovare un rifugio sicuro. Perch le fate, che il pi delle volte sono di origine mitica, sembrano per, in alcuni casi, esseri reali che vivevano isolati, in posti rimasti segreti, e non si facevano vedere quasi mai perch avevano tutto l'interesse di farsi dimenti-care per poter continuare a vivere, e a non cadere nelle grinfie degli inquisitori. Alcu-ni elementi riferiti nei rapporti raccolti dai

  • 11

    folkloristi dall''800 in poi rendono abbastan-za verosimile che molte fate, se non tutte, fossero tardive discendenti delle antiche sacerdotesse dei celti che avevano preferi-to la solitudine alla conversione. In tutte le Alpi, abbondano i luoghi considerati come "le ultime dimore dei pagani": buchi, grotte, rovine di castelli e di fortificazioni, addirittu-ra chiese. Concordano anche le descrizioni che riguardano l'abitazione, i gusti, il modo di fare e i rimpianti suscitati dall'estinzione delle "buone signore". Ecco come la tradi-zione ricorda la fine di una di queste donne:

    In un tempo molto antico, una regina pro-testante, saracina, o che altro mai fosse, non volendo piegarsi alla nuova fede, che da ogni parte incalzava, si rifugi in Val Brembilla. Dapprima and a mettersi sull'al-tura verdeggiante su cui sorge la chiesa di sant'Antonio abbandonato, ma poi, non sentendosi l abbastanza sicura, si ritir pi addentro nella valle e pi in alto; nel luogo che ora prende il nome da lei, il Castello del-la Regina. Ma i credenti non le dettero tre-gua, e la strinsero in modo da non poter pi resistere. Allora lei si ficc in una botticella e si fece precipitare gi per i dirupi del lato orientale. A questo modo si sfracell. Quan-to alle sue genti, si arresero ai nemici ed eb-bero in parte salva la vita2.

    Vestivano di bianco, conoscevano le erbe, prevedevano il futuro....

    Il poco che sappiamo delle druidesse, che vestivano di bianco, detenevano segreti terapeutici vegetali, praticavano diverse forme di mantica, proferivano maledizioni magiche contro i nemici e stando alla te-stimonianza di Strabone, che nel I secolo parla di una comunit di donne stabilita su di un'isoletta alle foci della Loira si abbando-navano a volte ad un comportamento simile a quello delle menadi, questo non fa che confermare l'ipotesi di una reale esistenza delle "fate". Bench perseguitate dai roma-ni, queste profetesse celtiche sembra go-

    dessero, ai loro occhi, di un certo prestigio, in epoca imperiale anche abbastanza tarda, fino alla fine del III secolo. Essendo pochissime, isolate e tutto somma-to, inoffensive, le ultime sacerdotesse non furono perseguitate apertamente dal clero, almeno fino alla caccia alle streghe. Ma loro lo temevano profondamente (e chi potreb-be dargli torto!), tanto da non sopportare il suono delle campane, e gli serbavano ran-core perch le aveva confuse con "gli spi-riti delle tenebre". I preti si limitavano ad esorcizzarle da lontano, e intervenivano in maniera pesante soltanto se costretti, al-meno fino al Rinascimento, che segna la re-crudescenza nella repressione delle antiche vestigia dei culti pagani. I giudici accusarono Giovanna d'Arco di avere ubbidito alle fate, e non ai santi. All'inizio del XVII secolo, Le Nobletz, "missionario in Bretagna", trov nell'isola di Sein tre druidesse che diffon-devano il culto del sole: venivano consulta-te dagli uomini prima di mettersi in mare. Il sacerdote cristiano racconta che riusc a convertirle e a farle stabilire sulla terrafer-ma, dove conclusero la vita in un convento. Probabilmente non fu un caso unico: molte "buone signore", stanche della vita selvag-gia che dovevano condurre, finirono i propri giorni con il soggolo delle suore3 .E se le druidesse, assimilabili agli alti prelati e alle badesse cristiane, ricche, colte, capa-ci di esprimersi a probabilmente anche di dissimulare una fede diversa dalla loro per sopravvivere, abituate alla disciplina e alla vita di comunit alla fine si confusero con le suore, le povere streghe non potevano cer-to essere accettate in un convento; n loro avevano la minima intenzione di entrarci. Anche perch, per secoli, nessuno le degn di una qualche considerazione, e poterono continuare ad officiare i propri riti indistur-bate, o quasi. Si hanno buone ragioni per credere che, in alcune zone isolate, ma neanche tanto, e Baceno potrebbe anche essere uno di que-sti luoghi, queste donne abbiano costruito e siano riuscite a mantenere una qualche

    2. La Val Brembilla una diramazione sulla destra della Val Brembana (Bg). Il testo della leggenda si trova in Lidia Beluschi, Leggende e racconti popolari della Lombardia, Newton Compton, Roma, 1983, p. 133-134. - 3. Jacques Brosse, Mitologia degli alberi, Rizzoli, Milano, 1991, p. 201-204.

  • 12 4. La leggenda, intitolata La Sibilla dellAdda, stata raccolta nel secolo scorso da B. Bermani, a Cassano dAdda, e fa parte delle Tradizioni italiane curate da Angelo Brofferio. Lidia Beluschi, Leggende e racconti cit., p. 28. - 5. Teofilo Folengo, Orlandino, I, st. 12.s

    forma di organizzazione sociale specifica, matriarcale, fondata sulla sapienza esoterica, riconosciuta se non dai governi centrali (che preferivano ignorare le popolazioni di mon-tagna, accontentandosi di sfruttarle e facen-do finta di non vedere per evitare disordini, almeno fino a quando la Chiesa glielo permi-se) per lo meno dagli intellettuali di punta dell'epoca, che spesso si sono confrontati con queste signore. In Italia, pi che le fate, sono conosciute, do-cumentate e rappresentate da diversi artisti, le Sibille. Questa la descrizione tardiva di una di queste profetesse in Lombardia, quando gi incutevano paura:

    ...il suo corpo magro e spigoloso era coper-to da una lunga veste nera, e le sue chiome grigie svolazzavano liberamente al soffio dell'aria mattutina. La vecchia aveva una fi-gura spettrale, una folta lanugine grigia co-priva le sue labbra sottili e paonazze, sotto le palpebre crespe e giallastre due pupille gri-gie e sfavillanti, rivelavano uno spirito ancor pieno di energia e forse di violenza. ... "I miei piedi non possono calpestare le soglie consa-crate. ... Se mi avvicino agli uomini lo faccio perch ascoltino la parola del comando, ma non per soddisfare i loro iniqui desideri. Chi sono io? Sono la Sibilla, s la Sibilla, la crea-tura maledetta, colei che fugge ed fuggita, colei che odiata e che odia, la creatura che trova chiuse tutte le porte come tutti i cuori, quella che fa gridare di spavento il lattante e fa inacidire il latte nel seno della nutrice, quella il cui sguardo fatale fa tacere la gioia, il dolore, l'amore, perch il terrore pi forte di tutto e tutto fa dimenticare"4.

    Teofilo Folengo racconta, se pure in maniera ironica, della pratica di andare a "consultare le streghe di Valcamonica"5 nel 1526. Ma il luogo in cui la memoria storica dell'antica so-ciet rimasto pi a lungo sono le Marche, regione fuori dalle grandi strade commerciali e militari, coperta di montagne e di boschi un tempo quasi impenetrabili. L queste antiche sacerdotesse, depositarie della conoscenza

  • 13

    magica ma anche del potere sulle proprie comunit, hanno lasciato il nome al territo-rio che per millenni le ha ospitate: i Monti Sibillini. L'organizzazione sociale e politica "sibilli-na", ancora dopo l'unit d'Italia, si reggeva sulle comunanze: praticamente, la proprie-t privata non esisteva; non solo il bosco e il pascolo erano di uso collettivo, ma anche il seminativo veniva coltivato a turno dalle famiglie che facevano parte della comunit. La civilt delle Sibille stata, per secoli, un punto di riferimento e di attrazione per gli intellettuali che contestavano l'assetto teo-cratico-militare dello stato. Cecco d'Ascoli fu mandato al rogo per aver avuto rapporti con i negromanti e le Sibille dei Monti Sibillini. Molti pensatori fra i pi noti, dal '300 al '600, dal cavaliere del La Sal-le ad Agrippa von Nettesheim, da Benvenuto Cellini ad Andrea Silvio Piccolomini, andaro-no a visitare la Sibilla, passando per Norcia, 6. Joyce Lussu, Sibille e streghe, in AA. VV., Sante medichesse e streghe nellarco alpino, a cura di Roberto Andrea Lorenzi, Atti del convegno Universit popolare Val Camonica-Sebino, Praxis 3, Bolzano, 1994, p. 261-262.

    in Umbria, o per Montemonaco, nelle Mar-che. L chiedevano un mulo e una guida per avventurarsi sulle montagne. E quello che trovavano non era una vecchia stravagante che leggeva la mano davanti ad una grotta, ma comunit di contadini, pastori, artigiani, tessitrici, guaritrici che vivevano secondo re-gole diverse da quelle che si erano imposte nelle societ di pianura. Quelle montagne, come le Alpi, divennero ri-fugio di tutti coloro che non erano d'accordo con il potere: eretici, libertari, templari so-pravvissuti alle stragi di Filippo il Bello, catari, anabattisti o semplicemente intellettuali che non accettavano l'egemonia teocratico-mili-tare degli stati in formazione. Tutto ci caus una feroce persecuzione nei primi anni del '300: i francescani locali accusarono le Sibille di aver preparato un attentato contro il papa Giovanni XXII: un avvelenamento a distanza6. E sulle montagne delle matriarche comincia-rono ad accendersi i roghi.

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  • 14

    di Adriano Migliorati

    Montecrestese

  • 15

    Montecrestese si trova sullo sperone roccioso frontale di confluenza dei fiumi Isorno e Toce.Il territorio dove sono dislocate le numerose frazioni con orientamento sud-ovest carat-terizzato da un ottimo soleggiamento.Troviamo una situazione opposta nella val-le Isorno non a caso detta anche la valle dellImpossibile, che si apre tra Montecre-stese e Masera. La parte iniziale costituita da una magnifica forra postglaciale a parete verticale che sembra tagliata da un coltello, mentre alzandoci di quota la conformit ge-ologica cambia radicalmente aspetto offren-do un paesaggio sempre meno ostile, fino a sfociare nellamena Agarina unautentica culla di piacere posta a 1200 m.

  • 16

    In questo numero vogliamo descrivere un itinerario ad anello con il quale possibile visitare le frazioni pi importanti, ammiran-do le loro caratteristiche, dove elencheremo i nomignoli attribuiti agli abitanti.

    Si parte da Pontetto (330 m) con linte-ressante centro storico dove notiamo recenti opere di ristrutturazione, nella parte interna ubicato lantico forno che veniva utilizzato dalla comunit per la cottura del pane 2-3 volte lanno, i suoi abitanti sono detti Cadreghit forse perch anticamen-te alcuni facevano il tradizionale lavoro di costruttori di sedie, anticamente era la fra-zione meno abitata in quanto pi esposta a saccheggi e ruberie. Seguendo i segnavia bianco/rossi che ci accompagneranno per tutto il tragitto, iniziamo la salita lungo la mulattiera lastricata arrivando a Roldo (430

    m) sopra la scuola materna ben visibile la Torretta, un tempietto lepontico di notevo-le importanza storica, costruito attorno al I sec. dopo Cristo adibito al culto pagano e sopraelevato in epoche successive dove il suo utilizzo divenne torre di segnalazione. Gli abitanti sono detti Ghett (gatti) forse rife-rito alle loro agili doti fisiche. Proseguendo su strada asfaltata ci spostiamo in direzione est nella frazione Vignamaggiore (460 m) costituita da una manciata di case sparse nei vigneti, la costruzione pi importante il palazzetto settecentesco dei Mattei di Albo-gno, ora chiamata Villa Porta.Gli abitanti sono chiamati Chiorp (Corvi) es-sendo la zona interessata alla presenza di questi volatili.Dalla piazzetta parte una trattorabile che si snoda nelle incantevoli praterie assolate, in prossimit della Cappella della Crosetta no-

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    tiamo sulla sinistra in lontananza la borgata di Oro (520 m) i suoi abitanti sono chiamati Spargirei ovvero (irrequieti, agitati). Attra-versiamo la strada e percorrendo un tratto di mulattiera asfaltata arriviamo cos a Navile-do (605 m). Le abitazioni sono in prevalenza antiche, con ampi solai aperti ben esposti al sole chiamati in dialetto Astrign dove si es-siccava la segale e il granoturco oltre a matu-rare la frutta. Gli abitanti sono detti Brusata castegn (brucia castagne) indicante labbon-dante uso che essi facevano di questo frutto, presente in grande quantit in loco. Rimanendo sulla stessa mulattiera ma con il selciato in sasso, saliamo ancora nel bosco attraversando i terrazzamenti costituiti da muri a secco di pietre accatastate, dove stata trovata una grotticella che si ipotizza possa essere stata una tomba di epoca anti-chissima, e sbuchiamo cos ad Altoggio (740 m) il villaggio pi elevato come altitudine e un tempo il pi abitato. Un vasto prato ci divide dalle case ben visibili in lontananza, sono motivo dinteresse il lavatoio monu-mentale del 1880 e loratorio di San Giovan-ni patrono degli alpigiani, inoltre con occhi attenti potremmo scovare nei meandri delle viuzze degli interessanti affreschi storici. Gli abitanti sono detti Julit (capretti) forse per-ch abili a muoversi nellambiente montano.Iniziamo cos la discesa lungo la strada asfal-tata, in corrispondenza di una casa isolata di colore arancione seguiamo le indicazioni (Montecrestese/Pontetto) sul lato destro della carrozzabile si stacca la mulattiera la-stricata simile alla precedente, un vero ca-polavoro di opera rurale che nemmeno il tempo riuscito a scalfire. In questo tratto non sono da escludere incontri con curiosi caprioli, un luogo fatato dove ci si aspetta che da un momento allaltro possa uscire qualche folletto. Il tracciato scende lungamente nel bosco di latifoglie arrivando cos alla frazione Chiesa (490 m) dove non passa di certo inosservata limponente parrocchiale di Santa Maria As-sunta. Inizialmente si trattava di una chiesa romanica a navata unica del XII sec. Succes-

    sivamente venne allargata a tre navate, alza-ta per renderla pi luminosa e abbellita, fu ultimata agli inizi del 1700.Poco distante dal sacro edificio svetta incon-trastato il vero orgoglio dei montecrestesa-ni, il campanile. Con i suoi 67,5 metri il pi elevato dellOssola dotato di otto campane di cui la pi pesante raggiunge i 18 quintali, mentre la pi piccola pesa 2 quintali.Nel suo interno racchiuso lantico campani-le romanico del XII sec. di ottima fattura alto 24 metri che ricorda stilisticamente quello di San Bartolomeo a Villadossola. Gli abitanti sono detti Scota sol (prendi sole) in effetti nella frazione non mancano le rocce levigate dallerosione glaciale, adatte alla tintarella.Torniamo sui nostri passi per scendere a fianco del municipio lungo un sentiero che scorre parallelo alla strada asfaltata che ci conduce al successivo agglomerato urbano di Lomese (435 m), posizionato in una con-ca ben riparata dai freddi venti della valle Antigorio. Interessanti alcune abitazioni nobiliari sottoforma di case forti risalenti alle famigli pi agiate dellepoca. Gli abitan-

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    PAPA NICOLINIPAPA NICOLINI

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    ti sono detti Fauscit (falcetti) perch abili ad usare la falce. Usciamo ancora sulla strada dove vediamo le indicazioni (Castelluccio-Pontetto) che ci invitano a scendere lungo la valle dei Cani sbucando in localit Castelluc-cio (320 m) una minuscola frazione ora disa-bitata, il toponimo derivante dal modestis-simo castello del XII sec. di cui rimangono i ruderi.A questo punto non ci resta che seguire le indicazioni e tornare a Pontetto dove siamo partiti, utilizzando il sentierino nei prati che costeggia lagriturismo.

    Localit di partenza/arrivo: Fraz. Pontetto (piazza).Sviluppo planimetrico: 9,5 Km.Dislivello complessivo: 450 m.Periodo consigliato: Tutto lanno.Difficolt: T (Turistico).Cartografia: C.N.S. Valle Antigorio n 275 (1:50.000).

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    in Ossola

    di Alessandro Silvestri

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    Una volta che avrete imparato a Vola-re, camminerete sulla terra guardando il cielo perch l che siete stati ed l che vorrete tornare. Leonardo da Vinci

    La storia del Parapendio comincia nel 1965 con la messa a punto della Sailwing da parte di Dave Barish. Egli chiam questa nuova disciplina slope soaring (volo di pendio). Parallelamen-te a questa invenzione, Domina Jalbert cre un paracadute dotato di cassoni da utilizzarsi al posto del paracadute parabolico: il parafoil.Dave Barish e Dan Poynter effettua-rono, nel 1966 e nel 1968, numerose dimostrazioni di slope soaring su di un trampolino da salto con gli sci. Nume-rosi alpinisti cominciarono ad interes-sarsi a questa pratica, vedendovi un modo rapido ed efficace, e non ultimo divertente, di planare dopo unascen-sione.Nel 1978, tre paracadutisti francesi (Jean Claude Btemps, Grard Bosson e Andr Bohn) decollarono con i pa-racadute rettangolari dal monte Per-tuiset, presso Mieussy in Alta Savoia. Furono solo i primi di molti paracadu-tisti che cominciavano ad interessarsi al volo di pendio.Laurent de Kalbermatten invent nel 1985 il Randonneuse, il primo para-pendio concepito specificamente per il volo. Era un mezzo pi efficiente, pi facile da gonfiare e dalle maggiori prestazioni dei paracadute di allora. Il parapendio non cesser pi di evolver-si, tanto come materiali utilizzati che come tecniche di costruzione, dive-nendo nel tempo un sport a s stante.I primi voli in Ossola furono effettuati

    nel 1985 da un gruppo di alpinisti che iniziarono ad appassionarsi a questa pratica, vedendovi un modo rapido ed efficace, e anche divertente, di planare dopo unascensione. Trovando questa pratica molto affascinante questi si in-teressarono alle prime nozioni di volo libero al fine di affinare la loro tecnica allora molto pionieristica. Questo lavo-r comport un evoluzione dei mate-riali e delle conoscenze meteorologi-che e tecniche di pilotaggio; elementi che hanno permesso al parapendio un livello di diffusione significativo in Os-sola.Il nostro territorio, risulta essere uno scenario molto suggestivo, appagante per la pratica del parapendio, molti sono infatti i decolli e gli atterraggi. Tra si siti di volo principali segnaliamo:Il Lusentino ha molti decolli atti alla pratica del parapendio come lalpe Torcelli, la cima del Moncucco mentre latterraggio ufficiale ben in vista il Campari, luogo ove si svolgono an-che corsi di parapendio e kite.La Val Vigezzo unaltra localit dove la pratica del parapendio appare mol-to diffusa come anche da La Colmine di Crevola con lalpe Coipo; altri decolli sono poi possibili da Riale in Val For-mazza e a Macugnaga in Valle Anzasca volando con lo spettacolare scenario del Monte Rosa. La Valle Antigorio propone poi decol-li dallalpe Aleccio, dallalpe Deccia con atterraggio a Verampio di Crodo. Va aggiunto che in generale la pratica del parapendio fattibile da ogni pen-dio che abbia le caratteristiche atte a permettere un decollo. Preliminare al lancio poi lindividuazione di un punto ove sia possibile atterrare in

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    completa sicurezza. I panorami visti dallalto assumono tutta unaltra di-mensione e lunico modo per poter provare una tale emozione affidarsi ad un pilota qualificato per un volo bi-posto. Lattrezzatura necessaria al volo composta da unala (generalmente chiamata vela dai parapendisti), alla quale sospesa la selletta del pilota tramite due cavi funicolari. Il pilota controlla il volo tramite due comandi. Tutte le vele sono dotate di un dispositivo di accelerazione da controllare con i piedi, detta co-munemente pedalina che, agen-do in modo diversificato lungo il profilo alare, consente una miglio-re performance di velocit o effi-cienza a seconda della regolazione e comunque in base alle condi-zioni aerologiche (es. migliore penetrazione del profilo dellala rispetto allaria nel caso in cui vi sia la necessit di avanzamento pi rapido con vento - contrario - forte). Agendo sulla pedalina, co-munemente chiamata SPEED, si va a variare lincidenza dellala. Tale variazione comporta un aumento della velocit. Curiosamente in Ita-lia non obbligatorio per legge il paracadute demergenza. Nonostante non ve ne sia lobbligo questo comunque adottato dal-la totalit dei praticanti ed nor-malmente integrato nella selletta. Si tratta di un paracadute a calotta attivabile mediante una maniglia di estrazione. Il parapendio, come tutti i mezzi volan-ti con o senza motore, necessita di una forza esterna per poter vincere la forza di resistenza e mantenere il moto. Per

    poter prolungare il piacere del volo, il pilota deve imparare a sfruttare le cor-renti ascensionali presenti in natura, altrimenti costretto unicamente a scendere. Il volo nelle correnti ascen-sionali si divide in due tipi a seconda dellorigine della corrente ascensio-

    nale stessa. Il volo in termica sfrutta le correnti ascensionali generate dal riscaldamento delle masse daria men-tre il volo in dinamica utilizza invece le correnti ascensionali che si generano quando un vento incontra un ostacolo opportunamente conformato.

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    i nfo Per informazioni su voli biposto turistici, corsi base e

    consigli tecnici nonch ragguagli sui vari siti di volo rivolgersi

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    di Uberto Gandolfi

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    n ascensore per lAlpe Veglia. Que-sta lidea, a prima vista balzana ma

    in realt con solide basi tecnico- scien-tifiche, venne proposta un centinaio di anni fa da Anselmin Benetti, storico co-struttore e gestore dellalbergo Lepon-tino allalpe Veglia spirato nel 39.In pratica, visto che la galleria del Sem-pione passa esattamente sotto la piana del Veglia, si era pensato di allargare la stazione posta a met del tunnel, dove i treni si scambiano a volte i binari, e da l scavare un tunnel per 900 metri, sa-lendo nella roccia sino a sbucare nella piana del Veglia. I turisti cos avrebbero potuto salire in treno a Domo, Varzo o Iselle, per scendere a met del tunnel del Sempione, dove avrebbero preso lascensore che li avrebbe comodamen-te portati direttamente allalpe Veglia.Ovviamente del progetto non se ne fece niente, ma loriginale idea testimo-nia della creativit e dellimpegno che un centinaio di anni fa veniva impiega-

    to per cercare di far decollare lalpeggio divedrino. Pionieri che avevano lalpe Veglia nel sangue, e che hanno fatto opere faticose e costose, unazzardo commerciale che ora nessuno pi f. Hanno costruito gli alberghi portando ogni singolo mattone con i muli e hanno trasformato quellalpeggio in una delle zone pi belle ed attrezzate delle Alpi occidentali. Basti pensare che avevano costruito la centralina idroelettrica per avere lenergia, mettendo le lanterne il-luminate lungo tutta la strada sulla pia-na, sino allimbocco della stretta valle che scende sino a ponte Campo. Ed arrivare al Veglia con tutte quelle luci doveva essere davvero uno spetta-colo. Dai registri delle presenze dellal-bergo si leggono nomi di avvocati, inge-gneri, professori provenienti da Roma, Napoli, insomma da tutta Italia. E triste pensare che negli ultimi settan-tanni non si sia pi fatto niente.

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    a cura di Pizzico Da Chef

    Il miele davvero uno dei pi straordinari alimenti naturali esistenti.Da millenni utilizzato come alimento dolcifi-cante, ancora oggi, viene merceologicamen-te classificato come sostanza edulcorante.In verit questa classificazione estrema-mente riduttiva.Molti di noi pensano al miele come un dolci-ficante da utilizzare al posto dello zucchero. Dal punto di vista gastrofilosofico questo un concetto totalmente errato e assoluta-mente inaccettabile per noi gastronomi mo-derni, che affonda le radici nel fatto che stato proprio lo zucchero (di canna prima, e di barbabietola poi) ad aver favorito il sensi-bile calo del consumo di miele in ambito do-mestico.Le due sostanze (miele e zucchero) sono profondamente diverse tra loro. E lo zucchero che solo un comune e sem-plice dolcificante! Ottenuto inoltre con pro-cedimenti chimico fisici di tipo industriale.Il miele molto di pi soprattutto sotto il profilo gastronomico. E un vero e proprio mondo che tutti dovremmo riscoprire e conoscere. Una sorta di magia al cento per cento naturale, che testimonia ed evidenzia una perfetta armonia tra il mondo vegetale, animale e lessere umano.Altro concetto riduttivo che vengono attri-buite al miele virt terapeutiche e curative. In realt queste non sono mai state speri-mentate clinicamente.Di sicuro stato dimostrato un effetto anti-batterico, dovuto soprattutto allelevato gra-do zuccherino, e al ph acido, cosi come sal-

    tuariamente stato verificato un giovamento nella cura di vari disturbi dellapparato respi-ratorio, e digestivo. Ma sarebbe davvero molto triste e ancora una volta riduttivo, pensare di ricorrere al gradevolissimo ed emozionante gusto del miele, solo quando si ammalati... A questo proposito, consiglio caldamente anche a tutti gli appassionati apicoltori di cambiare lapproccio con i consumatori, non limitandosi, allatto della vendita, ad elenca-re le infinite qualit benefiche delle diverse tipologie di miele, (pratica peraltro contra-stata dalla legge italiana, che impedisce ap-punto di indicare in etichetta benefici tau-maturgici).Oggi il momento del miele!!! Nellera della globalizzazione e del progresso tecnologico assistiamo ad un generale ritorno alla natu-ra. Il nostro palato saturo di gusti industriali standardizzati (molti dei quali artificiali) nuovamente pronto ad apprezzare lantico aroma del miele. E interessante allora conoscere come il miele viene definito dalla legge:...per miele si intende il prodotto alimenta-re che le api domestiche producono dal net-tare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi

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    dellalveare. In pratica, tanti tipi di nettare, danno tanti tipi di miele, differenti di anno in anno...differenti da zona a zona.E quindi un alimento straordinario in grado di appassionare ed emozionare i gastronomi pi esigenti, proprio come da sempre fanno i vini, i formaggi e lolio extravergine di oliva.

    COME SCEGLIERE LA QUALITA Ricordate larticolo del numero scorso?Scegliere gli alimenti secondo la qualit oriz-zontale e verticale? Bene proviamo subito ad applicare questo concetto di gastrofiloso-fia al miele.In senso orizzontale ricordiamoci che non esite il miele ma moltissime variet di miele, con colori, sapori e profumi molto di-versi tra loro. Esistono mieli uniflorali cio ottenuti da ununica qualit di polline, e mieli poliflo-rali, ottenuti da diverse variet di pollini, e chiamati miele di millefiori. La scelta in senso orizzontale dunque davvero consi-derevole.In senso verticale ogni tipologia di miele sar analizzata di volta in volta, in base al proprio gusto poich la fioritura delle piante diversa da luogo a luogo, e di anno in anno. Non tutti i mieli denominati di tiglio per esempio, contengono la stessa percentuale di nettare di tale pianta. Questo anche per-ch per legge la denominazione secondo la specie botanica, consentita a condizione che il nettare della pianta caratterizzante il nome, sia predominante. Ma c comunque una sostanziale differenza di profumo, colo-re e sapore tra un miele di tiglio con il 51% ed uno con il 99% di nettare di tale pianta. E quindi il livello qualitativo e quantitativo della fioritura che incide sulla qualit del miele: i mieli uniflorali in purezza sono dunque quelli considerati migliori in senso verticale.Proviamo a descrivere le caratteristiche del-le principali variet di mieli uniflorali pro-dotte in val dOssola:

    MIELE DACACIA (Robinia)(Robinia pseudoacacia)Viene prodotto un po in tutta Italia, nelle zone collinari, ma le Prealpi pos-sono essere considerate le zone pi produttive.Aspetto: limpido leggermente opale-scente. Colore: molto chiaro.Cristallizzazione: assente.Odore: molto leggero, generico di miele.Sapore: molto delicato, confettato.

    MIELE DI RODODENDRO (Rhododendron sp.)Viene prodotto solo in montagna, sullarco Alpino ma con una produzio-ne di miele incostante di anno in anno per via delle condizioni climatiche.

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    Considerato un miele raro.Colore: molto chiaro, opalescente, bianco nel cristallizzato.Cristallizzazione: variabile, ma spesso in massa pastosa.Odore: molto leggero.Sapore: delicato, con un aroma molto legge-ro che ricorda la marmellata di piccoli frutti selvatici.

    MIELE DI CASTAGNO(Castanea sativa) Si produce in tutta lItalia, nelle zone di me-dia montagna.Colore: da ambrato a quasi nero, secondo le zone di produzione.Cristallizzazione: in genere assente o a gros-si cristalli.Odore: forte e penetrante, tanninico.Sapore: simile allodore, pungente allinizio, poi pi o meno fortemente amaro a secon-da dellorigine.

    MIELE DI TARASSACO (Taraxacum officinale)Viene prodotto allinizio della primavera se le colonie di api sono sufficientemente svi-luppate al momento di questa fioritura.Colore: giallo vivo o beige crema, se in mi-scela con miele di salice.Cristallizzazione: molto rapida e in genere a cristalli finissimi.Odore: molto intenso, quasi ammoniacale.Sapore: simile allodore. MIELE DI TIGLIO(Tilia sp.)Viene prodotto sui tigli selvatici, non facile trovarlo in purezza, poich fiorisce insieme al castagno Colore: molto chiaro, quasi bianco da cri-stallizzato.Cristallizzazione: molto spesso a grana gros-solana.Odore: tipico mentolato, aromatico.Sapore: simile allodore, con leggero retro-gusto persistente.Usi: come miele da tavola.

    I MIELI DI MILLEfIORII mieli di millefiori, sono ottenuti con diver-se variet di pollini. Questa definizione non deve essere intesa come una minore qualit dei mieli prodotti. Non esiste ununica cate-goria di millefiori, ma tante quante sono le possibili combinazioni di pollini.Ogni millefiori possiede dunque peculiari caratteristiche che possono variare di anno in anno ma che non nascondono la qualit di base: proprio come accade per i vini pi famosi e rinomati...A volte i mieli millefiori sono caratterizzati da una presenza botanica che prevale e che costituisce il gusto prevalente del miele, ma che accompagnata da una costante flora concomitante che ne costituisce la specifici-t, lo caratterizza rendendolo UNICO ma non permette la denominazione uniflorale. In alcuni casi due fioriture in grado di dare anche raccolti separati si sovrappongono per diverse cause: molto comune, in tutto larco alpino, il miele misto di castagno e ti-glio, che coniuga due aromi diversi e molto forti, in un millefiori speciale.Altre volte le componenti del miele sono davvero mille, come capita per il prodotto delle fioriture di alta montagna: dire da che cosa dipende quel certo aroma impossibi-le, ma il risultato comunque sorprendente.Scoprire i diversi mieli millefiori pu essere un viaggio molto pi appassionante che non quello alla ricerca dei mieli uniflorali, con il grande stimolo apportato dal fatto che log-getto delleventuale scoperta costituir unesperienza veramente irripetibile.

    IL MIELE IN GASTRONOMIA:In cucina il miele un ingrediente pi antico dello zucchero: si noter infatti che la mag-gior parte dei dolci tradizionali, quelli che in tutte le regioni dItalia si preparano e si con-sumano per le feste, soprattutto a Natale, contengono miele come componente inso-stituibile.

    La ricerca e la creativit che accompagna oggi larte antica del cucinare, da alcuni anni

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    ha letteralmente riscoperto il gusto del miele. Per cominciare ad allenarsi consiglio di ap-prendere labbinamento del miele con i for-maggi. Ogni formaggio infatti, a seconda del gusto, della stagionatura, dellerborinatura, e via discorrendo, richiede un particolare miele in accostamento. Labbinamento Miele formaggio, sar quindi un divertente esercizio, per conoscere ed approfondire i concetti che abbiamo fin qui esposto.Dopo aver testato diverse variet di miele, sarete pronti per un suo uso pi evoluto quale ingrediente di ricette che vanno dagli antipasti, ai primi piatti, ai secondi di carne e pesce, agli ortaggi, e naturalmente ai dolci. Il segreto sulluso dei mieli in cucina risiede oltre che nel giusto abbinamento miele-in-grediente, nella capacit di riconoscere il giusto dosaggio, per consentire ad ogni tipo usato di evidenziare il suo ruolo di esaltato-re caratterizzante del gusto. E molto impor-tante non eccedere nella quantit: nel piat-to finito gli aromi apportati dallaggiunta di miele devono essere percepiti come un qualcosa di straordinario senza che il miele utilizzato sia prevalente o predominante.In Pasticceria questo elemento pu sostitui-re fino a un terzo dello zucchero in tutte le preparazioni, anche quelle moderne: torte e biscotti risulteranno di una consistenza pi elastica, meno asciutti, pi uniformemente dorati, dotati di un aroma inconfondibile e si conserveranno freschi pi lungo. La sostitu-zione dello zucchero con il miele, tuttavia, richiede alcuni aggiustamenti nelle ricette originali: 1- una riduzione degli ingredienti liquidi, per lapporto dacqua del miele; 2- una cottura a calore leggermente pi mo-derato e pi prolungata, per evitare lecces-sivo imbrunimento visto che il fruttosio con-tenuto nel miele caramellizza pi facilmente del saccarosio (zucchero).Per i dolci al cucchiaio, budini, creme, gelati, bisogner farsi guidare dal proprio gusto per scegliere il miele dallaroma pi adatto per

    ogni preparazione; in genere, comunque, miele e prodotti derivati dal latte producono un accostamento molto piacevole.Concludendo questa breve trattazione non mi resta che ricordare a tutti i lettori, che esistono ovviamente in commercio i mieli di tipo industriale provenienti da ogni parte del mondo, e quelli di tipo artigianale, in vendita sul mercato locale.Inutile dire che solo quelli artigianali, cio prodotti da piccoli e medi apicoltori, ben si prestano ad essere scoperti ed utilizzati sot-to il profilo gastrofilosofico, cosi come lo ab-biamo fin qui analizzato.Non abbiate paura della cristallizzazione del miele... un fenomeno assolutamente na-turale, anzi, la cristallizzazione, garanzia del fatto che il prodotto non stato lavorato a livello industriale!!!

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    Valeggia un meraviglioso piccolo mon-do in cui le voci giungono rarefatte men-tre lo sguardo spazia sul solco vallivo appe-na sopra la strada antronesca che serpeggia centenaria lungo il corso ripido del torrente Ovesca.A lato si scorge Montescheno che ben illu-stra, con le sue quattordici frazioni (in et storica) il proprio sedime celtico; ripiano montuoso che frammenta da un lato la valle dellOvesca e dallaltro il corso del torrente Brevettola.

    Valeggia borgo che ancora conserva e pro-pone - il caso di dirlo - al viandante moder-no un prezioso oratorio dedicato alla S. Ma-ria di Re del XVII secolo, un ben conservato torchio comunitario, un forno per il pane (quello duro e scuro di segale coltivate nei terrazzamenti che lambiscono, verso Zonca, le ultime case), abitazioni in pietra che an-cora sanno catturare per le esatte propor-zioni e per il nascosto regno della pietra che le costituisce. E anche luogo di passaggio della Processione di Santa Croce che dalla

    di Claudio Zella Geddo

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    chiesa parrocchiale portava, ai primi di mag-gio, i fedeli anche a Barboniga e Vercogno lungo i crinali verdeggianti della montagna.Da questo borgo molte sono le opportuni-t per risalire la Testa dei Rossi, passando dallalpe Faiu e poi Pradurino (sentieri C 8 e C 10) o avvicinarsi al percorso degli Autani dei set frei (v.di Ossola.it n. 3 2009, pagg. 47 ss.), oppure raggiungere lalpe Sogno lungo un giro ad anello lungo la valle del torrente Brevettola (sentiero C 6). Tuttavia questa volta catturati dallatmosfe-

    ra magica che quass si respira e seguendo istintivamente le indicazioni di San Bernardo di Chiaravalle Troverai pi nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce tinsegneranno cose che nessun maestro ti dir, ci dirigia-mo con passo svelto verso un autentico pa-triarca della natura: un faggio ultracentena-rio, che si scorge, in alto, contro montagna.Usciti dal borgo si prenda la trattorabile per lalpe Faiu, in viso si profila il Pizzo San Mar-tino mentre il canto di Fringuelli e Lui piccoli asseconda il nostro desiderio di solitudine.

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    Alla prima curva ci si porti lungo la traccia di sinistra e nel bosco di betulle, roveri, castagni e querce il lavorio del picchio ac-compagna il passo tra le cortecce slabbrate dai camosci e la terra rivoltata dai cinghiali. Sempre sicuro il sentiero prosegue fino ad una roccia impreziosita da venature dorate. Qui, per permettere il passaggio delle muc-che, come in passato, stato necessario allargare il percorso, la montagna ancora respira e vive. Sotto di noi trapela, tra la cortina di un gio-vane bosco, Zonca; proseguiamo seguendo le rade indicazioni di vernice rossa lungo una gradinata, oltre una baita diruta, fino allam-pio incavo di un rio lussureggiante dacqua e colore e sovrastato dal regno chiaro di una cascata. Ormai intravediamo il nostro albero cosmico, lYggdrasill di questo crinale (anche se nella mitologia nordica Yggdrasil il frassino di Odino) che signoreggia contro lorizzonte di questa incipiente primavera.Oltrepassiamo allora una cappella votiva, un gruppo di baite a balcone sulla valle, lalpe I Ross e siamo ai piedi del Re del Mondo a cir-ca 1000 metri di quota. E immenso, un fag-

    gio ultracentenario, per abbracciarlo sono necessari almeno quattro uomini. Solitario svetta nel cielo e si distende, con i propri frutti dorati, ai quattro angoli del mondo. In questo nemeton celtico cogliamo con lanima, con la punta dei pensieri lim-mensit del regno che un albero del genere consegna agli uomini che lo ammirano, che si avvicinano alla sua corteccia lucente.Il ritorno si svolge lungo un ringweg che sfruttando lantica mulattiera in breve ci ri-porta ad unedicola votiva e quindi a Zonca alta. Luogo che denuncia la bellezza della sua impostazione architettonica con i log-giati e le colonne del vecchio monastero. Edifico in cui una vecchia signora per anni conserv e allest una biblioteca per s e per i viandanti.Lungo la via tappeti di botton doro, mu-ghetti e lodore forte di timo e tarassaco, il sentiero della luce, ci conducono ancora a Valeggia: regno dellanima.

    Tempo: 2h.Difficolt: E (escursionistica)Cartina: C.N.S. 1.50.000 n.275 Domodossola

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    Valeggia, frazione di Montescheno, era disabitata quando Giorgio Sartoretti a met degli anni Ottanta - in seguito a una crisi esistenziale che incider profonda-mente sulla sua vita e sulle sue future tema-tiche pittoriche - prese la decisione di fare solo il pittore, ritirandosi lass in una spe-cie di eremitaggio. In seguito, quasi tutte le case del piccolo agglomerato, che possiede ancora i simboli di una civilt contadino-montana in via destinzione (baite, stalle, un lavatoio, un forno, un torchio, un picco-lo oratorio) sono state recuperate per uso estivo. In quegli anni, per, Sartoretti era lunico ad abitarci anche dinverno; infatti, aveva ristrutturato una baita portandovi la residenza, per abbandonare la citt e vivere lass in solitudine dedicandosi allarte. Dopo un primo periodo stimolante, attra-versa momenti difficili, sprofondando pure in una crisi depressiva. Tuttavia, sostenuto da alcuni amici che lo vanno a trovare spes-so per discutere di cultura e per trascorrere momenti spensierati; simmerge cos in un periodo dintensa e valida produzione pit-

    torica, che diventa poi oggetto di una per-sonale nel maggio del 1994, con la quale ottiene un enorme successo di stampa e di pubblico. Una mostra storica: per una set-timana Valeggia (oltre cento quadri erano esposti nella sua abitazione e nei vicoli del-la frazione), in un caldo clima primaverile, visitata da una fiumana di persone. Una processione che finisce per rianimare un Sartoretti (che per loccasione sceglie il nome darte Giorgio da Valeggia) ormai sullorlo di una crisi senza ritorno, e che gli apre nuove vie, nuovi orizzonti, ridandogli un po di serenit. Il ciclo delle opere create in quegli anni, for-se il pi fervido della sua produzione pitto-rica, quello degli hometti, larve umane, creature mostrificate, emblematici esseri zoo-antropomorfi simbolici di una societ brulicante di uomini-lombrichi, nella tortu-rata e contraddittoria esistenza contempo-ranea. Oggi lartista, vive il suo momento felice a Valeggia, scendendo di tanto in tanto a Do-modossola nella casa di Laura, la sua com-pagna che ha conosciuto proprio in quella mitica esposizione. Lass dipinge e ora an-che scrive: appena stato pubblicato il suo libro dal titolo La Barca della Provviden-za (un romanzo vero e proprio, sebbene nellintreccio delle vite narrate ci sia anche una parte della sua travagliata biografia, a partire dagli anni Ottanta, quando appunto si ritirato a Valeggia, borgo che rivive nelle pagine del volume). Questa sua attivit di scrittore iniziata nellautunno del 2007, quando con Gior-gio - fino ad allora noto solo come pittore - stavamo programmando per lestate suc-cessiva una sua mostra itinerante in Valle Bognanco. All'improvviso decise di intra-prendere il faticoso pellegrinaggio a piedi che porta a Santiago di Compostela. Ogni giorno, lungo il tragitto, prendeva appunti: una specie di diario in cui raccontava fatti ed emozioni del viaggio, ma anche ricordi,

    Da Valeggia a Santiago sulla Barca della ProvvidenzaGIORGIO DA VALEGGIA: COLORI DA SOGNI DERAGLIATIdi Giuseppe Possa

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    sogni, pensieri e avvenimenti della sua gio-vinezza, cos come gli tornavano in mente. Al suo ritorno lo ha voluto pubblicare, per far conoscere la propria complessa per-sonalit a chi apprezza la sua pittura. Con lediting di Laura Savaglio ha quindi dato alle stampe , che tanto successo ha riscosso nella nostra provincia, ma non solo.Giorgio da Valeggia, nato Crevoladossola nel 1945, dimostra, fin dalle elementari, in-teressi e attitudini al disegno, ma a causa delle condizioni economiche della famiglia presto avviato al lavoro di decoratore. Si sposa a 17 anni (avr sei figli) e la sua vita costellata di sacrifici, ma anche di gioie familiari. Sul finire degli anni Settanta, apre con i figli pi grandicelli un negozio di colori, cornici e altri articoli darte. Questa nuova attivit gli permette di entrare in contatto con i pittori locali: con alcuni di essi fonda il G.A.O. (Gruppo Artisti Ossolano). In que-sto periodo, proprio per il risveglio delle sue passioni giovanili, frequenta i corsi pittorici di Carlo Bossone e di Rino Stringara. Deci-de cos, come abbiamo visto, di dedicarsi completamente alla pittura, ritirandosi a Valeggia.Negli anni, ha allestito numerose mostre nel Verbano Cusio Ossola, a Novara, Torino, Roma, Como, Milano e in altre citt.I suoi numerosi cicli pittorici vanno da quel-lo iniziale dei paesaggi, alla psicopittura degli anni Ottanta, per arrivare alle onde del sentire e poi agli hometti o, ancora, il periodo di Veseva, dei paletti o degli uomini che non vedono, fino alle sequen-ze di Oltre le porte, in attesa di e allat-tuale ricerca nellanima delle cose su cui scorre il tempo. Inoltre, nella sua continua metamorfosi ha dipinto volti inquietanti, quadri dal profondo senso spirituale, figu-re e ambienti vagheggiati, dalla vena calda, sognante e si pure dilettato a scolpire sug-gestive ed emblematiche figure primitivo-totemiche, che fanno bella mostra di s

    nel suo giardino o attorno alla casa. Sicu-ramente ai suoi due libri (un terzo gi in preparazione) e a questi cicli pittorici, altri se naggiungeranno in futuro, perch Gior-gio da Valeggia non si mai fermato su un unico soggetto o argomento.Se qualcuno, recandosi a Valeggia per una piacevole passeggiata o per godersi lintimi-t di questo angolino immerso nella natura, volesse ammirare anche le sue opere, pu andare a trovarlo. Giorgio sempre ospita-le, riceve tutti come amici e parla volentieri del suo mondo che va al di l della realt quotidiana, perch la pittura per lui rappre-senta la vita e attraverso di essa esprime le sue emozioni, i suoi sentimenti, la sua visio-ne del mondo.

    Video presentazione

    La Zattera 2000

  • IL LIBRO

    Racconti Ribelli il 19 volume della col-lana di Tarar Storie, pubblicazioni che anno dopo anno, uscita dopo uscita han-no fatto luce, raccontato storie, episodi e per-sonaggi che hanno contrassegnato la storia pi recente del nostro territorio.Non sfugge a questo fil rouge Racconti Ri-belli che soprattutto un lavoro, un omaggio alla memoria e particolarmente a tutte quelle vicende resistenziali che hanno interessato, tra 1943 e 1945, il Cusio dalla Valle Strona alle pendici del Mottarone.Nellintensa introduzione Vittorio Beltrami scrive profetico Il lavoro di Patera appello e invito a dialogare al di l della dialettica e conflittualit politica, a unirsi nel rilanciare la democrazia nei sui fondamenti costituzio-nali e nel difenderla, prima che sia troppo tardi. Dunque lattento lettore trover in ol-tre venti capitoletti, occasioni per dare agio alle memoria di emergere con tutto il suo ca-rico di giovinezza, coraggio e anche morte, la voce di Renato Patera che racconta, a partire dalla terribile data dell8 settembre 1943, il suo apprendistato partigiano, la sua voglia di un mondo nuovo.Ecco allora profilarsi allorizzonte il borgo di Agrano, la citt dOmegna, la sanguino-sa alpe Del Barba e poi Miasino e Pisogno e boschi, alture, rii in cui il terribile urlo della guerra divampa.Vivida e impressionante, nonch ricca di notizie per lo storico, la descrizione del bat-tesimo del fuoco del Patera tra Ornavasso e Condoglia. Scrive: Dallesaltante esperienza vissuta in quella giornata non ho difficolt a dire che, tra paura e incoscienza, penso di essere uscito pi maturo e di avere impara-to a dare pi valore alla vita. Dettagliata poi la ricostruzione della battaglia di Megolo al Cortavolo, 13 febbraio 1944, ove trov la morte, insieme ai suoi soldati, il capitano Fi-

    RACCONTI RIBELLILa resistenza nel Cusio dalla Valle Strona alle cascine di Ameno

    lippo Maria Beltrami. Situazione in cui lau-tore incontra in una grotta niente meno che un altro protagonista di quegli eventi ovvero Gino Vermicelli.Non mancano tra le pagine vivide descrizio-ni di figure di quei tempi travagliati come Mamma Bariselli, il comandante Beld o il gran mediatore don Giuseppe Annichini o Don Sisto Bighiani, prete partigiano. Con-cludendo si pu riportare una frase di Patera secondo cui La memoria una grande ric-chezza a cui non si pu rinunciare. Al lettore il piacere, limpegno a conoscere la storia ma-gari integrando le sue letture con libri fonda-mentali sullargomento come il fondamenta-le scritto di Claudio Pavone Una guerra civile (1991) o lagile volume di Gianni Oliva I 600 giorni di Sal (1996). Pagine in cui il tema degli anni 1943-1945 viene contestualizzato in un ambito pi ampio ove magari rancori, odi trovano una felice e distaccata analisi.

    di Claudio Zella Geddo

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    Renato Patera, a cura di Paola Giacoletti. Tarar edizioni Verbania, pagg. 202, 15,00.

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    PAGINE FRAGILI

    di Rosella Favino

    Tra le pagine fragili della Storia, in que-sta primavera di celebrazioni per lunit dItalia abbiamo scelto un tema che ci ri-porta indietro nel tempo di secoli, in un pe-riodo in cui lupi e orsi ancora scorazzavano per i boschi delle valli ossolane e la lingua pi parlata in val Formazza era una sorta di Tedesco antico, un periodo inquieto in cui dal Passo del Gries calavano verso Domo-dossola i soldati vallesani del Vescovo di Sion e per i Formazzini , gente di confine anche nella verticalit degli spazi alpini, non cera pace.Nel contratto iniziale di concessione del-le terre alte in affitto ereditario, stipulato nel XIII sec. da alcune famiglie di origine alto-vallesana con i Signori della famiglia De Rodis, valvassori imperiali fin dal 1210, non sappiamo esattamente cosa era scrit-to, del documento originale non si tro-vata ancora traccia. Tuttavia dal contenuto di documenti successivi stato possibile ricostruire alcuni aspetti della storia delle comunit, e la ricerca storica ancora in corso. Tracce di questa piccola, importante storia delle Alpi sono state trovate in archi-vi civili ed ecclesiastici a Novara, Pavia, Mi-lano, Roma, e in unabbazia della Svizzera romanda, in Canton Grigioni; qualcosa ancora conservato con cura negli archivi comunali di Formazza e Premia, mentre minore fortuna ha avuto larchivio di Salec-chio, bruciato quasi completamente dopo laccorpamento del Comune con quello di Premia, avvenuto nel 1928. Le Comunit Walser, nella valle Antigorio-Formazza come in altre zone delle Alpi, era-no rette da usi e consuetudini consolidati, riconosciuti, confermati e rispettati dai

    Signori del tempo a fronte di un contratto che prevedeva pochi obblighi da parte della Comunit: il pagamento dellaffitto, ovvia-mente lobbligo di partecipare alla difesa. Lorganizzazione della Comunit, tuttavia, era basata su consuetudini e portava a una gestione comunitaria delle scarse e prezio-se risorse del territorio: boschi, pascoli, ac-qua. Originariamente non sembra ci fosse bisogno di dare a queste norme una forma scritta ma il moltiplicarsi dei contatti tra comunit differenti, le questioni di confi-ne, la necessit di gestire i rapporti con i forestieri resero necessario rivolgersi ad unautorit superiore perch le consuetu-dini diventassero legge. Ecco che a partire dal XV secolo le Comunit chiedono allAu-torit di turno la conferma dei propri Sta-

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    tuti in forma pubblica: per la Val Formazza nel 1487 Gian Galeazzo Sforza concesse la propria approvazione; per Agaro nel 1513 la redazione degli Statuti avvenne alla pre-senza del Governatore elvetico; nel 1588 per Salecchio in febbraio e in maggio per Ausone, la promulgazione avvenne in ono-re del Serenissimo Filippo Re di Spagna.Nei secoli, i documenti antichi sono sta-ti ripresi, tradotti e pubblicati, ma anche smarriti, alcuni poi anche fortunosamente ritrovati. Queste antiche testimonianze ci permettono di immaginare uno spaccato della vita tra le nostre montagne in altri tempi e di ripensare a quanto importante sia stata la concessione e la successiva ri-conferma di un margine di autonomia nella

    gestione amministrativa di comunit le cui condizioni di vita e ambientali erano sfi-danti e difficilmente comprensibili per chi, da un certo punto della nostra storia in poi, governava queste terre da centri di potere lontani.Nel celebrare lunit del nostro Paese, oggi limportanza del rispetto delle differenze culturali e delle specificit locali emerge con forza come elemento di grande ric-chezza e di speranza per il futuro: un va-lore sul quale costruire unItalia migliore.

    [1] Renzo Mortarotti, I Walser, Libreria Giovannacci, Domodos-sola 1979[2] Statuti di Agaro, Ausone e Salecchio riportati in I Walser del silenzio, Ed. Grossi, Domodossola, 2003

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    di Riccardo Faggiana

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    Fin da piccolo, abitando a Vogogna sul fiume Toce, ho avuto il desiderio di di-scenderlo fino al lago Maggiore, sono le classiche avventure che ogni bimbo sogna. A quei tempi il fiume aveva una portata maggiore e non avendo le giuste cognizioni l'avventura che sognavo sembrava ardua. Fantasie a parte, la discesa del fiume Toce alla portata di tutti, anche per quel che riguarda il natante. Infatti passati trent'an-ni da quei sogni d'avventura sono riuscito lo scorso anno a compiere il viaggio, ovvio nulla di trascendentale, un viaggetto tran-quillo, 26 chilometri di percorso turistico, ma l'eccitazione c'era e lo ricorder negli

    anni a venire.Per quanto riguarda l'attrezzatura ho opta-to per una canoa gonfiabile due posti, del-la Sevylor, ben costruita, ad un prezzo piu' che ragionevole. A completamento ho acquistato anche gli indispensabili giubbotti, delle robuste pa-gaie, una sacca a tenuta stagna per mac-china fotografica e il cellulare, e una muta leggera. In tutto 500 euro circa. La canoa gonfiabile facilmente trasportabile e non occupa troppo spazio, inoltre, per i recupe-ri basta una normale autovettura, si sgonfia e la si ripone nel bagagliaio. Insomma tanti pregi e pochi difetti. E se vi chiedete quan-

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    to tempo ci vuole per il gonfiaggio rimarrete sorpresi nell'apprendere che esiste una pompetta elettrica a batteria che gonfia e sgonfia la ca-noa in soli 10 minuti.L'unico inconveniente a cui posso-no andare incontro questo tipo di imbarcazioni la rottura o foratu-ra. Quest'ultima la si pu facilmen-te riparare una volta a terra, per la rottura invece... b basta evitare lamiere, massi taglienti e quant'al-tro possa provocarla!Vale sempre la pena, la navigazione dei fiumi, e' una esperienza... zen. Si ha il vero contatto con la natura, si ha una nuova visione del territorio. Ad esem-pio, in alcuni tratti il fiume Toce sembra lo Yangtze. Non che sia mai stato in Cina, ma ho visto delle immagini dello Yangtze e vi garantisco, complici le brume autunnali, che sembrava proprio di essere l.La partenza si effettua a Vogogna dal ponte della Masone, un ponte che ha compiuto da poco 200 anni. Il motivo della partenza da questo ponte e' che poco piu a monte "a Prata" il fiume sbarrato dalla diga che convoglia le acque nel canale della fabbrica che troveremo poco piu a valle. Purtroppo questo canale convoglia la mag-gior parte dell'acqua che il fiume porta a valle, anche se verr poi riceduta al fiume qualche chilometro piu a valle.Quindi, se ci sono le condizioni, la partenza potr essere effettuata da questo ponte altrimenti ci si dovr sposta-re poco pi a valle, alla passerella che collega Vogogna al comune di Pieve Vergonte. Qui sotto c' una spiaggetta che sar un buon punto di varo.Subito un po di correntina e si par-te... Il Toce un fiume tranquillo, raramente si incontrer qualche tratto veloce, e comunque solo in questa prima parte, ma questi tratti sono davvero corti e gestibili. Passata qualche ansa ci troveremo

    presto, all'altezza di Premosello a dover ge-stire l'immissione d'acqua del canale prima descritto.Da questo punto, l'acqua pi abbondante e la discesa piu' divertente. Ben presto ci troveremo al cospetto del granitico ponte di Migiandone, il punto pi critico dell'intera gita, perch non c' possi-bilit di doppiarlo a bordo della canoa, dato che i blocchi per smorzare il flusso dell'ac-qua sono stati posati senza pensare a que-sta possibilit.Ho individuato un punto sulla destra appe-na prima del ponte, dove possibile pren-dere terra per trasbordare a piedi. C' qualche masso viscido da saltare, ma facendo attenzione il tutto pu essere fat-to in sicurezza. Non appena attraversato il punto morto del ponte si andr a percor-rere il tratto pi bello dell'intera gita. E'

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    qui che ho avuto le mie visioni zen, ed qui che avremo la sensazione di aver fatto qualcosa di bello. il tratto pi selvaggio, quello pi ricco di fauna, e incontreremo anatre, cigni, cormorani, aironi e se fortu-nati anche altro.Altre anse e si arriva presto a Ornavasso passando ancora un punto di corrente in acqua bassa, che nel periodo di siccit sar da fare a piedi. Non ci resta che scendere ancora fino ad arrivare ai piedi del Mon-torfano, ora il fiume placido, si allarga, e la vegetazione si f pi fitta e il paesaggio decisamente pi selvaggio. Il tratto finale lento e ci sar da remare fino alla nostra meta, il Lago Maggiore. Il recupero lo si pu fare sulla prima spiag-getta a sinistra appena finisce il fiume, op-pure a Feriolo, appena dopo l'area dedicata ai campeggi, cos ci godremo anche un trat-to di lago tra i piu belli.

    When I was young living in Vogogna on the river Toce, I had a dream: to sail it down to Lake Maggiore. It was the wonderful adventure every child dre-ams. Thirty years after that dream my fabulous idea came true: I sailed down the river Toce on a quiet and enjoyable 26-kilometer cruise. The experience was so exciting, well worth doing. I could come into contact with Nature, I could see our land from a different point of view. The Toce is like the Yangtze in some of its stretches. It seemed like being on that Chinese river while I was sailing down the Toce into the mist.The only thing you must do is to wait for the good current and then you can start off. The river Toce is quiet and peaceful, you can rarely find a quick flowing stretch.

    Note: the best period to sail the river is obviously the Spring when snow on the mountain tops is melting. During the Summer, if it is rainy, the river is navigable but the water is icy. So we will have a swim in the lakewhich is much better.

    e

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    i nfoAccompagnati dalle guide del Kayak Club

    Val dOssola, durante tutta lestate, possibile discendere il fiume Toce, dalla

    centrale di Megolo fino alla passerella in ferro allaltezza di Ornavasso. Limbarco si trova al termine di una stradina, di fronte

    alla chiesetta nellabitato di Megolo. Il percorso, di otto Km circa, adatto a

    tutti, anche famiglie con bambini non presentando particolari difficolt (1-2).Questo tratto di fiume proprio per la sua

    tranquillit adatto, sia alla discesa in rafting che in canoa canadese aperta ed

    in kayak, per principianti e non, meglio se accompagnati da esperti.

    NoTE: Il periodo migliore per effettuare la discesa ovvia-

    mente la primavera, allo scio-

    glimento delle nevi. Anche du-

    rante tutta l'estate "se piove" il

    fiume navigabile, l'acqua

    sempre fredda perch nasce

    dai ghiacciai alpini, perci il

    bagno lo faremo al lago... li

    tutta un'altra acqua!

    Corsi di nuoto - Acquagym - Hidrobike

    Info 0324.482475 - [email protected]

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    Lago delle Rose

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    di Cecilia Marone

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    Il primo documento in nostro possesso riguardante ledificio che diventer nel 1982 la Casa Museo Walser di Borca risale al 6 luglio 1701. Dinanzi al notaio Giovanni Battista Jachino fu Giovanni di Macugna-ga gli uomini del quartiere di Borca, per il prezzo di 500 lire imperiali, acquistarono da Giovanni Battista Lanti senior labita-zione per il sacerdote addetto allOratorio della Madonna della Neve e coadiutore di Macugnaga.Cristoforo dei Lanti junior fu Giacomo, Cristoforo Frezio fu Bartolomeo, i fratelli Giacomo e Cristoforo fu Giacomo dei Lanti di Spiss, Giacomo fu Tommaso dei Lanti di Isella, Bartolomeo Jachini fu Cristoforo, Gia-como fu Aurelio Burca (unico cognome fra quelli trascritti oggi scomparso a Macugna-ga), Cristoforo fu Aurelio Burca, Cristoforo fu Giovanni Jachini di Quarazza, Giovanni Battista fu G. Battista Burca, Giacomo fu Cristoforo dei Lanti junior, Giacomo Maro-no fu Giovanni e Cristoforo fu Bartolomeo Frezia: furono questi gli uomini di Borca che assicurando di essere pi dei due terzi dei frazionisti comprano per il reverendo cappellano e per i suoi successori la casa dalle fondamenta fino al tetto, onorando anche i debiti del vecchio proprietario. La posa della prima pietra delloratorio della Madonna della Neve era avvenuta nel 1674 e con lacquisto di una dimora, il sacerdote avrebbe avuto unabi-tazione consona e vi-cina della chiesa.Il 14 luglio 1982 pres-so lo studio notarile dellavvocato Carla Quinto di Gravellona Toce, tredici macu-gnaghesi e il parroco del paese, firmaro-no lAtto costitutivo dellassociazione Alts Walserhs van zer Burfuggu.Antematter Sonia, Ba-saletti Angelo, Bettoli

    Lino, Campanella Francesco, Da Boit Mario, Sergio Frezza, Lanti Alda, Marone Roberto, Micheli Fernando, Morandi Eugenio, Mo-randi Vittorio, Pala Mario, Schranz Walter e don Maurizio Midali furono i soci fondatori dellAssociazione.Lo scopo dellAssociazione era ed di cu-rare la raccolta, lo studio, la pubblicazione, lesposizione permanente o temporanea di documenti e testimonianze od oggetti con-cernenti la vita e la storia di Macugnaga, quali lantica casa Walser; la vita allalpe; la vita in miniera; larte; il Monte Rosa e la sua storia.In accordo con il parroco di Macugnaga si stabil che lantica casa del prevosto di Bor-ca, situata ai piedi della frazione divenisse la sede del Museo. La casa fu risanata poi-ch nei decenni precedenti era stata affit-tata a famiglie bisognose ed era sostanzial-mente vuota. Non furono eseguite modifiche struttu-rali: il complesso fu mantenuto nella sua completezza. Le uniche modifiche, peraltro necessarie, furono la posa dellimpianto idraulico per il riscaldamento, dellimpian-to elettrico e dellimpianto dallarme. La casa fu oggetto di una profonda pulizia e di un deciso risanamento e in seguito sinizi una raccolta di oggetti della vita quotidiana per allestire ledificio affinch divenisse un museo etnografico: il tutto grazie al pre-

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    ziosissimo lavoro dei volontari che anima-rono il progetto, molti dei quali ancor oggi si occupano della gestione della struttura e ai quali va un sincero ringraziamento.Il consiglio di presidenza del Museo fece davvero un lavoro eccellente: oltre 650 oggetti costituiscono oggi le collezioni della struttura museale, che con il passa-re degli anni divenuta polo deccellenza dello studio delle popolazioni montane e della cultura Walser.Il Museo composto da sette sale espo-sitive ossia dai sette vani dellantica abi-tazione.La prima delle sette sale cui si accede il focolare, ossia il luogo nel quale i Walser cucinarono e confezionarono gli alimenti (zuppe, polenta, formaggio, carni, pata-te...), ed anche il luogo nel quale si pu caricare la bocca di fuoco che alimenta

    la grossa stufa di pietra ollare, il fornetto, unico sistema di riscaldamento della casa.La seconda sala fu in origine lingresso della casa. In questandito troviamo oltre ad alcuni capi di vestiario, una vetrina illu-minata contenente oggetti preziosi, come libri antichi e monete, un banco sul qua-le sono esposti oggetti del fabbro e dello stagnino e una zona dedicata ai minatori della Valle Anzasca.Si accede quindi alla stanza principale del-

    la casa, un ambiente finemente rivestito con pannelli lignei e nel quale posto il fornetto. La grande sala era l'unica zona riscaldata della casa e per questo motivo in essa si dormiva, si pregava, si lavorava e si svolgeva la quasi totalit delle azioni quotidiane della famiglia.Tra le altre cose visibile nellimmagine sottostante il famoso roll-bet il letto matrimoniale con le ruote, sotto il quale posto un secondo letto per ospitare i membri pi giovani della famiglia e ac-canto al quale vi la culla lignea per i neonati. E in questa sala che troviamo il fornetto, la grande stufa di pietra ollare, sgrossata, bocciardata e assemblata da pazienti mani, che per molti secoli rap-present lunica forma di riscaldamento dellunit abitativa.Questanima calda posta in due diver-

    si locali: la bocca di fuoco nel focolare (Firhs), il corpo riscaldato nella Stobu.Laccensione del fornetto compiuta una volta al giorno, introducendo nella cavit interna quattro o cinque grossi ceppi di legna (abete, larice, faggio, maggiocion-dolo). Nel periodo pi freddo dellanno si pu accendere il fornetto anche due volte al giorno, generalmente mattina e sera. Sebbene il sasso impieghi almeno unora ad intiepidirsi, una volta raggiunta

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    la temperatura massima, nelle ore successive rilascia calore decrescente, omogeneo e sa-lubre.Al piano inferiore si trova la sala espositiva che conserva una cinquantina di antiche ri-produzioni e stampe del paese di Macugnaga e dei suoi abi-tanti.Il piano alto del Museo si suddi-vide in tre sale. La prima stanza dedicata agli antichi mestieri (falegname, bottaio, calzolaio...) con oggetti unici, funzionanti e perfettamente conservati.La seconda sala riservata al complesso lavoro della panificazione: il pane di se-gale, cotto una sola volta all'anno, costi-tuiva l'elemento base dellalimentazione del popolo Walser. La terza sala espositi-va conserva alcuni abiti tradizionali, og-getti e documenti delle miniere aurifere di Macugnaga, beni demo-etno-antopo-logici rari.Il Museo fu aperto al pubblico grazie al lavoro dei tanti volontari che spesero il loro tempo e il loro impegno nellimpr-sa e alle tre custodi storiche: le signo-re Anna Nava Bettineschi, Carla Anghini Alessi Bettineschi e lattuale custode Ro-salia Francioli Morandi.Nel 2002 il Museo stato scelto e ha aderi-to al Progetto di catalogazione Guarini della Regione Piemonte; nel 2006 ha aderito allAssociazione Museo dOssola (www.amo.it); nel 2007 il Museo ha partecipato, con ot-timo successo, al Progetto Inter-reg IIIB Walser Alps che culmi-nato nella creazione della banca dati www.walser-cultura.it. Collabora attivamente con Enti, associazioni presenti sul terri-torio e con strutture museali o associazioni Walser internazio-nali.

    Orari di apertura:Periodo invernale

    26 dicembre - 6 gennaio tutti i giorni 15:30 - 17:30

    Pasqua e luned dellAngelo15:30 - 17:30

    Periodo estivoGiugno sabato e domenica

    15:30 - 17:30Luglio tutti i giorni 15:30 - 18:30

    Agostoluned - venerd 15:30 - 18.30

    sabato e domenica 10 - 12/15:30 - 18.30

    Settembre fino alla primadomenica del mese tutti i giorni

    15:30 - 17:30www.museowalser.it

    Centro abitato Borca 271, 28876 Macugnaga

    Telefono +39 348.9842329

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    Il Monte Rosa la Montagna Madre della Pianura Padana, fin dal Medioevo ritenuto la montagna pi alta delle Alpi, essendo il Monte Bianco nascosto entro la Valle dAosta e non visibile se non da pochi chilometri di distanza. Per questa ragione possiamo ritenere che il Momboso dello storico Flavio Biondo (XV secolo) sia il no-stro Monte Rosa. Leonardo da Vinci scrisse di aver salito la Grigna ed il Momboso fino ad una certa quota, ma dove fece lascen-sione di preciso non lo sappiamo.Nel 1567 Josias Simler afferm che i Sa-lassi chiamavano Rosa quel monte che i Seduni, gli abitanti del Vallese, indicavano come Monte Silvius, la traduzione latina di Mombos-us.

    La scoperta del Monte Rosa avvenne alla fine del 700 ad opera del naturalista ginevrino Horace Benedicte de Saussure che nel 1789 descrisse per primo la gran-de montagna e visit le valli ai suoi piedi. Due anni prima il torinese Conte Morozzo della Rocca si rec a Macugnaga sia per stu-di scientifici, come il determinare la quota esatta delle vette, sia per tentarne lascen-sione: dopo aver attraversato tutto il ghiac-ciaio del Belvedere, risal sulle rocce sco-scese del crestone Marinelli raggiungendo i 3000 m di quota. Il Morozzo comunic a De Saussure la sua ferma convinzione che questa montagna fosse alta almeno come il Monte Bianco.De Saussure arriva a Macugnaga nel luglio

    di Paolo Crosa Lenz

  • 1789 accompagnato dal figlio e alloggia per undici giorni nella povera locanda di Anton Maria Del Prato che elegge a base logisti-ca per le sue escursioni. Accompagnato da Giovanni Battista Jacchetti, un cacciatore di camosci antesignano delle guide alpine, sale alla Pedriola per tentare lascensione del Pizzo Bianco di cui raggiunge lantici-ma. Lanno precedente sette giovani pastori walser di Gressoney avevano vinto la paura delle altezze giungendo nei pressi del Colle del Lys, alla Roccia della scoperta: stava-no cercando la mitica valle perduta della tradizione leggendaria walser, luogo di de-lizie, di benessere e di felicit. Avevano per la prima volta sfidato il mondo dellignoto e rotto lincantesimo per cui i ghiacciai erano il luogo dove le anime dannato espiavano le loro pene. Nella prima met dellOttocento vengono salite le vette principali del Monte Rosa dal versante occidentale e meridionale (la Dufour nel 1848). Dopo la met del secolo lambiente culturale del nascente alpinismo cambia e si organizza, si pongono nuovi e pi ardui obiettivi. In Inghilterra nasce lAlpi-ne Club (1857) e in un breve volgere di anni quello austriaco (1862), svizzero e italiano (1863). Sono gli anni dellalpinismo esplorativo nel quale gli alpinisti cittadini, colti e bene-stanti, si facevano accompagnare da guide valligiane. Le guide conoscevano i luoghi, portavano viveri ed erano garanti della si-curezza durante lascensione. Spesso le gui-de alpine erano anche cercatori di cristalli e grandi cacciatori di camosci e queste attivit abituali erano la formazione naturale al mestiere. Lalpinismo esplorativo vede la ricerca di itinerari di salita lungo i versanti non conosciuti delle montagne, non ricerca le difficolt o la via impegnativa ed este-ticamente bella. Il fascino di un versante vergine e mai percorso dalluomo cataliz-zava sogni e progetti di quella generazione di guide e di alpinisti. Gli attrezzi erano le picche, allora evoluzione moderna dellal-penstock, le pesanti corde di canapa che si

    irrigidivano se impregnate dacqua, gli scar-poni chiodati. Di chiodi e moschettoni non si fa cenno nelle relazioni dellepoca. Nel 1872 viene conquistata la parete est. La prima salita opera di Ferdinando Imseng di Macugnaga che accompagn tre inglesi con altre due guide. Imseng aveva 27 anni e di professione faceva il cacciatore di camosci e il minatore: dopo quellascensione, frutto del suo intuito e senso della montagna, di-vent guida a tutti gli effetti e quattro anni dopo realizz anche la prima ascensione della Nordend da Macugnaga. Imseng mor nove anni dopo nella tragedia Marinelli e una targa lo ricorda nel cimitero di Chiesa Vecchia: bonne guide, honnete homme. Tra la fine dellOttocento e i primi decenni del Novecento la grande parete attrasse da allora i pi bei nomi dellalpinismo. Del 1889 lascensione del sacerdote Achille Ratti che diventer Papa Pio XI; nel 1925 il viennese Oskar Franz la sale e scende da solo. Poi tante imprese e tante tragedie: una straordinaria salita solitaria di Hermann Buhl, vagabondo per grandi pareti, la mor-te della guida Gildo Burgener sulle roccet-te della Dufour (il suo corpo non venne pi ritrovato). La prima ascensione invernale della parete est avviene nel marzo 1953 ad opera di Oliviero Elli ed Emilio Amosso. Nel febbraio 1965 le guide di Macugnaga Felice Jacchini, Michele Pala, Luciano Bettineschi e Lino Pironi raggiungono la vetta della Du-four dopo un gelido bivacco a 300 m dalla vetta.

    di Paolo Crosa Lenz

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    Viaggiare con lentezza...

    di Roberto Pastore Galderio

  • E domenica mattina. Preparo lo zaino con la macchina fotografica e le pellico-le. Sono diretto in Svizzera.In stazione a Domodossola chiedo un bi-glietto per Briga e oltrepasso la frontiera una prima volta, Briga la prima fermata dopo il tunnel del Sempione, una ventina di chilometri al buio.Si trova nel Canton Vallese a circa 700 metri sul livello del mare, latitudine 46 18 Nord, longitudine 7 58 Est.Quando esco sul piazzale della stazione vedo un gran movimento di persone, molti turisti, che da qui partono per le localit di montagna, utilizzando corriere e treni.Durante la settimana invece riprende il via vai dei residenti, presi dalle attivit quoti-diane.Vado verso la corriera del servizio postale. La mia destinazione ora Domodossola, torno in Italia.Attraverso di nuovo la frontiera, questa vol-ta in un bagno di luce.Lautista mi saluta e mi parla in tedesco, penso voglia conoscere la mia destinazione.Pago il biglietto e prendo posto vicino al fi-nestrino. Ho circa due ore di viaggio.In attesa della partenza osservo le persone che salgono. Organ