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Primo Rapporto Osservatorio del Risparmio UniCredit Pioneer Investments Famiglie che resistono e famiglie alla ricerca di nuovi modelli di risparmio 2012

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Primo Rapporto Osservatorio del Risparmio UniCredit Pioneer InvestmentsFamiglie che resistono e famiglie alla ricerca di nuovi modelli di risparmio

2012

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PRIMO RAPPORTO OSSERVATORIO DEL RISPARMIO UNICREDIT PIONEER INVESTMENTS

Famiglie che resistono e famiglie alla ricerca di nuovi modelli di risparmio

2012

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Responsabili scientifici: Marcello Calabrò, Massimo Costantino Macchitella, Zeno Rotondi

Coordinatori: Angela Botticini, Laura Marzorati

Hanno contribuito alla stesura della presente edizione

Territorial Research and Strategies, UniCreditAngela BotticiniRoberto Larotonda

Marketing Individual Clients Italy, UniCreditMatteo FabbiIlaria Marchioni

Economic and Market research, Pioneer InvestmentsLaura MarzoratiGiovanni Russillo

La nota metodologica è a cura di PrometeiaAndrea BerardisFederica CoroneoMassimo GuagniniCristiana MoriconiLivia Simongini

Un ringraziamento particolare va a Daniele Fano

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Presentazione

E’ un vero piacere per me introdurre questa prima edizione del Rapporto sul Risparmio, realizzato da UniCredit in collaborazione con Pioneer Investments e intitolato significativamente “Famiglie che resistono e famiglie alla ricerca di nuovi modelli di risparmio”.

Nonostante gli ultimi cinque anni siano stati caratterizzati da una crisi finanziaria senza precedenti, siamo ancora oggi un Paese ricco, ma che risparmia sempre meno e con una ricchezza molto immobilizzata.

La ragione per cui si risparmia meno è legata principalmente al restringimento della “torta” dei redditi. Sebbene negli ultimi dieci anni il reddito disponibile aggregato sia comunque rimasto pressoché stabile, l’aumento della popolazione - grazie soprattutto all’incremento del numero di stranieri residenti - e una maggiore incidenza degli ultra sessantacinquenni hanno comportato che il reddito netto disponibile a livello pro capite si riducesse in termini reali (prezzi 2011) dai circa 18.000 euro del 2001 ai circa 16.600 euro del 2011. Questa dinamica di contrazione del reddito ha riflesso l’andamento della composizione per provenienza delle risorse che affluiscono alle famiglie. Mentre negli anni ‘80 oltre il 70% del reddito disponibile proveniva dal lavoro dipendente o autonomo, nel 2010 tale quota è scesa al 52%.

Un Paese con una crescita debole lavora meno, produce meno reddito e quindi risparmia meno. In un contesto di debolezza della domanda interna e di stringenti vincoli sul fronte della spesa pubblica, comune a molte economie avanzate, la soluzione per tornare a risparmiare di più è quindi legata al riavvio di un ciclo di crescita, a suo volta legato alla capacità di competere meglio ed esportare di più, soprattutto nei paesi più dinamici.

Inoltre, le incertezze sulle prospettive occupazionali dei giovani pongono oggi la sfida di gestire il risparmio pensando anche al futuro dei figli. L’esigenza sempre più pressante di pianificare il trasferimento intergenerazionale della ricchezza coincide con la prima inversione del trend di espansione del benessere da una generazione alla successiva registrata a partire dal dopoguerra.

Un’ulteriore preoccupazione per le famiglie, accentuata dalle recenti riforme del sistema pensionistico e dal trend demografico, è quella relativa all’integrazione dei propri redditi da pensione, onde evitare di ridurre fortemente le abitudini di consumo, con tutte le ovvie conseguenze sul benessere e la qualità della vita.

Le scelte di risparmio oggi sono quindi sicuramente più complesse per le famiglie. Accrescere il livello delle conoscenze dei cittadini in materia finanziaria è necessario per consentire decisioni più consapevoli e informate su temi che hanno un grande rilievo per determinare la futura prosperità. Bisognerebbe inoltre agire sui comportamenti, per accrescere la cultura del risparmio, rendendolo più facile, diffuso e automatico.

Come possono contribuire gli intermediari finanziari e i gestori del patrimonio per cambiare la situazione?

Il nostro Gruppo può fornire alcuni esempi concreti in merito. Accanto al miglioramento del modello di consulenza finalizzato a una offerta di servizi più flessibile e taylor-made in funzione delle mutate esigenze di risparmio delle famiglie, nel 2011 UniCredit ha lanciato in Italia In-formati, il primo programma nazionale di educazione bancaria e finanziaria. In-formati rappresenta la nostra risposta concreta alla necessità di avvicinare maggiormente i cittadini e le imprese ai temi di banca e finanza. Abbiamo sentito il dovere di sostenere una maggiore conoscenza di questi argomenti per aiutare le famiglie a orientarsi con più consapevolezza nelle proprie scelte.

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I corsi di In-formati, tenuti da nostri colleghi, con un linguaggio semplice e trasparente hanno coinvolto circa 25 mila persone con un servizio gratuito di informazione portato nelle scuole, nelle università, nelle sedi delle associazioni di categoria, nelle imprese, nei punti di aggregazione di anziani, casalinghe, famiglie e nelle sedi del non profit locali.

Un altro esempio, che ambisce a una platea ancor più vasta di potenziali fruitori, è rappresentato dall’Osservatorio del Risparmio UniCredit - Pioneer Investments.

L’analisi del Rapporto si articola lungo tre filoni. Il primo studia gli aspetti legati al risparmio delle famiglie italiane e alla sua allocazione, anche a confronto con i principali paesi industrializzati. Il secondo si occupa della composizione, l’andamento nel tempo e la distribuzione della ricchezza tra le diverse generazioni, anche sulla base delle informazioni rilevate da un campione di clienti UniCredit. E si conclude con un’analisi del risparmio e della ricchezza delle famiglie secondo una declinazione territoriale, per aree geografiche e regioni.

In quest’ultima parte del Rapporto emergono alcuni segnali originali rispetto al quadro nazionale di progressivo impoverimento delle famiglie. Durante la crisi, per esempio, il maggiore peso del terziario e della pubblica amministrazione sull’economia del Centro ha determinato una flessione meno intensa della propensione al risparmio. Anche il Mezzogiorno registra una tenuta della propensione al risparmio, con un trend in crescita fino allo scoppio della crisi e poi una inversione comunque contenuta rispetto alla media Italiana. Un altro dato interessante - specialmente nell’ottica di come far tornare a crescere il risparmio - è quello del Nord-Est dove, dopo un decennio di trend discendente, la propensione al risparmio è tornata a salire grazie al modello di sviluppo territoriale basato sulla competitività e sull’orientamento alle esportazioni. Da quest’ultimo dato deriva chiaramente che per generare risorse interne per il risparmio è necessario tornare a crescere, soprattutto migliorando le condizioni di efficienza produttiva del sistema.

Stiamo vivendo tutti, famiglie, imprese e banche, una fase difficile in cui, pur a fronte di un recupero graduale di credibilità come Paese all’estero, abbiamo ancora bisogno del risparmio italiano, che anche per tale ragione rappresenta una risorsa strategica da preservare, a supporto della ripresa dell’attività produttiva,.

Mi auguro che la nostra nuova iniziativa si riveli una “bussola” utile per orientarsi in questa delicata fase di evoluzione del Paese.

Roberto Nicastro Direttore Generale UniCredit

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SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI 8

PARTE PRIMA 11IL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE E LA SUA ALLOCAZIONE 121.1 IL RISPARMIO: MERCE RARA 121.2 QUALCHE INDICAZIONE DALLA TEORIA 161.3 DA FORMICHE A CICALE? 201.4 L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI RISPARMIO 251.5 QUANTO SI DOVREBBE RISPARMIARE? 271.6 QUALE ALLOCAZIONE PER IL RISPARMIO? 29

PARTE SECONDA 37DAI FLUSSI AGLI STOCK: LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE IN ITALIA 382.1 BUONE NOTIZIE SUL FRONTE RICCHEZZA 382.2 NON E’ ORO TUTTO QUEL CHE LUCCICA 412.3 LA RICCHEZZA DELLE GENERAZIONI 46

PARTE TERZA 51RISPARMIO E RICCHEZZA: UN’ANALISI TERRITORIALE 523.1 IL RISPARMIO A LIVELLO TERRITORIALE 523.2 LA RICCHEZZA FINANZIARIA A LIVELLO TERRITORIALE 58

Appendice metodologica all’analisi territoriale 631. La stima del risparmio a livello territoriale 641.1 I consumi turistici: le principali fonti di informazione 641.2 I consumi turistici: le principali criticità 651.3 La stima della spesa di consumo delle famiglie residenti nelle regioni italiane 65 1.3.1 I consumi turistici 651.3.2 Una prima stima della spesa per consumi delle famiglie residenti 661.3.3 La correzione della prima stima 661.4 La formazione del risparmio a livello regionale 672. La stima della ricchezza a livello territoriale 68

Indice

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SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

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Il quadro dell’Italia che sembra emergere da questo primo rapporto dell’Osservatorio del Risparmio UniCredit - Pioneer Investments è quello di un paese che è ancora sostanzialmente ricco ma che sta vivendo un periodo storico particolarmente critico.

Le famiglie italiane risparmiano sempre meno e, nella maggior parte dei casi, non per una loro specifica e volontaria scelta ma perchè stanno vedendo una graduale erosione dei redditi. Emerge un sostanziale divario tra bisogno percepito di risparmiare e risparmio effettivo. Cresce, infatti, il numero di individui che ritiene importante risparmiare, ma al tempo stesso scende il risparmio complessivo delle famiglie.

La crisi si sta rivelando duratura e con conseguenze rilevanti. Unica tra le maggiori nazioni sviluppate che ha visto il reddito pro capite1 scendere in termini reali a livelli comparabili a quelli di più di quindici anni fa, l’Italia è stata anche la nazione che ha mostrato il peggior tasso di crescita del PIL dal 2008 in poi. Se il reddito disponibile diminuisce, i consumi delle famiglie non calano altrettanto rapidamente: il risparmio latita perchè le risorse si riducono e le spese ineludibili aumentano (o per lo meno non scendono).

Tra l’altro, la riduzione del risparmio nazionale è stata accompagnata dal 2002 in poi da un deficit della parte corrente della bilancia dei pagamenti e dalla crescente necessità di attrarre capitali esteri per finanziare gli investimenti interni. Se un perdurante deficit delle partite correnti può essere sostenibile in un contesto di crescita, molto meno lo è per un’economia in una fase di stallo o in recessione.

Non tutto è perduto però, la strada per un ritorno al riequilibrio passa necessariamente per una riduzione dei gap in produttività e competitività delle imprese nazionali e una prima scossa potrebbe proprio venire dall’export, che potrebbe fungere da volano e primo motore per una ripresa. Se è vero, infatti, che un alto livello di risparmio non genera necessariamente maggior crescita economica, sembra che in assenza di crescita difficilmente si riescono a mantenere elevati tassi di risparmio.

Gli ultimi dati diffusi da Banca d’Italia riguardanti il mese di Luglio 2012 mostrano segnali incoraggianti sulle esportazioni, in netto miglioramento rispetto al 2011, anche se ancora è presto per parlare di una vera e propria inversione di tendenza della parte corrente della bilancia dei pagamenti.

Se del lato imprese si può e bisogna fare ancora molto per rimettere in moto il paese, anche dal lato famiglie si deve fare di più, in particolare riguardo ad alcune criticità che sono emerse distintamente in questi ultimi anni.

Una prima criticità riguarda la quantità di risparmio che per molte famiglie potrebbe essere insufficiente, tenendo conto delle future esigenze di spesa e soprattutto alla luce delle recenti riforme della previdenza. I lavoratori italiani sembrano essere coscienti del fatto che dovranno provvedere da sé ai propri bisogni previdenziali, ma non riescono a far corrispondere a queste intenzioni delle misure concrete. L’adesione a fondi pensione integrativi appare ancora troppo bassa e nettamente inferiore rispetto alla media dei paesi sviluppati (non solo anglosassoni, ma anche dell’Europa continentale) e arrivare impreparati non appare certamente una prospettiva molto allettante. Per portare un maggior numero di persone a risparmiare per la pensione, innanzitutto, si potrebbe cominciare ad incentivare e sviluppare una cultura del risparmio, anche attraverso iniziative specifiche volte a rendere il piccolo risparmio più semplice, conveniente e magari automatico.

Sintesi dei principali risultati

1 Il riferimento è al reddito netto disponibile valutato a prezzi costanti del 2011.

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Individui più coscienti riguardo alle conseguenze delle proprie scelte in ambito finanziario e di pianificazione potrebbero gestire meglio le risorse a loro disposizione. Per questo, sarebbero auspicabili interventi finalizzati a migliorare la cultura finanziaria generale, intervenendo non solo su individui già avvezzi al mondo della finanza, ma anche sulle persone più svantaggiate, i giovani, e anche gli studenti. L’introduzione dei concetti di finanza e pianificazione già sui banchi di scuola avrebbe numerosi vantaggi: i giovani innanzitutto apprendono più facilmente e velocemente, inoltre sarebbe meno costoso raggiungere un numero più elevato di individui e sarebbe un sistema più egualitario. Un vero e proprio investimento per il futuro.

Un ulteriore tema importante riguarda l’allocazione del risparmio. Dal confronto internazionale, emerge che in termini di ricchezza accumulata (e anche di livello di indebitamento) le famiglie italiane risultano ancora ben posizionate rispetto ai maggiori paesi europei e agli Stati Uniti. In particolare, lo stock di ricchezza al netto delle passività finanziarie appare ancora ragguardevole: 8.500 miliardi di euro, pari a oltre 7,8 volte il reddito lordo disponibile e 5,4 volte il PIL, che corrisponde a circa 140 mila euro pro capite. E’ importante assicurarsi che questa ricchezza venga preservata, non perda valore nel tempo ma anzi che possa diventare un volano di crescita per l’economia, nonché un’integrazione al reddito delle famiglie in tempi di crisi.

Guardando alla composizione degli stock di ricchezza finanziaria, si evidenzia una penetrazione molto bassa del gestito (20% del portafoglio), meno della metà delle quote rilevate in Francia e Germania. Gli italiani hanno, tra l’altro, reagito alla crisi del 2008 incrementando ulteriormente la propria posizione in attività liquide, in linea anche con quanto accaduto nel resto dei paesi, tuttavia, non necessariamente questo spostamento verso strumenti liquidi garantisce un sostanziale miglioramento della qualità dei portafogli.

Le recenti e attuali turbolenze dei mercati finanziari possono quantomeno servire a rendere i risparmiatori più consapevoli e preparati. Anche gli investimenti considerati poco rischiosi a volte possono invece rivelarsi molto volatili e l’unico modo per gestire in modo efficace il rischio è quello di diversificare, combinando attività che diano stabilità con quelle che possano offrire crescita nel tempo, attività che siano liquide con altre che offrano flussi cedolari nel tempo. Guardando la composizione media dei portafogli italiani il percorso da compiere appare ancora lungo, ma può essere supportato da esperti e professionisti. Da questo punto di vista le banche e i gestori di patrimoni dovranno essere pronti a raccogliere la sfida e a rilanciare un patto con i risparmiatori che deve essere basato sulla trasparenza e fiducia.

Non da ultimo, un tema che merita maggiore approfondimento è quello relativo ai giovani. Il mercato del lavoro non sembra essere particolarmente recettivo e risparmiare per molti di loro sta diventando un miraggio. Inoltre, gli stock di ricchezza risultano fortemente concentrati nelle mani delle generazioni più anziane. Uno sforzo per liberare maggiori risorse da dedicare al capitale umano e alla nuove iniziative imprenditoriali dei giovani appare quantomeno doveroso, sia come antidoto per uscire dalla crisi attuale che come investimento per il futuro. Un nuovo patto tra generazioni che se da un lato potrebbe dare maggiori opportunità di sviluppo per i giovani, dall’altro potrebbe anche rappresentare quella nuova benzina per la crescita economica di cui il nostro Paese ha oggi come non mai un’impellente necessità.

Passando dall’analisi a livello nazionale a quella territoriale, si conferma una generale contrazione del risparmio nel triennio 2010-2012, caratterizzato da un ridimensionamento esteso a tutte le aree, fatta eccezione per il Nord Est, dove un modello di sviluppo economico, fortemente basato sull’export ha contribuito a sostenere il reddito.

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Tuttavia, guardando agli ultimi cinque anni, le regioni del Nord hanno subito una contrazione del risparmio condizionata da un pronunciato rallentamento del ciclo economico, mentre le regioni del Sud hanno registrato una crescita del risparmio tra il 2000 e il 2009. Tuttavia, un’analisi più approfondita delle principali componenti dalle quali il risparmio si origina, reddito e consumo, sembra mostrare che tale incremento al Sud, più che indicativo di un miglioramento della condizione economica, sia in realtà segnale di un’incapacità di confermare precedenti livelli di spesa. In realtà le famiglie meridionali hanno fortemente contratto le voci di spesa rinviabili mentre hanno destinato una quota sempre maggiore della spesa a consumi incomprimibili. La propensione al consumo delle famiglie del Sud potrebbe essere stata influenzata inoltre da diversi fattori tra cui la percezione di una maggiore incertezza sulle prospettive future che potrebbe aver alimentato forme di accumulo a scopo precauzionale.

Relativamente agli stock, la ricchezza finanziaria in Italia rimane concentrata nelle regioni del Nord, che detengono una quota stabilmente superiore al sessanta per cento del totale. Questo aspetto consente di comprendere in maniera più profonda anche i comportamenti di consumo; difatti, il maggiore stock di ricchezza accumulato nelle regioni settentrionali rappresenta una forma di integrazione di altre forme di reddito e contribuisce a mantenere più stabile il livello di spesa anche in momenti meno favorevoli del ciclo economico.

La composizione della ricchezza finanziaria consente di analizzare un aspetto interessante legato alle modalità in cui le diverse aree del nostro paese decidono di impiegare il risparmio. Infatti i dati aperti su base territoriale mostrano in maniera evidente che le oscillazioni della ricchezza risultano molto più marcate nelle regioni del Nord rispetto a quanto invece avvenga in quelle del Sud. Ed è proprio l’effetto performance quello che amplifica tali variazioni, offrendo quindi un ulteriore spunto di analisi sulla composizione dei portafogli di ricchezza. L’aspetto più interessante che emerge dall’analisi è la forte propensione che il Sud manifesta per investimenti legati alla liquidità. Ne risulta un’esposizione di portafoglio complessiva orientata verso strumenti finanziari semplici con un profilo di rischio contenuto ma conseguentemente anche poco remunerativi. Se infatti una strategia di questo tipo, ha consentito di proteggere meglio la ricchezza soprattutto nelle turbolenze dei mercati finanziari non è detto che essa rappresenti sempre la scelta ottimale. Infatti il maggiore peso degli strumenti professionali di gestione del risparmio, presenti principalmente nei portafogli dei risparmiatori del Nord Ovest, dovrebbe garantire un rendimento del capitale più adeguato su un orizzonte di tempo di medio lungo periodo. Infine la possibilità di utilizzare maggiore informazione finanziaria e di saperla correttamente interpretare può contribuire ad ampliare il livello di partecipazione al mercato delle attività rischiose; da qui sembra emergere la necessità di approfondire la cultura finanziaria soprattutto in aree dove gli investimenti in attività liquide sembrano pesare in maniera eccessiva.

Il documento è composto da tre sezioni. La prima parte si occupa dell’analisi dei flussi di risparmio delle famiglie, guardando al tema della generazione nonché a quello dell’allocazione.La seconda parte è relativa all’analisi degli stock di ricchezza accumulati dalle famiglie e alla sua composizione, con uno sguardo anche sulle differenze per età.La terza parte è relativa all’analisi a livello regionale.

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PARTE PRIMAIL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE E LA SUA ALLOCAZIONE

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1.1 IL RISPARMIO: MERCE RARA L’Italia è un paese che risparmia sempre meno. Dal 1995 ad oggi il risparmio nazionale ha subito un continuo ed inesorabile declino. Il trend è evidente e già noto ai più. Numerose sono infatti le volte nelle quali questi messaggi (o simili) sono comparsi sulle pagine dei giornali o hanno fatto parte di qualche servizio televisivo dai toni più o meno pessimistici. Nel giro di quasi vent’anni il tasso di risparmio lordo delle famiglie italiane è passato dal 21,9% nel 1995 ad un minimo del 12% nel 2011 e le previsioni per il 2012 non sembrano indicare un’inversione di tendenza.

A cosa è dovuto questo calo del risparmio e come bisogna interpretarlo?Possibile che gli italiani si siano dimenticati di essere diligenti formichine? E’ forse possibile che l’Italia abbia vissuto al di sopra dei propri mezzi per troppo tempo ed ora la realtà sia venuta a presentare il conto? Per poter fornire una risposta adeguata a questi interrogativi senza lasciarsi andare in giudizi tanto facili quanto scontati cerchiamo di analizzare i dati in maniera oggettiva e in dettaglio.

Iniziamo col considerare il tasso di risparmio nazionale lordo, ovvero il rapporto tra il risparmio complessivo nazionale al lordo degli ammortamenti da una parte e il reddito nazionale disponibile, dall’altra. E’ una misura di quanto del reddito disponibile una nazione in aggregato ha accantonato nel corso dell’anno e destinato, di conseguenza, agli investimenti. Il risparmio nazionale italiano è calato notevolmente con il passare degli anni e il trend si è rivelato abbastanza costante nel tempo senza peraltro registrare significative inversioni di tendenza (Figura 1).

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Figura 1: Risparmio nazionale lordo in Italia in % al reddito nazionale lordo disponibile

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Istat

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Entriamo ora maggiormente nel dettaglio e proviamo a verificare quale particolare settore ha visto ridursi in maniera più consistente il proprio risparmio.

La Figura 2 scompone il risparmio nazionale lordo in percentuale al PIL tra i diversi settori istituzionali, il periodo considerato è dal 1995 al 2011. Le categorie analizzate sono: amministrazioni pubbliche, famiglie produttrici2, famiglie consumatrici, imprese finanziarie3, imprese non finanziarie.

Questa semplice scomposizione ci permette di fare alcune interessanti considerazioni:

1) Il settore pubblico, dopo periodi più o meno lunghi di risparmi positivi (prima dal 1998 al 2002 e poi dal 2006 al 2008), negli ultimi quattro anni è tornato a registrare risparmi costantemente negativi e, in generale, nei due decenni considerati il suo contributo al risparmio nazionale è stato pari al massimo al 1-2% del PIL, quando non si è rivelato negativo;2) Il risparmio del settore delle imprese (finanziarie e non) si è sempre aggirato intorno al 9-10% del PIL, con le imprese non finanziarie che hanno realizzato i risparmi maggiori (47% del risparmio nazionale nel 2011); 3) Le famiglie produttrici hanno contribuito anch’esse con risparmi positivi e negli ultimi 6 anni in leggera crescita rispetto al PIL, fino ad arrivare nel 2011 a rappresentare il 15% del risparmio nazionale;4) Le famiglie consumatrici sono il settore che nel tempo ha diminuito in maniera più significativa il proprio risparmio: con valori (in percentuale al PIL) nel 2011 più che dimezzati rispetto a quelli registrati a metà degli anni ’90. Se nel 1995 contribuivano per poco più del 60% del risparmio nazionale, negli anni successivi questa quota è scesa progressivamente sino al 36% del 2011.

Le valutazioni non cambiano anche rapportando il risparmio lordo al reddito disponibile. Infatti, il saggio di risparmio delle famiglie consumatrici è passato dal 19,3% del 1995 all’8,8% del 2011. Va tuttavia precisato che se consideriamo le famiglie italiane nella loro interezza (cioè sia produttrici che consumatrici) questo dato migliora leggermente portandosi per il 2011 al, già citato, 12%. 2Secondo l’Istat le Famiglie Produttrici comprendono le società semplici e le imprese individuali che operano nel settore non finanziario ed occupano fino a 5 dipendenti e le unità, prive di dipendenti, produttrici di servizi ausiliari dell’intermediazione finanziaria.3Sempre secondo l’Istat le Imprese Finanziarie comprendono la Banca Centrale, le banche che effettuano raccolta a breve e a lungo e le unità impegnate nelle attività regolamen-tate dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (1/1/1994). Le Imprese Non Finanziarie comprendono, invece, le società di capitali, le società cooperative, le società di persone, le società semplici e le imprese individuali con oltre 5 dipendenti. Sono infine comprese anche le istituzioni non profit che producono beni e servizi destinabili alla vendita che possono essere oggetto di scambio sul mercato oppure esclusivamente destinati ad altre società non finanziarie.

1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011-5%-3%-1%1%3%5%7%9%

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Società non finanziarie Società finanziarieAmministrazioni pubbliche Famiglie produttriciFamiglie consumatrici

Figura 2: Risparmio nazionale lordo in Italia in % al PIL: scomposizione per settori

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Istat

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Sembrano quindi essere le famiglie consumatrici il vero problema del risparmio in Italia. Nel corso degli ultimi 17 anni esse sono state infatti le uniche ad aver ridotto in maniera consistente la quota di reddito destinata al risparmio, determinando quindi una sostanziale riduzione del loro risparmio e di conseguenza del risparmio nazionale. Proviamo ora a vedere se questo trend viene confermato da altre importanti economie avanzate oppure se è peculiare dell’Italia. La Figura 3 considera il tasso di risparmio lordo delle famiglie (consumatrici e produttrici)4 per i più importanti paesi Europei e gli Stati Uniti.

Dal confronto internazionale sembra filtrare qualche spiraglio di luce: il saggio di risparmio lordo delle famiglie italiane, pur essendosi ridotto nel tempo, risulta infatti ancora in media con le principali economie sviluppate. Tra l’altro, sebbene le nostre stime ci portino a pensare ad un’ulteriore riduzione nel 2012 (dal 12% di fine 2011 all’11,3%), l’Italia rimane relativamente nella media.

Uno sguardo al quadro generale (Figura 3) permette di notare che negli ultimi 5 anni sembrano essersi formati tre gruppi di nazioni ben distinti:a) paesi dal risparmio stabile, dove troviamo Francia e Germania, caratterizzati da un tasso di risparmio delle famiglie che non ha subito significative variazioni nel tempo e che si mantiene ben al di sopra del 15%; b) paesi con il risparmio in visibile calo, dove troviamo Italia e Austria, accomunati dal 2007 in poi da una propensione al risparmio in progressiva discesa e ora attorno al 12-13% del reddito disponibile;c) paesi storicamente poco risparmiatori che però sono tornati a risparmiare di recente, in questo gruppo si collocano le economie anglosassoni. A partire dal 2008 le famiglie, di colpo meno ricche e con aspettative di reddito meno rosee, hanno invertito la tendenza riportandosi a livelli di risparmio comparabili a quelli della seconda metà degli anni ’90. Questa tendenza è stata probabilmente rafforzata dal vistoso restringimento dell’offerta di credito che ha reso più difficoltoso accendere nuovi prestiti.

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Austria Francia Germania ItaliaSpagna Regno Unito Stati Uniti

Figura 3: Risparmio lordo delle famiglie in % al reddito lordo disponibile

Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Eurostat, Istituti di statistica nazionali

4Non essendo disponibili per tutti i paesi dati disaggregati relativi alle sole famiglie consumatrici, il confronto viene effettuato sul totale famiglie (consumatrici e produttrici), includendo anche gli enti senza scopo di lucro. Per il resto della pubblicazione, ove non specificato, il dato relativo alle famiglie si intende comprensivo di questi tre aggregati.

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Figura 4: Risparmio netto delle famiglie in % al reddito netto disponibile

Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Eurostat, Istituti di statistica nazionali

Le dinamiche sopra evidenziate vengono sostanzialmente confermate anche se si considerano i saggi di risparmio netti, ottenuti sottraendo al risparmio lordo e al reddito disponibile gli ammortamenti relativi al capitale fisico5 (Figura 4).

Va precisato che osservando l’andamento dei tassi netti emerge con ancor maggiore chiarezza la singolarità del caso italiano: l’Italia è infatti l’unica tra le nazioni considerate caratterizzata da un calo così marcato e duraturo del risparmio. Il saggio netto del risparmio è sceso dal 16,8% nel 1995 al 4,3% nel 2011 e per il 2012 prevediamo un misero 3,2%, molto vicino alle due economie anglosassoni che, pur mostrando negli ultimi anni una sostanziale inversione di tendenza, restano le più cicale tra i maggiori paesi sviluppati.

In sostanza, il calo del risparmio in Italia c’è stato ed è stato maggiore rispetto ad altri paesi sviluppati. Questo trend è stato causato quasi esclusivamente da una diminuzione dei risparmi delle famiglie consumatrici, che sono passate dai €192 miliardi di risparmi lordi del 1995 (rivalutati ai prezzi del 2011) a solo poco più di €93 miliardi del 2011, sorpassate in ordine di grandezza negli ultimi due anni delle imprese non finanziarie quali principali contributori al risparmio nazionale.

Ma cosa implica per una nazione un saggio di risparmio sempre più basso? Alcune teorie economiche possono venirci in aiuto.

5 L’ammortamento rappresenta la perdita di valore subita dai capitali fissi nel corso dell’anno a causa dell’usura fisica, dell’obsolescenza e dei danni accidentali.

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1.2 QUALCHE INDICAZIONE DALLA TEORIA Innanzitutto, quello che ci dicono le teorie è che un basso tasso di risparmio delle famiglie a livello aggregato non necessariamente deve essere interpretato di per sé in chiave negativa. Esso va, infatti, valutato in funzione della struttura demografica e delle caratteristiche della popolazione residente nel paese. Ciò che può sembrare un male per una nazione in un determinato periodo può benissimo non esserlo per un’altra nazione o, addirittura, per la stessa nazione ma in contesti differenti.

Una delle dottrine economiche che è assurta come punto di riferimento quando si considerano le scelte di risparmio delle famiglie è la “teoria del ciclo vitale” formulata da Franco Modigliani, insieme a Richard Brumgerg e Albert Ando, intorno a primi anni ‘50 del novecento.

L’ipotesi di base di questa teoria è il cosiddetto “consumption smoothing”, ovvero l’idea che gli individui puntino ad avere un livello di consumi sostanzialmente stabile durante il corso di tutta la loro vita.

Nella sua formulazione più semplice (ipotizzando che gli individui si aspettino un reddito progressivamente crescente nel tempo) la teoria del ciclo vitale prevede un andamento del risparmio “a gobba”: negativo o comunque molto basso in giovane età, positivo e crescente nella fase di maturità e, infine, decrescente e nuovamente negativo durante gli anni della pensione (Figura 5). Come conseguenza, la ricchezza accumulata dagli individui raggiunge un punto di massimo prima del pensionamento per poi decrescere gradualmente col passare degli anni.

Il risparmio di ogni famiglia dipende quindi dalla fase di vita attraversata da ciascun componente e, in particolar modo, dall’età e dall’occupazione dei singoli. Per cui una famiglia non sarà caratterizzata da un tasso di risparmio sempre costante nel tempo, in quanto questo tenderà a variare in funzione delle esigenze della famiglia stessa e del ciclo di vita dei suoi componenti.

Risparmio

Età

Giovane Adulto Anziano

Figura 5: Andamento del rispar-mio individuale secondo la teoria del ciclo di vita

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L’implicazione a livello aggregato è che il tasso di risparmio di una nazione è implicitamente legato alla struttura demografica e alla speranza di vita degli individui che la compongono. Economie con strutture demografiche diverse possono (e, anzi, dovrebbero) mostrare un tasso di risparmio aggregato diverso, anche nel caso in cui fossero popolate da individui perfettamente identici (però con età medie diverse).

Sebbene la versione originale del modello di Modigliani sia stata successivamente modificata ed arricchita6 restano valide le sue principali implicazioni così come resta valido il suo approccio di base, secondo il quale per capire le scelte di risparmio di una nazione non basta guardare al reddito e alla ricchezza considerandoli come elementi a sé stanti ma è necessario tener conto della complessità delle dinamiche individuali nel tempo.

Veniamo ora ad un tema forse più rilevante per la nostra analisi: è davvero così importante il risparmio nazionale per la crescita di un’economia?

Sebbene da più parti venga avocata la rilevanza e la necessità del risparmio, da un lato prettamente teorico elevati livelli di risparmio non necessariamente generano crescita e prosperità. Anzi, in alcuni casi e sotto determinate condizioni, una riduzione del saggio di risparmio nazionale potrebbe portare l’economia di un paese verso un sentiero di crescita più elevato nel lungo periodo. Tra l’altro, l’impatto positivo del risparmio è funzione anche della presenza (o meno) di un insieme di politiche atte a favorirne la canalizzazione verso gli investimenti più produttivi7. Se poi passiamo alle evidenze empiriche, ad oggi, non è stato univocamente dimostrato un effettivo impatto del risparmio nazionale sulla crescita economica di un paese. E’ vero che paesi ad elevata crescita tendono a mostrare ex-post elevati saggi di risparmio nazionale, tuttavia sembra essere la crescita a determinare un maggior risparmio e non viceversa. Inoltre, nel caso di economie aperte con libertà di movimento nel mercato dei capitali, la crescita può anche essere finanziata dal risparmio estero, il quale, contribuendo a finanziare gli investimenti nazionali, rende meno importante il ruolo del risparmio delle famiglie.

Su questo punto vanno chiariti però un paio di aspetti. Il primo riguarda le condizioni necessarie per attrarre investimenti esteri, mentre il secondo riguarda le condizioni per le quali risulta effettivamente conveniente indebitarsi con l’estero. La disponibilità di capitale da parte di investitori esteri dipende da numerosi fattori. Per prima cosa bisogna valutare la convenienza/redditività attesa degli specifici impieghi nazionali rispetto al resto del mondo e, in secondo luogo, vanno considerate le condizioni generali in cui versa il paese. Il livello di corruzione, il peso della burocrazia, l’efficienza ed efficacia del sistema giudiziario, oltre alle variabili più propriamente economiche (facilità di accesso ai mercati, presenza di infrastrutture, stabilità macroeconomica, ecc…) risultano fondamentali nell’attrarre investimenti esteri. In mancanza di queste condizioni è difficile convogliare verso il paese una quantità adeguata di risorse estere.

Inoltre, gli investimenti esteri possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Nel lungo periodo, infatti, l’efficienza con la quale il risparmio estero viene convertito in investimenti interni diventa cruciale per la sostenibilità del deficit delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. La convenienza di un aumento del debito con l’estero è legata quindi alla possibilità di accrescere l’export futuro o di generare elevati futuri rendimenti reali del capitale domestico.

6Ulteriori elementi spesso aggiunti nei modelli di ciclo vitale sono: il desiderio di lasciare un’eredità, la struttura demografica della famiglia e le sue dinamiche, l’incertezza sull’andamento dei redditi futuri e l’offerta di lavoro, l’acquisto di beni durevoli e in particolar modo della casa, gli obiettivi precauzionali e, non da ultimo, la presenza di un sistema di previdenza pubblica e il suo livello di generosità. Tutti questi fattori possono influire in maniera più o meno importante sull’andamento del tasso di risparmio aggregato delle famiglie.7L’allocazione efficiente delle risorse non è un processo totalmente spontaneo (come potrebbero sostenere alcuni), ma dipende anche da quanto è recettivo un sistema economico. Fattori quali l’investimento in educazione, la presenza di un mercato finanziario sviluppato e, non da ultimo, la presenza di politiche fiscali prudenti da parte dei governi non sono del tutto irrilevanti.

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Tornando al caso italiano, a partire dalla fine degli anni ’90, contemporaneamente al calo del risparmio nazionale, si è assistito infatti ad una sostanziale divaricazione tra risparmio e investimenti, con il conseguente peggioramento del saldo netto con l’estero, passato in territorio negativo dal 2002 e da quel momento in poi caratterizzato da deficit progressivamente crescenti, (pari nel 2011 al 3% del PIL) come rilevato in Figura 6. Questa situazione, tra l’altro, trova un riscontro diretto nel graduale incremento del disavanzo delle partite correnti della bilancia commerciale (Figura 7), e nel sostanziale deterioramento della posizione patrimoniale netta sull’estero che, secondo i dati recentemente rilasciati da Banca d’Italia, risultava in passivo alla fine del primo trimestre 2012 per 378,3 miliardi di euro, ovvero il 23,9% del PIL.

-4%

-3%

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0%

1%

2%

3%

4%

1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011

12%

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16%

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20%

22%

24%

Saldo netto con l'estero (Sx)Investimenti fissi (Dx)Risparmio nazionale lordo (Dx)

Figura 6: Risparmio nazionale, in-vestimenti e saldo netto con l’estero in % al PIL in Italia

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Istat

-60-50-40-30-20-10

010203040

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2011

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2

Mili

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Figura 7: Bilancia dei Pagamenti, Conto delle Partite Correnti in Italia (miliardi di euro)

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Banca d’Italia

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Gli ultimi dati del 2012 sembrano comunque rivelare qualche segnale di miglioramento, anche se è presto per sperare in una vera e propria inversione di tendenza. Secondo l’Istat a luglio 2012 le esportazioni sono infatti cresciute su base annua in maniera significativa (+ 4,3%) coinvolgendo tutti i principali comparti (tutti con saldi positivi, tranne il settore energia). Il saldo dei beni appare in attivo per il secondo mese consecutivo dopo oltre un biennio di deficit, con riflessi positivi sul conto delle partite correnti della bilancia dei pagamenti che, come rilevato dalla Banca d’Italia, a luglio 2012 era ancora in rosso, ma in deciso miglioramento rispetto agli anni precedenti8.

In conclusione, se dunque il saggio di risparmio attuale delle famiglie italiane (ricordiamo pari a fine 2011 al 12% e 4,3% rispettivamente al lordo e al netto degli ammortamenti) non dovrebbe rappresentare in sé un problema, più preoccupante è invece il suo persistente trend discendente e soprattutto il contesto in cui questo calo è avvenuto, in condizioni economiche interne sempre più deteriorate e con un crescente deficit nel saldo con l’estero.

Un ritorno alla crescita (inutile dirlo) sembra essere fondamentale e potrebbe partire proprio da una ripresa dell’export. Come riuscire in questo obiettivo? Spesso le imprese italiane non riescono a raggiungere mercati di sbocco esteri non per mancanza di prodotti e servizi di qualità (che avrebbero presa sicuramente anche su mercati esteri), ma sostanzialmente per le difficoltà che i processi di internazionalizzazione comportano. Ostacoli normativi, culturali, di natura logistica o anche la stessa mancanza di riferimenti e supporti operativi in loco, portano le imprese italiane, soprattutto se di piccole e medie dimensioni, a mantenere un profilo basso, limitandosi a navigare in acque note. In questo contesto si inquadra l’impegno di UniCredit a supportare le piccole e medie imprese nel loro percorso di apertura verso i mercati internazionali.

8Il Conto delle Partite Correnti comprende tutte le transazioni tra residenti e non residenti che riguardano sia le merci e servizi che i redditi (sia da lavoro che da capitale) e trasferimenti in conto corrente.

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1.3 DA FORMICHE A CICALE? Tornando al risparmio delle nostre famiglie, proviamo ora a capire le possibili cause per una sua così drastica riduzione nel tempo.

Iniziamo con un breve excursus dagli anni del Miracolo Italiano ai giorni nostri.

Dalla fine degli anni ’50 sino agli anni ’80 del novecento l’Italia è stata caratterizzata da tassi di risparmio decisamente superiori alla media, il che portava a chiedersi se effettivamente non si risparmiasse troppo! Secondo molti economisti il fattore determinante dell’elevato tasso di risparmio di quel periodo è stata la produttività, cresciuta a ritmi decisamente sostenuti durante quegli anni9.

Questo ”effetto crescita” è stato poi con ogni probabilità ampliato da due altri fattori. Il primo è quello relativo alle cosiddette consumption habits degli italiani; ossia, la “lentezza” che gli individui dimostrano nell’adeguare i consumi ad un cambiamento permanente delle loro aspettative di reddito. In quel periodo, infatti, alla crescita sostanziale dei redditi non è seguito un’altrettanto sostanziale modifica delle decisioni di spesa degli italiani, che hanno mantenuto uno stile di vita abbastanza morigerato, memori forse degli anni di guerra appena superati. A questo si deve aggiungere il secondo fattore: la presenza di un mercato dei capitali non particolarmente sviluppato che rendeva molto difficoltoso prendere a prestito (anche volendo); per cui le famiglie per acquistare la casa o beni durevoli erano necessariamente costrette a risparmiare.

Dagli anni ’90 in poi si è invece assistito ad un’inversione di tendenza, con tassi di risparmio che cominciano a scendere. Anche in questo caso la crescita economica, e in particolare un suo rallentamento, sembra aver fortemente influito su questo risultato. Tuttavia, anche l’allentamento dei vincoli di liquidità sembra abbia giocato un ruolo fondamentale. A partire dalla fine degli anni ’80, infatti, in Italia è stata attuata una progressiva deregolamentazione del mercato creditizio e delle assicurazioni, con una maggiore apertura alla concorrenza. Questi fattori uniti al calo graduale dei tassi di interesse, a seguito dell’implementazione del progetto di moneta unica, hanno permesso ad un numero sempre maggiore di famiglie un più agevole accesso al credito, contribuendo in tal modo al calo del risparmio aggregato10.

9Si veda per un approfondimento sul tema Jappelli e Pagano (1998) “The determinants of saving: lessons from Italy”. 10Gli studiosi hanno rilevato anche come la maggiore generosità dello Stato in materia pensionistica di quegli anni potrebbe aver influito sul calo del risparmio, tuttavia l’effetto complessivo non sembra essere di grande entità. Tanto meno sembrano essere stati determinanti le modifiche alla struttura demografica e il sostanziale invecchiamento del paese. Sappiamo dal modello del ciclo vitale che ad una popolazione in media più anziana dovrebbero corrispondere tassi di risparmio aggregato inferiori. Tuttavia, nel caso dell’Italia, non sembra ci siano forti evidenze di decumulo da parte degli anziani, se non in tarda età. Si veda in particolare Rossi e Visco (1995), “National saving and social security in Italy” e Baldini, Mazzaferro e Onofri (2012) “The reform of the Italian pension system, and its effect on saving behaviour”.

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750800850900950

1.0001.0501.1001.150

1995

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80

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Consumo (Sx) Reddito lordo disponibile (Sx)

Risparmio lordo (Dx)

Figura 8: Reddito disponibile, ri-sparmio e consumi delle famiglie consumatrici in Italia (prezzi costanti 2011, miliardi di euro)

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Istat e Prometeia

Veniamo ora ai cambiamenti che interessano maggiormente, ossia quelli che hanno caratterizzato più o meno gli ultimi 15 anni. La Figura 8 mostra i redditi, i consumi ed i risparmi delle famiglie consumatrici (a prezzi costanti) tra il 1995 e il 2012 in Italia.

Dal 1995 al 2000 il drastico calo del risparmio è stato trainato dai consumi: i redditi reali seppur in crescita (+0,5% medio annuo11), non hanno tenuto il passo con l’aumento sostenuto dei consumi (+2,5% medio annuo al netto dell’inflazione). Dal 2001 sino al 2007 si assiste ad un periodo di stabilizzazione del risparmio, con consumi che crescono moderatamente in termini reali di pari passo con il reddito (+0,8% e 1,1% medio annuo rispettivamente). Dal 2008 in poi, si rileva invece un calo evidente dei redditi (-1,05% medio annuo) con consumi che, dopo una temporanea riduzione nel 2009, tornano stabilmente intorno i livelli medi registrati nel 2006-07, immediatamente prima della crisi globale legata ai sub-prime (-0,03% medio annuo).

Cosa è accaduto dal 2007 in poi, dunque?Possiamo innanzitutto considerare con maggior attenzione il dettaglio delle voci che compongono il reddito disponibile, e in particolare ai redditi da lavoro dipendente, quelli da lavoro autonomo, i redditi da capitale (che includono interessi, utili distribuiti dalle società ecc.), le prestazioni pensionistiche e altri trasferimenti, il tutto al netto delle imposte e dei contributi. Analizzando questi aggregati si evince come tra il 2007 e il 2011:- sia cresciuto il reddito da lavoro autonomo, anche se in misura minore rispetto al passato, (+2,2% medio annuo);- sia salito il reddito relativo alle prestazioni pensionistiche e altri trasferimenti sociali (+1,9% medio annuo);- si siano ridotti i redditi da lavoro dipendente, di un ammontare pari al -0,2% medio annuo, tuttavia l’effetto è sicuramente importante trattandosi di una quota particolarmente rilevante del reddito disponibile caratterizzata negli anni precedenti da tassi di crescita comunque buoni (+0,8% e +1,7% medio annuo rispettivamente nei periodi 1995-2000 e 2001-07);- sia soprattutto avvenuta una marcata contrazione dei redditi da capitale, ridottisi del 4,7% medio annuo;- e, non da ultimo, sia calata in parte l’imposizione fiscale (-0,2%), tuttavia in maniera inferiore rispetto a redditi e prestazioni, determinando un ulteriore effetto depressivo sul reddito disponibile, calato complessivamente dell’1,1% medio annuo.

11Tasso di crescita medio annuo composto (CAGR).

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Negli ultimi 5 anni la riduzione sensibile del reddito disponibile sembra quindi derivare principalmente da una compressione dei redditi da capitale e da lavoro dipendente, con un livello di imposizione fiscale che non ha di certo aiutato. Questi fattori, uniti a famiglie restie a modificare il proprio stile di vita o comunque caratterizzate da una quota elevata di spese di consumo “incomprimibili”, spiegano il calo del risparmio.

Eppure non sembra che gli italiani abbiano deciso che non valga più la pena risparmiare, anzi, dalle informazioni che si possono trarre dall’indagine sulla fiducia dei consumatori dell’Istat, negli ultimi anni è persino cresciuta la quota di persone che ritiene sia opportuno accantonare risorse per il futuro. Dal 2007 in poi tale affermazione è condivisa dal 90% circa degli intervistati, contro una media del 70-75% nel decennio precedente. Quindi, se un mutamento vi è stato, esso è andato nella direzione opposta, cioè verso una maggiore esigenza percepita di risparmiare.

Sempre dalla stessa indagine emerge, però in maniera netta la difficoltà a generare nuovo risparmio: nel II trimestre del 2012 il 25,9% delle famiglie ha dichiarato di non riuscire ad arrivare a fine mese con i propri redditi, trovandosi costretto a contrarre debiti o prelevare dai propri risparmi passati. Al tempo stesso, la quota di persone che ha dichiarato di riuscire a risparmiare si è dimezzata rispetto al passato, andando da oltre il 30% registrato a fine anni ’90 e primi anni 2000 all’attuale 14,8% nel II trimestre del 2012.

65%

70%

75%

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T2 1995

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T2 2011

T2 2012

Figura 9: Percentuale di individui che, in considerazione della situazione econo-mica generale dell’Ita-lia, ritengono opportuno risparmiare

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Istat

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23

21,5

16,714,815,3

10,7

15,6 15,2

25,9

18,1

33,1

27,8

18,6

T4 1995 T4 2000 T4 2005 T4 2010 T4 2011 T2 2012

Risparmia qualcosa/molto Usa i risparmi accumulati/contrae debiti

%

Figura 10: Situazione finanziaria della famiglia (% di famiglie che risparmia o contrae debiti)12

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Istat

In breve, il messaggio che sembra trasparire è che gli italiani non hanno modificato le loro attitudini verso il risparmio ma che sono stati soggetti ad un sostanziale impoverimento. Si risparmia di meno non perché si vuole risparmiare di meno ma perché non si riesce a risparmiare più di quanto si stia già facendo. A fronte di un’erosione dei redditi disponibili, infatti, non vi è stata alcuna diminuzione dei consumi, con l’ovvia conseguenza di una riduzione del risparmio.

Ancora, come in passato, la crescita (o meglio la sua assenza) appare come principale imputata per il calo del reddito disponibile e del risparmio dal 2007 in poi in Italia. Da un confronto internazionale si evidenzia, infatti, come, sebbene mediamente i redditi restino abbastanza stabili nel tempo, le famiglie italiane sono state le uniche a registrare un calo del reddito disponibile pro capite nel 2008-2011 rispetto al periodo 2001-07.

12 Il complemento a 100 dei rispondenti ha dichiarato di quadrare il bilancio.

18,8 18,1 18,917,2

12,215,1

24,6

20,1 20,0 19,418,1

14,5

18,1

27,6

21,0 20,819,6

15,0

18,917,1

28,6

Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito USA

Mig

liaia

1995-2000 2001-07 2008-11

Figura 11: Reddito netto disponi-bile medio pro capite (prezzi costanti 2011, migliaia di euro)

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Eurostat, Istituti di statistica nazionali

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Se si considera che dal 1995 al 2011 l’economia italiana è cresciuta in termini reali ad un tasso medio annuo dello 0,8%, contro l’1,4% e 1,6% rispettivamente di Francia e Germania, che comunque sono cresciute mediamente meno rispetto a Stati Uniti, Regno Unito o anche la Spagna, divengono più chiare anche le ragioni di questo calo dei redditi. Tra l’altro, il divario di crescita, come evidenziato in Figura 12, si è allargato soprattutto nel corso degli ultimi 5 anni: sebbene tutti i paesi siano stati caratterizzati da un rallentamento o anche da un calo del PIL, l’Italia sembra infatti il paese maggiormente colpito, registrando tra il 2008 e il 2011 una variazione media annua del PIL del -0,9%.

In un contesto complesso come quello attuale, con consumi stagnanti e esigenze di rientro del debito pubblico, un elemento fondamentale per portare il paese verso un nuovo sentiero di sviluppo deve passare attraverso le imprese e l’export. In questo modo si creerebbero nuove opportunità di lavoro, aumentando le capacità di reddito e di risparmio, soprattutto per le nuove generazioni. Tuttavia, anche dal lato famiglie si può e si deve fare di più, agendo in particolare sui comportamenti al fine di far seguire alla già elevata consapevolezza della necessità di risparmio delle azioni concrete. La priorità è portare, soprattutto le giovani generazioni, a risparmiare di nuovo, rendendo il piccolo risparmio più semplice e automatico.

3,2%2,7%

1,9%

4,1% 4,3%

2,2%1,8%

1,4%

3,4%

-0,5%

0,2%

1,9%

3,6%

1,2%

2,4%

3,0%

0,6%

0,0%

0,5%

-0,5%-0,9%

Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti1995-2000 2001-07 2008-11

Figura 12: Tasso di variazione me-dio annuo del PIL

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Istituti di statistica nazionali

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1.4 L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI RISPARMIO Sebbene la semplice valutazione del risparmio a livello aggregato non possa di per sé permettere di trarre conclusioni definitive sui comportamenti individuali, la preoccupazione è che molti italiani stiano risparmiando meno di quanto dovrebbero (o meglio, di quanto sarebbe ottimale facessero) viste le loro esigenze di consumo e aspettative di reddito future.

Diversi sono infatti i problemi che potrebbero nascere da un inadeguato livello di risparmi.

Innanzitutto, un basso tasso di risparmio a livello nazionale potrebbe essere il campanello d’allarme per un crescente numero di famiglie altamente indebitate e con la crisi economica che continua a mordere alti tassi di indebitamento potrebbero diventare un problema anche a livello di sistema.

Per il momento, comunque, il livello di indebitamento delle famiglie Italiane, sebbene cresciuto ad un tasso medio annuo dell’8% circa negli ultimi 17 anni, sembra attestarsi ancora su livelli sostenibili, soprattutto se confrontato con il PIL nazionale o il reddito disponibile delle famiglie.

La Figura 13 mostra il debito delle famiglie come quota del reddito disponibile. Lo stock di debito italiano, pur essendo passato dal 37% del 1995 all’85% nel 2011 con le nostre stime interne che indicano un ulteriore incremento all’88% per il 2012, resta comunque ancora al di sotto della soglia psicologica del 100%. Questo significa che il reddito complessivo disponibile di un solo anno è più che in grado di ripagare tutto lo stock di debito contratto fino a quel momento dalle famiglie. Tra l’altro, l’Italia risulta essere il paese con il più basso livello di indebitamento in percentuale al reddito disponibile (insieme alla Germania), mentre paesi come Spagna, Stati Uniti e Regno Unito, pur avendo intrapreso un cammino verso il risanamento dopo la crisi del 2008, mostrano ancora un coefficiente ben al di sopra del 100% (per il Regno Unito siamo a oltre il 150%).

0%20%40%60%80%

100%120%140%160%180%200%

19951996

19971998

19992000

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20092010

20112012E

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Francia Germania ItaliaSpagna Regno Unito USA

Figura 13: Stock di debito delle famiglie in % al reddito disponibile

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer In-vestments su dati Eurostat, OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica nazionali

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Un’altra preoccupazione fondata è quella legata alle pensioni. Con uno Stato sempre meno generoso verso i futuri pensionati, i lavoratori sono ora chiamati a pensare a come integrare i propri redditi futuri da pensione e, se non avranno accumulato adeguate risorse a scopi previdenziali, una volta usciti dal mercato del lavoro saranno costretti a ridurre fortemente le loro abitudini di consumo, con tutte le ovvie conseguenze sul benessere e la qualità delle loro vite.

La consapevolezza che si debba fare qualcosa sembra esserci. Gli italiani lo sanno. Sanno che dovrebbero accantonare nuove risorse per la pensione, eppure poco o nulla sembra essere stato fatto. Tutto sembra venir procrastinato ad un indefinito tempo futuro.

Secondo un’indagine condotta da UniCredit/Pioneer Investments sulla propria clientela già nel 2006 circa il 63% degli intervistati con meno di 35 anni dichiarava di essere preoccupato per il benessere economico una volta raggiunta l’età della pensione e più o meno la stessa percentuale di persone includeva tra le motivazioni del risparmio quella di integrare la pensione pubblica.

Ma quando si guarda ai fatti le cose appaiono ben diverse. I dati rilasciati di recente dalla COVIP indicano come a fine giugno 2012 il numero di iscritti ai fondi pensione fosse pari a circa 5,7 milioni di individui (di cui 4,1 milioni circa appartenenti al settore privato), equivalenti solo al 24% degli occupati. Tra l’altro, il tasso di partecipazione risulta essere molto basso soprattutto tra i giovani, che invece dovrebbero essere quelli maggiormente sensibili al problema. A fine 2011 solo il 18% dei lavoratori con meno di 35 anni era, infatti, iscritto ad una forma di previdenza complementare, mentre la quota saliva al 26,8% per i lavoratori tra i 35 e 44 anni e al 35% per quelli tra i 45 e 64 anni13.

13Relazione annuale 2011 COVIP.

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1.5 QUANTO SI DOVREBBE RISPARMIARE? A livello individuale la scelta di come e quanto risparmiare è tra le decisioni più difficili alle quali si possa pensare ed è comprensibile quindi che si possano compiere degli errori di valutazione.

Innanzitutto, numerose sono le ragioni per cui si risparmia. Tanto per citarne alcune, si risparmia per l’acquisto di una casa o di beni durevoli, per la propria famiglia e l’educazione dei figli, per la vecchiaia, per eventuali spese sanitarie, per avere un gruzzolo da far fruttare e su cui contare in caso di eventi imprevisti o, più in generale, per cautelarsi per il futuro.

Per capire quanto accantonare oggi si devono considerare un’enormità di fattori, molti per lo più incerti. Le esigenze di consumo presenti vanno contemperate con quelle future, facendo una valutazione di come potrebbe evolversi nel tempo il reddito e in generale la condizione economica della famiglia. Questo per un orizzonte temporale non di pochi mesi, ma di tutta una vita. Nulla di banale!.E’ naturale che si tenda a superare questa complessità eccessiva con espedienti o, nella peggiore delle ipotesi, rinviando il problema.

C’è chi, quando è incapace di processare tutte le informazioni, alza le spalle e “tira a caso”; chi tende a seguire quello che consigliano gli amici o il gruppo (se lo fanno tutti ci sarà pure un motivo); chi ancora rimane paralizzato e decide di non decidere. Questo comportamento non è esclusivo degli italiani ma generale degli esseri umani e porta a prendere decisioni, anche in materia economica, seguendo più le emozioni piuttosto che ragionamenti logici. Maggiore è la complessità e più si tende a dar retta all’intuito e alle emozioni. Nulla di male, tuttavia, una maggiore informazione ed educazione finanziaria potrebbero essere d’aiuto, soprattutto per accrescere quanto meno la consapevolezza di quelle che potrebbero essere le conseguenze delle scelte che si compiono.

Studi riguardanti l’educazione finanziaria ed economica hanno riscontrato che buona parte degli individui possiede una scarsa conoscenza dei concetti finanziari di base, ponendo seri dubbi sull’effettiva capacità di comprendere a fondo tutte le implicazioni relative alle scelte in materia pensionistica14. Tra l’altro individui caratterizzati da un livello più elevato di conoscenza finanziaria sembrano essere in grado di pianificare meglio per la loro pensione, meno influenzati dalle scelte di parenti, amici o colleghi.

Una maggiore preparazione economico-finanziaria appare quindi più come una scelta di buon senso che altro; portando, in linea di massima, a scelte più consapevoli e migliori per il proprio futuro.

Inoltre, analisi effettuate su un campione di clienti UniCredit hanno mostrato come siano proprio gli individui caratterizzati da un maggior livello di educazione finanziaria che prima di prendere decisioni in ambito finanziario, ricorrono con maggiore frequenza al parere di consulenti ed esperti del settore. Gli individui con scarsa istruzione economica, invece, a parità di altre condizioni (in particolare reddito e ricchezza), tendono ad avere comportamenti più estremi: o delegano tutto al consulente finanziario o si basano solo sul “fai da te”15.

Assodato che l’educazione finanziaria possa essere d’aiuto, come si potrebbe veicolare in maniera soddisfacente i concetti di base al maggior numero possibile di persone?

14Per un maggior approfondimento sul tema si veda Lusardi e Mitchell ed. (2011) “Financial Literacy: Implications for Retirement Security and the Financial Marketplace” Oxford University Press.15Per maggiori approfondimenti si veda Calcagno e Monticone (2011) “Financial literacy and the demand for financial advice”.

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Come regola generale, le persone con livelli più elevati di ricchezza sono caratterizzate anche da una maggiore conoscenza finanziaria. Sebbene non sia semplice stabilire chi determina cosa, è fuor di dubbio che chi dispone di un patrimonio maggiore sia più interessato ad informarsi e ad avvicinarsi ai concetti della finanza. Tuttavia, proprio per le persone più povere e caratterizzate da un basso livello di istruzione un minimo di educazione finanziaria potrebbe fare la differenza. Attuare programmi rivolti agli strati più deboli della società, contribuirebbe inoltre ad aumentare l’eguaglianza e portare verso una società più equa16.

Tra l’altro, se l’educazione finanziaria può essere così d’aiuto perchè non introdurla nelle scuole?

Una delle proposte che ultimamente sembra raccogliere consensi è quella di avviare delle iniziative rivolte a giovani e studenti. Introdurre già in giovane età elementi di educazione economico-finanziaria potrebbe infatti avere diversi vantaggi; innanzitutto sarebbe meno costoso raggiungere un numero elevato di persone, inoltre i ragazzi sono più recettivi e quindi imparerebbero in minor tempo i concetti base.A ciò va poi aggiunto il fatto che, essendo rivolta a tutti indipendentemente dal reddito e dalla ricchezza familiare, risulterebbe più egualitaria. Infine, non è da sottovalutare anche che questi concetti avrebbero più tempo per sedimentarsi e svilupparsi (anche all’interno delle famiglie stesse), rendendo le future decisioni in ambito finanziario e di pianificazione veramente più informate e consapevoli. In conclusione, investire sull’educazione finanziaria dei ragazzi sembra essere una buona scelta per il presente ma soprattutto per il futuro.

Nel 2011 UniCredit, attraverso l’iniziativa In-Formati, ha introdotto in Italia un programma di educazione bancaria e finanziaria gratuito, che offre a tutti i cittadini interessati, clienti e non, (e anche agli studenti) di partecipare ad una serie di corsi di educazione finanziaria di base. Questo non sarà certo sufficiente ad accrescere la cultura finanziaria di tutta la popolazione italiana, ma costituisce un importante primo passo verso la giusta direzione.

16 E’ stato infatti dimostrato un nesso tra educazione economica e disuguaglianza. Per maggiori informazioni al riguardo si veda Lo Prete (2012) “Economic literacy and the finance-inequality nexus: a medium-term empirical analysis”.

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29

1.6 QUALE ALLOCAZIONE PER IL RISPARMIO? Il tema trattato finora è stato quello della generazione del risparmio, ma come viene allocato questo flusso di denaro è una materia altrettanto importante.

Innanzitutto, sulla base degli impieghi, possiamo distinguere due tipologie di risparmio:- risparmio non finanziario - risparmio finanziario17.Con il primo si intendono i flussi di reddito che in un determinato periodo vengono sottratti al consumo per essere destinati all’acquisto o alla miglioria di case, terreni e altre attività reali. Con risparmio finanziario, invece, si fa riferimento in generale alle nuove risorse utilizzate dalle famiglie per l’acquisto di prodotti finanziari, tramite banche, assicurazioni e società finanziarie in genere.

Si parla poi di risparmio finanziario lordo, quando ci si limita ad analizzare l’ammontare del risparmio indirizzato nel corso di un dato periodo verso i depositi, titoli e i prodotti finanziari in genere. Se a questo aggregato vengono sottratti i debiti contratti dalle famiglie nel corso dello stesso periodo (che si tratti di credito al consumo o di mutui) parliamo allora di risparmio finanziario netto.

In sintesi:

Risparmio Lordo = Risparmio non finanziario lordo + Risparmio finanziario lordo – accensione di nuovo debito18

17 Il risparmio finanziario lordo, secondo l’accezione rinvenibile sui manuali di statistica e di contabilità nazionale, corrisponde all’acquisizione netta di attività finanziarie, mentre il risparmio finanziario netto da noi definito, è dato dal saldo tra l’acquisizione netta di attività finanziarie e l’accensione di nuovo debito. Il risparmio non finanziario lordo è, invece, dato dalla differenza tra il risparmio lordo, il saldo finanziario delle famiglie (accreditamento/indebitamento), e i trasferimenti netti in conto capitale. Tutte queste grandezze sono riferite, come sempre, al settore famiglie (consumatrici e produttrici) inclusi gli enti senza scopo di lucro. 18 L’equazione dovrebbe includere anche i trasferimenti netti in conto capitale. Per semplicità li abbiamo esclusi in quanto di entità comunque non particolarmente rilevante, dato che il loro apporto ha sempre oscillato tra il -4% e il +4% del risparmio lordo.19 I trasferimenti netti in conto capitale non sono stati inclusi nella Figura.

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50

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E

Mili

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Risparmio non finanziario nettoAmmortamentiSaldo finanziario (accreditamento/indebitamento)

Figura 14: Scomposizione del risparmio lordo19 delle famiglie in Italia (prezzi costanti 2011, miliardi di euro)

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Istat e Prometeia

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La Figura 14 scompone il risparmio lordo delle famiglie italiane nelle componenti finanziaria e non finanziaria netta e ammortamenti. Se a fine anni ’90 il risparmio finanziario netto20 era predominante, a partire dal terzo millennio la sua importanza si è ridotta nel tempo, arrivando a rappresentare nel 2011 solamente il 19% del risparmio lordo complessivo.

Certo, bisogna considerare che una buona parte del risparmio non finanziario non viene utilizzata soltanto per l’acquisto di nuovi immobili, terreni, oggetti di valore o macchinari e attrezzature (ricordiamo che ci sono anche le famiglie produttrici in queste statistiche), ma anche per una loro manutenzione, ristrutturazione o per introdurre migliorie. Il capitale fisico, a differenza di quello finanziario, per conservare il suo valore nel tempo ha bisogno di cure.

L’Istat stima con l’ammortamento questa perdita di valore subita dal capitale fisso nel corso dell’anno (a causa di usura, obsolescenza oltre che eventuali danni accidentali). Questa voce non è in effetti marginale, se si considera che a fine 2011 l’ammortamento rappresentava circa il 77% del risparmio non finanziario lordo e anche negli anni precedenti il 60-70% del risparmio non finanziario era costituito da tale componente.

Escludendo l’ammortamento e guardando all’andamento del risparmio finanziario e non finanziario netti si possono notare due cose:1) entrambi hanno subito una visibile contrazione in termini reali nel corso degli ultimi 17 anni;2) la quota del non finanziario è cresciuta nel tempo: se a fine anni ’90 esso rappresentava solo circa il 20-30% del risparmio finanziario netto a fine 2011 era passato a oltre al 127% (ovvero il risparmio netto21 si divideva per 54% in non finanziario e per il restante 46% in finanziario).

Anche per il 2012 stimiamo che il non finanziario netto possa superare il risparmio finanziario netto, anche se di poco, tuttavia è probabile che entrambi subiranno un’ulteriore ridimensionamento in termini assoluti.

20 Il dato si intende al netto dell’accensione di nuovo debito.21 Per netto si intende al netto degli ammortamenti.

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Austria Francia Germania ItaliaSpagna Regno Unito USA

Figura 15: Flussi finanziari lordi delle famiglie in % al reddito lordo disponibile

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Prometeia, Eurostat, OECD, Banche Centrali ed Istituti di statisti-ca nazionali

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Guardando ora al solo risparmio finanziario, per poter avere un quadro di insieme più completo abbiamo confrontato l’andamento del risparmio finanziario lordo delle famiglie come quota del reddito disponibile a livello internazionale. I dati sono presentati in Figura 15.

A prescindere dalla elevata variabilità che caratterizza la grandezza, sia nel confronto temporale che tra paesi, ciò che emerge con chiarezza è come il 2008 abbia segnato per tutti un punto di rottura, in seguito al quale si è assistito ad un calo generalizzato di flussi verso le attività finanziarie. Negli anni immediatamente successivi vi è stato un rimbalzo, ma in media i nuovi investimenti in attività finanziare sono rimasti ben al di sotto i livelli medi pre-crisi.

La diminuzione dei flussi di risparmio delle famiglie verso i prodotti finanziari è stata meno drammatica in Germania e Francia, le economie “forti” dell’area euro, caratterizzate da un livello di risparmio finanziario in percentuale al reddito disponibile superiore all’8% ancora nel 2011. Per il resto dei paesi i flussi di risparmio finanziario sono rimasti sotto quota 5% del reddito disponibile nel 2011, con un minimo del 2% in Spagna.

Comunque, nonostante la grave crisi di fiducia attraversata dalle istituzioni finanziarie tra il 2008 e 2009, il risparmio finanziario è rimasto sempre in territorio positivo. Le famiglie quindi hanno continuato e continuano, sebbene in misura minore ad investire in attività finanziarie.

Il 2012 probabilmente sarà un altro anno difficile, soprattutto per Italia e Spagna, dove peseranno ancora gli effetti delle crisi del debito europeo, ma non ci aspettiamo in ogni caso deflussi, anche se bisognerà attendere qualche anno prima di poter sperare di tornare ai livelli pre 2008.

Stabilito che le famiglie hanno ridotto l’acquisto di attività finanziarie dal 2008 in poi, cosa è successo all’indebitamento?

Sembrerebbe anch’esso essere diminuito in maniera sostanziale.Al minore risparmio indirizzato verso strumenti finanziari si è associata una riduzione ancora più significativa dell’accensione

-5%

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19951996

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Austria Francia Germania ItaliaSpagna Regno Unito Stati Uniti

Figura 16: Nuovo indebitamento delle famiglie in % al reddito lordo disponibile

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer In-vestments su dati Eurostat, OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica nazionali

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di nuove passività (es. nuovi mutui o nuovo ricorso al credito al consumo), come evidenziato in Figura 16. Ciò è avvenuto anche a livello internazionale e appare dovuto sia ad un effetto domanda (meno famiglie disposte ad indebitarsi vista la difficile situazione economica e dei mercati) che ad un effetto offerta (legato al restringimento del credito da parte delle banche). Questo ha tra l’altro portato lo stock di debito delle famiglie a livelli più sostenibili, anche se per l’Italia, come già evidenziato, il problema è meno rilevante rispetto ad altri paesi.

Regno Unito, Stati Uniti e Spagna sono i paesi caratterizzati dalle variazioni più significative. Dai picchi di nuovo debito creato nel corso di un anno del 15% o anche 20% del reddito disponibile registrati nella prima metà degli anni 2000 si è passati a valori pari a zero o persino negativi dopo il 2008. I tassi negativi sono dovuti sostanzialmente a un elevato numero di famiglie dichiarate insolventi a seguito della bolla immobiliare. Tra l’altro molte famiglie, anche sulla scorta di banche molto più restie a concedere credito, hanno accantonato o per lo meno posticipato la decisione di accendere nuovi debiti.

L’Italia, comunque, sembra essere meno esposta a questo problema, caratterizzata, infatti, dall’accensione di nuove passività in media di poco superiore al 5% del reddito disponibile prima del 2008 e da valori più bassi, intorno al 2% medio circa, nella fase successiva.

Guardiamo ora come si compone il risparmio finanziario. Come già detto, nel risparmio finanziario vanno inclusi tutti gli afflussi (al netto dei deflussi) verso i prodotti finanziari avvenuti nel corso di tutto l’anno. Vanno quindi considerati i fondi comuni, le assicurazioni, i fondi pensione, oltre ad obbligazioni e azioni e anche le somme depositate sui conti correnti, di risparmio o altre forme di deposito della liquidità presso le banche, società finanziarie in genere e gli operatori postali.

Un primo elemento che vale la pena mettere in luce e che accomuna l’Italia con il resto dei paesi considerati è il progressivo aumento, nel corso degli ultimi 15 anni, della quota di risparmio finanziario destinata a depositi e alle attività liquide in genere. In Figura 17 abbiamo indicato la quota di flussi medi verso le attività liquide in percentuale al totale del risparmio finanziario

52%

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Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti

1995-2000 2001-03 2004-07 2008-11

Figura 17: Flussi di risparmio inve-stiti in attività liquide in % del risparmio finan-ziario lordo

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati di Banche Centrali nazionali.

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per i periodi 1995-2000, 2001-03, 2004-07 e 2008-11. Per la maggioranza dei paesi è evidente quanto questa componente sia arrivata a rappresentare una quota del risparmio finanziario via via crescente col passare del tempo. Emblematico è il caso del Regno Unito dove i flussi medi verso gli strumenti più liquidi nel 2008-11 hanno superato il totale dei flussi complessivi verso le attività finanziarie.

In Italia la quota di risparmio convogliata verso attività liquide è stata pari in media al 45% nel 2008-11, meno di quanto rilevato per altri paesi. Anche in questo caso, comunque, la quota è decisamente cresciuta nel tempo.

Questa sorta di processo di de-securitization non è cosa recente, in quanto sembra sia iniziato già nei primi anni 2000, a seguito dello scoppio della bolla speculativa della new economy. Sembra tuttavia essere diventato più significativo dal 2008 in poi.

In genere, in paesi più ricchi e caratterizzati da mercati finanziari più sviluppati, le famiglie sono contraddistinte da portafogli finanziari più sofisticati con prodotti più in linea con i loro bisogni e orizzonte temporale. Le crisi dell’ultimo decennio sembrano aver bloccato questo processo, con gli investitori che sono tornati ai prodotti “di base”, sicuramente meno remunerativi ma percepiti come maggiormente sicuri.

Certamente il mutato sentiment degli investitori ha contribuito a questo spostamento delle preferenze, determinando una diversa composizione del risparmio finanziario.Non abbiamo evidenze per tutti i paesi, tuttavia, se ci si limita all’Italia, i dati di indagini condotte da UniCredit/Pioneer Investments su un campione rappresentativo di clienti italiani, confermano come la quota di investitori decisamente avversi al rischio sia sensibilmente cresciuta nel tempo. Se nel 2003 il 25% dei clienti dichiarava di orientarsi verso prodotti finanziari caratterizzati da bassi guadagni pur di non dover sopportare il rischio di perdita del capitale, nel 2009 tale quota era pari al 45%.

Anche per il 2011, secondo le informazioni rinvenibili dalle interviste Mifid di UniCredit22, si è assistito ad un incremento della quota di individui avversi al rischio. In particolare, analizzando i dati relativi a clienti a cui è stato sottoposto il questionario Mifid in 2 periodi diversi (rispettivamente prima e dopo giugno 201123), il 26% circa degli intervistati è risultato avere un profilo di rischio più conservativo nella seconda intervista rispetto alla prima. C’e’ da dire comunque che, nonostante la crisi che ha investito i paesi dell’euro e in particolar modo anche l’Italia, il 62% circa dei clienti intervistati pare non aver modificato il proprio approccio verso il rischio nel 2011 e il 12% circa ha persino dichiarato di avere un profilo maggiormente orientato al rischio rispetto alla prima intervista.

Dai questionari Mifid si possono ricavare anche informazioni relative all’orizzonte temporale dei clienti. In questo caso, sembra che la stragrande maggioranza dei clienti a cui è stato somministrato il questionario abbia mantenuto per i propri investimenti finanziari un orizzonte di medio-lungo periodo. Inoltre, se si confrontano le risposte degli stessi clienti alle interviste prima e dopo giugno 2011, sembra sia cresciuto il numero di clienti con un orizzonte temporale più lungo.

22 I questionari sono stati somministrati principalmente ai clienti caratterizzati dal possesso di prodotti gestiti o di amministrato, ad esclusione delle assicurazioni ramo I.23 A partire da giugno 2011 è stato implementato un nuovo modello di consulenza che ha comportato anche una parziale modifica dei questionario Mifid.

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Austria Francia Germania Italia Spagna RegnoUnito

Stati Uniti-1000

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50010001500200025003000

Liquidità ObbligazioniAzioni e Partecipazioni Fondi ComuniAssicurazioni Vita e Fondi Pensione Altro

Figura 18: Scomposizione del risparmio finanziario lordo pro capite per tipologia di strumento – media 2008-11

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati OECD, Banche Centrali e istituti di statistica nazionali

Tornando ai flussi finanziari di risparmio, il dettaglio per tipologia di strumento mostra come negli ultimi 4 anni, oltre alla già rilevata forte predilezione per le attività liquide, vi siano stati anche flussi stabili verso le assicurazioni vita e i fondi pensione, favoriti anche dalla loro natura ricorrente.Negli Stati Uniti e nel Regno Unito anche i fondi comuni hanno registrato mediamente una raccolta netta positiva tra il 2008-11; la presenza in questi paesi di un forte il segmento istituzionale che agisce per conto delle famiglie, ha probabilmente favorito la stabilizzazione dei flussi.

I Paesi dell’Europa continentale, e l’Italia in particolare, sono stati invece caratterizzati da flussi positivi verso i titoli azionari, per lo più le azioni non quotate, anche in funzione dell’elevato numero di imprese di piccole e medie dimensioni.

Risultati contrastanti sono stati rilevati per le obbligazioni, vendute dalle famiglie di Stati Uniti e Germania e acquistate in Italia, Spagna e Austria. Nel 2011 in particolare, il risparmio delle famiglie verso titoli a reddito fisso in Italia e Spagna ha rappresentato oltre il 100% dei flussi complessivi di risparmio finanziario. I forti acquisti sono stati probabilmente dettati dal desiderio delle famiglie di sostenere i propri titoli del debito, anche attratti dal rialzo dei rendimenti. Il segmento delle obbligazioni societarie dovrebbe aver inoltre ricevuto forti afflussi, in funzione delle esigenze di finanziamento delle banche commerciali.

In sintesi, dunque, sia risparmio finanziario che non finanziario hanno subito un ridimensionamento nel corso degli ultimi 17 anni, tuttavia il calo della componente finanziaria è stato più marcato.

La diminuzione della quota di risparmio indirizzata alle attività finanziarie non è specifica del caso italiano, ma viene rilevata nei maggiori paesi Europei e negli Stati Uniti. Tra l’altro, si è ridotta soprattutto la quota risparmio finanziario indirizzata verso gli strumenti più sofisticati, con una preferenza per la liquidità. Allo stesso tempo le famiglie hanno accantonato eventuali intenzioni di accendere nuovo debito anche sulla scorta della maggiore rigidità delle società finanziarie nel concedere finanziamenti.

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Le famiglie, dunque, si sono orientate verso gli strumenti che, secondo la loro percezione, risultano essere più sicuri sebbene meno specifici riguardo delle esigenze del singolo.

La crescente incertezza e l’instabilità dei mercati finanziari, oltre ad una crisi di fiducia verso le stesse istituzioni finanziarie, hanno certamente contribuito a questo spostamento delle preferenze. Il dubbio è se questo tipo di modifiche portino davvero ad un miglioramento della composizione dei portafogli e ad una maggiore efficienza degli stessi.

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PARTE SECONDADAI FLUSSI AGLI STOCK: LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE IN ITALIA

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2.1 BUONE NOTIZIE SUL FRONTE RICCHEZZA Guardando agli stock di ricchezza ci sono anche, e soprattutto, delle buone notizie: gli italiani, pur risparmiando sempre meno, possono ancora contare su un elevato stock di ricchezza.

La ricchezza delle famiglie al netto delle passività, infatti, era pari in Italia (secondo stime interne) a 8.500 miliardi di euro a fine 2011. Tale ricchezza rappresenta 5,4 volte il PIL e quasi 7,8 volte il reddito lordo disponibile delle famiglie (per l’esattezza il 776%). Valore che colloca l’Italia al secondo posto di questa speciale graduatoria, meglio di Francia, Germania e Stati Uniti.

Va tuttavia precisato che un indicatore più elevato per l’Italia è anche funzione del fatto che le famiglie italiane sono caratterizzate da un più basso reddito disponibile rispetto al resto dei paesi considerati. Tuttavia, anche guardando alla ricchezza pro capite il quadro non cambia di molto. Se gli Italiani a fine 2011 possedevano circa 140 mila euro a testa, i francesi, gli inglesi e gli americani avevano a disposizione uno stock pro capite di poco superiore, rispettivamente di 165, 153 e 148 mila euro, mentre le famiglie tedesche potevano contare su 116 mila euro a testa.

Gli italiani sono quindi ancora relativamente benestanti, soprattutto se confrontati con i principali paesi occidentali.

Da cosa è composta questa ricchezza?Come già specificato, due sono le tipologie di attività: finanziarie - tra cui titoli, azioni, assicurazioni, fondi comuni, fondi pensione e depositi - e reali - quali le abitazioni, gli immobili, i fabbricati, i terreni, gli oggetti di valore oltre a macchinari, impianti e attrezzature -. La somma di queste attività definisce la ricchezza lorda, mentre sottraendo a questo valore le passività (quali i mutui, il credito al consumo, ecc…) si arriva alla ricchezza netta.

762%543%

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Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti

In %

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Figura 19: Ricchezza netta delle famiglie in % al reddito lordo disponibile - 2011

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer In-vestments su dati Eurostat, OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica nazionali

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Innanzitutto, distinguendo la parte reale da quella finanziaria, si evidenzia in tutti i Paesi considerati, ad eccezione degli Stati Uniti, una netta prevalenza della prima rispetto alla seconda. Nel 2011 in Italia gli immobili, i macchinari e gli altri beni tangibili rappresentavano ben il 62% della ricchezza complessiva delle famiglie (al lordo delle passività), superati solo dalla Francia, dove le attività reali pesavano per il 66%. La scomposizione della ricchezza è comunque molto simile rispetto agli altri due paesi dell’Europa continentale accomunati quindi da una preferenza per il “mattone”. Tra l’altro questi tre paesi erano caratterizzati da un più basso peso delle passività e anche da questo punto di vista l’Italia si collocava all’ultimo posto (ma questa volta il segnale è positivo) con una quota delle passività sul totale della ricchezza lorda pari al 10%, contro il 17% e 19% di Regno Unito e Stati Uniti24.

E che dire del tanto odiato debito pubblico?Anch’esso, se rapportato alla ricchezza netta delle famiglie, sembra decisamente meno imponente. Il debito pubblico italiano, infatti, a fine 2011 costituiva “solamente” il 22,3% della ricchezza detenuta dalle famiglie italiane al netto delle passività. Dato che sembra ancora meno minaccioso se si considera che la Germania era caratterizzata da un valore pressoché simile a quello italiano e che gli Stati Uniti presentavano un debito pubblico pari al 23,3% della ricchezza netta delle famiglie.

Non che si voglia ripagare questo debito attingendo dalle riserve patrimoniali delle famiglie, tuttavia non fa male sapere che se guardiamo il debito pubblico sotto questo punto di vista l’Italia risulta essere meno “fuori linea”.

34% 43% 38% 46%68%

66% 57% 62% 54%32%

-11% -14% -10% -17% -19%

Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti

Attività Finanziarie Attività Reali Passività

Figura 20: Attività reali, finanziarie e passività in % alla ricchezza lorda delle famiglie - 2011

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer In-vestments su dati Eurostat, OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica nazionali

24Già nel primo capitolo era stato rilevato il basso livello di indebitamento delle famiglie italiane.

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16,5%

22,2% 22,3%

15,7%

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Francia Germania Italia Regno Unito USA

Figura 21: Debito Pubblico in % alla ricchezza netta delle famiglie - 2011

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer In-vestments su dati Eurostat, OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica nazionali

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2.2 NON E’ ORO TUTTO QUEL CHE LUCCICA I dati 2011 relativi alla ricchezza delle famiglie fotografano dunque un paese tutt’ora tra i più ricchi delle economie occidentali. Tuttavia, gli italiani risultano essere meno benestanti rispetto al recente passato e diverse sono le criticità che stanno emergendo.

La Figura 22 mostra l’andamento in termini reali della ricchezza netta delle famiglie dal 1995 ad oggi. Valutando tutto ai prezzi del 2011 e facendo a 100 il totale della ricchezza netta nel 1995, si scopre che nell’arco degli ultimi 17 anni le famiglie italiane hanno visto crescere complessivamente il proprio patrimonio del 40%, che corrisponde ad un tasso medio annuo del 2,1%, inclusivo sia dell’effetto derivante dall’apporto nel tempo di nuovi flussi di risparmio sia della performance degli stock in essere (questo al netto dell’inflazione per il periodo, pari ad un 2,3% medio annuo).

Un risultato ragguardevole se si considera che tre grandi crisi si sono abbattute durante il periodo considerato. Resta però un po’ l’amaro in bocca nel vedere che siamo tra i paesi che sono cresciuti di meno. La ricchezza degli italiani non ha subito forti fluttuazioni nel tempo, come accaduto invece e in special modo alle famiglie inglesi o americane; tuttavia, forse proprio a causa della sottoesposizione alle attività con più potenziale di apprezzamento, quali le azioni quotate e il gestito in genere, le famiglie italiane hanno anche perso la possibilità di avvantaggiarsi delle ripetute fasi di rally dei mercati.

Proviamo ora a far luce su questo aspetto guardando nel dettaglio l’andamento distinto di ricchezza finanziaria, reale e delle passività.

Cominciamo con le attività reali. Esse, secondo i dati forniti da Banca d’Italia, erano composte per l’84% da abitazioni, il 6% da altri immobili, il 4% da terreni, il 2% da oggetti di valore e il restante 4% da macchinari, impianti e attrezzature23. Data la forte componente di immobili residenziali, le quotazioni e le tendenze del mercato immobiliare sono un fattore chiave nel determinare l’andamento della ricchezza reale.

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19951996

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Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti

Figura 22: Ricchezza netta (reale e finanziaria) delle fa-miglie normalizzata ai livelli del 1995 (prezzi costanti 2011)

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer In-vestments su dati Eurostat, OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica nazionali

23I dati si riferiscono a fine 2010.

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La Figura 23 mostra il trend delle attività reali. Come per la ricchezza netta, i valori passati sono stati rivalutati per tener conto dell’inflazione e rapportati poi al totale attività del 1995.

Complessivamente, al netto dell’inflazione l’aumento di valore del patrimonio di beni tangibili in Italia è stato del 2,5% medio annuo. La crescita si è realizzata soprattutto tra il 2001-07, dove le attività reali sono aumentate ad un tasso medio annuo del 5,3%, mentre dal 2008 al 2011 le stesse hanno perso in media ogni anno lo 0,9%. Per il 2012 la nostra stima è di un’ulteriore riduzione pari al 3%26.

Va ricordato che questi tassi di crescita (positivi o negativi che siano) non sono da interpretarsi quali indicatori della performance degli assets sottostanti, poiché la valorizzazione del totale delle attività reali, oltre a dipendere dal prezzo delle stesse, è funzione anche nel nuovo risparmio che viene convogliato in queste attività27.

In ogni caso, dal confronto con il resto dei paesi, si evidenzia ancora una volta la minor crescita dell’Italia, insieme questa volta alla Germania, mentre decisamente più sostenuti sono stati gli incrementi di valore registrati in Francia, Regno Unito e USA e anche la loro fluttuazione nel tempo. Dai picchi del 2006, il patrimonio di beni tangibili negli Stati Uniti ha perso il 29% del suo valore reale, mentre è andata un po’ meglio nel Regno Unito dove dal 2007 al 2011 le attività reali hanno perso complessivamente (al netto dell’inflazione) il 10%.

Non abbiamo a disposizione i dati delle attività reali per la Spagna, tuttavia dall’analisi dell’andamento dei prezzi delle case, anche in quel caso si evidenzia un forte deprezzamento: con valori in termini reali del 31% più bassi alla fine del primo trimestre 2012 rispetto a fine 2007.

Passando alle attività finanziarie, anche in questo caso l’Italia si distingue per una minore volatilità e, al tempo stesso, una crescita più bassa.

100120140160180200220240260280300

19951996

19971998

19992000

20012002

20032004

20052006

20072008

20092010

20112012E

in %

alle

atti

vità

real

i nel

199

5

Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti

Figura 23: Ricchezza reale delle famiglie normalizzata ai livelli del 1995 (prezzi costanti 2011)

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer In-vestments su dati Eurostat, OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica nazionali

26 Questo sulla base anche degli ultimi dati dell’agenzia del territorio che hanno rilevato per il primo trimestre 2012 una variazione del volume di compravendite immobiliari del -17,8% rispetto allo stesso periodo del 2011.27Tra l’altro per valutare la redditività di un investimento immobiliare è necessario tener conto anche degli eventuali affitti percepiti da un lato e delle spese e delle tasse dall’altro.

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43

Dopo un periodo di particolare “esuberanza” tra il 1995 e il 2000, dove gli asset finanziari sono cresciuti mediamente in termini reali dell’8,7% annuo e al di sopra della crescita media del resto dei paesi considerati, si è passati ad una fase di assestamento tra il 2001 e il 2007, caratterizzata da una crescita reale media annua dello 0,9%, per poi arrivare agli ultimi 4 anni dove le attività hanno perso mediamente il 3,5% annuo. Il problema sembra quindi emergere soprattutto negli anni più recenti, che hanno visto le attività finanziarie delle famiglie italiane perdere valore, tanto che le stime a fine 2012 risultano essere inferiori (in termini reali) alle attività finanziarie del 1999, siamo tornati indietro di ben 13 anni!

Non che le famiglie degli altri paesi abbiano superato la crisi del 2008 indenni; anzi, l’impatto del crollo dei mercati finanziari è stato notevole. Tuttavia, già dal 2009 la loro ricchezza ha ricominciato a crescere e in molti casi – come in Francia, Germania e Regno Unito - con il 2011 si erano già superati i livelli pre-crisi. Le famiglie italiane, invece, tra le meno colpite dalla perdita di valore degli asset nel 2008, hanno però, dopo quella data, visto il loro patrimonio finanziario perdere progressivamente di valore nel tempo e la recente crisi del debito in Europa non ha di certo aiutato.

Il differente asset mix sembra il responsabile per questo diverso andamento. Guardando alla scomposizione della ricchezza finanziaria per tipologia di prodotto a fine 2011 (Figura 25) si evidenziano, infatti, forti peculiarità tra paese e paese, frutto anche del passato, del diverso assetto istituzionale e del grado di sviluppo dei mercati.

Gli Stati Uniti sono caratterizzati dalla presenza importante dei fondi pensione, che rappresentavano il 26% della ricchezza finanziaria delle famiglie a fine 2011, stesso discorso per il Regno Unito, dove oltre la metà delle attività finanziarie erano investite in fondi pensione e assicurazioni.Forte peso delle assicurazioni e dei fondi pensione anche in Francia e Germania (pari al 34% del portafoglio). Per i due paesi dell’Europa continentale è netta però la predominanza dei prodotti di natura assicurativa, anche se leggermente ridottasi rispetto al recente passato (soprattutto in Germania).

100

120

140

160

180

200

220

19951996

19971998

19992000

20012002

20032004

20052006

20072008

20092010

20112012E

in %

del

le a

tt. fi

nanz

iarie

del

199

5

Austria Francia Germania ItaliaSpagna Regno Unito Stati Uniti

Figura 24: Attività finanziarie delle famiglie normalizzate ai livelli del 1995 (prezzi costanti 2011)

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer In-vestments su dati Eurostat, OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica nazionali

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44

Tornando all’Italia, una prima ed evidente specificità, è data dall’elevato stock di obbligazioni, pari al 20% del portafoglio, di cui circa la metà29 relative a titoli governativi, per lo più dello Stato italiano (se quello che vediamo dai portafogli dei nostri clienti possiamo farlo valere per la totalità delle famiglie italiane), con un’evidente scarsa diversificazione per emittente.A ciò si aggiunge lo stock elevato di ricchezza investito direttamente in azioni, pari al 20% delle attività finanziarie, di cui tuttavia solo l’8,4% è relativo alle azioni quotate. Il resto rappresenta per lo più le partecipazioni in società non quotate, aspetto intrinsecamente legato alla forte presenza delle piccole e medie imprese.

Un’ulteriore peculiarità dell’Italia è quella della scarsa penetrazione del risparmio gestito, pari nel 2011 al 20% del totale delle attività delle famiglie, contro quote di oltre il 40% per Germania, Francia e Stati Uniti e del 54% del Regno Unito, elemento che di certo non aiuta alla diversificazione. Sottopesata appare soprattutto la quota relativa ai fondi pensione. Come già sottolineato in precedenza, con l’alleggerimento delle pensioni statali sta ora ai singoli integrare in maniera adeguata le future prestazioni pensionistiche. Un 2% di ricchezza investita in fondi pensione sembra, dunque, proprio poco, soprattutto se paragonato al 26% degli Stati Uniti ma anche al 14% della Germania. Tra l’altro, in quest’ultimo paese i fondi pensione pesavano poco più del 10% solo all’inizio degli anni 2000, e hanno preso piede principalmente grazie all’introduzione nel 2001 dei piani pensionistici Riester.

Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti

46%30%

41%31%

50%29%

15%

9%

2%5% 20%

4%

1%9%

15%

16%

9%20% 20%

10% 32%

8%

7%8%

6% 6%

3%

11%

14%

30% 20%12% 8%

3%4% 14% 2% 6%

51%

26%

10% 2% 9%

2%

4%

Moneta e depositi Obbligazioni Azioni e PartecipazioniFondi Comuni Assicurazioni Vita Fondi PensioneAltro

6% 4% 3%Figura 25: Scomposizione delle attività finanziarie delle famiglie, 2011 28

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Banche Centrali nazionali

28 Per il Regno Unito il dato relativo ai fondi pensione include anche le assicurazioni.29 Stima Prometeia 2011

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45

50

60

70

80

90

100

110

2006 2007 2008 2009 2010 2011Moneta e depositi ObbligazioniAzioni Fondi comuniAssicurazioni e fondi pensione

Figura 26: Evoluzione della per-formance cumulata per strumento dal 2006 al 2011

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Banca d’Italia

Per meglio capire le ragioni della sottoperformance delle attività finanziarie delle famiglie italiane dal 2008 ad oggi, abbiamo guardato all’evoluzione dei singoli strumenti. La Figura 26 in particolare evidenzia l’effetto della performance sull’andamento del valore delle singole classi di attività30. Da questo grafico sembra evidente che la performance negativa di azioni (e soprattutto delle partecipazioni), oltre che delle obbligazioni, spiegano buona parte della riduzione di valore delle attività finanziarie complessive delle famiglie. Ponendo pari a 100 il totale delle azioni nel portafoglio delle famiglie a fine 2006, ed escludendo qualunque effetto derivante da nuovi flussi in entrata e uscita, a fine 2011 tale ammontare era sceso a 60, mentre per le obbligazioni era pari a 90. Anche i fondi comuni hanno registrato una sostanziale riduzione di valore nel corso della crisi del 2008, a causa della cattiva performance delle attività sottostanti. Tuttavia già nel 2009 erano risaliti e a fine 2011 avevano quasi recuperato tutte le perdite. Un po’ meglio è andata anche per le assicurazioni e i fondi pensioni, meno investiti dalla crisi 2008, ma anche con minore potenziale di recupero nella fase successiva, che comunque si attestavano sopra il livello di 100 a fine 2011. Infine, sostanzialmente pari a zero il rendimento della liquidità. In sintesi, il quadro che sembra emergere dall’analisi degli stock è quello di una sostanziale solidità delle famiglie italiane che appaiono meno indebitate rispetto ad altri paesi e con ancora un ragguardevole stock di ricchezza accumulata. Tale ricchezza si è però ridotta nel tempo e maggiormente rispetto ad altri paesi, anche a causa del diverso mix di prodotti in portafoglio. Preoccupazione desta soprattutto la scarsa diversificazione e il peso molto basso dei fondi pensione, per i quali le famiglie italiane sembrano forse non averne ancora capito appieno l’importanza.

30 In sostanza abbiamo scorporato dalla variazione annuale totale delle attività l’effetto relativo agli afflussi o deflussi di nuovo risparmio e isolato l’effetto della performance nel determinare la variazione degli assets nel tempo. Essendo calcolato per differenza e su un arco temporale abbastanza lungo (un anno) l’effetto potrebbe includere un errore di misura.

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2.3 LA RICCHEZZA DELLE GENERAZIONI Se i dati aggregati di ricchezza sono sicuramente importanti per capire le dinamiche generali, è solo con una loro disaggregazione a livello individuale, o meglio, per tipologie di individui, che riusciamo ad aggiungere dettagli importanti al quadro di insieme sulla condizione economica della famiglie in Italia.

Sotto questo aspetto ci sono di grande aiuto le informazioni che si possono ricavare dai database UniCredit in merito alla propria clientela.

In particolare, analizzando i dati relativi ad un campione rappresentativo di individui, basato sul portafoglio clienti di UniCredit a fine 201, il dato che risalta maggiormente è la sostanziale polarizzazione della ricchezza, che risulta essere prevalentemente nelle mani delle vecchie generazioni. A fine 2011, infatti, il 70% della ricchezza era attribuibile a clienti ultra 55enni, mentre i clienti con meno di 34 anni detenevano poco meno del 4% del totale degli assets.

L’ammontare medio di attività detenute dai singoli appare fortemente crescente con l’età, con un andamento a scalini via via più ampi, come mostrato in Figura 27. In particolare, spicca la differenza tra gli under 34 e gli over 64, con gli ultimi che risultano possedere una ricchezza di circa nove volte superiore a quella dei primi. Importanti differenze sono rilevabili anche nelle altre fasce di età, con i clienti nella fascia 45-54 che risultano detenere una ricchezza pari a poco più della metà di quella dei clienti con oltre 64 anni.

I nostri dati trovano peraltro una riprova dalla Banca d’Italia, che nella relazione annuale 2012, mostra come nel 2010 i nuclei familiari con un capofamiglia di età superiore a 55 anni detenessero più del 60% del totale delle attività finanziarie, mentre quelli con capofamiglia di età inferiore a 35 anni ne possedessero meno del 4%. Dati sostanzialmente confermati quindi anche a livello di sistema paese Italia.

11,4

28,3

50,7

77,6

100,0

<=34

35-44

45-54

55-64

>64

Figura 27: Ammontare medio di ricchezza finanziaria dei clienti UniCredit per classi di età – 2011 (in % alla ricchezza dei clienti ultra-64enni, posta pari a 100)

Fonte: UniCredit

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Che la ricchezza finanziaria sia una funzione crescente dell’età è più che plausibile. I giovani da un lato, trovandosi all’inizio della loro carriera lavorativa, non hanno ancora avuto modo di accumulare risorse mentre dall’altro, se hanno buone prospettive di carriera e di reddito, possono razionalmente aver deciso di adottare uno stile di vita più commisurato al reddito che si aspettano per il futuro quanto piuttosto al loro reddito attuale.Tutto ciò è perfettamente in linea con la citata “teoria del ciclo vitale”: si risparmia poco o nulla da giovani, si accumula nella fase della maturità e poi il decumulo dopo la pensione. Tuttavia, la forte sproporzione tra l’ammontare di risorse finanziarie a disposizione delle generazioni più giovani, dove ci permettiamo di includere anche i 35-44enni, e quelle più anziane porta a pensare che ci sia altro sotto.

Sempre secondo Banca d’Italia nel 1991, solo poco più di 10 anni fa, i nuclei con capofamiglia con meno di 35 anni risultavano detenere oltre 10 punti percentuali in più rispetto a quanto osservato nel 2010. Anche gli indicatori di vulnerabilità negli ultimi anni puntano verso un peggioramento più marcato per i nuclei con capofamiglia giovane. In particolare, la quota dei nuclei famigliari giovani caratterizzati da fragilità finanziaria31 ha raggiunto nel 2010 quota 17%, contro il 13% del 2008. E l’aumento è stato molto più marcato rispetto alle altre fasce d’età.

Per cui, rispetto al passato, le nuove generazioni sembrano dover affrontare sfide decisamente più ardue con mezzi che appaiono sempre più esigui.

Non è un mistero che il mercato del lavoro si sia deteriorato in maniera significativa, specialmente con riguardo ai più giovani. Non sono sicuramente passati sotto silenzio i recenti dati Istat che parlano per il secondo trimestre 2012 di quasi un milione e mezzo di occupati in meno tra gli under 34 rispetto allo stesso periodo del 2007. La percentuale dei disoccupati tra i 15 e i 24 anni nel secondo trimestre del 2012 è ancora più eloquente: 35,3% (più o meno su 3 giovani nella forza lavoro uno non ha - e non riesce a trovare - un lavoro). La Figura 28 mostra in particolare come il dato relativo alla disoccupazione giovanile sia peggiorato notevolmente a partire dalla seconda metà del 2007, con un’accelerazione soprattutto nell’ultimo anno.

18%

20%

22%

24%

26%

28%

30%

32%

34%

36%

T1'95

T4'95

T3'96

T2'97

T1'98

T4'98

T3'99

T2'00

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T4'01

T3'02

T2'03

T1'04

T4'04

T3'05

T2'06

T1'07

T4'07

T3'08

T2'09

T1'10

T4'10

T3'11

T2'12

Figura 28: Percentuale di disoccu-pati tra i 15 e i 24 anni

Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Investments su dati Istat

31Che non hanno attività liquide sufficienti a garantire un tenore di vita al livello della soglia della povertà per almeno sei mesi in caso di perdita del lavoro.

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Le giovani generazioni faticano ad entrare stabilmente nel mondo del lavoro e, di conseguenza, faticano anche a risparmiare ed accumulare ricchezza.

Secondo nostre fonti interne i giovani, tra l’altro, risultano detenere portafogli decisamente meno diversificati e per lo più investiti in attività liquide. I depositi rappresentavano a fine 2011 infatti circa il 70% del totale degli assets per i clienti con meno di 34 anni, rispetto al 30% circa del portafoglio dei clienti con più di 65 anni. E in ogni caso la situazione non va molto meglio per i clienti nella fascia di età compresa tra i 35 e i 44 anni, caratterizzati da un portafoglio investito per oltre il 55% in liquidità.

Tra l’altro, per la parte di clienti più giovani caratterizzata comunque da portafogli più complessi, il fondo comune sembra essere lo strumento di gestito maggiormente utilizzato, fungendo da base per la costituzione di un portafoglio via via più diversificato.

Eppure, analizzando i dati aggregati delle interviste Mifid non si rilevano forti differenze in termini di avversione al rischio o orizzonte temporale degli investimenti per classi di età. Probabilmente il minor livello di ricchezza detenuta porta i clienti più giovani a non andare oltre i depositi o gli strumenti più semplici e più liquidi.

Se oltre alle attività finanziarie guardiamo alle attività reali, il quadro non cambia in maniera sostanziale. La differenza tra le diverse generazioni viene confermata e, anzi, ne esce rafforzata.

Sempre secondo l’Indagine sui bilanci delle famiglie di Banca d’Italia, nel 2010 il 49% dei nuclei con capofamiglia con meno di 34 anni non possedeva ricchezza immobiliare. La quota scende al 38% per le famiglie con capofamiglia di età compresa tra i 35 e 44 ma resta comunque elevata se si considera che solo il 20% circa dei nuclei con capofamiglia oltre i 55 anni non possedeva nessun immobile. Tra l’altro il 20% circa delle famiglie con capofamiglia tra i 45 e 64 anni deteneva altri immobili oltre alla prima casa.

Infine, se guardiamo all’indebitamento, appaiono evidenti anche in questo caso le forti differenze per classi di età: con il picco massimo della quota di famiglie indebitate per la fascia di età del capofamiglia tra 35 e 44 anni (44%) e il minimo per famiglie con capofamiglia oltre i 64 anni (7,9%).

Abbiamo già fatto notare come potrebbe essere sensato e razionale che le famiglie più giovani siano maggiormente indebitate, magari per l’acquisto della prima casa, tuttavia fa pensare che, sempre nella fascia tra i 35 e 44 anni, molti prendano a prestito soprattutto per l’acquisto di beni di consumo. Infatti, se a fine 2010 il 18,6% dei giovani capifamiglia si indebitava per l’acquisto di immobili, un altro 18,8% era indebitato per l’acquisto di beni di consumo. Dati che appaiono molto distanti dai valori dell’1,9% e 3,5% che riguardano gli ultra 64enni.

A nostro avviso le differenze che vengono rilevate per età non appaiono dovute solo alla diversa fase di vita attraversata dagli individui, ma anche da una sostanziale differenza nelle opportunità a disposizione dei giovani di oggi rispetto al passato, oltre che probabilmente a differenze nelle attitudini e comportamenti.

La difficile fase che sta attraversando attualmente l’economia italiana sta di certo colpendo tutti, tuttavia ci sembra che le giovani generazioni stiano pagando un prezzo molto più caro.

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Dato l’elevato stock di ricchezza ancora disponibile e per lo più in mano alle generazioni più anziane, una domanda che ci si potrebbe porre è se questo stock possa essere in qualche modo sfruttato per aiutare i giovani al fine di sviluppare il loro capitale umano e supportare le loro iniziative imprenditoriali, in modo da migliorarne le opportunità di reddito. Questo potrebbe persino trasformarsi in un volano di crescita, se inserito in un patto intergenerazionale.Dalle ultime ricerche del Censis32, emerge infine come il ruolo della famiglia, ancor più rispetto che al passato, sia fondamentale, fungendo infatti sia da punto di riferimento che da rete di salvataggio. In Italia i legami famigliari restano forti ed estesi ben oltre i confini tradizionali del nucleo familiare stretto. Sempre da Banca d’Italia33 nel 2010 il 42% dei giovani tra i 25 e 34 anni viveva ancora con i genitori, mentre 15 anni prima erano “solo” il 36%. Tra l’altro risulta che nella tarda primavera del 2009 circa 480 mila famiglie italiane abbiano sostenuto almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro nei dodici mesi precedenti. Un ruolo di ammortizzatore sociale assolutamente di non scarsa rilevanza.

32 Rapporto Coldiretti/Censis (2012) “Crisi: vivere insieme, vivere meglio”.33 A.N.Tarantola (2012) “Le famiglie Italiane nella Crisi”.

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PARTE TERZARISPARMIO E RICCHEZZA: UN’ANALISI TERRIORIALE34

34 Le analisi qui contenute si basano sulle stime del risparmio e della ricchezza a livello territoriale di Prometeia. Per maggiori dettagli sulla metodologia si rimanda all’appendice che segue il capitolo.

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3.1 IL RISPARMIO A LIVELLO TERRITORIALE L’obiettivo del presente paragrafo è quello di analizzare l’evoluzione dei flussi di risparmio a livello territoriale ed evidenziare comportamenti differenziati nell’attuale scenario contraddistinto da una perdurante debolezza del ciclo economico e da una bassa crescita dei redditi. Partendo dall’analisi dell’andamento del risparmio lordo (Figura 29) misurato in termini reali, l’aspetto che emerge in maniera più evidente è che l’area meridionale del Paese, in controtendenza rispetto alle altre, vede una progressiva crescita del risparmio pro capite tra il 2000 e il 2009; a partire dal 2009 l’indicatore in esame riferito alle regioni del Sud si posiziona per la prima volta al di sopra della media nazionale, pur in un contesto di flessione che riguarda tutte le aree. Il risparmio pro capite dell’area settentrionale del Paese (Nord Ovest in particolare) diminuisce negli ultimi cinque anni, condizionato dal rallentamento pronunciato del ciclo economico mentre quello del Centro mostra ampie oscillazioni e, nonostante la buona tenuta fino al 2009, segna negli ultimi anni una flessione che lo spinge a ridosso del valore della media nazionale. Il triennio 2010-2012 è caratterizzato da un ridimensionamento del risparmio pro capite esteso a tutte le aree, fatta eccezione per il Nord Est. In quest’ultimo caso infatti la buona tenuta dei dati di risparmio è spiegata, come vedremo nelle parti successive del paragrafo, da un rimbalzo del reddito disponibile; questa performance può essere ricondotta ad un modello di sviluppo economico del Nord Est fortemente basato sull’export (cosiddetto “export-led”) che ha beneficiato nel periodo compreso tra il 2009 e il 2011 di una ripresa del commercio mondiale.

Passando all’analisi della propensione al risparmio (Figura 30), ottenuta come rapporto tra risparmio lordo e reddito disponibile, è ancora il Sud a mostrare una crescita tale da permettere all’area di posizionarsi ben al di sopra della media nazionale a partire dal 2004. Sempre sullo stesso periodo d’osservazione il Nord Ovest registra una graduale flessione nella propensione al risparmio e si mantiene al di sotto della media nazionale sostanzialmente per tutto il periodo in esame. Anche il Nord Est, che fino al 2003 si collocava al di sopra della media italiana, segna a partire dall’anno successivo un calo che lo posiziona sempre al di sotto del valore nazionale. Il Centro, seppur in un percorso di contrazione, si mantiene superiore al dato nazionale.

0,0

1,0

2,0

3,0

4,0

5,0

6,0

7,0

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

E

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

Figura 29: Risparmio lordo pro capite - dati in euro migliaia

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

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Come già osservato per il risparmio pro capite, anche la propensione al risparmio nel biennio 2010-2011 mostra un calo diffuso pressoché ovunque con il solo Nord Est a muoversi in controtendenza.In particolare il Mezzogiorno si è dimostrato più incline al risparmio ed è presente presso le famiglie meridionali un’attitudine a ridimensionare i consumi e rafforzare quindi la natura di risparmio precauzionale. Tra i fattori che hanno influenzato e probabilmente stanno influenzando tali scelte di consumo alcuni possono derivare da aspettative negative sulla situazione economica soprattutto in riferimento all’occupazione. Inoltre l’aumento del risparmio non implica necessariamente che le famiglie meridionali stiano colmando il gap che le separa da quelle residenti in altre aree del paese in termini di ricchezza, aspetto che sarà analizzato in maggiore dettaglio nel paragrafo seguente. La ricchezza, infatti, si origina non solo dal risparmio ma anche da trasferimenti e variazioni di valore della ricchezza stessa.L’analisi della propensione al risparmio elaborata su scala regionale (Figura 31) delinea una situazione eterogenea le cui caratteristiche principali sono sintetizzate in una sostanziale “inversione di polarità”. Tra il 1997 e il 2011 sono solo le regioni meridionali ad evidenziare una crescita dell’indicatore mentre quelle settentrionali registrano una flessione; il Centro si conferma su livelli stabili.

0

5

10

15

20

25

30

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

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2012

E

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

Figura 30: Propensione al rispar-mio - valori percentuali

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

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I dati sul risparmio sin qui esaminati mostrano da un lato un incremento nell’area meridionale e dall’altro una situazione regionale più eterogenea; per questo motivo al fine di comprendere in maniera più profonda il fenomeno occorre spostare l‘attenzione sull’andamento e le caratteristiche dei flussi da cui tale risparmio si origina, vale a dire il reddito e i consumi. L‘andamento del reddito disponibile, misurato in termini reali, mostra una dinamica lievemente migliore nella parte meridionale del Paese. In particolare la media della grandezza in questione riferita al periodo 2008-2012 risulta in flessione rispetto a quella del 1997-2007, tuttavia la diminuzione appare più contenuta per le regioni meridionali (Figura 32). Questo andamento è imputabile per buona parte ad operazioni di redistribuzione secondaria del reddito, sia per ciò che riguarda la componente delle imposte correnti che quella delle prestazioni sociali e altri trasferimenti netti.

3.41 - 14.914.9 - 21.6621.66 - 24.324.3 - 31.29

1.98 - 9.579.57 - 14.1814.18 - 16.1716.17 - 27.43

Figura 31: Propensione al rispar-mio su base regionale: 1997 (sinistra) vs 2011 (destra) - valori percen-tuali

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

26,8 26,624,5

17,5

23,125,1 25,2

23,5

16,9

22,0

1997-2007 2008-2012E

Figura 32: Media reddito disponi-bile pro capite – dati in euro migliaia

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

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Più recentemente tali tendenze appaiono confermate nel generale rallentamento che la crisi economico-finanziaria ha imposto sulla dinamica del reddito; in particolare per il 2012 la variazione percentuale del reddito disponibile è stimata in flessione di oltre quattro punti percentuali in termini reali per tutte le macro aree, con un intervallo che va dal -4,43% del Nord Ovest al -4,37% del Nord Est. Guardando invece gli anni tra il 2007 e il 2011 la contrazione più sensibile è quella registrata dal reddito disponibile del Nord Ovest (Figura 33), soprattutto a causa della componente dei redditi da capitale netti. Sul punto è opportuno soffermarsi dal momento che consente di evidenziare per i diversi territori una struttura produttiva e un comportamento economico differenziato. Recenti studi35, infatti, sottolineano che durante la crisi il maggiore peso del terziario e della pubblica amministrazione sull’economia del Centro (condizionata dal dato del Lazio36) e del Mezzogiorno ha determinato una flessione del valore aggiunto meno intenso della media nazionale; non solo la presenza di spesa pubblica si configura come un elemento di stabilizzazione dei redditi, ma retribuzioni della pubblica amministrazione in media più elevate rispetto a quelle di altri redditi da lavoro dipendente37 forniscono un ulteriore “cuscino” di sicurezza nei momenti più duri della congiuntura. Ad ogni modo nelle fasi di ripresa del ciclo economico, i salari pubblici tendono a seguire con un certo sfasamento temporale l’incremento dei redditi del settore privato. La minor esposizione al debito delle famiglie meridionali e una ricchezza più concentrata in attività liquide e meno rischiose hanno ridotto l’impatto della crisi; in altri termini la maggiore propensione ad effettuare investimenti meno rischiosi (depositi postali, ad esempio) ha mitigato la perdita dei portafogli finanziari.

Guardando adesso la dinamica dei consumi, anch’essi per omogeneità misurati in termini reali, si nota che la crescita della media del consumo pro capite riferito ai due periodi oggetto d’osservazione (2008-2012 vs. 1997-2007) è negativa nelle regioni del Sud, in controtendenza rispetto al dato positivo registrato nelle regioni del Nord e alla sostanziale stabilità del Centro.

35Sassaroli P. e Tartamella F., “Le conseguenze della crisi economica sul reddito disponibile delle famiglie nelle diverse regioni italiane”, XXXIII Conferenza italiana di scienze regionali (2011) Istat. 36I dati contenuti nei Conti Pubblici Territoriali dell’Istat mostrano che la quota percentuale delle spese per personale della Pubblica Amministrazione, in tutte le sue forme di governo, è pari in media (1996-2010) al 14% del totale Italia per la regione Lazio e al 12% della regione Lombardia.37Giordano R. “I differenziali salariali tra i settori pubblico e privato in Italia”, Mezzogiorno e Politiche Regionali (2009) Banca d’Italia.

-5

-4

-3

-2

-1

0

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2

3

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5

1998

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2000

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2003

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2008

2009

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2011

2012

E

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

Figura 33: Andamento tendenziale reddito disponibile – valori percentuali

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

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56

Di conseguenza la crescita del risparmio che caratterizza le regioni meridionali appare imputabile alla dinamica deludente dei consumi ed avvalora l’ipotesi che più che dimostrazione di miglioramento della condizione economica sia in realtà il segnale di un’incapacità di confermare precedenti livelli di spesa. Le famiglie meridionali prima e ancor più ora in conseguenza della profonda recessione in atto mostrano comportamenti di consumo in parte differenti da quelli delle altre aree (Figura 35).

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

22,9 22,4

19,6

15,1

19,5

23,3 22,7

19,4

13,8

19,2

1997-2007 2008-2012E

Figura 34: Media consumo pro capite – dati in euro migliaia

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

-10

-8

-6

-4

-2

0

2

4

6

8

10

12

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

E

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

Figura 35: Andamento tendenziale consumo – valori per-centuali

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

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57

Questi comportamenti risultano confermati anche dai dati del consumo pro capite ripartiti su scala regionale; la fotografia intertemporale (Figura 36) prova che le regioni meridionali si mantengono su livelli di consumo inferiori rispetto alla media nazionale sia per quanto riguarda la rilevazione del 1997 sia del 2011. Le analisi contenute in recenti pubblicazioni38 sottolineano come tra il 2000 e il 2010 le famiglie meridionali abbiano destinato una quota sempre maggiore della spesa mensile a consumi incomprimibili come ad esempio quelli alimentari e quelli legati ad utenze domestiche ed energia, a fronte di una contrazione in altre voci di spesa rinviabili o relative a beni non necessari e al tempo libero. La propensione al consumo delle famiglie meridionali potrebbe essere stata influenzata da diversi fattori tra cui la percezione di una maggiore incertezza sulle prospettive future che potrebbe aver alimentato forme di accumulo a scopo precauzionale. In altri termini aspettative pessimistiche sul futuro potrebbero portare le famiglie meridionali a spendere meno di quanto vorrebbero.

38 Cinti E., Neri S., “I consumi nella grande crisi: le tendenze regionali recenti” XXXIII Conferenza italiana di scienze regionali, Prometeia, 2012.

13038.91 - 15268.4215268.42 - 17636.9617636.96 - 18125.5518125.55 - 22713.05

12059.66 - 14178.3814178.38 - 19019.6519019.65 - 22392.2522392.25 - 24509.93

Figura 36: Consumo pro capite su base regionale, prezzi reali: 1997 (sinistra) vs 2011 (destra) - dati in euro

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

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3.2 LA RICCHEZZA FINANZIARIA A LIVELLO TERRITORIALE Completata l’analisi del risparmio e delle dinamiche che ne determinano la formazione, il presente paragrafo si concentra sugli stock di ricchezza finanziaria, sulla loro evoluzione, sulla loro composizione nella prospettiva territoriale. La ricchezza finanziaria rimane concentrata in Italia nelle regioni del Nord, che detengono una quota del totale stabilmente superiore al sessanta per cento (Figura 37). Anche guardando ai dati su base pro capite (il calcolo è effettuato considerando solo la popolazione di età superiore ai diciotto anni) la realtà fotografata è analoga; le regioni del Nord raccolgono un valore della ricchezza complessiva superiore rispetto al dato medio nazionale (Figura 38), mentre ben al di sotto si colloca il Mezzogiorno. Questo aspetto consente di comprendere in maniera più profonda anche i comportamenti di consumo dei quali si è diffusamente parlato nel paragrafo precedente. Il maggiore stock di ricchezza accumulato nelle regioni settentrionali rappresenta di fatto una forma di integrazione delle diverse forme del reddito da lavoro e contribuisce a mantenere più stabile il livello di consumi anche in momenti meno favorevoli del ciclo economico. La spiegazione di un arresto nell’accumulo di ricchezza risiede da un lato nella minore capacità di risparmio registrata soprattutto nelle aree del Centro Nord e dall’altro in un aspetto, non meno importante, legato al cosiddetto “effetto performance”, vale a dire quello dipendente dall’andamento dei prodotti di cui si compone la ricchezza finanziaria stessa. Proprio la composizione della ricchezza finanziaria consente di analizzare un aspetto interessante legato al modo in cui le diverse aree del nostro paese decidono di impiegare il risparmio.

1500 1428 1448

831 808 778 788

654 660 649 657

695 701698 704

1479

2009 2010 2011 2012E

Sud e Isole Centro Nord Est Nord Ovest

35543659 3669 3597Figura 37: Ripartizione della ricchezza per macroaree – valori in euro miliardi

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

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59

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

111,2

83,3

65,9

41,1

73,0

105,4

79,8

64,5

40,8

70,464,9

41,1

71,0

106,3

80

2010 2011 2012E

Figura 38: Ricchezza pro capite calcolata su la popolazione maggiore dei 18 anni – valori in euro migliaia

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

A tal proposito nella Figura 39 abbiamo riportato la variazione percentuale della ricchezza finanziaria riferita al triennio 2010-2012 ripartita come di consueto per le diverse macroaree; in particolare il trend di ricchezza viene scomposto nelle sue due componenti, l’effetto flusso, legato all’andamento dei risparmi destinati dalle famiglie alle attività finanziarie e l’effetto performance, che come detto in precedenza, è connesso all’andamento delle attività sottostanti la ricchezza. Guardando al dato aggregato nazionale nell’anno in corso la ricchezza dovrebbe mostrare un progresso dell’1,2%, in buona parte (0,8% effetto performance) giustificato dall’andamento dei mercati; tuttavia questo incremento risulta ancora insufficiente a recuperare il livello pre-crisi. Inoltre i dati aperti su base territoriale (Figura 39) mostrano in maniera evidente che le oscillazioni della ricchezza risultano molto più marcate nelle regioni del Nord rispetto a quanto invece avvenga in quelle del Sud. Ed è proprio l’effetto performance quello che amplifica tali variazioni, offrendo quindi un ulteriore spunto di analisi sulla composizione dei portafogli di ricchezza.

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60

Figura 39: Tendenziale della ricchezza finanziaria e sue componenti – valori percentualiFonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

-0,6

-5,9

1,02,0

1,1

0,3

E210211020102

1,4 - 4, 8 1,3

-4,6 -5,1

0,91,8 1,4

0,4

E210211020102

- 2,8 - 3,7 1,3

Nord Ovest Nord Est

Centro Sud e Isole

-0,6

-2,7

0,61,4 1,20,5

E210211020102

0,8 - 1,5 1,1

-0,1 -1,2

0,21,1 0,8 0,6

E210211020102

nuovo flusso di ricchezza finanziaria performance dei mercati

1,0 - 0,4 0,8

#Trend ricchezza = + #

-0,6

-5,9

1,02,0

1,1

0,3

E210211020102

1,4 - 4, 8 1,3

-0,6

-5,9

1,02,0

1,1

0,3

E210211020102

1,4 - 4, 8 1,3

-0,6

-5,9

1,02,0

1,1

0,3

E210211020102

1,4 - 4, 8 1,3

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61

Infatti l’aspetto più interessante che emerge dall’analisi è la forte propensione che il Sud manifesta per investimenti legati alla liquidità; come si vede nella Figura 40 oltre il cinquanta per cento della ricchezza viene detenuta in depositi sia bancari che postali. Anche guardando ai dati ripartiti su base regionale (Figura 41), il quadro che ne risulta è perfettamente coerente con quella dell’area nel suo complesso. Ne risulta un’esposizione di portafoglio complessiva, orientata verso strumenti finanziari semplici, con un profilo di rischio contenuto ma conseguentemente anche poco remunerativi. Se infatti una strategia di questo tipo, ha consentito di proteggere meglio la ricchezza, soprattutto nelle turbolenze dei mercati finanziari dell’ultimo biennio, non è detto che essa rappresenti sempre la scelta ottimale. Infatti il maggiore peso di strumenti professionali di gestione del risparmio (come i fondi d’investimento o le riserve tecniche delle polizze assicurative), presenti principalmente nei portafogli dei risparmiatori del Nord Ovest, dovrebbe garantire un rendimento del capitale più adeguato su un orizzonte di tempo di medio lungo periodo. Un’interpretazione delle scelte d’investimento delle famiglie del Mezzogiorno è contenuta in un contributo elaborato dalla Banca d’Italia39. Lo studio in questione spiega che la gestione di un portafoglio di attività rischiose richiede un maggiore utilizzo delle informazioni rilevanti su quelle attività (costi di transazione, rendimenti delle attività e loro volatilità). La possibilità di utilizzare maggiore informazione finanziaria e di saperla correttamente interpretare può contribuire ad ampliare il livello di partecipazione al mercato delle attività rischiose; di qui sembra emergere per i risparmiatori del Sud una maggiore necessità di cultura finanziaria. Inoltre un’altra linea d’indagine contenuta nello studio si è concentrata sul ruolo dei rischi non diversificabili (i cosiddetti background risk), ovvero quei rischi tipicamente non assicurabili per i quali è presumibile che al loro aumentare le famiglie reagiscano riducendo o posticipando il proprio investimento in attività rischiose. Tra le fonti di rischio un ruolo centrale è da attribuirsi all’incertezza sui futuri redditi da lavoro e la gestione di un’attività imprenditoriale. Differenze in questi fattori, e in particolare nella probabilità di perdere il posto di lavoro, nei rischi connessi con un’attività imprenditoriale, possono contribuire a spiegare le disparità territoriali nell’allocazione della ricchezza delle famiglie che si riscontrano nei dati.

39 Leva L., “Le scelte finanziarie delle famiglie nelle macro aree territoriali italiane: la decisione di investire in attività finanziarie rischiose“ in Mezzogiorno e Politiche Regionali, Seminari e convegni, Workshops and Conferences, Banca d’Italia, 2009.

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

257 172 177 217823

6637

55

148

306296 144

129

118

688170

66

47

366148 102

69

52

371

363 181107

69719

101 42 32 29 20448 25 22 24 119

84

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Attività liquide - BANCHE Attività liquide - POSTE Assicurazioni e fondi pensioneTitoli di Stato Obbligazioni Societarie* Azioni e partecipazioniFondi Comuni Altro

*Il 99% della voce Obbligazioni Societarie è composta da obbligazioni emesse da banche

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

Figura 40: Ripartizione della ric-chezza per macroaree – valori in euro miliardi, scala sinistra composi-zione percentuale

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

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62

21.1 - 27.327.3 - 38.738.7 - 51.751.7 - 65.6

Figura 41: Ripartizione regionale delle attività liquide su totale attività finanziarie – valori percentuali

Fonte: Elaborazioni UniCredit/Pioneer su dati Prometeia

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APPENDICE METODOLOGICA ALL’ANALISI TERRITORIALEA CURA DI PROMETEIA

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1. La stima del risparmio a livello territoriale A livello regionale Istat diffonde gli aggregati che concorrono a formare il reddito disponibile delle famiglie residenti, mentre non sono disponibili dati ufficiali sul risparmio delle famiglie, in quanto Istat non fornisce la regionalizzazione del conto di utilizzazione del reddito, nel quale si ripartisce il reddito disponibile tra consumi e risparmio. La contabilità regionale, infatti, registra solo i consumi sul territorio economico, mentre per rendere omogeneo il confronto con il reddito e arrivare, quindi, alla determinazione del risparmio, è necessario procedere ad una stima dei consumi dei residenti a livello regionale.Per passare dai consumi sul territorio economico a quelli dei residenti è necessario stimare dunque:- i flussi di spesa dei residenti al di fuori della regione e- i flussi di spesa dei non residenti nella regione.Una componente significativa di tali flussi è costituita dalle spese per turismo, per i quali si dispone di informazioni, mentre un peso particolarmente contenuto (specialmente se l’analisi non si spinge oltre il livello regionale) riveste la componente dei pendolari per motivi di studio o di lavoro sui quali, peraltro, non sono reperibili dati aggiornati.Come si vedrà più in dettaglio nelle pagine che seguono, una prima stima della spesa per consumi delle famiglie residenti si ottiene attraverso la determinazione dei consumi turistici; a questa stima iniziale se ne affianca un’altra, ottenuta regionalizzando la spesa per consumi delle famiglie residenti registrata nella contabilità nazionale sulla base dell’indagine sui consumi delle famiglie svolta da Istat.

1.1 I consumi turistici: le principali fonti di informazione La principale e più completa fonte d’informazione sul turismo risiederebbe nel Conto Satellite del Turismo (CST d’ora in poi), strumento in grado di collegare dati monetari (consumo, produzione e valore aggiunto) con dati fisici (arrivi, presenze, ecc.) e di effettuare una misurazione quantitativa del settore turistico in termini, ad esempio, di PIL e valore aggiunto turistici. Il primo CST per l’Italia relativo all’anno 2010 è stato diffuso da Istat lo scorso luglio.Un’altra fonte d’informazione è l’indagine censuaria Movimento dei clienti negli esercizi ricettivi di Istat, che rileva arrivi, presenze e permanenza media negli esercizi ricettivi fino al dettaglio provinciale e consente (per il periodo 2006-2010) di realizzare una matrice origine/destinazione (O/D d’ora in poi) di arrivi e presenze per regione di provenienza e di destinazione.L’indagine campionaria Viaggi e Vacanze, sempre di Istat, ha l’obiettivo di quantificare e analizzare i flussi turistici dei residenti in Italia, sia all’interno del Paese che all’estero, oltre che di fornire informazioni circa le modalità di effettuazione dei viaggi e le caratteristiche socio-demografiche dei turisti. Disponendo dei microdati dell’indagine è possibile costruire una matrice O/D che analoga alla precedente, ma caratterizzata da un set informativo più ampio in quanto:- tiene conto anche dei pernottamenti in abitazioni di proprietà, presso parenti e/o amici,- non limitandosi alle sole presenze registrate negli esercizi ricettivi offre anche una stima del sommerso,- copre un arco temporale più ampio.Una fonte che, a differenza delle due precedenti, offre indicazioni anche sulla spesa turistica e non solo sui flussi è rappresentata dall’indagine campionaria sul turismo internazionale della Banca d’Italia. L’indagine è condotta su un campione dei principali punti di frontiera italiani e riguarda sia i viaggiatori stranieri che quelli italiani. Mediante l’indagine è possibile quantificare da un lato i flussi di turisti italiani all’estero per regione (e provincia) di residenza e le relative spese, dall’altro i flussi di turisti stranieri per regione (e provincia) italiana di destinazione e le relative spese.

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Una stima dei consumi turistici si trova anche nel Rapporto sul Turismo italiano, che contiene indicazioni sulla spesa turistica nelle regioni italiane (spesa degli stranieri, spesa all’estero, spesa nella regione di residenza, spesa degli altri italiani, spesa nelle altre regioni), ma che negli ultimi anni è stato pubblicato in maniera discontinua.

1.2 I consumi turistici: le principali criticità Le fonti informative sinteticamente descritte nel paragrafo precedente non consentono di disporre direttamente di una serie completa di dati sui consumi turistici complessivi sul territorio regionale. Com’è stato evidenziato, l’indagine sul turismo internazionale offre indicazioni sulla spesa turistica degli stranieri in Italia e su quella degli italiani che viaggiano all’estero, ma com’è logico per la natura stessa dell’indagine, non contiene informazioni sulla spesa turistica degli italiani in Italia. Le difficoltà connesse alla stima di tale voce di spesa sono ben note agli esperti del settore. In un recente lavoro della Banca d’Italia40, ad esempio, si effettua una stima della spesa turistica degli italiani in Italia. I risultati ottenuti sono poi confrontati con stime provenienti da altre fonti (Istat, Eurostat, Rapporto sul turismo italiano, Ont-Isnart). Il raffronto41 evidenzia differenze talvolta notevoli e di non facile spiegazione, non essendo disponibile in molti casi la descrizione dettagliata della metodologia seguita.Una stima dei consumi turistici degli Italiani in Italia può essere ottenuta ipotizzando che la spesa media giornaliera di un turista straniero in una determinata regione italiana (di fonte Banca d’Italia) sia uguale alla spesa sostenuta da un turista italiano nella medesima regione. Tale ipotesi si espone senz’altro alla critica di omogeneizzare comportamenti di spesa spesso differenti secondo vari profili (scelta della tipologia di alloggio, mezzo di trasporto utilizzato, solo per citarne alcuni), ma del resto appare la scelta più neutrale di fronte all’impossibilità di reperire informazioni sufficienti per delineare un modello di spesa specifico per italiani e stranieri. Un tentativo di discriminare i comportamenti di spesa degli uni e degli altri si trova nel già citato lavoro della Banca d’Italia (cfr. sopra) in cui all’ipotesi base che la spesa dei turisti italiani effettuata in un’area sia analoga a quella sostenuta dagli stranieri nella stessa area viene applicato un fattore di correzione per tenere conto del fatto che la quota di stranieri che utilizza strutture ricettive di gamma più elevata è superiore a quella degli italiani. La scelta di questo elemento come unico fattore correttivo della spesa, pur motivato dalla mancanza di informazioni statistiche su altri fattori di differenziazione, rischia di trascurare altri aspetti che concorrono a distinguere i consumi turistici di italiani e stranieri.

1.3 La stima della spesa di consumo delle famiglie residenti nelle regioni italiane L’approccio seguito nella stima ricalca in parte quello proposto da IRPET42. Tuttavia da quest’ultimo si differenzia, sia per alcune scelte operative (non specificate nella breve descrizione della metodologia seguita da IRPET), sia nella costruzione della banca dati.

40 Alivernini A. Una valutazione delle spese turistiche fra il Centro Nord e il Mezzogiorno (1998-2008), in Banca d’Italia (2011) L’integrazione economica tra il Mezzogiorno e il Centro Nord.41 Cfr. Alivernini A. Una valutazione delle spese turistiche fra il Centro Nord e il Mezzogiorno (1998-2008), in Banca d’Italia (2011) L’integrazione economica tra il Mezzogiorno e il Centro Nord pag 20942 Rosignoli S. (2009) Impatto effettivo e potenziale dei consumi turistici sull’economia delle regioni italiane, XXX Conferenza scientifica dell’Associazione Italiana di Scienze Regionali.

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1.3.1 I consumi turistici Nel lavoro di IRPET si costruisce in primo luogo una matrice O/D dei flussi turistici regionali sulla base dell’indagine Istat sui movimenti negli esercizi ricettivi e dell’indagine Banca d’Italia sul turismo internazionale. Tale matrice viene poi corretta con l’indagine Istat Viaggi e Vacanze per ripartizione italiana di provenienza e regione di destinazione per tener conto delle presenze turistiche non ufficiali.Disponendo tuttavia dei microdati dell’indagine Viaggi e Vacanze, si ritiene opportuno costruire la matrice O/D delle presenze turistiche a livello regionale direttamente sulla base delle informazioni contenute in quest’ultima indagine.Tenuto conto delle carenze informative di cui si è già detto, viene accettata l’ipotesi che la spesa media giornaliera di un turista straniero in una determinata regione italiana sia uguale alla spesa sostenuta da un turista italiano nella medesima regione. Pertanto moltiplicando ciascuna casella della matrice dei flussi turistici per la spesa turistica media giornaliera si ottiene la matrice O/D della spesa turistica a livello regionale. Tale matrice ha come totale di riga i consumi turistici che i residenti di una determinata regione italiana effettuano nella regione stessa, nelle altre regioni e all’estero, mentre il totale colonna individua i consumi turistici effettuati in una determinata regione dai residenti e dai non residenti (sia che provengano da altre regioni italiane che dall’estero).

1.3.2 Una prima stima della spesa per consumi delle famiglie residenti

Per ottenere una prima stima dei consumi complessivi dei residenti è necessario includere nella matrice O/D della spesa turistica descritta nel paragrafo precedente i consumi non turistici dei residenti43.Dalla matrice O/D della spesa turistica si passa a quella della spesa per consumi complessivi aggiungendo i consumi non turistici dei residenti a ciascun elemento posto sulla diagonale principale. Sommando per riga gli elementi della matrice così modificata si ottiene una prima stima dei consumi delle famiglie residenti, calcolati aggregando i consumi (turistici e non) nella propria regione di residenza e quelli effettuati nelle altre regioni italiane e all’estero.

1.3.3 La correzione della prima stima

Tenendo conto delle lacune informative di cui si è detto e dell’assenza di una metodologia di riferimento dettagliata sulla stima della spesa turistica degli italiani sembra opportuno limare i risultati ottenuti con la metodologia descritta nei paragrafi 3.1 e 3.2 sulla base di altre fonti informative. A tal proposito l’indagine campionaria sui consumi delle famiglie (Istat) analizza i comportamenti di spesa delle famiglie residenti, monitorando per ciascuna regione i consumi delle famiglie per capitolo di spesa. Sulla base dei risultati dell’indagine si può effettuare una regionalizzazione della spesa per consumi delle famiglie residenti registrata dalla contabilità nazionale44.

43La stima dei consumi non turistici dei residenti si ottiene sottraendo dai consumi sul territorio economico (di fonte Istat, contabilità regionale) il totale di colonna della matrice O/D della spesa turistica.44Per correggere i risultati contenuti nella matrice O/D risultante dalla prima stima, si esegue un bilanciamento bi-proporzionale della matrice stessa imponendo ai totali riga il vincolo che scaturisce dalla regionalizzazione dei dati di contabilità nazionale e ai totali di colonna di quadrare con la spesa per consumi sul territorio che deriva dalla contabilità regionale di Istat. In questo modo si ottiene il duplice obiettivo di verificare la coerenza fra le diverse fonti utilizzate nella costruzione della matrice e di affinare la stima della spesa per consumi effettuata dai residenti in una determinata regione all’interno della regione, in ciascuna delle altre regioni italiane e all’estero.

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1.4 La formazione del risparmio a livello regionale

Una volta stimati i consumi delle famiglie per regione di residenza, questi ultimi vengono sottratti al reddito disponibile per determinare il risparmio a livello regionale45. A partire dal 1997 fino all’ultimo anno per il quale è disponibile l’indagine sui consumi delle famiglie, la stima del risparmio viene effettuata con la metodologia descritta nel paragrafo precedente e stimando con il modello multi- regionale di Prometeia46 i dati di contabilità Istat qualora non siano ancora stati diffusi. A partire dall’anno per il quale l’indagine sui consumi delle famiglie non è disponibile, la stima del risparmio viene realizzata sulla base dalla matrice O/D dei flussi di spesa e, per lo scenario a breve termine, tenendo conto dell’evoluzione dei consumi regionali prevista dal modello multi- regionale (cfr. nota 45) e, a livello nazionale, dell’andamento di crediti e debiti della bilancia turistica dell’Italia di fonte Associazione Prometeia.Per ciò che concerne i principali risultati dell’analisi, ossia il significativo aumento (fino al 2009) del risparmio pro capite da parte di alcune regioni meridionali rispetto al più deludente andamento registrato da quelle settentrionali sono opportune alcune precisazioni di seguito specificate.• La differenza di comportamento tra Nord e Sud d’Italia non è riconducibile ad una diversa incidenza del sommerso tra le due aree. In questo lavoro, infatti, la stima del risparmio si basa sui conti economici di Istat in cui è già compresa la stima del sommerso economico47: “L’Istat elabora correntemente le stime del PIL e dell’occupazione attribuibili alla parte di economia non osservata costituita dal sommerso economico. Quest’ultimo deriva dall’attività di produzione di beni e servizi che, pur essendo legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno della frode fiscale e contributiva. Tale componente è già compresa nella stima del PIL e negli aggregati economici diffusi dall’Istat sia a livello nazionale sia territoriale”48.• La crescita del risparmio nel Mezzogiorno deriva principalmente dalla maggiore propensione a ridimensionare i consumi, tendenza che è andata accentuandosi con l’avvento della crisi. Sui fattori che hanno influenzato tali scelte di consumo si possono avanzare ipotesi, relative ad esempio ad aspettative pessimistiche, condizionate da una più difficile situazione economica.• L’aumento del risparmio, infine, non implica necessariamente che le famiglie meridionali stiano colmando il gap che le separa da quelle residenti in altre aree del paese in termini di ricchezza. Tale stock, infatti, trae origine da diverse fonti: il risparmio, ma anche i trasferimenti di ricchezza, come donazioni ed eredità e le variazioni di valore dei beni posseduti. Pertanto, più che tradursi in un accumulo di ricchezza il risparmio del Mezzogiorno potrebbe essere dettato, piuttosto, dallo sforzo di arginarne l’erosione.

45Per ottenere il risparmio regionale, dal reddito disponibile, che nella definizione di Istat include oltre alle famiglie anche le Istituzioni Sociali Private, è stata sottratta anche la spesa per consumi di queste ultime registrata dalla contabilità regionale e che rappresenta una voce di spesa estremamente contenuta (a livello nazionale circa lo 0,5% dei consumi finali). Le stime del risparmio regionale sono ottenute sottraendo al reddito disponibile i consumi finali, senza tener conto della voce “Rettifica per variazione dei diritti netti delle famiglie sulle riserve dei fondi pensione”, voce che è diffusa da Istat solo a livello nazionale.46Si tratta del modello utilizzato nell’ambito del servizio Scenari per le economie locali di Prometeia. 47È bene precisare che il sommerso economico non comprende le attività illegali, ossia quelle attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibite dalla legge, sia quelle attività che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati (ad esempio, l’aborto eseguito da medici non autorizzati).48Istat (2010), Dossier. L’economia sommersa: stime nazionali e regionali, Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica Enrico Giovannini presso la Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, Roma, 22 luglio 2010.

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2. La stima della ricchezza a livello territoriale

A livello nazionale la Banca d’Italia rende disponibili gli aggregati storici (stock e flussi) di ricchezza finanziaria delle famiglie residenti49, mentre Prometeia costruisce uno scenario previsivo su stock e flussi di tale ricchezza.A livello territoriale invece sono disponibili dalle pubblicazioni ”L’economia delle regioni italiane” e dai singoli bollettini economici regionali sempre di Banca d’Italia, i valori storici per la ricchezza finanziaria complessiva a livello locale e per alcune sue sottovoci. Le componenti mancanti a livello territoriale sono stimate attraverso delle tecniche matematico-statistiche e la ricostruzione storica consente l’applicazione di modelli econometrici di tipo Panel necessari poi per la determinazione dello scenario previsivo territoriale.Le voci territoriali così ricostruite sono raccordate agli aggregati nazionali che compongono la ricchezza finanziaria in modo da realizzare uno scenario regionale coerente con lo scenario macroeconomico di Prometeia.La Figura 42 mostra una sintesi delle componenti degli 8 principali aggregati della ricchezza finanziaria delle famiglie presenti nei conti finanziari ufficiali e la ricostruzione di queste voci secondo il modello di Prometeia.

49 Supplemento al Bollettino Statistico, Conti finanziari, Tavola TDHEA000, Banca d’Italia.

68

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obbl

igaz

ioni

ba

ncar

ie

stima PrometeiaObbligazioni bancarie

circolante e depositi bancari (biglietti, monete, depositi a vista, altri depositi presso IFM e Amministrazioni Centrali, depositi a vista verso Amministra Centrale circolante, depositi resto del mondo)

attiv

ità li

quid

e ba

ncar

ie

depositi bancari (eleborazioni su dati BdI), per il circolante si ipotizza che il comportamento tra i residenti delle 20 regioni sia lo stesso che si riscontra per il possesso di depositi.

attiv

ità li

quid

e po

stal

i

depositi postali (buoni, libretti e c/c) depositi postali: buoni, libretti e c/c (stima Prometeia)

aietemorP ailatI'd acnaB

titol

i

BOT, CCT, BTP e altri titoli m/l pubblici, Obbligazioni Private, Titoli (a Breve e m/l) resto del mondo, Titoli a breve termine emessi da altri residenti. Il dato dei Titoli include le GPT

stima dei titoli a partire dal dato dell'amministrata a valori di mercato del Bollettino Statistico, stima delle GPT

quot

e fo

ndi

com

uni

Quote di fondi italiani, fondi resto del mondo. Le quote fondi comuni includono le GPF stima Prometeia

azio

ni e

pa

rtec

ipaz

ioni

stima delle azioni a partire dal dato dell'amministrata a valori di mercato del Bollettino Statistico

azioni italiane, azioni resto del mondo

riser

ve

tecn

iche

al

tro

riserve tecniche, fondi pensioni e TFR riserve tecniche (stima Prometeia)

aietemorP amitsivissap e ivitta itnoc irtla

Figura 42: Raccordo voci componenti attività finanziaria delle famiglie

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