Orson Scott Card - Mauri Spagnol...# 1977, 1985, 1991 by Orson Scott Card # 2013 Casa Editrice Nord...

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O r s o n S c o t t C a r d

E N D E R ’ S G A M EI L G I O C O D I E N D E R

R o m a n z o

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Titolo originaleEnder’s Game

Traduzione diGianluigi Zuddas

ISBN 978-88-429-2427-2

Per essere informato sulle novitadel Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita:

www.illibraio.itwww.infinitestorie.it

In copertina: Motion Picure ArtworkTM & # 2013 Summit Entertainment, LLC.All rights reserved

Grafica: Elisa Zampaglione

# 1977, 1985, 1991 by Orson Scott Card# 2013 Casa Editrice Nord s.u.r.l.Gruppo editoriale Mauri Spagnol

Prima edizione digitale 2013Quest’opera e protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

E vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

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ENDER’S GAME

IL G IOCO D I ENDER

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Dedicato a Jeoffrey, che mi fa ricordare come i bambini possano essere molto giovani e molto vecchi

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Graff

«La sorella è il nostro punto più debole. Le vuol bene davvero.»«Lo so. Lei può bloccarci. Il ragazzo non vuole lasciarla.»«Perciò cosa intendete fare?»«Lo persuaderemo che desidera venire con noi più di quanto

voglia restare con lei.»«In che modo pensa di riuscirci?»«Gli mentirò.»«E se non funziona?»«Allora gli dirò la verità. Ci è concesso farlo, in caso di emer-

genza. Abbiamo linee di condotta pronte per ogni circostanza, losa.»

All’ora di colazione Ender non aveva un briciolo d’appeti-to. Stava cominciando a chiedersi come sarebbe andata, ascuola. Affrontare Stilson dopo la zuffa del giorno prima.Cosa avrebbero fatto gli altri della sua banda? Probabil-mente nulla, ma di ciò non poteva essere sicuro. Scoprì chenon aveva voglia di andarci.

«Ender, non hai ancora mangiato niente», disse la ma-dre.

Peter entrò in cucina. «Buongiorno, Ender. Grazie peraver lasciato tutti gli asciugamani bagnati, nella doccia.»

«Per te, questo e altro», mormorò lui.«Andrew, devi mangiare.»Ender tese un braccio e le porse la parte interna del go-

mito, in un gesto che diceva: allora nutritemi attraversoun ago.

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«Molto divertente», sospirò la madre. «Non c’è biso-gno che io mi preoccupi per voi, vero? È bello avere figlitanto geniali.»

«Sono i tuoi geni che ci hanno fatti così geniali, mam-ma», osservò Peter. «Per fortuna i geni di papà quel giornoerano in ferie.»

«Ti ho sentito», borbottò il padre, senza alzare gli occhidal videogiornale acceso sul piano del tavolo.

«In caso contrario la mia battuta sarebbe andata spreca-ta.»

Il tavolo emise una nota musicale. Qualcuno era allaporta.

«Chi può essere?» chiese la donna al marito.Lui sfiorò un pulsante della tastiera e sul video della

cucina apparve la figura di un uomo, a mezzo busto. In-dossava un’uniforme, l’unica riconoscibile all’istante intutto il pianeta: quella della Flotta Internazionale.

«Credevo che con questa faccenda avessimo chiuso»,disse il padre.

Peter tacque, limitandosi a versare il latte nella sua cio-tola di cereali. Ma Ender si era irrigidito. Forse oggi non do-vrò andare a scuola, dopotutto.

Il padre batté il codice d’apertura per la porta e si alzòda tavola. «Me ne occupo io. Voi fate colazione.»

Gli altri annuirono, ma nessuno cominciò a mangiare.Qualche minuto dopo l’uomo riapparve sulla soglia e fececenno alla moglie di seguirlo in soggiorno.

«Sei nei guai fino al collo», commentò Peter. «Hannoscoperto quello che hai fatto a Stilson, e adesso sarai de-portato sulla Cintura degli Asteroidi.»

«Ho soltanto sei anni, idiota. Sono troppo giovane.»«Sei un Terzo, caccola. Voi non avete diritti civili.»Valentine fece il suo ingresso in cucina, insonnolita e

con i capelli scompigliati intorno al volto. «Dove sonomamma e papà? Oggi mi sento troppo male per andare ascuola.»

«Un altro esame orale, eh?»

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«Oh, taci, Peter», disse Valentine.«Dovresti essere tranquilla e riderci sopra», continuò

Peter. «Potrebbe andarti peggio.»«Non vedo come.»«Potrebbe essere un esame anale.»«Davvero spiritoso, proprio. Dove sono mamma e

papà?»«Stanno parlando con un tipo dell’FI.»D’impulso lei guardò Ender. D’altronde ormai da anni

si aspettavano che qualcuno venisse a dir loro che Enderaveva superato l’esame, che c’era bisogno di lui.

«Certo, è giusto che tu pensi a lui», convenne Peter.«Ma potrebbe essere per me, lo sai. Loro potrebbero avercapito che a conti fatti io resto il migliore.» Il suo tono eraaspro, come sempre quando si sentiva ferito.

La porta fu aperta. «Ender, meglio che tu venga un mo-mento qui», disse il padre.

«Condoglianze, Peter», sorrise Valentine.L’uomo si accigliò. «Ragazzi, non è cosa su cui scherza-

re.»Ender lo seguì in soggiorno. L’ufficiale dell’FI si alzò

nel vederli entrare, ma non porse la mano al bambino.La madre si stava tormentando nervosamente l’anello

nuziale. «Andrew, non avrei mai creduto che tu facessi ilprepotente in una zuffa», mormorò.

«Il figlio degli Stilson è all’ospedale», disse il padre.«L’hai fatta grossa, Ender. Non si può definire ‘cavallere-sco’ prendere qualcuno a calci in faccia.»

Ender scosse il capo. Si era aspettato che per la faccen-da di Stilson venisse qualcuno della scuola, non certo unufficiale dell’FI. La cosa era ancora più seria di quantoavesse creduto. E tuttavia non capiva che altro di gravepotesse aver fatto.

«Hai una spiegazione per il tuo comportamento, giova-notto?» domandò l’ufficiale.

Ender scosse ancora il capo. Non sapeva cosa dire, e te-meva che spiegarsi lo avrebbe fatto apparire ancor più

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spregevole di quello che i fatti nudi e crudi rivelavano. Ac-cetterò la punizione, qualunque sia, si disse. Anche questa pas-serà.

«Siamo propensi a considerare le circostanze attenuan-ti», dichiarò l’ufficiale. «Ma è mio dovere sottolineare lagravità del caso. Colpirlo al ventre, e ripetutamente in fac-cia e al corpo mentre era a terra... c’è da pensare che tu ciprovassi gusto.»

«Io no, signore», sussurrò Ender.«Allora perché l’hai fatto?»«Con lui c’era la sua banda», disse Ender.«E con ciò? Questo giustifica tutto?»«No, signore.»«Dimmi perché hai continuato a colpirlo. Avevi già

vinto.»«Buttandolo a terra avevo vinto solo il primo scontro.

Io volevo vincere subito anche i prossimi, definitivamen-te, così mi avrebbero lasciato in pace.» Ender non poté evi-tarlo, era troppo spaventato, troppo vergognoso di quelloche aveva fatto: malgrado ogni tentativo di controllarsiscoppiò ancora una volta in lacrime. Piangere non gli pia-ceva, e lo faceva di rado, ma ecco che adesso in meno diventiquattr’ore gli succedeva per la terza volta. E la cosapiù vergognosa era piangere così davanti ai suoi genitori ea quello sconosciuto in divisa. «Voi mi avete levato il mo-nitor», ansimò. «Dovevo cavarmela da solo, sì o no?»

«Ender, avresti dovuto chiedere aiuto a un adulto...»cominciò a dire suo padre.

Ma l’ufficiale si alzò e attraversò il soggiorno, quindiporse la mano al bambino. «Il mio nome è Graff, Ender.Colonnello Hyrum Graff. Sono il direttore dei corsi di ad-destramento alla Scuola di Guerra, nella Cintura. Sono ve-nuto per invitarti a iscriverti alla Scuola.»

Dopo tutto quello che era accaduto. «Ma il monitor...»«Il passo conclusivo nel tuo esame consisteva nel vede-

re come avresti reagito una volta privo del monitor. Nonsempre facciamo a questo modo, ma nel tuo caso...»

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«E ho superato l’esame?»La madre lo fissava, incredula. «Dopo aver mandato il

ragazzo Stilson all’ospedale? Che avreste fatto se Andrewl’avesse ucciso? Gli avreste dato una medaglia?»

«Non è ciò che ha fatto, Mrs Wiggin. È il perché.» Il co-lonnello Graff le porse una cartelletta piena di fogli. «Quic’è l’autorizzazione al prelievo legalizzato: vostro figlio èstato ritenuto idoneo dal Dipartimento Selezioni dell’FI.Naturalmente abbiamo già il vostro consenso legale, fir-mato prima che vi venisse data l’autorizzazione a concepi-re il bambino. Fin da allora, se giudicato idoneo, lui appar-tiene a noi.»

Mr Wiggin non riuscì a nascondere un tremito nella vo-ce. «Non è stato bello da parte vostra lasciarci credere chenon lo volevate e poi venire qui a prelevarlo.»

«E poteva risparmiarsi quella sceneggiata sul ragazzoStilson», disse la moglie.

«Non era una sceneggiata, Mrs Wiggin. Finché non sa-pevamo in base a quale motivazione ha agito Ender, comepotevamo esser certi che non fosse un altro... be’, doveva-mo conoscere la ragione del suo comportamento. O alme-no, quella che Ender ritiene sia la ragione.»

«Deve proprio chiamarlo anche lei con quello stupidonomignolo?» La donna cominciò a piangere.

«Chiedo scusa, Mrs Wiggin, ma è così che lui si fa chia-mare.»

«E adesso che intende fare, colonnello Graff?» do-mandò Mr Wiggin. «Se ne va e lo porta via con sé, così suidue piedi?»

«Questo dipende», rispose Graff.«Da cosa?»«Dal fatto che Ender voglia venire o no.»Fra le lacrime della donna ricomparve un sorriso. «Oh,

ma allora l’accettazione è volontaria, dopotutto! È così?»«Per quanto riguarda voi, avete fatto la vostra scelta

prima che il bambino fosse concepito. Ma Ender, personal-mente, non ha fatto ancora nessuna scelta. L’arruolamento

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obbligatorio fornisce ottima carne da cannone, però allaScuola Ufficiali possono accedere soltanto i volontari.»

«Scuola Ufficiali?» chiese Ender. Il tono della sua vocefece ammutolire i genitori.

«Sì», rispose Graff. «La Scuola di Guerra addestra i fu-turi comandanti di astronave, i commodori di squadrigliae gli ammiragli di flotta.»

«Non gli faccia ballare questa carota davanti al naso»,sbottò con ira Mr Wiggin. «Quanti dei ragazzini entrati al-la Scuola di Guerra sono oggi al comando di un’astronave,eh?»

«Sfortunatamente, Mr Wiggin, questa è un’informazio-ne riservata. Ma posso dirle che nessuno dei nostri ragazziusciti dal primo anno di addestramento ha mai mancatodi ottenere un incarico come ufficiale. E nessuno ha maifatto servizio con grado inferiore a quello di capitano divascello su una nave interplanetaria. Perfino nei servizi aTerra nella Difesa Strategica del sistema solare gli ufficialiusciti dalla Scuola occupano posizioni di tutto rispetto.»

«Quanti riescono a superare il primo anno?» chiese En-der.

«Tutti quelli che vogliono farcela», rispose Graff.Io lo voglio, fu sul punto di dire Ender. Ma tenne a freno

la lingua. Ciò gli avrebbe risparmiato di tornare a scuola,però il pensiero gli sembrò stupido, perché quel problemasi sarebbe risolto comunque in pochi giorni. La cosa loavrebbe allontanato da Peter... quello era più importante,quello poteva significare la vita stessa. Ma avrebbe dovutolasciare mamma e papà, e soprattutto Valentine. E diven-tare un soldato. A Ender non piaceva combattere. Non glipiaceva farlo al modo di Peter, il forte contro il debole, ed’altronde neppure a modo suo, l’intelligente contro losciocco.

«Credo che ora Ender e io dovremmo discutere un po’in privato», riprese Graff.

«No», replicò il padre.«Non lo porterò via senza darvi la possibilità di parlare

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ancora con lui. Comunque non potete impedirmelo, siachiaro», affermò il colonnello.

Mr Wiggin fissò Graff in silenzio per qualche istante,poi si voltò e lasciò la stanza. La madre di Ender si fermò astringergli la mano. Subito dopo uscì e chiuse la porta.

«Ender», cominciò Graff, «se vieni con me non potraitornare qui per molto tempo. Alla Scuola di Guerra non cisono vacanze. E non sono ammesse le visite. Il corso com-pleto di addestramento durerà fino al tuo sedicesimocompleanno... e potrai godere del primo periodo di liberauscita, a certe condizioni, solo quando avrai dodici anni.Puoi credermi quando ti dico che in sei anni, in dieci anni,la gente cambia, Ender. Tua sorella Valentine sarà unadonna il giorno in cui potrai rivederla, se verrai con me.Sarete due sconosciuti. Tu le vorrai bene ugualmente, En-der, ma non la riconoscerai neppure. Come vedi, non ti stodicendo che sarà facile.»

«E mamma e papà?»«Io ti conosco, Ender. Assai spesso ho consultato le re-

gistrazioni su disco del tuo monitor. Non proverai nostal-gia per i tuoi genitori, non molto, e non a lungo. E neppureloro sentiranno per troppo tempo la tua mancanza.»

Malgrado ogni sforzo Ender si sentì salire le lacrimeagli occhi. Non volle alzare una mano ad asciugarsele, edistolse lo sguardo.

«Essi ti amano, Ender. Però devi capire quello che gli seicostato. Sai bene che provengono da famiglie religiose.Tuo padre è stato battezzato col nome di John Paul Wiec-zorek. Cattolico. Il settimo di nove fratelli.»

Nove figli. Era quasi incredibile. Criminale.«Be’, sì, la gente fa strane cose per la religione. Tu cono-

sci le sanzioni, Ender... a quei tempi non erano dure, maneppure lievi. Soltanto i primi due figli avevano diritto al-l’istruzione gratuita. E per ogni figlio in più si pagavanotasse maggiori. A sedici anni tuo padre si appellò alla Leg-ge sulle Famiglie Dissidenti per separarsi dalla sua fami-glia. Cambiò nome, rinunciò alla religione, e fece voto di

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non avere figli oltre i due ufficialmente consentiti. Era unacosa in cui credeva. Tutta la vergogna e le persecuzioni cheaveva dovuto sopportare da bambino... giurò che questonon sarebbe mai accaduto a un figlio suo. Capisci?»

«Lui non mi voleva.»«Be’, nessuno vuole davvero un Terzo. Non ci si può

aspettare che sia felice. Ma tua madre e tuo padre eranocasi speciali. Entrambi avevano rinunciato alla loro reli-gione (tua madre era una mormone), ma in realtà avevanodesideri un po’ ambigui. Sai che significa ‘ambigui’?»

«Desideravano due cose opposte.»«Si vergognano di provenire da famiglie dissidenti. E

cercano di nasconderlo, al punto che tua madre rifiuta diammettere con chiunque di essere nativa dello Utah, per-ché nessuno sospetti la verità. Tuo padre rinnega i suoi an-tenati polacchi, perché la Polonia è una nazione dissidentee sotto sanzioni internazionali a causa di questo. Così vedibene che avere un Terzo, anche in obbedienza a espliciteistruzioni del governo, distrusse tutto ciò che avevano cer-cato di costruire.»

«Questo lo so.»«Ma la cosa è ancora più complicata. Tuo padre ha vo-

luto darti il nome di uno dei santi del calendario. Anzi ègiunto al punto di battezzarvi lui stesso tutti e tre quandofoste portati a casa dopo la nascita. E tua madre non erad’accordo. Ogni volta litigarono, e non perché lei fossecontraria al sacramento, ma perché non voleva che fostebattezzati come cattolici. Nessuno dei due ha veramenteabbandonato la sua religione. Ti guardano e vedono in teun motivo d’orgoglio, perché sono riusciti ad aggirare lalegge e ad avere un Terzo. Ma tu sei anche un emblemadella loro vigliaccheria, perché non osano andare ancorapiù in là e praticare la dissidenza che nel loro intimo conti-nuano a ritenere giusta. E sei anche il simbolo della lorovergogna sociale, perché la tua stessa presenza interferiscecon gli sforzi che fanno per essere integrati nella normalesocietà non dissidente.»

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«Lei come fa a sapere tutto questo?»«Abbiamo monitorato tuo fratello e tua sorella, Ender.

E ti stupirebbe sapere quant’è sensibile quello strumento.Eravamo in collegamento diretto col tuo cervello. Sentiva-mo tutto quello che ti giungeva alle orecchie, che tu stessiascoltando con attenzione o no. E... che tu lo capissi o no,noi lo capivamo.»

«Così i miei genitori mi amano o non mi amano?»«Ti amano. La questione è se ti vogliono qui. La tua

presenza in questa casa è un elemento di costante disgre-gazione. Una fonte di tensione. Capisci?»

«Non sono io quello che causa tensione.»«Non è quello che fai, Ender. È il fatto che esisti. Tuo

fratello ti odia perché sei la prova vivente che lui non è sta-to abbastanza bravo. I tuoi genitori vedono in te tutto ilpassato da cui hanno cercato di fuggire.»

«Valentine mi vuole bene.»«Con tutto il cuore, lealmente, appassionatamente. Lei

ti è devota e tu l’adori. Te l’ho detto che non è cosa facile.»«Come sarà, lassù?»«Lavorerai duro. Studierai come qui a scuola, ma avrai

un’istruzione ferrea in matematica e nei computer. In sto-ria militare. In strategia e tattica. E, soprattutto, la Sala diBattaglia.»

«Che cos’è?»«Simulazione bellica. Tutti gli studenti sono inquadrati

in piccoli eserciti. Ogni giorno combattono battaglie simu-late. Nessuno resta ferito, ci sono soltanto vincitori e per-denti. Ognuno comincia come soldato semplice. I ragazzipiù anziani saranno i tuoi ufficiali, col dovere di adde-strarti e guidarti in battaglia. Ma c’è di più. È come gioca-re a Scorpioni e Astronauti... salvo che avrai armi funzio-nanti, e compagni che combatteranno al tuo fianco, perchéil vostro futuro e quello dell’intera razza umana dipendo-no dalle vostre capacità di affrontare la guerra. Ma è chia-ro che con la tua mentalità, e con lo svantaggio d’essere unTerzo, non avresti comunque un’adolescenza normale.»

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«Sono tutti maschi?»«Ci sono anche delle femmine. Ma poche riescono a

passare i test del reclutamento. Troppi secoli di evoluzionele ostacolano ancora. Nessuna di loro potrà essere per teuna seconda Valentine, stanne certo. Comunque troverailà dei fratelli, Ender.»

«Come Peter?»«Peter non è stato accettato, Ender, e per la stessa ragio-

ne per cui si fa odiare da te.»«Io non lo odio. Solo che...»«Ne hai paura. Be’, Peter non è del tutto malvagio, lo

sai. Lo giudicammo il migliore che avevamo visto fino aquel momento. Subito dopo chiedemmo ai tuoi genitori diavere una figlia femmina (l’avrebbero voluta comunque)sperando che Valentine sarebbe stata un Peter dall’animopiù mite. Ma risultò troppo mite. Così chiedemmo loro diavere te.»

«Contando che fossi una via di mezzo tra Peter e Valen-tine?»

«Se tu avessi ereditato i cromosomi giusti.»«E li ho?»«Sì, per quanto possiamo dire. I tuoi test sono risultati

molto buoni, Ender. Però essi non ci dicono tutto. In realtàanzi, quando si viene ai fatti, ci dicono assai poco. Ma so-no meglio di niente.» Graff si chinò e prese le mani di En-der tra le sue. «Ender Wiggin, se si trattasse soltanto discegliere per te il futuro migliore ti direi di restare qui a ca-sa tua. Ti direi di amare i tuoi, di crescere, di farti una vita.Ci sono cose peggiori che essere un Terzo o avere un fra-tello maggiore che non riesce a decidere se essere una per-sona o un cane rabbioso. La Scuola di Guerra è una di que-ste cose peggiori. Però abbiamo bisogno di ragazzini comete. Può darsi che oggi gli Scorpioni ti sembrino una speciedi gioco, Ender, ma il loro ultimo attacco è andato male-dettamente vicino a spazzar via la razza umana. Ci aveva-no soverchiato, sia come numero sia come mezzi e arma-menti. La sola cosa che ci salvò fu la fortuna, perché pro-

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prio allora era in servizio il più brillante dei nostri genera-li. Chiamala fortuna, chiamala provvidenza divina, chia-malo un dannatissimo caso, noi avevamo MazerRackham.

«Ma adesso un Rackham non ce l’abbiamo, Ender. Si èdato fondo alle risorse di tutto il pianeta, e abbiamo unaflotta al cui confronto quella che ci hanno mandato addos-so l’ultima volta è una frotta di barchette a galla in una va-sca da bagno. Ci sono anche alcune nuove armi. Ma que-sto potrebbe non essere abbastanza, perché negli ot-tant’anni trascorsi dall’ultima guerra loro hanno avuto lostesso tempo per potenziarsi. Ci serve il meglio che pos-siamo avere, e ci serve adesso. Non so se tu voglia mettertia lavorare con noi o no, Ender, e non so dirti se ce la farai aresistere allo sforzo. Forse non otterrai altro che rovinarela tua vita, forse mi odierai per essere venuto oggi a casatua. Ma se c’è una possibilità che arruolandoti nella Flottatu possa contribuire alla sopravvivenza dell’umanità nellalotta contro gli Scorpioni... allora è mio dovere chiederti difarlo, e di venire con me.»

Gli occhi di Ender non mettevano più a fuoco il colon-nello Graff. L’uomo gli appariva stranamente lontano, ecosì piccolo che ebbe l’impressione di poterlo raccoglierecon un paio di pinzette e metterselo in tasca. Lasciare tuttociò che aveva lì: andare in un posto duro e spiacevole, sen-za Valentine, senza mamma e papà.

E poi ripensò ai film sugli Scorpioni che tutti avevanooccasione di vedere almeno una volta all’anno. La deva-stazione della Cina. La battaglia degli Asteroidi. E MazerRackham che con le sue brillanti manovre tattiche distrug-geva una flotta nemica due volte più grossa della sua e conuna doppia potenza di fuoco, mandando all’attacco quelleastronavi che sembravano così fragili e inermi. Comebambini che si battessero contro adulti grossi e minacciosi.E avevano vinto.

«Ho paura», disse Ender sottovoce, «ma credo cheverrò con lei.»

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«Non devi avere dubbi.»Il bambino scosse il capo. «È per questo che sono nato,

non è così? Se non venissi, che scopo avrebbe la mia vita?»«Questo non è ancora un buon motivo», osservò Graff.«Non voglio venire con lei», dichiarò Ender, «ma verrò

lo stesso.»Graff annuì. «Puoi ancora cambiare idea. Fino al mo-

mento in cui salirai sulla mia auto, puoi cambiarla. Ma daallora in poi sarai sottoposto all’autorità della Flotta Inter-nazionale. Lo capisci questo?»

Ender annuì.«Va bene. Dillo ai tuoi.»La madre pianse. Il padre lo abbracciò forte. Peter gli

strinse la mano e disse: «Tu, piccolo fortunato stronzettopresuntuoso». Valentine lo baciò e gli lasciò le sue lacrimesulle guance.

Non c’erano valigie da fare. Nessun oggetto personaleda portare con sé. «La Scuola provvederà a darti tuttoquello che ti serve, dalle uniformi al rancio quotidiano. Eper giocare... avrai soltanto le simulazioni belliche.»

«Arrivederci», disse Ender alla sua famiglia. Mise unamano in quella del colonnello Graff e al suo fianco uscìdalla porta.

«Fai fuori un paio di Scorpioni per me!» gli gridò Peter.«Non dimenticare che ti voglio bene, Andrew!» disse la

madre.«Ti scriveremo!» promise il padre.E mentre saliva sull’auto che li attendeva nel corridoio

esterno sentì la voce di Valentine rotta dai singhiozzi: «Ri-torna da me! Ritorna, io ti vorrò bene per sempre!»

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Lancio

«Con Ender bisognerà fare un delicato gioco di equilibrio. Lo sidovrà isolare abbastanza da farlo restare creativo, altrimentiadotterà sistemi già in uso qui e lo avremo perduto. E nello stes-so tempo dovremo assicurarci che sviluppi forti doti di coman-do.»

«Non è così semplice. Mazer Rackham poteva tenere in pu-gno la sua piccola flotta e portarla all’obiettivo. Ma quandoscoppierà il prossimo conflitto le complicazioni saranno eccessi-ve, anche per un piccolo genio. Troppe astronavi, troppi equipag-gi. Dovrà avere il guanto di velluto con i subordinati.»

«Oh, Dio! Dovrà essere un genio e anche un simpaticone?»«Niente affatto. Un simpaticone ci lascerebbe fare a pezzi da-

gli Scorpioni.»«Così lei pensa di isolarlo.»«Ne farò un paria rispetto agli altri ragazzi, ancor prima che

arrivino alla Scuola.»«Non ho dubbi che ci riuscirà. Anzi ci conto. Ho esaminato il

nastro di ciò che ha fatto al ragazzo Stilson. Quello che lei por-terà qui non è precisamente un bambinetto sdolcinato.»

«È qui che lei sbaglia. È più dolce di quello che sembra. Manon si preoccupi, a questo sapremo metter rimedio alla svelta.»

«Qualche volta penso che lei si diverta a spezzare la schiena aquesti piccoli geni.»

«Si tratta di un’arte, nella quale sono ormai molto esperto.Ma in quanto a divertirmi… Be’, forse. In seguito, quando ri-mettono insieme i loro pezzi e si accorgono che tanto basta a farlistar meglio.»

«Lei è un mostro.»

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«Grazie. Significa che posso sperare in un aumento di pa-ga?»

«Al massimo una medaglia. I nostri fondi non sono illimita-ti.»

Li avevano avvertiti che l’assenza di peso poteva sfasare lepercezioni fisiche, in specie nei bambini, il cui senso del-l’orientamento non dispone ancora di parametri stabili.Ma Ender cominciò a sentirsi disorientato già prima di ve-dere la navetta che li avrebbe portati lontano dalla gravitàdella Terra.

Con lui c’erano altri diciannove ragazzini. Furono fattiscendere dal bus ed entrarono nell’ascensore, chiacchie-rando e ridendo, avidi di mostrarsi chi impavido e chi giàesperto in materia. Ender mantenne un indifferente silen-zio. Aveva notato che Graff e gli altri ufficiali li stavano os-servando. Analizzando. Tutto ciò che facciamo significa qual-cosa, si rese conto Ender. Loro ridono. Io non rido.

Si trastullò con l’idea di comportarsi come gli altri ra-gazzini, ma non riuscì a trovare nessuna battuta da fare.Nessuna che fosse divertente, almeno. Da qualunque cosaavessero origine le loro risate, Ender non avrebbe mai po-tuto associarsi a quella reazione. Aveva paura, e la pauralo rendeva serio e rigido.

Gli avevano fatto indossare un’uniforme, una tuta d’unsolo pezzo, e l’assenza della cintura intorno alla vita lometteva un po’ a disagio. In quell’indumento largo e ri-gonfio si sentiva nudo. C’erano delle telecamere puntatesu di loro. Le portavano dei militari, tenendosele appol-laiate su una spalla come animaletti attenti e curiosi. Gliuomini si spostavano con cautela felina per riprendere leimmagini lentamente e senza sbalzi. Anche Ender si sco-prì a muoversi lento e senza sbalzi.

Immaginò di apparire alla TV, in un’intervista. L’opera-tore puntava un microfono direzionale su di lui: come sisente, Mr Wiggin? Abbastanza bene, grazie, appena un

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po’ affamato. Affamato? Eh, sì, per affrontare il lancio bi-sogna essere a stomaco vuoto da venti ore. Questo è inte-ressante, scommetto che i nostri spettatori non lo sapeva-no. Be’, sì, siamo piuttosto affamati tutti quanti. E mentresi lasciava intervistare, nell’immaginazione, Ender cam-minava verso la navetta, con l’uomo della TV al suo fiancoche procedeva di traverso per puntargli addosso la teleca-mera da spalla. Per la prima volta provò il bisogno di unir-si a quelle risatine. Sulle labbra gli comparve un sorriso. Inquel momento i ragazzini che aveva accanto stavano ri-dendo anch’essi, per un’altra ragione. Penseranno che sorri-do delle loro battute, rifletté Ender. Ma è per qualcosa di moltopiù divertente, invece.

«Avviatevi per la scala uno alla volta», disse un ufficia-le. «Non appena sarete nel passaggio tra le poltroncine, se-dete sulla più vicina che trovate vuota. Non ci sono posti asedere accanto al finestrino.»

Era una battuta. Gli altri ragazzini risero.Ender era in fondo alla fila, ma non proprio l’ultimo, e

le telecamere continuavano a riprenderli. Valentine mi po-trà vedere mentre scompaio dentro la navetta? Pensò che forseavrebbe potuto voltarsi a salutarla con la mano, oppurecorrere da uno degli operatori e chiedere: posso dire addioa Valentine? Non sapeva però che se l’avesse fatto il nastrosarebbe stato censurato, perché ufficialmente si suppone-va che i giovani diretti alla Scuola di Guerra fossero eroicie dignitosi. Non era previsto che sentissero nostalgia diqualcuno. Ender era all’oscuro di quel tipo di censura.Tuttavia sapeva che correre a una delle telecamere sarebbestato uno sbaglio.

Attraversò il ponte metallico e il portello della navetta,e notò che la paratia alla sua destra aveva la moquette co-me un pavimento. Lì si cominciava a esser disorientati sulserio. Nello stesso momento in cui si accorse che quellaparete era un pavimento ebbe la strana sensazione di cam-minare di traverso su un muro. Posò le mani sulla scalettae vide che la superficie verticale dietro di essa era coperta

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di moquette. Mi sto arrampicando per il pavimento. Mano do-po mano, passo dopo passo.

Per gioco immaginò poi di arrampicarsi giù per la para-tia. Subito le sue percezioni mentali si capovolsero, a di-spetto di quello che diceva la forza di gravità. Non appenaseduto si aggrappò tenacemente ai braccioli per non scivo-lare in alto, mentre il suo peso lo teneva incollato alloschienale.

Gli altri ragazzini si erano accalcati alla rinfusa sullepoltroncine e facevano baccano chiamandosi l’un l’altro.Ender esaminò con attenzione le cinghie di sicurezza ecercò di capire come si agganciavano alla cintura, alle co-sce e intorno alle spalle. Per un attimo ebbe l’impressionedi essere salito su una giostra che li avrebbe fatti girare in-torno alla Terra, con la forza centrifuga a inchiodarli saldisui sedili. Ma non ci sarà peso lassù, pensò. Cadremo via daquesto pianeta.

Ancora non si rendeva pienamente conto di quellarealtà. Soltanto più tardi, riesaminando quei momenti, sisarebbe accorto di aver pensato fin da allora alla Terra co-me a un pianeta, uno qualsiasi, non in particolare il suopianeta.

«Oh, hai già visto come si mettono le cinture», disseGraff. Si era fermato accanto a lui, sulla scaletta.

«Viene con noi?» domandò Ender.«Di solito non torno a Terra per i reclutamenti. Io sono

di servizio nello spazio, come amministratore della Scuo-la. Una specie di direttore. Ma stavolta mi hanno detto cheavrei dovuto scendere, altrimenti mi avrebbero licenzia-to.» Curvò le labbra in un sorriso.

Ender gli sorrise di rimando. Graff lo faceva sentire asuo agio. Graff era buono. Ed era il direttore della Scuoladi Guerra. Ender si rilassò un poco. Lassù avrebbe avutoun amico.

Agli altri ragazzini, quelli che non avevano fatto comeEnder, venne agganciata la cintura di sicurezza. Poi attese-ro un’ora, mentre uno schermo TV sulla paratia anteriore

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dello scompartimento illustrava il funzionamento dell’a-stronave, la storia dei voli spaziali, e quello che avrebbepotuto essere il loro futuro sulle grandi navi dell’FI. Unacosa abbastanza noiosa. Ender aveva già visto filmati diquel genere.

Ma non era mai stato legato a una poltroncina sagoma-ta nell’interno di una navetta. Quasi a testa in giù mentrestavano per scaraventarlo via dalla Terra.

Il lancio non fu duro. Soltanto un po’ spiacevole. Ci fu-rono degli scossoni, poi brevi momenti d’ansia al pensieroche quello avrebbe potuto essere il primo disastro aereonella storia dell’FI. Dai filmati non aveva mai capito esat-tamente quali sensazioni si potevano provare stando di-stesi sulla schiena, con la morbida imbottitura che cedevasotto la pressione.

Poi essa parve invertirsi, e lui fu davvero appeso allecinghie in una giostra, in totale assenza di gravità.

Ma dal momento che si era già preparato a orientarsisu nuovi parametri non fu sorpreso nel vedere Graff tor-nare giù per la scaletta a testa in avanti, come se adesso siarrampicasse verso il retro della navetta. Né si meravigliòquando l’uomo agganciò un piede a uno scalino e si diedeuna spinta con le mani, mettendosi in posizione eretta co-me se fosse in piedi tra i sedili di un normale aeroplano.

Per alcuni l’inversione del senso dell’equilibrio fu trop-po. Un ragazzino rantolò, portandosi le mani alla bocca.Finalmente Ender capì perché avevano proibito loro dimangiare per venti ore prima del lancio. Vomitare a gra-vità zero sarebbe stato poco divertente per tutti.

Ma a Ender i movimenti di Graff in assenza di pesoparvero divertenti. Si spinse più oltre con la fantasia, pro-vando a immaginare che l’uomo camminasse a testa in giùsugli scalini e quale andatura avrebbe potuto adottareprocedendo sul soffitto e sulle paratie come una mosca. Lagravità può attirare da qualsiasi parte, pensò. Dovunque io im-magini di farla girare. Potrei far ruotare Graff a testa in giù e luinon si accorgerebbe neppure d’esser stato capovolto.

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«Cos’è che ti sembra tanto divertente, Wiggin?»La voce di Graff era dura e seccata. Cos’ho fatto di sba-

gliato? pensò Ender. Che mi sia sfuggita una risatina?«Ti ho fatto una domanda, soldato!» abbaiò Graff.Ah, sì. Quello era veramente l’inizio dell’addestramen-

to alla vita militare. Ender aveva visto alla TV sceneggiatisull’arrivo delle reclute nei campi, e sapeva che i graduatile accoglievano latrando come cani rabbiosi prima che tut-ti, soldati e ufficiali, diventassero buoni compagni d’arme.

«Sì, signore», rispose Ender.«Allora rispondi alla domanda!»«Stavo pensando che lei potrebbe andare in giro capo-

volto. E ciò mi è sembrato comico.»Ma sembrava soltanto stupido adesso, con Graff che lo

squadrava freddamente. «Suppongo che a te debba sem-brare comico. C’è qualcun altro che trova la cosa comica,qui dentro?»

Si levarono mormorii di diniego.«Nessuno, eh? E perché?» Graff girò su di loro un’oc-

chiata sprezzante. «Un’imbarcata di teste di rapa, ecco co-sa ci hanno affibbiato in questo lancio. Piccoli ritardatimentali. Uno solo di voi ha avuto l’intelligenza di capireche a gravità zero si può stare dritti in qualunque sensouno si metta. Riuscite a farvelo entrare in testa, reclute?»

I ragazzini annuirono.«No che non ci riuscite, invece. È chiaro che non ci riu-

scite. Non solo stupidi, dunque, ma anche bugiardi. Diquesta imbarcata c’è un unico ragazzo col cervello in gra-do di funzionare, ed è Ender Wiggin. Guardatelo bene,piccoli sciocchi. Lui avrà un posto di comando quando voisarete ancora a ramazzare i pavimenti, lassù. E questo per-ché lui sa come bisogna pensare in gravità zero, mentrevoi riuscite soltanto a vomitare l’anima.»

Non era esattamente così che andava negli sceneggiatidella TV. A regola, Graff avrebbe dovuto infierire su di lui,non metterlo su un piedistallo di fronte agli altri. All’ini-zio, a regola, lui e Graff avrebbero dovuto avere rapporti

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bruschi, così più tardi avrebbe potuto instaurarsi tra loroquel rude e solido cameratismo.

«Molti di voi finiranno congelati nello spazio. Comin-ciate a considerare questo pensiero fin d’ora, bambocci.Molti di voi non faranno altro che spaccarsi la faccia in Sa-la di Battaglia, perché non sapranno adattare il cervello al-le tecniche di pilotaggio spaziale. Molti di voi non valgononeppure la spesa di trasportarli alla Scuola di Guerra, per-ché non hanno i requisiti necessari. Alcuni di voi potreb-bero averli. Pochi di voi potrebbero servire a qualcosa perla razza umana. Ma non ci scommetterei un soldo. Su unosoltanto sono disposto a puntare.»

D’un tratto Graff fece una piroetta all’indietro e afferròla scala con le mani, proiettando i piedi in direzione oppo-sta. Fino a un attimo prima gli scalini erano stati il suo pa-vimento; con quella mossa parve dichiarare che pavimen-to e soffitto erano la stessa cosa, dando ragione a Ender.

«Sembra che tu sia ammanigliato bene, qui», disse il ra-gazzino seduto davanti a lui.

Ender scosse il capo.«Ah, non vuoi abbassarti a parlare con me?»«Non gli ho chiesto io di dire quelle cose», mormorò

Ender.Qualcosa lo colpì dolorosamente alla nuca. Poi lo colpì

di nuovo. Dietro di lui ci furono alcune risatine. Il ragazzoseduto alle sue spalle doveva aver sganciato le cinture del-la poltroncina. Una manata sulla nuca gli scompigliò i ca-pelli. Smettetela, per favore, pensò Ender. Io non vi ho fattoniente.

Ancora un pugno nello stesso punto. I ragazzini ridac-chiarono. Graff si stava accorgendo di ciò? Non aveva in-tenzione di mettervi fine? Un altro pugno, più forte e sta-volta davvero doloroso.

Dov’era Graff?Poi capì come stavano le cose. Graff aveva intenzional-

mente provocato quello che stava accadendo. Era ancorpeggio delle soverchierie che si vedevano nei film. Quan-

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do un sergente percuote una recluta, gli altri solidarizzanocol malcapitato. Ma quando la elogia, gli altri la odiano.

«Ehi, mangiamerda», sussurrò una voce dietro di lui.Gli arrivò una manata. «Che ne dici di questo? Ehi, super-cervello, questo lo trovi comico?» Ancora un pugno nellanuca, così violento che Ender mandò un gemito soffocato.

Se Graff lo aveva messo apposta in quella situazione,allora non poteva aspettarsi l’aiuto di nessuno. Attese fin-ché non fu sul punto di ricevere un altro pugno. Adesso,pensò. E infatti il pugno arrivò. Gli fece male, ma si co-strinse a calcolare il ritmo dei colpi. Adesso. E in quel preci-so momento fu colpito. Stavolta ti tengo, si disse Ender.

Un attimo prima del colpo successivo Ender si voltò discatto, afferrò il polso del ragazzino con entrambe le manie gli abbassò violentemente il braccio.

In gravità normale la mossa avrebbe attirato l’altrocontro lo schienale del suo sedile, facendogli urtare il pet-to sullo spigolo. In assenza di peso il braccio funse da leva,il ragazzino fu sollevato dal suo posto e proiettato verso ilsoffitto. Ender non se l’era aspettato. Non aveva ancoracapito quanto fosse facile spostare una massa a gravità ze-ro. Il ragazzino volò obliquamente contro il soffitto, rim-balzò in basso addosso a un altro seduto nella poltroncina,e la spinta lo mandò a roteare avanti lungo il passaggiocentrale finché con un grido di dolore non urtò con forzanella paratia anteriore. Il suo braccio era piegato in modoanomalo quando rimbalzò ancora in alto.

La cosa era durata appena pochi secondi, ma Graff eragià sbucato dalla cabina di pilotaggio, in tempo per inter-cettare al volo il ragazzino. Con una smorfia lo spinse ver-so un altro ufficiale. «Braccio sinistro. Fratturato, direi», fuil suo commento. Pochi minuti dopo al ragazzino era giàstato iniettato un antidolorifico, e tenendolo sospeso amezz’aria l’ufficiale gli arrotolò un bendaggio rigido in-torno al braccio.

Ender si sentiva sgomento. Tutto ciò che aveva volutoera stato di fermare il braccio del ragazzino... no, no, ave-

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va voluto fargli male, e ci aveva messo tutta la sua forza.Non era stato nelle sue intenzioni dare il via a una scena diquel genere, e tuttavia il suo tormentatore si stava sorben-do esattamente quello che lui aveva voluto procurargli.L’assenza di gravità aveva giocato a suo sfavore, tutto lì. Iosono Peter. Sono proprio come lui, pensò Ender. E odiò sestesso.

Sulla soglia della cabina Graff si voltò. «Mi domandose non siate dei bambocci lenti di comprendonio. I vostricervellini non hanno ancora capito questo semplice fatto?Siete stati portati qui per diventare dei soldati. Forse nellevostre famiglie o a scuola eravate considerati dei duri, ma-gari perfino intelligenti. Ma noi scegliamo il meglio delmeglio, e questo è il solo genere di compagni che incontre-rete d’ora in avanti. Perciò, quando vi dico che Ender Wig-gin è il migliore di questo gruppo aprite le orecchie, testedure. Non prendetelo sottogamba. Alla Scuola di Guerradei pivelli della vostra età ci hanno già lasciato la pelle inpassato. Sono stato abbastanza chiaro?»

Per il resto del volo nessuno aprì bocca. Il ragazzino se-duto a fianco di Ender prestò scrupolosa attenzione a nonsfiorarlo neppure.

Io non sono un killer, disse Ender a se stesso più volte.Non sono Peter. Qualunque cosa lui dica, io non lo sono e nonvoglio esserlo. Mi sono soltanto difeso. Ho cercato di sopportare.E ho avuto pazienza. Non sono come lui ha detto.

Una voce dall’interfono li informò che la navetta era infase di avvicinamento alla Scuola. Occorsero venti minutiper la decelerazione e l’attracco. Ender si tirò avanti per lascaletta in coda al gruppo, e arrampicandosi nella direzio-ne che alla partenza era stata il basso ebbe l’impressioneche gli altri fossero quasi ansiosi di lasciarselo alle spalle.Al termine del corridoio flessibile che collegava la navettaalle strutture della Scuola c’era in attesa Graff.

«Hai fatto buon viaggio, Ender?» gli domandò.«Credevo che lei fosse mio amico.» A dispetto dei suoi

sforzi Ender sentì che gli tremava la voce.

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Graff parve sorpreso. «E come ti è venuta questa idea,Ender?»

«Perché lei...» Perché lei era stato buono con me, e onesto.«Lei non mi ha mai mentito.»

«E non voglio mentirti neppure adesso. Il mio compitonon è di essere tuo amico. È di formare quelli che dovran-no essere i migliori combattenti del mondo. I migliori del-la storia. A noi serve un Napoleone. Un Alessandro. Salvoche Napoleone alla fine fu sconfitto, e Alessandro morìgiovane dopo aver fiammeggiato come una meteora. Oavremmo bisogno di un Giulio Cesare, senonché egli di-venne un dittatore e per questo fu ucciso. Il mio compito èformare un individuo di questo tipo, e tutti gli uomini e ledonne di cui avrà bisogno per agire. E nel regolamentonon è scritto che per arrivarci io debba essere un amico pervoi ragazzini.»

«Lei li ha indotti a detestarmi.»«Sul serio? E tu che pensi di farci? Nasconderti in un

angoletto? O baciare il sedere a tutti quanti perché rico-mincino a volerti bene? Hai un solo modo perché smetta-no di odiarti: diventare così bravo che nessuno ti possaignorare. Io ho detto loro che sei il migliore. Adesso faraidannatamente bene a dimostrare che lo sei davvero.»

«E se non ci riuscissi?»«Peggio per te. Senti, Ender, non mi rende felice pensa-

re che tu abbia paura o ti senta solo. Ma là fuori ci sono gliScorpioni. Dieci miliardi, cento miliardi o, per quello chene sappiamo, un milione di miliardi. Forse con altrettanteastronavi. Con armi a noi del tutto sconosciute. E con laferma volontà di usarle per spazzarci via. Non è in gioco laTerra, Ender. Soltanto noi, soltanto la razza umana. Perquel che riguarda il pianeta noi potremmo anche scompa-rire, e lui andrebbe avanti verso il prossimo passo nell’e-voluzione della vita. Ma l’umanità non vuole estinguersi.Come specie, noi abbiamo il dovere e l’istinto della so-pravvivenza. Un istinto che si crea nelle avversità e nel lo-ro susseguirsi finché, come prodotto dello sforzo di gene-

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razioni, la razza non dà alla luce un genio. Quello che rie-sce a inventare la ruota, o la luce elettrica, o il volo. Quelloche costruisce una città, una nazione, un impero. Capisci ilsenso di questo?»

Ender rifletté che lo capiva, ma non era del tutto sicuro,così non disse niente.

«No, naturalmente no. Allora sarò più chiaro. Gli esseriumani hanno il diritto di essere liberi, salvo quando l’u-manità ha bisogno di loro. Forse l’umanità ha bisogno dite. Perché tu faccia qualcosa. Io penso che comunque ab-bia bisogno di me… per scoprire se quelli come te possonoservire. Potremmo ritrovarci entrambi a fare cose poco lo-devoli, Ender, ma se grazie a esse l’umanità riuscirà a so-pravvivere noi saremo stati dei buoni strumenti.»

«Soltanto questo? Nient’altro che strumenti?»«Individualmente gli esseri umani sono degli strumen-

ti, che altri hanno il diritto di usare per la sopravvivenzadella razza.»

«Questa è una bugia.»«No, è soltanto metà della verità. Dell’altra metà potrai

preoccuparti dopo che avremo vinto questa guerra.»«Potremmo essere distrutti prima che io diventi gran-

de», osservò Ender.«Spero che non accada», borbottò Graff. «Comunque,

stando qui a parlare con me, non fai i tuoi interessi. Gli al-tri penseranno che quel furbone di Ender Wiggin sta lec-cando i piedi a Graff. E, se corre voce che sei il pupillo deldirettore, stai certo che ti succederà qualche incidente.»

In altre parole, levati dai piedi e lasciami in pace. «Arrive-derci», disse Ender. Una mano dopo l’altra si spinse lungoil corridoio nella direzione in cui gli altri erano scomparsi.Graff lo seguì con lo sguardo.

Accanto a lui uno degli insegnanti disse: «È lui quellosu cui contiamo?»

«Lo sa Iddio», mormorò Graff. «Se non fosse lui, me-glio che Ender ce lo faccia capire al più presto.»

«Forse non è nessuno di loro», disse l’insegnante.

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«Forse. Ma se le cose stanno così, Anderson, vuol direche l’unico dio è quello degli Scorpioni. E puoi citare lemie parole.»

«Lo farò.»Per un poco i due rimasero in silenzio.«Anderson...»«Eh?»«Il ragazzo sbaglia. Io sono suo amico.»«Lo so.»«È intelligente. Te lo dico col cuore, ha del carattere.»«Ho letto i rapporti.»«Pensa a quello che gli stiamo facendo, Anderson.»L’altro lo fissò con aria di sfida. «Stiamo cercando di

farne il miglior comandante in campo della storia.»«Per poi gettare sulle sue spalle il destino del mondo.

Dovrei sperare che la persona che cerchiamo non sia lui,per il suo bene. E lo spero.»

«Consolati, magari gli Scorpioni ci faranno fuori tuttiprima ancora che dia gli esami.»

Graff sorrise. «Hai ragione. Sai una cosa? Le tue profe-zie sono ottime per tirar su di morale.»

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