Orsetti gommosi

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Racconto tratto dal libro cult di Claudia Porta.

Transcript of Orsetti gommosi

ORSETTI GOMMOSI

È TRATTO DA

SBRAMAMI

L’ESSENZIALE LIBRO DI CLAUDIA PORTA

L’AMELIE NOTHÓMB ITALIANA

© 2012 Claudia Porta Tutti i diritti riservati Edizioni La Gru via S. Caboto, 26 – 35136 Padova www.edizionilagru.com

© 2012 Edizioni La Gru Prima edizione: giugno 2012

ISBN: 978–88–97092–31–5 Illustrazione in copertina: Mariposa © Conrad Roset web: conradroset.com

CLAUDIA PORTA

ORSETTI GOMMOSI

CLAUDIA PORTA

ORSETTI GOMMOSI

Ogni riferimento a fatti cose e persone Esistenti è puramente casuale.

Nessun orsetto gommoso è stato maltrattato

durante la realizzazione di questo libro.

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Orsetti gommosi

Per concentrarsi nello studio ognuno ha i suoi metodi. O i

suoi vizi. I miei sono gli orsetti gommosi. Non riesco ad af-frontare nessun testo senza la mia scorta. Ne mangio a pac-chi, e nel frattempo memorizzo benissimo: tutto merito degli zuccheri.

Ho provato con altri tipi di caramelle, magari più sane, al-la frutta, ma non c’è stato verso.

Gli orsetti gommosi sono i migliori. Apro il libro di scienze e al contempo un pacchetto anco-

ra pieno. Lo sfrigolio della plastica sotto le mie dita è così rassicurante e mi riempie di aspettative. Più del trillo di av-viso di nuovi messaggi, più del sapere che ho un tetto sopra la testa e una famiglia che mi mantiene, accesso all’istru-zione scolastica superiore, a una rete idrica pubblica e a una connessione internet illimitata e senza costi aggiuntivi. E ci-bo edulcorato in abbondanza.

Ma nessun cibo potrà mai sostituire i miei amici orsetti gommosi che, uno a uno, scompaiono diligentemente nella mia bocca. Sono talmente abituata allo sciroppo di glucosio, allo zucchero e ai coloranti, che tutte le altre papille gustati-ve, al di fuori di quelle adibite a recepire tali gusti, si sono

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ormai atrofizzate. Ma non ne soffro particolarmente. È il prezzo da pagare se si vuole ottenere il massimo dei risultati, e io ce l’ho: sono una studentessa eccellente grazie alla mia iperfagia di caramelle zoomorfe rosse, verdi e gialle. Cambia il colore, forse in relazione a un vago collegamento con l’es-senza di base. Rosso fragola, verde menta, giallo limone? È solo un’ipotesi; non lo so.

Il sapore è identico, suggellato dalla colata di gelatina che prende una forma così magistralmente sagomata, a foggia d’orso in miniatura.

Li stringo tra indice e pollice nel punto che corrisponde alla pancia, oppure li sollevo a manciate che faccio scivolare direttamente in bocca. Una volta lì, posso farli attendere qualche minuto, con le mascelle perfettamente immobili, magari aumentando la pressione poco a poco, come si vede in quelle subdole camere segrete nei film di Indiana Jones; ebbene, la mia bocca è questo grande trabocchetto e gli orset-ti le mie vittime, il mio tesoro.

Faccio per ingollare il primo, lo sollevo, ma quando porto la mano alla bocca questa è vuota, l’orsetto è sparito! Mi guardo in giro incredula, e poi noto un guizzo rosso dietro l’astuccio: «Guarda che ti ho visto, è inutile che scappi!»

Sollevo l’astuccio e lo vedo raggomitolato tutto tremante mentre urla con vocina stridula: «Non mangiare me! Non mangiare me!»

Nel frattempo non mi sono accorta che anche tutti gli altri orsetti sono fuggiti dal pacchetto e, saliti sulla mia testa, hanno iniziato a tirarmi con forza i capelli. Cerco di scacciar-li, ma la gelatina li rende più appiccicosi delle zecche.

«Smettetela! Ahia! Basta! Ahia! Non vi mangio, basta che la piantate!»

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Finalmente mollano la presa, e l’orsetto rosso tremante che avevo preso di mira sembra aver ritrovato un po’ di co-raggio. Si sono riuniti in gruppo e bisbigliano tra loro.

«Si può sapere cosa state complottando? Ehi! Dico a voi!» Uno dei rossi si stacca dagli altri e fa da portavoce: «Non

sapere se possiamo fidare di gigante, tu voler mangiare a noi.»

«Beh, siete degli orsetti gommosi e normalmente le per-sone come me vi mangiano senza problemi, anzi, con molta soddisfazione. Non vedo perché dovrei risparmiarvi. Ma al-lo stesso tempo è vero che non ho mai visto una tribù di or-setti gommosi parlanti, e mi piacerebbe saperne di più.»

Un orsetto verde prende parola: «Veniamo da isola lon-tana, siamo squadra esplorazione, ma ci siamo spinti fuori limite che carte indicano, finendo in paese di giganti che mangiano orsetti.»

«Così vorreste fare ritorno a casa?» «Sì, gigante. Se tu concedi questo, noi in cambio fare fa-

vori.» «Ma l’unico favore che posso chiedere a degli orsetti

gommosi come voi è potervi mangiare.» rispondo con molta sincerità.

Gli animaletti di gelatina si ritirano spaventati e ripren-dono a bisbigliare in una lingua incomprensibile. Poi final-mente l’orsetto che aveva parlato per primo si fa avanti: «Noi in cambio di libertà fare con te il sesso.»

Non riesco a trattenermi dal ridere, ma allo stesso tempo mi sento indignata; è possibile che anche degli ingenui e te-nerissimi orsetti gommosi mi prendano per una facile? Cerco di mantenere un tono serio e rispondo: «Ma davvero? E che cosa sapete del sesso voi orsetti?»

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«Abbiamo imparato a scuola usi dei giganti: il sesso è co-sa che tutti i giganti fare, più un gigante è capo più fa sesso, perché sesso piace a tutti giganti!»

Come dargli torto? Anche se la faccenda non è così sem-plice.

«Non solo i giganti fanno sesso, ma anche tutti gli altri animali che ci sono sulla Terra. Serve per riprodursi!»

Certo, non solo per riprodursi, vorrei aggiungere, ma non credo che potrebbero capire il concetto di orgasmo; già così mi guardano piuttosto perplessi. Chissà come fanno loro per procreare. Forse sono come quegli organismi animali che si riproducono per partenogenesi. Il mistero mi affascina.

«Cioè…» − aggiungo − «Il sesso serve per creare altri pic-coli giganti che quando crescono fanno a loro volta sesso e così la specie continua…»

Detta in questi termini la faccenda è molto inquietante. Se mai deciderò di avere un bambino, non sarà certo per con-tribuire al già sovraffollato genere umano! In più farò di tut-to per tenerlo lontano dalle caramelle gommose, specialmen-te gli orsetti, per evitare che incappi in situazioni difficili come questa. Comunque mi stanno ancora fissando e proba-bilmente si aspettano una risposta sulle loro condizioni di libertà insieme a un corso accelerato di sessualità dei giganti.

Decido così di metterli alla prova e inizio a spogliarmi. Fa un effetto strano denudarsi davanti a un gruppo di orsetti gommosi che ti fissano impazienti. Di solito non mi vergo-gno del mio corpo, anzi: so di essere una ragazza desiderabi-le, ma questa volta è diverso. Gli orsetti mi giudicano con parametri differenti da quelli umani e le mie dimensioni gli devono apparire quanto meno grottesche.

Avverto una sincera solidarietà con il signor Lemuel Gul-

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liver; peccato fossero fittizi i suoi lillipuziani, mentre a me sta per capitare sul serio di fare sesso con degli orsetti gom-mosi.

Mi sdraio sul letto e li invito a venire sopra di me e a dar-si da fare con quello che hanno imparato a scuola. Sembrano piuttosto intimiditi, forse non sanno da che parte iniziare, ma non è una buona ragione per starsene lì impalati a guar-darmi.

«Allora! Volete sbrigarvi? È stata vostra l’idea, vi ricordo. Se fosse per me a quest’ora vi avrei già mangiati tutti!»

Finalmente un orsetto giallo, che fino a quel momento era rimasto nascosto nel gruppo, si avvicina. Mi sale in faccia e intrufola la piccola testa in una narice.

«Che diavolo stai facendo?» Lo tiro fuori dal naso, lui mi guarda smarrito. «Questo non è fare sesso, stupido! Sei bocciato!» e me lo

mangio. Mastico di gusto a bocca aperta davanti agli altri or-setti, in modo che sia loro d’insegnamento. Ottengo l’effetto desiderato: mi guardano pietrificati dal terrore. Sto aspet-tando impaziente, quando finalmente uno dei rossi si avvi-cina, punta dritto al mio orecchio destro, e lì s’infila.

Lo estraggo con due dita, lo faccio dondolare per un po’ davanti alle mie fauci spalancate, finché non mi stufo dei suoi gridolini e lo ingoio. Non posso credere che siano così ignoranti! Tuttavia non demordono: ecco che un terzo, ver-de, partire in missione. Questa volta mira più in basso e va ad accoccolarsi nel mio ombelico pensando di aver raggiun-to lo scopo, ma si sbaglia di grosso, e adesso è diretto giù per il mio esofago. Gli orsetti guardano scandalizzati la fine del loro compagno, si radunano in una specie di assemblea e-stemporanea, e iniziano a discutere animatamente sul da far-

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si. È evidente che gli manca qualche nozione fondamentale. Un temerario rosso si stacca dal gruppo; noto i gesti dei

compagni che cercano di dissuaderlo, ma lui avanza deciso, sorpassa l’ombelico e si spinge più giù, fino alla mia fichetta, sbigottita nel trovarsi dentro un simile esserino.

Devo ammettere però che l’orsetto ci sa fare, e visto che mostro di gradire parecchio, anche gli altri si dirigono verso quella zona. Si mettono in fila indiana ed entrano uno a uno. Li sento sgomitare per farsi spazio; sono maldestri, ma pieni di buona volontà. Hanno piccole lingue con cui si danno un gran da fare. Mi sembra di avere un formicaio nella fica. Da piccola le formiche mi divertivo a bruciarle, a costringerle in trabocchetti ingegnosi che le avrebbero condotte a una morte quasi certa. I bambini di oggi hanno perso il gusto di giocare all’aperto; il contatto con la natura è importante per una cre-scita sana.

Gli orsetti mi stanno trapanando la cervice, li sento muo-versi dentro come tanti piccoli dildo che formano un unico enorme, polposo, polimorfo membro millepiedi. Ormai sono bagnatissima, sto per venire, quando all’improvviso sento bussare alla porta.

Merda! Mi nascondo sotto le coperte, e dico: «Avanti.» Mia madre entra e mi chiede cosa ci faccio a letto, se mi

sento poco bene, e le rispondo che sono solo un po’ stanca. Mi avvisa che è pronta la cena. Le dico che adesso non ho fame, forse mangerò più tardi. Ci rimane male, ma per for-tuna se ne va. Finalmente posso fare uscire gli orsetti dai miei genitali che nel frattempo erano stati colonizzati in lun-go e in largo. Noto che tre sono rimasti in disparte, forse per-ché timidi. Ma non ci si può sottrarre dai giochi! Li afferro e

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me li mangio perché devono capire che con me non si scher-za. Poi ripulisco gli altri che sono fradici delle mie perdite candide.

Uno dei gialli a un certo punto mi chiede: «È questo il sesso?»

Io rispondo bruscamente: «Sì… è questo.» Raggruppo tutti gli orsetti, li chiudo dentro l’astuccio sul-

la mia scrivania e vado a cena. Anche se non ho per niente fame mangio il vitello tonnato che ha fatto mia mamma. Mi chiede se è buono, io dico sempre di sì per farla contenta. In realtà non sento nessun sapore perché, come ho detto, le mie papille – a parte quelle sensibili al dolce – sono KO.

Il giorno dopo, nell’interrogazione di scienze sono meno brillante del solito; ne attribuisco la colpa al ridotto apporto di orsetti nella mia dieta. Tornata a casa decido che li man-gerò una volta per tutte, in barba ai patti sessuali, ma quan-do apro l’astuccio mi accolgono saltellanti, esclamando in co-ro: «Sesso! Sesso! Sesso! Sesso! Sesso!»

Sono così eccitati che non faccio in tempo a spogliarmi che mi sono già saltati addosso, intrufolandosi sotto i vestiti, facendomi il solletico, lacerandomi le mutandine.

A tempo di record li sento dentro che spingono per con-quistarsi un posto in pole position.

«Ehi! Fate piano lì sotto!» Ma loro non sembrano darmi retta più di tanto.

Non avrei mai creduto che degli orsetti gommosi potesse-ro rivelarsi amanti così sfrenati!

Nessun organo maschile mi ha mai fatto godere così tanto quanto i loro gelatinosi corpicini frementi.

C’è un potenziale nascosto in oggetti, cose e persone con cui tutti i giorni intratteniamo rapporti di congelata abitudi-

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ne; se solo riuscissimo ad aprire la porta che dà accesso alla delizia nascosta nel reale, il mondo sarebbe un paradiso in cui niente avrebbe più importanza del piacere condiviso. Chissà se lo scoprisse il mio ragazzo cosa direbbe. Di sicuro non sarebbe felice nel sapere di essere stato tradito con delle caramelle, ma penso che avrebbe solo da imparare a riguar-do.

Dopo che sono venuta li faccio sgomberare, però sento che qualcosa è rimasto dentro.

Vado in bagno ed estraggo con la pinzetta un orsetto che si è semi sciolto nella mia vagina, oltre a una testa e altri pezzi di arti che nella foga dell’orgia si sono staccati. Gli or-setti mutilati mi guardano imploranti, ma sono diventati perspicaci e sanno che da invalidi non mi serviranno a nien-te, così non ci penso due volte a mangiarmeli.

Del gruppo numeroso iniziale ne sono rimasti soltanto sette: quattro rossi, due gialli e l’ultimo verde. Sono i più se-lezionati schiavi sessuali che una donna possa desiderare; poi quando non li uso, li richiudo nell’astuccio dove stanno al sicuro e non possono scappare.

La routine continua così per diverse settimane in cui gli orsetti si mostrano sempre più abili e innovativi nel darmi piacere, man mano scoprirono un patrimonio erogeno, dis-seminato sul mio corpo, che fin ora nessun uomo ha mai sfruttato, né io conoscevo. Sono loro stessi a propormi cose nuove; un giorno mi hanno colto di sorpresa legandomi con delle sciarpe mani e piedi e poi come kamikaze si sono getta-ti su di me prendendo a fare stage diving nella mia fica come se fosse il sottopalco di un concerto black metal. Gli orsetti erano insieme dolci e brutali e questo mi faceva impazzire!

Ormai sono certi che non li mangerò; il gusto è un piacere

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troppo effimero per fare a cambio con l’immenso godimento che posso rinnovare ogni volta, e loro del resto non mi chie-dono più la libertà. Forse si sono perfino dimenticati della loro isola grazie al meraviglioso appagamento che trovano nel mio sesso i cui umori hanno forse le stesse proprietà o-blianti del fiume Lete. Io mi diverto a vedere le loro faccine terrorizzate mentre divoro pacchi dei loro consimili inani-mati, facendogli intendere che se solo mi disubbidissero fa-rebbero la stessa fine.

L’unico appunto negativo è il mio rendimento scolastico in calo a causa degli orsetti che con la loro lussuria mi pro-vocano fantasie zuccherine alquanto morbose.

Finché un giorno − dopo aver immaginato tutta la matti-na a scuola le diverse posizioni che mi sarebbe piaciuto pro-vare con i miei orsetti − tornata a casa apro il mio astuccio, e lo trovo vuoto! Dove possono essere andati? Non riesco a credere che mi abbiano abbandonata, così, senza un saluto.

Mi accorgo che mia sorella mi sta osservando dietro lo stipite della porta; con uno scatto vado da lei e la costringo a confessare. Mi racconta di aver aperto il mio astuccio perché stava cercando dei pennarelli colorati, ma ha visto gli orsetti e non ha resistito a mangiarseli. Le urlo contro di tutto, lei si mette a piangere, chiedo se non l’abbiano in qualche modo implorata di non divorarli, ma in lacrime dice di no, che era-no normalissimi orsetti gommosi e muti. La caccio via, non ci sono parole per descrivere il mio sconforto. Come ha potu-to fare una cosa simile? Mi rimprovero di non averli nascosti in un posto più sicuro, ma ormai è troppo tardi.

Nelle settimane successive mi dedico alla frenetica ricerca di orsetti gommosi animati, ma tutti i pacchetti che apro con-tengono gli stessi inutili e inerti orsetti gommosi che non rie-

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sco più a mangiare con la stessa passione ora che ho cono-sciuto un piacere ben più intenso e che, a malincuore, non posso riavere.

Mentre faccio l’amore col mio ragazzo lo tradisco col pen-siero. Immagino quelle coloratissime gelatine di zucchero muoversi ritmicamente dentro di me, e solo così riesco a provare un minimo di coinvolgimento, una cosa da nulla a dire il vero, in confronto al godimento passato.

Trascorso un mese, e poi il seguente senza mestruazioni, mi viene il dubbio di essere incinta; molto strano poiché io e il mio ragazzo siamo sempre stati attentissimi a prendere le dovute precauzioni. Eppure le analisi confermano il mio ti-more: sono in dolce attesa.

I miei genitori, appena al corrente della notizia, rimango-no sconvolti: a soli diciassette anni è inconcepibile che diven-ti madre, tuttavia, nonostante le avversità iniziali, sono di-sposti ad aiutarmi. E così il mio ragazzo.

Insomma, la gravidanza si svolge nel migliore dei modi fino al giorno della resa dei conti, in sala parto. Do alla luce un bambino, un bambino molto particolare perché è fatto di carne e ossa, bensì di gelatina gommosa.

I medici sono increduli, il mio ragazzo è scioccato, io tro-vo carino il suo colore a chiazze rosse, gialle e verdi. Inoltre ha un’aria così dolce.

Quando arrivo a casa gli do una leccatina, una sola, e poi un morsetto. Piccolo però…

Che buono!