Origine e storia del cavallo domestico -...

4
Pitture rupestri degli ultimi secoli del primo millennio avanti Cristo, presso il fiume Aravan nel Ferghana (Turkestan orien- tale). I disegni sembrano avere significato rituale. La scena del- lo stallone e della giumenta in procinto di accoppiarsi è ripe- tuta due volte ed esprime l'intento di un allevatore di moltipli- care i propri cavalli. Si notino i caratteri « orientali »: testa leg- gera, collo arcuato, petto e groppa muscolosi, zampe sottili. Rilievi della porta in bronzo della cittadella di Balawat, in Mesopotamia, che risalgo- no al regno di Shalmenesser III e cioè alla seconda metà del nono secolo avanti Cristo. La cavalleria montata procule dietro la cavalleria trainata. Si tratta di cavalli di razza nobile, lanciati al galoppo; l'impulso degli animali non è tenuto sotto controllo. L'ar- ciere a cavallo è affiancato da uno scudiero che impugna le redini del suo animale. stato dimostrato che il fenomeno non è legato a fatti climatici o di ambiente ma si è verificato nel volgere di poche migliaia di anni, in ciascun continente in tempi diversi, ma sempre in coinci- denza con il diffondersi di popóli cac- ciatori, con civiltà equivalenti a quelle del nostro tardo Paleolitico. All'inizio del Mesolitico il cavallo era praticamente scomparso dall'Euro- pa meridionale e molto scarso nell'Eu- ropa centrale, ma sopravviveva un po' più abbondante in Russia. Ai piccoli cavalli della fine del periodo glaciale era succeduta una razza di media sta- tura (1,47-1,55 metri al garrese): è da questa razza che sono discesi i nostri cavalli domestici europei. V erso l'inizio del terzo millennio i Su- meri della Mesopotamia addome- sticarono l'onagro, Equus onager Bris- son, una specie di asino selvatico che sopravvive ancora oggi in Persia e nel- la valle dell'Indo ed è strettamente im- parentata con l'emione dell'Asia cen- trale; essi lo impiegarono per il traino di carri a due e a quattro ruote. Il car- ro, un congegno alquanto elaborato, dovette essere realizzato solo dopo una lunga esperienza su vari animali do- mestici. Inizialmente fu usato per i buoi, addomesticati mille anni prima, e solo più tardi dovette essere adattato all'onagro; lo dimostra anche la parti- colare tecnica di imbrigliatura. Gli onagri erano guidati per mezzo di cor- de legate a un anello fissato al naso, un'imbrigliatura assai poco adatta per degli equidi e che sembra invece deri- vata dalla mordacchia tuttora in uso per i buoi; il morso comparve invece più tardi. L'arte del cavalcare, o meglio, l'uso di montare in groppa agli animali, do- vette essere antico quanto il loro ad- domesticamento, ma all'inizio non do- vette avere applicazioni pratiche di qualche importanza: fu praticato tut- t'al più da pastori che volevano rispar- miarsi una camminata nel condurre le bestie all'abbeverata o al pascolo. D'al- tra parte nelle regioni a civiltà più pro- gredita e sedentaria, con agricoltura di tipo intensivo, la necessità di anima- li da sella doveva essere assai poco sentita. Verso la fine del terzo millennio lo onagro compare, per quanto raro, in al- cune stazioni eneolitiche dei dintorni di Odessa, e nello stesso tempo vi compa- re il carro a quattro ruote piene, simile a quello usato dai Sumeri. I resti sono scarsi e non vi sono disegni o altri do- cumenti che dimostrino che l'onagro fosse usato come animale da lavoro: tuttavia l'onagro non è mai vissuto al- lo stato selvatico in Europa, nemmeno nelle steppe del sud-est, ed è chiaro che vi è stato importato dall'uomo, evi- dentemente allo stato domestico. È probabile che sia stato questo animale a servire da modello per passare all'ad- domesticamento dell'animale selvatico disponibile sul posto, il cavallo. L'area del primo addomesticamento del cavallo si trova però un poco più a oriente, nell'Ucraina orientale e nel- la Russia sudorientale. L'archeologa ucraina V. I. Bibikova ha trovato che nelle stazioni eneolitiche della regione compresa tra i medi corsi del Dnepr e del Volga il cavallo diviene improvvi- samente abbondante, fino a formare da sole 1'80 % dei resti di ungulati: que- sto basta a dimostrare che era entrato nel novero degli animali domestici. La Bibikova attribuisce al quarto millen- nio queste stazioni, ma varie conside- razioni di carattere archeologico por- tano a pensare che la loro età non ri- salga oltre la seconda metà del terzo millennio. Nelle stazioni eneolitiche della stessa età dell'Ucraina occidenta- le e della Romania il cavallo è raro ed è evidente che la pratica del suo alle- vamento non si era ancora diffusa; for- se, come ritiene l'archeologo russo B. I. Zalkin, il cavallo domestico vi poté penetrare saltuariamente per effetto di scambi commerciali. L'area dell'inizio dell'addomesticamento del cavallo ri- sulta dunque fissata nella parte più orientale dell'Ucraina e nella Russia sudorientale; la Bibikova ritiene che quest'area si estendesse anche a orien- te del Volga, forse fino ai confini del- l'Asia. Dalle steppe della Russia meridio- nale il cavallo si diffuse con una cer- ta rapidità,, trovando impieghi diversi secondo le esigenze e i costumi dei po- poli dai quali fu adottato. Una via di migrazione, e sotto certi aspetti la più interessante, si svolse ver- so sud. Aggirando a oriente il Mar Ne- ro il cavallo fu importato in Asia Mi- nore dagli Hittiti; ve lo troviamo già alquanto diffuso nel XIX secolo a. C. Nella loro espansione verso sud-est gli Hittiti si scontrarono presto con i po- poli a elevata civiltà del Medio Orien- te, che conducevano vita sedentaria, basata su un'agricoltura di tipo inten- sivo. In un'economia di questo tipo il cavallo risultò di scarsa utilità co- me animale da lavoro ma trovò presto applicazione nell'arte militare, sulla quale ebbe un'influenza enorme. Dagli Hittiti, e probabilmente da altri popo- li quali i Kassiti e i Khurriti, il caval- lo fu portato in Mesopotamia verso la fine del XVIII secolo a. C. e successi- vamente gli Hittiti lo diffusero in Siria e fino all'Egitto, dove arrivò all'inizio del Nuovo Regno (XVI secolo a. C.). Dal Medio Oriente e dall'Asia Minore il cavallo si diffuse anche, più o meno nello stesso periodo, a Micene, a Cre- ta e a Cipro e, con l'espansione degli Arii, fino alla valle dell'Indo. Impiega- to principalmente in guerra, il cavallo fu usato in queste regioni aggiogato al carro a due ruote, la caratteristica bi- ga trainata da due o anche da quattro Origine e storia del cavallo domestico Alle civiltà del bronzo e del ferro antico, legate alle culture pastorali danubiane, succedettero in Italia civiltà piú raffinate che importarono nuove tecniche di equitazione insieme a cavalli di razze orientali di Augusto Azzaroli I l cavallo domestico, battezzato in latino Equus caballus da Linneo, discende da una specie selvatica che immigrò in Europa dall'Asia verso l'inizio del Pleistocene medio, poco me- no di un milione di anni fa. Nel Pleisto- cene superiore questa specie era divenu- ta abbondantissima in Europa, ma oggi non esiste più allo stato selvatico: verso la fine del Pleistocene, non molte mi- gliaia di anni fa, è stata decimata dal- la caccia spietata cui è stata soggetta; i pochi animali sopravvissuti sono stati addomesticati, analogamente a quanto è avvenuto al bue e al dromedario. Un cavallo selvatico, seppure all'or- lo dell'estinzione, sopravvive oggi in una ristretta area al confine tra la Mongolia e il Sinkìang; esso fu sco- perto solo nel 1878 dall'esploratore russo N. M. Przevalski, in onore del quale fu chiamato, dal naturalista I. S. Poljakov, Equus przevalskii. Questo animale appartiene a una specie diver- sa dal cavallo domestico e dal cavallo selvatico del nostro Quaternario; nu- merosi caratteri somatici li differenzia- no cosicché anche disponendo dei soli crani è possibile distinguere le due spe- cie con sicurezza. Il cavallo di Prze- valski in ogni caso non ha niente a che vedere con l'origine dei nostri cavalli domestici e non verrà quindi preso in considerazione in questo articolo. I cavalli selvatici del Quaternario europeo appartengono alla stessa spe- cie del cavallo domestico, Equus cabal- lus L. e sono differenziati in varie raz- ze. Sono in generale animali di forme robuste, talora addirittura pesanti, e di statura molto varia. All'inizio del Pleistocene medio predominavano in Europa cavalli di statura piuttosto grande, compresa tra 1,55 e 1,70 me- tri al garrese. Nel tardo Pleistocene medio e nel Pleistocene superiore, fino all'inizio dell'ultima glaciazione, si dif- fusero in Europa cavalli di media sta- tura, mentre localmente sopravviveva- no anche razze molto grandi. Verso la fine dell'ultimo periodo glaciale, tutta- via, si trova solo una razza di piccola statura (1,30-1,38 metri al garrese), con arti piuttosto massicci. Questa razza era molto diffusa: è ritratta in molti dise- gni e graffiti rupestri del tardo Paleo- litico, che, per quanto spesso stilizzati, possono dare un'idea del suo aspetto. Era di forme piuttosto goffe, con tron- co voluminoso, zampe brevi, collo toz- zo e testa un po' pesante; la criniera, corta ed eretta, si prolungava in un ciuffo sulla fronte. Questa razza fu cacciata fino all'orlo dello sterminio dalle popolazioni del tardo Paleolitico. Non si trattò di un caso isolato: il rapido declino del cavallo coincise con una forte decimazione che coinvolse tutta la grossa selvaggina europea. Ne- gli altri continenti si verificarono ana- loghe decimazioni, che furono partico- larmente forti nelle due Americhe. 108 109

Transcript of Origine e storia del cavallo domestico -...

Pitture rupestri degli ultimi secoli del primo millennio avantiCristo, presso il fiume Aravan nel Ferghana (Turkestan orien-tale). I disegni sembrano avere significato rituale. La scena del-lo stallone e della giumenta in procinto di accoppiarsi è ripe-tuta due volte ed esprime l'intento di un allevatore di moltipli-care i propri cavalli. Si notino i caratteri « orientali »: testa leg-gera, collo arcuato, petto e groppa muscolosi, zampe sottili.

Rilievi della porta in bronzo della cittadella di Balawat, in Mesopotamia, che risalgo-no al regno di Shalmenesser III e cioè alla seconda metà del nono secolo avanti Cristo.La cavalleria montata procule dietro la cavalleria trainata. Si tratta di cavalli di razzanobile, lanciati al galoppo; l'impulso degli animali non è tenuto sotto controllo. L'ar-ciere a cavallo è affiancato da uno scudiero che impugna le redini del suo animale.

stato dimostrato che il fenomeno nonè legato a fatti climatici o di ambientema si è verificato nel volgere di pochemigliaia di anni, in ciascun continentein tempi diversi, ma sempre in coinci-denza con il diffondersi di popóli cac-ciatori, con civiltà equivalenti a quelledel nostro tardo Paleolitico.

All'inizio del Mesolitico il cavalloera praticamente scomparso dall'Euro-pa meridionale e molto scarso nell'Eu-ropa centrale, ma sopravviveva un po'più abbondante in Russia. Ai piccolicavalli della fine del periodo glacialeera succeduta una razza di media sta-tura (1,47-1,55 metri al garrese): è daquesta razza che sono discesi i nostricavalli domestici europei.

Verso l'inizio del terzo millennio i Su-meri della Mesopotamia addome-

sticarono l'onagro, Equus onager Bris-son, una specie di asino selvatico chesopravvive ancora oggi in Persia e nel-la valle dell'Indo ed è strettamente im-parentata con l'emione dell'Asia cen-trale; essi lo impiegarono per il trainodi carri a due e a quattro ruote. Il car-ro, un congegno alquanto elaborato,dovette essere realizzato solo dopo unalunga esperienza su vari animali do-mestici. Inizialmente fu usato per ibuoi, addomesticati mille anni prima,e solo più tardi dovette essere adattatoall'onagro; lo dimostra anche la parti-colare tecnica di imbrigliatura. Glionagri erano guidati per mezzo di cor-de legate a un anello fissato al naso,un'imbrigliatura assai poco adatta perdegli equidi e che sembra invece deri-vata dalla mordacchia tuttora in usoper i buoi; il morso comparve invecepiù tardi.

L'arte del cavalcare, o meglio, l'usodi montare in groppa agli animali, do-vette essere antico quanto il loro ad-domesticamento, ma all'inizio non do-vette avere applicazioni pratiche diqualche importanza: fu praticato tut-t'al più da pastori che volevano rispar-miarsi una camminata nel condurre lebestie all'abbeverata o al pascolo. D'al-tra parte nelle regioni a civiltà più pro-gredita e sedentaria, con agricolturadi tipo intensivo, la necessità di anima-li da sella doveva essere assai pocosentita.

Verso la fine del terzo millennio loonagro compare, per quanto raro, in al-cune stazioni eneolitiche dei dintorni diOdessa, e nello stesso tempo vi compa-re il carro a quattro ruote piene, similea quello usato dai Sumeri. I resti sonoscarsi e non vi sono disegni o altri do-cumenti che dimostrino che l'onagrofosse usato come animale da lavoro:tuttavia l'onagro non è mai vissuto al-

lo stato selvatico in Europa, nemmenonelle steppe del sud-est, ed è chiaroche vi è stato importato dall'uomo, evi-dentemente allo stato domestico. Èprobabile che sia stato questo animalea servire da modello per passare all'ad-domesticamento dell'animale selvaticodisponibile sul posto, il cavallo.

L'area del primo addomesticamentodel cavallo si trova però un poco piùa oriente, nell'Ucraina orientale e nel-la Russia sudorientale. L'archeologaucraina V. I. Bibikova ha trovato chenelle stazioni eneolitiche della regione

compresa tra i medi corsi del Dnepr edel Volga il cavallo diviene improvvi-samente abbondante, fino a formare dasole 1'80 % dei resti di ungulati: que-sto basta a dimostrare che era entratonel novero degli animali domestici. LaBibikova attribuisce al quarto millen-nio queste stazioni, ma varie conside-razioni di carattere archeologico por-tano a pensare che la loro età non ri-salga oltre la seconda metà del terzomillennio. Nelle stazioni eneolitichedella stessa età dell'Ucraina occidenta-le e della Romania il cavallo è raro edè evidente che la pratica del suo alle-vamento non si era ancora diffusa; for-se, come ritiene l'archeologo russo B.I. Zalkin, il cavallo domestico vi potépenetrare saltuariamente per effetto discambi commerciali. L'area dell'iniziodell'addomesticamento del cavallo ri-sulta dunque fissata nella parte piùorientale dell'Ucraina e nella Russiasudorientale; la Bibikova ritiene chequest'area si estendesse anche a orien-

te del Volga, forse fino ai confini del-l'Asia.

Dalle steppe della Russia meridio-nale il cavallo si diffuse con una cer-ta rapidità,, trovando impieghi diversisecondo le esigenze e i costumi dei po-poli dai quali fu adottato.

Una via di migrazione, e sotto certiaspetti la più interessante, si svolse ver-so sud. Aggirando a oriente il Mar Ne-ro il cavallo fu importato in Asia Mi-nore dagli Hittiti; ve lo troviamo giàalquanto diffuso nel XIX secolo a. C.Nella loro espansione verso sud-est gli

Hittiti si scontrarono presto con i po-poli a elevata civiltà del Medio Orien-te, che conducevano vita sedentaria,basata su un'agricoltura di tipo inten-sivo. In un'economia di questo tipo ilcavallo risultò di scarsa utilità co-me animale da lavoro ma trovò prestoapplicazione nell'arte militare, sullaquale ebbe un'influenza enorme. DagliHittiti, e probabilmente da altri popo-li quali i Kassiti e i Khurriti, il caval-lo fu portato in Mesopotamia verso lafine del XVIII secolo a. C. e successi-vamente gli Hittiti lo diffusero in Siriae fino all'Egitto, dove arrivò all'iniziodel Nuovo Regno (XVI secolo a. C.).Dal Medio Oriente e dall'Asia Minoreil cavallo si diffuse anche, più o menonello stesso periodo, a Micene, a Cre-ta e a Cipro e, con l'espansione degliArii, fino alla valle dell'Indo. Impiega-to principalmente in guerra, il cavallofu usato in queste regioni aggiogato alcarro a due ruote, la caratteristica bi-ga trainata da due o anche da quattro

Origine e storiadel cavallo domestico

Alle civiltà del bronzo e del ferro antico, legate alle culture pastoralidanubiane, succedettero in Italia civiltà piú raffinate che importarononuove tecniche di equitazione insieme a cavalli di razze orientali

di Augusto Azzaroli

I

l cavallo domestico, battezzato inlatino Equus caballus da Linneo,discende da una specie selvatica

che immigrò in Europa dall'Asia versol'inizio del Pleistocene medio, poco me-no di un milione di anni fa. Nel Pleisto-cene superiore questa specie era divenu-ta abbondantissima in Europa, ma ogginon esiste più allo stato selvatico: versola fine del Pleistocene, non molte mi-gliaia di anni fa, è stata decimata dal-la caccia spietata cui è stata soggetta;i pochi animali sopravvissuti sono statiaddomesticati, analogamente a quantoè avvenuto al bue e al dromedario.

Un cavallo selvatico, seppure all'or-lo dell'estinzione, sopravvive oggi inuna ristretta area al confine tra laMongolia e il Sinkìang; esso fu sco-perto solo nel 1878 dall'esploratorerusso N. M. Przevalski, in onore delquale fu chiamato, dal naturalista I. S.Poljakov, Equus przevalskii. Questoanimale appartiene a una specie diver-

sa dal cavallo domestico e dal cavalloselvatico del nostro Quaternario; nu-merosi caratteri somatici li differenzia-no cosicché anche disponendo dei solicrani è possibile distinguere le due spe-cie con sicurezza. Il cavallo di Prze-valski in ogni caso non ha niente a chevedere con l'origine dei nostri cavallidomestici e non verrà quindi preso inconsiderazione in questo articolo.

I cavalli selvatici del Quaternarioeuropeo appartengono alla stessa spe-cie del cavallo domestico, Equus cabal-lus L. e sono differenziati in varie raz-ze. Sono in generale animali di formerobuste, talora addirittura pesanti, edi statura molto varia. All'inizio delPleistocene medio predominavano inEuropa cavalli di statura piuttostogrande, compresa tra 1,55 e 1,70 me-tri al garrese. Nel tardo Pleistocenemedio e nel Pleistocene superiore, finoall'inizio dell'ultima glaciazione, si dif-fusero in Europa cavalli di media sta-

tura, mentre localmente sopravviveva-no anche razze molto grandi. Verso lafine dell'ultimo periodo glaciale, tutta-via, si trova solo una razza di piccolastatura (1,30-1,38 metri al garrese), conarti piuttosto massicci. Questa razza eramolto diffusa: è ritratta in molti dise-gni e graffiti rupestri del tardo Paleo-litico, che, per quanto spesso stilizzati,possono dare un'idea del suo aspetto.Era di forme piuttosto goffe, con tron-co voluminoso, zampe brevi, collo toz-zo e testa un po' pesante; la criniera,corta ed eretta, si prolungava in unciuffo sulla fronte. Questa razza fucacciata fino all'orlo dello sterminiodalle popolazioni del tardo Paleolitico.

Non si trattò di un caso isolato: ilrapido declino del cavallo coincise conuna forte decimazione che coinvolsetutta la grossa selvaggina europea. Ne-gli altri continenti si verificarono ana-loghe decimazioni, che furono partico-larmente forti nelle due Americhe.

108

109

Morsi e pungolo in bronzo dell'inizio dell'età del ferro, rinvenuti nella neeropoli villa-noviana Benacci Capraro presso Bologna e conservati presso il Museo civico di Bolo.gna. Il morso in alto ha barra snodata e ritorta con montanti artisticamente lavorati.Il morso al centro ha barra liscia e intera, con cavallini stilizzati sui montanti laterali.

Sfilata di cavalieri al galoppo di cadenza ritratta su un vaso del sesto secolo recupera-to a Gela in Sicilia. L'equitazione è assai progredita e sembra essere praticata per purodivertimento, senza alcun intento agonistico. L'impulso degli animali è tenuto sottocontrollo dai cavalieri con l'assetto del busto e delle gambe; le redini sono tenute conmano leggera. I cavalli appaiono perfettamente addestrati; le teste un po' pesanti sonotipiche dell'iconografia greca antica e potrebbero rappresentare un carattere razziale.

cavalli, la cui invenzione si fa risalireagli Hittiti e che rivoluzionò la tecnicadel combattimento. Potrà sembrarestrano che si sia preferito il cocchio al-la cavalleria montata, malgrado l'evi-dente svantaggio nei movimenti su ter-reno accidentato: ma la cosa ha unasua logica spiegazione nella tecnicaequestre del tempo. Gli antichi nonconobbero staffe: montavano a pelo ocon una rudimentale sella formata da

una semplice coperta. Cavalcare perore in queste condizioni e maneggiarele armi nel combattimento doveva ri-chiedere un'abilità fuori del comune,che fu acquistata solo dopo una lungaesperienza. Molto più facile era com-battere a piedi, servendosi del cocchioguidato dall'abile auriga per i rapidispostamenti sul campo, per inseguireun nemico in fuga, all'occorrenza an-che per mettersi in salvo da un rivale

più agguerrito. La cavalleria montatacomparve nel Medio Oriente solo ver-so l'inizio del primo millennio e si dif-fuse con una certa lentezza. Nel Nuo-vo Impero Assiro, tra il IX e il VII se-colo a. C., era ancora usata insieme al-la cavalleria trainata e aveva, rispettoa questa, una funzione di rincalzo. As-sur Bani Pal (VII secolo a. C.) caccia-va l'onagro e il leone cavalcando; main battaglia preferiva ancora il cocchio.

La tecnica stessa del cavalcare si ri-vela impacciata all'inizio. La cavalleriamontata di Assur Nasir Pal II (IX seco-lo a. C.) procedeva dietro la cavalleriatrainata e non veniva impegnata nellabattaglia corpo a corpo: era armata diarco e di frecce, adatti al combatti-mento a distanza. In battaglia i cava-lieri procedevano a coppie: un arcie-re, che nel maneggiare l'arma abban-donava completamente le redini, e unoscudiero che con una mano prendevale redini del suo cavallo. Una cavalle-ria del genere non doveva essere mol-to maneggevole. Due secoli più tardiAssur Bani Pal cacciava con l'arcoabbandonando completamente le redi-ni del cavallo: forse gli animali eranoaddestrati a ubbidire alla voce o aicomandi delle gambe.

Oltre che verso sud il cavallo dome-stico si diffuse anche verso oriente

e verso occidente. In Cina lo si trovanell'età del bronzo, verso la metà delsecondo millennio. Come sia arrivatocosí lontano non è del tutto chiaro,ma è facile immaginare che vi sia sta-to portato dai nomadi dell'Asia centra-le, popoli barbari che non hanno la-sciato quasi nessuna traccia dei loro co-stumi, ma che, nella diffusione del ca-vallo, devono avere avuto una parte diprimo piano. Il destino del cavallo inCina fu simile a quello che ebbe inMedio Oriente, forse per le analoghecondizioni create dall'elevata civiltà,con popolazione addensata: fu usatopiù che altro in guerra, riservato ainobili, dapprima col cocchio a due ruo-te e solo più tardi come cavalcatura.

Una terza corrente di migrazionesi inoltrò con popoli pastori, nomadie seminomadi, verso occidente risa-lendo la valle del Danubio, ed ebbeun destino diverso. I particolari del-la vita e della civiltà di questi po-poli sono poco noti, ma fino dall'ini-zio dell'età del bronzo compaiono invarie località del bacino del Danu-bio morsi di osso e poi di metallo,testimoni indubbi dell'impiego del ca-vallo. È facile immaginare che, tra po-poli abituati a migrazioni su lunghe di-stanze, il cavallo abbia trovato largoimpiego come animale da trasporto, siada soma che come cavalcatura. Non

sappiamo se fosse usato anche per iltraino di carri, che erano già in usoper i buoi; ma per quanto ne sappia-mo questi popoli ebbero carri pesanti,in genere a quattro ruote, per il tra-sporto di masserizie. Il cocchio da guer-ra è sconosciuto in Europa centralenell'età del bronzo. Per quanto non visiano documenti al riguardo, è ancheprobabile che tra i nomadi si sia dif-fuso presto l'uso del cavalcare che,praticato come mezzo di semplice tra-sporto, non presentava quelle difficoltàche ne ritardarono l'adozione in guerra.

Le leggende dei centauri, diffuse nel-l'antica Grecia, sono significative. Evi-dentemente sono nate dagli incontritra i popoli a civiltà raffinata dell'Eu-ropa meridionale e dell'Asia Minore,che conoscevano bene il cavallo manon lo sapevano cavalcare, e i popolipastori delle regioni steppose a norddel Mar Nero, già esperti cavalieri. Ingenerale i centauri sono descritti comeesseri violenti e bestiali, con evidenteriferimento alla rozza civiltà di questipopoli. È curioso il fatto che una leg-genda analoga si trova in uno scrittocinese che risale al 2000 circa a. C.

La storia dell'arte equestre, almenonei paesi a civiltà progredita, può

essere seguita con relativa facilità at-traverso le fonti storiche e archeologi-che. Le esigenze della guerra portaro-no a una cura meticolosa nell'addestra-mento del cavallo: se ne ha testimo-nianza nel celebre testo di Kikkuli, ilprimo trattato di ippologia della storia,scritto in lingua hittita intorno al 1360a. C. È opera di uno straniero, oriun-do del regno di Mitanni, che si era sta-bilito tra gli Hittiti, e descrive conestrema precisione l'addestramento delcavallo al lavoro col cocchio. Circa1000 anni più tardi, quando già si eradiffusa la pratica del cavalcare, si tro-vano gli scritti di ippologia di due Ate-niesi, Simonide e, poco più tardi, Se-nofonte. Numerosi sono poi i docu-menti, scritti e figurati, sulle corse colcocchio e sull'equitazione praticata nel-la guerra, nella caccia e con intentipuramente sportivi. Tra il VI e il IVsecolo a. C. i greci avevano portato laequitazione a una perfezione senza pre-cedenti: avevano preso a controllarel'impulso del cavallo, tenendolo «riu-nito » e insegnandogli quell'andaturatutt'altro che spontanea che è il galop-po di cadenza. Senofonte usava gli spe-roni, particolarmente adatti a questiesercizi.

Molto più difficile da seguire è lastoria della selezione delle razze. Perqualche motivo sconosciuto l'addome-sticamento ha influito pochissimo sulla

morfologia scheletrica del cavallo, alpunto che nella maggioranza dei casi èpraticamente impossibile distinguerecavalli domestici da cavalli selvaticisui soli caratteri delle ossa. Una distin-zione di razze è difficilissima, tanto piùche i resti che ci sono pervenuti sonoquasi sempre frammentari.

In Europa agli inizi dell'allevamen-to, tra l'Eneolitico e l'età del bronzo, siverificò presto un generale scadimentodella razza, analogamente a quanto eraavvenuto per gli altri animali domesti-ci nel Neolitico. I resti pervenuti rive-

lano animali di statura media e piùspesso piccola, con forme gracili. Vi èuna forte variabilità individuale, chedenota la mancanza di qualsiasi prati-ca di selezione. Nell'età del ferro i ca-valli dell'Europa centrale diventanopiù uniformi, convergendo su un tipoa statura piccola e con forme piutto-sto esili. La maggiore uniformità ri-spetto ai cavalli dell'età del bronzosembra indicare il diffondersi di prati-che più razionali di allevamento: manell'Europa orientale i cavalli dell'etàdel ferro antico sono ancora alquantovariabili di statura.

Nel Medio Oriente le cose dovette-ro andare altrimenti. Gli stessi motiviche avevano indotto a curare l'adde-stramento dovettero portare anche al-la ricerca di cavalli capaci di grandiprestazioni, veloci e resistenti. I rilievie le pitture degli Assiri e degli Egiziraffigurano in generale cavalli di me-dia statura, con petto e groppa musco-

losi, zampe snelle, testa piccola: e gliatteggiamenti in cui sono figurati ce lifanno presumere ricchi di tempera-mento. Beninteso, rilievi e pitture nonsono fotografie, e l'ispirazione più omeno consapevole dell'artista può aver-lo spinto a figurare modelli più bellidella stessa realtà: ma è certo che gliantichi popoli del Medio Oriente pos-sedevano cavalli di razza pregiata, chedovettero essere il frutto di un'accura-ta selezione. Fino dai poemi omericisi trova nelle fonti letterarie l'eco del-la grande considerazione in cui erano

tenuti i cavalli di razza e dell'assiduaricerca di cui erano oggetto. È carat-teristico che questa ricerca è rivoltaverso paesi, non sempre ben definiti,dell'oriente. Tra il VI e il IV secoloa. C. i re persiani Achemenidi usava-no rifornirsi di cavalli per i loro eser-citi nei famosi allevamenti della Bat-triana, il territorio tra il Mare d'Araie l'estremità occidentale delle catenedello Hindu Kush; anche Alessandro ilMacedone vi attinse nel corso della suaimpresa in oriente. La fama di questiallevamenti durò a lungo, per tutto ilprimo millennio d. C., ed è stata tra-mandata anche dagli storiografi islami-ci dopo la grande espansione musulma-na in Persia e in India. Secondo unacronaca cinese la fama dei cavalli stra-ordinari del Ferghana, la regione piùorientale della Battriana era giunta fi-no in Cina; la cronaca parla di «ca-valli celesti ». Intorno all'anno 100 a.C.l'imperatore Wu-Ti mandò una spedi-

110

111

Due carri etruschi: sopra il carro di Monteleone di Spoletodel sesto secolo avanti Cristo, ora conservato al National Mu-seum di New York; sotto, nella ricostruzione di A. De Agosti-no, il carro di Populonia, del quinto secolo avanti Cristo. Lesponde del carro di Monteleone, in legno, sono rivestite di la.

mine di bronzo finemente lavorate; questo carro è simile a quel-lo trovato nella tomba della biga di Castro, in restauro. Nel carrodi Populonia, costruito in legno di quercia con rinforzi in bronzoe ferro, si notino le grandi ruote a quattro raggi disegnali. As-sieme a esso furono trovati anche gli scheletri di due cavalli.

zione nel Ferghana per procurarsi que-sti cavalli. La spedizione ebbe luogo eriportò trenta « cavalli celesti » e unnumero molto maggiore di cavalli or-dinari. Evidentemente già allora esiste-va una razza di pregio, selezionata inmodo rigoroso.

I documenti archeologici sulla Bat-triana sono scarsi e piuttosto tardivi.Il più interessante è costituito da alcu-ne pitture rupestri presso il fiume Ara-van nel Ferghana. Vi sono raffigurati,tra l'altro, uno stallone e una giumen-ta in procinto di accoppiarsi. La scenaè ripetuta due volte: sembra avere unsignificato rituale ed esprime in modoinconfondibile l'intento di un allevato-re che desidera moltiplicare i propricavalli. Ma il valore del documentonon si arresta qui: tracciati con gran-de verismo, i disegni raffigurano caval-li dalle forme eleganti, con una testaleggera portata da un lungo collo ar-cuato, tronco e groppa muscolosi, zam-pe asciutte e ben modellate: i caratte-ri che conosciamo oggi nelle razzeorientali. Cavalli dello stesso tipo sonofigurati in una statuina d'oro del « te-soro di Oxus », trovato presso l'AmuDarya, del III secolo a. C. Le pitturedell'Aravan sono di età più incerta,ma vengono attribuite agli ultimi se-coli del primo millennio.

Purtroppo non si conoscono i restischeletrici di questi cavalli. B. I. Zal-kin ha studiato i resti di cavalli prove-nienti da varie stazioni nel basso cor-so e nel delta dell'Amu Darya, di etàcompresa tra il VII secolo a. C. e ilXIII d. C. I resti sono numerosi, maper la maggior parte si tratta di ani-mali di razza ordinaria, come sembradimostrare anche la mancanza di se-polture intenzionali e la frammentarie-tà dei resti. Secondo Zalkin erano ani-mali di statura medio-piccola e nondifferivano dai cavalli dell'età del ferrodell'Europa orientale. Solo a Toprak--Kala, che fu per lungo tempo capita-le politica della regione, sono stati tro-vati resti di cavalli del III secolo d. C.che sembrano di razza più nobile: uncranio completo, identico nelle propor-zioni al cranio dell'attuale razza AkhalTeke, oriunda del Turkestan, e alcuneossa degli arti che denotano una statu-ra più alta degli altri cavalli e di for-me piuttosto snelle.

Resti molto interessanti sono statitrovati più a nord, nei sepolcreti diPazyryk negli Altai occidentali, risa-lenti agli ultimi secoli del primo mil-lennio. Le tombe sono scavate in unsuolo permanentemente gelato che haconservato anche parte della pelle, de-gli zoccoli e delle bardature. I cavalli

sono rappresentati da 87 scheletri, dicui 69 completi. L'archeologo russo O.Vitt vi ha distinto quattro razze di sta-tura diversa, alte da 1,28-1,30 a 1,48--1,50 metri al garrese. I cavalli dellarazza più grande erano i più pregiatie le bardature mostrano che erano ri-servati ai capi e ai nobili. Sono estre-mamente snelli e nelle proporzioni cor-rispondono alla razza Akhal-Teke, lapiù longilinea delle razze equine.

Per quanto tarde, queste testimo-nianze indicano l'esistenza, nell'Asiacentro-occidentale, di uno o più cen-tri di allevamento nei quali venivanoselezionati cavalli di media statura,dalle forme snelle e capaci di presta-zioni superiori a quelle dei cavalli or-dinari: quei cavalli insomma che an-cora oggi vengono detti di sangue orien-tale e dei quali l'arabo e l'Akhal-Tekesembrano essere i discendenti diretti.

Tuttavia la selezione di cavalli di raz-za deve essere iniziata molto tem-

po prima di quanto indichino le fontiarcheologiche e storiche di cui si di-spone. La necessità di tali cavalli do-vette essere fortemente sentita, appun-to per le esigenze dell'arte militare. Einfatti cavalli di aspetto in qualche mo-do orientale compaiono presto nellesculture, fortunatamente ispirate a unaarte spiccatamente veristica, del secon-do impero assiro. Nei rilievi più anti-chi, di Assur Nasir Pal II e di suo fi-glio Shalmenesser III (IX secolo a. C.)i cavalli hanno testa e incollatura ele-ganti e un bel portamento, ma tradi-scono ancora una certa pesantezza ne-gli arti; quelli del tempo di Assur BaniPal sono di un tipo più raffinato. Intutti, comunque, gli atteggiamenti sem-brano denotare animali pieni di tem-peramento.

I documenti storici di cui si è par-lato sopra portano a pensare che la se-lezione di animali di razza fosse giàiniziata quando il cavallo si diffuse nelMedio Oriente, ma che fosse iniziataappunto in regioni situate più a nord,dove il cavallo viveva allo stato selva-tico e dalle quali sono pervenute solotestimonianze relativamente tarde. Loelevato grado di civiltà dei popoli delMedio Oriente dovette favorire il dif-fondersi di queste razze: ma, per qual-che ragione che ci sfugge, tanto i po-poli del Medio Oriente quanto i Grecidovettero trovare difficoltà, almeno al-l'inizio, ad allevarla, e preferirono inpratica ricorrere all'importazione. Ecaratteristico che gli Achemenidi, inoltre due secoli di regno, non sianoriusciti a istituire allevamenti regola-ri e abbiano preferito ricorrere agli al-

levamenti della Battriana. Tuttavia al-levamenti rinomati dovettero sorgerepiù tardi anche in qualche luogo del-Europa, restando però circoscritti adaree ristrette. Neppure gli Ateniesi riu-scirono a realizzarli: Simonide, ungrande conoscitore di cavalli e autoretra l'altro di un trattato di ippologia,consigliava a chi volesse procurarsi ca-valli di buona razza di andare a cer-carli in Tessaglia.

Gli avvenimenti sopra riassunti pon-gono lo sfondo per inquadrare la

storia del cavallo domestico nell'Italiaprotostorica: una storia che ha unaduplice origine perché nella penisolaitalica vennero a incontrarsi due tra-dizioni culturali ed equestri diverse:quella dei nomadi a civiltà pastoraleinsediati nella valle del Danubio e quel-la dei popoli più raffinati del Mediter-raneo orientale.

In Italia il cavallo arrivò nell'età delbronzo, portato da popoli culturalmen-te legati alle civiltà danubiane, e inun primo tempo rimase limitato alleregioni prealpine e alla pianura delPo. Se ne conoscono i resti negli inse-diamenti al piede delle Alpi e più an-cora nelle « terremare », le caratteristi-che stazioni cinte di un argine di ter-ra della pianura padana; in queste ul-time il cavallo dovette arrivare piutto-sto tardi, nel XIII secolo a. C. I caval-li del bronzo erano di statura moltovaria ma in genere modesta: tra 1,15e 1,40 m, più raramente 1,50 m al gar-rese. Le ossa lunghe si distinguono perle diafisi singolarmente sottili e le te-ste articolari larghe: erano cioè ani-mali dagli stinchi esili, ma con ginoc-chi e garretti grossi; nel complesso,avevano l'aspetto di una razza moltoscadente. Venivano uccisi in un'etàcompresa tra 14 e 18 anni: venivanoquindi sfruttati da lavoro prima di es-sere macellati. Nessun oggetto ci chia-risce l'uso a cui servivano, ma è pro-babile che fossero usati sia come ani-mali da soma sia come cavalcature. Lamancanza di morsi non è molto signi-ficativa, perché i cavalli, specie se do-cili, possono essere guidati con un sem-plice laccio di corda passato attorno al-la bocca. Nel complesso i cavalli italia-ni del bronzo non sono dissimili daquelli della stessa età dell'Europa cen-trale, anch'essi animali di forme piut-tosto gracili e di statura alquanto va-riabile, ma sempre modesta.

Ai popoli delle terremare successeroin Emilia i Villanoviani, che presto sidiffusero anche in Toscana e in partedel Lazio, mentre altre popolazioni siinsediavano nel resto dell'Italia. Sulla

origine dei Villanoviani non si sa mol-to più che sull'origine dei popoli delleterremare. Alcuni archeologi li riten-gono immigrati dal nord attraverso leAlpi, altri da oriente attraversandol'Adriatico. La questione è qui di im-portanza secondaria: sta di fatto cheanche i Villanoviani sono culturamen-te imparentati con le civiltà del Danu-bio, e hanno ereditato da quei popoliil cavallo domestico. L'arrivo dei Vil-lanoviani risale, secondo l'archeologoinglese MacIver, all'XI secolo a. C.; al-tri lo collocano un poco più tardi, nelX secolo a. C. E un vero peccato chenessuna stazione archeologica abbia

fornito resti scheletrici, perché gli og-getti delle necropoli mostrano che iVillanoviani conoscevano molto beneil cavallo e ne facevano largo uso. Leloro tombe sono piene di morsi di bron-zo e di ferro, di fàlere, di pungoli.Non vi è alcuna traccia di carri ed ècerto che il cavallo era usato come ca-valcatura: tra l'altro i pungoli, piccolistrumenti di bronzo da impugnare inuna mano, potevano essere usati soloda un cavaliere in groppa all'animale.Gli oggetti di bardatura sono talora difogge semplici, talora artisticamentelavorati. I morsi sono di vario tipo: abarra intera, snodati, a barra ritorta,

lisci; i pungoli hanno punte di varialunghezza, evidentemente graduate se-condo le esigenze degli animali o deicavalieri. Il tutto lascia capire che iVillanoviani erano cavallerizzi esperti,tenevano il cavallo in grande conside-razione e avevano portato il suo uso aun notevole grado di perfezione. D'al-tra parte l'assenza di carri e il largouso del cavallo da sella confermanoche la loro arte equestre si ricollegaalla tradizione danubiana. I Villano-viani sono il primo popolo che abbialasciato testimonianza dell'arte del ca-valcare praticata su larga scala.

Tra l'VIII e il VII secolo a. C. si ve-

112 113

Ricostruzione dei due scheletri di cavalli del sesto secolo avan-ti Cristo, inumati con la biga presso Castro nei Monti Vulsini.I cavalli giacevano coricati sul fianco destro nel dromos, il cor-ridoio di accesso all'ipogeo, scavato nel tufo e largo 1,2 metri.

Le fotografie mostrano il fianco sul quale i cavalli erano appog-giati, assai meglio conservato dell'altro. Nel dromos, tra i caval-li e l'ingresso dell'ipogeo, era sepolto un carro, attualmente infase di restauro, molto simile a quello di Monteleone di Spoleto.

30 cm

ktA.

- 20

-10

o

Ossa degli arti di cavalli protostorici italiani. La serie di ossa in alto è stata trovatanella terramare di Gorzano presso Maranello (Modena) corrispondente all'età del bron-zo (XIII-XI secolo a. C.). Le ossa, da sinistra a destra, sono: due radii, un femore, unatibia e un metatarso. Il femore è molto piccolo in confronto alle altre ossa; le diafisisono esili e le teste articolari grosse. La serie di ossa in basso appartiene a uno dei ca-valli di Populonia (V secolo a. C.). Da sinistra a destra: un radio, un femore, una tibiae un metatarso. Le ossa sono molto snelle, con diafisi robuste e teste articolari piccole.

rificò in Italia qualcosa di nuovo. Nel-le ultime necropoli villanoviane di Bo-logna, cioè tra il 700 e il 500 a. C.,compare sulle stele funerarie la carat-teristica biga. Non si tratta di un'in-

venzione villanoviana: la biga, ormainon più strumento di guerra ma og-getto da parate e da gare sportive, fuportata infatti in Italia da popoli di ci-viltà molto più raffinata.

Nell'Italia meridionale e in Sicilia siinsediarono i Greci, tra la fine del-I'VIII e l'inizio del VII secolo, impor-tandovi nuove tecniche di equitazione:il carro leggero da corsa, la praticadelle competizioni sportive, l'arte dicontrollare l'impulso dell'animale e ditenerlo « riunito ». Alcuni disegni suvasi ci hanno lasciato testimonianza diun'arte equestre altamente raffinata.

Nell'Italia centrale ai Villanoviani sisovrapposero gli Etruschi. Poco sappia-mo sulle origini di questo strano po-polo, ma è certo che la loro tradizio-ne equestre è strettamente legata aquella dei Greci. Nell'arte etrusca leraffigurazioni dei cavalli sono numero-se. Si sa che usavano cavalcare e nu-trivano una forte passione per le corsecon la biga: in queste anzi avevanoadottato una tecnica più spericolata diquella dei Greci, perché gli aurighiusavano legarsi le redini alla cintola,forse per controllare meglio gli anima-li nel momento critico di doppiare lameta, sprezzando il pericolo di esseretravolti nel caso di cadute.

Gli Etruschi tennero il cavallo ingrande considerazione. Tra le personedi alto rango doveva essere consuetudi-ne abbastanza diffusa inumare la biga,e talora anche i cavalli, presso la tom-ba del padrone. A Populonia, Vetulo-nia, Vulci, Castro, Cerveteri, alla Mar-siliana di Albegna, presso Spoleto epresso Perugia sono stati trovati i ca-ratteristici carri, e in alcune di questetombe anche i resti dei cavalli.

L'autore ha avuto modo di esamina-re gli scheletri di due pariglie una diuna tomba del VI secolo a. C. pressoil luogo dell'antica città di Castro, neimonti Vulsini, l'altra di una tomba delV secolo a. C. nella necropoli di Popu-lonia, presso il Golfo di Baratti. Sonoanimali di statura piuttosto piccola, perquanto superiore ai più piccoli cavallidel bronzo: i due cavalli di Castro, uc-cisi all'età di 5-6 anni, misuravano1,23-1,25 metri al garrese; quelli di Po-pulonia, uccisi a circa 10 anni, 1,33--1,35 metri. Il carro di Castro, a ruoteun po' piccole con molti raggi, è simi-le a un celebre carro della stessa etàdi Monteleone di Spoleto. Il carro diPopulonia, con grandi ruote a quattroraggi e una piccola cassa rettangolare,era certamente un carro da corsa.

Per quanto incompleti e danneggia-ti, gli scheletri sono di estremo inte-resse. I cavalli delle tombe etruscheavevano forme insolitamente snelle,tanto che le ossa lunghe farebbero pen-sare ad asini, se le ossa del tarso non ri-velassero i tratti caratteristici del ca-vallo. Ma pur nella loro estrema snel-

lezza non hanno nulla della gracilitàdei cavalli del bronzo: le giunture so-no sottili e ben modellate, le diafisi ro-buste. Gli omeri e i femori sono rela-tivamente corti e gli animali doveva-no avere un tronco piuttosto raccoltoe zampe lunghe. Le proporzioni sonodel tutto diverse da quelle dei caval-li europei e ricordano i cavalli di raz-za orientale.

Viene quindi da chiedersi se questicavalli siano il prodotto di una selezio-ne sul posto o non rappresentino piut-tosto una razza importata, evidente-mente da qualche luogo dell'oriente: etutti gli indizi portano a concludereper la seconda ipotesi. Cavalli dellastatura di quelli di Castro e di Popu-

lonia non sono rari in Europa, sia sel-vatici nel Pleistocene sia domestici nelbronzo e nel ferro: ma nessuno ha leloro proporzioni. I cavalli selvatici dipiccola statura hanno forme più mas-sicce; i cavalli domestici sono talorarobusti, più spesso gracili, ma congiunture grosse e senza la snellezza diquelli etruschi. Sappiamo d'altronde daaltre stazioni archeologiche che gliEtruschi allevarono anche cavalli dibassa razza, simili a quelli del bron-zo, che servivano da lavoro e finivanoal macello. I dati archeologici rendo-no del tutto attendibile l'ipotesi che gliEtruschi allevassero una razza di ca-valli di sangue orientale: se questa raz-za sia stata portata in Italia dagli Etru-

schi stessi, o vi sia arrivata attraverso iGreci o i Fenici, è questione che restada risolvere.

Molto tempo dopo la decadenza po-litica etrusca i Romani presero ad al-levare e selezionare con cura i cavalliper i diversi usi: ma né i Romani néi vari popoli succedutisi in Europa nelMedio Evo sono mai riusciti a crearerazze simili alle orientali. Tutto questoè significativo. Le razze pregiate anda-rono perdute con la decadenza degliEtruschi, e forse anche dei Greci e deiFenici: e nei cavalli europei mancanoquei caratteri ereditari che nessuna se-lezione può creare e che si trovano in-vece nei cavalli oriundi dell'Asia cen-tro-occidentale.

114 115