Orfeo Ed Euridice

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Modulo 3 Da Virgilio a Dante on line 26 M.R. Tabellini, P. Fertitta, F. Tozzi, Le opere e il tempo [G.B. Palumbo Editore] Epica pagina 1 Unità di apprendimento Il mito di Orfeo ed Euridice Unità di apprendimento Il mito di Orfeo ed Euridice i è un mito, nato anch’esso in Grecia come la maggior parte dei miti che permangono nell’immaginario della cultura occidentale, che racconta di un eroe che riesce ad entrare vivo nell’oltremondo per riportare in vita la sposa che la morte gli aveva strappato. Glielo concedono gli dèi, non perché commossi dal suo dolore – altrimenti dovrebbero concederlo a tutti coloro che soffrono quando perdono chi amano –, ma perché ammaliati dal suo canto. L’impresa dell’eroe però non riesce perché egli non sarà capace di rispettare il patto che gli era stato imposto: non voltarsi mai a guardare il volto della donna che lo seguiva nel cammino verso la luce finché non fosse uscito dal mondo degli Inferi. Orfeo, questo è il nome dell’eroe, invece si voltò, proprio quando la luce del mondo era vicina. Quale fu la causa del gesto sconsiderato? Fu per troppo amore? Fu un errore umano: un cedimento di debolezza, un attimo di follia? Fu perché niente vince la morte, neppure l’incanto dell’arte? Il racconto del cantore Orfeo e della sua sposa Euridice deriva da una fiaba antichissima. È stato Virgilio a conferirle altezza poetica: grazie al poeta latino è diventata uno dei miti più fortunati, nella letteratura, nella musica, nella pittura. La fiaba antica ha svelato i tanti temi che sottende: l’amore e la morte, il potere e i limiti dell’arte, il viaggio nell’oltremondo, il divieto e la disubbidienza. Sono le ambivalenze che il mito rivela a motivarne la sua continua elaborazione: da un lato il fascino e l’eternità dell’arte, dall’altro la legge di vita e morte che l’arte non è capace di modificare; da un lato il potere persuasivo della parola e dell’arte, dall’altro l’inettitudine dell’artista nel modificare la realtà. In questa unità ripercorreremo la elaborazione del mito dalle origini al nostro tempo. V

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Unità di apprendimento Il mito di Orfeo ed Euridice

Unità di apprendimentoIl mito di Orfeo ed Euridice

i è un mito, nato anch’esso in Grecia come la maggiorparte dei miti che permangono nell’immaginario dellacultura occidentale, che racconta di un eroe che riesce adentrare vivo nell’oltremondo per riportare in vita la sposa

che la morte gli aveva strappato. Glielo concedono gli dèi, nonperché commossi dal suo dolore – altrimenti dovrebbero concederloa tutti coloro che soffrono quando perdono chi amano –, ma perchéammaliati dal suo canto. L’impresa dell’eroe però non riesce perchéegli non sarà capace di rispettare il patto che gli era stato imposto:non voltarsi mai a guardare il volto della donna che lo seguiva nelcammino verso la luce finché non fosse uscito dal mondo degliInferi. Orfeo, questo è il nome dell’eroe, invece si voltò, proprioquando la luce del mondo era vicina. Quale fu la causa del gestosconsiderato? Fu per troppo amore? Fu un errore umano: uncedimento di debolezza, un attimo di follia? Fu perché niente vince lamorte, neppure l’incanto dell’arte?Il racconto del cantore Orfeo e della sua sposa Euridice deriva dauna fiaba antichissima. È stato Virgilio a conferirle altezza poetica:grazie al poeta latino è diventata uno dei miti più fortunati, nellaletteratura, nella musica, nella pittura. La fiaba antica ha svelato itanti temi che sottende: l’amore e la morte, il potere e i limitidell’arte, il viaggio nell’oltremondo, il divieto e la disubbidienza. Sonole ambivalenze che il mito rivela a motivarne la sua continuaelaborazione: da un lato il fascino e l’eternità dell’arte, dall’altro lalegge di vita e morte che l’arte non è capace di modificare; da unlato il potere persuasivo della parola e dell’arte, dall’altrol’inettitudine dell’artista nel modificare la realtà.In questa unità ripercorreremo la elaborazione del mito dalle originial nostro tempo.

V

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1 demenza: irragionevolezza,follia.2 Mani: divinità dell’Oltretom-ba.3 immemore: dimenticodell’ordine ricevuto.4 Averno: il lago d’Averno èuno dei luoghi infernali. Per si-neddoche, cioè la parte per iltutto, si intende l’inferno inte-ro.5 il naufrago viso mi na-sconde il sonno: ordina: ilsonno (della morte) mi nascon-de il volto naufrago (cioè che siperde nell’abisso come un nau-frago nel mare).6 vane: inutili, cioè inutilmen-te.7 il nocchiero dell’Orco: Ca-ronte.8 Stige: la barca del nocchiero

che attraversa il fiume che por-ta al mondo dei morti. Lo Stigeè uno dei cinque fiumi delmondo degli Inferi secondo la

mitologia greca e romana, glialtri sono Cocito, Acheronte,Flegetonte e Lete. La geografiafluviale dell’Inferno pagano è

stata ripresa da Dante nella Di-vina Commedia.9 Striamone: fiume della Tra-cia.

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La strada lunga di paure ormai compiuta,Euridice saliva all’aria della terradietro ai passi di Orfeo- era questa la leggedi Proserpina – quando una demenza,1 perdonabile

490 se i Mani2 perdonassero, fermò l’incauto amante:e si volse immemore3 a guardare lei che parevaattesa ombra su l’orlo della luce. Allora tuttasi disperse quella dura fatica; rottifurono i patti dell’abisso e fu tre volte udito

495 per gli stagni di Averno4 un orrido fragore.Il breve dono di lei era una voce: “Quale follia,Orfeo, è questa che miseri ci perde?Ecco la morte indietro mi richiamae il naufrago viso mi nasconde il sonno.5

500 Addio: mi riporta la notte alle sue rive grandie vane6 tendo verso te, ahi non più tua, le mani”.E poi sùbito sparve sciolta come fumolieve nell’aria; e più non videlui che vaghe ombre toccava, lui che voleva

505 parlare della luce. Né il nocchiero dell’Orco7

volle mai più che passasse qualcuno lo stagno.Che fare? Ove andare or che la sposa era stata due volterapita? Come commuovere i Mani piangendo, come gli Deicantando? Ella già fredda ormai nella barca di Stige8

510 navigava. E dicono ch’egli la pianse sotto una rupealta per sette mesi continui dov’è dello Striamone9

daVirgilio, Georgiche, Tutte leopere. Versione, introduzione enote di E. Cetrangolo, Sansoni,Firenze 1975

VirgilioLa demenza di Orfeo e il rimprovero di Euridice

Georgiche Sono un’opera in versi di Publio Virgilio Marone, scritta tra il 36 e il 29 a.C., divisa inquattro libri dedicati rispettivamente al lavoro nei campi, all’arboricoltura, all’allevamento del bestiamee all’apicoltura. Si tratta di un poema didascalico sul lavoro dei campi che viene indicato comeesempio di virtù civile. In tal senso le Georgiche sono affini alle Opere e i giorni del greco Esiodo. Di

particolare importanza è il IV libro in cui si parla di apicoltura. L’organizzazione delle api diviene metafora dell’idealesociale. Apicoltore è Aristeo, involontario colpevole della morte della giovane Euridice. Le pagine dedicate all’amoredi Orfeo ed Euridice inau-gurano la fortuna del mitoin Occidente. (Per sapernedi più su Virgilio e sulleGeorgiche, vedi on line25).

La ninfa Euridice muore per il morso di un serpente, lo sposo Orfeosfida il regno dei morti e, grazie al’armonia del suo canto, ottiene daglidèi dell’oltremondo il privilegio di riportare l’amata nel mondo dei vivi,ma a patto che durante il cammino non si volti a guardarla. Orfeo tra-

sgredisce al divieto e perde Euridice per sempre. Stravolto dal dolore rifiuta il rapportocon le donne e le folli baccanti, sentendosi respinte, lo uccidono e ne fanno a pezziil corpo. La testa, gettata nel fiume Ebro, trasportata dalle acque verso il mare con-tinua a invocare il nome di Euridice.

L’opera

Il testo

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più sola la riva; e narrava il dolore tra gli antriammansendo col canto le tigri e muovendo le querce.Così un usignolo infelice tra l’ombre del pioppo

515 lamenta i suoi figli perduti, che un crudo10 aratoregli tolse implumi dal nido; e piange la nottee sul ramo compie il suo flebile versoed empie di meste note i luoghi d’intorno.Amore non più, nozze non più lo attraevano.

520 Ma solo errava tra i ghiacci Iperbòrei11 e lungole rive nevose del Tanai,12 tra i campi Rifèi13

sempre coperti di gelo, piangendo la morta Euridicee l’inutile dono di Dite.14 Le madri dei Cìconi,15

per tanta pietà16 disprezzate, tra l’orgia di Bacco525 notturna, sbranato sparsero il giovane ai campi.

I gioghi dell’Ebro17 portavan la testa staccatadal candido collo; e la voce, la lingua ormai fredda,chiamava Euridice, mentre il respiro fuggiva, Euridicemisera. E la riva del fiume rispondeva Euridice.”

10 crudo: crudele.11 Iperbòrei: terra fredda al-l’estremo nord delle terre cono-sciute.12 Tanai: è un fiume.13 i campi Rifèi: i Rifei sonouna catena montuosa.14 l’inutile dono di Dite: laconcessione sprecata di ripor-tare alla vita e alla luce Euridi-ce.15 Le madri dei Cìconi: Ledonne dei Ciconi. I Ciconi era-no una popolazione che vivevanel sud-est della Tracia; le loromadri erano seguaci del dioBacco (o Dioniso), il dio dellaforza vitale. Orfeo, che dopoaver perso per la seconda voltaEuridice, non aveva voluto piùcongiungersi con nessuna don-

na, viene ucciso e sbranato dal-le baccanti invasate dal dio, of-

fese dal disprezzo dell’uomo.16 pietà: dolore.

17 i gioghi dell’Ebro: i gor-ghi del fiume Ebro.

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Leggere le immagini

Gustave Moreau fu un artista francese (1826-1898) cheritrasse soggetti del mondo mitologico con uno stilepersonalissimo e con una visione onirica e simbolica. Latesta mozza di Orfeo è poggiata su una lira retta dallafanciulla, coperta da una veste lunga e raffinata e a piedinudi. Il volto dell’eroe è diafano nella morte. Il profilo èparallelo a quello della ninfa. L’atmosfera è di estremamalinconica dolcezza. Il dipinto si divide in due partisimmetriche e contrapposte: a sinistra dominano i toniscuri della montagna sullo sfondo su cui si stagliano inprimo piano i due volti illuminati. A destra la forteluminosità del cielo si riflette su un paesaggio di fiumi edi monti che si perdono in lontananza in più pianiprospettici.

Gustave Moreau, Ragazza tracia con la testa diOrfeo, 1865. Musée d’Orsay, Parigi.

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L’autore Publio Virgilio Marone nacque nel 70 avanti Cristo ad Andes, un piccolo villaggiosulle rive del Mincio, presso Mantova. Secondo i biografi antichi, la sua famiglia sarebbestata modesta: il padre – dicono – faceva il vasaio oppure il bracciante agricolo. Ma inrealtà, se Virgilio poté frequentare le scuole migliori e dedicarsi alla poesia per tutta lavita, la sua famiglia doveva essere abbastanza ricca, forse proprietaria di terreni. I biografiraccontano di presagi eccezionali che avrebbero accompagnato la nascita di Virgilio comesegni premonitori della sua grandezza: la madre, ad esempio, avrebbe sognato di partorireun ramo di alloro, simbolo della poesia, che avrebbe messo radici diventando presto unalbero rigoglioso.Virgilio compì i primi studi a Cremona, fino ai diciassette anni, che per gli antichi segnavanol’entrata nella maggiore età. Continuò poi gli studi a Milano, a Roma, infine a Napoli, doveseguì gli insegnamenti del filosofo Sirone, noto maestro di filosofia epicurea (vedi Modulo1, Lucrezio, on line 7).Gli eventi storici che seguirono alla morte di Giulio Cesare (44 a.C.) lo toccarono diretta-mente. Nel periodo delle guerre civili fra Ottaviano e Antonio, infatti, chiunque avesse deiterreni correva il rischio che gli venissero confiscati per essere distribuiti ai veterani diguerra. Fu quello un periodo di particolare ansia per Virgilio, che lo rappresentò nelle Bu-coliche. Virgilio però sarebbe uscito indenne grazie all’appoggio di personaggi influenti.A Roma, Virgilio fu ammesso nel circolo di Mecenate, uno dei più stretti collaboratori diAugusto, illuminato protettore delle arti. In onore di Mecenate, compose le Georgiche,che celebravano il lavoro dei campi.A partire dal 29, si dedicò all’Eneide, con l’intento di celebrare la storia di Roma e dellafamiglia di Augusto: la gens Iulia, discesa da Iulo, figlio di Enea. Lavorò al suo capolavoroper undici anni. Qua e là lasciava dei versi provvisori, che definiva ‘puntelli’ (tibicines inlatino), in attesa di trasformarli in colonne del suo edificio poetico.A cinquant’anni, Virgilio decise di fare un viaggio in Grecia e in Asia Minore, per dedicarsialla revisione della sua opera. Incontrato Augusto ad Atene, lo volle accompagnare in unagita a Megara, ma si sentì male per una forte insolazione. La fatica del viaggio di ritornoin Italia aggravò le sue condizioni. Morì poco dopo essere sbarcato a Brindisi, il 21 set-tembre del 19 avanti Cristo.Fu sepolto a Napoli, sulla via per Pozzuoli. Sulla sua tomba fu inciso un epigramma che,tradotto in italiano, suona così: “Mantova mi ha messo al mondo, i Calabri [gli antichiabitanti della Puglia meridionale] mi hanno strappato alla vita, ora Napoli conserva i mieiresti; ho cantato i pascoli, i campi, gli eroi”.Partendo per la Grecia, Virgilio aveva chiesto all’amico Vario di bruciare l’Eneide se glifosse capitata qualche disgrazia: tanto grande era l’esigenza di perfezione del poeta. MaAugusto si assunse la responsabilità di non rispettare la sua volontà: dobbiamo quindialla saggezza del principe se anche noi possiamo leggere l’Eneide. Augusto, infatti, affidòagli amici del poeta Vario Rufo e Plozio Tucca il compito di pubblicare il poema, senza ri-maneggiare nulla. Così, in alcuni passi troviamo ancora una sessantina di versi incompiuti(detti puntelli), che rimangono anche nelle edizioni di oggi, quasi a serbare la traccia ma-teriale della mano del poeta.

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Le formeQuello di Orfeo è un tipico racconto folclorico, una “fa-vola” incentrata sul meccanismo del divieto, cui seguela trasgressione, quindi la punizione. Orfeo trasgredisceal divieto di voltarsi indietro a guardare Euridice: è proi-bito il contatto con il mondo dei morti; ciò comportala catastrofe. Grazie alla versione indimenticabile diVirgilio, la favola, di per sé schematica, segnerà pro-fondamente l’arte occidentale, non solo nella lettera-tura, ma nella musica e nella pittura.

I temiIl racconto virgiliano è dolce e struggente. I primi setteversi ci introducono al momento culminante della vicen-da: Euridice segue il suo sposo nel cammino verso laluce, sino all’improvviso e tragico errore di Orfeo. Il mo-tivo del gesto è individuato da Virgilio in una improvvisa«demenza» che coglie l’eroe «incauto» e «immemore»;il senso fatale della perdita è sottolineato dal fatto chel’infrazione avviene proprio sull’«orlo della luce», quandol’impresa era quasi compiuta. Il contrasto luce-oscuritàè metafora dell’opposizione vita-morte. La rottura delpatto è sancita da un triplice fragore di tuono.Dolore e stupore nelle ultime parole che Euridice pro-nuncia al suo sposo: quale follia lo aveva portato algesto irreparabile che la condannava a tornare nel

buio, e per sempre? La fanciulla descrive ciò che leaccade: il sentirsi risucchiare all’indietro, il sonno dellamorte che avanza, l’oscurità che la circonda mentretende invano le mani.Il divieto di Caronte che nega un secondo passaggiochiude ogni possibilità di ritorno alla vita. Dopo unabreve focalizzazione su Orfeo: che fare? dove andare?come commuovere i Mani? L’attenzione si rivolge perl’ultima volta su Euridice, «già fredda» sulla barca delloStige. Il poeta torna infine su Orfeo che, ormai solo,canta in luoghi deserti e freddi come fredda è Euridice.Il mondo animale e il mondo vegetale rispondono alsuo canto. Il senso di corrispondenza con gli elementinaturali è sottolineato dalla similitudine fra il canto didolore del poeta e quello di un usignolo che ha persoi suoi piccoli per colpa di un crudele aratore che gli hadistrutto il nido.A questo punto segue il racconto della morte di Orfeo,sbranato dalle Baccanti. Il motivo del terribile finale èattribuito al rifiuto di Orfeo ad unirsi ad altre donne perfedeltà alla memoria della moglie. Sentendosi disprez-zate, le donne invasate dal dio Bacco lo sbranano conferocia e spargono i pezzi del suo corpo. Gli ultimi quat-tro versi ci descrivono la testa mozzata del poeta che,trascinata dai gorghi del fiume, ripete il nome di Euri-dice.

Guida alla lettura

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1 Grave l’auspicio: la narra-zione di Ovidio ha inizio con ipresagi inquietanti che offusca-no il giorno delle nozze. Il dioImeneo, che nella mitologiagreca e romana presiedeva imatrimoni, partecipa cupo involto senza pronunziare le con-suete parole augurali. Si allon-tana anzi tempo dalla cerimo-nia risalendo in cielo col man-tello color zafferano, come lodisegna l’iconografia mitica gre-ca, e con la fiaccola d’auguriospenta.2 Nàiadi: le Nàiadi erano ninfeche presiedevano alle acquedolci della terra, fiumi, sorgenti,fontane, laghi e paludi; si dice-va che possedessero facoltàguaritrici.3 Morì, morsa… da un ser-pente: le Nàiadi non riuscironoa salvare Euridice dal velenomortale del serpente che le ave-va morso un piede mentre ellastava fuggendo dalla corte insi-stente dell’apicultore Aristeo.4 Ròdope: monte della Tracia,patria di Orfeo.5 Stige: vedi nota 9 de Le Ge-orgiche di Virgilio, p. 2 di que-sto on line.6 porta del Tènaro: si dicevache presso la foce del Tènaro,nella regione della Laconia, una

caverna immettesse nel regnodei morti.7 Persèfone: era la sposa diAde (Plutone per i Latini), redegli Inferi. Secondo il mitoPersefone, figlia di Zeus e delladea dell’agricoltura Demetra,era stata rapita da Ade e portatanell’oltremondo, ma Demetraottenne da Zeus che la figlia ri-tornasse sulla terra nelle stagio-ni Primavera e Estate.8 signore… delle ombre: èAde, il dio degli Inferi.9 lira: strumento musicale acorde, che accompagnavanell’antichità il canto dei poeti.Lo strumento era formato dadue braccia unite da una traver-

sa; le corde, tese parallele nellospazio interno delle due brac-cia, erano legate alla traversa.10 Tartaro: genericamente laparola designa l’Inferno. In ori-gine la parola indicava la buiavoragine dove Zeus aveva rin-chiuso i Titani, un oltretombadistinto dall’Ade, destinato agliuomini.11 tre colli… Medusa: ancheil mito di Medusa viene raccon-tato nelle Metamorfosi. Medusaera una delle Gorgoni, tre so-relle i cui nomi erano Steno,Euriale e Medusa, dall’aspettomostruoso tale da impietrireper il terrore chiunque le guar-dasse. Il mito narra che Perseo,

che aveva il compito di tagliarela testa a Medusa, riuscì nell’im-presa guardandone l’immaginein uno specchio per evitare dirimanere pietrificato dallosguardo. Ovidio narra che Me-dusa era stata una donna digrande bellezza e dagli splen-didi capelli. Il dio Poseidoneapprofittò di lei all’interno di untempio dedicato alla dea Miner-va, la quale, per non lasciareimpunito il fatto empio, trasfor-mò gli splendidi capelli delladonna in orridi serpenti.12 Amore: scritto con la Amaiuscola è personificato neldio dell’amore.13 ratto: rapimento.

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Grave l’auspicio;1 gravissimo quello che accadde. E infatti la sposa novella, mentrevagava per i prati in compagnia di una schiera di Nàiadi,2 morì, morsa al tallone daun serpente.3

Dopo averla debitamente pianta sulla terra, il poeta del Ròdope,4 per non lasciarenulla d’intentato, nemmeno nell’aldilà, osò discendere fino allo Stige5 attraverso laporta del Tènaro,6 e avanzando tra folle svolazzanti, tra i fantasmi dei defunti onoratidi sepoltura, si presentò a Persèfone7 e al signore dello spiacevole regno delle om-bre.8 E facendo vibrare le corde della lira,9 così prese a dire cantando:

«O dèi del mondo che sta sottoterra, dove tutti veniamo a ricadere, noi mortalicreature, senza distinzione, se posso parlare e se mi permettete di dire la verità,senza i rigiri di chi dice il falso, io non sono disceso qui per visitare il Tartaro10 buio,né per incatenare i tre colli ammantati di serpenti del mostro della stirpe di Me-dusa.11 La ragione del mio viaggio è mia moglie, nel cui corpo una vipera calpestataha iniettato veleno troncandone la giovane esistenza. Avrei voluto poter sopportare,e non posso dire di non aver tentato. Ma Amore12 ha vinto! È questo un dio bennoto lassù, sulla terra; se anche qui, non so, ma spero di sì; e se non è menzognaquanto si narra di un antico ratto,13 anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghipaurosi, per i silenzi di questo immenso regno dell’abisso, vi prego, ritessete il filo

daOvidio, Metamorfosi, a cura di P.Bernardini Marzolla, Einaudi,Torino 1994

OvidioUn gesto d’amore

Metamorfosi Ovidio, circa trenta dopo, racconta nelle Metamorfosi (vedi Modulo 1, p. 40) la suaversione sul mito, diversa da quella virgiliana non nel resoconto dei fatti, ma nell’interpretazionedel gesto. Nessuna colpa di Orfeo, nessun rimprovero da parte di Euridice. E di che cosa potrebbelamentarsi

una donna, se non di es-sere amata? Il sentimentodell’amore è una fonteispiratrice di tutta la poe-sia di Ovidio.

Nella elaborazione di Ovidio, la figura di Euridice è solo un’ombra muta.È Orfeo l’unico protagonista che commuove col canto tutto e tutti, men-tre Euridice riesce appena a pronunciare un addio, così flebile da esserea fatica percepito. L’assenza di dialogo tra i due amanti sottolinea la

barriera invalicabile tra il mondo dei morti e quello dei vivi.Orfeo per Ovidio è il “poeta” e come tale è simbolo del valore della poesia, dellasua capacità di controllo sul mondo.

L’opera

Il testo

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prematuramente spezzato della vita di Euridice! Tutti quanti vi spettiamo di dirittoe dopo un breve soggiorno di sopra, presto o tardi, ci affrettiamo verso questa sede,che è la stessa per tutti. Qui tutti siamo diretti, questa è l’ultima nostra dimora, e ilvostro dominio sul genere umano non ha poi più fine. Anche costei sarà vostraquando avrà compiuto fino in fondo il giusto percorso della sua vita: vi prego solodi ridarmela in prestito. Ma se il destino mi nega questa grazia per la mia consorte,io non voglio riandarmene, no. Così godrete della morte di due!».

Piangevano le anime esangui mentre egli dice queste cose e accompagnava le pa-role col suono della lira. […] E né la consorte del re, né il re stesso degli abissi ebberocuore di opporre un rifiuto a quella preghiera; e chiamarono Euridice. Era essa tra leombre nuove, e venne avanti con passo lento, per la ferita. Orfeo del Ròdope la preseper mano, e insieme ricevette l’ordine di non volgere indietro lo sguardo finché nonfosse uscito dalla vallata dell’Averno.14 Vana altrimenti sarebbe stata la grazia.

Si avviarono attraverso muti silenzi per un sentiero in salita, ripido, buio, immersoin una fitta e fosca nebbia. E ormai non erano lontani dalla superficie, quando, neltimore che lei riscomparisse, e bramoso di rivederla, egli pieno d’amore si voltò. Esubito essa riscivolò indietro, e tendendo le braccia cercò convulsamente di aggrap-parsi a lui e di essere riafferrata, ma null’altro strinse, infelice, che l’aria sfuggente.E già di nuovo morendo non ebbe parole di rimprovero per il marito (e di che cosaavrebbe dovuto lamentarsi, se non di essere amata?), e gli disse per l’ultima voltaaddio, un addio che a stento giunse alle sue orecchie. E rifluì di nuovo nell’abisso.

[…]

XI

Con questo canto Orfeo, il poeta di Tracia, ammaliava le selve e l’animo delle bestie,e attirava anche le pietre. Quand’ecco che le donne dei Cíconi,15 con i petti deliranticoperti di pelli d’animali, dall’alto di un colle lo scorsero mentre associava il cantoal tocco delle corde.

E una di esse, scuotemdo la chioma nell’aria, gridò: «Eccolo, eccolo, colui che cidisprezza!», e contro la bocca melodiosa del cantore apollineo16 lanciò il suo bastone,il quale, essendo in cima fasciato di frasche, gli lasciò un segno, ma non lo ferì.Un’altra usa come proiettile un sasso, ma questo, mentre ancora vola, rimane estasiatodai soavi concenti, della voce e della lira, e gli cade dinanzi ai piedi, quasi a chiederperdono di quell’ardire folle. Ma ormai la sconsiderata battaglia cresce e divampasfrenata, impera la Furia impazzita.17 In verità, tutte le armi avrebbero potuto essereammansite dal canto; ma il gran clamore e i flauti berecinzii dalla canna storta,18 ei tamburelli e i battimani e gli ululati bacchici19 sommersero il suono della lira. Ecosì alla fine i sassi si arrossarono del sangue del poeta, che non si udiva più.

[…]Gli uccelli afflitti ti piansero, Orfeo, ti piansero le schiere di animali selvatici, e

i sassi duri, e le selve che spesso avevano seguito il tuo canto: gli alberi, deposte leloro chiome, rimasero rasi, in segno di lutto. E dicono anche che i fiumi crebberoa furia di piangere, e che le Nàiadi e le Drìadi20 misero manti neri sui loro veli e an-darono con i capelli scompigliati. Le membra giacciono sparse qua e là. Tu, fiumeEbro, accogli la testa e la lira. Ed ecco (prodigio!), mentre filano via in mezzo allacorrente, la lira suona un non so che di triste, la lingua morta mormora tristemente:triste l’eco risponde dalle sponde. E portate finalmente al mare lasciano il fiumedella loro Tracia, e vanno ad arenarsi sulle coste di Lesbo,21 dove è la città di Me-timna. Qui, un feroce serpente si avventa contro la testa sbattuta su quella spiaggiastraniera, contro i capelli grondanti di stille rugiadose; ma all’ultimo istante Febo22

interviene, e blocca il serpente che si appresta a mordere, congelandone in pietrale fauci spalancate, indurendolo così com’è, a bocca aperta.

14 vallata dell’Averno: la val-le dove si trova il lago d’Avernoè uno dei luoghi infernali. Persineddoche, cioè la parte per iltutto, si intende l’Inferno inte-ro.15 le donne dei Cíconi: vedinota 15 delle Georgiche di Vir-gilio, p. 3 di questo on line. LeBaccanti, dette anche Menadi,vestite con pelli di animali, ce-lebravano il dio cantando edanzando per monti e foreste.Orfeo, che dopo aver perso perla seconda volta Euridice, nonaveva voluto più congiungersicon nessuna donna, viene vistoda un gruppo di Baccanti men-tre vaga nei boschi accompa-gnando il suo canto con la lira.Le donne invasate e frenetiche,offese dal disprezzo dell’uomo,lo uccidono.16 apollineo: seguace diApollo.17 impera la Furia impazzi-ta: solo la Follia, personalizzatadalla maiuscola e rafforzata dal-l’aggettivo, domina il campo.18 flauti berencizii dallacanna storta: Berecinto è unmonte della Frigia consacratoalla dea Cibele. Il flauto bere-cintio è il flauto frigio, un tipodi flauto incurvato all’estremità.19 ululati bacchici: le urladelle donne invasate dal dio.20 Drìadi: erano le ninfe cu-stodi dei boschi.21 Lesbo: è un’isola grecadell’Egeo nordorientale, che di-venne famosa per aver dato inatali, nel VII secolo a.C., allapoetessa Saffo.22 Febo: è un altro nome cheidentifica il dio Apollo.

Ovidio Un gesto d’amore

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Unità di apprendimento Il mito di Orfeo ed Euridice

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Ovidio Un gesto d’amore

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Epica

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L’autore Publio Ovidio Nasone nacque a Sulmona, in Abruzzo, nel 43 a.C. da un’agiata famiglia di cavalieri. Il padre lomandò giovanissimo a Roma per studiare retorica. Nonostante gli ottimi studi, Ovidio non tentò la via della politica, ma sidedicò completamente alla letteratura, diventando presto un poeta di vastissimo successo grazie alla composizione diopere di carattere erotico che rispondevano al gusto della società brillante dell’epoca augustea, che egli frequentava ama-bilmente, senza bisogno di appoggiarsi alla protezione delle famiglie influenti. Proprio all’apice del successo, mentre stavalavorando alle Metamorfosi, lo coglie, nell’8 d.C., un improvviso provvedimento punitivo da parte dell’imperatore Augusto,il quale condanna il poeta al confino a Tomi, sul mar Nero. I motivi della condanna rimangono oscuri, ma forse sono dacollegare agli scandali che qualche anno prima avevano turbato la casa imperiale. Fatto sta che Ovidio fu costretto ad al-lontanarsi da Roma. Dal suo confino di Tomi Ovidio continuò a scrivere, lamentandosi di essere costretto a vivere in unaregione inospitale, i cui abitanti nemmeno conoscevano il latino né la grande civiltà di cui il poeta era stato il cantore. No-nostante le numerose richieste di grazia, Ovidio non riuscì a tornare, e morì a Tomi nel 17 o nel 18 dopo Cristo.

L’ombra di Orfeo discende sottoterra. Egli riconosce uno per uno i luoghi chegià ha visto una volta e, cercandola per i campi delle anime pie, ritrova Euridice, ela abbraccia appassionatamente. E qui passeggiano insieme: a volte, accanto; a volte,lei lo precede e lui la segue; altre volte è Orfeo che cammina davanti, e ormai senzapaura di perderla, si gira indietro a guardare la sua Euridice.

I temi e le formeNel decimo libro Ovidio racconta la sfida di Orfeo all’ol-tremondo e riporta direttamente le parole del canto colquale l’eroe si rivolge ai signori dell’Ade. Il suo discorsosi basa su un argomentare lucido e inattaccabile. Duei punti di forza: la forza dell’amore che non accetta laperdita e la morte prematura. Il regno dei morti è la se-de destinata a tutti gli umani, ma perché andarci primadel tempo? Lui in fondo chiede solo che Euridice gli siadata in prestito per restituirla alla morte quando saràil momento. Al canto di Orfeo tutte le anime che popo-lano l’inferno piangono commosse. Il re e la regina degliInferi, altrettanto commossi, concedono la grazia e chia-mano Euridice. Sembra che nulla possa ostacolare la

potenza persuasoria del canto. Assieme alla sposa ealla possibilità di riportarla alla luce Orfeo riceve un or-dine, ma trasgredisce non per demenza o furore, maper eccesso d’amore. Si volta perché teme di non ve-derla e perché brama di rivederla. Per questo nessunalamentela della donna che muore per la seconda volta.Nell’undicesimo libro il canto di Orfeo ammalia le selve,le bestie, le pietre. Non riesce ad ammansire la furiadelle baccanti perché le loro urla selvagge impedisconola percezione del suo canto. Alla morte di Orfeo tuttala natura è in lutto. Nel finale i toni tragici si stempe-rano: nella morte i due sposi si ricongiungono, passeg-giano insieme nei luoghi dell’oltretomba e Orfeo puòvolgersi a guardare la sua amata ogni volta che vuole.

Guida alla lettura

� Riassumi la vicenda mitica come viene raccontatadai due poeti.

� Indica eventuali differenze che nel racconto dei fattihai trovato nelle due versioni.

� Secondo te la figura della donna è mortificata o me-no nella versione ovidiana rispetto a quella virgilia-na? Commenta e motiva la tua risposta.

� Perché, secondo Virgilio, Orfeo trasgredisce all’or-dine avuto?

� Perché, secondo Ovidio, Orfeo trasgredisce all’or-dine avuto?

� Perché, secondo te, Orfeo trasgredisce all’ordineavuto?

� In che consiste la forza del canto di Orfeo?

I toni ti sono sembrati più dolci in Virgilio o in Ovidio?

I toni ti sono sembrati più vivaci in Virgilio o in Ovidio?

� L’orrore dell’uccisione di Orfeo è stemperata daun’immagine di grande forza emotiva in entrambi itesti: la testa mozzata che ripete il nome dell’ama-ta. Come racconta Virgilio questa scena e quantospazio le dà? Come racconta Ovidio questa scenae quanto spazio le dà?

Lavorare sui testi

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Quando nasce il mito di Orfeo nella letteratura greca?Nella letteratura greca arcaica e classica i riferimentiad Orfeo sono rari, nonostante il mito oralmente fosseconosciuto e diffuso; non se ne fa nessun accenno ad

esempio all’interno dei poemi omerici né in Esiodo. Trai testi più antichi abbiamo un frammento di una tragediadi Eschilo incentrata però sulla uccisione di Orfeo.

Nel mito Orfeo è sempre visto come un eroe positivo?No, il personaggio di Orfeo si presta all’ambiguità.Nel Simposio il filosofo Platone (V-IV sec. a.C.) ècritico sull’eroe Orfeo che giudica un sofista, cheutilizza la parola per persuadere gli altri non per af-

fermare verità. Secondo Platone Euridice gli è statanegata dagli dèi perché il suo eros (sentimentod’amore) era falso come il suo logos (la sua parola,il suo canto).

Chi invece nel mondo greco lo ha esaltato come un eore positivo?Nel periodo ellenistico Apollonio Rodio (III sec. a. C)inserisce il personaggio di Orfeo nel poema Argonau-tiche. Nel poema di Apollonio, Orfeo partecipa al viag-gio sulla nave Argo che porterà il mitico Giasone alla

conquista del vello d’oro. Grazie al suo canto gli ar-gonauti riuscirono a superare indenni l’isola delle si-rene perché il canto di Orfeo aveva offuscato la me-lodia ammaliatrice delle sirene.

La fama di Orfeo si lega ad una tragica vicenda d’amore e di morteNon è l’impresa sulla nave Argo a dare l’immortalitàletteraria al personaggio di Orfeo, quanto la tragicavicenda d’amore e morte che lo lega alla ninfa Eu-ridice. La giovane sposa muore a causa delle avan-ces di Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, che, in-

namorato non corrisposto, continuava a dimostrarleeccessive attenzioni. Un giorno la fanciulla, corren-do per sfuggire al suo corteggiatore, mise inavver-titamente il piede su un serpente dal morso vele-noso.

Lo sguardo negatoOrfeo non si rassegnò alla perdita, penetrò negli In-feri incantando i guardiani del regno dei morti conla sua musica. La regina degli Inferi Persefone, com-mossa e sedotta dal suo canto, persuase il dio Adea consentire ad Orfeo di riportare Euridice sulla ter-ra. Ade accettò, ma ad un patto: Orfeo avrebbe do-

vuto precedere Euridice per tutto il cammino finoalla porta degli Inferi senza voltarsi mai all’indietro.Proprio vicino all’uscita dagli Inferi, Orfeo però nonriuscì a resistere al dubbio e si voltò, per vedereEuridice scomparire e tornare tra le tenebre persempre.

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La vendetta delle donneDisperato per la perdita, non volle più congiungersiad alcuna donna. Le Baccanti della Tracia, seguacidel dio Dioniso, si vendicarono assalendolo e fa-cendolo a pezzi. La sua testa venne gettata nelfiume. La testa di Orfeo continuò a cantare tra-sportata dalla corrente fino al mare, per approdare

infine all’isola di Lesbo, dove fu sepolta nel san-tuario di Apollo. A Lesbo nacque Saffo, e con leila poesia lirica. Il corpo di Orfeo venne seppellitodalle Muse ai piedi dell’Olimpo. La sua lira venneinvece infissa nel cielo e formò la costellazionedella Lira.

Il mito di Euridice c’è anche nella Commedia di Dante?Dante, oltre a Virgilio, considerava Ovidio il suo “au-tore”, tanto da gareggiare virtualmente con lui quan-do si trattava di descrivere delle metamorfosi infer-nali: conosceva quindi benissimo le Metamorfosi diOvidio. Dante nomina una volta sola Orfeo: lo scor-ge insieme agli altri poeti antichi, nel limbo (Inf. IV140). Ma in tutta l’opera dantesca è assente il mitodi Euridice, la sposa di Orfeo ineluttabilmente re-spinta indietro nell’oscurità degli Inferi. Euridice è

una specie di antimodello di Beatrice (la riecheggiaanche nel nome), di cui Dante non parla mai, forseper esorcizzare una perdita della donna amata chea lui sarebbe insopportabile: perché Dante non vuolperdere la sua donna, la vuol piuttosto ritrovare. Einfatti così è: Dante, al contrario di Orfeo, con lasua poesia è riuscito ad andare nell’oltremondo,dove ha ritrovato Beatrice per sempre, e l’ha resaimmortale.

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Il bassorilievo è la rappresentazione artistica più anticadel mito. Si tratta di una copia d’età romana di unoriginale greco risalente al V secolo a.C. I tre personaggisono accomunati da una grande tristezza. Orfeo ed Ermessono ai lati di Euridice che, col capo velato e lunga vestedrappeggiata, guarda l’amato per l’ultima volta. Il dio latiene per mano, accingendosi ad accompagnarla indietronell’oltretomba. Ermes (Mercurio per i latini) era un diopsicopompo, aveva cioè il compito di condurre agli inferile anime dei defunti.

Ermes, Euridice e Orfeo, bassorilievo marmoreo.Museo Archeologico di Napoli.

Leggere le immagini

Si tratta di un grande mosaico a tessere nere, bianche,beige, marroni, verdi, rosse e grigie di più di sei metri percinque. Il mosaico riporta al centro un grande pannellocon Orfeo che ammansisce gli animali. Orfeo è seduto suuna roccia, indossa una corta tunica di colore verde scuro,un breve mantello (clamide) ed un berretto rossi come glistivali sui calzari aderenti. Nella mano sinistra tiene unalira a quattro corde, formata da due corna di gazzella suun guscio di tartaruga. Dietro di lui un albero, sui cui ramicorti è appollaiato un uccello, costituisce l’unico elementodel paesaggio naturale, mentre il cantore è circondato daben diciannove animali: un uccello, un cane, una scimmia,un pappagallo, un toro, un leone, un serpente, unleopardo, un cervo, una tartaruga, una lucertola, unavolpe, una lepre, una cicogna, un pavone, un’ antilope, unatigre, uno struzzo ed un corvo. Tutto il mondo animalerende omaggio all’uomo poeta e musico.

Orfeo cantore tra le fiere, mosaico, fine II-inizio IIIsecolo d.C. Museo Archeologico Regionale diPalermo.

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Il melodrammaOrfeo non è solo poeta né solo suonatore di lira; ilsuo mito mostra l’indissolubile legame tra musica eparole, segno del bisogno profondo, antropologico,d’esprimere nel canto sentimenti ed emozioni e diraccontare: la letteratura nasce legata alla musica,col canto degli antichi aedi, dei poeti lirici, del corotragico, e anche la nostra tradizione poetica delle ori-gini ce ne segnala in più modi il legame (basti pen-sare a forme metriche quali la canzone, il sonetto,la ballata della Scuola poetica siciliana). Questo spie-ga la straordinaria fortuna musicale del mito d’Orfeosino ai nostri giorni.Tra le prime opere in musica che raccontano il mitoè la Favola d’Orfeo di Angelo Ambrogino detto il Po-liziano (1454-1494) composta nel 1480 a Mantovaper uno spettacolo a corte. L’ambientazione è cam-pestre. Ade e Persefone sembrano una coppia di si-gnori rinascimentali. La scena conclusiva è uno sfre-nato e festoso baccanale, che stravolge il senso tra-gico della favola originaria. L’opera di Poliziano è l’ar-chetipo di una nuova forma di intrattenimento tea-trale che, dal Seicento, diventerà molto in voga nellecorti, formato da danza, musica e poesia.Proprio all’alba del Seicento nacque infatti un nuovogenere musicale: il melodramma, cioè uno spettacoloteatrale (-dramma) cantato e musicato (melo-).Il primo melodramma della storia fu dedicato nel1600 proprio ad Euridice, la sposa sfortunata di Or-feo (volume di Narrativa, on line 63), su musica diJacopo Peri e libretto di Ottavio Rinuccini; ma an-che il primo grande compositore di melodrammi,Claudio Monteverdi (1567-1643), dedicò un melo-dramma ad Orfeo, nel 1607. Non è un caso che lanascita del melodramma si leghi alla figura mitica diOrfeo che basa la sua forza sull’intreccio indissolu-bile di parola, canto e musica.

Meno di dieci anni dopo, nel 1616, avremo Orfeo do-lente, melodramma di Domenico Belli, e così via sinoal capolavoro settecentesco di Christoph WillibaldGluck, Orfeo ed Euridice (1762) su libretto di Ranieride Calzabigi di cui è famosa l’aria “Che farò senzaEuridice, dove andrò senza il mio bene?”.La ripresa del mito di Orfeo nel Settecento dovuta aGluck (1714-1787) e Calzabigi è importante perché,musicalmente, segna l’avvio della “riforma” dell’ope-ra in musica, avvicinabile alla “riforma” che Goldoninello stesso periodo attua per il teatro comico (vedivolume di Poesia, Modulo 6, p. 348).Il fascino del canto di Orfeo e della dolorosa storiad’amore ha continuato a ispirare compositori nei se-coli successivi. Per citare una delle opere in musicapiù conosciute del Novecento, ricordiamo Orfeo, bal-letto di Igor Stravinskij, composto nel 1947.

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La copertina dellibretto delmelodramma diMonteverdirappresentato aMantova nel1609.

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1 larve: fantasmi.2 barbaro: il dolore viene de-finito barbaro perché, comefosse fuori da ogni regola civi-le, egli non riesce a contener-lo.

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Personaggi

ORFEO contraltoEURIDICE soprano

AMORE sopranoPastori e Ninfe

Furie e spettri nell’infernoEroi ed Eroine negli Elisi

Seguaci d’Orfeo

ATTO IIScena I

ORFEODeh! placatevi con me.Furie, larve,1 ombre sdegnose…

CORONo…

ORFEO Vi renda almen pietoseil mio barbaro2 dolor.

CORO(raddolcito e con espressione di qualche compatimento)Misero giovine!Che vuoi, che mediti?Altro non abita

dasito www.librettidopera.it

Ranieri De CalzabigiOrfeo ed Euridice e il lieto fine

Orfeo ed Euridice Il melodramma Orfeo ed Euridice di Gluck-Calzabigi andò in scena nel 1762 alBurgtheater di Vienna per l’onomastico dell’imperatore Francesco I.L’azione inizia davanti alla tomba di Euridice. Motore di tutta la vicenda è Amore, a cui si deve ancheil merito del lieto fine, assente nel mito originario. Orfeo entra in un Ade terrificante, connotato da

una danza macabra di Furie e Spiriti, ma non tragico, perché anche gli esseri infernali sembrano condividere iprincipi illuministici dellacultura dell’epoca. I sovra-ni dell’Ade rappresentanoil programma politico “il-luminato” degli imperatorid’Asburgo che dichiaranodi considerare il potere co-me un compito ricevuto ineredità, da assolvere peril bene di tutti.

Sono stati antologizzati scene tratte dal II atto e dal III atto. Le animeinfernali costituiscono il coro che a mano a mano viene ammansito dalcanto melodioso di Orfeo. Più il tono del canto di Orfeo si fa appassio-nato, più il canto del coro si addolcisce. Orfeo, ammansite le anime in-

fernali, riesce a convincere i signori dell’Inferno di riportare Euridice alla vita. Euridicesegue Orfeo che, ubbidiente al vincolo del divieto, non si volta a guardarla. La donnainterpreta questo comportamento come un atto di disamore e si rifiuta di seguirel’uomo. Orfeo, che ha anche l’obbligo di non rivelare nulla all’amata, non resistealle suppliche e ai rimproveri di lei e si volta a guardarla, condannando Euridice perla seconda volta alla morte. Orfeo disperato vorrebbe morire per ricongiungersi conla sua sposa, ma interviene il dio Amore che risolve l’azione drammatica in un lietofine, rovesciando il senso del mito. Poiché Orfeo era stato fedele ai princìpi d’Amore,il dio dell’Amore gli restituirà Euridice in modo che la felicità dei due amanti diverràsegno della sua gloria.

L’opera

Il testo

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che lutto e gemitoin queste orribilisoglie funeste.

ORFEO Mille pene, ombre sdegnose,come voi sopporto anch’io;ho con me l’inferno mio,3

me lo sento in mezzo al cor.

CORO (con maggior dolcezza)Ah qual incognitoaffetto flebile,dolce a sospenderevien l’implacabilenostro furor!4

ORFEO Men tiranne, ah! voi saresteal mio pianto, al mio lamento,se provaste un sol momentocosa sia languir d’amor.5

CORO(sempre più raddolcito)Ah quale incognitoaffetto flebile,dolce a sospenderevien l’implacabilenostro furor!Le porte stridanosu’ neri cardinie il passo lascinosicuro e liberoal vincitor.6

ATTO IIIScena I

ORFEO(ad Euridice, che conduce per mano sempre senza guardarla)Vieni: segui i miei passi,unico amato oggettodel fedele amor mio.

EURIDICE(con sorpresa)Sei tu! M’inganno?Sogno? Veglio? Deliro?7

ORFEO(con fretta)Amata sposa,Orfeo son io, e vivo ancor; ti vennifin negli Elisi a ricercar; fra pocoil nostro cielo, il nostro sole, il mondodi bel nuovo vedrai.

3 l’inferno mio: metaforica-mente la grande pena d’amoredi Orfeo viene paragonata allepene che le ombre patiscononel mondo infernale.4 Ah qual incognito… no-stro furor: è un ritornello chesi ripeterà più volte. Le ombresottolineano come la dolcezzadel pianto d’amore, sentimentoa loro sconosciuto, abbia la ca-pacità di frenare la loro furiache non conosceva pietà.5 se provaste… languird’amor: solo chi ha esperienzad’amore può capire la sofferen-za di chi ama.6 al vincitor: Orfeo è chiama-to vincitore perché ha ottenutoquel che voleva: entrare nelmondo infernale per riprenderela sua amata.7 Sogno? Veglio? Deliro?: èuna climax.

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EURIDICE(sospesa)Come! ma con quale arte?8

ma per qual via?

ORFEOSapraitutto da me;(con premura)per oranon chieder più, meco t’affretta, e il vanoimportuno timor dall’alma sgombra:ombra tu più non sei, io non son ombra.

EURIDICEChe ascolto! e sarà ver? Pietosi numi,qual contento è mai questo! Io dunque, in braccioall’idol mio, fra’ più soavi laccid’Amore e d’Imeneo,9

nuova vita vivrò!

ORFEOSì, mia speranza;ma tronchiam le dimore,10

ma seguiamo il cammin. Tanto è crudelela fortuna con me, che appena io credodi possederti; appenaso dar fede a me stesso.

EURIDICE(mesta e risentita, ritirando la mano da Orfeo)E un dolce sfogodel tenero amor mio, nel primo istanteche tu ritrovi me, ch’io te riveggo,11

t’annoia,12 Orfeo!

ORFEOAh! non è ver, ma… sappi…senti… (oh legge crudel!)13 bella Euridice,inoltra i passi tuoi.

EURIDICEChe mai t’affannain sì lieto momento?14

ORFEO(Che dirò! lo preveddi; ecco il cimento.)15

EURIDICENon mi abbracci! non parli!(tirandolo perché la guardi)Guardami almen. Dimmi: son bella ancoraqual era un dì? vedi: che forse è spentoil roseo mio volto? Odi: che forses’oscurò quel che amastie soave chiamastisplendor de’ sguardi miei?

8 con quale arte?: con qualeartificio?9 Imeneo: Imeneo è la divini-tà che presiedeva alle nozze.10 tronchiam le dimore:Rompiamo gli indugi, affrettia-moci.11 riveggo: rivedo.12 t’annoia: Euridice rimpro-vera Orfeo di essersi stancato dilei nell’attimo stesso in cui l’harivista.13 oh legge crudel!: Orfeo la-menta l’obbligo di non potersvelare nulla a Euridice. Tra pa-rentesi sono gli a parte: cioè leespressioni che il personaggionon rivolge all’altro ma a sestesso.14 mai t’affanna… lieto mo-mento: Euridice non riesce acomprendere come mai Orfeosia così teso in un momentotanto lieto.15 il cimento: a parte Orfeodice che la vera prova è que-sta.

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ORFEO(Più che l’ascolto,meno resisto: Orfeo coraggio.)16 Andiamo,mia diletta Euridice; or non è tempodi queste tenerezze; ogni dimoraè fatale per noi.

EURIDICEMa… uno sguardo solo…

ORFEOÈ sventura il mirarti.

EURIDICEAh infido!17 E questeson l’accoglienze tue! mi nieghi un sguardo,quando dal caro amantee dal tenero sposoaspettarmi io dovea gli amplessi e i baci!

ORFEO(sentendola vicina, prende la sua mano e vuol condurla)(Che barbaro martir!) Ma vieni e taci.

EURIDICE(ritira la mano con sdegno)Ch’io taccia! e questo ancorami restava a soffrir! dunque hai perdutala memoria, l’amore,la costanza, la fede!… E a che svegliarmidal mio dolce riposo, or che hai pur spentequelle a entrambi sì cared’Amore e d’Imeneo pudiche faci!18…Rispondi, traditor.

ORFEOMa vieni e taci.

[Duetto19]

ORFEOVieni: appaga il tuo consorte.

EURIDICENo: più cara è a me la morte,che di vivere con te.

ORFEOAh crudel!

EURIDICELasciami in pace…

ORFEONo: mia vita, ombra seguaceverrò sempre intorno a te.

EURIDICEMa perché sei sì tiranno?

16 Più che l’ascolto… Orfeocoraggio: anche questi versicostituiscono un a parte.17 Ah infido: Euridice nonpuò capire perché Orfeo abbiadefinito ‘sventura’ il guardarla,e dice di non potersi fidare dilui.18 E a che svegliarmi… faci:a che è valso svegliarla dal son-no della morte se doveva spe-gnere le luci dell’amore nuzia-le, che erano state care ad en-trambi?19 Duetto: il duetto è un bra-no musicale per due voci soli-ste, con o senza accompagna-mento strumentale. Il termineindica interpretazioni vocali adue che cantano alternandosi.

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ORFEOBen potrò morir d’affanno,ma giammai dirò perché.

[Insieme20]

ORFEOGrande, o numi, è il dono vostro,lo conosco e grato sonoma il dolor, che unite al dono,è insoffribile per me.

EURIDICEGrande, o numi, è il dono vostro,lo conosco e grata sonoma il dolor, che unite al dono,è insoffribile per me.

[…]

ORFEOChe affanno!… Oh comemi si lacera il cor! Più non resisto;smanio, fremo, deliro21… ah mio tesoro!…

(si volta con impeto e la guarda)

EURIDICE(alzandosi con forza e tornando a cadere)Giusti dèi, che m’avvenne. Io… manco… io… mo… ro…

(more)

ORFEOAhimè! dove trascorsi! Ove mi spinseun delirio d’amor!…(le s’accosta con fretta)Sposa!… Euridice!…(la scuote)Euridice!… Consorte! ah più non vive,la chiamo in van, misero me, la perdo,e di nuovo e per sempre! oh legge! oh morte!oh ricordo crudel! non ho soccorso,non m’avanza consiglio. Io veggo solo(oh fiera vista!) il luttuoso aspettodell’orrido mio stato;saziati sorte rea, son disperato.

[– Aria22]

ORFEOChe farò senza Euridice!Dove andrò senza il mio ben!Euridice! Oh dio! rispondi,io son pure il tuo fedel.Euridice! Ah! non m’avanzapiù soccorso, più speranzané dal mondo, né dal ciel!

20 Insieme: il termine indicainterpretazioni vocali a due checantano insieme.21 smanio, fremo, deliro: èuna climax.22 Aria: in campo musicaleper “aria” si intende un brano,quasi sempre per voce solista,articolato in strofe o sezioni.Nella storia dell’opera essa sicontrappone al recitativo e rap-presenta un momento in cui laforma musicale prende il so-pravvento sull’azione e sul dia-logo.

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Che farò senza Euridice!Dove andrò senza il mio ben!

Orfeo senza Euridice decide di morire per ricongiungersi con la sua sposa, mainterviene il dio Amore che risolve l’azione drammatica in un lieto fine, rove-sciando il senso del mito.Poiché Orfeo era stato fedele ai principi d’Amore, il dio dell’Amore gli restituiràEuridice e la felicità dei due amanti gli darà eterna gloria.

AMOREMi desti prova di tua nobil fé;23

più non sarai, per mia gloria, infelice:Euridice ti rendo!Essa risorga e sia congiunta a te.

[…]

ATTO IIIScena III

COROTrionfi Amore,e il mondo interoserva all’imperodella beltà.

EURIDICELa gelosiastrugge e divora;ma poi ristorala fedeltà.E quel sospettoche il cor tormenta,alfin diventafelicità.

COROTrionfi Amore,e il mondo interoserva all’imperodella beltà.23 fé: fedeltà.

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Questo dipinto rappresentacon particolare intensitàl’episodio dello sguardo fataleche condanna Euridice agliinferi per sempre, ma conun’inversione di parti: non èOrfeo a volgere lo sguardoverso Euridice, ma è la donnache, abbracciando conpassione il suo uomo, sembrachiedergli di guardarla,mentre questi, turbato e congli occhi chiusi, tenta disottrarsi allo sguardo e diallontanarla da sé.Frederick Leighton (1830-1896), è stato uno scultore epittore inglese le cui opere,preferibilmente a soggettostorico, biblico e mitologico,sono tra gli esempi artisticipiù raffinati dell’Ottocentoinglese.

Frederick Leighton, Orfeo ed Euridice, 1864. LeightonHouse Museum, Londra.

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Gli autori Il librettista Ranieri Simone Francesco Maria de’ Calzabigi (1714-1795) èstato un poeta e librettista italiano. Iniziò a dedicarsi all’attività librettistica nel 1743 aNapoli. A causa del suo coinvolgimento in un processo penale, fu costretto a lasciare lacittà per Parigi, dove conobbe Pietro Metastasio, poeta e librettista italiano. Nel 1761lasciò la Francia per la città di Vienna, capitale dell’impero degli Asburgo, dove conobbeil compositore Christoph Willibald Gluck. Per Gluck scrisse tre libretti d’opera (di cui Orfeoed Euridice è il più famoso) e contribuì attivamente, grazie alla scrittura di libretti d’altovalore poetico, alla “riforma” del melodramma gluckiana.Il compositore Christoph Willibald Gluck (1714-1787) è stato un compositore tedesco.Conosciamo poco della sua formazione: probabilmente seguì lezioni di organo e di clavi-cembalo presso il collegio dei Gesuiti di Komatau, dove imparò anche a suonare il violinoe il violoncello. Quello che è certo è che, per seguire la sua passione per la musica, fuggìda casa guadagnandosi da vivere come cantore e suonatore ambulante nelle chiese enelle piazze. Lavorò come compositore a Praga, a Vienna, a Milano, a Londra.Nel 1752 ritornò a Vienna dove, chiamato a dirigere un’importante orchestra, tranne qual-che intervallo di vita parigina, rimase fino alla morte. Orfeo ed Euridice, su libretto di Cal-zabigi, fu la sua opera di maggior successo.

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Ranieri De Calzabigi Orfeo ed Euridice e il lieto fine

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Le formeLa musica in un melodramma assume la parte più au-torevole, ricca di suggestioni, ma il significato è affidatoal testo, parole tradotte in musica attraverso il canto,che diviene un mezzo cui affidare il piacere dell’inven-zione fantastica e il coinvolgimento emotivo e senti-mentale del pubblico. Vi sono le voci soliste di Orfeoed Euridice (rispettivamente contralto e soprano), checantano in dialoghi, duetti e arie, la voce di Amore (so-prano) che come il deus ex machina del teatro anticotutto risolve, e la voce del coro.

I temiNel brano proposto dell’atto II, si coglie il passaggiodalla furia implacabile delle ombre infernali alla com-passione nello sfumare della violenza del «No» inizialesino alla resa «le porte si aprano al passo del vincitor».La dolcezza del canto ha vinto la furia. Il sentimentod’amore vince su ogni altro sentimento.Nell’atto III è di scena l’impossibilità di comunicare: idue sposi intrecciano un drammatico dialogo, nel quale

Euridice assume un ruolo decisivo. Poiché Orfeo nonsolo non guarda Euridice, ma non può dirle del divieto,Euridice, pensando che lui sia rimasto deluso e disa-morato nel rivederla, si rifiuta di seguirlo: «No, più caraè a me la morte, che di vivere con te»; segue un duettoin cui i due sposi cantano le stesse parole, ma con si-gnificato diverso:

Grandi, o Numi, è il dono vostro,Lo conosco e grato/grata son,Ma il dolor che unite al dono,È insoffribile per me.

Orfeo per esprimerle il suo amore si volta, l’amore de-creta la morte di Euridice. Qui abbiamo la celebre aria«Che farò senza Euridice?» (che verrà citata nel raccontodi Gesualdo Bufalino Il ritorno di Euridice, vedi p. 25 diquesto on line). Ma imprevedibilmente sarà semprel’amore a decretare la vita. Interviene il dio Amore cherisolve l’azione drammatica nel lieto fine, riconoscendola fedeltà di Orfeo ai princìpi stessi dell’amore. L’attoe l’opera si concludono col canto di trionfo di Amore.

Guida alla lettura

Per comprendere� Riassumi il contenuto dei brani letti.

� Sottolinea i versi in rima.

Che cosa è un ritornello? Trova nei versi un ritor-nello. Da chi è pronunciato?

� Metti in costruzione diretta i seguenti due versi:

Mille pene, ombre sdegnose,come voi sopporto anch’io

� L’espressione in costruzione diretta ha secondo tela stessa forza emotiva?

� Le didascalie indicano in successione come il corosi addolcisca sempre più. Mostra nel testo da qualielementi ricavi la maggiore dolcezza.

� Elenca gli argomenti portati da Orfeo per convinceregli spiriti infernali.

� Cosa è un’aria?

� Fai la parafrasi dell’aria

Che farò senza Euridice!Dove andrò senza il mio ben!Euridice! Oh dio! rispondi,io son pure il tuo fedel.Euridice! Ah! non m’avanzapiù soccorso, più speranzané dal mondo, né dal ciel!Che farò senza Euridice!Dove andrò senza il mio ben!

Per interpretare

� Per quale motivo Amore premia Orfeo?

� Che differenza c’è tra Amore e amore?

Lavorare sul testo

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In alto la bocca di Orfi gri-da il nome della fanciullache sembra non sentirlo eche continua il suo fataleandare. La porta chiusanon è un ostacolo per lei.Il suo viso, come la sua im-magine, viene risucchiatoall’interno.

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daD. Buzzati, Poema a fumetti,Mondadori, Milano 2007

Dino BuzzatiUn poema a fumetti

Poema a fumetti Nell’era della piena modernità la geografia dell’Ade assume i connotati di unacittà industriale, una Milano paradossalmente priva di caos, nel Poema a fumetti di Dino Buzzati, unfumetto dai contenuti profondi che contrastano con la leggerezza del genere. Fu lo stesso Buzzati,anche abile pittore, a disegnare nel 1969 le strisce a fumetti del suo poema. Protagonisti del mito

moderno sono Orfi uncantautore, l’unico poetacapace di incanto nel-l’epoca della modernità, eEura, la sua ragazza.

Una fredda notte di marzo Orfi vede un tassì fermarsi dinanzi a una mi-steriosa villa proprio di fronte alla sua casa, in via Saterna, una imma-ginaria via del centro di Milano. Dal tassì scende Eura che entra nellavilla attraversando una porta chiusa senza aprirla, come uno spirito.

L’opera

Il testo

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L’indomani Orfi, venuto a conoscenza della morte improvvisa di Eura, si reca atarda notte di fronte la porta che Eura aveva attraversato, portando con sé la chitarraper sentirsi più forte. Un uomo, che poi scompare, gli vieta l’ingresso, ma Orfichiede col suo canto alla porta di aprirsi.«Perché?». Gli ripete più volte una voce d’oltretomba. «Perché là dietro c’è lei / sec’è lei io non ho paura / anche se tutti sanno / che di notte o di giorno / di là nonesiste ritorno».La porta si apre e Orfi entra in un moderno Ade, che non è altro che una Milanoriprodotta: un aldilà popolato dal suo mondo. Una donna senza veli lo accompagnanel paese della morte, definita la vecchia signora che distrugge i piaceri e disperdele liete compagnie. Il diavolo custode è una giacca vuota che gli chiede di cantareun canto che ricordi ai morti tutto ciò che essi non hanno più.

Il canto di Orfi si dispiega lungo sessantasette pagine; canta le delusioni, le angosce,le paure che accompagnano i vivi nel loro cammino: bassezze e nobiltà che alber-gano nel cuore di tutti, consce e inconsce. E il suo canto svela che la dimensioneautentica della vita sta proprio nella consapevolezza della fine; ogni cosa acquistasenso solo nella coscienza che dovrà finire, ribaltando l’interpretazione di Pavese:

La tavola è divisa in due.Nella parte superiore lagiacca, morbida come sefosse indossata da un cor-po inconsistente, e nellaparte inferiore le domandeche la giacca pone ad Orfi,il suo invito ad affacciarsia guardare dalla finestrae, tra le parole, delineato ilprofilo della città conosciu-ta con i suoi simboli: il Ca-stello Sforzesco, le gugliedel Duomo, case, ciminie-re, grattacieli. Sembra chetra il mondo conosciuto el’oltretomba non ci sia dif-ferenza.

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Page 23: Orfeo Ed Euridice

là la consapevolezza della morte toglieva senso alla vita, qui il senso della vita losi coglie proprio attraverso la consapevolezza della morte.Orfi in virtù del suo canto viene lasciato passare nell’inferno e gli vengono concesseventiquattro ore per trovare Eura: uno spazio di tempo in un mondo senza tempo.Trovatala, la perde, ma non per suo errore o per sua volontà; sarà Eura a non volerloseguire perché appartenente ormai ad una dimensione altra. Nessun patto, nessundivieto. La morte è morte e non si vince. Trascorso inesorabilmente il tempo, Orfisi ritroverà vivo in via Saterna, dinanzi alla sua casa. Dinanzi a lui è lo stesso uomodella sera prima gli dice di non tormentarsi perché quello che ha visto è solamentesogno. Orfi però si ritrova stretta nella mano una piccola ma reale testimonianza:l’anello sfuggito a Eura nel tentativo disperato di trascinarla con sé.

L’immagine è molto sugge-stiva. Scaduto il tempo, Or-fi è trascinato verso l’altoda un vortice che crea unmovimento a spirale sullosfondo della città inferna-le. Stringe la mano di Eura,ma il corpo della fanciullaresta fuori dal vortice esembra porre resistenza aseguirlo.

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La pagina presenta dueimmagini in successione.Nella prima immagine lemani sono ancora unite,nella seconda le mani chesi separano segnano il mo-mento tragico del distacco,della perdita definitiva. Maun oggetto è passato dauna mano all’altra, dalmondo dei morti a quellodei vivi, a dimostrazioneche non si è trattato di unsogno.

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L’autore Dino Buzzati (1906-1972) nacque a S. Pellegrino, vicino Belluno, da una famigliadell’agiata borghesia. La famiglia risiedeva a Milano e la villa presso Belluno era luogo divacanza, amato e sempre ricordato. Seguì gli studi di Giurisprudenza per volontà del padre,docente di Diritto internazionale, ma le sue grandi passioni erano la pittura e la scrittura.All’età di 22 anni intraprese la carriera giornalistica presso il «Corriere della Sera», doverimase tutta la vita, non sottraendosi mai agli incarichi del semplice cronista o al lavorodi redazione, pur divenuto scrittore di fama. Nel 1939, agli inizi della prima guerra mondiale,fu inviato speciale in Etiopia, e l’anno successivo scrisse e pubblicò il romanzo Il desertodei Tartari, il suo capolavoro narrativo, un romanzo dall’atmosfera allucinata in cui il pro-tagonista vive nell’attesa dell’aggressione di un nemico inesistente. Nel 1958 vinse il pre-stigioso premio Strega con un libro di racconti, dove risultava evidente la capacità di con-centrare nel breve spazio di un racconto atmosfere enigmatiche e inquiete. Si dedicò ancheal disegno e alla pittura, sempre inseguendo la sua vena surreale.

Le formeLa novità del poema di Buzzati sta nel mezzo formale,il fumetto, un fumetto colto, con disegni originali e sur-reali dai toni tenui. Abbondano nel fumetto le nuditàdi corpi femminili, ma anche Dante popola l’Inferno di«anime lasse e nude».

I temiLa novità del poema di Buzzati sta nella conclusione:Eura rimane nel mondo dei morti non più a causa delgesto di Orfi, ma perché è lei stessa ad accettare lalegge della morte.Orfi rappresenta l’artista il cui destino è la solitudine.La sua impresa fallisce perché l’arte è impotente difronte l’ineluttabilità della morte.

Guida alla lettura

Per comprendere e interpretare� Descrivi ciò che vedi nella prima immagine.

� Il muro è scalcinato. Quale potrebbe esserne il si-gnificato simbolico secondo te?

Perché l’ingresso all’Ade ha il diminutivo «portici-na»? Quale potrebbe esserne il significato?

� Sotto l’immagine appare la scritta «come fosse sta-ta uno spirito». Si tratta di una similitudine vera ofalsa?

� Nelle immagini Orfi ha sempre con sé la sua chi-tarra. Cosa rappresenta la chitarra per lui, e cosarappresenta per il lettore? Si tratta comunque in

ogni caso di esprimere la tua personale interpreta-zione e la tua sensazione.

� Perché l’Ade ha i contorni della città dove Orfi vive?

� Nell’immagine del vortice le linee curve contrastanocon i disegni lineari e geometrici dello sfondo. Ciòdà all’immagine

movimento staticità

� Cosa manca alla mano di Eura nell’immagine finale?

Per interpretare

� Scrivi un breve racconto che leghi le immagini leune alle altre.

A B

Lavorare sul testo

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1 barcaiolo: è Caronte, tra-ghettatore delle anime infernalianche nella Divina Commediadi Dante.2 alzaia: grossa fune che serveper rimorchiare barche e bar-coni dalla riva di fiumi.3 colore sulfureo: giallastro.4 marna: roccia sedimentaria

formata da calcare e argilla, dicolore grigio-giallastro.5 pozzolana: roccia formatada lapilli e ceneri vulcaniche,di colore grigio o bruno rossa-stro.6 laschi: morbidi.7 lo stesso fiume: è lo Stige,uno dei tre fiumi che cingeva-

no il mondo infernale, comel’Acheronte e il Cocito.8 arrotolarsi… con una pi-grizia di serpe: il fiume richia-ma metaforicamente l’immaginedi un serpente. L’acqua scorrelenta, pigra. Anche Virgilio parladi «tarda unda» ‘acque lente, pi-gre’ (Georgiche, IV 479-480).

9 cul di sacco: modo di diremetaforico per indicare un vi-colo cieco, una strada senzauscita.10 s’era aggricciata: era rab-brividita.11 scorpione: si tratta di unserpente secondo la versione diVirgilio e di Ovidio.

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Era stanca. Poiché c’era da aspettare, sedette su una gobba dell’argine, in vista delpalo dove il barcaiolo1 avrebbe legato l’alzaia.2 L’aria era del solito colore sulfureo,3

come d’un vapore di marna4 o di pozzolana,5 ma sulle sponde s’incanutiva in fiocchilaschi6 e sudici di bambagia. Si vedeva poco, faceva freddo, lo stesso fiume7 nonpareva scorrere ma arrotolarsi su se stesso, nella sua pece pastosa, con una pigriziadi serpe.8 Un guizzo d’ali inatteso, un lampo nero, sorse sul pelo dell’acqua e scom-parve. L’acqua gli si richiuse sopra all’istante, lo inghiottì come una gola. Chissà, ilvolatile, com’era finito quaggiù, doveva essersi imbucato sottoterra dietro i passie la musica del poeta.

“Il poeta” … Era così che chiamava il marito nell’intimità, quando voleva farloarrabbiare, ovvero per carezza, svegliandosi al suo fianco e vedendolo intento asolfeggiare con grandi manate nel vuoto una nuova melodia. “Che fai componi?”Lui non si sognava di rispondere, quante arie si dava. Ma com’era rassicurante ecara cosa che si desse tante arie, che si lasciasse crescere tanti capelli sul collo eli ravviasse continuamente col calamo di giunco che gli serviva per scrivere, e chenon sapesse cuocere un uovo… Quando poi gli bastava pizzicare due corde e mo-dulare a mezza voce l’ultimo dei suoi successi per rendere tutti così pacificamente,irremissibilmente felici …

“Poeta” … A maggior ragione, stavolta. Stavolta lei sillabò fra le labbra la parolacon una goccia di risentimento. Sventato d’un poeta, adorabile buonannulla … Vol-tarsi a quel modo, dopo tante raccomandazioni, a cinquanta metri dalla luce … Siguardò i piedi, le facevano male. Se mai possa far male quel poco d’aria di cui sonofatte le ombre.

Non era delusione, la sua, bensì solo un quieto, rassegnato rammarico. In fondonon aveva mai creduto sul serio di poterne venire fuori. Già l’ingresso – un cul disacco9 a senso unico, un pozzo dalle pareti di ferro – le era parso decisivo. La morteera questo, né più né meno, e, precipitandovi dentro, nell’attimo stesso che s’eraaggricciata10 d’orrore sotto il dente dello scorpione,11 aveva saputo ch’era per sem-

daG. Bufalino, L’uomo invaso,Bompiani, Milano 2001

Gesualdo BufalinoIl ritorno di Euridice

Il ruolo dell’artista, il suo potere d’incanto e la sua inettitudine sonoancora una volta oggetto d’indagine nel racconto leggero e ironico diGesualdo Bufalino.Il racconto uscì per la prima volta su «la Repubblica» il 17 luglio 1984,

nella rubrica “Racconti d’estate”. Venne poi inserito nella raccolta L’uomo invaso,pubblicata nel 1986.L’ambigua e colta versione di Bufalino fa della vicenda di Orfeo ed Euridice il luogoideale per una riflessione sull’arte, autenticità o finzione, e sull’artista, vate incan-tatore o «adorabile buonannulla».

Il testo

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pre, e che stava nascendo di nuovo, ma alla tenebra e per sempre.12 Allora s’era av-vinta agli uncini malfermi della memoria, s’era aggrappata al proprio nome, penduloper un filo all’estremità della mente, e se lo ripeteva, Euridice, Euridice, nel mulinellovorticoso, mentre cascava sempre più giù, Euridice, Euridice, come un ulterioreobolo13 di soccorso, in aggiunta alla moneta piccina che la mano di lui le aveva na-scosto in bocca all’atto della sepoltura.

Tu se’ morta, mia vita, ed io respiro?Tu se’ da me partitaper mai più non tornare ed io rimango?

Così aveva gorgheggiato lui con la cetra in mano e lei da quella monodia s’erasentita rimescolare. Avrebbe voluto gridargli grazie, riguardarselo ancora amoro-samente, ma era ormai solo una statuina di marmo freddo, con un agnello sgozzatoai piedi, coricata su una pira di fascine insolenti. E nessun comando che si sforzassedi spedire alle palpebre, alle livide labbra, riusciva a fargliele dissuggelare14 un mo-mento.

Della nuova vita, che dire? E delle nuove membra che le avevano fatto indossare?Tenui, ondose, evasive come veli…

Poteva andar meglio, poteva andar peggio. I giochi con gli aliossi,15 le partite dicarte a due, le ciarle donnesche16 con Persefone17 al telaio; le reciproche confidenzea braccetto per i viali del regno, mentre Ade18 dormiva col capo bendato da uncasco di pelle di capro… Tutto era servito, per metà dell’anno almeno, a lenire l’ug-gia19 della vita di guarnigione.20 Ma domani, ma dopo?

Guardò l’acqua. Veniva, onda su onda (e sembravano squame, scaglie di pesce),a rompersi contro la proda.21 Scura, fradicia acqua, vecchissima acqua di stagno,battuta da remi remoti. Tese l’orecchio: il tonfo delle pale s’udiva in lontananza bat-tere l’acqua a lenti intervalli, doveva essere stufo, il marinaio, di tanti su e giù …

Mille e mille anime s’erano raccolte, frattanto, e aspettavano. Anche a mettersiin fila, sarebbero passate ore prima che giungesse il suo turno. “Non ci sono pre-cedenze per chi ritorna?” si chiese con un sorriso, benché non avesse fretta, ormaiche c’era, di rincasare. Erano mille e mille, le anime, e aspettavano tremando difreddo e starnazzando, con una sorta d’impazienza affamata. Il fuoco che brillavain mezzo a loro, va a sapere come avevano fatto ad accenderlo, ad attizzarlo, conche pietre focaie22 e pigne di pino. E vi si scaldavano attorno, l’aria di fiume è nocivaai corpi spogliati.

Sorrise ancora. Come se i reumi avessero ancora corso, fra i morti. Benché a leisarebbe piaciuto lo stesso consolarsi le palme a quella fiamma, mescere la sua voce– un pigolio – al pigolare degli altri. Non lo fece, non s’avvicinò al bivacco,23 preferivarestare sola a pensare. Poiché un disagio, lo stesso che lascia un cibo sbagliato, lefaceva male sotto una costola, e lei sapeva che non era il cruccio della vita ripersa,della risurrezione andata a male, era un altro e curioso agrume, un rincrescimento,

12 stava nascendo di nuovo,ma alla tenebra e per sem-pre: la morte è vista come unanascita al contrario. Se la nasci-ta significa uscire alla luce periniziare una vita che ha una du-rata. La morte significa entrarenelle tenebre e restarci perl’eternità.13 obolo:: antica moneta gre-ca di poco valore. Si ritenevache fosse il prezzo richiesto daCaronte per il passaggio versoil regno dei morti. Ecco perché,secondo la tradizione, la mone-tina si poneva sotto la linguadel morto all’atto della sepoltu-ra.14 dissuggellare: schiudere.15 i giochi con gli aliossi: glialiossi sono dei piccoli ossicini,per la precisione ossa triango-lari della caviglia, che gli antichiGreci e poi i Romani usavanoper le loro divinazioni. Si get-tavano in aria gli ossicini e si“leggeva” il futuro. Con l’anda-re del tempo questa arte magi-ca è diventata un gioco, sia un

gioco di bambini che un giocod’azzardo. Gli strumenti di gio-co erano costituiti da tre picco-le ossa: le rotule di agnelli. Essesi facevano essiccare al sole epoi potevano essere usate peril gioco. Si lanciavano in aria e,a secondo delle posizioni cheassumevano cadendo, decide-vano la vincita o la perdita deigiocatori.

16 ciarle donnesche: chiac-chiere fra donne.17 Persefone: vedi nota 7 daOvidio, p. 6 di questo on line.18 Ade: è il dio dell’oltretom-ba, figlio di Crono e Rea, fratel-lo di Zeus e Posidone. Combat-tè e vinse i Titani. Detto anchePlutone. Per estensione il suonome designa l’oltretomba.19 uggia: noia, tedio.

20 vita di guarnigione: vitasempre uguale, regolata comein una caserma.21 proda: sponda.22 pietre focaie: varietà dipietra che, sfregata con forzal’una con un’altra, producescintille.23 bivacco: luogo dove le ani-me sostavano in attesa di esse-re traghettate.

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incapace per ora di farsi pensiero, ma ostinato a premere dentro in confuso, comepreme un bambino non nato, putrefatto nelle viscere, senza nome né sorte. E leinon sapeva come chiamarlo, se presagio, sospetto, vergogna…

Ricapitolò la sua storia, voleva capire.

A ripensarci, s’era innamorata di lui tardi e di controvoglia. Non le garbava, al-l’inizio, che le altre donne gli corressero dietro a quel modo, insieme alle bestie,alle belve. Doveva essere un mago, quell’uomo, un seduttore d’orecchi, un acca-lappiatopi da non fidarsene. Con l’eterno strumento a tracolla, la guardata indiscreta,la parola ciarlatana. Poi, una sera di molta luna, trovandosi in un boschetto ad andare,trasognata secondo il suo costume, coi piedi che le passeggiavano qua e là, temeraricon tante angui24 latenti nell’erba, a un certo punto, dentro il fitto d’alberi doves’era cercata una cuccia di buio, un filo di musica s’era infilato, via via sempre piùteso e robusto, fino a diventare uno spago invisibile che la tirava, le circondava lemembra, gliele liquefaceva in un miele umido e tiepido, in un rapimento e manca-mento assai simile al morire. Né s’era svegliata prima che le grosse labbra di lui, lapotenza di lui, le si fossero ritirate lentamente di dosso.

Lo amò, dunque. E le nozze furono di gala, con portate a non finire e crateri divino nero. Turbate da un solo allarme irrisorio: quella torcia che, sebbene Imenel’agitasse con entrambe le mani, non s’avvivava ma continuava a eruttare tutt’intornopennacchi di brutto fumo.25

Dopo di che c’erano stati giorni e notti celesti. Lui sapeva parole che nessunaltro sapeva e gliele soffiava fra i capelli, nei due padiglioni di carne rosea, comeun respiro recondito, quasi inudibile, che però dentro di lei cresceva subito intuono e rombo d’amore. Era un paese di nuvole e fiori, la Tracia dove abitavano, elei non ne ricordava nient’altro, nessuna sodaglia26 o radura27 o petraia,28 solo nuvolein corsa sulla sua fronte e manciate di petali, quando li strappava dal terreno coipugni, nel momento del piacere. Giaceva con lui sotto un’ampia coppa di cielo, suun letto di foglie e di vento, mirando fra le ciglia in lacrime profili d’alberi vacillare,udendo un frangente29 lontano battere la scogliera, una cerva bramire nel sottobo-sco. Si asciugava gli occhi col dorso della mano, li riapriva. Lui glieli chiudeva conun dito e cantava. Ecco già si fa sera, ora negli orti l’oro dei vespri s’imbruna, laluna s’elargisce dai monti,30 palpita intirizzita fra le dita verdi dell’araucaria…31 Eu-ridice, Euridice! E lei gli posava la guancia sul petto, vi origliava uno stormire diradici, e battiti, anche, battiti lunghi d’un cuore d’animale o di dio.

Lo aveva amato. Anche se presto aveva dubitato d’esserne amata altrettanto.Troppe volte lui s’eclissava su per i gioghi del Rodope32 in compagnia d’un popolodi fanciulli che portavano al polso una fettuccia rossa;33 o scendeva giù a valle, versola marina, pavoneggiandosi del suo corteo d’usignoli stregati,34 stregato lui stessodalle cantilene che gli nascevano. Senza dire mai dove andava, senza preoccuparsidi lasciarla a corto di provviste, deserta d’affetto, esposta ai salaci approcci di unmandriano35 del vicinato. Si fosse degnato di adontarsene, almeno, di fare una scenata.Macché. Si limitava, tanto per la forma, a intonare un lamento dell’amor geloso, dicui, dopo un minuto, s’era già scordato. Quand’è così, una si disamora, si lascia

24 angui: serpenti.25 quella torcia… brutto fu-mo: l’episodio è raccontato daOvidio.26 sodaglia: terreno sassoso oincolto.27 radura: spazio aperto in unbosco o in una foresta.28 pietraia: terreno pietroso.29 frangente: onda.30 Ecco già si fa sera… la lu-na s’elargisce dai monti: iversi del canto di Orfeo fannoeco a una poesia di Gabrieled’Annunzio La sera fiesolana

(1899): Fresche le mie parole nela sera. / ti sien come il fruscíoche fan le foglie. / del gelso nela man di chi le coglie. / silen-zioso e ancor s’attarda a l’opralenta. / su l’alta scala che s’an-nera. / contro il fusto ches’inargenta. / con le sue rame

spoglie. / mentre la Luna èprossima a le soglie. / […].31 araucaria: è una specie ar-borea.32 Rodope: monte a nord del-la Tracia.33 fettuccia rossa: come il se-gno distintivo del poeta.

34 d’usignoli stregati: usi-gnoli è una metafora. I giovanicantori sono ammaliati dal can-to di Orfeo.35 mandriano: si riferisce alcorteggiamento di Aristeo, chenel mito era sì un allevatore,ma di api.

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andare, sicché, negli ultimi tempi, lei s’era trascurata, si faceva vedere in giro con lechiome secche, male truccata, con la pelle indurita dai rovi, dalle tramontane. E seb-bene ad Aristeo rispondesse sempre no e poi no, non lo diceva con la protervia diprima, ma blandamente, accettandone, addirittura, ora una focaccia di farro, ora unrustico mazzolino. Salvo a scappare, appena quello dimostrasse cupamente nei po-melli qualche porpora di vino o di desiderio. Finché era morta così, mentre gli scap-pava davanti, pestando con piante veloci la mala striscia36 nell’erba.

Maledetta erba… Il pensiero le si volse di nuovo a Persefone. Un fiore di ragazza,ma sfortunata. Che anche lei s’era messa nei guai per volere andare a spasso neiprati. Un’amica a mezzo servizio, purtroppo, ma così bella quando tornava dalleferie,37 abbronzata,38 con le braccia colme di primavera, di ligustri39 a fasci, di giacinti,amaranti, garofani… E se li metteva fra i capelli, quell’ora o due che duravano; indinei portafiori, dove s’ostinava a innaffiarli con acqua di Stige, figurarsi; decidendosia buttarli nell’immondizia solo quando decisamente puzzavano…

Sfortunata ragazza. Cara, tuttavia, a uno sposo, a una madre. E che poteva per-mettersi di viaggiare, di alternare gli asfodeli40 con i narcisi,41 i coniugali granellidi melagrana42 con le focose43 arance terrene, di essere a un tempo gelo e vampa,orbita cieca e raggiante pupilla, femmina una e dea trina! …

Un clamore la riscosse. La barca era apparsa di colpo, correva sulla cima deiflutti come per il repentino puntiglio di un conducente in ritardo. E dalla riva leanime applaudivano, squittivano,44 tendevano le mani, qualcuno lanciava segnaliimpugnando un tizzone acceso. Euridice si levò in piedi a guardare. La scena era,come dire, infernale.45 Con quella prora in arrivo sulle onde bigie, e questi riverberidi fuoco nebbioso, sotto cui la folla sembrava torcersi, moltiplicarsi. E si protende-vano tutti, pronti a balzare. La chiatta46 fu subito piena, straripava di passeggeri,stretti stretti, con le braccia in alto per fare più spazio. Un grappolo di esclusi tentòancora un assalto, afferrandosi a una gomena.47 Ricaddero in acqua, riemersero afatica, fangosamente. Un posto solo era rimasto vuoto, proibito, uno stallo di legnoaccanto al vecchio nocchiero. “Euridice, Euridice!” chiamò il vecchio nocchiero.

Riaprì gli occhi. Una lingua d’acqua fredda le lambiva le caviglie. La barca eraimmobile, ora, beccheggiava a metà della corrente. Vide davanti a sé la schienanuda e curva del vecchio, ispida di peli bianchi. Da un buco del fasciame una linguad’acqua era entrata e il vecchio era curvo a vuotarla e ad incerare la falla. Che barcavecchia. Quante cicatrici, sulla vela, e rammendi d’ago maldestro. “Ero più bravaio, a cucire”, pensò. “Sono stata una buona moglie. Lo amavo, il poeta. E lui, dopo-tutto, mi amava. Non avrebbe, se no, pianto tanto, rischiato tanto per voragini e di-rupi, fra Mani48 tenebrosi e turbe di sogni49 dalle unghie nere. Non avrebbe guadatoacque, scalato erte, ammansito mostri e Moire,50 avendo per sola armatura una cla-mide51 di lino, e una semplice fettuccia rossa legata al polso.52 Né avrebbe saputospremere tanta dolcezza di suoni davanti al trono dell’invisibile Ade…”

Il peso contro il costato doleva, ora, ma lei non ne aveva più paura, sapeva co-s’era. Era una smemoratezza che le doleva, di un particolare dell’avventura recente,

36 la mala striscia: quella delcrudele serpente.37 ferie: il periodo che tra-scorreva con la madre, sulla ter-ra, nei campi.38 abbronzata: perché il sole,che non può penetrare nelmondo degli Inferi, aveva datocolore al suo viso.39 ligustri: arbusti semprever-di con fiori bianchi a grappoli.40 asfodeli: pianta erbaceacon fiori banchi a grappolo efoglie lineari, che i Greci con-sideravano sacra ai morti.Nell’oltretomba le ombre deidefunti vagavano nel prato diquesti fiori.41 narcisi: sono fiori che fio-riscono sulla terra in primave-ra.42 coniugali granelli di me-lagrana: in Oriente la melagra-na era considerata simbolo difertilità, tanto che durante i ma-trimoni i suoi chicchi venivanolanciati in aria come gesto diaugurio.43 focose: le arance sono de-finite focose per via del loro co-lore.44 squittivano: lo squittio è ilsuono che fanno i topi.45 infernale: la definizione èironicamente scontata. Come

definire altrimenti una scenadell’Inferno?46 chiatta: grosso natante usa-to per traghettare persone lun-go fiumi, laghi o canali.47 gomena: grossa fune usataper ormeggio o per rimorchiodelle imbarcazioni.48 Mani: erano divinità degliInferi.

49 turbe di sogni: folle difantasmi.50 Moire: le Moire erano divi-nità legate al regno dei morti,Ad esse era connessa l’esecu-zione del destino assegnato aciascuna persona e quindi era-no la personificazione del de-stino ineluttabile. Erano tre:Cloto, che filava lo stame della

vita; Lachesi, che lo svolgevasul fuso e Atropo che, con lecesoie, lo recideva. La lunghez-za dei fili corrispondeva allalunghezza della vita degli uo-mini.51 clamide: tunica.52 fettuccia rossa legata alpolso: segno distintivo delpoeta.

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una minuzia che aveva o visto o intuito o capito in un baleno e che il Lete53 s’eraprovvisoriamente portato via. Come una rivelazione da mettere in serbo per ricor-darsene dopo. Se ne sarebbe ricordata a momenti, certo, appena la sorsata di Leteavesse finito di sciogliersi, innocua ormai, nel dedalo delle sue vene. Era questa lalegge, anche se lei avrebbe preferito un oblio di tutto e per sempre, al posto diquesta vicenda di veglie e stupori, di queste temporanee vacanze della coscienza:come chi, sonnambulo, lascia il suo capezzale e si ritrova sull’orlo d’un cornicio-ne…

Ripensò al suo uomo, al loro ultimo incontro. Ci ripensò con fierezza. Poiché ilpoeta, era venuto qui per lei, e aveva sforzato le porte con passo conquistatore, eaveva piegato tutti alla fatalità del suo canto. Perfino Menippo,54 quel buffone, quelfool,55 aveva smesso di sogghignare, s’era preso il calvo capo fra le mani e piangeva,fra le sue bisacce di fave e lupini. E Tantalo aveva cessato di cercare con la boccale linfe fuggiasche, Sisifo di spingere il macigno per forza di poppa… E la ventosaruota d’Issione, eccola inerte in aria, come un cerchio d’inutile piombo.56 Un eroe,un eroe padrone era parso. E Cerbero57 gli s’era accucciato ai piedi, a leccargli contre lingue i sandali stanchi… Ade dalla sua nube aveva detto sì.

Rivide il sèguito: la corsa in salita dietro di lui, per un tragitto di sassi e spine,arrancando col piede ancora zoppo del veleno viperino. Felice di poterlo vederesolo di spalle, felice del divieto che avrebbe fatto più grande la gioia di riabbracciarlofra poco…

Quale Erinni,58 quale ape funesta59 gli aveva punto la mente, perché, perchés’era irriflessivamente60 voltato?

“Addio!” aveva dovuto gridargli dietro, “Addio!”, sentendosi la verga d’oro diErmete61 picchiare piano sopra la spalla. E così, risucchiata dal buio, lo aveva vistoallontanarsi verso la fessura del giorno, svanire in un pulviscolo biondo… Ma nonsì da non sorprenderlo, in quell’istante di strazio, nel gesto di correre con ditaurgenti alla cetra e di tentarne le corde con entusiasmo professionale… L’aria nonli aveva ancora divisi che già la sua voce baldamente intonava “Che farò senza Eu-ridice?”,62 e non sembrava che improvvisasse, ma che a lungo avesse studiato davantia uno specchio quei vocalizzi63 e filature,64 tutto già bell’e pronto, da esibire al pub-blico, ai battimani, ai riflettori delle ribalta…65

La barca era tornata ad andare, già l’attracco s’intravedeva fra fiocchi laschi esporchi di bruma. Le anime stavano zitte, appiccicate fra loro come nottole di ca-verna. Non s’udiva altro rumore che il colpo uguale e solenne dei remi nell’acqua.Allora Euridice si sentì d’un tratto sciogliere quell’ingorgo nel petto, e trionfalmente,dolorosamente capì: Orfeo s’era voltato apposta.

53 Lete: nella mitologia greco-romana, fiume dell’oltretombale cui acque, una volta bevute,cancellavano il ricordo della vi-ta terrena. Lo si ritrova nell’ol-tretomba dantesco.54 Menippo: scrittore e filoso-fo greco (III secolo a.C.). Fuautore di satire, imitate da Lu-ciano di Samosata che, neiDialoghi dei morti, lo introdus-se spesso come personaggio,famoso per il suo sarcasmo.Menippo era giunto nell’Adecon una bisaccia di lupini e edi fave.55 fool: ‘buffone’, ‘burlone’.56 E Tantalo… d’inutilepiombo: Tantalo era condan-nato nell’eternità degli Inferi anon poter né cibarsi né bere,nonostante fosse circondato dacibo e acqua. Tantalo, infatti,era legato ad un albero caricodi ogni qualità di frutti, in mez-zo ad un lago la cui acqua ar-rivava fino al suo mento. Manon appena Tantalo provava abere il lago si asciugava, e nonappena provava a prendere unfrutto i rami si allontanavano.Sisifo per aver osato sfidare glidèi, venne condannato per

l’eternità a spingere un massodalla base alla cima di un mon-te. Tuttavia, ogni volta che Si-sifo raggiungeva la cima, ilmasso rotolava nuovamente al-la base del monte. Ogni volta,e per l’eternità, Sisifo avrebbedovuto ricominciare da capo lasua scalata. La pena di Issioneera quella di essere legato aduna ruota di fuoco che giravasenza sosta. Ovidio nelle sueMetamorfosi descrive la loropunizione e nel X libro (vv. 41-44), ricorda la sospensione del-le loro pene dovuta al dolcecanto di Orfeo, che è il passocui si richiama Bufalino.

57 Cerbero: il cane a tre testeguardiano dell’Inferno.58 Erinni: nella mitologia gre-ca le Erinni (le Furie della mi-tologia romana) sono le perso-nificazioni della vendetta.59 ape funesta: ape dal vele-no mortale. È una metafora.60 irriflessivamente: irrazio-nalmente.61 Ermete: Ermete o Hermesera un dio che rivestiva ancheil ruolo di psicopompo, ovverodi accompagnatore dello spiritodei morti nell’aldilà. Il mito rac-conta che fosse l’unico dio oltread Ade e Persefone che avesseil potere di entrare ed uscire

dagli inferi senza problemi.62 Che farò senza Euridice?:sono i versi della famosa ariadel melodramma di Gluck(1762). Orfeo ed Euridice (vedibrano a p. 18 di questo on li-ne).63 vocalizzi: melodie o fram-menti melodici eseguiti cantan-do su una o più vocali.64 filature: intrecci di note.65 riflettori delle ribalta:all’epoca di Orfeo ed Euridicei riflettori certo non esistevanoma le “luci della ribalta” èun’espressione usata in sensofigurato per indicare la vita nelmondo dello spettacolo.

Gesualdo Bufalino Il ritorno di Euridice

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Alberto Savinio (1891-1952), scrittore e pittore italiano, fu sempreaffascinato dal personaggio di Orfeo. Era proprio l’ambiguità sottesa nellafigura di Orfeo ad affascinarlo: «Orfeo – scrive Savinio– attraverso Euridiceamava se stesso; per meglio dire amava Euridice in se stesso. Perché Orfeoera artista. Era l’artista. E l’artista è l’uomo solo per eccellenza. Come diceanche il suo nome che deriva dal greco orfanós e dal latino orbus: il Solitario».Questo dipinto, tutto giocato sui toni dell’azzurro che ricordano il mare, ritraeuna metamorfosi metaforica: la testa di Orfeo è trasformata in una lira,perché tutto il suo pensiero mirava all’armonia della musica.

Alberto Savinio, Orfeo,1929 ca.

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Le formeIl narratore onnisciente focalizza la narrazione sul per-sonaggio di Euridice. Il tempo della narrazione cominciaquando tutto è già avvenuto, con Euridice in attesa ditornare indietro nel regno eterno dei morti. La primadigressione descrittiva riguarda il paesaggio infernale:i colori sono spenti, il grigio giallastro dello zolfo e dellerocce vulcaniche, qua e là variegato da un bianco su-dicio come di bambagia sporca. Gli elementi oggettividel paesaggio fanno tutt’uno con le sensazioni sog-gettive di stanchezza e di pigrizia, o meglio, di risenti-mento, o di quieto e rassegnato rammarico.La parola «poeta» si ripete più volte, come all’inizio delsecondo e del terzo capoverso E attraverso la parola«poeta» («era così che chiamava il marito nell’intimità»)scorre all’indietro l’orologio della narrazione, ma nonin maniera lineare, piuttosto in una continua altalenatra il presente, quello dell’ombra e della morte, e la ri-costruzione del passato.L’avvio all’attività conoscitiva parte dal disagio fisico,da un dolore sotto una costola, lo stesso che lasciaun cibo sbagliato, perché ogni forma di conoscenzaparte dai sensi. Per capire le motivazioni profonde diqueste sensazioni Euridice ha bisogno di ricapitolarela sua storia d’amore.Ed ecco la voce narrante onnisciente seguire Euridiceintenta a leggere i ricordi dell’amore e del disamore,dell’estasi e delle miserie quotidiane.La voce narrante descrive il discorrere con la menteda parte di Euridice lungo le due fasi dell’attesa e delviaggio sino all’approdo, per la seconda e definitivavolta, nel mondo dei morti.Nella prima fase, quella dell’attesa, il processo cono-scitivo procede per esclusione.Nella seconda fase, quella del viaggio, il dolore fisicoc’è ancora, ma lei ora sa cos’è. È qualcosa che l’acquadel Lete le aveva momentaneamente cancellato dallamemoria, ma che presto avrebbe ripreso forma, legata

a un gesto, «che lei aveva o visto o intuito o capito inun baleno e che il Lete si era provvisoriamente portatovia»:Le citazioni letterarie sono tantissime vanno da Virgilio,a Ovidio, Dante, d’Annunzio, Calzabigi.

I temiOrfeo è il poeta per eccellenza, nel senso originariodel termine, dal greco poiein, ‘fare’, ‘produrre’, ‘coluiche fa, colui che crea’. È l’inventore della poesia e del-la musica. Ma nelle cose pratiche e quotidiane rivelatutta la sua inettitudine:Il racconto di Bufalino è critica sottile alla pretesa del-l’arte di cantare la vita. Ma dopo la ricostruzione dellavita con Orfeo filtrata dalla memoria, anche la vita stes-sa appare solo illusione, o finzione, come l’arte. Se fi-nora ci si era chiesto se il gesto di Orfeo nascesse datroppo amore per Euridice o da un eccesso d’amoredi sé, in questo racconto anche la dimensione auten-tica dell’amore affidata ad Euridice sembra vacillare.Euridice amava veramente il suo Orfeo? O era prontaal tradimento se la «mala striscia sull’erba» non avessemorso il suo piede…?Proprio nell’attimo dell’approdo, Euridice sente scio-gliere «quell’ingorgo nel petto» e «trionfalmente» (per-ché il suo processo di conoscenza l’ha portata allascoperta della verità) ma «dolorosamente» (perché sitratta di una scoperta dolorosa) capisce che «Orfeos’era voltato apposta». Orfeo era sceso nell’Ade perriappropriarsi non dell’amore ma dell’entusiasmo dipoeta cantore. Quello di Bufalino è un Orfeo che cercail dolore per farne pretesto di canto e occasione dispettacolo e di successo. Egli si è voltato apposta,per eternare il suo dolore nelle forme dell’arte. Il gestoproibito di guardare Euridice è necessario per trasfor-mare la vita in arte. Ma nella prospettiva di Euridicel’atto di voltarsi appare meschino come appaiono me-schine le ragioni che lo hanno ispirato.

Guida alla lettura

L’autore Gesualdo Bufalino, scrittore siciliano (1920-1996), durante la sua lunga carrieradi insegnante di Italiano e Storia nella scuola secondaria, scrisse prosa e versi, mapubblicò il suo primo libro, Diceria dell’untore, soltanto nel 1981. Il romanzo ottennesubito grande successo di critica e di pubblico e vinse il premio Campiello, un importantepremio letterario. Da quell’anno la pubblicazione di romanzi e racconti si susseguì intensasino a quando, nel 1996, un grave incidente stradale mise tragicamente fine alla vitadello scrittore.

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Per comprendere

� Individua nelle sequenze iniziali del racconto gli ele-menti caratterizzanti il luogo in cui si svolge l’azionee descrivilo.

� A quale tempo verbale è legato l’aspetto narrativodel racconto?

� A quali sensazioni fisiche è assimilata la sofferenzamorale di Euridice per il gesto di Orfeo?

� La storia d’amore di Orfeo e Euridice viene ricostrui-ta dalla voce narrante con focalizzazione zero o fo-calizzando sul personaggio di Euridice?

� La “catabasi” (discesa agli Inferi) di Orfeo nell’Adesi rifà alla versione di Virgilio nelle Georgiche e diOvidio nelle Metamorfosi. Evidenzia quali analogiee differenze vi siano secondo te con l’una e/o l’al-tra delle versioni.

� Il tempo del racconto è caratterizzato da digressioniriflessive e descrittive da parte della voce narrante,che ne determina una regressione verso fatti dellastoria antecedenti rispetto all’avvenimento in corsodi narrazione (flashback). Individuale e ricostruiscii diversi piani temporali: passato/presente.

Per interpretare

� Orfeo era stato secondo te in vita un buon marito?

Quando e come Euridice scopre la verità sul gestodi Orfeo?

Per quale ragione Orfeo si era voltato apposta perguardare Euridice?

La lingua

� Il racconto viene narrato in terza persona da partedi un narratore onnisciente, che conoscendo i pen-sieri e le parole del suo personaggio, spesso li ri-produce ricorrendo alla tecnica del discorso indiret-to libero, ad esempio: «Sventato d’un poeta», «ado-rabile buonannulla»… Individua le forme di discorsoindiretto libero presenti nel testo.

� Nel racconto sono presenti numerose metafore esimilitudini. Evidenziane alcune.

Per scrivere� Il racconto di Bufalino si presta ad essere dram-

matizzato. Prova a trasformarlo in un lungo mono-logo di Euridice che diviene così protagonista e ionarrante. Inserisci le parti descrittive come dida-scalie che spiegano gli elementi della scena. Unascena sarà costituita da un breve dialogo con Ca-ronte.

� Su Internet potrai trovare moltissimi dipinti di grandiartisti dedicati al mito di Orfeo e Euridice, operemusicali, il testo della canzone Euridice di RobertoVecchioni che potresti anche ascoltare su youtube.Prova a costruire un ipertesto sul tema con le indi-cazioni che puoi trovare on line per la costruzionedi un ipertesto.

Lavorare sul testo