Orchestra europea - FILARMONICA BOLOGNA

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magazine Orchestra europea Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna n.11 aprile 2016

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Orchestra europea

Filarmonicadel Teatro Comunaledi Bologna

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2016

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“È impossibile per un uomo comprendereappieno l'arte di un'epoca anteriore allapropria penetrarne il significato, aldilàdelle apparenze cadute in disuso e di unlinguaggio che non si parla più, senzaavere un sentimento comprensivo evidentedell'attualità e senza partecipare, in modocosciente, alla vita che gli palpita intorno.In realtà, solo coloro che sono veramentevivi sanno scoprire la vita presso coloro chesono "morti". Ecco perché ritengo chesarebbe più giusto, anche da un punto divista pedagogico, cominciare l'educazionedi un allievo dalla conoscenzadell'attualità, per poi risalire, solo in unsecondo tempo, i gradini della storia.”

Questo, scrive Igor Stavinskij nel suoCronache della mia vita, libro singolare,scritto in età piuttosto giovanile perrappresentare un consuntivo della propriavita, quanto piuttosto un mezzo per farconoscere al pubblico e ai critici le suescelte, al di fuori di fastidiose supposizioni,o, peggio ancora, di polemichepreconcette. Scelte che riguardavanounicamente le sue vicende artistiche, nonvolendo l’autore raccontare le proprievicende familiari e private in genere.

La lunghezza della citazione permette dicogliere bene il senso di quanto Stravinskij

intendesse dire. Ciò che mi ha colpito èl’assoluta originalità di questo punto divista: quante volte abbiamo sentito dire, eandiamo dicendo noi stessi, che senza unpreventivo studio del passato si fa fatica a“leggere” il presente?Eppure, a ben vedere, il distacco del grandepubblico dalla contemporaneità non èforse dovuto a questo volgere il capocontinuamente all’indietro, per quantastrada in avanti si possa fare? Si è forsepersa la capacità di interagire con ilpresente, nel momento in cui si è deciso dimonumentalizzare il passato.

Non so se Stravinskij, diciamo così,parlasse sul serio o avesse più un intentoprovocatorio, in queste sue affermazioni; ècerto, però, che la costruzione di un sensoestetico comune che risale in realtà alogiche culturali di fine Ottocento, ostacolaun approccio spontaneo allacontemporaneità. Quante volte ancorasentiamo giudizi su un’opera d’arte in basealla “appendibilità” della stessa in unsalotto?È un dato di fatto, ad esempio, che ibambini, portati dalle scuole a mostred’arte, reagiscono in modo moto piùcoinvolto a certa arte del Novecento -Mirò, Klee, Kandinskij, Dalì - di quanto nonfacciano di fronte a riconosciuti Maestri del

passato. E, dalla mia personale esperienza,posso dire che lo stesso accade per lamusica: proprio un autore come Stravinskijsuscita nei ragazzini più emozioni diquanto non faccia, ad esempio, Mozart.Non a caso quel genio di Disney inserìproprio il Sacre nel suo capolavoroFantasia, che pure data 1940!

Con ciò non voglio fare certo un’apologiasconclusionata dell’attualità, a scapito delpassato, solo suggerire di guardare le coseda una prospettiva forse un po’ inusuale:se conoscessimo meglio ciò che cicirconda, a livello musicale e artistico ingenere, forse saremmo anche in grado diapprezzare meglio ciò che ci ha preceduto.E così, ad esempio, se partissimo da unaconsapevolezza della musica del nostrotempo, Ciaikovskij - che quest’anno èprotagonista del nostro ciclo di concerti -invece di relegarlo in un’età culturalmentefelice e perduta, ci apparirebbe senz’altroancora più vicino.

EDITORIALE

Guido GiannuzziDirettore Responsabile

“Filarmonica Magazine”[email protected]

Filarmonica Magazinen. 11 mese aprile anno 2016Aut. Tribunale di Bologna N. 7937 del 5 marzo 2009

EditoreAssociazione Filarmonica del Teatro Comunale di BolognaVia Bertoloni, 11 – Bologna

RedazioneSede operativa c/o Teatro Auditorium Manzoni via De'Monari 1/2, 40121 Bologna

Direttore responsabileGuido [email protected]

RedazioneMichele [email protected]

Orchestra europea

Filarmonicadel Teatro Comunaledi Bologna

Sede legale: Via A.Bertoloni, 1140126 BolognaSede operativa c/o Teatro Auditorium Manzoni via De' Monari 1/2, 40121 Bolognae-mail: [email protected]

UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A

www.filarmonicabologna.it

Hanno collaboratoRoberto CimaCecilia MatteucciPiero MioliAlberto SpanoFabio Sperandio

Foto di copertina© Marco Caselli Nirmal

Progetto graficoPunto e Virgola, Bologna

Pubblicità [email protected]

SOMMARIOEditoriale | 03Rubriche | 05Il Maestro bolognese... | 06“I Goti” di Gobatti | 11Dissonanze | 14Aimez-vous Stockhausen? | 17

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LE MIE DOMANDEdi Cecilia Matteucci

A Egeria Di Nallo, Professore ordinario di sociologia dal 1980. Dopo un periodo d’insegnamento aParma e diverse esperienze, tra le quali quella di antropologa nella Selva Amazzonica, viene chiamata aBologna alla Facoltà di Scienze Politiche e qui rimane, ricoprendo vari insegnamenti e cariche, fra cuila Direzione del Dipartimento di Sociologia. Numerosissime le sue iniziative, fra le quali i corsi di altaformazione in turismo enogastronomico e in marketing dell'innovazione. I suoi libri sono diffusi in tuttoil mondo e tradotti in più lingue, fra cui inglese, brasiliano, giapponese.

Cecilia Matteucci e Egeria Di Nallo

La musica preferita? La musica medievale per flauto e voce èstata la mia preferita da quando facevo illiceo, o ancora prima credo. Mi piacesottolineare che il flauto dolce medievalesi distingue dal barocco e dalrinascimentale anche nella timbrica enell'attacco dei suoni. La sua essenzialitàl'ho poi ritrovata nel jazz. Ho avuto lafortuna di ascoltare i dischi delle primeincisioni storiche della Dixieland JazzBand e della Creole Jazz Band (quelladi Louis Amstrong, per intenderci). Quandoposso, vado a sentire il Soul Festival diPorretta, ci sono state edizioni veramentetravolgenti.

L'opera lirica?Come si fa a chiedere dell'opera lirica auna che è nata a Parma? Il giornosuccessivo di ogni prima “Stopai” (indialetto parmigiano significa “Tappo” e,nel caso, fa riferimento alle copioselibagioni del personaggio) forniva a tutti gliabitanti della via una personale riedizionedei pezzi più importanti. Forse la miacautela nei confronti di Verdi nasce ancheda questo prolungato trauma giovanile.Certo che le mie simpatie sul pregressovanno a Mozart, ma sono molto attrattadall'avanguardia per quello che ne hopotuto ascoltare: A Midsummer night'sDream di Britten, Arnold Schomberg,Alban Berg.

Ricordi come ci siamo conosciute?Che domanda Cecilia! A te chi non ticonosce! Se mai chiederò io a te come tisei accorta della mia esistenza.....

La canzone della tua adolescenza? Sono due. Una, la sentivo spesso dalgrammofono di casa con puntina e

gracchio incorporato ed è il Tango delleCapinere. Era dei tempi dei miei genitori,ma mi affascinava e meravigliava per tuttoquel proibito che s’intravvedeva: la rondadel piacere ... ognuno vuol godere ... Altroche social e Facebook!L'altra, la sentivo un po' dappertutto,soprattutto quando tornavo in paese, ed èPapaveri e papere. Mi offrì uno dei primicampi di osservazione sociologica. Neipapaveri irragiungibilmente alti e nellapaperina irrimediabilmente piccola, sipoteva leggere una metafora delledifferenze sociali che per molti, allora,erano ancora insormontabili.

La tua grande passione?Da un esercizio che pratico da quandofrequento i classici (Seneca, Platone,Sant'Agostino e dintorni) cioè da una vita,posso pensare di non avere passioni, masolo piaceri controllabili e mutevoli. Almomento direi che mi piace cucinare,leggere, chiacchierare.

È stato più facile vivere con gli indiosnella selva amazzonica nella tuaesperienza di antropologa o conviverecon gli anni caldi della contestazionecome docente di sociologia?Ambedue esperienze bellissime ecoinvolgenti. Impegnative, ma non difficili,a volte forse un po' fisicamente faticose.

Che cosa collezioni?Propriamente non colleziono, ma raccolgoe cerco di mettere assieme oggetti, per lopiù ceramiche, in modo da facilitare ildialogo fra di loro. Il collezionista usa i suoicriteri per raccogliere, mettere assieme,catalogare, io aspetto che gli oggetti mivengano a trovare o li incontri (ad esempio,un amico che mi propone qualcosa, o una

LE VIE DEI CANTI a cura di Guido Giannuzzi

La tradizione è la salvaguardia del fuoco,

non l’adorazione delle ceneri.

Gustav Mahler“ ”

fiera in cui un oggetto mi chiama). Unavolta a casa, saranno loro a trovare la lorocollocazione. A volte, possono stare chiusi per annifinché non si sono ambientati e alloraescono e vanno al posto giusto.

La domanda che non ti ho fatto? Assolutamente nessuna domanda! Non tisembra che abbia parlato già troppo?

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Intervistare Tito Gotti è immergersi in un'avventura letterariache sembra non poter avere fine. L'ottantottenne direttored'orchestra bolognese è una fonte inesauribile di sapienza e dicultura, di saggezza e leggerezza, di arguzia e di umorismo.Definirlo direttore è riduttivo, perché Gotti è uno degliintellettuali più raffinati e amabili della nostra città: didatta,pianista, scrittore, direttore d'orchestra, direttore artistico,inventore di festival e rassegne, Tito Gotti è l'ideatore delleggendario “Treno di John Cage” del 1978 e il creatore delleindimenticabili Feste Musicali. Un curriculum vastissimo il suo,che lo ha portato a vincere premi e riconoscimenti importanti,fra cui il Premio Abbiati della Critica Italiana, il Nettuno d'orodel Comune di Bologna, il Battistino del Conservatorio diBologna... Ma Gotti è anche un inarrestabile e irresistibileaffabulatore: non si finirebbe mai di ascoltarlo raccontarealcuni episodi della sua vita, rimanendo letteralmente travoltidalle sue infinite chiose e digressioni, ricche di riferimentistorici, sociologici, filosofici e psicologici. Difficile fare ordine etrovare un filo conduttore preciso.

PROTAGONISTI

IL MAESTRO BOLOGNESE DIVISO FRA PARIGI E VIENNAA 88 ANNI IL DIRETTORE D'ORCHESTRA TITO GOTTI SI RACCONTA a cura di Alberto Spano

Maestro, proviamoci: come si èaccostato alla musica?Boh? È un accostamento difficile daraccontare, e frammentario. I miei genitorinon erano musicisti, anche se mia madre unpochino il piano lo suonava. Nata a Gubbio,l'aveva studiato da signorina come in tuttele buone famiglie borghesi. A Bolognaconobbe mio padre che era di Budrio ed eraun buon avvocato. Erano entrambifrancescani devoti: si sposarono ad Assisi.Parecchi anni dopo, alla morte del nonnomaterno, mio padre dovette occuparsi anchedi una manifattura di tabacchi dal nonnofondata, dividendo il suo tempo fra laprofessione a Bologna e l’azienda in Umbria.La seppe far crescere ed io, mio fratello e lemie due sorelle vivemmo un'infanziaveramente dorata in una villa meravigliosasui colli di Bologna. Nei primi anni '50cominciò un brutto periodo di crisi perl'azienda, che culminò in un crac: dopo lamorte di mio padre, fummo costretti adalienare completamente i beni di famiglia.Un doloroso periodo della mia vita che nonmi impedì di completare gli studi.

Le prime lezioni di musica avvennero incasa?Sì: assieme alla scherma, all'equitazione e altennis era arrivata un'anziana maestra dipianoforte allieva di Ivaldi che ci mise tutti

alla tastiera. I fratelli non combinarono quasinulla, io invece, a detta della maestra,studiavo poco ma ero dotato. Scoppiò laguerra e sfollammo a Gubbio: mio padreprese a nolo un pianoforte verticale ed iocontinuai a studiare da solo. Avevo con meun pacco di musiche difficilissime,assolutamente al di sopra delle miepossibilità. Un amico di mio padre vollepresentarmi a un sommo didatta di Perugia,il pianista Tullo Macoggi. Ho ancora in menteil mio imbarazzo nel dovermi esibire davantia lui. “Non mi sembra che lei abbia i mezzie la voglia – mi disse – ma proprio in virtù diuna comune amicizia, mi porti il secondovolume degli Studi di Czerny fra tresettimane, poi vediamo”. Studiai come unpazzo e quando mi ripresentai, Macoggi midisse che potevamo rivederci. Al terzoincontro sentenziò: bene, si può procedere.Preparavo anche la licenza liceale, studiavotantissimo. Finita la guerra e tornati aBologna, mio padre mi portò da AdoneZecchi, da allora e sempre mio amatissimomentore musicale. Avevo 18 anni, mi iscrissial suo corso di Musica Corale alConservatorio d Bologna, e seguivoprivatamente le sue lezioni di tutte le materiecomplementari: storia della musica,solfeggio e armonia. Proseguii il pianofortee, con Giuseppe Piccioli, mi diplomai aMilano nel 1952: un diploma di pura

formazione, nessuna intenzione di fare ilpianista. Anzi, nel pianoforte mi restò iltimore panico, e questo perché avevo lacoscienza sporca non avendo avuto laclassica formazione dei fanciulli prodigio chea dodici anni suonano già le Ballate diChopin. Diplomato in Musica Corale,proseguii con la Composizione, brevementecon Marcello Abbado e poi con WolfangoDalla Vecchia, e infine quando ne occupò lacattedra, ancora con Adone Zecchi, fino aldiploma. Al Conservatorio di Bologna ebbi la fortunadi frequentare anche le lezioni di musica dacamera di Angelo Kessisoglu, un formidabilemusicista e camerista che faceva fatica atrovare pianisti disposti ad accompagnare glistrumentisti, perché certi insegnanti dipianoforte consideravano la musica dacamera pericolosa per il bel suono, e così iomi intrufolavo dappertutto e facevocontinuamente musica con eccellenticompagni quali Giovanni Adamo e WilliamBignami. La cosa si prolungò con GiulianaBrengola. Con Benedetto Mazzacurati, annidopo sulla stessa cattedra, ci trovavamo(entrambi eravamo docenti) alle 7 di mattinaa passare il repertorio per violoncello epianoforte.Da molti anni, nella mia fondamentalevocazione per le discipline esecutive eraentrata la direzione d’orchestra.

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Quando cominciò con la bacchetta? A parte i miei validissimi approcci nellaclasse di Musica Corale e Direzione di Coro,Umberto Cattini teneva la classe diEsercitazioni Orchestrali. Appassionatodidatta, ammise nel corso anche alcuniallievi di materie compositive per iniziarli adirigere. L’impegno fu tale che i saggiorchestrali finali furono del tutto delegati anoi, con prestazioni impegnative(accompagnamento di allievi solisti e viadicendo).

Fu Marcello Abbado a farle conoscere ilfratello Claudio?Avevo conosciuto di sfuggita ClaudioAbbado a un corso estivo all'AccademiaChigiana di Siena che io frequentavo dauditore e dove seguivo tutti i corsi di Agosti,Navarra, Cassadò... Però fu poi MarcelloAbbado a sollecitarmi a parlare con Claudiodei corsi di Vienna. Andai a casa sua aMilano, e passai un intero pomeriggio conlui che magnificava il corso di direzione diHans Swarowsky e la vita culturale dellacapitale austriaca. Fu molto convincente.

Si trasferì a Vienna?Sì, fu quello un periodo veramente felicedella mia vita, in cui ebbi modo di evolverela mia indole verso la direzione e l'analisi,grazie anche allo studio profondo con FranzEibner, un seguace di Schenker di cui erastato allievo. Oltre alla direzione col grandeSwarowsky, si studiavano altre materiecomplementari, con docenti illustri comeEibner e Kassovitz. Ma era tutta la città cheribolliva di musica: fra gli altri c'era ancheZubin Mehta, con cui strinsi una grandeamicizia. Ogni domenica si ascoltavano due

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o tre messe nelle maggiori chiese viennesidove venivano normalmente eseguite messedi Mozart, Schubert o Liszt. Correvamo a tuttii concerti e poi finivamo le serate a bere emangiare in osteria. Una volta, era l'autunno1958, Zubin Mehta, di ritorno dall'ascolto perradio della cerimonia di insediamento diPapa Giovanni XXIII durante la quale avevacantato, come al solito molto male, il Corodella Cappella Sistina (oggi, peraltro, moltomigliorato), lui prendeva in giro l'esecuzione,il Papa e tutto l'apparato. Mi scappò detto“Sarà sempre meglio un Papa con la tiarache una vacca sacra!” Lui mi fulminò: “Conla vacca sacra io non ho niente a che fare!”,perché Mehta è appunto un parsi. Nenacquero discussioni appassionanti.

Com'erano le lezioni di Swarowsky?Eccezionali: aveva una cultura musicale eanche universale straordinarie e conosceva ilrepertorio e la tecnica direttoriale comepochi. Mi diplomai nel 1960. Con Swarowskyentrai in amicizia e lo frequentai fino alle finedei suoi giorni. Con amici comuni disse cheera l’unico ex allievo col quale aveva volutodarsi del tu, dal momento che con me sipoteva parlare di tutto, non solo di musica:in effetti io ero estasiato dai suoi racconti difrequentazioni in prima persona conpersonaggi come Franz Kafka, Alma Mahler,Walter Gropius, Reiner Maria Rilke, oltre auna falange di non viennesi (fino a RosaLuxemburg, sua ammirata amica). Era figlioillegittimo di un cugino dell'imperatoreFrancesco Giuseppe e aveva avuto una vitastraordinaria.Nel tempo, ci furono anche i corsi estivi, aSalisburgo con Lovro von Matacic, a Veneziae a Roma pure, intensi, con Franco Ferrara,altri con lo stesso Swarowsky a Nizza eOssiach.

Il suo primo concerto da direttore?Non lo ricordo esattamente. Nella classe diZecchi avevo cominciato a dirigere piccoligruppi corali e poi diressi molti concerti conl'Orchestra della Jeunesse Musicale diBologna, che fu una valida palestra. Erapresieduta da Roberto Lauro che è poidivenuto un famoso chirurgo, e ci suonavanotutti i migliori giovani strumentisti di allora,in gran parte della scuola di Materassi: ifratelli Bignami, Giovanni Adamo, GiovanniColò. Molti confluirono nell'Orchestra delTeatro Comunale.

Quali sinfonie di Beethoven ha diretto?Così, all’improvviso, ricordo la seconda, laquarta e la sesta.

Suo repertorio d'elezione?Nelle giovanili stagioni estive del Comunalefacevo molto Wagner e Verdi. In seguito,ricercai nel raro, ma anche un po’ di tutto, fraopera e sinfonico.

Brahms?Un coltivato nume. Un ricordo gemmato, ilCanto delle Parche. Fu un concerto dellastagione autunnale del Comunale che vennemolto bene e che, assieme ad altri dueconcerti diretti da Sergiu Celibidache, fuportato alla Sagra Malatestiana di Rimini.Quel programma col coro era splendido:c'era il Canto delle Parche di Brahms, loStabat Mater di Verdi e Threni diStravinsky. Il trombettista Alberto Mantovaniimparò perfettamente il punto più ostico diquesto testo del tardo Stravinsky corale,contenente alcuni passi di ritmicadifficilissimi, quasi quanto l'Histoire duSoldat, che diressi varie volte insieme allaMessa (altra esportazione alla SagraMalatestiana).

È stato collaboratore di Celibidache?No, ne fui ammiratore e amico. E l'amiciziapoté avere luogo perché non fui mai suoallievo. Io lo ero di Swarowsky, che lui odiavapazzamente e di cui ridacchiava spesso,anche se credo che non si siano maiincontrati nella vita.

La parola successo come la declina?Come un qualche cosa che non mi riesceassolutamente di definire, se non in sensostrettamente letterale, cioè come una cosache riesca, che venga bene. Ma non che mifaccia ammirare o richiamare: alla fine deiconcerti mi dovevano recuperare dietro lequinte del teatro o in camerino per farmitornar fuori a prendere gli applausi. Presicerte sgridate dai buttafuori e dal personaledel teatro che mi dicevano: “Lei proprio nonli vuole gli applausi, cosa ci sta a fare sulpodio?”.

Nessun autocompiacimento onarcisismo?So bene che sono una molla del successo edella direzione. Probabilmente l'ho avutoinconsapevolmente anch'io. Ma, direi, hocercato solo la mia soddisfazione.

Dove provavate?Quasi sempre in Conservatorio. L'esperienzadurò tre anni, facemmo concerti perfino conCantate di Bach anche a Milano e Bergamo.Questa orchestra era il fiore all'occhiello delleJeunesses Musicales italiane, al cui verticec'era la baronessa Gianna Lanni della Quara,per la quale Cesare Tallone costruì il suoprimo pianoforte grancoda.

Cominciò anche ad insegnare?Sì, poco dopo il diploma di Composizione,ebbi l’incarico di Musica Corale eComposizione. Era il 1961: fui fortunatissimo,poiché io non ho mai conosciuto ilpendolarismo. L'incarico nel tempo fuconsolidato e quindi ho fatto 36 anni diinsegnamento fino al 1998, anno in cui andaiin pensione per limiti d'età. Prima di entrarein Conservatorio come docente avevoinsegnato due anni di educazione musicalein due scuole medie nella zona di Pianoro. Èun ricordo stupendo. Un giorno, di ritorno daun mio concerto alla Rai di Milano, fuiaccolto trionfalmente dalla preside e dagliallievi. Era successo che sul Radiocorriereera uscito un articolo con la mia foto. Entratoin classe vidi l’immagine ingrandita appesaalla parete con un mazzo di fiori sotto.“Ragazzi, guardate che sono ancora almondo! Qui ci manca solo il lumino!”. Unodi loro si era preparato anche un discorso dirallegramenti... Debbo dire che questi fattidella vita forse valgono più di un premio.

Le avevano fatto l'altarino.Sì, proprio. Erano supplenze che dovettiterminare, perché erano incompatibili colConservatorio e col resto di attivitàdirettoriale che facevo col Teatro Comunale,con i concerti per le scuole e le lezioni-concerto.

Chi inventò le lezioni-concerto delComunale? Credo Carlo Maria Badini quando il teatronon era ancora Ente Autonomo e non eraancora attiva la la Legge Corona: l'orchestraaveva bisogno di lavorare e si andava neipiccoli teatri di provincia.

Il famoso 'decentramento'. Ricorda cheCelibidache diresse un concerto aFusignano?Certamente: del resto lui era moltoparticolare. Ricordo anche un suo concertoalla Festa dell'Unità.

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Ha mai avuto un agente?Mai. Sono un cane sciolto. Senta questa: ungiorno un mio amico regista che aveva fattouna cosa con me, mi chiama da Teheran,prima della rivoluzione: c'era ancora lo sciàche faceva anche delle grandi cose per lacultura: portò addirittura Stockhausen aPersepoli. Questo amico mi propose dodicirecite di un'opera che io non sopporto mache furoreggiava ai primi del Novecento.

Quale?Un'opera della Terza Italia: l'AdrianaLecouvreur di Cilea. Rifiutai. A questoproposito, io covo in me il piacere di averescritturato Daniele Gatti, per la prima volta aBologna quando nelle Feste Musicali si fecela Pentesilea di Hugo Wolf, testo per il qualeinstaurai una grande amicizia musicaletelefonica ed epistolare con Ugo Duse,perché era uno dei pezzi della sua vita chenon si eseguiva mai. Gatti era quasiesordiente. Se io mi rendo conto che c'è unpassaggio musicale che è velato, che ètorbido, perché il flauto suona nella suaprima ottava, significa che c'è un direttoreche me lo fa sentire. Io l'avevo avuto tantevolte nel pensiero, lui l'ha evidenziato e l'hacapito. Eseguiva la Tosca. Andai aringraziarlo.

Un suo sogno realizzato?Lo Stiffelio di Verdi alla Radio SvizzeraItaliana patrocinato da Edwin Loehrer.

Mozart?Molto, qui ricordo le Litanie delSacramento che diressi a Bologna con untenore americano bravissimo e a Lugano conun'orchestra eccellente, nella quale poteipermettermi le Fughe coi tre tromboni acanna stretta, cioè i tromboni antichi.

Le è pesata la pensione dall'insegnamento?Mi pesò molto il pensiero prima di andarci,perché mi dispiaceva lasciare una scolarescaveramente impagabile. Nel tempo, eracominciata con Rossana Dalmonte, poi cisono stati Fabio Vacchi, Alberto Caprioli,Pierpaolo Luppi, Cristina Landuzzi, NicolettaConti, Pierpaolo Scattolin, Federico Salce,Gilberto Cappelli, Maurizio Benini, AdrianoGuarnieri, e tanti altri. Abbandonare unascolaresca così è stato un vero peccato. Peròho seguitato a rivederli come gli amici piùcari, e il rapporto non s'è mai interrotto. Ècome una lezione continua e a molti di loro

ho commissionato musiche e lavori per leFeste Musicali.

Il disco da lei inciso preferito?Quello che ha conosciuto più successo: LesGrandes Heures de San Petronio deBologne, della Erato. Contiene musiche diTorelli, Canale, Cazzati, Guami Gabrielli,Pasquini Aldrovandini, Manfredini, con solistii trombettisti Maurice André e MarcelLagorce, gli organisti Marie-Claire Alain eLuigi Ferdinando Tagliavini e l'EnsembleStrumentale di Bologna. L'avevo regalatoall'epoca in cui ci davamo ancora del voi auna stimata amica parigina. Era BrigittePasquet, che divenne mia moglie sette annidopo.

Uno scritto di cui va fiero?Un saggio su Stiffelio pubblicato nel 1968dai Quaderni dell'Istituto Studi Verdiani e iltesto di un lungo colloquio con BrunoMaderna sulla tecnica direttoriale, pubblicatoun mese fa nel libro di Rossana Dalmonte eMario Baroni “Pour Bruno, Memoriale ericerche” dalla Libreria Musicale Italiana.Pensi che ne covavo la cassetta nel miostudio, coperta di polvere da più di 43 anni:nel 1972 mi era stata affidata la scritturadella voce “Direzione e concertazione”nell'Enciclopedia Rizzoli-Ricordi. Dovevoscrivere la parte storica e quellafenomenologica. Argomento delicato chedescrive l'evoluzione della tecnica direttorialedal gregoriano ad oggi. Per approfondire laparte relativa alla musica moderna econtemporanea, decisi di avvalermi dell'aiutodi Bruno Maderna, geniale direttored'orchestra che sull'argomento doveva

saperne certamente una più del diavolo. Loraggiunsi a Darmstadt dove viveva con lamoglie Cristina e i figli e, armato diregistratore, cominciammo a dialogare. Ilnastro originale è disordinatissimo, perchéc'è una cadenza di domande e risposte, condiecimila deviazioni e ritorni a bomba.Ricordo che rimanemmo chiusi nel suo studioa parlare ore e ore, con la moglie Cristina cheogni tanto ci portava sandwich e bevandeper non farci distrarre. Il materiale era cosìvasto e prezioso che chiesi alla Rizzoli dipoter disporre più cartelle per la voce: lospazio purtroppo era stabilito e così questomeraviglioso contributo di Maderna èrimasto inedito per 43 anni. Oggi è donatoall’Istituto Maderna dell'Università diBologna.

C'è un sogno non ancora realizzato?In quarant'anni di ricerche che ho fatto perla realizzazione delle Feste Musicali, un buon30% di musiche che ho trovato sono stateeseguite. L'altro 70% sono lì che aspettano,perché le mie idee le sento ancoraattualissime o possono diventare attuali perla maturazione che è avvenuta nel tempo.Un'amica psicanalista mi dice sempre che cisono progetti che avevo nel subcoscienteanche 40 anni fa e che affiorano nelcosciente in forma di progetti perfettamenteconsci e completi. Un progetto in particolarenon credo mi riuscirà di realizzare in questoscampolo di vita che mi rimane da vivere, chenessuno sa quanto possa durare. Ne parleròpresto.

Tito Gotti e Mirella Freni

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“I GOTI”DI GOBATTIIL “CASO” DEL 1873 AL COMUNALE a cura di Piero Mioli

Il Mefistofele di Boito che cade e va rifatto,la Carmen di Bizet che crolla e rinascedopo la morte dell’autore, il Boris

Godunov di Musorgskij che fatica anni eanni prima di trovare e poi di conservare lavia del palcoscenico: sono tre casi, dievidentemente diversa nazionalità, chestanno a testimoniare l’autorevolezza, e,perché no? l’autoritarismo regnante sulteatro d’opera fra gli anni Sessanta e glianni Settanta. Wagner in Germania, Verdiin Italia e Meyerbeer in Francia, difatti,sembravano quasi diffidare i giovanicompositori dai bramati e legittimi allori,sebbene il primo alla fama fosse giuntotardi e il terzo fosse destinato a morire nelfrattempo. Non sono poche le appendici daaccodare ai tre titoli di prima, eparticolarmente dolorosa risulta quellarelativa a Stefano Gobatti (Bergantino[Rovigo] 1852 – Bologna 1913).

Già allievo di Giuseppe Busi a Bologna edi Lauro Rossi a Parma e a Napoli, Gobattiaveva appena poco più di vent’anni anniquando salì ai clamori della cronacarappresentando al Comunale di Bologna IGoti, tragedia lirica in quattro atti diStefano Interdonato intonata in appenaquattro mesi: subito, con richieste di bis perquasi tutti i pezzi e 52 chiamate alproscenio, fu salutato come un coraggiosonemico della convenzione operistica, comeun valente seguace italiano del miticoWagner, come un prodigioso alfiere dellamusica dell’avvenire; e subito dopo,premiato con la cittadinanza onoraria,ebbe la soddisfazione di veder l’operaaccolta con altrettanto successo a Milano,Torino, Genova, Parma, Padova, Firenze eRoma (anche alla presenza dei sovrani,della corte e delle ambasciate straniere).Poi basta o quasi, nonostantel’aggregazione onoraria all’AccademiaFilarmonica, la nomina a cavaliere dellaCorona d’Italia, l’entusiasmo di Carducci,Panzacchi e Galli. Le altre due opere, laLuce del 1875 e la Cordelia del 1881, nonebbero seguito e la terza, Massias, non funemmeno messa in scena. Intantol’indigenza pesava, le malattie

galoppavano, e gli ultimi lunghi annipassarono nel silenzio di qualche squallidoappartamento cittadino e di un conventosulle colline di Bologna, con la sola,modesta e breve soddisfazionedell’insegnamento di musica nelle scuoleelementari.

Circa I Goti del 1873, la critica modernanon esita a parlare di velleitarismo estetico,di un wagnerismo limitato a una certacircolazione di temi, a un cromatismogenerico, a un’insistenza un po’ assurdaattorno all’accordo di settima diminuita.Ma forse Gobatti non ascoltò né lesse maineanche una nota di Wagner, che erapenetrato in Italia appena nel 1871 e nel1872 con il Lohengrin e il Tannhäuser,a Bologna sì ma mentre lui era a Napoli; eGiuseppe Verdi, richiestone, espresse unparere che quanto meno denunciavatroppo scarsa padronanza della tecnicacompositiva. Dunque I goti furono unabeffa, un danno, quasi un inganno per ilpovero giovane. Impressionante la lungalettera inviata a Tito Ricordi il 30 aprile del1913, poco prima della morte: dove unsessantenne che dimostrava molti anni dipiù menzionava antichi traffici alle suespalle, come quando qualche detrattore glitenne nascosto il telegramma col qualeCasa Ricordi, in occasione dei Goti, gliproponeva un vantaggiosissimo contrattoe lui, ignaro, sottoscrisse quello assai piùmodesto propostogli da Casa Lucca. Daqueste parole traspare un animoesacerbato, ma anche, forse, un complessodi persecuzione che ben difficilmenteavrebbe potuto favorire una carriera.Tuttavia la musica di Gobatti suona ancoraabbastanza ispirata, sensibile,comunicativa: se alla sua effettiva pienezzamancava qualcosa era l’esperienza, il sensodella misura, fors’anche una sufficientedose di cinismo (del che colleghi comeSpontini, Meyerbeer, Bellini, Wagnersarebbero stati maestri attendibili),certissimamente il sostegno duraturo deiprimi improvvidi incensatori. Alla morte,così scrisse “Il resto del Carlino”: “Il

successo dei Goti, che gli diede la vita,onori e rinomanza per un lustro, gli tolsetutto per il resto dell’esistenza. Vi sonoglorie che schiacciano: I Goti furono unadi quelle”.

Il buon libretto di Interdonato, che fatesoro della miglior poesia per musica diRossi, Cammarano e Piave (per non dirdella poesia assoluta di Manzoni), escludepersonaggi marginali, azioni e sceneepisodiche, generici momenti dispettacolarità, e scorre filato dall’omicidioiniziale alla doppia morte finale; tuttaviariesce bene a ritrarre una contrada e unmomento fra i più turbolenti della storiad’Italia, dove e quando il contrasto fraromani e barbari era complicato dacontrasti interni fra i barbari stessi (pertacere di Roma e Bisanzio, chiesa e impero,ariani e ortodossi). Dunque a Pavia, nel534, viene misteriosamente ucciso ilgiovanissimo “erede dei re” degli GotiAlarico, onde la disperata madre vedovaAmalasunta (s.) deve continuare a regnaredi persona; pur amando il patrizio romanoSveno (t.) che vive a corte, la regina, sottominaccia del cugino Teodato (br.), rinunciaa lui e accetta di sposare il connazionale;in combutta con Lausco (bs.), che èl’effettivo assassino del re, e Svarano (bs.),appena asceso al trono Teodato accusaAmalasunta di figlicidio e la confina sulTrasimeno; ivi raggiunta da Svenofinalmente informato, la sofferente ex-regina si mette a delirare (il figlio nelsudario, l’amato a maledirla) e davantiall’uomo che ha tentato invano di liberarlaed è stato mortalmente ferito, un attimoprima di colpirsi a morte predice entro unanno la rovina di Teodato, ora reoconfesso,e di tutti i Goti d’Italia (per ora sempreesultanti). La vera storia non è d’accordosu tutto: Amalasunta, nata attorno al 498e morta a Bolsena nel 535, era figlia diTeodorico re degli Ostrogoti e fu reggenteper il figlio Atalarico dal 526 al 534,cercando di mantenersi in equilibrio fra ilsuo barbaro popolo, i romani e la Chiesa,ma faticando assai ebbe la pessima idea,alla morte del figlio, di associarsi al regno

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il cugino Tedoato, che si sbarazzò di leiprima esiliandola e poi facendola uccidere;nello stesso 535 cominciò la cosiddettaguerra gotica, che portò nella penisola glieserciti di Giustiniano imperatored’Oriente, guidati prima da Belisario e poida Narsete, e nel 553 decretò la fine delladominazione ostrogota sul paese.

Senza dubbio la posizione del regicidio èpiuttosto audace, così ad apertura d’opera,e se deve avere un precedente questo saràl’inizio della Zelmira di Leone Tottola eRossini (1822): una librettistica piùtradizionale o più accorta il fattacciol’avrebbe dato come antefatto oppurel’avrebbe lasciato maturare per il finaleprimo (sono i casi dei Lombardi alla

prima crociata di Solera e del Macbeth

di Piave per Verdi). Ma assolto questoiperdrammatico dovere, il resto deldramma che ne deriva procede per regolariscene e arie, duetti, cori e così via, conappena un paio di pezzi caratteristici eoriginali come un brindisi e una“predizione”. Su questa tela, limpida diforma ancorché seria, tetra, davvero goticadi spirito, scende la musica di Gobatti conalcuni fattori comuni di notevole evidenza:la presenza o frequenza di temi conduttori,di tempi lenti, di tonalità minori, didissonanze (specie delle famigeratesettime diminuite); la tendenza a chiuderei pezzi senza clamore (cioè senza troppo diacuti, corone, fiatoni) e magari sulla terzao quinta; l’assenza di belcanto e la densitàdi un’orchestra tematicamente spessoautonoma e spesso impegnata indrammatici tremoli d’archi. I 24 pezzi checompongono l’opera sono dieci assoli(quattro per il tenore, tre per il soprano maanche in sede finale, due per il baritono euno per il basso, non sempre detti arie), treduetti, due terzetti, un concertato (comefinale terzo), tre cori, quattro pezzistrumentali in forma di preludio, marciafunebre, marcia trionfale e battaglia(spesso con coro). Il Preludio sinfonico,che sta a capo dell’opera tutta, èaddirittura esapartito, sullo schema diabcbab (quasi rondò-sonata): b è unMaestoso in Mi bem. magg. piuttostoenergico e motorio, a un Andante un po’sostenuto in mi min.-Sol magg.dall’aspetto introduttivo e acutissimo di

lirismo violinistico, il c centrale finalmenteun Allegro in Mi bem. magg. dal precisodisegno melodico (il c finale, per la verità,limitato a tre battute). A seguire, perimpostare l’azione cruenta il primo attocomprende solo l’aria del baritono, ilracconto del tenore e il duetto fra i duenemici e rivali: Teodato canta “Abborrito,disprezzato” in Andante e Re bem. magg.,Sveno “Della notte nel silenzio” inAndante e fa min. (con guizzo di cabalettacorale, “Maledetto il parricida”, inMaestoso e sol min.), ed entrambi in unAndante giusto che procede dal si bem.min. al Si bem. magg. e solo per un attimosi permette il lusso di un Allegrocabalettistico (però non senza un gagliardoSol acuto per il baritono). È più corposo ilsecondo atto, che porta Teodato al primosuccesso della sua trama e chiuderà soprauna gran marcia funebre con coro (ecorifei) in Maestoso assai e do min. (contam tam e ottoni): un finale d’atto pocoappariscente, proprio com’era il preludiettoin Adagio che lo apriva per introdurre unsingolare coro interno di giovinette (“Ungiorno in quest’ora”) e la grande scenadella primadonna soprano. “Eppure un dìdi rosee / sembianze rivestita”, lamentaAmalasunta, ennesima accoratarimembranza del tempo felice nella miseriache assegna tutto l’Andante un po’sostenuto alla tonalità di mi min.; e nonsolo termina nella maniera più dimessa conben undici toniche gravi, ma allorquandosente di dover alzare la voce di sopranonota un La e un Sol con alternativa piùbassa. Efficace l’aria di Lausco, “La genteromana prostrata ed inulta”, battaglieroAndante maestoso in Re magg. che peròchiude con 13 battute di recitativo-ariosoestese al La grave. Se il terzetto che segue,per soprano e due bassi, è molto dialogico,il duetto che segue ancora fra Amalasuntae Sveno, d’amor disperato, si presentapiuttosto come coppia di assoli: “Ioasciutto ho il ciglio” canta il soprano,allungando molto il pronome e il verbo, e“Tutto è sciolto” il tenore, anch’egliallungando la prima sillaba ma al Re magg.in Andante giusto sostituendo il sol min. inAdagio.

Il terzo atto è il più spettacolare, già dallascena iniziale di Teodato. Dopo un preludio

in sol min., un recitativo cromatico earticolato in sei andamenti diversi preparal’Andante in re min. “Nel cupo orror dinotte oscura”, e poi l’Allegro in Si bem.magg. “Se la man al soglio stendere”,cabaletta scattante sul ritmo puntato. Albaritono s’aggiungono i due bassi nelterzetto della congiura, non senzasopraggiunger di marcia e poi di coro inplausibile contrappunto. Ancora il tenore,nel bel cantabile in Si bem. magg. “Dellasua fede immemore!”, che suona piuttostocentrale e centro-acuto ma verso la fineascende alla tonica acuta esclamando“ah!”. Ancora coro, bellicosamente, e dopol’imprevedibile brindisi del tenore, “Or tuttiascoltatemi”, la Gran scena dell’accusa

è il finale terzo, grande fin che si vuole maben lontana dalla magniloquente quantitàe verticalità di linee vocali. Accusata eignobilmente tradita, Amalasunta langue edelira sul lontano Trasimeno: Lento e poiAndante suona il mestissimo preludio in mimin., nei cui bassi strisciano fitti eprepotenti cromatismi, e nel recitativo lastessa voce incorre nella quarta aumentata(ascendente sulle prime due sillabe di “Losento”) e nella sesta diminuita(discendente sul verbo servile di “E puoicosì maledirmi?”). “O Signor che colsangue hai redento” suona la bellapreghiera in Sostenuto con maestà e Famagg., e il duetto che segue, con Svenofinalmente allagato anche lui, è più chealtro un doppio monologo di voci più omeno sovrapposte e di anime fatalmentediscordi (essendo l’ex-regina fuori di sé).Breve battaglia d’orchestra, in un ostinatosol min., ed ecco, suicidatosi Sveno, la granscena finale con predizione: dopol’apostrofe “O morte, a che tardi”,“Godi!... ma ascoltami” è un inauditoAndante grave in do min. e 2/4 chefinalmente lancia in alto la voce delsoprano, imponendogli di cantare la sillabatonica di “cielo” con un lungo Si e unlungo Do acuto. Segue e chiude un brevecoro, a che il pezzo non sembri un vecchiorondò. Non lo è, né lo sembra: ma purnell’ambito di una drammaturgia non soloansiosa di novità, il canto di Gobatti èsempre franco, schietto, incisivo,nonostante tutto italiano.

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In ambito musicale, la sperimentazione haorigini lontane, anzi, forse non c'è stataepoca che non abbia conosciuto tensioni eimpulsi innovativi, cui, spesso per reazione,sono seguite fasi di sedimentazione, diassimilazione, se non di semplificazione diquelle esperienze. In tale prospettivaproviamo allora idealmente a seguire illento cammino della dissonanza,(associabile all’antica arsi, stato ditensione, contrapposta alla tesi, stato dirilassamento, consonanza), dal suo timidoinsorgere degli inizi, alla conquista di unospazio armonico sempre più esteso fino alpassaggio ad altri mondi possibili, possibiliarmonie. Senza dimenticare che ladissonanza - o più in generale l’armonia -è soltanto un elemento fra i tanti dellamusica, impossibile da disgiungere dalritmo e dal timbro che essa determina e daiquali è determinata, si cercherà ditratteggiare l’evoluzione del pensieromusicale dal suo particolare punto di vistacon implicazioni anche storiche e sociali.

Dissonanza è termine che trova la sualegittimazione nell’armonia tonale, unsistema costituito da due tipi di scale, lascala diatonica (con i suoi due modi,maggiore e minore, diversamenteorganizzati nella loro alternanza di toni esemitoni) e la scala cromatica (i dodicisemitoni in successione, tasti bianchi e tastineri del pianoforte). Semplificando, da unpunto di vista puramente armonico lastoria della musica occidentale potrebbeessere intesa come un’inarrestabileconquista della dissonanza, ovvero comeuna progressiva corrosione cromatica deidue modi maggiore e minore.Benché impossibile sapere con certezzaquale poteva essere la sensibilità acusticadell’uomo medioevale, tuttavia l’armoniamodale del canto gregoriano, basata suisuoi otto modi o scale ed esclusivamentediatonica (modi che corrispondevanociascuno a un diverso stato d’animo, ilprimo grave, il secondo triste, il terzomistico, il quarto armonioso, ecc., che ilfedele poteva riconoscereimmediatamente, indice questo di unacultura musicale estremamente raffinataed evoluta), rappresenta forse il momentodi massima consonanza nella storia dellamusica occidentale: il canto gregoriano èun canto monodico, i cromatismi vi sono

esclusi così come le modulazioni e l’utilizzodella sensibile (nell’armonia tonale lasensibile è l’ultimo grado della scalamaggiore o minore che risolve sempresulla tonica). Esso s’impernia su pochisuoni fondamentali e prevalentemente susoli intervalli consonanti come si convienea un canto direttamente ispirato da Dio, acompleto servizio della parola divina.

Soltanto attraverso gli sviluppi cromaticidella modalità nella polifonia vocalequattro/cinquecentesca si approderà alsistema armonico tonale e ai suoi duemodi, maggiore e minore, sinteticarisultanza della forza attrattiva di alcunisuoni su altri, a partire dalla dominante(V grado) sulla tonica (I grado). Ilpassaggio dalla modalità alla tonalitàdetermina inoltre un ulteriore significativocambiamento nel pensiero musicale, chegradualmente passa dal concetto di puraorizzontalità di linee, tipico del canto pianogregoriano, a quello invece di verticalitàaccordale del sistema tonale moderno.

Sarà proprio Bach a ricomporre questodualismo, deducendo dall’intrinsecacontrapposizione di forze contenuta nelledue tensioni (orizzontale-modale everticale-tonale), un’unica spintapropulsiva in cui quelle due tensioni sialimentano e arricchisconoreciprocamente. Bach reinterpreta edefinisce l’armonia tonale, innestandolanella prospettiva lineare del contrappuntoantico. Perciò l’armonia - da lui indagatanelle sue infinite possibilità - oscilla tra ilcolore tipico della modalità e quello di unasorta di tonalità arcaica anche negli esitimaggiormente cromatici. La dissonanza èparte del lessico simbolico legato al sacro,spesso associata al tema della sofferenzae della passione di Cristo. Occorreaggiungere che tutta la musica di Bachmira a una sintesi storica tra arte e scienza- ovvero un’arte complessivamente intesaancora secondo il concetto medioevale diars - in cui ogni impulso creativo èricondotto a sistema, giungendo, in operecome la Musikalisches Opfer o DieKunst der Fuge (“Kunst”, ossia “arte”,come già detto, intesa come scienza), auna contemplazione dei suoni di talepurezza, da non prevedere neppure unaprecisa destinazione strumentale. Tutto ciò

rappresentava lo scopo supremo di unavita tesa a una perfetta disciplina,all’autocontrollo della fantasia finoall’umiliazione di processi puramenteistintivi, senza con ciò impedire alla graziadella più pura spiritualità di manifestarsi intutta la sua immensa potenza.Paradossalmente, egli, una delle più grandipersonalità dell’epoca tardo-barocca, fuanche la meno nota e pochi furono capacidi leggere e comprenderne il messaggio.

Procedendo nel cammino di conquistadella dissonanza, dopo la monumentale emomentaneamente inascoltata parentesibachiana, in un contesto armonico“ritrovato”, sostenuto dal bassoalbertino (l’accompagnamento fatto disuoni arpeggiati dell’accordo) sul quale sidispiegano le melodie più semplici e“naturali”, (lontane dalle pesantezzecontrappuntistiche bachiane),cominceranno ad apparire ritardi,appoggiature, note di passaggio,anticipazioni, ovvero tutta quella serie diabbellimenti o note estranee all’armoniache diventeranno sempre meno estraneeper concretizzarsi a poco a poco in nuovi

DISSONANZEa cura di Roberto Cima

Johan Sebastian Bach all'organo 1725

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agglomerati accordali fatti non più di soletre note, ma di quattro e persino cinquenote (poi 6, 7, 8…mettendo sempre più incrisi i teorici della posterità). Questoporterà a un notevole arricchimento dellatavolozza armonica, all’espansione dellepossibilità dei collegamenti accordali, a unampliamento cromatico attraverso latrasformazione in momentanee sensibilidi altri gradi della scala nonché dellepossibilità di reale modulazione ad altretonalità: l’armonia giunge così alla sua etàclassica, equamente ripartita e organizzatanelle sue interne forze consonanti edissonanti. L’armonia dell’epoca di Haydn e di Mozart,è un’armonia a suo modo compiuta, in cuila dissonanza è un espedienteperfettamente controllato in un generalecontesto formale in continua evoluzionema pur sempre dominato da un grandesenso di ordine e di equilibrio. Nulla di piùperfetto ed efficace, allora, perrappresentare un mondo di valori certi,retto da sistemi politici e religiosi secolaricome regni e monarchie, ambiti in cui glistessi musicisti si trovarono per forza dicose a lavorare. Essi erano stipendiati, alservizio della corte degli Esterházy come aquella di Federico II di Prussia o di qualsiasialtro elettore, arcivescovo o re, e sirispecchiarono fedelmente nella loroopera, facendosi interpreti essi stessi diquel mondo compiuto, glorificandonel’umana gioia nella sublime esaltazione diuna civiltà compresa in un orizzonteaprioristicamente dato e accolto nelladolce acquiescenza alle sue leggi eterne. Intale contesto la dissonanza non può cheessere ancora totalmente funzionale all’affermazione della consonanza, ovvero unartificio scenico atto ad esaltare la pienaconsonanza di una felicità ogni voltaconfermata.

Un discorso a parte meriterebbe Mozart, lacui opera - pur inserendosi alla perfezionenel suo tempo - tuttavia, compie una verarivoluzione interna estendendo lepossibilità comunicative della musica afrontiere sconosciute. Forse proprio conMozart, dietro quella felicità data a priori,s’incomincia a scorgere qualcos’altro, ilconfine tra artificio scenico e il reale sensodi un abisso diviene sempre più labile,ossia la dissonanza pare spostarsi daespediente armonico-estetico aespressione più interiorizzata del mondo.Musicista di transizione tra due epoche,durante l’ultimo decennio della sua vita,

Mozart lasciò il servizio musicale di cortetentando di mantenersi come liberoprofessionista e ciò dovette suonare comeuna ribellione, una dichiarazione di guerrafra il nuovo mondo borghese e l’anticoregime della produzione artistica. La sceltafu pagata a caro prezzo e forse in partecontribuì a decretarne la precoce morte.

Il crollo dell’Ancien Régime, la lenta crisi ditutti i valori sociali, politici, religiosi diquella civiltà messa in atto dall’Illuminismoe culminante nella Rivoluzione francese, sirispecchierà nel sostanziale cambiamentodi significato della dissonanza e nella presadi coscienza delle sue potenzialità critichee corrosive: con Beethoven essa verràimplementata da un maggior contrastoritmico, dinamico e timbrico e rivissuta dalsuo interno in una prospettiva umana edesistenziale non più sorretta dallarassicurante magnificenza di edifici esternima lasciata sola di fronte a se stessa e allavertigine dell’assoluto. Primo interprete diquesto nuovo stato delle cose - e primomusicista indipendente dell’età moderna,non più a stretto servizio di alcun nobile ovescovo - Beethoven ricompone il mondopartendo dalla condizione di primordialecaos di forme e di forze che si scontranotra loro sublimandole in una visione dispazi e tempi sconfinanti in dimensioninuove, sospese tra estremi di registro (glispazi abissali aperti tra l’estremo grave el’estremo l’acuto) in ampie dilatazionitemporali oppure in ritorni alla sacralitànelle linee pure dell’antica modalità, perriconquistare infine tramite scenari ancorabarocchi la gloria di una gioia tuttaviapossibile. In Beethoven la dissonanza nonè più mero espediente armonico ma veroe proprio moto dell’anima in unarappresentazione della realtà, di cuidiviene al contempo conflittuale approccio.L’armonia comincerà a sfuggire dalleteoriche classificazioni e la tonalità adacquisire ambiguità. Tuttavia l’armoniatonale, così indagata in ogni suapotenzialità, è ancora veicolo di coerenzaformale, necessario per oltrepassare i limitidi equilibrio del sonatismo haydniano emozartiano.La dissonanza in seno alla tonalità avràancora molta strada da percorrere primadella sua dissoluzione, e avanzerà e saràdeclinata nei modi più diversi dai grandicompositori del periodo romantico e tardoromantico. Uno dei compositori piùinteressanti sebbene ancora pococonsiderato da questo punto di vista è

senz’altro Chopin, la cui musica raggiungeun grado di sperimentazione che in talunicasi oltrepassa i limiti stessi dell’armoniatonale, con un istintivo gusto coloristicoche anticipa l’impressionismo eun’attrazione verso una consapevoleimprecisione armonica che determineràuna nuova dissonanza, intimamenteconnessa con i flussi più profondi dellapsicologia umana.

Con l’esasperato cromatismo del Tristanund Isolde, Wagner contribuirànotevolmente alla dissoluzionedell’armonia tonale ma la vera crisi, ladefinitiva corrosione delle sue funzioniportate all’estremo in costruzioni formaliimmense per dimensioni orchestrali eampiezza di durate, si avrà con Mahler,

musicista e uomo simbolo della crisi di unmondo e di un impero, quello austro-ungarico. Alle soglie del primo conflittomondiale l’Adagio della sua ultimasinfonia, incompiuta, culmina in un accordotragico, un accordo composto di dieci note,difficile da leggere in senso armonico, senon interpretando tutte le sue note comepotenziali sensibili di altrettante tonalità(nel sistema tonale la sensibile, per la suaforza di attrazione verso la tonica, è lanota che in sé contiene la massimatensione armonica), che però in questo

Gustav Mahler, foto di Moritz Nahr 1907

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modo si annullano l’una nell’altra, in unababele armonica ormai ai confini di mondiignoti sulla quale una tromba, sola, si ergein un grido tragico e straziante, una notatenuta che a poco a poco sfumeràlasciando spazio al lontano ricordo delleultime battute, forse la coscienza di unafelicità possibile soltanto nel ricordo di unmondo irrimediabilmente perduto.

A questo punto la conquista delladissonanza è totale, ma per la dualisticalegge degli opposti il momento stesso dellasua totale affermazione coinciderà con lasua fine, ovvero con la dissoluzione delsistema armonico tonale che lalegittimava. L’espressionismo armonicodelle prime opere di Schönberg, Berg eWebern tenterà ancora per poco diprotrarne il senso, nonostante l’estesocromatismo ed un’esasperata utilizzazionedegli intervalli più dissonanti (secondamaggiore, settima minore), ma infine conla formulazione del metodo dodecafonicoe della serialità verrà compiuto il passodecisivo, il distacco in direzione di una piùoggettiva ed astratta organizzazione deirapporti tra i suoni e l’intuizione del timbroe della trasfigurazione timbrica comenuova possibilità espressiva.

Impossibile comprendere in un’unica lineadi sviluppo, tutte le esperienze musicali delNovecento: le vie aperte da Debussy,Schönberg, Bartók, Stravinskj, sono tra lorodiversissime, pur attingendo ognuna diesse dalla tradizione ogni volta riletta erivelata nei suoi aspetti inediti inprospettive storiche sempre diverse.Dialogo col passato necessario, checontinua anche in musicisti più viciniall’oggi - Stockhausen, Ligeti, Berio, Grisey,Boulez - con una progressiva estensione dipossibilità d’indagine che ha finito percoinvolgere ogni scienza matematica, dallabiologia alla chimica, dalla fisica allacombinatoria, trovando primanell’elettronica e poi nell’informatica,nuovo terreno fertile di ricerca e diapplicazione per un ulteriorescomposizione e analisi del suono - doveper suono musicale s’intende oggi ognifenomeno acustico percepibile, dal purorumore alla nota dello strumento - e unasua nuova strutturazione e proiezione nellospazio, tecniche che hanno modificato iltrattamento degli strumenti tradizionali,arricchendone di un lessico nuovo lepotenzialità timbrico-espressive, pergiungere infine a una radicale

trasformazione della stessa percezione e ditutte le dinamiche psicologiche legateall’ascolto, a un coinvolgimento fisico-gestuale da parte di esecutori condotti inun territorio al limite, ancora indefinito trala performance musicale, teatrale ecoreografica, ad una nuova concezionedella stessa idea di “concerto”tradizionalmente intesa, dei suoi spazi didestinazione e della relazione (spessointerrelazione) con il pubblico coinvolto.Definire i contorni e i limiti in un campo dipossibilità talmente vasto, sembra essereeffettivamente il compito più difficile daparte del compositore, e tuttavia ancoranecessario come poteva esserlo per Bach:il processo compositivo tende ad annullarequalsiasi diretta proiezione dell’Io, che silimita a circoscrivere nel modo piùoggettivo possibile un terreno, un metodo,un sistema che conduca infine a una sortadi autonoma generazione del branomusicale. Necessario diviene un tipo diapproccio diverso, una corrispondenza diintenti tra chi compone e chi ascolta, unasospensione del giudizio legato a criteritradizionalmente intesi, una capacità ditrascendere al di là delle semplici categoriedel bello e del brutto, del mi piace o nonmi piace, capire che l’opera d’arte è un attodello spirito tanto potente quantodisarmato, un atto che si offre al pubblicoanche nella bellezza della suavulnerabilità, che guarda al mondo e allarealtà con tutte le contraddizioni dell’oggi,estremizzandole in un gesto assoluto cheancora racchiude ora come sempre ilmistero della vita e dell’universo.

Ultima dissonanza. In fondo quest’arteresta ciò che di più sacro vi sia al mondo,per necessità slegata da qualsiasi interessedi mercato, lontana dalle esplicitedinamiche che determinano mode esistema (e ciò basterebbe a coglierne ilgrado di effettiva forza rivoluzionaria), maproprio per questo costretta a pagare unprezzo altissimo che ne stacompromettendo le stesse condizioni disopravvivenza. Non si può non ritornareallora proprio a Bach, pensando non tantocon dispiacere alla vicenda della suaparticolare personalità artistica che, purrelegata ai margini dall’indifferenza edall’incomprensione, ha potuto goderedella piena felicità di una luminosaintelligenza, ma anche e soprattutto a ciòche un’intera generazione, la sua, permiopia, ovvero per una falsa visioneprospettica della storia non è stata capace

di cogliere e si è irrimediabilmente persa.Con la differenza, però, che in questo casonon si tratta di ridare giusto peso e valoreall’opera di una singola individualità ma diun intero genere musicale che da quellatradizione discende e grazie al quale quellatradizione rivive e può essere rettamentecompresa. Infatti, il dialogo tra antico emoderno è oggi più che mai vivo e vegeto,e la comune affermazione con cui spessoci si congeda sbrigativamente dalla musicacontemporanea, ovvero dicendo “non lacapisco”, ne fa sorgere conseguentementeun’altra: cos’è esattamente che si capisceinvece dell’altra musica, cos’è che sicapisce di autori come Brahms, Schumann,Beethoven, Bach? Questo, senza tralasciareche allo stesso tempo mediocri figuredell’odierno panorama musicale - per lopiù accostabili a generi come il pop o unfinto minimalismo new-age,armonicamente banale e privo di qualsiasiinteresse musicale - attraverso sciagurateoperazioni di marketing, vengonodisinvoltamente accostate e fattediscendere proprio da quella tradizione, daMozart, da Chopin, portando così al totalestravolgimento della percezione storica ditutta un’arte, alla condanna per i tempi avenire a uno stato di totale analfabetismomusicale, a quell’insopportabileautocompiacimento da parte di unpubblico sempre più vasto, convinto dipartecipare a tali eventi come a esperienzedall’alto contenuto culturale, pagando cosìa se stesso l’obolo dovuto a questa falsasete di conoscenza.

Fiat modes pereat ars (“Che la moda siae l’arte perisca”): forse è arrivato ilmomento di rimettere in discussione larelazione tra arte e moda partendo proprioda questo provocatorio proclama dadaistadi Max Ernst, posto come titolo a unalitografia del 1920. Il momento è quello incui il motto degenera in realtà, una realtàin cui il trionfo delle mode è il trionfo dellaliquida società dei consumi, che oggiristagna in una vasca sempre piùmarcescente, invece di scivolare sul suopiano inclinato per defluire definitivamentenel nulla. Se questa è utopia, lasciamoalmeno che ars riacquisti un po’ del suospazio perduto verso un auspicabilecompromesso che ridia all’esistenza unaqualche dimensione di concretezza e direaltà.

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AIMEZ-VOUS STOCKHAUSEN?Intervista a cura di Fabio Sperandio a Vittorio Montalti

Esasperato dalle scadenze, sempre al telefonoa caccia di commissioni e inseguito da direttoriartistici pretenziosi, la figura del compositoreoggi mal si sposa con quella dell’artistaemaciato, tutto studio matto e disperato, chefaceva della sua arte la sua vita; pur tuttavia glistudi affondano in quel passato, dalcontrappunto al grande sinfonismo, passandoper romanze ed arie d’opera.“Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,tu se' solo colui da cu' io tolsilo bello stilo che m'ha fatto onore”. Seguendo l’esempio di chi in altra epoca si èmesso in viaggio pur di poter ascoltare estudiare con figure carismatiche, dovedirigeresti la tua carrozza se potessi rivivere nelpassato? Cominci con una domanda semplice...Francamente faccio fatica a indicare un luogo o

un’epoca in cui mi sarebbe piaciuto vivere. Credoche la musica sia sempre il prodotto del contestostorico e geografico in cui nasce e, essendo allaricerca di qualcosa di nuovo, nel bene e nel malemi va bene questa epoca. Come diceva Berio lamusica è musica proprio perché è sempre inmovimento.Forse più che un'epoca del passato dovreiimmaginarne una del futuro, che ne dici?

Una notizia trascurata dai giornali, ma chetocca tutti noi musicisti da vicino, è stata lascomparsa di Elisa Pegreffi, ultima tessera diquel magico mosaico che era il QuartettoItaliano. Una prima domanda è sul rapportocon le forme della tradizione. Gli ultimisessanta anni di storia della musica hannosgretolato le nostre certezze, tuttavia lamaggior parte dei compositori ancora oggi si

cimenta con la composizione di un quartettod’archi, formazione principe della musica dacamera. Vizio o virtù?Come hai evidenziato nella prima domanda ilpercorso di studi di un compositore èestremamente legato alla musica che l’hapreceduto, alla sua storia insomma. Ma questolegame è fruttuoso nel momento in cui si riesconoa inquadrare gli stili del passato e a trovare il filrouge che lega le musiche di epoche diverse.È per me fondamentale contestualizzarel’evoluzione del pensiero musicale per capire chela musica muta continuamente in un percorso(spesso faticoso) ma tutto sommato naturale;percorso in cui le tecniche cambiano a seconda deiperiodi ma le logiche compositive restano lestesse.Dunque lo sviluppo di un genere o di una formava inquadrato in questo contesto. Se ci pensi bene,

Chi di noi, anche tra i fedelissimi del genere, avrebbe il coraggio di ammettere di non aver mai ceduto alla tentazione, rigirandosi nellapoltrona di velluto tra minimalismi, suoni aleatori, tintinnabuli e quant’altro, a quello che Tom Service sul Guardian di qualche anno faconsiderava il primo mito da sfatare sulla musica contemporanea, ovvero di pensare che “assomigli al cigolio di un cancello”?Certo, i pochi fortunati che possiedono l’originale di Sgt.Pepper’s Lonley Hearts Club Band dei Beatles (tranquilli, oggi è sufficienteuno smartphone), potrebbero togliersi la soddisfazione di indovinare chi, tra le icone di quella copertina pop art da Grammy, siede in ultimafila vicino a Lenny Bruce. Nessuno s’immaginerebbe di identificare il genio scostante di Karlheinz Stockhausen. Anzi, semplicementechiamatelo “Stockhausen”. Eppure, senza di lui molte delle bizzarrie elettroniche degli anni successivi non sarebbero state possibili.E’ vero, a ogni epoca la sua arte e all’arte la sua libertà, ma mai come ora il pubblico delle grandi sale da concerto vacilla innanzi a unlinguaggio che, secondo le comuni categorie, a fatica si vorrebbe chiamare musica e piuttosto relegare in qualche festival di nicchia. Ilnostro tempo però, affonda i suoi perché anche in questi suoni irripetibili, in questa frustrante assenza di eufonia, e, superati paura epreconcetti, è necessario aprire la nostra mente al cambiamento.

Ne parliamo con Vittorio Montalti, giovane promessa della composizione italiana dal pedigree di tutto rispetto. Cominciando dalla fine:vincitore del concorso bandito dall’Opera di Roma per giovani compositori che gli varrà l’esecuzione dell’opera Un romano su Martenel 2017, Leone d’argento a La Biennale di Venezia 2010, formatosi all’IRCAM di Pierre Boulez e in Italia con Alessandro Solbiati, IvanFedele e Luca Francesconi, personalità corteggiata dalle capitali culturali di tutto il mondo come Parigi e New York e dai festival più prestigiosi.

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neanche le forme della tradizione di cui parli sonomai state così schematiche: i grandi compositorile hanno sempre "reinventate".

Una seconda domanda, invece, è sul rapportocon i musicisti stessi.Il percorso di studi di uno strumentista nonprende in considerazione tecniche che spessomettono a dura prova la pazienza degliesecutori (e anche degli ascoltatori) nonabituati a trasformare i propri strumenti innuove macchine sonore. Aiutaci a capire dovesi trova il limite tra innovazione ed eccentricità.La necessità di usare spesso gli strumentimusicali per dei fini diversi per i quali sono nati,non nasconde la paura di avere ormai pocomargine per inventare qualcosa che non sia giàstato detto?Mentre in passato c'era una separazione netta (ed erronea) tra suono e rumore, oggi questadifferenza è venuta meno. Allo stesso tempol'immaginario sonoro di un compositore è assaipiù ampio di quello di un compositore del passatoper il quale gli strumenti di cui parli erano staticoncepiti. L'integrazione quindi tra strumentitradizionali, strumenti preparati, strumenti dinuova liuteria, così come l'introduzione di nuovetecniche strumentali, sono la naturale evoluzionedi un percorso musicale i cui orizzonti timbrici sisono enormemente espansi. Quindi il problemadella validità di quest’approccio non si pone: esisteil suono e il compositore lo lavora, un po’ comeuno scultore lavora un materiale.Inoltre questo sembra essere un tabù solo nellamusica "contemporanea". Basta pensareall'utilizzo di suoni concreti nella musica pop o acasi più estremi, come nell'industrial rock, in cuivenivano utilizzati strumenti industriali perprodurre suoni.Ricordiamoci poi che l'introduzione dei rumori, distrumenti meccanici e la preparazione deglistrumenti è riscontrabile in lavori del passato:penso alla scherzosa Sinfonia dei giocattoli oa Ravel che preparò il pianoforte con un foglio dicarta per L'Enfant et les Sortilèges.

Mi hai raccontato di essere immerso nellastesura di due opere. Con Un romano su Marte, premiato dall’operadi Roma, ma già con L’arte e la maniera diaffrontare il capo per chiedergli un aumento,dato in diretta su Radio3 per La Biennale diVenezia 2013, il tuo ingresso nel mondo delteatro d’opera è segnato.Va ancora di moda far morire qualcuno, o è piùglamour il lettino dello psicanalista? Buona domanda.Attualmente sono al lavoro su diversi progettid’opera e mi sono trovato spesso di fronte allaquestione se un soggetto d’opera debba essereattuale. Secondo me questa non è una conditio sine quanon. Può esserlo e spesso il committente lorichiede esplicitamente, ma io penso che l’attualità

risieda più che altro nella maniera nella quale siracconta una storia. Il problema del soggetto èrelativo e, a mio avviso, lo è sempre stato nellastoria dell’arte. Altrimenti basterebbe il soggettoa decretare il successo di un’opera; invece quanteAnnunciazioni esistono? Sono tutte dello stessointeresse?Per quanto mi riguarda posso dirti che cerco dilavorare il più possibile su soggetti leggeri; unaleggerezza calviniana, che non significasuperficialità, ma che è in grado di toccare anchetemi profondi.

Il tentativo di trovare un trait d’union trapresente e generi musicali del passato nonrisulta strumentale e forzato? Il ruolo socialedel teatro d’opera è sostanzialmente cambiato,cosa credi sia giusto preservare?Anche in questo caso inquadro il "problema"semplicemente come evoluzione di un genere.Mi è sempre piaciuta l'idea di Berio per cui Operaè il plurale di Opus (lavoro). Il suo significatoprofondo rimanda quindi a una grande macchinache racchiude al suo interno tanti lavori diversi (lamusica, il testo, i costumi, le scenografie, le luci, ilvideo, … ) che mirano al medesimo obiettivo econcorrono alla creazione di un unico organismo. Certamente scrivere un’opera oggi è diversorispetto a un secolo e mezzo fa: non possiamoignorare le innovazioni teatrali da una parte (apartire da Antonin Artaud e Carmelo Bene fino aoggi) e cento anni di cinema dall’altra. La scritturadi un’opera deve tenere in considerazione questiaspetti e cercare maniere diverse di raccontare unastoria.

Insomma, Verdi o Puccini a quale temad’attualità dedicherebbero un’opera?Posso giocare il jolly?

Ci riprovo, chi tra i grandi operisti italianivivendo nei giorni nostri avrebbe successo?Non so chi avrebbe più successo, ti dico il miopreferito: Monteverdi.

Cambiamo genere. Heavy metal, rap, rock ogrunge?La musica contemporanea pretendedall’ascoltatore una grande libertà di pensiero,ingrediente fondamentale per non arrestarsialle prime impressioni ma varcare la sogliainfuocata della conoscenza. Questo valevaanche per gli ultimi quartetti di Beethoven.Tu, come compositore, riesci ad avere la stessapredisposizione d’animo con tutto quello chedi musicale ti circonda?Assolutamente sì. Seguo con grande interesse epassione tutto quello che succede nel jazz, rocked electro. La grande sfida per me è cercare difiltrare queste musiche e restituirle nei miei lavoria modo mio. Questo è davvero un tema che miaffascina e su cui m’interrogo quasi ogni giorno.Ovviamente il rischio del kitsch è dietro l'angoloe spesso questi riferimenti sono solo subliminali.

Anche Boulez è morto. “…né da te, dolce amico udrò più il verso e la mesta armonia che lo governa…”Nume tutelare della cultura contemporanea,acuto saggista e sferzante inquisitore maanche direttore dal gesto asciutto. Doverosa èuna riflessione sulla sua figura. Hai studiato nel centro che lui stesso hafondato; quale eredità intellettuale ha lasciatoal Centre Pompidou di Parigi, sede dell’IRCAM?Io ho avuto la fortuna di passare due anniall’IRCAM e devo dire che l’importanza di questocentro di ricerca è enorme. Si tratta di un luogo incui formazione, ricerca e produzione s’incontranoe comunicano incessantemente seguendo lospirito pionieristico e di ricerca di Boulez.

Credi che lui stesso rimarrà vittima delrelativismo in cui il nostro tempo centrifugatutto il sapere e tutte le arti, lasciando da unlato spazio a tutti per brillare nel firmamento,ma a nessuno di assumere la guida del nostrocammino?Penso che ci siano alcune cose che non si possanopiù mettere in discussione e deve essere ormaichiara a tutti la grandezza di Boulez, sia comecompositore che come direttore d’orchestra. Nellospecifico, la ricerca compositiva portata avanti daquesto grande musicista ha sicuramenteinfluenzato generazioni di compositori e continuaa essere di fondamentale importanza anche per icompositori di oggi.

Prima di congedarci, posso chiederti quali sonole prime cinque tracce della tua playlist?Difficile fare una playlist generica perché ascoltosempre cose diverse. In questo periodo ri-ascolto/ri-studio per lo piùopere o lavori di teatro musicale… Ti dico quelle?• Monteverdi - Orfeo • Berg - Wozzeck• Stravinsky - The Rake’s Progress• Ligeti - Le Grand Macabre• Aperghis - Avis de tempête

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Il tempo stringe e dobbiamo salutarci. Ho lasensazione di non avere in mano tutte le risposteche avrei voluto, ma lo sguardo del nostrocompositore sfuggente e rivolto altrove, mi facapire come l’ampio respiro della creazione sfuggaa ogni limite e necessiti d’infiniti orizzonti perliberarsi. Buon ascolto, allora!

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