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1 La macinazione rappresenta una fase fondamentale e molto onerosa nella produzione ceramica. Può essere condotta attraverso diversi processi: 1) Mulino a rulli (in acciaio alto-legato o con rivestimento ceramico) 2) Mulino a martelli 3) Mulino ad attrito (in presenza di fluido, in genere H 2 O) 4) Mulino a ganasce 5) Mulino rotante 6) Mulino a palle (in genere ceramiche – allumina, zirconia, carburo di silicio) Il processo di macinazione spesso serve anche per la miscelazione.

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La macinazione rappresenta una fase fondamentale e molto onerosa nella produzione ceramica. Può essere condotta attraverso diversi processi: 1) Mulino a rulli (in acciaio alto-legato o con rivestimento ceramico) 2) Mulino a martelli 3) Mulino ad attrito (in presenza di fluido, in genere H2O) 4) Mulino a ganasce 5) Mulino rotante 6) Mulino a palle (in genere ceramiche – allumina, zirconia, carburo di silicio)

Il processo di macinazione spesso serve anche per la miscelazione.

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I diversi sistemi di macinazione si differenziano per la granulometria della materia prima che possono accogliere e per la granulometria che possono produrre. Si può osservare che, per esempio, un sistema a vibrazione restituisce granulometrie più fini (area specifica superficiale superiore) di un mulino a palle. Ovviamente la potenzialità dipende sensibilmente dal materiale da macinare (in particolare dalla tenacità a frattura e dalla durezza dello stesso).

Nella produzione di ceramici avanzati è sempre richiesta una granulometria fine.

La granulemetria può essere espressa sia come dimensione delle particelle sia come area specifica.

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Il processo di macinazione è in genere molto oneroso e per questo risulta utile quantificare l’energia necessaria. Questa può essere calcolata come energia totale per unità di prodotto (UT) funzione di: a0 = dimensione iniziale (media) della polvere a = dimensione finale (media) della polvere m, Ac = coefficienti legati al tipo di materiale e al tipo di macinazione utilizzata.

Va ricordato che la macinazione è una delle fasi più costose nella produzione di un ceramico.

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Quando si parla di polvere è importante definire esattamente a che cosa ci si riferisce. A seconda della dimensione in genere si passa dai colloidi alle particelle grossolane, ai granuli e agli aggregati.

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Nella setacciatura vengono pesate le frazioni raccolte su ciascun setaccio.

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Nella sedimentazione viene registrata l’altezza (H) dello strato sedimentato in funzione del tempo (t) per polveri rilasciate in un liquido di viscosità η. Il tempo può essere ridotto sottoponendo il cilindro di sedimentazione a centrifugazione (velocità angolare ω; r0 = posizione iniziale; rt = posizione dopo centrifugazione). Un aspetto critico è la scelta del fluido.

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Nella diffrazione laser (in genere laser He-Ne) si sfrutta il fenomeno della diffrazione di Fraunhofer causato dall’interazione tra luce e particelle. Questo accade quando la dimensione delle particelle è superiore alla lunghezza d’onda della luce utilizzata. L’intensità del raggio diffratto è proporzionale al quadrato del diametro mentre l’angolo di diffrazione è inversamente proporzionale al diametro. Le particelle di polvere sono fatte “cadere” davanti alla sorgente laser, in genere all’interno di un liquido (fase critica del processo di misura). Nella diffrazione di raggi X si misura la larghezza dei picchi di diffrazione (di solito il fondamentale) la quale è collegata alla dimensione dei cristalliti e, nel caso di polveri monocristalline, al diametro della particella.

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Dal punto di vista geometrico una polvere può essere caratterizzata attraverso la dimensione media delle particelle o l’area superficiale specifica. Nel caso di particelle di forma cubica esiste una semplice relazione tra le due grandezze. Lo stesso vale ovviamente anche per altre forme geometriche.

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L’area specifica superficiale (metri quadri per grammo, in genere) dipende dalla dimensione granulometrica (D) attraverso la densità e il rapporto di forma. Tipicamente, nel caso di particelle non porose, il rapporto di forma è pari a 6.

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La SSA viene misurata sfruttando il fenomeno dell’adsorbimento fisico (ovvero fisisorbimento) così come descritto da Brunauer, Emmett e Teller (BET). Il volume di gas adsorbito (Va) dipende dal rapporto tra la pressione del gas (P) e la tensione di vapore a quella temperatura (PS), dal volume di gas richiesto per generare il primo monostrato adsorbito (Vm) e da una costante legata all’energia coinvolta nell’adsorbimento (C). La SSA può quindi essere calcolata dall’equazione di BET conoscendo il volume Vm, l’area occupata dalla molecola adsorbita (Am), la massa del campione (m0), il volume molare (Vmol) del gas alla temperatura e alla pressione di Vm e il numero di Avogadro. Normalmente si usa azoto (N2) - Am = 16.2 x 10-20 m2 -e la prova viene condotta a 77K.

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La granulometria di una polvere è rappresentata in genere o tramite un istogramma (percentuale delle particelle con dimensione compresa in un certo intervallo) o una curva di distributzione cumulativa: quest’ultima può corrispondere alla percentuale comulativa delle particelle più grandi di una certa dimensione (CPGT = cumulative percent greater than) o a quella delle particelle più piccole di una certa dimensione (CPFT = cumulative percent finer than) - vedi foglio successivo -.

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CPFT = “cumulative percent finer than” e CNFT = “cumulative number percent finer than” vanno intesi come equivalenti.

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Sulla base della distribuzione di frequenza è possibile calcolare la dimensione media delle particelle: questa varia a seconda che venga calcolata rispetto alla dimensione, alla superficie o al volume delle particelle.

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