Omelie da Vescovo

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Curia Vescovile – Piazza Pio XI, 24 – 73048 Nardò (Le)tel. 0833. 871 659 – fax 0833. 874 651www.diocesinardogallipoli.org

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La presente pubblicazione raccoglie parte del voluminoso

Magistero del Vescovo Monsignor Domenico Caliandro.

Si è voluto inserire gli appuntamenti più salienti dell’anno

liturgico e almeno una delle circostanze significative

che accompagnano la vita della Chiesa locale e universale.

È questo, un voler mettere a disposizione di tutti lo spes-

sore spirituale della voce di un Pastore che con fermezza

e dolcezza ha guidato la nostra Chiesa diocesana.

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INDICE

1. Omelia per la Solennità di San Giuseppe da Copertino (18 Settembre 2005)

2. Omelia per il Santo Natale (25 Dicembre 2005)

3. Omelia per la Giornata della Vita (4 Febbraio 2006)

4. Omelia per la Solennità di Sant’Agata (5 Febbraio 2006)

5. Omelia per la Santa Messa Crismale (12 Aprile 2006)

6. Omelia di Pasqua (17 Aprile 2006)

7. Omelia per l’Ordinazione Presbiterale di Don Francesco Danieli,Don Vincenzo Greco, Don Antonio Pinto e Don Tommaso Semola(28 Giugno 2006)

8. Omelia per la Solennità di San Giuseppe da Copertino (18 Settembre 2006)

9. Omelia per l’Inizio della Visita Pastorale (23 Settembre 2006)

10. Omelia per il Santo Natale (25 Dicembre 2006)

11. Omelia per il Funerale di Don Pompeo Albino Cacciatore (1 Gennaio 2007)

12. Omelia per l’Ordinazione Diaconale di Luca Albanesee Riccardo Personè (3 Gennaio 2007)

13. Omelia per la Solennità di Sant’Agata (5 Febbraio 2007)

14. Omelia per la Santa Messa Crismale (3 Aprile 2007)

15. Omelia per la Messa in Coena Domini (5 Aprile 2007)

16. Omelia di Pasqua (8 Aprile 2007)

17. Omelia per la Solennità di San Giuseppe da Copertino (18 Settembre 2007)

18. Omelia per il Funerale di Mons. Nicola Tramacere (25 Settembre 2007)

19. Omelia per il Funerale di Don Angelo Pino (3 Dicembre 2007)

20. Omelia per la Notte di Natale (24 Dicembre 2007)

21. Omelia per l’Ammissione agli Ordini Sacri di Giuseppe Calòe Conferimento del Ministero dell’Accolitato al SeminaristaAntonio Musca (1 Gennaio 2008)

22. Omelia per la Consacrazione nell’Ordo Virginum di Mimina Alfarano(2 Febbraio 2008)

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23. Omelia per la Solennità di Sant’Agata (5 Febbraio 2008)

24. Omelia per il Funerale di Don Cosimo Carrozza (9 Marzo 2008)

25. Omelia per la Santa Messa Crismale (18 Marzo 2008)

26. Omelia di Pasqua (23 Marzo 2008)

27. Omelia per l’Ordinazione Presbiterale di Don Gianni Filoni,Don Giuseppe Montenegro e Don Francesco Tarantino (28 Giugno 2008)

28. Omelia per l’Ordinazione Diaconale di Antonio Musca (7 Dicembre 2008)

29. Omelia per la Solennità di San Gregorio Armeno (20 Febbraio 2009)

30. Omelia per la Santa Messa Crismale (7 Aprile 2009)

31. Omelia nella Liturgia della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo(10 Aprile 2009)

32. Omelia di Pasqua (12 Aprile 2009)

33. Omelia per il Funerale di Don Italo Magagnino (5 Maggio 2009)

34. Omelia nella Veglia di Pentecoste e Chiusura della Visita Pastorale(30 Maggio 2009)

35. Omelia per l’Ordinazione Presbiterale di Don Antonio Musca (29 Giugno 2009)

36. Omelia per il 10º Anniversario della morte di Mons. Vittorio Fusco(10 Luglio 2009)

37. Omelia per la Solennità di San Giuseppe da Copertino (18 Settembre 2009)

38. Omelia per la Notte di Natale (24 Dicembre 2009)

39. Omelia per l’Ordinazione Diaconale di Quintino Venneri(26 Dicembre 2009)

40. Omelia per la Solennità dell’Epifania del Signore (6 Gennaio 2010)

41. Omelia per il Mercoledì delle Ceneri (17 Febbraio 2010)

42. Omelia per la Santa Messa Crismale (30 Marzo 2010)

43. Omelia nella Liturgia della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo(2 Aprile 2010)

44. Omelia di Pasqua (4 Aprile 2010)

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18 Settembre 2005 – Solennità di San Giuseppe da Copertino

Basilica Sancta Maria ad Nives – Copertino

Miei cari, anzitutto un saluto pieno di rispetto e di stima al sindaco diquesta città, a tutti i sindaci presenti, a tutte le autorità politiche e militari ea ciascuno di voi, che è venuto oggi, in questa basilica, a onorare San Giu-seppe. Questa mia breve riflessione, molto essenziale, verterà su tre paroleche spero restino nella vostra mente: la forza, la sapienza e la carità. Abbiamoascoltato dal libro del Siracide: “Egli rimprovera, corregge, ammaestra e

guida come un pastore il suo gregge”. (Sir 8,13); il Signore corregge coluiche ama, punisce perché impari. Nella Lettera agli Ebrei è detto di Gesù:“Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso

perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbedi-

scono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di

Melchìsedek” (Eb 5,8-9). Questo tema, così presente nella vita di San Giu-seppe, lo vediamo rivolto alla sua natura: il suo carattere era forte, istintivo,violento, eppure attraverso una forma di dominio del suo stesso tempera-mento, attraverso una disciplina fatta di continuità e forza, egli affina con lapazienza la sua umanità e la rende simile a un cavallo di razza che, quandoè domato, può spendere tutta la sua forza e la sua energia per raggiungere iltraguardo più bello dell’esistenza umana. Se guardiamo la sua vita, il suocilicio, il digiuno, il dormire scomodo per terra, il vivere la vita in questomodo, ha fatto si che veramente il dominio sul suo corpo sia stato forte.

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Ma per quale motivo questo dominio? Per essere un atleta umano? Per sen-tirsi dire che era bravo, sovrumano nelle sue capacità? No, ma per renderela sua umanità capace di obbedire e di temere il Signore. Le sue scelte divita, la scelta fondamentale di Dio, di amarlo con tutto il cuore hanno messoin movimento un insieme di disciplina, di dominio di se, di penitenza e disacrificio. Tutto questo per far sì che la sua scelta potesse davvero diventaregrande e forte, prendere tutta la sua esistenza. Nella vecchiaia, racconta aisuoi amici, che le penitenze corporali ormai erano passate, le aveva posteall’interno del suo cuore, della sua anima, della sua coscienza; le penitenzele cerca nel giardino dei suoi sentimenti e del suo cuore; non ha più bisognodi bastonare il suo corpo, anche se tutta la sua vita è stata all’insegna del sa-crificio e della penitenza. Fratelli miei, questo comportamento ci insegnaqualcosa oggi? Ci insegna molto. Se vogliamo coltivare un campo, estir-piamo le erbe che lo infestano, perché vogliamo che crescano le piante chedanno frutto. E questo è un lavoro che non finisce mai perché una volta estir-pate, rinascono ancora e ancora. Si ha bisogno di un continuo lavoro perchépossiamo portare avanti la produzione delle piante buone. Così è nel cuoree nella nostra vita. Fratelli miei, la cosa più tragica che il demonio oggi hacompiuto nella vita e nelle coscienze dei cristiani è proprio questo, il pensareche tutti i sentimenti possano passare liberi dalla nostra mente, e possonoalbergare nel nostro cuore. Non è possibile questo. Tutte le scelte esigonodei sacrifici, quando un giovane si propone come obiettivo la laurea devestudiare e sostenere gli esami. Se un giovane si prefigge di scegliere il ma-trimonio o la scelta della vita consacrata o vuole farsi prete, è una scelta cheimpegna e che chiede sacrificio. Tutte le nostre scelte, fratelli miei, esigonorinunzie e sacrifici, altrimenti si perdono. Ciò che vorremmo recuperare perla nostra vita è l’esempio di San Giuseppe, è questo dominio dei propriistinti, questa capacità di portare nella nostra umanità una disciplina per cuitutte le nostre energie non si disperdano, ma puntino a realizzare le cose va-lide, le cose buone e le cose vere. La ricerca della Verità prima di tutto deveavvenire nella nostra mente, quella Verità che è Gesù con la sua Parola e checi aiuta a riunificare i nostri sforzi, affinché raggiungiamo questo fine. Que-sto lo voglio dire ai genitori che sono presenti qui oggi e a tutti gli educatori:le cose belle non nascono spontaneamente, è necessario davvero che ci im-pegniamo, come si è impegnato San Giuseppe, e alla fine dopo un forte la-voro per il dominio sulle forze più istintive della nostra vita, si continua conun lavoro delicato che rende libero il cuore; per amare e per essere fedelealla grazia di Dio. La fede è la prima parola della quale voglio parlare, miei

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cari fratelli, la seconda è la sapienza. Abbiamo ascoltato dalle parole di Gesù:“Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto na-

scoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.

Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11,25-26). Questa Parola di Diocosì bella, che la Chiesa rivolge alla vita e alla Santità di San Giuseppe daCopertino, è la stessa che rivolge al suo grande padre, San Francesco d’As-sisi. Il segreto, la risonanza di queste parole nella vita di San Giuseppe è inciò che lui scrive e dice; dalla Sacra Scrittura, dalla parola dei Padri dellaChiesa trova lo Spirito che nutre il suo cuore e la sua mente, mentre dalleparole dei dotti moderni trova un’organizzazione pulita di linguaggio che,però, non ha dentro di sé lo Spirito. Cosa vuol dire? Oggi siamo attratti moltodalla forma, dalla moda, dalle cose esterne, ma trascuriamo ciò che è dentrodi noi. Giuseppe da Copertino è diventato l’uomo che ha dominato se stessoe il suo io, dall’essere arrogante è diventato umile e silenzioso, capace diascoltare. Cosa ha ascoltato? La presenza di Dio nella sua vita, nella Chiesa,e soprattutto nel Vangelo, e di conseguenza tutti i Santi che hanno fatto sìche il Signore potesse regnare nelle loro coscienze. E questa era la sua sag-gezza: non era ritenuto un genio d’intelligenza umana, ma attraverso la sa-pienza del cuore, è diventato conoscitore e amante dello Spirito Santo,rispecchiando perfettamente il volto di Gesù. Fratelli miei, riflettevo proprioin questi giorni, che la genialità umana è legata all’io. È l’io che pensa, checostruisce e si sente onnipotente perché i suoi pensieri, i suoi ragionamentie i suoi grandi traguardi sembrano creati da lui e dinanzi a queste cose sisente un re. Se l’uomo relativizza tutto questo e lascia spazio all’interioritàdella vita, ascolta un mormorio delicato, mormorio che è la presenza delloSpirito. Come sono belle queste parole di Gesù, ti benedico Padre, perchéla nostra vita intima, il suo Mistero, la Trinità, il mistero dell’esistenza del-l’uomo non le capisce l’arrogante, il superbo, ma colui che diventa umile.San Giuseppe veramente è diventato un grande sapiente, che insegna ai piùgrandi teologi del suo tempo, ai papi, cardinali, vescovi, principi, perché lasua sapienza è la sapienza dello Spirito, è la sapienza del cuore. Fratelli miei,quanto abbiamo noi da imparare da questo? Che cos’è che attira i nostrisguardi e i nostri occhi? Le belle parole? State attenti a coloro che mistificanole cose, a coloro che imbrogliano e lusingano e poi, alla fine, ci deludono.Succede così di solito. Invece, le persone che ci parlano con oggettività, conrealtà, sono quelle che ci portano a contatto con il cuore dell’esistenza. Sonoi veri sapienti. Chi siamo noi? Cosa portiamo dentro? Che cosa racchiude lanostra vita e qual è il senso della nostra esistenza? Se questo senso è stato

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rubato dalle apparenze, raccoglieremo niente, soltanto vento, e dinanzi atutte le difficoltà della vita ci abbatteremo, saremo nulla. Ma se abbiamoposto il senso della nostra vita nella realtà, allora questa diventa roccia sucui possiamo costruire nella nostra vita. Non ci sarà mai l’erosione della roc-cia. Beato te, San Giuseppe, perché, come la Madonna, ti sei fidato di Dio,hai temuto il Signore, hai vissuto cercando il suo volto, cercando il suo volereper rispecchiare il suo tesoro: Gesù Crocifisso. L’ultima parola della qualevi voglio parlare è la carità. Qual è la sapienza della vita? Sapersi esprimere,capire dai fatti, ma che cosa significa rispecchiare la Verità? La Verità che èsostanza, che è il mistero Trinitario, è il cuore della Parola di Dio, è il sensosegreto della vita dei Santi. Che cosa significa rispecchiarla? Fratelli miei,significa passare dalla nostra volontà umana alla grazia, all’amore di Dioche si fa presente dentro di noi. San Giuseppe era un uomo così forte, direi“quasi violento”, conoscete molto bene la sua vita, sicuramente meglio dime: quando, nel suo paese natale, sentì parlar male di suo padre si arrabbiòtanto con chi lo aveva fatto. Questo suo gesto però fu sempre rimproveratoa Giuseppe da sua madre. Ecco, come fa a cambiare il suo carattere? Comefa a diventare dolce, paziente, a diventare amore? San Giuseppe ha paroled’amore per tutte le persone che lo vanno a trovare, per tutti i sofferenti chesi rivolgono a lui, è capace di immedesimarsi in tutti i problemi. Chi è chegli da questa capacità per cui la sua vita diventa bella, diventa perfetta? Lacarità. E da dove attinge questa carità? Dall’Eucaristia, dalla Messa celebrataogni giorno. Quando è inquisito, teme che gli tolgano il permesso di potercelebrare la Messa, perché la Messa è il cuore della sua giornata, il cuoredella sua vita. La sua vita diventerebbe insopportabile se anche per un giornosolo mancasse la presenza di Cristo, senza il tenero Agnello di cui lui si ciba,di cui ha bisogno per diventare amore lui stesso. Fratelli miei, quel lavorarela sua esistenza per portarla all’apice, per portarla al mistero di Cristo chemuore sulla croce lo incontriamo ogni giorno nell’Eucaristia. È la fornaceardente dell’amore. Sulla croce noi troviamo l’amore del Padre che ha amatotanto il mondo da dare il Figlio; questo Figlio che è morto sulla croce pernoi. L’amore del Padre verso di noi, ma anche quello di Gesù che rispondeal Padre e ci raccoglie tutti, per portarci dinanzi al Padre. Ebbene, l’intui-zione, più ancora, la regola dell’esistenza di San Giuseppe è l’Eucaristia.Fratelli miei, lui si è rifugiato continuamente nella celebrazione dell’Euca-ristia: quando celebrava da solo la Messa, durava molte ore, andava in con-templazione, in estasi, diventava veramente la sorgente per superare tutte ledifficoltà e le contraddizioni che l’esistenza umana aveva posto dinanzi ai

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suoi passi. Anche noi, se abbiamo smarrito il senso, il valore dell’Eucaristianon possiamo conservare la nostra vita di cristiani. Che cos’è che ci fa Santifratelli miei? L’amore. Che cos’è che ci renderà grandi dinanzi al Padre?L’amore. Quest’amore lo attingiamo dall’Eucaristia. I cristiani non possonovivere da cristiani se dimenticano l’impegno della Messa. San Giuseppe nonpoteva passare un giorno senza Eucaristia, perché sentiva che la sua vita eraniente, un abisso di disperazione senza Cristo. E noi pensiamo di poter vivereuna vita comoda e ricca mettendo da parte l’Eucaristia, forse relegandola aNatale e a Pasqua. Se non andiamo a Messa ogni domenica la nostra fede ela nostra carità si spengono; e noi saremo cristiani solo di parola, di nome,ma non conserveremo più niente di quell’amore che ci rende fuoco ardentein questo mondo per attirare e portare in questa corrente di salvezza tutti ifratelli che incontriamo. Questo vorrei dire al cuore di ciascuno di voi: senon poniamo in risalto l’importanza dell’Eucaristia in questo mondo po-tremmo fare molte cose, ma la cosa più grande, la più importante che pos-siamo fare è l’Eucaristia. Quante volte i Santi l’hanno insegnato;Recuperiamolo e continuiamo a dirlo a tutti i nostri amici, soprattutto ai no-stri ragazzi, perché davvero leghino la loro vita all’Essenziale. Ed è questoche San Giuseppe con la sua vita ci insegna e con la sua preghiera ci ottiene.

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25 Dicembre 2005 – Natale del Signore

Basilica Cattedrale – Nardò

Fratelli carissimi, amati dal Signore, in questo messaggio abbiamo coltol’annunzio dell’angelo ai pastori: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace

in terra agli uomini che Egli ama”. (Lc 2,14). Oggi celebriamo questo amoreche è venuto accanto a noi, nella storia, per riaprire nel cuore dell’uomo laconoscenza del Padre, la via per ritornare verso chi ci ha generati. Giovannici ha detto che la Parola eterna che era presso il Padre è stata adombrata dalpeccato dell’uomo (cfr Gv 1) che l’ha quasi nascosta, perché sulla creazionee sul suo cuore ha imposto una veste fatta di tenebre, capricci, arroganza erifiuto. Cristo, la Parola eterna del Padre, è venuto in mezzo a noi per risco-prire in tutta la creazione e nel cuore dell’uomo il suo volto. Ci ha ricostruito,ci ha ridato la dignità di figli, è venuto in questo mondo, che Lui ha fatto, eil mondo non l’ha accolto; ma a quanti l’hanno accolto ha dato il potere didiventare figli di Dio. La cosa più bella dinanzi a questo dono infinito delPadre, che ha reso la nostra vita e la nostra storia, uno splendore, è la Parolache usa Paolo “La pienezza del tempo”. (Gal 4,4). È arrivato il momento incui il nostro tempo si è congiunto con l’eternità, con il tempo di Dio. Riflet-tiamo su quanto è grande l’amore di Dio Padre che ci ha dato suo Figlio, ilsuo tesoro. Poteva farci un dono più grande che donarci il suo stesso Figlio?E da questo possiamo comprendere come siamo importanti per Lui. Maquanto è grande l’amore del Verbo che è disceso dal cielo? Immaginate que-

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sta Parola di Dio, Parola che ha creato il mondo, onnipotente, creatrice, in-finita, che si è fatta piccola, diventata debole, bisognosa di tutto in GesùBambino. Sant’Agostino, nel sermone 190, contempla che Egli giace in unamangiatoia ma contiene l’universo, “succhia da un seno”, ma è il Pane degliangeli, è avvolto in pochi panni ma ci riveste d’immortalità. È allattato ep-pure è adorato, non trova riparo in un albergo, ma costruisce il tempio nelcuore dei suoi fedeli. È davvero grande questo amore che discende, che sifa piccolo. E questo resterà nel cuore degli uomini che cercano Dio, sarà lacosa che sorprende, la cosa che ci affascina e nello stesso tempo ci attira.Quest’anno il Papa ha proclamato beato Charles de Foucauld, la sua spiri-tualità è il contemplare Gesù nella mangiatoia a Betlemme; dentro di Lui ècresciuta questa sete di rispondere all’amore che discende e che si fa cosìpiccolo, che ha scelto nella vita l’ultimo posto. Questo posto Gesù se l’è te-nuto come una cosa preziosa, tutti coloro che lo vogliono seguire, lo vo-gliono comprendere, devono imitarlo, perché Egli parla agli umili.Ricordiamo quel passo del Vangelo: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo

e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intel-

ligenti e le hai rivelate ai piccoli. Si,o Padre, perché così è piaciuto a te”.(Mt 11,25). Fratelli miei, ci siamo rivestiti di arroganza, seguendo lo spiritodel nostro tempo, ci siamo rivestiti di onnipotenza perché ci siamo illusi checon le nostre capacità, le nostre forze, le nostre ricerche, con il potere deisoldi potessimo comandare il mondo. Non abbiamo fatto altro che aumentarela potenza di distruzione del mondo e della vita umana. Spesso sentiamo intelevisione che tante nostre conquiste hanno fatto sì che il mondo diventasseun deserto più che un giardino, più un tranello per l’uomo che una casa ac-cogliente; questo è l’egoismo umano. Se questi deserti crescono, dice il Papa,vuol dire che sono immensi nel cuore dell’uomo, e allora spogliamoci esvuotiamoci dell’arroganza e dell’onnipotenza, di questa capacità della no-stra mente, ubriaca al tal punto, di ritenersi padrona del mondo, quando, in-vece, l’uomo è niente. Quando non riconosciamo più che tutto ciò cheabbiamo nelle nostre mani è dono di Dio, allora c’è da fare un processo nellanostra vita. Le potenze che accompagnano la nostra esistenza sono l’intelli-genza, la volontà e la memoria; tre parole fondamentali: l’intelligenza cheha costruito il suo sistema di calcolo e di potere: quando noi tiriamo indietrola mano e la riportiamo al centro del nostro cuore, quando facciamo cosìanche con la volontà, con quella sete di potere, di potenza che vuole rubaree farsi grande a spese degli altri, quando ritiriamo queste cose in un punto ecerchiamo la nostra vita in quel punto, essa coincide con il nulla, allora di-

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ventiamo semplici, diventiamo poveri e scopriamo che l’essenza della nostravita è un dono che ci viene dall’amore di Dio. Quando abbiamo capito eascoltato questo, allora siamo disposti ad accogliere quella Parola che ci hagenerato, quell’immagine che è dentro di noi e che abbiamo ricevuto nellacreazione, che non può splendere di nessun’altra luce se non della luce delVerbo eterno del Padre che è stato il nostro archetipo. Allora, questa luce siaccende e diventiamo simili a Dio: è questo il dono stupendo che il Padre ciha fatto, che Gesù ha portato nella nostra esistenza; e insieme all’amore delPadre e del Figlio c’è lo Spirito Santo che, come ha formato nel seno dellaVergine Maria Gesù per essere in mezzo a noi, forma in questo cuore diven-tato libero il Verbo; consente al Verbo di essere generato ancora, perché,come ha detto Agostino: “Tu costruisci il tuo tempio nel cuore di ogni fe-dele”. È qui, fratelli miei, il segreto della nostra grandezza, voi siete chiamatia diventare in questo mondo la continuazione di quest’Incarnazione di Gesùper cui non finite mai di dare ascolto, di dare spazio alla presenza dell’ amorein questa storia e in questo tempo. Questo significa che realmente dobbiamodare spazio alla volontà di Dio, alla Parola del Vangelo; non deve esserecome la parola stampata sui giornali, con lo spirito di questo mondo cattivoe orgoglioso che stilla continuamente nella nostra mente, ritorniamo alla fe-deltà dei nostri impegni, alle nostre scelte, alle promesse del nostro batte-simo, dei doveri che scaturiscono dalla nostra vita e dal lavoro per portareavanti la nostra casa e i nostri figli, al servire. Questo perché lo ha insegnatoil Verbo che è diventato nostro fratello. La nostra vita ha un senso e lo sco-priamo quando diventa dono e diventa offerta; quando resta chiusa in sestessa l’esistenza è persa, solo quando diventa dono, si scopre il suo senso ela sua verità. Un’ultima piccola considerazione, fratelli miei: tutti i popoli etutti i poveri della terra sono chiamati a entrare in questa gioia che la pre-senza di Gesù porta nel mondo. Ecco, i poveri, le persone che nella scala so-ciale stanno all’ultimo posto, sono coloro che, realmente, dinanzi a tutti glialtri, Gesù ha scelto per farsi presente in mezzo a noi. Sono veramente im-portanti per il Signore i poveri, gli ammalati, gli anziani che non hanno piùenergie, non hanno più attenzione da parte di nessuno, quei bambini appenaconcepiti nel seno materno e non voluti, visti come un fastidio. L’uomo nonsa che, facendo questo, distrugge la sua cultura e la sua civiltà, la sua stessaesistenza. Il Signore è in queste persone e loro sono nelle sue mani, sono ilsuo tesoro. Allora, se il tesoro del Padre è diventato nostro nel dono di Gesùe Lui ci rivela che i poveri sono il tesoro di Dio, amando Gesù non possiamonon abbassarci, non chinarci verso tutte le persone sofferenti, queste membra

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del suo corpo, questa Sposa Santa che Gesù Cristo, diventato nostro fratello,ha unito a se. Questa pace che gli angeli hanno annunziato scaturisce dallagiustizia che viene in questo mondo; e la giustizia è l’uomo che rispondepienamente alla volontà di Dio e costruisce la pace. Pace, quindi, agli uominiamati dal Signore. Lasciamoci amare da Dio, e quest’amore davvero faràfiorire la giustizia nel cuore di ciascuno di noi e farà trionfare la pace. È l’au-gurio che rivolgo a ciascuno di voi, al vostro cuore, alle vostre famiglie e atutte le persone che incontrerete nel vostro cammino.

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4 Febbraio 2006 – Giornata per la Vita

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei cari e amati figli e fratelli, ci troviamo in questa prima domenica difebbraio, com’è ormai tradizione nella Chiesa italiana, per porre al centrodella nostra preghiera e della nostra riflessione il mistero della Vita. Questagiornata è nata per opera dei Vescovi italiani, dopo l’approvazione dellalegge 194 del 1978 che ha reso legale l’aborto. Si pensa erroneamente chetutto quello che sia Sancito dalla legge sia eticamente giusto; ma questa leggeè contro il quinto comandamento di Dio: “Non uccidere”. Bisogna ricordarealla comunità cristiana che dietro ogni vita umana, dal suo apparire fino allasua naturale conclusione, c’è la presenza stessa di Dio. Egli ha posto il suosigillo su ogni esistenza umana e chi aggredisce, combatte e distrugge la vitasi pone direttamente contro di Lui. Ecco perché ogni anno ci ritroviamo qui:per comprendere il valore della vita, per difenderla e promuoverla. Voglioinnanzitutto ringraziare don Adriano e don Tony che seguono questo mini-stero, all’interno della nostra Chiesa locale e don Giuseppe per il suo lavoronel consultorio. Ma il mio grazie va ai responsabili, ai volontari delle variesedi del consultorio diocesano e a tutti voi, miei cari, che avete fatto propriil mistero del matrimonio e il servizio alla vita. Questo è un servizio cherende i genitori “sacerdoti e collaboratori di Dio;” vorrei davvero ringra-ziare per tutte le vocazioni d’amore che ci sono dietro questa esperienza equesto cammino. La vostra presenza questa sera riempie il mio cuore di spe-

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ranza e desidero che siate, ogni anno, sempre più numerosi. Vorrei questaCattedrale tutta piena nella giornata in cui celebriamo la vita! Chiunque hanel cuore il mistero della vita e il suo servizio da parte della famiglia devepotersi incontrare, per sostenersi in quest’annunzio del Vangelo. Chi vive ilproprio matrimonio al servizio della vita, secondo la volontà di Dio, vivràveramente il Vangelo. E questo Vangelo passerà attraverso la testimonianzasemplice e silenziosa, ma allo stesso tempo immensamente bella e avvin-cente. Gesù viene in mezzo a noi come medico delle anime e del tempo. Ab-biamo ascoltato nel Vangelo: “Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la

suocera di lui che giaceva a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre

scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo”. (Mt 8,14). C’è una relazionetra la vita dell’uomo e la venuta di Gesù, una relazione d’amore perché Dionon ha voluto che, il peccato commesso dall’uomo, potesse distruggerla; perquesto ha mandato Gesù, perché portasse nella nostra vita la sua Risurre-zione. La sua vicinanza nella sofferenza, nella malattia e nella morte imprimealla nostra storia la potenza della sua vittoria. Oggi siamo tentati di allonta-nare dalla nostra vita ogni aspetto del dolore e della sofferenza come se que-sti fossero estranei alla vita stessa. Niente di più sbagliato, gioia e dolore,tristezza e gaudio, fanno parte integrante della vita; ma la sofferenza non sa-rebbe comprensibile se non la accostassimo a Gesù, se non ne vedessimo ilvero valore e la trasformassimo in dono. Gesù non rimane lontano da noi, sipone accanto a noi come Risurrezione. San Pietro negli Atti degli Apostolidice: “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale

passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del

diavolo, perché Dio era con lui”. (At 10,38). La vita di ogni singolo indivi-duo è importante per Signore. Nel libricino che vi è stato consegnato primadella Messa che ha nutrito la preghiera d’inizio, vi è un messaggio: “In prin-

cipio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. (Gv 1,1). “In

lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”. (Gv 1,4). La nostra vita ènelle mani del suo creatore ancor prima che tutto fosse creato, ed Egli havoluto renderci partecipi della sua creazione chiamandoci all’esistenza. Èdono di Dio: non ne siamo padroni, ma solo amministratori. Il senso verodella scienza non è produrre la vita in laboratorio, ma custodirla e servirla.Ricordiamoci che se la vita è dono, fratelli miei, dentro di se porta il germedella gratitudine, e quindi, affermano i Vescovi, non solo è mistero, ma varispettata sempre e comunque. Che cosa significa rispettare la vita? Significaguardare a essa con pazienza e umiltà, in lei c’è il mistero di Dio che chiededi essere ascoltato in un silenzio attento. Quando non si rispettano le persone,

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queste si trasformano in cose, servono solo per il nostro egoismo e i nostriscopi; e le cose, per definizione, non parlano, ma servono soltanto. Non èquesto che il Signore vuole da noi, il cuore di ogni persona è mistero, dob-biamo ascoltarlo, guardare nel suo segreto e metterci al suo servizio. Gio-vanni Paolo II parla di Vangelo della vita, perché è l’amore di Dio che ci fasimili a Lui, ci rende il culmine della creazione. Infatti, la creazione è in fun-zione dell’uomo, in questo progetto d’amore che si realizza in ogni singolapersona che Dio chiama alla vita; Egli ci rende partecipi della Sua stessavita: “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue

narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.” (Gn 2,7). Noicrediamo fermamente che l’anima umana “sia spirito dello Spirito”, non puòessere ereditata, nasce direttamente dal Signore, ogni volta che i genitori col-laborano nel donare la vita per la Sua gloria. Dinanzi a questo mistero la fi-losofia, la scienza, la tecnica, le strutture, il diritto e la società devonoinchinarsi e rispettarlo profondamente. Questo grande mistero ci porta a es-sere figli adottivi di Dio. Abbiamo appena consegnato alle mamme in attesauna candela simbolo della speranza e dell’amore di Dio che le avvolge; Eglile ha chiamate a portare nel loro cuore lo stesso Spirito che è stato in Gesùe che ci ha permesso di essere partecipi dell’amore che unisce il Padre al Fi-glio; ed è grazie a quest’amore, che noi siamo stati rigenerati in Cristo esiamo diventati Figli di Dio. E questo vale per ogni vita che è stata chiamatanel mondo, bisogna, quindi, rispettare, amare e servire ogni vita umana, per-ché si possa “compiere” il numero dei figli di Dio. Bisogna avere particolareattenzione ai piccoli e ai bisognosi, ai bambini concepiti nel seno dellamadre, agli anziani, alle persone sole e abbandonate; è proprio qui che noiscorgiamo il segno dell’amore infinito di Dio. Il documento dei Vescovi ita-liani ci chiede di guardare con attenzione alla vita, dove anche un solo abortoevitato diventa un dono immenso all’umanità. Ci dev’essere un’attenzioneparticolare, una vicinanza alle donne in difficoltà, alle ragazze madri, ai fi-danzati che hanno timore di rivelare ai genitori una gravidanza indesiderata.Spesso, purtroppo, sono proprio i genitori a proporre l’aborto, anche soloper salvare le apparenze. E a queste persone in difficoltà che noi tutti dob-biamo stare vicini e aiutarle a capire il grande dono che è stato fatto loro.Ma in questo documento si parla anche di coloro che fanno ricorso alladroga, che per noia o apatia rischiano la loro vita, per esempio, in corse folliin cui molto spesso trovano la morte. La vita per loro è senza valore. Comefar scoprire loro l’importanza della vita? La sua importanza si scopre quandosi comincia ad amare gli altri, quando ci rendiamo conto che la vita non è in

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nostro possesso e noi ne siamo solo gli amministratori, e viviamo non pernoi stessi, ma per gli altri. Un mio alunno, i cui genitori si erano suicidati,mi diceva che sua madre e suo padre avevano scelto la morte, perché nonavevano amore nel loro cuore, altrimenti non lo avrebbero mai abbandonato.La nostra vita è preziosa non solo per noi, ma anche per gli altri, ed è l’amoreche lo fa scoprire ogni giorno. Tra genitori e figli, nelle famiglie, c’è unamore infinito che aiuta i giovani a salvarsi dall’apatia, dall’insincerità, dalladisperazione, dallo scoraggiamento e che rende la vita degna di essere vis-suta. Qualche giorno fa ho incontrato un altro mio alunno, la moglie era allaterza gravidanza, il quale mi ha raccontato che essendo sui quarant’anni ilmedico ha subito fatto pressione per fare tutte le analisi e ha prospettatol’aborto nel caso in cui il bambino non era sano. È tragico pensare che sidebba chiedere il permesso ai medici per entrare nella vita. Dov’è il rispettodella vita in tutto ciò? La scienza raggiunge il suo apice quando serve e amala vita, non se la uccide. Un medico che pratica l’aborto e magari domanipraticherà l’eutanasia, come potrà servire la vita e custodirla, come si po-tranno scoprire nuovi farmaci, quando la soluzione più facile è sopprimerla?È questa la scienza giusta e valida? Sono felice di vedere qui tante mamme,in un mondo dove si consiglia di non avere più di un figlio, perché non si hafiducia nel futuro, perché lo Stato non aiuta a promuovere la maternità e lefamiglie numerose sono rarissime. Bisogna portare nel cuore la stessa pas-sione di Dio verso gli uomini e i bambini. La cultura che è piena di se e nonha nulla da conservare, che non si rigenera, che considera i bambini comesole riserve per il futuro è una cultura morta che non ha futuro. È nostro do-vere promulgare il futuro e la speranza, perché sappiamo che l’Amore diDio non viene mai meno, ci conforta e ci sostiene, è con la nostra testimo-nianza che dobbiamo aiutare gli altri a capire la vita, ad averne rispetto e adamarla. Il nostro più grande servizio nei confronti della vita è far capire chel’amore è la cosa più grande, la sola che può salvare l’esistenza, e se riusci-remo a far questo, saremo costruttori di una civiltà che non muore, della ci-viltà dell’amore, di una civiltà che porta dentro di se il Vangelo, come dicevaPaolo VI, che porta dentro di se l’amore di Dio per noi.

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5 Febbraio 2006 – Solennità di Sant’Agata, Patrona della Diocesi

Basilica Concattedrale – Gallipoli

Carissimi e amati figli, è davvero molto bello vedere questa nostra catte-drale gremita, è bello “assaporare” il vostro amore e il vostro attaccamentoa Sant’Agata. Amore che lega anche me a questa Santa vergine e martire,così cara al mio cuore da quando l’ho conosciuta più da vicino. Questa è lasettima volta che mi ritrovo a parlare di lei, e desidererei che tutta la diocesila guardasse come un libro aperto, per contemplare il senso dell’amore, ilVangelo vivo. Guardando al suo cuore dobbiamo imitarla ed essere fedelialle nostre scelte di vita, “sconfessare” tali scelte, non ci rende degni amici,fratelli e anche un po’ figli di questa Santa. Per la riflessione di questa seravorrei soffermarmi su tre punti principali. Abbiamo appena pregato il Si-gnore, affinché ci doni la sua misericordia per intercessione di Sant’Agatavergine e martire. Dobbiamo riscoprire il significato di queste due parole“vergine e martire”, e di conseguenza, riflettere sul senso della vita. La ver-ginità all’interno della Chiesa è un valore grandissimo. Abbiamo ascoltatodalle parole di Paolo, che sembra imitare San Giovanni Battista, quando dicedi essere l’amico dello Sposo e di aver preparato la sua sposa, conservandolaintegra e illibata per presentarla allo Sposo, che è il Signore Gesù. Paolocontinua dicendo che prova una gelosia divina, perché li ha fidanzati, li hapromessi ad uno Sposo e tutta la sua vita è dedicata a far sì che si presentinopuri e senza macchia al suo incontro. “Io provo infatti per voi una specie di

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gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale

vergine casta a Cristo”. (2Cor 11,2). Vorrei farvi una domanda: “Chi è il

vergine”? È colui che ha fatto dono della vita nella sua interezza, ha donatoi suoi sentimenti, il suo cuore, la sua sessualità, i suoi affetti al Signore. Macosa significa tutto ciò? Per Paolo significa essere Santi nel corpo e nellospirito. E cosa ci fa essere Santi nel corpo e nello spirito? Compiacendo Dio!Il vergine non ha alcun altro interesse nella vita: l’unico fine che lo anima ècompiacerlo. Ma come si fa a compiacere Dio? Portando nella nostra vital’obbedienza alla sua volontà; la verginità fa sì che la nostra vita diventi undono d’amore totale al Signore. Quando Gesù è stato battezzato nel fiumeGiordano, il Padre ha detto: “Questi è il figlio mio prediletto, nel quale mi

sono compiaciuto”. (Mt 3,17). È proprio Isaia che spiega il significato dellaparola “compiacimento”: “Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua

terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata Mio compiacimento e

la tua terra, Sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra

avrà uno sposo”. (Is 62,4). Cristo è venuto in questo mondo per compiere lavolontà del Padre. E allora chi è il vergine? Colui che porta nel suo cuore,nella sua vita la presenza di Dio. Se potessimo chiedere a Sant’Agata cosac’è nel suo cuore, qual è il segreto della sua vita, lei ci risponderebbe senzadubbio: “Il Signore Gesù”. Nel racconto della sua passione c’è un dialogotra lei e il giudice romano; quando le è chiesto chi era, lei risponde sempli-cemente: “Sono una persona nobile e libera”. Il giudice rimarca dicendoche se fosse davvero libera, non vivrebbe da serva; e lei risponde, affermandoche essere schiavi di Cristo è la nobiltà suprema, la piaga suprema, la pie-nezza della gioia. Portare Dio nel nostro cuore non vuol dire fare i suoi in-teressi, compiacerlo significa, invece, aprire il nostro cuore all’amore cheLui ha per ciascuno di noi, lasciar esplodere la gioia, far fiorire la vita, darepienezza all’esistenza umana. L’amore ci fa capire il senso della vita! Ai ra-gazzi dico sempre che il desiderio supremo del cuore è cercare la felicità, lasua ricerca è intrinseca nella natura umana. Ma che cos’è la felicità? Per al-cuni è sinonimo di egoismo, mentre la vera felicità si raggiunge solo nelcammino dell’amore; la nostra suprema nobiltà è essere schiavi di Cristo, eportare nel nostro cuore la persona amata, rende piena e completa la nostravita. Ma l’amore richiede una dedizione totale, senza riserve e tentennamentie senza condizioni. È questo che ci insegna Sant’Agata. Questa ragazzina disedici anni che nella pienezza della giovinezza ha capito il senso della vita,ha amato con tutta se stessa Dio, l’ha posto nel suo cuore e da lì la sua vitaè diventata dono. Accettare Dio in questa vita attraverso la verginità significa

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coniugarla a quest’eterna giovinezza e freschezza, e renderla degna di esserevissuta. Ma questa fanciulla è vergine e martire. Cos’è il martirio? È il donototale di se stessi, non solo nel cuore, ma con tutto il proprio essere. Donototale, ma anche e soprattutto la prova suprema. Donare la vita per amore.In televisione sentiamo che i kamikaze si definiscono martiri, ma questi nonhanno nulla del martire cristiano. Gesù dice: “Padre, perdonali, perché non

sanno quello che fanno”. (Lc 23,34). Il primo a credere che Gesù è vera-mente il Figlio di Dio è il centurione, il capo di quei soldati che l’hanno cro-cifisso. Per capire veramente che cos’è il martirio dobbiamo pensare a SantaMaria Goretti che morente, alla domanda del padre passionista, che le stavicino e le chiede se ha perdonato il suo assassino, risponde dicendo che nonsolo l’ha perdonato, ma che lo vuole con lei in paradiso. Questo è il martiriocristiano, non è l’odio che porta alla morte e distrugge la vita, ma è dono disé per amore, servizio per far felici gli altri. Il martire, fratelli miei, è coluiche resta fedele all’Amore anche quando questo sembra abbandonarlo. Gesùsulla croce grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. (Mt27,46). Noi vediamo il silenzio di Dio, quest’apparente lontananza. Il mar-tire, però, si aggrappa all’Amore di Dio e gli rimane fedele, ripaga con ildono di sé quel Sangue di Cristo che celebriamo sull’altare, che ci nutre divita. Ma questa non è una risposta “alla pari”: è lo Spirito che si china su dinoi e rende capace il martire di far dono della sua vita. Ma cosa insegna anoi il martirio di Sant’Agata? Spesso sentiamo, soprattutto tra le coppie gio-vani, che quando l’amore finisce e non ci si vuole più bene, si può e si devetrovare qualcun altro che ci soddisfi e ci ami; soprattutto quando una personaè stata tradita e il suo cuore si è allontanato e diventa infedele. Le prove dellavita ci mettono davanti momenti di solitudine e d’incomprensione, non solonella coppia, ma anche in quelle persone che hanno scelto di consacrare laloro vita a Dio. E qui si ritorna a essere egoisti. Bisogna ricordare a tutti chel’amore non cambia la sua natura, rimane fedele anche nella prova e si ri-scopre nei momenti bui, come nelle giornate nuvolose, dove sembra che ilsole non ci sia, ma poi appare dietro le nuvole e ci riscalda e ci dona gioia.Questo è l’insegnamento di Sant’Agata, questo è l’insegnamento di Abramo:entrambi sono stati messi alla prova e ne sono usciti vincenti. Abramo, peressere gradito a Dio, deve sacrificare il suo unico figlio, la prova concretadella promessa. Ma lui ha fiducia nel Signore, si fida di Lui, sa che l’amoredi Dio è fedele e non torna indietro. A che serve aver scoperto l’amore e poidinanzi alle prove far marcia indietro? L’egoismo non salverà mai il mondo,è nell’amore che Dio ci rassicura e conforta, non ci lascia mai soli, ma aven-

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doci donato il libero arbitrio, vuole anche la nostra compartecipazione. Eccol’insegnamento per i giovani d’oggi, anche attraverso le prove non snatu-riamo la vita, non avveleniamola, non distruggiamola con il nostro egoismo.Oggi è la giornata della vita, ma è anche domenica, il giorno nel quale cele-briamo la Pasqua del Signore e di Sant’Agata. È nella Pasqua che l’uomotrova la sua salvezza. Pregare perché si scopra il senso della vita, perché lacoscienza umana capisca il valore immenso e infinito che Dio ha posto inogni esistenza umana, è un dovere per noi cristiani. Dobbiamo sempre tenerpresente Colui che ce l’ha donata e ricordare che l’amore la conserva, lasalva e la trasfigura. A me piace associare la vita all’amore. Aristotele diceche la vita nella sua essenza è movimento, l’amore è movimento. La personache capisce il significato dell’amore vive il movimento di sé, e nel dedicarsie nello spendersi per gli altri le vive con pienezza, conserva la sua vera es-senza, non la fa morire. La noia e la stasi uccidono la vita; le persone neimomenti bui spesso si rifugiano nelle droghe o in comportamenti sbagliati.Gli incidenti all’uscita delle discoteche, il vivere senza sapere cosa si sta fa-cendo è sprecarla, non darle nessun valore. L’amore la conserva e la rendeSanta e bella. Vorrei consigliare un bel libro ai ragazzi e ai giovani: “L’artedi amare”. L’amore è un’arte, ogni gesto è unico e irripetibile, ogni momentoche noi viviamo ha una sua bellezza; l’amore fa sì che la nostra vita non in-vecchi mai, ogni istante e ogni gesto richiede la nostra vivace partecipazione.È proprio vero l’amore esalta la vita, la trasfigura. Sant’Agata nella Pasquadi questo mondo è entrata nell’eternità. L’amore ci fa capire cos’è l’eternità:se noi abbiamo imparato ad amare e siamo fedeli anche attraverso le prove,siamo certi che questa vita sboccerà nell’eternità dinanzi a Dio, perché iltempo dell’amore è eterno. Che cosa ci insegna stasera Sant’Agata? Verginitàe martirio. Il dono totale di sé, dei suoi sentimenti, del suo cuore, del suo af-fetto: il dono totale della sua vita. Questo è l’esempio da seguire: dobbiamocompiacere Dio, portare nel nostro cuore la compiacenza di Dio, la fedeltàal Signore, per essere davvero amici, fratelli e figli di questa Santa. Con tuttoil mio affetto vi auguro che questa presenza e il vostro attaccamento a questaSanta, sia dolce immagine, testimonianza vera, che resti viva nel vostrocuore, nei vostri ricordi e nella vostra vita.

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12 Aprile 2006 – Santa Messa Crismale

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amatissimi figli e carissimi fratelli, sono in questo momento nellospirito con noi tutte le sorelle dei quattro monasteri di questa nostra SantaChiesa, i sacerdoti anziani che non possono partecipare perché la malattianon glielo consente e ricordiamo in questa nostra assemblea quest’anno, SuaEccellenza Monsignor Antonio Rosario Mennonna che per lunghi anni èstato pastore di questa Chiesa. Inoltre, in questa Santa celebrazione, volevorendere grazie al Signore per i cinquant’anni di sacerdozio di don OttorinoCacciatore e di don Luigi Tarantino. È davvero un giubileo, cinquant’annidi servizio al Signore e, quindi, tutti noi in questa Santa celebrazione ren-diamo gloria e lode a Lui. Così per i venticinque anni di don Luigi Carlinoche è cappellano militare a Roma. Vorrei dire anche un grazie a MonsignorBregantini, di Crotone della Locride in Calabria che ha subito degli attacchida parte della malavita organizzata. Monsignor Bregantini ha mandatoquest’anno a tutte le cattedrali d’Italia un po’ del profumo da mettere nel cri-sma e noi lo abbiamo fatto. Dobbiamo pregare il Signore per questi fratelliche vivono il combattimento della fede, dove rendere testimonianza a Gesù,significa ogni giorno scontrarsi con una mentalità, con un atteggiamento,con delle forze che vorrebbero strappare dalla vita e dal cuore delle personeil Vangelo. Siamo solidali e preghiamo con lui oggi il Signore. Fratelli miei,vorrei porre dinanzi ai vostri occhi il Regno di Dio, Regno che si attua attra-

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verso due parole: la consacrazione e la missione. Gesù ha detto: “Oggi si è

adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc4,21). E qual è quella scrittura? Quel passo del profeta Isaia che dice: “Lo

Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione,

e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per procla-

mare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà

gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore”. (Is 61, 1 – 2). Checos’è dunque il Regno di Dio? È la promessa che oggi dinanzi a voi si ècompiuta, dice Gesù; le persone lì presenti non capiscono, non vedono nulladi nuovo perché i loro occhi sono chiusi. Questa bellissima proclamazione,questa manifestazione della sua missione non è capita, addirittura, Gesù ri-schia la lapidazione e deve nascondersi e andare via. È il compimento diqueste promesse, e già nella vita e nella persona di Gesù si compie il Regnodi Dio: Regno che è la fine di un atteggiamento umano di chiusura, di pec-cato verso Dio. Cosa ha costruito il peccato nella storia? Una realtà che sioppone a Dio, dove l’uomo prende il suo posto, non deve rendere conto anessuno e pensa di salvarsi da solo. È un escludere Dio dalla storia e dal-l’esistenza. Chi è Gesù? È colui nella cui vita si rende presente la volontà diDio, la sua stessa presenza in questo mondo. Due parole, fratelli, sono fon-damentali: consacrato e mandato. Lo Spirito del Signore è su di me per que-sto mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad annunziare ai poverila buona novella. Che cosa significa consacrato? Al tempo di Gesù era sino-nimo di santificato, consacrati erano gli agnelli che si portavano al tempio esi offrivano al Signore, questo termine esprimeva il dono, l’offerta e il sa-crificio. Gesù nel Vangelo di Giovanni dice: “Per loro io consacro me stesso,

perché siano anch’essi consacrati nella verità. Non prego solo per questi,

ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me”. (Gv 17,19-20). In Gesù, vittima sacrificale, Agnello che è offerto al Padre, la consacra-zione avviene sulla croce quando offre la sua vita per noi. Egli ha detto:“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già ac-

ceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché

non sia compiuto!”. (Lc 12,49 – 50). Sulla croce il suo corpo aperto diventafuoco, diventa offerta d’amore, pienezza di comunione con il Padre. E questaconsacrazione da chi è compiuta, chi è che prende Gesù, che offre la sua vitaper amore al Padre e per noi? È lo Spirito Santo il fuoco che offre il sacrificiodella vita di Gesù: ecco, la presenza del Regno in questo mondo, è l’offertadi Gesù sulla croce, dove Lui e il Padre sono una cosa sola, dove finalmentenell’umanità esiste un tutto, un luogo e uno spazio dove possiamo entrare in

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contatto con il Signore. Gesù è consacrato dallo Spirito, è unto, è lo Spiritoche trasfigura la vita di Cristo e lo fa diventare splendore del Padre. E dopoaverlo consacrato, lo invia. Con atteggiamento sacrificale, di amore donatoe offerto a noi, Gesù parla, annunzia la Buona Novella ai poveri, compie imiracoli, caccia i demoni e perdona i peccati. Con questa sua opera porta lepersone a incontrare il Padre, a sentire questa vicinanza che non si tocca enon si vede. Ricordate le parole di Gesù : “Allora se qualcuno vi dirà: Ecco,

il Cristo è qui, o è là, non ci credete”. (Mt 24,23). Non fa parte dell’espe-rienza di questo mondo, c’è bisogno di qualcos’altro, c’è bisogno della con-versione. La seconda parola: missione. “Non temere, piccolo gregge, perché

al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”. (Lc 12, 32) Questo, Gesù,lo dice a quella piccola Chiesa che sono gli apostoli, le persone credenti chesono attorno al lui. Nel capitolo 17 di Giovanni Egli dice: “Non chiedo che

tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del

mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola

è verità. Come tu mi hai mandato, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro

io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità ”. (Gv17,15-19). Custoditi nel tuo nome, nel tuo amore. Il mondo vuole riprendersii consacrati, coloro che si sono votati al Signore, vuole riassorbirli nella suafilosofia, in un mondo senza Dio. Ci vuole poco, fratelli miei, a perdere ilrapporto con il Signore. Questa consacrazione che abbiamo ricevuto nei sa-cramenti del Battesimo e della Cresima, quello Spirito che Gesù ci ha datoquando siamo diventati sue membra, quando ci ha congiunti a se nella suaofferta, ci ha insegnato il nome del Padre e ci ha insegnato a chiamarlo papà.Il mondo vuole cancellare tutto ciò, vuole renderlo un’idea, per riassorbircinella sua filosofia e Gesù chiede al Padre di custodirli nel suo nome. Quelnome, che Egli ha rivelato loro, li conservi in questa fiducia verso di te, con-sacrati nella Verità. Cosa significa essere consacrati nella Verità? Gesù dice:“Io sono la verità”. È Lui la Verità dell’uomo, Lui che ha offerto se stessoin sacrificio per noi, ci ha consacrato nella partecipazione in questa offerta,l’unica offerta Santa, l’unico sacrificio gradito al Padre. E in questa comu-nione con Gesù, questo diventare lode del Padre fa si che noi diventiamoconsacrati nella Verità. Fratelli miei, siamo consacrati e mandati. Il Regnopassa attraverso la nostra comunione, il nostro essere Chiesa, essere corpodi Cristo uniti e solidali con Lui, che ci fa diventare pietre vive di questoTempio, testimoni della Verità di Gesù. Così la Chiesa annunzia il Regno,così la nostra comunione, l’essere insieme uniti dalla carità e dallo SpiritoSanto diventa spazio, forma, strumento e segno del Regno di Dio. Lo spazio,

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ambiente divino, dice Teilhard de Chardin, è lo spazio che il Padre si è sceltoper rendersi presente nella fede, nella carità, nella speranza, nel nostro cuore,nella nostra unità, quello spazio che riconosce la presenza e la sovranità diDio. È la nostra struttura, il nostro essere tutti collegati, non siamo confusi,non c’è anarchia, c’è armonia e ordine, c’è servizio reciproco. La Chiesa èlo strumento che prepara il Regno di Dio e nello stesso tempo è segno dellasua presenza, della sua regalità nella nostra vita ed è inizio e cammino versola sua pienezza. Questo continuo rigenerarsi nella consacrazione, non è pro-prio dei giorni nei quali abbiamo ricevuto i sacramenti del Battesimo e dellaCresima, ma si attualizza ogni giorno perché, davvero, dal nostro cuore,possa salire al cielo l’offerta gradita al Padre. È l’obbedienza della fede. Vo-gliamo lodare questo essere rigenerati ogni giorno dallo Spirito Santo. Que-sta consacrazione che si attualizza sempre, ogni giorno della nostra vita, nonfinisce mai, è il frutto dello Spirito. Abbiamo dinanzi i nostri fratelli sacerdotiche l’amore di Gesù ha scelto, ha consacrato e ha mandato. Anche in noi c’èquesta consacrazione, una consacrazione particolare: Gesù ha preso i dodiciperché stessero con lui, lo guardassero da vicino, perché pian piano entras-sero nel mistero della sua vita e diventassero ipostasi della sua persona, delsuo sacerdozio, di questo suo essere consacrato e mandato, e ciò ci prendein un modo particolare. Gesù affida a noi il suo compito, la sua opera di sal-vezza. Questo è quello che noi oggi guardiamo all’interno della Chiesa conil ritrovo dei sacerdoti. Il Signore ci ha consacrati e lo Spirito che Gesù cidà ci unisce intimamente e ci chiede di essere solidali con Lui nel misteropasquale, di avere nella nostra vita la stessa logica, lo stesso dono. Abbiamodato tutto, ci siamo spossessati di noi stessi affinché lo Spirito potesse dentrodi noi compiere il sacrificio. Non separato da Gesù, ma lo stesso di Cristo:è questa comunione con il suo sacrificio che ci rende capaci di essere suoisacerdoti, continuatori del suo sacerdozio. Ed è talmente profonda questacomunione con Gesù per cui noi possiamo dire davvero “questo è il mio

corpo”, “questo è il mio Sangue”, “io ti assolvo dai tuoi peccati”, “io ti

battezzo”; e, allora, davvero sperimentiamo questa intimità, questa profondapresenza di Cristo. Ecco il Regno, fratelli miei, ed espressione forte di questoRegno di Dio è la nostra verginità: non è qualcosa che otteniamo con la forzadella nostra volontà, non sarebbe nulla, è un dono che lo Spirito Santo suscitadentro di noi e ci dice che per noi l’amore che ci lega a Gesù è più importantedella nostra vita, di qualsiasi attaccamento a questo mondo, di qualsiasi altroprogetto, perché l’amore che ci lega a Cristo ci ha segnato fin dalle intimefibre, nelle forze vitali della nostra esistenza. Come è bello, per i sacerdoti,

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vivere il mistero di questo dono insieme a Gesù e al Padre, dono operatodallo Spirito Santo. Tingere di entusiasmo, di gioia, un servizio che non esigeuna ricompensa totale, limpido e sincero, gratuito, della stessa natura di que-sto dono che Gesù continuamente ci fa del suo Spirito. E fa si che il nostrocuore diventi il cuore stesso di Cristo. Tante volte nella preghiera davanti aGesù Eucaristia pregando io dico: “Signore prendi il mio cuore e fa che sia

Tu ad amare, Tu a parlare, Tu ad incontrare le persone”. Miei cari fratelli,è questo il mistero della nostra vita di sacerdoti, Gesù ci ha mandato per es-sere come il suo cuore, annunziatori della sua Parola, ministri della sua sal-vezza, dei suoi sacramenti. E di camminare, per essere forma, anima delpopolo Santo di Dio, che con il servizio all’amore fa giungere a tutti i mem-bri quella forza della carità che fa vivere ognuno. Ci ha mandati. Quanto ègrande questo amore di Dio che ci ha così armonizzati gli uni per gli altri, èil suo amore, è la sua consacrazione che ha fatto sì che la sua vita fosse tuttaun dono, per cui, anche noi, siamo diventati, reciprocamente, dono l’uno perl’altro. E questo nostro amore al Signore lo manifestiamo con la cura cheabbiamo per le vocazioni e il seminario. Ne parlerò a ciascuno di voi quandoverrete a fare la vostra offerta per il seminario, ma voglio dirlo anche adesso,nel nome del Signore, grazie. Grazie al Signore per i suoi doni, per i suoisanti sacerdoti che ci servono nel suo nome e per suo mandato con la potenzadel suo Spirito. Esprimiamo la nostra gioia e la nostra gratitudine conl’amore verso il seminario, verso i sacerdoti, verso chi ha nel cuore questavocazione, ricordando che deve essere sentito da tutti, bisogna ricompren-derlo. È vero che il Signore sollecita e chiama chi vuole, però quando si ma-nifesta questa chiamata dobbiamo collaborare per far si che ciò che Lui hainiziato possa essere portato a compimento. La nostra gioia, cari fratelli, èquesto Regno di Dio, che passa attraverso la consacrazione e la missione.Sentiamo nostre le parole di Gesù, il Signore mi ha consacrato e mi ha man-dato, il Signore mi ha dato lo Spirito affinché la mia vita potesse diventaredono totale e annunzio del suo amore per ogni uomo e invito a far parte diquesta comunione di carità. Possa lo Spirito attraverso la parola di Gesù edei Santi nella Chiesa rigenerarci continuamente, e segno di questa sua pre-senza saranno gli Olii che stiamo per consacrare, che in ogni singola comu-nità porteranno questo amore e questo Spirito che noi oggi invochiamo tuttiinsieme.

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17 Aprile 2006 – Pasqua del Signore

Basilica Cattedrale – Nardò

Carissimi fratelli, amati dal Signore, siamo nel cuore della nostra fede dicristiani, al centro di quell’esistenza che ha trasformato la nostra vita. Oggisiamo a contatto con questa realtà, con l’opera che il Padre ha fatto e haposto nella storia degli uomini: la morte e la Risurrezione di Gesù. Dinanzia questo evento la nostra umanità resta sbigottita, ammirata, non riesce adire altro che grazie, esprimere l’Alleluia, la gioia. Noi chiediamo al Signoreche il suo evento, quest’opera meravigliosa, si estenda sull’umanità di tuttii tempi, produca nel nostro cuore una meraviglia buona, la vera gioia. Questanotte abbiamo benedetto il cero, e questa luce è la luce di Gesù; la sua uma-nità porta in mezzo a noi lo splendore di Dio. E noi, avvicinandoci a Lui,siamo illuminati, portiamo nella nostra vita questo splendore, questa gloria.Allora la nostra umanità da opaca, da oscura, da tenebra diventa limpida, lu-minosa. Cosa possiamo dire per esprimere la nostra gratitudine, per sostenerela nostra preghiera, il nostro cammino? Quello che abbiamo ascoltato cambial’orizzonte della vita umana, prima della Risurrezione dai morti di Gesù,l’orizzonte della vita si concludeva con la morte; e le persone dicevano chedopo la morte c’era il nulla. Allora la tomba era l’ultimo sigillo della vitaumana, questa vita pretendeva, nell’arroganza del peccato, di costruire sestessa, di conservarsi, viveva continuamente nella paura della morte. Gli uo-mini s’inventavano degli idoli, delle potenze cui aggrapparsi nell’illusione

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di non dover morire. Gesù ha portato nella storia del mondo la vittoria sullamorte: anche Lui è morto sulla croce, una morte terribile, eppure è risusci-tato. La tomba, lo abbiamo ascoltato nel Vangelo, diventa qualcosa di cuinon aver paura perché, con la Risurrezione di Gesù, è stata violata dalla po-tenza di Dio che ha trionfato sulla morte. Quanto è più grande il nostro oriz-zonte, fratelli miei, l’orizzonte di credenti, di figli di Dio. Gesù con laRisurrezione ci ha messo in contatto con Dio e ci ha fatto chiamare “papà”il Padre del cielo; come si allarga l’esistenza umana, non ci fa più paura lamorte, non è più una disperazione; è un passaggio, perché Gesù ci prendeper mano. Dobbiamo conservare nel nostro cuore quest’amore con il Padree questa figliolanza che Gesù risorto ci ha donato: questo giorno è ricordodel nostro Battesimo, perché noi siamo stati generati dalla morte e Risurre-zione di Gesù. Non riportiamo nel mondo una visione chiusa dell’esistenzaumana, non dobbiamo essere paurosi davanti alla morte, per cui non abbiamobisogno di crearci dei falsi idoli. Spesso tante persone ricorrono ai maghi, aitalismani, agli scongiuri, illudendosi di creare la propria fortuna, di non es-sere toccati dalla morte. Attenzione, questo è paganesimo allo stato puro.Ciò che diventa dentro di noi forza contro la morte è l’amore del Padre,l’amore del Padre che Gesù ci ha rivelato; non abbandoniamo questa libertàdi figli di Dio che Gesù risorto ci ha donato. Ma c’è ancora un’altra cosa im-portante della quale vorrei che si prenda coscienza: il fondamento della no-stra esistenza non è la solitudine egoistica, per cui ognuno pensa per sestesso, pensa che la vita debba essere rubata per essere conservata, ma fon-damento della nostra vita è l’amore. Gesù è morto per noi, allora l’esistenzanon è questa solitudine per la quale l’uomo costruisce la sua vita esclusiva-mente su se stesso, calcolando tutto, illudendosi di essere al sicuro. Gesù hadato se stesso per noi, è morto ed è risorto per noi, ci ha chiamato a vivereper Lui, portando nel nostro cuore l’amore, allora, ricordiamolo ancora unavolta, fondamento della nostra esistenza è l’amore. E se l’amore ci ha liberatie ricostruiti esso è ciò che alimenta tutte le nostre prospettive, è il sunto dellanostra vita. E questo si manifesta nella gratuità e i cristiani sono persone ca-paci di gratuità. La gratuità, fratelli miei, è fondamentale. Abbiamo ascoltatoda San Paolo: se siamo stati liberati dal peccato per la morte di Gesù e dalsuo amore, non lasciamoci riprendere dalla mentalità egoistica, non lascia-moci riconquistare da questo egoismo solitario chiuso e diffidente, ma cam-miniamo nella sincerità, nella luminosità che affiora nei nostri sentimenti,così saremo costruttori di pace; e per ultimo cambia la prospettiva della no-stra vita. Come cristiani e credenti sappiamo che Gesù è morto e risorto e

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siede alla destra del Padre, ma Lui è il Vivente, vive nella dimensione di Dioed è vicino a chiunque lo chiami, a chiunque lo invochi. E chi è che portaquesta vicinanza di Gesù risorto nella vita di ciascuno di noi? È lo SpiritoSanto, lo Spirito ci fa aprire gli occhi, continuamente ci riporta a Lui. E so-prattutto nell’Eucaristia fa si che la nostra vita si unisca alla sua e assumanell’esistenza il sapore del cielo. Ecco, fratelli miei, la differenza, la pro-spettiva della vita. La vita dell’egoista e del peccatore è un continuo rincor-rere gli istanti nell’illusione che si bloccano e si fermano, è disperazioneperché il tempo scorre; la vita nello Spirito e in Gesù risorto, invece, è vera-mente pienezza. In ogni istante, se noi lo vogliamo, Gesù risorto è presentenella nostra esistenza. E allora, la nostra vita si tinge di diverse parole: lagratitudine, l’alleluia, il cantare l’eterna misericordia di Dio. Fratelli miei,ecco come si presenta Dio a noi. Siamo chiamati ad essere, in questo mondo,la luce, perché portiamo nel cuore l’amore, perché costruiamo la pace; questolo dobbiamo fare con il sorriso, con la gioia e con la gratitudine. Possa lanostra vita cantare l’Alleluia di Pasqua, possa irradiare in questo mondo laRisurrezione di Gesù. Non ci dimentichiamo, non lasciamoci irretire dallavita del mondo, e come se noi vanificassimo il Suo Sangue, vanificassimoquesto prodigio che il Padre ha posto per la vita di ciascuno di noi. E allora,miei cari fratelli, ecco l’augurio della Pasqua, Gesù è risorto, Alleluia; Gesùè veramente risorto e noi con la nostra vita dobbiamo annunciarlo a tutti.

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28 Giugno 2006 - Ordinazione Presbiterale di

Don Francesco Danieli, Don Vincenzo Greco, Don Antonio Pinto,

Don Tommaso Semola

Primi Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei carissimi fratelli e amati figli, abbiamo presenti con lo spirito tuttie quattro i nostri monasteri che ho invitato a pregare per unirsi alla nostrapreghiera, e anche i sacerdoti anziani e malati che sono a casa impossibilitatia partecipare, che sono stati gli ultimi educatori, ognuno di loro ha seguitociascuno di questi ragazzi. Un saluto affettuoso a tutti i presbiteri che sonopresenti questa sera, pochi giorni fa abbiamo celebrato la festa del SacroCuore di Gesù, che è la festa della Santificazione dei sacerdoti. In modo par-ticolare vogliamo portare dinanzi a Gesù tutto il nostro presbiterio e, ognivolta che celebriamo questo mistero di amore dell’ordinazione dei nuovipresbiteri, vogliamo chiedere allo Spirito Santo di rinnovare il dono di quellaconsacrazione che abbiamo ricevuto il giorno della nostra ordinazione sa-cerdotale, affinché si rigeneri nel nostro cuore l’entusiasmo che l’amore diGesù provoca in noi e ci doni la gioia di poterlo servire davvero con tutto ilcuore. Miei cari fratelli, il primo spunto per la riflessione lo prendiamo dallaLettera di San Paolo: “Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi

chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché

lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo”

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(Gal 1,15 - 16). Questo inizio lo vogliamo tenere presente questa sera: la vo-cazione è il dono che trova la sua origine nel principio. E dov’è questo prin-cipio? Fin dal seno di mia madre tu mi hai scelto e mi hai chiamato, primaancora che Paolo potesse rispondere, Dio l’ha guardato. La vocazione di cia-scuno di noi trova la sua sorgente in questo sguardo d’amore di Dio. Perchédico questo? In mezzo a noi questa sera sarà ordinato un mio coetaneo, donVincenzo: anche se la vocazione si accende tardi, se ci coinvolge quandoormai siamo maturi, in fondo al nostro cuore sappiamo che ha avuto originemolto, molto tempo prima. Da bambini abbiamo sentito questo richiamoforte dell’amore di Dio, è come se il Signore ci dicesse: “Il mio amore è perte, il mio sguardo ti ha aperto lo spazio perché il tuo eccomi, il tuo posto nelmistero dell’amore ti è sempre riservato, sempre conservato”. Fratelli miei,nessuno di noi, io lo spero e lo chiedo dinanzi al Signore, ha rubato il sacer-dozio. Metterci fuori da questo sguardo di Dio vuol dire entrare in una formadi rapina, avere un atteggiamento sbagliato nei confronti di un dono che,soltanto questo sguardo d’amore di Dio, ci rende lecito accostarci per poterloricevere. Mettiamoci dinanzi a questo sguardo d’amore, che ci ha generatigià nel seno di nostra madre, ci ha guardati con tutto l’amore e ci ha lasciatolo spazio per capire ciò che ciascuno di noi deve compiere per raggiungerequella pienezza che il Signore ci dona. La seconda riflessione è sulla paroladi Pietro che passa dinanzi la porta del tempio e dice: “Non possiedo né ar-

gento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Naza-

reno, cammina!”(At 3,6). Pensate quanto è bella questa Parola, fratelli miei.Ho l’impressione che da qualche giorno, da quando abbiamo celebrato lafesta di San Giovanni Battista, c’è l’ho nel cuore: Giovanni è colui che ve-ramente marca forte la sua povertà, la sua impotenza, il suo non essere degnodinanzi al Messia, dinanzi all’Unto di Dio, dinanzi al Santo. Anche noi dob-biamo seguire l’esempio di San Pietro, dare tutto ciò che abbiamo agli altri.Nelle parole di San Giovanni Battista “Egli deve crescere e io invece dimi-

nuire” (Gv 3,30) c’è il mistero a cui siamo chiamati e quest’alleanza d’amorecon il Signore ci chiede proprio questo, di far diminuire il nostro potere e ilnostro dominio. Che cosa abbiamo? Abbiamo il nome di Gesù. Questo aprenella nostra coscienza una continua ripresa perché ogni giorno dobbiamo ri-cordare a noi stessi “nel nome di chi parliamo”. Se lo facciamo nel nostronome, cerchiamo di coinvolgere le persone nelle nostre idee, ma così nonpotremmo mai fare nulla, solo nel nome di Gesù possiamo dire alzati e cam-mina. Quando celebriamo l’Eucaristia, quando assolviamo i peccati, quandoparliamo e illuminiamo le coscienze, da quale punto noi guardiamo, in quale

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nome noi ci troviamo? È quello del nostro egoismo, del nostro potere o ènel nome di Gesù? Vogliamo davvero che sia Lui a operare nel nostro cuore,nelle nostre parole, in tutto ciò che noi facciamo? La terza riflessione la pren-diamo dal Vangelo. Mi ami tu Pietro più di costoro? Gesù lo ripete per trevolte e gli chiede di pascere le sue pecorelle. Alla fine conclude: “Seguimi”.L’amore è in queste due parole, pasci e seguimi. Può chiedere una persona:“Amami”? Può sembrare una cosa inopportuna, l’amore non si comanda, èvero che può essere uno sforzo umano, un atto creativo, che trabocca dallapienezza della libertà. Ma perché Gesù chiede questo a Pietro? Perché Luiha amato per primo. È Lui che è morto ed è risorto, è Lui che ha guardatoPietro e gli ha perdonato il suo tradimento. È Gesù che ha fatto il primopasso, che ha donato la sua vita, nell’amore che tocca veramente la nostraesistenza fino alle sue radici. Miei cari fratelli voglio porre l’attenzione sutre parole: la verginità, la preghiera e la carità pastorale. La Chiesa cattolicachiede ai suoi diaconi e ai suoi sacerdoti in modo particolare la verginità.La verginità, dice Sant’Ignazio, è per l’umanità di Gesù che è stata offerta,sacrificata per noi, che ci chiede una risposta. Il vergine è colui che ha sco-perto Cristo e con tutto il cuore lo ama e può dire dinanzi al mondo mi bastasolo lui, non ho bisogno di completarmi con una ragazza per formare la miafamiglia, per formare il mio nido, creare i miei bambini, io ho Gesù. Lui mibasta, è la pienezza della mia umanità, l’amore che mi completa, che mirende felice, mi dona la gioia e mi rende fecondo. Fratelli miei, la cosa bella,che possiamo annunziare al mondo è che nella verginità, in quel dono, cheogni giorno, ogni mattina in cui apriamo gli occhi, dopo aver dormito, cidobbiamo riconsacrare al Signore, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia bi-sogna che ci uniamo a Gesù che ha dato la sua vita per noi. Nel dono dellanostra verginità possiamo affermare che il nostro cuore è per Gesù, il nostrocorpo, la nostra mente, la nostra anima, il nostro spirito è per Lui. Questo èil segreto dell’amore fecondo che genera i credenti. Non c’è testimonianzapiù limpida, più bella di un vergine che annunzia con la vita, con la sua gioiail suo amore a Cristo. E quest’amore che ci lega a Gesù in questa forma, è ilnostro supremo interesse, vuol dire che tutto deve essere sacrificato perchéresti vero e resti sincero. Non dobbiamo mai essere equivoci, sia nei com-portamenti sia nel modo di vestire, il nostro deve essere un servizio fecondoper un supremo interesse, se qualcosa ci può danneggiare, dobbiamo esseredecisi e cancellarla dalla nostra vita. Solo questo genera il nostro serviziofecondo, lo rende pieno di frutti. Se perdiamo quest’aspetto della nostra vita,abbiamo perso lo smalto dell’amore che diventa testimonianza, canto e gioia.

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La seconda parola sulla quale voglio meditare è la preghiera che esige lospazio e il tempo. Nella nostra giornata, non possiamo non avere tempo perpregare; se non lo facciamo, questo vuol dire che stiamo tradendo, che nonstiamo dando il supremo interesse a Gesù perché qualche altra cosa ha presoil suo posto. Dobbiamo assolutamente conservare spazio e tempo per incon-trare il Signore, per stare dinanzi a Lui nella solitudine, per ascoltarlo, perricomprenderlo, per sentirne il cuore, i suoi desideri, la sua passione per ilsuo popolo. E allora, cari fratelli, ritroviamo con la promessa che abbiamofatto, che voi state per fare adesso. La Chiesa vi chiederà di pregare con l’Uf-ficio divino per il popolo che vi ha affidato, di pregare con la celebrazioneeucaristica, ma a questa arriviamo se il nostro cuore è stato preparato con lapreghiera dei Salmi, con la Lectio Divina e con il Rosario. Sono appunta-menti importanti se vogliamo conservare l’amore per Gesù. Mi ami tu piùdi costoro? Deve essere per noi un dovere sacrosanto e se lo facciamo “pianopiano”, diventa un bisogno, un’esigenza, un appuntamento di cui non pos-siamo farne a meno. E allora, cari fratelli miei, è proprio in questa contem-plazione, in questo stare di fronte a Lui con il cuore che il Signore ci chiededi imitarlo, di diventare in mezzo al suo popolo presenza viva e salvifica cheindica la via ai fratelli perché non si perdano. L’ultima parola sulla qualevoglio riflettere è la carità pastorale. Si fa un gran dire, io appartengo a que-sto gruppo o a quest’altro, a questa consacrazione o a quest’altra, ma io pensoche l’unico valore che nasce dalla consacrazione che è l’Ordine, è la caritàpastorale. È la Santità stessa del prete, non c’è un’altra Santità. La Santitànon consiste solo nell’imitare la vita di un Santo, ma la Santità è portare nelnostro cuore l’amore stesso di Cristo. La carità pastorale è la carità di CristoPastore che passa nella nostra vita, nei nostri pensieri, nei nostri gesti, neinostri atti. E questa carità, prima di tutto, che si esprime con la comunionedel presbiterio, nel guardarci come fratelli e accoglierci, gli uni gli altri dav-vero come Gesù vuole che si accolgano i suoi apostoli. La carità che siestende a tutto il presbiterio, che si esprime nella comunione, nel vivere in-sieme, nel sostenersi, nel comprendersi, nell’aiutarsi, nel comunicare, nel-l’essere vicini gli uni agli altri. Questa carità trova sbocco continuo verso ilpopolo che il Signore ci ha affidato: ci chiede di servire donando tutto di noistessi, senza riserve. Un servizio fatto per amore, che ha la sua sorgente neldono della nostra vita; ecco perché Gesù dice a Pietro, seguimi. Il mio cuore,la mia vita, il mio sangue, pane spezzato, Sangue versato è questo che fasplendere la sorgente del nostro amare, del nostro servire; senza riserve,senza le opportunità e le convenienze, con sincerità fino in fondo. Senza pre-

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ferenze, perché certamente vorremmo sceglierci le persone cui servire, maquesto non è carità pastorale, la carità pastorale ci porta verso tutte le personeche il Signore ci ha affidato senza fare preferenze. Anzi se una preferenza èda farsi lo è per le persone più povere, più bisognose, le persone che hannopiù bisogno di aiuto, di comprensione e di sostegno. Questa carità pastoraleci chiede di comportarci con piena gratuità, senza esigere niente in cambio,con pieno disinteresse. Il servizio ai fratelli è per portarli a Cristo, non perportarli a noi, per farli diventare liberi, fratelli, figli di Dio. Questa è la gra-tuità e il disinteresse che il Signore ci chiede, non crearci supporti, personeche ci sostengono, che si legano a noi; non dobbiamo legarci per seguire li-beri Cristo, per fare con gioia la volontà del Padre ovunque Lui voglia. E al-lora, fratelli miei, davvero la carità pastorale è la dote fondamentale delpresbitero, è ciò per cui noi possiamo presentarci dinanzi al Signore congioia e con pienezza di vita perché abbiamo realizzato una vita che non èvuota e vana, ma ha dentro la sua volontà. Questo vogliamo chiedere questasera alla Madonna, Regina degli Apostoli, assunta in cielo, come veneratain questa nostra Cattedrale, vogliamo che preghi per questi nostri fratelli per-ché restino fedeli. È una preghiera che chiedo al Signore continuamente inumiltà, che si conservi questa fedeltà, che sia più forte di tutto nella vita eche preferirei tante volte, l’ho già detto, piuttosto la morte che il tradimentodel dono che pone nel loro cuore e nelle loro mani. Preghiamo i Santi Apo-stoli Pietro e Paolo, il loro entusiasmo, la loro generosità, il loro amore aGesù contagi i vostri e i nostri cuori. E infine preghiamo San Gregorio eSant’Agata, protettori di questa nostra Chiesa, affinché la loro preghiera cisostenga in questo amore che Gesù ci chiede. Mi ami tu? Pasci. Mi ami tu?Seguimi.

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18 Settembre 2006 – Solennità di San Giuseppe da Copertino

Piazza Castello – Copertino

Miei amati figli, è bello, nella festa di San Giuseppe ritrovare la nostrasintonia con questo figlio della città di Copertino; certamente lo conoscetemolto più adeguatamente di me. La sua vita è dotata di una forza istintiva,così forte nella dialettica, da farsi “giustizia da solo”. Ma questa forza, nelmistero del rapporto con Dio, si è trasformata, è diventata umile e semplice.Tutta la sua potenza e irruenza si è trasformata in umiltà, la sua forza di vo-lontà si è trasformata in ubbidienza eroica, tanto da essere definito il martiredell’ obbedienza. Ha portato al massimo la sua fedeltà a Gesù fino a diven-tare per noi un simbolo, un tramite con il Signore. Tutta la sua vita ci offrequesto modello, affinché anche noi possiamo compiere il passaggio, dal no-stro io, dal potere personale e dall’egoismo all’Amore. Abbiamo ascoltatole parole di San Paolo (Cor 12, 31; 13, 1-10. 13). Che cosa succederà allanostra vita piena di aggressività, di tante cose che vorremmo e non raggiun-giamo? Diventa cattiva. Invece, cosa potrà trasformare questa nostra vita inamore? Se guardiamo il cuore e la vita di San Giuseppe possiamo vivere lasua familiarità con Cristo. Ha scelto la Vergine Maria come sua madre, suamaestra e sua accompagnatrice perché nel suo cuore si adempisse questa tra-sformazione d’amore. Ieri durante la celebrazione Eucaristica abbiamo ascol-tato le parole di Gesù, quando Pietro dice che Egli è il Cristo e vuole che ilCristo sia uguale all’immagine che si è formato nella sua mente. Gesù lo

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rimprovera dicendo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso,prenda la sua croce e mi segua”. (Mt 16,24); questa realtà la troviamo nelcuore di San Giuseppe: rinnegare se stesso vuol dire annientarsi; annientòse stesso, divenne niente, si fece “piccolo piccolo”. Queste due parole, an-nientare se stesso e rinnegarsi, le troviamo, fuse insieme, in San Giuseppe.Non esiste la fede nel cuore di una persona se non ci sono queste due paroleunite. San Paolo dice: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareg-

giate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi

nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribola-

zione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, pre-

murosi nell’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non

maledite” (Rm 12, 10-14). San Paolo ci invita non avere una considerazionemolto alta di voi stessi, piegatevi alle cose piccole, diventate piccoli, comesi è piegato Gesù quando ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Non possiamoaccogliere la volontà di Dio se siamo orgogliosi, superbi e attaccati a noistessi. Umiltà, annientamento e obbedienza sono la porta attraverso la qualenella nostra vita entra il Signore. Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore

del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e

agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto

a te” (Mt 11,24 -27). Non si può conoscere il Figlio se non attraverso ilPadre, né si conosce il Padre se non attraverso il Figlio. Ricordiamo, nellavita di San Francesco d’Assisi, che, le contrarietà, le sofferenze, tutte le penedella vita, sono chiamate perfetta letizia. Le croci sono per noi carità, mo-dello attraverso il quale la nostra vita diventa amore, dono, servizio e offerta.La prima parola importante per noi cristiani è la fede, la seconda è la carità.La fede produce frutto diventando carità, mentre l’umiltà e l’obbedienzafanno sì che nella nostra vita si renda presente il mistero di Dio, fanno sì checomunichiamo con questo mistero che diventa nostro. La carità non è unatto dell’egoista per ripulire la coscienza, la carità, invece, è trasformare lanostra vita in amore. Come il pane che nell’Eucaristia diventa presenza vivadi Gesù; Gesù che non ha scelto di essere presente in una pietra preziosa oin un fiore bellissimo. Egli è presente in un pezzo di pane che si spezza, si“fa mangiare”; pane che sparisce per sfamarci, per assumere il volto di cia-scuno di noi, e questo avviene nella carità. “Rinneghi se stesso, prenda la

sua croce e mi segua”; il cammino della nostra vita deve essere uno sviluppo,una crescita fino alla morte in croce. Il punto supremo dove Cristo ci dà ap-puntamento e dove, la nostra vita, può combaciare perfettamente con la Sua.Se noi guardiamo le vicende nella storia di San Giuseppe, questo processo

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ha coinvolto totalmente la sua vita, ha chiesto ogni giorno qualcosa di piùfino alla sua morte, dove lui è diventato davvero un’icona di Gesù, un’iconadi Cristo Crocifisso. Però ricordate che Gesù è Cristo, è Re e Signore dallacroce: dalla sua morte, dalla vita donata per amore Lui, diventa Signore, fanascere un popolo. Morendo sulla croce, dando tutto, ci unisce a se, ci regalala più grande dignità, l’essere figli di Dio. Le parole che abbiamo ascoltatoin questa liturgia toccano questi punti fondamentali. La prima lettura la fede,il Vangelo la carità e la speranza. E su questo che voglio attirare la vostra at-tenzione. Oggi abbiamo bisogno di ritrovare l’identità cristiana, di ritrovarenoi stessi, il significato di essere cristiani. L’autosufficienza si è insinuatanella nostra vita ed è diventata una mentalità che noi respiriamo e viviamo,questo io egocentrico che si basa sui poteri umani per creare la sua sicurezza,si ribella a Dio per essere autonomo. San Giuseppe da Copertino ci forniscela possibilità di riflettere su una parola che costituisce il nucleo, il centrodella nostra identità cristiana, la coscienza. Vi citerò un suo brevissimo pen-siero sul quale vorrei attirare la vostra attenzione: “Figlioli miei, aggiustatevi

lo balestro, che se no non cogliete l’uccello, e Dio è come un augello e così

bisogna tenergli sopra gli occhi, con lo balestro dritto altrimenti non lo pi-

gliate”. In queste due pennellate ci fornisce la regola della nostra vita: oggisi parla spesso di coscienza, la si usa come pretesto per la propria ribellione,per il proprio capriccio, come se la coscienza fosse la voce dell’io egoista,dei piaceri, delle comodità, e, provocatoriamente la si usa nelle discussioni.Ma che cos’è veramente la coscienza? È ciò che San Giuseppe ha detto inqueste pennellate, è un arco, oggi lo potremmo definire un fucile; in un fucileci sono due punti che devono essere ben allineati e dritti: il mirino che sitrova sulle canne e il percussore. Entrambi devono essere precisamente al-lineati sull’oggetto altrimenti non si può prendere la mira. Uno di questipunti è il centro di forza, dove è teso l’arco, dove, nel fucile, c’è il percussoredella cartuccia. Questo centro di forza si trova nel profondo di noi. San Giu-seppe dice che c’è nel nostro cuore un’energia, una tensione che bisognausare per puntare dritto a Dio, altrimenti non riusciremo a coglierlo mai. Lanostra vita non raggiungerà lo scopo per cui è nata. Bisogna tenere sempredritto questo balestro, la tensione del cuore non perda mai di vista Dio, lasua volontà. La coscienza è l’unità di questi due punti. È portare nella nostravita, dice San Tommaso, il fine ultimo, ciò per cui noi ci muoviamo e cidiamo da fare. Tutta la nostra esistenza, i sentimenti, le relazioni con gli altri,le scelte fatte, devono confluire in questi due punti. Se perdiamo di vistaDio, diventiamo superficiali, il nostro io s’illude, crea tanti fini e tante mete

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che sono soltanto dispersione, disgregazione, vuoto e niente. E proprioquando diventa quasi niente, Dio si tende e prende dal centro, noi racco-gliamo tutte le nostre forze e ci proiettiamo in Lui. La coscienza è la voce diquest’unità, di questo continuo dialogo, di questa continua compresenza:ecco il mistero della coscienza del cristiano. Fratelli miei questi due puntiSan Giuseppe li oppone a una mentalità qualunquista, che si illude di obbe-dire a Dio e fa i propri comodi, che si fa Dio secondo il suo pensiero o lasua idea. Dio è Dio, noi non lo conosciamo, lo cerchiamo sempre e ognivolta che sentiamo il suo raggio, la sua Parola, sentiamo il bisogno di ap-profondire questa sua presenza, questo suo volto, queste sue parole, di toc-care dentro di noi questa sete, questa tensione sana, fondamentale da cuinasce l’operosità, il non essere statici. L’egoista è un abitudinario, spessopreso dalla noia, la sua vita è statica e non ha più nulla che lo rende vivo,che rinnovi la sua esistenza. Questo è il mistero della coscienza che restaviva, che fa sì che la nostra vita sia sempre fresca e nuova ogni giorno; questodono, il cercare Dio, è approfondire la sua parola senza saziarci mai, il biso-gno di portare la nostra intelligenza nelle sue parole, come dinamica dellanostra esistenza. Fratelli miei, questo popolo, che il Signore mi ha affidatoveramente arriverà all’incontro con lui, entrerà nella gloria, nella grazia,nella salvezza, nell’incontro con lui, nella pienezza? Sono torturato da questadomanda. Cosa faccio affinché nessuna delle mie pecorelle si perda? Siatenecerti, tutte le scelte che facciamo sono in questa direzione, rispondono a que-sta esigenza. Ciò che ci dice San Giuseppe oggi mi da speranza, la consape-volezza che voi lo cercate, che vi sentite onorati, quasi orgogliosi di averequesta persona che ha portato la vostra città nel mondo intero, che vi sentitein relazione con questo vostro figlio più rappresentativo. Tutto questo è bel-lissimo, però, facciamo sì che la nostra vita sì nutra di questa tensione. Comeil cacciatore che vuole prendere quell’uccello, lo prende di mira, “il vostro

uccello sia il Signore”. E noi non vogliamo perdere l’appuntamento con luie con la nostra vita dietro, quella tensione che si manifesta nel balestro dicui parla San Giuseppe. Tutte le cose che noi facciamo sono un passo avanti,sono un affinamento della nostra vita? Dall’infanzia alla vecchiaia diventaperfetta questa somiglianza? Ecco ciò su cui dobbiamo riflettere, lo concedala preghiera di San Giuseppe. Per lui il Signore è stato unico, è stato coluiche ha raccolto tutta l’energia del suo cuore, della sua vita, tutti i passi e tuttele sue sofferenze li ha trasformati in pace, in gioia e in amore. Ecco la nostravia, seguiamo il suo esempio. Qui abbiamo l’origine del suo cammino, laMadonna della Grottella: quanto tempo ha dedicato a contemplarla, a starle

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vicino, ad assimilarne il suo sguardo. La Madonna dice nel Magnificat cheil Signore l’ha guardata e lei ha ricevuto questo sguardo.(Lc 1,48); l’ho con-trapposto allo sguardo con cui Gesù ha guardato Pietro e gli ha detto: “Lungi

da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma se-

condo gli uomini!”. (Mt 16,23). Giuseppe in questi due sguardi ha trovato ilcammino per imitare Maria e per trasformarsi in San Giuseppe da Copertino.E allora, se abbiamo un fratello, figlio di questa città che ha realizzato congioia il disegno del Signore, questa gioia, questo orgoglio ci porti ad imitarlo.Conserviamo il nostro cuore e la nostra coscienza nella rettitudine, nel miraredritto a quello per cui noi siamo nati: al Signore, a imitare Cristo, ad asso-migliargli in tutto.

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23 Settembre 2006 – Inizio della visita pastorale

Parrocchia SS. Giuseppe da Copertino e Pio da Pietrelcina

Casarano

Miei amati figli, è la prima volta che celebro su questa terra benedetta,terra su cui sarà edificata la vostra Chiesa; quella Chiesa che già voi formate,perché siete qui come pietre vive del Tempio Santo di Dio. Abbiamo dinanzii nostri protettori, San Giuseppe da Copertino e San Pio da Pietrelcina: questiSanti pugliesi, il primo nativo, il secondo ormai, talmente pugliese che èconsiderato veramente nostro. Li abbiamo dinanzi come modelli e come in-tercessori: come modelli, perché nella loro vita per seguire Gesù hanno sof-ferto proprio per quei doni che il Signore ha dato loro. San Giuseppe volavaed era considerato con sospetto, San Pio aveva le stimmate e anche lui èstato tenuto sotto controllo. E loro hanno portato le stigmate di Gesù, i segnidella sua passione nel loro corpo e nella loro vita, si sono fidati del Signoree hanno dato la loro vita per Lui; la loro esistenza è diventata uno specchiotalmente limpido da cui noi possiamo attingere, per ritrovare la sorgente,Gesù Cristo. E allora, miei amati figli, abbiamo ascoltato proprio in questepagine la sorte del giusto, la sorte di chi ha posto come regola della sua vitail guardare e l’obbedire al Signore. Da chi si comporta male, da chi segue isuoi capricci, sono guardati male, sono perseguitati e sono uccisi. Voi avetesentito le parole che i Giudei dicono a Gesù sulla croce: “Tu che distruggi il

tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio,

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scendi dalla croce!. (Mt 27,40). Gesù sulla croce tace, prega e offre se stessoper amore di tutti gli uomini, anche di quelli che lo hanno ucciso. Ecco lacosa grande che questa sera vorrei proprio mettere al centro del mistero dellaChiesa, mistero di questa comunità, di questo popolo Santo che, attraversola storia, porta la benedizione di Dio a tutti i popoli. È il mistero di Gesù. Siripete tre volte in questi tre capitoli, l’ottavo, il nono e il decimo; si ripetesempre con le stesse parole: il Figlio dell’Uomo sta per essere ucciso, saràconsegnato nelle mani degli uomini, lo uccideranno ma il terzo giorno risu-sciterà. E quest’annuncio della passione è ripetuto tre volte, dopo che Pietrogli aveva risposto: “Tu sei il Cristo. E cominciò a insegnar loro che il Figlio

dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai

sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risusci-

tare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in di-

sparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli voltatosi e guardando i discepoli,

rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi

secondo Dio, ma secondo gli uomini»”. (Mc 8, 29–33). Lo dice oggi e lodirà ancora nel capitolo successivo. Perché tante volte? Perché l’evangelistaMarco lo ripete? Perché è importante, molto importante, ed è una cosa dif-ficile da capirsi e di conseguenza la ripete. Tant’è che la comunità e i disce-poli non l’hanno capito e non vogliono interrogarlo perché, temono e hannopaura; però è una cosa fondamentale. Che cos’è quella cosa fondamentaleche ci fa diventare cristiani? La morte e la Risurrezione di Gesù, cioè la Pa-squa: e proprio lì che avviene uno scambio tra la nostra umanità e Gesù,quella assunta da Cristo e abbracciata da Dio. Potremmo fermarci solo suquesta parola: consegnato. “Consegnarsi” è una parola bellissima, esprimeil ragazzo che consegna la sua vita alla sua fidanzata; consegnarsi vuol dire:“Non ti do soltanto i miei soldi, il mio tempo, ti do tutto me stesso, lo pongo

nelle tue mani”. È una parola sublime, Gesù si consegna alla volontà delPadre perché si fida della fedeltà del Padre. E lui fa la sua volontà per amore,si consegna alle mani degli uomini che lo tradiranno, lo uccideranno; peròsi consegna, cioè dona se stesso. Allora, guardate che cosa strana avvienenella morte di Gesù: la consegna al Padre che abbraccia l’amore e la fedeltà,la consegna a noi che lo tradiamo e lo uccidiamo. L’amore abbraccia l’infe-deltà, la redime ed, infine, la salva. E Gesù è questo mistero in cui l’umanitàe Dio diventano una cosa sola, il mistero del cristianesimo ha questo d’im-menso, di sublime, Dio dà se stesso anche a chi non lo capisce, lo contrasta,lo vorrebbe cancellare, distruggere; Lui, invece, dona se stesso, la sua inti-mità, la sua Santità, la sua grandezza e il suo amore. Ecco, tutto questo mi-

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stero, ogni volta che noi celebriamo la Messa diventa presente in mezzo anoi, e opera sempre questo scambio tra la nostra povertà e il nostro tradi-mento. Perché Gesù si consegna nelle nostre mani oggi, nell’amore del Padreche è fedele e che nella salvezza del Figlio abbraccia noi, che lo abbiamoucciso. Ecco la cosa stupenda che noi dobbiamo annunziare, miei cari fra-telli: Gesù sa che i discepoli non lo capiscono, lo capiranno dopo la sua mortee Risurrezione. Noi chiediamo a Gesù di farci comprendere il mistero di que-sto amore che si dona nelle nostre mani, del suo dono, di questo tesoro cheè la bellezza della nostra esistenza di cristiani. Lo portiamo dentro. Vedeteil contrasto, i discepoli non accettano che Lui parli della sua morte e si stannopreoccupando di chi deve comandare ed essere il primo, il più importante.Gesù, per chi ha capito il suo mistero di morte e Risurrezione, è dono di sestesso che nell’Eucaristia noi riceviamo. Egli parla del servizio: “Se uno vuol

essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. (Mc 9,35); è dall’Eu-caristia che nasce il servizio. Il Giovedì Santo quando celebriamo l’istitu-zione dell’Eucaristia, viene fatta la lavanda dei piedi; Gesù dirà che questogesto è stato il dono di se agli altri. Il pane in cui è presente Gesù scompareperché noi lo mangiamo, lo assimiliamo, e Lui prende il nostro volto e vaper questo mondo con il nostro volto, ma è Lui. Questo scomparire di Cristonel cuore di chi lo cerca, lo ama, lo vuole nella sua esistenza, Lui lo desideraper i suoi discepoli tanto che vuole che diano la loro vita perché gli altri vi-vano accanto a loro, il dono di se stessi che si perpetua in chi appartiene aCristo. E questo in modo particolare, miei cari fratelli, è rivolto a tutti quelliche nella Chiesa, hanno autorità, e ancora, in maniera più particolare, a me,in questa Santa Chiesa di Nardò – Gallipoli e in questa parrocchia. In uncerto senso, veramente, sono il più piccolo, colui che il Signore ha abbrac-ciato e mandato: lo ha mandato perché sia in mezzo a voi colui che porta lasua Parola, il suo cuore, la sua speranza e la sua pace. Colui che parla al vo-stro cuore affinché capiate che siete di Gesù Cristo, siete le pecorelle che ilSignore va a cercare perché le ama e le conosce una per una. Spinge me adilatare il cuore perché voi possiate entrarne dentro. Miei amati e cari figli,chi avrebbe mai pensato, quando ero a Ceglie, quando sono diventato ve-scovo a Ugento, che il Signore mi avrebbe portato a Casarano, qui a Pietra-bianca. Il Signore mi ha detto dove andare ed io son venuto qua e hocominciato a servirvi, ho cominciato ad amarvi. E più vi servo, più mi caricodi tante preoccupazioni e più il cuore cresce, diventa grande perché possadiventare casa per tutti i figli che il Signore si è scelto in questa terra, pertutti voi. La presenza del Vescovo in questo incontro, in questa settimana in

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cui saremo insieme, è proprio per esprimervi questa dedizione, questo pren-dersi cura di voi da parte di Gesù, questo chiedermi di farmi bambino peressere in mezzo a voi sua voce, suo amore e segno di questa sua tenerezzaper ciascuno di voi. Allora, fratelli miei, Gesù dice: “E chi accoglie anche

uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”. (Mt 18,5). Chi acco-gliamo quando accogliamo il Vescovo, quando accogliamo chi ci porta ilVangelo? Accogliamo la Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ognivolta che questo Vangelo tocca il cuore e noi lo accogliamo, entriamo in que-sto movimento che Gesù ha portato sulla terra, che ci fa prendere tutti permano e ci porta nel cuore di Dio, nella vita eterna. “Non rallegratevi però

perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi

sono scritti nei cieli”. (Lc 10,20). Il vostro volto, le vostre vite sono grandie immense per il Padre, questo viene a dirvi il Vescovo. Ciascuno di voi ègrande per l’amore del Padre tanto da investire di dignità e di gioia la nostraesistenza; e dalla nostra coscienza nasce la gioia di riscoprire che siamo cri-stiani, che siamo di Gesù, legati a Lui, parte di Lui. Ecco, cari fratelli, affi-diamoci con la preghiera ai nostri protettori, San Giuseppe e San Pio: comese loro due ci tenessero per mano, e questa sera sono in mezzo a noi e pren-dono nella loro preghiera questa nostra comunità, questo nostro servizio,quest’inizio. Perché proprio da qui iniziamo la visita pastorale di tutta laDiocesi, e vogliamo che preghino perché in questi giorni che sono in mezzoa voi, possiate davvero ricomprendere la bellezza di essere cristiani e, so-prattutto, la gioia di essere partecipi, di collaborare ad essere annuncio vivodel Vangelo. Quel Gesù, che è morto e risorto per noi, che è la vita di cia-scuno di noi, possa dire al mondo chi siamo. Noi siamo il futuro, la speranzadi questo mondo. Ci aiuti in questo la preghiera dei nostri Santi e lo Spiritoche Gesù continuamente ci comunica.

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25 Dicembre 2006 – Natale del Signore

Basilica Cattedrale – Nardò

“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo

la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di ve-

rità”. (Gv 1,14). “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito

che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”. (Gv 1,18). Miei amati figli con-templare il mistero del Natale vuol dire contemplare l’inizio della nostra sal-vezza, contemplare la presenza del Verbo eterno del Padre che ha scelto didiventare uno di noi. Questo mistero, questo dono gratuito che sorpassa ognipensiero e ogni macchinazione umana, è per noi sorgente di stupore e digioia. La grande gioia che la Chiesa annunzia lungo tutti i secoli è il misterodi questo Dio che si è fatto Bambino, di quest’Onnipotente che si è fatto po-vero; Lui, che ha in mano il potere di reggere l’universo, e che ha bisognodel sostegno e delle cure di sua madre. Questa presenza di Gesù nella nostravita ci è stata data dal Padre, perché diventasse per noi la via. “In lui era la

vita e la vita era la luce degli uomini”. (Gv 1,4). Abbiamo bisogno sempredi ricordarlo, fratelli miei cari, ricordare che in Gesù c’è la via della salvezza,che Lui è la Parola del Padre. “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi

molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in

questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede

di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo .” (Eb 1,1 -2).Ci ha rivelato il segreto del suo cuore, Gesù è diventato uno di noi e ha con-

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diviso la nascita, la vita e la morte; ha condiviso tutto il mistero che c’è nelcammino dell’esistenza di ogni uomo e l’ha fatto, conservando nella sua esi-stenza, l’assoluta volontà del Padre. È venuto tra noi per renderla presente.Ricordate le parole con cui il Padre lo presenta dopo il Battesimo e sul monteTabor: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.

Ascoltatelo”. (Mt 17,5; Mc 9,7). Com’è bello che questa compiacenza che èin Gesù sia estesa, dagli angeli, a tutti gli uomini amati dal Signore; quel-l’amore che in Gesù diventa tangibile, quella volontà del Padre che diventa,in Lui, presenza dell’Amore di Dio e della sua gloria, diventa per noi la lucedel nostro cammino. Spesso, in questi giorni, pensiamo ai motivi per i qualiAdamo si è separato da Dio, separazione che è stata causa di morte per lui eper tutta la sua discendenza: la ricerca dell’autonomia, la ribellione, l’indi-vidualismo, il cercare di essere egli stesso Dio. Ancora oggi, nell’ambitomorale, lo verifichiamo ogni giorno; ognuno pretende di fare quello che glipiace, che gli fa comodo, che risponde ai suoi calcoli, ma non è così che ar-riviamo alla vita, così arriviamo alla morte. Dobbiamo interrogarci su cosaè il bene, cos’è la volontà di Dio, perché nella sua volontà c’è la nostra gioia,perché Dio vuole l’amore e, dentro di noi, quest’amore deve diventare tan-gibile. E l’amore è la gloria di Dio, la sua volontà, e mentre lo cerchiamo elo mettiamo in opera, contemporaneamente lo testimoniamo. Noi ci affi-diamo, nella nostra vita, al beneplacito del Padre. Miei cari fratelli per farela volontà del Padre dobbiamo eliminare dalla nostra vita l’arroganza. Cisono due parole: piccolezza e regalità, che vorrei fossero concretizzate nellanostra vita in questo Santo Natale; che rendessero concreta la nostra rifles-sione e orientassero il nostro cammino. Gesù è diventato piccolo, servo delPadre, ed ha compiuto la Sua volontà; sin dalla nascita e fino alla fine l’haaccolta. In questo contesto anche la morte è un atto d’amore. Amore che nelcuore di Gesù diventa risposta all’amore del Padre, amore per il quale la Sualibertà, unita alla volontà del Padre, diventa salvezza per tutti noi. La picco-lezza. Dio ha scelto che suo Figlio diventasse Bambino, diventasse uno dinoi, e questo lo rende vulnerabile, fragile, ha bisogno di essere accolto dasua madre. I figli non sono un prodotto inutile, che se ti conviene, li tieni,altrimenti li butti via. Maria l’ha accolto, avvolto in fasce e deposto nellamangiatoia. Un sacerdote un giorno mi disse che sono gli stessi termini chetroviamo davanti Gesù crocifisso: deposto dalla croce, avvolto in un len-zuolo, deposto in una tomba vuota, come a sigillare l’inizio e la fine dellasua vita nelle mani dell’uomo. Gesù ha bisogno dell’amore di suo Padre,della compassione e del servizio, perché possa compiere il suo cammino in

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mezzo a noi. Questo è il primo punto fondamentale. Non possiamo rispec-chiare la volontà di Dio, non possiamo avere dentro di noi la gloria del Padre,toccare e vivere veramente l’amore, se non diventiamo piccoli ogni giorno,se non ritroviamo lo stupore dei bambini. Gesù nel Vangelo di Matteo cidice: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bam-

bini, non entrerete nel regno dei cieli”. (Mt 18,3). Se non diventerete comeme, non capirete il modo di parlare di Dio. L’Onnipotente non si è presentatoin tutta la sua potenza, ma è diventato piccolo e fragile, ha scelto la fragilitàper farsi ascoltare e comprendere dagli uomini, quindi, bisogna diventarepiccoli per comprendere il Padre, per comprendere il disegno di Dio. Qual-che giorno fa un ragazzo, in una parrocchia, mi ha detto che a Natale avrebbepregato, affinché tutti i grandi possano diventare piccoli. La preghiera chefacciamo noi oggi è quella di riscoprire lo stupore, per accogliere e com-prendere veramente l’opera di Dio. Un’altra parola importante: la regalità.Dio ha donato a noi tutto il creato, l’universo intero, ma ancora non era ab-bastanza e ci ha donato suo Figlio. L’amore non è dare delle cose materiali,ma donare se stessi e Lui l’ha fatto tramite il dono di Gesù. In questo donod’amore c’è tutto il fermento che porta la nostra vita a essere immagine spe-culare di Gesù e del Padre. Quest’amore lo cerchiamo, lo desideriamo, equando lo incontriamo, sappiamo di aver incontrato la gioia e la felicità. Maperché questo avvenga dobbiamo entrare nella logica di Dio. Gesù, venendonella storia è diventato un nostro fratello, è divenuto Colui nel quale tuttal’umanità è riassunta. Ciascuno di noi ha in sé un seme di questa pianta pre-ziosa che è la vita di Cristo, ha un germe di gloria. È l’amore che pervade lanostra vita e la fa diventare dono. Questa è la regalità: è toccare con mano,in questo mondo, la gloria di Dio. Dinanzi alle sofferenze, ai problemi dellavita, alla solitudine, alle malattie chi ci dà la forza di continuare ad amare edi trasformare la morte in un dono d’amore? Questa regalità è ricevuta daCristo. E soltanto quando apriamo gli occhi, la comprendiamo e la acco-gliamo, capiamo che la vera regalità è quella per cui siamo chiamati, e nonquella del mondo; chiamati a essere servi per amore. Tutto il nostro serviziodev’essere dimostrazione d’amore; solo così la nostra vita non si smarriscenelle tenebre, nei labirinti dell’egoismo che portano al buio e alla tristezza,a una morte senza luce e senza speranza. Quando Giuda nel Cenacolo prendequel boccone, satana entra nel suo cuore, ed egli diventa notte, diventa morte,esce allontanandosi da Cristo e si perde nelle tenebre. “Ed era notte” diceGiovanni (Gv 13,26 - 30). Questo capita a tutte le persone che rifiutano diaccogliere nella loro vita l’unica via di salvezza: il Cristo. Miei cari fratelli

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ecco il mistero del Natale, la Parola di Dio è apparsa, la sua volontà si è fattavicina attraverso Gesù, e se l’accoglieremo, testimonieremo il suo amore.“A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio”.(Gv 1,12).Dobbiamo fare un esame di coscienza e chiederci se davvero Gesùè stato accolto nel nostro cuore o se è soltanto un pensiero, un’idea alla qualeci rivolgiamo nel momento del bisogno. Lo abbiamo accolto nella nostravita? Questa è la fede. Lo testimoniamo? Questo è l’amore. Spesso travoltidal mondo, buttiamo fuori dalla nostra vita questo dono d’amore. Quandointorno a noi cresce, l’arroganza, l’aggressività e la violenza vuol dire chenoi non abbiamo permesso alla nostra fede di diventare testimonianza, di di-ventare presenza in questo mondo della creatività di Dio. Ecco cosa significala parola pace. Gli uomini amati dal Signore, che a loro volta portano nelcuore quest’amore, costruiscono la pace. Il mio augurio è che la preghieradi Gesù Bambino porti nel cuore di ciascuno questa pace, perché accogliendola volontà del Padre, cercandola ogni giorno, costruiamo dentro di noi il suoregno che è giustizia, amore e pace.

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1 Gennaio 2007

Funerali del Rev. Sac. Don Pompeo Albino Cacciatore

Parrocchia S. Martino di Tours – Taviano

Miei amati fratelli e figli, per questa solenne celebrazione ho voluto sce-gliere questo Salmo: “Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa

del Signore»”. (Sal 121,1). Ricordo che un monaco trappista, padre Paolino,aveva questo Salmo scritto vicino al suo giaciglio e voleva che al momentodella sua morte tali canti lo accompagnassero in Chiesa. La morte dei giustiè gioia per tutti noi. Siete andati a trovare don Pompeo a casa sua, nella suaChiesa e ora ci ritroviamo qui per condividere quell’amore che abbiamo toc-cato con mano, per salutare una persona veramente trasparente nell’amoredi Dio. “Quale gioia quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore».

E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!” (Sal 121 1-2).Gerusalemme come una sposa adornata per il suo sposo scendeva dal cielo.La gloria dei figli di Dio oggi è nascosta nel cuore perché il mondo non lavuole e non la cerca, ma quando esploderà quest’amore per lo sposo, per iltesoro della vita, tutti noi saremo riuniti nella stessa gioia. È questa gioia checi unisce tutti qui oggi, nel ringraziare e lodare il Signore. L’unica ragionedi vita di don Pompeo era l’amore di Cristo, il suo cuore era ricolmo di taleamore. La morte dei giusti è gioia perché loro finalmente hanno aperto quelsipario che li separava dal vedere il volto di Dio; tutta la creazione attendee spera la rivelazione e spera l’incontro con Lui. Nel cuore di don Pompeo

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ho sempre trovato il bene: la sua “croce” è stata pesante, ma l’ha affrontatacon gioia perché sapeva che era per il bene dei fratelli. Il suo dolore e la suasofferenza non l’avevano cambiato, anzi, la malattia lo aveva reso così in-tuitivo che sapeva in anticipo quando avevi bisogno della sua preghiera. Ese gli chiedevi come lo sapesse, ti rispondeva che il Signore gli chiedeva disoffrire di più in quel momento. Don Pompeo mi ha aiutato e mi aiuta ancoraoggi a portare la responsabilità del servizio di questa Chiesa. Dobbiamo ce-lebrare il suo funerale con la stessa intensità, lo stesso amore, con la stessapienezza di significato che c’è stata nella sua vita. So per certo che abbiamoun intercessore presso il Padre. Prima ancora di diventare prete ha condivisocon Gesù il dono della vita, il suo sacerdozio è stato per lui un dono dellaMadonna miracolosa: a questa Madre, a questa confidente ha consegnato lasua vita e Lei l’ha aiutato a capire la Chiesa con il suo esempio. L’Immaco-lata è Colei che non ha tradito il progetto d’amore di Dio, è Colei che ha ri-sposto in pienezza a questo sguardo d’amore, nella sua semplicità c’è lasintesi dell’inizio e della fine, questo ritrovarsi nello sguardo dell’amore delPadre. Fino all’ultimo istante della sua vita ha offerto la sofferenza per i fra-telli: Gesù per lui non era una filosofia, un pensiero, ma è stato Colui che èvenuto in mezzo a noi ed è morto per renderci Santi. La vita di don Pompeoè stata un continuo partecipare alla morte di Cristo, alla sua sofferenza, equesto gli ha permesso di ripetere, ogni giorno, il suo “Eccomi” al Signore.In quell’Eccomi c’è il cuore di don Pompeo, il segreto della sua vita, dellasua libertà e della sua gioia. È stato un grandissimo onore averlo conosciuto,essere riuscito, attraverso il suo sguardo a percepire la profondità della vita.Ha condiviso, e ancora condivide, con me dinanzi al Signore la responsabi-lità d’amore verso i fratelli. Uomo sensibile e umile non ha fatto mai pesarenulla, uomo semplice proprio come Gesù vuole i suoi discepoli. È proprioquesta gratuità che ha sempre manifestato, è stata la bellezza della sua vita.Ho fatto in modo che i preti giovani della diocesi andassero a trovare i pretianziani e malati per approfittare della loro esperienza di vita, per toccare conmano cosa il Signore vuole da noi. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuita-

mente date”. (Mt 10,8). Nel suo cammino sacerdotale molte persone l’hannoincontrato, si sono confidate con lui, gli hanno raccontato i loro segreti,hanno confessato i loro peccati, vecchi e giovani hanno aperto il loro cuoreperché hanno trovato questa disponibilità. L’amore che don Pompeo ha avutonel cuore per noi lo porterà a interessarsi di noi, continuerà a pregare per noiper questa sua Chiesa che ha amato e servito con tutto il cuore.

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3 Gennaio 2007 – Ordinazione diaconale di

Luca Albanese e Riccardo Personè

Santissimo Nome di Gesù

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amatissimi fratelli e figli, questa sera abbiamo l’onore di avere tradi noi il Vescovo Luca Brandolini, Vescovo di Sora, che ha studiato a Romaper tanti anni, grande esperto della Liturgia, e appartenente, alla sua origine,ai padri Vincenziani. A Nardò, come a Casarano, c’era una comunità di Figliedella carità, le suore di San Vincenzo De Paoli. Ho un debito verso di luiperché gli anni della mia formazione fino al quinto ginnasio sono stati curatidai padri vincenziani della mia diocesi a Oria. Voglio anche salutare il vice-rettore, don Andrea, che ha presentato Riccardo e Luca, il rettore monsignorErmenegildo Manicardi, che conoscevamo già, perché aveva diretto la set-timana teologica ancor prima che fosse rettore del collegio Capranica. Ancheverso di loro abbiamo un debito di grande affetto, stima e gratitudine per lacura, la crescita, l’approfondimento e il discernimento vocazionale di Lucae Riccardo. Ancora saluto tutti i sacerdoti diocesani, quelli venuti da altrediocesi e anche da varie parti d’Italia. Ogni volta che evochiamo lo Spiritoper consacrare nel ministero l’intero presbiterio della diocesi, Lui è presentee il mio cuore si apre, perché so che senza la carità non si può edificare laChiesa. Le letture di questa sera, che l’apostolo Giovanni ci offre, sono dav-vero un dono che ci illumina. Nella prima Lettura afferma: “Chi pratica la

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giustizia è giusto com’egli è giusto. Da questo si distinguono i figli di Dio

dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, né lo è chi

non ama il suo fratello”. (1 Gv 3,7.10). Quando il giovane ricco si rivolge aGesù chiamandolo maestro buono, Lui gli risponde: “Perché mi interroghi

su ciò che è buono? Uno solo è buono”.(Mt 19,17); anche qui uno solo ègiusto ed è Dio, la giustizia deriva da Lui ed è il metro con il quale si misurala verità della vita. Chi pone Dio nel suo cuore, chi ascolta il Signore, chi sirifà alla Sua volontà, vive nella giustizia; la vita del cristiano deve rispec-chiare il progetto d’amore di Dio, e questo porta in se l’obbedienza. Paolonon finirà mai di richiamarci all’obbedienza della fede, all’accoglienza dellavolontà di Dio, della Parola del Signore dentro di noi. Gesù dice: “Chi è mia

madre e chi sono i miei fratelli? Chi compie la volontà di Dio, costui è mio

fratello, sorella e madre”. (Mc 3,33.35); “Quale grande amore ci ha dato il

Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per

cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui”. (1Gv 3,1). Lasua gloria è racchiusa nella vita del credente: ognuno di noi è chiamato a di-ventare figlio del Figlio, “suo” Gesù Cristo. La sua gloria è nascosta, ilmondo non la percepisce, non la riconosce, perché sa riconoscere solo quelloche è suo, dirà Giovanni. L’io forte, feroce, aggressivo, l’apparenza, l’ipo-crisia, l’arroganza, l’ostentazione, il desiderio di dominare l’altro, questo co-nosce il mondo. La vita dei figli è nascosta in Dio, questa gloria che portiamodentro di noi è meravigliosa; nel momento in cui si disvelerà, vedremo il Si-gnore com’è veramente, perché saremo simili a Lui. Il segreto della nostragrandezza è l’obbedienza alla sua volontà, all’amore che è nascosto dentrodi noi; la filosofia del cristiano non è quella del mondo. Noi chiamati al mi-nistero dobbiamo mettere da parte il nostro io, perché dobbiamo lasciarespazio alla gloria di Dio. Ancora Giovanni incalza dicendo: “Chiunque ha

questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro”. (1Gv 3,3). Ri-cordate le parole di Gesù: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. (Mt5,8); bisogna purificare il cuore, perché quando questa gloria che abbiamodentro si rivelerà potremo fissare il volto dell’amore di Dio. Abbiamo biso-gno di questa purificazione; Lombardini afferma che il purgatorio è un ri-passare un po’ la nostra esistenza dopo la morte, perché ogni attimo, ogniazione possa avere la pienezza della giustizia e dell’amore. È un momentodi lontananza da Dio in cui, nella sofferenza, bisogna fare il conto della ca-rità, perché la pressione dell’amore di questo essere figli di Dio, corrispondaalla gloria che vedremo sul volto del Signore, allora potremmo aprire gliocchi e vedere Lui. Non finiremo mai di svuotare il nostro io, perché possa

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veramente lasciare spazio alla gloria di Dio e tutto questo si realizza nell’ob-bedienza. Miei cari Riccardo e Luca non dimenticate mai i doni che il Si-gnore vi ha dato, non ostentateli, lasciateli da parte, prima di tutto metteteavanti l’obbedienza, il rinnegamento di se stessi, questa purificazione, perdare importanza alla volontà di Dio, al suo amore, e questi doni si rivesti-ranno di carità e diventeranno doni per il popolo Santo di Dio. In questaSanta celebrazione vi sarà chiesta l’obbedienza a me e ai miei successori evoi risponderete: “lo prometto”. Che non sia soltanto un gesto burocratico,ma sia scritto nella liturgia del vostro cuore e sia davvero parte integrantedella vostra vita l’obbedire, perché attraverso di essa si compie la giustizia.Dove manca l’obbedienza s’infiltra il maligno e allora la vita si trasforma,si diventa scontenti, ci fa sentire il giogo del peso della lontananza e dell’in-giustizia. Gesù è apparso, dice Giovanni, per togliere il peccato del mondo:“Voi sapete che egli è apparso per togliere i peccati e che in lui non v’è pec-

cato” (1Gv 3,5) e Giovanni Battista dirà: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui

che toglie il peccato del mondo!”. (Gv 1,29) Gesù è in mezzo al suo popolocome un piccolo servo, è innocente “In Lui non v’è peccato” (1Gv 3,5). Suquesto Innocente, su questo Santo l’uomo ha posto le sue mani. Quando ilsommo sacerdote imponeva le mani sull’agnello che doveva essere la vittimasacrificale dell’olocausto, gli trasferiva i suoi peccati e quelli del popolo,Gesù è l’Agnello di Dio che porta il peccato del mondo e lo porta per resti-tuire la giustizia, la libertà, per spezzare il giogo del demonio. Il demonioriconosce in Gesù il Messia, il Figlio di Dio, sa che venuto sulla terra perrovinarlo, la presenza di Gesù rivela le ingiustizie, le schiavitù, i peccati. Mail giudizio di Gesù è un giudizio di misericordia è un giudizio per cui sullasua stessa vita questo peccato diventa sofferenza, croce e morte. Ricordiamoche la parola “diacono” significa servo; da che cosa deriva l’essere diaconodel ministero? Dall’essere servo di Cristo che dona la sua vita per la salvezzadel mondo, da Gesù che è l’innocente che ha trasformato il peccato e l’odioin amore, la schiavitù in libertà l’oppressione in gioia e tutto questo l’ha rea-lizzato sulla croce; dall’essere servi di colui che è diventato obbediente finoalla morte e alla morte di croce, per cui il suo nome è la nostra salvezza. Nondimenticatelo mai, quando io sono diventato diacono, (e oggi ricorre l’anni-versario dell’ordinazione diaconale di monsignor Brandolini e facciamo festaricordando questo grande avvenimento della sua vita), il padre spirituale midisse: “Ricordati che tutto ciò che farai nella vita non sarà più staccato daquesta dimensione, non sei più padrone ma servo; la vita del tuo popolopassa attraverso il dono di te stesso per essere trasformato in amore”. Gesù

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non risponde al male con il male, ma risponde con la carità. Come i ricci delmare che purificano l’acqua rendendola di nuovo pura, il peccato crea in-torno a noi un’atmosfera di oppressione, di sofferenza, ci intristisce. Chi èl’innocente? È colui che in quest’atmosfera trasforma quest’aria in un’ariadi libertà, di pace e di amore. Gesù è l’innocente che ha trasformato il pec-cato del mondo in libertà, in Risurrezione e in gloria: questo è il servizio cheil Signore chiede a noi. Non possiamo condannare e giudicare, non possiamoessere migliori degli altri perché abbiamo le soluzioni per tutto, queste sonosolo “moine”, noi abbiamo la responsabilità, che lo Spirito Santo ci chiede,perché possa continuare dentro di noi il servizio di Cristo, il trasformare l’at-mosfera dell’oppressione e del peccato nella libertà dei figli di Dio: questaè la giustizia di cui parla Giovanni, il servizio alla vocazione di essere figlidi Dio: c’è un solo modo di esprimere il nostro giudizio, è la corresponsabi-lità, portare il peso gli uni degli altri, il soffrire nel nostro cuore, le debolezzedei fratelli e questo diventa un giudizio, una mano tesa che può cambiare ilcuore e la vita dei fratelli. Questo è il servizio del diacono, non dobbiamoguardare a lui solo come a colui che serve a Messa, è un servizio in cui c’èil dono della vita, di se stesso. Questo termine non può essere separato dallamorte di Gesù sulla croce e noi lo portiamo stampato nella nostra esistenza.E tutto quello che facciamo, che manifesta questo essere una cosa sola conGesù, ci aiuta a costruire la casa del Signore. In Lui non c’è peccato, e chiun-que rimane in Lui non pecca, chi pecca non lo ha conosciuto, ne lo ha visto.La “vista” per l’evangelista Giovanni è la fede, la conoscenza è l’amore,qualche versetto più avanti dirà: “Chiunque è nato da Dio non commette

peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è

nato da Dio”. (1Gv 3,9). La conoscenza di Gesù affascina il mio cuore,com’è entrare in intimità con Lui? È il mistero della verginità che questasera dinanzi a Dio voi consacrate: in questa cerimonia solenne consacrereteal Signore la vostra verginità, il vostro cuore sarà del Signore. Lo conosce-remo solo se ogni giorno doneremo a Lui il nostro cuore, deve diventarel’assoluto, colui al quale il cuore si apre, e il cuore è riservato esclusivamentea Te. E questa è la preghiera che facciamo ogni giorno, fratelli cari, i nostrisensi, i nostri affetti, il nostro cuore, la nostra anima, la nostra coscienza,vogliamo che diventino il Santuario di Cristo, colui che ha il seme di Dionon può peccare. Allora, miei cari, sembra una cosa difficile, il mondo nonlo capisce, quasi si offende quando vede che esistono persone che cantanola loro gioia dell’essere vergini del Signore, vorrebbe quasi avvilire ciò, maquesto è il nostro segreto per il nostro non peccare. Conservare questa vigi-

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lanza sull’amore che ci unisce a Gesù per cui lui diventa l’Assoluto nellanostra vita, la sua Parola e la sua presenza diventano l’Incondizionato, questaè la nostra gioia, l’anima del nostro servizio, ma anche la certezza che lagente che ci incontra deve sapere che nel nostro cuore c’è Cristo. Ogni cri-stiano ha diritto a questo, custodiamo questa promessa che farete davanti alpopolo di Dio questo dono totale della vostra vita a Cristo e sarà fecondo ilvostro ministero, sarete veramente servi che uniscono il popolo di Dio al-l’altare, coloro che conoscono le sofferenze, le gioie e i dubbi e li portanoall’altare, e da quello stesso altare portano l’Eucaristia ai cristiani. La rispo-sta, l’aiuto, la forza, la grazia. Che cosa augurarvi miei amati fratelli e figli?La gioia: che la gioia che deriva, dal guardare Gesù non si perda mai, chie-diamo a Maria il suo sguardo dinanzi a Gesù Bambino, a Gesù crocifisso,lei sarà felice di concedercelo. Affidiamo alla sua preghiera, alla preghieradi San Giovanni Battista, questo immenso gigante, questo grandissimo servodel Vangelo e di Cristo e tutta la vostra vita.

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5 Febbraio 2007 – Solennità di Sant’Agata, Patrona della Diocesi

Basilica Concattedrale – Gallipoli

Miei amatissimi fratelli e figli, non possiamo non ricordare, in questa no-stra Santa celebrazione, ciò che è avvenuto oggi a Catania: siamo uniti aquesta città perché ha dato i natali a Sant’Agata, e nella sua cattedrale questaSanta riposa. Durante il pontificale solenne che i Vescovi della regione hannocelebrato, si sono svolti i funerali dell’ispettore di polizia Filippo Raciti;siamo vicini a questa comunità con il cuore. Si può diventare talmente irre-sponsabili da non capire che certi gesti da noi compiuti, producono un pesostraziante nella vita degli altri. Questo grande e umile servitore del bene co-mune e della società è stato ricordato in questa solennità. Lo ricordiamoanche noi nella preghiera, affidandolo a Sant’Agata, affinché preghi il Si-gnore per le vittime di questa violenza cieca, irresponsabile e stolta; si arrivaa questo quando si perdono di vista i veri valori. In questo giorno solenne,ricordiamo una giovane ragazza che ha scelto di amare Gesù e di servirlo:per quest’amore si mette contro i pagani, fiera nella sua sincerità di cuore,forte nella fermezza che le ha donato lo Spirito Santo, arriva dalla verginitàal martirio. L’ha affrontato perché innamorata di Cristo. “Io, quando sarò

elevato da terra, attirerò tutti a me”, dice Gesù. (Gv 12,32). Ci attrae a seproprio nei momenti della sua vita nei quali si fa piccolo, nella capanna diBetlemme e sul Golgota: nella capanna quando Dio si fa Bambino, biso-gnoso dell’aiuto di Maria e Giuseppe, sulla Croce quando, Lui, l’Onnipo-

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tente, il Creatore del cielo e della terra è abbandonato da tutti; ci attira conla sua presenza nell’Eucaristia. Pascal diceva che quando pensava al misterodel Dio nascosto, pensava sempre all’Eucaristia: è un dono immenso, in que-sto piccolo pezzo di pane il Signore è presente con la sua grandezza, la suaonnipotenza e la sua bellezza. Ma è anche un prigioniero d’amore, è impo-tente, un ostaggio nelle nostre mani. “Nessuno ha un amore più grande di

questo: dare la vita per i propri amici”. (Gv 15,13). Gesù con il suo amorecerca il nostro cuore, ci insegna ad amare, ci fa capire che l’amore è passareattraverso il nulla. È così che dobbiamo amare nella nostra vita, è questo chedobbiamo insegnare ai nostri ragazzi. Abbiamo tante ipotesi sulla nascitadell’universo, ma in questa vita non ne avremo mai la certezza, perché il no-stro mondo è fatto di cose tangibili, il nulla non si può toccare. Eppurel’amore chiede di passare attraverso il nulla. Ancora Gesù nel Vangelo dice:“Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla

di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere

di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando che ho rice-

vuto dal Padre mio». (Gv 10,17). Solo Dio può passare attraverso il nulla,non c’è amore più grande che dare la vita per le persone che si amano, soloLui ha il potere di dare la vita e di riprenderla. Gesù sulla croce ci ha regalatoquesta grande possibilità d’amore. Questo è quello che Sant’Agata e tutti imartiri hanno scoperto: la vita non ha avuto più importanza, perché il lorocuore era pieno dell’amore di Dio, Gesù era diventato intimo ospite dellaloro coscienza. Lui, il Vivente, ci dona la capacità d’amare fino ad annullarsiper l’altro. L’uomo, senza l’aiuto di Dio, non sarebbe capace di amare inquesta maniera, perché ha paura del nulla, dell’annientamento totale. Attra-versare quel nulla significa essere cancellati totalmente, ma Gesù ci dona lagrazia di arrivare a farlo, e a farlo con serenità. Donare tutto, solo questo èvero amore, dove c’è menzogna e tradimento l’amore è falso. Sant’Agataha capito che il senso della sua vita non era essere la moglie di un nobile,ma di amare Gesù sopra di tutto, ha capito che la più grande nobiltà era es-sere legata totalmente a Lui. E con questa convinzione ha affrontato congioia il sacrificio e la morte. Ecco perché l’esempio dei Santi, e soprattuttodei martiri, ci accompagna sempre; con la loro bellezza e freschezza ci spin-gono a fidarci dell’amore di Dio e seguire il suo esempio. Oggi la fede èspesso messa da parte come una cosa ingombrante, non è utile, viviamo lavita secondo i nostri criteri: stiamo ritornando al paganesimo, a quel paga-nesimo che c’era al tempo di Sant’Agata con un solo piccolo gruppo di per-sone che erano cristiane. L’uomo oggi pensa di essere autosufficiente, non

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capisce la forza che Cristo porta nella nostra vita. Quest’umanesimo nuovoe ateo, esclude completamente Dio, senza di Lui diventiamo delle bestie, male bestie riconoscono i propri simili e non si sbranano a vicenda. L’umane-simo che cancella il Vangelo dal cuore dell’uomo crea solo il vuoto e la di-sperazione. Incontro tante persone che non hanno più fiducia nel futuro, sonotristi e pensano di non avere più motivi per vivere. Dobbiamo far capire aquesta gente che l’amore è stare dinanzi al Crocefisso, accettando il suomodo d’amare e non la nostra idea d’amore. Si pensa di guadagnare l’eternitàcon la ricchezza e il potere, è solo un’illusione che ci condanna alla danna-zione eterna. Il demonio ci fa balenare quest’immagine d’immensità, di gran-dezza, poi, dinanzi alla morte ci schiaccia. Chi non sa amare, non saaffrontare la sofferenza e le prove della vita, chi sa farlo accetta fino in fondola volontà del Padre e rende la sua vita eterna. È proprio qui la bellezza dellavita di questa piccola fanciulla che sfida i potenti e li vince nel martirio.Agata passa attraverso il nulla perché si fida di Cristo. Fratelli cari, amiamodavvero il Signore, obbediamo alla sua Parola, alle sue leggi, buttiamocinelle sue braccia perché Lui è il Fedele. Abbiamo ascoltato nel Vangelo,Gesù che ci sprona a fidarci di Dio: “Perfino i capelli del vostro capo sono

tutti contati” (Mt 10,30). Nessuno può tirarvi un capello senza che Lui se neaccorga. I Santi ci sono stati donati perché siano uno stimolo per aiutarci acostruire momento per momento la fede. Qualche giorno fa abbiamo cele-brato la giornata della vita consacrata, e in quest’occasione, vi ho detto chedivento triste vedendo suore che hanno perso l’entusiasmo. Bisogna semprericordare che i problemi che affrontiamo non sono certo più grandi del-l’amore che fa nuove tutte le cose. Facciamo conoscere ai nostri giovani labellezza di quell’amore che non invecchia mai, che ci presenta nuove solu-zioni per i nostri problemi. Mi rivolgo ai genitori qui presenti, dobbiamo ri-costruire la fede nel cuore dei nostri ragazzi, far sì che la loro voce sia piùforte della voce del mondo. Far capire loro che la gioia più grande è nel-l’amore di Dio. Per questo voglio affidare a Sant’Agata le nostre comunità,la diocesi, chiedendole di aiutarci a consegnare alle generazioni future lafiaccola della fede, a far rimanere impresso nei loro cuori il nome di Gesù.Lo doni davvero la preghiera dei Santi, di Sant’Agata e della Madonna.

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3 Aprile 2007 – Santa Messa Crismale

Basilica Cattedrale – Nardò

Fratelli carissimi e amati figli, ricordiamo in questa Messa solenne i nostrifratelli, in modo particolare Sua Eccellenza monsignor Mennonna, Sua Ec-cellenza Monsignor Filoni e Monsignor Giorgio Chezza che si è fatto pre-sente con un suo messaggio. Sono presenti accanto a noi i sacerdoti malatiche ho ascoltato questa mattina e le sorelle dei quattro monasteri di clausura.Ricordiamo nel nostro cuore e portiamo dinanzi al Signore la sofferenzadella comunità di San Lazzaro in Gallipoli, per la voragine che si è aperta eper il pericolo in cui versano cinquanta famiglie. Portiamo con noi la lorosofferenza e preghiamo il Signore perché lenisca il loro dolore. Salutiamo isacerdoti che festeggiano i loro giubilei sacerdotali: è un anno particolar-mente ricco di queste ricorrenze, Don Antonio Delle Donne, che purtropponon è presente, festeggia sessant’anni di sacerdozio, don Giuseppe Colitta,don Gaetano Filograna, don Antonio Giaracuni che festeggiano cinquan-t’anni di sacerdozio. Poi abbiamo due fratelli che festeggiano i venticinqueanni di sacerdozio: don Franco Francioso e don Giuseppe Orlando. In questasettimana la Chiesa porta la nostra attenzione alla Croce di Gesù. Ecco ilvessillo della Croce, mistero di morte e di gloria, un albero fecondo e glo-rioso. La celebrazione della Messa Crismale è posta dalla Chiesa vicino alTriduo Pasquale, di solito si celebra il Giovedì Santo nella mattinata, in mol-tissime cattedrali. Noi la celebriamo oggi, ma dobbiamo sempre tener pre-

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sente che va unita strettamente al Triduo. Ricordo una bellissima meditazionedi don Ettore: Gesù muore in un giardino, Adamo è stato posto in un giar-dino. Il Signore aveva preparato per Adamo un giardino che è stato trasfor-mato dal peccato in un deserto; in questo deserto muore Gesù e lo ritrasformain un giardino bellissimo. Da Gesù che dona se stesso morendo sulla croce,scaturisce una sorgente di vita; il suo dono totale d’amore fa sì che questofiume di grazia, dal suo cuore aperto, vada a toccare e a salvare tutto ilmondo. Ecco la bellezza della celebrazione di questa sera, dal Cuore di Cristoe dalla sua Croce scaturisce il frutto della nostra salvezza e il dono dello Spi-rito Santo; questo Spirito che donerà concretezza alla consacrazione del Cri-sma. La Santificazione del genere umano, la nostra salvezza, la nostrasperanza si attua con la morte in croce di Gesù. Qual è il segreto che ha tra-sformato la Croce? La Croce di per se è uno strumento orribile di morte, ep-pure, per noi, è diventata speranza, perché da quella Croce Gesù ci ha donatose stesso. È a questa Croce, nostra speranza e nostra gloria, che dobbiamovolgere gli occhi. “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. (Gv12,32); Giovanni cita anche il profeta Isaia: “Volgeranno lo sguardo a colui

che hanno trafitto” (Gv 19,37). Nella nostra diocesi quest’anno ci sono dueavvenimenti importanti: la visita pastorale e la visita Ad Limina Apostolo-

rum; abbiamo già visitato tredici parrocchie e siamo venuti in contatto contante belle comunità. Siamo stati quasi sommersi dall’affetto, dall’amicizia,dall’accoglienza dei nostri figli e fratelli. Ecco, “Volgeranno lo sguardo a

colui che hanno trafitto”, c’è un incontro dai molti all’Uno e questa risalita,questo comunicare, questo rapporto di fede, questo alzare gli occhi versoGesù crocifisso, ha lo scopo di portarlo nella nostra vita. Nelle comunità, inciascuno di voi cari amatissimi figli, ho trovato la Regalità che Cristo parte-cipa ai suoi fratelli e ai figli di Dio: con il Battesimo e la Cresima siamo di-ventati figli di Dio e partecipiamo al sacerdozio regale di Gesù. Questapartecipazione si manifesta con l’essere pietre vive nella costruzione dellasua Chiesa, della comunità cristiana. Abbiamo incontrato ragazzi, giovani,sposi, tutti quelli che svolgono un ruolo di responsabilità nei confronti deglialtri e abbiamo visto che questa comunicazione, questo alzare lo sguardo alCrocefisso, è la sorgente della loro vita, quest’incontro continuo con il Si-gnore, anche nelle situazioni di sofferenza; ammalati che sono capaci di tra-sformare la loro solitudine e il loro abbandono in grazia, in preghiera e indono. È continuamente davanti ai nostri occhi il mistero dello sguardo rivoltoalla Croce, che innalza la vita e la rende offerta gradita al Padre; è il sacer-dozio comune dei figli di Dio. La parte più importante della Chiesa sono i

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figli di Dio, dopo ci sono i servi. Poi c’è la visita Ad Limina Apostolorum alSanto Padre che abbiamo fatto con tutti i vescovi d’Italia dal 13 al 16 dimarzo: questa visita ci ha portato a essere uniti a lui, nell’udienza generaledel mercoledì, ma soprattutto è stato importante il tempo che ha donato aciascuno di noi. Un quarto d’ora durante il quale lui ha ascoltato le nostrepreoccupazioni, si è informato del servizio della Chiesa e della speranza. Lasua domanda è stata: “C’è speranza per la fede?” C’è la passione per Gesù,per il Regno di Dio, la trepidazione affinché questa fede sia sempre stimolatae accresciuta e mai abbandonata? Così la testimonianza di quelle personeche vivono nella fedeltà al Vangelo, diventa per il Papa e per i Vescovi digrandissima consolazione. In quest’incontro ho trovato che il nostro sacer-dozio, il sacerdozio ministeriale, quello di “servi” che il Signore chiama, af-finché i suoi figli non si smarriscano e siano coscienti di essere veramentefigli di Dio, ha la sua parte più preziosa, capace di generare carità ed amore.Questo servizio, cari fratelli, è quello che ci unisce davvero a Gesù. Cristo,che dice: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. (Gv 12,32).Che cos’è che ci attira verso Gesù? È l’amore di Cristo, che diventa aperto,visibile, reale e oggettivo dono di se stesso. Sulla Croce incontriamo Gesùnella sua nudità, sulla Croce, per mezzo del suo amore, anche noi possiamoattirare i fratelli. Gesù continua, in noi chiamati al ministero, il suo stessodono d’amore; e allora essere aggrappati alla sua Croce, essere come lui, fasì che noi possiamo attrarre le persone e le comunità. Possiamo far sentireloro la nostalgia di quell’amore vero che esiste, perché è partecipazione delsuo amore. Ecco, miei amatissimi fratelli sacerdoti, è qui il segreto della no-stra fecondità: l’essere una sola cosa con Gesù e mostrare nella nostra vitache il nostro unico interesse è vivere totalmente per lui. Essere innalzati conlui sulla Croce, offrendo la nostra vita, i nostri affetti, il nostro orgoglio e lanostra superbia. Oggi celebriamo la bellezza dell’unità della Chiesa, sacer-doti, vescovo e tutti i fedeli, uniti insieme: quell’unità che il Papa, nel-l’udienza generale, ha cantato con le parole di Sant’Ignazio di Antiochia:“Le corde legate alla cetra, per cui i tanti ministeri nella Chiesa costrui-

scono un’unica sinfonia: l’unità”. È tragico quando le persone che hannodelle responsabilità nelle comunità le disgregano, o quelli che portano sepa-razione nel presbiterio, essi sono candidati all’inferno, perché l’unità dellaChiesa è il dono d’amore di Gesù Cristo, pagato con il suo Sangue, rinne-garlo ci conduce alla condanna eterna. Non si scherza con i doni dell’amoredi Cristo, è qualcosa d’immenso e più noi lo comprendiamo e più dobbiamoservirlo con la libertà e la dignità dei figli, coscienti di vivere nella Verità

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che è Gesù stesso. Nello stesso tempo questo richiede il dono immenso dellagratuità, non può esistere la Chiesa senza gratuità. Dove lo Spirito Santo nontocca i nostri cuori e guida i nostri gesti, non c’è la Chiesa. Sono due le paroleche rendono unita e bella la Chiesa: la dignità del sacerdozio regale e la di-gnità del servizio in tutti i ministeri. Quella di oggi, miei amati figli, è unaMessa particolare: la nostra Chiesa entra nella sua sorgente, la poniamo nelCuore di Cristo, là dove Gesù ci ha generati con il dono del suo Spirito. Enoi lo invochiamo perché sia vicino a noi, nella consacrazione degli Olii, epossa essere presenza e segno, per tutte le nostre comunità con la sua azioned’amore, di guarigione, di salvezza e di potenza. Affidiamo tutto questo allamorte in Croce di Gesù, alla preghiera che Egli ha fatto dopo l’istituzionedell’Eucaristia e che sarà lo spunto per la riflessione della settimana teologicadel prossimo anno. Possa Gesù pregare il Padre per l’unità della sua Chiesa,affinché essa possa attirare tutti i fratelli verso di Lui e verso la salvezza.

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5 Aprile 2007 – Santa Messa in Coena Domini

Basilica Cattedrale – Nardò

Amati fratelli e figli, ci troviamo in quel momento grandissimo e solennenel quale Gesù sta per iniziare la sua Passione, nel cuore stesso della cele-brazione della Pasqua. Questo rito ricorda agli ebrei la loro origine comepopolo, l’ultimo gesto terribile compiuto dal Signore per liberarli: l’uccisionedei primogeniti d’Egitto, da quello del faraone, a quelli degli schiavi e deglianimali. Il Signore comandò agli ebrei di prendere un agnello, il dieci delmese e di conservarlo a parte, chiuso fino al quattordici, sera nella quale saràimmolato e il suo Sangue sarà asperso sugli stipiti delle porte, per impedireall’angelo sterminatore di toccare i primogeniti di Israele. Agnello che è ilprecursore del vero Agnello che il Signore manderà per il suo popolo. Questorito, che dovrà essere celebrato perennemente, di generazione in generazione,fa entrare nella storia gli ebrei e diventa memoria della sua nascita come po-polo. Questi avvenimenti rimangono, per la potenza della Parola di Dio, sem-pre attuali e contemporanei, sarebbero passate generazioni e secoli, ma gliebrei nella celebrazione della Pasqua avrebbero sempre sentito che il Signoreli avrebbe condotti fuori dalla schiavitù dell’Egitto. Memoria quindi, maanche Alleanza. Dio libera il suo popolo e lo porta davanti al monte Sinai,stipula la sua alleanza con un altro sacrificio. La Pasqua unisce insieme que-sti due fatti fondamentali della storia d’Israele. Gesù, infatti, si considereràil nuovo Agnello, il Sangue della Nuova ed Eterna Alleanza. Tutta la prepa-

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razione, la liturgia del rito celebrato, evocava quell’avvenimento e lo portavaall’interno della loro storia. In questo contesto Gesù istituisce la nuova Pa-squa, il senso di questa nuova cena che diventa la Cena del Signore, la Pa-squa del Signore. “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta

la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che

erano nel mondo, li amò sino alla fine”. (Gv 13,1). Giovanni nel suo Vangeloutilizza molto la parola “ora”; sin dalle nozze di Cana:“Che ho da fare con

te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. (Gv 2,4) L’ora di Gesù è ilsuo Mistero Pasquale, la sua Passione, Morte e Risurrezione. Egli con l’Isti-tuzione della Cena ha voluto dare un contenuto nuovo a quella realtà che ilSignore aveva fatto capire agli ebrei. I suoi gesti diventeranno presenza vivaed eterna nella storia del mondo, per ogni generazione: la cena non sarà,quindi, soltanto il ricordo della liberazione del popolo ebraico dalla schiavitùdell’Egitto, ma la certezza della libertà che il Padre ci dona dal peccato,dall’egoismo e dalla nostra ribellione a Lui. Gesù crea dentro di noi un cuorenuovo, mediante il suo Sangue, e ci costituisce veramente figli di Dio, al-lontana da noi la morte, fa diventare la nostra vita, una risposta amata dalSignore. Questa nostra celebrazione all’inizio del Triduo Pasquale anticipail senso di tutto quello che faremo fino alla Veglia Pasquale, la sua passione,morte e Risurrezione, nell’istituzione dell’Eucaristia, che sarà celebrata conla sua vita, con il suo corpo nella morte in croce, fino alla Risurrezione al-l’alba del giorno di Pasqua. La bellezza di questo mistero è proprio qui, carifratelli, concentrare in questo rito la morte e la Risurrezione, le tenebre e laluce, la nostra umanità, le nostre sofferenze e la nostra povertà con la suaonnipotenza e magnanimità. Cristo è diventato nostro fratello, la sua soffe-renza, un dono d’amore. L’uomo è assetato d’amore, sappiamo bene chesenza di esso la nostra vita è triste, si va verso la depressione e la morte. Mabisogna avere gli occhi bene aperti per riconoscere dov’è la sorgente di que-sto amore; con questo Sacramento il Signore ci permette di avere la sua pre-senza sempre accanto a noi, di poterci rivolgere sempre a Lui e soprattuttoci nutre d’amore. In quest’ora così importante, attraverso il suo cuore aperto,l’umanità è entrata dentro la realtà di Dio; il tempo e l’eternità si sono ab-bracciati, dice Papa Benedetto, la libertà dell’uomo e la grandezza di Diodiventano una cosa sola. È il momento in cui realmente il nostro tempo rag-giunge la sua pienezza, e noi già tocchiamo la vita eterna. Ecco l’amore,l’abbassarsi di Dio e venire nella nostra vita, dandoci tutto se stesso nellapersona di Gesù. Non dobbiamo mai smettere di fissare i nostri occhi su que-sto mistero d’amore; non siamo più soli, basta entrare in una Chiesa e andare

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davanti al Santissimo per sentire realmente la sua presenza accanto a noi,per non essere più soli. Egli ci aspetta nel silenzio e nella solitudine, per po-terci abbracciare e riempire d’amore. È questo il suo dono per noi, il mo-mento in cui l’uomo entra nell’amore di Dio. Quante generazioni sonoentrate a “far parte” del mistero della celebrazione eucaristica, e quante altreancora lo saranno; veramente la Messa è l’ora in cui il mondo e l’eternità siabbracciano: vi è, nella Messa, l’anticipo dell’eternità, la pienezza del nu-mero degli eletti. È l’Ora di Cristo, e soltanto in quest’ora siamo riscattatidalla superficialità del tempo e diveniamo veramente un unico popolo di Dioper mezzo dell’abbraccio di Gesù. L’evangelista Giovanni è talmente toccatodal gesto di Gesù che, anziché narrare cos’è l’Eucaristia (lo farà nel capitolosesto del suo Vangelo) e spiegarne l’istituzione, lo racconta. Parliamo dellalavanda dei piedi. “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai

dopo”. (Gv 13,7), Giovanni ci fa capire la profondità di questo gesto; Pietronon lo vuole capire, si rifiuta, ma sarà lo Spirito a illuminarlo e aprire la suamente e il suo cuore. Questo non è solo il gesto, che il servo più umile dellacasa compie nei confronti degli ospiti e del suo padrone, è l’atteggiamentodi chi è morto e risorto, affinché noi potessimo vivere in Lui per l’eternità.Nei “Trattati su San Giovanni” Sant’Agostino afferma che se Gesù ha datola vita per noi, dobbiamo, quindi, essere disposti a dare la nostra vita per luie per i fratelli. Il gesto della lavanda dei piedi è un gesto d’amore. Lo stessoche l’uomo Giovanni ha sperimentato sotto la croce, quando Gesù si è donatototalmente per la sua e nostra salvezza. Ecco la partecipazione al misteroEucaristico, ogni volta attraverso la morte e la Risurrezione di Cristo ci rin-noviamo e diventiamo Santi e capaci d’amore, di quell’acqua viva che zam-pilla nel nostro cuore e ci fa diventare servi gli uni degli altri. In quest’orameravigliosa chiediamo perdono delle nostre mancanze e dei nostri egoismi,per essere anche noi, per gli altri, con la nostra vita, Eucaristia, testimonidella fusione del tempo con l’eternità, dell’umanità con l’amore di Dio.

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8 Aprile 2007 – Pasqua del Signore

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amati fratelli e figli, dalla veglia di questa notte noi attingiamo ciòche siamo: figli di Dio; e la cosa bella che la Pasqua ci dona è proprio Gesùche ci mette in rapporto con il Padre. Nell’Ultima Cena l’apostolo Filippochiede a Gesù: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. (Gv 14,8). Chissàcome parlava bene Gesù di suo Padre, ne parlava talmente bene da incantarele persone che lo ascoltavano tanto che Filippo intuisce che tutto sta nel ve-dere il Padre, nel conoscerlo. “Mostraci il suo volto”, ecco il senso profondodella Pasqua, Gesù che ridà agli uomini il volto del Padre. Abbiamo ascoltatoquesta notte la lettura della creazione: il Signore ha creato l’uomo e l’haposto in questo mondo, giardino di ogni delizia per i suoi occhi, perché eglipossa servirsene. Ma l’uomo ha rinnegato il suo legame con Dio, ha rinne-gato nel suo cuore l’amore, l’obbedienza, la gratitudine che lo legava alPadre e ha preferito andarsene per conto suo. L’uomo ha posto in questacreazione che il Signore gli ha donato, la morte e la distruzione. Ciò è quelloche noi vediamo ancora oggi, dove l’uomo egoista e possessivo cerca le cosedi questo mondo e sembra quasi svuotare la creazione; è come una corru-zione della creazione nel suo fondamento e nel suo essere. La libertà del-l’uomo diventato peccatore è una libertà che annienta tutto ciò che tocca,trasforma questo mondo in un deserto; ma il dono del Padre è immenso; ilPadre ha amato tanto il mondo che ha mandato suo Figlio, perché il mondo

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possa vivere. E Gesù, con il dono della sua vita, ha portato in questo mondo,la forza della vita che è l’amore e ha ricostruito tutte le cose, ha ricostruitoil mondo, ha ridato a tutta la creazione, la sua bellezza, per cui davvero que-sto mondo che è uscito dalle mani della Parola di Dio è stato ricreato dallacroce di Gesù con il dono di se stesso e con la sua morte. E ciò che abbiamoascoltato oggi nel Vangelo: quando andiamo al sepolcro, al cimitero, siamotoccati da sentimenti di sofferenza, perché le persone amate che abbiamoperso sono li, e ne sentiamo il distacco. È proprio dal cimitero, da una tomba,viene questo messaggio di ricostruzione della vita, del mondo, della crea-zione e della ricostruzione del cuore di ciascuno di noi. Eravamo pecore per-dute, figli di nessuno, perché abbiamo rinnegato il Padre e ci siamo persi,abbiamo perso anche il senso della nostra dignità e il senso del valore dellanostra vita, perché niente più parlava al nostro cuore. Gesù con la sua morteha ricostruito gli affetti, i sentimenti e le relazioni; ha riportato nel nostrocuore i sentimenti dei figli, ci ha ridato un cuore nuovo. Nella sua croce c’èla nostra origine, nella sua croce c’è la nostra vita di figli di Dio. Fratellicari, non dimentichiamo che è un dono immenso, non siamo figli di un prin-cipe di questo mondo, non siamo figli di un imperatore, noi abbiamo comenostro Padre il Creatore, l’Onnipotente, il Dio unico del cielo e della terra.Gesù l’ha portato tanto vicino che nel nostro cuore possiamo rivolgerci aDio col nome di “papà”, Abbà, come lo chiamava Lui. È questo che nondobbiamo assolutamente dimenticare, ci ha riportati indietro, ci ha fatto sen-tire la nostalgia di quella casa nella quale tutti siamo fratelli, dove dentro dinoi questo amore, questa presenza ci rende grandi, importanti. In questomondo l’amore di papà e di mamma ci ha reso forti e noi lo scopriamo con-tinuamente nella nostra vita; quando si è ricevuto un amore forte e vero daparte dei genitori, si diventa persone sicure e persone splendide. Quantogrande dentro di noi è quest’apporto, che la grazia di Dio, il volto del Padre,il suo amore ci dona. Se un bimbo piange la madre e il padre subito si avvi-cinano per capire cosa lo fa soffrire. Come possiamo dubitare che, dinanziai gemiti del nostro cuore, questo Padre non ci sta accanto e prende vera-mente, nelle sue mani, i nostri problemi e le nostre difficoltà? Fratelli cari,la cosa più bella che possiamo regalare a questo Padre è la fiducia in Lui.Come i padri di questo mondo che si esaltano quando i figli si fidano di loro,perché sanno di aver costruito nella loro vita serenità e fiducia, anche noi,quando diciamo al Padre: “Io confido in Te, io mi fido di Te, Padre Santoaccetto dalle tue mani ciò che tu vuoi perché è il mio bene”, allora davveroil Padre è felice di ciascuno di noi. Fidarsi del Padre, recuperare la nostra

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coscienza di figli, e con questa coscienza, affidarci e parlare a Lui. È qui ilsegreto, la sorgente della potenza della Pasqua; è qui davvero il vedere confiducia e serenità tutti i problemi della nostra vita, perché questo amore nonpuò venire meno, perché è più grande di tutto il peccato del mondo: questaè la nostra certezza, la nostra gioia e la nostra sicurezza. E quando noi gri-diamo pace anche se intorno a noi ancora c’è la lotta, sappiamo che la Luceha vinto l’oscurità del male, sappiamo che le tenebre non possono ucciderela vita, perché la vita di Cristo ha trionfato nel buio della morte, e ci ha presiper mano, perché non avessimo più paura. Perché Lui, che è Signore dellavita e della morte, con il suo amore ci ha aiutati a passare dall’angoscia, dalladisperazione alla speranza. Un ultimo, brevissimo pensiero, per questa pa-ternità recuperata, un invito a tutti i papà e a tutte le mamme di questomondo: a voi, miei cari fratelli e sorelle la conversione e l’incontro con ilSignore vi aiuti a diventare papà, mamme dell’umanità intera a partire daipropri figli. Osserviamo in questo mondo che il demonio s’intrufola da tuttele parti e disgrega anche i sentimenti più profondi e più belli, per esempioquando mette i figli contro i genitori e i genitori contro i figli. I fatti di cro-naca che ascoltiamo continuamente nei telegiornali ci riempiono di angoscia;ma è proprio l’amore dei genitori che genera nella vita dei ragazzi la capacitàdi affidamento e che li conduce pian piano a cercare il volto del Padre e ilvolto di Dio. Quanto deve essere difficile per un figlio che ha avuto un papàe una mamma distratti, oppure disumani, ritrovare il volto del Padre. “Perché

converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri” (Mal3,24), dice il profeta Malachia, che annuncia il compito di Giovanni Battista,ricostruire la famiglia, l’armonia, la culla dei sentimenti autentici di ognipersona. Allora invito veramente tutti i papà e tutte le mamme che sono inquesta Santa celebrazione a essere attenti a questo loro compito, sono segnidi una paternità immensa, infinita che resterà per sempre la sorgente dellanostra gioia; che siano all’altezza di questo e che davvero con il loro com-portamento e i loro sentimenti generino nei figli questa fiducia sconfinatanell’amore del Padre.

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18 Settembre 2007 – Solennità di San Giuseppe da Copertino

Piazza del Popolo – Copertino

“Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore.”(Sal 119,1). Ecco fratelli miei, queste parole della Scrittura possiamo davveroritrovarle rispecchiate nella vita, nel cuore, nei sentimenti di San Giuseppe,il quale potrà dire ancora il Signore è mia roccia, mio baluardo, mia potentedifesa. Per rendere meglio l’idea ricordiamo ciò che Gesù ha detto: “Geru-

salemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati,

quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i

pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!” (Mt 23,37), ecco questa è l’espe-rienza di chi davvero cerca il Signore di chi sperimenta in Lui la roccia dellapropria vita, quella forza che ci mantiene in piedi, che dà alle nostre parole,ai nostri gesti e ai nostri passi la consistenza. Abbiamo ascoltato dalle paroledi Gesù: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai

tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai

piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te”. (Mt 11,25-26). Perché questipiccoli sono così amati dal Signore da poter avere la sua Rivelazione? Perchésono persone che dipendono da qualcun altro: i bambini dipendono dai lorogenitori e si fidano totalmente di loro. Fratelli miei, come dovremo riflettere,anche nei nostri rapporti umani, su queste parole di Gesù. L’attenzione el’amore verso i piccoli, comporta che mai bisogna tradire la loro fiducia, illoro affidamento nelle mani dei genitori e degli adulti dalla cui responsabilità

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loro dipendono. Questa è, come dire, l’angolatura con cui ci accostiamo aSan Giuseppe, che come un bambino si abbandona alla volontà del Padre,alla volontà di Dio. Volevo guardare in questa dimensione un aspetto delicatodella sua vita: per tanti motivi e tante ragioni passavano da lui molti cardinali,persone importanti e Giuseppe ogni tanto faceva una perorazione presso ilpadre generale, o addirittura presso il Papa, mediante queste persone che sipresentavano da lui. Però aveva timore di fare qualcosa contro la volontà diDio, e si raccomandava al Signore: “Se è volontà tua suggeriscilo tu stesso,io non lo chiederò.” Questo lasciare fare a Dio, farsi plasmare, lasciarci por-tare alla croce ci conduce al mistero di Gesù, perché nel mistero di Gesù enella sua croce la nostra vita è riplasmata e ridiventa veramente Santa. Nondiventa più ostacolo la presenza di Dio in noi o nell’ambiente in cui viviamo.Il Signore l’ha lavorato e lui si è lasciato lavorare, partecipando in questaforte lotta, perché nella sua vita, veramente, fosse trasparente la volontà diDio. Faccio un piccolo esempio, questa lotta cosa ha toccato nella vita diSan Giuseppe? Era un uomo che amava il sole, l’erba, le piante, gli ulivi,perché rispecchiava proprio questo nostro mondo, era un uomo che parlavamolto volentieri con le persone, con i contadini e i pastori, con le personesemplici e s’intratteneva con loro. La sua vita lo porterà a vivere segregato,lontano dal mondo, a contemplare il cielo, a rinunziare a quel contatto umilee semplice con il popolo. Diventa quasi naturale per lui questa vita nascosta,riservata, segregata: l’ha fatta diventare quasi naturale, anche se, per lui, lavita era completamente all’opposto di questo, perché, ha trovato, in questosuo lavorio interiore, la volontà di Dio. E così le sue passioni, il suo corpo,il suo stile, questo continuo mormorare, i suoi sentimenti, le sue passioni,questo suo modo di parlare delle cose che erano contro di lui, le riporta tuttenella volontà di Dio. Anche la sua stessa vita, le sue stesse vicende, tutto di-venta esperienza per l’incontro con Lui. E racconterà quell’esperienza, quelmodo di dire così caro, con un esempio: “A cosa servono un paio di occhiali

se si tengono in mano e si contemplano? Non servono a nulla, gli occhiali

servono, perché attraverso di loro possiamo vedere la realtà”. E che cosasono gli occhiali? Sono la realtà stessa, il mondo, la natura, le persone cheincontriamo, la nostra esperienza, questa è la realtà, perché gli occhiali at-traverso i quali arriviamo alla realtà, cioè alla presenza di Dio, ci permettonodi incontrarlo e, quindi, dialogare veramente con Lui. La vita di San Giu-seppe è assorbita in Dio, ha i suoi sentimenti, ha il suo cuore e ha la passionedi Gesù. Aveva un grande desiderio di morire martire, come San Francesco,come tanti altri Santi, e si sentì dire nel suo cuore, da parte del Signore che

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il martirio è un momento, ma il martirio di una carità che passa attraversol’obbedienza ogni giorno, è molto più lungo e molto più prezioso. Alloradavvero, miei cari fratelli, noi ammiriamo in San Giuseppe colui che ha tra-sfigurato questa sua vita, ogni suo respiro, ogni battito del cuore, e lo ha tra-sformato in un grido d’amore al Signore, ogni parola un canto, ogniconversazione, ogni scelta è un continuo dialogo con la presenza dell’amoredel Dio accanto a lui. E tramite la vita di Giuseppe, non più ostacolo ma tra-sparenza, noi possiamo accostarci al Signore e riscoprire il suo mistero. Cosapuò insegnare ancora San Giuseppe? Proprio questo, noi siamo sottoposti auna continua tentazione, che è vecchia, quanto è vecchio il mondo, di fare ameno di Dio, di diventare noi Dio, di fare leva sui nostri poteri, sull’intelli-genza, sulle possibilità che abbiamo, sulle scoperte: diciamo, ecco, l’uomonon ha bisogno di nessuno, perché l’uomo è Dio. Dio diventa una cosa tal-mente secondaria da essere messa da parte nella nostra esistenza; e alloradiventiamo arroganti, prepotenti, ci arroghiamo del diritto di decidere checosa è il bene e che cosa è il male, ma così cadiamo in una cecità, ci allon-taniamo totalmente dalla presenza del Signore. Non siamo più comunione,non siamo più trasparenza e non siamo più ascolto. La bellezza di San Giu-seppe ci porta alla vera grandezza dell’uomo, che è cercare Dio. Un filosofogreco, Socrate, prima di morire, dice che non c’è per l’uomo una cosa piùbella nella vita che cercare la Verità, e la può trovare se la cerca con tutto sestesso. Non c’è cosa più bella in questo mondo che cercare Dio, diventarefamiliari a lui, e perché avvenga questo, è necessario cercarlo con tutto ilcuore. Vuol dire portare il nostro cuore a Lui, passare attraverso la croce diCristo, spogliarci di tutto ciò che abbiamo per riaverlo potenziato nella suavera realtà, come suo dono d’amore. Allora niente più ci separa da Dio e noivediamo la nostra bellezza, la nostra grandezza; la nostra libertà non diventamettersi contro Dio, ma si riveste e si anima del suo Amore e dal suo Spirito.Miei amati figli, nella prossima primavera avremo la gioia di poter condivi-dere un po’ di tempo insieme, sarò in ogni parrocchia per una settimana, perla visita pastorale. Il Vescovo viene a prendere contatto per incontrare, ascol-tare e dialogare con voi, per stimolare il vostro amore verso Dio, per stimo-lare il desiderio più grande, per riaccendere nella nostra vita la cosa più belladi tutte, la ricerca di Dio. Noi poniamo nella preghiera e nella testimonianzadi San Giuseppe questo nostro lavoro, vogliamo “ricollegare” questa città,tutti voi che vi sentite uniti nella figura di questo Santo, non soltanto attra-verso un sentimento superficiale, ma attraverso una conversione del cuore.Vogliamo fare affidamento alla sua preghiera, a lui che ha avuto sempre

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un’alta considerazione del suo paese, che l’ha portato nel cuore, e aveva ildesiderio di tornarci, e ha accettato la volontà di Dio di morire lontano daCopertino, ma il suo cuore è stato sempre qui, sempre con voi. E a questocuore vogliamo chiedere qual è il segreto della nostra vita di cristiani. Fraqualche giorno inizia la vita di una nuova parrocchia, verso la Grottella: que-sto è un atto delicato, perché quest’inizio è come una nascita, è pieno di spe-ranza, e lo vogliamo affidare alla preghiera di San Giuseppe, vogliamo chequesta comunità nascente riscopra l’entusiasmo delle comunità dei primi cri-stiani, un gruppo di persone che incomincia a costruire una comunione, unatestimonianza di carità, per cui si lascia animare dalla gratuità e dalla gene-rosità. E l’unica regola è il Vangelo, affinché il Signore dia al suo parroco,don Adriano, e a tutti i membri, il fervore e l’entusiasmo di costruire una co-munità che sia trasparenza del Vangelo, spazio in cui si possa fare l’espe-rienza di Dio. Ce lo conceda la preghiera di San Giuseppe e doni a ciascunodi voi la gioia, in questo giorno Santo, della comunione con il Signore.

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25 Settembre 2007

Funerali del Rev. Sac. Mons. Nicola Tramacere

Parrocchia S. Nicola Vescovo – Aradeo

Tutti quelli che possiedono lo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio; equesto Spirito nel nostro cuore ha un richiamo costante, come di un desideriovivo, la tensione verso il Padre. E quel grido, quella preghiera nella boccadi ogni figlio esprime la grandezza, la dignità e la bellezza della nostra vo-cazione, quella di essere figli, eredi di Dio e coeredi di Cristo. Per questomotivo ho voluto scegliere una pagina così bella del Vangelo, che ci porta alcuore della nostra esperienza di fede. Qui c’è il motivo che ci spinge e ci fadiventare servi delle persone che ci vengono incontro; qui c’è quello Spiritoche abbiamo ricevuto e ha costruito dentro di noi una relazione nuova. Gesùproclamò: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Poi stendendo la

mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli;

perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me

fratello, sorella e madre». (Mt 12,48-50). Il Signore è capace di creare nelcuore degli uomini una cosa stupenda: lì fa diventare responsabili gli unidegli altri, non fa sì che costruiscano la propria sicurezza e un proprio poterema, li rende fratelli. Questa dimensione, questa gratuità è dono dello SpiritoSanto e riempie il nostro cuore e i nostri occhi di gioia. San Paolo nella sualettera Romani dice: “Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e

soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”. (Rm 8,22). Ma noi sappiamo che

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la gioia nella vita esiste, dobbiamo solo cercarla; la troviamo nella vita dichi ha dato tutto se stesso per il Signore; il suo modo di vivere la vita è de-licato, gentile, non è opprimente o violento, ma dolce e tenero. In occasionedella mia visita pastorale parlando con don Roberto, dicevamo che i sacerdotidevono sempre lasciar spazio, sentire di non essere mai arrivati, di esseredei servi in movimento, e tutto questo deriva dall’essere generati dallo Spi-rito Santo. La potenza della Risurrezione di Gesù cambia la storia del mondo,contagia i cuori e riveste noi consacrati di una grande responsabilità. La cittàdi Tuglie è stata sempre presente nel cuore di don Nicola, in ogni nostro in-contro mi raccontava dell’amore verso il suo popolo, la sua dedizione e lasua gioia nel servire tutta questa gente: quest’uomo, questo servo, ha riunitotutti nel dono immenso della misericordia di Dio. Bisogna essere fieri di ciò.Ci sono persone nelle quali ci sentiamo rappresentati: i suoi passi, il suo ser-vizio, la sua vita, la sua giovinezza, la sua maturità e la sua vecchiaia sonostate esempio di quel lievito che agisce nel mondo all’interno della storia ela trasforma tutta per portarla all’incontro con Dio. “O Dio, tu sei il mio Dio,

all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia”. (Sal 63,2). Don Nicola avevasete di Dio, ed era proprio quella sete che gli consentiva di servirlo. Ed è unqualcosa di cui andare fieri. Quando sono andato a trovarlo in ospedale miè rimasta impressa una sua richiesta: mi ha chiesto di pregare per lui il Si-gnore affinché gli fosse concessa una Santa morte, gli fosse concesso di po-terlo finalmente incontrare e vedere con i suoi occhi. “Ha sete di te, Signore,

l’anima mia”: è il modo in cui una persona muore che dà il senso alla suavita. Don Nicola è andato con gioia verso l’incontro con il Signore, conquella gioia che è un suo dono e ci indica la via per poterlo incontrare. Questasera noi vogliamo dire al Signore grazie di questo immenso dono, che di-venta per tutti noi un segno e un esempio di dedizione gratuita e amorevole,perché veramente siamo parte di questa famiglia che non è nata dalla carne,ma è nata dalla fede, dalla Parola di Dio. In questo giorno ho voluto ricor-darlo nella sua maniera, con le parole della lettera che mi ha scritto per i suoisessant’anni di sacerdozio: “Se rinascessi, ridiventerei prete, ringrazio ogni

giorno il Signore per il mio essere prete”. È una cosa molto bella, il vivererealmente in quel dono che il Signore ci ha fatto. Questa pagina del Vangeloha ricordato quell’altro passo in cui Gesù dice: “Beati quei servi che il pa-

drone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si cingerà le

sue vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giun-

gendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!”.(Lc 12,37-38). È il modo in cui raffiguro don Nicola, la sua operosità buona,

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quel suo darsi da fare, la sua disponibilità constante, senza riserve. Servobuono e fedele che il Signore ha posto a capo della sua Chiesa, perché siprenda cura di tutti gli altri servi e che ha saputo stare al suo posto per far sìche non manchi il pane a ogni fratello. E don Nicola l’ha fatto, ha dispensatol’Eucaristia, la Parola di Dio e il perdono dei peccati, ha donato la sua vitae se stesso, nel suo servizio d’amore. Questa è la gioia dei consacrati: nonabbiamo eredità da donare ai parenti, i preti che fanno questo valgono zero,abbiamo soltanto un servizio d’amore da rendere con piena gratuità, peramore del Signore. La nostra eredità è il Signore, che è sopra tutte le cosee i pensieri di questo mondo. Le persone che hanno incontrato don Nicolaportano nel loro cuore il ricordo di un prete Santo, un prete buono, che nonha mai tradito la fiducia che è stata posta in lui. Quando era rettore in semi-nario, ha incontrato tanti futuri sacerdoti e con il suo stile di vita li ha guidativerso Gesù, e per questo vogliamo rendere grazie al Signore. Ci sono duemodi per vivere i funerali di un prete: o sono fonte di grande tristezza o di-ventano una grande festa; sono certo che oggi noi tutti stiamo celebrandouna festa, l’incontro del suo cuore e dei suoi occhi con Gesù. Chiediamo aquest’uomo Santo di continuare a pregare per le città di Tuglie e di Aradeo,per tutta la nostra Chiesa e per tutto il mondo, perché quella potenza dellaRisurrezione di Gesù che trasforma i cuori, possa continuare a vivere neicuori che sono pronti ad ascoltarla e ad accoglierla, e diventare, come lui èstato, lievito e presenza viva della potenza dell’amore di Dio.

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3 Dicembre 2007 – Funerali del Rev. Sac. Don Angelo Pino

Parrocchia S. Domenico – Casarano

Miei carissimi fratelli e sorelle quando ho ricevuto la notizia della mortedi padre Angelo ho pensato subito a questo brano del Vangelo (Mt 11,25-27): non si può applicare a lui una pagina del Vangelo più trasparente dellasua vita di questa, che leggiamo anche nella festa di San Francesco d’Assisi.La piccolezza è un sussulto nel cuore di Gesù che benedice il Padre, perchéla Rivelazione del suo mistero d’amore non l’ha posta in mano ai superbi eai sapienti di questo mondo, ma l’ha donata nelle mani dei piccoli.“Ti bene-

dico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste

queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o

Padre, perché così è piaciuto a te”. (Mt 11,25-26). La piccolezza è amatadal Signore. Essa conserva nell’esistenza dell’uomo la pienezza della crea-zione che è uscita dalle mani di Dio, e non è stata toccata dalla cattiveria,dal peccato, dall’egoismo, dall’arroganza e dal dominio. Nello stesso tempo,però, è lo specchio di Dio, perché dinanzi a Dio si diventa semplici, e il Si-gnore ama specchiarsi nel cuore di queste persone. Conservare questa pic-colezza vuol dire portare l’immagine viva di Dio nella nostra vita. Fratellimiei, l’ultimo pensiero che voglio condividere con voi sulla piccolezza èquello spazio, in questo mondo, in cui si percepisce il respiro di Dio. Propriocosì, il mistero di Dio, che è amore, che lega il Padre al Figlio nell’amoredello Spirito: tutto questo nel piccolo è presente, vive, in questo mistero

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d’amore, si respira davvero la presenza di Dio. Gesù dice: “Tutto mi è stato

dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno

conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.”(Mt 11,27). E Dio Padre insegna agli uomini ad amare il Figlio, a seguirlo ea sacrificare la vita per Lui. Il cuore del piccolo è il crocevia dell’amore, deldialogo trinitario, del mistero di Dio: chi mette nel cuore dei ragazzi e deigiovani il desiderio di seguire Gesù, di innamorarsi veramente di Cristo, senon il Padre che attira la nostra vita verso il Figlio? E i piccoli si fanno edu-care dal Padre e più conoscono Gesù, più conoscono il volto del Padre e piùsi fidano di Lui. Questo è il mistero della vita. Nell’altro brano abbiamoletto: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di

Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è

perché non ha conosciuto lui”. (1 Gv 3,1). Ma noi non conosciamo ancoraperfettamente la bellezza di questa natura; infatti, la figliolanza di Dio è undono. Mi viene in mente quel passo di Paolo che dice: “Tutti quelli infatti

che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non

avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ri-

cevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà,

Padre!». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E

se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se vera-

mente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua glo-

ria.” (Rm 8,14-17). Il dono dell’essere figli, che il Padre ci comunica,consiste nel farci conoscere Gesù e nell’assimilare la nostra vita a Lui. Eccofratelli cari, unire insieme la dignità immensa di essere figli di Dio e l’umiltàassoluta e incondizionata della nostra piccolezza, in questo consiste il misterodella vita dei cristiani, e in particolar modo, il mistero della vita dei sacerdoti.Abbiamo in noi questa dignità infinita che il Padre ci ha donato, perché noici siamo fidati di Lui e abbiamo dato la vita per Cristo, lo abbiamo seguito,e Gesù è diventato il nostro infinito tesoro. Se dovessi riassumere in pochis-sime parole le varie volte che sono andato a trovare padre Angelo, almenodue volte all’anno, talvolta di più, nel suo parlare, nel suo presentarsi si tro-vavano tutte queste cose. La sua piccolezza, la sua gioia nel poter incontrareil Vescovo. Io gli dicevo che il Vescovo è il servo di tutti, ma lui lo vedevasempre come un dono di grazia, non lo ha mai preteso, non si è mai lamen-tato. Una volta, durante un suo ricovero in ospedale, sono andato a fargli vi-sita e lui sorrideva nonostante la sua malattia, apprezzava anche i gesti piùsemplici, per lui erano doni che non pretendeva mai. Che bella figura di prete!Quanti sacerdoti “piagnucolano” e desiderano essere apprezzati per il loro

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servizio; svolgono un servizio che non è del tutto secondo la volontà di Dio.“Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile

di cuore e troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11,29). I veri preti sonocosì, sono le persone che servono, amano, ascoltano, quasi l’intero paese èandato a confessarsi da don Angelo, ma lui era un piccolo e semplice servodi Dio. Non ha mai preteso onori, né gratitudine da nessuno perché lo facevasoltanto per amore di Dio. Nel mio cuore quest’anno ci sono tante figure disacerdoti Santi, don Pompeo, don Alfredo Spinelli, don Nicola Tramacere eora padre Angelo. Sono figure nelle quali possiamo toccare con mano uncuore plasmato dall’amore di Dio, in cui troviamo la piccolezza umana el’infinita dignità dell’essergli figli. Il Signore ci ha posto nelle mani il suoSpirito, la sua tenerezza e il suo amore. Noi non siamo padroni di questi doni,siamo solo servi. Non abbiamo che da stimare e apprezzare l’umiltà di questopiccolo servo. Miei carissimi fratelli, mi rivolgo soprattutto ai giovani chemi ascoltano, riflettete su questa figura di sacerdote. Davvero ci può indicareun cammino di vita esaltante e stupenda fino all’ultimo respiro, perché anchequando era malato e impossibilitato a fare qualunque cosa, rideva perché lasua testa non lo accompagnava più, rideva di se stesso, non si arrabbiava,non pretendeva da Dio un trattamento speciale, ma si è incamminato ed èmorto come muoiono i semplici. Ha rappresentato la semplicità del silenzioe dell’abbandono. Chiediamo allora a questa persona delicatissima, a questopoeta, a questo pittore dal cuore sensibile, a un vero innamorato di Cristo esuo apostolo (che nel suo parlare faceva sempre riferimento all’amore delSignore), che la nostra vita diventi sapienza, diventi parola, vera trasparenza,dono e gioia nel poterlo incontrare. Innamorato di Gesù si è fatto carico ditante situazioni, non soltanto ha servito per quindici anni il Signore nelle mis-sioni, in India, ma in diocesi ha eseguito vari compiti; infine nella Chiesadell’Immacolata, nella Chiesa “più umile” della città che con la sua presenzae col suo lavoro ha reso un cuore pulsante in onore della Madonna. Fratellimiei è davvero un onore per noi essergli intorno e portare la sua vita, la suastoria, le sue sofferenze nelle mani di Dio attraverso Gesù, che è la scala cheunisce la terra al cielo, la nostra povertà all’infinità di Dio, che ci prende permano per portarci nella sua gloria. Questo grande onore oggi c’è dato, par-tecipare alla sua festa e alla sua gioia. Vogliamo chiedere a padre Angelo dipregare per questa Chiesa, per questa città, per l’educazione, perché il Si-gnore non si dimentichi di noi e ci doni sacerdoti che siano piccoli nella loroumanità e semplicità e grandi nell’apprezzare il dono infinito di Dio che siaffida alle nostre mani. Lo conceda l’amore di Dio e la preghiera dei Santi.

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24 Dicembre 2007 – Santa Messa della Notte di Natale

Basilica Cattedrale – Nardò

Amatissimi figli, lasciamoci inondare anche noi da questa luce e da questagloria che abbiamo ricevuto dalle parole con cui l’evangelista ci annunziala nascita di Gesù (Lc 2,1-14). Abbiamo bisogno, come diceva il Papa qual-che giorno fa, di riscoprire il senso del Natale. Per noi cristiani la nostra fedenon è una filosofia, un pensiero e una favola; la nostra fede è una persona:Gesù Cristo. Quest’anno vorrei soffermarmi per cercare di capire il misterodel Natale che celebriamo, questa realtà che ci sfugge di mano. Il Natale siè trasformato, tanta gente non sa neppure dire cos’è, e perché fa festa. Ungiornalista della televisione inglese chiedeva ai suoi connazionali, dove eranato Gesù e parecchi di loro non sapevano rispondere. Eppure si dicono cri-stiani. Che cosa ha reso così difficile da comprendere, il mistero che noi ce-lebriamo oggi? Abbiamo bisogno di capire, di essere illuminati, di riceverequesta gloria che l’angelo ha annunciato ai pastori. “Il popolo che cammi-

nava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra

tenebrosa una luce rifulse ” (Is 9,1). Che cos’è questa luce? È la gloria diDio che è apparsa. In ebraico il termine gloria ha un significato particolare,significa peso; il peso di Dio, la sua Onnipotenza che scende nella nostravita. Questo peso che è schiacciante, grande, inaudito e non si può misurare.Così è il mistero che noi celebriamo: Dio ha tanto amato il mondo, da man-dare suo Figlio. È un dono infinito e incomprensibile. Accogliere nelle nostre

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mani questo dono dà alla nostra vita una densità e una grandezza che la de-finisce. È lo sguardo di Dio, attraverso questo dono, che ci rende suoi figli.La sua gloria aumenta e definisce la nostra persona, porta nella nostra esi-stenza la grandezza, il mistero e la bellezza di Dio stesso. Che cosa ci impe-disce di apprezzare questo dono tanto da renderlo banale e scontato? Il Nataleè diventato importante per i regali, per gli abiti nuovi e le apparenze. Il nostrocuore è cambiato, la superbia e l’arroganza ci impediscono di capire la gran-dezza del dono di Dio; ci impediscono di ricevere questo peso d’amore, diessere riempiti da questa luce e questa gloria. In nome di questa superbia,rischiamo di banalizzare le cose più grandi e belle, svuotiamo l’umanità delsuo vero peso, della sua dignità e grandezza e la riduciamo a un essere qual-siasi. La nascita di un individuo non ha più importanza, non ha importanzail modo in cui muore, diventa importante, invece, l’effimero, una vita che siconsuma superficialmente. L’uomo ha voluto creare da se la gloria, ha rifiu-tato la gloria di Dio che fa di lui un essere grande e infinito. Gesù ammoniscechi trae gloria gli uni dagli altri e non riconosce la gloria del Signore, guai avoi dice, che non accogliete la sua luce e la sua verità. Nel momento in cuiabbiamo dimenticato le nostre radici cristiane, ci siamo dimenticati di chisiamo veramente, abbiamo smarrito il senso della nostra identità. La nostraidentità è il Cristo. Dio Padre l’ha donato perché resti con noi per sempre edefinisca chi siamo. Cristo rende la nostra vita immensa e infinita, rifiutarlosignifica diventare come la paglia che il vento sposta “di qua e di là”, con lapresunzione di essere onnipotenti, di poter gestire la nostra vita. Sostituen-doci a Dio siamo diventati veramente pagani. Allo Spirito Santo questa nottevogliamo chiedere di donarci quella luce che ci permette di scoprire la gran-dezza che è stata posta nelle nostre mani, e dinanzi a Gesù Bambino, ritro-vare l’armonia degli occhi e del cuore. Chiediamo di riportare questo nostrocuore dinanzi a Dio, accettare la sua luce e la sua gloria, ritrovare la nostrapiccolezza, dare importanza al Signore, riconoscere le nostre miserie e i no-stri peccati per far sì, che il peso del suo amore ci renda veramente suoi figli.Ecco il Natale che auguro a ciascuno di noi, a tutti i cristiani di questa SantaChiesa di Nardò-Gallipoli. Vorrei che le parole che abbiamo ascoltato dalLibro Sacro, che contiene dentro di se la potenza di questa gloria, possanoschiudere e illuminare i nostri cuori. Riconosceremo così i nostri peccati, lasuperbia che ci ha portato a pensare di poter fare a meno di Dio, credendodi essere migliori, ma che ci ha resi meno di niente. Ti prego di donarci, Si-gnore, questa benedizione, il virgulto Santo che ha portato nel mondo l’eter-nità del tuo amore e l’ha reso nostro. Rendi, o Signore, il nostro braccio teso,

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affinché possiamo accogliere questo dono e non separarcene mai più. Attra-verso la contemplazione di Gesù Bambino fa che riusciamo a capire vera-mente l’amore di Dio Padre per noi.

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1 Gennaio 2008 – Ammissione agli Ordini Sacri di

Giuseppe Calò e conferimento del Ministero dell’Accolitato

al Seminarista Antonio Musca

Solennità di Maria SS. Madre di Dio

Basilica Concattedrale – Gallipoli

Carissimi, voglio salutare i tanti fratelli che sono venuti a partecipare que-sta Santa celebrazione: in modo particolare i parroci don Giorgio e don An-tonio; un saluto particolare a don Tommaso che ha seguito Antonio Musca.Ancora saluto gli educatori di Molfetta, dei quali due appartenenti alla nostradiocesi, l’educatore che ho accanto della diocesi di Taranto e tutti gli amiciche sono venuti anche da altre diocesi. In questo bel momento vorrei dare,attraverso la mia omelia, delle esortazioni: è un giorno Santo, l’inizio del-l’anno, in cui la Chiesa ci pone dinanzi il titolo più bello della Madonna:“Madre di Dio”. Il primo pensiero va al tempo che passa. Il 2007 è già pas-sato e abbiamo visto l’alba del 2008, vorrei che tutti riflettessero sul sensoe sul passare del tempo. Potremmo dire che il tempo nasce per morire, manoi non ci rendiamo conto, anche se siamo chiamati a farlo. Più che all’eu-foria dei fuochi d’artificio, delle città illuminate dalle mille luci, in questoperiodo dovremmo capire che la nostra vita è fatta di caducità e di transito-rietà. Il cadenzato scorrere del tempo, attimo per attimo, ci mette in contattocon l’eternità. “Io sono” dice il Signore. Ho davanti a me l’immagine di unquadro ricevuto da un carissimo amico pittore, il soggetto è Giovanni Paolo

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II: tutti abbiamo davanti a noi l’immagine di questo Papa sofferente eppurelui lo immagina in paradiso giovane e bello, non più schiavo del dolore edella sofferenza. Questo si percepisce scavando a fondo nella nostra vita,ogni attimo vissuto deve essere accolto come dono di Dio, accolto con gra-titudine. L’inizio dell’anno, fratelli miei, ci dà l’opportunità di ringraziare ilSignore per la vita che ci ha donato. Dobbiamo ricordare che la sua miseri-cordia, la sua eternità, la sua onnipotenza si fa piccola per entrare dentro dinoi. Il tempo è l’Eterno. In questo giorno Santo il titolo attribuito a Maria èdi Madre di Dio. Penso ai regali ricevuti in questi giorni, confezionati concura, con la carta e il fiocco; per quanto, però, la carta sia bella finisce ine-vitabilmente nella spazzatura. Dio fa di noi un regalo, anzi, in un certo senso,noi siamo la carta in cui Lui pone il suo regalo. Il regalo di Dio per l’umanitàè suo Figlio, che un regalo immenso. Però questa volta la carta non la sibutta, perché, proprio in virtù di quel regalo che Lei avvolge, è trasfigurata.La Madonna è piccola ed è Madre di Dio. Maria dice: “Eccomi sono la serva

del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. (Lc 1, 38); “Perché ha

guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chia-

meranno beata”. (Lc 1,48): la Madonna è come se affermasse che il donoche ha ricevuto, ha trasfigurato la sua vita. Qui c’è tutta la bellezza di questacelebrazione, il dono di Dio che si pone nella realtà della natura umana, chepur nella sua miseria e nel suo peccato, è chiamata a diventare Tempio Santodel Signore. Non siamo solo recipienti, il dono è così grande che la nostranatura stessa è trasfigurata; per la grazia che scaturisce da questo dono anchenoi, diventiamo eterni. “Tutte le generazioni mi chiameranno beata”, diceMaria. L’infinito di Dio entra nella piccolezza dell’uomo, questo dono im-menso del Padre, suo Figlio. Gesù, incarnazione del Verbo di Dio, è il nostrotesoro e la nostra speranza, colui che dà senso alla nostra storia; ricordiamosempre che la grandezza di Dio in noi è legata alla nostra piccolezza. Dob-biamo benedire il Signore per la grazia che troviamo nei suoi doni. L’uomo,con il suo peccato e il suo egoismo, può rovinarli; per conservarli integridobbiamo custodire la gioia, la meraviglia e la gratitudine. Le parole di Pa-scal ci aiutano a capire il mistero che è presente in ciascuno di noi: “Oggi lapiccola serva di Dio, è la Madre di Dio, la Vergine Maria è diventata Madredel suo Creatore”. Sembra un’incongruenza, ma in questa coniugazione dipiccolezza e d’infinità, di miseria e di onnipotenza c’è tutto il mistero di Dio.Mistero che passa attraverso il “Sì” di questa giovane donna, attraversol’adesione del suo cuore al disegno di Dio. “Eccomi, sono la serva del Si-

gnore, avvenga di me quello che hai detto”. Il Papa nel suo messaggio per

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la Giornata Mondiale per la pace afferma che l’uomo non è fatto per esseresolo, per dominare gli altri, ma è chiamato a una scelta. La scelta da lui pro-posta è la famiglia: un uomo e una donna mettono in comune la loro vita ecostruiscono un’alleanza; quel “si” fruttifica e si radica nella generazionedei figli, nell’educazione, in una vita intessuta di solidarietà, di stima reci-proca, di collaborazione e di fiducia. Maria realizza quest’alleanza con il Si-gnore, e proprio in forza di quest’alleanza la sua piccolezza diventaimmensità, lei giovane donna diventa la Madre di tutte le creature rinnovatedalla grazia del suo Figlio. Quanto è grande il mistero della vita di ciascunodi noi. Nel Battesimo, Gesù ci ha legati a se, ci ha coinvolti nel suo misterod’amore, ed è qui che nasce la nostra dignità e la nostra grandezza. Da quel“si” la vocazione di ciascuno di noi prende forma, diventa reale, una storiaconcreta. Tutto diventa vano, quello che nella nostra vita resta legato al pec-cato, al nostro egoismo è cancellato, attraverso il nostro “si” diventa realiz-zazione di quel “si” eterno, concretizzazione del disegno d’amore di Dio inciascuno di noi. Il Signore ci ha chiamato a essere tempio della sua presenzagli uni per gli altri, in modo particolare, oggi, i due “si” che Giuseppe e An-tonio pronunceranno. Quel “si” alla volontà di Dio fa che la nostra piccolezzasi rivesta di grazia, grandezza e onnipotenza; a noi non resta che la meravi-glia e lo stupore per tutto ciò. Sosteniamo con la preghiera l’inizio della vitadi questi fratelli: poniamoli vicino alla Madonna, nelle sue mani. La Chiesaha festeggiato il Natale, poi la Santa Famiglia e oggi Maria, Madre di Dio.Che grande mistero! “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose medi-

tandole nel suo cuore”. (Lc 2,19). Essa è diventata l’arca della salvezza, ladimora della presenza di Dio. Seguiamo l’esempio di Maria, il nostro “si”alla volontà del Padre ci renda costruttori della nuova famiglia che Gesù havoluto creare in questo mondo. “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?.

Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed

ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei

cieli, questi è per me fratello, sorella e madre»”. (Mt 12,48-50). È questoche voglio ricordare a voi in questo giorno così importante: diventare fratelli,sorelle e madri di Cristo significa far nascere dentro di noi una comunionedi carità e di amore. I doni di Dio servono ad aiutare gli altri; se noi guar-diamo gli altri con gelosia e invidia trascuriamo i doni che il Signore hamesso nel nostro cuore e nelle nostre mani. Quando diventiamo piagnucolosiperché siamo insoddisfatti, vuol dire che non siamo più sintonizzati sullavolontà di Dio, non agiamo più per gratuità. Affidare, quindi, alla Madonnala vostra vita, miei cari figli, significa diventare uomini che “sono lavorati”

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dall’amore stesso di Dio, che si spendono con gratuità, che gioiscono guar-dando il bene in tutte le cose. Auguro a tutti voi, miei cari fratelli, all’iniziodi questo nuovo anno, di fare veramente l’esperienza di quest’amore di Dio,che fa di ciascuno di noi qualcosa di unico; e se noi pensiamo a questo donoche il Signore fa ad ognuno, non solo non invidiamo nessuno, ma rendiamola Chiesa più bella, rendiamo la convivenza dei fratelli più gioiosa, e testi-moniamo al mondo che veramente siamo portatori della salvezza, della gra-zia e della pace di Cristo.

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2 Febbraio 2008 – Giornata per la Vita Consacrata

Consacrazione nell’Ordo Virginum di Mimina Alfarano

Basilica Cattedrale – Nardò

Amatissimi figli, celebriamo, questa sera il nostro atto di lode e di bene-dizione al Signore, perché susciti continuamente nella sua Chiesa, il misterodi amore della vita consacrata. E la Chiesa ha voluto mettere nella celebra-zione di questo giorno Santo, le motivazioni fondamentali che ci aiutano acapire il mistero che avviene nel cuore di chi cerca il Signore e di chi donatutto se stesso, perché possa diventare sua stabile dimora. In questa Santacelebrazione vogliamo consacrare al Signore Mimina. Lei è già consacrataattraverso il Battesimo, ma nella sua vita ha scoperto che questo legame conil Signore ha assorbito tutto il suo cuore e oggi la Chiesa accoglie questosuo cammino e lo presenta nel mistero dell’Eucaristia al Padre. Approfittoper ringraziare i sacerdoti che hanno seguito il cammino di Mimina, don Ca-millo, don Vincenzo e il vicario della vita consacrata, padre Massimiliano.Dopo quaranta giorni Giuseppe e Maria portano al tempio Gesù per adem-piere la Legge che prescriveva di consacrare ogni primogenito al Signore.Questo è l’eterno ricordo di ciò che ha fatto il Signore per gli ebrei, quandoli ha liberati dalle mani del faraone e per farli partire ha fatto morire tutti iprimogeniti d’Egitto, dagli uomini agli animali. “Il Signore disse a Mosè:

«Consacrami ogni primogenito, il primo parto di ogni madre tra gli Israeliti

– di uomini o di animali -: esso appartiene a me»”. (Es 13,1 -2) Gesù compie

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questa Legge, Giuseppe e Maria lo portano al Tempio e lo offrono al Signore:in quest’adempimento della Legge Gesù compie il primo atto d’amore perl’umanità, nel Tempio di Gerusalemme offre se stesso al Padre. Prima diGesù nessuno poteva fare un’offerta così, perché tutti gli uomini erano pec-catori, erano accecati, legati a se stessi e non potevano offrire la loro vitaperché avevano paura della morte e per tali motivi, al loro posto, offrivanoun animale. Gesù offre se stesso. Ciò che celebriamo in questa giornata èl’inizio di quel dono totale di Cristo che continuerà ogni giorno nella suavita fino alla sua morte in croce. E, come abbiamo ascoltato, oggi è l’iniziodi questa prospettiva, di questa totalità che sarà consumata sulla croce il Ve-nerdì Santo. È una scelta totale che si compie ogni giorno. Il Tempio erettoda Salomone come incontro tra Dio e il suo popolo, con Gesù che vi entra,realizza ciò per cui è stato costruito. Gesù è il compimento del Tempio diGerusalemme. In esso Dio si unisce all’uomo e da allora non ci sarà più bi-sogno del Tempio: infatti, sarà distrutto e mai più ricostruito, perché da quelmomento in poi, particolarmente con la sua morte in croce, Gesù muore erisorge. Ed è per questo il Tempio di Dio. Ogni uomo per incontrare il Padredeve incontrare Gesù: l’umanità assunta nella sua divinità diventa veramenteil luogo dell’incontro con Dio: uomo e Dio diventano una cosa sola. Fratellimiei, il mistero della consacrazione è mistero del cuore, e il cuore dei con-sacrati è Tempio di Dio. Gesù bussa a questo Tempio e la persona che lo ac-coglie e lo fa entrare si trasforma, per assomigliare a Lui. Questo cuore delconsacrato che vive per il Signore, che accetta di donare tutto se stesso peramore di Cristo, diventa Tempio, diventa continuità di Cristo in questomondo. È paragonabile al mistero dell’Eucaristia: questo pane e questo vino,frutto della terra e del lavoro dell’uomo, offerti al Padre diventano, per Lui,trasformati dallo Spirito Santo, presenza reale di Cristo. Così i consacratisono veramente presenza di Dio e nella loro umiltà offrono al Signore la lorovita; quella vita che lo Spirito ha trasformato come segno della presenza diCristo risorto in mezzo ai fratelli. Nella celebrazione di oggi possiamo col-legare, ciò che avviene tra quello che abbiamo ascoltato nel Vangelo, e ciòche stiamo per fare; quello che è avvenuto nel giorno della consacrazione diciascuno di noi, fratelli, quando abbiamo dato al Signore tutto. Gesù è pre-sentato al Tempio, il vecchio Simeone dice: “Ora lascia, o Signore, che il

tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto

la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare

le genti e gloria del tuo popolo Israele”.(Lc 2,29 – 32). Con l’offerta di Gesùal Tempio il Padre dona la sua opera, compie la sua azione di salvezza per

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l’umanità ma, nello stesso tempo è lo Spirito Santo che lo rivela, che metteinsieme le mani del Padre con le mani di Simeone, di Maria e di Giuseppe.Il Padre dona suo Figlio prima nelle mani di Maria e di Giuseppe e, dopo, diSimeone e Anna: questo dono è opera dello Spirito Santo. Non solo Gesùstesso è presentato da Simeone come segno di contraddizione, perché la suapresenza svelerà i pensieri di molti cuori e ciò che Gesù porterà nella suavita, ciò che lui è veramente, senza più ipocrisie. Segno di contraddizione,per la risurrezione e la morte di molti. Fratelli miei, succede la stessa cosanella vita consacrata: è opera del Padre, è vita nello Spirito Santo, è grazia,è sequela di Gesù. Quando rifletto profondamente sul mistero della mia vita,sul mistero della chiamata per la quale sono stato designato a diventare primaSacerdote e poi Vescovo, vedo che tutto questo era già nel mio cuore, nelmio parlare con Lui, nel mio pormi dinanzi a Lui, ma soprattutto era nellamia vocazione battesimale. Nei doni che il Padre mi ha dato il giorno delBattesimo, c’era già tutto il mio ministero, il mio servizio e la mia vocazione.Questa sera consacriamo la vita di Mimina, il suo battesimo questa sera fio-risce, porta a compimento questo disegno d’amore del Padre. Vi sono tantevocazioni, ma ognuna è personale, è una parola irripetibile e in quella parolac’è tutto. Nel nome che Dio ci ha dato c’è il modo in cui dobbiamo rendergligloria e la maniera con la quale possiamo raggiungere la salvezza. Ma èanche vita nello Spirito: come lo Spirito Santo, ha fatto sì che il Padre, conle sue mani, donasse il suo Figlio nelle mani di Maria, di Giuseppe, di Si-meone e Anna, così muove nella nostra vita questa trasformazione, questomistero di grazia. È lo Spirito Santo che ci congiunge con il Padre, che cirende docili alla sua volontà, che ci chiede di vivere continuamente sulle sueali, sulla sua lunghezza d’onda per vivere la nostra consacrazione. Questasera viviamo questa azione d’amore dello Spirito. Ma la vita consacrata èanche segno di contraddizione, come lo è stata la vita stessa di Gesù: chisceglie di consacrare il suo cuore a Dio nella castità nella povertà, e nell’ob-bedienza sceglie una forma di vita che è quella di Gesù, quella di Maria edegli Apostoli. In contraddizione con lo spirito del mondo che vuole l’egoi-smo, il dominio, il potere sopra ogni cosa, chi accetta di essere veramentecome Gesù accoglie l’essere segno di contraddizione per il mondo. Ma oltrea questo è anche sapore di salvezza. Se guardiamo in profondità il misterodella vita consacrata, lo poniamo tra queste due parole: Parola ed Eucaristia.Non si può vivere veramente la vita consacrata senza immergersi ogni giornonella parola di Dio, senza ascoltare i suoi segreti, la sua bontà che ci com-muove, ci consola, ci conforta e ci sostiene. È impossibile consacrare una

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vita al Signore senza familiarità con la parola di Dio e senza Eucaristia. Enell’Eucaristia, contemplata, in cui ci immergiamo, in cui siamo coinvolticol mistero stesso di Gesù che trova veramente compimento la nostra esi-stenza. Trova il suo binario, la sua potenza di realizzazione. Ma c’è ancorauna cosa importante che voglio dire a Mimina e a tutti i consacrati che sonopresenti in questa Santa celebrazione: il mistero della vita consacrata, dicevoall’inizio, è mistero di cuore. C’è una certa connaturalità tra l’uomo e Dio,espressa da San Tommaso e da Origene con la parola “Capax Dei”, dove“l’uomo è capace di Dio, è una potenzialità, un donare al Signore un postodella natura umana” dice San Tommaso. Questa connaturalità, quest’esserecapace di Dio è proprio il cuore dell’uomo; ecco perché Gesù dice: “In verità

vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entre-

rete nel regno dei cieli”.(Mt 18,3). Che cos’hanno di particolare i bambini?.Hanno che il loro cuore non è sommerso dai ragionamenti falsi, dai com-promessi, da tutti quei calcoli umani che impediscono al cuore di vedere lecose come sono veramente. Allora se il cuore dell’uomo è connaturale conDio, nella vita consacrata questo cuore, deve avere il suo primato, un primatodi totalità, un non diventare schiavo di una lettura egoistica degli eventi,della storia e delle relazioni. Guardare con gli occhi di Dio, nelle intenzionie nelle opere; per cui veramente tutto ciò che noi siamo lo siamo per il Si-gnore. E allora il cuore libero, semplice, umile fa sì che veramente la vitaconsacrata possa continuare a fiorire in noi. È il cuore che diventa TempioSanto di Dio, è il cuore in cui il Signore riposa e lo rende luce per il mondo,per la Chiesa. I consacrati hanno fatto di Dio l’assoluto della loro vita e que-sto rende, nella Chiesa, la loro presenza rassicurante; diventa fiducia e spe-ranza. Miei cari fratelli, è questa la bellezza della vita consacrata, vita chediventa grazia: quando ci accostiamo a un consacrato dobbiamo percepireche quella vita è dono per i fratelli, per la Chiesa, per i poveri e per gli am-malati. È un dono d’amore del Padre, e questo dono d’amore lo sperimen-tiamo nella gratuità, nella semplicità, nel sentirci compresi, nel sentirciaccolti e nel sentirci speranza del mondo. La vita consacrata è l’eterna gio-vinezza della Chiesa; dove non ci sono più consacrati la Chiesa è morta;dove non ci sono più vocazioni, dove non ci sono più persone che sono ca-paci di dare al Signore tutto, è come se il Signore andasse via, lontano, la-sciasse il presepe e non facesse più fiorire la Chiesa. Dove ci sono iconsacrati, la Chiesa fiorisce. Il mondo ha bisogno dei consacrati, dellaChiesa, per sperare nell’opera d’amore di Dio che può riscattare anche ilpeccato più grande. Questa sera vogliamo ringraziare il Signore per la vita

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consacrata in questa nostra Chiesa di Nardò – Gallipoli, vogliamo chiedergliche moltiplichi le forme e le vocazioni alla vita consacrata. Vogliamo dirgligrazie e benedirlo in modo particolare per ciò che ha operato e sta operandonel cuore di Mimina.

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5 Febbraio 2008 – Solennità di Sant’Agata, Patrona della Diocesi

Basilica Concattedrale – Gallipoli

Miei amatissimi figli eccoci in questa ricorrenza della nostra patrona,Sant’Agata. L’anno scorso nella meditazione abbiamo cercato di rendere fa-miliare al nostro cuore che Gesù ci ha resi liberi dalla paura della morte. Ildemonio ci teneva schiavi, dice San Paolo, per timore della morte e il Si-gnore ha rotto questi vincoli e ci ha dato la libertà, perché solo lui potevadonare la vita e riprenderla perché era Dio. E nella sua comunione con noi,diventato nostro fratello, ci ha preso per mano per farci diventare liberi di-nanzi alla morte, a far si che la nostra vita potesse diventare dono anche nellamorte. E la morte non toglie la nostra libertà, la nostra capacità di amare e,nell’amore la supera, la vince la apre all’eternità. Ci siamo fermati in questaluce a guardare il martirio, e quest’anno vorrei tornare su questa parola: mar-tirio. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Veritatis Splendor, pone il martiriocome apice della vita cristiana: se guardiamo la vita cristiana e guardiamocosa significa vivere di Gesù, portare fino in fondo la nostra fede, siamochiamati a guardare a quest’appuntamento come l’apice, la perfezione, lasomma giustizia che si manifesta all’interno di questo atto in cui la storia el’eternità si uniscono insieme. Vorremmo trarre, da questa riflessione, qual-che spunto per stimolare la nostra fede, per capire il significato della parola“credenti”. Anticamente era forte il desiderio di prepararsi al martirio, vi eraun’esortazione, un’educazione al martirio. Che cosa vuol dire per noi oggi

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questa parola? Il martirio è la perfezione della vita cristiana, è la vera imita-zione di Gesù. Sant’Ignazio di Antiochia mentre va incontro al martirio, diceche quando le belve lo mangeranno e diventerà pasto nelle loro bocche, saràveramente discepolo di Cristo. Non sono le pene, dice Sant’Agostino, chefanno i martiri, ma le cause. Vorremmo fermarci un attimo su questa parolae da qui capirne il senso: non ogni uomo che è ucciso è martire, non sono lesole sofferenze che fanno il martire: il martire diventa tale per i motivi e leragioni che porta dentro, i segreti del suo cuore. Sono le cause, dice San-t’Agostino che fanno il martire. E per accostarci a questo guardiamo un at-timo ai montanisti, gli eretici dei primi secoli, i quali vedevano la Chiesa neiSanti, nei “perfetti” e gli altri non erano considerati cristiani. Pensavano chefosse per loro motivo di grande vanto affrontare il martirio, era una presun-zione e arrivavano quasi a sfidare il giudice romano, a essere arroganti neisuoi confronti, quasi per stimolare la loro condanna a morte. Non sono questii Santi, non sono questi i martiri. Il martire è un uomo che ama la vita e cheper quanto può cerca di sfuggire ai giudici, quando è ricercato si nascondeper evitare di essere preso. Quando, però, si trova davanti a loro, entra inquesta lotta e mostra chi è veramente. La tentazione, la sofferenza, la perse-cuzione e poi la morte lo rendono vittorioso. Qual è il motivo di questa vit-toria? Non è soltanto un motivo umano, non è un fatto di arroganza; ancheadesso ci sono delle persone che si uccidono causando la morte di tante altree sono definite martiri; essi non sono affatto martiri. I martiri sono quellepersone che amano la vita e che portano nel loro cuore un segreto: l’amoreimmenso per Gesù Cristo. E quest’amore di Gesù Cristo fa sì che loro vera-mente combattano per Lui, e questa lotta non è addebitata alle loro forze,ma è un dono di grazia, è il dono dello Spirito Santo. Il martirio è l’apicedella vita cristiana perché Gesù non può abbandonare i suoi campioni, magli è accanto. Ecco perché, nella storia dei martiri noi sentiamo che Gesù liconsola, Pietro va a consolare Sant’Agata e nella sofferenza della prigionele dice: “Coraggio ti è accanto, coraggio stai per ricevere la gloria della vitaeterna, la palma della vittoria”. Gesù non abbandona il martire e nell’apicedel martirio Lui e il martire sono una cosa sola. Che cos’è il martirio? Lamanifestazione della Risurrezione di Cristo in questo mondo. Ed è una cosaalla quale dovremo davvero puntare se la vita cristiana è una vita di dialogo,di amore e di collegamento a Gesù Cristo. E questo Cristo lo abbiamo sceltonel nostro battesimo ed è continuamente presente nella nostra vita. Il martirioè questo: l’attimo in cui l’unità di Cristo e il suo fedele, il suo campione, tra-spare. È Gesù che veramente vince nella vita, nella sofferenza e nella morte

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del martire. Giovanni Paolo II ci chiede: cos’è la giustizia? La suprema giu-stizia? È l’uomo che ha fatto pienamente la volontà di Dio, e nel fare la suavolontà, Egli diventa presente nella sua vita, questa vita raggiunge il mas-simo, ciò che l’uomo è chiamato ad essere. Ecco perché, veramente, il mar-tirio è una cosa preziosa. I martiri non solo non sono superbi, ma sonopiissimi, pregano e quando vanno incontro al martirio chiedono l’elemosinanella preghiera, perché la loro tentazione, la loro povertà non li renda timidi,non li renda pavidi, non li faccia tornare indietro. Chiedono ai fratelli la pre-ghiera perché possa sostenerli con il dono dello Spirito Santo. È questo, fra-telli miei, il modo con cui ci dovremmo trovare davanti al martirio. Questabellissima lettura estratta dal libro della Siracide ci dice preparati alla provaperò confida nel Signore, buttati nelle sue braccia non smettere di fidarti diLui, abbandonati veramente nelle sue mani, perché chi si fida del Signore,non sarà mai confuso. (Sir 2,1-18). Questo rende grande la vita del martire,il martirio è una grande grazia, non è onore egoistico di nessuno, è misterod’amore, l’amore del martire che si dedica a Gesù e chiede a Lui l’aiuto e lagrazia di potergli rendere testimonianza nello Spirito che lo avvolge, lo rendeprofumato. Le cronache affermano che quando stava bruciando San Poli-carpo, si sentiva un profumo di pane cotto nel forno. Ecco, l’Eucaristia è lospecchio del martirio: è Gesù che nell’Eucaristia si fa presente perché possadiventare nostro e accompagnare la nostra vita nelle continue lotte che l’es-sere fedele al Signore richiede. Intorno ai martiri è sorta tanta devozione,molte persone presenti al martirio portavano con sé un ricordo, un pezzettinodi stoffa imbevuta del sangue e lo conservava gelosamente. Le reliquie deimartiri, le loro memorie erano causa di grande meditazione, di grande inti-mità nella vita della Chiesa primitiva. Chi sceglie Cristo non può separarsida questa lettura della propria esistenza. Mi fa molto riflettere il perché Ori-gene dedica tanto spazio all’esortazione al martirio, alla sua educazione. Per-ché la Chiesa dei primi secoli sentiva di dover preparare i suoi “campioni”a non arretrare, a essere forti perché, da un momento all’altro, poteva arrivarequesta suprema testimonianza di amore a Cristo. Prepararsi al martirio cosapuò significare per noi oggi? Può significare tantissimo, fratelli miei. Oggichi vuol essere veramente cristiano deve superare quello che il mondo portacontinuamente nella nostra mente e nel nostro cuore, l’individualismo, il ba-stare a noi stessi, la rivalità, le divisioni, il pensare di essere più potenti l’unodell’altro. Tutte queste cose sono lo spirito del mondo che uccide la presenzadi Cristo dentro di noi. Quando questo spirito la spinge, la butta via, la rela-tivizza, allora noi potremmo anche dirci cristiani, ma non lo siamo vera-

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mente. La fede invece riporta la presenza di Dio dentro il nostro cuore: sa-remo veramente cristiani quando saremo messi alla prova. Se vuoi servire ilSignore preparati alla prova. E quando andiamo incontro alla nostra prova?Quando nelle nostre scelte ci comportiamo come dice Cristo, come dice ilVangelo, come vuole il Padre, o come vuole il mondo? Quanto è facile an-dare per le vie di questo mondo, e quanto è difficile conservarci nella viache il Vangelo e la Parola di Dio ci pone dinanzi nella nostra professione,nella nostra vita affettiva, nei rapporti con gli altri, con l’educazione che ab-biamo verso di loro, le responsabilità; com’è difficile vivere la Parola di Cri-sto. Quando il mondo cerca di strappare dal nostro cuore Gesù Cristo noi,diventiamo niente, diventiamo miseria, pensiamo di essere onnipotenti peròtemiamo la morte, perché vogliamo contare solamente su noi stessi, abbiamoperso la fiducia in Cristo. Bisogna coinvolgere Gesù nella nostra esistenza.È questo, fratelli miei, che i martiri continuamente ci presentano, è questoche fa Sant’Agata. Ci sono delle brevissime note sul suo martirio. Le sueparole davanti al giudice, la trasparenza, la limpidità di questo cuore checonta veramente sul Signore, sul suo Sposo. E per Lui dà tutto. Cosa po-trebbe essere oggi questa preparazione al martirio? La fedeltà a quella sceltache la vocazione di ciascuno di noi, nella quale abbiamo intravisto la volontàdi Dio per noi. Penso, però anche a un’altra cosa. Lo Spirito non diminuiscela sua potenza, è onnipotente, non sono oggi meno di ieri le persone capacidi rendere testimonianza in questo modo a Dio e a Gesù. Fratelli miei, micommuovo sempre quando vedo giovani maturi, persone laureate che ven-gono a mettere la loro vita nelle mani del vescovo, perché il Signore ha chie-sto loro di donare tutto per seguire il suo Vangelo, per seguire Gesù Cristo.Ecco i martiri, i testimoni di quest’amore di Dio che si rende presente inmezzo a noi. La nostra comunità è capace di generare queste persone? È ca-pace di cogliere che quella parola, prepararsi al martirio, vuol dire “pedago-gia della fede” che diventa vita e azione? Stiamo preparando coniugi cristianiche camminano in fedeltà nel loro impegno senza distrazioni o divagazioni?Che tipo di comunità cristiana siamo? Ecco l’esempio dei martiri. Il martirioè quel punto nell’esistenza di una persona in cui l’umanità e Cristo sono unacosa sola; teofania di Dio, trasparenza di Gesù, della sua potenza di amore,di morte e di Risurrezione. Questa è la vita dei cristiani oggi, ecco perchéGiovanni Paolo II quando parla della vita morale dei cristiani e del vero com-portamento cristiano, guarda al martirio. Il martirio è Gesù stesso. Dobbiamointerrogarci, siamo ancora capaci di essere un tabernacolo, un ostensorio diGesù Cristo lì dove noi viviamo, nella nostra esistenza? Ecco il perché ve-

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nerare Sant’Agata. Provo un affetto particolare per lei. Abbiamo qui con noii tre diaconi che sono stati ammessi al ministero, sono ad un passo dal sa-cerdozio, e tutti e tre che, oggi sono qui accanto alla Cattedra, sono chiamatia essere trasfigurazione, cioè presenza di Cristo in mezzo al loro popolo. Èin questa maniera che dobbiamo accettare i nostri preti, così dobbiamo guar-darli, questo dobbiamo esigere da loro. Che quella loro fede, quella loro de-dizione diventi trasparenza di Cristo. Quando celebrano la Messa, quandovivono, le loro difficoltà siano sempre trasparenza di Cristo. I martiri hannoperdonato i loro uccisori e spesso hanno pregato per loro il carnefice, il quale,non di rado, accettava di diventare cristiano e a sua volta moriva. Questa èla vera testimonianza d’amore, ed è in continuità con quella di Cristo. Allora,miei cari fratelli, ecco l’appuntamento che si rinnova con questa nostra pic-cola Santa. Piccola, ma grande. Chiediamole di aiutarci ad avere uno sguardosincero e limpido su che cos’è la fede. Beato colui che si fida del Signore enelle sue difficoltà, nelle sue sofferenze è sostenuto dalle quelle parole diCristo: “Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi

valete più di molti passeri” (Lc 12,7) E questa vicinanza, questa esperienzadi Gesù è la nostra fede viva, ce lo conceda la preghiera dei Santi in parti-colare della nostra amata Sant’Agata.

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9 Marzo 2008 – Funerali del Rev. Sac. Don Cosimo Carrozza

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei carissimi, saluto in modo particolare tutti i sacerdoti che sono con-venuti perché, ogni volta che muore un sacerdote, siamo coinvolti come fra-telli, siamo tutti solidali, perché formiamo un solo corpo. Tra quelli che nonsono potuti venire in modo particolare si rende presente in mezzo a noiMons. Filoni: “Apprendo con vivo dispiacere la pia morte di don Cosimo

Carrozza sacerdote ed educatore di numerose generazioni di seminaristi e

di giovani. Mi unisco a Vostra Eccellenza, al clero diocesano e a quanti

hanno avuto modo di apprezzarne le doti morali e intellettuali per doman-

dare a Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, il dono della pace della miseri-

cordia per il caro confratello. Partecipo il mio cordoglio anche ai familiari

di don Cosimino. Fernando Filoni, sostituto”. Tanti sacerdoti sono impe-gnati, per vari motivi, e si scusano perché per loro non è stato possibile esserepresenti qui oggi. Fratelli miei questa domenica, V domenica di Quaresima,e questa parola che noi abbiamo ascoltato, diventano qualcosa che porta talenostra riflessione all’essenziale, porta la nostra attenzione al nostro rapportocon Gesù. Abbiamo ascoltato queste bellissime letture che la Chiesa da sem-pre ha voluto porre in questo tempo di preparazione al Battesimo dei cate-cumeni, per avvicinare il cuore di queste persone a rispondere alla domandadi chi sia Cristo, chi sia Gesù per noi. La parola che emerge dalle letture èla “morte”: la “morte” è un nemico terribile dell’uomo, un nemico che

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l’uomo non può debellare da solo. Gli uomini dinanzi ad essa sono comeuna città senza mura che i nemici possono conquistare con facilità in qual-siasi momento. Epicuro afferma che la morte per l’uomo è il massimo spa-vento, perché egli non ha soluzioni dinanzi a questo problema. Oggi è ilpreludio di Pasqua, in cui noi canteremo che la morte e la vita si sono af-frontate in un prodigioso duello e il Signore della vita era morto e ora vivee trionfa. Nel miracolo di Lazzaro richiamato in vita da Gesù, vi è l’iniziodell’avvicinarsi alla lotta tra Cristo e la morte, che porta nell’uomo la vogliadi lasciarsi andare. Il popolo d’Israele dichiara di non avere nessuna spe-ranza, di essere stato abbandonato da tutti, anche da Dio, e non ha più nessunfuturo.(Ez 37,13). Il profeta Ezechiele viene incontro a questa disperazione,afferma che se le ossa aride rivivranno è perché il Signore porrà lo Spiritodentro di esse e li farà ritornare nella loro terra, gli ridonerà la vita. (Ez 37,5-7). Ciò che spaventa davanti alla morte è proprio la sua impotenza. Davantia questa paura, il popolo d’Israele, si chiude in se stesso e pensa di far frontealla morte pensandola lontana da lui, nascondendosi, pensando che possasuccedere agli altri ma non a lui. Allora si pone al centro, si aggrappa a sestesso e alla vita, ma la morte, inesorabilmente, gli dà scacco. Chi è che cilibererà da questa oppressione, da questa paura? Nel miracolo che abbiamoascoltato oggi, Gesù si presenta dinanzi a Marta che già da quattro giorni hasepolto suo fratello, e le dice: “Io sono la resurrezione e la vita” (Gv 11,25).Vorrei sottolineare due aspetti di questa pagina del Vangelo: Gesù che piangedinanzi al dolore di Marta e di Maria tanto che i giudei dicono: “Vedi come

lo amava!”. Ma alcuni di loro dissero: “Costui che ha aperto gli occhi al

cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?”. (Gv 11,35 -37). Gesùdinanzi alla nostra sofferenza non è un maestro facile; condivide la nostrasofferenza, la nostra paura della morte, il nostro sentirsi schiacciati da questapotenza, tuttavia chiede a Marta e Maria se loro credono che Lui sia la ri-surrezione e la vita. E Marta risponde: “Sì, o Signore, io credo che Tu sei il

Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”. (Gv 11,27). Gesù èl’unico che non ha paura della morte perché nelle sue mani c’è l’inizio e lafine, Egli può abbracciare la morte perché l’ha superata, perché Lui è Dio.E dinanzi a questo fatto non si perde d’animo, è l’uomo che aveva immagi-nato il disegno di Dio, che non ha rotto mai i rapporti d’amore col Padre, in-fatti afferma: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre

mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano

che tu mi hai mandato”. (Gv 11, 41 – 42). La morte in questo mondo non cisarebbe se tutti fossimo come Cristo, è lui che porta a noi uomini la possi-

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bilità di passare attraverso la morte senza disgregarci e disperarci. Ci tendela mano per camminare insieme con noi. Pensando ai miei ricordi d’infanziace n’è uno particolarmente caro: quando ero un bambino, spesso andavo aprendere l’avena per i cavalli in una stanza buia e avevo paura; per vincerequesta paura alzavo la voce e gridavo. È così anche per gli uomini, ma sehai accanto qualcuno, se hai una mano alla quale aggrapparti questa paurapassa. E Gesù è colui che ci dice: dammi la mano, credi in me, ti sono ac-canto, la morte non ti distruggerà. Credere in Cristo, fratelli miei, è credereche il nostro rapporto con Lui è iniziato con il Battesimo dove siamo statiuniti proprio alla sua morte per condividere la sua vittoria sulla morte. Gesùci prende per mano per aiutarci a passare attraverso questa stanza buia, at-traverso la morte. Non ci lascerà mai soli:“Nessuno ha un amore più grande

di questo: dare la vita per i propri amici”.(Gv 15,13). Ci dice che il passag-gio dalla morte alla vita deve essere il donare la vita, l’amare, il servire peramore. Coloro che hanno ascoltato Gesù e si sono lasciati coinvolgere dallasua parola, che hanno capito cosa significa donare la vita per amore, hannogià, in un certo senso, superato la morte. Perché le persone che hanno pauradella morte si chiudono in se stesse e pensano che aggrappandosi alla propriavita la possano salvare. Non salveranno, invece, proprio niente perché l’egoi-smo è la sorgente della morte, la sorgente di ogni peccato. È l’amore di Gesù,che donandoci il suo Spirito ci rende liberi dinanzi alla paura della morte efa sì che già respiriamo la comunione d’amore con il Signore, che ci faamare, ci fa donare la nostra vita attraverso il nostro “servirla” ogni giorno.Fratelli miei, don Cosimino è stato un ragazzo che ha sentito il fascino diCristo. È nato nel 1931, è stato ordinato nel 1954, e tra pochi mesi avrebbecompiuto i cinquantaquattro anni di sacerdozio. È entrato nel seminario diNardò, dove ha frequentato le medie e il ginnasio, a Molfetta ha frequentatoil liceo e a Posillipo la Teologia. Si è licenziato in Teologia e si è laureato infilosofia. I superiori lo hanno sempre descritto (ho letto alcuni giudizi deisuoi educatori) serio, costante nell’impegno dello studio e della pietà. Unapersona profonda, sensibile, un po’ solitaria, conservava la profondità deisentimenti, dei segreti, piuttosto restio a manifestarli. In questo contestoumano è fiorita la scelta di seguire Cristo, e dalle sue lettere emerge unascelta profonda, la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Era, ed è quelloche sempre i nostri educatori ci hanno proposto quando camminavamo versol’Ordinazione. “E della vita”, dice una lettera, “percepisco che devo rendere

conto a Dio di ogni istante se la dono per la sua gloria e per la salvezza

delle anime”. È veramente un progetto di vita radicato nella parola e nel-

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l’esempio di Cristo: questo donare se stesso in ogni cosa ha fatto fiorire lavita cristiana. È stato docente nel nostro seminario diocesano a Nardò, do-cente di religione nelle scuole statali e poi nei licei ha insegnato lettere, ita-liano e latino. Come diceva monsignor Filoni, sono tanti i giovani che,attraverso il seminario o le scuole statali, lo hanno incontrato. Hanno perce-pito questo servizio fatto per amore. Alla domanda di Gesù che ci chiede:“Credi tu in me? Credi che Io sono la Resurrezione e la Vita? Accetti mecome paradigma, come tema della tua esistenza?”. Credo che don Cosiminoabbia risposto, Si. Eccomi Signore, ogni istante della mia vita voglio che siabruciato per la tua gloria e per il bene dei fratelli. E questo un lungo serviziod’amore, voi ne siete testimoni in quando avete goduto di questo servizio,perché ha dedicato tutta la sua vita nella rettoria di San Giuseppe e per tuttequelle associazioni che sono in quella chiesa. Ha dedicato il suo tempo, ilsuo cuore, il suo amore per seguire il Signore e, per amor suo, per servirenoi. Questa sera è consolante poterlo presentare a Gesù. Ecco, Signore il tuoamico. Tutti noi passeremo attraverso quella stanza buia che è la morte, maTu ci prenderai per mano, non lascerai che la disperazione ci disgreghi, per-ché Tu ci ami e sul tuo amore noi possiamo contare sempre.

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18 Marzo 2008 – Santa Messa Crismale

Basilica Cattedrale – Nardò

In questo momento solenne, fratelli carissimi, vogliamo ricordare l’ot-tantesimo anniversario di sacerdozio del nostro amato predecessore, AntonioRosario Mennonna, il venticinquesimo di sacerdozio di don Santino Bove,di don Salvatore Tundo e di don Agostino Lezzi. Vogliamo ricordare al Si-gnore anche i nostri fratelli che ci hanno lasciato dall’ultima Messa Crismale,Nicola Tramacere, Angelo Pino, padre Vito Paglialonga, padre Donato Gatto,don Cosimino Carrozza. Vogliamo tenere presente con il loro spirito ancorail nostro vescovo, monsignor Mennonna, l’arcivescovo Filoni, il nostro fra-tello Giorgio Chetta e i monasteri delle sorelle di clausura, insieme ai sacer-doti che sono ammalati e perciò impediti di stare in mezzo a noi, don AntonioDelle Donne, don Sebastiano Verona, don Luigi Leante, don Giuseppe Ma-rulli e don Gianbattista Borgia. È un momento delicato e solenne della nostravita ecclesiale, come dicevo all’inizio, contempliamo il mistero della Chiesa,questa Chiesa che nasce dal cuore trafitto di Cristo, dove tutti abbiamo lanostra origine, tutti siamo nati dalla sua morte e dalla sua Risurrezione. Du-rante la visita pastorale alcune domande mi hanno colpito profondamente:la richiesta dei ragazzi delle scuole elementari e medie di parlare loro diGesù, la domanda di un bambino di scuola elementare che mi ha chiesto seio parlo con Gesù, o quella di un giovane, che mi ha chiesto come si fa adascoltare la sua voce. Sono domande che hanno avuto un’eco profonda nel

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mio cuore, quest’eco l’ho ritrovato in questi giorni in un dono; un bellissimoquadro che mi ha regalato il mio amico pittore Giuseppe, dove è rappresen-tato Gesù con i segni della passione, ma che emana luce, crocifisso e risorto;e davanti a Gesù c’è Anna, una ragazza che danza e si proietta verso il Si-gnore in uno slancio d’amore totale. È il mistero dell’esistenza umana. L’es-senza del cristianesimo, dice Papa Benedetto, è l’incontro con Cristo; e lacoscienza cristiana è sacramento di quest’unione continua con Lui. Ecco per-ché il cristiano porta Cristo; Gesù stesso ha detto che senza di Lui non pos-siamo fare niente, e, come gli alberi sono giudicati dai frutti, la nostracoscienza per poter portare frutti, deve essere piena di Cristo. Cristo cheabita con la fede, la carità e la speranza nei nostri cuori. Ebbene la celebra-zione di oggi, in un modo davvero grande, delicato ma profondissimo cimette a contatto con questa risposta. “Lo Spirito del Signore è su di me per-

ché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il

lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare

la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri” (Is 61,1). Nell’ul-tima parrocchia visitata un bambino mi ha domandato quando Gesù è diven-tato Dio: è una domanda con un grande contenuto, è sulla croce che Gesù èdiventato pienamente Signore. “Io quando sarò elevato da terra, attirerò

tutti a me”. (Gv 12,32). Gesù è stato unto di Spirito Santo e quest’unzione èpartita dalla sua incarnazione: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te sten-

derà la sua ombra la potenza dell’Altissimo” (Lc 1,35). Dall’Incarnazioneil Verbo eterno di Dio è venuto in questo mondo e ha assunto natura umana,quella natura umana che è stata plasmata dallo Spirito Santo, è stata unta didivinità ed è diventata una cosa sola col Verbo eterno di Dio, nella personadi Gesù. E Gesù in mezzo a noi compie ciò per cui è venuto, morendo sullacroce. Lui è profeta, sacerdote e pastore. Profeta, a differenza degli altri pro-feti, lo è per eccellenza perché in Lui la Parola di Dio si è fatta realmentepresente in mezzo a noi. Ecco perché si definisce maestro e legislatore. Ilnuovo Mosè dirà l’evangelista Giovanni; Gesù è anche il sacerdote, coluiche nell’obbedienza ha donato la sua vita in sacrificio ed è diventato sacer-dote, sacrificio e vittima; ma è anche il Pastore, la nostra speranza, la guida,il re del suo popolo, che ci porta alla vita eterna. La sua presenza in mezzoa noi ci dona lo Spirito, attraverso la sua morte e Risurrezione; attraverso isacramenti del Battesimo e della Confermazione noi siamo stati uniti inti-mamente a Lui, come membra del suo corpo. Ed Egli ha esteso a noi la par-tecipazione alla sua regalità, al suo essere profeta e sacerdote. Non comesingoli individui, bensì come facenti parte del suo corpo, formando tutti in-

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sieme la sua comunità. La cosa bella, fratelli miei, è che quest’unione conLui è consacrata dallo Spirito; quello Spirito che ci fa diventare popolo disacerdoti, di profeti, di re, stirpe eletta, popolo che appartiene al Signore. Èqui che troviamo il mistero della coscienza del cristiano: ciascun cristiano èun profeta perché è colui che vive la parola del Signore, la testimonia, chela fa entrare nella sua vita con la fede, con la continua apertura alla sua vo-lontà. È Lui che porta nella nostra vita la Parola e il disegno del Padre e noiche lo accogliamo diventiamo profeti, portatori della Buona Novella. PaoloVI diceva che la famiglia cristiana era Vangelo vivo, perché incarnava e ren-deva presente in questo mondo, con la sua vita, il Vangelo della famiglia cheGesù ci indica. Ecco la profezia: il popolo cristiano porta nella sua coscienza,attraverso la fede, la profezia, la buona novella. Ma siamo anche, tutti noi,sacerdoti; sacerdoti che lo Spirito abilita a offrire la nostra vita nell’obbe-dienza alla volontà del Signore. Paolo, nella Lettera ai Romani afferma cheè stato mandato affinché dal cuore dei pagani convertiti possa elevarsi a Dioun’offerta Santa e a Lui gradita. Gesù nella sua obbedienza è stato colui cheha compiaciuto il padre. “Questi è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono

compiaciuto”.(Mt 3,17). Quando noi, fratelli miei, con coscienza pura e sin-cera, obbediamo alla volontà di Dio, continuiamo a compiacere il Padre neldono della nostra vita. Ognuno nel proprio contesto, nella famiglia, nel la-voro, nel rapporto con gli altri, nella comunità cristiana è sacerdote, offre lasua vita in comunione perfetta con la vita stessa di Gesù. Lo Spirito ci hachiamati e ci consacra a essere re e la regalità che noi portiamo nella co-scienza di cristiani, è la gratuità. Il re è munifico, non tiene conto delle cose,per cui siamo re in questo mondo, perché portiamo la gratuità di Dio, quellagratuità che lo Spirito Santo suscita dentro di noi, che ci dà la speranza peril futuro, per una comunità che vive sempre nella grazia e nell’amore di Dio.Ecco la regalità. E allora sacerdote, profeta, re non sono altro che la fede, lacarità e la speranza con cui Gesù abita nel cuore di ciascuno di noi e rendela nostra vita feconda, Santa, piena di opere buone. “Dai loro frutti li rico-

noscerete” (Mt 7,16). Dal profumo che emana la vostra vita, permeata diSpirito Santo risaliamo alla sorgente. Fratelli miei, il nostro compito è con-servare viva questa coscienza, attenta e sensibile questa parola. C’è davantia voi il presbiterio della diocesi, tutti i sacerdoti con i diaconi e con il ve-scovo: anche loro appartengono a un sacerdozio, insieme condividiamo unsacerdozio ministeriale. È il dono che Gesù fa alla sua Chiesa affinché essasia strutturata, costituita e continuamente animata. Noi non siamo padronidella Chiesa, ma siamo i servi, non annunziamo le nostre parole, ma siamo

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servi della Parola di Dio. Non distribuiamo i sacramenti secondo la nostravolontà, ma operiamo come la Chiesa ci chiede di operare per la salvezzadei fratelli. Il nostro ministero, miei cari fratelli, c’è dato perché sia edificatoveramente il corpo di Cristo, e implica il dono dello Spirito che ci ha chia-mati, consacrati e inviati. E noi siamo qui presenti, dalle varie parrocchiedella diocesi, per essere, come dice Pietro, “forma” di questo popolo sacer-dotale, affinché questo popolo possa continuamente incontrare il Signore.Siamo chiamati non a essere architetti, ma esecutori del lavoro, perchél’unico architetto è lo Spirito Santo e noi non siamo altro che servi della Pa-rola. Quella Parola che ci è stata donata dal Signore con la Buona Novella,perché la annunziassimo e la tenessimo viva nel cuore e nelle coscienze deifratelli. Siamo chiamati anche noi a farne, in prima persona, il tesoro dellanostra esistenza, dove possiamo dimorare e trovare il senso della nostra vita.Siamo stati chiamati a essere profeti e servi della Santificazione del popoloSanto di Dio, annunziatori della sua Parola e della sua Verità. Il Signore haposto nelle nostre mani i sacramenti, soprattutto l’Eucaristia e il perdono deipeccati. Nell’Eucaristia dove ognuno entra e diventa partecipe di questa ar-monia, di questa unità che loda e benedice il Signore, lo ringrazia, ed è chia-mato ad offrire, realmente, se stesso. Infine il Signore ci ha affidato il serviziodella comunione, il discernimento dei cuori: questo discernimento serve aportare i fratelli all’incontro con il Signore, con la sua volontà, per cammi-nare in essa. Quanto grande è questo dono che il Signore ci ha affidato. Mieicari fratelli, in questo giorno grande e solenne, c’è chiesto di tornare allasorgente della nostra vita, quando il Signore ha guardato ciascuno di noi sa-cerdoti, e ci ha chiesto il cuore. Perché attraverso il nostro cuore potesseesprimere il suo amore, la sua tenerezza, il suo venire incontro ai propri figli;e noi siamo onorati di aver dato il nostro cuore al Signore. Nel servire il Si-gnore noi diventiamo grandi, questa è la cosa più bella che ci potesse capitarenella vita. Oggi il Signore ci chiama a rinnovare le promesse della nostra or-dinazione, quel giorno in cui abbiamo detto al Signore, ecco la mia vita ètua, non mi appartiene più. Questo vogliamo chiedere allo Spirito Santo cheriprenda in mano il cuore di ciascuno di noi, l’inizio della nostra consacra-zione, perché mai, per nessun motivo, alberghi nella nostra mente e nel no-stro operato qualcosa che violi la coscienza dei cristiani, che danneggi questorapporto personale con Cristo, l’unico tesoro che ha la potenza di salvare leanime. Ricordiamo sempre che siamo soltanto operatori, per grazia di Dio,della volontà del Padre. Allora chiediamo veramente al Signore in questaSanta celebrazione la fedeltà: questa è una parola ricorrente nella mia vita,

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l’ho sentita davvero nel profondo del mio cuore, per cui è diventata il temadominante della mia esistenza. Perché nella fedeltà e come se ci consegnas-simo nelle mani di Dio, come se gli dicessimo di fare tutto quello che vuole,di agire come meglio crede. La fedeltà non si può coniugare con l’io, masoltanto con il noi. Gesù ed io, lo Spirito Santo ed io, possiamo parlare difedeltà, perché da soli noi non possiamo essere assolutamente fedeli al Si-gnore. Vogliamo chiedere allo Spirito di rinnovare nel cuore di tutti i suoisacerdoti, dei diaconi e del vescovo, questa parola di dedizione, di sacrificio,di amore al popolo Santo di Dio perché questo popolo diventi, come abbiamoascoltato, un popolo di sacerdoti, di re e di profeti.

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23 Marzo 2008 – Pasqua del Signore

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amatissimi figli, oggi la Chiesa ci invita ad avere nel cuore unagrande gioia che trabocca dal cuore, perché in tutto il mondo possa risuonarel’annunzio della Risurrezione di Gesù. Abbiamo dinanzi a noi questo ceroche è stato benedetto durante la Veglia Pasquale, la cattedrale era al buio, vierano soltanto le tenebre e, mentre il cero avanzava, man mano si accende-vano le candele di tutti i fedeli, simbolo della luce, della bellezza e dellagioia che Gesù dona a tutti i redenti, a chi ha nel cuore la fede e riconosconoin Lui, l’adempimento di tutte le promesse. Gesù è colui che non ha delusole aspettative e le speranze dei poveri, ma le ha portate a compimento; tuttii poveri che hanno posto la loro fiducia nel Signore hanno trovato una ri-sposta concreta nella vita e nella Risurrezione di Gesù. In questa notte Santala luce e le tenebre hanno lottato. Gesù, per amor nostro, è diventato prigio-niero, si è assoggettato a tutti gli aspetti del male; è entrato nella tombachiusa, dove vi è solo morte e disgregazione, come il più infimo degli uo-mini. Eppure da quella tomba, come abbiamo visto con gli occhi di Gio-vanni, è venuta fuori la Vita, quella tomba non lo contiene più, ha dovutolasciarlo libero. La luce di Gesù oggi ha sconfitto le tenebre della morte edel peccato, l’amore ha trionfato sull’odio. L’uomo è sempre stato affasci-nato dal peccato che lo spinge ad affermare la propria autosufficienza, loporta a pensare di non aver bisogno di Dio, di poterne fare a meno, di porre

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al suo posto altri dei e progetti. La superbia fa sì che rinneghiamo la volontàdi Dio, l’egoismo ci spinge a creare qualcosa che ci dà l’illusione dell’eter-nità, mentre non facciamo altro che costruire una tomba in cui rinchiuderci.E questa tomba è il nostro cuore, con le sue infedeltà, le sue cattiverie e igiudizi sugli altri. Gesù afferma: “In verità, in verità io vi dico: chiunque

commette il peccato è schiavo del peccato”. (Gv 8,34). Il peccato rendeschiava la nostra anima, la lega e la rende impotente, nella nostra vita il gro-viglio di ragioni false e futili ci blocca. Gesù si è incarnato e ha condivisotutto della natura umana, anche la morte, proprio per donarci la vita. Gesùdice: “Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per

servire e dare la sua vita in riscatto di molti”. (Mt 20,28); “Il ladro non viene

se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la

vita e l’abbiano in abbondanza”. (Gv 10,10). I cristiani sono chiamati a uncammino d’introspezione. La Chiesa oggi ci pone una domanda: “Chi è ilSignore a cui obbedisci? Qual è l’idolo che hai posto nel tuo cuore al qualesacrifichi tutto?”. Attraverso un percorso d’introspezione e di riesame laChiesa ci chiede di guardare dentro di noi, di prendere coscienza di chisiamo. Il mondo oggi vive nell’ipocrisia, nella violenza e nel potere, laChiesa ci chiede di prendere la nostra povertà e miseria e di presentarla di-nanzi al Signore. Solo così nel nostro cuore rinasce l’immagine di Dio,quell’immagine che Egli ha messo in noi per essere in diretto contatto conLui. Immagine che è coperta dal peccato, la quale però, quando apriamo ilcuore alla luce di Gesù risorto si disvela. Se portiamo nel nostro cuore la fe-deltà e viviamo secondo la volontà di Dio, non tradiamo la Sua natura che èamore. Paolo dice: “Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a

uomini spirituali, ma come ad esseri carnali, come a neonati in Cristo”.(1Cor 3,1). Miei cari fratelli, il Battesimo che abbiamo ricevuto, l’impegnoa conservare la nostra fedeltà, di dire il nostro “Si” al Padre e a Gesù ci donala gioia, la pace e la felicità. Nella notte e nel giorno di Pasqua siamo statiinvitati a entrare in questo mistero: Gesù risorto ha inaugurato un giorno chenon conosce tramonto, una luce che fa impallidire la luce del sole, un giornoche porta in se la potenza dell’eternità, beati sono coloro che si lasciano il-luminare dalla grazia della luce di Cristo. Quando la Maddalena vede il se-polcro vuoto, pensa che abbiano rubato il corpo del suo Signore, non riescea comprendere la Risurrezione. Giovanni, invece, per l’amore che lo lega aGesù, riesce a capire questo grande mistero preparato da Dio prima dellacreazione del mondo. Giovanni vide e credette: “Allora entrò anche l’altro

discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”. (Gv

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20,8). L’amore che ci unisce a Gesù ci rende disponibili ad accogliere que-st’evento di grazia. Per quel “Si” che abbiamo pronunciato, dobbiamo affi-darci a Lui, sapendo che siamo sua proprietà, da lui riscattati. Affidiamo congioia la nostra vita al Signore che con il dono del suo Spirito ci aiuta a con-servarci nella luce, a resistere alle tentazioni del mondo, a restare fedeli aLui. Miei cari fratelli, ecco la bellezza di questo giorno, racchiusa in unapreghiera che Origene, nel III secolo, rivolge a Gesù risorto che è il nostroSignore: Un tempo noi siamo stati proprietà di altri.Poi tu ci hai chiamati:Venite figli,guarirò la vostra miseria.Noi abbiamo risposto:Eccoci!Vogliamo mostrare con i fatti che ci sottomettiamo solo a te perché tu,Signore, sei nostro Dio. Non vi è altro Dio all’infuori di te.Tu sei Signore al di sopra di tutti, per tutti e in tutti.Noi siamo legati nella carità:sì, la carità ci unisce a te.

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28 Giugno 2008 - Ordinazione presbiterale di

Don Gianni Filoni, Don Giuseppe Montenegro

e Don Francesco Tarantino

Primi Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amatissimi figli e fratelli sono presenti con il loro spirito in mezzoa noi Monsignor Mennonna, Monsignor Filoni, i sacerdoti malati e i quattromonasteri della nostra diocesi. Alcuni ammalati hanno chiesto di pregare perloro. Oggi ricorre il quindicesimo anno della mia ordinazione episcopale ein questi giorni mi è tornata spesso in mente una frase che dice: “L’amore

ci fa toccare la vita lì dove sorge, prima ancora che sia rivestita di pensiero”.

Guardare agli eventi della nostra vita rende evidente tutta la grazia di Dio ela nostra piccolezza; prendiamo, ad esempio, la nostra bella Cattedrale, sortasulle fondamenta di una cattedrale precedente, qui l’antico e il nuovo sonoin relazione tra di loro. Non dobbiamo mai dimenticare quello che il Signoreha posto dentro di noi, l’origine della nostra vita consacrata. Ed è proprio suquesto che voglio riflettere con voi. Simone diventa Pietro, Saulo diventaPaolo. Simone è un uomo generoso che segue Gesù con sincerità, è forte,disposto a vedere le cose come sono reali, ma è anche ingenuo e pauroso equesta sua paura lo porterà a tradire. È colui che per primo riconosce il Cri-sto: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. (Mt 16,16); ma è anche coluiche riceve un rimprovero fortissimo: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di

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scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”. (Mt16,23). Ancora, è colui che durante l’Ultima Cena non vuole farsi lavare ipiedi: “Non li laverai mai i piedi!”. (Gv 13,8), che durante i discorsi d’addiodice: “Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!” (Gv13,37), e dopo qualche ora toccherà con mano la fragilità del suo entusiasmo,e piangerà amaramente. Saranno l’esperienza della Pasqua, ma in specialmodo della Pentecoste, che porteranno la trasformazione nel cuore di Pietro,da un’umanità debole e fragile, egli diventerà la roccia su cui è costruita laChiesa. Lo stesso vale per Saulo. Come lui stesso ci testimonia, afferma diaver perseguitato la Chiesa, tutta la sua vita era imperniata sulla tradizione,era fermamente convinto che ci si potesse salvare per il merito delle proprieopere. Afferma: “Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre

e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio

perché lo annunciassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun

uomo”. (Gal 1,15-16), e ancora dice: “Anzi, tutto ormai io reputo una perdita

di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il

quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura,

al fine di guadagnare Cristo”. (Fil 3,8) Saulo ammette che è la grazia cheha operato in lui, e si vanta della sua debolezza proprio per esaltarla. La po-tenza del Cristo fa sì che si possa portare un tesoro in vasi di creta: “Però

noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza

straordinaria viene da Dio e non da noi”. (2 Cor 4,7). Saulo, quindi, diventaPaolo. Questi due uomini accolgono nel loro cuore il Cristo e la loro vita ètrasformata, la loro debolezza umana si trasforma in forza e diventano le co-lonne della Chiesa; Paolo sarà colui che con la sua fede la terrà unita e coluiche porterà il Vangelo a tutte le genti. Dall’unità di un io egoista e peccatorecon il Signore, sboccia questa meraviglia. Papa Benedetto afferma che ac-cogliendo il Cristo nella loro vita ricevono da lui la grazia e possono donarese stessi. Questa è la bellezza della vita di Pietro e Paolo, l’unità, l’intimitàprofonda con Gesù che mai viene meno; è un qualcosa che loro si attribui-scono, ma non se ne impossessano. Quando noi consacrati pensiamo chetutto derivi dalla nostra bravura, altro non siamo che miserabili; per ricono-scere il vecchio e il nuovo si ha bisogno solo della grazia di Dio. Dobbiamoguardare nel profondo dei nostri cuori, conoscere la nostra precarietà, la no-stra debolezza e accettare la potenza dell’amore di Dio che ci fortifica. Dob-biamo curare la nostra intimità con Gesù, miei cari fratelli, tenerla ingrandissima considerazione, dev’essere il nostro rifugio giornaliero. Dob-biamo, giorno dopo giorno, poter dire al Signore: “Io sono Tuo, con la mia

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pochezza e povertà mi pongo nelle tue mani”. Quando Gesù si rivolge a Pie-tro chiedendogli se lo amasse, egli non risponde, perché sa che non è capacedi quell’amore totale. Gesù parla di Àgape, Pietro di filìa. E il Signore, an-cora una volta, si abbassa alla stessa dimensione dell’uomo e accoglie il suovolergli bene; e per quest’abbassamento dobbiamo sempre rendere grazie alSignore, bisogna sempre conservarci semplici e umili come bambini. SanPaolo nella Lettera ai Romani consiglia di abbassarsi verso le piccole cose,di gareggiare nello stimarsi a vicenda. Un altro piccolo passo che Gesùchiede a Simone è quello di pascere le sue pecorelle. Origene dice che si èpastori per grazia, non per conquista, perchè dall’incontro con Gesù nasce,una relazione nuova, solidale, nasce la famiglia del Signore, la sua vigna, lasua casa, il suo gregge. Carissimi Gianni, Giuseppe e Francesco questa seravogliamo ringraziare i vostri genitori e le vostre famiglie che vi hanno ac-compagnato e custodito. Tenete ben presente che non diventate preti per loro,ma diventate preti per la Chiesa Santa di Dio. Il legame che ci unisce allaChiesa è più forte della carne e del sangue; guai a quei preti che accumulanodenaro per i loro parenti. Noi siamo la Chiesa! Il Signore ci ha chiamato avivere questa solidarietà della fede, ci chiede di pascere le sue pecorelle; equeste pecorelle di Gesù ci diverranno talmente intime che la nostra vita sicollega alla loro attraverso il suo amore. Paolo afferma che è la carità di Cri-sto che ci spinge a donare noi stessi, al servizio dei fratelli. Nel Concilio Va-ticano II la Chiesa ci ha insegnato che la forma della Santità del presbiteroè la carità pastorale, quella carità che ha fatto sì che Gesù abbia donato tuttose stesso per il suo gregge. Questo dev’essere il nostro impegno. Paolo vaverso Pietro, perché sa che senza la comunione fraterna lo spendersi per ilVangelo sarebbe vano. Punto di partenza è la comunione nel presbiterio econ il Vescovo; questo grande dono di Dio che ci è stato donato dev’essereconservato intatto. Pietro parlerà di Paolo elogiando il modo sublime concui illustra il mistero di Gesù. Cari fratelli, non perdiamo mai di vista la no-stra debolezza, la precarietà e la povertà, poniamole nelle mani del Signoresapendo con certezza che Egli porrà nel nostro cuore e sulle nostre labbra lasua Parola. Quella Parola che è luce per il cammino della Chiesa. Ha postonelle nostre mani i Sacramenti, la grazia dello Spirito Santo, per portare ifratelli nella sua casa e nel suo regno. Offrite sempre la vostra piccolezza eil Signore ne trarrà meraviglie, ci trasformerà per il bene dei fratelli, nellaChiesa antica e nuova coesistono e diventano splendore di bellezza. Gua-diamo a Maria che ha detto: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di

me quello che hai detto”. (Lc 1,38). In Lei Dio ha compiuto grandi cose, per

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il suo “sì” il Verbo si è fatto carne, è diventato nostro fratello. Ed è proprioa Maria Santissima che voglio affidarvi carissimi Gianni, Giuseppe e Fran-cesco. Lei sia per voi madre, maestra e confidente; vi ascolti nei momenti didifficoltà, confidate nella sua preghiera e nel suo amore, e, infine, confidateanche nella preghiera e nel sostegno dei nostri amati Pietro e Paolo.

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27 Dicembre 2008 – Ordinazione diaconale di Antonio Musca

Solennità di San Giovanni Evangelista

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amatissimi figli e carissimi fratelli, confratello Rocco Antonio; ab-biamo visto questa figura gigantesca della Sacra Scrittura, Abramo, e anchequella di Sara. La vita di Abramo, che Paolo chiama nostro padre nella fede:“Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti

popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non va-

cillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo- aveva circa

cento anni- e morto il seno di Sara”.(Rom 4,18 – 19) ha raggiunto una ma-turazione particolare per cui è stata completamente trasformata, nell’abban-dono e nella fiducia nel Signore. Dio dice ad Abramo di non temere, perchéEgli è il suo scudo, la sua sicurezza, la sua roccia, si deve veramente fidaredi Lui. (Gn 15,1). Nonostante lui veda tutto buio, fidandosi di Dio arriva avedere le stelle; fidandosi del Signore, che è forte, che rende possibile anchele cose impossibili, Abramo diventa padre. E questa paternità, questo fruttoche la fede ha posto nelle mani di Abramo e Sara non finisce qui. Abbiamoascoltato dalla Lettera agli Ebrei: “Per fede Abramo, messo alla prova, offrì

Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio,

del quale era stato detto: in Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo

nome”. (Eb 11,17-18); Abramo prende suo figlio, in obbedienza al Signore,e lo porta sul monte per offrirlo in sacrificio. Questo scrittore sacro dice cheAbramo ha riavuto suo figlio una seconda volta: proprio attraverso questo

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episodio, capiamo il mistero della fede. Abramo poteva pensare, va bene, ioho obbedito al Signore, Lui mi ha dato la promessa, mi ha dato questo figlioche avrà l’eredità e la benedizione per tutti i popoli. E invece anche su questodono il Signore chiede la fede. Che nulla separi il cuore d’Abramo dal suoSignore. Anche questo deve essere offerto a Dio. È un simbolo, dice la Let-tera agli Ebrei:“Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche

dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo” (Eb 11,19), è qualcosache ci aiuta a capire cos’è la fede, cioè trasformare la nostra vita continua-mente in un dono d’amore al Padre. Nel Vangelo abbiamo visto la Sacra Fa-miglia, Giuseppe e Maria che hanno ricevuto Gesù come dono di Dio,l’hanno ottenuto dalla fede obbediente al Signore; hanno obbedito all’an-nunzio dell’angelo che è andato a parlare prima alla Madonna e poi a SanGiuseppe, e l’hanno accolto. Questa sera nel Vangelo abbiamo visto il pro-seguimento di questo dono: Maria e Giuseppe sono andati a offrire al tempioGesù, e la loro offerta di questo dono del Padre, al Padre nel tempio passaattraverso le mani di Simeone e Anna, coloro che attendono la salvezza, ediventa salvezza la presenza di Gesù nelle loro mani. Che cosa presenta ilmistero della fede nella vita stessa di Gesù? Proprio questo, non soltanto unatto di fede da fare ogni tanto, ma l’atto di fede è proprio ciò che ha inne-scato, attraverso la presenza di Gesù nella nostra storia, questo processo,questo continuo trasformare in offerta il dono di Dio. È Gesù che porta inquesto mondo la continua riofferta a Dio del suo dono, è nella vita stessa,nella stessa carne di Gesù. Ecco perché chi vede Gesù, come Simeone eAnna, percepisce che la salvezza tocca la sua esistenza, tocca la sua vita.Fratelli miei, sono stato toccato profondamente quando abbiamo partecipatoal funerale dei giovani di Galatone, prima ancora ai funerali del militare e,durante l’estate, al funerale di quei tre giovani che sono stati uccisi. Che cosapossiamo rispondere a questo pianto? Nulla. C’è soltanto da ascoltare la sof-ferenza dei fratelli, però quando questa sofferenza si apre bisogna che la lo-gica della fede si ritrovi nella famiglia stessa. La famiglia è una strutturaaperta a questa logica della fede, che fa si che i figli non siano proprietà deigenitori ma dono di Dio che bisogna innalzare continuamente in alto versoil Signore. Anche tra gli sposi: è un dono, che è ricevuto e offerto continua-mente, perché veramente la vita in ogni famiglia diventa crescita nella sa-pienza della fede, un’esperienza attraverso cui noi possiamo cogliererealmente che la fede opera nella nostra vita questo movimento, questo donoe questa risposta. Ecco perché la Chiesa, celebrando il due di febbraio lagiornata della vita consacrata, guarda a Gesù. Non ci apparteniamo più,

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siamo del Signore. La famiglia, come coppia, e, entrambi come genitori neiconfronti dei figli sono richiamati, anche nella sofferenza e nei problemi, aconsiderare la vita, il dono dell’uno per l’altro e in questa logica ci apre al-l’offerta. E finché noi facciamo un’offerta soltanto materiale, come degli og-getti o dei piccoli risparmi, non riusciamo a cogliere il significato di questodono, ma quando incominciamo a offrire la nostra stessa vita, allora la fedediventa veramente ciò che Gesù ci ha mostrato nella sua esistenza. La Chiesastessa è chiamata a esprimere questo legame tra il dono e l’offerta, perché èla famiglia di Dio, e questa grazia che tocca ciascuno di noi opera attraversoquesta nostra trasformazione. E chi nella vita della Chiesa è chiamato a es-sere consacrato al Signore, è colui che ci fa toccare con mano l’offrire al Si-gnore se stesso, il dono della sua vita. E questa consacrazione, all’internodelle comunità diventa come una sorgente di acqua viva, fresca e pura chediventa un richiamo per la vita di tutti i fratelli. Ecco ciò che ti attende, caroAntonio, il Signore ti ha chiamato al ministero, ti ha consacrato, chiamato adiventare prima diacono e poi sacerdote, ad essere, all’interno della tua co-munità, colui che riceve e offre se stesso al Padre. E trova nella persona diGesù, nell’incontro quotidiano con Lui, l’essenza di questa esistenza. Nonpotremmo capire il mistero della vita consacrata se non nascesse dentro dinoi un amore profondo, totale e coinvolgente verso il Signore Gesù. Paolodice: “Conservino il mistero della fede in una coscienza pura” (1 Tm 3,9);non mischiarla con altri progetti, altre idee e altri fini. Che quest’esperienzadella fede conservata nella tua coscienza sia il fermento di tutta la tua vita ela faccia diventare un dono per la comunità, perché aiuti a tenerla unita, asensibilizzarla, a renderla operosa, in quell’operosità Santa che è la carità,che è la risposta nella vostra vita all’amore di Dio che continuamente cichiama per conservare nel tuo cuore il mistero di Gesù. Oggi è San Giovanni.Egli nella prima lettera afferma: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi

abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi

abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo

della vita, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a

voi, perché anche voi siate in comunione con noi”. (1 Gv 1,1-3). Questodevi predicare ai fratelli, il dono, il mistero, il Vangelo della vita. Questa vitaeterna che si è resa presente e che coinvolge tutti noi. Gesù dice: “Il Figlio

dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita

in riscatto per molti”. (Mt 20, 28). Sono in mezzo a voi come colui che donase stesso, perché questo dono possa coinvolgervi e possa portarvi alla sal-vezza. E allora il tuo ministero è proprio qui, non abituare i fedeli a star co-

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modi nei doni di Dio, nelle grazie ricevute, ma devi pungolarli continua-mente affinché tutta la loro vita diventi una risposta d’amore al Signore.Un’obbedienza perenne nella fede, quell’obbedienza che sarà propria nellatua vita, perché si conformi alla vita di Gesù. Quell’obbedienza che fa sì chetu possa camminare, possa recepirla non come una tua proprietà, ma comeun dono offerto continuamente al Signore. E soprattutto questa tua verginità,questa pienezza di gratuità, perché Gesù è il nostro sommo, vero e totalebene. Non abbiamo altro interesse, non dobbiamo racimolare denaro per altrifini, ma soltanto spenderci giorno per giorno per il Signore che è la pienezzadel nostro cuore, che fa si che in mezzo alla comunità cristiana possa apparirela grazia, che fa trasformare un’esistenza in pura gratuità. Questo è il misterodi salvezza che il Signore continuamente ci offre perché possa illuminare,coinvolgere e richiamare la nostalgia del cielo. E vogliamo affidare alla pre-ghiera di San Giovanni, ma soprattutto a quella della Madonna e di San Giu-seppe questa tua vita, questo tuo servizio, affinché la tua sia una fede ugualea quella di Abramo, Sara, Giuseppe e Maria.

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20 Febbraio 2009 – Solennità di San Gregorio Armeno,

Patrono della Diocesi

Basilica Cattedrale – Nardò

Il primo saluto, con la gratitudine nell’animo, va verso i nostri fratelli ar-meni che sono presenti, con le loro delegazioni, in questa Santa Celebra-zione. Un saluto anche a questa cara amata nazione che sentiamo vicina nelcuore, perché abbiamo lo stesso patrono, San Gregorio Armeno. E ancoraun saluto particolare pieno di rispetto per il nostro Sindaco, il Consiglio co-munale e per tutte le Autorità civili e militari che sono presenti qui. L’amoregenera la dignità e la libertà di ciascuno di noi e questo produce la corre-sponsabilità. La mia riflessione in questi giorni sulla Parola di Dio mi portaproprio a questo messaggio, Gesù dice: “Io sono il buon pastore. Il buon pa-

store offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al

quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore

e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli im-

porta delle pecore.” (Gv 10,11 - 13) Gesù offre la vita per le pecore, e inquesto “per” c’è il dono del Padre verso le sue pecore; a fondamento dellanostra vita cristiana vi è questo dono, dove Gesù dona tutto se stesso per noi.Il mercenario ha altri sentimenti, resta chiuso in sé e non donerà mai la suavita per le pecore. E Gesù ci fa capire che cosa significa questo per le pecore:“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.(Gv 15,13); e l’apostolo Paolo ne è un esempio, queste parole vivono nel-

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l’esperienza umana di San Paolo. Egli è stato un persecutore della Chiesa,ma da persecutore diventa apostolo cambia completamente la sua vita:“Ma

quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la

sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunciassi

in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo”. (Gal 1, 15-16).Da persecutore ad apostolo, da lupo a pastore, da assetato di sangue è dispo-sto a sacrificare la sua vita per il gregge; queste sono le parole con cui SanGiovanni Crisostomo illustra il volto di Paolo: l’incontro con Gesù e la suaintima conoscenza ha cambiato la vita di quest’uomo, gli ha dato la libertàdi giocare tutto se stesso, di donarsi completamente, perché possa essere an-nunziato Cristo a tutte le genti. San Paolo afferma che gli è stato dato dallamisericordia di Dio il ministero, cioè di portare dinanzi alle coscienze la suaParola, il mistero di Gesù e attesta, con sincerità al cospetto di Cristo e delPadre, il Vangelo di Gesù che è morto e risorto per noi, affinché possa riful-gere la luce nelle tenebre, possa risplendere nei cuori, e accendere la cono-scenza della gloria che c’è nel volto di Cristo. Paolo è il servo dell’evento,e l’evento è la morte e la Risurrezione di Gesù. Fratelli miei ogni volta cheparliamo della nostra vita cristiana dobbiamo ricongiungerci a Cristo, perchésoltanto Lui ha dato la sua vita per noi. Paolo dice che quando nelle comunitàsorgono delle difficoltà, dei partiti contrapposti uno all’altro, lui indirizza losguardo e la tensione del cuore a Cristo morto e risorto per noi. Questa vita,che è stata data per noi dal pastore, produce in ciascuno e in tutti una cosagrandissima: il mistero del Crocefisso risorto, che quando lo riconosciamoveramente per quello che è nei nostri cuori, ci esalta. Tante volte avete spe-rimentato l’amore di qualcuno che vi vuole veramente bene e questo producenella vostra vita miracoli, dona serenità, capacità di sapersi accettare, donaforza e diventa creatività. E, di conseguenza, non si ha paura ad affrontarele difficoltà, perché non sembreranno più difficili da superare. Questo è perPaolo l’amore di Dio per noi. Conoscere l’amore di Gesù è la via della vita;capire che ci ama e che c’è un tesoro d’amore per ciascuno di noi, vuol diredare alla nostra persona le ali e al nostro cuore la gioia della creatività. Equesto fratelli miei è l’inizio della fede, che per ogni vocazione si esprimein una comunità di fratelli che hanno come fine di costruire la comunione.Perché ogni volta che ogni persona capisce che è stata salvata dall’amore,non può più separarsi da quest’amore e lo ritrova attorno a sé, nei volti deglialtri, nel servizio d’amore che è chiamato a svolgere. Ogni vocazione generacreatività e dignità, ma anche solidarietà e responsabilità verso gli altri; è ilmistero di ognuno di noi, ma anche il mistero di tutti, ordinati nell’unità.

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Questa è la bellezza dell’essere Pastore, il Vescovo nella sua comunità è me-moria viva di questo “per” che ha portato Gesù nella sua vita. È memoria, èpresenza, è Sacramento di quest’amore di Cristo: è lui che continua a farecome Paolo, a portare dinanzi a ogni coscienza il messaggio dell’amore diCristo, per trasformare ogni cuore ed è capace di trasformarlo nell’unità.Questa è la bellezza di San Gregorio: è un mercante e per la sua religionevive con un popolo estraneo, lui, greco, vive in Armenia e per motivi di fedeè incarcerato. Questa lunga sofferenza rende forte la sua fede e dilata il suocuore, perché possa diventare padre di una nazione intera. Ed egli fa spazio,nel suo cuore, a tutto questo popolo. Quando ottiene dal re il compito di an-nunziare il Vangelo porta il messaggio di Cristo, avvicina ai cuori Gesù cheè morto e risorto per noi. Che cosa significa annunziare il Vangelo? Porredinanzi ai poveri, ai piccoli e agli umili la speranza che tutti i loro sogni, leloro attese nell’incontro con Cristo si realizzano, diventano forza prodigiosache è capace di esprimersi nella storia. E lui stesso organizza la Chiesa comePaolo, suscita attorno a sé tante vocazioni; con l’annunzio del Vangelo con-verte tante persone alla vita di fede e le ordina, le compagina in comunità.San Gregorio accende la speranza in tante persone e costruisce tante comu-nità, tutto il suo popolo diventa una sola comunità cristiana. Che cosa pro-duce questa solidarietà? La nostra coscienza illuminata dall’amore diventaforte e si sente responsabile dei fratelli. I cristiani hanno sempre pensato chela storia non si risolve solo con i grandi uomini, e il popolo deve solo starea osservare, senza far nulla: questo è il pensiero del filosofo Hegel, non è lastoria di Cristo. La storia di Cristo sveglia la responsabilità di ciascuno, per-ché dall’apporto di ognuno di noi possa essere costruita l’armonia e l’unità.Dobbiamo collaborare tutti insieme, nella ricerca e nel lavoro, perché ognunodeve fare la sua parte, nessuno è dispensato. Se noi guardiamo alla vita delpopolo armeno, alle sorgenti della sua esistenza, l’apporto di San Gregorionon è venuto mai meno. Questo popolo ha affrontato tante sofferenze daparte dei turchi, della Russia che voleva fagocitarlo, eppure nonostante tantepersecuzioni ed eccidi ha conservato la fede, e l’attaccamento a Gesù Cristo,è diventato il cuore della propria esistenza. Abbiamo tanto da imparare daloro; tante nazioni dell’Africa del nord hanno perso totalmente la loro iden-tità cristiana quando sono stati invasi dai musulmani, mentre gli armenihanno difeso la loro identità. Veramente le fondamenta poste da San Grego-rio hanno retto, e la storia di questo popolo ci mette in contatto con questalinfa santa che è all’origine della nostra stessa vita di fede. L’incontro conl’amore di Cristo che ci rigenera sempre e produce in noi, in ogni epoca e

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contesto storico, frutti nuovi e prodigiosi nella coscienza dei credenti, la pos-sibilità di armonizzarli in una comunione, costruisce una forza invincibile.“Quando siamo uniti insieme, intorno a Cristo, noi siamo una città inespu-

gnabile” dice Sant’Ignazio. Miei amati figli di Nardò e carissimi fratelli, ri-badiamo questo, ricordando i nostri sacerdoti: vedo con gioia qui con noi lapresenza di tanti sacerdoti, per onorare il nostro Protettore, per trovare le ra-dici del nostro servizio, nel portare la linfa della vita e l’annunzio del misterodi Cristo, a ogni persona e ad avere il coraggio di non perdere nulla dei doniche il Signore costruisce quando un cuore lo accoglie. Ci doni la preghieradi Gregorio, l’entusiasmo di essere servi del Vangelo e custodi dell’operastupenda che quest’Amore di Cristo costruisce nella storia e intorno a noi.

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7 Aprile 2009 – Santa Messa Crismale

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amatissimi figli il nostro cuore va, pieno di ansia e di sofferenza,vicino a quei fratelli che sono stati provati dal terremoto. Vogliamo sentireil loro disagio anche noi che siamo loro solidali e in questa celebrazione,che esprime la nostra gioia, presenteremo al Signore i nostri voti accorati,perché non solo non siano abbandonati, ma siano custoditi nella sua carità.Abbiamo comunicato ai sacerdoti l’invito della Caritas italiana affinché inqueste feste possiate essere invitati, nelle varie comunità, a tener presente iloro disagi e partecipare soddisfacendo i loro bisogni. È un momento solennedella nostra vita, della nostra comunità. Proprio stamattina telefonavo al no-stro caro predecessore, Antonio Rosario Mennonna, e gli ho chiesto di asso-ciarsi con la sua sofferenza a questa nostra preghiera, così sentiamo vicinoa noi Monsignor Filoni e Monsignor Tricarico. Ha mandato un suo messag-gio anche monsignor Giorgio Chezza dalle Filippine; sono vicino a noi iquattro monasteri delle suore di clausura, e i sacerdoti malati e infermi dalleloro case si associano alla nostra preghiera. Vogliamo ricordare oggi i nostrifratelli nel sacerdozio che celebrano i giubilei: sessantesimo anniversario disacerdozio, Monsignor Vincenzo Calcagnile e Monsignor Giuseppe Fanuli,cinquantesimo di sacerdozio don Antonio Campeggio, don Giorgio Crusafio,don Grazio Cagnazzo. E venticinquesimo di sacerdozio don Marcello Spadae padre Ignazio Miccoli dell’ordine dei chierici della Madre di Dio, parroco

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del Sacro Cuore di Gallipoli. Vogliamo benedire il Signore per questo mini-stero, per tutti questi anni di servizio per ciò che Lui ha affidato a ciascunodi noi. Abbiamo ascoltato dalla pagina del Vangelo, la profezia che riguardaGesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato

con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,

per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere

in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore.” (Lc 4,18-19). E ancora: “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita

con i vostri orecchi” (Lc 4,21). Noi assistiamo a questo momento, a questarivelazione del mistero di Gesù che si manifesta come il Messia, colui cheadempie le promesse del Signore. Tu mi hai consacrato con l’unzione delloSpirito Santo e mi hai mandato agli uomini a portare la buona novella.L’anno scorso abbiamo riflettuto molto sulla parola consacrato, oggi la ri-prendiamo brevemente. Nel consacrato è lo Spirito ci ha resi totalmente delPadre, ha preso Gesù e l’ha unito totalmente al Padre, l’ha fatto diventaretutto per Lui. E in questa unità Lui sprigiona grazia, vita, luce e la porta agliuomini. In questa consacrazione, in questo essere mandato c’è tutto l’amoredi Gesù per il Padre e quest’amore del Padre in Lui diventa sorgente di vitaper noi. Portatore della Buona Novella ai poveri, ai diseredati, a chi non hapiù nessuna speranza umana. E come si manifesta questa predicazione dellaBuona Novella? Svegliando la libertà nel cuore degli uomini, quella libertàche l’amore rende forte, non rende affatto schiavi. La cattiveria degli uomini,l’egoismo è quel tipo di amore strano, appiccicoso che crea sudditanza, checrea schiavitù, questo amore bisogna buttarlo via per capire la Parola diGesù. È un amore totalmente gratuito che rende liberi, cioè stimola dentrodi noi la dignità di figli che c’è nel cuore di ciascuno. Gesù è il portatoredella salvezza, di questa giustizia di Dio che è misericordia, che è vicinanza,che non abbandona mai l’uomo. Oggi questa stessa Parola, il Signore la donaa noi, oggi noi siamo consacrati dallo Spirito Santo e siamo mandati nelmondo per essere profezia del Regno di Dio, profezia di questa Buona No-vella, del Vangelo, perché questa missione di Gesù che è iniziata a Nazarethnon finirà mai finché dura la storia. Lo Spirito Santo è dato anche a noi, e ciconsacra al Padre unendoci a Gesù, facendoci diventare una cosa sola conLui e ci porta nel mondo a irradiare la Buona Novella del Regno. Noi ap-parteniamo, quindi, al Padre, siamo di Cristo, ecco perché siamo di tutti gliuomini e del mondo intero. Fratelli miei, siamo quasi alla fine della visitapastorale, mi restano soltanto cinque parrocchie, qui a Nardò, e in questi treanni sono venuto a visitarvi in tutte le comunità e mi sono fermato con voi

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una settimana. Abbiamo potuto godere della reciproca vicinanza, ci siamopotuti guardare negli occhi, ascoltarci e sentirci uniti in quello che noi siamo:Figli di Dio. Siamo partecipi di questa missione d’amore che il Signore cida. Oggi in questa cattedrale siete venuti da tutte le parrocchie, con tutti ivostri sacerdoti, c’è una grande rappresentanza di tutti quelli che nelle co-munità hanno dei compiti; siamo uniti in questa espressione bellissima dellaquale la cattedrale è segno del sacramento, dell’unità del popolo di Dio, deisacerdoti, del vescovo e dei diaconi. Siamo tutti sacramento di Cristo, realtàviva che è la Chiesa locale, di cui noi facciamo parte, perché noi siamo oggi,in questo mondo, in questo particolare momento della storia, corpo di Cristoqui, in questa terra. Così come siamo oggi, il vescovo, i sacerdoti, i diaconie tutto il popolo di Dio. Qui nessuno è straniero, estraneo, ospite, ma siamotutti familiari di Dio e fondati sull’insegnamento degli apostoli e dei profeti,avendo come pietra angolare Gesù Signore. Qui è Gesù che ci consacra e cimanda: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. (Gv 20,21).Ci consacra: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22) e ci manda in tutto ilmondo. Questa missione, cari fratelli miei, tocca tutti, tocca i sacerdoti etocca ciascuno di voi, per essere in questo mondo portatori della profezia,portatori della Buona Novella, della speranza. E lo portiamo in modo di-verso, lo predichiamo, lo portiamo nel cuore, nella bocca per poterlo annun-ziare. Lo portiamo nel discernimento della vita, dei passi della comunità, matutti fedeli e sacerdoti lo portiamo come essenza della nostra vita, perché noisiamo e siamo chiamati a essere Vangelo vivo per questo mondo. Questocompito inesauribile, che la Chiesa ha avuto da Gesù e lo porta lungo la sto-ria, non finirà mai, non si esaurirà mai finché ci sarà la storia, finché ci sa-ranno gli uomini su questa terra, ci sarà la presenza di chi porta il Vangelodella misericordia, della bontà di Dio a tutti gli uomini. E non si esauriscenella storia perchè i poveri li avremo sempre con noi, dice Gesù, e quindi cisarà sempre uno spazio nel quale noi possiamo dedicarci, possiamo annun-ziare, esprimere questa vicinanza dell’amore del Padre a tutti i suoi figli, aipoveri. Non si esaurirà mai neppure quando la storia si compirà, perché at-traverso di essa, questa realtà sboccia continuamente nella vita eterna. Ri-corderete nelle meditazioni fatte durante la settimana teologica: “Non vidi

alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono

il suo tempio” (Ap 21,21). C’è una cattedrale in cielo che raccoglie fedeli diogni popolo e nazione, di ogni luogo della terra, di ogni tempo della storia.Tutti coloro che hanno accolto questo annunzio di misericordia, che hannocreduto, che hanno aperto i loro cuori e si sono affidati al Signore. Ed entrano

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pian piano in questo tempio, dove saranno la lode perenne del Padre e lalode dell’Agnello. Lì amiamo salire con il nostro pensiero e con i nostricuori, lì troviamo Maria, gli Apostoli e tutti i nostri fratelli defunti, tutti i no-stri sacerdoti che ci hanno servito per amore di Cristo e ci hanno manifestatol’amore vero. Lì troveremo tutta la Chiesa, dove potremo essere in una festaperenne senza più la paura di poter perdere il Signore. Questa celebrazione,miei amati fratelli, ci porterà a consacrare gli Olii, i sacramenti, perché loSpirito possa irrompere nella vita di tutte le comunità, possa continuare ascompaginare la Chiesa con la vostra vita, con il servizio dei sacerdoti, per-ché senza di loro saremmo tutti pecore selvatiche e disperse, il loro servizioci unisce, ci fa diventare veramente l’unico popolo Santo di Dio, l’unicogregge del Buon Pastore. Vogliamo rendere lode al Signore per tutti i suoibenefici, e per questo Spirito che continua a scorrere dal cuore di Cristoaperto nella sua Chiesa, in ogni comunità e in ogni cuore di cristiani.

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10 Aprile 2009 – Liturgia della Passione

di Nostro Signore Gesù Cristo

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amatissimi figli ci troviamo dinanzi a Gesù Crocefisso e, anche noi,vogliamo accogliere questa testimonianza che ci ha dato Giovanni: “Uno dei

soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi

ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice

il vero, perché anche voi crediate.” (Gv 19,34 -35). C’è un messaggio chenasce da quel Crocifisso per ognuno di noi, ciascuno di noi è interpellato. Eallora vogliamo chiederci che cosa nasce da questo cuore aperto per noi? Visono tre punti nel Vangelo di Giovanni che ci portano al momento in cui Gesù,morto sulla croce, ha questa ferita nel costato. Quando parla con NicodemoGesù dice: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che

sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita

eterna”. (Gv 3, 14 -15) Questo è il primo passo: quello che Gesù porta nelsuo cuore diventa nostro, e nel suo cuore porta l’amore al Padre, Egli è venutoin questo mondo per fare la volontà del Padre, questo cuore aperto fa giungerea noi la sua vita, il senso della sua esistenza e il mistero di Dio. Quest’acquaci fa entrare in ciò che è stato il rapporto d’amore che ha unito il Figlio alPadre: e lo Spirito Santo, il dono che unisce il Padre al Figlio, scende e si dif-fonde su tutti i credenti, perché possano entrare in questo circolo d’amore. Ilprimo dono è la vita eterna: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico

vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.” (Gv 17,3). Questa è la vita

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eterna, dice Gesù, che conoscano Te Padre, unico vero Dio e colui che tu haimandato. Da quel cuore aperto, da quel Sangue e da quell’acqua lo Spiritoche Gesù effonde su di noi ci raccorda col Padre e ci fa fare la pace con Lui.È un tesoro che non possiamo sciupare, altrimenti saremo rei del rifiuto di undono infinito. C’è ancora un altro passo in cui Giovanni guarda il misterodella morte in croce di Gesù: “Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato

il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso,

ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo»”. (Gv 8,28) “Io sono” è ilmodo in cui, nell’Antico Testamento, Dio si presenta a Mosè, ed è il modocome tutti gli ebrei conoscono il nome di Dio senza pronunziarlo mai. Gesùdisse: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io

Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così

io parlo”. Gv 8,28). Gesù vuol dire che gli uomini saranno in contatto conDio, non ci sarà più un velo sul volto dell’uomo: c’era un velo davanti al tem-pio di Gerusalemme che impediva allo sguardo delle persone di profanare ilSanto dei Santi dove c’era l’Arca del’alleanza, il luogo della presenza di Dio.I Vangeli Sinottici ci dicono che quando Gesù morì sulla croce quel velo sisquarciò da cima a fondo e questo significa che Dio si fa conoscere da chiun-que lo voglia cercare con cuore sincero. Ma dove lo incontriamo? Qual è ilSanto dei Santi dove Dio è presente e può essere toccato da noi? È in GesùCrocefisso: è proprio la suprema testimonianza che Dio è in mezzo a noi,colui che è nostro amico, nostro fratello, anzi, colui che ha compassione dinoi; e questo amore immenso, infinito lo possiamo toccare sulla croce. L’ul-timo punto sul quale meditare lo prendiamo ancora una volta da Giovanni:“Io,quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. (Gv 12,32). Nella primalettura il profeta Isaia ci dice che noi eravamo come pecore disperse sui montid’Israele, non avevamo più un punto di riferimento, un centro d’unità . Questopunto di riferimento è Gesù, che ci attira a se e ci raccoglie in unità; e di questoamore che gli uomini in fondo al loro cuore hanno sete, e questa sete li portaa Gesù. E quest’amore che si riversa in mezzo a noi, quello autentico, quellovero, è la misura di ogni amore vero, quello del quale tutti noi siamo assetatie ne siamo attratti. In questo amore troviamo Dio, ma troviamo anche gliocchi per guardarci in faccia gli uni gli altri. Allora, fratelli miei, ritroviamocidinanzi a questo Gesù Crocefisso con il cuore aperto, la bocca di Gesù sullacroce è stata chiusa dalla morte, ma il suo cuore parlerà per sempre. E lo facon parole così evidenti che possono essere comprese da tutti. E allora con-tinuiamo a conservare nel nostro cuore il raccoglimento, il silenzio perché di-nanzi a questa presenza, possiamo interrogarci fin nelle profonde fibre dellanostra esistenza.

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12 Aprile 2009 – Pasqua del Signore

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amati figli e carissimi fratelli siamo giunti al giorno più importantedell’anno; e proprio questa veglia apre all’esperienza della Risurrezione diGesù per chi lo cerca con cuore sincero. È la madre di tutte le veglie, dice S.Agostino, perché veramente è il cuore da dove nasce la nostra esistenza cri-stiana. E proprio in questa notte, in questa celebrazione, noi ricordiamo ilbattesimo che abbiamo ricevuto, è una veglia in cui la Luce e le tenebre s’in-contrano. L’abbiamo iniziata al buio, poi abbiamo acceso il cero pasquale,le candele e infine tutta la Chiesa, proprio per cercare di capire ciò che noi,assorbiti da tanti impegni, abbiamo dimenticato. Se ci domandassero cos’ èveramente la Risurrezione potremmo rispondere con le formule imparate dabambini; ma la Risurrezione è di più. È uno scandalo, qualcosa che non siriesce a credere facilmente. Abbiamo ascoltato nel Vangelo che queste donne,dopo che l’angelo dice loro che Gesù è risorto, sono impaurite e, anziché se-guire l’ordine dell’angelo, si ritirano e non parlano con nessuno. (Mc 16,6)È difficile da accettare questa realtà da parte dei benpensanti, dalle personeche sono legate alle vicende di questo mondo, alle loro esperienze. Spessogli anziani si lamentano che mai nessuno parla loro di ciò che c’è al di là; sichiedono se c’è un aldilà. E tanto più della Risurrezione. Le donne sono an-date al mattino alla tomba per fare un’opera di pietà, perché amano Gesù, e,impedite a far ciò, si sentono perse, sentono che c’è qualcosa che non va,

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non capiscono. Questo succede perché noi uomini non lasciamo spazio al-l’azione di Dio. Questa sera abbiamo ascoltato tante letture, che forse cihanno annoiato e abbiamo sperato che finissero presto per poter andare via,ma la lettura della Parola di Dio è per noi la possibilità di sintonizzarsi conla sua azione in questo mondo. La Chiesa ci pone dinanzi questi eventi me-ravigliosi, le opere meravigliose che il Signore ha fatto nella storia della sal-vezza, proprio per prepararci a capire la Risurrezione, l’azione più grandedi tutte. Tutto quello che è stato progettato dal Signore, è in funzione di ciòche noi celebriamo in questa notte. La Parola di Dio ci invita, attraverso imomenti più forti della Scrittura, quali la creazione, la chiamata di Abramo,l’Esodo, e poi l’invito continuo dei profeti ad ascoltare la voce del Signore,a capire cos’è la Risurrezione di Gesù. Questa sera e questa notte noi cele-briamo la memoria della Risurrezione di Gesù, rendiamo grazie al Signoreper questo dono infinito del suo amore e attendiamo la pienezza del suo com-pimento. Svilupperò tre brevissimi punti. Che cos’è la memoria della Risur-rezione? Non è soltanto la commemorazione di un evento che è passato nellastoria e noi pensiamo così a quest’evento. La Parola di Dio nella Scrittura ciha preparato a capire che la memoria è portare oggi nella nostra vita que-st’evento. La Lettera agli Ebrei ci dice che finché perdura quest’ora, l’ora diCristo, affrettiamoci a entrare perché quando sarà chiuso, nessuno potrà piùentrarci. Ecco la bellezza dell’opera di Dio. Quando ci riuniamo a celebrarela Risurrezione di Gesù, questa Risurrezione il padre, la porta a contatto conla nostra vita. È un evento che ci salva. Quel Gesù del quale abbiamo cele-brato la morte in croce il Padre lo ha esaltato: “Umiliò se stesso facendosi

obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato

e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome

di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra”. (Fil 2,8– 10) Ecco che cosa celebriamo questa notte: la presenza nella storia di que-sto evento che continua ancora per tutti noi battezzati che siamo raggiuntidalla potenza meravigliosa di questo prodigio: la Risurrezione di Gesù. Gesùci rende partecipi del suo amore al Padre, del suo legame con Lui. Padre eFiglio sono una cosa sola e lo Spirito dell’amore che li unisce, c’è donatoattraverso la nostra adozione a figli. Ciò che questa sera faremo per la nostrasorellina Martina l’abbiamo ricevuto anche noi, e nel riviverlo benediciamoveramente il Signore per il dono del nostro Battesimo. Percepiamo che è undono incommensurabile, immenso, che ha bisogno di continua riscoperta daparte nostra. Il secondo punto è il rendimento di grazie. Nel cuore di ciascunodi noi l’amore di Dio ci fa capire quanto siamo importanti per lui. È l’amore

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che non può essere pagato, che c’è dato con pienezza di gratuità attraversoGesù . L’evangelista Giovanni dice: “Io, quando sarò elevato da terra, atti-

rerò tutti a me”. (Gv 12,32). È l’amore di cui l’uomo ha sete, e quando locerca veramente lo va ad attingere in Gesù Cristo e questo amore riempie lasua vita di gioia. L’Alleluia che abbiamo cantato poco fa è questa gioia, que-sta gratitudine, questo rendimento di grazie al Signore. È la nostra vita di-ventata Santa per la presenza dello Spirito che si manifesta operando ciò chenoi umanamente non saremmo capaci di fare. L’ultimo punto è l’attesa dellasua pienezza. Noi celebriamo la Pasqua, cantiamo il nostro Alleluia e lo can-tiamo ancora quando intorno a noi ci sono delle sofferenze e delle tragedie.Quando accendiamo la televisione, ci rendiamo conto delle disgrazie che cisono nel mondo, funerali, sofferenze, tragedie: ma anche nella nostra vita leinfedeltà e i peccati sono presenti, tuttavia noi cantiamo l’Alleluia anchenella paura e nell’angoscia. Perché lo facciamo? Perché siamo certi che ilSignore che ha resuscitato Gesù ha posto anche nel nostro cuore il seme dellaRisurrezione. E Gesù risorto porterà a compimento la Risurrezione di cia-scuno di noi. E quindi anche se ci misuriamo ogni giorno con le nostre de-bolezze, le nostre paure, le sofferenze, con le tragedie, sappiamo che l’ultimaparola del Padre è Gesù. E questa è la nostra vittoria, porre nel nostro cuorea fondamento della nostra vita questo seme di eternità e di gloria. Fratellimiei l’augurio che voglio farvi lo faccio a tutti, a cominciare dai sacerdoti,dai nostri diaconi, a tutti voi miei amati figli e fedeli: vi auguro che nel nostrocuore non si smarrisca mai il sapore delle cose eterne, di non dimenticareche nel nostro cuore c’è l’inizio del cielo, del paradiso. Cerchiamo ogni tantodi intravederlo, cerchiamolo, non dimentichiamolo, non lasciamoci assorbiredalle cose del mondo, altrimenti perderemmo per le cose vane quelle chevalgono, invece, per sempre. Lo conceda la grazia di Gesù risorto, la sualuce e il suo amore nel cuore di ciascuno di noi.

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5 Maggio 2009 – Funerali del Rev. Sac. Don Italo Magagnino

Basilica Cattedrale – Nardò

Abbiamo voluto leggere questa pagina del Vangelo di Giovanni che uni-sce insieme la morte e la resurrezione di Gesù, siamo nel tempo di Pasqua.Gesù dice nel Vangelo: “Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.

Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso” (Gv 10,17 – 18). Quandonoi siamo vicini alla sofferenza di coloro che soffrono certamente facciamouna cosa molto bella, ma non possiamo fare più di tanto, perché il nostroprovare dolore non ha il potere di andare al di là di questa sofferenza, siamolimitati, caduchi, sottoposti alla morte. L’unico che può farci questo dono èil Signore Gesù perché Lui ha donato il suo amore per noi. Non soltanto per-ché ha condiviso la morte, ma perché, nella grandezza del suo amore, risor-gendo ci ha ripreso per mano per ridonare a tutti noi la vita. “Perché cercate

tra i morti colui che è vivo?”. (Lc 24,5 – 6); Colui che è il Vivente, colui cheè la Vita. L’esperienza che noi abbiamo fatto nella celebrazione della Pasquaè l’unico modo per ricordarci questa familiarità con la nostra situazioneumana. Lui porterà sempre nella sua carne i segni della morte: la mortestessa, i chiodi, il cuore aperto. Ma è nella morte che la vita ci dona la gioia.È nell’unirci a Gesù, partecipare a Gesù, che la nostra vita diventa paradiso:è unicamente quando noi siamo in comunione con Lui che non abbiamopaura della morte, soltanto quando noi facciamo esperienza della sua pre-senza in noi, quando ci tiene per mano. È come un bambino che gioca con

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il suo papà: quando lo fa girare e lui ride e strilla per la gioia di quel rischioche sta correndo, ma è sicuro che le mani del suo papà non lo abbandone-ranno mai; è l’esperienza del cristiano accostata al mistero della morte e ri-surrezione di Gesù. Fratelli miei in Lui c’è la nostra morte, da Lui ci vienela forza della vita, la risurrezione. E questo lo abbiamo visto non solo do-menica scorsa, ma anche ieri, nel Vangelo del Buon Pastore, della porta edelle pecore. (Gv 10). Guardiamo questa bellezza, questo mistero, la porta,che è, nel tempio di Gerusalemme; la porta che introduce verso il Santo deiSanti. Ma è Gesù la porta che ci introduce in cielo, in paradiso, ecco perchéil velo del tempio si squarcia, è Lui che ci porta all’interno del mistero diDio. Gesù dice che ha familiarità con tutte le sue pecore e noi dobbiamoaprire la nostra porta a Lui, la porta del cuore, affinché Egli possa entrare inciascuno di noi, per consentirci di accedere nel mistero di Dio. Fratelli miei,unire a questo mistero d’amore, la vita di don Italo è stato il suo essere sa-cerdote, la sua ordinazione sacerdotale. Nel mistero della vita di ciascuno dinoi è sbocciato questo desiderio di camminare dietro a Gesù, di dare la nostravita per amor suo, perché Lui per primo l’ha data per noi, perché Lui ci haamato per primo e man mano che noi abbiamo cominciato ad aprire gli occhie a sperimentare la sua presenza e abbiamo percepito che non c’era nientedi più grande in questo mondo per cui giocare la vita, del Signore Gesù. Ab-biamo dato tutto, siamo diventati anche noi, insieme con Lui, e in forza diLui, pastori. Gesù dice: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le

mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre;

e offro la vita per le pecore”, (Gv 10,14 – 15), e ci chiede di sradicarci danoi stessi per diventare servi per amore. La vita del prete, da questo puntodi vista, è un guardare senza perdere mai di vista il nostro Pastore che è GesùCristo; perché noi possiamo veramente camminare sui suoi passi, avere nelnostro cuore i suoi sentimenti, quell’apertura, quella disponibilità per cuitutte le persone che incontriamo diventano fratelli, figli e possono trovarenel nostro cuore la loro casa. Vedo con gioia qui presente il sindaco di Me-lissano con lo stendardo, credo sia un doveroso omaggio da parte della cittànella quale ha svolto il suo compito di padre e di pastore, come segno di gra-titudine, di ringraziamento, di lode al Signore. Gesù ci ha chiamati perchépotessimo essere suoi e noi non apparteniamo più alle nostre famiglie, nonapparteniamo più alle nostre amicizie, perché abbiamo dato tutto per i fratellie per la Chiesa Santa di Dio. C’è una pagina nell’Apocalisse di San Gio-vanni, che guarda lontano e ci fa toccare con mano la realtà già presente,quella profezia che sta per compiersi per ciascuno di noi, il momento del-

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l’incontro. “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la

terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città

Santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una

sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal

trono: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed

essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni la-

crima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né af-

fanno, perché le cose di prima sono passate»”.(Ap 21,1-5). Nessuno più ciimpedirà di poterlo contemplare, e nella contemplazione del volto del Si-gnore c’è tutta la nostra felicità e la nostra gioia. Queste parole pronunziatequi, in questa celebrazione e in questo spazio che è il tempo di Pasqua, rav-vivano dentro di noi quel desiderio di quella speranza beata di poter incon-trare l’amato del nostro cuore. Se abbiamo dato la vita per Gesù Cristo e nonabbiamo riserve, abbiamo dato tutto quanto e sarà grande il momento del-l’incontro. Il momento nel quale potremmo guardare faccia a faccia il voltodel Signore. Dice San Giovanni: “Saremo simili a Lui” (Gv 3,2). Vedremocom’è Dio, qual è la sua bellezza: allora scopriremo quanto è grande il donoche Lui ci ha dato facendoci figli suoi, pastori nella sua casa. Fratelli miei,ecco, in questo momento tanto solenne quanto il giorno dell’ordinazione sa-cerdotale di don Italo, in quest’unica celebrazione nella vita del Signore, inquest’unico momento in cui c’è tutta la sua storia, vogliamo chiedere al-l’amore di Dio di renderla Santa, di renderla più vera, perché lui possa en-trare a contemplare per sempre Colui per il quale è vissuto e ha amato.Uniamo le nostre preghiere alla gratitudine della Chiesa per l’opera che luiha svolto, per il servizio ben fatto in tanti luoghi della diocesi, in tanti uffici,in tanti compiti, per far sì che davvero tutto questo servizio possa diventaregioia e lode eterna del Padre.

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30 Maggio 2009 – Solenne Veglia di Pentecoste.

Chiusura della visita Pastorale.

Parco Santuario Madonna della Grottella – Copertino

Miei amatissimi figli e carissimi fratelli, saluto con tutto l’affetto, i pre-sbiteri e i diaconi e ringrazio ciascuno di voi personalmente per il dono dellavostra presenza. La veglia di Pentecoste è un momento significativo per lanostra Chiesa diocesana ed è un momento sorgivo per l’esistenza della nostraChiesa locale, ed è bello ritrovarsi riuniti per celebrare il dono dello SpiritoSanto. Saluto tutti i fratelli e le sorelle che sono qui, amatissimi figli, cono-sciuti personalmente in questa visita pastorale nelle singole parrocchie. Guar-dando i vostri volti ricordo i posti, gli spazi delle vostre comunità, e sonofelice che insieme celebriamo oggi il dono per “eccellenza”. “Se tu conoscessi

il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene

avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. (Gv 4,10). Quest’offertache trasforma a sua volta la nostra vita in dono ci rende capaci di gratuità. Siconclude il mistero pasquale, cinquanta giorni, Gesù asceso al cielo ci donaquello Spirito che è l’anima della nostra esistenza. Due brevi riflessioni sulleLetture. “Diamoci un nome” dicono gli uomini, e facendo questo pensano dipoter fare tutto quello che vogliono: la storia lo insegna, coloro che hannoimposto un nome e hanno cancellato la singolarità, per esempio Hitler, Stalin,Marx, hanno portato morte e distruzione nel mondo. L’uomo che s’inventaun’ideologia, un pensiero che schiaccia ogni alterità diventa idolatria. Nel

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nome di quest’idolatria si compiono gesti terribili, si crea un’unità diabolicae distruttiva. Non c’è nulla dell’unità che deriva dall’amore. Spesso subiamoil fascino di chi dà l’impressione di saper risolvere tutti i problemi, ma non èquesta la via da seguire. La risposta della Pentecoste è un’altra, il Signorepone nel nostro cuore la sua Parola, ci dà la capacità di comunicare veramente.Nel mistero della Pentecoste Pietro pronuncia il suo discorso (At 2, 14-36) euna moltitudine di gente lo ascolta e lo capisce, c’è un ponte tra di loro che lifa comunicare; e la parola di Pietro diventa limpida, trasparente, i cuori si ac-colgono a vicenda e costruiscono la comunione che lo Spirito realizzerà ilgiorno di Pentecoste. Qualche volta, nelle nostre comunità, ci sono alcunilaici che vorrebbero avere potere sugli altri, ricordiamo che gli unici custodidell’armonia sono i presbiteri che hanno avuto dal Signore il dono di conser-vare e custodire la comunione. Bisogna stare attenti, essere saggi e far si chetutti si sentano a casa nella Chiesa: la Chiesa che è il cuore di Cristo stessodove ognuno dev’essere accolto, ascoltato, compreso incoraggiato e diretto.Le ossa aride di Ezechiele mi fanno tornare in mente le parole di San Tom-maso: “Quando la vita di una persona non ha dentro un’anima quella vita èun cumulo di ossa aride, quella persona è già morta”. C’è tanta gente che nonha capito qual è il vero centro dell’esistenza, che al primo posto hanno messoqualcos’altro, per esempio il lavoro. Ecco allora che Ezechiele profetizza,chiama lo Spirito dai quattro venti, soffia in coloro che non hanno più vita ele ossa si rimettono in movimento, ricostruiscono i corpi; un altro soffio e sirimettono in piedi costituendo una moltitudine immensa. (Ez 37, 1-14).Ognuno di noi deve far soffiare lo Spirito nel cuore, questo dono immenso diGesù e del Padre: lo Spirito porta nella nostra anima l’energia vitale che tieneunita la nostra esistenza. Ancora San Tommaso dice: “Il fine ultimo dentro dinoi diventa la sorgente della carità che innerva tutto il nostro agire i nostripensieri”; solo così tutto in noi è bello e nulla si perde. San Paolo lo ricorda:“E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere

bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova”. (1Cor 13,3). È lo Spiritoche ridona vita, che fa risorgere le nostre comunità, lo Spirito ci prende permano, ci accompagna nel cammino, anima la nostra vita, ecco perché dob-biamo sempre chiederlo a Gesù. “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro

Consolatore perché rimanga con voi per sempre”. (Gv 14,16); un consolatoreche non vi lascerà mai, vivrà in voi e vi donerà la vita, vi prenderà per manoe farà si che la Sua parola produca nella nostra vita radici di vita eterna. Ilmondo rifiuta la Parola di Dio perché è troppo difficile da seguire, pensatealla fedeltà, all’insolubilità del matrimonio: questi valori non sono importanti

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per il mondo, ma noi sappiamo che la Parola di Dio vale sempre, non moriràmai. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. (Mt24,35). Queste parole così difficili grazie allo Spirito diventano realtà di vita;lo Spirito ci dona la forza, il coraggio di fondare la nostra vita sulla Parola,con Lui fiorisce la nostra testimonianza. Sempre grazie a Lui nei nostri cuori,nelle nostre scelte si radica la presenza di Gesù risorto e diventiamo davverosuoi testimoni. La visita pastorale è giunta alla sua conclusione e voglio be-nedire e lodare la bontà di Dio che ci ha sostenuto, dato forza ed entusiasmoin questo giro per tutte le comunità della diocesi. Sono venuto in mezzo avoi, vi ho conosciuto e ascoltato, vi ho amato e siete diventati intimi con me.Mi avete raccontato i vostri problemi, la vostra vita. Quando è giunto il mo-mento di salutarci ho percepito una forte commozione non solo da parte mia,ma anche da parte vostra, e c’è stato il desiderio di rivederci presto per potercontinuare l’esperienza della settimana vissuta insieme. Quando il cuore siapre noi comunichiamo la bellezza e la semplicità che lo Spirito ci dona pervivere la fraternità, ed è questa fraternità, questa comunione che esprime ilmistero della Chiesa. In ogni comunità il consiglio pastorale è un aspetto fon-damentale e importantissimo, tramite il consiglio pastorale la comunità sa ri-spondere ai problemi, all’attesa e alle sofferenze dell’ambiente in cui viviamo.I fratelli che ne fanno parte devono diventare un ponte tra gli altri fratelli e ilsacerdote. Sono strutture portanti che vanno vissute con sincerità di cuore.Ci dev’essere un filo che lega il consiglio pastorale con le altre associazioniche vivono nella parrocchia, un’armonia continua. Se i consigli pastorali par-rocchiali lavoreranno bene, altrettanto bene lavorerà la forania. I vicari sonopersone chiamate dal Signore a questo servizio di reciprocità e ascolto perfar sì che la diocesi abbia un’anima sola, un centro che irradia la vita. I vicarifanno sì che le comunità portino davanti a loro i problemi, gli interrogativi ei bisogni per poterli aiutare seriamente. Tutto questo grazie allo Spirito Santoche fa sì che nessuna pecorella a noi affidata vada smarrita. Ed è proprio que-sto che voglio offrire al Signore nella preghiera di tutti voi, di San Gregorio,Sant’Agata e San Giuseppe da Copertino, nostro grande intercessore. Tutti idoni che il Signore ci ha dato, ne sono sicuro, sono dovuti alla loro preghierae a quella degli ammalati. Nella mia visita pastorale quando andavo a trovaregli ammalati, ho chiesto loro di pregare per la Chiesa, per le vocazioni, perchéil servizio dei presbiteri sia veramente un servizio d’amore per i fratelli. Rac-cogliamo le nostre preghiere e poniamole nelle mani della Madonna, perchéle possa veramente portare al Figlio per far si che Egli ci doni il suo Spiritoper una rinnovata e perenne Pentecoste.

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29 Giugno 2009 – Ordinazione presbiterale di Don Antonio Musca

Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

Basilica Cattedrale – Nardò

Come prima cosa voglio salutare la piccola città di Seclì, con la quale misono incontrato ieri per le Cresime; da quando sono Vescovo, ho ordinatotre sacerdoti, don Antonio incluso, provenienti da Seclì. Questa sera, quindi,voglio benedirla e ringraziare il Signore perché, come dice Sant’Agostino:“I pastori nascono dalle buone pecore”; e quindi dobbiamo riconoscere labontà del Signore che ha donato alla vostra comunità questi tre sacerdoti.Vogliamo benedire il Signore per il dono immenso del suo ministero, chenon è riservato solo all’eletto, al chiamato, ma è per tutta la Chiesa univer-sale, per la nostra diocesi e per tutte quelle persone che incontreranno donAntonio nella sua vita, alle quali porterà la Parola di Gesù, la sua presenza,la potenza della sua grazia, la misericordia di Dio e lo Spirito Santo. Nullapuò essere paragonato al ministero sacerdotale, non vi è nulla di più grande.“Il Signore ha giurato e non si pente: «Tu sei sacerdote per sempre al modo

di Melchisedek» ”. (Sal 110,4). È un dono che il Signore mette nelle manidell’uomo, perché nel suo disegno di salvezza il mistero dell’Incarnazione,la sua presenza nella storia, possa continuare fino alla fine del tempo. Paolosi presenta alla comunità dicendo che non vuole essere riconosciuto per altro,se non per essere ministro di Cristo e amministratore dei misteri di Dio, mi-steri di salvezza e per la Sua Grazia. Dalle parole del Vangelo traggo lo

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spunto per una breve riflessione sul ministero. Gesù chiede ai suoi apostolichi la gente pensa che sia: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”(Mt 16,13) e riceve tante risposte; poi ancora chiede agli apostoli chi è perloro: “Voi chi dite che il sia?” (Mt 16,15). Pietro qui accoglie nel suo cuorele parole del Padre e dice: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. (Mt16,16). E Gesù risponde: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la

carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”.(Mt 16,17). San Paolo dice: “Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di

mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me

suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare

nessun uomo”. (Gal 1,15-16). Questo è il mistero della vocazione: Paolo in-contra Gesù perché il Padre glielo rivela, e tutto nella sua vita si annulla di-nanzi a questa sublime conoscenza. È il Padre che ci rivela il Figlio, lo fadiventare valore assoluto, attira la nostra attenzione su di Lui. Nei giorni no-stri vediamo purtroppo il cattivo esempio dato da alcuni preti, e dobbiamochiedere perdono per questo; chi è chiamato al sacerdozio dev’essere unuomo integro, non una persona ambigua, un uomo che deve diventare padreattraverso la grazia di Cristo. Dobbiamo ripeterlo, perché il demonio non faaltro che creare nella Chiesa cattive testimonianze, tragedie e disgrazie. Chiè chiamato veramente dal Padre a riconoscere in Gesù il valore assoluto dellasua vita deve ogni giorno donare se stesso, deve riscoprire sempre il suoVolto. Un prete non può vivere senza la preghiera, il ritiro mensile, gli in-contri, l’aggiornamento e la meditazione giornaliera. La vocazione nascedalla conoscenza di Cristo e questo definisce la nostra esistenza; se Cristodiventa per me un valore, uguale agli altri valori del mondo, io tradisco ilministero. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”: è importante ripetereogni giorno questa realtà che trasforma la nostra vita, che ha posto nel nostrocuore e nelle nostre mani il segreto del Padre. Cristo non è una notizia, unaconoscenza astratta, è una persona che ho incontrato e che porto dentro dime. Attraverso di me tocca le persone che incontro, non devo essere un veloche lo copre, ma un Ostensorio che lo mostra. Questa è l’essenza della vitadel prete. “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue

te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pie-

tro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non pre-

varranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò

che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla

terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,17-19). Cos’è che fa santo un prete? Lacarità. Nel Concilio Vaticano II è stato detto che ciò che fa santo un prete è

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la carità pastorale; si diventa santi per mezzo della carità: quella familiare econiugale, nell’educazione comune dei figli, per i consacrati si diventa santiper mezzo della carità pastorale. Ricordiamoci che non si può vivere la caritàpastorale senza la povertà e la fraternità sacerdotale. Diventare prete non si-gnifica far carriera, Paolo VI nelle sue istruzioni ai preti giovani diceva cheun buon prete deve avere attorno a se il popolo, altrimenti tradisce il mini-stero ricevuto. Ciò che ci fa Santi è avere nel cuore una passione per i fratelli,il desiderio di annunziare loro Gesù farlo conoscere e portarlo a tutti, anchea coloro che lo combattono e lo criticano. In loro c’è un’umanità che Diostesso chiama e vuole salvare. Gesù è: “La pietra scartata dai costruttori è

divenuta testata d’angolo” (Sal 118,22) e chiama Pietro roccia. “Su questa

pietra edificherò la mia chiesa”. (Mt 16,18). È con l’esempio che devo edu-care i ragazzi e i preti ad amare Gesù, se non sono coerente, smentisco questomessaggio. Un anziano prete diceva che il modo in cui un prete termina ilsuo servizio dà valore a tutta la sua esistenza. Quante persone hanno incon-trato Cristo attraverso il tuo servizio? Ti sei messo da parte umilmente o tisei allontanato dalla verità, dall’umiltà, dal servizio, smentendo tutto il tuoministero? San Paolo dice: “Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli

che si comportano secondo l’esempio che avete in noi”. (Fil 3,17). Non dob-biamo rinchiuderci nel nostro guscio, ma dobbiamo camminare in mezzo alpopolo e chiamare tutti a lui; dobbiamo condividere la carità pastorale peressere fratelli, per collaborare, sostenerci a vicenda, consolarci e confortarci.Ultimo punto di questa breve riflessione: la speranza. La speranza si nutredell’obbedienza, e le porte degli inferi non prevarranno in questo tuo serviziod’amore per la Chiesa. Il demonio presenterà le tentazioni fino alla fine deltempo, sempre le stesse, ma in forme nuove, delicate e subdole e cercheràdi allontanarci da Gesù. L’obbedienza ci conserva in questo cammino di fe-deltà nel dono che il Signore ci ha dato, l’obbedienza pota e fa rifiorire, potae ridona vitalità, fa sì che il Cristo sia sempre presente nella nostra vita. Perla potenza della sua grazia abbiamo il desiderio di incontrarlo “faccia a fac-cia”, di poterlo guardare negli occhi, e questo avverrà se ci conserveremosimili a Lui nell’obbedienza fino alla morte. Paolo afferma: “Umiliò se stesso

facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. (Fil 2,8); questoè ciò che conserva integro questo tesoro che il Signore ha posto nelle nostremani. “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è

giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia,

ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona

di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e

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non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua ma-

nifestazione”. (2 Tm 4,6-8). Ecco mio carissimo Antonio, poche parole chespero ti aiutino a conservare sempre l’essenziale nella tua vita. Il demoniocerca sempre di rendere banale la celebrazione eucaristica, la celebrazionedella liturgia delle ore, i sacramenti, ma noi dobbiamo custodire la presenzastessa del Signore nelle nostre mani, nei nostri cuori e nei nostri sensi. Cu-stodisci sempre questa presenza nell’umiltà e nell’obbedienza. Affidiamoquesta nostra preghiera ai Santi apostoli Pietro e Paolo, alla preghiera dellaMadonna, a quella di tua madre, delle persone a te care, delle suore di clau-sura, perché quest’alleanza profonda e sotterranea della grazia ti possa rag-giungere sempre, e non ti separi mai dalla sorgente che è Cristo Signore.

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10 Luglio 2009 – 10º Anniversario della scomparsa

di Monsignor Vittorio Fusco

Basilica Concattedrale – Gallipoli

Il mio saluto va innanzitutto a Monsignor Tricarico che, con la sua pre-senza in questa Chiesa, rende più completa la nostra lode al Signore, e a tuttii sacerdoti presenti. Saluto ancora il rappresentante del sindaco e le autoritàmilitari. Siamo qui per il decimo anniversario della morte di MonsignorFusco, che per quattro anni è stato Vescovo della diocesi di Nardò-Gallipoli.In questi anni, come apostolo inviato dal Signore, l’ha radunata e riunita at-torno a lui, e il suo collegamento con il Collegio Apostolico e il Papa ha fattosì che questa Chiesa camminasse nell’unità della Chiesa universale. Monsi-gnor Fusco è stato un ottimo insegnante, tutti quelli che l’hanno conosciutointimamente hanno sempre avuto parole di lode per lui, ed io l’ho conosciutoun po’ di più tramite questo libro che è stato pubblicato. Ed è proprio da que-sto libro che voglio trarre alcune considerazioni. La Parola di Dio oggi dice:“Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come

i serpenti e semplici come le colombe” . (Mt 10,16). È un periodo particolare,ricorre la celebrazione di cinquant’anni di sacerdozio, e il pensiero ritornaspesso a queste parole, vi ho mandato in questo mondo come agnelli inmezzo ai lupi. È questa la realtà della vita del sacerdote e dell’apostolo. Equesta è stata veramente la realtà di don Vittorio. Voglio riflettere su questedue parole: semplicità e prudenza. La semplicità può essere scambiata per

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superficialità e la prudenza per calcolo. La carità fa sì che queste due parolerispecchino il pensiero di Gesù: la carità conserva la semplicità quando è incontatto con la sorgente della sua esistenza; la semplicità è la capacità del-l’uomo di stare muto dinanzi alla grazia e all’amore di Dio. Ed è proprio daquest’amore che nasce tutto. Bisogna accettare la nostra piccolezza, Gesù cichiede di stare sempre vicini al suo cuore, al cuore stesso di Dio. In tutte lesituazioni che siamo costretti a vivere nello spazio e nel tempo, la prudenzaci aiuta a capire la volontà e il disegno di Dio, ci aiuta a rispondere con amorealla sua chiamata. Queste due parole le dirà a coloro che manderà per dif-fondere la Buona Novella, e non solo, le dice anche ai Vescovi, ai preti e aciascuno di noi. Semplicità e prudenza. Guardatevi dagli uomini, dice Gesù,davanti a loro non abbiate paura, non preoccupatevi di quello che dovretedire, perché vi sarà suggerito dallo Spirito Santo. I Santi ci dicono che il de-monio non dorme mai ed esortano i cristiani a essere vigili e attenti. Il pastoredeve guidare la comunità e aiutarla a superare quella mentalità instillata daldiavolo, che vuole cancellare dal cuore dell’uomo il nome stesso di Dio.Mentalità che esalta l’autosufficienza, l’individualismo, e che porta a credereche l’uomo basti all’uomo. Suo compito è riproporre continuamente l’atten-zione del suo gregge al Regno di Dio. Don Vittorio nel libro afferma che ilSignore si lamenta con il suo popolo perché spende il suo tempo, le sue ca-pacità, per qualcosa che non potrà mai togliere la fame e la sete. Venite,ascoltate e mangerete. La sua opera è stata un riacutizzare la fame e la setedel popolo alla conoscenza amorosa della Parola del Signore. Gli animali incattività dopo un determinato periodo di tempo perdono il loro orologio bio-logico, non sanno più orientarsi. Lo stesso è per l’uomo quando è in balìadel peccato, rischia di perdere quell’orientamento interiore che annulla lasua fame e la sua sete. Monsignor Fusco, appellandosi alle parole del profetaIsaia, vuole orientare la ricerca del cuore dell’uomo verso l’essenzialità,verso quella Parola che ci disseta e ci toglie la fame. “Non di solo pane vivrà

l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. (Mt 4,4). E il suoservizio d’amore si rende concreto nella carità pastorale, nel suo far cono-scere al suo gregge la Parola di Dio, il desiderio di non essere mai separatida essa. “Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato”. (Mt 24,13). Laperseveranza e la fedeltà le ha portate sempre nel suo cuore. Era una personaumile, sorridente, timida ed essenziale, chiedeva consiglio a tutti, ma eraanche forte e sicura. I sacerdoti che l’hanno assistito durante la malattia rac-contano che dialogava con Gesù chiamandolo “Suo Tesoro”, “Suo SommoBene”; gli chiedeva di andare da lui; questo dialogo è stato il punto centrale

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della sua vita e ha dato il giusto valore alla sua morte. Un sacerdote è coluiche accetta Cristo nella sua vita, diventa suo apostolo; essere apostoli, infatti,significa trovare nella relazione con Lui la sorgente della nostra identità.Quando, nella lectio divina, commenta gli inni cristologici, sia di Paolo siadel prologo di Giovanni, le sue parole sono quasi un canto, tradisconol’amore che ha per il Cristo. L’apice del suo canto d’amore è stata la morte,quando Gesù gli era accanto. E per questo dono grandissimo, benediciamoe rendiamo grazie al Signore. Monsignor Fusco ha scelto di riposare davantial Santissimo in questa Cattedrale per pregare ancora per la sua Chiesa, per-ché le basi che lui ha dato potessero essere per noi sorgente di una continuariscoperta dell’importanza di Gesù nella nostra vita. Vogliamo davvero rin-graziare il Signore per questo suo innamorato che è passato come una me-teora nella nostra Chiesa, ma che ha lasciato un segno profondo. Finisco conle parole di Isacco quando ha incontrato di nuovo suo figlio Giuseppe:“Posso anche morire, questa volta, dopo aver visto la tua faccia, perché sei

ancora vivo”. (Gn 46,30). Cos’è la morte per chi ha vissuto e donato tutta lasua vita nel nome di Cristo? È un cadere del velo che ci impediva di incon-trare in maniera perfetta colui che ha abitato il nostro intimo, è un vederlonegli occhi, è restare incantati nella sua gioia eterna. Sono certo che il Si-gnore l’ha accolto nelle sue braccia, gli ha donato il suo volto e la gioia in-finita, e lui canterà in eterno la sua gratitudine a quel Dio che l’ha tantoamato, da donare la sua vita per lui.

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18 Settembre 2009 – Solennità di San Giuseppe da Copertino

Piazza del popolo – Copertino

Innanzi tutto, ascoltando il rumore di questi aerei, voglio salutare ilgruppo dei nostri fratelli dell’aeronautica di cui San Giuseppe è protettore,per la loro presenza e l’onore che danno a questa celebrazione; non solo, vo-glio salutare anche tutte le altre forze armate, e coloro che diffondono in Ita-lia e nel mondo il ricordo e la presenza di San Giuseppe, come il gruppo cheorganizza la biciclettata Casello 13 da Osimo a Copertino. Amati figli, v’in-vito a guardare con gioia al volto di San Giuseppe, un grande Santo. Guar-diamo a lui come sacerdote: per arrivare al sacerdozio ha sofferto e ha vissutoquesta sua vocazione come dono del Signore. In quest’anno nel quale il Papaci chiede di riflettere sulla nostra missione e sul nostro compito di sacerdoti,volgiamo il nostro sguardo a lui. Nel Vangelo abbiamo ascoltato che Gesùdisse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai na-

scosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”.(Mt 11,25). Prendiamo ad esempio San Francesco d’Assisi, Santa Teresa diGesù Bambino, persone semplici e umili che ci aiutano a capire il misterodella Santità; quando incontriamo un Santo, incontriamo Dio, la Sua pre-senza nella loro vita diventa luce per tutti noi. I Padri della Chiesa ci pre-sentavano l’immagine del ferro immerso nel fuoco: il ferro assume lapotenza del fuoco, diventa incandescente, le sue qualità quasi scompaiono;così dev’essere per noi, la terra è chiamata a diventare cielo. San Giuseppe

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ha obbedito al Signore, ai suoi Comandamenti, la sua vita è stata ricerca dipenitenza, egli la paragonerà alla vita di Sant’Antonio Abate. Guardiamo aquesti primi Santi del cristianesimo e cerchiamo di fare nostra la loro vita.Questi monaci hanno donato totalmente la loro vita al Signore. Noi oggicosa siamo capaci di fare per amore di Dio? Riusciamo a obbedire ai suoiComandamenti? Siamo capaci di staccarci da noi stessi e dal nostro egoi-smo? Prendiamo esempio dalla vita di San Giuseppe, che si staccò comple-tamente da se stesso e diventò obbedienza pura al Signore. La sua vita fuaustera, piena di sacrifici, egli desiderava essere ascoltato da Dio ma, in al-cune fasi della sua vita, prima qui a Copertino, alla Grottella, poi ad Assisine ha sperimentato la lontananza. Anche quando facciamo qualcosa per amorsuo, non dobbiamo pretendere nulla. Giuseppe soffre di tutta questa miseriae si spoglia di se stesso, da spazio alla Santità. Ricordate che Dio è Santo equando pronunciamo questa parola, dovremo avere timore, tremare. Il pro-feta Isaia nel Tempio di Gerusalemme sente che gli angeli annunciano:“Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della

sua gloria”. (Is 6,3). E qual è questa Santità che appare nella vita di San Giu-seppe? È la carità. Avete sentito da San Paolo: “Queste dunque le tre cose

che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la

carità”. (1 Cor 13,13). Quando noi siamo permeati dalla carità, vuol direche la Santità di Dio ha preso possesso della nostra vita e ci ha trasfigurati etrasformati. Il nostro corpo non è più un ostacolo per l’incontro con il Si-gnore, la nostra umanità, i nostri peccati sono stati bruciati dallo SpiritoSanto. Questa carità purissima ha trovato spazio nella vita di questo Santo,che ha molto da insegnare a noi sacerdoti; è una grazia di Dio essere sacer-doti. San Giuseppe lo attribuisce alla Madonna della Grottella, lo vede comeun dono di una madre cara, e sebbene non farà più ritorno a Copertino,quest’immagine lì sarà sempre vicina. Nei consigli che dà al Vescovo di Po-tenza, insiste che i suoi preti celebrino l’Ufficio con attenzione e la Messacon devozione perché, dice, questi due appuntamenti aiutano a restare fedelial ministero che il Signore chiede loro. Gli consiglia inoltre di non adirarsise i suoi sacerdoti sbagliano, ma di guardare alla misericordia di Dio. Nellaprima parte della sua vita sacerdotale, qui a Copertino, andava in giro nellecampagne per chiedere l’elemosina per il convento. La sua predicazione eratalmente trasparente che il Vangelo era compreso da tutti, e l’ha portato atutti quelli che ha incontrato. Quando l’inquisizione lo porta a vivere unavita segregata, nella sua solitudine continua a fare il prete: dispensa consigli,sa immedesimarsi nella vita delle persone, nei loro problemi, li ascolta e li

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consola. Tocca la coscienza di ognuno, li aiuta a discernere la loro vocazione,per aiutarli a diventare Santi. San Giuseppe ci invita a fidarci di Dio, a di-morare nella sua passione, a leggere tra le piaghe di Gesù; con la sua parolaha illuminato il cammino di molti. Se chiediamo a un ragazzo cosa vuol fareda grande ci darà tantissime risposte, ma raramente dirà che vuole seguire ildisegno che Dio ha su di lui. Questo disegno non è un’imposizione, un peso,l’abbiamo ascoltato dalle parole di Gesù: “Prendete il mio giogo sopra di

voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per

le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”. (Mt11,29-30). Aiutiamo i nostri ragazzi a capire la volontà di Dio e a scoprirela loro vocazione, ad aprirsi al mistero della grazia. Siamo bravissimi a or-ganizzare, ma dobbiamo far capire ai nostri giovani che tutto quello che serveè già nel loro cuore. Aiutiamoli in questa ricerca per far capire loro il donoche il Signore gli ha dato. Dobbiamo essere apostoli, profeti, portatori dellasua Parola che illumina incoraggia, e, nelle mani dello Spirito Santo, diventauna forza prodigiosa che ci conduce alla santità. Questo chiediamo oggi aSan Giuseppe, che non si spenga mai la fede nei nostri cuori, che cresca il-luminata dalla sapienza e dall’amore di Dio. L’anno scorso vi avevo dettoche avevo chiesto al Santo di pregare per tutti i sacerdoti della nostra diocesi.Questa sera aggiungo che preghi affinché il cammino di tutti noi cristianidiventi consapevole, forte e bello, perché la missione più bella che possiamofare nella nostra vita di cristiani è continuare a cantare l’Alleluia, anche nellasofferenza e tra le croci. Lo doni la sua preghiera e l’amore stesso di Dio.

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24 Dicembre 2009 – Natale del Signore

Messa della notte

Basilica Cattedrale – Nardò

“Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il po-

polo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Si-

gnore”. (Lc 2,10-11). Sono le parole che l’angelo annuncia ai pastori inquella notte lontana; la bellezza di questa notte consiste nel renderla attuale,nel rendere attuale questo mistero della nostra fede. “È nato per voi”. Questagrande gioia riempie la nostra vita, è cibo per la nostra anima, ci rende ve-ramente Santi. “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce;

su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. (Is 9,1). Le pa-role che abbiamo ascoltato questa sera sono tenebre, ombra di morte, luce,gloria e salvezza. Molte volte abbiamo sperimentato, nella nostra vita, chel’egoismo ci porta alla cecità, al rinchiuderci dentro noi stessi, l’orgoglio at-tutisce la nostra capacità di discernimento e ci impedisce anche di ascoltarei consigli delle persone che ci vogliono bene. L’egoismo genera le tenebre,il peccato che nasce dall’egoismo produce la morte. Ognuno di noi ne hafatto personale esperienza, quel voler essere padroni assoluti della nostravita, senza dover renderne conto a nessuno ci ha portati verso la morte, hagenerato dentro di noi sfiducia e disperazione. Ma ecco l’annunzio di questasera, nelle tenebre c’è la luce, nel peccato la gloria, nella morte la salvezza.Dobbiamo lasciarci illuminare da questa luce, dalla gloria di Dio che ci libera

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dalle catene del peccato e ci dona la salvezza. L’uomo da solo non può nulla,Gesù lo dice tante volte nel Vangelo: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane

in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.(Gv 15,5). La gloria del Padre che Gesù ha portato nella nostra vita non si èesaurita nella sua nascita a Betlemme; con la sua vita, la sua morte e la suaRisurrezione Egli si è incarnato nella vita di ogni uomo. Gesù risorto bussaal cuore di ciascuno di noi con la fede, la speranza e la carità. Ci chiede diaccoglierlo, perché accogliendo lui accogliamo la luce, la gloria e la sal-vezza. Ma allora cosa celebriamo questa sera? Celebriamo l’evento. L’uomopeccatore non poteva salvarsi da solo, era prigioniero del suo peccato, avevadepauperato la sua esistenza, per questo Dio ha mandato suo Figlio. “Poiché

un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il

segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente,

Padre per sempre, Principe della pace”. (Is 9,5). Il profeta Isaia usa questeparole bellissime rivolgendosi a colui che assicura la gioia, genera la pace efa fiorire la nostra esistenza. Senza di Lui la nostra vita sarebbe come gli al-beri d’inverno, morti, spogliati dalle foglie, la sua presenza la riaccende, pro-duce in noi fiori e frutti, produce bellezza. Questa Santa notte ci rendecontemporanei di quest’avvenimento importantissimo, lo mette nelle nostremani. Tanta grandezza racchiusa nell’umiltà di un Bimbo appena nato, fra-gile e bisognoso di cure. Eppure in quella fragilità c’è tutta l’onnipotenza diDio. Gesù dice: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che

hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì,

Padre, perché così a te è piaciuto”. (Lc 10,21). Il progetto di Dio ha volutol’umiltà intorno al suo Figlio: l’umiltà di Maria, di Giuseppe, uomo obbe-diente, fedele, silenzioso, l’umiltà sullo stesso bambino sul quale Egli haposto il suo sigillo. Il primo annuncio è stato fatto ai pastori, uomini ai mar-gini della società di quel tempo. Il Figlio di Dio, l’Onnipotente non è natoin una casa come Giovanni il Battista, tra i suoi familiari, è nato profugo inuna terra non sua, dove non c’era posto per Lui. È nato in una grotta, in unrifugio per gli animali; se fosse nato in una reggia, sarebbe stato difficile ac-cedere a Lui, in quella stalla non vi sono limiti, chiunque può andare a in-contrarlo. Farà lo stesso con la sua morte, sulla croce tutti possono fissare ilproprio sguardo su di Lui. Dio ha scelto la debolezza per farsi vicino a noi.L’onnipotente ha scelto l’impotenza, la sofferenza, si è abbassato alla con-dizione umana per non creare disagio nell’avvicinarci a Lui. “Gloria a Dio

nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. (Lc 2,14).Quanta bellezza in queste parole, se ci lasciamo amare dal Signore, se cer-

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chiamo Gesù, se lo ascoltiamo tutta la nostra vita sarà un inno alla gloria diDio e sarà ricolma di gioia. È già successo nel giorno del nostro Battesimoe tutte le volte che, nella nostra vita, abbiamo lasciato spazio alla sua Parola,alla presenza viva di Gesù Cristo. Lo Spirito fa nuove tutte le cose e porta acompimento, nel nostro cuore, la giustizia e la perfezione. Un uomo giustoè quello che adempie perfettamente alla volontà di Dio e ne riceve in cambioinfinita gioia e felicità. Miei amati fratelli e figli, vi auguro che Gesù Cristosia per voi non un’idea, una teoria, bensì una persona viva e presente. Questaè la vera gioia, la vera pace. Com’è bella la famiglia riunita davanti al pre-sepe che contempla il Bambinello! Vi chiedo di portare quel Bambinello nelvostro cuore, perché, attraverso di voi, tutto il mondo si lasci amare da Dio,accetti il suo amore e apra le braccia per accogliere nelle sue mani GesùBambino.

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26 Dicembre 2009 – Ordinazione diaconale di Quintino Venneri

Primi Vespri della Festa della Santa Famiglia

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amati figli e fratelli, voglio salutare tutti i sacerdoti, sia quelli dio-cesani, sia quelli venuti da lontano. Un saluto va al superiore e animatoredel seminario romano, a lui tutta la mia gratitudine per la sua presenza inquesta Santa celebrazione, e anche a tutti i compagni del seminario di Romae di Molfetta. La gioia che il Signore ci dona ci possa avvolgere sempre, enon farci scordare mai la bellezza della sua presenza nella nostra vita. Iniziaquesta sera la festa liturgica della Santa Famiglia. Abbiamo ascoltato nelleLetture come Gesù ha accettato la vita che gli è stata donata tra le mani dal-l’amore di Dio. Vita dell’uomo, ma che appartiene a Dio. San Giovanni nellasua Lettera dice: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chia-

mati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3,1). Sì, lo siamo realmente,anche se non conosciamo per intero questa realtà; quando vedremo le cosenella loro pienezza, solo allora potremmo comprenderne la grandezza. Il mi-stero dell’uomo si gioca tra lui e Dio. I figli sono un dono per i genitori, manon essi non li possiedono. L’egoismo umano si è arrogato l’arbitrio dellafecondità, ha assunto il ruolo di padrone della procreazione, i figli sono scelticome oggetto, come forma di consolazione e gratificazione, e non come unservizio. Quest’egoismo porterà i genitori a non dare ai figli punti di riferi-mento validi, non sapranno insegnare loro cos’è la vita, si crederanno il cen-tro dell’universo e non sapranno costruire relazioni autentiche, generando

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sempre di più dolore e sofferenza. Quando, invece, la famiglia vive la suavocazione, quando è costruita sulla volontà di Dio, e gli sposi si accettano esi accolgono continuamente, dal loro io nasce ogni giorno un noi in cui èviva la donazione, la reciprocità, il mettersi al servizio uno dell’altro. L’apo-stolo Paolo esorta a condividere i pesi gli uni degli altri, a gareggiare nellastima vicendevole, a non avere un’idea troppo alta di se stessi, di piegarsialle cose umili. “Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non

aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi

un’idea troppo alta di voi stessi”.(Rm 12,16); quando la famiglia vive diquesta Parola all’interno vi aleggiano la grazia e l’amore di Dio. Il rispettodella Sua volontà la rende uno spazio Santo, dove i figli imparano la gratuitàe possono semplicemente, con la loro crescita, comprendere che la vita è le-gata a Dio. Lo sposo e la sposa si accolgono vicendevolmente perché il Si-gnore li ha creati per questo, ma restano nello stesso tempo persone uniche,irripetibili e insostituibili. Alcune persone sono chiamate totalmente dal Si-gnore, pian piano nella sua sequela la loro relazione con Dio diventa tutto.Questa sera benediciamo il Signore perché questo è accaduto a Quintino: alui ha chiesto tutto il suo cuore, la sua parola, la sua intelligenza, per far sìche Egli possa essere ancora una volta presente in mezzo al suo popolo. EQuintino ha risposto, ha mosso i primi passi, l’ha seguito. Questo noi con-sacriamo quest’oggi. Questa sera ha detto: “Eccomi”, e quest’eccomi sirende concreto nel dono completo di sé al Signore. Con l’ordinazione giureràdinanzi alla Chiesa di scegliere la verginità come stato di vita. “Il Signore è

mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita” (Sal 16,5). Ilcuore su cui potrà poggiare il suo capo è il cuore di Cristo, non ha null’altrosu cui contare, diverrà con Lui una cosa sola. Questa è la bellezza della vitaconsacrata, questa sua promessa diverrà nella sua vita sorgente della fecon-dità del suo servizio e del suo ministero. E proprio l’aver consacrato il cuorea Cristo gli permetterà di diventare un prodigio di operosità, di spendersicontinuamente e di perdersi per amore. Questa dedizione non avrà confini,diverrà una casa per tutti, non dimora esclusiva di qualcuno. Lo Spirito Santolo aiuterà a conservare la verginità che il Signore chiede e che oggi lui glioffre; senza il suo aiuto, infatti, non sarebbe possibile. Voglio benedire loSpirito che lo aiuterà nel cammino, i suoi genitori, la sua famiglia, gli edu-catori della propedeutica al seminario romano; tutte quelle persone chel’anno aiutato a concentrarsi sull’essenziale, a non perdersi nella banalità esuperficialità. Non possiamo separarci dal mistero di Cristo, per donare lasua Parola e la sua grazia dobbiamo continuamente lasciarla scorrere da

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quella sorgente che il Signore ha posto nel cuore di ciascuno di noi. Un altroaspetto consacriamo stasera: l’obbedienza. Dice il salmo: “Sacrificio e of-

ferta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e

vittima per la colpa. Allora ho detto:«Ecco, io vengo»”. (Sal 40,7-8). Gesùè entrato in questo mondo per fare la volontà del Padre, fino alla morte ealla morte di croce: per quella volontà tutti noi siamo stati Santificati, perl’obbedienza di Cristo si è aperto il paradiso. Gesù racchiude nel serviziol’obbedienza alla volontà del Padre. “Ma colui che vorrà diventare grande

tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è

venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per

molti”. (Mt 20,26-28). L’obbedienza e il dono di se non sono separabili,come non è separabile la verginità dalla fede. La carità genera dentro di noiquesto servizio e diventa obbedienza, fecondità e salvezza. Questo è il sensodell’essere diacono, seguire Gesù, portarlo nel nostro cuore, fare di lui lascelta della nostra vita. Egli abita nell’intimo del nostro cuore, continua aoperare, ad amare, a servire, a donare se stesso per la salvezza del mondo; èquesto che avverrà nella vita di don Quintino. Quando sono diventato dia-cono, il mio padre spirituale mi diceva che se anche fossi diventato vescovo,non avrei mai dovuto scordare il mio diaconato. Non si cessa di essere servi,è un momento che ci segna profondamente e in maniera indelebile, e ci av-vicina a una piena unione a Cristo. Amatissimo figlio, hai imparato l’obbe-dienza seguendo l’esempio di Maria, la Madonna della fiducia. Bisognaaffidarsi totalmente al Signore per lasciarsi cadere nelle sue mani, solo cosìconserverai la tua verginità, la tua risposta d’amore e saprai servire i tuoifratelli. Affidati alla Madonna. Abbiamo dinanzi il presepe, guarda anche aGiuseppe, l’uomo dell’obbedienza, del silenzio, che compie la volontà diDio. E se seguirai il loro esempio, la tua vita sarà in eterno un’immensa gioia.

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6 Gennaio 2010 – Solennità dell’Epifania del Signore

Basilica Cattedrale – Nardò

Abbiamo sentito questa lode bellissima a Gesù, colui che ha portato nelmondo la luce, a Lui la gloria, la benedizione, la lode e la gratitudine eternadei popoli. Oggi la Chiesa ci porta dinanzi a questo mistero che diventa unlibro aperto: questo libro sigilla il senso della vita, il mistero della storia per-ché ci troviamo in questo mondo, ecco nessuno lo può aprire, nessun filosofo,nessun mago può tirare fuori e aprire il libro della nostra esistenza. Soltantoil Verbo eterno del Padre diventato nostro fratello che è diventato l’AgnelloImmolato sulla Croce può aprirci questo libro e farcelo conoscere. Per questomistero oggi noi vogliamo benedire il Signore, perché si è aperto dinanzi anoi. Abbiamo ascoltato:“Rivestiti di luce Gerusalemme farà splendere sul

tuo volto la sua gloria” .( Is 60,1), e perché tutti gli altri popoli sono immersinelle tenebre però cammineranno alla tua luce. Questa Gerusalemme, quindi,che ha sul suo volto la gloria di Dio, cioè la luce, diventerà la luce dove ipopoli indirizzano il loro cammino, perché anche loro possono essere rivestitidi luce. Immaginate nella storia, questa scia di luce, questo cammino di lucesono coloro che hanno accolto la benedizione del Signore e la sua opera. Èquesto che noi continuamente dobbiamo riscoprire, è la Chiesa, la luce dellegenti. Voi sapete che il Concilio Vaticano II ha dato proprio alla costituzionepiù importante questo titolo: “Luce delle genti” (Lumen Gentium), laChiesa. La festa che noi oggi celebriamo parte da questo episodio, da questo

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evento che ci racconta Matteo: alcuni magi, (che erano un popolo diversodal popolo ebraico), vivevano in Mesopotamia, in oriente, avevano visto unastella, che nei loro libri era indicata come il segno di un avvenimento, la na-scita di un re del popolo ebraico. E loro si mettono subito in cammino perandarlo a cercare. E la bellezza di queste persone, che sono principi, maanche sono persone di cultura, di ricerca e il Signore “si abbassa” a loro. Ciòche loro cercano scrutando le stelle lo trovano in questo segno, questa nuovastella, e loro subito rispondono, si mettono in cammino. Ma che cos’è questaluce? Loro arrivano a Gerusalemme e chiedono dov’è il re che è nato, affer-mano di aver la sua stella in oriente e sono venuti per adorarlo. Ed Erodeconvoca i dottori della legge per chiedere dove sarebbe dovuto nascere ilMessia; sentono a Betlemme perché così ha scritto il profeta: “E tu Be-

tlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda:

da te uscirà, infatti, un capo che pascerà il mio popolo, Israele” (Mt 2,6).Erode manda i magi a cercare il bambino a Betlemme e quando lo avrebberotrovato, lo dovevano avvertire. Erode è turbato, è in angoscia per questa no-tizia. I magi arrivano a Betlemme, riscoprono un’altra volta la stella, e diceil Vangelo, il loro cuore si riempì di grandissima gioia. Il segreto della gioiasta qui: quel segno che aveva richiamato questo desiderio, questo parlare diDio a loro lo rivedono, entrano in questa casa e trovano Maria con il bambinoe Giuseppe. S’inchinano, si prostrano, riconoscono il re in questo bambino.Il loro re, il loro sovrano lo riconoscono e questo è un atto di fede, apronogli scrigni che contengono oro, incenso e mirra e il Signore risponde dandogliun altro dono, la capacità di essere loro luce. Allora facciamo qualche piccolariflessione. La prima cosa, come fa Dio a parlare all’uomo, a far capire checos’è la vita, qual è la luce che lui vuole che gli uomini possono portare al-l’interno del loro cuore? Oggi è la festa della luce, come il Natale, semprequesta parola ritorna se noi leggiamo il prologo di San Giovanni, viene sem-pre e proprio dal prologo di Giovanni noi troviamo queste parole. “In lui era

la vita, la vita è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo”

(Gv 1,4). Che cos’è allora questa luce? È la vita di Cristo, è ciò che Gesùporta nella sua esistenza. Non dobbiamo, quindi, pensare a una luce esterna,è la vita, ciò per cui Gesù vive e tutta la sua vita diventa luce per ogni uomo.E allora facciamo un altro piccolo passo, qual è questa vita che Gesù portain questo mondo, che diventa luce per ogni uomo? Il segreto perché la vitadi ogni uomo non sia un fallimento. È l’amore. E noi lo troviamo in due puntiin modo particolare sulla croce quando lui lo dice chiaro quando m’innalze-rete sulla croce io, attirerò a me ogni persona, attirerò tutti a me. Che cosa

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c’è sulla croce che attira l’umanità intera? La croce è un libro aperto in cuil’amore diventa nudo dinanzi ai nostri occhi. È l’amore, quindi, che attira ilnostro sguardo, ogni uomo dinanzi a Cristo crocefisso. Se vogliamo, però,anche adesso in Gesù bambino piccolo in braccio a sua madre in una posi-zione di umiltà assoluta, anche qui c’è l’amore che attira l’umanità, che attirai magi e i pastori. I pastori che quando arrivano si commuovono e raccontanoe lo stesso i magi che si prostrano innanzi a questo bambino. E che cos’èquesto bambino che si rivela? È l’amore che attira l’umanità, e il segretodell’amore di Dio quando viene in mezzo a noi, è l’abbassamento è il na-scondersi. È proprio il nascondersi perché per poterlo incontrare, dobbiamoanche noi chinarci, dobbiamo anche noi cercarlo. È un mistero questa rive-lazione di Dio. Se il nostro cuore non è opaco, noi lo incontriamo. E voi mipotreste chiedere: e allora com’è che le persone non arrivano tutte a GesùCristo? Avete visto Erode, avete visto i sacerdoti, i dottori della legge, eppurene l’uno ne gli altri vanno a inchinarsi dinanzi a Gesù. Anche oggi possiamoavere la stessa cosa, vi sono delle persone che hanno dei cuori accecati nonsono disponibili a cercare perché pensano di avere tutto nelle mani, pensanodi essere loro la luce. E possono caricarsi di tutte le cose di questo mondo,la bellezza, la ricchezza, l’oro, pensano di non aver bisogno di nessuno. Que-sti uomini sono morti, non sono aperti alla ricerca, non sono disponibili amuoversi come i magi, esistono, ma quante persone stanno ferme. Ecco per-ché Dio attira e si rivela alle persone che lo cercano. Alle persone che sonopronte a mettersi in cammino e i segni che lui dà nella storia personale, neiproblemi che ci toccano, può essere una malattia, può essere una gioia, èquesto movimento che ci fa come dire esser attratti dall’amore di Cristo,dall’amore che è presente nel mistero della sua vita. E quest’amore producedentro di noi una gioia grandissima, perché noi abbiamo trovato il segretodella vita. La luce non è una cosa esterna è negli occhi: possiamo accenderetutte le lampadine di questo mondo, non la scopriamo. È all’interno dellanostra vita, e quando si rivela questa luce? I magi vanno e danno i loro donie ricevono da Gesù un dono, la capacità di amare. Loro danno oro, incensoe mirra i doni che si sono preparati, che hanno potuto prendere dalla loroterra e li offrono, si chinano dinanzi a Gesù, e Gesù li arricchisce. Dona lorola luce, cioè un vita che ama, un cuore che si spende. È questa la luce, fratellimiei, questa luce che non vedrà Erode, perché Erode è turbato dalla presenzadel Messia e vuole ucciderlo, non ha questa luce il popolo ebraico, i dotti iquali sanno tutto, ma non fanno un passo per andare a Betlemme, stannonelle loro sicurezze, però lo trovano i magi. Lo troviamo noi. Ecco questa

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continua ricerca di Gesù, del suo volto, del suo segreto, questo bisogno dicapirlo, soprattutto di capirlo rispecchiando la luce del Signore che risplendesul volto di Gerusalemme; ed infine questa Gerusalemme diventerà la capo-fila che porta questa fiaccola che illumina tutta la scia. Ecco questo siamochiamati ad essere noi. Questo avviene nelle nostre famiglie: uno che è di-verso dagli altri, può essere il papà o la mamma o il più piccolo, o una per-sona malata, o una persona anziana che abbiamo a casa, che è più sensibilea questa luce e la accoglie e l’accetta dentro di se. Allora la nostra vita quandoha nelle proprie mani il suo segreto, cioè la capacità di diventare amore, didiventare dono, diventa luminosa. La stessa luce del Verbo, diventa la luceche illumina ogni uomo e che lo trasforma in persone che sono la luce delmondo. L’ultimo brevissimo pensiero. Il Signore, dicono i Padri, ha seminatoin tutti i popoli dei doni, i semi del Verbo, cioè delle caratteristiche delle qua-lità preziose, queste portano oro, incenso e mirra in tutti i popoli della terra,sia che stanno al nord o al sud, da tutte le parti. Quando questi popoli incon-trano il Verbo, avviene una cosa strana: bisogna immaginare la parola chedice don Tonino Bello, “la convivialità delle differenze” che vogliamo capire.Immaginiamo che ognuno di noi porti una pietra preziosa: smeraldo, zaffirooppure rubino o diamanti; la luce che passa in queste pietre preziose crea ungioco bellissimo. Questo non significa che la luce è soltanto del diamante, odi altre pietre preziose, ma è la stessa luce, l’unica luce che passando attra-verso tante pietre preziose crea una dialettica, una bellezza e un movimento.Sono tutti i popoli che vengono e che si convertono: la Chiesa ha fedeli tratutti i popoli del mondo, portando le qualità del loro territorio, della loro cul-tura, le loro qualità portano all’interno della Chiesa colori, splendore e bel-lezza. La Chiesa di Dio è proprio così, è bellezza perché il Signore l’ha sceltae l’ha unita a se. Allora avviene questo giogo, che noi possiamo chiamarecon le parole di don Tonino Bello la convivialità delle differenze, cioè le dif-ferenze tra tutti i popoli del mondo quando sono attraversate dalla stessa luceche è l’amore trovano il modo di risplendere come una bellezza e comeun’armonia che tocca tutti gli elementi della vita umana. Noi siamo chiamatiad andare a questo appuntamento. Nel mondo odierno nell’Italia, nell’Europaquanti popoli, vengono, bussano per entrare. Se noi ci chiudiamo, li vogliamobuttare fuori, non siamo secondo lo spirito di Gesù. Se abbiamo il suo spiritonel nostro cuore noi, potremmo incominciare pian piano a sperare a deside-rare che diventi questa festa di oggi l’armonia di tutti i popoli della terra per-ché Gesù è stato dato dal Padre affinché tutti i popoli della terra possanodiventare una sola cosa, una sola famiglia, la sposa di Cristo.

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17 Febbraio 2010 – Mercoledì delle Ceneri

Basilica Cattedrale – Nardò

Eccoci giunti miei amatissimi fratelli e sorelle alla celebrazione dell’iniziodi questa Quaresima del 2010. La Quaresima ritorna ogni anno e ritorna aproporre ai cristiani l’essenziale, cioè questa capacità di riportare la propriaattenzione all’interno della propria vita. Se dentro di noi abitano veramentela Redenzione e il Battesimo che abbiamo ricevuto, esse diventano la regoladella nostra vita e ancora di più siamo animati dalla grazia dello SpiritoSanto. Al contrario se quasi insensibilmente abbiamo perso questa presenzao ce ne siamo talmente abituati che lo diamo quasi come una cosa fatta enon un rapporto vivo, dinamico e vivente con il Signore. E allora ecco questocammino di quaranta giorni che ci prepara alla celebrazione del triduo pa-squale: la morte e la Risurrezione di Gesù diventano la sorgente della nostravita cristiana. Ed è bene ripensare che durante i secoli la Chiesa a tutti quelliche chiedevano di diventare cristiani dopo diversi anni di cammino, nell’ul-timo anno durante la Quaresima i futuri battezzati stavano vicino al Vescovo,perché potevano consolidare la conoscenza di Cristo. Il Papa ha mandato unmessaggio alla Chiesa Cattolica e si è fermato su una parola particolare: lagiustizia. Giustizia vuol dire dare a ciascuno il suo, secondo la definizionedi Ulpiano, giurista cristiano del terzo secolo; ma chi può dare all’uomo ciòche è suo, ciò che gli consente la pienezza di vita? Portare la vita alla suapienezza, al suo massimo splendore? Nella giustizia l’uomo porta se stesso

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a quella misura cui Dio l’ha destinato; quando Dio ha creato l’uomo, haavuto su di lui un progetto d’amore e allora entrare in quel progetto d’amore,in cui l’uomo possa davvero emanare pienezza di vita e di libertà e questa èla giustizia. Che cosa c’è contro la giustizia? L’ingiustizia. Il Papa dice chesarebbe molto facile attribuire a questa e a quest’altra realtà esterna, a noi lacausa della nostra non felicità, la causa del nostro non compimento della no-stra pienezza divina; e, invece, non è così, è proprio quando Gesù rispondea che cos’è l’ingiustizia a cosa rende impuro l’uomo, questa risposta lui diceche nasce dal cuore dell’uomo non è una cosa che esce fuori dall’esterno edà fastidio all’uomo; ma è una cosa che esce dal cuore dell’uomo perché dalcuore dell’uomo escono intenzioni cattive, adulteri, ladrocini tutto quelloche volete. E allora, dice il Papa, ecco che nel cuore dell’uomo alberga ilpeccato, ci sono questi germi da cui nasce la ribellione. In modo particolareassume in due parole l’autosufficienza e il potere sugli altri, il dominio, ilguardare gli altri come se gli fossero cose, oggetti, tutte queste cose il Papale riassume in una sola parola: egoismo, l’egoismo smisurato. E allora piùDio diventa lontano più quest’egoismo fa nascere dal cuore dell’uomo l’in-giustizia. E quest’ingiustizia prima di riversarsi sul mondo si riversa sul-l’uomo stesso e lo rende infelice. Lo rende inquieto, dice il Papa, chi potràsalvarlo dal suo peccato, chi potrà togliere dal nostro intimo l’egoismo? C’èun dono soltanto, perché questa giustizia l’uomo, non se la può conquistare,non la può acquistare da nessuna parte perché la giustizia è soltanto donatadall’amore di Dio. È il dono del figlio che il Padre ha fatto. E allora questagiustizia donata, offerta, palese ai nostri occhi è la croce di Gesù. È lì chenoi otteniamo l’amore del padre, il dono di diventare giusti, di essere dinanzia lui figli. E questo dice il papa noi lo scopriremo nel mistero della Pasquaquando Gesù morirà sulla croce; quindi potremo dire che il cammino dellaQuaresima è chiedere al Signore quest’approfondimento della nostra vita,del volto sofferente di Cristo, il volto dell’amore calpestato e coperto di sputi.Da quel volto giunge la nostra giustizia: è Gesù la nostra giustizia. Il Papaha tracciato il cammino della Quaresima, se alla fine di questi quaranta giorninoi sentiamo l’esigenza di fermarci sul volto di Cristo attraverso il Rosario,la Via Crucis, la celebrazione Eucaristica vissuta in modo sublime, ecco iopenso che questa Quaresima l’avremmo vissuta bene. Quanto è importanteper noi Gesù? È davvero il dono assoluto, più grande, immensamente grande,impensabile che il Padre ci ha fatto. Ed ecco questo nel cuore del cristianoper cui niente ci deve mai separare nei nostri occhi nella nostra mente nelnostro pensiero, di quest’immagine di Gesù sofferente e glorioso. Approfon-

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diamo tale tema: allora se tutto è un dono a che cosa servono le opere di pe-nitenza che la Quaresima propone? La prima cosa che dico è che bisognaprendere coscienza della nostra ingiustizia. Quando noi preghiamo vera-mente, presentiamo il bisogno di Dio e un po’ per volta capiamo che la nostraautosufficienza, il nostro orgoglio, è soltanto un imbroglio. Ecco la pre-ghiera: è lasciarci andare nelle mani di Dio, più ancora, è questo respirarel’intimità di Dio. Chi prega con sincerità lascia spazio al Signore, entra nel-l’intimità con il Signore. Attraverso le opere penitenziali sì sperimental’amore di Dio: e come se il Signore ci prendesse per mano e noi incomin-ciassimo a pregare; ci rendiamo conto che abbiamo sbagliato, che siamo po-veri, siamo deboli perché l’egoismo risorge; chiediamo al Signore esserepresi per mano, per essere trasformati. Attraverso le opere penitenziali dellaQuaresima chiediamo al Signore che il nostro cuore da duro, diventi sensi-bile. Noi siamo come pietre, i nostri cuori sono duri. Il cuore duro appartienea colui che ha un suo progetto, che ha le sue attese, i suoi calcoli, colui chesi è fatto un mondo tutto suo. Pregare, quindi, affinché questo cuore diventidocile, sensibile e attento al Signore. Ecco a che servono le opere della pe-nitenza: il digiuno e l’elemosina; soprattutto il digiuno che intacca proprioquesta durezza di cuore. Il digiuno significa rinunciare a qualche cosa damangiare, significa sentire un po’ che cos’è la fame, allora, in un certo senso,la presunzione che noi bastiamo da soli non c’è più. E quando ci sentiamodeboli, quando la malattia, la febbre non ci fa diventare forti, per fare tuttoquello che vogliamo, allora incominciamo a tener presente che è un’illusionepensare di fare tutto da soli. Un altro aspetto delle opere della penitenza chela Quaresima ci propone cioè del digiuno e soprattutto dell’elemosina, èquello di immedesimarsi nelle sofferenze, nei problemi dei fratelli che hannobisogno. Guardate il mondo ha tanto bisogno: abbiamo visto il terremoto aHaiti, ho saputo dal direttore della Caritas che molte comunità si sono vera-mente date da fare, hanno raccolto un sacco di soldi. (Dico un sacco, anchese non sono cifre astronomiche, perché dobbiamo sempre commisurarle allasituazione in cui noi stiamo vivendo). Anche da noi c’è la crisi, anche da noile persone devono fare i conti con la gestione della propria casa e della lorofamiglia: però, ecco fare questo gesto d’amore, immedesimarsi in questepersone che hanno bisogno di tutto, vuol dire condividere. Non bisogna,quindi, pensare solo a se stessi, basta che stia bene io e degli altri non m’im-porta niente: questa è la voce del peccato che dobbiamo allontanare attra-verso il cambiamento di atteggiamento, attraverso la carità. Le opere dellapenitenza, per ultimo, servono a renderci forti nel combattimento contro la

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tentazione del demonio. Più una persona è superficiale più il demonio se laporta, dovunque vuole: la persona senza forza il demonio “se la gioca” comevuole. La persona, invece, attraverso la penitenza e le opere di carità che ab-biamo ascoltato diventa più forte sa reggere alla lusinga del demonio e alletentazioni. E voi sapete che il demonio non ha pazienza, vuole subito essereseguito dall’uomo peccatore. Se l’uomo non lo segue, dopo un po’, si arrab-bia e se ne va. Resistere alla tentazione è questo: il cammino della Quaresimaci vuole insegnare a ritrovare la via della gioia. Non pensate, quindi, allaQuaresima come a una cosa “triste”, quando si pensa alla Quaresima, civiene in mente l’immagine di quelle vecchiette che mettono per strada chesono vestite come pupazzi, e sono molto brutte; e come se il carnevale fosseuna cosa bella e la Quaresima, una cosa brutta. È esattamente l’opposto: tuttociò che dentro di noi serve per scoprire il volto di Dio e rifletterlo dentro dinoi è un cammino di felicità, di gioia non è un cammino di tristezza. E questovoglio dirvelo proprio con tutto il cuore, quando celebriamo la Via Crucis,questo non deve essere tempo carico di sofferenza, di musi lunghi, perchéstiamo pensando alla sofferenza di Gesù; essa è una lettera d’amore che Luici invia e le lettere d’amore non fanno intristire fanno soltanto rallegrare, ese fanno piangere, fanno piangere di gioia. Ecco il mistero della Quaresimaci doni veramente la Parola di Dio, soprattutto il dono dello Spirito, questapienezza di vita che l’uomo cerca per portarla al suo massimo splendore eavere lo Spirito Santo dentro di noi. Possa lo Spirito Santo guidarci prenderciper mano in questo cammino perché possiamo diventare più cristiani, au-tentici e sinceri che mettono veramente il Signore al primo posto nella lorovita e che non permettono che l’ipocrisia o tutte le cose esterne possono ro-vinare il cuore. E allora se buttiamo fuori dal nostro cuore i germi della mortenoi, porteremo il volto della Trinità, il volto di Cristo che è la nostra sal-vezza.

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30 Marzo 2010 – Santa Messa Crismale

Basilica Cattedrale – Nardò

Amatissimi figli e carissimi fratelli: in questa celebrazione solenne in cuinoi vogliamo lodare il Signore per questa Santa e amata Chiesa di NardòGallipoli. E mentre vi guardavo, pensavo alle varie parrocchie, a cui ognivolto vostro mi rimanda e, quindi, davvero voglio ringraziare il Signore perla vostra dedizione alla causa del Vangelo, alla diffusione del regno di Dioe voglio benedire per tutto ciò che fate come sacrificio per accompagnarerealmente questa continua “reimpiantazione” della Parola di Dio nel cuoree nelle coscienze. Ringrazio tanto e benedico tutti i sacerdoti per il loro zelo,i diaconi, gli allievi diaconi, i lettori e gli accoliti. In questa nostra grandecelebrazione solenne sono presenti in mezzo a noi anche le suore di clausura,si sono fatte presenti attraverso i loro biglietti e con le loro telefonate; oggici sostengono con la loro preghiera che è il dono della loro vita. Sono accantoa noi, proprio vicino al nostro cuore, i nostri sacerdoti malati, ce ne sonocinque che non escono più da casa perché la malattia impedisce loro di po-tersi spostare con libertà, però abbiamo verificato e ascoltato nel loro cuorela fedeltà. C’è vicino il nostro carissimo monsignor Filoni; abbiamo ancorala gioia di considerare accanto a noi don Luca che sta nel Perù e don Giorgioche sta nelle Filippine. Ricordiamo al Signore in questa Santa celebrazioneil 60° di sacerdozio di Monsignor Alberto Tricarico e di don Salvatore Mar-talò e il 50° di don Decio Merico. Quanti motivi per la nostra gioia, per ciò

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che lo Spirito Santo ha fatto e continua a fare in mezzo a noi perché questaChiesa risplenda della luce, della gioia e della sua carità. È l’appuntamentoannuale intorno all’albero della Croce, per cui vogliamo benedire Gesù peril dono del suo Spirito: è Lui la sorgente, quest’acqua che giunge a toccarei nostri cuori e li rende Santi e fecondi di opere buone. Quest’anno il Papaha voluto che tutta la Chiesa dedicasse attenzione e riflessione al sacerdozioe ci ha dato come esempio il sacerdozio di San Giovanni Maria Vianney. Èsul sacerdozio che verterà questa riflessione con alcune considerazioni. Misono rivolto a Sant’Agostino per cercare un po’ nel suo pensiero delle ideeche ci possono aiutare a meditare ad apprezzare questo immenso dono delSignore. Allora svilupperò il mio pensiero in quattro piccoli punti. Il mini-stero sacerdotale è un servizio di libertà che porta i servi a offrire dei beniparticolari alle membra del corpo di Cristo; poi farò una breve riflessionesui cattivi pastori e la carità pastorale che è l’anima del ministero. Ecco ilprimo punto. Agostino dice che “il servizio è un servizio di amore” che ilSignore ha voluto nella sua Chiesa, che non abbiamo comprato noi, né loabbiamo desiderato, ci è giunto. Ci è stato donato per amore perché solol’amore sveglia dentro di noi la libertà e allora il servizio pastorale è, di fatto,un servizio di libertà. Guardate quante cose ci fa venire in mente questa pa-rola: non si può fare questo servizio così, di malavoglia, sbuffando e mor-morando, ma è un servizio che ha come sostegno l’amore nel nostro cuoree l’amore fa nascere continuamente la libertà. Servire il Signore è un attoregale, ecco la libertà che c’è nel servizio apostolico, nel ministero; comeGesù che è venuto in mezzo a noi nella sua libertà e non è venuto in mezzoa noi per essere servito ma per servire, dice Sant’Agostino, e per dare la suavita in riscatto per tutti. E allora: qual è l’animo con cui noi possiamo svol-gere questo servizio di libertà? Con l’animo dell’assoluta gratuità: è la gra-tuità che è grazia, la grazia del Signore che ci fa servire con gratuità, senzaattaccare niente alle nostre mani, perché l’unica ricompensa è Lui stesso.Quanto è bello pensare questo, la libertà che ci rende servitori con tutto ilcuore, nella nostra semplicità e nello stesso tempo in questa pienezza di gra-tuità che richiama veramente la grazia da cui sorge continuamente il mini-stero. L’unica ricompensa è il Signore, servire la Chiesa, dice Agostino, eciò ci pone delle condizioni e delle priorità: il bene della Chiesa. E a questobene siamo pronti a sacrificare anche gli interessi di grande cultura comeseguire i propri progetti, anche se sono belli, siamo pronti a sacrificare tuttoperché il bene della Chiesa ha una priorità incondizionata che ci chiede dirinnegare noi stessi. Ecco perché questo servizio è un debito che noi contra-

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iamo dinanzi a Dio per tutte le membra della Chiesa, non per uno o per unaltro, non per questa categoria o per quest’altra, ma per tutti i membri dellaChiesa; e non solo, dice Agostino, ma anche per i non credenti, perché vo-gliamo con il nostro servizio far risplendere il Vangelo dinanzi a tutti gli uo-mini. Guardate! Già questo primo punto è talmente ricco di tanti stimoli checi servono per esaminare il nostro servizio. Il secondo punto. Quali sono ibeni che noi distribuiamo ai servi del Signore? Noi servi nel ministero of-friamo non ciò che è nostro, ma ciò che è di Cristo, e Agostino dice: «Siamo

come l’albergatore»; il buon samaritano arriva con questo povero malatoche è stato calpestato dai briganti, lo porta dall’albergatore, si prende curadi lui, poi quando se ne va, lascia due denari: “Abbi cura di lui e ciò che

spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno”. (Lc10,35). Ciò che noidiamo è del Signore. L’ha posto Lui nelle nostre mani, Lui ha affidato a noila sua dispensa, la dispensa della sua casa. Lì noi attingiamo per nutrire, cu-rare e consolare gli altri, ma anche noi stessi. E con che cosa? Con due cose:noi siamo servi della Parola e servi del Sacramento. S. Agostino dice: “Noi

non abbiamo grande forza, siamo deboli”. E allora chi dà forza a tutto il no-stro servizio? La Parola di Dio, perché la Parola di Dio ha in se una potenzache salva, una potenza che illumina. Noi siamo soltanto la voce che portaquesta Parola a contatto del vostro orecchio per far sì che possa scendere nelvostro cuore; e poi noi non vediamo più niente, è questa Parola che nel cuorefermenta, guarisce, trasforma e cura. Tutti abbiamo bisogno, quindi, dellaParola di Dio. E allora i sacerdoti sono coloro che con la preghiera intensae con lo studio profondo della Parola di Dio preparano l’alimento per il po-polo Santo di Dio. Siamo anche servi del Sacramento perché attraverso lenostre mani passa la grazia di Cristo che si riversa nelle membra di Gesù enon ci fa diventare passivi e isolati, ma ci costruisce insieme in una solida-rietà attiva e responsabile che crea una cooperatività fraterna. Quanto, (ditutto ciò) ne sentiamo veramente il bisogno? Il sacramento “esiste” perchépossa crescere nei membri della Chiesa la responsabilità, il sentirsi respon-sabili del Vangelo, cooperatori della grazia di Dio, e, dice Agostino, percreare questa sinergia tra la natura, tra la libertà e la grazia. Fratelli miei, ilnostro ministero davvero dovrebbe essere continuamente riportato a questeparole, dovrebbe continuamente rispecchiare questa volontà di Dio e noi do-vremmo continuamente gioire perchè, come dice Agostino, quando vediamoi frutti nei nostri fedeli, allora il nostro cuore, si riempie di gioia, si riempiedi lode, perché è opera del Signore. Questa fioritura di vita cristiana, di per-sone belle libere che veramente sono state nutrite dall’Amore di quella Parola

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e di quella grazia che produce davvero il giardino di Dio. Anche questo terzopunto ci farà riflettere. Chi sono i cattivi pastori? Sono coloro che per la loromalvagità e la loro debolezza creano turbamento tra i fedeli. Gesù ci ha av-vertito che gli scandali li avremo sempre con noi, fino alla fine del mondo.E, quindi, questi scandali si ritroveranno anche tra i membri della Chiesa,quali sono i sacerdoti e i vescovi. Chi sono questi cattivi pastori? Coloro checonsiderano le pecore non come di Cristo, ma come proprie e le legano a see sono mossi dalla cupidigia, cupidigia di gloria umana, di dominio e dilucro. Non sono animati dalla carità e dall’obbedienza al Signore. Non dob-biamo essere, come dice S. Agostino, così scoraggiati, perché ne ho incon-trati tantissimi di vescovi, di sacerdoti e di diaconi che avevano una eccelsavirtù; però neppure questi possono legare a se la fiducia del Signore e deifedeli. La fiducia dei fedeli bisogna soltanto legarla a Gesù, bisogna soltantodedicarla a Cristo. Perché soltanto Lui è la nostra speranza, è la porta che cifa entrare nel Regno di Dio. È un programma di vita. E allora a che servonoi cattivi pastori? Renderanno conto al Signore (come tutti renderemo contoal Signore) di questo ministero che è stato posto nelle nostre mani dalla gra-zia e dal suo amore. Non è altro che occasione per cui davvero noi cerchiamodi radicare la nostra fede in Gesù e nella sua carità e nel suo amore. Se noiandiamo a trovare la sorgente del ministero del sacerdozio, dice Agostino, elo commenta sempre ripetutamente, va a quel passo al capitolo ventuno delVangelo di Giovanni:«“Mi ami tu Pietro?” “Si ti amo”, dice Pietro”. E Gesùrisponde: “Pasci le mie pecore”». (Gv 21,15). L’amore libera il cuore dalproprio egoismo, dal proprio io e lo rende buono. E dal buon tesoro del pro-prio cuore il pastore trae fuori cose buone, cose che edificano. E allora è pro-prio qui il segreto della fecondità del ministero, è cercare Gesù e non cercarese stessi, pascere le pecore che sono di Cristo e per Gesù . E allora che cos’èquesta carità pastorale che diventa la regola di Santità per i sacerdoti? Ago-stino dice la carità nel pastore delle anime è la castità dell’amore di Dio perse stesso. E così afferma: una donna che sposa un uomo perché è ricco spo-serebbe le sue ricchezze, il suo amore non è casto, ma è impuro. Deve amareche sia povero o ricco, intelligente o meno, deve amare quella persona perse stessa, cosi devono fare i pastori. I pastori amano Gesù con un amorepuro, casto se lo amano per se stesso .“Pietro tu mi ami?” Vuol dire Pietrotu sei casto nell’amore verso di me? Cerchi soltanto me stesso e basta? Nes-sun’altra cosa? Allora pasci, allora servi, allora dedicati, allora è l’amore diCristo nel cuore del pastore che diventa servizio, che diventa zelo coraggiosocapace di superare tutte le fatiche e tutti i sacrifici. Pasci. Qui è la tua vita,

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il dono di te stesso e il martirio. Se un vescovo, dice Agostino, scappa perchéarrivano i barbari e poi è preso e ucciso, è perché non tradisce la fede, è unmartire. Però è molto più grande un vescovo che resta col suo popolo anga-riato dai barbari e non si allontana dal servizio per il suo popolo, li è il suomartirio. È una disanima che ci porta alla radice del nostro servire. Ciò cheha mosso la nostra vita è stato l’amore per Gesù, quest’amore che rifioriscesempre e che abbiamo bisogno di recuperare sempre, per renderci conto diqual è il segreto che rinverdisce, che fa rendere fecondo il nostro servizio.Quest’amore deve essere puro, casto per il Signore. Vorrei terminare invi-tando tutti a pregare per i preti. Benediciamo il Signore che in questa diocesichiama tanti uomini al sacerdozio. Senza la preghiera di tutta la comunitànon saremo in grado di resistere nella fedeltà ai nostri impegni. Conservarei sacerdoti Santi è compito vostro, perché possa avere quel servizio che Gesùvuole offrirvi. E finiamo con la preghiera che Benedetto ci indica in que-st’anno. Una preghiera del curato d’Ars che esprime proprio questo amore:“Ti amo o mio Dio e il mio solo desiderio è di amarti fino all’ultimo respiro

della mia vita. Ti amo Dio infinitamente amabile, preferisco morire amandoti

piuttosto che vivere un solo istante senza amarti. Ti amo Signore e l’unica

grazia che ti chiedo è amarti eternamente. Mio Dio se la mia lingua non

può più dirti a ogni istante che ti amo voglio che il mio cuore te lo ripeta

tante volte, quante volte respiro. Ti amo mio divino salvatore, perché sei

stato crocefisso per me e mi tieni quaggiù crocifisso con te. Mio Dio fammi

la grazia di morire. Amen!”.

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2 Aprile 2010 – Liturgia della Passione

di Nostro Signore Gesù Cristo

Basilica Cattedrale – Nardò

Miei amati figli e carissimi fratelli leggere questa pagina del Vangelo, lanarrazione della passione di Gesù con il cuore e con gli occhi di Giovanniin questa giornata ci dà una forza educativa, ed è una forza perché vuole farsorgere all’interno della nostra vita, un’adesione sincera a Gesù. Che cosaci presenta questa giornata e ciò che abbiamo ascoltato? Una cosa strana:una persona regna attraverso la sofferenza e attraverso la morte; una sentenzaingiusta si è scaricata su di Lui e questa sentenza ingiusta ci ha liberato dainostri peccati. Le sue piaghe ci hanno guarito. È umanamente inconcepibilepoter pensare una cosa del genere, perché l’uomo noi lo pensiamo finchépuò fare, può agire e compiere delle cose. Abbiamo sempre la speranza chequesto possa esprimersi e, invece, qui troviamo proprio l’opposto perché èproprio attraverso l’impotenza che Gesù regna. Attraverso la sua morte incroce, quella croce che è strumento orribile di sofferenze diventa, il tronodove Lui regna. E questa dialettica tra la sofferenza e la gloria, tra le tenebree la luce, la troviamo in questa giornata, la troviamo nella vita di Gesù, intutto ciò che Lui ha compiuto. E allora ci viene veramente da dire che quandol’umanità che è in Gesù, raggiunge la sua piena impotenza, solo allora si ri-vela la potenza di Dio. Quando Gesù non può fare più nulla, dinanzi a Pilato,flagellato, schernito e con la corona di spine accetta di essere chiamato re

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(nel corso della vita non aveva mai accettato il titolo di re). “Tu lo dici”.

(Mc 15,2). Che strano, proprio attraverso l’impotenza Dio si manifesta inquesta storia, proprio quando Gesù è spogliato di tutto compresa la sua stessavita quando diventa, diremmo quasi, “terra”, allora soltanto ci fa toccare conmano la gloria del Signore e la sua vita nella sua persona. E allora, ecco lalogica: noi abbiamo la logica della potenza e, invece, ciò che ci proponeGesù della sua vita è un’altra realtà; è l’ubbidienza, è il nascondimento, è ilnon contare proprio niente. Ecco perché il Signore dà appuntamento agli uo-mini che “passano” attraverso la sofferenza; ecco perché nella sofferenzac’è tutta questa realtà: all’inizio l’uomo si ribella, non vorrebbe accettarla ein alcuni tale ribellione dura parecchio, perché non ci sono regole; poiquando l’uomo accetta la sua sofferenza non per apatia, ma l’accetta vera-mente, allora il Signore gli si fa vicino. È strano, noi gridiamo all’orrorequando abbiamo visto le cose brutte che sono successe nella storia, ad Au-schwitz, i bambini portati nelle camere a gas, ma dove era Dio? Dio è proprionel dolore innocente, Dio è lì. Non è sordo al grido dell’innocente, gli dàcoraggio e lo sostiene, non lo libera dalla morte, lo fa passare attraverso lamorte e lo porta nella luce. Il suo amore è fedele, non può essere bloccatodalle vicende umane. E allora qui vediamo veramente la bellezza della mis-sione di Gesù. Gesù, il figlio eterno del Padre, è venuto in mezzo a noi conquesto compito, per collegare il mondo al Padre, per portare il mondo nel-l’amore del Padre, e per fare questo deve raccogliere tutta l’umanità, deveraccoglierla lì dove è andata ad autodistruggersi per tutto il male che ha fatto;e Gesù deve passare attraverso tutto questo male per accogliere tutti gli uo-mini e consentire loro di entrare nell’amore di Dio. Ecco le parole sublimiche abbiamo ascoltato, le parole in cui realmente l’amore che Gesù ci è ve-nuto a rivelare è quella comunione con il Padre che non è stata mai interrotta.Quella comunione d’amore con il Padre che diventa dialogo anche sullacroce, anzi, apice di questo dialogo, che prende e porta tutti noi. E allora fra-telli miei, la nostra commozione è di gratitudine, non è una commozione disentimento, perché vediamo Gesù che soffre e noi quasi ci facciamo prendereun po’ dalla tristezza. Questa tristezza è aperta a un dono infinito: la nostrasalvezza. E allora dobbiamo dirci: in questa sofferenza ci sono i miei peccati,in questo dono d’amore c’è la mia umanità, e quest’amore mi raggiunge emi dà la possibilità di diventare anch’io membro di questa comunità nuovache sorge sotto la croce. Giovanni, Maria, l’altra Maria, Maria Maddalenarappresentano quella piccola Chiesa generata dal dono dell’amore di Cristo.Ha percorso la storia, questo fiume di sangue e acqua, lo Spirito Santo con

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la potenza dell’amore di Gesù ha toccato una scia infinita, illimitata, gran-dissima di persone. Lasciamoci toccare dal suo amore, dalla sua misericor-dia. E allora davvero noi ci commuoveremo dinnanzi al mistero della mortedi Cristo, ma solo per cantare la nostra gioia e la nostra gratitudine a questodono. Chiediamo al Signore e allo Spirito Santo la capacità di comprendere,la capacità di accostarci, per cui quando daremo il bacio, oggi, a Gesù cro-cifisso e quando poi faremo la Comunione, abbandoniamoci veramente alsuo amore, anzi consentiamo al suo amore e ai suoi sentimenti, di invaderei nostri cuori; e la nostra vita porterà in noi la sua pace, la sua gioia, la suaumanità perfetta che risponde pienamente al disegno del Padre.

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4 Aprile 2010 – Pasqua del Signore

Basilica Cattedrale – Nardò

Amatissimi figli siamo nel giorno più solenne di tutto l’anno: la Pasquache ci siamo preparati a vivere attraverso il cammino della Quaresima. LaChiesa ogni domenica (e per chi poteva venire a messa ogni giorno) tornavasu questa catechesi continua, per aiutarci a capire la bellezza di ciò che ilSignore ha fatto per noi. È l’opera di Dio, non è un’opera dell’uomo, perchél’uomo fa tante cose nella storia, noi conosciamo e abbiamo studiato tantescoperte, però in tutta questa storia non c’è la Risurrezione, essa è un’operadi Dio. Il confronto tra l’opera umana e l’opera di Dio sta in queste due pa-role: la tomba vuota. Abbiamo ascoltato nel Vangelo che la mattina di Pasquale donne sono le prime ad andare al sepolcro; esse vanno perché in quel se-polcro c’è qualcuno che amano. E come avviene in tutte le famiglie di questomondo quando viene a mancare una persona molto cara i primi giorni si vamolto spesso al sepolcro; e loro vanno a piangere. Tuttavia non incontranoil sepolcro vuoto, come tutte le altre storie di tutte le altre persone umane,trovano una tomba aperta, una tomba vuota. Da questa tomba vuota c’è unannuncio che muove tutta la storia, tutti i popoli e giunge fino a noi che neconserviamo non solo la tradizione, ma nella nostra coscienza e nella nostrafede tutta la realtà di questo mistero. E allora, ecco, io vorrei, in questa ri-flessione che stiamo facendo aiutare me stesso, aiutare anche voi a capirequeste due parole: la tomba vuota. Vedete, la tomba è la realtà che, umana-

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mente parlando, mette fine alla vita di ciascun uomo, finisce lì, tutto è morto.Ha fatto questo, poi è morto ma dove sta? Riposa in quel cimitero. Noi an-diamo in quel cimitero, che cosa troviamo in quel cimitero? Sofferenza, stra-zio, l’impossibilità di comunicare con queste persone che noi abbiamoamato. Umanamente parlando, la morte rompe tutto, ma se noi andiamo acercare ancora che cos’è questa morte che crea strazio, che crea distacco? Èl’effetto del progetto umano. Dal primo uomo che si è separato da Dio, illu-dendosi di creare una storia per conto suo, ha creato, invece, soltanto danni,peccato, egoismo, diffidenza, aggressione e violenza. Ha creato soltanto l’ef-fetto di tutta la sua attività: la morte. Il peccato produce la morte. E tuttiquelli che ne hanno fatto l’esperienza poi se ne rendono conto, questa è loroconclusione: la tomba è ciò che l’uomo ha saputo costruire. Fratelli miei,questa è una realtà così comune in tutti i popoli in tutte le nazioni per cuiquando Gesù dice ai suoi discepoli: “Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire

molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi,

esser messo a morte e risorgere il terzo giorno” (Lc 9,22), loro non riesconoa capire che cosa significa “risorgerà”; questa parola non esiste nel vocabo-lario dell’esperienza umana, della storia dei popoli. E che cos’è la tombache è trovata vuota? Dio non poteva rassegnarsi dinanzi all’uomo che avevafrantumato il suo sogno, il suo progetto d’amore; volere l’uomo accanto ase, nella vita di Dio, nella famiglia di Dio, nella Trinità, questo è il progettodi Dio. E quando l’uomo ha sbagliato, è diventato un disperso, Dio ha man-dato suo Figlio, nella nostra carne mortale. Egli è vissuto in tutto come noi,nelle nostre stesse condizioni, si è sottoposto a tutti gli effetti che il peccatoaveva costruito, l’ingiustizia, la violenza, perché potesse portare nella nostraumanità la realizzazione del progetto di Dio. Lui è morto, però non è mortonella disperazione, non è morto condannando coloro che l’hanno crocifisso,ma ha conservato l’amore, ha fatto si che il suo morire diventasse un attod’amore. E il Padre l’ha innalzato mettendolo accanto a se nella gloria. Ri-cordate le parole che Gesù dice al sommo sacerdote:“Vedrete il Figlio del-

l’uomo sedere alla destra della potenza di Dio (Lc 22,69). E allora, è qui ilvuoto, la tomba che non abbraccia più e tiene schiavi con la paura gli uomini.Gli uomini dinanzi la paura della morte diventano egoisti, pur di salvarsisono capaci di vendere anche le persone più care. Qui, invece, non c’è piùla paura della morte, Gesù ha violato la tomba, che è il segno con cui lamorte tiene prigioniere le persone. Gli antichi hanno pensato la vita dei morticome una vita di ombre, una vita piena di sofferenze, di sospiri, la vita cheGesù propone dopo che risorge dai morti è la vita in pienezza, nella gloria

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di Dio. Non è uno che dopo una malattia passa attraverso il coma e poi ri-torna a vivere: questa vita è una vita che ancora è sottoposta alla morte mala vita di Gesù, che passa attraverso la tomba, muore veramente è sepolto, èuna vita che non ha più la paura di essere schiacciata dalla morte. L’ha vintaper sempre. L’umanità in Gesù è diventata divina. Lui con la sua potenzad’amore si fa presente in mezzo a noi. Con la sua potenza d’amore non giu-dica il nostro peccato ma ci perdona, ci salva, ci contagia. Pone nella vita diciascuno di noi questa realtà, questa esperienza, questo oltrepassare la morteper cui abbiamo la forza di non abbatterci più, di non lasciarci prendere dalpessimismo dinanzi alle sofferenze e alle storture di questo mondo. Diventadentro di noi un respiro, la speranza di essere come Gesù. Fratelli miei, que-sta realtà l’hanno vissuta gli apostoli un po’ come la viviamo noi perché,certe volte, noi dimentichiamo, ci lasciamo prendere dalla mentalità di questomondo, da una parola “brutta” che è l’autosufficienza cioè l’uomo che vuolefare a meno di Dio e pensa di salvarsi da solo, allora la Risurrezione ce ladimentichiamo, diventa quasi una favola. Noi abbiamo bisogno, come Pietro,come Giovanni di andare a questa tomba vuota per chiedere al Signore dipoterlo incontrare. Lui, che non è più prigioniero della morte, della tomba,è il Vivente, colui che si fa presente dovunque un cristiano lo invoca, ovun-que un uomo rivolge il suo pensiero a Lui. E così avviene in Pietro e in Gio-vanni: sono persone che hanno amato Gesù, Pietro è stato infedele l’hatradito perché non lo conosceva, però nel suo cuore continua ad amare Gesùe va con sofferenza, Giovanni va volando verso la tomba e lì tutti e due in-contrano il Signore e comunicano con il Signore. Fratelli miei, noi abbiamoper fondamento della nostra esistenza il Battesimo che è il seme di questomistero di morte e di Risurrezione. E questo seme di gloria che sta nella vitadi ciascuno di noi, deposto con il Battesimo, dobbiamo andarlo sempre acercare, dobbiamo ripartire sempre da quel punto per capire la vita del-l’uomo, per capire che cosa siamo chiamati a fare. Dall’esperienza di Gesùche ha vinto la morte, nasce la dignità di figli di Dio, nasce la libertà, nascein una parola sola la capacità di amare. Perché, finché l’uomo resta schiavodell’egoismo, della paura di perdere non è capace di dare gratuitamente contutto il cuore. La parola grazia è fuori dal suo orizzonte, ma ci sono altre pa-role: calcolo, dominio, violenza. Se noi facciamo risorgere nella nostra vitaquel seme che il Battesimo ha deposto, Gesù risorto, porta nel nostro cuorela gioia di sperimentare che amare è una cosa vera, possibile, anzi porta laricchezza di Dio nel cuore di ciascuno di noi. E allora viene un cambiamentostrano: nella vita siamo attaccati a ogni giorno, ogni giorno che passa vor-

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remmo quasi fermarlo perché non vogliamo morire, perché sappiamo che iltempo che passa ci fa diventare vecchi, quando, invece, portiamo la Risur-rezione nel cuore in ogni istante noi abbiamo nel cuore e nelle nostre manila pienezza di vita, cioè abbiamo la libertà di amare. E chi ama, entra, ap-proda nell’oggi di Dio. Non è più schiavo del tempo, ma vive nell’eternità,nell’oggi,“Oggi sarai con me in paradiso” .(Lc 23,43). Allora quest’oggi,ricordate quando gli angeli andarono dai pastori e dissero: “Oggi è nato per

voi il Salvatore”. (Lc 2,11), oggi il Salvatore ci ha salvati, oggi ci ha fattorespirare l’aria del paradiso. Ecco perché Paolo dice: “Poiché se confesserai

con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio

lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo”.(Rm 10, 9). E il sapore della tua vitasia il cielo, sia lo spirito, sia la grazia, sia la pace, così diventerai anche tuannunziatore della gioia, annunziatore della pace. L’augurio che io faccioalla vita di ciascuno di noi e di ciascuno di voi e alle vostre famiglie è quellodi rimetterci in pace con Dio perché possiamo cantare la nostra gioia, la no-stra libertà e, quindi, di conseguenza la grazia.

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