OLTRE la CENA -...

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U LT I M A SCENA un’ OLTRE la CENA GALLERIA DELL’INSTITUT FRANÇAIS MILANO 16 > 30 SETTEMBRE 2015 < Testi di Luciano Crespi Pietro Marani Barbara Formis Chiara Gatti < Progetto di T.ART In collaborazione con Institut français Milano Fondazione Stelline <

Transcript of OLTRE la CENA -...

U L T I M A SC E N Au n ’

O LT R El a C E N A

G A L L E R I AD E L L’ I N S T I T U T F R A N Ç A I SM I L A N O

1 6 > 3 0 S E T T E M B R E 2 0 1 5

< Testi di

Luciano CrespiPietro MaraniBarbara FormisChiara Gatti

< Progetto di

T.ART

In collaborazione con

Institut français MilanoFondazione Stelline

<

Fondazione Stelline partecipa alla produzione del progetto espositivo collettivoOltre la CENA, un’ULTIMA SCENA con la collaborazione dell’Institut françaisMilano, quale testimonianza di una capacità di fare sistema,anche internazionale, di ‘contaminare’ con la cultura e di sprigionare energiadavvero impensabile fino a pochi mesi fa. Il progetto, che propone una letturacontemporanea dell’Ultima Cena di Leonardo, si inserisce nella programmazionedell'HUB LEONARDO per la valorizzazione del patrimonio culturale legatoal genio leonardesco, attraverso percorsi multimediali e interattivi,approfondimenti storici e artistici, e servizi al pubblico che Fondazione Stellinepromuove, investendo sulla valorizzazione del patrimonio culturale.Ogni collaborazione volta alla promozione verso un pubblico sempre più ampiodi interessati è per noi un'attività da sostenere con convinzione perchéè anche grazie al fare sistema tra enti, istituzioni e realtà diverse che si diffondeconoscenza, in questo caso conoscenza culturale e artistica del mondo diLeonardo, genio indiscusso della storia non solo italiana ma del mondo intero".

PierCarla DelpianoPresidente Fondazione Stelline

Provo sempre molta ammirazione di fronte al coraggio di coloro che esconodall'ordinario, che offrono uno sguardo nuovo, diverso quando si esprimonoattraverso l'arte; un'impresa non immune da rischi di questi tempi.E' proprio incrociando gli sguardi e lavorando al di là delle frontiere che lediverse culture si rinnovano; è aprendo le porte allo straordinario che possiamoessere testimoni dell'affacciarsi di nuovi talenti che mantengono vivo un ampiodialogo culturale europeo e mondiale nell'arte. Cosa sarebbero le nostre vitesenza tutto questo! L'arte fa parte del nostro quotidiano benché molto spessosia difficile rendersene conto. L’Institut français Milano è felicedi poter accogliere la mostra “Oltre la CENA, un’ ULTIMA SCENA “,un bell'esempio di creatività fuori dalle regole, ispirata e ispiratrice al contempo,di grande qualità.Un sincero ringraziamento a tutti coloro che ce l'hanno offerta!Un grazie anche alla Fondazione Stelline con la quale non condividiamosoltanto la sede ma anche idee ed eventi il cui contributo alla vita culturalemilanese resta innegabile.

Olga Poivre d’ArvorDirettrice dell’Institut français Milano

Il progetto reinterpreta un'opera d'arte emblematica, l'Ultima Cena di Leonardo,provando per una volta a guardare "oltre" quella scena tante volte rappresentata;un percorso espositivo e performance che mette in scena il Cenacoloin chiave contemporanea, creando una s-cena scomposta che lo spettatorericompone nel proprio immaginario in uno spazio-tempo di un rito comune.Il percorso, costituito da opere di artisti differenti, non racconta ma condivide,non chiude le forme e i significati, ma cerca ciò che è vivo nella sua bellezzacontraddittoria del tragico e del sublime.“Lo sguardo e la scena, il corpo e la parola, l’oggetto e il tempo,l’opera e lo spettatore: rappresentazione o rito? “

Oltre la CENA, Un’ULTIMA SCENA, oltre ad essere un progetto che cercadi dialogare con l’artista più ecclettico della cultura europea, nasce dal desideriodi creare un rapporto dialettico e creativo fra artisti e intellettuali.Arte, filosofia e scienza, un trinomio che genera una molteplice riflessionesul cammino dell’uomo sulla terra, in un mondo dove i confini fra le scienzee le arti sono sempre meno evidenti. Questo primo appuntamento miraalla creazione di un ponte tra la sfera della ricerca scientifica, il mondodella produzione culturale, intellettuale, artistica e tecnologica e quellodella comunicazione. Esso crea interconnessioni al fine di facilitare scambiintellettuali, sperimentali ed esperienziali, fra i differenti partecipanti,per la valorizzazione di un patrimonio comune.ll progetto costituisce un primo passo di una rete di partner internazionaliattorno al tema del patrimonio culturale europeo; un’armoniosa composizionedi contributi di diversi, attori operanti in ambiti complementari ma differenti,in diverse aree geografiche, tutti sono parte integrante di un'Europain costante crescita intellettuale, scientifica e culturale.I partner del progetto, Institut français Milano, Fondazione Stelline Milano,T.ART Milano, Politecnico di Milano, Dipartimento di Design e Koinetwork-GeieParis, hanno condiviso una visione che valorizza il patrimonio culturalee scientifico, mettendo in valore un’identità indispensabile alla costruzionedi una cittadinanza che ci porti a riflettere sull’esistenza di una natura umanacomune e transculturale.

Caminante, son tus huellas / el camino, y nada mas ;/ caminante, no hay camino,/ se hace camino al andar »Machado

Maria Cristina MadauDirettrice artistica, T.ART

> Ricominciare da Leonardo

Luciano Crespi

Che cosa può unire l’Ultima cena di Leonardo ad alcuni oggetti allegorici in ceramica,a tredici sedie progettate da altrettanti designer, a delle videoinstallazioni, a delle opere materiche,a una performance d’arte, a un dipartimento di design del Politecnico di Milano?E tutto ciò con la complicità dell’Institut francais di Milano e della Fondazione Stelline?Certamente una buona dose di spericolatezza da parte di chi l’ha pensato. Ma soprattutto, da unlato la peculiarità del design italiano, ed in particolare di quello milanese, che nelle sue espressionipiù innovative si è sempre caratterizzato per la capacità di esplorare territori al confine conl’universo delle arti, basti pensare alle esperienze dei Radical, di Memphis, di Alchimia, mai appiattitesu una visione funzionalista e utilitaristica del progetto. Dall’altro lato il fatto che sia propriodalla Francia che oggi arrivano le riflessioni più seducenti, caratterizzate da un approcciomultidisciplinare, in molti ambiti della ricerca in campo sociale, penso all’antropologia, agli studistorici, alla psicanalisi, alla filosofia, e in particolare in quello delle arti. Quelle di Nicolas Bourriaud,per esempio, costituiscono un vero punto di svolta nel campo della critica del sistema delle arti,a partire dalle teorizzazioni sull’estetica relazione sino alle più recenti riflessioni su ciò che definiscealtermodernità come tappa di un processo destinato al superamento del multiculturalismopostmoderno e all’affermazione di un pensiero nomade, “che si organizzi in termini di circuitie sperimentazioni, e non di installazione permanente”. Non è questa in fondo la stessa direzionenella quale sta andando il design contemporaneo? Vale a dire quella di operare all’internodi un mondo dominato da una forma di economia globale che finisce per determinare uno spazioricco di differenze, qualcosa di simile ad un labirinto all’interno del quale chi abita lo fa alla manieradel viaggiatore che, coinvolto dal flusso delle esperienze, transita da una stanza all’altradisegnando a terra percorsi labili e provvisori. Insomma se a prevalere è quella cheUmberto Galimberti ha definito “etica del viandante” che, a differenza del viaggiatore,aderisce di volta in volta ai paesaggi che incontra, al design spetta il compito di immaginarescenari provvisori, destinati ad un uso temporaneo, ottenuti con mezzi reversibili.

Tutto ciò, tuttavia, non deve impedire al progetto di affrontare il compito, apparentemente inaudito,di praticare il terreno del provvisorio senza per questo rinunciare ad esplorare la profondità,ad attribuire senso alle cose. E’ dal mondo della ricerca filosofica che viene un prezioso aiutoad affrontare la questione. E in particolare da Hans Georg Gadamer che, nel suo testoL’attualità del bello, trattando dell’esperienza del tempo attribuisce all’arte la capacità di“arrestare il tempo”, in quanto la sua essenza “consiste nell’imparare ad indugiare”.Della medesima natura di tempo liberato dal suo essere “tempo per qualcosa”, quindi in ultimaanalisi tempo vuoto, è l’esperienza della festa, che dunque, al pari dell’arte, può essere intesa cometempo pieno o anche tempo proprio. Perciò l’evento provvisorio, effimero, il dispositivo temporaneo,possono affrancarsi dal marchio di “generi minori” per riscoprire la “metafora dell’eternità”,il valore del simbolico e sperimentare così la libertà di rappresentare la vita in un tempo proprio,sottratto al tempo vuoto del “non avere mai tempo”, al pari appunto di ogni pratica artistica.Così come l’arte sembra avere trovato, per citare ancora Bourriaud, “i mezzi per resisterea questo nuovo ambiente instabile”, anche il mondo del progetto deve saper costruire nuovistili di pensiero per far fronte alle sfide della contemporaneità.E poi c’è Leonardo. Chi meglio di lui poteva offrire l’occasione per cominciare a lavoraread un progetto destinato ad andare oltre questa mostra e indirizzato a gettare le basi di un ambiziosoconfronto tra culture, in cui vengano messe in discussione le presunte identità disciplinari egeografiche e siano aperte nuove strade capaci di formare reti, scardinare muri, aprire mondi.Non fu lui ad aprire la strada ad una moderna interpretazione del rapporto tra arte e scienza?Non rappresenta forse il Cenacolo, come ha scritto Pietro Marani, “l'apice dell'attività artisticae scientifica di Leonardo”, dove “ha condensato tutti i risultati dei suoi studi: dall'ottica e dallascienza prospettica, alla meccanica, all'acustica”? E non è stato Leonardo a mettere al centrodella sua pittura il tema della “mutazione”, dell’instabile, di ciò che “si va trasmutando”,tanto che la sua pittura, nota Mario Pomilio, pare misurarsi con “attimi d’altissima sospensione”sui quali “incombe la coscienza della qualità effimera del reale”? Tornare a lui non è dunquesolo esercizio storiografico, ma ricerca della attualità della sua opera.Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1515 a Melegnano e a San Giuliano Milanese si combatte unabattaglia poi chiamata da Guicciardini “Battaglia dei giganti”, che vede le truppe di Francesco Itrionfare contro le armate svizzere e, di conseguenza, il Ducato di Milano riportato sottoil controllo della Francia: esattamente cinquecento anni e un giorno fa, rispetto all’inaugurazionedi questa mostra. Anche questa è una curiosa coincidenza. Ora però, che tra francesi e milanesinon si combattono battaglie armate sembra venuto il tempo di provare insieme a lanciaredelle sfide al resto dell’Europa sul terreno della ricerca di nuove forme di identità capacidi contrastare lo sradicamento dell’individuo dal proprio ambiente. Il problema è riuscirea farlo pensando non ad un ritorno ai localismi, alle difese dei confini, ma al contrarioalla moltiplicazione delle contaminazioni, delle opportunità e delle appartenenze.

> Il Cenacolo di Leonardo: il manifesto della “maniera moderna” tra teatralità e naturalismo.

Pietro C. Marani

Fin dal momento del suo scoprimento, e appena ultimato ( lo era sicuramente il 9 febbraio del 1498 ),il Cenacolo di Leonardo dipinto nel Refettorio di Santa Maria delle Grazie dovette suscitareun’emozione profonda nell’animo dei riguardanti. Apparve come un’opera totalmente nuova,che scardinava i principi dell’iconografia tradizionale. Era monumentale, con le figure di Cristoe degli Apostoli più grandi del naturale. La scena era inserita in una prospettiva dipinta che nonsolo prolungava la stanza reale nello spazio illusorio e che le dava profondità incredibile, ma chefaceva anche in modo che i personaggi sembrassero appartenere allo spazio reale del Refettorio,catapultandoli al di qua della parete e facendoli partecipare alle azioni reali ( prendere i pasti )o contemplative o spirituali che si svolgevano nella sala. I resoconti dei primi testimoni oculari,come Luca Pacioli, ci dicono inoltre dell’eccellenza di Leonardo nell’aver raffigurato personaggi“a cui solo el fiato par che manchi”, che sembravano “vivi” e che pareva parlassero.E poi della perfezione della prospettiva e del disegno. Ma sono soprattutto le testimonianze fraQuattro e Seicento a parlare di una pittura “miracolosa”. Matteo Bandello, nipote del priore delleGrazie, che aveva visto di persona Leonardo partirsi da Corte Vecchia ( dove preparava il Cavalloper il Monumento Sforza ) venire alle Grazie e dare due o tre colpi di pennello al giorno sulla paretedel Refettorio e poi correr via a mezzogiorno, quando “il sole è in Lione”, e andare altrove, definiva,cinquant’anni dopo, il Cenacolo “miracoloso e famosissimo”. La tradizione fu tenuta viva nel corsodel Cinque e del Seicento, oltre che dal Vasari ( che lodò la fattura della tela di lino dipinta sullatavola, al punto che la sua “realtà” superava la natura stessa ), da una folta schiera di estimatorilocali, come il Lomazzo ( “una delle maravigliose opere di pittura che giammai in alcun tempo fossefatta da alcuno pittore, per eccellente che fosse”, 1584 ), o Carlo Torre ( il “Cenacolo di Cristo, ..un Sole sull’ultime ore del giorno, i cui cadenti raggi, se non appaiono risplendenti, danno perònotizia d’essere stati lucidissimi”, 1674 ), o ancora, più tardi, dal pittore Andrea Appiani ( “dipintoa olio su muro dal divino Leonardo da Vinci”, 1802 ) fino all’età contemporanea.Furono anche i viaggiatori stranieri a rimanere colpiti dalla “verità” e dalla naturalezza di questapittura e a diffonderne peciò la fama in Europa. I più grandi pensatori e scrittori europeidel Cinque all’Ottocento, e persino nel clima dei Lumi e in età romantica, hanno compiuto qui illoro pellegrinaggio, quasi adempiendo a un rito e quasi in ossequio a quella definizione ( “miracolosoe famosissimo” ).Un celebre viaggiatore francese del Cinquecento, Pasquier le Moine, ad esempio,vi osserva una natura morta sulla tavola “fatta naturalmente e non artificialmente” così chetutta la composizione gli appare ( poco prima del 1520 ) “une chose par excellence singulière”.

Furono forse questi caratteri di naturalezza e riproduzione oggettiva del naturale ad esercitareuna grande influenza sul giovane Caravaggio che, da giovane, avrà sicuramente osservato la naturamorta sulla tavola, le trasparenze delle brocche e dei vetri e i riflessi di luce sui piatti,ma anche la forte gestualità dei personaggi, al punto da citarne almeno uno ( quello con le bracciaspalancate ) nella sua giovanile Cena in Emmaus ( ora nella National Gallery di Londra ).Ancora sul versante dei visitatori francesi, André Félibien, un secolo dopo, osserva che Leonardosi era addentrato talmente nelle passioni e nei sentimenti umani più riposti e segretiche le sue pitture rivelavano appieno questo studio.Ma anche le persone non particolarmente versate nelle arti e anche solo i devoti e gli uominidi fede, non potevano non essere colpiti dalla straordinaria concatenazione di sentimenti e di “moti”che scaturiva dalla mossa e dinamica composizione di Leonardo: dodici personaggi che animatamentereagiscono alle parole di Cristo, l’unico quasi immobile dopo aver indicato il pane e il vinosulla tavola, ma che ha anche appena finito di pronunciare le parole “uno di voi mi tradirà”,come in un fermo immagine o in un fotogramma filmico ante-litteram. O meglio, teatralmente e piùstoricamente parlando, mettendo in scena un tableaux vivant. Più tardi Stendhal vi noterà “unarara nobiltà nel disegno… tonalità tenere e malinconiche, ricche di ombre, senza smalto nei coloribrillanti che, se non fossero esistite, avrebbe dovuto inventarle per un siffatto soggetto” ( 1817 ),mentre Goethe osserverà come Leonardo “seppe infondere nel suo lavoro un’intensa emozione eun’attiva vitalità, e che, mentre restava il più possibile vicino alla natura, allo stesso tempo creavaun contrasto con le scene della vita reali immediatamente circostanti” ( 1817 ). Ma è soprattuttoil celebre scrittore inglese, Henry James, a chiarire, forse per la prima volta, e ormai dopo la metàdell’Ottocento, le ragioni di tanta fascinazione esercitata sui viaggiatori che venivano dal NordEuropa: “Fra tutti i dipinti italiani l’ Ultima Cena di Leonardo, a Milano, è incontestabilmente quellache desta la più profonda e severa emozione. La sua straordinaria solennità è da ascriversi, nonv’è dubbio, al fatto che questo è il primo dei grandi capolavori che s’incontrano venendo dal Nord.Altro motivo d’interesse sta proprio nel suo assoluto abbandono… Niente testimonia in modomigliore la bellezza intrinseca dell’opera se non il fatto che, pur avendo tanto perduto, essa hatuttavia tanto mantenuto” ( 1870 ). Abituati a considerarci al centro dell’Europa, ci dimentichiamoche, per un europeo del Nord, Milano è l’ingresso all’Europa del Sud ( e infatti il grande AndréChastel, francese, intitolò il suo affresco dell’arte italiana del Quattrocento Renaissance méridionale ).James introduceva quindi anche il concetto romantico che la decadenza fisica della pittura murale( non un affresco, ma una pittura a secco su muro, cioè una tempera, cosa che spiegala decadenza dell’opera a meno di venti anni dal suo compimento e il suo progressivo disfacimento )contribuiva al suo perenne e sempre rinnovato fascino. Il concetto del Cenacolo come anteprimadell’ arte centroitaliana fu ripreso modernamente da Ernst Gombrich che, dalle pagine fortunatedella sua Storia dell’arte, ha reinserito il Cenacolo di Leonardo nel flusso della grande arte italianadel Rinascimento, come fosse il tassello di un ideale Grand Tour : “Se poi ci si astrae dalla bellezzadella pittura, improvvisamente ci si trova di fronte a un frammento di realtà concreto eimponente non meno di quelli offertici dalle opere di Masaccio e Donatello” ( 1950, ed. 1974 ).Oggetto di ben dodici restauri in tre secoli, il Cenacolo rinnova ad ogni generazione il suo messaggioe rimane fonte di ispirazione inesauribile anche per gli artisti del Novecento e per l’arte contemporanea,da Andy Warhol ad Andres Serrano, da Marisol a Daniel Spoerri fino ai nostri giorni.

> Mangiare come rinascita

Barbara Formis"Université Paris 1, Panthéon-Sorbonne

& Institut ACTE, CNRS"

1.Mangiare non è una cosa evidente.Pensate ai momenti di dubbio, tra gli scaffali di un supermercato, quando si è persidavanti alla diversità dell'offerta, incerti della scelta.Mangiare è un'attività complessa e affascinante.Si prova esaltazione, sorpresa, angoscia, paura o repulsione.Tutto ciò non è evidente.L’evidenza è l'accordo immediato dei sensi e della ragione, il pieno assenso dello spirito,la verità manifesta.Mangiare incita alla diffidenza.Dove lo hai comprato? Sei sicuro che non ci siano OGM? É pesce pescato o d'allevamento?Da che paese arriva?Sempre la stessa separazione tra il noto e l'ignoto, la tracciabilità e l'occulto,come se questo cibo, poggiato qui sotto i nostri occhi, nel nostro piatto, potesse, tutto d'un tratto,manifestarsi in tutta la sua verità.Perché? Perché l'alimentazione è sempre stata legata a delle attività di sacrificio. Secondo i ritualigreci e romani, per esempio, il sacrificio della carne agli Dei era una maniera di discolparsi di frontea un atto cannibale, poiché la carne animale era identificabile a quella degli uomini.L'eucarestia è la ripetizione di questo rito ancestrale. Una comunione di carne e spiritoche passa attraverso il sacrificio.2.C'è un'identificazione profonda tra l'essere vivente e l'alimento, tra il corpo e il cibo.Della relazione tra sé stessi e l'alimento se ne potrebbe parlare come sul paradossodell'uovo e della gallina.Il mio corpo viene prima o dopo l'alimento ? Come ci può essere un alimento senza un corpoche lo ingerisce e lo assorbe ?Ci sono due possibilità per uscire da questo paradosso: la logica della possessione o quella dellaprocreazione. Mi spiego :Se si segue la logica della possessione, il cibo è un corpo estraneo che introduco nel mio corpo.É un oggetto che mi manca, di cui ho bisogno, una entità che devo assimilare per rinnovareil mio essere, recuperare le energie perdute e ricaricarmi. Ho necessità di un certo numerodi calorie al giorno, un certo numero di vitamine, di proteine, di carboidrati, di zuccheri,di grassi, altrimenti potrei ammalarmi, o morire.Secondo l'ottica della possessione il cibo mi sostiene, esattamente come il sonno,il suo apporto è prima di tutto quantitativo. Ecco perché io posso, io devo, possederlo.

Se si segue, invece, la logica della procreazione, il cibo cessa di essere una cosa materiale,il suo apporto non è più semplicemente quantitativo ma diventa qualitativo: esso diventa un'entitàattiva che fa parte della crescita e cambierà il mio corpo dall'interno.Una relazione si stabilisce questa volta tra il mio corpo e il cibo, si tratta di un incontro tra duematerie (il mio corpo e il cibo), le quali producono un'energia che noi chiamiamo “alimento”.A pensarci bene, il cibo non è un elemento estraneo, un elemento economico della mia sopravvivenzacome una ricarica di batterie. L'alimento non è un prodotto, una cosa, un oggetto,poiché è già il mio corpo.Ho procreato l'alimento poiché io trasformo il cibo in energia, esattamente come l'alimentomi ha procreato, poiché mi forma dall'interno.3.L'alimento è il procreatore di colui che mangia, esattamente come la persona che porta il suo corpoa mangiare in modo che il cibo divenga un alimento.Non esiste cibo vero senza che esso sia mangiato, non esiste un vero corpo senzache esso sia nutrito.Mangiare è un'attività del desiderio, più che di un desiderio altrui: un desiderio di partorireme stesso nell'infinito e l'eterno attraversando un sogno di immortalità.L'alimento è il bambino che ho generato dal cibo. Nessun rapporto di gerarchia, di potereo possessione, ma un rapporto d'identità tra me stesso e il cibo.La chimica opera la trasmutazione dal concreto all'effimero, la materia tangibile diventa volatilee si fa fonte. Essa diventa la prima sostanza dell'atto di vita. Si presenta come il passaggiodal biologico allo spirituale, come se l'energia non fosse il semplice risultato della trasformazionedella materia prima, ma piuttosto il risultato di un incontro tra due materie, come se questa energiasia stata creata e non semplicemente trasformata tramite l'associazione del mio corpo al cibo.Mangiare è creare.Mangiare è una forma di rinascita.La mela che sto mangiando adesso ha già fatto parte di me nel passato, perché io sonoanche l'altra mela che ho mangiato tre giorni fa, o tre anni fa...Non sarei potuta esistere se non avessi avuto tutta una serie di alimenti che mi hanno costituito,uno per uno, meticolosamente, fin dalla mia nascita.4.La melaEssa è il simbolo dell'amore e del tradimento, è il frutto del peccato e della santità, essa cristallizzal'ambiguità di un dono crudele e avvelenato. La mela è il frutto della contraddizione.É a causa di una mela che l'umanità avrebbe perso la sua immortalità, ma è mangiando una melaal giorno che si suppone ci si possa mantenere in buona salute.É una mela rossa e brillante che la strega gelosa offre a Biancaneve per farla caderenel sortilegio di un sonno profondo, ma è una mela d'amore quella che i bambini si offrono tra loroper dichiarare i loro sentimenti.In tutta la sua apparente semplicità naturale, la mela riassume alcune delle ambiguità piùresistenti della nostra cultura: il fascino del male, l'aspirazione alla bellezza, l'identificazionetra l'amore e la verità e il sentimento d'ingiustizia che disturba le relazioni umane.

> La cena è finita

Il canone inverso dei tableau vivant Chiara Gatti

Una storia può avere tante versioni quante sono le persone che la raccontano. Anche la storiadell'ultima cena di Cristo. Tramandata, narrata, spiegata, interpretata, arricchita nei secoli di dettagliogni volta diversi, di chiose ed esegesi pronte a scavare dentro i vangeli come in un giacimentodi segni e significati.In un brano finale del bellissimo libro di Emmanuel Carrère, Il regno, è illustrata, per esempio,la splendida scena del lavaggio dei piedi, trascritta da Giovanni. Gesù si china, nella posizione delloschiavo, per dimostrarsi più umile dei suoi discepoli. Giotto lo dipinge nella Cappella degli Scrovegnidi Padova con colori e gesti baciati dalla grazia. È interessante scoprire, nelle parole dell'autorefrancese, una prospettiva differente. Giovanni spinge sul tema dell'autentica devozione versogli altri. Carrère aggiunge un tassello di straordinaria umanità, legato al linguaggio del corpo,oltre a quello dello spirito. Il corpo si piega nell'atto della lavanda; il contatto fisico sigla un'unionedel cuore. La pelle è una membrana osmotica attraverso la quale passa la parola di Dio.L'arte contemporanea si è spesso allineata alla posizione e al metodo di Carrère. Ha cercato neltempo di indagare aspetti inediti della rappresentazione; nella maggior parte dei casi concentrandosisulla citazione massima del Cenacolo che è stata data da Leonardo. Dai “tableaux pièges”,i quadri-trappola costruiti con elementi sopravvissuti ai pranzi da Daniel Spoerri, attratto dal valoreantropologico delle scodelle, fino alle incredibili macchine sceniche di Peter Greenaway, che conla sua regia invasiva ha bucato lo spazio e la prospettiva, rompendo ogni barriera fra mondo realee immagine, fra verità sensibile e scrittura antica, si potrebbe ripercorrere la lunga storia di unacena moderna, insaziabile. Tanto che proprio “l'ultima scena”, promossa dalla Galleria dell’Institutfrançais Milano e la Fondazione Stelline, è riuscita a trovare altri, imprevisti, motivi di riflessione.A partire dalla luce. Quella che invade uno spazio algido, penetra dalle finestre come un fasciomistico e s'irradia dal lightbox di Sara Badr Schmidt, una finestra aperta sul cielo, uno spazioritagliato nello spazio, una fuga dello sguardo verso l'alto, verso l'infinito. In sala tutto tace.Indizi di un convivio allegorico sono sparsi nel vuoto e la regia di Maria Cristina Madau zoomasulla potenza arcaica degli oggetti. Le sedie, i piatti, le spezie. Si sente odore di curry nell'aria.È acre. Il banchetto è pronto. Mancano i commensali. Lo sguardo gira intorno.Si posa sui simboli della passione tracciati nella terra cruda da Ugo la Pietra: il pesce, il sangue.E poi sulle parole impenetrabili dei messali neri, come la notte della redenzione,di Jean-Marie Barotte; sulle trine, i tessuti di garza, i sudari ricamati di Max Bottino.L'assenza è zeppa di attesa. Le sedute disseminate ovunque bramano ospiti muti, attoniti.

David LaChapelle, in una famosa fotografia del 2003, Jesus is my homeboy. Last supper,ritrasse gli apostoli immersi nell'atmosfera lisergica di un simposio hippy, calando nel presente lacomunione del pane, ma azzittendo tutti, raggelati da una dichiarazione lapidaria.L'annuncio dell'infedeltà. «Uno di voi mi tradirà». Attorno a queste parole “l'ultima scena” costruisceun tableau vivant improvvisamente chiassoso. Un rumore sordo di dubbi, domande, accuse, paureriempie lo spazio, abitato dai movimenti inquieti dei discepoli che si trascinano da una parte all'altradi un tavolo, senza basamento, fluttuante nel vuoto, specchio del suo tragico destino.Un colpo di teatro evoca iconografie antiche (da Andrea del Castagno a Tintoretto) e non perdedi vista il canone classico, l'unità del tempo e dell'azione che anche Leonardo sigillò nella suascatola prospettica. Un canone fatto di ritmi esatti, parole rimbalzate come note su uno spartito,alti e bassi della voce e delle braccia sullo sfondo di un banchetto profumato di sapori mediorientali.Se, nel Cenacolo delle Grazie, il palpito della composizione segue quello degli oggetti, pani e limoni,piatti vuoti e pesci bolliti, in quest'ultima-ultima cena l'accento cade – come per Carrère –sul dialogo fra corpo e parola. Il sale piove a terra, la mano lo disperde, un lamento lo accompagna.Il dolore diventa una danza. Un'energia ancestrale aleggia fra la terra il cielo, fra la tattilità dellamateria, i moti dei fluidi, i bagliori repentini, le coppe immaginarie, icone di un nutrimento assoluto.La sorte dell'umanità è racchiusa in un gesto. Trascina il pubblico dentro il quadro, dentro il tableau,per diventare a sua volta testimone dell'annuncio; tacciato di tradimento o assolto per amore.Fine primo atto.Il secondo, com'è nelle vene dell'arte contemporanea – che, oltre a raccontare, commentao provoca – mette in scena un banchetto di potenti. Le diner des Grands. Il canone di tuttoil racconto s'inverte imprevedibilmente. Viene in mente quell'ultima cena fangosa, marcia edecomposta, creata da Andres Serrano per farci riflettere sugli sprechi e le reali necessità.Qui il marcio coincide con un perbenismo affettato. I manti colorati degli apostoli si sono trasformatiin giacche per uomini d'affari. La narrazione, proprio come un canone inverso, procedecon un moto contrario rispetto alla dimensione di senso profondo del sacro convivio.Lo spettatore è spiazzato dal cambio di registro, ma il messaggio è chiaro: l'alimentazione veraè quella della mente e della sua memoria; non certo quella dell'apparenza e della gratificazione.Il nuovo tableau è un tragico gioco di specchi che ci pone di fronte ai vizi del capitalismo.Il corpo, in questo caso, è tutto politico. Le parole sono vacue come la catena di gesti spezzati,il ritmo insabbiato nel fruscio caotico di una conversazione poliglotta, nonsense.«Delizioso» dice uno. «Meglio i diamanti» risponde l'altro, mentre qualcuno balla canticchiandoChiquita Madame di Joséphine Baker. Carne e spirito ora viaggiano davvero in direzioni opposte.La pelle è diventata impermeabile. La parola di Dio non penetra più verso il cuore, resta incastrataai colletti inamidati e ai nodi delle cravatte. Il rito religioso perde la magia arcana delle origini,sacrificato a un rituale modaiolo inconsistente.Ciò che non cambia – ahinoi – è la fine di questa storia. Comunque vogliate raccontarla,sempre al tema della morte si arriva, a cui le interpretazioni non concedono margini di fantasia.I dettagli sono ridotti all'osso. Da un lato, il gallo canta, come pronostico del tradimento di Pietro.Una voce si alza stridula nel silenzio che raggela il sangue. Dall'altro lato, le cravatte diventanocappi al collo di convitati ambiziosi. Nessuno disposto a inginocchiarsi per lavare i piedi al servo.Gli oggetti restano testimoni di un dramma annunciato. Sedie, scodelle, spezie tornano a galleggiaresolitari nella stanza vuota che rimbomba. Per terra, tutti i resti dell'abbuffata. La cena è finita.

> MARIA CRISTINA MADAU

Il Cenacolo di Leonardo:la vita senza fine di un capolavoro.Video-ritratto a Pietro Marani I 2015

Produzione post-produzione Domenico Palma

> MARIA CRISTINA MADAU

Manger comme renaissanceVideoritratto a Barbara Formis I 2015

Produzione post-produzione Domenico Palma

> SARA BADR SCHMIDT

Il sole non si muove, Tuscany, Italy I 2015

light box - digitalpicture printed on canvas.

"ll sole non si muove”

tratto dai taccuini di Leonardo da Vinci.

Le tredici sedie a cura di ghigos ideas

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> GESU' CRISTOAlessandro GuerrieroSedioSangalli Arredamenti

fotografia di Max Falsetta Spina

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L'ultima cena: pane e vino I 2015

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Ceramiche Puzzo (Milano) e decorate a mano dall'autore;

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e decorati a mano dall'autore.

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< MAX BOTTINO I Matrice I 2015Tulle e ricamo in filo di cotone

un’ULTIMA SCENA

Kawé kmon yé né glaé ?(Cosa sarà il mondo ?)

Video dalla performance Un’ultima scena.

Testo liberamente tratto da

‘La chair de l’homme’ di Valère Novarina.

Citazioni di:

Rabbi Mendel de Kotsk, Madame Guyon,

Rimbaud, Heidegger, Saint Augustin,

Hallâj, Saint Jean de la Croix,

Saint Jean, Alfred Jarry.

Regia di

Maria Cristina MadauMusiche di

Christophe Eveillard-DalbanCostumi di

GioMilesProduzione e post-produzione video

Domenico Palma

Performers

Armando BenettiMax Bottino

Marinella CrespiEnzo Di Paola

Rufin Doh ZeyenouinLivio Ghisio

Gianluca MischiattiAlfie Nze

Marco PannoAntonio Porretti

U L T I M A SC E N Au n ’

O LT R El a C E N A

G A L L E R I AD E L L’ I N S T I T U T F R A N Ç A I SM I L A N O

1 6 > 3 0 S E T T E M B R E 2 0 1 5

Progetto di

In collaborazione con

Con il contributo di

Un evento

Tasting partner

Progetto di Maria Cristina Madau - T.ART

In collaborazione con Institut français Milano e Fondazione Stelline

Con il contributo di

Luciano Crespi, Barbara Di Prete; Agnese Rebaglio - Dipartimento di Design - Politecnico

di Milano; Ghigos Ideas; Koinetwork - Paris

OLTRE la CENA - Artisti visivi

Sara Badr Schmidt, Jean-Marie Barotte, Max Bottino,

Ugo La Pietra, Maria Cristina Madau.

Video-ritratti con: Barbara Formis e Pietro Marani

Un’ULTIMA SCENA regia di Maria Cristina Madau,

musiche di Christophe Eveillard-Dalban, costumi di GioMiles.

Performers: Armando Benetti, Max Bottino, Marinella Crespi, Enzo Di Paola, Rufin Doh

Zeyenouin, Livio Ghisio, Gianluca Mischiatti, Alfie Nze, Marco Panno, Antonio Porretti

LE TREDICI SEDIE progetto a cura di Ghigos ideas; promosso da Comune di Lissone,

in collaborazione con: APA Confartigianato Imprese Lissone, Camera di Commercio

Monza e Brianza; Designer: PG Bonsignore, CTRLZAK, Lorenzo Damiani, Ghigos Ideas,

Alessandro Guerriero, Gumdesign, Joe Velluto, Alessandro Marelli, Elena Salmistraro,

Brian Sironi, Sovrappensiero, Alessandro Zambelli

Artigiani realizzatori LE TREDICI SEDIE

AC; Arosio Carlo di Arosio Luca & C.; arredamenti PEREGO1963; 2B di Borsato Gabriele

& C.; Cazzaniga Silvano Mariangelo Domenico; Cereda Softline; Citterio F.lli di Lucio,

Gianfranco & C.; Dassi Albano di Dassi Fausto & C.; Galbiati Natale & Figli, GD di

Valter Guidetti & StefanoDessi; GV di Villa Gianluca, M.I.A.; PROMA Provasi Mobili

Arredamenti; Sangalli Arredamentidi Sangalli Fabio, Carlo & C.; Sanvito Arredamenti

di Alberto Luca e Stefano; Con la collaborazione di: Italvetrine; LAMAR di Caspani

Gilberto; SEREGNI SEDIE di Marco Seregni

Organizzazione, coordinamento progetto e allestimento:

Reiner Bumke, Alessandra Klimciuk e Michele Pili

Produzione e post-produzione video: Domenico Palma

Institut français Milano

Direttrice

Olga Poivre d’Arvor

Responsabile delle attività culturali

e artistiche

Michele Pili

Responsabile per la missione Expo2015

Chiara Finadri

Comunicazione

Marie Galey

Ufficio stampa

Federica Corsi

Traduzione testi originali in francese

Laura Bellandi

Tecnico

Gianluca Mariano

Fondazione Stelline Milano

Consiglio di Amministrazione

PierCarla Delpiano Presidente

Maurizio Salerno Vicepresidente

Clara de BraudCamillo FornasieriMaria Carla Giorgetti

Direttore

Pietro Accame

Direzione e coordinamento mostre

Alessandra Klimciuk

Organizzazione

Elena CollinaFrancesca Radaelli

www.stelline.it

Catalogo a cura diT.Art

Art Director immagineMax Bottino

Fotografie diPino Montisci

StampaLorem IPUSUM