oldberg G - Marsilio Editori · 2016. 5. 24. · oldberg Alla Festa della Cultura di Racalmuto il...

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LA STAMPA DOMENICA 22 MAGGIO 2016 . 23 GIAMPAOLO MANNU GIAMPAOLO MANNU GIAMPAOLO MANNU GIAMPAOLO MANNU C arin Goldberg è una fa- mosa graphic designer newyorkese da film di Woody Allen. Brillante, gesti- colante, minimale nel vestire ma non un dito senza anello, è una gioiosa fan del cimitero Monumentale di Milano. Ha disegnato prime pagine del New York Times, copertine di riviste come il New Yorker e Time, di dischi come il primo album di Madonna, di libri per tutte le case editrici ame- ricane più importanti. La sua copertina dell’Ulisse di Joyce per Random House del 1986 è considerata un cult del desi- gn postmoderno. Ogni anno va in giro per il mondo a cac- cia di caratteri tipografici nuovi e particolari che la ispi- rino per i suoi lavori. E in Ita- lia la sua miniera di «font» so- no le lapidi dei milanesi, anti- chi e moderni, «sciuri» e par- venu, uomini donne pargoli della nobiltà e di tutte le sfu- mature dell’alta-media-pic- cola borghesia. Da quelle tombe ha tratto caratteri «sans serifs» d’epo- ca fascista e della propaganda Anni Trenta, arzigogolati Art Nouveau e Déco, sobri o pan- ciuti Anni Settanta e Ottanta. Ne ha formato un alfabeto e le lettere che nell’italiano non ci sono - J K W - le ha prese dai monumenti delle famiglie te- desche. Al lettering del Cimi- tero Carin ha così dedicato una collezione, un set di 30 timbri dal titolo Monumentale (Corraini Edizioni). L’abbiamo incontrata al Mimaster, scuola d’eccellenza nel campo dell’illustrazione dove ha tenuto un workshop per disegnare con gli studenti una copertina per la Penguin classics. Il giorno prima, na- turalmente, era stata al Mo- numentale. Diluviava, ma lei dice che il bello è questo: «An- darci con la pioggia la neve il sole o il vento è un’esperienza all’autorappresentazione e alla espressione libera della propria individualità. «Qui tutto è stu- diato per non essere ignorato, perché chi passa davanti a quel- la tomba resti incuriosito o stu- pito e si chieda chi era quella persona? che storia ha avuto? da chi si è fatta ritrarre? I monu- menti più antichi sono più di- screti, quelli del dopoguerra competono in ostenta- zione: certe statue paio- no in posa e sembra che dicano “guardami!”. Più che un cimitero la definisce «una città dei morti» che le ricorda la sua New York. «È una cit- tà che aveva una sua struttura pianificata e poi si è evoluta nel caos, in un melting pot che mi affascina», dove l’alta so- cietà e la classe media convivono e hanno rac- contato se stesse». Il Mo- numentale, ancora, come uno «strumento con vari livelli di nar- razione» dove puoi usare l’imma- ginazione e ascoltare storie. Per questo lei ci va tutte le volte che può e si stupisce che non tutti i milanesi si rendano conto di avere a disposizione un posto magnifico. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI SARA RICOTTA VOZA MILANO Sopra una serie di immagini dei caratteri tipografici tratti dalle tombe del Monumentale di Milano e raccolte sotto forma di timbri da Carin Goldberg (nella foto) CARIN Alla LK  ricerca r  dei r Font a  perduti La grafica newyorkese ha raccolto in 30 timbri i caratteri tipografici più belli e rari del cimitero Monumentale di Milano sempre nuova e diversa». Un’avventura estetica ma an- che emotiva, spirituale e intel- lettuale. Quel cimitero per lei non è un luogo di tristezza, sem- mai di «design democracy». «Le porte son sempre aperte - sorri- de - non c’è bisogno di inviti, ci puoi andare centinaia di volte, non paghi mai e come dice mio marito architetto che ha lavora- to allo Us Pavilion, è un vero “Expo dei morti”». Le tombe co- me padiglioni dunque dove «ar- chitetti, designer e tipografi del tempo hanno creato spazi a vol- te eleganti a volte ridicoli». Ad affascinare Carin è l’evo- luzione del cimitero che da luogo sacro pianificato per la memoria e il raccoglimento si è via via tra- sformato anche in spazio pubbli- co per «veri esperimenti di Per- sonal Branding». I nomi delle fa- miglie come brand, in una gara Goldberg Alla Festa della Cultura di Racalmuto il carteggio inedito tra Sciascia e Vito Laterza Un carteggio inedito tra Leonardo Sciascia (foto) e l'editore Vito Laterza per festeggiare i sessant'anni dalla data di pubblicazione del libro di Sciascia Le parrocchie di Regalpetra. A Racalmuto, nell'Agrigentino, il 27, 28 e 29 maggio sarà «Festa della Cultura». Una tre giorni di appuntamenti in cui la fondazione Leonardo Sciascia renderà pubblico parte del tesoro che finora non è stato mai divulgato e, cioè, la corrispondenza tra lo scrittore agrigentino e Vito Laterza, l'editore che, nel 1956, pubblicò Le parrocchie di Regalpetra. La kermesse letteraria prenderà il via venerdì 27, alle 10.30, alla fondazione «Leonardo Sciascia». Ricco il calendario degli incontri e degli ospiti che saranno chiamati a far rivivere lo scrittore siciliano. Sarà presente Moni Ovadia. L'indomani, alle 18, sempre alla fondazione dedicata allo scrittore, sarà presentata la corrispondenza tra Laterza e Sciascia. Un carteggio che risale all'arco di tempo fra il 1955 e il 1959. Parteciperà il sottosegretario all'Istruzione, Davide Faraone. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Elzeviro ALESSANDRO BARBERA S e fossi un Millennial e mi trovassi in libreria a sfogliare Scegliere i vincitori, salvare i perdenti (Marsilio, €18 pp. 336), sa- rei probabilmente tentato da altro. Alzi la mano chi conosce, fra i nati dopo i Novanta, qualcuno in gra- do di raccontare cosa fos- sero l’Iri e la politica indu- striale. Oggi Facebook, LinkedIn e Twitter hanno trent’anni in tre e capitaliz- zano 850 miliardi di dolla- ri. L’Ilva di anni ne ha più di cinquanta, è ancora una delle più grandi acciaierie d’Europa eppure non vale più del prezzo pagato da Zuckerberg per comprarsi Instagram. Invece gli ot- tantatré anni di Franco Debe- nedetti sono senza prezzo: in- gegnere, dipendente delle aziende di famiglia, manager Fiat, amministratore delegato di Olivetti e Sasib, Senatore della Repubblica, presidente dell’Istituto Bruno Leoni. Scegliere i vincitori, salvare i perdenti è molto più di un li- bro contro «l’insana idea del- la politica industriale», come recita la didascalia a piè di pagina. Non è nemmeno un diario di bordo, come qualcu- no potrebbe credere leggen- do qua e là le note autobiogra- fiche. Nelle trecento pagine, lette e rilette da Debenedetti con precisione maniacale, c’è di tutto: Prodi e Keynes, Ge- neral Motors e pianificazione sovietica, Piketty e Mazzuca- to, Renzi e Merkel, Facebook prima di Facebook. «Nel 1998 Roberto Colaninno mi chiese di fondare un’università ad Ivrea, un luogo di formazione che, partendo dalla storia e dalla cultura Olivetti, inner- vasse la Telecom appena con- quistata. Gli proposi un isti- tuto di Interactive Design, il primo nel suo genere». Debenedetti coinvolse ac- cademici europei ed america- ni, ne venne fuori un centro di eccellenza per trenta studenti da tutto il mondo. Cinque anni dopo Telecom passò a Tron- chetti Provera e le stanze riar- redate da Sottsass e Zanini restarono vuote. Fra i progetti elaborati a Ivrea, uno si chia- mava «Connected Communi- ties» e somigliava al prototipo inventato da quel mediocre studente di Harvard nel frat- tempo diventato il sesto uomo più ricco al mondo. Più che un libro contro la politica industriale – la quale, per stessa ammissione del- l’autore, nei primi anni della sua storia miete successi –, il saggio di Debenedetti è un ar- gomentato atto d’accusa con- tro l’interventismo statale in tutte le sue manifestazioni. Debenedetti riporta tutto al- la distinzione di Oakeshott fra «lo Stato custode della legge che non impone fini propri, ma semplicemente fa- cilita ai cittadini il raggiungi- mento dei loro, e lo Stato che usa la legge per proprie finali- tà morali». Il primo approc- cio è quello che «nel Sette- cento fece dell’Europa un fe- nomeno senza eguali», il se- condo produsse la pianifica- zione sovietica, l’Ilva e i ritar- di di cui oggi l’Italia soffre. Nella storia del Novecento la politica industriale altro Lo Stato leggero di Franco Debenedetti non è che «il più visibile» degli interventismi statali, dunque «strumento della politica quotidiana». Oggi di quella cultura è rimasto poco, mentre è «ancora dif- fusa l’aspettativa che a ca- renze e storture dell’econo- mia possa porre rimedio solo lo Stato». La Cassa depositi e presti- ti e la banda larga, il Fondo Atlante e l’Ilva, il piano per il Sud, la società delle reti e via elencando. Le parole magi- che sono «rilevante e strate- gico», nel qual caso «l’inter- vento è decretato ex cathe- dra». Con buona pace dei mi- liardi di Zuckerberg e delle speranze dei Millennials. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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  • LA STAMPADOMENICA 22 MAGGIO 2016 .23

    GIAMPAOLO MANNU GIAMPAOLO MANNU

    GIAMPAOLO MANNU

    GIAMPAOLO MANNU

    Carin Goldberg è una fa-mosa graphic designernewyorkese da film diWoody Allen. Brillante, gesti-colante, minimale nel vestirema non un dito senza anello, èuna gioiosa fan del cimiteroMonumentale di Milano. Hadisegnato prime pagine delNew York Times, copertine diriviste come il New Yorker eTime, di dischi come il primoalbum di Madonna, di libriper tutte le case editrici ame-ricane più importanti. La suacopertina dell’Ulisse di Joyceper Random House del 1986 èconsiderata un cult del desi-gn postmoderno. Ogni annova in giro per il mondo a cac-

    cia di caratteri tipografici nuovi e particolari che la ispi-rino per i suoi lavori. E in Ita-lia la sua miniera di «font» so-no le lapidi dei milanesi, anti-chi e moderni, «sciuri» e par-venu, uomini donne pargolidella nobiltà e di tutte le sfu-mature dell’alta-media-pic-cola borghesia.

    Da quelle tombe ha trattocaratteri «sans serifs» d’epo-ca fascista e della propaganda Anni Trenta, arzigogolati Art Nouveau e Déco, sobri o pan-ciuti Anni Settanta e Ottanta. Ne ha formato un alfabeto e le lettere che nell’italiano non ci sono - J K W - le ha prese dai monumenti delle famiglie te-desche. Al lettering del Cimi-tero Carin ha così dedicatouna collezione, un set di 30timbri dal titolo Monumentale (Corraini Edizioni).

    L’abbiamo incontrata alMimaster, scuola d’eccellenzanel campo dell’illustrazione dove ha tenuto un workshopper disegnare con gli studentiuna copertina per la Penguinclassics. Il giorno prima, na-turalmente, era stata al Mo-numentale. Diluviava, ma leidice che il bello è questo: «An-darci con la pioggia la neve ilsole o il vento è un’esperienza

    all’autorappresentazione e alla espressione libera della propria individualità. «Qui tutto è stu-diato per non essere ignorato, perché chi passa davanti a quel-la tomba resti incuriosito o stu-pito e si chieda chi era quella persona? che storia ha avuto? dachi si è fatta ritrarre? I monu-menti più antichi sono più di-screti, quelli del dopoguerra

    competono in ostenta-zione: certe statue paio-no in posa e sembra chedicano “guardami!”.

    Più che un cimitero ladefinisce «una città deimorti» che le ricorda lasua New York. «È una cit-tà che aveva una suastruttura pianificata epoi si è evoluta nel caos,in un melting pot che miaffascina», dove l’alta so-cietà e la classe mediaconvivono e hanno rac-contato se stesse». Il Mo-

    numentale, ancora, come uno «strumento con vari livelli di nar-razione» dove puoi usare l’imma-ginazione e ascoltare storie.

    Per questo lei ci va tutte levolte che può e si stupisce chenon tutti i milanesi si rendano conto di avere a disposizione un posto magnifico.

    c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

    SARA RICOTTA VOZAMILANO

    Sopra una serie di immagini dei caratteri tipografici tratti dalle tombe del Monumentale di Milano e raccolte sotto forma di timbrida Carin Goldberg(nella foto)

    CARIN

    Alla LK ricerca r dei r Font a perduti

    La graficanewyorkeseha raccoltoin 30 timbrii caratteritipografici più belli e raridel cimiteroMonumentaledi Milano

    sempre nuova e diversa». Un’avventura estetica ma an-

    che emotiva, spirituale e intel-lettuale. Quel cimitero per lei non è un luogo di tristezza, sem-mai di «design democracy». «Leporte son sempre aperte - sorri-de - non c’è bisogno di inviti, ci puoi andare centinaia di volte, non paghi mai e come dice mio marito architetto che ha lavora-to allo Us Pavilion, è un vero “Expo dei morti”». Le tombe co-me padiglioni dunque dove «ar-chitetti, designer e tipografi del

    tempo hanno creato spazi a vol-te eleganti a volte ridicoli».

    Ad affascinare Carin è l’evo-luzione del cimitero che da luogosacro pianificato per la memoriae il raccoglimento si è via via tra-sformato anche in spazio pubbli-co per «veri esperimenti di Per-sonal Branding». I nomi delle fa-miglie come brand, in una gara

    GoldbergAlla Festa della Cultura di Racalmutoil carteggio inedito tra Sciascia e Vito LaterzaUn carteggio inedito tra Leonardo Sciascia (foto) e l'editore Vito Laterza per festeggiare i sessant'anni dalla data di pubblicazione del libro di Sciascia Le parrocchie di Regalpetra. A Racalmuto, nell'Agrigentino, il 27, 28 e 29 maggio sarà «Festa della Cultura». Una tre giorni di appuntamenti in cui la fondazione Leonardo Sciascia renderà pubblico parte del tesoro che finora non è stato mai divulgato

    e, cioè, la corrispondenza tra lo scrittore agrigentino e Vito Laterza, l'editore che, nel 1956, pubblicò Le parrocchie di Regalpetra. La kermesse letteraria prenderà il via venerdì 27, alle 10.30, alla fondazione «Leonardo Sciascia». Ricco il calendario degli incontri e degli ospiti che saranno chiamati a far rivivere lo scrittore siciliano. Sarà presente Moni Ovadia. L'indomani, alle 18, sempre alla fondazione dedicata allo scrittore, sarà presentata la corrispondenza tra Laterza e Sciascia. Un carteggio che risale all'arco di tempo fra il 1955 e il 1959. Parteciperà il sottosegretario all'Istruzione, Davide Faraone.

    c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

    ElzeviroALESSANDRO

    BARBERASe fossi un Millennial emi trovassi in libreriaa sfogliare Scegliere ivincitori, salvare i perdenti(Marsilio, €18 pp. 336), sa-rei probabilmente tentatoda altro. Alzi la mano chiconosce, fra i nati dopo iNovanta, qualcuno in gra-do di raccontare cosa fos-sero l’Iri e la politica indu-striale. Oggi Facebook,LinkedIn e Twitter hannotrent’anni in tre e capitaliz-zano 850 miliardi di dolla-ri. L’Ilva di anni ne ha piùdi cinquanta, è ancora unadelle più grandi acciaieried’Europa eppure non valepiù del prezzo pagato daZuckerberg per comprarsiInstagram. Invece gli ot-

    tantatré anni di Franco Debe-nedetti sono senza prezzo: in-gegnere, dipendente delleaziende di famiglia, managerFiat, amministratore delegatodi Olivetti e Sasib, Senatoredella Repubblica, presidentedell’Istituto Bruno Leoni.

    Scegliere i vincitori, salvarei perdenti è molto più di un li-

    bro contro «l’insana idea del-la politica industriale», comerecita la didascalia a piè dipagina. Non è nemmeno undiario di bordo, come qualcu-no potrebbe credere leggen-do qua e là le note autobiogra-fiche. Nelle trecento pagine,lette e rilette da Debenedetticon precisione maniacale, c’èdi tutto: Prodi e Keynes, Ge-neral Motors e pianificazionesovietica, Piketty e Mazzuca-to, Renzi e Merkel, Facebookprima di Facebook. «Nel 1998Roberto Colaninno mi chiesedi fondare un’università adIvrea, un luogo di formazioneche, partendo dalla storia edalla cultura Olivetti, inner-vasse la Telecom appena con-quistata. Gli proposi un isti-

    tuto di Interactive Design, ilprimo nel suo genere».

    Debenedetti coinvolse ac-cademici europei ed america-ni, ne venne fuori un centro dieccellenza per trenta studentida tutto il mondo. Cinque annidopo Telecom passò a Tron-chetti Provera e le stanze riar-redate da Sottsass e Zaninirestarono vuote. Fra i progettielaborati a Ivrea, uno si chia-mava «Connected Communi-ties» e somigliava al prototipoinventato da quel mediocrestudente di Harvard nel frat-tempo diventato il sesto uomopiù ricco al mondo.

    Più che un libro contro lapolitica industriale – la quale,per stessa ammissione del-l’autore, nei primi anni della

    sua storia miete successi –, ilsaggio di Debenedetti è un ar-gomentato atto d’accusa con-tro l’interventismo statale intutte le sue manifestazioni.Debenedetti riporta tutto al-la distinzione di Oakeshottfra «lo Stato custode dellalegge che non impone finipropri, ma semplicemente fa-cilita ai cittadini il raggiungi-mento dei loro, e lo Stato cheusa la legge per proprie finali-tà morali». Il primo approc-cio è quello che «nel Sette-cento fece dell’Europa un fe-nomeno senza eguali», il se-condo produsse la pianifica-zione sovietica, l’Ilva e i ritar-di di cui oggi l’Italia soffre.

    Nella storia del Novecentola politica industriale altro

    Lo Stato leggerodi Franco

    Debenedetti

    non è che «il più visibile»degli interventismi statali,dunque «strumento dellapolitica quotidiana». Oggidi quella cultura è rimastopoco, mentre è «ancora dif-fusa l’aspettativa che a ca-renze e storture dell’econo-mia possa porre rimediosolo lo Stato».

    La Cassa depositi e presti-ti e la banda larga, il FondoAtlante e l’Ilva, il piano per ilSud, la società delle reti e viaelencando. Le parole magi-che sono «rilevante e strate-gico», nel qual caso «l’inter-vento è decretato ex cathe-dra». Con buona pace dei mi-liardi di Zuckerberg e dellesperanze dei Millennials.

    c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI