NUOVO CONSUMO - Portale Unicoop Tirreno · pagg. 33, 34, 35 la ricetta del governo marcia indietro...

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la ricetta del governo marcia indietro sui farmaci forza centrifuga! guida all’acquisto della lavatrice mano d’opera il piacere di un massaggio NUOVO CONSUMO Il mensile per i soci Unicoop Tirreno • euro 1,50 • anno XVIII • numero 185 • aprile 2009 IL SEME DELLA DISCORDIA Coltivazioni tradizionali e ogm. L’invito di Coop alla precauzione. INSERTO CONVENIENZA pagg. 31, 32, 33

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pagg. 33, 34, 35

la ricettadel governo

marcia indietrosui farmaci

forza centrifuga!guida all’acquisto

della lavatrice

mano d’opera

il piaceredi un massaggio

NUOVO CONSUMOIl mensile per i soci Unicoop Tirreno • euro 1,50 • anno XVIII • numero 185 • aprile 2009

IL SEME DELLA DISCORDIAColtivazioni tradizionali e ogm.

L’invito di Coop alla precauzione.

INSERTO CONVENIENZA pagg. 31, 32, 33

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NUOVO CONSUMO

Direttore responsabileAldo BassoniRedazioneRita NannelliBeatrice RamazzottiLuca RossiBarbara SordiniCristina VaianiHanno collaboratoBarbara AutuoriFrancesca BaldereschiBarbara BernardiniSalvatore CalleriTito CorteseEleonora CozzellaEugenio Del TomaSilvia FabbriDaniele FabrisStefano GeneraliMaria Carla GiuglianoSilvia InghiramiGiovanni ManettiSimona MarchiniChiara MilanesiRoberto MinnitiIsabella MoriGiorgio NebbiaPaola RamagliAnna SomenziPaolo Volpini

Progetto graficoCinzia Capitanioper Jack Blutharsky - BolognaImpaginazioneMarco Formaioniper Studiografico M - PiombinoCopertinaArchivio Coop Impianti e stampaCoptip - ModenaDirezione e redazioneSS1 Aurelia Km 237Frazione Riotorto57025 Piombino (LI)Tel. 0565/24720 - Fax 0565/[email protected] Comunicazioni srlPubblicitàGiemme Pubblicità di Graziella Malfanti via Pacinotti, 12 - 57025 Piombino (LI)tel. 0565 49156 - 226433fax 0565 [email protected] pubblicitàRoberta Corridori

Registrazione del Tribunale di Livornon° 695 del 24/07/2001Iscrizione ROC 1557del 4/09/2001

Tiratura prevista: 280.000 copieChiuso in tipografia il 20/3/2009

Ci sarà tempo fino al 30 aprile per fare domanda di accesso alla cosiddetta SocialCard. Fin ora, infatti, pare che le domande accolte siano state ben al di sotto dei beneficiari previsti. Nel frattempo sono state anche estese le possibilità di utilizzo della carta. Oltre che per le bollette, ora la carta sarà utilizzabile anche per acquistare prodotti farmaceutici e parafarmaceutici. Tuttavia, non possiamo non criticare quest’operazione per come è stata condotta, per i requisiti molto stringenti che hanno escluso molte fasce di soggetti poveri, per l’incapacità di incidere davvero sui livelli di povertà reali a causa anche del mancato inserimento tra i beneficiari della carta delle famiglie con almeno tre figli che sono quelle statisticamente più povere. Per questo ad oggi possiamo affermare che il 4 per cento delle famiglie rappresenta un’esigua minoranza rispetto ai bisogni e che la maggioranza dei poveri non riceve la tessera. Inoltre, contrariamente a quanto sbandie-rato dal governo al momento del lancio, la carta non è affatto anonima e imprime sul suo titolare lo stigma sociale della povertà. Quello di cui si è parlato poco sono i costi elevati di gestione che ammontano a circa 26 milioni, il 4 per cento dell’intero stanziamento per il 2008. Non è poco per uno spot. Senza contare le tonnellate di carta movimentate dagli uffici ministeriali, dall’Inps e dalle Poste. L’obiettivo di aiutare i più poveri poteva essere raggiunto semplicemente incrementando i contributi esistenti su pensioni, assegni familiari, sostegni per il terzo figlio. Invece si è voluto frammentare ulteriormente il già complicato sistema dei trasferimenti generando ulteriore, inutile burocrazia. Ma quello di cui si è parlato ancora meno è come è stata finanziata la SocialCard. Intanto fissiamo una cifra: 450 milioni è quanto previsto a copertura della carta (il referendum che qualcuno chiede giustamente di accorpare alle elezioni europee ne costa 500). Ma siccome le domande accettate sono, almeno per ora, circa la metà di quelle previste, il fondo non verrà utilizzato interamente. A parte le discutibili donazioni di Eni ed Enel e il contributo delle cooperative a mutualità prevalente, buona parte dei soldi stanziati a copertura della SocialCard provengono dalla riduzione di altri stanziamenti sociali di cui i comuni non potranno più disporre. Si tratta di 271 milioni di euro in meno agli enti locali che non finiranno più nei programmi di sostegno alle persone e alle famiglie bisognose. Insomma, con una mano si è dato e con l’altra si è tolto. E lo Stato ha preferito evidenziare il suo ruolo centrale a discapito di quello di chi è più vicino ai cittadini ed è in grado meglio di chiunque altro di individuare e sostenere quella parte di popolazione più indigente attraverso interventi diretti e servizi sociali.

sulla carta

Costi elevati di gestione, denaro sottratto ai comuni, solo il 4 per cento delle famiglie italiane che ne beneficia. Il grande spot della SocialCard anziché investimenti su pensioni, assegni familiari, sostegni per il terzo figlio, in aiuto ai più poveri.

il punto di Aldo Bassoni

Prodotto con carta premiata dallaEuropean Union Eco-label n. reg. FI/11/1,fornita da UPM.

7 Il punto Sulla carta 10 Lettere 11 Coop risponde 11 Previdenza Prendo quota 12 Pace verde Il santuario dei cetacei 12 Evergreen 13 Chi protegge il cittadino In fin dei contatori 13 Ora legale A ruota libera19 Controcanto Eccezioni alla regola39 La merce muta Acqua chiara43 Sani & salvi43 ABCibo In funzione di51 Presidi Slow Food Il signore degli agnelli52 Prodotto a marchio Un gran fermento53 Nel carrello56 A tavola Ricette con il pane58 Semiseria I bambini ci guardano66 Consumi in scena Passione folle

Guida all’acquisto 44 Forza centrifuga! la lavatrice. Gli extra 46 Gli acchiappapolvere i panni cattura polvere. Tipico 48 Rosso rubino il vino Aglianico. Cotti & crudi50 Giù per il tubetto la maionese. Dal fornitore 54 L’uovo di Oliviero le uova di Pasqua.

RUBRICHE

PRODOTTI

prima pagina

Il seme della discordia pag. 15

in questo numero

58 NC

35 speciale La ricetta del governo farmaci, retromarcia sulla liberalizzazione.

41 salute Mano d’opera i massaggi che fanno bene.

24 I love shopper25 Stato di emergenza26 Soci in prestito27 La vetrina dei soci28 In sezione29 Joyful d’assi

info

31 INSERTO CONVENIENZA

fermo posta Redazione Nuovo Consumo SS 1 Aurelia Km 237 - Frazione Riotorto, 57025 Piombino (LI) e-mail: [email protected]

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Leggo ogni mese Nuovo Consumo con grande interesse per la varietà degli argomenti, per la serietà con cui sono trattati, per il linguaggio chiaro. Mi piacerebbe, però, trovare nelle pa-gine della rivista una rubrica in cui un esperto risponde alle domande dei lettori su alimen-tazione, benessere, salute. A mio avviso questi temi rivestono una grande importanza nella società attuale in cui si mangia troppo e male fin da piccoli, in cui si fanno lavori sedentari che non aiutano la salute, in cui conta molto – troppo – l’immagine, tanto che apparire belli e magri per molti diventa un’ossessione, una malattia. Insomma occorre più che mai imparare a costruire un rapporto corretto con il proprio corpo per stare davvero bene.Spero che Nuovo Consumo trovi un po’ di spa-zio per parlare di tutto questo e accolga la mia proposta.via e-mail

l’esperto rispondeVolevo sapere se un cittadino può rivolgersi (scrivere) direttamente alla Corte dei Conti e alla Corte Costituzionale. Gradirei una vostra risposta.Emo Picchi, lettera

Gentile signor Picchi, la Corte dei Conti è un organo dello stato con funzioni giurisdizionali e ammini-strative di controllo in materia di entrate e spese pubbliche. Il semplice cittadino non può rivolgersi direttamente alla Corte dei Conti, a meno che non sia un dipendente pubblico direttamente interessato alla questione per cui chiede l’intervento della Corte. Anche per quanto riguarda la Corte Costituzionale è esclusa la possibilità di ricorso da parte del singolo cittadino se non attraverso un organo giurisdizionale come potrebbe essere il tribunale presso il quale è in atto un procedimento che lo coinvolge.Aldo Bassoni

a corte

UN PAESE DIVERSO AL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEI DOCUMENTARI DI LONDRAIl film documentario di Soldini e Garini sul mondo delle Coop Un Paese diverso è stato selezionato al LIDF (London International Documentary Festival) e proiettato il 4 aprile, come evento di chiusura al British Museum.

coop risponde Servizio Filo Diretto di Unicoop Tirreno Numero verde 800861081

previdenza a cura di LiberEtà LiberEtà: e-mail [email protected]

Sono un lavoratore dipendente presso un’azien-da privata. A dicembre 2009 compirò 59 anni di età e maturerò 35 anni di anzianità contributiva. L’anzianità contributiva è composta da 4 anni del corso di laurea riscattati; 36 settimane di disoccupa-zione indennizzata (due periodi di 18 settimane); 30 anni e 4 mesi (1.580 settimane) di contribuzione per effettiva attività lavorativa. Con questa situazione maturerò quota 95 a giugno 2010? Potrò avere la pensione da gennaio 2011?Lettera

L’Inps, al punto 3 della sua circolare n. 60/2008, ha precisato che, ai fini della determinazione della “quota” di cui alla tabella B allegata alla legge n. 243/2004 (nel testo sostituito dalla legge n. 247/2007), per il diritto alla pensione di anzianità non vanno computati i periodi di

contribuzione non utili per il diritto (periodi di contribu-zione figurativa per disoccupazione indennizzata; periodi di sola contribuzione figurativa per assenze dal lavoro a causa di malattia, infortunio e malattia professionale).Pertanto, ai fini della “quota”, nel mese di giugno 2010 (escludendo le 36 settimane di disoccupazione indenniz-zata) lei potrà far valere 59 anni e sei mesi di età e 1.814 settimane (34 anni e dieci mesi circa) di contribuzione non sufficienti per realizzare quota 95 (e il minimo di 35 anni di anzianità contributiva).La quota 95 la raggiungerà a ottobre 2010 quando potrà far valere 59 anni e dieci mesi di età e 35 anni e due mesi di anzianità contributiva utile per il diritto.Maturando i requisiti nel secondo semestre dell’anno 2010, in base all’articolo 1, comma 6, lettera c) della legge n. 243/2004, la pensione potrà avere decorrenza dal 1° luglio 2011.

prendo quota

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variamente assortitiLa Coop è ancora dalla parte dei celiaci che sono anche soci Coop? In un primo momento grande as-sortimento e poi pian piano sono iniziati i problemi in tutti i negozi: prodotti che per lungo tempo non si ritrovano sugli scaffali, anche a marchio Coop che evidentemente possiamo acquistare solo da voi; gli scaffali cambiati senza chiedere se noi preferivamo i prodotti tutti insieme o sparsi nelle corsie. Abbiamo cercato di esporre il problema numerose volte, ma senza risul-tati. Visto che questa lettera la firmiamo in molti, ci piacerebbe avere la risposta sul giornale.Lettera

Rispondiamo alla lettera sottoscritta da molti soci attenti e sensibili al problema della celiachia provando a chiarire la posizione della Cooperativa. Si tratta di un tema al quale da sempre abbiamo dedicato la nostra attenzione, inserendo, ad esempio, sul mercato una linea di prodotti a marchio Coop appositamente studiati per venire incontro alle esigenze di chi è intollerante al glutine. Ma l’impegno continua. Infatti, dopo aver ricevuto la vostra lettera, ci siamo immediatamente

attivati per effettuare dei controlli e chiarire la situazione che descrivete all’interno dei nostri punti vendita. Vogliamo essere con voi il più possibile trasparenti e conveniamo sul fatto che i nostri assortimenti non hanno avuto nell’ultimo periodo una particolare evoluzione. Ciò dipende da una dif-ficoltà che condividiamo con le altre Cooperative e che stiamo cercando di superare, individuando nuovi assorti-

menti e offrendo un migliore servizio ai nostri clienti. Quanto all’effettiva presenza dei prodotti per celiaci sugli scaffali l’analisi che abbiamo effettuato fornisce risultati piuttosto positivi, e probabilmente i problemi incontrati nascono non tanto da una reale mancanza del prodotto, quanto dalla nostra scelta di suddividere le varie referenze all’interno delle categorie di appartenenza. Detto questo cogliamo l’occasione per anticipare che torneremo appena possibile a un raggruppamento dei prodotti in un’area appositamente dedicata. Ci teniamo comunque a sottolineare che, nonostante i nostri sforzi, non possiamo fornire lo stesso tipo di servizio di una farmacia, non essendo un negozio specializzato, con tutti i limiti – in molti casi non semplici da superare – che questo porta con sé.

evergreen a cura di Stefano Generali

Sono Stoccolma e Amburgo le città europee che avranno il titolo, rispettivamente nel 2010 e nel 2011, di “capitali verdi europee” grazie alle buone pratiche di sostenibilità intraprese negli anni che ne fanno due esempi da imitare. Il

riconoscimento è stato appena istituito dalla Commissione Europea per incoraggiare le città a migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini, tenendo conto delle esigenze dell’ambiente in tutte le fasi della pianificazione urbana.

Dalla Gran Bretagna ogni giorno tonnellate di rifiuti tos-sico-nocivi e tecnologici partono illegalmente alla volta di paesi africani come Nigeria e Ghana dove sono spesso i bambini ad essere incaricati di recuperare le preziose

materie prime contenute negli elettrodomestici dell’Oc-cidente. A svelare il traffico illegale è stato il quotidiano The Independent, grazie a un trasmettitore satellitare piazzato su un vecchio televisore danneggiato.

affari sporchi

È il primo animal network italiano con oltre seimila utenti registrati in soli sei mesi di attività. Petbook, questo il nome del sito, è già diventato un punto di riferimento per chi possiede un animale, che qui può

condividere informazioni ed esperienze, ma anche uno strumento utile in caso di smarrimento, grazie alla facilità con cui si possono diffondere gli identikit degli animali scomparsi.

animal house

paceverde a cura di Greenpeace

Dove sono finite le balene e i delfini del Santuario dei ceta-cei del Mar Ligure? Greenpeace ha pre-sentato i dati scanda-lo della ricerca effet-tuata nel Santuario a bordo della nave Arctic Sunrise. Il ca-lo registrato dal team di scienziati è vertigi-noso: cinquanta per cento di stenelle in meno e balenottere ridotte a un quarto in dieci anni. Poco è stato fatto per proteggerle e oltre alle minacce già note – inquinamento, traffico veloce, pesca illegale – Greenpeace ha scoperto una grave contaminazione da batteri fecali in alto mare. Il Santuario dei Cetacei nasce con un accordo tra Italia, Francia e Monaco che, in vigore dal 2002, protegge circa 87mila Kmq del Mar Ligure. Avrebbe dovuto tutelare l’ecosistema del Mar Ligure e le popolazioni di cetacei che lo abitano tra le più ricche del Mediterraneo: balenottere comuni, capodogli, zifii, globicefali e stenelle. Ma oggi il Santuario è semplicemente una scatola vuota. I dati dell’Operazione Cetacei, pubblicati nel 1992, indicavano

la presenza di circa 900 balenottere co-muni e tra 15 e 42mila stenelle. Dai dati rac-colti sembra che ci sia una riduzione di circa il 50 per cento delle stenelle (5-21mila esemplari), mentre sono state avvistate solo un quarto delle balenottere “attese”, troppo poco per poter stimare la popolazio-ne. Nel Santuario non

è stato fatto assolutamente nulla per prevenire ed eli-minare progressivamente l’inquinamento, per limitare i rischi di collisione delle imbarcazioni con i cetacei e prevenire gli impatti dei rumori, per mettere un freno alla pesca illegale o per proteggere la fascia costiera. Anzi. Proprio nel Santuario vogliono insediare il rigassificatore di Livorno-Pisa. Greenpeace chiede che il Santuario venga subito sottoposto a un regime di reale tutela e gestione e che in esso si crei una grande riserva marina d’altura con divieto di pesca e immissione di sostanze tossiche o pericolose. Maria Carla Giugliano, ufficio stampa Greenpeace

il santuario dei cetacei

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città al verde

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chi protegge il cittadino a cura di CittadinanzAttiva

Vi contatto per avere qualche infor-mazione su una notizia che ho appreso alla radio, ma non ho compreso bene. Ho sentito dire che le Associazioni dei Consumatori ed Eni hanno sottoscrit-to un accordo che riguarda i contatori domestici del gas installati da Italgas. Potete fornirmi maggiori dettagli? via e-mail

L’accordo Eni-Associazioni dei Consumatori è stato sottoscritto a Roma il 23 dicembre 2008 e costituisce la tappa conclusiva di un percorso durato alcuni anni che ha avuto per oggetto la verifica dell’effettivo funzionamento dei misuratori del gas. Infatti già da tempo molti consu-matori avevano costatato che i contatori registravano un consumo superiore rispetto a quello effettivo. Eni ha affidato alla Seconda Università di Napoli una verifica scientifica dell’effettiva affidabilità dei misuratori: al test è stato sottoposto un campione significativo di contatori installati su tutto il territorio nazionale.Lo scostamento medio più alto rilevato dall’Università è stato pari all’1,31 per cento per i contatori con 35 anni di età. A seguito di questi risultati Italgas si è impegnata ad accelerare il piano volontario di sostituzione, già da tempo adottato, con l’obiettivo di sostituire entro la primavera del 2011 i contatori che hanno più di 20 anni, in pratica circa il 20 per cento dei contatori installati. L’accordo, è bene sot-tolinearlo, riguarda tutti i contatori prodotti prima del 1990.

Nel frattempo, ai clienti ai quali non è stato ancora sostituito il contatore, la Divisione Gas & Power di Eni riconoscerà in bolletta uno sconto pari all’1,31 per cento sino al momento della sostituzione del contatore e un conguaglio riferito ai consumi degli ultimi due anni anch’esso pari all’1,31 per cento per anno. Inoltre l’accordo stabilisce di riconoscere

ai clienti ai quali, invece, è stato sostituito il contatore nel corso dell’ultimo anno, un conguaglio pari all’1,31 per cento calcolato sui consumi dell’anno precedente. È importante sottolineare che gli utenti non devono fare alcuna richiesta in quanto il conguaglio previsto è automatico. Infine si precisa che l’accordo si applica esclusivamente ai clienti Eni e Italgas, anche se Eni e le Associazioni di Consumatori riconosciute a livello nazionale sono impegnate a estendere l’adesione anche ad altre aziende che erogano il servizio in quanto tutti i misuratori presenti sul territorio sono stati distribuiti da Italgas.

Info www.cittadinanzattiva.it/consumatori-home.htmlwww.eni.itwww.italgas.it Isabella Mori, responsabile Pit ServiziCittadinanzAttiva-Pit Servizi: tel. 0636718555 (da lun. a ven.: ore 9-13.30) fax 0636718333e-mail: [email protected]

in fin dei contatori

ora legale a cura di Salvatore Calleri presidente Fondazione Caponnetto

Mio padre mi ha insegnato ad andare in bici all’età di dieci anni. Da quel momento è scoppiato il mio amore. L’anno dopo Gigi il contadino convinse suo figlio a vendermi per circa 80mila lire una bicicletta. Fantastica. Le prime peda-late. Le prime avventure. La libertà dell’aria sul viso. È stato un amore durato quattordici anni fino alla laurea. Tempi d’oro in cui per svoltare mettevo il braccio fuori. Tempi in cui non c’erano le piste ciclabili e lo stesso non si andava sui marciapiedi. Il mio compagno di scuola Antonio aveva la bici da cross. Giocavamo da grandi sognando di guidare chissà quali mezzi. Rispettavamo le regole... più o meno. Tenevamo la bici come se fosse un gioiello. E oggi cosa succede? La bici l’utilizzano in molti, ma di regole nean-che a parlarne. Indicare il cambio di direzione? Giammai. Fermarsi sulle strisce? Mai avvenuto. Strade a senso unico imboccate con facilità anche se strette. Il faro acceso? Sì

e no il dieci per cento. Dieci per cento che usa in molti casi fari a lampeggio non regolari. Per non parlare delle assurde piste ciclabili tanto richieste quanto poco usate. Per non parlare della fretta nel pedalare un mezzo che per sua natura non è veloce. E se un altro utente prova a dirgli qualcosa? Le risposte sono più varie e una delle più diffuse è: “ma io non inquino”. E questo scusate che c’entra? Oppure dopo un tamponamento da parte di una bici che teneva la sinistra in una strada stretta avvenuto a seguito di una frenata, per un pedone sceso dal marciapiede senza guardare, mi sono sentito dire:”ma io sono in bici”. La mia risposta è stata: il fatto che sei in bici ti esonera forse dal rispettare la distanza di sicurezza? Mah. Sono purtroppo arrivato ad una conclusione: il problema non sono le bici ma i ciclisti. Molti, troppi di loro, se ne fregano delle regole che servono a salvare anche le loro vite.

a ruota libera

È possibile una coesistenza “pacifica” tra le coltivazioni tradizionali e quelle ogm? Se non diminuisce l’impiego dei pesticidi e non cresce la produzione a chi giova l’utilizzo di sementi transgeniche? Mentre il dibattito e la sperimentazione continuano – anche a livello europeo –, Coop si tiene alla larga dagli organismi geneticamente modificati, chiede garanzie e invita alla precauzione. Finché non se ne saprà abbastanza.di Silvia Fabbri

il seme della discordia

prima pagina

Si tratta di capire se è conveniente per l’agricoltura italiana entrare in contatto con gli organismi vegetali genetica-mente modificati. E, se è conveniente, si tratta di capire se è praticabile la coesistenza. Ad esempio: la mia piccola coltivazione di kiwi tradizionali nel terreno X resterà tale dopo la creazione di una coltura di kiwi geneticamente modificati nel terreno Y? Si tratta, infine, di capire se è ancora possibile scegliere, se siamo ancora in tempo a dire qualche no, dal momento che, secondo dati Eurostat, l’incremento in Europa della semina di prodotti ogm dal 1996 al 2005 è stato dell’11 per cento all’anno e che i paesi in testa alle graduatorie delle semine “mutanti” – soia, mais e colza – sono Spagna, Germania, Portogallo, Francia e Repubblica Ceca. Negli Stati Uniti la percentuale di coltivazioni ogm è del 55 per cento. con le dovute precauzioniDomande che è opportuno farsi, perché l’Italia – attraverso i regolamenti delle Regioni, competenti in materia – deve pro-nunciarsi sulle regole della sperimentazione in campo aperto di coltivazioni ogm, autorizzate dalla Conferenza Stato-Regioni nel novembre scorso. I protocolli di sperimentazione, adottati in sede di Conferenza, riguardano kiwi, agrumi, ciliegio dolce, fragola, mais, melanzana, olivo, pomodoro e vite. Si passa dunque da un insieme di normative basate sul principio di precauzione (ovvero finché non si sa abbastanza degli ogm e dei loro effetti sull’ambiente e sugli organismi viventi ce ne teniamo alla larga) a quello della coesistenza: si tratta dunque di stabilire se e come sia possibile la coesistenza tra le colture “tradizionali “ e quelle ogm. «Teoricamente è anche

possibile, ma nella prassi no – spiega Marcello Buiatti, docente di Genetica all’Università di Firenze –. I costi per un coltivatore che intende mantenere isolato il suo campo sono altissimi. L’ampiezza media di un’azienda agricola, in Italia, è di circa 5 o 6 ettari. Beh, solo uno potrebbe essere coltivato; il resto dovrebbe essere impiegato come zona di rispetto di ampiezza di cento duecento metri tra un campo ogm e uno tradizionale».a nostro rischio e pericolo«Per quanto riguarda le colture arboree come ciliegio e olivo – commenta il presidente di Slow Food, Roberto Burdese – i protocolli non danno adeguate informazioni sulla gestione delle conseguenze dell’azione degli insetti impollinatori e della fauna da cui queste piante verrebbero protette. La protezione dovrebbe avvenire con reti anti-uccello nel periodo della fruttificazione. Ma per quanto riguarda gli insetti e il vento il protocollo parla di fattori da considerare per la definizione dei requisiti delle aree. Significa che bisogna scegliere aree rurali prive di insetti?». Insomma, non a caso 13 Regioni e 41 Province in Italia sono ogm-free e hanno deciso di vietare qualsiasi coltivazione transgenica sul loro territorio. «La coesistenza è impossibile – afferma Tiberio Rabboni, Assessore all’Agricoltura di una delle Regioni che hanno detto no al transgenico, l’Emilia-Romagna – e il rischio di ibridazione è ineliminabile. Noi ci battiamo semplicemente per affermare i diritti di tutela delle produzioni tipiche». «Gli ogm – dice Maurizio Carnemolla, presidente di Federbio (Federazione italiana della agricoltura biologica e biodinamica) – sono rischiosi soprattutto per le produzioni biologiche. In Spagna, dove da diversi anni si coltiva soia ogm, si registra un sensibile calo delle colture bio».

una guida sicuraSecondo la normativa europea, infatti, un prodotto con una percentuale maggiore dello 0,9 per cento di ogm non può essere ritenuto biologico. «Di fatto – conclude Carnemolla – è praticamente impossibile tenere separate le colture. Il danno per il comparto agricolo italiano, che è biologico al 10 per cento, può essere enorme anche perché la nostra specificità è sempre stata quella dell’alta qualità. Con gli ogm è minacciata l’esistenza stessa delle produzioni biolo-giche». La consapevolezza che l’Italia abbia un patrimonio agricolo di qualità e di diversità da tutelare sembra essere il principio che ispirerà le Regioni che a breve dovranno legiferare sul tema. Le linee guida comuni per l’adozione dei protocolli di sperimentazione sarebbero già nero su bianco e metterebbero molti paletti alla coltivazione di varietà transgeniche: le Regioni intenderebbero limitare fortemente le zone di coltivazione, concedere il nulla osta solo previa specifica autorizzazione – e sentito il parere degli agricoltori confinanti che possono comunque opporsi – istituire un patentino specifico e una polizza assicurativa per eventuali danni causati a terzi, istituire apposita segnaletica che renda nota la presenza della coltura transgenica. mais piùSonora sconfitta per le sementi ogm anche in sede di Commissione Europea, che – per la prima volta – è costretta dai ministri dell’ambiente a fare marcia indietro rispetto al suo tradizionale “liberismo” in materia. In sostanza, il Consiglio dei Ministri (22 su 27, Italia compresa) ha votato contro Bruxelles che voleva respingere il divieto di coltivazione di un mais transgenico chiesto da Austria e Ungheria. Plaude il Consiglio dei Diritti genetici che ri-corda: “Ora speriamo che la bocciatura imposta dai paesi

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membri della commissione faccia riflettere sull’iter delle prossime approvazioni”. Si tratterebbe, infatti, di rivedere anche il tipo di analisi che l’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) richiede per concedere le sue autorizzazioni. «Faccio parte di una rete europea di scienziati – continua Buiatti – che chiede urgente-mente di aggiornare le metodologie che oggi sono bastate su protocolli vecchi di 20 o 30 anni e che comunque sono basate sui dati forniti dalle stesse multinazionali che hanno brevettato le sementi. Dati che non sono disponibili per i laboratori indipendenti, perché protetti da brevetto. Ma se, al limite, i labo-ratori pubblici e indipendenti riuscissero – e di fatto a volte accade – a condurre analisi approfondite e avanzate, l’Efsa non può tener conto dei risultati. Tutto il sistema delle analisi e delle autorizzazioni va quindi radicalmente rinnovato».tutto bioIl fatto che a condurre le analisi – o per lo meno a verificarle – debbano essere laboratori autonomi e indipendenti è anche il parere di Andrea Segrè, Preside della facoltà di Agraria dell’Università di Bologna. «Non possiamo dire di aver fatto una reale ricerca sul campo rispetto agli ogm. Una grave lacuna, perché l’università pubblica autonoma e indipendente è l’unico soggetto che può condurre una ricerca che dia indicazioni sulle regole della coesistenza». Disponibile alla sperimentazione è anche il Ministro delle Politiche agricole Luca Zaia che – pur ribadendo un sostan-ziale no agli ogm – si è detto favorevole alla sperimentazione se condotta dalle università italiane: «Sperimentare è una necessità. Ma abbiamo il diritto di farlo in casa nostra, in autonomia, sulle nostre campagne, senza basarci su studi fatti altrove». Intanto i consumatori italiani continuano ad essere diffidenti nei confronti degli ogm, mentre cresce la quota di coloro che in Italia consumano prodotti biologici. Federbio ha registrato un aumento, nel 2008, del 5,4 per cento delle vendite di prodotti bio confezionati, uova, pane e pasta. C’è quindi da chiedersi a chi giova davvero la produzione di ogm, visto che i consumatori preferiscono altro. Lo conferma anche la Confederazione italiana agricoltori: «Il 65 per cento dei cittadini europei – sottoli-nea il presidente Giuseppe Politi – è contrario all’uso e al consumo di prodotti contenenti ogm. Per quanto ci riguarda da una parte c’è il modello di agricoltura italiana vincente tra i consumatori che tende a sostenere la diversificazione produttiva e genetica, affronta pesanti investimenti, non solo per il biologico ma anche per il convenzionale, mentre dall’altra c’è una minoranza che lavora per diffondere la coltivazione, l’uso e il consumo di ogm, rischiando di vanifi-care questo percorso virtuoso intrapreso dagli imprenditori italiani e spingendo le agricolture planetarie verso una deriva pericolosa: l’azzeramento del forte legame tra produzioni e territorio». «In più – conclude Buiatti – non è vero che diminuisce l’utilizzo di prodotti chimici né che aumentano i raccolti. L’ogm può essere vantaggioso economicamente solo su grandi distese agricole che consentono, attraverso la meccanizzazione, la totale eliminazione della manodopera. Distese che in Italia non esistono». ■

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L’INTERVISTA La parola a Marcello Buiatti, ordinario di Genetica all’Università di Firenze.

«Per quanto ne sappiamo fino ad ora gli organismi vegetali geneticamente modificati sono un fallimento tecno-logico». Con queste parole Marcello Buiatti, ordinario di Genetica all’Uni-versità di Firenze, spiega perché non sarebbe un gran vantaggio per l’Italia autorizzare la coltivazione di ogm. «Anche se va detto che gli ogm non fanno bene o male di per sé. Sono le conseguenze che possono far male». Eppure, professore, i sostenitori del transgenico dicono che con

i semi ogm si può aumentare la produzione e che, grazie all’aumento dei raccolti, si potrebbe battere la fame nel mondo.«Ma quando mai. Tutte le statistiche in nostro possesso rilevano – ad esempio per il mais – che c’è un incremento costante a partire dal 1986. Ma si tratta di un incremento dovuto in generale al miglioramento delle tecniche di produ-zione che non ha nulla a che vedere con l’introduzione, nel 1996, dei semi ogm. A quell’annata non corrisponde alcun picco e neanche alle annate immediatamente successive. Il dato è identico per la soia. Per quanto riguarda le altre due varietà ogm, cioè il cotone e la colza, non sono prodotte per l’alimentazione umana. In Argentina, ad esempio, si coltivavano grano e miglio che erano ottimi cereali per l’alimentazione umana. Oggi, invece, c’è solo soia transge-nica che non produce reddito per chi lavora la terra né cibo sufficiente. Inoltre il numero di varietà prodotte è diminuito drasticamente, con grave danno per la biodiversità. Lo stesso sta accadendo in Brasile. Temo che ci si stia dimenticando che siamo fatti di materia e non di quattrini». Un’altra delle argomentazioni di chi vorrebbe in-trodurre gli ogm è che farebbe diminuire il ricorso a pesticidi e diserbanti. È così?«Anche questo è un falso. La verità è che gli ogm più diffusi sono particolarmente resistenti a determinati diserbanti pro-dotti dagli “inventori” degli stessi ogm... così possono essere liberamente utilizzati in grande quantità, anche maggiore rispetto a prima. Usare più spesso queste sostanze chimiche, anche al momento del raccolto, significa ovviamente che se ne potranno trovare residui nel prodotto finale». Se aumenta l’impiego di pesticidi e non cresce la produ-zione, a chi giova l’utilizzo di sementi transgeniche? «Innanzitutto a chi le vende, come dimostrano i crescenti fatturati delle multinazionali biotech. E poi a chi ha enormi estensioni di terreno – che tra l’altro non esistono nel nostro paese – in cui è possibile, grazie agli ogm, eliminare completamente la manodopera. A partire da quella che era necessaria per i trattamenti con i diserbanti che oggi pos-sono essere fatti più economicamente in modo meccanico e indiscriminato, ad esempio con gli aerei. Quel che è certo è che gli ogm non aumentano il reddito dei contadini». ■

prima pagina

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L’ORA DEL BIOTECHRecessione? Non per le multinazionali biotech. Il 2008 è stato un anno boom, ad esempio, per la Monsanto – nu-mero uno del mercato – che ha registrato un aumento degli utili del 104 per cento, dovuto principalmente all’impennata del prezzo del petrolio e dunque all’aumento della pro-duzione di biocarburanti ricavati dal mais. Per quest’anno le previsioni di crescita dei ricavi sono del 20 per cento. La seconda azienda del settore, la DuPont – presente in diversi settori –, prevede che gli utili dei comparti Nutrition e Agricolture crescano a un tasso del 15 per cento nei prossimi 5 anni. Queste cifre di crescita coincidono del resto con l’aumento delle superfici coltivate nel mondo con ogm: +12% rispetto al 2006, 67 volte di più rispetto all’anno della loro introduzione (1996). Secondo l’Isaaa (Servizio internazionale per l’acquisizione delle applicazioni agrobiotecnologiche), il 64 per cento della soia, il 43 del cotone, il 24 del mais e il 20 della colza sono oggi ogm. La modificazione genetica più presente (63 per cento sul totale) è la resistenza agli erbicidi.

A SOMMO STUDIOChe siano necessarie ricerche indipendenti sulla sicurezza alimentare delle varietà ogm – e possibilmente condotte da istituzioni pubbliche – lo dimostrano anche i risultati di una sperimentazione dell’Inran (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) pubblicata nel 2008 sul “Journal of agricultural and food chemistry” relativa al mais transgenico Mon810. Tra gli altri aspetti, la ricerca condotta su topi in vivo era finalizzata a studiare alcuni marcatori della risposta immunitaria intestinale. In particolare, i ricercatori hanno alimentato alcuni topi giovani e anziani con una dieta contenente farina di mais Mon810 o del suo “controllo parentale non geneticamente modificato” (gm), provenienti da un campo sperimentale dove le piante sono state tenute nelle stesse condizioni ambientali e di coltura. Inoltre, in questi esperimenti è stato inserito un secondo gruppo di controllo di topi alimentati con dieta standard di laboratorio contenente mais commerciale non ogm. La scelta di considerare topi in età di sviluppo e anziana non è casuale, perché in queste fasce d’età, ha spiegato Elena Mengheri, che ha guidato il gruppo di ricerca dell’Inran, «è noto che il sistema immunitario può rispondere con minore efficienza agli stimoli esterni rispetto a quanto accade in un adulto sano. I risultati dopo 30 e 90 giorni di alimentazione indicano che al contrario di quanto accade con il mais non ogm, con il Mon810 si sono verificate alcune alterazioni immunitarie statisticamente significative. Queste hanno riguardato la percentuale delle sottopopolazioni dei linfociti dell’intestino, della milza e del sangue, e la produzione di citochine, proteine fondamentali per il funzionamento del sistema immunitario, trovando un aumento, anche se contenuto, delle citochine infiammatorie». L’Inran conclude quindi che “sarebbe opportuna un’analisi più approfondita di alcuni indicatori della risposta immune”.

Coop ritiene che l’ingegneria genetica possa rappre-sentare una nuova, grande opportunità per l’uomo se applicata in campo medico, ma chiede maggiori garanzie nell’utilizzo di queste tecnologie in campo agroalimenta-re, facendo prevalere il principio di precauzione ovvero “conoscenza e prudenza”.Per questo i prodotti Coop non devono contenere ogm e anche gli animali – da cui derivano le carni, le uova, il latte fresco – devono essere alimentati senza ogm: stiamo parlan-do di 20 milioni di animali, un impegno che non ha paragone con nessun altro in Italia. Coop è fortemente preoccupata per i rischi che potrebbero derivare dall’eventuale avvio in Italia della coltivazione di prodotti transgenici accanto agli altri prodotti. Infatti non è ancora chiaro a quali condizioni

questo dovrebbe avvenire, ma soprattutto chi dovrà pa-gare i costi di separazione per evitare le contaminazioni. Il pericolo è che questi oneri ricadano sulle filiere biologiche, tipiche e tradizionali, di qualità (tutte ovviamente no ogm) rendendole di fatto non perseguibili e quindi impedendo la libera scelta della filiera produttiva e del consumatore finale. In conclusione si potrebbero aprire scenari di grande conflittualità non solo fra agricoltori e produttori di semi, ma anche tra gli stessi coltivatori con campi confinanti pregiudicando le scelte dei consumatori. E come sempre per Coop tutto deve partire dalla volontà dei consumatori che nelle ripetute indagini confermano di non essere interessati ad acquistare prodotti che derivano da organismi vegetali geneticamente modificati.

scelta di campoPer Coop vale il principio di precauzione.

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Chi si ricorda della polemica sulle regole? La scintilla scoccata una trentina di anni fa, all’apparire sulla scena mondiale di personalità come Margaret Thatcher e Ronald Reagan, appiccò un incendio che sarebbe divampato con furia irresistibile per oltre un quarto di secolo. Deregulation era la parola magica lanciata dai nuovi governanti delle maggiori potenze occidentali, sulla scia delle teorie iperliberiste di economisti alla Friedman: deregola-mentare, sbarazzarsi degli orpelli delle regole, via libera a un mercato non più imbrigliato da impacci normativi e da caute mediazioni politiche.Lo scontro su questi temi fu duro e aspro, su scala mondiale, ma già alla fine degli anni Ottanta la partita appariva definitivamente perduta per chi aveva contrastato, sul piano delle opzioni teoriche come su quello delle scelte di governo, questa sorta di nuovo vangelo politico-economico. E la dissoluzione del sistema sovietico, così come la conversione del gigante Cina al messaggio neocapitalistico, posero fine, di fatto, alla polemica sulle regole. Nel senso che il mondo intero – e comunque la parte di esso che conta nel concerto globale – finì per porsi sulla via tracciata dal binomio Thatcher-Reagan.In Italia, la crisi dei partiti dei primi anni Novanta aprì la strada a un popu-lismo spericolato a cui non parve vero di cavalcare il “basta con le regole!” della destra anglo-americana per volgere in favore dei propri interessi il disorientamento di tanta parte della società. E fu deregulation “a go-go”, non solo in economia ma un po’ dovunque, a cominciare dalla Tv, per la quale l’unica legge ammessa sembrò essere quella della jungla. Bene, adesso che la crisi economica spaventa il mondo, è in questa stessa Italia, tuttora nelle mani della destra populista, che nelle scorse settimane si è sentito proclamare con tutta serietà: “sarà la questione delle regole il punto fondamentale su cui si concentrerà la presidenza italiana del G8”. Abbiamo letto bene: il punto fondamentale sono le regole. Ad annunciarlo, a nome del medesimo governo schierato da sempre in prima fila sul fronte mondiale della deregulation, il ministro dell’Economia, già noto come l’uomo della finanza creativa: “il mercato ha fatto già abbastanza guai” ha sentenziato serafico in Tv. E l’Italia dovrebbe credergli sulla parola, come quando lo stesso Tremonti sosteneva esattamente il contrario.

eccezioni alla regola

Alle regole ispira la sua presidenza al G8 un’Italia che prese e applicò alla lettera la parola magica “deregulation” di thacheriana-reganiana memoria.

controcanto di Tito Cortese

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I love shopper

Le borse per la spesa biodegradabili e riutilizzabili – quelle che entro il 1° gennaio 2010 sostituiranno le normali buste di plastica – oggetto di eventi nei punti vendita di Unicoop Tirreno alla presenza di celebri personaggi e bambini delle scuole.di Beatrice Ramazzotti

Volti noti al pubblico e facce di bambini curiosi hanno fatto da cornice ai lanci delle borse per la spesa riutilizzabili e di quelle biodegradabili in sei punti vendita di Unicoop Tirreno. Si è partiti il 18 febbraio dal supermerca-to di Piombino-via Gori (LI) con i bimbi delle ele-mentari, il sindaco Gianni Anselmi e il geologo, con-duttore televisivo, Mario Tozzi, qui in veste anche di presidente del Parco Arcipelago Toscano. La “tournée” delle eco-shop-pers è poi proseguita al supermercato di Follonica (GR) dove, accanto agli alunni delle scuole prima-rie e dell’infanzia del Golfo coinvolti in un progetto in favore dell’ambiente, sono intervenuti i ragazzi della squadra di hockey a rotelle Campione del Mondo. Il 27 febbraio all’IperCoop di Quarto (NA) è stata la volta di Patrizio Rispo (l’amato Raffaele Giordano della soap RaiTre Un posto al sole) che non ha risparmiato autografi e foto ricordo con dipendenti, soci e clienti dell’Iper, sfruttando la sua notorietà per soste-nere un messaggio di difesa dell’ambiente e riduzione dei rifiuti in una zona in cui il tema è particolarmente attuale. Più istituzionale, ma non meno efficace, la presentazione all’IperCoop EuRoma2 con Nicola Zingaretti, il presidente della Provincia di Roma, che ha anche finanziato la distri-

buzione gratuita di 85mila buste di tessuto-non-tes-suto viola, verdi e blu a tutti i clienti dei sedici punti vendita Coop della provincia. Infine, il 6 marzo è stata la volta del’Iper di Livorno, con la squa-dra di basket e i ragazzi delle scuole e, a seguire l’IperCoop di Viterbo con un ospite d’onore: il docu-mentarista e giornalista di fama internazionale Folco Quilici. I vari testimonials si sono prestati di volta in volta ad autografare le buste ecologiche, met-tendo quindi letteralmente la loro firma sul proget-to: una scena che è stata apprezzata dai giornali e dalle Tv e soprattutto dai clienti che si sono messi in fila per farsi autografare le borse anche per parenti e amici. «Ci auguriamo che il nostro appello verso un cambio di abitudini sia

passato – ha commentato Silvia Ammannati, responsabile Marketing Strategico di Unicoop Tirreno e guida del progetto eco-shopper –. Abbiamo scelto personaggi rappresentativi dei singoli territori e coerenti con il progetto proprio con questo obiettivo. In alcuni territori la presenza dei bambini ha ulteriormente rafforzato l’iniziativa: in fondo sono proprio i ragazzi che ci aiuteranno ad abbandonare la plastica in nome di un mondo più pulito e comportamenti ecologicamente corretti». ■

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Nelle foto, sopra, Folco Quilici all’IperCoop di Viterbo e, sotto, Patrizio Rispo all’Iper di Quarto (NA).

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stato di emergenza

Tra il proliferare dell’ecomafia, la via maestra del riciclaggio e il cambio degli shoppers, l’emergenza nazionale dei rifiuti. Proviamo a chiederci cosa sono e dove finiscono.di Mario Tozzi

Nel nostro paese quella dei rifiuti re-sta a tutti gli effetti un’emergenza na-zionale, nonostan-te gli anni passati dalla legge Ronchi (DL 22/97) che do-veva consentire di eliminare per sem-pre le discariche e di riciclare almeno il 35% degli scar-ti. Ogni italiano produce da 500 a 650 Kg di pattume all’anno, quindi oltre trenta milioni di tonnellate per anno (in aumento dell’1,3% circa all’anno). È un’emergenza che investe molti aspetti sociali e addirittura di pubblica sicurezza, tanto da aver portato a coniare il termine ecomafia per descrivere il fenomeno malavitoso che sui rifiuti, specialmente su quelli pericolosi, prolifera e fa affari. Naturalmente ciò comporta un grave danno ambientale – rifiuti tossici interrati in vecchie cave abusive senza alcuna garanzia per suoli e falde – e la riapertura di vecchie questioni di un paese geograficamente spacca-to in due. In questo quadro l’iniziativa autonoma della distribuzione cooperativa di bandire anticipatamente i sacchetti di plastica non biodegradabile è un segno significativo della volontà di ridurre i rifiuti.metalli pesantiIl riciclaggio – va detto e ribadito – è la via maestra per inquinare meno e non sprecare materie prime ed energia, e a questo proposito è esemplare la storia dell’alluminio, uno dei metalli più sfruttati al mondo e il cui ritmo di estrazione procede molto più speditamente di quello del ferro o del rame. Il problema è che tutti questi elementi non sono infiniti e anche di bauxite – l’ossido da cui proviene il metallo – non ce ne sono riserve infinite. Dunque con cosa costruiremo gli aeroplani o le pentole nel futuro, se l’alluminio prima o poi finirà? L’unico modo è quello dell’utilizzo dell’alluminio già impiegato in precedenza: per ottenere 1 Kg di alluminio per questa via ci vogliono solo 2.000 Kilocalorie, perciò, rispetto a 1 Kg prodotto direttamente dalla bauxite (per cui ce ne vogliono 48.000) si risparmiano 46.000 kilocalorie. O, se volete, ci vogliono 13-14 kWh per 1 Kg di alluminio “nuovo” contro meno di un kWh per quello “di seconda mano”,

cioè riciclato, natu-ralmente a parità di prestazioni. Ma cosa butta-no gli italiani nel cassonetto della spazzatura? Prima di tutto materia organica – la co-siddetta “frazio-ne umida” – che copre circa il 30% del complesso dei rifiuti solidi urbani (RSU), cioè resti di frutta e verdura,

avanzi di cibo, ossa, bucce e quant’altro. Al secondo po-sto c’è la carta (28%), poi la plastica (16%), il vetro (8%), il legno, i tessuti e i metalli (4%), insieme agli altri rifiuti che compongono la “frazione secca”. per terra e per mareIl bando degli shoppers inquinanti contribuisce in modo significativo a ridurre quel 16% che finisce nel cassonetto e poi in discarica, e anticiparlo va incontro a quella ricon-versione ecologica cui anche la crisi economica ci obbliga. Dove finiscono poi i rifiuti? In mare un torsolo di mela si deteriora in un paio di mesi, ma a terra resiste fino a sei, così come un quotidiano o una rivista che può durare quasi un mese e mezzo contro i dieci mesi a terra. Una lattina di alluminio resiste per uno o due secoli, mentre una sigaretta può reggere circa un anno in mare e due a terra; niente rispetto a una bottiglia di plastica che dura mezzo millennio in mare e quasi il doppio a terra. Queste considerazioni non spiegano interamente, però, la nostra scarsa propensione al riciclaggio e al cambia-mento di abitudini: forse c’è un motivo in più e cioè la mancanza di fiducia nel fatto che il lavoro di separazione effettuato in casa non vada poi perduto al momento del conferimento dei rifiuti. In pratica molti hanno paura che vetro, carta, plastica e metalli vengano poi rimescolati dopo tutto l’impegno che abbiamo messo nel separarli. Non è così (salvo casi malavitosi): conviene a tutti – dalle aziende di raccolta a tutto il settore produttivo, alla pub-blica amministrazione locale – che i materiali vengano separati e riutilizzati e i risultati settore per settore parlano chiaro con le elevate percentuali di recupero del vetro, della carta, dell’alluminio e della plastica. ■

Nella foto, Mario Tozzi alla Coop durante il lancio dei nuovi shoppers.

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soci in prestito

Solido, vantaggioso e a costo zero. Anche a fronte della riduzione dei tassi di interesse il Prestito Sociale di Unicoop Tirreno si conferma un ottimo strumento di risparmio e investimento. Ne parliamo con Sergio Costalli, Vice Presidente e Amministratore Delegato alla Finanza della Cooperativa.di Beatrice Ramazzotti

Lo scorso 1° marzo i 136.000 soci prestatori di Unicoop Tirreno hanno ricevuto una lettera in cui la Cooperativa li informava dell’adeguamento dei tassi di interesse sul Prestito Sociale. La lettera, firmata dall’Am-ministratore Delegato alla Finanza Sergio Costalli, ha spiegato ai soci come negli ultimi mesi i mercati finanziari abbiano fatto registrare un sensibile calo dei tassi d’interesse e come questo abbia avuto da una parte conseguenze positive (vedi la riduzione nell’im-porto delle rate dei mutui); mentre dall’altra ha costretto tutti gli operatori (Istituti di credito, Poste, Stato italiano) a ridurre il tasso corrisposto ai risparmiatori. Per diversi mesi Unicoop Tirreno ha mantenuto inalterati i propri tassi, offrendo quindi ai soci condizioni molto più favorevoli rispetto all’andamento del mercato: una situazione che a febbraio 2009, di fronte ad un’ulteriore riduzione dei tassi, ha però costretto anche la Cooperativa ad adeguarsi.

Costalli la scelta non è stata facile, ma la Cooperativa ha puntualmente avvertito i soci, spiegando loro il motivo di questa decisione con un linguaggio molto comprensibile. Già in questo Coop si differenzia dagli altri operatori. Quali altri vantaggi, anche pratici, presenta il Prestito Sociale rispetto ad altre forme di investimento?«I nostri soci prestatori possono beneficiare di orari di apertura comodi, generalmente dal lunedì mattina al sabato sera e nei punti vendita più grandi è previsto anche l’orario continuato. In più, grazie alla circolarità, con il proprio libretto possono effettuare operazioni di prelievo e di versamento presso qualunque punto vendita Unicoop Tirreno dove sia attivo il servizio di Prestito Sociale in Toscana, Lazio, Campania e Umbria».C’è un ulteriore vantaggio da sottolineare, quello che magari può passare inosservato?«Ce ne sono due: su qualunque tipologia di versamento, in contante o in assegno, la valuta decorre dalla data del versamento, in più i soci prestatori possono usare la loro carta SocioCoop per il pagamento della spesa e in questo caso l’addebito avviene al 10 del mese successivo».Spesso si tace sui reali costi di un libretto di risparmio. Pubblicità e linguaggio compli-

cato distraggono il risparmiatore che può avere brutte sorprese.«Per semplicità non mi voglio dilungare sulla diversa forma giuridica, e pertanto, da un punto di vista formale, sulla non-omogeneità tra i diversi strumenti finan-ziari e il Prestito Sociale. Tuttavia possiamo dire che il Libretto del Prestito Sociale è una forma di investimento che, oltre ad aiutare la Cooperativa nel perseguimento

della propria missione, è realmente a costo zero per il socio: non è, infatti, prevista alcuna commissione di apertura e chiusura, le movimentazioni sono completa-mente gratuite e senza alcun limite massimo, l’estratto conto di fine anno è gratuito, così come l’estratto conto mensile inviato a chi utilizza la carta SocioCoop per pagare la spesa».La domanda più frequente – e comprensibile – quando si parla di forme di risparmio è “Ma sarà davvero sicuro?”.«Il Prestito Sociale di Unicoop Tirreno è uno strumento sicuro e garantito dall’elevato ammontare del portafoglio titoli, dal riconosciuto patrimonio della Cooperativa e dal profondo rapporto di fiducia che il continuo incremento del numero dei soci e dei soci prestatori testimonia. Nella gestione del Prestito Sociale Unicoop Tirreno adotta da sempre una politica finanziaria di grande prudenza, investendo in strumenti e prodotti finanziari trasparenti e a basso rischio».Quali sono le modifiche apportate ai tassi di in-teresse?«Il Consiglio di Amministrazione di Unicoop Tirreno, a conferma di una scelta volta a mantenere il rendimento del Prestito Sociale a un livello di adeguata tutela del risparmio dei soci, ha deciso, nonostante il significativo e continuo calo del costo del denaro, una riduzione dei tassi di entità minore rispetto alla media del mercato. Per questo motivo, anche alle nuove condizioni, il Libretto Coop rimane un impiego vantaggioso come dimostra, a titolo di esempio, un confronto con alcune forme di investimento più conosciute».

Siamo certi che questi confronti rassicurino i soci e facciano emer-gere con chiarezza i vantaggi del Libretto Coop come forma di investimento e ri-

NUOVI TASSI DI INTERESSE DAL 1 MARZO 2009 tasso rit. fiscale tasso lordo vigente netto

Per importi fino a 2.500 euro 1,35% 20% 1,08%Oltre 2.500 fino a 15.000 euro 1,70% 20% 1,36%Per parte eccedente i 15.000 euro 2,50% 20% 2,00%

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Il Comitato soci di Massa Marittima, nell’ambito delle iniziative rivolte agli anziani iniziate nel 2007 con Ausilio per la Spesa, ha inaugurato il progetto Audiolibri. Sono state prodotte e fornite dall’associazione “Spazio H” di Piombino alcune copie di audiolibri che, insieme alla necessaria strumentazione per l’ascolto (lettori mp3 e cuffie) sono state regalate all’ospedale di Massa Marittima e all’istituto “G. Falusi”.

indici di ascolto

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sparmio. Vuole aggiungere una conclusione?«La convenienza dei tassi del Prestito Sociale e, di conse-guenza, i vantaggi dei Soci Prestatori di Unicoop Tirreno sono ancora più evidenti se prendiamo in considerazione alcuni importanti indicatori finanziari come il tasso BCE attualmente (stiamo parlando di marzo 2009, ndr) al 1,50%, il tasso Euribor a 3 mesi attualmente al 1,80% e l’inflazione al consumo che come tendenziale annuo a gennaio è pari al 1,50%. I nostri soci capiranno che la modifica dei tassi è dovuta solamente all’andamento del mercato e non certo a manovre speculative da parte della Cooperativa. Ci auguriamo di continuare assieme un cammino iniziato molti anni fa all’insegna dei valori che condividiamo». ■

Buoni Postali Fruttiferi Ordinari Sono un investimento di lungo periodo (fino a 20 anni, ma possono essere ritirati a partire dal secondo anno) e il loro tasso di remunerazione varia rispetto alla durata dell’investimento. Se prendiamo, ad esempio, l’emissione del 1° febbraio 2009 il loro rendimento netto effettivo dopo un anno è dello 0,87% e solo il 20° anno raggiunge l’1,95%.Buoni Ordinari del Tesoro Il Bot è un investimento che se tenuto fino a scadenza garantisce il capitale, se invece viene venduto prima il valore di cui l’investitore entra in possesso è determinato dal prezzo del titolo nel giorno di vendita, che può anche essere inferiore rispetto a quello di acquisto. Il rendimento del Bot annuale relativo all’asta del 12 marzo 2009 è dell’0,85% al netto delle spese (Fonte: Il Sole-24 Ore del 12 marzo 2009) da cui vanno ancora detratti i bolli il cui ammontare varia in funzione del capitale investito.

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non c’è due senza treIl ventinovesimo punto vendita Unicoop Tirreno della pro-vincia di Grosseto (il terzo in città) è stato inaugurato in via Emilia lo scorso 27 marzo. Con una superficie di 500 mq di area vendita sarà un negozio a misura di quartiere, dove possono accedere facilmente anche le persone anziane o chi si sposta a piedi e cerca un riferimento per la spesa quotidiana. L’InCoop di via Emilia risponde a un’esigenza sollecitata da tempo dai soci Coop grossetani (ad oggi 32mila) perché va a coprire una zona della città popolosa e facilmente accessibile. (B.R.)

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Trekking nella valle del torrente Zanca domenica 3 maggio. Per partecipare all’iniziativa, promossa dalla Sezione soci Colline Metallifere, dalla locale Comunità Montana e dalla sottosezione del Club Alpino Italiano di Massa Marittima in collaborazione con la Misericordia e la sezione comunale Avis, è necessario iscriversi entro il 22 aprile. Ai partecipanti sarà consegnata in omaggio una borsa ecologica riutilizzabile Coop. Tel. 0566901288 (lun., mer., ven.: 10-12/16-19), 0564906111.

in sezioneIl socio prima di tutto, per contribuire alla crescita della Cooperativa e per diffondere nei territori lo stile di vita Coop. La nuova politica di Unicoop Tirreno riparte dalla base: ne parla Massimo Favilli, responsabile delle Politiche Sociali. di Barbara Sordini

Pochi concetti ma fondamentali: la Cooperativa basa la sua esistenza sui so-ci, che attraverso la rete delle Sezioni, portano nei diversi territori i valori del mondo Coop. Ma c’è anche un flusso che va al contrario: la Cooperativa, attraverso le Sezioni, recepisce le necessità dei soci e dei territori che rappresentano, puntando sui temi che la stessa base sociale sug-gerisce e che caratterizzano Coop, dalla convenienza alla sicurezza dei prodotti, dalle politiche verso i dipendenti al rispetto delle leggi e dell’ambiente, dal consumo consapevole alla solidarietà.Le attività su cui punta dritto la Direzione soci per il 2009 si incentrano proprio su questi temi, seguendo un percorso che dura da anni, ma con delle novità rispetto all’organizzazione dal punto di vista sociale: «Abbiamo cercato – dice Massimo Favilli, responsabile delle Politiche Sociali di Unicoop Tirreno – di concentrare tutte le attività che vengono svolte nei territori per rendere il più possibile omogenee le principali iniziative della rete e di fare in modo che i piani di attività delle 29 Sezioni soci ricalchino le migliori esperienze pratiche, rimanendo nell’ambito dei macrotemi e dando così un segnale coe-rente di cosa fa nella realtà la nostra Cooperativa».Nello specifico, i filoni di attività che persegue la Cooperativa si snodano, nel particolare e nelle diverse realtà territoriali, in decine di progetti: «Proponiamo i consumi, ma sempre riallacciandoci allo stile di vita Coop – continua Favilli –. I filoni tematici sono quelli che ci contraddistinguono: l’ambiente, tema trasversale che va dal risparmio energetico alla sensibilizzazione dei nostri soci, attraverso un percorso strutturato, con il monitoraggio dei consumi nelle attività domestiche.

Da sempre Coop promuove il consumo consapevole: i soci sono informati attra-verso etichette chiare sui nostri prodotti a marchio, facciamo attività nelle scuole cercando di far comprendere cosa c’è dietro un prodotto. Anche nel campo della soli-darietà i progetti sono tantissimi: a livello internazionale diamo alle popolazioni povere garanzie umane, scolarizzazione, la possibilità di lavorare senza essere sfruttati,

prezzi equi, sempre in un’ottica di crescita. Poi facciamo solidarietà con progetti interni alla nostra Cooperativa, come il Progetto Matteo a sostegno dei bambini e a livello locale, come il progetto Buonfine, che ci rende protagonisti nei diversi territori attraverso la cessione a titolo gratuito alle associazioni onlus di alimenti per le mense dei poveri. È con questo tipo di progetti che vorremmo che Unicoop Tirreno fosse maggiormente riconosciuta dai soci e dai consumatori». Vasto è anche il filone sul tema dei servizi e delle con-venzioni: «Per statuto la Cooperativa si propone, oltre ad offrire prodotti a prezzi vantaggiosi, di poter contri-buire a crescere culturalmente i propri soci, facilitando l’utilizzo del loro tempo libero: in questo rientrano le numerose proposte turistiche e di viaggi, sempre legate alle caratteristiche del mondo Coop, e i servizi come Libri Randagi, per una libera circolazione della cultura e per un arricchimento dei nostri soci sparsi nei diversi territori. Tra le convenzioni vorrei sottolineare l’importanza di Ausilio per la spesa, a metà tra la solidarietà e il servizio, che ci consente – conclude Massimo Favilli –, grazie alla collaborazione con le amministrazioni comunali e tanti volontari, di raggiungere le persone in difficoltà che non possono fare la spesa». ■

Morgan, Ricciarelli e le canzoni di De André per il 25 aprile a Piombino. Alle 18,30 in piazza Verdi si esibisce Morgan, a seguire l’intitolazione del Centro Giovani a Fabrizio De André. Alle 21,30 sempre in piazza Verdi esibizione del gruppo musicale Khorakhanè e il gruppo teatrale Fob. Chiude l’iniziativa, promossa dal Comune di Piombino in collaborazione con Unicoop Tirreno, il concerto di Katia Ricciarelli (ingresso 10 euro, incasso devoluto in benefi-cenza) la sera del 26 al Teatro Metropolitan.

nella valle del trekking canzonissima

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joyful d’assi

Qualità a buon prezzo, in cotone biologico e in difesa dell’ambiente. Gli assi nella manica della nuova linea di abbigliamento Joyful, in Coop.

Cotone bio al 100% coltivato in terreni decontaminati da sostanze chimiche tossiche, assortimento uomo, donna, bambino, ottimo rapporto qualità-prezzo. La nuova linea di abbigliamento Joyful ha preso posto sugli scaffali Coop a fianco del marchio Solidal, con la collezione primavera-estate, primo frutto concreto dell’accordo siglato da Coop con Olimpias, una società del gruppo Benetton che crea anche linee di abbigliamento per grandi marchi internazionali (Calvin Klein, Burberry, Replay) e che per la prima volta lavora per la Grande Distribuzione. «L’obiettivo di Coop è puntare a una qualificazione dell’offerta di capi di abbigliamento negli IperCoop e nei grandi supermercati convinti che anche nella Grande Distribuzione possano trovare un posizionamento i pro-

dotti tessili di marca e di buon livello – spiega Vincenzo Santaniello, direttore innovazione e sviluppo di Coop Italia –: per questo abbiamo cercato una partnership con un’importante azienda specializzata nel tessile. Coop mette la sua esperienza in fatto di esposizione e vendita, mentre Olimpias, con un gruppo di 20 persone, controlla l’intero ciclo produttivo: dalla scelta delle materie prime al disegno fino alla produzione finale. Si tratta di un pro-getto pilota che arriverà a regime su tutta l’area vendita nel prossimo autunno». Una linea giovane, ideale per chi ha dei bambini e vuole spendere il giusto senza rinunciare alla bontà dei tessuti e alla comodità dei capi. Una linea anche “verde”: ogni fase del processo produttivo è certificata a salvaguardia dell’ambiente. ■

Sul palco del Teatro degli Industri di Grosseto venerdì 17 aprile, alle 17, andrà in scena Entrata Libera, l’evento già sperimentato a Piombino per raccontare alla cittadi-nanza l’esperienza delle piccole cooperative siciliane che gestiscono le terre confiscate alla mafia, producendo pasta, taralli, sughi, olio e vino che Coop distribuisce in tutta Italia col nome Libera Terra. A condurre la serata sarà di nuovo l’attrice Daniela Morozzi: a lei il compito di amalgamare i racconti dei giovani grossetani che in estate partecipano ai campi di lavoro organizzati dall’Arci Toscana a Corleone; rappresentanti nazionali dell’antimafia, delle istituzioni locali e per Unicoop Tirreno il presidente Marco Lami. Da Corleone arriverà anche Calogero Parisi, il presidente della coraggiosa cooperativa Lavoro E Non Solo di cui Unicoop Tirreno è socia sostenitrice. Nel corso della serata sarà proiettato un contributo video di Elisabetta Caponnetto, vedova del giudice Antonino Caponnetto e presidente della omonima Fondazione.“Entrata Libera” sarà anticipata da un incontro mattu-tino con gli studenti delle scuole superiori che nel corso dell’anno hanno seguito un percorso didattico sul tema della legalità, mentre la serata proseguirà con una cena tipica siciliana organizzata con il contributo della Sezione soci e preparata con i prodotti di “Libera” dai ragazzi dell’Istituto Alberghiero di Grosseto. (B.R.)

entrata Libera

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I ragazzi della squadra di calcio del Burkina Faso “Racing Club De Bobo” con l’allenatore Hamde Mamadou ospiti degli studenti dell’Itis “Galilei” di Viareggio che con una mostra fotografica sul Burkina Faso allestita nell’aula magna della scuola hanno sostenuto la costruzione di un pozzo. L’incontro tra i calciatori del Burkina e gli studenti toscani è stato promosso dalla Sezione soci di Viareggio impegnata da anni in attività di sostegno al Progetto Matteo di Unicoop Tirreno. Il pallone Solidal firmato dai calciatori del burkina e consegnato agli studenti viareggini sarà donato ai bambini di casa Matteo a Gorom Gorom. L’intenzione degli studenti del Galilei che hanno organizzato la mostra in collabora-zione con la Coop di Viareggio e la Banca della Versilia è di realizzare un secondo pozzo grazie anche all’iniziativa di alcuni genitori e della scuola media “Viani” che dopo aver visitato la mostra ha deciso di aderire al progetto.

DA UNA PARTE LA CRISI.DALL’ALTRA, TU.

DALLA TUA PARTE,

noi.Coop vuol dire convenienza. Anche nel 2009, la più grande cooperativa di consumatori italiana è pronta a garantirti il massimo del risparmio per la tua spesa di tutti i giorni.

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la ricetta del governo

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A passo di gambero verso l’Italia delle corporazioni che il decreto Bersani del 2006 aveva provato a smontare. Sono iniziate le grandi manovre per reintrodurre vecchi privilegi in alcuni settori del commercio, dei servizi e delle professioni. A cominciare dai farmaci.di Aldo Bassoni

Fa veramente preoccupare che in una fase di grave crisi dei consumi e di riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, si tenti di ripristinare vecchi privilegi a vantaggio di caste e congregazioni che, non a caso, in questi mesi, hanno moltiplicato l’attività di lobby per rientrare in possesso di quelle posizioni dominanti di cui si sono sentite private e il cui costo potrebbe tornare a gravare sulle tasche dei cittadini. E in questa frenesia restauratrice di vecchi privilegi non poteva mancare un attacco alla liberalizzazione della vendita dei farmaci da banco che, in poco più di due anni, ha fatto risparmiare ai consumatori centinaia di euro, fatto nascere circa 2.750 parafarmacie e creato quasi 5.000 nuovi posti di lavoro. I prezzi dei farmaci da banco sono calati mediamente del 10-20 per cento. Anche di più nella Grande Distribuzione. Inoltre, per effetto dell’aumentata concorrenza, anche le farmacie tradizionali sono state co-strette a rivedere i listini. Se l’intervento pro-corporazioni del governo dovesse passare, avremmo una secca riduzione del numero dei farmaci da banco vendibili nelle parafarmacie, la scomparsa della figura del farmacista e la possibilità di commercializzare solo confezioni ridotte e monodose di un ristretto gruppo di medicinali di largo consumo, decretando praticamente la morte e l’inutilità sociale di queste attività. Mentre la lobby dei farmacisti potrà di nuovo lucrare su una posizione di monopolio e continuare a vendere indisturbata prodotti che con le farmacie c’entrano poco come giocattoli, cosmetici e ogni sorta di gingillo griffato.la casta«Abbiamo denunciato pubblicamente questo tentativo del governo di azzerare i provvedimenti di Bersani sulle liberalizzazioni, e in particolare il rischio che incombe sul-

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l’apertura del mercato dei farmaci che ha permesso a tanti cittadini di acqui-stare i prodotti da banco a prezzi inferiori a quelli praticati dalle tradizionali farmacie – dice Rosario Trefiletti, Presidente di Federconsumatori –. Se dovesse passare questa controffensiva delle corpo-razioni i consumatori italia-ni riceverebbero un ulterio-re colpo al proprio potere d’acquisto che si andrebbe a sommare agli effetti già gravi della crisi». Una ferma opposizione al disegno di legge Gasparri-Tommasini giunge in ma-niera corale dalle 17 associazioni del Consiglio nazio-nale dei consumatori e degli utenti (Cncu).«Il processo di liberalizzazione avviato dal Decreto Bersani rappresenta una pietra miliare nella storia del consumerismo italiano – afferma Antonio Longo, del Movimento difesa del Cittadino, tornare indietro vuol dire cancellare un capitolo importante di storia nella tutela dei consumatori».«La strada da percorrere è semmai un’altra – aggiunge Trefiletti –. Bisogna ampliare e non ridurre la vendita dei farmaci alla fascia C, cioè a quei prodotti ricettabili che per ora rimangono esclusiva delle farmacie». Insomma, le associazioni dei consumatori sono fermamente decise ad impedire che in questo paese prevalgano sempre gli interessi delle caste su quelli dei cittadini.Anche il Movimento nazionale dei liberi farmacisti si oppone al Ddl Gasparri-Tomassini perché “propone un patto a scapito dei consumatori che avranno a di-sposizione pochi farmaci da banco e solo in confezioni starter cioè con poche unità posologiche, con il rischio di un aumento reale dei costi dei medicinali”.libero farmacoI vantaggi della liberalizzazione della vendita dei farmaci da banco sono troppo evidenti per poterli negare. Così, i promotori del disegno di legge che vorrebbe cancellare queste importanti aperture del mercato sostengono che la maggiore convenienza è solo dovuta all’aumento delle vendite di questi farmaci. Il che, però, non risulta affatto dai dati ufficiali di Farmindustria i cui numeri parlano di un fatturato 2007 dei farmaci da banco praticamente in linea con quello del 2005, quando le liberalizzazioni di Bersani non erano ancora state introdotte. «Anche a noi non sembra che dopo l’apertura del mercato della vendita dei farmaci da banco la gente si sia abbuffata di medicinali – sottolinea Vincenzo Santaniello, direttore innovazione e sviluppo di Coop Italia e responsabile del progetto CoopSalute –. I consumatori hanno continuato a comprare quello

che gli serviva pagandolo un po’ meno». Un’altra accusa che viene rivolta alla Grande Distribuzione è di fare politi-che commerciali troppo spin-te su prodotti il cui consumo non andrebbe incrementato. «Noi non facciamo promo-zioni sui farmaci né operia-mo vendite e sconti speciali – continua Santaniello –; pratichiamo prezzi più bassi semplicemente perché ab-biamo ridotto il margine di guadagno». I conti sono pre-sto fatti: «mentre le farmacie ricaricano dal 30 al 50 per cento, noi abbiamo ridotto il margine di guadagno intor-no al 10-12, il differenziale

è lo sconto che noi facciamo», spiega Santaniello. In realtà si ha la sensazione che il vero obiettivo dei promotori della legge sia annullare i benefici della liberalizzazione e resti-tuire alle farmacie il monopolio della vendita di prodotti che possono benissimo essere venduti altrove, per altro da personale qualificato con tanto di laurea in farmacia. E per chi propugna da sempre la religione del mercato è una bella contraddizione.ottime prestazioniNon tutti i ministri, infatti, condividono questo arrem-baggio alle liberalizzazioni introdotte da Bersani. Non lo condividono né il ministro alle Attività Produttive Scajola né il suo vice Urso il quale, durante una puntata di Ballarò, ha dichiarato che «la proposta Gasparri-Tomassini è una proposta a carattere personale non condivisa dalla mag-gioranza del governo». C’è solo da sperare che prevalga la ragione e che l’interesse pubblico abbia la meglio su quello corporativo. Anche perché la presenza del farmacista, il cui livello professionale è indipendente dal tipo di esercizio nel quale opera, garantisce il massimo di assistenza. E infatti, gli italiani non solo non s’ingozzano di aspirine solo perché costano meno, ma secondo un’indagine del Censis, vogliono avere a che fare con un farmacista quando ci sono di mezzo le medicine, da banco e non. «Dire che solo la farmacia in quanto “proprietà” di un farmacista può garantire questo livello di professionalità è una posizione ideologica che non ha nessun riscontro nella realtà – afferma Santaniello –. Un farmacista può essere più o meno bravo, come un ingegnere, un medico o un avvocato indipendentemente dal tipo di esercizio nel quale opera. Quanto alla sicurezza e all’affidabilità delle prestazioni, i nostri CoopSalute sono all’interno della rete di informazione della farmacovigilanza, per cui tutto rientra nelle regole a cui sono sottoposte le farmacie. Noi siamo affidabili al pari delle farmacie e non solo rispetto ai farmaci ma anche in altre aree merceolo-giche altrettanto delicate come la sicurezza e la salubrità dei prodotti alimentari». ■

PIÙ O MENOCala la spesa dei farmaci, ma aumentano le ricette.

La spesa farmaceutica a carico del Servizio Sanitario Nazionale nel 2008 ha fatto registrare un calo dell’1 per cento rispetto al 2007, attestandosi a 11.383 milioni di euro, pari a 193,76 euro per ciascun cittadino italiano. A fronte del calo di spesa continua a salire il numero delle ricette: +5,5 per cento rispetto al 2007.Nonostante l’aumento del numero delle ricette, nel 2008 si è verificato un calo di spesa: ciò è dovuto alla riduzione del valore medio delle ricette stesse (-6,1%), cioè al fatto che vengono prescritti farmaci di prezzo mediamente più basso (il prezzo medio è di 12,58 euro, a fronte di 13,12 euro del 2007). Il valore delle ricette continua a calare per gli effetti degli interventi sui prezzi dei medicinali varati dall’Agenzia del Farmaco a partire dal 2006, del crescente impatto del prezzo di riferimento per i medicinali equivalenti e delle misure applicate a livello regionale. (Fonte Federfarma)

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DOMANDA FARMACEUTICA E SANITARIALa spesa pubblica e privata per i medicinali venduti in farmacia (compresa GDO e parafarmacie per i medicinali senza obbligo di prescrizione) nel 2007 è stata di 18.725 milioni di euro, in diminuzione dell’1,9% rispetto al 2006, come conseguenza di un calo della componente farmaceutica convenzionata (6,8%), pari a 11.493 milioni di euro e un aumento della spesa privata (7.232 milioni). Includendo anche la componente pubblica non convenzionata (4.371 milioni di euro nel 2007), la spesa totale sale a 23,1 miliardi di euro, di cui il 69% a carico del Servizio Sanitario Nazionale, il 13% composto da farmaci di classe C con prescrizione, il 10% di farmaci senza obbligo di prescrizione e la parte restante da ticket e farmaci in classe A acquistati privatamente. (Fonte Farmindustria)

SPESA FARMACEUTICA IN ITALIACanale farmacia, pubblica e privata (mil. euro)

2005 2007 var. %Totale 18.862 18.725 -0,7Convenzionata 11.848 11.493 -2,9Privata 7.014 7.232 3,1 - fascia A 831 828 -2,5 - ticket 515 539 4,0 - fascia C 3.061 3.084 0,7 - SOP e OTC (*) 2.154 2.198 2,0(*) nel 2007 incluse vendite Grande Distribuzione e parafarmacie

(Fonte: Osmed, IMS, Federfarma)

spesa pubblica 69%fascia C (con ricetta) 13%SOP e OTC (farmacia+GDO) 10%fascia A (acquisto privato) 4%ticket 2%

COOP SALUTE CONVIENEDa agosto 2006 ad oggi i corner CoopSalute aperti nei supermercati e negli ipermercati Coop sono 88. Entro la fine dell’anno diventeranno 90 e, se il quadro norma-tivo, anziché peggiorare, dovesse evolvere aprendo ad esempio il mercato ai farmaci di fascia C, potrebbero diventare molti di più.Il mercato dei farmaci in Italia supera i 19 miliardi di euro ed è composto per l’80 per cento (quasi 17 miliardi di euro) da farmaci con prescrizione e dall’11 per cento da farmaci senza ricetta (gli Otc e i Sop, quelli sui quali vi è stata l’apertura del mercato).Coop ha scelto una strada che ha portato finora all’apertura di oltre 2.700 parafarmacie. Ciò no-nostante il peso delle farmacie tradizionali resta ancora forte, mentre la Grande Distribuzione rappresenta solo l’1,6 per cento del mercato dei farmaci da banco con un assortimento medio di 320

prodotti e una media vendite pari a poco più di 212mila euro per ogni punto vendita. Coop è leader nella Grande Distribuzione con un trend in crescita del 25 per cento nel 2008 rispetto all’anno precedente.Il primo farmaco a marchio Coop, quello che impropria-mente qualcuno chiama “Aspirina Coop”, dal giorno del suo lancio – avvenuto il 12 maggio 2008 – alla fine di

dicembre 2008 è stato venduto in 135mila pezzi, il 4 per cento sul totale dei farmaci venduti nei CoopSalute, ad un prezzo di 2 euro per 20 compresse a fronte di 5,35 euro dell’Aspirina e dei 4,92 del Vivin C sui quali, a differenza del prodotto a marchio, le case farmaceutiche hanno recentemen-te praticato aumenti consistenti. Ma se il farmaco a marchio Coop fa la parte del leone per quanto riguarda le vendite e il prezzo, anche gli altri prodotti di più largo consumo presentano un quadro convenienza migliore rispetto alle farmacie tradizionali.

«Se l’acido acetilsalicilico Coop può costare quasi tre volte meno dell’Aspirina, significa che in questo settore c’è uno spazio reale e ampio di intervento. Uno spazio che, se non ce lo impedissero attraverso inopportuni interventi legislativi, ci permetterebbe di proporre molti altri principi attivi a marchio Coop a prezzi vantaggiosi sfruttando i benefici della filiera corta e l’assenza di quei costi che invece le aziende farmaceutiche sono costrette a sostenere per commercializzare e promuovere i propri prodotti».Vincenzo Santanielloresponsabile progetto CoopSalute

Prezzi CoopSalute dei farmaci più venduti.prodotto prezzo CoopAcido acetilsalicilico e acido ascorbico 2,0020 comp. 330 mg CoopAspirina C 20 comp. 400 mg 5,35Vivin C 20 comp. 330 mg 4,42Antalgil 200 mg 10 comp. 3,79Bisolvon gocce 5,00Briovitase 10 bust. 450 mg 5,77Glicerina Erba conf. da 6 2,62Momendol 5,36Nizoral 3,30

Differenza tra i prezzi CoopSalute e le farmacie tra -20% e -30%.

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terzo canaleCoop si oppone allo smantellamento della liberalizzazione della vendita dei farmaci da banco e con il suo presidente, Aldo Soldi, rilancia e propone di ampliare il servizio offerto ai consumatori, estendendolo ai farmaci di fascia C. Creando magari un terzo canale di prodotti da automedicazione che possano essere venduti anche senza obbligo del farmacista.

«La nostra posizione è chiara. Crediamo che quanto è stato fatto fino ad ora sul versante della liberalizzazione dei farmaci sia stato un bene per i consumatori che hanno potuto godere di un maggiore servizio e di prezzi più bassi». Aldo Soldi, presidente dell’Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori, non ha dubbi. Confortato dai dati e dal consenso dei consumatori, auspica che il processo di liberalizzazione della vendita dei farmaci non venga interrotto o annullato, ma semmai incentivato e allargato anche ad altre tipologie di farmaci.Il governo però sembra intenzionato a rivedere le norme sulla liberalizzazione dei farmaci da banco.«Le attuali proposte di legge o le iniziative del governo ci pare propongano, chi in un modo chi in un altro, scenari di limitazione che Coop non può condividere. Al contrario, proprio l’esperienza fatta e il gradimento ottenuto ci dicono che è importante andare avanti».Cosa propone Coop?«Noi proponiamo che i due canali distributivi attuali, ovvero farmacie e parafarmacie alle quali sono assimi-labili i corner della Grande Distribuzione, continuino – ciascuno nel proprio ruolo – a svolgere la loro funzione. Riteniamo peraltro che proprio la presenza dei farmacisti, come previsto dalla legge anche nel caso dei corner della Grande Distribuzione, qualifichi al meglio anche questo secondo canale distributivo e renda quindi possibile ampliare il servizio offerto ai consumatori, estendendolo ai farmaci di fascia C (ovvero i farmaci ottenibili con

prescrizione medica, ma pagati dall’utente e quindi non a carico del Servizio Sanitario Nazionale, ndr)».La presenza del farmacista dunque per Coop rimane fondamentale?«Per alcune tipologie di prodotti non c’è dubbio che la professionalità del farmacista è importante. Tuttavia, fermo restando l’evi-dente opportunità che i due canali suddetti permangano e anzi si integrino al meglio,

come ulteriore richiesta avanziamo anche la possibilità di creare un terzo canale distributivo più ridotto nella quantità di farmaci e nella loro tipologia includendo in questo canale un elenco di farmaci da banco (Otc e Sop) che per la loro larga diffusione possano essere venduti direttamente, senza obbligo del farmacista, in linea con quanto succede in altri paesi europei dove il processo di liberalizzazione è molto più avanzato. Questo consentirebbe di allargare il servizio anche nei punti vendita che, per dimensioni, non possono ospitare il CoopSalute».Prima dell’approvazione della liberalizzazione della vendita dei prodotti farmaceutici da banco c’era chi paventava abbuffate di tachipirine da parte dei consumatori.«Nessuno dei negativi effetti collaterali a suo tempo denunciati dagli oppositori della liberalizzazione si sono dimostrati reali; non solo non c’è stato il presunto abuso di medicinali che da lì sarebbe derivato, ma non si sono viste nemmeno le chiusure di esercizi farmaceutici già in essere come qualcuno temeva». (A.B.) ■

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la merce muta di Giorgio Nebbia

acqua chiara

Chi ne ricava altissimi profitti, chi se la contende, chi non ne ha. Ma di chi è l’acqua?

Qualche lettore dirà che l’acqua non è una merce, il che è vero fino a un certo punto; l’acqua è certamente un bene comune, appartiene alla natura e quindi a tutti noi, ma di fatto l’acqua arriva nei rubinetti delle case, delle fabbriche e nei campi perché qualcuno la preleva dai fiumi o dal sottosuolo, la depura, la distribuisce con tubazioni che attraversano le pianure e le montagne e con investimenti per i quali chiede agli utenti un prezzo. Intorno a questo argo-mento, “di chi è l’acqua” – perché alcune imprese possono appropriarsene e venderla, spesso con profitti, talvolta, come nel caso delle acque in bottiglia, con altissimi profitti e perché 2.000 milioni di terrestri l’acqua potabile non l’hanno per niente – hanno discusso dal 12 al 22 marzo a Istanbul i partecipanti al quinto Forum Mondiale dell’Acqua dal titolo Stendere dei ponti fra le divisioni. Cominciamo dal titolo: il ponte è qualcosa che unisce due rive di un fiume e purtroppo invece le rive e il corso della maggior parte dei fiumi sono e continuano ad essere divisi fra popoli in conflitto. Il fine della conferenza avrebbe dovuto essere la domanda di una maggiore giustizia e solidarietà fra popoli che si trovano lungo gli stessi corpi di acqua dolce. Ironicamente il Forum si è svolto proprio in Turchia, un paese coinvolto in controversie proprio per il controllo delle acque, preziose per le città, i campi e per la produzione di energia idroelettrica, del grande bacino idrografico del Tigri-Eufrate spartito fra Turchia, Siria, Iraq. Si parla sempre più spesso di “guerre dell’acqua”; è il titolo di un libro di Vandana Shiva (Feltrinelli). Ma le contese sul “possesso” dell’acqua sono soltanto uno degli aspetti trattati nel Forum. L’acqua dopo l’uso torna nei corpi riceventi naturali contaminata dagli escrementi delle città, da agenti chimici provenienti dalle industrie, dall’agricoltura e zootecnia. L’acqua inquinata può essere resa di nuovo utilizzabile soltanto dopo tratta-menti chimici e fisici, costosi, per cui molti pagano cara l’acqua che è stata inquinata da altri. L’acqua in molte parti del mondo è scarsa, e 2.000 milioni di persone nel mondo non hanno acquedotti, gabinetti, docce, servizi igienici essenziali. La comunità internazionale potrebbe salvare la vita a milioni di persone investendo denaro in servizi igienici essenziali che potrebbero diventare anche fonte di lavoro, di imprese e di soldi. Purtroppo questo discorso si sta ripetendo da decenni; le Nazioni Unite hanno indetto numerose conferenze sull’acqua, hanno proclamato “decenni” e “anni dell’acqua”, ogni anno il 22 marzo – proprio l’ultimo giorno della conferenza di Istanbul – è proclamato Giornata mondiale dell’acqua. Ma resta ancora sulla carta il rispetto del diritto di ogni persona ad avere acqua almeno sufficiente e pulita. Forse se si facessero meno conferenze e più pozzi e gabinetti potrebbe essere davvero lanciato con successo il ponte fra chi ha l’acqua e chi non ce l’ha.

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mano d’opera

salute

Più di una tecnica per migliorare contratture e inestetismi, un’esperienza dei sensi, un viaggio attraverso una filosofia del corpo che attribuisce al contatto tra le mani e la pelle la capacità di guarire e soprattutto prevenire molti disturbi fisici. Come si può rinunciare al piacere di un massaggio?di Barbara Bernardini

A chi non è mai capitato dopo una giornata di lavoro, incombenze domestiche, bambini da scollettare da un capo all’altro della città, di sognare un lettino su cui sdraiarsi e lasciarsi coccolare dalle mani esperte di un massaggiatore, capaci di rigenerare il corpo e lo spirito a base di carezze, sfioramenti, impastamenti della pelle e dei muscoli contratti? a fior di pelleLe sapienti mani dei massofioterapisti e massaggiatori non eseguono un puro esercizio di tecnica, ma attingono a una tradizione millenaria che affonda le sue radici nella lontana India dove l’arte del massaggio nacque diverse migliaia di anni fa, come parte integrante dell’Ayurveda, la scienza della vita che «insieme alle sostanze medicate e agli oli raccomanda il massaggio come parte integrante della cura del corpo nel 90 per cento delle affezioni pato-logiche – spiega Riccardo Mentasti, massofisioterapista dell’associazione Ayurveda-AIMA di Milano –. Dall’India il massaggio venne importato in Europa duemila anni fa, si sviluppò soprattutto in Grecia e Turchia a compendio della medicina termale». Un origine nobile, dunque, che fa del massaggio qualcosa di più di una tecnica in grado

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di migliorare contratture e inestetismi, ele-vandolo al grado di esperienza sensoriale, un viaggio in una filosofia del corpo che attribuisce al contatto intimo tra le mani e la pelle, la capacità di migliorare, guarire, e soprattutto prevenire molti disturbi fisici. Nonostante l’immensa potenzialità di que-sta che si può definire un’“arte medica”, in Italia, come in molti altri paesi, la medicina convenzionale l’ha letteralmente dimenti-cata. Le scuole mediche ignorano nel corso di studi forse la più antica delle medicine. «Il massaggio non rientra neanche tra le tecniche di fisioterapia – chiarisce Mentasti –; ad oggi le estetiste sono per lo più le uniche ad esercitare queste tecniche». Un controsenso dato che i benefici fisici tangibili derivanti da un trattamento di massaggi ben eseguiti sono moltissimi. Uno dei più classici effetti del massaggio sta nel miglioramento della circolazione linfatica. Per questo il linfodrenaggio manuale è il trattamento più gettonato nei centri benes-sere per curare la cellulite e la ritenzione idrica in vista dell’estate.effetti specialiMa il massaggio è utile anche in altre af-fezioni, ad esempio, nei disturbi digestivi, perché migliora la funzionalità del colon e riduce la costipazione; con i massaggi si migliorano i problemi della pelle, anche perché gli oli che lo accompagnano sono capaci di reintegrare la barriera lipidica della pelle stessa, per non parlare della classica terapia di contratture e traumi muscolari. Si scoprono anche applicazioni inconsuete, come il trattamento dei dolori mestruali, che si attenuano col massaggio del ventre e della schiena, così come il miglioramento dei disturbi respiratori. Ma l’effetto forse più evidente è la capacità di alleviare il livello di ansia e di stress: in questo senso il massaggio è quasi meglio di un ansiolitico. Le ragioni di quello che potremmo riferire come “il potere del mas-saggio” risiedono innanzitutto nel gesto in sé. Il contatto fisico tra le mani e la pelle del corpo ha un fortissimo valore fisico ed emozionale, poiché non esiste probabil-mente un gesto più intimo di una carezza. Ecco perché l’AIMI – Associazione Italiana per il Massaggio Infantile – sostiene che il massaggio dei bambini, anche molto piccoli, possa essere utile alla crescita. La tecnica del massaggio infantile, eseguito con gesti delicati e limitati per lo più a sfioramenti più o meno marcati, ha dimostrato il potere di ridurre le piccole affezioni del neonato,

come le coliche gassose. Stimola il rilassamento e favorisce il sonno, stimola la crescita e il sistema immunitario, oltre a costruire un solido rapporto intimo tra madre e bambino, stimolato dal contatto come forma primordiale e incredibilmente profonda di comunicazione. A questi effetti ha rivolto l’attenzione anche la medicina convenzionale. Ci sono ormai numerosi studi scientifici che provano l’importanza del contatto e delle carezze nello sviluppo dei bambini prematuri costretti nelle incubatrici e in alcuni reparti avanzati di maternità del mondo si organizzano vere e proprie sessioni. chi va piano...Ma che dire del massaggio “fai da te?”. «È veramente difficile insegnare una tecnica solo descrivendola – ammette Mentasti –, ma di certo una regola fondamentale è quella di effettuare qualsiasi tipo di massaggio in maniera progressiva, iniziando da una fase di riscaldamento in cui il muscolo viene sollecitato con movimenti leggeri e sfioramenti. Senza questa fase preventiva la sollecitazione troppo energica può essere decisamente controproducente». Si può finire, insomma, per peggiorare i dolori muscolari per i quali si è iniziato il massaggio ed esacerbare, ad esempio, il dolore dovuto alle contratture. Dolcezza, un pizzico di prudenza e molta voglia di regalare benessere sono questi gli ingredienti per ritagliarsi una pausa di relax e intimità anche in assenza di una beauty farm nelle immediate vicinanze. ■

SPIRITO DI CORPOTutti i segreti del massaggio.

Anche se è molto difficile risalire alle origini del massaggio, una cosa è certa: qualsiasi tipo di tecnica alla quale possiamo attingere oggi deriva dalla tradizione orientale che offre essenzialmente tre approcci diversi.Massaggio Ayurvedico È la forma più antica di massaggio, sorto

in India diverse migliaia di anni fa. Abbina alle classiche tecniche manuali di sfioramento, impastamento, percussione dei muscoli, l’uso abbondante di oli medicati che vengono cosparsi su tutto il corpo, compresi viso e capelli per un trattamento di cura e benessere.

Massaggio Shiatsu È il massaggio giapponese basato sulla digi-topressione. Sviluppato in Giappone lo Shiatsu si basa in realtà sulla tradizione medica e filosofica cinese alla quale si ispira. Vengono sollecitati punti specifici del corpo integrando concetti di riflessologia e agopuntura. Si esegue sulla pelle nuda senza l’ausilio di oli.

Massaggio Tailandese Sempre ispirato alla tradizione cinese dalla quale fu perfezionato migliaia di anni fa, il massaggio tailandese si basa su caratteristiche manovre di stretching muscolare. A differenza degli altri, si esegue sul corpo completamente vestito adagiato su un materassino semi-rigido. Operatore e paziente talvolta interagiscono in una serie di manovre quasi “acrobatiche”.

INFO

Ayurveda AIMA, Milano (Associazione Italo-Indiana Massaggio Ayurvedico e discipline olistiche)www.ayurvedasite.it

AIMI (Associazione Italiana Massaggio Infantile)www.aimionline.it

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ABCibo di Eugenio Del Toma

Vorrei fare una precisazione sugli alimenti funzionali, figli del nostro “stile di vita” imperniato non più sul lavoro fisico ma sulla perniciosa sedentarietà di chi afferma di non avere neppure il tempo per camminare mezz’ora al giorno.Per coerenza con il suo progresso, l’uomo moderno deve guardare alle tecnologie “pulite” senza prevenzione; gli “alimenti funzionali” hanno dei pregi salutistici, mirati alla prevenzione, che giustificano la rinuncia a un concetto di genuinità ormai perfino anacronistico. Mi perdonino i raffinati gastronomi ma il progresso scientifico, con la dovuta prudenza, non può essere escluso da un settore fondamentale per la vita come la nutrizione! Anzi, deve interessarsene perché l’uomo moderno, costretto a tutelarsi dall’eccesso e non più dalla penuria alimentare, rischia di non introdurre un’aliquota sufficiente di molecole protettive (vitamine, minerali, antiossidanti) e quindi di essere contemporaneamente grasso e malnutrito!Pensiamo, ad esempio, alla necessità di prevenire le malattie degenerative cardiovascolari, prima causa di morte nel mondo. È ovvio, ma purtroppo poco efficace, ripetere alla gente di non fumare, di fare sport o almeno di passeggiare un’ora al giorno, di mangiare meno grassi, di evitare i cibi raffinati, perciò impoveriti di fibra e addizionati di zuccheri semplici.Potrebbe essere più concreto proporre a questi ostinati autolesionisti di sostituire uno jogurt, dei biscotti o dei cereali, con prodotti di gusto similare ma arricchiti di sostanze (fitosteroli, betaglucani ecc.) capaci di ridurre l’assorbimento intestinale del colesterolo con un abbassamento della colesterolemia modesto ma già utile (8-12%) per chi ha dei valori poco superiori alla soglia di normalità e quindi non ancora da trattare con veri e propri farmaci.Un alimento funzionale è un normale alimento, non una pillola né una capsula, dotato tuttavia di una “documentata” caratteristica, utile o benefica, accertata dagli Enti di controllo (FDA, negli USA), abilitati ad autorizzare lo specifico requisito (“health claim”) in etichetta. Nelle usuali quantità di assunzione e in forma utilizzabile dall’organismo può svolgere un effetto benefico e mirato su una o più funzioni, al di là dei suoi effetti nutritivi.

in funzione di

A tavola gli alimenti funzionali, arricchiti di sostanze che possono prevenire disturbi e malattie.

salute sani & salvi

di punto in biancoUn gruppo di ricercatori europei ha fornito la spiegazione dei capelli bianchi, risol-vendo un mistero scientifico e aprendo nuove frontiere per la prevenzione. Pare sia tutta colpa dell’acqua ossigenata che tra l’altro le signore usano normalmente per schiarirsi la chioma. Nei follicoli l’ac-qua ossigenata viene prodotta normal-mente, ma è controllata da altre sostanze che la neutralizzano. Si è capito che con l’invecchiamento, questo processo de-licato sfugge al controllo e i follicoli ne producono troppa, con l’effetto di inibire la formazione del pigmento normale dei capelli. Trovato il problema, la cura è “quasi” dietro l’angolo.

donna oggettoQuando la donna indossa un bikini gli uomini la vedono come un vero e pro-prio “oggetto”. È la conclusione di una ricerca scientifica effettuata dalla pre-stigiosa Università di Princeton, negli Stati Uniti. I ricercatori hanno analizzato con la risonanza magnetica funzionale il cervello degli uomini di diverse età quando venivano mostrate loro immagini di donne seminude. Gli scienziati hanno visto accendersi nel cervello le aree della corteccia che presiedono la manipolazio-ne e l’uso di strumenti e oggetti, mentre nessuna attività veniva registrata nelle parti del cervello che riguardano l’inte-razione con un’altra persona.

capacità d’ascoltoPer anni gli scienizati hanno pensato che l’“empatia” – la capacità di inte-ragire e ascoltare attivamente un’altra persona – fosse una dote acquisibile con l’esperienza e l’esercizio, tanto che si organizzavano regolarmente corsi per insegnare a essere buoni ascoltatori. La smentita arriva dalla genetica. Un nuovo studio effettuato sui topi dai ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison, in USA, conclude che l’empatia sarebbe un fenomeno determinato geneticamente, un dono di madre natura, a tutto vantaggio dei soli fortunati che hanno a che fare con queste persone sensibili.

forza centrifuga!Ne hanno e ne fanno di lavatrici gli italiani! Ma come scegliere quelle che offrono massime prestazioni, centrifughe efficaci, bassi consumi energetici, una vasta scelta di programmi?di Roberto Minniti

prodotti guida all’acquisto

Ventuno milioni. Più di una ogni tre italiani. L’esercito di lavatrici in funzione nel nostro paese è sterminato. Un mare di cestelli attraverso i quali passano i pan-ni di altrettante famiglie. Ma dal quale esce anche la disperazio-ne di chi le usa e, dopo un po’ si ritrova con modelli che non ne vogliono più sapere di partire, si rifiutano di fare la centrifuga o nel farla cominciano a camminare per tutta la casa.Se siete tra quanti sono stati abbandonati prematuramente dal vecchio modello di lavapanni di casa, prima di decidere un nuovo acquisto è bene che passiate in rassegna le ca-ratteristiche del vostro modello ideale, a scanso di brutte sorprese. Il mercato, infatti, è quanto di più affollato e com-plicato possiate incontrare. Spariti ormai (quasi ovunque) i modelli più antiquati, veri mangiabollette, ora in negozio domina costantemente la promessa dell’alta efficienza energetica. Trovare lavatrici in classe A, dunque, è facile, anche restando incollati ai prodotti di fascia medio-bassa, oggetto delle promozioni più vantaggiose. Ma capire la vera efficienza della lavatrice è tutt’altra storia. Ed è proprio per questo che un acquirente accorto deve partire dall’identikit di una lavatrice, quello espresso dall’energy label, la stretta e lunga etichetta adesiva che deve comparire in maniera evidente sull’elettrodomestico posto in vendita. serie A+Il primo (e il più evidente) dei simboli riguarda il consumo energetico e indica la classe di efficienza energetica a cui appartiene l’apparecchio. La normativa indica la lettera A come punto di arrivo, ma l’industria europea con un ac-cordo volontario del 2002 ha introdotto una nuova classe, la A+, attribuibile soltanto agli apparecchi con efficienza di lavaggio al top e consumi non superiori a 0,17 kW per chilo. Questa classe può essere pubblicizzata e stampata sulle lavatrici, ma non può figurare nella energy label, che a norma di legge si ferma alla classe A. In qualche caso, poi, ci si può imbattere addirittura in una tripla A. In questo caso, non spaventatevi, AAA sta a indicare che la lavatrice è al massimo delle prestazioni per tutti e 3 i parametri richiamati nella energy label: efficienza energetica, efficacia di lavaggio ed efficacia di centrifuga.In mancanza di dichiarazioni più dettagliate, comunque, meglio controllare i KWh per ciclo. Questo dato, infatti, esprime il consumo energetico per un ciclo di lavoro completo e a pieno carico a 60 gradi, centrifugato al

massimo dei giri. Ovviamente più il dato è basso e più effi-ciente è il modello che stiamo considerando. una bella lavata di capoLa capacità di pesare poco in bolletta, però, non esaurisce i requisiti di una lavatrice ideale. Senza dubbio ciò che ci si aspetta da un buon modello è che faccia uscire dal cestello capi ben lavati.

E per avere un’idea di questa caratteristica viene in aiuto, sempre sull’etichetta energetica, il giudizio sull’efficacia lavaggio. La gara, in questo caso, si gioca nel chiuso di un laboratorio, con artifici che simulano la realtà. Il miglior punto di arrivo, anche in questo caso, è la lettera A.Altro punto importante da controllare sull’energy label è l’efficacia della centrifuga. La misura, in questo caso, indica il peso dell’acqua che rimane nei panni sottoposti a centrifuga al termine del lavaggio standard. La prestazione necessariamente migliora via via che si aumenta la potenza del motore, quindi il numero di giri per secondo del cestello. Tuttavia, varia da modello a modello anche a parità di giri per secondo. Più che fermarsi al numero di giri, dunque, è bene concentrarsi sulla lettera riportata in etichetta, tenendo presente che le lavatrici migliori si guadagnano la classe A e le peggiori la E.Tra i parametri da confrontare non va sottovalutato il consumo di acqua per ciclo standard. E controllando diversi apparecchi non si farà fatica a trovare apparecchi in grado di sprecare anche il 50 per cento di acqua in meno di un modello equivalente.tutto un programmaEsaurita la miniera di informazioni dell’energy label è il momento di passare all’esame delle altre caratteristiche in grado di cambiare la vita dell’utilizzatore (o per lo meno di facilitarla). Una di quelle più utilizzate nelle pubblicità è la quantità di programmi offerti dal modello.Anche se alcuni apparecchi arrivano a proporre fino a 20 diversi programmi di lavaggio, però, la sostanza quasi sempre è la stessa e per un uso normale ci si può accontentare delle funzioni tradizionali: trattamento dei vari tessuti, cotone, delicati, sintetici, lana, a temperature diverse. Più utile è la possibilità di impostare il termostato a un livello diverso da quello stabilito dal programma. Ciò consente, per esempio, per un carico poco sporco, di ridurre la temperatura da 90 a 40 gradi, abbattendo i consumi del 30 per cento e limitando i danni del calcare che fino a 55 gradi resta quasi tutto in sospensione.

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lavatrici

Una nuova lavatrice, più efficiente e di minore impatto in bolletta. Per di più godendo degli incentivi dello Stato. Sembra un programma irresistibile, in grado di convin-cere anche i più riottosi o quanti non hanno necessità improrogabile di sostituire il vecchio modello che, bene o male, compie ancora il suo dovere.Ma prima di farsi attrarre dagli incentivi è bene saperne di più, partendo dal fatto che – al contrario di quelli che in passato erano destinati a facilitare lo svecchiamento del parco italiano di elettrodomestici – questi pur prevedendo la detrazione fiscale pari al 20 per cento del prezzo di acquisto sono da spalmare in cinque anni. Per un modello di fascia media, dunque, che costa intorno ai 400 euro, la detrazione si limiterà a 80 euro da dividere in 5 anni, per un totale di 16 euro a stagione fiscale.

I vincoli Chi decide di fruire degli incentivi deve aver avviato – o provvedere entro il 31 dicembre 2009 – interventi di ristrutturazione edilizia che godono delle detrazioni del 36 per cento in base alla legge 449/97. I lavori non devono essere iniziati prima del 1° luglio 2008 (farà fede un attestato di pagamento). La ristrutturazione riguarda le “singole unità residenziali” (esclusi, quindi, gli interventi edilizi sulle parti comuni condominiali). L’acquisto della lavatrice deve essere successivo al 7 febbraio 2009 (esclusi quindi i prodotti comperati in precedenza, anche se nel corso di una ristrutturazione).Cosa si incentiva Rientrano nel provvedimento solo gli elettrodomestici per cui è documentabile la classe di efficienza superiore ad A.

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Non sempre presente, ma da non perdere, invece, è il ciclo rapido, che si conclude in appena 30-40 minuti. Utili, ma non facilmente reperibili negli apparecchi di fascia ordinaria, poi, sono i programmi mirati verso precise esigenze, come il lavaggio dei piumoni, per esempio, o il

lavaggio a freddo.E il rumore? Questo dato, croce e delizia di ogni famiglia (e dei vicini di casa), è facoltativo e troppo spesso viene ignorato dai produttori. Persino da quelli che in pubblicità presentano il loro apparecchio come molto silenzioso. ■

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gli acchiappapolvereContro la polvere i panni che la catturano e non la rilasciano più. di Daniele Fabrisdi Daniele Fabris

prodotti gli extra

Imbattibili contro la polvere. Anni luce lontani dai vecchi piumini per spolverare e dai ritagli di lana o cotone che in ogni casa si tenevano da parte, pronti all’uso, per queste operazioni di pulizia.I moderni “acchiappa-polvere” si ammantano di tecnolo-gia e promettono di risolvere il più vecchio dei problemi: eliminare l’odiosa patina di particelle che si posa su mobili, pavimenti, mura e minaccia la nostra salute. Per di più con pochissimi sforzi: chiunque abbia prestato attenzione a una delle molte pubblicità su questi panni miracolosi avrà notato con quale facilità, con una sola passata, si elimini lo sporco che, come recitano gli spot, viene catturato e non si riposa sui mobili. piazza pulitaIl segreto, su cui aleggia un alone di studiato mistero, è da cercare nella struttura con cui sono prodotti: generalmente fatta di due strati, uno antistatico – che evita il depositarsi della polvere attirata dalla elettricità statica – e uno che raccoglie e imprigiona le piccole particelle di sporco.E la novità è interessante non solo per gli amanti della pulizia a tutti i costi. Il popolo degli allergici – stimato intorno a un quarto degli italiani – è uno di quelli più interessati al funzionamento dei sistemi acchiappa-polvere.Per loro, infatti, le piccole parti-celle che si poggiano su mobili, tende, divani e pavimenti conten-gono un nemico giurato: l’acaro. Questo minuscolo organismo, invisibile a occhio nudo, è tra i principali responsabili di alcuni raffreddori perenni o addirittura dell’asma. Per sconfiggerlo, però, non basta pulire bene casa, ma è

importante un buon ricambio d’aria ed è da evitare il caldo umido. Più che spolverare costantemente le stanze, gli esperti in questo caso consigliano soluzioni più radicali: non usare moquette, tappeti e tendaggi pesanti, che raccolgono e trattengono la polvere. i migliori panniIn ogni caso, sulle piccole superfici, l’uso di un panno elettrostatico è in grado di mantenere molte delle promesse che fa. A giudicare dai test condotti dalle principali associazioni di consumatori europee, infatti, il loro comportamento è in grado di uguagliare (e perfino superare in termini di efficienza) la classica passata di uno straccio inumidito. Hanno, però, lo svantaggio di essere abbastanza costosi, soprat-tutto in relazione al fatto che non possono essere riutilizzati. Risultati un po’ più scadenti, invece, sui pavimenti e sui parquet. Secondo le analisi delle riviste indipendenti dei consumatori, infatti, su que-ste superfici l’efficienza di un buon aspirapolvere è ineguagliabile, tanto per i panni umidi che per quelli assorbenti o in microfibra.E i panni igienizzanti e pulenti? Venduti come soluzione pratica per rimuovere ogni macchia dalla cucina o dal bagno (ce ne sono infatti di tutti i tipi, da quelli multiuso a

quelli specifici antigrasso, o perfino anticalcare) hanno di ineguagliabile solo la comodità. Più veloci da usare di una spugna imbevuta di detergente, certo, ma meno efficaci (soprattutto contro il grasso), più inquinanti e decisamente più cari del metodo classico, testimoniano i test dei consumatori. Utili, dunque, più per un uso eccezionale che per la pulizia di tutti i giorni. ■

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In promozione per i Soci Coop Confezione 80 (4x20) panni Coop cattura polvereDal 27 aprile al 6 maggio negli IperCoop.Dal 23 aprile al 6 maggio in tutti i Super e negli InCoop di Civita Castellana, Fiuggi, Narni, Vetralla, Amelia e Montefiascone.Prezzo: soci 6,90 euro

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Il vino “Hellenico” che i romani diffusero in Campania e gli aragonesi ribattezzarono Aglianico. Il grande rosso amaro, per molti Barolo del Sud. di Eleonora Cozzella

Nel nome ci sono le sue radici: le radici di un grande rosso che per molti è il “Barolo del sud”. Aglianico, infatti, pro-babilmente non è altro che la volgarizzazione del termine greco “Ellenikon”: da lì il passaggio a Hellenico, Hellanico per arrivare infine ad Aglianico. Perché furono i greci a importare questo vitigno nell’Italia meridionale, dove tra Campania e Basilicata, incrociandosi con viti originarie, ha trovato il suo terreno di adozione. Era il VI-VII secolo a.C., l’epoca della fondazione delle colonie nella Magna Grecia. Se questa è storia sull’etimologia qualche dubbio rimane. C’è, infatti, chi ritiene che potrebbe derivare dall’antica città di Élea (Éleanico), lungo la costa campana o dal greco “aglianos”: ovvero splendente, per distinguerlo da altri vini della zona che avevano un colore molto più scuro.I romani comunque lo ribattezzarono “vitis ellenica” e ne favorirono la diffusione in buona parte della Campania tanto che, vinificato in bianco, era – si pensa – il vitigno con cui facevano il Falerno. Prima che quel nome di-ventasse aglianico passarono comunque secoli: ci fu da attendere la dominazione aragonese nel XV secolo, con l’uso fonetico spagnolo di pronunciare gli la doppia l.

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sotto torchioMa la storia di questo vitigno è anche ricca di ritrovamenti e leggende. Intanto ci sono i reperti, come i resti di un torchio che risale ad epoca romana e che è stato rinvenuto nei dintorni di Rionero in Vulture (Potenza) e poi una moneta in bronzo che raffigura-va Dionisio, venerato come Bacco, e che era stata coniata a Venosa nel IV secolo a.C. Originario di Venosa era anche Orazio che di questo vino narrò le meraviglie. “È un buon vino, che ridona speranze nuove e dissipa affanni amari”, scrisse il poeta latino invitando a brindare con la coppa piena. Quanto a leggende si narra che i cartaginesi dopo la battaglia di Canne del 216 a.C. usarono dell’Aglianico – mentre si trovavano in Basilicata – per curare le ferite dei soldati. Certo è comunque che il termine Aglianico fu usato per la prima volta in una lettera del 1559: Sante Lancerio, cantiniere del papa Paolo III, descrivendo al Cardinal Guido Ascanio Sforza i vini d’Italia, così scrisse: “Il vino Aglianico viene dal Regno di Napoli, dove si fa buon Greco”.boccone amaroAttraverso i secoli l’Aglianico è diventa-to il principale vitigno a bacca nera del Meridione e in particolare della Campania. Capace di incantare il più grande gior-nalista enologico italiano Luigi Veronelli: “Un detto antico dice: vino amaro, tienilo caro. E difatti l’Aglianico, vino difficile, ostico ma infinitamente grande, è certa-mente “amaro” – scrisse Veronelli – nel senso che l’uva matura tardi, i tannini sono difficili da domare e, nel complesso, se non viene vinificato con attenzione, all’inizio non dà il meglio di sé. Eppure è il vino più affascinante e di spessore fra quelli campani. Dall’Aglianico, a seconda del terroir, nascono vini diversi, ma legati dal filo rosso di un’austera muscolosità”.Il risultato è infatti un vino rosso rubino più o meno intenso o granato vivace, che da giovane è tannico e migliora con l’in-vecchiamento. Un rosso da primi piatti con ragù (anche di selvaggina) per salire negli abbinamenti – secondo la tipologia e l’annata – agli stracotti e alle carni rosse allo spiedo. E poi ideale per i formaggi a pasta dura.doc docOltre ad avere una sua Docg esclusi-va, il Taurasi, l’Aglianico in Campania lo ritroviamo nelle Doc Aglianico del Taburno Rosso, Cilento Aglianico, Falerno del Massiccio Rosso, Galluccio Rosso

L’INTERVISTAL’Aglianico è un vitigno molto particolare, sinonimo di territorio, ma al tempo stesso apprezzato anche in zone lontane dalle vigne d’origine. Un vino che sta vivendo una stagione d’oro. Ne abbiamo parlato con Laura Alberti, responsabile commerciale Generi vari in Coop, sommelier. Quanto Aglianico vendete?Il consumo di Aglianico, inteso come valore complessivo delle Docg e Doc che utilizzano il vitigno, si attesta intorno ai 250mila euro annui. Le maggiori vendite si hanno nel canale degli Ipermercati soprattutto nell’area Campana.Quale tipologia soprattutto? Questo vitigno viene impiegato nella vinificazione di diverse Doc e Docg campane e lucane. In particolare ricordiamo la Docg Taurasi (minimo 85%), la Doc Aglianico del Taburno (minimo 85%), la Doc Falerno del Massico ( 60-80%) e la Doc Aglianico del Vulture (100%). Il suo impiego interessa anche la produzione di vini come il Solopaca rosso, il Cilento, il Vesuvio Lacryma Christi e altre Doc campane con percentuali variabili: tutte produzioni presenti nei nostri assortimenti.Quali sono gli abbinamenti consigliati?Il vino, di colore rosso rubino tendente all’aranciato con il trascorrere dell’invecchiamento, è di grande struttura. È sempre stato difficile, aspro, duro, e richiede lunghi periodi di maturazione per “ammorbidire” queste spigolosità, attenzione ancora più importante oggi poiché la tendenza è quella di preferire vini più morbidi e rotondi. Per queste caratteristiche predilige abbinamenti con primi piatti a base di ragù (anche di selvaggina), arrosti, grigliate e formaggi semiduri. Le versioni invecchiate si legano a ricette più complesse a base di cacciagione e formaggi stagionati.

IN RELIGIOSA SOLITUDINEEccoci nel cuore dell’Irpinia, la terra del Taurasi, il più famoso tra gli Aglianico di Campania. Un luogo da non perdere, di suggestiva bellezza è l’Abbazia del Goleto a Sant’Angelo dei Lombardi. Un complesso architet-tonico e religioso che fu fondato da San Guglielmo da Vercelli. Pellegrino verso la Terra Santa, il religioso attraversò l’Irpinia e qui scoprì la sua vocazione di eremita. Divenne allora missionario in questi luoghi e fondò monasteri. Prima – era il 1114 – la comunità maschile di Montevergine e un ventennio dopo, Goleto: dopo aver vissuto a lungo nella cavità di un grosso albero diede, infatti, il via alla costruzione di un monastero femminile.Passato attraverso i secoli da momenti di splendore ad altri di abbandono, il monastero ha oggi il suo gioiello nell’Abbazia che fu fatta costruire per contenere le spoglie di San Luca. Un edificio gotico a fianco del quale si trova la chiesa inferiore nata come cappella funeraria. Si può inoltre visitare la Torre Febronia, capolavoro di arte romanica.

e Galluccio Rosato, Guardia Sanframondi (o Guardiolo) Aglianico, Sannio Aglianico, Sant’Agata dei Goti Aglianico, Sant’Agata dei Goti Rosso, Solopaca Aglianico. In genere per ottenerne la denominazio-ne è previsto un uvaggio dove è presente almeno all’85 per cento.Ma per questo vino ci sono grandi prospettive ancora da esplorare. Tanto di qualità – e alcune aziende stanno investendo anche in collaborazione con le università per studiarne il miglior rapporto con la diversa natura del territorio – che in promozione sui mercati stranieri, a cominciare da quello Usa. Perché, come ha scritto di recente l’Herald Tribune, dopo aver effettuato un’ampia degustazione dei migliori, questo è un vino straordinario ma spesso dimenticato. ■

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giù per il tubettoAccorgimenti e consigli per chi la gusta direttamente dal tubetto e chi se la fa in casa. Come impazzire per la maionese. di Silvia Inghirami

prodotti cotti & crudi

Perché impazzire dietro una maionese impazzita? L’olio è stato versato troppo ve-locemente? L’uovo non era a temperatura ambiente? Troppo debole il movimento della frusta?Sarebbe forse stato meglio comprare un tubetto: è così facile e comodo spingere e fare ghirigori. Eppure a volte la salsa riesce proprio soffice e vellutata, e si ha piacere di sapere cosa si sta mangiando: uova fresche, olio d’oliva, limone. Una bella dose di calorie in un sol boccone. energica salsa Inutile negare che la maionese è “energica”: il contenu-to di grassi è intorno al 70 per cento, ma nel prodotto casalingo può arrivare fino all’85. Perché non ci sono aria ed emulsionanti a fare da “gonfiabili”, ma solo olio, aggiunto a olio di gomito. «La maionese è una salsa molto calorica: 655 calorie per 100 grammi di prodotto – spiega Laura Rossi, esperta dell’Inran – e apporta anche molto colesterolo per la presenza dell’uovo. Inoltre è ricca di sodio. In sintesi, non è un alimento da bandire ma sicuramente da usare in modo occasionale. Utilizzato come condimento non è, invece, compatibile con un’ali-mentazione equilibrata. Anche se è fatta in casa, resta sbilanciata dal punto di vista nutrizionale».«Accettabile se a concedersela, ogni quindici giorni, è un giovane o un adulto che praticano sport – continua Rossi –, ma non se diventa un’abitudine per un bambino che passa i pomeriggi davanti alla Tv o alla Playstation. Si può magari fare ricorso alla maionese light che contiene metà delle calorie, ma il gusto ne risente». Comunque la “leggerezza” viene ottenuta riducendo l’olio e aumentando l’acqua, e utilizzando additivi che stabilizzano l’emulsione. Il risparmio calorico risulta per lo più proporzionale al calo del sapore, che porta ad aumentare le quantità azzerando quindi il beneficio auspicato.a memoria d’uovoDel giallo del tuorlo le salse in commercio hanno ben poco. Brutto segno? «No – rassicura l’esperta – le maionesi sono prodotte con estratti di uovo disidratati, miscele di olio, aceto, pectine, acido citrico. Se appaiono molto gialle probabilmente è stato aggiunto carotene». Che

non sono sostanze pericolo-se per l’organismo. «Come emulsionanti e conservanti, sono prodotti ammessi dal-la legge e non sono tossici né pericolosi: è che biso-gna limitare in generale il consumo dei conservanti, perché sono presenti in tan-ti prodotti che mangiamo abitualmente, e intervallare con il consumo di prodotti freschi». Va anche tenuto presente, però, che proprio grazie ai conservanti (e al

processo di pastorizzazione) la maionese industriale può essere tenuta per giorni in frigorifero mentre quella fatta in casa, con uovo crudo, va consumata in fretta per evitare che si irrancidisca.«Bisogna attenersi alla data di scadenza riportata in eti-chetta – ricorda Rossi riferendosi alla maionese industriale – e non lasciarsi ingannare se togliendo la parte superiore che ha cambiato colore e odore la parte inferiore è ap-parentemente normale: stiamo parlando di un prodotto deperibile, dove la crescita batterica può essere elevata, dal momento che vi è ricchezza di nutrienti». antenata ieri Chissà come facevano gli antenati a tenerla in dispensa. C’è chi fa risalire l’origine della maionese alla fine del 1500, a Carlo di Lorena, duca di Mayenne, che la gustava abbinata al pollo, ma sembra che fosse già conosciuta dai romani, “inventata” nella città di Mahón, nell’isola di Minorca. Prima dell’affermazione dei fast food, la maionese era una salsa raffinata che impreziosiva piatti semplici ma ricercati: un roast beef, un cocktail di gamberetti, una tartare di carni, un’aragosta bollita. Poi è diventata un elemento aggiunto a ricette più elaborate come i pomodori ripieni di tonno, le insalate di riso, il vitello tonnato. Quindi è servita a inventare nuove salse, mista al ketchup e alle erbe aromatiche. In famiglia per lo più si usa come ingrediente di ricette, ma anche come condimento e guarnizione o come prodotto da snack. I più fedeli consumatori sono i giovani, sia quelli che la spalmano sulle chips sia quelli che la accompagnano all’avocado. Per tutti gli appassionati a Tokyo è nato “Mayonnaise Kitchen”, un ristorante che prepara tutti i piatti con la maionese e dove ogni cliente può avere il suo tubetto di salsa personalizzato. ■

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presidi Slow Food

A metà strada tra Cortina d’Am-pezzo e Venezia, a pochi chilo-metri da Belluno, la conca del-l’Alpago è da sempre un luogo ideale per la pastorizia, attività principale nei comuni di Chies, Pieve, Tambre, Farra e Puos fino al Secondo Dopoguerra. E l’Alpago ha dato il nome a una razza ovina autoctona di taglia medio-piccola, dalla curiosa maculatura scura sulla testa e sulla parte inferiore degli arti, dal mantello folto, fine e ondulato che la ricopre totalmente. Senza corna, con orecchie corte e profilo leggermente montonino, è una razza ru-stica, adatta all’ambiente alpino, ma altrettanto idonea all’allevamento in stalla. Come la maggior parte delle razze autoctone, si è drasticamente ridotta nel secolo scorso: oggi sono presenti in zona circa 2.000 capi, una leggera ripresa rispetto ai primi anni Novanta, quando la Comunità Europea la inserì tra le specie locali minacciate di estinzione. Considerata ovino a triplice attitudine, cioè valida sia per la carne che per la produzione di latte e di lana, oggi l’alpagota è allevata quasi esclusivamente per l’ottima carne: saporita, tenera e compatta allo stesso tempo, può reggere il confronto con i più cele-bri pre-salé d’oltralpe. Gli agnelli migliori sono quelli macellati a 55-65 giorni dalla nascita e con un peso

da vivi di 18-25 chilogrammi. L’agnello d’Alpago ha una carne tenerissima, un giusto equilibrio di grasso-magro, sensazioni che non sanno di selvatico, al limite di erbe aromatiche.È perfetto anche in abbinamento ai piatti poveri della tradizione locale come la patora, zuppa di mais e legumi, oppure la bagozia,

una sorta di polenta fatta con patate, mais, legumi e anche salame e pancetta.L’alimentazione naturale è indispensabile per ottenere carni eccellenti: allevamento allo stato brado, con alimen-tazione a base di foraggio di prato oppure semibrado con l’integrazione di fieno prodotto in loco e sfarinati di cereali. L’uso dell’ovile è permesso solo a condizione di garantire il benessere degli animali e un accrescimento sano ed equilibrato. Il Presidio ha registrato un marchio proprio, “Agnello d’Alpago”, e garantisce la completa tracciabilità del prodotto: l’etichetta apposta sulle carni riporta il marchio, il nome e l’indirizzo dell’allevatore e i codici del macello e dell’allevamento. Recentemente la Comunità Montana dell’Alpago ha avviato anche una produzione di filati di ottima qualità per la produzione di capi di abbigliamento e di oggetti in feltro (cappelli, pantofole, borse). ■

il signore degli agnelli

Dall’agnello d’Alpago carne tenera e saporita, ma anche latte e lana per filati di ottima qualità. di Francesca Baldereschi

prodotto a marchio

un gran fermento

Dai fermenti lattici vivi e dai loro prodotti un aiuto naturale alla nostra salute. Ma il vero segreto del benessere è uno stile di vita sano e regolare.di Anna Somenzi

Lactobacillus, streptococcus, steroli, probiotici, prebiotici, termini che maneggiamo ormai con estrema disinvoltura, li leggiamo sulle etichette di yogurt e latte fermen-tato di diverso tipo, li sentiamo nei messaggi pubblicitari. La lotta al colesterolo, le disfunzioni inte-stinali, la fragilità immunitaria possono trovare un valido aiuto nell’assunzione regolare di questi prodotti naturali. Vediamoli da vicino.bianco latteLa denominazione yogurt secondo la legislazione italiana è attribuita solo al latte fermentato con lactobacillus bulgaricus e streptococcus thermophilus. Questi microrga-nismi devono essere vivi e vitali (in grado di metabolizzare e moltiplicarsi) fino al momento del consumo e in quantità elevata (almeno 10 milioni di cellule vive per grammo di prodotto). Gli altri prodotti, chiamati semplicemente latte fermentato, sono preparati con questi o con altri micror-ganismi spesso associati fra loro. Pregio fondamentale di queste preparazioni è proprio il mantenimento della vitalità dei fermenti utilizzati. Per il resto yogurt e latte fermentato mantengono le caratteristiche nutrizionali del latte di partenza esaltandole in qualche aspetto. Il processo di fermentazione, infatti, rende più digeribili

le proteine, più disponibile per l’organismo il calcio presente, ma l’azione più evidente dei microrganismi è quella svolta a carico del lattosio (lo zucchero

del latte) che viene trasformato o reso tollerabile e digeribile. buon pro... bioticoI fermenti “probiotici” hanno la capacità di superare la barriera gastrica e colonizzare l’intestino

dove svolgono molte attività be-nefiche. In particolare competono con i microrganismi “nocivi” che

possono causare fastidiosi disturbi intestinali fino a gravi malattie infiammatorie. Sviluppandosi creano le condizioni per il mantenimento dell’equilibrio di tutto il tratto digerente; possono svolgere importanti azioni di equilibrio anche sul sistema immunitario intesti-nale che offre una preziosa protezione dagli agenti esterni. Diversi studi confermati anche da un rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare testimoniano i buoni risultati dell’associazione al latte fermentato di steroli vegetali nella lotta agli alti livelli di colesterolo nel sangue. Ma la salute passa da una corretta alimentazione nel suo insieme, da una dieta sobria e variata, dal consumo di vegetali ricchi di fibra, da regolare attività fisica. ■

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GLOSSARIOProbiotici I prodotti in commercio sotto questo nome sono quasi tutti latti fermentati con microrganismi probiotici tipo lattobacilli e bifidobatteri. I microrganismi probiotici devono essere in grado di sopravvivere al passaggio attra-verso lo stomaco (ambiente fortemente acido) e raggiungere l’intestino. Nel nostro colon è presente una flora batterica naturale non sempre “selezionatissima”. Il probiotico, “co-lonizza” questo tratto dell’intestino ed esprime tutte le sue potenzialità: aumenta, ad esempio, la resistenza alle infezioni intestinali, allevia i sintomi dell’intolleranza al lattosio. Prebiotici Sono le sostanze non digeribili dall’uomo ma con la capacità di stimolare lo sviluppo di uno o più micror-ganismi probiotici presenti nell’intestino. I prebiotici più diffusi in campo alimentare sono i frutto-oligosaccaridi. Steroli Molecole con un ruolo importante nella fisiologia di animali e vegetali. In base al fatto che siano stati prodotti da vegetali o animali si distinguono in fitosteroli e zooste-roli. Gli steroli vegetali sono anche noti per la loro capacità di bloccare l’assorbimento del colesterolo nell’intestino umano aiutando così a ridurre la colesterolemia.

DAL VIVOLatte, yogurt e fermenti a marchio Coop.

Probiotico con lactobacillus casei aiuta a rinforzare le difese naturali. Un latte fermentato da bere, dolce e in cinque gusti di frutta oltre a due bianchi, uno naturale e uno magro. Diversi studi clinici hanno dimostrato come l’aggiunta alla nor-male alimentazione di un latte fermentato arricchito con lactobacillus casei sia efficace nel proteggere l’intestino e il sistema immunitario intestinale nel contrastare i microrganismi patogeni e nel bilanciare la flora intestinale.Vasetto di fermenti vivi Bifidobacterium BB12 (sono un miliardo per vasetto) per un marcato riequilibrio intestinale, per un migliore assorbimento degli alimenti e dei micro elementi che ingeriamo, come vitamine e minerali.Latte fermentato con esteri di steroli vegetali Una bottiglietta da 100 g (le confezioni sono da 4) produce 76 calorie totali e contiene 2 g di steroli vegetali. Due gusti per un pubblico adulto: bianco e alla fragola. Anche l’Unione Europea individua nell’utilizzo di steroli vegetali un interessante ed efficace strumento per ridurre i rischi collegati a una elevata colesterolemia. Ne detta pertanto le regole di utilizzo stabilendo che, pur essendo un coadiuvante utile, non può sostituirsi a una dieta equilibrata e variata, ma può solo integrarsi ad uno stile di vita corretto. Per questo sulle confezioni dei prodotti che aiutano nella riduzione del colesterolo è fatto obbligo di indicare le dosi consigliate.Dedicato a chi è intollerante al lattosio Per chi è intollerante al lattosio Coop ha creato la gamma a marchio di prodotti del latte ad alta digeribilità che contengono lattosio trasformato in altri zuccheri: lo yo-gurt con solo lo 0,1% di lattosio e il latte alta digeribiltà – con 0,3% di lattosio – nella nuova e pratica bottiglia richiudibile.Yogurt Ricette naturali senza aromi, gusti nuovi, più frutta per gli yogurt interi a marchio Coop. Per gli yogurt cremosi cambiano i gusti e la ricetta si rinnova per un prodotto più goloso con più frutta, in pezzi. Anche la con-

fezione cambia: non più il vaso grande

da 500 g, ma le confezioni da 2x125 g. 53

nel carrello a cura di Rita Nannelli

Soldatini, indiani, bambole e macchinine tutti biode-gradabili; al posto del Lego, mais espanso in cilindri che, incollati con l’acqua, servono per costruire case, aerei e chi più ne ha più ne metta, paste modellabili atossiche con oli essenziali. Cresce la tendenza dei giocattoli equi ed ecologici, col marchietto perfect toy (gioco perfetto) senza nessuna spesa per la pubblicità televisiva. La via è quella alternativa del commercio equo e solidale con i suoi originali balocchi fatti con materiali di recupero (www.ecotoys.it). Ultima trovata che va alla grande negli Stati Uniti? Per i giocattoli la carica è a manovella, niente batterie.

toy story

Si chiama comfort food e si tratta di una serie di prodotti e di preparazioni semplici ed economiche, che fanno leva su un ricordo positivo. Insomma il cibo della nostalgia o dell’affetto che ricorda l’infanzia e che piace tanto in tempi di crisi. Infatti gli esperti spiegano questo fenomeno con la ricerca di sicurezza e il bisogno di continuità, per compensare i momenti difficili della vita. E a ciascuna cultura il suo comfort food: per esempio il Canada ha le patate arrosto, gli Usa la torta di mele, il Giappone la zuppa di miso, l’Italia – tra gli altri – il rostì di patate ben più con-solante delle patatine fritte del McDonald’s.

ho bisogno d’affetto

Dolce la vita nell’industria Oliviero che produce torroni e uova pasquali in quel di Avellino. Da oltre un secolo, la tradizione dolciaria irpina, oggi anche in Coop.di Cristina Vaianidi Cristina Vaiani

l’uovo di Oliviero

prodotti dal fornitore

Fervono gli ultimi frenetici preparativi per la Pasqua: il cioccolato fuso attraverso macchinari e tubature finisce nello stampo che conferisce la classica forma all’uovo. Chi inserisce le sorprese, chi avvolge le uova nei foulard o nella carta crespata, chi... come noi non vede l’ora di scartarle.Scene da dolce vita nell’industria dolciaria Oliviero, situata alle falde di Montevergine a pochi chilometri da Avellino, in un paese, Ospedaletto d’Alpinolo, felicemente noto per le lunghe tradizioni del torrone e delle Castagne del Prete. Qui la dolce vita va avanti da cento e passa anni, da quando i nonni paterni di Filippo e Maurizio Oliviero – gli attuali detentori dell’azienda che il padre gli affida nel 1984 – provarono a impastare le nocciole con il miele tipici dell’Irpinia dando così inizio a una secolare produzione di torrone. Ci riprovarono con le castagne in guscio che, essiccate, tostate e infine ammorbidite, diventarono le celeberrime Castagne del Prete. È da questi tentativi andati a buon fine che nacque, agli albori del Novecento, l’antico laboratorio Oliviero, oggi GMF Oliviero Fratelli srl.un caso tipicoIn quaranta, tra uomini e donne, fanno dolcezze di pro-fessione. E i risultati si vedono. A seconda della stagione, si producono torroni in... tutte le salse: teneri, friabili, al

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cocco, al caffè, ai frutti di bosco, persino una versione light a bassissimo contenuto calorico; e ancora torroncini, praline, uova di cioccolato. In produzione anche i prodotti tipici del territorio come il torrone al pan di spagna avellinese, i croccantini ricoperti di cioccolato di Avellino e Benevento, le castagne del prete, i mostaccioli ripieni. «Tipiche e locali anche molte delle materie prime utilizzate – dichiara Filippo Oliviero, amministratore della società di famiglia –: le nocciole di Avellino e Giffoni, le mandorle della Puglia, il miele campano e le casta-gne di Montella Igp. Tutto il resto – dal cioccolato fondente allo zucchero, dalle ostie alle uova allo sciroppo di glucosio – è di provenienza nazionale». Insomma si fa tutto... in casa. Anche l’uovo.si stampi«Produciamo uova dal 1983», afferma Oliviero mentre ci mostra come si fa un uovo di Pasqua. Il cioccolato fuso negli scioglitori, attraverso pompe e tubi di acciaio, viene trasferito nelle temperatrici che portano la temperatura iniziale di 45 gradi a 25 per poi stabilizzarla a 30-31 per il fondente e a 28-29 per il latte in modo da impedire al burro di cacao di affiorare in superficie. Il cioccolato passa poi nella dosatrice che dosa le quantità secondo le grammature. Le colate di cioccolato fuso si riversano negli stampi corrispondenti alle grammature desiderate. Chiusi gli stampi si fanno ruotare su una specie di centrifuga per consentire al cioccolato di spalmarsi sulle pareti. Mentre l’uovo comincia a prendere forma interviene l’operatore, che apre lo stampo ancora caldo per inserire la sorpresa. Ultima fase è il passaggio nel tunnel di raffreddamento dove la tempe-ratura di 8 gradi permette all’uovo ormai formato di staccarsi dallo stampo. Macchine confezionatrici provvedono infine all’incarto delle uova prodotte ad eccezione di alcuni tipi di confezione più eleganti come il tulle e la carta crespata che vengono effettuate a mano per lo più da donne. Manuale anche l’operazione di etichettatura.siamo specialiCe ne sono di uova da rompere nel paniere degli Oliviero: ai gusti latte ed extrafon-dente, pralinate con granella di nocciole, decorate e a forma di campana, avvolte in foulard, fazzoletti e carta crespa.Di queste vanno in Unicoop Tirreno (in tutti gli iper e nei super di Lazio e Toscana) le uova classiche al latte e fondente in faz-zoletto di vari... pesi e misure; il nocciovo

al latte con nocciole da 450 g; l’uovo al latte crespato da 1 Kg e l’uovo al latte bimbo-bimba con sorprese dentro e fuori. Passata la Pasqua le dolcezze dell’azienda Oliviero tornano in Coop a partire da settembre. Anche se prematuro parlarne «per il Natale Unicoop Tirreno sceglie sempre le specialità – riferisce Oliviero –, dal torrone al pan di spagna a quello al limoncello e ai pistacchi, dai torroncini alle mandorle e nocciole ricoperte di cioccolato ai drageès». Qualche altra specialità legata al territorio campano come il croccante, i Marron Glaces, Mostaccioli e Roccocò.«Siamo in Coop dal 1985 con prodotti di ricorrenza legati alle festività, ma vorremmo realizzare insieme a Coop un prodotto “sempreverde” da tenere in assortimento tutto l’anno, tipo uno snack a base di croccante o torrone, innovativo e perché no a marchio Coop», lancia l’idea Oliviero. Nel frattempo «riforniamo anche altre catene della Grande Distribuzione, esportiamo in America, Europa, Australia e facciamo vendita diretta nello show room interno all’azienda». Possibili anche gli acquisti on line. tutto certificatoLa bontà del prodotto, la provenienza delle materie prime, la genuinità, l’as-senza di ogm, la massima attenzione all’etichettatura. Non sfugge niente al controllo di Coop ma «qui è tutto in regola – ci assicura Filippo Oliviero –. La nostra è un’azienda in continua espansione, che ha sempre seguito un’unica semplice strategia, l’attenzione massima alla qualità». Dal 2000 l’azienda Oliviero è certificata ISO 9001/2000. «Significa – spiega Oliviero – che l’azienda si è dotata di un sistema di qualità certificato che prevede specifici disciplinari cui attenersi nella selezione delle materie prime – scelte con cura, dai migliori territori di provenienza – e nei controlli interni all’azienda e ai propri fornitori. Abbiamo anche la certificazione ambientale ISO 14001 per la gestione dell’impatto ambientale delle attività di produzione che vengono pertanto effettuate nel rispetto dei parametri per le emissioni in atmosfera, scarichi delle acque, rifiuti organici, materiali di scarto». Insomma l’azienda è di qualità e non inquina, inutile cercare il pelo nell’uovo... ■

GMF Oliviero F.lli srl v. Chiusa di Sotto 5, Ospedaletto d’Alpinolo (AV)tel. 0825691336 - [email protected] www.gmfoliviero.it

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ricette con il panea tavola ricette a cura di Paola Ramagli foto Carlo Bonazzaricette a cura di Paola Ramagli foto Carlo Bonazza consigli dietetici a cura di Chiara Milanesi, nutrizionista

baguette farcita di tonno e zucchine

rigatoni alla mollica di pane

Fare dorare in una padella grande la cipolla con il peperoncino e toglierli dall’olio, quindi far sciogliere nello stesso olio le acciughe disliscate e tagliate a pez-zetti, unire la mollica di pane sbriciolata e farla dorare. Lessare i broccoletti in acqua salata per cinque minuti e scolarli conservando l’acqua di cottura. Cuocere i rigatoni nell’acqua dei broccoletti, scolarla e versarla nel condimento rosolandola per 1 minuto. Aggiungere la cipolla, i pomodori sbucciati, privati dei semi e tagliati a filetti, l’origano tritato, metà del pecorino grattugiato e metà tagliato a pezzettini. Mischiare delicatamente e servire ben caldo.

LA DIETISTA 720 Kcal a porzioneCarboidrati ●●● Proteine ● Grassi ●●● Colesterolo ●●

Nei broccoli è presente il sulforafano, utile per i diabetici a riparare i vasi cardiaci e a prevenirne il danneggiamento del 70 per cento.

Un rosso giovane, come ad esempio una DOC Val di Cornia, può essere un valido abbinamento.

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Saltare per pochi minuti le zucchine affettate sottilmente con l’erba cipollina tritata, l’olio, il sale e il pepe e spruz-zare l’aceto q.b. Sgocciolare bene il tonno e i funghetti e tritarli. Dividere la baguette in tranci della dimensione preferita e tagliarli a metà senza dividerli del tutto. Privarli della mollica, spalmarli con il caprino, salarli e farcirli con il tonno, le zucchine e i funghetti. Avvolgerli in pellicola trasparente e tenerli in frigorifero almeno un’ora prima di servire.

DIETISTA 520 Kcal a porzioneCarboidrati ●●● Proteine ● Grassi ●●● Colesterolo ●●

Piatto ricco delle proteine nobili del tonno, ma anche del calcio dei formaggi caprini più proteici di quelli di mucca e più digeribili perché più poveri di lattosio.

Si consiglia un bianco fermo, fresco e acidulo, come ad esempio un Verdicchio dei Castelli di Jesi.

Quantità nutrienti/bilancio nutrienti:scarso ● sufficiente ●● buono ●●●

Ingredienti per 4 persone: 1 baguette grande3 formaggi caprinifunghetti sott’olioKg 1 di zucchineg 300 di tonno sott’olio1 mazzetto di erba cipollinaolio extravergine d’oliva

aceto di vino biancosale e pepe

preparazione:

tempo:20 min.costo:

Ingredienti per 4 persone: g 500 di rigatonig 100 di mollica di pane raffermo6 pomodorig 800 di broccoletti1 cipolla di Tropeag 100 di pecorino5 acciughe salate1 mazzetto di origano

1 peperoncinoolio extravergine d’olivapoco sale

preparazione:

tempo:30 min.costo:

biscotti di pane

Bagnare il pane nel latte, adagiarlo in una pirofila imburrata, coprire con fette di mortadella e scamorza a cubetti. Fare un altro strato di pane e proseguire fino ad esaurire gli ingredienti e terminando con il pane. Sbattere le uova, mischiare con la panna, abbondante pepe, sale e grana. Versare sul composto e mettere in forno a 200 gradi per 25 minuti.

LA DIETISTA 790 Kcal a porzioneCarboidrati ●●● Proteine ●●● Grassi ● Colesterolo ●

Molte proteine e calcio, ma anche troppi grassi saturi. Da gustare con cautela.

Si suggerisce un rosso giovane, come un Morellino di Scansano.

pasticcio di pane e mortadella

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Liberare le fette di pane della crosticina esterna e di-viderle a metà. Sbattere le uova con lo zucchero e due pizzichi di cannella, fino ad ottenere un composto liscio e omogeneo. Unire il latte a filo sbattendo di continuo e con il composto ottenuto spennellare le fette di pane su entrambi i lati e metterle in forno già caldo a 200° su una teglia imburrata fino a quando si sarà formata una crosticina dorata. Lasciare freddare quindi cospargere di zucchero vanigliato.

LA DIETISTA 380 Kcal per 100 gCarboidrati ●●● Proteine ●●● Grassi ● Colesterolo ●

Nutrienti, ricchi di carboidrati e proteine, pressoché privi di grassi: ottimi per anziani e bambini.

A questi biscotti si accompagna bene un Vin Santo Toscano.

Ingredienti per 4 persone: fette di pane raffermolatte q.b.g 300 di mortadellag 300 di scamorza2 uova1 confezione di pannagrana grattugiatog 30 di burrosale e pepe

preparazione:

tempo:20 min.costo:

Ingredienti per 4 persone:g 100 di latteg 100 di zuccherog 30 di zucchero vanigliato8 fette di pane casareccio raffermo2 uovacannella in polvereburro q.b.

preparazione:

tempo:20 min.costo:

Stranumoreprimavera che stress!

Faccia a facciaappuntamento su Facebook.

Pony expresspiccoli a scuola di equitazione.

CULTURA, TEMPO LIBERO, INNOVAZIONE

i bambini ci guardano

Amiamo e rispettiamo i bambini come meritano.

Questa volta non riesco ad essere “leggera” e a regalarvi un sorriso. Le immagini di guerra, e quindi di morte, che ci invadono da giorni sono particolarmente difficili da accettare. È strano sentirsi così feriti da quei volti di bambini vivi terrorizzati, o di piccoli morti avvolti in un panno bianco con gli occhi aperti in una domanda senza risposta plausibile. L’innocenza indifesa è il giudice più inesorabile. Vorrei che le coscienze si risvegliassero tutte insieme dal sonno dell’indifferenza, dell’assuefazione al-l’orrore come fosse realtà virtuale vissuta per immagini e non per “sentimenti”. Vorrei fortemente che una volontà di pace, di rispetto per le persone si aprisse un varco nel cuore e nel cervello di tutti per renderci più disponibili e attenti all’“altro”. A cominciare dalle persone più vicine e soprattutto a cominciare dai bambini che non godono certamente della considerazione dovuta.Non pretendo, ovviamente, di fare prediche a nessuno, cerco solo di mantenere viva l’attenzione di tutti sui pro-blemi del mondo, sulle responsabilità di ciascuno di noi, nel proprio privato, nei confronti di un’idea di futuro che ovviamente s’incarna nei bambini. Amiamoli, rispettiamo l’infanzia che non vivono più neanche i nostri bambini che subiscono la realtà imposta loro dagli adulti senza nessuna delicatezza: dal linguaggio alle immagini, dagli alimenti sofisticati alla mancanza di attenzione al loro tempo libero, al peso delle vicende familiari troppe volte proposte senza ritegno e troppo pesanti da sostenere per la coscienza di un bambino. Più coscienza, più amore. E andate a vedere “Valzer con Bashir”.

semiseria di Simona Marchini

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stranumoreColori, luce, profumi. Ma quando scoppia la primavera in agguato anche calo dell’umore, stanchezza e un pizzico di apatia.di Barbara Autuori

La primavera, si sa, non è tutta rose e fiori. La stanchez-za che si trasforma in vera e propria spossatezza, un malessere diffuso che colpisce corpo e mente, un certo nervosismo latente che si tramuta per un nonnulla in irritazione. Sono i sintomi più frequenti del cosiddetto mal di primavera, che colpisce senza distinzioni di età o di sesso. «Questa stagione in effetti presenta elementi che possono creare un disagio psico-fisico – conferma la psicologa Marisa Antollovich –. Passando dalla stagione invernale a quella primaverile, più ricca di luce e con un aumento della temperatura esterna, corpo e mente sono sottoposti a un numero maggiore di stimoli che vanno a sovraccaricare il sistema nervoso». Un cambiamento spesso repentino al quale non si è preparati, che si fa fatica ad assorbire e che presenta avvisaglie ben precise. «Insonnia, indebolimento, astenia (mancanza di forze fisiche e psicologiche) sono molto frequenti in questo periodo dell’anno. Segnali che si amplificano nei soggetti particolarmente sensibili ai mutamenti climatici, ma che comunque sono riscontrabili un po’ in tutti». il paradiso all’improvvisoBambini, ragazzi, adulti e anziani, uomini e donne. È pratica-mente impossibile che qualcuno riesca ad uscire dal letargo

dell’inverno come se nulla fosse. «Può capitare in questo periodo che i più giovani siano inappetenti e manchino di concentrazione a scuola, che le persone anziane siano più malinconiche del solito, che gli adulti siano più facilmente irascibili» avverte l’esperta sottolineando l’aspetto psi-cologico di questo disagio. «Il cambiamento fisico legato alla stagione primaverile può trasformarsi in sofferenza a livello emotivo. In particolare le persone che fanno fatica ad accettare le novità, durante questo periodo dell’anno possono sentir crescere ansie e preoccupazioni». Ma apatia, mancanza di entusiasmo, un po’ di tristezza non vanno confusi con la depressione vera e propria: si tratta di stati emotivi che vanno certamente capiti, ma non devono essere ingigantiti e sopravvalutati. Stagione legata al risveglio della natura, al ritorno alla vita e alla luce dopo gli oscuri mesi invernali, possibile che la primavera porti con sé tutti questi problemi? «In realtà – spiega Antollovich – è una stagione piena di ingredienti positivi che, però, arrivando in maniera così improvvisa e quasi violenta, ci destabilizzano e ci fanno irrigidire anche nel fisico, procurandoci non di rado mal di schiena e dolori articolari». Una sorta di ubriacatura da colori e profumi, insomma, che non si può evitare ma che va accettata e gestita al meglio.

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lezioni di pianoAllora il consiglio degli esperti è assecondare il cambia-mento senza sforzarsi, rispettando i tempi dell’organismo nell’adattarsi al ritmo della nuova stagione. E se giornate più lunghe e calde possono facilmente indurre in tentazione, magari suggerendo una gita fuori porta o un’attività fisica non abituale, è meglio non farsi prendere la mano. Un’intera giornata all’aria aperta o una pedalata di ore non sono necessariamente un toccasana, ma possono anzi rivelarsi il vero colpo di grazia per un fisico ancora debilitato dai mesi invernali. «Meglio schiacciare un pisolino durante il week end anche se fuori splende il sole, passeggiare sul bagnasciuga solo una mezz’oretta, non costringersi a correre tutti i giorni perché sono aumentate le ore di luce. Sono tutti accorgimenti che non devono procurarci sensi di colpa ma che possono aiutare nel passaggio alla bella stagione». Parola di psicologa. Un percorso che può essere agevolato adottando, al primo sole più che mai, un corretto stile alimentare basato su un maggior consumo di frutta e verdura di stagione che la terra mette a disposizione proprio in primavera. «Ridurre i cibi grassi aiuta ad abbassare il livello del cortisolo, l’ormone che provoca lo stress – riprende Antollovich – così come bere più acqua stimola gli elettroliti che agevolano l’eliminazione delle tossine accumulate d’inverno». E a te quanto stressa la primavera? Scoprilo con il test che trovi su www.tuttovitamine.it. ■

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NON È ARIAConsigli utili per combattere il malumore di pri-mavera.

Bambini e adolescenti Fanno il doppio della fatica ad adattarsi ai cambiamenti stagionali. Concedere qualche ora di sonno in più e qualche rimprovero in meno non significa essere più indulgenti, ma solo più attenti ai loro bisogni. Adulti Di solito più a contatto con le proprie emozioni, le rappresentati del gentil sesso mostrano di “sentire” la primavera più dei colleghi maschi. Forse più lunatiche le prime, più suscettibili i secondi. Possono tornare utili alcune sedute di rilassamento o training autogeno. Ma può bastare anche una semplice chiacchierata con gli amici così come mettere le proprie emozioni nero su bianco. Anziani Più inclini all’abbattimento possono ritrovare il buonumore con piccoli escamotage come prendersi cura di una pianta. Da quelle fiorite ai sempreverdi, con una spesa minima, si può rallegrare il salotto e la giornata.

GENIO E SREGOLATEZZAOltre trecento opere, tra di-pinti e sculture, provenienti dai più importanti musei d’Europa, che illustrano il complesso rapporto tra produzione artistica e di-sagio mentale. Van Gogh, Munch, Ernst, Guttuso, Ligabue, Mafai e Messerschmidt (con i suoi busti) sono soltanto alcuni degli artisti in mostra nel Complesso museale Santa Maria della Scala a Siena. Ma Arte, Genio, Follia. Il giorno e la notte dell’artista ospita anche la Collezione Prinzhorn di Heidelberg, la raccolta storica di “arte dei folli” proveniente da manicomi e istituti psichiatrici europei, iniziata negli anni Venti dallo psichiatra e storico dell’arte da cui la collezione ha preso il nome. Alla mostra è abbinata la visita dell’ospedale psichiatrico San Niccolò. Inevitabile follia...

Arte, Genio, Follia. Il giorno e la notte dell’artistaComplesso museale Santa Maria della Scala, SienaFino al 25 maggio, festivi compresi, dalle 10.30 alle 19.30tel. 0554275405 - www.artegeniofollia.it

E se lanciassimo i rifiuti nello spazio, visto che sulla Terra è sempre più difficile trovare luoghi adatti per le discariche? Purtroppo non è una soluzione praticabile. Innanzitutto i costi sono esorbitanti (inviare del materiale in orbita costa fino a 20mila dollari al Kg). Si potrebbe allora pensare allo spazio per immagazzinare i rifiuti più pericolosi, come le scorie delle centrali nucleari. Ma che cosa accadrebbe se si verificasse un’esplosione del veicolo spaziale durante il lancio? Una pioggia di materiale radioattivo ricadrebbe al suolo, una vera catastrofe. E poi la spazzatura nello spazio, purtroppo, c’è già. L’uomo ha iniziato a inquinare l’ambiente anche al di sopra dell’atmosfera. La colpa è dei “detriti spaziali”, tutti quegli oggetti artificiali fuori controllo che si trovano in orbita e che in molti casi, prima o poi, ricadono sulla Terra. Il rischio di danni diretti per l’uomo è molto basso perché di solito i frammenti vaporizzano completamente nell’atmosfera o cadono in aree disabitate o sugli oceani. Il vero rischio è rappresentato dalla collisione con i satelliti operativi, con gravi danni economici in caso di impatto e con esiti potenzialmente drammatici per le missioni con uomini a bordo, come lo Space Shuttle o la Stazione Spaziale Internazionale. I detriti spaziali sono satelliti fuori uso, parti di razzi vettori, serbatoi, ma anche micidiali sciami di schegge generate da esplosioni. L’evento più eclatante risale allo scorso 10 novembre. Per la prima volta si sono scontrati due satelliti (l’Iridium 33 e il Kosmos 225), producendo un gran numero di pericolosi frammenti: al momento ne sono stati catalogati ben 414. Si stima che ci siano oltre 17mila oggetti con diametro maggiore di 10 cm, 200mila frammenti tra 1 e 10 cm e milioni di detriti inferiori al cm. Sembrano oggetti di modeste dimensioni, ma se si pensa che nello spazio la velocità relativa nelle collisioni è di circa 10 Km al secondo (36.000 Km/h), anche una scheggia di pochi cm diventa un potentissimo proiettile. Speriamo che lo spazio non diventi una pattumiera, per motivi di sicurezza ma anche perché sarebbe triste che le stelle cadenti del futuro fossero rottami e rifiuti che piovono dal cielo. ■

detriti e ritritiSatelliti fuori uso, parti di razzi vettori, serbatoi o schegge generate da esplosioni. Anche lo spazio ha i suoi rifiuti.di Paolo Volpini

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strada facendo

L’energia prodotta dal movimento di auto e camion diventa energia elettrica. Quando si dice sulla buona strada.

In tempi di crisi economica e di riscaldamento globale si scopre che esistono decine di modi ingegnosi per contribuire alla produzione energetica e che fanno ricorso ai metodi più stravaganti, alimentando persino l’idea che si possa produrre energia laddove se ne consuma di più, sulle nostre traffica-tissime strade. Il progetto forse più ingegnoso è venuto da un gruppo di ricercatori israeliani che hanno proposto di trasformare l’energia prodotta dal movimento delle auto e dei camion in energia elettrica capace di alimentare i lampioni di illuminazione della strada stessa o addirittura le auto che ci scorrono sopra. Non è fantascienza: il primo tratto di strada sperimentale è stato inaugurato in Israele a fine 2008 ed entro quest’anno la tecnologia sarà pronta per il mercato mondiale tanto che la giapponese Nissan ha già stipulato un accordo quadro. Il meccanismo è quasi banale. Gli scienziati sanno che il passaggio delle auto genera una pressione sull’asfalto e che la pressione può essere usata per provocare lo sfregamento all’interno di uno strato di cristalli stesi sotto l’asfalto stesso. I cristalli a loro volta sono capaci di generare la cosiddetta “piezoelettricità”. Questa energia naturale è un fenomeno conosciuto da decenni ed è sfruttato, ad esempio, negli orologi, negli accendini per sigaretta, nei sistemi di accensione delle nostre comuni cucine. Opportuni strati di cristalli stesi sotto l’asfalto sono in grado di generare, secondo gli ideatori, qualcosa come 400 Kw di energia per Km, abbastanza per alimentare otto veicoli elettrici. Conoscendo l’eccellenza israeliana nell’innovazione scientifica già mol-ti governi hanno drizzato le orecchie. L’Environmental Transportation Association inglese, per esempio, ha già stimato che istallando la tecnologia sui tratti più trafficati delle autostrade britanniche si potrebbero alimentare 34.500 piccole auto elettriche. A contribuire all’idea delle “strade energetiche” si aggiungono due progetti americani: uno che si propone di inglobare celle fotovoltaiche nell’asfalto delle autostrade, l’altro che propone l’istallazione di piccole eliche capaci di raccogliere il vento prodotto dal passaggio dei veicoli. In un modo o nell’altro le nostre strade diventeranno presto molto più utili e più verdi.

aria fresca a cura di Barbara Bernardini

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faccia a facciaPer ritrovare un compagno di scuola, per agganciare belle fanciulle, per svago o per lavoro, per pura curiosità. Appuntamento su Facebook, il sito più modaiolo del momento, secondo gli esperti destinato a lunga vita. di Rita Nannelli

Chi cerca un amico perso di vista, chi l’anima gemella, chi aggiorna il suo album caricando le immagini delle ultime vacanze, chi lo usa per trovare lavoro, chi ci passa le ore tra giochi e chat con gli ex compagni di scuola. Alzi la mano chi non è iscrit-to a Facebook – il social network nato nel 2004 dall’idea di alcuni studenti di Harvard – o è tentato di farlo... perché, com’è scritto sul mondo pieno di faccine che appare quando ti colleghi, “Facebook ti aiuta a mantenere e condividere i contatti con le persone della tua vita”. amiciBasta mettere un indirizzo di posta elettronica, una pas-sword segreta e il gioco è fatto: un clic e si diventa amici, si comincia a sbirciare tra i profili che ognuno scrive di sé, a condividere pezzi di vita, foto, video. C’è la bacheca per le comunicazioni rivolte a tutti gli amici – e magari tra i commenti di qualche amico comune si inciampa nel tipo che in passato non c’era stato verso di agganciare –,la chat e i messaggi per scrivere a un destinatario alla volta; l’invita e il trova amici, e ognuno di loro può sug-gerirti altre persone da conoscere, almeno virtualmente. È Facebookmania, per gli esperti non ci sono dubbi e non sarà una moda effimera. «Un elemento di moda esiste sicuramente, ma non credo che il fenomeno Facebook sia paragonabile a quello di Second Life – commenta Paolo Ferri, professore di Teoria e Tecnica dei Nuovi Media all’Università di Milano Bicocca –: il secondo è stato un moda effimera, mentre Facebook, proprio per la sua semplicità, facilità d’uso e per la possibilità che offre agli utenti di mantenersi permanentemente in contatto con il gruppo di amici, è destinato a restare. Ovviamente fino a che un’applicazione più funzionale non lo sostituirà, ma non è facile fare concorrenza a un colosso del social networking che ormai conta 160 milioni di iscritti nel mondo, più di 9 milioni solo in Italia». Lo stesso Mark Zuckerberg, creatore del “libro delle facce” e uno degli uomini più ricchi del mondo, ritiene che nel 2009 Fb (così lo chiamano tra loro gli adepti) sia diventato popolarissimo, il fenomeno del momento e un “affare” molto ambito. E in effetti sono a portata di clic milioni di persone di cui si conosce sesso, età, stato civile, gusti in fatto di consumi, cinema, musica, politica. Una mole di informazioni preziose per le aziende – che già si fanno pubblicità su Fb – e per le loro indagini di mercato.

chi cerca trovaMa qual è il segreto di un succes-so che ha già ispirato un romanzo d’amore, Lovebook, della sceneg-giatrice Simona Sparaco (Newton Compton)? «Fb attrae particolar-mente perché è meno impegnativo di altri social network: non serve strutturare in maniera complessa la propria identità on line – risponde Ferri –, basta mettere una foto per il

profilo e a tutto il resto pensano gli amici che ci contattano. Ti senti parte di comunità a prescindere da come e quanto aggiorni la tua pagina. Insomma è un motore di relazioni sociali non troppo impegnative. Ecco la vera novità: il suo essere facilmente integrabile con gli altri siti, come You Tube o Flicker. Bastano pochi click e il filmato che abbiamo caricato su You tube e le foto di Flicker vengono condivise con gli amici e sono subito all’interno della nostra rete di contatti. Poi c’è la componente sociale e relazionale. Ritrovare una persona di cui si erano perse le tracce non è faticoso: basta scambiarsi un saluto, chiedere come va e il contatto è ristabilito». Precisa Mariacandida Mazzilli, psicologa, psicoterapeuta, coordinatrice del sito www.psicologiadonna.it: «Fb rappresenta l’opportunità di creare e mantenere relazioni più “reali” rispetto ad altre tipologie di chat, perché ci si presenta con la nostra identità reale e non con gli pseudonimi (i “nicknames”) che garantiscono l’anonimato. A differenza delle “vecchie” chat le persone che s’incontrano già si conoscono (o si frequentavano) fuori da internet. Non a caso su Fb si sono “ricostruite” intere classi a decenni di distanza dall’ultima campanella o si sono incontrati amici che non si sentivano da tantissimi anni». Una componente di socializzazione sottolineata anche dalla presenza di gruppi di tutti i tipi: «dai più leggeri, quelli che riuniscono i tifosi di squadre di calcio, i fan delle star della Tv e del cinema, a quelli che sposano le cause più improbabili – lo sapevate che esiste l’Associazione per la diffusione dei bidet in tutti i paesi del mondo?, ndr –, a quelli più impegnati che seguono campagne umanitarie o portano avanti battaglie civili, ad esempio, il gruppo Save the planet di impronta ambientalista» riprende Ferri. E poi ci sono i sostenitori di un partito o di un personaggio politico che grazie a Fb può aumentare contatti e consensi. alla ricerca del tempo perdutoLa febbre ha contagiato in particolare la fascia d’età compresa tra i 18 e i 35 anni: i ragazzi lo usano un po’ perché va di moda, un po’ stuzzicati dalla curiosità di

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A “LIBRO” APERTOIdentikit semiseri dei tipi da Facebook. E tu che tipo sei?

Nostalgia canaglia I nostalgici si emozionano alla vista delle foto dei compagni di classe; cercano gli amici di un tempo per vedere se anche loro hanno i capelli bianchi (o non li hanno più) e commentano insieme i bei tempi andati.Latin lover A caccia di nuovi potenziali partner, i latin lo-ver virtuali non disdegnano neanche le “ex” purché piacenti e disponibili. Collezionano decine e decine di amici dell’altro sesso con cui giocano a fare i misteriosi. Spesso nascondono una relazione in corso nella vita reale e dei figli.Cuore e batticuore I cuori infranti sfiniti dall’ultima relazione andata male sperano di ritrovare gli antichi amori, mitizzando i ricordi. Alla ricerca insomma della seconda chance.Sogni d’oro Gli insoddisfatti cercano su Fb un po’ di romanticismo, un pizzico d’avventura e uno spazio per sognare. Palma dell’insoddisfazione alle donne.Per spot Politici, campioni dello sport, attori più o meno fa-mosi mettono in gioco la faccia per farsi mega spot gratis.Identità nascoste Quelli con l’ater ego sono i burloni che si sono travestiti da Francesco Totti, da Giulio Cesare o da Maria Antonietta e quelli che pubblicano foto di altri o ritoccano un po’ il profilo per ottenere più credibilità. Desiderosi di attenzioni, quantomeno virtuali.

trovare qualche persona famosa e – perché no? – il fidanzato, ma anche come passatempo per fare due chiacchiere con la compagna di banco prima e dopo la lezione di casa; tra i 25 e i 40 anni si usa Fb per svago o per lavoro, sotto i 36 anni le più accanite sono le donne. Pane per i denti degli psicologi che si sbizzarriscono a descrivere i tanti profili dei facebookmaniaci: ci sono i “troppo soli”, gli “insoddisfatti”, quelli con l’alter ego, quelli che si fanno pubblicità, i cuori infranti e gli immancabili latin lover virtuali.«La protezione data dal filtro del computer può avere effetti interessanti anche sulle relazioni della vita reale – afferma Mazzilli –: comunicare attraverso una tastiera può permettere, allentando i freni, di trovare il coraggio di esprimere opinioni o sentimenti che forse manca nel faccia a faccia. Su Facebook si può “stare dentro” le relazioni, ma non troppo, evitando di investirci eccessivamente. Qualcuno lo userà come un antidoto alla solitudine; per molti (organizzatori di eventi, public relations) un comodo strumento di lavoro; qualcun altro si avvicina a Facebook in momenti particolari della vita, quelli di grande cambiamento. L’importante è evitare che il contatto virtuale sostituisca totalmente quello reale e che la rete di amicizie esista e si alimenti anche nella realtà». Comunque checché se ne dica, che sia una moda pas-seggera o che Fb abbia lunga vita, provate a mettere il nome della persona che vorreste rivedere o sentire: con ogni probabilità la troverete nel “libro delle facce”. ■

tempi moderni a cura di Rita Nannelli

Il microcosmo del supermercato visto dagli occhi attenti di una cassiera. Le tribolazioni di una cassiera di Anna Sam è un libro divertente e amaro – un caso editoriale in Francia, uscito adesso anche in Italia (Corbaccio), un film in arrivo, un adattamento teatrale e un raccontino per ragazzi – che racconta l’esperienza dell’autrice (ventinovenne, laureata in lettere) al registratore di cassa di un supermarket per oltre sette anni, una vita fatta di bip che la cassa emette con regolarità quando passano gli articoli. «Ma sei in prigione?» domanda uno dei tanti bambini che sfilano ne “Le tribolazioni” all’hostess di cassa Sam che di quella “prigione” si è stufata, aprendo un blog che poi è diventato questo libro. E il riscatto della protagonista sta nel successo e nella possibilità di licenziarsi da un lavoro che non la gratificava. Dalla cassa alla notorietà come prima di lei Cameron Diaz, cassiera in una yogurteria, Michele Pfeiffer, impiegata dietro una cassa nei supermercati Vons e Sandra Bullock, Giusy Ferreri pas-sata da Esselunga a X-Factor. Un mes-saggio di speranza per tanti giovani in gamba...

Anna Sam Le tribolazioni di una cassiera Corbaccio 2009

p. 177, euro 12,60

cassa di risonanza

Con ricami tono su tono, in tulle, a rete e decori, a tinte soft o effetto zebra. Per l’abbigliamento prima-verile da non lasciare al caso collant, autoreggenti e gambaletti, di giorno e di sera.

calze a pennello

Appena arrivata Sara corre a salutare il suo pony, Cheyenne, bianco pezzato di marrone, lo accarezza, lo spazzola come le è stato insegnato. E poi con l’istruttore a fianco, tenendo il cavallino per le briglie, si avvia verso il capannone dove sta per iniziare la lezione di equitazione settimanale. Un pomeriggio in aperta campagna, lontano dai rumori della città, in uno dei centri ippici dello Stivale dove si comincia da bambini ad assaporare quella sensazione mista di entusia-smo e serenità che solo chi va a cavallo conosce bene.febbre da cavallo«Il numero dei bambini iscritti alle scuole di equitazione varia di anno in anno, ma è uno sport in forte aumento, sia come attività ludica che come disciplina agonistica, praticato da maschietti e bambine quasi nella stessa per-centuale (in leggero vantaggio le bambine). L’età minima per montare un pony è 4 anni – spiega Giorgio Ottone, istruttore di equitazione di secondo livello –. Non si deve iniziare troppo presto principalmente per ragioni di tipo ortopedico che riguardano il bacino e le anche e perché, se il movimento non è eseguito in modo corretto, si rischia di gravare troppo sulla parte inferiore della colonna. I più piccoli non si allenano mai senza l’istruttore accanto, dai 6

anni in poi possono iniziare a cavalcare da soli. Si inizia con lezioni di dieci minuti, poi mezz’ora e con i più grandicelli si arriva a un’ora». mi fido di teInnanzitutto i piccoli principianti devono prendere confidenza con il cavallo per comprenderne i segnali, mentre i primi passi consistono nel guidarlo, farlo girare a destra e a sinistra, in facili esercizi da fare su e giù sulla sella. A movimentare la lezione piccoli ostacoli lungo il percorso che i bambini devono saltare o evitare guidando il cavallo. E solo più avanti le tre andature: passo, trotto, galoppo da sperimentare anche all’aria aperta. Oltre a tonificare i muscoli, favorire una corretta postura, sviluppare coordinazione, equilibrio e destrezza, l’equitazione è uno sport utile anche sotto il profilo emotivo-relazionale. Non bisogna solo imparare a stare in sella, ma anche a non aver paura di un animale che per i bambini è enorme; bisogna imparare a muoversi attorno a lui, a conoscere ciò che gli piace e ciò che gli dà fastidio. Per questo è bene iniziare con i pony (in genere non più alti di un metro e quaranta) che potranno essere accuditi personalmente dal bambino in una relazione “alla pari”, guardandosi negli occhi, costruendo a poco a poco un rapporto di fiducia e di amicizia.

pony expressA scuola di equitazione fin da piccoli per scoprire i vantaggi di avere un pony per amico.di Rita Nannelli

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DA CAP A PIEDIPiccoli cavallerizzi comodi e sicuri con l’abbiglia-mento adatto.

Cap o casco di protezione omologato, obbligatorio (40 euro) Stivali di gomma (40 euro)Tartaruga – gilet imbottito –, non obbligatoria (80 euro).Pantaloni elasticizzati (40 euro)Guanti di cotone e antiscivolo per le redini (7,50 euro)

InfoFederazione Italiana Sport Equestri: www.fise.itLega Italiana Sport Equestri:www.legaitalianasportequestri.itAssociazione Centri Sportivi Italiani: www.acsi.itTutto sul cavallo: www.ilportaledelcavallo.it

cavalca... viaMolto importante è anche il “dopo-lezione”: la cura e la pulizia del cavallo. Occuparsi di un animale fa sì che il bambino riesca a sviluppare una certa autonomia, a sentirsi responsabile di qualcuno. Ecco perché i genitori non ci pen-sano due volte a iscrivere i figli a un corso di equitazione. Ma prima dell’iscrizione (che va bene in qualsiasi stagione) i passi fondamentali sono scegliere un centro ippico serio e affidarsi a un istruttore competente. Quanto all’abbiglia-mento, per iniziare tuta e scarpe da ginnastica possono bastare, mentre il cap – tipico cappellino da cavallerizzo – di solito è messo a disposizione dal centro di equitazione. Se la passione continua stivali, pantaloni elasticizzati, cap personale, gilet protettivo e guantini ad hoc saranno i primi acquisti da fare. Proprio come ha fatto Sara. ■

le vite degli altri a cura di Barbara Autuori

Appassionato di montagna, mas-sese, insegnante in pensione, da sempre Elia Pegollo è impegnato in favore dei popoli “invisibili” del mondo. Da alcuni anni, con l’asso-ciazione La Pietra Vivente (www.lapietravivente.it) di cui è cofonda-tore, sostiene il piccolo villaggio di Muhanga nel Nord Kivu, Congo, da dove è recentemente rientrato. Qual è la situazione laggiù? «Critica e pericolosa. È di gennaio l’ultimo saccheggio ad opera dei ribelli nazionalisti a cui si sono aggiunti i soldati regolari inviati nella regione per scacciare i fuo-riusciti ruandesi. Una situazione davvero drammatica per i 1.600 abitanti del villaggio che si sono visti distruggere i campi coltivati dai quali ricavano il cibo. La denutrizione, soprattutto dei bambini, è una vera emergenza». Com’è entrato in contatto con questa realtà?«Nel 2001 partecipammo al primo Simposium per la pace in Africa dove conoscemmo don Giovanni Piumatti, un missionario italiano che rappresentava due piccoli villaggi tra cui Muhanga, nel cuore della foresta».Che aiuto date a Muhanga?«Abbiamo realizzato un reparto di maternità, un dispensa-rio per i farmaci essenziali e un piccolo pronto soccorso che funziona con quattro infermiere formate per questo». Come finanziate gli interventi? «Grazie al tam-tam tra i privati ma anche alle nostre istituzioni: Comune, Provincia e Asl di Massa Carrara che non ci fanno mancare il loro sostegno finanziario. Abbiamo poi intessuto una rete di gemellaggi tra single e famiglie, che con 26 euro al mese adottano altrettanti nuclei familiari di Muhanga. Altre piccole somme arrivano dalla vendita del calendario annuale dell’Associazione e da un libro sulle Alpi Apuane».Qual è l’ostacolo più difficile da superare quando si cercano aiuti?«La poca conoscenza che c’è di realtà così drammatiche. Dal Congo alla Palestina, dal Kossovo alla Colombia, dall’Iraq alla Bosnia, sono moltissime le persone senza voce e senza volto».Con che motivazione proseguite su questa strada?«Non ci si può fermare quando, pur nell’assoluta povertà, ci si imbatte in una dignità e un senso della solidarietà che noi ormai abbiamo smarrito».

pietra preziosaBreve viaggio nel villaggio di Muhanga nel Nord Kivu, in Congo, dove l’associazione La Pietra Vivente è al fianco degli “invisibili” del mondo.

passione folle

Dal mitico spot dei Levi’s 501 a quello delle chewingum Mentos, la passione dei pubblicitari per le lavanderie a gettone dove anche l’incredibile può accadere.

consumi in scena di Giovanni Manetti

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SPOT Era mio padre

Abbiamo perso la pubblicità della Renault Twingo, quella in cui un ragazzo riconosce il padre in un gruppo di travestiti fuori da una discoteca e, senza fare una piega, lo chiama chiedendogli di metterlo in lista. Le accuse mosse a questo spot sono state tante, forse qualcuna anche giustificata, ma quella che davvero non regge è la visione trasgressiva della famiglia trasmessa ai ragazzini. Guai a mettere in crisi la realtà condivisa... E così ci ritroviamo spot in cui i papà lavorano tutto il giorno, giocano a pallone, guidano la macchina, stanno ore a farsi la barba e le mamme sgobbano, cucinano, puliscono, si ammalano, ma sorridono sempre. Di fronte a certe scene nessun bambino si porrà delle domande. Sono situazioni a cui è assuefatto, purtroppo anche grazie alla Tv. (B.R.)

Sembrerà strano, ma c’è un idillio tra la pubblicità e le lavanderie a gettone, visto che in più occasioni quest’ultime diventano il set per l’ambientazione di uno spot. Quelli più grandi tra di voi si ricorderanno dello spot della Levi’s 501 del 1986 (ma i più giovani possono vederlo su YouTube, e lo consiglio fortemente), mitico come quasi tutti gli spot di quella linea improntata ai valori di un giovanilismo irriverente, ma a suo modo sognante e simpatico. Era intitolato Laundrette e mostrava un ragazzo giovane, molto prestante e sicuro di sé, interpretato dall’al-lora sconosciuto Nick Kamen, che entrava in una lavanderia a gettone piena di donne, giovani e meno giovani, sedute in attesa che il bucato si concludesse. Senza dire una parola, il ragazzo, con aria di sfida, sfilandosi la cintura si cominciava a spogliare e metteva jeans e t-shirt a lavare in una delle macchine; poi, rimasto in boxer, si sedeva a leggere un giornale sotto lo sguardo dissimulatamente eccitato delle astanti. Lo spot ebbe un tale successo che si aprì per il protagonista una (seppur breve) carriera di cantante sotto l’egida di Madonna che, colpita dalle potenzialità del giovane modello, decise di produrne la prima canzone “Each time you break my heart”, canzone seguita da un album che ebbe fama mondiale l’anno successivo.Oggi la pubblicità ci riprova con lo spot della Mentos – non senza una strizzata d’occhio a quel grande deposito della memoria collettiva, per cui per molti l’attuale spot è una vera e propria citazione di quello del 1986 del quale si vuole implicitamente annettere le connotazioni mitiche –. Anche qui un ragazzo giovane e palestrato è seduto in una lavanderia a gettone. Ma, invece della moltitudine delle casalinghe insoddisfatte o “disperate”, c’è un’unica ragazzina acqua e sapone, dall’aria timida, ma sicuramente tutta fuoco sotto la cenere del suo abitino semplice semplice. Il giovane si mette in bocca, con aria sorniona, un confetto del chewingum reclamizzato e, avvicinatosi alla ragazza, la stringe con forza tra le braccia e la bacia con fuoco. L’effetto è tanto intenso che – incredibilmente – lei comincia a roteare, entrando in rima con il vorticare dei cesti delle lavatrici. È una chiara iperbole, incredibile e impossibile nella realtà, ma che rende nel meccanismo retorico dell’immagine visiva la forza della passione. Alla fine, stremata e come esaurita, si accascia a terra. È chiaro il concetto: Mentos produce effetti mirabolanti. Ma lo spot, per quanto carino, è ben lontano dal raggiungere l’efficacia dell’originale.