Numero 63 14 dicembre 2007 S W Gli im E N dibili E L E B e L · canto in siciliano e c’è dentro...

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Ottima annata e scelta molto difficile. Due i dischi che in partico- lare ci hanno preso il cuore (come capita quasi tutti gli anni). Se l'anno scorso erano stati GianMaria Testa e Vinicio Capossela e due anni fa Van De Sfroos e i Sultumana, quest'anno la scelta ardua è stata tra Gigi Maieron e Teresa De Sio. Ha prevalso Teresa anche perché abbiamo avuto più tempo per amarla. Ma Une prima- vere e Sacco e fuoco restano due magnifici lavori. Non solo, ma sono due lavori non rassegnati, grintosi e appartenenti, in linea del tutto casuale, a due tradizioni lignuisti- che diverse dall'italiano: il napoleta- no per Teresa e il friulano per Gigi, anche se per entrambi questa scelta non è esclusiva. Basti ricor- dare "Brigate di frontiere" della De Sio o "A passo di donna" per Gigi. Venerdi 14 dicembre festeggia- mo i premi di Bielle assieme a Teresa De Sio, Ermanno Giovanardi, Massimo Priviero, I Luf, Alessio Lega, Gerardo Balestrieri, Bonaveri in un sera- ta unica al circolo Arci Scighera di via Candiani, 131, alla Bovisa, ex quartiere operaio di Milano. Ovviamente sono invitati a par- tecipare anche tutti gli altri "Imperdibili 2007" che saranno comunque premiati in contuma- cia. A loro, in ogni caso leveremo un calice e un ringraziamento per la bella musica che ci hanno dato. Presenta Enrico Deregibus. Dalle 21. L L L e e e B B B i i i E E E L L L L L L E E E N N N E E E W W W S S S Numero 63 14 dicembre 2007 Quindicinale poco puntuale di notizie, recensioni, deliri e quant’altro passa per www.bielle.org le bielle novità Sul sito due nuove interviste: John de Leo e Roberto Vecchioni e molte recensioni, tra cui “For dai dentj” di Lino Straulino Inoltre radioBielle, il nostro podcasting per ascoltare le voci dei bielleartisti in strea- ming oppure, scarican- dole sul vostro lettore mp3, dove, quando e come volete... bielle pensieri Gli im dibili per

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Ottima annata e scelta moltodifficile. Due i dischi che in partico-lare ci hanno preso il cuore (comecapita quasi tutti gli anni). Se l'annoscorso erano stati GianMariaTesta e Vinicio Capossela e dueanni fa Van De Sfroos e iSultumana, quest'anno la sceltaardua è stata tra Gigi Maieron eTeresa De Sio. Ha prevalso Teresaanche perché abbiamo avuto piùtempo per amarla. Ma Une prima-vere e Sacco e fuoco restano duemagnifici lavori. Non solo, ma sonodue lavori non rassegnati, grintosie appartenenti, in linea del tuttocasuale, a due tradizioni lignuisti-che diverse dall'italiano: il napoleta-no per Teresa e il friulano per Gigi,anche se per entrambi questascelta non è esclusiva. Basti ricor-dare "Brigate di frontiere" della DeSio o "A passo di donna" per Gigi.

Venerdi 14 dicembre festeggia-mo i premi di Bielle assieme aTeresa De Sio, ErmannoGiovanardi, Massimo Priviero, ILuf, Alessio Lega, GerardoBalestrieri, Bonaveri in un sera-ta unica al circolo Arci Scigheradi via Candiani, 131, alla Bovisa,ex quartiere operaio di Milano. Ovviamente sono invitati a par-tecipare anche tutti gli altri"Imperdibili 2007" che sarannocomunque premiati in contuma-cia. A loro, in ogni caso leveremo uncalice e un ringraziamento per labella musica che ci hanno dato.Presenta Enrico Deregibus.Dalle 21.

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Sul sito due nuoveinterviste: John de Leoe Roberto Vecchioni emolte recensioni, tracui “For dai dentj” diLino Straulino

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Ogni La voce più di tutto mi colpisce. Salestretta come una ferita, si approfonda in ungorgo dell'anima che sa di ruggine, di sale e disole. Graffia e colpisce, si impenna e si abbas-sa come il movimento delle mani su unatamorra, ma poi sa aprirsi in un golfo caldo escuro nel cuore di una Ninna nanna. Insommaè Teresa De Sio. Quando la voce si fa animache si trasforma di nuovo in voce, in una seriedi rimandi che sbalordisce e che confonde. E'magia sciamanica che si dirama dal canto,che tintinna dalle corde del mandolino suona-to da Don Peppino De Trizio, che scorre sullecorde delle chitarra e sulle pelli tese delle per-cussioni. "Sacco e fuoco" è programmatico: èla storia di un assalto in musica al cuore dellenostre passioni. Un album rapido e veloce.Che si conclude come parte: con uno scattod'orgoglio.

"Brigate di frontiera", un ripescaggio da "Unlibero cercare" del 1995, stimolato dall'esitoconvincente dei concerti, sembra inventataper le Brigate Lolli: "Ma guarda ancora esisto/ ancora insisto / mi vesto, mi svesto, / buonesito, resisto". E più avanti: "Siamo ancora qui/ scampati a un fuoco di fila / a contarci auno a uno / a raccontarci di un futuro. /Siamo fuochisti e marinai / siamo gommisti efornai / siamo cantanti, flautiste e liutai /Abbiamo scale e martelli / abbiamo vele epennelli / abbiamo bussola, vento e bandiera// Siamo brigate di frontiera / che la frontie-ra non l'hanno vista mai".Ma tutto il discobatte e batte bene su questi temi. Dall'iniziale"Sacco e fuoco", preceduta dalla breve intro di"A morte e zì Frangillo" di Carlo D'Angiò, allasuccessiva "Non tengo paura". Da "A figlia d'orre" fino a "Vulesse addeventare": un album didignità rabbiosa, di teste scosse a dire no, dirifiuti e ribellioni.

"Teresa ringrazia (è detto all'interno dellacopertina) chi non tiene paura, i briganti e le

brigantesse di tutte le epoche, la disobbedien-za che è un metro per misurare il mondo, l'in-telligenza perché salverà la terra dai cretini,ma caricati a salve, le femmine che voglionovivere e amare libere come pesci nel mare epoi finiscono fritte nella tielluzza. Chi resta eresiste nella splendida e miserabile città diNapoli, gli stati di grazia difficili da mantenere,la poesia e lascienza che nulla sanno l'una del-l'altra, ma entrambe possono dirci cose sulcielo stellato. Chi ancora ha una bussola, unvento e una bandiera. Chi non vuole tenerepadrone. I piccoli musicisti senza lavoro. Lamusica popolare. E infine il potere della pas-sione, la sola battaglia che non possiamo per-dere". E noi ringraziamo lei, per ogni riga scrit-ta qua sopra, per ogni parola cantata in can-zone e per questa voglia inesausta di non alli-nearsi.

Insomma, se Teresa Batista era stanca diguerra, Teresa De Sio non appoggia la bandie-ra, ma la tiene bella alta, come in "A sud, asud" e la fa garrire sui canti popolari, sui con-cetti giusti, sulle battaglie sante. E' un discoperfetto quindi "Sacco e fuoco"? Per niente.Ma è un disco viscerale. E quando mai i visce-ri sono perfetti? Per definizione sono imper-fetti, sporchi, corrotti. I visceri si buttano. Masi possono anche buttare sul tavolo perchècontengono il coraggio e la passione, duearmi che in mano a Teresa non sono affattoscariche.

Sono i frutti migliori di quando la musica popo-lare si imparenta alla musica d'autore e pro-duce una miscela magica e salvifica. Ci siamo,siamo a fianco di Teresa quando scrive (ecanta, sopratutto canta, alito di vento e rab-biosa tempesta): "E so passate ll'anni e è sem-pre 'a stessa canzone / na vota era 'oPiemonte e n'ata vota era 'o Burbone / mapure chiste e mò, overo so fietenti / chi 'otene s'o mantene .... n'culo a chi nun teneniente" ("Sacco e fuoco"). Oppure: "io mammavoglio fregarmene / di tutte le buone maniere/ voglio impostare la mia polvere / con la pol-vere del sole" ("Non tengo paura").

Poi ci sono le oasi: la africaneggiante"Ukellelle" con il sublime controcanto di EshaTizafy: "E chillu allora sente a luntananza /

La voce dell'anima della

signora soul

di Giorgio Maimone

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Pensa ca ce po’ sta ancora speranza /Cull’uocchie asciutte cerca addò sta a sponda/ E gira a varca e addreto verso terra / se netorna", che ricorda il modo asciutto con cuianche Gianmaria Testa racconta storie simili.O ancora la "Ninna nanna" che fa esclamare:"eccola Teresa, quella là!": "E duorme duormepure tu / Ca nun si cchiù criaturo / Duormeduorme e sta sicuro / Ca ce stongh’ io vicinoa te / Ca ce stongh’io cu te". Una canzoneche sembra risalire ai tempi di "Pianoforte evoce", dolce, intesa, calda e riposante, canta-ta con quella voce, quella voce che avvolge eche trascina, che strappa le cortine del tempoe ne fa trine e non polvere sottile.

Tutti i brani sono di Teresa, tranne due: l'iniziocon "A morte e zì Frangillo" e il prefinale con"Tambureddu" che è di Domenico Modugno. ZìFrangillo non aggiunge niente al disco (e non èuna partenza forte) Modugno sì, perché tra-sformato in una macchina ritmica violenta, acui la voce di Teresa, come anche altrove, dàuna mano rumoristica. A livello di interpreta-zione è poi imperdibile il finale di "Vulesseaddeventare", quando il rapportopesce/donna, pescatore/uomo si capovolgee a turno ora l'uno ora l'altro si scambiano

mozzichi e brani di carne: "E o pigliasse amuozzeche e m’o mangiasse / Isso ca mevuleva magnà / E me vuleva tenè ‘nzerratadint’ a casa soia / Ma io m’o magno". E' puroteatro popolare, commedia, sceneggiata.

Abbiamo aspettato sette anni il disco prece-dente e solo due anni corrono tra "A sud asud" e "Sacco e fuoco", ma sono due dischi dianime diverse. Il primo popolare e più giocoso,questo cantautorale, con robuste radici popo-lari, e più scuro, più incazzoso. Più indignato ebattagliero.In coda, per chiudere il tutto, l'inno epico ditutti noi "Brigate di frontiera", che la frontieranon l'abbiamo vista mai. Ma abbiamo vistouna donna sulla collina che stringeva una ban-diera e la faceva ondeggiare a tempo. La ban-diera era rossa, la donna era Teresa: TeresaDe Sio.

Teresa De Sio"Sacco e fuoco"C.o.r.e./Edel - 2007Nei negozi di dischi

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Ci sono interviste che si sbobinano subi-to, altre che restano lì qualchetempo. Cosìè capitato a questa con Teresa De Sio cheperò ha il pregio di non aver perso un'on-cia di freschezza e di venire fuori proprionel momento in cui a Teresa viene affibbiato l'ono-rifico titolo di Imperdibile 2007 di Bielle per ildisco "Sacco e fuoco". Ecco la cronaca di allora.

Purtroppo non ho ancora sentito il disco,Teresa, quindi partiamo con un’intervista allacieca. Allora “Sacco e fuoco”. Tu o non fai dischio ne fai due in due anni.

No, vabbé. Sì, sono due anni da “A sud a sud”. Inrealtà questo disco segue molto la scia di “A suda sud”. Anche questo ha le radici nella musicapopolare, anche se, rispetto ad “A sud a sud” è undisco più cantautorale. C’è un po’ meno tradizio-ne e un po’ di più io come autrice.

Le canzoni sono tutte tue?

Le canzoni sono tutte mie, eccetto l’intro A mortee zì Frungillo che è una canzone scritta e che can-tava Carlo D’Angiò, che mi porto appresso daitempi di Musica Nova e poi c’è Tambureddu cheè di Modugno e che ho scelto di mettere perchéè una canzone che raccoglie un po’ tutto il suonodel sud, perché se ci pensi, Modugno era puglie-se di Polignano a mare, costa levante, parla dellapizzica ossia Puglia sud, Salento, è scritta ed io lacanto in siciliano e c’è dentro la tarantella napole-

tana. Praticamente era la canzone che facevaper me. E poi soprattutto è il primo esempio dipizzica d’autore, almeno credo di poter dire. Inmezzo sono tutti pezzi miei. C’è una canzone cheè Vulesse addeventare, in cui ho preso il testoche è parte della tradizione orale napoletana, l’homodificato, ho completamente riscritto la musicae l’ho reinterpretato in questo modo.

Il disco ti soddisfa? Ti rappresenta?

Sì, sicuramente rappresenta questo momentodella mia vita e della mia storia. Mi spiace chenon l’hai sentito perché è un disco che quando losentirai dirai “ah, potevo chiedere questo o que-st’altro”. (ridiamo) Insomma è un album abba-stanza pieno di rabbia, un po’ duro rispetto ai mieiultimi dischi, sia come suono che come storieraccontate.

Il gruppo che ti accompagna è lo stesso?

Il gruppo è lo stesso, tranne per alcuni brani dovec’è una sezione ritmica di basso e batteria fattada Luca Troglio e Mario Guerini. Poi sono sempregli stessi di sempre. L’ottimo Don Peppino DeTrizio al mandolino, Her al violino, Max Rosati allachitarra che in questo album ha avuto un ruolo

"Noi che abbiamoresistito e siamo

rimasti intatti"

di Giorgio Maimone

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molto importante perché abbiamo fatto insiemegli arrangiamenti e lui ha anche registrato il disco.

A Sud a sud è stato un disco che è servito eriposizionarti sul mercato perché era tantotempo che non uscivi con qualcosa di inedito.

Riposizionarmi … Mercato …?

Sono termini che non ti piacciono?

Non è che non mi piacciono. Non mi piaccionopure, ma soprattutto non mi rapporto in manieramolto consapevole con questo. Non saprei se misono riposizionata o meno. E poi cos’è questomercato? (ridiamo)

Non è quello del pesce.

Certo che non è quello del pesce! Io vorrei ancheche il disco andasse primo in classifica, non è chesnobbo queste cose. Però non è il fatto priorita-rio. Prioritario è fare altre cose.

Dal punto di vista degli spettacoli?

Adesso cominceremo il tour.Abbiamo appena suonato alfestival del mandolino genove-se a Varazze, un festival chefanno da molti anni e che èmolto interessante. Visto chedanno un premio ogni anno aun artista, quest’anno sonostati così gentili di darlo a mequesto premio. E mi hannoregalato questo mandolinogenovese che è uno strumen-to bellissimo che io non cono-scevo, fatto da questo artigia-no che si chiama Gabrielli eche ha fatto già tanti mandoli-ni. Ne ha fatto uno per FabrizioDe André che a sua volta haricevuto questo premio primadi me. Poi lo hanno presoBattiato, Capossela. Questomandolino è molto bello per-ché ha cassa molto piccola,manico molto alto ed è unincrocio tra mandolino e chi-tarra battente e siccome nonha il manico stretto ho capitosubito che lo posso impararea suonare anch’io.

Il mandolino normale è trop-po stretto

E’ impossibile! Eppure ci sonomaschi che hanno dita piùgrosse delle mie che riesco-no a suonarlo. Però loro so’bravi!

Senti, vediamo le canzoni una a una? Ha voglia?

“Sacco e fuoco” è una canzone sul brigantaggio.Il brigantaggio di ieri, il brigantaggio di oggi. Parteda una considerazione di tipo storico. Ossia ilfatto che questa benedetta unità d’Italia chetante volte viene messa in discussione negli ultimianni, in realtà a noi meridionali è costata sangue,sudore e lacrime. Il Sud dell’Italia ha pagato ungrande tributo di sangue: ci furono 685 milamorti, 51 paesi rasi al suolo, spariti completa-mente dalle carte, iniziato il grande esodo versole Americhe. Garibaldi avevo promesso la demo-crazia, aveva promesso la liberazione daiBorboni, aveva promesso la costruzione di unaRepubblica, aveva detto ai contadini che gli avreb-be dato le terre e ai latifondisti che nona avrebbe-ro più pagato le tasse, quindi tutti quanti vedeva-no in questa figura di Garibaldi una mano santa.Però quando Garibaldi ha consegnato ai Savoia ilregno delle Due Sicilie così chiavi in mano, iSavoia hanno avuto un impatto violento con il Sud.Non hanno “scambiato” , ma nel Sud è arrivatol’esercito piemontese e a quest’esercito ha rispo-sto quel fenomeno che veniva chiamato brigan-

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taggio, spesso liquidato come un fenomeno di cri-minalità e invece era proprio un fenomeno diantagonismo armato. Questi erano antagonistipolitici! La canzone è dedicata a “quei” briganti,però, insomma, anche a quelli di oggi. Nella can-zone dico: “passa il tempo, ma è sempre la stes-sa canzone / una volta era Piemonte un’altravolta era Borbone / ma pure chist’e mo’ è veroso fietente / chi ottiene s’o mantiene in culo a chinon tiene niente”. Chi ci comanda, chiunque sia,non ho dato connotazioni politiche, il potere ingenerale, non cambia molto le cose: chi ce l’ha selo mantiene e chi non ce l’ha se lo prende a quelservizio.

Non tengo paura

“Non tengo paura” è la lettera di una figlia a unamadre. Probabilmente la risposta a una lettera incui la mamma dice “Figlia mia statte attenta cheil mondo è fatto in un certo modo”. E la figliarisponde “Sì, ma io non ho paura, io non conoscole regole, io voglio vivere secondo il mio istinto“voglio ballare sopra un’altere spento /come unafemmina di Galatina”. E cito Galatina propriovolendo segnalare questo momento di libertà del-l’anima in cui le femmine, fingendosi morse dalragno in realtà si concedevano un momento diguarigione pubblica, conquistava un ruolo sociale:“io sono la posseduta dal ragno, io sono la morsi-cata, voi dovete guardarmi ballare e io nel corsodel ballo recupero lo status che nella vita quoti-diana non ho”. Immaginiamoci quale potesseessere lo status della donne del Salento nel ‘700:zero! Così recupero uno status che mi consentedi tornare alla vita quotidiana stando bene.Comunque un grande gesto di forza. Io non tengopaura è una canzone di coraggio, perché dicoraggio ce n’è bisogno!

"A figlia d’o rre”, invece?

I’ song’a figlia d’o rre e non voglio tenè padrone!

Anche qua bella donna decisa, eh?

Sì, per questo ti dicevo che mi rendo conto che èpiù duro dei dischi precedenti.

La canzone dopo però è “Amen”, forse quella ècalma …

"Amèn", non àmen! Con l’accento sulla e alla napo-letana. E’ una parola bella, che sancisce lo stato digrazia. E’ una canzone su Napoli, la canzone checomincia dove finisce Stamme bbuono, la canzoneche ho scirtto con Raiss in A Sud a Sud, Che erasui mali della città di Napoli. Mali che in questi dueanni non solo stati risolti, ma anzi sono peggiorati.E’ proprio di questi giorni sono le notizie dei roghidell’immondizia, la città che va in fiamme. E propriotra quella canzone, Stamme bbuono, e Amèn sonopassata attraverso la lettera del libro di Saviano,Gomorra, un libro veramente sconvolgente. E tra lealtre cose, a proposito proprio del fatto della spaz-zatura lui dice che se si mettesse insieme tutta laspazzatura che il Nord dell’Italia attraverso lacamorra ha inviato nel sud – dice che Milano è puli-ta? Per forza! L’ha inviata tutta nel Sud! – Se simettesse insieme tutta quella spazzatura si fareb-be una montagna alta 14 km. Se tieni conto che ilMonte Bianco è altro 4810 metri e l’Everest 8mila, queste sarebbe in assoluto la montagna piùalta del mondo. Allora in questa canzone, Amèn, ioho invocato una serie di divinità pagane, dalPadreterno del Vomero, alla Madonna delleGalline, alla Madonna della mondezza perché lad-dove l’intelligenza umana e terrestre fallisce alme-no intervengano gli dei. Che allunghino il loro piedi-no celeste su questa montagna. Usino la monta-gna di mondezza per scendere e venire a vederecosa ci succede!

"Ukelelle"?

"Ukelelle" è una parola africana. Che in realtà non sipronuncia proprio così, però io non sono africana e

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mi sono presa questa libertà. A me piace molto lamusica africana e questo credo possa essersi capi-to nel corso della mia carriera. La musica soprat-tutto di quella zona dell’Africa, del Mali, quella musi-ca dove dentro c’è molto ritmo ma molta lentezza,dove ciò che conta non è tanto quello che dici, ma ilritmo a cui lo dici. E mi sono ispirata un po’ alla musi-ca del Mali. Una canzone un po’ particolare in cui misono immaginata … in mezzo al mare cosa ci puòstare? Nel tratto di mare che unisce l’Africa al Suddell’Italia. Che ci può stare? Uno che viene dall’Italia,per esempio da Napoli e che decide di andare avivere fuori dai coglioni, che non ne può più delmondo e della vita dura che si fa in queste zone.Quando arriva in mezzo al mare si rende conto chein mezzo al mare è pieno di barche affondate e que-ste barche sono affondate perché venivano daun’altra vita e quelle persone pensavano che venirea vivere da noi significasse iniziare un’altra vita.Gente che veniva di poter volare liberi come uccellie che invece sono rimasti intrappolati in una retatadi tonni. E allora questo uomo che è uscito al largopensa che sia il caso di tornare indietro e riprende-re in mano la battaglia. Qualunque essa sia, pur dinon abbassare la guardia. E però c’è un’altra cosache ti voglio dire di questa canzone. Sentirai che c’èuna voce che canta insieme a me e sembra la vocedi una bambina. E canta in malgascio. In realtà èuna giovane ragazza africana, del Madagascar chesi chiama Aisha che ho conosciuto casualmente treanni fa quando suonavo a Palermo e, dopo un con-certo, è venuta a cercarmi per cantare con me. Miha dato un cd. Io cerco sempre di ascoltarle. Lodico però e già mi scuso, non riesco a sentirle tutti.Questo di Aisha fortunatamente l’ho sentito, le siscrive anche le canzoni, e l’ho chiamata a cantarecon me. Sentirai come è brava!

"Due ore al giorno"?

"Due ore al giorno" è “ufo” rispetto a questo disco.Non c’entra niente. Posso dirlo francamente. Peròmi piace talmente tanto … Ho combattuto talmen-te a lungo con me stessa, perché non volevo inse-rirla. Il disco è talmente omogeneo che questa can-zone non c’entrava niente. E’ parte in italiano, partein napoletano, però è omogeneo, anche perché èstato scritto tutto nello stesso periodo. Due ore algiorno invece è una canzone che ho scritto tre annifa e che fa parte di un gruppo di canzoni in italianoche ho scritto, che mi piacciono molto, ma che nonho mai registrato da nessuna parte.. Però due oreal giorno c’era qualcosa che mi ha convinto. Porto

dentro qualcosa legata al Brasile, alla musica nor-destina … mi piace tanto. Mi sono inventata questacosa di immaginare una giornata intera che diven-ta un po’ una metafora, se mi si passa il termine unpo’ abusato, della vita. In cui succede di tutto. C’èun periodo per la tristezza, uno per la felcità, unperiodo per il sesso, uno per la lotta, uno per la rab-bia, uno per non fare un amato cazzo di niente, unoper le stupidaggini. Poi se tu fai il calcolo, perchédopo averla scritta il problema me lo sono posto“ma quante ore ci ho messo?” Sono 1600 ore!(Ridiamo) Ho inventato una giornata di 1600 oreoche però contiene tutte le umane passioni.

Resta solo “Ninna nanna” …

"Ninna nanna", come mi ha detto qualcuno, lepoche persone che hanno già sentito il disco mihanno detto “Ah, questa è Teresa De Sio quellalà!” Non lo so. Tu scrivi ! “Questa è Teresa De Sio-quella-là” e io per non far torto a nessuno dico “ehsì sì … è proprio quella là!”

Bonus track: "Briganti di frontiera"

E’ una canzone che ho rifatto , che stava su Un libe-ro cercare. "Briganti di frontiera" è una canzonebattagliera. Intanto la faccio nei concerti. Ho iniziatoun po’ di malavoglia a farla nei concerti di StazioniLunari con Ginevra di Marco, che è caratterizzatada un cast che gira e mi sono trovato di tutto. Lecose più bizzarre e quindi più divertenti: CristinaDonà, Cisco, Morgan, Peppe Servillo. E lì abbiamodeciso di farla. Facendola con loro io mi sono detta“Ma allora questo pezzo lo posso rifare?” Ho comin-ciato a farlo nei concerti e vedo che ha un enormeriscontro. Io lo pensavo proprio come un pezzominore, quelle cose che sia, si lasciano anche perstrada. Non è che io posso fare tutto quello che hoscritto! Verrebbe un concerto di 15 ore! Sarebbecome “Due ore al giorno” (ridiamo) . E quindi hodeciso di riarrangiarlo e l’ho messo a fine disco. E’una canzone comunque combattente dedicata atutti quelli come noi che abbiamo resistito e siamorimasti intatti dentro di noi. Briganti eravamo quan-do eravamo pischelli e briganti siamo ora chesiamo giovanotti e signorine! Tutti quelli che abbia-mo resistito siamo un po’ delle Brigate di frontiere,con una bandiera e una dolce arma per andare acombattere battaglie. Speriamo che queste batta-glie le vinciamo. Altre siamo pronti a perderle.

Intervista rilasciata il 20 gennaio 2007

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niGerardo Balestrieri: "I nasi buffi e la scrittura musicale"

Un napoletano cheguarda alla Franciadi Lucia Carenini

Ne ha fatte, di cose, Gerardo Balestrieriprima di approdare al suo primo album. Natoa Remscheid nel '71, si è laureato con unatesi sulla spiritualità nella musica popolarebrasiliana, ha collaborato con Daniele Sepe eBebo Storti, ha fatto parte di E. Zezi, ha par-tecipato ad Arezzo Wave '96, ha recitato inuna soap opera ed è comparso in un paio tra-smissioni televisive. E’ stato invitato un paiodi volte al Club Tenco: la prima nel ’99 comecantautore inedito (dove presentò alcunibrani poi finiti in questo cd), la seconda nel2005, come session man per il dopo-Festival.Anche di riconoscimenti ne ha avuti, dalla vit-toria nel 1995 al Festival Buskers di Pelagoal titolo di “cantautore rivelazione” al festival“Dallo Sciamano allo Showman 2006” pas-sando per il premio per il miglior testo alterzo Mantovamusicafestival.

Però l’agognato disco non era ancora riusci-to a pubblicarlo; ce l’ha fatta quest’anno ed èfinito dritto dritto nella cinquina delle nomina-tion per la Targa Tenco. Qualcosa vorrà purdire… Andiamo a vedere, o meglio a sentire.

A rappresentarlo in copertina Balestrierisceglie un disegno di Tomi Ungerer, impor-tantissimo disegnatore satirico contempora-neo e uomo impegnato in mille battaglie poli-tiche e sociali. Il disegno in questione illustraun gatto che canta in un microfono a formadi topo. Ma visto che le fauci sono spalanca-te – e il microfono è appunto un topo – iltutto suggerisce diverse chiavi di lettura. Igatti, indolenti, sensuali, furbi ed egoisti, sonosempre stati fonte di ispirazione perUngerer. In quale di questi tratti si identifi-cherà Balestrieri? Proviamo a scoprirlo conle canzoni.

Musicalmente si capisce che il ragazzo è pre-parato: si va dalla tarantella al bolero, dalloswing al blues, dal tango alla giga e allamazurca, da Napoli a Parigi passando perAtene in una girandola di suoni accattivantee trasversale. Sensuale e sorniona la voce,interessanti le parole, con i toni che si fannodi volta in volta beffardi, flemmatici, acuti,marpioneggianti e sarcastici. “La possentepassione passeggia passando tra la voglia eil sonno, tra il senno e la nebbia” è un buonesempio del lavoro di lima fatto sui testi,sostenuti da piano, fisarmonica e da unaserie pressoché infinita di altri strumentisuonati dallo stesso Gerardo assieme a unapletora di musicisti. Ospite illustre, in “Furtoai nobili di Rue Berget”, Daniele Sepe con ilsuo sax, a dare note acide e sentori di selvag-gina a una canzone che sembra avere radicinel periodo jazz-parigino di Boris Vian mesco-lato a quello delle cantine astigiane di un notoavvocato.

I richiami al patafisico francese non si ferma-no però qui: il nostro ci dà modo di apprezza-re le sue doti di interprete in “Barcelone” equelle di traduttore in “La java des B.A.”.Peraltro non si fermano qui neanche i riferi-menti all’avvocato astigiano e forse anche alfratello del suddetto: “Il blues del putagè” (ilputagé è la tipica stufa in ghisa delle campa-gne piemontesi, su un angolo della quale veni-va lasciata per tutto il giorno la minestra -putage - a sobbollire borbottando) echeggiadelle storie del Conte piccolo (se così si puòdefinire il grande Giorgio), delle sue erbe diSan Pietro, delle mele cotte al forno e delle

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giostre dei vari Bastiani. Ma non è un male:Balestrieri in una delle sue tante peregrinazio-ni (ai traslochi va uno dei ringraziamenti nellenote finali del disco) ha respirato quell’aria,l’ha assimilata e l'ha fatta sua. E il risultato èaffascinante.

Il fatto che Balestrieri deve aver ascoltatoparecchio Paolo Conte si evince anche da“L’Ame du Vin”, poesia di Baudelaire messa inmusica e da “Il gusto nel niente e nel sorride-re” - il brano che contiene la frase che dà iltitolo all’album - un collage di immagini che siinanellano come perle di una collana oniricalegata da un filo di note di piano e fisarmonica.“lettera di spezie e sogni, forse una ricetta”, ladefinisce lui nel sottotitolo, ma evoca sicura-mente i toni di un film anni Trenta in bianco enero. Incantevole e incantato.

Qualcuno ha scomodato altri due grandi, e hadetto di Balestrieri che “canta alla streguad’un De André colto da infingarda ebbrezzacaposseliana o di un Capossela colto da flem-matico acume deanreiano”. Probabilmente haascoltato, assimilato, elaborato, digerito. Echidi molti, clone di nessuno, Balestrieri va tenu-to d’occhio. Augurandosi di non dover aspet-tare altri otto anni per avere la conferma diun talento.

Gerardo Balestrieri"I nasi buffi e la scrittura musicale"Intebeat/Egea - 2007Nei negozi di dischi

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niBonaveri: "Magnifico"

La difficile strada dell’impegnodi Silvano Rubino

Com’è difficile essere impegnati in tempi dianti-politica. Com’è difficile scegliere il socia-le, l’invettiva, i realismo in tempi in cui la ten-tazione di rifugiarsi nel puro immaginario èassai forte. Com’è difficile optare per l’ideale,quando un po’ di ben dosato cinismo puòaprire molte più porte... Germano Bonaveri (omeglio, come recita la copertina del disco,soltanto Bonaveri), al suo esordio da solista,non si fa intimorire da tutte queste difficoltà.E si butta nell’impresa di fare un disco impe-gnato con grande convinzione.

Lo si capisce sin dall’inizio, la prima canzone,“Non dimenticare”, sceglie subito i toni dell’in-vettiva, contro l’immobilismo, il conformismo,sui ritmi di una marcia vagamente balcanica.II disco prosegue con “Torquemada”, ballatadi ascendenza folk che prende di mira rigur-giti medievali di cui è vittima la nostra societàe “Magnifico”, title track, più intimista, uninno al bello della vita, nonostante tutto. “IlMago” (con un’intro parlata) è un malinconi-co valzer sul rapporto tra potere e individuoe la fine delle utopie, “Indelebile” è il versanteintimo del disco, quello di un uomo che sigetta a capofitto nella sensualità, quasi unrifugio a quella tempestosa realtà messa nelmirino dagli altri brani, “C’è chi (e chi)”, risaledi tono, con un ritmo incalzante prende dimira qualunquismo e perbenismo. “DelleDiversità”, la più gaberiana tra le canzoni deldisco, per intento etico, è un’esortazione auscire dal coro, a essere “un’incognita noncontemplata/nei manuali dell’autorità”. Ladenuncia è il tono dominante anche in “Oltrel’arcobaleno”, ritratto a tinte forte di questinostri tempi e nella latineggiante “Statosociale”, con i cori di Maria Pierantoni Giua.Chiude “Terraferma”, la canzone più intro-

spettiva del disco, una jazzata riflessionesulla complessità dei rapporti d'amore.

Di Bonaveri (che scrive tutti i testi, mentreper le musiche di fa aiutare, in qualchebrano, da Fabio Guercio) colpisce l’uso dellalingua, delle parole. Sulla scorta della miglio-re tradizione cantautorale, mette in versi unacorretta lingua italiana (e non è poco, di que-sti tempi), senza paura di attingere a un les-sico ampio, senza paura di usarne molte, diparole, a rischio di qualche (raro) scivolamen-to nella verbosità. Dà peso alle parole,Bonaveri, tanto da inserire qualche branorecitato, lasciando intravedere un certoascendente nei confronti del teatro canzonedi matrice gaberiana. Nessun ermetismo, unlinguaggio curato ma diretto, capace di tra-smettere significati netti, senza molte sfuma-ture. A cui fa da specchio una musica altret-tanto diretta, vigorosa, capace di fonderetradizione cantautorale doc, con ritmi folk,sfumature jazz, canzone popolare.

Una musica, c’è da dirlo, ottimamente suona-ta, figlia com’è delle mani d’oro del produtto-re del disco, Beppe Quirici, che ha coinvoltonell’avventura musicisti della vaglia di MarioArcari e Elio Rivagli (insieme a Quirici due deiprotagonisti della migliore stagione di IvanoFossati).

La voce è quella calda e avvolgente che giàavevamo conosciuto con i Resto Mancha(che peraltro continuano a collaborare al cd).

Centra sempre l’obiettivo, questo esordio? Èsempre all’altezza della sua forte ambizione?

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No, forse, no. C’è qualche momento di stan-chezza, di convenzionalità. E pure qualchecaduta nel predicatorio. Tuttavia GermanoBonaveri è una persona che canta perché haqualcosa da dire. In Magnifico c'è la traccia ditutta la tradizione cantautorale, ben assimila-ta e digerita, con in più una signora produzio-ne. Si parla del rapporto tra potere e persona,del qualunquismo dilagante, del vuoto moralee del fatto ancor peggiore che lo si considerinormale. E si parla anche d'amore, ma mai intoni da sole-spiaggia-mamma-capanna, piutto-sto con un approccio introspettivo e poetico.Per un esordio niente male, quindi. È legittimoaspettarsi un bel percorso.

Oltre ai musicisti dei Resto Mancha AntonelloD’Urso (chitarre), Luigi Bruno (piano e fisar-monica), Luca De Riso (basso elettrico), MaxD’Adda (batteria), l’album vanta le preziosepartecipazioni di Elio Rivagli (percussioni ebatteria), Mario Arcari (oboe, clarino e flauto),Martina Marchiori (violoncello) e MariaPierantoni Giua ai cori in "Stato Sociale".

Bonaveri "Magnifico"Fabbrica di parole & MusicaDuende Music - 2007Nei negozi di dischi

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niMauro ErmannoGiovanardi: "Cuore a nudo"

Jo non porta La Crus, ma il cuore ha spessoredi Leon Ravasi

Sceglie un disco strano per tornare alla "canzoneattiva" Mauro Ermanno Giovanardi, vale a dire il signor La Crus. E' un disco dal vivo, la registrazio-ne di uno spettacolo tenuto al Teatro Dimora - L'arboreto di Mondaino (Ravenna) tra il 10 e il 17aprile 2006 e poi, con calma, addizionato delle ritmiche in estate, degli archi in autunno e quindimixato e licenziato a un anno quasi esatto di distanza dalla registrazione. Alla faccia dei dischi"canta e sforna" tipo Elio e le Storie Tese!

Il risultato è un prodotto levigato e curato che, almeno inizialmente, non sembra dal vivo. Ed è lavo-ro complesso e stratificato, giocato sulla passione per la poesia di Giovanardi, che recita moltitesti, e su quella per la canzone d'autore, presente qui sotto quasi tutte le sue forme.Giovanardi è un sensibile e dotato interprete che non ha mai fatto mancare neanche nei dischi fir-mati come La Crus la ripresa di classici della canzone d'autore (da Ciampi a Tenco, da De Andréad Alan Sorrenti), fino a dedicare un intero disco, "Crocevia", alle cover (Bruno Martino, Gaber,Patty Pravo, Ivano Fossati, Battisti, Conte).

"Cuore a nudo" riprende un po' delle intenzioni di "Crocevia" (e anche direttamente alcune dellecover già cantate) e le colloca in una dimensione di recital autorale di grande impatto emotivo eottima eleganza formale. Il gioco mostra la corda solo alla lunga distanza (sono 18 brani per untotale di 48', non molto lungo, ma alla fine il gioco attore/fine dicitore/musica rarefatta su discosi fa un po' peso).

Tra le cover già fatte dai La Crus ecco tornare "Un giorno dopo l'altro" di Tenco, "Giugno '73" diDe Andrè, mentre la magnifica "Naviganti" di Fossati arriva dall'album di cover fossatiane "I diser-tori". Di Tenco compare invece per la prima volta "Vedrai vedrai" anche questa in una versionecommuovente, Hai pensato mai? ("Gastu mai pensa?") di Lino Toffolo e "El me gatt" di Ivan DellaMea in una versione da cabaret jannacciano.

In mezzo un pugno di canzoni di mano dello stesso Joe: "La giostra"scritta con Cremonesi eMalfatti (ossia gli altri due terzi dei La Crus) per l'album d'esordio omonimo del 1995, "Un cuorea nudo" scritto con Fabio Barovero dei Mau Mau e Baruffaldi, "Solo sfiorando", scritta con LucaMorino e Fabio Barovero (ossia la totalità dei Mau Mau), "Testamento d'amore" con LezieroRescigno (batterista del giro La Crus).

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In mezzo tanta poesia: da William Shakespeare("Come un attore") a Tonino Guerra ("La figa"), daPier Vittorio Tondelli ("A Milano") a Elio Pagliarani("Sarà ora di chiudere, amore"), da MariangelaGualtieri ("Tu manchi da questa camera") aMarco Lodoli ("Ognuno dentro di sè ha un vuoto")e a Sandro Penna ("Era la mia città"), ma ognipoesia è accompagnata da musiche di Barovero,di Giovanardi o di entrambi o di Lorenzo Corti (giàcon Cristina Don° e Cesare Basile).

Il risultato finale è da lode. Giovanardi convinceanche se la produzione di materiale nuovo, fattibene i conti, si riduce all'osso e alcuni episodi, siapoetici, sia musicali, sono da segnalare con l'evi-denziatore giallo a partire da Un giorno dopo l'al-tro a Naviganti a La giostra a Hai pensato mai,fino alla conlusiva Sarà ora di chiudere, amoreche rende magistralmente la breve poesia diPagliarani.

"Ho pensato a questo disco - dice Mauro - fin dal-l’inizio come ad uno spettacolo immaginario… unviaggio emozionale in uno spettacolo immagina-rio tra canzone, teatro e poesia, dove non si riu-scisse a capire quali fossero le tracce registratein studio e quelle dal vivo, in un gioco sospeso tra

finzione e realtà.” "L'idea - spiega Giovanardi - eravedere se era possibile sostenere uno spettaco-lo intero con una formazione minima, ovveropiano o fisarmonica, una voce e una tromba,creando un percorso di parole cantate o recitate,di cose che sono state fondamentali per me.Abbiamo visto che l'idea reggeva e la mia voceaveva ancora più possibilità di lavorare sull'inter-pretazione. E potevo dare sfogo anche a una miapassione antica per il teatro".

Scopo raggiunto, anche se resta l'incertezza suquale sarà il cammino di Joe senza i La Crus(anche se Paolo Milanesi è presente anche qui-con la sua tromba e pure come spalla recitantein El me gatt) o se ci sarà ancora un cammino deiLa Crus assieme, ma se questi sono i segnali c'èda ben sperare: gusto, intelligenza e cultura.

Mauro Ermanno Giovanardi"Cuore a nudo"Radiofandango/Edel - 2007Nei negozi di dischi

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niI Luf: "Paradis del Diaol"

I lupi ululano quando hanno qualcosa da diredi Giorgio Maimone

Ne Basta ascoltare 8" e 43 centesimi deldisco per capire che si tratta dei Luf.Marchio di fabbrica inconfondibile. Impulsorock su cui si innesta un riff di baghet o cor-namusa, tipico del folk. Sono ormai tre dischi,più i due episodi del Sambuco, che conferma-no con forza questa identità. I Luf non si pos-sono confondere. E allora, visto che amo i Lufe che sono amici, per poter giudicare questodisco mi sono sottoposto a una sorta diprova tortura: un'ora di ascolto quotidianoper venti giorni, in ordine sparso dei brani onell'ordine del disco. Tanto è l'esatta duratadel mio viaggio in bicicletta per andare e tor-nare dal lavoro. Li ho amati, detestati, amatiancora. Forse capiti. Insomma, nonostantenon ci sia più l'effetto sorpresa, "Paradis deldiaol" è un grande disco, il migliore ascoltatofinora.

Classico folk-rock, ibridato di combat, canta-to con grinta e vissuto con alto impatto emo-tivo e sonoro. I Luf fanno muovere le gambee parlano al cuore. Possono scivolare nellaretorica, ma lo fanno sempre con sinceritàestrema e se "Bala e fa balà" aveva qualcosadelle danze sull'aia, "Paradis del diaol" è piùserio, più introverso, forse anche più incazzo-so. Si inizia con una conta ("Cunta e canta") esi finisce con un invito al ballo ("Vivi la vita bal-lando"), ma si passa attraverso storie diResistenza, di disertori, di preti con la tonacanera, ma il cuore rosso.

E poi i Los Lobos brianzoli (o camuni?) hannouna grossa qualità: conoscono ancora ilgusto del riff strumentale. Non me la si vengaa contare. Quasi più nessuno aderisce allamassima d'oro del rock, che oltre a strofa,bridge, inciso è necessario che una canzone

abbia anche una frase musicale ripetibile eripetuta che si faccia ricordare e serva comegancio per la memoria. Ecco i Luf fanno teso-ro di questa massima e la grossa differenzache sente tra le prime versioni grezze dellecanzoni e il prodotto finito è proprio in que-sto: ogni brano ha un suo gancio strumenta-le. A volte se ne fa carico il violino, altre lebagpipe, altre ancora la fisarmonica o le chi-tarre ma quel che conta è che c'è semprequalcosa da ricordare. E questo senza anco-ra aver parlato dei testi.

Perché non ci sono dubbi, come diciamo neltitolo, che i Lupi ululino solo quando hannoqualcosa da dire. Può anche essere solo uninvito al ballo o a prendere la vita con unarisata, possono essere storie antiche o fila-strocche per cantare (o per contare), manon esiste brano nella discografia in crescitadi Canossi e soci che non abbia una sua inti-ma o esplicita necessità. E peraltro, altropunto di lode, i lupacchiotti non fingono mai diessere altro che quello che sono: fieri di veni-re dalla provincia e di portare suoni di diver-se tradizioni popolari intrecciate tra loro estorie che ancora alle radici popolari fannoriferimento o alla vita quotidiana. Che è unmagnifico modo di fare politica cantando.

Delle 12 canzoni dell'album almeno otto sonosopra la media (di cui almeno tre che viaggia-no sulle cinque stelle), due sono molto buonoe solo due rientrano in una produzionemedia. Il che vuol dire che per tutti i 59'12"dell'album l'attenzione resta alta, altissimaper capire le storie, i rimandi, il dialetto (trebrani sono nel camuno di Lozio, paese natale

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di Dario Canossi). Dal folk rock del brano ini-ziale ("Cünta e canta") si passa al country rockdi "Donna di fiori", dal folk puro delle gighe di"Paradis del diaol" (melodia tradizionale) dovesembra di ascoltare i Lou Dalfin, si passa allento di "Che freddo fa". Dall'epica di "Turnamia 'ndrè", dedicato al comandante partigianoGiacomo Cappellini.

Si torna al country-folk con "Ciao bella" (atten-zione, sembra Guccini quello che canta, ma èCanossi, a cui si aggiunge nel finale l'ottimoMassimo Priviero. Ma la somiglianza conGuccini, vi giuro è altissima). "Padre Pedro" ètex-mex, con una spezia latina in più. "Fioreamore disertore" è ancora un lento epico,anzi anti-epico. "Crescerò con te" è un frescorock giovanile. "Signor Dio" una bella ballatache sa di folk.

A sorpresa "La revolucion" scopre inaudite(nel senso di mai ascoltate nei dischi dei Luf)sonorità elettroniche che si vanno a michiarea un ritornello latino con un gradevole effettopatchanka. "Pensieri di tritolo" è un altra bal-lad folk-rock con Massimo Priviero alle voci(che rende la visita a Canossi, ospite a sua

volta ne “La strada del davai” nella "Dolce resi-stenza" di Priviero). "Comandante" la conosce-te tutti: il pezzo dei Gang e i fratelli Severinianche qui sono presenti al canto (Marino) echitarra (Sandro). Grande versione. Infine "Vivila vita ballando" è ancora una volta puro folk,di quello da danzare sull'aia. E, se si vuole, ildisco si chiude come si era aperto.

Insomma, non si può proprio dire che non cisia varietà di atmosfere. Ma dall'inizio alla fineun tiro rock che non deflette un secondo, unapassione cantautorale a tutta prova, una sin-cerità di intenti da premio. Signori, i lupi sonoscesi di nuovo a valle, passato l'inverno edimenticata la neve sui monti; sono scesi aportare allegria, danza, pensieri e storie.Forse le stesse storie che nelle sere d'invernosi raccontavano attorno al fuoco. Il fuoco èancora acceso. E' quello della passione. Lungavita ai lupi! E che siano sempre meno solitari.

I Luf "Paradis del diaol"PerSpartitoPreso - 2007Ai loro concerti e nel circuito di Botteghe nelmondo

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niAlessio Lega &Mocacyclope: "Zollette"

Un "live" fragrante e appetitoso. Ma non dolcedi Giorgio Maimone

Adesso il panorama è completo: un disco diinediti, uno di cover, un live. Manca solo il "Thebest", ma diamo qualche anno di tempo. AlessioLega è autore prolifico e adesso che ha iniziatoa fare dischi non lo ferma più nessuno. Il live"Zollette" è stato registrato il 10 marzo 2006all'auditorium comunale di Ponteranica (Bg) ec'è poi voluto più di un anno perché riuscisse atrovare la via della distribuzione. In mezzo è usci-to il secondo disco di Lega coi Mokacyclope (odei Mokacyclope col Lega?) ossia il contrastante"Sotto il pavé la spiaggia", in bilico tra la deliziadel foie gras e la dissonanza del Pastis. "Zollette"è molto più commestibile, come si compete a unbuon live e tuttavia si caratterizza per proporreuna buona manciata di novità o curiosità. E' unesempio di come dovrebbe essere fatto un"Live": ottime canzoni, un po' di brani noti e qual-cosa di nuovo. Obiettivo riuscito: segnatevi il tito-lo, ma non illudetevi di trovarci del dolce. Sonotempi amari ed anche i "Live" come questo sichiudono in amarezza.

Si inizia con "Venditor di sassi, ossia "Merchanddes Cailloux" di Renaud Sechan, come sempreottimanente tradotto da Alessio che si confer-ma uno dei migliori traduttori di canzoni france-si su piazza. Il brano di Renaud non è compresoin "Sotto il pavè" ed è un bizzarro proto-countryin salsa armoricaine: grande canzone, ottimaversione, splendida apertura di disco. Restiamoin terra di Francia con "Parigi val bene unamossa", classico leghiano degli anni pre-dischi, inuna versione migliore di quella finita su"Resistenza e amore", ma ancora inferiore all'o-riginale chitarra e voce che chissà se finirà maisu disco!

Restando in tema di classici troviamo subitodopo "Straniero", uno dei brani migliori del can-zoniere leghiano, connubio di ottimo testo e per-fetta resa musicale: "Sono venuto a sta città /Come straniero che non sa / Come un insulto alcielo nero / In questa pioggia ostile / Lo stilefosco dell’età / E la pietà per questa gente / Intutto questo niente, il vento / Che batte il miopensiero // E me ne andrò, io mi dicevo / Dinotte, come uno straniero / Andrò davvero ionon devo / Niente a nessuno andrò leggero via".

Si procede con un'altra prelibatezza del riccomenù di "Zollette" (18 tracce, l'ultima realmentefantasma, in quanto inesistente, e intitolata allaScaramanzia, per non far chiudere il disco con17 tracce per un totale di 69'29"): "Canzone deipirati", ossia "Pirataskaja Liricheskaja" di BulatOkudzava, uno di quei personaggi che potrebbe-ro benissimo essere inventati e che invece, trat-tandosi del Lega, ti devi prendere la briga diandare a cercare e, meraviglia delle meraviglie,persino trovare! Bulat Okudzhava (nato a Moscanel 1924), insieme a Aleksander Galich e aVladimir Vysotskij, fu il più importante autore diquel movimento di protesta comunemente chia-mato “la rivoluzione del magnetofono” che, neglianni 70-80, fece traballare l’Unione Sovietica. Igrandi temi di questi autori furono la protestacontro il regime, la satira contro sua la corruzio-ne, la denuncia dell’odio etnico e razziale covatodalla classe politica, le persecuzioni di cui que-st’ultima era ancora capace, e poi, specialmentein Okudzhava, la critica antimilitarista. Sfidochiunque ad andare oltre a una conoscenza(superficiale) di Vysotskij. Ma qui andiamo oltre.E la canzone, brechtiana nel suo incedere, fun-ziona molto bene.

Procediamo con un'altra squisitezza: "Non hodenari, non ho paesi, non ho tesori, non ho città"è forse la canzone col titolo più lungo. Ed è ancheun glorioso ripescaggio dal canzoniere di AlfredoCohen, misconosciuto cantautore omosessualee anarchico degli anni '70: un unico disco all'atti-vo, "Come barchette dentro un tram" (e anchequi come titolo andiamo sul lungo) del 1977,peraltro con produzione e arrangiamenti diFranco Battiato e Giusto Pio. La canzone ripresadal Lega, che prosegue la strategia di attenzione

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ai cantanti "minori" del periodo, come il Fanigliulodi "A me mi piace vivere alla grande", un classicodelle esibizioni di Alessio dal vivo, è tuttora attua-le, ben costruita su un ritmo di sarcastica mar-cetta. Non lascia indifferenti.Possiamo procedere celermente su "Resistenza eamore" e "Rachel Corrie" che restano abbastanzasimili alle versioni (belle) presenti sul primo discodel Lega, fatta salva la lunga coda di 1'50" in fondoalla seconda canzone che ne esalta la assolutadrammaticità e arriviamo ai 7'20" di "Gorizia" unadelle più celebri canzoni della musica popolare poli-tica. Ne ricordiamo una versione strepitosa dei LesAnarchistes su "Figli di origine oscura". Quella deiMocyclope e di Alessio si pone sulla stessa linea.Grande lavoro alla chitarra elettrica di RoccoMarchi, interpretazione di gran classe. Voce giustae giusta incazzatura. Ferro e metallo ardente diret-tamente dalla classe operaia. Epica.

Se "Vigliacca!" è bellissima, ma già conosciuta, "IlLupo" di Henri Tachan (giuro, non so chi sia nemme-no lui) è un'altra esclusiva di questo live: tutta daascoltare. E' un altro dei motivi per acquistare questodisco. La traduzione, non vale più nemmeno la penadi dirlo, è perfetta.Piccolo angolo dedicato a Genova,prima col suo cantautore eponimo, Fabrizio DeAndré e la sua "Canzone del maggio", nella versionefinita su "Storia di un impiegato" e quindi abbastanzalontana dal canto del maggio francese da cui è deri-vata. Buona la versione di Alessio. Poco significativol'arrangiamento, pigro. Si passa subito a "Dall'ultimagalleria (Genova)" di Alessio Lega, dedicata a CarloGiuliani, qui in una versione leggeremente più lunga eveloce di quella presente su "Resistenza e amore"ma anche meno violenta.

Ci avviciniamo al finale, ma abbiamo ancora duebrani: "Chissà" è l'unico estratto da "Sotto il pavé laspiaggia" ed è di Allen Leprest, scritta in coppiacon Richard Galliano. Non rientra tra le mie prefe-renze assolute, ma ha un gran testo. Infine"Zolletta" (lettera a Enzo G.Baldoni), la cosiddettatitle track che chiude l'album e lo nobilita una voltadi più. L'anima del Lega, fumettaro a sua volta efumettofilo convinto, trova tutte le caratteristicheper esprimersi al meglio: il ricordo, Milano, l'antimi-litarismo, i fumetti, il passato e il presente, un po' ditristezza e molta voglia di riscatto. Ammettiamolo,era molto facile scadere nel patetismo e farsiprendere la mano nel ricostruire una vicendacome quella del giornalista free lance italiano,ostaggio ucciso durante la guerra in Iraq. Legamaneggia la materia con pudore, con emozionefrenata e grande, al proposito, l'idea dell'intercala-re "Vabbè, Baldoni", che rende l'idea di un discorsoin diretta con qualcuno presente, che ci può ascol-tare (o leggere) ed eventualmente rispondere. Nonserve parlare oltre, basta leggere. Il giudizio com-plessivo sul disco? Non l'avete capito? Questo èun'imperdibile! Da 5 stelle.

Zolletta (di Alessio Lega)

C'è come un lampo d'ironiaChe aggiusta il naso tra gli occhiali

E son tornati tutti ugualiI giorni qui che via per viaTraverso viale PapinianoParcheggiati come spineIn gola a tutte le mattine

Fanno mercato clandestinoDi una tristezza vietnamita

Che serba amore anche a chi muoreC'è una zolletta di doloreAppassionata della vita

C'è qui Zolletta che si scioglieIn un caffè di Monte Nero

Il fricchettone un po' in pensieroLo zapatista con le doglie

E siamo qui che ti scriviamoDel dilagare dell'agosto

Nell'obbiettivo sovraespostoCome tre passeri su un ramoTu ragazzaccio straordinarioT'è parsa proprio una trovataSbatterci in faccia la giornata

Testimoniare in solitarioCon la tua foto tutta mossa

Che ci confonde ogni certezzaE mo' la consapevolezza

E’ sbigottita, zuppa e scossaCi resta aperta sulle mani

La scelta fra il colera e il tifo:Fra i bombardieri americaniE i tagliagole che fan schifo

Per questo tu te ne sei andatoA curiosare in mezzo al fuoco

Lasciando al mondo sconcertatoTutta la serietà del giocoVabbè Baldoni qui Milano

Conserva ancora il tuo passaggioCome il sorriso del coraggioChe spero ci fiorisca in mano

Vabbè Baldoni, statti beneQui per non piangere ridiamoE al tuo sorriso ci sperriamo

Che un po' da piangere ci vieneVabbè Baldoni, senza fretta

Ci rivediamo certamenteSai che non mollo facilmente

Ti aspetto. Sempre tua. Zolletta.

Alessio Lega & Mokacyclope"Zollette" (live)Altromercato - 2007Disponibile nei negozi del commercio equo e solidale

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niMassimo Priviero: "Rock & Poems"

Gli anni '70 a colpi dichitarre e di poesiadi Giorgio Maimone

C’è chi un disco del genere lo fa solo perdivertirsi. E a volte si diverte solo lui. E, fortu-natamente c'è anche chi lo fa "non per piacersuo / ma per dar piacere a iddio".Quest'ultimo è il caso di Massimo Privierocon "Rock & Poems". Un disco che è moltopiù di un semplice album, piuttosto una colle-zione, una antologia di tanto del meglio che lamusica a stelle e strisce ci ha lasciato nelcorso degli ultimi 50 anni. Si parte con"Blowin' in the wind" a cui viene restituita la"g" finale che, in realtà non ha mai avuto e sifinisce 51'44" dopo con "We shall overco-me", traditional celeberrimo anche primadella rivisitaziione springsteniana.

"A spingermi - dice Priviero - è stata la vogliadi tornare all’inizio, di rendere omaggio allecanzoni che sono state un po’ la salvezza edannazione della mia vita. Inizia con Blowingin the wind, perché è stata la prima canzoneche ho imparato sulla chitarra. Non credoche si possa parlare di un disco di cover, diraschiatura del fondo del barile, ma è stataun’operazione un po’ folle, perché mettere lemani sui classici vuol dire andare al frontesenza l’elmetto in testa. C’è molta emozionee molta energia".

Emozione ed energia che si sentono percor-rere la schiena del disco, sempre sul filo delbrivido leggero, sia nei pezzi più calmi che inquelli più grintosi, anche se la grinta Priviero,in fondo, non l'abbandona mai. Le versionisono contemporaneamente molto fedeli aglioriginali, ma anche molto vicine allo stilo diMassimo, per cui, anche quando (e capitadue volte) si passa attraverso pezzi suoi(Resistence e Marchin' on, ossia rispettiva-

mente Dolce resistenza e La strada delDavai) la differenza non si avverte. Non c'è loscalino atteso e il flusso di buon rock & rollverace non si interrompe.

"Io penso - ci ha detto ancora Massimo - checi sia un legame tra i pezzi ed è la quantità dipoesia che tutte queste canzoni avevano den-tro, il che dà un unitarietà alla cosa. Molti diquesti brani hanno tematiche che ritornano:visioni oniriche di speranza e libertà (The pro-mised land, Have you ever seen the rain), dal-l’altra le poetica della solitudine (Desperado,Old ’55). Due temi che rappresentano bene ilmio orizzonte aurorale. Ho scelto quindi braniche mi rappresentassero e assieme a meparlassero di tutta una generazione".

L'obiettivo è stato completamente raggiunto.Poi a qualcuno potranno piacere di più alcu-ne rivistazioni e altri invece si concentreran-no su altre. Come pure vi sarà chi si appel-lerà al reato di lesa maestà. In fin dei conti lostesso Priviero l'ha anticipato, dicendo che"toccare i classici è da incosciente. Comeandare in guerra senza l'elmetto".

Senza metterci l'elemetto possiamo a nostravolta esprimere le nostre preferenze: alprimo posto la lenta ballata di Lily of the west,brano tradizionale ripreso da decine di autoritra cui Joan Baez, Bob Dylan, The Chieftains,Peter, Paul and Mary e Mark Knopfler. Laversione di Massimo è lenta e solenne, vaga-mente alla Van Morrison, lunga e rilassata.Con la voce che giustamente vibra di accenniepici nel narrare la vicenda, una delle murderballads più conosciute, del giovane che ama

Page 19: Numero 63 14 dicembre 2007 S W Gli im E N dibili E L E B e L · canto in siciliano e c’è dentro la tarantella napole-tana. Praticamente era la canzone che faceva ... stanza pieno

Flora, conosciuta come Lily of the west, la sco-pre infedele, ne ammazza l'amante e in galerasi scopre ancora innamorato di lei.

Altri pezzi forti sono "The promised land" daSpringsteen e "Desperado" degli Eagles, "Ol'55" di Tom Waits e "Chimes of freedom" diBob Dylan. Meno convincente, ma è un pareredel tutto personale, la Blowing in the wind ini-ziale, specie da un punto di vista dell'arrangia-mento, troppo muscolare. Blowin' sopravvivea tutto: tanto a Peter, Paul & Mary che al reg-gae del Budokan o al rock di Before the floode anche qui non è affatto male, ma nel bigon-cio ci sono fichi più succulenti.

Curioso peraltro ascoltare nel giro di pocotempo due riproposte degli anni '70 come ilprogetto Slowfeet di Franz Di Cioccio e Rock& Poems di Priviero, animati entrambi dalla

passione profonda per quegli anni, per anni diprofonda trasformazione e profondi muta-menti, in cui tutto sembrava ancora possibilee le strade aperte per andare. Ora gli obiettivisono minimi, gli spostamenti quasi proibiti, maPriviero e Di Cioccio ci invitano ognuno amodo proprio a continuare a sognare. E a nonaver paura di ricordare.

Massimo Priviero"Rock & poems"Universal - 2007In tutti i negozi di dischi

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